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Sbobine Biochimica Ferretta
EDP
Biochimica
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
159 pag.
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1)Lezione 8/2/22
CHIMICA ORGANICA
La chimica è una scienza che studia le proprietà della materia e le trasformazioni in cui la
materia va incontro. La chimica organica studia i composti del carbonio, la chimica
inorganica studia tutti gli elementi e la chimica fisica studia la teoria della chimica partendo
dalle leggi della fisica, la chimica analitica che va a studiare i metodi di analisi, la chimica
biologica che studia il comportamento di molecole e composti presenti nelle cellule
implicate nelle reazioni chimiche che costituiscono le basi della vita. Si definisce materia
tutto ciò che occupa spazio, dotato di massa (è la forza che è necessaria applicare a un
oggetto per modificarne lo stato di moto e di quiete; il peso invece dipende dalla massa e
dalla sua posizione nel campo gravitazionale).
Per capire le proprietà chimiche e fisiche degli elementi è necessario osservare dal punto di
vista chimico, vedere come sono fatte per capire come funzionano.
La chimica è lo studio dei composti del carbonio e di altri pochi elementi H, O e N
principalmente, in concentrazioni minori P (fosforo) e S (zolfo). Questi elementi formano il
95% del peso degli organismi e si combinano mettendo in comune coppie di elettroni per
formare molecole. Le particelle elementari che costituiscono la materia, le molecole, gli
organismi, sono gli atomi,particelle elementari. Rappresentano la più piccola parte con cui
un elemento si combina per andare a formare i composti. Pochi elementi in natura sono
definiti gas nobili, esistono sotto forma di specie atomiche isolate, la maggior parte è
presente sotto forma di aggregati: le molecole. La molecola più piccola parte di un elemento
chimico che conserva proprietà chimiche e fisiche ed è capace di esistere in maniera
indipendente. L’atomo non mostra proprietà chimiche dell’elemento
STRUTTURA ATOMO
-Porzione centrale: nucleo, parte
più densa, contiene la maggior
parte della massa. E’ costituito
da due particelle più piccole:
protoni (particelle dotate di
massa con carica elettrica
positiva) e neutroni (particelle dotate di massa ma prive di carica). La massa prevalente dell’
atomo è racchiusa nel nucleo, le sue dimensioni sono molto piccole, dell'ordine di 10^14/15 m.
-Spazio vicino al nucleo (nube elettronica): ci sono gli elettroni che hanno carica negativa (-1)
e una massa trascurabile. Gli elettroni occupano la maggior parte del volume dell'atomo,
che ha un diametro 10mila volte più grande di quello del nucleo: la grandezza è nell’ordine
di 10^-10 m. Lo spazio extra nucleare è molto più ampio dove si muovono liberamente gli
elettroni, confinati in regioni dello spazio denominate LIVELLI PRINCIPALI DI ENERGIA
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Tutti gli atomi allo stato fondamentale (ovvero quando l’atomo è più stabile) hanno il
numero di protoni = numero di elettroni, quindi gli atomi hanno una carica neutra (=0). Ogni
atomo è caratterizzato da un simbolo che identifica il nome dell’elemento. Ogni atomo è
caratterizzato da:
-Numero atomico (Z): è il numero di protoni (e quindi di elettroni dato che l’atomo è
elettricamente neutro). Numero in basso a sx al simbolo. Elementi diversi hanno Z diverso e
diverse caratteristiche chimiche che dipendono dalla loro struttura elettronica. Z individua in
maniera univoca a quale elemento appartiene atomo. (Proprietà chimiche definite dal
numero di elettroni)
-Numero di massa (A) (in alto a sx del simbolo) è il numero di protoni + numero neutroni del
nucleo. Può essere diverso per atomi dello stesso elemento. In natura esistono quasi per
ogni elemento diversi isotopi che si differenziano per il numero di massa, si differenziano
per numero di neutroni. Il comportamento chimico è identico per tutti gli isotopi di un
elemento poiché hanno stesso numero Z , variano invece le caratteristiche fisiche legate al
numero di massa (Proprietà fisiche definite dal numero di massa)
La massa atomica è espressa in u/uma (unità di massa atomica), ed è la media pesata tra
tutti gli isotopi di un elemento
Struttura elettronica atomi
Nel modello atomico attuale (De Broglie) si ipotizza che gli elettroni abbiano una natura
dualistica ondulatoria (luce onda elettromagnetica) e corpuscolare (fascio di corpuscoli
chiamati fotoni). Quindi la loro posizione e traiettoria intorno al nucleo non potranno essere
identificate con esattezza e che gli atomi e molecole possono esistere solo in certi stati
energetici che possono aumentare e diminuire solo per valori ben definiti, ovvero per quanti
di energia (valori definiti). Risolvendo un’ equazione matematica si può descrivere lo stato
energetico degli atomi e definire con una certa probabilità lo spazio tridimensionale
circostante al nucleo: spazio definito orbitale elettronico, ovvero la regione di spazio in cui si
può trovare l’elettrone.
Il comportamento di un elettrone può essere descritto con una funzione d'onda avente
come soluzione φ, il quadrato di questa funzione esprime la regione di spazio (orbitale)
attorno al nucleo in cui è massima la probabilità di trovare un elettrone.Quindi un orbitale è
una funzione d’onda che esprime la probabilità di trovare l’elettrone in una regione di spazio
intorno al nucleo. L’elettrone non può essere considerato come un singolo punto, ma come
una nuvola di carica negativa intorno al nucleo dell’atomo. Per descrivere il tipo di orbitale
bisogna introdurre dei parametri chiamati numeri quantici:
-numero quantico principale n, che caratterizza il livello energetico dell'orbitale e assume
solo
valori interi compresi tra 1 e 7 con energia sempre più crescente, all'aumentare di n,
aumenta l’energia dell'orbitale e la distanza dal nucleo. Ci sono tanti gusci energetici intorno
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al nucleo, ognuno con il proprio
numero quantico principale, ogni
guscio a diversi numeri di elettroni
Gli elettroni del primo guscio sono più
vicini al nucleo pertanto hanno più
bassa energia. Ciascun guscio può
contenere 2n^2 elettroni dove n è il
numero quantico principale.
I gusci elettronici sono ulteriormente
suddivisi in sottogusci, definiti dagli
orbitali s p d f.
Ogni livello energetico è suddiviso in
sottolivelli di orbitali che differiscono leggermente l’uno dall’altro per la loro energia.
-il numero quantico secondario (l) caratterizza i sottolivelli energetici, identifica le forme dei
diversi orbitali e assume tutti i valori compresi tra 0 e (n-1). Gli orbitali sono designati dalle
seguenti lettere: orbitale s (se l=0) forma sferica, orbitale p (se l=1) doppio lobo intorno al
nucleo centrale, orbitale d (se l=2), orbitale f (se l=3).
-il numero quantico magnetico (m) identifica l’orientamento dell'orbitale nello spazio,
assume tutti i valori interi compresi tra- l e +l. Dice per un certo orbitale quanti ce ne sono in
uno stesso strato a uguale energia, ad esempio al numero quantico l=1, corrisponde
l’orbitale p che ha 3 tipi di orbitali isoenergetici disposti sui tre assi cartesiani (x,y e z), per
l=2 avremo 5 diversi numeri di orbitali (-2, -1, 0, 1, 2). Quindi una funzione d’onda descrive
un determinato livello energetico e va ad identificare in maniera ottimale l’orbitale.
I livelli energetici principali intorno al nucleo si dispongono con una determinata forma,
orientamento e sono caratterizzati da un numero ben definito a seconda del numero
quantico che li caratterizza. Ogni elettrone è una particella che ruota intorno al proprio asse,
possiede uno spin e quindi è in grado di ruotare intorno a se stesso, essendo carico
elettricamente emette campo magnetico (noto come “magnetismo di spin”)
-il numero quantico magnetico di spin (ms ) che rappresenta il momento angolare intrinseco
dell'elettrone, al quale è associato un momento magnetico. Si indica con valori +½ e -½, è
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una proprietà fondamentale in quanto permette di riempire gli orbitali atomici definiti dei
primi 3 numeri quantici.
Regola per la costruzione della configurazione elettronica
Gli elettroni presenti in un atomo (eccezione per H) sono sempre più di 1, la distribuzione
degli elettroni (configurazione elettronica) negli orbitali atomici non è casuale, segue regole
ben precise:
-Principio di Aufbau afferma che gli orbitali vengono riempiti dagli elettroni in ordine
energetico crescente partendo da quelli disponibili; orbitali dello stesso livello hanno la
stessa energia. Può esserci parziale sovrapposizione tra un intervallo di energia entro il
quale si posizionano i sottolivelli di un livello energetico adiacente, ciò descrive il
comportamento degli elettroni all’interno degli orbitali, ovvero si vanno a riempire prima gli
orbitali con un ordine di energia minore, via via quelli con energia superiore.
-Principio di esclusione di Pauli afferma che l’orbitale atomico può contenere al massimo
due elettroni, che devono avere spin opposto (antiparallelo), spin è una proprietà quantica
degli elettroni che può avere verso orario o antiorario. Due elettroni quindi non possono
avere tutti e quattro i numeri quantici (n, m, l, s) uguali, ogni orbitale può contenere
massimo due elettroni purchè i loro spin siano di segno opposto. Il numero massimo di
elettroni che possono occupare un determinato livello energetico è dato dalla formula 2n^2.
-Regola di Hund stabilisce che quando ci sono più orbitali di uguale energia (orbitali
degeneri, es. i 3 orbitali p) essi vengono occupati ciascuno da un solo elettrone a spin
parallelo finché tutti contengono un elettrone e poi si riempiono con un secondo elettroni
con spin opposto. Quindi in orbitali degeneri gli elettroni si dispongono con spin spaiati sino
ad occupare singolarmente ogni orbitale degenere.
Gli elettroni posizionati negli orbitali dello strato più esterno vengono chiamati elettroni di
valenza, essi prendono parte alle reazioni chimiche che determinano le proprietà
caratteristiche degli elementi. Nello strato di valenza più esterno di solito ci sono 8 elettroni
(il guscio di valenza viene chiamato ottetto di valenza), esso è completo (dà stabilità)
quando presenta 8 elettroni per quanto riguarda i gas nobili (o gli elementi inerti, ovvero
che manifestano scarsa o nulla tendenza a reagire), mentre sono di numero inferiore a 8
negli altri elementi che interagiscono tra di loro per tendere a raggiungere la regola
dell’ottetto (guscio di
valenza completo), ovvero a
raggiungere la
configurazione del gas
nobile ad esso più vicino.
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Es. il litio 2 periodo, 1 gruppo
berillio, 2 periodo, 2 gruppo
boro 2 periodo, 3 gruppo..
Man mano avremo gli elettroni che vanno a riempire prima l’orbitale s (del berillio con spin
opposto), poi nel boro orbitale s è pieno, il terzo elettrone va nel primo orbitale p, poi
secondo e terzo orbitale p; dopo che ogni elettrone ha riempito ogni orbitale p, iniziano a
riempirsi gli orbitali con spin antiparallelo all’elettrone già presente, fino ad ottenere
configurazione più stabile del gas nobile neon, che presenta nel guscio di valenza più
esterno 8 elettroni.
La configurazione superficiale è
.
I legami
Gli atomi si legano perché il composto che si forma è più stabile, passa da un’ energia più
alta a un’ energia più bassa laddove gli atomi stanno insieme per formare i legami, le
molecole. Quando si forma un legame viene rilasciata energia, per rompere un legame
invece è richiesta energia. La molecola che si forma mediante la presenza di un legame tra
due specie atomiche differenti stabilizza una situazione molecolare a più bassa energia, che
conviene dal punto di vista energetico. Per raggiungere l’ottetto le molecole tenderanno a
reagire con altre molecole formando un legame, ovvero l’interazioni tra elementi per
raggiungere una configurazione più stabile. I legami che si formano possono essere di varia
natura:
● Legami ionici: legami in cui alcuni elementi raggiungono la configurazione di ottetto
guadagnando o perdendo elettroni. Quando un atomo neutro perde o guadagna un
elettrone, si forma uno ione: se un elemento perde un elettrone si carica positivamente
(catione), se invece lo acquista si carica negativamente (anione). Cationi e anioni
interagiscono tra di loro, queste interazioni molto stabili formeranno il legame ionico. Gli
elementi che partecipano a queste interazioni sono in genere i metalli alcalini (elementi
gruppo 1A che perdono un elettrone formando un catione per raggiungere la configurazione
elettronica più stabile) e gli alogeni (elementi gruppo 7A che acquistano un elettrone
formando un anione per raggiungere la loro configurazione più stabile). Questa interazione
carica + e - è di tipo elettrostatica, ne è esempio il cristallo cloruro di sodio (sale) dove ogni
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ione sodio è positivo (ha ceduto un elettrone) ed è circondato da ioni cloro negativi (che
hanno acquistato un elettrone). Ogni cloruro è circondato a sua volta da 6 atomi di sodio. Gli
ioni sono tenuti insieme dall'attrazione
elettrostatica, come in
formando un legame ionico.
,
● Legami covalenti (Lewis 1916):
avviene la messa in comune
(condivisione) degli elettroni,
gli elettroni quindi non verranno né
ceduti né persi. Gli atomi che spesso partecipano a questo tipo di legame sono quelli del
centro della tavola periodica (es. Carbonio) che possono raggiungere la configurazione
dell’ottetto soltanto condividendo gli elettroni. E’ covalente quel legame dove due atomi
non metalli mettono in compartecipazione una o più coppie di elettroni esterni per
completare il guscio esterno e aggiungere la configurazione elettronica stabile del gas
nobile. Si forma un’entità distinta, stabile, la molecola (insieme elettricamente neutro degli
atomi uniti da legami covalenti), i cui elettroni condivisi appartengono ad entrambe le specie
atomiche; inoltre il numero di coppie in compartecipazione tra i due atomi rappresenta
l’ordine di legame. Il legame covalente può essere definito:
-Covalente puro (omopolare,molto forte)
atomo condivide un elettrone con un altro atomo
Nella molecola di idrogeno ciascun
-Covalente di natura polarizzata (eteropolare), si forma tra atomi appartenenti a specie
chimiche diverse, con elettronegatività diversa (in questo caso la condivisione degli elettroni
è diversa perché un atomo più elettronegativo tenderà ad acquisire l’elettrone condiviso in
maniera dominante rispetto all’altro. Quindi se gli elettroni sono condivisi in maniera
disuguale (legame covalente polare) si genera un dipolo
elettrico. Questa differente distribuzione degli elettroni intorno
ai due elementi aventi differente elettronegatività si presenta
con una struttura bipolare: avrà da una parte una parziale carica
+, dall’altra -. Questo è dipeso dalla condivisione di elettroni tra
due specie atomiche con elettr. diversa, gli elettroni tenderanno
ad essere più presenti verso il cloro piuttosto che verso l’atomo
di idrogeno che tratterà gli elettroni con meno forza. Non
avremo una carica ma un dipolo, ovvero una molecola che
presenta da un lato una parziale carica +, dall'altro -.Questi
dipoli si formano in molte molecole
Per rappresentare i legami covalenti nelle molecole si usano:
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-Strutture di Lewis (elettrone-punto)
-Strutture di Kekulè (legame-trattino)
Il numero di legami covalenti
dipende dal numero di elettroni di
valenza che l’atomo necessità per
raggiungere la configurazione dell’ottetto (es. per H la configurazione elettronica è 1s1,
necessita di un solo elettrone per raggiungere la configurazione dell’elio 1s2 quindi forma un
solo legame; l’azoto ha config. 2s2 2p3 quindi necessita di 3 elettroni per raggiungere la
configurazione del neon 2s2 2p6, deve formare tre legami).
Le coppie di elettroni solitarie (o di non legame) sono
elettroni di valenza non impegnati nella formazione
di un legame, possono agire da nucleofili, questo va
a identificare la carica formale.
La carica formale è la carica presente su un
atomo/ in uno ione poliatomico/in una molecola)
che si calcola dal numero di elettroni di valenza (il numero di elettroni di non legame + ½ degli
elettroni di legame.).
In foto vedo anche gli ioni relativi dell’acqua,
idronio e ossidrile
Esistono 3 modelli per descrivere la formazione del legame covalente e la geometria delle
molecole:
1)Teoria della repulsione tra le coppie di elettroni del guscio di valenza (VSEPR) noi vedremo
solo questa
2)Teoria del legame di valenza
3)Teoria degli orbitali molecolari (MO)
Teoria VSEPR: è possibile prevedere gli angoli di legame, ovvero la forma delle molecole,
studiando gli elettroni di valenza dei singoli atomi coinvolti nella formazione dei legami. I
legami possono essere semplici, doppi, tripli o non condivisi. Questa regione di densità
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elettronica attorno all'atomo si dispone in modo tale per essere alla massima distanza
possibile.
(a) Quando in una molecola ci sono
due legami, questi dovendosi
disporre alla massima distanza
possibile si pongono in una situazione
lineare, uno di fronte all’altro.
(b) Quando a comporre la molecola ci
sono tre legami, naturalmente si
dispongono in forma trigonale
planare in cui l’angolo di legame tra uno e l’altro è di 120 gradi.
( c) Quando ci sono 4 legami (tutti uguali per quanto riguarda l’ energia), si dispongono nello
spazio formando il tetraedro, ovvero la posizione spaziale che li dispone alla max distanza
possibile e quindi sono disposti in modo tale di avere una configurazione ottimale nello
spazio.
L’ammoniaca (NH 3) ha 3 legami, ha un
doppietto elettronico rappresentato da
due elettroni che non interagiscono nella
formazione di un legame chimico, ma
rappresenta anche la nube elettronica
quindi entra nella rappresentazione
tridimensionale della molecola,è come
se facesse parte del legame poiché
rappresenta una forza repulsiva. Gli
elettroni del doppietto elettronico hanno una forza elettrica di repulsione maggiore rispetto
a quelli che formano il legame, poiché sono attratti dall’ atomo di appartenenza in maniera
maggiore. Nella molecola d’acqua (H2O) ci sono 2 legami covalenti tra 0 e i due H, e due
doppietti elettronici (coppia di elettroni non condivisa), non è nella formazione del legame
ma fa parte della struttura tridimensionale, entra nella rappresentazione tridimensionale
della molecola.
Come si formano i legami covalenti nella molecola di metano (CH4)? Il metano è formato da
un atomo di carbonio che ha nel suo orbitale esterno di valenza 4 elettroni, e 4H con cui
forma i legami. La configurazione elettronica della molecola è rappresentata da
perchè il carbonio ha 4 elettroni di valenza quindi forma 4 legami. Tutti i legami carbonio-
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idrogeno del metano sono equivalenti e puntano verso i vertici del tetraedro regolare. Nella
configurazione elettronica vedo che
se osservo la regola della
distribuzione degli elettroni, noto che
questi elettroni sono presenti due
nell'orbitale s , 1 su px, l’altro sull
orbitale py, avremmo due orbitali p
liberi, ma noi sappiano che i legami
C-H nel metano sono tutti
equivalenti tra di loro, ciò non
coincide con la rappresentazione dal
punto di vista di valenza elettronica,
quindi, cosa accade dentro la
molecola del metano? Nel metano 1
orbitale s e i 3 orbitali p per far si
che si formino 4 legami con la stessa
energia intorno a C, vanno incontro
ad ibridazione (Linus Pauling, 1931),
ovvero si fondono tra di loro per
formare 4 orbitali ibridi identici tra
loro che non sono nè orbitali s nè
orbitali p, si formano 4 orbitali ibridi
sp3 perchè avviene il salto di un
elettrone su un orbitale p. Gli
orbitali sp3 hanno una forma
polilobata (un lobo più piccolo che
punta verso il centro dell’atomo di
carbonio) in grado tutti e 4 di
disporsi in forma di tetraedro. L’ angolo di legame
dell'atomo di C si dispongono in 4 legami singoli con angolo
di legame 109.5 gradi.
Come si formano i legami covalenti nella molecola di etano (C2H6)? Altra struttura che usa
orbitali ibridi di tipo sp3 è l’etano, ci sono 2 atomi di carbonio, ci sono 4 orbitali ibridi sp3,
tre orbitali formeranno una sovrapposizione con l’orbitale dell’atomo H, quindi un legame C-
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H semplice; mentre l'ultimo orbitale ibrido sp3 si sovrappone con l’altro orbitale sp3 ibrido
dell'altro atomo di carbonio, formando quindi un legame semplice tra C e C. La forza di
legame andrà a respingere il legame C-H quindi
l’angolo di legame è 109.6 gradi; la lunghezza di
legame è più distante perché hanno la stessa
elettronegatività, stessa forza di repulsione di
1.54 Armstrong, mentre la lunghezza del legame
semplice H-C sarà più corto poiché H è più
elettropositivo rispetto a C (che attrae con più
forza l’elettrone di H), lunghezza di legame di
1.10 Armstrong.
Ibridazione sp2: Ci sono altri tipi di ibridazione, sp2 fa parte della formazione dei tre orbitali
ibridi che generano 3 orbitali che
formano lo stesso tipo di legame
con uguale valenza energetica, si
generano 3 orbitali di tipo sp2 che
si dispongono in maniera trigonale
planare a formare un angolo di
legame di 120 gradi l'uno rispetto
all’altro.
Ad esempio nell’ etilene (C2H4)
c’è una molecola CH2 doppio
legame CH2 dove tra l’orbitale
ibrido sp2 del primo atomo di C
e l’altro orbitale ibrido dell’altro
C si forma un legame semplice
per sovrapposizione
dell’orbitale sp2 (legame
sigma), si forma un altro legame
semplice tra gli atomi di C e
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ciascuno dei 4 H che partecipano alla formazione della struttura dell’etilene. In più ci
saranno due orbitali p che fuoriescono dal piano trigonale planare formato dagli orbitali
ibridi sp2. Questi 2 orbitali formeranno una nube elettronica sopra e sotto il piano formato
dagli orbitali ibridi sp2, questa nube elettronica tra i due orbitali p formeranno la presenza
del doppio legame (sigma e pigreco) dell’etilene. In questo caso la presenza del doppio
legame non permetterà la rotazione dei due carboni uno rispetto all’altro, saranno bloccati
perché il doppio legame va a stabilizzare la struttura, si formerà un piano che non
permetterà ai carboni di ruotare uno rispetto all’altro.
Ibridazione sp: dato dall’ibridazione tra un orbitale s e un orbitale p che determinerà la
formazione di 2 orbitali ibridi sp, questa ibridazione non intercorrerà tra gli altri ultimi due
orbitali di tipo p, questi orbitali sp si disporranno in maniera lineare.
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Ad esempio nell'acetilene (C2H2), si posizioneranno nello spazio in maniera di avere un
orientamento lineare con gli orbitali sp che avranno angolo 180 gradi, inoltre avremo un
orbitale p che fuoriesce sopra e sotto il piano per entrambi i C, avremo un altro orbitale p
che invece sarà posizionato più ? per entrambi i C, entrambi gli orbitali p formeranno un
legame di tipo pigreco. Quindi avremo un legame sigma dato dal legame semplice tra i due
sp e due orbitali p formati dalle interazioni tra i due orbitali p che fuoriescono dal piano (py
e pz). C’è un triplo legame tra C e C. Prima abbiamo detto che i singoli legami C-C sono liberi
di ruotare uno sull’altro, invece i doppi legami sono più corti e non consentono una libera
rotazione su un piano perché richiederebbe energia per poter rompere il doppio legame e
permettere la rotazione. La rottura del doppio legame comporterebbe l'instaurarsi e la
persistenza di una nuova molecola
rispetto a quella precedente poiché la
struttura di base si perderebbe per
generare una nuova molecola.
→Quindi l’atomo del carbonio è un atomo molto versatile che può formare dei legami
singoli, doppi, tripli con altri C o con atomi diversi, formando quindi degli orbitali ibridi
intorno alla sua struttura. E’ versatile nel creare diversi tipi di legame
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Legami non covalenti: non
vengono messi in comune gli
elettroni.
-Interazioni ioniche o
elettrostatiche (carica-carica): si
realizzano tra due particelle
elettricamente cariche.
-Forze intermolecolari deboli
(polari-apolari) Forze di van der
Waals: interazioni deboli
importanti poiché rendono la
conformazione delle proteine
all'interno della cellula; interazioni
fra dipoli. Sono presenti in tutte le
sostanze polari e apolari
-Legami idrogeno , legami deboli
importanti nella stabilizzazione
della configurazione di una
molecola. Legame debole tra un
atomo di idrogeno legato ad un
atomo fortemente elettronegativo
ed un atomo elettronegativo che
dispone di un doppietto elettronico.
-Interazioni idrofobiche: si realizzano tra molecole o gruppi non polari.
Quanto forte può essere un legame? dipende dalle proprietà (elettronegatività, distanza
degli elettroni di legame da ogni nucleo, carica nucleare) degli atomi impegnati nel legame.
Quanto maggiore è l’energia necessaria per la
dissociazione di un legame, tanto più forte è
quel legame
Tavola periodica degli elementi ordinata in
modo tale che si possono evidenziare le
proprietà degli atomi che sono dovute agli
elettroni dello strato più esterno. E’ divisa in 18
colonne verticali (gruppi) e 7 orizzontali (periodi, elementi in ordine decrescente per il
numero atomico??,per il numero di elettroni, si va a capo ogni volta che vengono riempiti gli
orbitali). Gli elementi dell’ultimo gruppo hanno lo strato elettronico esterno completo, sono
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i gas nobili. Il numero quantico n aumenta di uno ogni volta che si va a capo, corrisponde
quindi al numero del periodo. I gruppi sono costituiti da tutti gli elementi appartenenti alla
stessa colonna
verticale
caratterizzata dal
numero crescenti di
protoni/elettroni
dall’alto verso il
basso, hanno la
stessa configurazione
elettronica esterna
quindi gli elementi
appartenenti allo
stesso gruppo hanno
proprietà chimiche
simili.
Proprietà periodiche degli elementi:
-Energia di ionizzazione è l’energia da fornire a una mole di atomi di un dato elemento allo
stato gassoso per poter strappare un elettrone a ciascun atomo. Energia di prima
ionizzazione è quella necessaria per strappare l’elettrone più esterno, di seconda
ionizzazione per strappare il secondo e così via.
-Affinità elettronica: è l’energia che si libera quando ciascun atomo di una mole di un dato
elemento allo stato gassoso acquista un elettrone diventando un anione.
-Raggio atomico: dipende dalla forza con cui gli elettroni del guscio esterno sono estratti dal
nucleo, è la metà della distanza tra i nuclei di due atomi della stessa specie in una molecola
biatomica.
-Elettronegatività: rappresenta la tendenza, la capacità di un atomo di attrarre verso di sé le
coppie elettroniche dei legami a cui partecipa. Si
esercita solo sugli elettroni di coppie di legami a cui
un atomo di partecipa. Essa aumenta lungo un
periodo da sx a dx, e aumenta lungo il gruppo dal
basso verso l’alto. Un modo per identificare se un
legame è ionico o covalente è quello di paragonare
l’elettronegatività degli atomi coinvolti.
Più grande è il numero, maggiore è l’ elettronegatività
dell’elemento (l’affinità per gli elettroni).
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L’elettronegatività dipende sia dal numero di elettroni
presente nel guscio di valenza esterno, sia dal raggio
atomico perché i cationi sono sempre più piccoli dei
corrispondenti atomi neutri in quanto la perdita
dell’elettrone del livello più esterno aumenta
l'attrazione tra il nucleo e gli elettroni rimasti; gli
anioni invece avranno la carica + del nucleo inferiore
alla carica negativa degli elettroni, quindi il nucleo
non potrà attrarre gli elettroni con al stessa intensità, il raggio ionico è maggiore del raggio
atomico. Infatti il raggio del catione è inferiore di quello dell’anione dello stesso periodo.
Dall’alto verso il basso vedo un andamento dei raggi atomici degli elementi che aumenta,
mentre le dimensioni degli atomi diminuiscono andando da sx verso dx lungo uno stesso
periodo, aumentano dall’alto verso il basso. Ciò identifica le differenze di elettronegatività
tra i diversi elementi che partecipano alla formazione di un legame.
Energia dei legami: è data dalla
variazione di energia degli
elementi che partecipano alla
formazione del legame. Il legame
covalente non polare identifica un
legame tra molecole della stessa
specie o molecole molto simili.
BIOCHIMICA: Scienza che descrive le strutture, i meccanismi e i processi chimici che fanno
parte degli organismi viventi. Si occupa principalmente dei componenti chimici degli
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organismi viventi, dei processi con cui questi componenti vengono sintetizzati e demoliti
(metabolismo) e delle trasformazioni energetiche che avvengono negli organismi viventi
(bioenergetica). Studia come le molecole vengono metabolizzate all'interno degli organismi,
come vengono assunte,degradate,catabolizzare, trasformate per fornire energia agli stessi
esseri viventi che le utilizzano o per essere trasformati in una componente dell'organismo
che lo assume. Descrive le strutture, i meccanismi e i processi chimici che entrano nel
mondo degli organismi viventi.
Componenti chimici degli
organismi viventi Abbiamo 4
elementi fondamentali: H, O, C e
N, da soli formano il 95% degli
organismi viventi, sono idonei
nella formazione della chimica
della vita grazie alla loro capacità
di formare legami covalenti.
Abbia 4 macromolecole
fondamentali:
-Carboidrati
-Proteine
-Lipidi
-Base azotate
Organizzazione della
materia vivente:
-elementi, atomi
-composti organici
semplici (monomeri)
- macromolecole
(polimeri)
- Strutture
sovramolecolari
- organelli
-cellule
- tessuti
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- organismi viventi
METABOLISMO: Processi con cui le molecole cellulari vengono sintetizzate e demolite. Le
strutture sono sempre più complesse fino a raggiungere un grado di organizzazione
estremamente regolato, organizzato, consentito dagli scambi bioenergetici con l’ambiente
esterno. La vita è consentita dai processi cellulari metabolici (catabolismo e anabolismo →
metabolismo). I vari metabolismi non sono assestanti, sono interconnessi tra loro in modo
tale che nessun ciclo sia futile, laddove si ha un'alterazione di un solo punto in un
metabolismo, si va incontro a una patologia, non si riesce più a modulare correttamente la
coordinazione tra i processi metabolici.
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BIOENERGETICA: Trasformazioni energetiche che avvengono negli organismi viventi. In tutta
questa serie di metabolismi le molecole organiche
vengono introdotte nell’organismo, verranno
assimilate all’interno delle cellule dove all’interno
delle quali si svolgono i processi metabolici:
degradazione dei composti del catabolismo con
contemporanea formazione di molecole di ATP ad
alto contenuto energetico, formazione di
molecole che contengono ? NAD e FAD, si
formeranno quindi prodotti più semplici che
saranno utilizzati all’interno delle cellule in
processi di biosintesi (anabolismo) che
splitteranno queste molecole di ATP ad alto contenuto energetico ed equivalenti riducenti
per produrre molecole più complesse che faranno parte o della struttura plastica
dell’organismo o che entreranno a far parte nei composti di deposito che saranno utilizzate
come combustibile nei momenti in cui la cellula sarà in basso contenuto energetico e avrà
bisogno di energia per svolgere le reazioni di contrazione, respirazione, movimento,
trasporto ionico, mantenimento di omeostasi cellulare…
L’energia è il tema centrale della biochimica. Gli
organismi non sono mai in equilibrio con il loro
ambiente circostante; la composizione molecolare
riflette uno stato stazionario dinamico. Gli organismi
scambiano continuamente energia e materia con il loro
ambiente circostante. La biochimica prende in esame in
termini quantitativi e chimici i processi attraverso i quali
l’energia viene estratta, incanalata e consumata dalle
cellule viventi.
C’è una grande presenza di energia all’interno dei
nutrienti, nella luce solare (energia potenziale), energia
che viene utilizzata all’interno delle cellule per andare a
determinare un lavoro cellulare (sintesi chimica, lavoro
meccanico, gradienti osmotici, trasferimento delle info.
genetiche, generare calore). Questo lavoro svolto dalle
cellule determina un aumento della casualità e
dell’entropia perchè il metabolismo produce composti
più semplici delle molecole iniziali andando a degradarle
in CO2 e H20, di conseguenza in seguito all’aumento di
entropia, i composti più semplici vengono trasformati in
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polimeri, macromolecole. Si va da una condizione di più disordine a una condizione a
maggior ordine.
Fabbisogno nutritivo ed energetico degli organismi: Tutti gli organismi animali e vegetali per
poter vivere, crescere e riprodursi, devono prelevare continuamente energia e materia
dall’ambiente che lo circonda. Gli organismi viventi dipendono gli uni dagli altri attraverso
scambi di energia e materia mediati dall’ambiente, a seconda di come prelevano questa
energia dall’ambiente esterno, possiamo suddividerli in:
-Organismi fotoautotrofi: utilizzano sostanze inorganiche come base per la sintesi di
molecole organiche e la luce come fonte di energia (ad esempio le piante, le alghe e alcuni
batteri);
-Organismi fotoeterotrofi: utilizzano sostanze organiche come base per la sintesi di altre
molecole organiche e la luce come fonte di energia ( es. alcuni batteri);
-Organismi chemioautotrofi: utilizzano sostanze inorganiche sia come base per la sintesi di
molecole organiche sia come fonte di energia (es. nitrobatteri, ferrobatteri, nitrosobatteri);
-Organismi chemioeterotrofi: utilizzano sostanze organiche sia come precursori per la sintesi
di molecole organiche sia come fonte di energia (es. animali, funghi e batteri).
I macronutrienti sono
carboidrati, grassi e
proteine, prelevati dagli
alimenti ingeriti; i
micronutrienti sono
vitamine, minerali, H20,
sostanze ingerite,
trasportate alle cellule per
essere trasformate nelle
vie metaboliche in sostanze
più semplici, vengono
metabolizzate in anidride
carbonica e acqua per
poter ricavare energia, i
nutrienti che non servono
per poter ricavare energia
saranno trasformati in
polisaccaridi di riserva
(lipidi, glucidi) che saranno
utilizzati come deposito di
energia nei momenti in cui le cellule sono in bassa riserva
energetica.
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Si definiscono nutrienti quelle sostanze che sono in grado di esercitare una o più delle
seguenti funzioni:
-Fornire materiale energetico per la produzione di energia e di calore (glucidi, lipidi,
proteine);
-Fornire materiale plastico come i precursori dei processi biosintetici per la crescita e la
riparazione dei tessuti (principalmente proteine, acidi grassi essenziali, H2O e minerali);
-Fornire materiale 'regolatore' essenziale per le reazioni metaboliche (minerali e vitamine),
modulatori delle vie metaboliche. Si parla di “micronutrienti” non perchè siano meno
importanti ma perchè c'è bisogno di minor concentrazione di questi nutrienti
nell’assunzione.
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Substrati energetici: Sono 3: glucosio (carboidrati), acidi grassi (lipidi) e aminoacidi. Tutti e 3
vengono utilizzate come substrato energetico, assunte, digerite e catabolizzate con il
processo del catabolismo,
sono reazioni che portano
a produzione di ATP e
eliminazione di
equivalenti riducenti che
viene conservata in
molecole quali NAD,
convergono tutti nella
formazione di molecole di
acetil coenzima A, il quale
converrà nel ciclo
dell’acido carbossilico che
determinerà la
degradazione completa di
queste molecole ad anidride carbonica con ulteriore spostamento di equivalenti riducenti
(molecole quali NAD,FAD) che vengono ceduti alla catena di trasporto degli elettroni che
culmina con il passaggio di elettroni alle molecole di ossigeno per essere ridotte in acqua,
questo comporterà la produzione di molecole di ATP attraverso il processo di fosforilazione
ossidativa che avviene a livello mitocondriale (membrana mitocondriale interna). Questo è il
processo di produzione di energia aerobico che consente la maggior produzione di energia,
molecole di ATP che saranno substrato energetico fondamentale utilizzabile per la biosintesi
di nuove molecole proteiche (che costituiranno i muscoli, formazione di proteine di
trasporto), polisaccaridi di riserva (glicogeno), processi di detossificazione (rimozione di
radicali liberi dell’ossigeno che altererebbero componenti cellulari tra cui membrane, acidi
nucleici), svolgere il lavoro (contrazione muscolare, trasporto attivo contro gradiente,
termogenesi generare calore). Si idrolizza l’ATP per formare ADP e fosfato inorganico che
sarà nuovamente utilizzabile dalla catena di trasporto di elettroni per continuare a formare
nuove molecole di ATP. Catabolismo e anabolismo devono avvenire costantemente in
maniera coordinata (se la cellula è in deficit energetico sarà prevalente il catabolismo, al
contrario anabolismo). Avverranno con velocità determinate dalla regolazione di enzimi che
intervengono nei vari flussi metabolici.
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→ Carboidrati, proteine e lipidi sono i
principali composti energetici che
introduciamo con la dieta. Di questi nutrienti i
grassi sono quelli che hanno un apporto
calorico maggiore. L’ alcool (che non viene
considerato un nutriente poiché determinerà
un metabolita, l’assunzione comporta un
apporto calorico ma non produce energia o
biosintesi di molecole)
Gruppi funzionali: Le biomolecole possono essere considerate dei derivati degli idrocarburi.
Esse hanno nella loro struttura chimica alcuni gruppi funzionali che si incontrano
frequentemente nelle biomolecole e che conferiscono proprietà chimiche e caratteristiche
specifiche.
I gruppi funzionali sono importanti perché:
1. sono le unità per mezzo delle quali i composti organici sono divisi in classi
2. Sono siti di reazioni chimiche
3. Servono come base per assegnare un nome ai composti organici.
Gruppo Ossidrile→Alcoli
Il gruppo ossidrilico è presente in alcune
molecole che vengono definite alcool o
alcoli, il gruppo ossidrilico può essere
presente in una sola unità o in più unità
all’interno della stessa molecola
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Gruppo Carbonile→Aldeide/Chetone
Il gruppo carbonilico se è presente all’estremità di una molecola, allora sarà un aldeide; se è
presente all’interno della struttura di una molecola, il gruppo carbonilico farà parte di una
molecola chetonica (chetoni).
Gruppo Carbossile → acidi Carbossilici
Gruppo Amminico → Ammine
Gruppo Ammidico
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Si formerà da una reazione di condensazione tra un acido carbossilico e un ammina con la
formazione di un ammide.
Gruppo Metile CH3
Gruppo Etile R-CH2-CH3
Gruppo Fenile
Gruppo Sulfidrilico
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Contiene atomo di zolfo e un atomo di H in
posizione terminale. Questo gruppo è molto
importante nella formazione del legame
covalente chiamato
“ponte di solfuro” all’interno delle catene
polipeptidiche, si instaura prevalentemente tra due catene laterali di due residui di cisteina?
all’interno di una catena polipeptidica; la sua formazione determina una configurazione
tridimensionale nello spazio.
Gruppo Disolfuro
Gruppo Estere
Gruppo Tioestere
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Gruppo Anidride (due acidi carbossilici)
Gruppo Anidride mista (acido carbossilico ed acido fosforico; detto anche acil fosfato)
Gruppo Fosfoanidride
I legami covalenti e i gruppi funzionali sono importanti per la funzione di una biomolecola,
come anche la configurazione stereochimica. Un composto contenente carbonio si trova
comunemente sotto forma di stereoisomeri che sono molecole con stessi legami chimici ma
con diversa stereochimica, quindi diversa configurazione, che corrisponde anche a diversa
disposizione di atomi nello spazio. Le interazioni tra le biomolecole sono stereospecifiche
poichè richiedono una stereochimica delle molecole che entrano in contatto. Vediamo
alcuni modelli di raffigurazione delle biomolecole:
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La prima mostra
le lunghezze
relative dei
legami gli angoli
che si formano,
la seconda
sottolinea per
quanto riguarda
il triangolo pieno
l'atomo
all'estremità più
larga del
triangolo si proietta fuori dal foglio il triangolo tratteggiato invece rappresenta un legame
che si proietta sotto al piano del foglio.
I composti del carbonio spesso esistono sotto forma di steroisomeri, aventi la stessa formula
molecolare in cui l’ordine dei legami è lo stesso, ma le relazioni spaziali tra gli atomi sono
diverse. Le interazioni molecolari sono sempre sterospecifiche, cioè le molecole
interagiscono tra loro solo se possiedono una specifica sterochimica. Quindi quando le
molecole interagiscono la corrispondenza strutturale tra loro deve essere
sterochimicamente corretta, e la struttura tridimensionale delle biomolecole è molto
importante affinchè possano avvenire le interazioni biologiche specifiche.
Isomeri geometrici (o isomeri cis-trans): Differiscono per la disposizione dei gruppi
sostituenti rispetto al doppio legame non ruotante. Il primo ha i due gruppi carbossilici in cis,
il secondo in trans. Queste due molecole sono del tutto differenti poiché i doppi legami che
uniscono i due atomi di carbonio bloccano la struttura in questo stato. Se c’è
l’interconversione dalla conformazione cis a quella trans, vuol dire che c’è bisogno
dell’energia, la molecola deve rompere il doppio legame per formarne un altro.
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Gli steroisomeri si dividono:
-Diasteroisomeri: molecole che non sono una
l’immagine speculare dell’altra: un atomo di
carbonio con quattro sostituenti diversi viene
detto asimmetrico e denominato centro
chiralico. Una molecola con un solo carbonio
chirale può avere solo due steroisomeri; se i
centri chirali sono di più, potranno formare
2^n steroisomeri.
-Enantiomeri: molecole che sono una l’immagine speculare dell’altra:
Molecola d’acqua (H2O)
Elemento fondamentale poiché:
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-La maggioranza della composizione dell’organismo è formata dall’acqua, ciò implica che la
maggior parte delle reazioni, dei metabolismi avvengono in un ambiente acquoso.
-Tutte le funzioni cellulari si svolgono in ambiente acquoso
-Tutte le funzioni cellulari sono favorite dalle proprietà chimico-fisiche dell'acqua
-Solvente ideale per le reazioni biologiche
- Elemento più abbondante in tutti i tessuti
- Feto: 95-75% del peso totale
- Bambino: 75-70%
-Adulto: diminuisce con l'età fino a 60% nell'età avanzata
- Su 70 kg di peso, 43-44 kg sono di acqua
- 50% nei muscoli
- 5-9% nel sangue
L’acqua è una molecola composta da un atomo di ossigeno e
due atomi di idrogeno, tenuti insieme da legami covalenti,
uno polare in quanto l’atomo di ossigeno è più elettronegativo
rispetto agli atomi di idrogeno, pertanto si forma un dipolo
con una parziale carica negativa a livello dell’ossigeno, una
parziale carica positiva a livello dei due atomi di idrogeno. In
questo caso, gli atomi mantengono una leggera carica
(positiva e negativa) e la molecola stessa viene definita polare. Quando la condivisione degli
elettroni tra atomi è all’incirca bilanciata, il legame si dice covalente apolare (o non polare).
L’ineguale condivisione degli elettroni crea invece un legame polare Quindi ogni atomo di
idrogeno in una molecola di acqua condivide una coppia di elettroni con l’atomo centrale di
ossigeno, la configurazione elettronica della molecola d’acqua è determinata dalla
disposizione dei due orbitali elettronici esterni dell’ossigeno simile a quella degli orbitali del
tipo sp3 di legame con il carbonio.
Struttura dell’acqua:
- Legami covalenti H-O
- E’ un dipolo elettrico, distribuzione di carica elettrica non uniforme (gli
elettroni in compartecipazione tra H e O, gli elettroni si trovano più spesso
nelle vicinanze di O rispetto ad H)
– Atomo di ossigeno elettronegativo, il nucleo di O attrae gli altri due
elettroni in modo molto più forte nel nucleo di H. (si forma una parziale
carica -)
– Atomi di idrogeno elettropositivi (si forma una parziale carica +)
- Il legame H-O-H ha un angolo di 104.5 gradi.
Interazioni fra molecole di acqua: Si genera un'attrazione elettrostatica tra O di una
molecola di acqua e l’H di un’altra molecola di acqua che determinerà la formazione di i
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legami idrogeno che sono deboli (1-5 kcal/mole) rispetto a quelli covalenti (100 kcal/mole).
Nell’acqua allo stato liquido hanno un’energia di dissociazione di circa 23 kJ.
La linea tratteggiata rappresenta gli orbitali non impegnati nei legami, le
coppie di elettroni del guscio esterno in O si dispongono seguendo una
geometria tetraedrica. In foto vedo due molecole di acqua che formano il
legame idrogeno, hanno un legame idrogeno perpendicolare, di conseguenza
questo legame perpendicolare è molto più forte rispetto al legame O-H tra le
due molecole d’acqua della seconda foto in quanto in questo caso il legame
idrogeno non è perpendicolare, quindi
l’attrazione
tra le due cariche elettriche parziali è
massima
quando i tre atomi coinvolti sono disposti in
linea retta.
Quando invece i gruppi che formano i
legami sono
soggetti a limitazioni strutturali non sempre
è possibile
raggiungere una geometria ideale il legame
idrogeno in
questo caso risulterà in questo caso
leggermente
più debole. Qui l'acqua allo stato liquido e T
ambiente e 1
atm, forma una disposizione disordinata
delle molecole che sono in continuo movimento, ogni molecola forma in media circa 3 / 4
legami idrogeno con altre molecole. Questi sono legami deboli che vengono continuamente
spezzati e riformati.
Nel ghiaccio invece ogni molecola di
acqua viene bloccata nello spazio e
forma 4 legami idrogeno con le
molecole vicine determinando una
struttura lineare, reticolare. In questo
caso i legami idrogeno sono responsabili
del valore relativamente alto del punto
di fusione dell'acqua in quanto è
necessaria un’elevata quantità di
energia termica per rompere una
quantità sufficiente di legami idrogeno, questa energia sarà necessaria a destabilizzare la
struttura cristallina del ghiaccio. Quando il ghiaccio fonde o l’acqua evapora, il sistema va
incontro a un assorbimento di calore.
Legami idrogeno: Legame debole tra un atomo di idrogeno, legato ad un atomo fortemente
elettronegativo ed un atomo elettronegativo che dispone di un doppietto elettronico. I
legami idrogeno non sono solo una prerogativa della molecola dell'acqua, essi si formano
facilmente tra un atomo più elettronegativo dove l’accettore di idrogeno di solito è
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l’ossigeno o l’azoto (N) con una coppia di elettroni non condivisa e un atomo di H legato
covalentemente a un altro atomo
fortemente più elettronegativo.
Le proprietà dell’acqua sono utili alla vita: a causa
della sua polarità, l’acqua è un buon solvente. È infatti
in grado di sciogliere altre sostanze polari, l’acqua è in
grado di dissolvere i legami di molecole idrofile
(attirano l’acqua es. il sale) e di disporre in maniera
molto ordinata le molecole idrofobiche (non
attraggono l’acqua). Dissolve facilmente tutte le
biomolecole che sono in genere composti carichi o polari e quindi verranno definiti idrofilici,
al contrario i solventi non polari (es. cloroformio, benzene) solubilizzano solo in parte le
biomolecole polari, sono invece particolarmente idonei per le molecole idrofobiche,
composti non polari (es. lipidi,cere).
Idratazione di ioni in soluzione:
l'acqua andrà a sciogliere i sali,
idrata queste sostanze idrofile;
il passaggio degli ioni in
soluzione è accompagnato dalla
formazione di un guscio
d’idratazione intorno ad ogni
ione dovuto all’interazione con
le molecole d’acqua dipolari. Il
cloruro di sodio idratato è
stabilizzato dalle molecole di acqua in quanto l’acqua andrà a circondare ciascuno ione
sodio (Na) e cloro (Cl) perchè l’acqua esercita attrazione verso gli ioni e mantiene separati gli
ioni tra loro. Gli atomi di O verranno attratti dalla carica + degli ioni sodio, gli atomi H
vengono attratti dall’atomo di cloro , formando così intorno a ciascuno ione un guscio di
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idratazione, ovvero molecole che vanno a circondare gli ioni e che dissolvono
completamente il cloruro di sodio all’interno dell'acqua.
- NaCl solubile perché ionizza in Na+ e Cl- H2O esercita attrazione verso gli ioni e mantiene gli ioni separati: atomi di O attratti da
Na+, atomi di H attratti da Cl– Si forma guscio di H2O che mantiene NaCl dissociato in Na+ e Cl- Il carattere dipolare dell'acqua influisce sulle interazioni fra una biomolecola e l'altra
Dispersione dei lipidi in acqua: Ogni lipide costringe le
molecole di acqua
circostanti a
disporsi in modo
altamente
ordinato. In foto
vedo un
fosfolipide con
una coda
idrocarburica (apolare) e una testa polare.
Se queste fossero disperse nell’ambiente
acquoso separatamente, molte molecole di
acqua (prima foto)
sarebbero costrette a interagire con ciascun
singolo lipide,
accadrebbe che si andrebbe incontro a
entropia alta delle
molecole di acqua in quanto quando
all'acqua vengono
aggiunte queste sostanze, si formano due
fasi: nessuno di questi
lipidi è solubile nell’altro? e quindi vanno
incontro a interazioni energeticamente favorevoli con le molecole di acqua e non?
interferiscono con la formazione di legami idrogeno, ciò sottrae energia al sistema che viene
recuperata dall’ambiente, oltre alla richiesta di tale energia, l’aggiunta di composti idrofobici
all’acqua produce una diminuzione dell’entropia che può essere misurata.
Quando un composto viene mescolato con l’acqua, l’acqua determina
il fatto che la regione polare idrofilica interagisce favorevolmente con
l’acqua e tende a dissolversi, mentre la regione non polare (idrofobica)
evita il contatto con l’acqua quanto più possibile. Quindi l’acqua
avvicina queste regioni non polari l’una all’altra, esse si raggruppano in
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modo da esporre al solvente acquoso la minor superficie possibile, le regioni polari invece si
dispongono in modo da rendere ottimali le loro interazioni con l’acqua. Riassumendo,
soltanto le porzioni lipidiche sui bordi del raggruppamento costringono l’acqua a disporsi in
modo ordinato, solo poche molecole d’acqua sono ordinate.
Micelle: Quindi i composti anfipatici in acqua possono assumere questa struttura micellare
che può contenere centinaia di molecole.
Tutti i gruppi idrofobici sono sequestrati e lontani dal
contatto con l’acqua; non vi sono strati di molecole di acqua
altamente ordinate. I legami che tengono unite le regioni
non polari delle molecole sono detti interazioni idrofobiche.
Le forze di interazione idrofobica non dipende dalle singole
attrazioni tra le molecole non polari, ma è dovuta alla
maggiore stabilità termodinamica che si raggiunge rendendo
minimo il numero di molecole di acqua disposte in modo
ordinato che circondano la porzione idrofobica delle
molecole del soluto.
Effetto idrofobico: Un altro modo di disporsi è quello di
formare un doppio strato membranoso dove l’ambiente
polare dell'acqua è racchiuso sia all’interno che all’esterno.
L’effetto idrofobico è la tendenza delle molecole idrofobiche
a minimizzare i suoi contatti con l’acqua. La maggior parte
delle molecole biologiche anfipatiche, possiedono cioè sia
segmenti polari (carichi) che non polari e quindi sono
contemporaneamente idrofiliche e idrofobiche.
"Tramonto sul mare" -Claude Monet, pittura su foglio, 1880
FINE
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SBOBINA DELLA SECONDA LEZIONE DI BIOCHIMICA
L’effetto idrofobico non è altro che la tendenza delle molecole idrofobiche a minimizzare i
suoi contatti con l’acqua. Un’altra caratteristica importante è che gli organismi viventi
tollerano un intervallo di pH fisiologico ristretto; possono tollerare solo piccole oscillazioni di
pH.
Nella maggior parte dei casi vediamo che l’acqua, essendo polare, si può dissociare (in una
quantità davvero minima) in quelle che sono le sue componenti ioniche. Questo vuol dire
che le molecole di acqua si possono dissociare tra di loro in protoni H+ e ioni ossidrile OH-.
Quindi le molecole di acqua avranno una minima tendenza a quello che è il loro effetto di
ionizzazione, mentre queste molecole vanno incontro alla dissociazione. Si dissociano in H+
e OH-.
Poche molecole di H2O si dissociano in H+ e OH-, ma questa dissociazione avviene in
ambiente acquoso. OH- rimane invariato, mentre il protone si idrata con un’altra molecola
di acqua, andando a formare lo ione idronio H3O+. Noi raramente indichiamo H3O+, anzi
lasciamo la dicitura H+. Questa ionizzazione può essere misurata mediante conducibilità
elettrica e la concentrazione di questi ioni H+ e OH- in soluzione sono all’equilibrio.
H 2 0+ H 2 O ⇄ H 3 0+¿+O H ¿
−¿¿
La costante di equilibrio (Kw) esprime il prodotto ionico dell’acqua ed è uguale al prodotto
delle concentrazioni ioniche, quindi al prodotto degli ioni H+ per gli ioni OH-.
Kw = [H+] [OH-]
[H+] = 1 x 10^-7 mol/L
[OH-] = 1 x 10^-7 mol/L
Pertanto, 1 x 10^-14 a 25
gradi.
Quando ci troviamo all’interno di una soluzione di acqua pura
avremo: [H+] = [OH-] = 10^-7. Questo valore è stato usato per
andare a identificare il valore di pH che è pari a:
pH =−log 10 ¿ ¿.
Il prodotto ionico dell’acqua è la base della scala dei pH; questo è
un modo molto utile per poter indicare quella che è la
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concentrazione protonica e, di conseguenza, in questo modo si indica anche quella che è la
concentrazione degli ossidrili.
In base a quella che è la concentrazione dei protoni, possiamo andare a definire quella che è
una variazione rispetto al valore di pH dell’acqua pura:
- pH è minore di 7 (gli ioni H+ sono più degli OH-) -> la soluzione è acida. Un acido è
una sostanza che aumenta la concentrazione degli ioni H+ in una soluzione. Gli acidi
possono essere definiti donatori di protoni.
- pH è maggiore di 7 (gli ioni H+ sono meno degli OH-) -> la soluzione è basica o
alcalina. Una base è una sostanza che aumenta la concentrazione di ioni OH- in una
soluzione. Le basi possono essere definite accettori di protoni.
Quando un donatore di protoni (acido) perde un protone diventa il corrispondente
accettore di protoni (base). Se una base accetta un protone diventa il suo acido
corrispondente.
Gli organismi viventi possono tollerare un intervallo di pH ristretto; infatti, il valore di pH dei
fluidi corporei deve essere mantenuto entro dei limiti fisiologici. Se c’è una alterazione, i
sistemi tampone del nostro organismo vanno a riportare i valori di pH a quelli originali.
Per esempio, il pH sanguigno dovrebbe essere compreso fra 7,35 e 7,45; se il pH supera i
7,45 ci troviamo in condizione di alcalosi del sangue, mentre se scende sotto i 7,35 avremo
una acidosi.
Un tampone è una sostanza che aumenta la resistenza ai cambiamenti di pH. Il sistema
acido carbonico o bicarbonato è il tampone che mantiene il pH del sangue entro i limiti.
[acido carbonico⇄bicarbonato].
Questo sistema tampone funziona in base all’azione dell’enzima anidasi carbonica. Questo
enzima va a scindere l’acido carbonico (H2CO3) in due ioni: lo ione bicarbonato (HCO3-) e i
protoni H+.
Quando una base rilascia ioni OH− nel sangue, essi si combinano con gli ioni H+ provenienti
dalla dissociazione dell’acido carbonico (che avviene grazie all’anidasi carbonica), formando
acqua (H2O).
Quando un acido rilascia ioni H+ nel sangue, essi si combinano con il bicarbonato e si
riforma l’acido carbonico.
Esiste anche il sistema tampone fosfato che agisce nel citoplasma di tutte le cellule ed è
costituito dal donatore di protoni che è l’H2PO4- e da un accettore che è l’HPO4. Questo
sistema interviene intorno al pH di 6,8.
LE MACROMOLECOLE: le proteine
Queste macromolecole hanno un peso molecolare fra 5.000 e 1.000.000 di Dalton. Esiste
una stretta correlazione fra la forma e funzione delle proteine. Infatti, se perdono la loro
struttura di base, perdono anche la loro struttura e conformazione tridimensionale e ad essa
è collegata l'attività biologica specifica della proteina.
Le proteine vengono sintetizzate a partire da quella che è la sequenza amminoacidica;
quindi, il loro ripiegamento dipende dalla sequenza lineare amminoacidica che va a
costituire la catena polipeptidica. Quest’ultima dipende a sua volta da quello che è un
processo di traduzione che va da RNA a proteina; la sequenza di basi nucleotidiche presente
nell’RNA è la sequenza di un evento trascrizionale e questo va a rappresentare il dogma
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della genetica (dalla replicazione del DNA si passa alla trascrizione a RNA che porta alla
traduzione di proteine funzionali).
Quindi le proteine sono dei biopolimeri le cui dimensioni possono essere variegate, così
come le loro funzioni biologiche. Possono essere divise in 8 gruppi principali:
- SOSTEGNO proteine strutturali (collagene, cheratina, elastina, fibroina)
- CATALISI (enzimi)
- TRASPORTO (emoglobina, albumina, lipoproteine, proteine di membrana)
- ORMONI proteine regolatorie (es. insulina, glucagone)
- DIFESA proteine di protezione (anticorpi, trombina)
- MOVIMENTO proteine contrattili (actina, miosina)
- RISERVA (ovoalbumina, caseina)
- DEPOSITO (ferritina)
In realtà, tutte le proteine possono essere divise in due macrogruppi:
• Le proteine che assolvono una funzione plastica (di sostegno) e alcune di quelle contrattili
hanno una forma fibrosa. Sono costituite da catene polipeptidiche allungate, disposte in
fasci lungo uno stesso asse a costituire le fibre che sono resistenti ed elastiche. Sono
insolubili in acqua.
• Gli enzimi, gli anticorpi e le proteine di trasporto hanno invece una forma globulare. Le
catene sono strettamente avvolte in forma compatta, sferica o globulare, come un gomitolo.
Hanno una specifica funzione all’interno delle cellule (es. trasportatori, anticorpi, ecc.). Sono
solubili in acqua.
Le proteine sono polimeri composti da unità
monomeriche rappresentate da 20 diversi
amminoacidi, legati tra di loro da legami
peptidici. Tutti gli amminoacidi presentano la
stessa struttura di base:
un carbonio in alfa anomerico dove si agganciano
un gruppo carbossilico, un gruppo amminico e un
idrogeno. A questa base si uniscono delle catene
laterali R differenti a seconda dell’amminoacido che si andrà a formare.
L’amminoacido più semplice è la glicina che presenta una catena laterale R formata da un
solo atomo di idrogeno e poi abbiamo amminoacidi con catene più complesse. In base alle
caratteristiche delle catene laterali potremo andare a differenziare i vari tipi di amminoacidi
in diversi sottogruppi.
Una caratteristica degli amminoacidi è quella di avere, in condizioni fisiologiche, un gruppo
carbossilico e uno amminico. Questi due gruppi sono cariche uno positivamente (amminico)
e uno negativamente
(carbossilico), quindi l’intera
molecola è neutra. Quindi a pH
fisiologico queste molecole sono
degli zwitterioni, cioè degli ioni
dipolari.
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Quando ci sono delle variazioni di pH nell’organismo: man mano che dal pH neutro (e quindi
dalla forma di ione dipolare) si va incontro ad un ambiente più acido, aumenterà la
concentrazione degli ioni H+ e le molecole di amminoacido andranno incontro ad una
acquisizione degli ioni H+ a livello del gruppo carbossilico; pertanto, l’intera molecola avrà
una carica netta positiva e quindi diventa un CATIONE.
Invece, se si va incontro ad un pH maggiormente basico, gli ioni OH- saranno in eccesso;
l’amminoacido
rilascia il suo ione
H+ che prima era
appartenente al
gruppo
amminico.
Questo ione H+ si
andrà a
combinare con l’eccesso dio ioni OH-, andando a formare acqua. La molecola perde la carica
positiva, lasciando quella che è la carica netta negativa e quindi si formerà l’ANIONE.
Abbiamo detto che in natura abbiamo 20 tipi di amminoacidi e che la loro diversità sta nella
catena laterale, ma bisogna anche ricordare che nella loro struttura è presente un carbonio
in alfa (anomerico) che presenta 4 diversi sostituenti (tranne per quanto riguarda la glicina).
Avendo 4 diversi sostituenti possiamo trovare gli amminoacidi sotto forma di due diversi
stereoisomeri: L o D.
Queste due forme di stereoisomeria
vengono paragonate a quelli che
sono gli stereoisomeri della
gliceraldeide L o D, perché in essi
avremo che questa sarà
rappresentata da una estremità con
il gruppo aldeidico, un gruppo OH, un
gruppo H+ e una catena CH2OH (quella che negli amminoacidi è la catena variabile R).
La configurazione del sistema D, L è basata sulla configurazione assoluta dello zucchero a tre
atomi di carbonio che è rappresentato dalla gliceraldeide e pertanto tutti gli stereoisomeri
che hanno configurazione correlata alla L
gliceraldeide verranno chiamati Lstereoisomeri, mentre tutti quelli correlati alla
D gliceraldeide sono i D-stereoisomeri.
Per poterli riconoscere basta osservare i due
gruppi a destra e a sinistra: se abbiamo H a
destra e il gruppo amminico a sinistra, allora
questo sarà uno stereoisomero L. Nel caso
contrario ci sarà un D stereoisomero.
Le proteine contengono principalmente solo L-amminoacidi. Gli amminoacidi della serie D
sono presenti in piccolissime concentrazioni solo in alcuni tipi di peptidi.
La classificazione degli amminoacidi avviene sulla base delle proprietà delle catene laterali:
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1) idrofobici o apolari o alifatici
Aminoacidi non polari che
presentano gruppi R non polari e
quindi idrofobici. La glicina è
l’amminoacido più semplice e la
sua catena R non è tanto rilevante
per l’interazione idrofobica.
La METIONINA è uno dei due
amminoacidi che contiene zolfo; la
PROLINA che ha una catena che
forma una struttura ciclica con il
gruppo amminico; si crea un
gruppo amminico secondario e va a conferire rigidità alle catene polipeptidiche in cui
entrerà a far parte.
2) idrofilici o polari
In questo caso le catene laterali sono
polari e solubili in acqua perché
contengono gruppi funzionali (come
l’ossidrilico), che formano dei legami a
idrogeno.
La CISTEINA è facilmente
ossidabile e forma, con un legame
covalente (ponte di solfuro) che
ne stabilizza la struttura
funzionale, un dimero che viene
chiamato cistina. L’ASPARAGINA e
la GLUTAMMINA sono due ammidi di altri due amminoacidi (aspartato e
glutammato). Le due ammidi possono essere convertite mediante una blanda idrolisi
ad acidi o basi. Formano legami a idrogeno sia con la porzione carbonilica che con
quella amminica.
3) Aromatici
Questi amminoacidi contengono delle catene
aromatiche non polari e quindi intervengono
nelle relazioni di tipo idrofobico. Il gruppo
ossidrilico della TIROSINA può formare legame
idrogeno (importante negli enzimi). La TIROSINA
ed il TRIPTOFANO sono sensibilmente più polari
della FENILALANINA.
Il loro anello aromatico determinerà
l’assorbimento della luce UV a 280 nanometri e
quindi la loro concentrazione sarà direttamente
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proporzionale alla concentrazione della assorbenza della luce. Possono essere sfruttati per
andare a determinare un dosaggio proteico quantitativo. Quest’ultimo può essere effettuato
in maniera diretta o indiretta in base alla concentrazione egli amminoacidi.
4) Basici con -NH3+
I gruppi R sono basici e quindi vediamo che
saranno carichi positivamente, saranno quindi
degli accettori di protoni. In una soluzione
ricca di OH-, le catene laterali tolgono dal
rapporto di uguaglianza gli ioni H+.
A pH fisiologico LISINA ed ARGININA recano una
carica positiva. La catena laterale dell’ISTIDINA è
debolmente basica a pH fisiologico, ma può recare
una carica positiva secondo l’ambiente
ionico delle catene polipeptidiche della proteina.
5) Acidi con -COOI gruppi laterali sono acidi e quindi carichi
negativamente perché in condizioni fisiologiche
recano una carica negativa e doneranno il
protone del gruppo carbossilico presente sulla
catena laterale.
In base alle caratteristiche chimico fisiche delle catene laterali degli
amminoacidi posizionati nelle catene polipeptiche, determineranno o
meno la possibilità di formare
interazioni e avvolgimenti con
gli altri amminoacidi. Saranno
in grado di stabilizzare una
determinata conformazione
che andrà a definire quella che
è la funzionalità della proteina.
Un’altra caratteristica
importante degli amminoacidi
che sono solo 20, per poterli
individuare velocemente vengono descritti con le
prime tre lettere che compongono il loro nome o
si usano delle singole lettere maiuscole o ci sono
delle variazioni.
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Gli amminoacidi possono inoltre distinguersi in essenziali e non essenziali. Gli essenziali
devono essere assunti con la dieta, anche se ci sono delle particolari eccezioni. (immagine
qui di fianco)
Le catene laterali rappresentano i gruppi funzionale
maggiormente responsabili della struttura e funzione
delle proteine, come pure della loro carica elettrica. In
maniera molto generalizzata, possiamo dire che una
proteina solubile sarà costituita prevalentemente da
amminoacidi polari che si distribuiscono in superficie
per una maggiore interazione con l’ambiente acquoso,
mentre gli idrofobici si disporranno al centro della
proteina.
Nel momento in cui abbiamo una proteina di
membrana, saranno formate da una o più catene
polipeptidiche che si avvolgeranno su loro stesse e gli
amminoacidi polari saranno posizionati nell’ambiente intracellulare ed extracellulare
(acquoso), mentre la porzione che attraversa il doppio strato fosfolipidico sarà costituita
prevalentemente da amminoacidi non polari.
COME SI COSTITUISCONO LE PROTEINE: Le proteine sono
polimeri lineari formati dall’unione del gruppo amminico di un
amminoacido ed il gruppo carbossilico dell’amminoacido
adiacente, tramite il LEGAME PEPTIDICO.
Questo legame richiede energia.
Il gruppo carbossilico reagisce con quello amminico con
reazione d’idratazione, formando quello che è un legame di
tipo peptidico.
Si andranno a creare dei dipeptidi, tripeptidi, tetrapeptidi,
oligopeptide (se si legano meno di 10 amminoacidi) o
polipeptide (più di 10 amminoacidi).
Noi possiamo sempre osservare due estremità all’interno di
questi prodotti: da una parte abbiamo il gruppo carbossilico
libero, mentre dalla parte opposta avremo un gruppo
amminico libero. Quindi, si dice che abbiamo una polarità: da un parte l’estremità carbossiterminale o c-terminale negativa, dall’altra una estremità ammino-terminale o n-terminale
positiva.
Il legame peptidico presenta la caratteristica di essere un parziale
doppio legame. Questo significa che vi è una parziale distribuzione di
cariche tra l’ossigeno del carbossilico e l’azoto del gruppo amminico.
Questa distribuzione di cariche determinerà quella che è la presenza
di un parziale doppio legame che si presenta fra carbonio e ossigeno
e tra carbonio e azoto. Di conseguenza, il legame polipeptidico sarà
stabilizzato all’interno di un piano; i due amminoacidi fra di loro non
potranno ripiegarsi, non potranno assumere più angolazioni. Le
rotazioni potranno avvenire fra il carbonio in alfa e il carbonio del
carbossilico di un amminoacido oppure fra il carbonio in alfa e il
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gruppo amminico di un altro amminoacido. Le rotazioni determineranno la flessibilità della
catena polipeptidica.
Il legame peptidico è più corto, rigido e planare di un legame singolo.
Possono trovarsi in due possibili conformazioni: cis o trans. Anche se la conformazione più
stabile è di tipo trans; il cis potrebbe portare a più interferenze date dalle interazioni fra le
catene laterali (ingombro sterico).
PEPTIDI = POLIMERI LINEARI DI 21 DIVERSI AMMINOACIDI (AA); PICCOLI (5.000 DALTON); POSSONO ESSERE
DI-, TRI-, TETRA-PEPTIDI (2, 3, 4 AA) O OLIGOPEPTIDI (< 10 AA)
PROTEINE = POLIMERI PIÙ LUNGHI (LA GRANDE MAGGIORANZA IN NATURA CONTIENE IN GENERE MENO DI
2000 AA)
Le proteine presentano vari livelli di struttura tridimensionale e funzionale:
Figura 1 STRUTTURA PRIMARIA
STRUTTURA SECONDARIA
STRUTTURA PRIMARIA
TERZIARIA
QUATERNARIA
Per quanto riguarda la struttura primaria, STRUTTURASTRUTTURA
essa presenta una estremità amino terminale e una carbossi terminale.
La struttura secondaria è più complessa, dove l’organizzazione strutturale assume tratti
meno lunghi della catena peptidica e andiamo a descrivere due principali forme di struttura
secondaria:
STRUTTURA AD ALFA ELICA
Caratterizzata da una forma ad elica della catena polipeptidica
intorno a quello che è un asse immaginario centrale. A
determinare questo tipo di ripiegamento è la formazione di
legami a idrogeno che subentrano tra l’atomo di idrogeno del
gruppo amminico e l’ossigeno del gruppo carbonilico di
quattro amminoacidi più avanti nella catena. Questo avviene
per ogni atomo di idrogeno di ogni gruppo amminico. La
formazione di legami a idrogeno va a determinare un
ripiegamento della catena. I gruppi R sporgeranno all’esterno
dell’elica. Ogni giro dell’elica è composto da 3,6 amminoacidi.
L’elica è sempre destrogira e l’elica è interrotta da un
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amminoacido, la prolina. Questo ha come catena laterale un anello ciclico, quindi non
permette la formazione del ripiegamento.
STRUTTURA A FOGLIETTO BETA
Caratterizzata da più segmenti
peptidici che si affiancano
l’uno all’altro e questi
assumeranno una forma
ripiegata a foglietto. Le catene
laterali sporgeranno sopra e
sotto il piano di questo
foglietto in maniera alternata. Questi ripiegamenti sono
causati da legami a idrogeno che si formano fra l’idrogeno
del gruppo amminico e l’ossigeno del gruppo carbossilico;
questi legami si formano fra amminoacidi di catene adiacenti fra di loro. Il foglietto è
formato da due o più porzioni della stessa catena o di catene differenti costituite da almeno
5-10 amminoacidi. Nel foglietto ripiegato le catene affiancate vengono mantenute a
distanza fissa l’una dall’altra. Possono essere paralleli (quando i segmenti che si affiancano
hanno la stessa direzione o polarità o orientamento; da una parte tutte le estremità N
terminali, dall’altra solo C) o antiparalleli (orientamento opposto e alternata).
Queste due tipilogie di struttura
possono ripetersi nelle catene
con un determinato ordine che
viene chiamato motivo. Può
presentarsi l’unità beta-alfabeta, una struttura barile beta
(proteine formate da un barile
di strutture beta affiancate l’una
all’altra per creare un canale e che presentano lo stesso orientamento).
Per quanto riguarda la struttura terziaria, essa è ancora più complessa perché è formata
dalla secondaria unita alla prima. Inoltre, si verificano altre interazioni che portano a degli
avvolgimenti tridimensionali che determineranno una conformazione proteica e con essa
anche la funzione proteica. A stabilizzare la struttura tridimensionale intervengono varie
interazioni che nascono grazie alle catene laterali degli amminoacidi:
1) Legami disolfuro: legame covalente che deriva dalla reazione di due residui di cisteina con
formazione di un residuo di cistina.
2) Interazioni idrofobiche Localizzate principalmente all’interno della molecola proteica e in
genere, nelle proteine di membrana, i gruppi R idrofobici sono all’esterno
3) legami a idrogeno che avvengono fra le catene laterali
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4) interazioni ioniche che sono interazioni fra cerica positiva e carica negativa
Per quanto riguarda la struttura quaternaria, essa è sempre
una struttura tridimensionale stabilizzata dalle stesse interazioni della tipologia terziaria, ma
questa volta non è un’unica catena polipeptide; ci sono più catene polipeptidiche che,
associate insieme, vanno a determinare la struttura tridimensionale. In questo caso, le varie
catene sono dette subunità della proteina. Le subunità di proteine sono di solite tenute
insieme da interazioni deboli. La proteina nello stato associato è molto più stabile rispetto
alle subunità dissociate. Le proteine contengono un sito attivo che è spesso costituito da
residui amminoacidici appartenenti a subunità diverse (interazione con un ligando o
substrato, come nel caso degli enzimi. Questi ligandi vanno a cambiare anche la struttura
funzionale delle proteine) All’interno del sito attivo spesso è presente un coenzima o un
gruppo prostetico.
Il "folding" delle proteine
Il ripiegamento delle proteine è un processo che avviene
naturalmente, man mano che queste vengono sintetizzate e quindi,
durante la biosintesi della proteina, si creano tutte le interazioni
che causano i ripiegamenti.
Per poter svolgere la propria funzione biologica, una proteina deve
essere strutturata nella cosiddetta conformazione nativa. La
conformazione nativa è quella struttura 3D stabile e funzionale,
caratterizzata da un minimo di energia potenziale e da quella
particolare conformazione unica, che consente alla proteina di
svolgere adeguatamente la funzione a cui è deputa. Il processo che
dalla formazione della catena polipeptidica, porta alla proteina
strutturata nella forma nativa biologicamente attiva, prende il
nome di "folding". I residui polari tenderanno a rimanere esposti
alla superficie, mentre quelli apolari tenderanno ad essere "sepolti"
all'interno della proteina (nelle proteine solubili).
Le fasi di ripiegamento (folding) delle proteine:
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Nonostante sia un processo termodinamicamente spontaneo, il folding è molto spesso
facilitato da particolari proteine che vengono chiamate chaperon molecolari (chaperonine),
note anche come proteine “da shock termico”. In seguito a denaturazione, variazioni di pH,
ecc. la maggior parte delle proteine se sottoposte a condizioni ambientali favorevoli non
recupera la conformazione nativa. Se la denaturazione è blanda, la struttura può essere
recuperata. Dove le alterazioni sono più importanti, la proteina viene alterata così tanto che
non può tornare alla struttura originale. Sapendo che la struttura caratterizza la funzione
della proteina, possono incombere anche delle patologie, causate dall’alterazione.
Le malattie amiloidi sono causate spontaneamente o dalla mutazione di un particolare gene
e danno luogo alla produzione di proteine alterate. Ad esempio, le proteine fibrillate sono
organizzate come i foglietti beta e questo porta alla creazione di proteine insolubili, dette
amiloidi. Ad esse sono ricollegate patologie come Alzheimer e Parkinson. Si accumulano
placche amiloidi, soprattutto quelle di tipo beta, che sono residui amminoacidici che
diventano neurotossici se assemblati come foglietti. L’amiloide beta deriva dal taglio
enzimatico di una
proteina
transmembrana,
precursore
dell’amiloide, che si
trova sui tessuti
nervosi, nel
parenchima
encefalico e sui vasi.
Nella maggior parte
dei casi di
Alzheimer, non ha
origine genetica
sebbene nel 5% dei
casi si riscontra una
predisposizione alla trasmissione della tipologia.
Altre malattie sono prioniche e derivano dalla proteina prionica PRP che è l’agente causale
dell’encefalopatie spongiformi trasmissibili, tra cui abbiamo il morbo della mucca pazza o
encefalopatia spongiforme dei bovini. Questa proteina è resistente alle degradazioni
proteolitiche e quindi è anche detta proteina della forma infettiva; tende a formare degli
aggregati insolubili in fibrilli. Sulla superficie dei neuroni se ne trova normalmente una
forma non infettiva. La proteina prionica è codificata dallo stesso gene che codifica anche il
suo agente patogeno, di cui ha anche la stessa sequenza proteica. Tra la forma normale e la
forma infettiva della proteina non si sono riscontrate delle differenze fra la struttura
primaria, né modificazioni post produzionali alternative. Sembra che la chiave di questa
trasformazione sia un cambiamento della conformazione tridimensionale della proteina
prionica cellulare rispetto a quella infettiva. Si è osservato che un certo numero di alfa eliche
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nella struttura secondaria non infettiva, sono rimpiazzate (nella forma infettiva) da strutture
a beta foglietto. Questa conformazione conferisce una relativa resistenza alla degradazione
proteolitica della proteina. La conformazione patogena diventa stampo per altre proteine e
quindi ci sono conseguenze fatali.
Per poter caratterizzare le proteine si esegue
l’ELETTROFORESI SU GEL, che può essere su
un gel di poliacrilamide o su gel di agarosio,
che non è nient’altro che un polimero
costituito da acrilamide bisacrilammide su cui
si inseriscono dei campioni biologici. Questi
campioni biologici presentano al loro interno
delle proteine e in seguito a una variazione di
potenziale tra l’anodo e il catodo, queste
proteine corrono lungo il gel in modo diverso,
in base alle loro caratteristiche (struttura,
carica, peso, ecc.). Le proteine si separano
l’una dall’altra e si vanno ad ibridare con determinati anticorpi per essere identificate.
Questa separazione di proteine può essere fatta sia in condizioni native che denaturate, ma
in questo secondo caso le proteine vengono trattate con un detergente carico
negativamente (sodio dodecil solfato) che va a denaturare la catena e conferendole una
carica netta negativa. Queste proteine correranno solo in base al peso molecolare.
In seguito alla separazione sul gel, si possono trasferire queste proteine mediante il blocking
su una membrana di microcellulosa, dove vengono fissate con determinati anticorpi e per
poterle quantizzare.
L’elettroforesi è una tecnica usata per lo studio delle proteine plasmatiche e proteine
sieriche e quello che si ottiene è la separazione di queste proteine. Le proteine sono
rappresentate al 60% dall’albumina sierica, dopo di che abbiamo altre componenti che si
separano nelle rispettive bande (denominate alfa 1, alfa 2, beta e gamma). Queste bande
vengono quantizzate da
un elettroferogamma
dove ad ogni picco
corrisponde quella che
è la concentrazione
proteica e ad ogni
larghezza di base
corrisponde la larghezza
della banda.
A seconda di quella che
è la concentrazione di
proteine, possiamo
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andare a individuare la presenza di una infiammazione, di un’epatopatia, infezione epatica,
una nefropatia o per andare a identificare le gammopatie monoclonali. Queste si
distinguono perché, in caso di alterazione, con il picco in posizione gamma, dove si
posizionano le immunoglobuline sieriche. Quando c’è una acutizzazione della curva, vi è
l’insorgenza di un aumento di produzione di una singola produzione monoclonale da parte
di una cellula B.
Un’altra caratteristica dell’elettroforesi su gel è quella di poter
riuscire a identificare una proteina dal peso molecolare. Questo si
può fare quando lasciamo correre contemporaneamente anche
degli stand-up, delle proteine a peso molecolare noto e dopo aver
trattato i campioni si crea un grafico in cui in ascissa si posiziona la
migrazione, in ordinata si mette il logaritmo del peso molecolare. Si
costruisce la retta di regressione lineare, si manda la perpendicolare
dal punto della ascissa dove si trova la migrazione relativa alla nostra proteina, poi da quel
punto si manda un’altra retta che incontra l’ordinata e così si trova il peso molecolare.
PROTEINE GLOBULARI: mioglobina ed emoglobina
Sono caratterizzate da una forma sferica e hanno un gruppo prostetico (il gruppo eme) che
avrà la funzione di legarsi con l’ossigeno che è il loro ligando. Le catene polipeptidiche sono
caratterizzate da una struttura terziaria che comprende segmenti ad alfa elica e beta
foglietto ripiegato collegati tra loro da piccole sequenze. Sono solubili in acqua e hanno varie
funzioni (enzimi, regolazione, trasporto, ecc.). Mioglobina ed emoglobina sono le prime
proteine di cui si è caratterizzata la struttura con la cristallografia a raggi X, anche perché
sono facilmente reperibili e separabili.
Il ligando, l’ossigeno o O2 è una molecola di importanza vitale: l'ossigeno è infatti l'accettore
finale della catena di trasporto di elettroni, che "fluendo" attraverso i complessi della Catena
Respiratoria, consentono la produzione di energia, sotto forma di molecole di ATP. Se
privata di un costante apporto di ossigeno, la cellula non potrebbe produrre ATP in maniera
adeguata e andrebbe rapidamente incontro alla morte.
Mioglobina ed emoglobina sono caratterizzate dall’avere lo stesso gruppo prostetico, il
gruppo eme. Sono proteine coniugate: emoproteine (Globina + eme). Hanno il motivo
strutturale ad alfa elica in comune.
L’emoglobina (HbA) si trova esclusivamente nei globuli rossi
dove la sua funzione principale è il trasporto dell’ossigeno dai
polmoni ai capillari tissutali ed è anche coinvolta nel trasporto
di CO2 dai tessuti ai polmoni. L’emoglobina è un tetramero
composto da due catene di tipo alfa e due catene di tipo beta
(struttura IV). Ogni singola catena lega un
ossigeno. E Peso molecolare: 64.500 Da. 4
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catene: 2alfa (141 amminoacidi) e 2beta (146 amminoacidi). struttura III: a-elica (circa 80%).
struttura IV: sferica. 4 gruppi eme. Ferro allo stato ferroso (Fe2+)
La mioglobina funge da deposito dell’ossigeno nel tessuto muscolare cardiaco e
scheletrico; aumenta la velocità di spostamento dell’ossigeno all’interno delle cellule
muscolari. La mioglobina è costituita da un’unica catena polipeptidica (struttura III).
Peso Molecolare: 16.700 Da. 1 catena: 153 aminoacidi. struttura III: a-elica (circa
80%). 1 gruppo eme. Ferro allo stato ferroso (Fe2+).
IL PROBLEMA DEL TRASPORTO DELL’OSSIGENO: L’ossigeno si scioglie poco in acqua, ha un
basso coefficiente di solubilità (si scioglie ad una concentrazione di 0,003 ml per millilitro di
acqua). Ma la concentrazione di ossigeno, misurata sperimentalmente, nel sangue è di 20,4
ml per millilitro di sangue. Questo significa che la maggior parte del sangue che contiene
ossigeno, non contiene ossigeno disciolto, ma legato e che corrisponde al 98% del
contenuto totale.
Il trasporto dell’ossigeno dipende dalla
formazione di un legame reversibile con le
proteine del sangue. Le proteine non
hanno gruppi funzionali che leghino
reversibilmente l’ossigeno, questo viene
svolto da alcuni metalli di transizione
come ferro o rame; atomi metallici che
reagiscono con l’ossigeno e producono
specie radicaliche dell’ossigeno, ossia dei radicali liberi come il superossido.
Il ferro dell’eme può legare reversibilmente l’ossigeno molecolare senza fare specie
radicaliche, che sono dannose per le molecole biologiche perché spezzano i legami delle
molecole.
Il gruppo prostetico eme
è un anello tetra-pirrolo
ciclico. È costituito da
una protoporfirina di tipo
9 e dallo ione ferroso
Fe2+. Il ferro è trattenuto
al centro del gruppo eme
dai legami che stabilisce
con i 4 atomi dell’azoto
dell’anello
protoporfirinico,
formando quindi 4 legami
di coordinazione. Poi lo
ione ferro dell’eme può formare anche altri due legami di coordinazione, uno sopra e uno
sotto l’anello protoporfirinico. Vediamo che uno di questi legami di coordinazione si instaura
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con una catena laterale di un residuo di istidina presente sull’elica f, ossia un segmento di
alfa elica di una subunità polipeptidica. L’altro legame di coordinazione viene lasciato libero
per potersi legare in maniera reversibile con una molecola di ossigeno.
La mioglobina è presente a livello muscolare e funge da riserva e da trasportatore di
ossigeno facendo aumentare la velocità di spostamento dell’ossigeno all’interno delle varie
cellule muscolari. Il gruppo eme della mioglobina è posto in una fenditura della molecola, in
cui si affacciano le catene laterali di amminoacidi non polari, con eccezione di due residui di
istidina e uno di questi (l’istidina o HIS
prossimale) è posto in posizione
prossimale sull’elica F8 e si lega
direttamente all’atomo di ferro. In seguito
a quello che sarà il legame con l’ossigeno
molecolare, cioè il sesto legame di
coordinazione, vediamo che l’atomo di
ossigeno forma un legame fra l’atomo di
ferro e l’istidina distale sul segmento E7,
che quindi non interagisce direttamente
con il gruppo eme, ma concorre a
stabilizzare il legame fra ossigeno e ione
ferroso. La porzione proteica della mioglobina, che si chiama globina, crea quindi un
particolare microambiente che accoglie il gruppo eme e permette di formare un legame
reversibile con l’ossigeno e la perdita concomitante di elettroni dello ione ferroso (ma
avviene soltanto raramente).
IN SOLUZIONE ACQUOSA, il gruppo eme non è capace di legare l’ossigeno reversibilmente,
− ¿¿
→F
questo perché il ferro viene quasi istantaneamente ossidato a Fe3+: F 2+¿+O
e
questo caso si formerebbe la metamio-emo-globina e il superossido.
La famiglia delle globine, nell’uomo ci sono 4 tipi:
• Mioglobina, nei muscoli
• Emoglobina, negli eritrociti
• Neuroglobina, nei neuroni
• Citoglobina, nell’endotelio vascolare
2
questa immagine rende palese l’interazione fra l’istidina distale e
l’atomo di ferro all’interno del gruppo eme, posto nella tasca della
mioglobina. Ciascuna mioglobina è costituita da 8 diversi segmenti
ad alfa elica ripiegati su di loro grazie ad altri segmenti non ad ala
elica.
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3 +¿+ O2 ¿
e
¿
. In
Tutte le interazioni molecolari si
possono caratterizzare
quantitativamente. L’equazione
che porta all’equilibrio è data
dalla proteina che lega il ligando,
formando il complesso proteina
ligando: P + L ⇄ PL.
La reazione è caratterizzata da
una costante di equilibrio che è
anche la costante di associazione.
Il rapporto tra proteina legata PL
e proteina libera P è proporzionale alla concentrazione
[ PL ]
del ligando L: k a [ L ] =
.
[ P]
(Le prossime cose le ha lette pari pari dalle slide, quindi ve le lascio qui sotto amori)
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Kd = alla costante di dissociazione
pO2 = pressione parziale di ossigeno (l’ossigeno è misurato come pressione perché è un gas)
p50 = concentrazione di ligando per cui il 50% dei siti saranno occupati
Queste equazioni possono essere riassunte in un grafico,
in cui possiamo andare a vedere meglio quella che è
l’affinità del ligando per la propria proteina. In questo
caso, in grafico si vede l’affinità dell’ossigeno e della
mioglobina. Man mano che aumenta la concentrazione di
ossigeno aumenta anche la frazione di siti occupati.
Avremo una proporzionalità diretta fra concentrazione di
O2 e capacità di legare il ligando. Quando questa
concentrazione aumenta, si raggiunge una fase di plateau,
dove tutti i siti saranno occupati e pertanto, anche aumentando la concentrazione del
ligando, questo non permetta alla proteina di aumentare la sua capacità di legare il ligando.
La p50 corrisponde alla concentrazione di ligando per cui il 50% dei siti sono occupati dal
ligando stesso.
Nella mioglobina Kd = P50 = 0,26 kPa = 1,95 mm di mercurio Hg. La mioglobina lega così
fortemente l’ossigeno perché quest’ultimo forma un forte dipolo con l’atomo di ferro e così
può formare un forte legame idrogeno con l’istidina prossimale. Così, l’ossigeno
intrappolato nel sito di legame, aumenta di 500 volte l’affinità di O2 per il Fe2+.
In seguito a legame fra proteina e ligando, si instaurano delle piccole rotazioni degli atomi
intorno ai legami che determinano delle piccole variazioni conformazionali. Queste
variazioni si ripercuotono sull’intera struttura proteica.
La
concentrazione di ossigeno a livello polmonare è molto
alta e a queste condizioni la curva di saturazione
dell’ossigeno è già al plateau; la mioglobina lega molto
bene le molecole di ossigeno, anche a livello periferico. La
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proteina mioglobina non ha la necessità di rilasciare ossigeno ai tessuti, a meno che la pO2
nei tessuti non scenda (ischemia). In questo caso l’affinità fra ossigeno e mioglobina è
inferiore e la mioglobina rilascia l’ossigeno.
Nel caso dell’emoglobina, P50 Hb = 26 mmHg O2.
Riscontriamo una p50 che è molto simile a quella che è la concentrazione di ossigeno che si
riscontra a livello periferico e quindi l’emoglobina avrà una affinità più bassa per l’ossigeno.
L’emoglobina per questo motivo rilascia ossigeno a livello periferico.
Se per la mioglobina la curva è iperbolica, per l’emoglobina è di tipo sigmoideo. Questo vuol
dire che la sua affinità per il ligando varia in funzione della concentrazione di ossigeno.
A concentrazioni basse di ossigeno, l’affinità dell’emoglobina è molto bassa; aumentando la
concentrazione di ossigeno, aumenta anche l’affinità.
Superati dei valori ben determinati, l’affinità tende a stabilizzarsi perché ormai i siti saranno
tutti occupati.
Nell’EMOGLOBINA, le due catene alfa e le due catene beta interagiscono fra di loro per
tenere unita la struttura quaternaria. Le interazioni fra le subunità diverse sono le più forti.
Ogni subunità interagisce con altre due:
• β2--α1--β1
• β2--α2—β1
Le interfaccia α1β1 e α2β2 creano interazioni tra 30 residui amminoacidici, con un effetto
idrofobico.
Le interfaccia α1β2 e α2β1 creano interazioni tra 19 residui amminoacidici; predominano le
interazioni idrofobiche, ma ci sono anche quelle ioniche, ecc.
Il legame dell’ossigeno
all’emoglobina causa una
modificazione
conformazionale:
l’emoglobina può avere due
conformazioni:
• T – teso con bassa affinità
per O2 (DEOSSIEMOGLOBINA)
• R – rilassato con alta affinità per O2 (OSSIEMOGLOBINA)
Si va dallo stato T allo stato R; questa transizione avviene in seguito al legame con l’ossigeno
che lo stabilizza nella conformazione di tipo R. Viene innescata la variazione
conformazionale con la creazione del legame. I due monomeri alfa-beta scivolano uno
sull’altro (ruotano) e questo fa si che la tasca centrale si stringa, perché le due subunità beta
si avvicinano l’una all’altra. Nello stato T, la protoporfirina ha una forma a cupola dove
l’atomo di ferro lega solo l’istidina prossimale. In seguito al legame con l’ossigeno, quindi
nello stato R, la protoporfinina assume una conformazione planale perché il legame
dell’ossigeno determinerà anche il legame con l’istidina distale. Questa variazione
conformazionale si ripercuote sulla rotazione della subunità alfa su quella beta e
determinando la traslazione conformazionale da T a R. Queste modificazioni conducono
all’aggiustamento delle coppie ioniche all’interno dell’interfaccia alfa1beta2. Quindi
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l’emoglobina deve legare in modo efficace l’ossigeno nei polmoni, dove la porzione parziale
dei gas è di circa 13,3 kPa. Per il rilascio nei tessuti è uguale a 4 kPa.
Dopo che l’ossigeno si è legato alla prima subunità, la transizione T-R rende più semplice il
legame di una seconda molecola di ossigeno e l’ultima molecola di O2 avrà un’affinità molto
alta. Le 4 molecole di O2 non si legano contemporaneamente alla molecola di Hb
(emoglobina). I quattro monomeri non funzionano in maniera indipendente l’uno dall’altro
ma la funzione di ognuno di questi è condizionata dagli altri. Una curva di tipo sigmoide è
indicativa della presenza di interazioni cooperative tra i siti di legame. Questo è un esempio
di effetto allosterico in cui l’occupazione di uno dei siti da parte di un ligando, influisce
sull’affinità di quelli rimasti liberi. Questo comportamento è collegato solo alla struttura
quaternaria.
La mioglobina ha l’andamento iperbolico e non determina una variazione cooperativa di
quella che è la sua affinità. Non può produrre una curva sigmoide perché è composta solo
da una subunità ed è bloccata allo stato T. La mioglobina è SATURA quando la pressione
parziale di ossigeno è alta.
La reazione reversibile di ossigenazione è legata alle concentrazioni
dell’ossigeno, ma dipende anche dall’affinità della proteina per
l’ossigeno. L’affinità dell’EMOGLOBINA per l’ossigeno dipende dalla
presenza di vari fattori, che sono effettori allosterici:
- [H+]
- CO2
- Cl- 2,3 bifosfoglicerato
L’aumento di uno qualsiasi di questi fattori fa diminuire l’affinità per
l’ossigeno e sposta la curva di ossigenazione verso destra. Questo
significa che diminuisce l’affinità e quindi la proteina cede più
facilmente l’ossigeno. Gli effettori vanno a stabilizzare lo stato teso
dell’emoglobina, rispetto allo stato rilassato. L’aumento della concentrazione di O2, porta
comunque l’emoglobina a stabilizzarsi allo stato R.
L’espressione “legame cooperativo dell’ossigeno” si riferisce al fatto che il legame di una
molecola di ossigeno con un gruppo eme fa aumentare l’affinità per l’ossigeno degli altri
gruppi eme presenti; questo effetto è indicato come interazione di tipo eme-eme. Vediamo
che la capacità dell’emoglobina di legare ossigeno in maniera reversibile sarà influenzata
dalla concentrazione dell’ossigeno, dal pH e quindi dalla concentrazione di protoni, dalla
presenza di anidride carbonica e dalla disponibilità di 2,3 bifosfoglicerato.
Una condizione fondamentale è che l’emoglobina lega e trasporta H+ e CO2.
L’origine e il destino della CO2
L’anidride carbonica si forma nella matrice mitocondriale delle cellule dei tessuti periferici
ed ha 2 destini:
La CO2 diffonde dalla MATRICE al citosol, alla membrana plasmatica, poi al sangue; dopo
passa per gli eritrociti arrivando infine all’EMOGLOBINA.
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La parte restante di anidride è substrato dell’enzima anidrasi carbonica e diventa acido
carbonico, che dissocia in bicarbonato e H+. C’è un aumento della concentrazione degli ioni
H+ e una diminuzione di pH.
Sia l’anidride che gli ioni h+ vanno a effettuare quello che è
una transizione dell’emoglobina dallo stato R allo stato T,
con una diminuzione dell’affinità per l’ossigeno. Si verifica
l’EFFETTO BOHR, ossia l’emoglobina rilascia l’ossigeno in
seguito all’aumento della concentrazione di protoni e
anidride carbonica. Una riduzione del pH riduce l’affinità
dell’emoglobina a legare più ossigeno.
L’effetto Bohr porta a:
• riduzione di affinità per l’O2 per la
diminuzione del pH, come avviene nei
capillari dei tessuti, dove si consuma O2 e si
rilascia la CO2.
• I H+ spostano l'equilibrio allosterico
dell’emoglobina dalla
forma R verso la forma T, legandosi agli
amminoacidi di superficie.
• Attraverso questo equilibrio con i protoni
H+, l'emoglobina contribuisce alla capacità
tamponante del sangue.
L’effetto Bohr si può quantificare misurando
la curva di saturazione dell’emoglobina a
diversi valori di pH
del mezzo:
• A pH < 7,4 e la curva di saturazione si sposta a destra
• A pH > 7,4 e la curva di saturazione si sposta a sinistra
Meno pH, meno affinità, più rilascio di ossigeno a livello periferico.
L’equilibrio dell’emoglobina con i protoni determina l’effetto Bohr; l’equilibrio della reazione
dell’emoglobina con l’ossigeno può essere rappresentato dalla reazione: Hb + O2 ⇄ HbO2.
All’aumentare della concentrazione protonica viene rilasciato l’ossigeno e all’aumentare
della concentrazione dell’ossigeno vengono rilasciati i protoni. Quando la ossi-emoglobina
reagisce con i H+, l’equilibrio si sposta a sinistra con rilascio di O2 e deossi-emoglobina
protonata.
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In seguito al legame fra anidride carbonica
e l’estremità amminoterminale di ciascuna
subunità dell’emoglobina, viene rilasciato
un protone e si forma il residuo
carboamminoterminale dell’emoglobina.
Questo va a determinare ulteriormente
l’effetto Bohr, soprattutto a livello
peroferico.
In questo modo l’emoglobina trasporta il 15-20% della CO2 prodotta dai tessuti, legando la
molecola ai gruppi ammino-terminali e formando la carboammino-emoglobina.
Il carbammato che si forma introduce una carica negativa all’estremità N-terminale delle
catene consentendo la formazione di legami salini, stabilizzando così la forma T
deossigenata.
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Un'altra molecola importante da considerare per quanto riguarda l’emoglobina è
rappresentata dal legame con monossido di carbonio da non confondere col biossido di
carbonio o anidride carbonica che dir si voglia, in quanto, in questo caso quando noi
consideriamo il monossido di carbonio questo si andrà a legare all'emoglobina formando la
carbossi-emoglobina non la cappaminaemoglobina. Perché la carbossiemoglobina è
l'emoglobina che va a legare il monossido di carbonio mentre la cappaminaemoglobina
proviene dall'emoglobina che si Lega con quelle che sono le molecole di anidride carbonica
che si vanno a legare alle porzioni terminali delle subunità dell'emoglobina. Il monossido di
carbonio invece si riesce a legare allo stesso sito di legame dell'ossigeno quindi riesce,
essendo una piccola molecola, ad entrare durante quelli che sono i movimenti respiratori
dell'emoglobina, nella tasca di legame dell'ossigeno legando quindi il ferro. Il legame quindi,
va a spostare in questo caso la curva di dissociazione dell'ossigeno perso a sinistra pertanto
l'emoglobina non riesce più a cedere ossigeno ai vari tessuti perché ovviamente legando al
monossido di carbonio non riuscirà più a legare l'ossigeno e quindi si effettua quello che è
un classico esempio di avvelenamento tissutale che determina quella che è l'incapacità di
poter legare di conseguenza quello che è l'ossigeno per poterlo rilasciare a livello periferico
cellulare che è fondamentale per far avvenire quello che il metabolismo ossidativo a livello
mitocondriale.
In maniera molto schematica è raffigurato in slide quello che è l'effetto Bohr. Come potete
vedere, è raffigurato un’eritrocita dove, mediante la membrana cellulare, avvieno lo
scambio con il monossido di carbonio il quale si legherà quindi a quello che è l'emoglobina,
determinando il rilascio dell'ossigeno e di conseguenza questo creerà protoni, al contrario
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alcune molecole di anidride carbonica invece reagiranno con l'acqua mediante l'enzima
anidrasi carbonica formando acido carbonico e sempre mediante l'azione dell'anidrasi
carbonica avremo la formazione due speci ioniche che sono sempre un'altra molecola
protonica.
Un’altra molecola da sottolineare molto importante per quanto riguarda quello che è la
regolazione dell'affinità ligando-proteina quindi ossigeno-emoglobina è rappresentata dalla
molecole da 2.3 bifosfoglicerato.
La concentrazione di questa molecola èla stessa dell'emoglobina all'interno del tessuto
ematico.
la molecola 2.3 bifosfoglicerato è un fosfato organico molto abbondante nei globuli rossi e
questo viene generato tramite quello che è la glicolisi quindi da una molecola di 1.3
bifosfoglicerato si viene a generare una molecola di 2.3 bifosfoglicerato che per
defosforilazione rientra in quello che è il flusso glicolitico con la formazione del 3
fosfoglicerato.
Importanza di questa molecola: è una molecola che riesce a legarsi all'emoglobina nella sua
forma tesa e quindi nella sua forma deossigenata in quanto riesce ad inserirsi in quella tasca
che si forma tra le due subunità beta quindi beta1 e beta2. (….. INTERRUZIONE DELLA
CONNESSIONE DA PARTE DI CHI REGISTRAVA……..) sta più distante laddove ovviamente è
nella forma tesa, quando quindi le subunità alfa, beta non ruotano una sull'altra con quella
che una variazione conformazionale quindi quando una di questa tasca tra le due subunità
beta, si va a legare la molecola di 2.3 bifosfoglicerato, che presenta delle cariche negative
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che vanno ad interagire con le cariche positive dei residui amminoacidici delle subunità
beta, questa riesce a stabilizzare la conformazione tesa determinando una diminuzione
dell'affinità per la molecola di ossigeno e con una minor capacità dell'ossigeno di essere
rilasciato a livello periferico.
La funzione di questa molecola 2.3 bifosfoglicerato ha una rilevanza molto importante lì
dove ci troviamo a concentrazioni di ossigeno più bassa perché a livello polmonare
ovviamente queste differenze di affinità per l’ossigeno sono compensate dal concentrazioni
molto elevate di ossigeno che quindi vanno a sfalzare qualsiasi altra molecola che sia
anidride carbonica, che sia 2.3 bifosfoglicerato che sia, concentrazione elevata protoni. In
tutti e tre questi casi questi sono dei modulatori, degli effettori allosterici, che vanno a
diminuire l'affinità dell'emoglobina per l'ossigeno ma che ovviamente sono controbilanciati
da un'alta concentrazione di ossigeno a livello polmonare che va a (interruzione della voce)
tutto, quindi questo è importante a livello cellulare quindi a livello del rilascio di ossigeno.
Questo significa che se viene stabilizzata la forma al minore affinità per l'ossigeno significa
che, a livello periferico, l’emoglobina sarà più in grado di cedere molecole dell'ossigeno a
livello periferico.
Questa slide fa vedere dove interagisce la molecola del 2.3 bifosfoglicerato. (12.23min)
Vediamo tre curve SIGMOIDEE dell'emoglobina.
BLU: Centrale. È quella del sangue normale.
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Dove abbiamo concentrazioni normali quindi con una concentrazione di 5 Millimoli litro (o 5
millimolare).
Nel momento in cui vediamo che abbiamo un aumento delle concentrazioni di 2.3
bifosfoglicerato (che per esempio si riscontra in quegli individui che sono improvvisamente
portati ad alti altitudini dove l’aria è rarefatta è c’è minor concentrazione di ossigeno) con
maggior produzione di questo 2.3 bifosfoglicerato (raggiungendo gli 8 millimolari)
aumentando la sua concentrazione si andrà ad unire a quella che è la tasca tra le due catene
beta nell'emoglobina determinando quindi in questo modo una maggior capacità di
rilasciare ossigeno dall’emoglobina.
La presenza di questa molecola 2.3 bifosfoglicerato, è ugualmente importante anche in
un'altra condizione ossia lo scambio di ossigeno tra madre e figlio (quindi a livello fetale)
perché l’emoglobina adulta è costituita da due catene Alfa e due catene beta, mentre
l'emoglobina fetale è costituita da due catene Alfa e due catene gamma.
Queste due catene gamma al contrario delle catene beta, non presentano la capacità di
poter legare quella che è la molecola di 2.3 bifosfoglicerato e di conseguenza quindi
l'emoglobina del feto non può essere modulata dalla concentrazione di molecole di 2.3
bifosfoglicerato.
Questa è comunque presente con concentrazione dei 5 millimolare a livello fisiologico.
Questo significa che l'emoglobina del feto ha una affinità per l'ossigeno
maggioredell'emoglobina materna e quindi in questo modo si avrà la capacità da parte del
sangue materno ti rilasciare ossigeno al sangue fetale e quindi la capacità di una madre di
rilasciarvi ossigeno al feto, grazie alla sensibilità differente che abbiamo tra l'emoglobina
fetale e l’emoglobina adulta.
Questo si ottiene grazie alla presenza della sostituzione di una molecola di istidina con la
serina, nella struttura primaria della catena gamma che va ad eliminare i gruppi cationici che
sono proprio le cariche positive che interagiscono con le cariche negative presenti sulla
molecole di 2.3 bifosfoglicerato, generando quello che il legame con l’effettore allosterico di
tipo anionico (?)
Un’altra caratteristica che colpisce molto la fisiologia dell'emoglobina sono le sostituzioni
amminoacidiche, infatti questa è un’altra importante caratteristica da non sottovalutare
infatti ci sono alcune variazioni che coinvolgono anche la sostituzione di un solo
amminoacido che vanno ad alterare quella che è la struttura tridimensionale della proteina
e questa variazioni conformazionali si riflettono su quella che è la funzionalità della stessa
proteina.
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ANEMIA FALCIFORME
Per quanto riguarda l’anemia falciforme, quello che abbiamo è una variazione di un residuo
di glutammato in posizione sei nelle catene beta con un residuo di valina.
Questa sostituzione di un residuo amminoacidico determinerà una variazione
conformazionale con una variazione di quella che è la carica sulla catena dell’emoglobina di
tipo beta determinando la presenza di una porzione/residuo che viene definito appiccicoso.
In particolari condizioni di diminuzione della concentrazione di ossigeno quindi l'emoglobina
va a formare dei filamenti che si uniscono ad altre proteine formando quindi una rete
fibrillosa
In caso il globulo rosso perde anche quella che è la sua classica conformazione del disco
biconcavo diventando a forma di fuso con una membrana più rigida che non riesce a passare
facilmente attraverso quelli che sono i vasi sanguigni e determinerà quella che è una
distruzione di globuli rossi amplificata determinando quella quindi che la condizione di
ANEMIA FALCIFORME.
la solubilità in questo caso dell'emoglobina S nelle condizioni di deossigenazione è
notevolmente diminuita rispetto all'emoglobina di tipo A che è quella normale
determinando quindi quella che è la formazione di una DeossiEmoglobina a forma proprio di
falce che e si unirà a più residui di altre proteine di emoglobina, formando le fibrille
all’interno del globulo rosso.
Altre sostituzioni amminoacidiche, sono sempre alla base di quelle che sono le alterazioni
della funzionalità delle proteine perché, abbiamo una conformazione dipendente da quella
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che è la funzione della proteina e ritroviamo diverse alterazioni che portano quindi i pazienti
a subire delle grandi trasformazioni dal punto di funzionale.
PROTEINE FIBROSE: Altra tipologia di proteina sono quelle fibrose questo caso le proteine
fibrose avranno una forma tridimensionale allungata e sono formati da fasci di proteine
allungate sovrapposte l’una all'altro che conferiscono alla struttura di cui fanno parte
maggior resistenza a quelli che sono i fenomeni di trazione di allungamento e sono costituiti
da un'unica struttura secondaria o Alfa-elica o beta-foglietto.
Al contrario invece, delle proteine globulari, dove invece ritroviamo ambedue le
conformazioni che si ripiegano su sé stesse
La costituzione di queste catene polipeptidiche è formata da aminoacidi che sono perlopiù
idrofobici quindi insolubili in acqua e sono in genere caratterizzate da un'alta resistenza alla
trazione meccanica, rigidità e compattezza, ma alcune sono flessibile ed elastiche sono
quindi particolarmente adatte a svolgere quelle che sono le funzioni strutturali ma per
esempio per quanto riguarda la proteina del collagene.
PROTEINE COLLAGENE: Per quanto riguarda proteina del collagene, ne ritroviamo diverse e
differenti tra di loro.
Collagene di tipo primo: che è maggiormente presente in quelle che sono il tessuto osseo, i
tendini, la pelle vasi sanguigno, addirittura la cornea.
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Collagene di tipo secondo: che invece fa parte prevalentemente di quelle che la cartilagine,
dischi intervertebrali.
Nella maggior parte dei casi è la proteina più abbondante del corpo che costituisce quindi
1/3 della massa proteica totale nei vertebrati e ha funzione principale di resistenza a quelli
che sono i fenomeni di trazione.
È presente nella matrice extracellulare del tessuto connettivo e solo il collagene tipo 1 2 e 3
costituisce circa l'80%/90% del collagene totale.
È costituita da 3 catene polipeptidiche che si avvolgono su loro stesse e ciascuna catena
polipeptidica è costituita dalla successione di tre residui amminoacidici che è la tripletta che
si ripete all'interno di quella che è la struttura tridimensionale della proteina collagene.
questa tripletta costituita da un residuo amminoacidico di GLICINA poi abbiamo residuo
amminoacidico XY che sono rappresentati rispettivamente da un residuo di prolina e un
residuo di idrossiprolina o idrossilisina. Quindi vediamo che l'unità che si ripete (questa
tripletta) che va a formare quella che è un Alfa-Elica e questa struttura ad AlfaElica che si
andrà ad avvolgere con le altre due catene polipeptidiche formato quindi quella che un’elica
sinistrorsa.
Questa proteina in realtà non viene sintetizzata come tale ma in realtà viene sintetizzata in
forma di precursore quindi l'unità strutturale in realtà del collagene è rappresentata da una
molecola di TROPOCOLLAGENE ed è una proteina con una massa di circa 285kDa formata da
tre catene polipeptidiche con andamento di tipo sinistrorso mentre la singola catena
polipeptidica avrà una conformazione ad alfaelica la cui avrà sempre andamento destrorso.
Queste si associano a formare una tripla elica destrorsa stabilizzata da legami di tipo
idrogeno intercatena. Vediamo che la molecola di tropocollagene si affiancheranno in
maniera sfalsata in modo tale che si possa creare quello che è un legame tra queste catene
di tropocollagene. Il legame che si forma è di tipo peptidico perpendicolare rispetto a quello
che è l'asse dell'elica in modo che i gruppi carbossilici formano dei legami idrogeno con
quelli amminici di residui di glicina di altre eliche. (30.26min)
Per determinare questo tipo di formazione di legami idrogeno e quindi l'associazione di
queste catene di tropocollageno in realtà è necessario un altro meccanismo che è
rappresentato da una reazione di idrossilazione di una parte dei residui di prolina o di una
parte di residui di lisina.
Questa reazione viene catabolizzata da un enzima PROLIL IDROSSILASI oppure una
LISIL IDROSSILASI (a seconda della amminoacido da cui partiamo) che in presenza di acido
ascorbico sarà in grado di idrossilare, un residuo di Prolina o Lisina.
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Queste modificazioni post-traduzionali sono importanti per la stabilizzazione della struttura
a
tripla elica del collagene.
La formazione dei geni del collagene di tipo alfa e delle pro catena alfa2, vengono trascritti
dall mRNA. Questi vengono quindi trasportati al reticolo endoplasmatico presente
all'interno delle cellule, dove vengono sintetizzate.
Nel reticolo endoplasmatico, la sequenza segnale, attraverso la quale sono trasportate
verrà tagliata.
Dopodiché avviene quello che è il fenomeno della idrossilazione di specifici residui di prolina
e idrossiprolina gli avviene anche la glicosilazione del glucosio e galattosio di specifici residui
di idrossilisina. In seguito a queste trasformazioni, le tre catene di la procollagemne alfa, si
associano tra di loro e si formano legami di solfuro intracatenali nelle estremità carbossiterminali.
Successivamente alla formazione di quella che è la tripla elica, si avrà quello che è il
fenomeno di trasporto della catena di procollageno che sarà secreta da quelle che sono i
compartimenti del reticolo endoplasmatico attraverso il fenomeno di esocitosi che vengono
trasportati all'interno dell’apparato di Golgi, dove ovviamente questa catena subirà delle
ulteriori modifiche e dove avremo quello che è il taglio dell’estremità amino e carbossi
terminale con la formazione della molecola finale di collageno che sarò data all'associazione
delle varie catene di procollageno.
I legami crociati si formano grazie all’enzima lisilossidasi, un enzima extracellulare che
catalizza la
una reazione di deamminazione ossidativa di residui di lisina ed idrossilisina del collagene.
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Vediamo che inizialmente abbiamo il ribosoma che si va a legare al reticolo endoplasmatico
con determinazione della formazione della singola catena polipeptidica. in seguito
all’idrossilazione, avremo la formazione della tripla elica del pre procollageno, il quale poi
ovviamente darà luogo a quella che è la formazione del filamento maturo che seguirà
l'ulteriore finale processo di maturazione all'interno dell'apparato del Golgi e lì dove
vengono tagliati quelli che sono i residui carbossi e ammino terminale per esocitosi sarà
maturo per determinare quella che è la formazione delle catene di collageno che
entreranno a far parte delle varie costituzioni dei vari tessuti.
Le patologie correlate a quelle che sono sostituzioni amminoacidi che delle catene
polipeptidiche portano ad un'alterazione della proteina che si ripercuote su quella che è la
funzionalità della stessa proteina livello fisiologico.
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MALATTIE LEGATE AL COLLAGENE
CATALIZZATORI
Agiscono a livello metabolico sono rappresentati dagli enzimi o catalizzatori biologici.
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Sono delle proteine molto utili a quello che è il metabolismo il biochimico perchè hanno la
capacità di far procedere le reazioni metaboliche con una velocità maggiore. Aumentando la
velocità delle reazioni, aumentano il numero delle molecole che saranno in grado di
partecipare a quelle che sono le reazioni metaboliche che hanno tempi troppo lunghi a volte
incompatibili con i tempi della vita.
(LO SPIEGA COME IL CULO. NELLA SLIDE C’E’ ESATTAMENTE QUELLO CHE LEI HA TENTATO DI
SPIEGARE FARFUGLIANDO COSE)
In realtà enzimi, ne abbiano diverse specie ognuno dei quali ha una caratteristica in quanto
sarà l'artefice di un determinato gruppo di reazioni metaboliche quindi significa che avremo
la suddivisione di questi enzimi in:
(legge quello che sta nella slide)
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Gli enzimi sono proteine fatta eccezione di alcune forme enzimatiche come i RIBOZIMI che
sono rappresentate da molecole di RNA e hanno sempre un'attività catalitica.
Da qui la suddivisione in:
 PROTEINE SEMPLICI: costituite solo da una componente amminoacidica
 PROTEINA CONIUGATA: Costituita da una componente polipeptidica ci sarà anche un
altro elemento come uno ione o un’altra molecola organica o un coenzima
(vitamina)
Alle PROTEINE CONIUGATE quindi possono associarsi:
Gli enzimi possono essere distinti in:
MONOMERICI: costituiti da una singola unità enzimatica
OLIGOMOMERICI: costituiti da poche unità enzimatiche (2)
COMPLESSI ENZIMATICI: come COMPLESSO DELLA PIRUVATO. Costituititi molte unità
enzimatica ognuna delle quali sarà in grado di catalizzare una piccola parte dell'intera
reazione del complesso enzimatico senza far mai abbandonare il complesso enzimatico al
substrato.
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Quindi i COFATTORI si possono distinguere in ioni essenziali o coenzimi e in questo caso
vediamo che sono rappresentati da co-substrati o gruppi prostetici.
I cofattori quindi sono delle piccole molecole che interagiscono con quello che è l’ezima che
però prevalentemente non sono termolabili infatti non sono costituite da catene
polipeptidiche ma sono costituiti da ioni metallici, sono costituiti da gruppi prostetici, che
non sono per la maggior parte sensibili all'azione del calore che andrebbe a denaturare la
porzione proteica ma non la porzione coenzimatica.
Funzionano come trasportatori di gruppi funzionali di atomi specifici o di elettroni, che
vengono quindi trasferiti da una molecola all'altra durante la reazione enzimatica totale.
Il GRUPPO PROSTETICO si legano sempre alla struttura dell’APOENZIMA (struttura proteica)
ALCUNI ENZIMI: CHE DEVONO NECESSARIAMENTE LEGARSI AD UNA MOLECOLA (es. Z, F o
Mg)
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PROPRIETA DEGLI ENZIMI
Questi enzimi quindi le proteine, sono caratterizzate dalla presenza al loro interno di una
tasca con una porzione che viene chiamata sito attivo che è una parte interna alla proteina
proprio perché deve essere inaccessibile a quello che l'ambiente acquoso extra cellulare o
citosolico presente all'interno della cellula perché le reazioni che si devono svolgere a carico
dell'attività di questo enzima non devono fa avvenire quelle che sono le interazioni con
molecole esterne quali per esempio la presenza di una molecola d'acqua.
Altra Caratteristica molto importante è la specificità di Reazione infatti, ciascun sito attivo
avrà presenza di catene laterali amminoacidiche o gruppi prostetici che interagiscono con
alcuni gruppi funzionali di alcune molecole ma non con altre, quindi ciascuna reazione sarà
specifica per un gruppo di molecole simili tra di loro o per esempio per una sola unica
molecola.
Altra caratteristica è la presenza dei COFATTORI.
Altra caratteristica è la capacità degli enzimi di essere regolati o meglio di oltre essere
regolati possono regolare quello che è un flusso metabolico.
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Quindi determinare una loro maggiore attivazione, un’inibiione o rallentamento di quella
che è la loro attività catalitica, influenzando quello che il flusso del intero metabolismo di cui
si occupano e quindi va a regolare quello che è la biochimica del flusso metabolico.
Altra caratteristica specifici enzimi sono compartimentalizzazione in alcune parti della cellula
quindi alcuni enzimi saranno esclusivamente citoplasmatici, altri enzimi sarà esclusivamente
mitocondriali, altri rigorosamente nucleare. Questa compartimentalizzazione di alcuni
enzimi in determinate regione anatomiche cellulare determina che una diversa locus dello
svolgimento di alcune reazioni metaboliche che conferisce una certa direzionalita al
metabolismo e in questo modo si può meglio andare a determinare una regolazione dal
punto di vista enzimatico dei vari flussi metabolici.
IL NOME DEGLI ENZIMI: deriva dal substrato che parteci alla reazione.
In alcuni casi il nome proviene da quello che è il suo prodotto poiché alcune reazione vanno
in senso opposto.
(legge esattamente questa slide)
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Nel sito attivo l’enzima agisce con il substrato e in seguito all'interazione nel sito attivo,
l'enzima ovviamente andrà incontro a quella che è una modificazione conformazionale
perché se si formano dei legam, delle interazioni ioniche, delle interazioni deboli o covalenti
che siano, l'intera alterazione si ripercuote su quella che è la struttura tridimensionale
dell’enzima.
Questo viene Spiegato da una semplice equazione enzimatica dove vediamo che gli enzimi,
insieme a quello che è ilsubstrato, formeranno prima un complesso enzima-substrato quindi
una specie metabolica intermedia che però è instabile che si trasformerà in quello che
l'enzima prodotto, in seguiro a quello che è l'azione catalitica dello stesso enzima, per poi
trasformarsi nuovamente quindi riportarsi immediatamente dopo la formazione del
prodotto allo stato iniziale, quindi l'enzima ritorna quella che è la sua conformazione iniziale
rilascio di quello che sarà il prodotto.
(non ho veramente capito il senso di tutto ciò che è scritto sopra, ma lei l’ha detto
esattamente cosi)
quindi vediamo che tra quello che enzima-substrato e la parte finale enzima-prodotto
ritroviamo al centro delle reazioni equilibrio due complessi intermedi che sono anche molto
instabili che sono rappresentati dal complesso enzima-substrato ed enzima-prodotto
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In queste reazioni enzimatiche l’equilibrio chimico può essere descritto da una costante di
equilibrio, che non è altro che il rapporto tra le concentrazioni dei prodotti e la
concentrazione dei substrati.
Sulla base delle conoscenze di termodinamica sappiamo che le relazioni tra la costante di
equilibrio e la variazione di energia libera, può essere descritta dalle equazione variazione di
energia standard biochimica (questo significa che imponiamo una temperatura di 25 ° e una
concentrazione protonica di uno molare) questa sarà uguale a:
Dalla termodinamica vediamo che la variazione di energia libera è assolutamente
dipendente da quello che è in correlazione con quella che è la costante di equilibrio quindi
LA BIOENERGETICA :
riguarda il trasferimento e l’utilizzazione dell’energia nei sistemi biologici e si basa su alcuni
concetti fondamentali della termodinamica.
Dove vediamo che la variazione di energia libera del sistema che si ha quando il sistema
passa dallo stato iniziale a quello di equilibrio, in condizioni di pressione e temperatura
costanti, viene
chiamata variazione di energia libera ( Δ G )
Qui abbiamo una differenza di energia con valore negativo saremo di fronte a quella che è
una reazione di tipo ESOERGONICA quando questa differenza di energia invece sarà
positiva allora avremo una reazione di tipo ENDOERGONICA.
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Riassumendo:
 Δ G negativo=ESOERGONICA
 Δ G positivo=ENDOERGONICA
In questo caso la variazione di energia libera è rappresentata dall'energia disponibile per
effettuare un lavoro.
Se Δ G=0LA REAZIONE RAGGIUNGE L’EQUILIBRIO.
Quando parliamo di variazione di energia libera, possiamo vedere che questa dipende dalla
concentrazione di reagenti e dalla concentrazione dei prodotti in una condizione
all'equilibrio avremo una variazione di energia libera uguale a zero. In condizioni
ovviamente dove non è uguale a zero avremo delle condizioni in cui la reazione è più
spostata verso sinistra e quindi verso quella che è la formazione dei reagenti, oppure una
condizione in cui Δ G è negativo allora la nostra reazione sarà spostata verso quella che è la
formazione dei prodotti.
Queste sono condizioni di NON equilibrio.
L’enzima quindi interviene sulla VELOCITA’ DELLA REAZIONE.
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La costante di velocità (K) dipende dalla barriera energetica Δ G detta ENERGIA DI
ATTIVAZIONE.
Il Δ G è utile per comprendere il funzionamento degli enzimi perché l’energia libera (G) è una
funzione termodinamica che rappresenta una misura dell’energia utile, cioè dell’energia in
grado di compiere un lavoro.
QUINDI:
Affinché una reazione chimica abbia luogo:
1. I reagenti devono entrare in collisione
2. La collisione deve avvenire con un orientamento corretto
3. I reagenti devono avere energia sufficiente per poter reagire
4. ENERGIA DI ATTIVAZIONE energia libera supplementare che le molecole devono
possedere per
raggiungere una condizione reattiva nota come stato di transizione (cioè quando ci troviamo
nella condizione in cui la molecola non è né prodotto né reagente, ma in uno stato
intermedio molto instabile)
Gli enzimi catalizzano le reazioni abbassando la barriera di attivazione piuttosto che
aumentando l’energia media dei reagenti. Essi legano saldamente gli intermedi allo stato di
transizione e l’energia di legame di questa interazione riduce l’ENERGIA DI ATTIVAZIONE.
Gli intermedi vengono legati nella porzione del sito attivo dell'enzima che è costituito da due
parti:
 Un sito di legame che è un micro ambiente tridimensionale della struttura della
proteina dove vi è interazione con il substrato.
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
Un sito catalitico che invece rappresenta la porzione limitata del sito attivo che è
costituita dagli aminoacidi coinvolti direttamente nella reazione enzimatica che
quindi determinerà quella che viene chiamata specificità di reazione.
Per abbassare l’energia di attivazione quindi sarà necessario:



Interagendo direttamente con il substrato e quindi con intermedi metabolici che si
formano.
In questo modo le molecole si incontrano con la direzionalità ben precisa e l'incontro
all'interno del sito attivo sarà facilitato
Gli orientamenti corretti facilitano l'intera reazione.
In mancanza di enzima solo una piccola proporzione di molecole possiede un’energia
sufficiente a raggiungere lo stato di transizione
La velocità di una reazione dipende dal numero di molecole che possono raggiungere lo
stato di
transizione
In genere, quanto più è bassa l’energia di attivazione, tanti più numerose saranno le
molecole dotate di un’energia sufficiente e, quindi, tanto più veloce sarà la reazione.
Gli enzimi aumentano la velocità di reazione abbassando l’energia di attivazione, senza
modificare lo stato energetico finale dei reagenti e dei prodotti e, quindi, l’equilibrio
della reazione
La formazione del complesso enzima-substrato è la prima tappa nella catalisi enzimatica
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• Il potere catalitico degli enzimi deriva dalla loro capacità di avvicinare i substrati con un
orientamento favorevole e promuovere la formazione di stati di transizione
• Gli enzimi formano il complesso enzima-substrato (ES) in una specifica regione
detta sito attivo
Il sito attivo di un enzima è la regione a cui si lega il substrato. E’ costituito da una tasca o
fenditura tridimensionale formata da gruppi che derivano da parti diverse della sequenza
amminoacidica della proteina.
Quasi tutti gli enzimi sono costituiti da più di 100 aa.
Il sito attivo occupa una parte relativamente piccola del volume totale di un enzima.
L’enzima quindi sarà complementare a quello che il suo substrato, ma non altamente
complementare al substrato ma al complesso enzima-substrato. interagisce con il substrato
ma sarà complementare a quello che è lo stato di transizione del reagente.
Enzima Chirale: riesce a distinguere tra gruppi della molecola stericamente non equivalenti.
Risulta perciò altamente specifico e distingue due diversi stereoisomeri o nella reazione
con un centro Pro-chirale genera uno solo dei possibili isomeri (geometrici o ottici).
SPECIFICITA’ DEGLI ENZIMI




Un enzima può avere diversi gradi di specificità:
Specificità che tiene conto del legame (specificità di legame, Bassa specificità)
Specificità che tiene conto di una parte della molecola (specificità di gruppo)
Specificità che richiede le due parti della molecola ed il legame che le unisce
(specificità assoluta).
CINETICA ENZIMATICA
L’enzima va a modificare quella che è una velocità di reazione che avrà una cinetica tipo
parabolico, dove all'aumentare della concentrazione del substrato avremo sempre più
molecole di substrato che andranno a reagire con le molecole enzimatiche. Quindi la
velocità iniziale (V0) di una reazione diventa concertazione substrato dipendente. la velocità
iniziale (V0) aumenta linearmente all’aumentare della concentrazione di substrato, questa
viene detta REAZIONE DI 1°ORDINE.
In questa reazione la velocità è data dalla costante per la concertazione del nostro
substrato.
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Quando si supera un valore soglia all’aumentare della concentrazione del substrato
(situazione di saturazione) anche se aumentiamo la concentrazione del substrato, non
inciderà su quella che è la velocità iniziale di reazione. Poiché tutti i siti attivi saranno saturi
e quindi non potranno andare a modificare la velocità che resterà costante nel tempo. La
proporzionalità diminuisce, la V0 diventa indipendente dalla concentrazione del sub strato e
la reazione viene chiamata di ORDINE 0.
La velocità iniziale massima della reazione (Vmax) si osserva quando tutto l’enzima
è presente sotto forma di complesso ES.
• Questa condizione, però, esiste solo quando [S] è elevata. L’effetto saturante del
substrato è una proprietà caratteristica degli enzimi responsabile dell’appiattimento
della curva.
• La velocità di catalisi Vo, definita come moli di prodotto formate al secondo, viene
determinata dalla demolizione di ES per dare origine a P, quindi
• Vo = K2[ES]
(dice di seguire la slide)
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Km ci puo essere utile perché è una misurta utile per distinguere l’adffinità dell’enzima per
un determinato substrato.
Km è inversamente proporziona a quella che è l’affinità dell’enzima per il proprio substrato
Sia Vmax che Km sono inbdispoensabuili per la cinematica enzimatica.
Queste misure vengono identificata con l’unità internazionale che è la quantità di enzima
che catalizza la formazione di una micromole di prodotto in un minuto.
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kcat( si legge kappa catalitica) o numero di turnover è il numero di molecole di substrato
convertite in prodotto nell'unità di tempo da una molecola di enzima quando è saturata con
il substrato.
LE COSTANTI CINETICHE
Lo studio della cinetica enzimatica è importante per vari motivi:
1)Aiutano a comprendere come lavorano gli enzimi
2)Aiutano a comprendere come lavorano in vivo: le costanti cinetiche Km e Vmax, sono di
estrema importanza per capire come gli enzimi si coordinano tra loro a livello metabolico
3)Permettono confronti tra organi e tra specie
4)Possono essere usate a scopo clinico-diagnostico
Un altro modo in cui capire il valore di Vmax e Km è mediante il grafico dei doppi reciproci
che invece va ad indentificare la velocità di reazione in un grafico dove mette in ordinate ed
ascisse, i reciproci della Velocità e del Substrato e dove il valore di Vmax e di Km sono date
dalle intercette di (????) con quella che è la linearità di reazione.
INIBIZIONE ENZIMATICA
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Gli enzimi inoltre, oltre a reagire con substrati possono interagire anche con delle altre
molecole che è in realtà vanno a bloccare l’attività catalitica dell'enzima quindi parliamo di
inibitori dove va a diminuire le velocità di reazione. Possono essere fisici o chimici
determinando a loro volta quelle che sono delle inibizioni reversibili o irreversibili.
Spesso sono delle piccole molecole organiche o non organiche che vanno a competere con il
substrato o meno e nel momento in cui abbiamo parliamo di INIBIZIONI REVERSIBILI
abbiamo 3 tipologie di esse:
Inibizione Competitiva: sia ha per formazione di legami col sito attivo. è spesso simile al
substrato e si lega al sito attivo dell’enzima impedendo al substrato di legarsi. Può essere
bypassata andando ad aumentare le concentrazioni del substrato quindi minor molecole di
inibitore potranno interagire con il sito attivo dando la possibilità alla reazione di procedere.
Inibizione non competitiva: prevede che inibitore e substrato si legano simultaneamente in
siti diversi dell’enzima avendo un’inibizione competitiva per cambiamento di
conformazione. L’inibitore abbassa semplicemente la concentrazione dell’enzima
funzionale. Diminuiscono il numero di Turnover
Inibizione incompetitiva: l’inibitore si lega solo al complesso ES. Il complesso ESI non
procede verso la formazione di alcun prodotto. Il substrato non viene più convertito in
prodotto.
Gli inibitori irreversibili si combinano o distruggono un gruppo funzionale dell’enzima
essenziale per l’attività catalitica.
Es. Inibitori suicidi o inattivatori basati sul meccanismo che portano avanti le prime tappe
della reazione enzimatica normalmente, poi invece di essere convertiti nel prodotto di
reazione diventando composti molto reattivi che si legano irreversibilmente all’enzima.
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Alcuni inibitori irreversibili sono farmaci importanti. La penicillina agisce modificando
covalentemente l’enzima transpeptidasi e in questo modo la sintesi della parete
batterica viene bloccata e i batteri tendono a morire.
• L’aspirina agisce modificando covalentemente l’enzima cicloossigenasi riducendo la sintesi
dei segnali infiammatori.
ENZIMI REGOLATORI
Gli enzimi possono essere regolati, questa regolazione può essere in funzione della quantità
dell'enzima sintetizzato quindi si può modulare la componente enzimatica aumentando
quindi quelle che sono le concentrazioni dell’enzima quindi modulando la sua capacità di
interagire con più substrati oppure modulare proprio all'attività del singolo enzima
inibendolo o attivandolo.
Gli enzimi regolatori sono capaci di modulare la attività catalitica in risposta di certi segnali.
Nei metabolismi possono lavorare insieme in modo sequenziale, ma almeno uno determina
la velocità complessiva catalizzando la reazione più lenta (enzima regolatore).
In molti sistemi multienzimatici il I enzima di ogni sequenza è un enzima regolatore.
La regolazione può avvenire a 2 livelli:
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Questi enzimi rispondono ad una Cinetica SIGMOIDE. avranno una attività che sarà in
funzione della concentrazione di substrato e questi enzimi ALLOSTERICI sono regolati quindi
da molecole che vengono chiamati effettori o modulatori che, in seguito a quello che è il
legame possono andare a modificare quella che è la loro velocità enzimatica oppure
possono modulare quella che è l’affinità, in seguito alla modificazione conformazionale con
il proprio substrato. quindi possono raggiungere la velocità massima più velocemente o
meno velocemente.
Quando il substrato è esso stesso un effettore, si dice omotropico.
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In molti casi vediamo che una regolazione allosterica da parte da parte di un effettore
eterotopico negativo, è data da un’inibizione retroattiva all’interno di un'intera via
metabolica. Come potete vedere dalla slide di sopra, il prodotto di una via metabolica va ad
interagire in maniera retroattiva inibendo il primo enzima del flusso l'intera reazione.
LA DIAGNOSTICA CLINICA
La diagnostica clinica, fa molto affidamento a quella che è l'attività enzimatica infatti
vediamo che all'interno del plasma sono riversati molti enzimi, che sono lo specchio di
quello che è il metabolismo cellulare e andando a dosare questa porzione enzimatica
presente nel plasma si possono evincere molti stati fisiologici dell'organismo.
Per esempio, dall'enzima creatinchinasi che è presente in diverse isoforme (ISOENZIMA) (la
ritroviamo di tipo 1-2-3), la cui struttura molecolare è formata da due catene polipeptidiche
e a seconda della combinazione, queste sono specifiche per alcuni determinati tessuti.
Infatti, quando si rileva la maggior presenza di cheratinchinasi di tipo tre a livello plasmatico,
questo è indice di infarto del miocardio e quindi danno tissutale a livello del miocardio.
METABOLISMO DEI CARBOIDRATI (cosi’, da un cazzo all’altro come io quando ero giovane e
cambiavo fidanzato ogni 3 mesi. Bei tempi :’) )
Il termine carboidrati deriva dal fatto che i principali membri di questa famiglia hanno
formula bruta C6H12O6 o C5H10O5 , che fa pensare alla somma di 5 o 6 molecole di acqua a
5 o 6 atomi di carbonio.
Hanno diverse funzioni ossigenate, tra cui in particolare funzioni alcoliche e
carboniliche. In alternativa sono chiamati zuccheri o saccaridi.
Molti carboidrati presenti in natura sono in realtà polimeri di unità saccaridiche semplici.
Una classificazione generale si può fare sulla base delle “unità” saccaridiche, e cioè:
Monosaccaridi: zuccheri semplici
Disaccaridi - 2 unità monosaccaridiche legate covalentemente.
Oligosaccaridi - alcune unità monosaccaridiche legate covalentemente.
Polisaccaridi – polimeri che consistono in catene di unità monosaccaridiche o
disaccaridiche.
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Gli zuccheri si definiscono D e L basandosi sulla configurazione dell’unico Carbonio (C) nella
gliceraldeide (Proiezioni di Fisher).
Se l’ossidrile si trova a destra parleremo di D-Gliceraldeide (DX)
Se l’ossidrile si trova a sinistra parleremo di L-Gliceraldeide (SX)
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Se due monosaccaridi differiscono per la configurazione attorno a un solo atomo di carbonio
si definiscono epimeri perché l’ossidrile differisce per la sua posizione intorno a carbonio in
posizione 4, se invece abbiamo degli isomeri dove si passerà da un aldoso a un chetoso, in
questo caso si chiameranno isomeri.
Un’altra caratteristica molto importante è che i monosaccaridi pentosi e esosi solitamente
esistono prevalentemente in forma ciclica che si forma per una reazione che da origina
quelli che sono EMIACETALI
Il risultato della formazione delle strutture ad anello producono emiacetali o emichetali non
è altro che una reazione di condensazione tra il gruppo carbonilico e l’ossidrile sul carbonio
in posizione 5 andando a creare la configurazione EMIACETALE che è una struttura ciclica,
dove si forma un carbonio anomerico in posizione 1 e si andrà ad indentifica un altro
STEROISOMERO alfa o beta e questo lo avremo in funzione della posizione dell’ossidrile
rispetto a quello che è la posizione del carbonio dell’ossidrile legata al carbonio in posiz 6.
Una struttura ciclica è una conformazione particolare cioè quella a SEDIA.
β-D-glucopiranosio è la conformazione più stabile, infatti il β-D-glucopiranosio è presente in
una soluzione al 74% rispetto a quella alfa per dare più stabilità.
Disaccaridi: due unità di monosaccaridi legate con legame
glicosidico (covalente e forte)
– Maltosio: glucosio + glucosio
– Lattosio: galattosio + glucosio
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– Saccarosio: glucosio + fruttosio
I disaccaridi sono formati da due esosi legati da un legame glicosidico che può essere
idrolizzato dalle glicosidasi. Gli enzimi che vanno a definire queste reazioni di condensazioni
vengono chiamate DISACCARIDASI.
Un’altra classe sono i POLISACCARIDI che sono formate da molte unità monosaccaridiche
che si uniscono tra loro tramite legami glicosidici. Tra questi riconosciamo l’amido, il
glicogeno e la cellulosa.
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Possono essere
OMOPOLISACCARIDI: Se a costituirlo sono unità monosaccaridiche tutte uguali tra loro
ETEROSACCARIDI: Se sono costituiti da unità differenti tra loro.
La cellulosa: è tra i polisaccaridi più conosciuti che contiene legami glicosaccaridiBeta che
non può essere digerito dagli umani.
L’amido:polimero di D-GLUCOSIO costituito di una miscela di catene lineari con legami alfa1,4
(AMILOSIO) e di catene ramificate con legami a-1,6 (AMILOPECTINA) con un rapporto
1,6/1,4 di circa 1/24-30
glicogeno: polimero con costituzione simile all'amilopectina con un rapporto 1,6/1,4 di circa
1 /8-12 molto abbondante nel fegato dove raggiunge 7% del peso dell’organo.
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Vengono introdotti in questo modo:
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I trasportatori sono tessuto-specifici
Se alcuni di questi enzimi non dovesse essere funzionante sulle cellule enteriche, vediamo
che questi disaccari restano tali a livello dell'intestino finché non raggiungono l'ultima
porzione dell'intestino e vengono metabolizzati da quello che è la flora batterica
determinando quindi quello che è un maggior richiamo per osmosi di acqua dall'esterno e in
seguito al metabolismo da parte dei batteri ritroveremo anche quello che la maggior
produzione di anidride carbonica e acqua che si riflette con quelli che sono i fenomeni di
meteorismo e fenomeni diarroici, dovuti all'intolleranza per assorbimento di questi
saccaridi.
Il sestino di questi glucidi è quello di essere catabolizzati attraverso la via glicolitica, con la
formazione di 2 molecole di piruvato a partire da una molecola di glucosio che viene
degradato ad acetilcoenzima-A che dopo di che, entra a far parte del ciclo del ciclo degli
acidi carbossilici rimuovendo anidride carbonica e formazione di equivalenti riducenti a
carico di molecole (2:25.36MIN????) e FAD.
Gli equivalenti riducenti vengono trasportati a livello della catena di trasporti degli
elettroni ,presente sulla membrana mitocondriale interna, con generazione di un gradiente
elettrochimico che sarà forza motrice nella generazione di molecole di ATP.
IN QUESTA REAZIONE è IMPORTANTISSIMON L’OSSIGENO PERCHE’ E’ L’ACCETTORE FINALE
DEGLI EQUIVALENTI RIDUCENTI.
Quindi avremo due tipologie di reazione, l’una opposta all’altra. Possono quindi svolgersi in
maniera contraria.
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Più nello specifico avremo (più nello specifico LA GRANDISSIMA PUTTANA DI TUA MADRE)
LA GLICOLISI: UNA SERIE DI 10 reazioni cataboliche che portano a formazione di due
molecole di piruvato a partire da una molecola di glucosio.
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queste le possiamo distinguere in due fasi:
una prima fase che comprende le prime 5 tappe della glicolisi che sono una fase di
investimento energetico in cui verranno consumate due molecole di ATP.
Una seconda fase composta da altre 5 tappe che invece vengono chiamate fase di recupero
energetico/fase di generazione di energia, in cui da quattro molecole di ADP otterremo 4
molecole di ATP generando anche due molecole di NADH.
VEDIAMO COME AVVENGONO NELLO SPECIFICO QUESTE REAZIONE:
La prima è una reazione catalizzata dall’esochinasi. È quindi una reazione di fosforilazione
del glucosio sul carbonio in posiz 6 formando il GLUCOSIO 6-FOSFATO.
Una reazione che catalizza il trasferimento del gruppo fosforico da una molecola di ATP con
un rilascio di una di ADP, reazione che richiede una molecola di Mg.
Esistono 4 forme di ESOCHINASI :
ESOCHINASI (forma I, II e III)
(ubiquitario):
• Cinetica iperbolica
• adattamento indotto
• non specifico per il glucosio (fosforila anche il fruttosio e il mannosio)
• Km < 0,1 mM per il glucosio
• lavora normalmente (in vivo) alla velocità massima
• inibita allostericamente dal prodotto Glucosio-6P
GLUCOCHINASI (forma IV)
(specifica per alcuni tipo di cellule come epatociti, cellule b del pancreas,
enterociti, neuroni dell’ipotalamo) :
• Cinetica sigmoide (da glucosio)
• specifico per il glucosio
• Km 10 mM per il glucosio
• enzima inducibile (indotto da insulina)
• non inibito da prodotto
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• inibito da Fruttosio-6P ed attivato da Fruttosio-1P, (intermedio del metabolismo del
Fruttosio)
LA GLUCOCHINASI
E’ il principale enzima responsabile della fosforilazione del glucosio nel fegato e nelle cellule
delle isole pancreatiche.
Nel fegato facilita la fosforilazione del glucosio durante l’iperglicemia.
Differisce dalla esochinasi perché:
1) ha una Km >> esochinasi (cioè richiede una [ glucosio] più elevata per raggiungere 1/2
Vmax) perciò funziona soltanto quando la [glucosio] negli epatociti è alta
(p.es. dopo un pasto ricco di carboidrati)
2) ha una Vmax elevata (permette al fegato di eliminare con efficienza dal sangue portale il
glucosio, anche dopo un pasto ricco di carboidrati, minimizzando l’iperglicemia durante il
periodo dell’assorbimento)
In seguito alla formazione del Glucosio 6-fosfato la seconda reazione è una reazione di
ISOMERIZZAZIONE del glucosio 6-P mediante la fosfoglucosio isomerasi, una reazione
REVERSIBILE.
In seguito vediamo che il fruttosio 6 fosfato viene fosforilato in posiz 1 formando quello che
è il fruttosio 6-fosfato, reazione catalizzata dalla fosfofruttochinasi-1 che catalizza la seconda
reazione
Irreversibile della glicolisi.
fosfofruttochinasi-1 viene regolata da FRUTTOSIO 2.6 BIFOSFATO generato da
Fosfofruttochinasi-2 (enzima bifunzionale) che ha sia attività CHINASICA che FOSFATASICA
La quarta reazione è data dalla scissione del fruttosio data dall’enzima Aldolasi A che
causerà la scissione del Fruttosio 1.6 bifosfato in
GLICERALDEIDE 3 FOSFATO e DIIDROSSIACETONE FOSFATO (che sono due TRIOSI)
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questa non la cita neanche e dice:
questa La fine della prima tappa della glicolisi che è una base di investimento energetico le
altre 5 tappe sono caratterizzate da è una fase di recupero energetico.
Queste iniziano con l’ossidazione della gliceraldeide 3-fosfato.
In anaerobiosi, il NADH è ossidato a NAD+ ed il Piruvato ridotto a lattato nel citosol dalla
lattico deidrogenasi (LDH) nel processo di fermentazione lattica.
Reazione successiva è FOSFOGLICERATO CHINASI che è una reazione di fosforilazione a
livello di substrato: consiste nel trasferimento di un gruppo fosfato da un composto ad
elevato contenuto energetico all’ADP con formazione di ATP
La decima reazione è Reazione di fosforilazione a livello di substrato:
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consiste nel trasferimento di un gruppo fosfato da un composto ad elevato contenuto
energetico all’ADP con formazione di ATP. Catalizzata dal PIRUVATIO CHINASI. È UNA
REAZIONE IRREVERSIBILE
DIPENDE DA:
Concentrazione del glucosio-6-P
• Attività della fosfofruttochinasi e della piruvato chinasi
• Disponibilità di NAD+
Regolazione della glicolisi:
Esochinasi: è inibita da G6P, ha KM bassa: alta affinità, la fosforilazione del glucosio è
efficiente
anche a basse concentrazioni di glucosio; Vmax bassa perciò nelle cellule non possono
essere
sequestrate quantità di G6P superiore alle necessità
Glucochinasi (fegato e pancreas): KM alta: bassa affinità, funziona bene solo quando il
glucosio
ha un’alta concentrazione. Vmax elevata permette al fegato di fosforilare una grande
quantità di
glucosio eliminandolo dal sangue portale. Quando la conc. di glucosio è bassa, l’enzima è
sequestrato nel nucleo.
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PFK-1: è inibita allostericamente da ATP (abbondanza di substrati ad alta energia) e da
citrato
è stimolata da AMP (impoverimento energetico della cellula) e da F2,6 BP
Piruvato chinasi: è inibita con modificazione covalente (fosforilazione) è attivata
allostericamente da F1,6 BP prodotto da lla reazione della PFK1 (regolazione anteroattiva);
Gli enzimi regolatori della glicolisi sono maggiormente espressi a seguito dell’aumento della
concentrazione di insulina
FERMENTAZIONE LATTICA
nei MUSCOLI e negli Eritrociti
In carenza di ossigeno o di mitocondri, l’acido piruvico viene ridotto a lattato
esempio, nel muscolo durante sforzi fisici intensi e prolungati,
negli eritrociti, che sono privi di mitocondri.
Acido Lattico
Lattato ha numerosi destini:






Rimane nella cellula per essere riossidato ad ac.piruvico
Rilasciato dalla cellula:
Assorbito da cellule di altre fibre muscolari scheletrich
Entra nel circolo sanguigno:
Convertito nel fegato a glucosio (Ciclo di Cori) muscolo
Tessuto cardiaco (carburante)
Il lattato trasportato al fegat viene riconvertito a glucosio tramite la gluconeogenesi.
Viene definito quinidi il CICLO DI CORI
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La fermentazione alcolica è una forma di metabolismo energetico che avviene in
alcuni lieviti in assenza di ossigeno
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BIOCHIMICA QUARTA LEZIONE
Processi catabolici dei monosaccaridi che entrano nella via glicolitica; può essere chiamata
glicolisi anaerobica o aerobica in base al consumo dell’ossigeno per essere catabolizzato.
GLICOLISI ANAEROBICA
E’ detta anaerobica perché avviene senza la partecipazione dell’ossigeno.
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Il prodotto finale è il lattato: il glucosio viene convertito in piruvato che poi è ridotto a
lattato dal NADH (che poi viene riconverti in NAD+) per continuare a fare avvenire il
processo catabolico del glucosio o di altri monosaccaridi.
Questo permette di poter sintetizzare molecole di ATP:
-Nei tessuti privi di mitocondri (es. globuli rossi)
-In cellule in cui l’apporto di ossigeno è insufficiente
GLICOLISI AEROBICA
Avviene nelle cellule dotate di mitocondri e di un adeguato apporto di ossigeno.
E’ detta aerobica perché è necessario l’ossigeno per riossidare il NADH che si forma durante
l’ossidazione della gliceraldeide 3-fosfato al livello della catena respiratoria. In questo
trasporto di elettroni si forma il gradiente elettrochimico che determina la produzione di
molecole di ATP.
Il prodotto finale è il piruvato che successivamente subirà la carbossilazione ossidativa ad
acetil CoA (reazione irreversibile) ed andrà ad alimentare il ciclo di Krebs.
REGOLAZIONE DELLA VIA GLICOLITICA
E’ regolata a vari livelli; per quanto riguarda i 3 enzimi essenziali che catalizzano le reazioni
irreversibili del flusso glicolitico parliamo di Esochinasi, della Fosfofruttochinasi e del
Piruvato Chinasi. Questi enzimi determinano la velocità del flusso glicolitico.
Il glucosio 6-fosfato diventa un inibitore come substrato dell’Esochinasi. L’ Insulina regola
positivamente la formazione della molecola Fruttosio 1,6 bifosfato che va ad attivare
l’enzima Fosfofruttochinasi di tipo 1 insieme a l’AMP. Mentre altre concentrazioni di Citrato
e ATP
vanno a inibire la Fosfofruttochinasi quando c’è un eccesso energetico nella cellula. Il
Glucagone ha un effetto opposto; lo stesso prodotto della Fosfofruttochinasi che è
rappresentato dal Fruttosio 1,6 bifosfato determinerà una reazione anterograda sul Piruvato
chinasi attivandola determinando un aumento della velocità di sintesi del Piruvato, enzima
che sarà ulteriormente regolato in maniera negativa dalle molecole di ATP. Anche la
Piruvato Chinasi sarà regolato dal punto di vista ormonale positivamente per quanto
riguarda un aumento delle concentrazioni di insulina, negativamente per quanto riguarda un
eccesso di concentrazione di glucagone rispetto alla concentrazione di insulina.
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Il glicogeno è accumulato nel fegato.
Livelli di glucosio ematico in un individuo normale:
-DIGIUNO (dopo la notte): 70-90 mg/100ml (cioè a livello ematico si ha una concentrazione
di circa 5 milliMolare)
-DOPO UN PASTO RICCO DI CARBOIDRATI: 120-140 mg/100ml (ca.8mM)
-DOPO DUE ORE DAL PASTO: la glicemia ritorna al valore di 70-90 mg/100ml (ca. 5 Mm)
Quindi nei soggetti patologici, che sono affetti da diabete, questa curva glicemica non
ritorna a livelli normali. Il test di tolleranza al glucosio ci rende noto l’andamento della curva
glicemica.
Per quanto riguarda questa curva glicemica i pazienti affetti da diabete partono con una
curva già più alta rispetto a chi non soffre di diabete. I valori non sono portati nella norma in
un diabetico nell’arco di tempo delle due ore; questa è quindi un’alterazione del
metabolismo del glucosio.
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Il glucosio ematico può essere rifornito a vari livelli mediante:
- l’alimentazione
- glicogenolisi (epatica); cioè viene riversata nel sangue la molecola glucosio tramite una fase
di sintesi a livello epatico
- gluconeogenesi dalla sintesi di glucosio proveniente da molecole di natura non saccaridica
Gli ultimi due punti sono fondamentali nel momento in cui dall’esterno non arriva glucosio e
quindi energia e l’organismo fa affidamento sulle proprie scorte per poter ottenere
molecole ad alto contenuto energetico per poter effettuare un lavoro.
Possiamo osservare da questo grafico che subito dopo un pasto il glucosio viene eliminato
per svolgere un lavoro o immagazzinato sotto forma di glicogeno e poi successivamente, se
il digiuno diventa prolungato subentra il meccanismo della rimozione delle unità
saccaridiche dalle estremità non riducenti del polisaccaride glicogeno che terminerà nel
meccanismo di glicogenolisi. Questa fase avviene dopo le 2 ore l’assunzione di un pasto.
Invece, dopo le 24 ore l’assunzione di un pasto parliamo del processo di gluconeogenesi.
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GLUCONEOGENESI è un metabolismo essenzialmente epatico, cioè avviene nel fegato.
Comincia la sintesi di glucosio da precursori di natura non glucidica.
La sintesi parte da substrati di diversa natura quali:
-AMMINOACIDI GLUCOGENECI derivanti dalle proteine muscolari
- LATTATO prodotto nella glicolisi anaerobica
-GLICEROLO rilasciato dai trigliceridi durante la lipolisi nel tessuto adiposo
-PROPIONIL CoA derivante dalla Beta- ossidazione degli acidi grassi a catena dispari e dal
metabolismo di alcuni aminoacidi
L’energia deriva dalla beta-ossidazione degli acidi grassi rilasciati dal tessuto adiposo.
LE TAPPE IRREVERSIBILI DELLA GLICOLISI (queste tappe sono presenti nella gluconeogenesi)
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Sono tappe che non possono procedere al contrario rispetto alle tappe viste
precedentemente, ma saranno catabolizzate da enzimi del tutto diversi. E sono:
Fosfoenolpiruvato carbossilasi, piruvato carbossilasi, fruttosio bifosfatasi (?Non si è capito
bene) e glucosio 6-fosfatasi.
La sintesi del glucosio avviene a partire da molecole di piruvato.
La prima reazione di deviazione del processo glicolitico nella Gluconogenesi è la conversione
del piruvato in fosfoenolpiruvato. Questa reazione non può avvenire per semplice
inversione della piruvato chinasi della glicolisi in quanto la sua variazione di en. Libera è
molto più negativa e quindi è irreversibile nelle condizioni intracellulari. Quindi la
fosforilazione del piruvato avviene tramite una serie di reazioni che richiede l’intervento di
enzimi citosolici ed enzimi mitocondriali che sono rappresentati dal Piruvato carbossilasi e
Fosfoenolpiruvato carbossilasi.
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La carbossilazione del piruvato e l’azione della piruvato carbossichinasi
Questa è la via predominante quando il piruvato oppure l’analina sono i precursori
gluconeogenetici.
PRIMA FASE
Se partiamo da una molecola di piruvato questo deve essere inserito all’interno della
matrice mitocondriale e quindi trasportato all’interno dei mitocondri.
Il piruvato viene prima trasferito dal citosol all’interno dei mitocondri oppure viene
generato direttamente dall’analina all’interno dei mitocontri per transaminazione (tramite
la rimozione di un gruppo amminico dall’analina che determina la formazione di una
molecola di piruvato, presente però già a livello della matrice mitocondriale).
Il piruvato carbossilasi che è un enzima mitocondriale che richiede la presenza di un
coenzima che è rappresentato dalla biotina converte il piruvato in ossalacetato. Cosa
succede? Questa è una reazione di carbossilazione che coinvolge la biotina come
trasportatore di bicarbonato attivato. Il meccanismo della reazione determinerà che il
braccio della biotina che porta con sé una molecola di biossido di carbonio va ad attivare la
molecola di piruvato trasportando il biossido di carbonio quella che è la biotina legata a un
residuo di lisina dell’enzima a una molecola di piruvato, determinando la formazione di
ossalacetato. Successivamente la biotina va a rimuovere il fosfato e forma la carbossi-primabiotina e la piruvato carbossilasi è il primo enzima regolatore della via glucaenergetica.
Quindi richiede una molecola di acetil CoA come effettore allosterico di tipo positivo. Poiché
la membrana mitocondriale non avrà il trasportatore per la molecola di ossalacetato
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formato da piruvato, prima di essere trasportato dal citosol, deve essere ridotto a malato da
enzima malato deidrogenasi mitocondriale a spese di una molecola di NADH che viene
ossidato a NAD+; la variazione di energia libera standard di questa reazione è abbastanza
elevata ma in condizioni fisiologiche notiamo che la reazione è prontamente reversibile e la
malato deidrogenasi mitocondriale funziona sia nella glucoenergenesi che nel ciclo
dell’acido citrico, anche se il flusso dei metaboliti dei due processi ha direzioni
completamente opposte. Il malato può uscire dal mitocondrio attraverso un trasportatore
specifico localizzato sulla membrana mitocondriale interna e nel citosol viene ridotto a una
molecola di ossalacetato con riduzione e produzione di NADH e NAD più H+ e l’ossalacetato
viene poi convertito in fosfoenolpiruvato carbossichinasi. Questo enzima magnesio
dipendente richiede GTP come donatore del gruppo fosforico. E’ una reazione reversibile
nella situazione intracellulari e avremo la formazione di un composto con elevato contenuto
energetico cioè la molecola di enolfosfopiruvato che è bilanciata dall’idrolisi di un altro
composto ad alto contenuto energetico che è rappresentato dalla molecola del GTP.
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Per fosforilare la molecola di piruvato a fosfoenolpiruvato sono necessari due gruppi
fosforici ad alta energia che in condizioni standard rendono ciascuno 50 kJ/Mole (in realtà si
è impappinata e non lo sa neanche lei quanto rendono).
Quando nella glicolisi fosfoenolpiruvato viene convertito il piruvato viene generata una sola
molecola di ATP da ADP.
NB. L’anidride carbonica ha perso nella reazione fosfoenolpiruvato carbossichinasi è la
stessa molecola che era stata aggiunta al piruvato nella reazione del piruvato carbossilasi.
(non ha senso questa frase, ho ascoltato 10 volte ma effettivamente dice così, scusate, ma
non so cosa volesse dire)
Questa conseguenza di reazione di carbossilazione e decarbossilazione rappresenta un
sistema di attivazione de piruvato in quanto per quanto riguarda la decarbossilazione
dell’ossalacetato facilita la formazione di fosfoenolpiruvato.
Un’altra condizione (una secoda deviazione) è data dal piruvato che viene trasformato in
fosfoenolpiruvato che diventa predominante quando il precursore della gluconeogenesi è
rappresentato dal lattato. In questa via viene utilizzato il lattato prodotto da una glicolisi
negli eritrociti o nel muscolo in particolare in vertebrati di grandi dimensioni dopo un
esercizio fisico prolungato. La conversione del lattato in piruvato nel citosol degli epatociti
genera già a livello citosolico una molecola di NAD. In queste condizioni non è più necessario
il trasporto dai mitocondri dei riducenti attraverso la formazione di malato. Il piruvato
prodotto dalla reazione della lattatodeidrogenasi viene trasportata all’interno dei
mitocondri dove viene trasformato in ossalacetato dal piruvato carbossilasi e in seguito
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l’ossalacetato che si è formato viene convertito a livello della matrice mitocondriale in
fosfoenolpiruvato dalla forma mitocondriale della fosfoenolpiruvato carbossichinasi
mitocondriale. Il prodotto di questa reazione esce dai mitocondri per entrare nella via
glucogenetica. I geni nucleari codificanole forme citosoliche mitocondriali di
fosfoenolpiruvato carbossichinasi e di conseguenza queste sono due forme esoenzimtiche
differenti. Questa è un’ulteriore dimostrazione che esistono enzimi distinti che anche se
catalizzano la stessa reazione hanno localizzazioni cellulari e forme metaboliche diverse.
(Seconda deviazione)
FORMAZIONE DI FRUTTOSIO 6-FOSFATO (non appartiene alla via gluconeogenesi) catalizzato
dalla FOSFOFRUTTOCHINASI-1 (PFK-1)
Nella cellula questa reazione è fortemente esoergonica, quindi irreversibile.
L’enzima magnese dipendete PFK-1 catalizza il fruttosio 6-fosfato a fruttosio 1,6-bifosfatasi;
promuove l’idrolisi del gruppo fosforico in posizione 1. Il fruttosio 1,6-bifosfatasi viene
chiamato così per distinguerlo dall’enzima fruttosio bifosfatasi-2 che ha una funzione
regolatoria.
La regolazione della fosfofruttochinasi 2 è data nel fegato dall’aumento dell’ormone
glucagone che in questo caso, al contrario dell’insulina, determina un aumento di AMPc
ciclico che attiverà l a protenchinasiA (PKA) che andrà a fosforilare la porzione chinasica
della fosfofruttochinasi 2 diventando inattiva e andando ad attivare la porzione fosfatasica
con ridimensione della concentrazione del fruttosio 2,6 bifosfato che andrà ad inibire la
glicolisi andando ad attivare il processo di gluconeogenesi. In questo caso avremo una forma
di regolazione per questo processo.
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(Terza deviazione)
DEFOSFORILAZIONE GLUCOSIO-6 FOSFATO A GLUCOSIO LIBERO
La reazione inversa dell’esochinasi richiederebbe il trasferimento del gruppo fosforico dal
glucosio 6-fosfato all’ADP con formazione di ATP, una reazione sfavorevole sotto l’aspetto
energetico. La reazione catalizzata dall’enzima glucosio 6-fosfatasi non richiede la sintesi di
ATP è semplicemente l’idrolisi di estere? (non si capisce bene) fosforico. Questo enzima la
cui utilità dipende dalla presenza di ioni magnesio si trova nel lume del reticolo
endoplasmatico negli epatociti, nelle cellule renali e quelle epiteliali dell’intestini tenue, ma
non è presente in tutti gli altri tessuti. Fondamentale perché il fegato deve rifornire il sangue
di glucosio. Se anche altri tessuti possedessero queste capacità la glucosio 6-fosfatasi
idrolizzerebbe il glucosio 6-fosfato necessario, invece per la glicolisi.
Ricaveremo una molecola di glucosio libero e una molecola di fosfato libero che saranno
trasportati all’esterno nel circolo epatico.
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La via biosintetica consente la sintesi di glucosio non solo dal piruvato ma anche da altri
intermedi a 4,5 o 6 atomi di carbonio nell’acido citrico.
Vediamo che gli amminoacidi che possono essere usati per la produzione di glucosio sono
detti gluconeogenici. L’analina e la glutammina sono particolarmente importanti nei
mammiferi. E sono le molecole che trasportano i gruppi amminici da tessuti extra epatici al
fegato. Il loro scheletro carbonioso viene utilizzato per la produzione di molecole di glucosio
dopo la rimozione (nei mitocondri) dei gruppi amminici. Nei mammiferi non sarà possibile
convertire gli acidi grassi in glucosio perché il catabolismo produce solo acetil CoA, ma i
mammiferi non possono usare acetil CoA come precursore del glucosio in quanto la
reazione del piruvato deidrogenasi è irreversibile e le cellule non possono determinare la
conversione dell’ acetil CoA in Piruvato; cosa che riescono a fare le piante i lieviti e altri
organismi e convertono l’acetil CoA in ossalacetato ( processo importante nella
germinazione dei semi).
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Il glicerolo fosfato deidrogenato (enzima) catalizza il glicerolo fosfato in Diidrossiacetone
fosfato che entrerà nella via della Gluconeogenesi per determinare la formazione di
glucosio. Il glicerolo fosfato diventa un intermedio fondamentale di sintesi di acidi gliceroli
negli adipociti, ma queste cellule non possiedono l’enzima glicerolo chinasi e quindi non
possono fosforilare il glicerolo.
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Quindi i mammiferi anche se non possono degradare gli acidi grassi per ottenere energia
immediata possono usare una piccola quantità del glicerolo prodotta dalla demolizione degli
acidi grassi per determinare il fenomeno del gluconeogenesi. La formazione del glicerolo ad
opera della glicerolochinasi seguita dall’ossidazione del carbonio centrale produce il
diossiacetonefosfato ? (ma per quale cazzolino di motivo non scandisce le parole
questa?????? PORCA DI QUELLA MISERIAAAAA) che è un intermedio della gluconeogenesi
all’interno del tessuto epatico.
CATABOLISMO DEL PIRUVATO IN ACETIL COA
In condizioni di normale apporto di ossigeno il piruvato entra nei mitocondri attraverso un
trasportatore di membrana specifico e viene trasformato in acetilCoA dal complesso
enzimatico della PIRUVATO DEIDROGENASI mitocondriale che determinerà la conversione di
una molecola di piruvato ad una molecola di acetil CoA con riduzione di una molecola di
NAD a NADH.
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Negli organismi aerobici il glucosio, gli altri zuccheri, gli acidi grassi e la maggior parte degli
amminoacidi sono ossidati ad anidride carbonica ed acqua attraverso il ciclo dell’acido
citrico e la catena respiratoria.
Prima però deve accadere che lo scheletro carbonioso degli zuccheri e degli acidi grassi deve
essere degradato a gruppo acetilico dell’ acetil CoA, la forma con cui il ciclo accetta la
maggior parte del combustibile metabolico. Il piruvato generato nel citosol dalla glicolisi
rappresenta un punto di inizio del metabolismo dei carboidrati, dei grassi e delle proteine. Il
piruvato che entra nei mitocondri può essere ossidato mediante il ciclo di KREBS con
produzione di energia oppure dopo la conversione di acetil CoA può essere utilizzato come
molecola di partenza per la sintesi degli acidi grassi e degli steroli.
Vediamo che nella glicolisi anaerobica non sarà possibile che il piruvato va in contro a
successiva ossidazione nel ciclo dell’acido citrico, ma semplicemente il piruvato viene ridotto
a lattato all’interno del citosol.
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E’ un processo di ossidazione irreversibile. Il gruppo carbossilico del piruvato viene rimosso
sotto forma di anidride carbonica e i due atomi di carbonio che restano al gruppo acetilico
dell’Acetil- CoA determinerà la formazione di Acetil Co-A (ennesima frase senza senso).
RICAPITOLANDO (sperando sia un minimo chiara)
Il piruvato è stato formato nella fase della glicolisi, successivamente va in contro a un
processo di degradazione per formare Acetil- CoA e questo processo è catalizzato da un
complesso multi enzimatico formato da E1, E2, E3 e prende il nome di complesso della
piruvato deidrogenasi. In questo caso la serie di questi intermedi chimici poterà al prodotto
finale dell’Acetil-CoA.
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E’ fondamentale assumere vitamine essenziali, come in questo caso la vitamina B1,B5,B2,
Nacina affinchè si possa creare questo complesso multi enzimatico per riuscire ad ottenere
come prodotto finale ATP senza della quale non ci sarebbe attività cellulare e il corpo arriva
alla morte.
Il FAD e il NAD determineranno la catena di trasporto di elettroni. La Tiamina pirofosfato ha
un ruolo fondamentale per il trasporto dell’anidride carbonica e del diossido di carbonio,
svolge un ruolo importante nel determinare la rottura del legame adiacente ai gruppi
carbonilici come la decarbossilazione degli alfachetoacidi e determina anche una sorta di
riarrangiamento chimico in cui il gruppo acetilico accettato viene trasferito da un atomo di
carbonio a un altro. La parte funzionante della Tiamina pirofosfato nell’anello tiazolico
possiede un protone relativamente acido sulla posizione 2, il distacco di questo protone
produce il Carbanione che diventa la parte attiva del complesso Tiamina pirofosfato (TPP).
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Il Carbanione si lega facilmente ai gruppi carbonilici, mentre l’anello tiazolico viene
posizionato in modo da fungere da trappola per gli elettroni per favorire le reazioni come la
decarbossilazione catalizzata dal piruvato decarbossilasi. La Tiamina Pirofosfato è la forma
coenzimatica della vitamina B1, l’atomo di carbonio reattivo dell’anello tiazolico nella
reazione catalizzata dalla piruvato decarbossilasi determinerà il trasferimento momentaneo
sotto forma di gruppo Idrossietilico che viene successivamente rilasciato come acetaldeide.
L’anello tiazolico della TPP stabilizza gli intermedi carbanionici, mentre la struttura
elettrofilica dove gli elettroni del Carbanione possono delocalizzarsi per risonanza
diventando una trappola per gli elettroni che hanno la funzione di facilitare la rottura del
legame carbonio carbonio di molte reazioni biochimiche.
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Un coenzima molto importante è rappresentato dal CoA che è un gruppo reattivo tiolico
essenziale per la funzione di trasportatori dei gruppi acilici in un certo numero di reazioni
metaboliche. I gruppi acilici formano dei legami tioestere quando formano un legame
covalente con il gruppo tiazolico del CoA.
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Un quinto cofattore è rappresentato dal Lipoato che ha due gruppi tiazolici che possono
essere ossidati in modo reversibile e formare un ponte di solfuro, simile a quello che si
genera nei residui di cisteina in una proteine. Funge da trasportatore di elettroni e di gruppi
acidici.
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L'acido lipoico è una molecola anfipatica di piccole dimensioni,[2] formata di otto atomi di
carbonio, due di ossigeno nel gruppo carbossilico e due di zolfo. In natura esiste sotto due
forme, come disolfuro ciclico (forma ossidata) o come catena aperta con il nome di acido
diidrolipoico, che mostra due gruppi sulfidrilici in posizione 6 e 8; le due forme sono però
facilmente interconvertibili tramite reazioni redox.L'acido alfa lipoico può andare incontro
sia a reazioni di ossidoriduzione, sia fungere da trasportatore di elettroni o di gruppi acetilici.
Nell’anello dell’acido lipoico esiste una certa tensione ( 3-6 kcal/mol) che rende ragione
della sensibilità del legame zolfo-zolfo all’azione di agenti elettrofili, nucleofili o all’azione di
energia radiante. Il ponte zolfo-zolfo può essere scisso, come si è detto anche per azione
di agenti nucleofili.
I seguenti agenti nucleofili sono disposti in ordine decrescente di nucleofilicità nei confronti
dello zolfo:
idruro >fosfina > tiolo > amminotiolo > tiofenolo ≅ cianuro > solfato > ossidrile > pnitrofenolo > tiosolfato > tiocianato.
Nel caso in cui l’agente nucleofilo sia un carbanione del tipo X-C–( R )-OH dall’apertura
dell’anello dell’acido lipoico si ottiene l’acido 6-S- acildiidrolipoico.
L’acido lipoico e questo meccanismo di azione sono presenti nella decarbossilazione
ossidativa degli α-chetoacidi. Il gruppo acilico è poi trasferito al coenzima A mentre l’acido
diidrolipoico viene riossidato.
È altamente assorbibile attraverso la membrana cellulare, svolgendo la sua azione
antiossidante all'interno e a all'esterno della cellula.L'acido lipoico è un cofattore di
numerosi enzimi che intervengono nella decarbossilazione ossidativa del piruvato e di
altri chetoacidi, venendovi continuamente rigenerato. Svolge un ruolo importante anche nel
controllo del glucosio.
MECCANISMO D’AZIONE DELLA PIRUVATO DEIDROGENASI
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Abbiamo l’azione consecutiva all’interno del complesso piruvato deidrogenasi che
catalizzano ben 5 diverse reazioni consecutive ( frase senza senso) nel complesso di
decarbossilazione e deidregenazione del piruvato.
Nella prima tappa avviene l’azione catalizzata da piruvato decarbossilasi dove l’atomo sul
carbonio in posizione 1 del piruvato viene rilasciato sotto forma di ossido di carbonio e
l’atomo in posizione 2 viene legato alla tiamina bi-fosfato come al gruppo idrossietilico. La
prima tappa è la più lenta e limita l’intera velocità di tutto il processo enzimatico.
Nella tappa 2 il gruppo idrossietilico viene ossidato a gruppo carbossilico e quindi ad acetato
e i due elettroni rimossi dalla reazione vanno a ridurre il ponte di solfuro del gruppo
lipolitico sull’enzima E2 formando 2 gruppi tiolici liberi. Il residuo acetilico in questa reazione
redox viene prima esterificato da uno dei due gruppi tiolici del lipopoato e poi trans
esterificato con il CoA formando l’acetil CoA.
Nella terza reazione vediamo che l’en. dell’ossidazione guida la formazione del legame
tioestere ad alta energia tra acetato e CoA e la restante parte della reazione è catalizzata dal
complesso della piruvato deidrogenasi e la serie di trasferimenti elettrocini nececessati a
rigenerare la forma ossidata del gruppo lipoico dell’enzima E2 e preparare il complesso per
un altro ciclo di ossidazione. Gli elettroni rimossi dal gruppo idrossietilico derivato dal
piruvato passano transitando dal FADH2 al NAD e quindi il FAD rientra nella forma ossidata
dell’enzima di tipo E3. Il punto centrale di questo processo è rappresentato dal braccio
mobile del gruppo lipolisinico dell’enzima E2, il quale accetta dall’enzima E1 i due elettroni e
quindi passa agli elettroni E3. Le cinque reazioni mostrate in slide sottolineano gli interventi
con le molteplici tappe non si allontanano mai dal complesso e la concentrazione locale del
substrato E2 viene mantenuta molto elevata.
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Quindi abbiamo in queste tappe prima di tutto la rimozione del diossido di carbonio da una
molecola di piruvato prima che si lega alla tiamina bi-fosfato. Poi il gruppo acetato va a
unirsi al Lipoato e successivamente il gruppo acidico viene trasferito a quello che è il CoA
formando l’acetil CoA.
Contemporaneamente il braccio del Lipoato va in contro a una reazione di ossidazione e si
ha l’utilizzo di una molecola di FADH2 e una volta formato nuovamente il braccio tramite
ponte di solfuro, viene effettuata un operazione di reidratazione per il passaggio degli
elettroni andando a distruggere la formazione del braccio del Lipoico in modo tale da
formare nuovamente il ponte di solfuro presente e così anche la Lipoisina ?? (come sempre
non lo ha pronunciato in modo chiaro) ossidata che sarà pronta nuovamente per un nuovo
ciclo.
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Regolazione dell’attività del complesso della piruvato deidrogenasi
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Nei mammiferi, la regolazione dell’attività del complesso della piruvato deidrogenasi è
essenziale, sia nello stato di digiuno che in quello alimentato. Infatti, il complesso
multienzimatico svolge un ruolo centrale nel metabolismo in quanto, catalizzando la
decarbossilazione ossidativa irreversibile del piruvato, rappresenta la porta di ingresso dello
scheletro carbonioso dei carboidrati e di circa il 50% dello scheletro carbonioso degli
amminoacidi glucogenici, che nell’insieme costituiscono circa il 60% dell’apporto calorico
giornaliero, verso:
 il ciclo dell’acido citrico, e quindi alla completa ossidazione a CO2;
 la sintesi degli lipidi (nello stato alimentato) e dell’acetiolcolina
L’importanza della regolazione della conversione del piruvato in acetil-CoA è sottolineata
anche dal fatto che i mammiferi, sebbene siano in grado di produrre glucosio dal piruvato,
non sono in grado di farlo dall’acetil-CoA, sia a causa della irreversibilità della reazione
catalizzata dalla piruvato deidrogenasi che dell’assenza di vie metaboliche alternative in
grado di farlo. L’inibizione dell’attività del complesso permetterà quindi di risparmiare
glucosio e gli aminoacidi che possono essere convertiti in piruvato, come l’alanina, quando
sono disponibili altri carburanti, ad esempio l’acetil-CoA derivante dall’ossidazione degli
acidi grassi.
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Il fabbisogno energetico regola il ciclo dell’acido citrico agendo a livello delle tre tappe
fortemente esoergoniche del ciclo: citrato sintasi, isocitrato deidrogenasi e alfachetoglutarato deidrogenasi.
I meccanismi di controllo dipendono dalla disponibilità dei substrati, dall’inibizione da parte
dei prodotti, dalle modificazioni covalenti e dagli effetti allosterici.
Il ciclo di Krebs è regolato all’interno del mitocondrio dallo stato energetico (ATP/ADP) della
cellula. L’attività globale dipende dalla disponibilità di NAD+ e FAD (coenzimi redox ossidati)
per le reazioni di deidrogenazione. Questa disponibilità dipende, a sua volta, dalla velocità di
ossidazione dei coenzimi redox ridotti (NADH e FADH2) nella fosforilazione ossidativa, che è
in stretta relazione al rapporto ATP/ ADP. (CONCETTO RIPETUTO Più VOLTE)
L’ossigeno (O2) non partecipa direttamente al ciclo dell’acido citrico. Tuttavia, il ciclo opera
soltanto in condizioni aerobiche perché il NAD+ e il FAD possono venire rigenerati nei
mitocondri soltanto mediante il trasferimento di elettroni all’ossigeno molecolare. Mentre la
glicolisi si può svolgere sia in modo aerobico che anerobico, il ciclo dell’acido citrico è
strettamente aerobico.
Per questi motivi l’attività del complesso è finemente regolata attraverso:
 inibizione a feed-back, anche nota come inibizione da prodotto finale;
 nucleotidi;
 modificazioni covalenti, ossia fosforilazioni e defosforilazioni di specifiche proteine
bersaglio.
Regolazione dell’attività del complesso della piruvato deidrogenasi attraverso inibizione da
prodotto finale e stato energetico della cellula
L’attività della forma defosforilata del complesso della piruvato deidrogenasi è regolata
attraverso inibizione a feed-back o inibizione da prodotto finale.
Acetil-CoA e NADH inibiscono allostericamente gli enzimi che ne catalizzano la sintesi,
rispettivamente diidrolipoil transacetilasi e la diidrolipoil deidrogenasi.
Inoltre, il CoA e l’acetil-CoA, così come il NAD+ ed il NADH, competono per i siti di legame
sui rispettivi enzimi, i quali catalizzano reazioni reversibili. Questo significa che, in presenza
di elevati valori dei rapporti [NADH]/[NAD+] e [Acetil-CoA]/[CoA], le reazioni di
transacetilazione e deidrogenazione vanno nella direzione opposta rispetto a quella della
formazione dell’acetil-CoA; di conseguenza la diidrolipoil transacetilasi non può accettare il
gruppo idrossietilico dalla TPP in quanto è mantenuta nella forma acetilata. Questo fa si che
la tiamina pirofosfato rimanga legata alla piruvato deidrogenasi nella sua forma
idrossietilica, il che a sua volta riduce la velocità di decarbossilazione del piruvato. Quindi,
elevati valori dei rapporti [NADH]/[NAD+] e [Acetil-CoA]/[CoA] influenzano
indirettamente l’attività della piruvato deidrogenasi.
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PDC: Inibizione a Feed-back
Acetil-CoA e NADH sono prodotti anche durante l’ossidazione degli acidi grassi, via
metabolica che, al pari delle reazioni catalizzate dal complesso della piruvato deidrogenasi,
si verifica nel mitocondrio. Questo significa che la cellula, attraverso la regolazione
dell’attività del complesso multienzimatico, è in grado di preservare le riserve di carboidrati
quando sono disponibili acidi grassi per la produzione di energia. Questo per esempio è
quanto accadde nel digiuno, quando il fegato, il muscolo scheletrico e molti altri organi e
tessuti si affidano principalmente all’ossidazione degli acidi grassi per la produzione di
energia. Di contro, l’attività del complesso è aumentata nello stato alimentato, quando molti
differenti tipi di cellule e tessuti utilizzano in prevalenza il glucosio come fonte di energia.
Più in generale, quando la produzione di NADH e/o acetil-CoA supera la capacità della
cellula di utilizzarli per la produzione di ATP, l’attività del complesso della piruvato
deidrogenasi è inibita. Analogo discorso vale nella condizione in cui non ci sia necessità di
produrre ulteriore ATP. Infatti l’attività catalitica del complesso multienzimatico è sensibile
anche allo stato energetico della cellula. Attraverso meccanismi allosterici, elevati livelli di
ATP inibiscono l’attività della componente piruvato deidrogenasi del complesso
multienzimatico, mentre elevati livelli di ADP, che segnalano che la cellula potrebbe entrare
in una fase di carenza di energia, lo attivano, indirizzando quindi lo scheletro carbonioso dei
carboidrati e di alcuni aminoacidi verso la produzione di energia.
Nota: nel muscolo scheletrico l’attività del complesso della piruvato deidrogenasi aumenta
con l’aumento dell’attività aerobica, il che si traduce in una maggiore dipendenza del
muscolo dal glucosio come fonte di energia.
Regolazione dell’attività del complesso della piruvato deidrogenasi attraverso
fosforilazione/defosforilazione
A differenza di quanto accade nei procarioti, nei mammiferi l’attività del complesso della
piruvato deidrogenasi è regolata anche attraverso modificazioni covalenti, ossia
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fosforilazioni e defosforilazioni di tre specifici residui di serina presenti sulla subunità α della
piruvato deidrogenasi, l’enzima che catalizza il primo passaggio, irreversibile dell’intera
sequenza di reazioni.
Nota: poiché la piruvato deidrogenasi dei mammiferi è un eterotetramero, ci sono sei
potenziali siti di fosforilazione.
PDC: Regolazione Mediante Modificazione Covalente
La fosforilazione, che inattiva la piruvato deidrogenasi, e quindi blocca l’intera sequenza di
reazioni, è catalizzata dalla piruvato deidrogenasi chinasi. Due delle suddette serine si
trovano su una delle due anse presenti all’ingresso del canale per il substrato che porta al
rispettivo sito attivo, quella più vicina all’estremità C-terminale, e la fosforilazione di uno
solo di questi residui inattiva la piruvato deidrogenasi, dimostrando così la l’accoppiamento
fuori fase tra i due siti attivi.
Nello stato defosforilato invece il complesso risulta attivo. La defosforilazione è catalizzata
da una specifica protein fosfatasi, la piruvato deidrogenasi fosfatasi.
Le attività della piruvato deidrogenasi chinasi e della piruvato deidrogenasi fosfatasi sono a
loro volta soggette a regolazione allosterica da parte di numero effettori.
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Regolazione dell’attività della piruvato deidrogenasi chinasi
L’attività della piruvato deidrogenasi chinasi dipende dal valore dei rapporti [NADH]/[NAD+],
[acetil-CoA]/[CoA], e [ATP]/[ADP], come anche dalla concentrazione del piruvato,
nella matrice mitocondriale
 Elevati valori dei rapporti [NADH]/[NAD+] e [acetil-CoA]/[CoA], come nel corso dell’
ossidazione degli acidi grassi e dei corpi chetonici, attivano la chinasi, la piruvato
deidrogenasi viene fosforilata, e il complesso multienzimatico risulta inibito. Questo
permette ai tessuti, come ad esempio il muscolo cardiaco, di risparmiare glucosio quando
si stanno utilizzando acidi grassi e/o corpi chetonici per la produzione di energia, in
quanto la sintesi di acetil-CoA dal piruvato, e quindi dai carboidrati (e da alcuni
aminoacidi) e bloccata.
Quando invece le concentrazioni di NAD+ e coenzima A sono elevate l’attività catalitica
della chinasi è inibita ed il complesso risulta attivo.
Quindi, acetil-CoA e NADH, due dei tre prodotti finali delle reazione catalizzate dal
complesso della piruvato deidrogenasi, controllano allostericamente la propria sintesi
regolando direttamente e indirettamente, tramite la regolazione dell’attività della
piruvato deidrogenasi chinasi, l’attività del complesso multienzimatico.
 Elevati valori del rapporto [ATP]/[ADP] attivano la chinasi, e quindi inibiscono il
complesso multienzimatico.
Nota: a differenza di molte altre chinasi, come quelle che intervengono nel controllo del
metabolismo del glicogeno, la piruvato deidrogenasi chinasi non è regolata dai livelli di
cAMP, bensì da molecole che segnalano variazioni nel livello della carica energetica della
cellula e nella disponibilità di intermedi biosintetici, ossia rispettivamente ATP e NADH e
acetil-CoA.
 Il piruvato è un effettore allosterico negativo della piruvato deidrogenasi chinasi.
Quando i suoi livelli sono elevati, il suo legame alla chinasi la inattiva, la piruvato
deidrogenasi non viene fosforilata, ed il complesso della piruvato deidrogenasi
rimane attivo.
 La piruvato deidrogenasi chinasi è attivata anche a seguito dell’interazione con la
diidrolipoil transacetilasi nella sua forma acetilata, ossia quando è presente la acetildiidrolipoamide.
Altri attivatori della piruvato deidrogenasi chinasi sono gli ioni potassio e magnesio.
Regolazione dell’attività della piruvato deidrogenasi fosfatasi
L’attività della piruvato deidrogenasi fosfatasi dipende dal valore dei rapporti
[NADH]/[NAD+] e [acetil-CoA]/[CoA], come anche dalla [Ca2+], nella matrice mitocondriale
 Bassi valori dei rapporti [NADH]/[NAD+] e [acetil-CoA]/[CoA] attivano la fosfatasi, la
piruvato deidrogenasi viene defosforilata, e il complesso multienzimatico risulta attivo.
Al contrario, in presenza di elevati valori dei suddetti rapporti l’attività della fosfatasi si
riduce, quella della chinasi aumenta, e il complesso multienzimatico viene inibito.
 Lo ione calcio attiva la piruvato deidrogenasi fosfatasi.
Ca2+ è un importante secondo messaggero che segnala la necessità da parte della cellula
di ulteriore energia. Quindi, quando è presente in elevate concentrazioni, come nelle
cellule muscolari cardiache a seguito della stimolazione da parte dell’adrenalina, o nella
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cellule muscolari scheletriche nel corso della contrazione muscolare, la fosfatasi è attiva,
il complesso è defosforilato, e quindi attivato.
 Anche l’insulina interviene nel controllo dell’attività catalitica del complesso della
piruvato deidrogenasi attraverso l’attivazione della piruvato deidrogenasi fosfatasi.
L’ormone, in risposta all’aumento della glicemia, stimola sia la sintesi del glicogeno che
dell’acetil-CoA, precursore nella sintesi degli lipidi.
Anche il digiuno e la successiva rialimentazione influiscono sull’attività del complesso
multienzimatico.
In tessuti come il muscolo scheletrico, il muscolo cardiaco o il rene, il digiuno riduce in modo
significativo l’attività del complesso, mentre la rialimentazione inverte la situazione.
Nel cervello invece non si osservano queste variazioni poiché l’attività del complesso della
piruvato deidrogenasi è essenziale per la produzione di ATP.
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Prende il nome di anfibolico perché svolge funzioni sia cataboliche che anaboliche.
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LE TAPPE DEL CICLO DI KREBs
Le otto reazioni (si svolgono in modo ciclico) che costituiscono il ciclo di Krebs
Possiamo raggruppare queste 8 reazioni in 2 fasi:
-nella prima fase si parte da una molecola di Acetil-CoA che reagendo con l’ossalacetato
forma il Citrato, il quale dopo una serie di reazioni perde 2 atomi di Carbonio sotto forma di
anidride carbonica; trasformandosi in una forma attivata a 4 atomi di carbonio che prende il
nome di Succinil-CoA.
- nella seconda fase il Succinil-CoA viene riconvertito il ossalacetato permettendo di
sviluppare nuovamente la serie di reazioni chimiche
Reazione 1 Condensazione di Acetil-CoA e ossalacetato – La prima reazione del ciclo è la
condensazione dell'acetil-CoA con l'ossalacetato per formare il citrato.L'enzima che catalizza
la reazione è la citrato sintasi. Una volta formato l’ntermedio Acetil-CoA-Ossalacetato, una
molecola di acqua attacca il gruppo acetile provocando il rilascio del Coenzima A dal
complesso, che è così trasformato in una molecola di Citrato. La reazione libera il CoenzimaA che può partecipare alla decarbossilazione ossidativa di un'altra molecola di piruvato da
parte del complesso della piruvato deidrogenasi. In questo caso la reazione è fortemente
esoergonica e non è reversibile. Il citrato è anche un inibitore allosterico della
fosfofruttochinasi della via glicolitica.
Reazione 2: Deidratazione-Idratazione del citrato – Nella seconda reazione, il citrato viene
disidratato dall'enzima aconitasi. Cioè una molecola d’acqua viene rimossa dal Citrato e
ricollocata in un'altra posizione.Si forma un intermedio insaturo chiamato cis-aconitato che,
per mezzo dello stesso enzima aconitato, viene idratato per formare l'isocitrato. L’effetto di
questa reazione è un’ isomerizzazione del gruppo ossidrile (OH) dal carbonio in posizione 3
al C in posizione 4.
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Reazione 3: Decarbossilazione ossidativa dell'isocitrato – L'enzima isocitrato deidrogenasi
catalizza la decarbossilazione ossidativa (ossidazione del gruppo –OH sul carbonio 4)
riducendo una prima molecola di NAD+ a NADH. Successivamente l’ntermedio formatosi
viene decarbossilato, perde il gruppo carbossilico (COO) legato al carbonio 3 sotto forma di
molecola di anidride carbonica generando Alfa-Chetoglutarato.
Reazione 4: Decarbossilazione ossidativa dell'α-chetoglutarato deidrogenasi – A questo
punto l'α-chetoglutarato viene convertito in succinil-CoA ed anidride carbonica, da parte del
complesso dell'α-chetoglutarato deidrogenasi. Complesso che utilizza anche il CoA (che si
lega al posto dello spazio che occupava l’anidride carbonica parsa) e il NAD+ per completare
la reazione. L'anidride carbonica viene dunque liberata dal sistema. Simile al complesso già
affrontato della Piruvato deidrogenasi (presenza dei 3 enzimi con i 5 cofattori).
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Reazione 5: Fosforilazione a livello del substrato del Succinil-CoA Sintetasi – In questa
reazione viene generata una molecola di GTP. Un gruppo fosfato inorganico si sostituisce al
legame ad alta energia (Tioestere) con cui è legato il Coenzima A. Successivamente il gruppo
fosfato è ceduto ad una molecola di GDP trasformandolo in GTP. Processo che porta alla
formazione del succinato.
Reazione 6: Deidrogenazione (reversibile) del Succinato – Il succinato, formato nella
reazione precedente, viene quindi ossidato a fumarato da parte della succinato
deidrogenasi. In questa reazione interviene l'enzima succinato deidrogenasi che strappa dal
succinato due protoni (ottenuti da 2 atomi di idrogeno dalla molecola di succinato)
trasferendoli al FAD che diventa FADH2. Il fumarato viene, dunque, sintetizzato.
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Reazione 7: Idratazione del fumarato – Il fumarato viene idratato mediante l'enzima
fumarato idratasi. Viene utilizzata una molecola d’acqua per raggiungere un gruppo ossidrile
sul carbonio 2 e un protone sul carbonio 3. Il cui prodotto è il Malato, un’ enzima altamente
stereospecifico, che porta alla formazione di L-malato. Anche in questo caso, la reazione è
modestamente esoergonica per cui è reversibile.
Reazione 8: Deidrogenazione del L-Malato – L'ultima reazione del ciclo è rappresentata
dall’ossidazione dell’enzima L-malato ad ossalacetato. La catalizzazione avviene ad opera
dell’enzima L-malato deidrogenasi NAD-dipendente, che riduce una molecola di NAD a
NADH. Tramite questa reazione che prevede il ripristino della molecola di ossalacetato, si
conclude il ciclo di Krebs , che a questo punto può proseguire con i cicli successivi. Queste
otto reazioni, costituendo un ciclo, possono continuare all’infinito, liberando l’energia
contenuta nei legami delle molecole che si sono formate con la glicolisi e liberando in
seguito gli atomi di carbonio sottoforma di CO2. La CO2 che viene eliminata durante
l’espirazione dai polmoni, è quella che proviene dai cicli di Krebs che si susseguono nei
miliardi di mitocondri delle cellule del nostro corpo. Di per sé il ciclo di Krebs non produce
energia liberamente utilizzabile, se non nella reazione tra succinil-Coa e succinato, dove si
assiste alla formazione di GTP facilmente convertibile in ATP. Per finire, nel corso del ciclo di
Krebs si producono in tutto 6 molecole di CO2, 2 di ATP e 10 di NADH per ogni molecola di
glucosio iniziale.
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ATTENZIONE: La regolazione del ciclo di krebs dipende dalla disponibilità dei substrati e
dall’inibizione di 3 enzimi chiave:
- Citrato Sintasi: Inibito da Citrato, NADH, ATP, Succinil-CoA
- Isocitrato Sintasi: Inibito da NADH e ATP. Attivato da ADP e da ioni calcio
- Alfa-Chetoglutarato Deidrogenasi: Inibito da NADH, Succinil-CoA. Attivato da ioni
calcio
Dove avviene il ciclo di Krebs
Il ciclo di Krebs si verifica all’interno dei mitocondri organismi eucarioti, mentre
negli organismi procarioti prende luogo nel citoplasma.
Più nello specifico, il ciclo di Krebs negli eucarioti ha luogo nella matrice mitocondriale. Essa
circonda le creste dei mitocondri ed è composta da una soluzione densa che contiene gli
enzimi utili alle reazioni biochimiche del processo, dai fosfati ai coenzimi.
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Piu 2 molecole di anidride carbonica.
Alla fine del ciclo viene rigenerata una molecola di ossalacetato. Bisogna notare che i 2
atomi di carbonio che sono stati eliminati sotto forma di anidride carbonica, in realtà non
sono gli stessi che sono entrati sotto forma di gruppo acetilico e sono necessari altri 3 giri
del ciclo affinchè gli atomi entrati come unità acetiliche possono uscire sotto forma di
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anidride carbonica. Nel ciclo di krebs si produce una sola molecola di ATP a giro, ma nei 4
giri che avvengono vengono liberati molti elettroni che sono trasferiti da NAD e FAD nella
catena respiratoria determinando la produzione di un gran numero di molecole di ATP IN
QUELLO che è il processo di FOSFORILAZIONE OSSIDATIVA.
CICLO DEL GLIOSSILATO
E’ un ciclo che non avviene negli esseri umani, avviene in alcuni invertebrati e alcuni
microrganismi e nelle piante. Con l’utilizzo di acetil Co-A riescono a produrre energia o
convertito per formare carboidrati.
Questo ciclo inizia con la condensazione di una molecola (come nel ciclo degli acidi
carbossilici) dell’acetil CoA con l’ossalacetato catalizzata dalla citrato sintasi per formare una
molecola di citrato. Poi entra in atto l’aconitasi che forma l’Isocitrato. In questo momento
vediamo la presenza di un nuovo enzima diverso dal ciclo dell’acido citrico; questo enzima è
l’isocitrato liasi che scinde l’Isocitrato in succinato e gliossilato (da cui prende il nome il
ciclo). Il gliossilato che si condensa con una seconda molecola di Acetil Co-A formando
Malato nella reazione catalizzata dall’enzima malato sintasi. Il Malato a sua volta grazie
all’enzima Malato deidrogenasi forma Ossalacetato e si può ricominciare il ciclo. In questo
ciclo vengono usate due molecole di Acetil-CoA e la formazione netta di 1 molecola di
succinato che può essere disponibile per i processi di biosintesi. (prima aveva detto 2
molecole di succinato oma nella slide c’è scritta una sola molecola) Pertanto il succinato può
essere convertito in ossalacetato attraverso gli intermedi fumarato e Malato e poi in
fosfoenol piruvato e quindi può essere utilizzato come precursore del glucosio e dunque
nella gluconeogenesi.
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Nei vertebrati questo processo non può essere utilizzato proprio perché manca l’enzima
Isocitrato liasi e quindi non possono sintetizzare il glucosio a partire da quelli che sono i
lipidi.
LA FOSFORILAZIONE OSSIDATIVA
Ha inizio con l’ingresso degli elettroni nella catena respiratoria. Elettroni raccolti dalle
deidrogenasinei processi catabolici e trasferiti sulle molecole coenzimatiche NAD+/FAD.
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Durante alcuni processi catabolici, come la glicolisi o la β-ossidazione degli acidi grassi, il
NAD+ (ricevendo gli elettroni trasferiti dagli enzimi) si trasforma in a NADH, che
successivamente trasferirà gli elettroni ossidandosi nuovamente a NAD+ (questo processo
avviene in modo particolare durante la fosforilazione ossidativa per mezzo della catena di
trasporto degli elettroni che viene accoppiata alla produzione di ATP). Il NAD+H viene
utilizzato nelle reazioni anaboliche.
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Nella fosforilazione ossidativa ci sono 3 tipi di trasferimento di elettroni:
Nella catena di trasporto agiscono altri 3 gruppi di trasportatori:
-UBICHINONE
-CITOCROMI
PROTEINE FERRO-ZOLFO
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NADH→ COMPLESSO I→ COENZIMA Q→ COMPLESSO III→ COTOCROMO C→ COMPLESSO IV
→O2
↓
COMPLESSO II
↓
SUCCINATO
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COMPLESSO I: NADH- ubichinone- Ossidoreduttasi. Questa proteina di membrana catalizza il
trasferimento di 2 elettroni dal coenzima ridotto NADH al trasportatore solubile Ubichinone
(o Coenzima Q). la reazione avviene attraverso diversi passaggi. Inizialmente il NADH viene
ossidato a NAD+, riducendo il Favim Mononucleotide a FMNH2 con il trasferimento
simultaneo dei 2 elettroni. Dopodichè ciascun elettrone viene trasferito singolarmente
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passando per diversi centri Ferro-Zolfo e successivamente viene donato all’Ubichinone, che
al primo ciclo forma un radicale semichinonico e al secondo ciclo viene completamente
ridotto a Ubichinolo (QH2).
COMPLESSO II: SUCCINATO- CoQ- REDUTTASI. La reazione del complesso II è una via
alternativa del Complesso I e catalizza anch’essa il trasferimento di elettroni al coenzima Q.
il complesso II è di fatto l’enzima che catalizza la sesta reazione del ciclo di Krebs
trasformando il succinato in fumarato ed è l’unico enzima del ciclo di krebs che si trova
legato ad una membrana. Durante la reazione viene ridotta una molecola di FADH2, la quale
cede gli elettroni ai centro ferro-zolfo del complesso II ed infine all’ubichinone. Nel
complesso II non vengono trasferiti i protoni come al complesso I.
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COMPLESSO III: CoQH2- CitocromoC- Ossidoriduttasi. L’ossidazione del’Ubichinolo da parte
del complesso III avviene in modo ciclico in un processo che si chiama Ciclo Q. I due elettroni
trasportati dal Coenzima Q vengono strappati uno alla volta generando un intermedio
semichinonico e poi trasferiti sui centri zolfo-ferro presenti sul complesso III, dove vengono
pompati 4 protoni nello spazio intermembrana (cioè 2 protoni per ogni ciclo di 1 elettrone ).
Infine ogni elettrone viene trasferito su una molecola del trasportatore solubile Citocromo
C.
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Contiene due siti di legame per Q: QP e QN CICLO DELL’UBICHINONE (CICLO Q) : 1. una
prima molecola di QH2 legata a QP cede separatamente un e- al citocromo c e l’altro ad una
molecola di Q legato a QN: si forma una molecola di citocromo c ridotto e una molecola di
radicale anionico semichinonico.
Q neoformato abbandona il complesso.
2. una seconda molecola di QH2 cede un e- al citocromo c e l’altro al radicale: si forma
citocromo c e QH2. il secondo trasferimento di e- comporta la captazione di due protoni
dalla matrice. Q neoformato abbandona il complesso. Seconda pompa protonica (4 H+ per
ogni coppia di e-).
Il ciclo Q incanala gli e- da un trasportatore a due e- ad un trasportatore a un e-. Il citocromo
c è una proteina solubile dello spazio intermembrana Il citocromo c ridotto a livello del
complesso III si sposta verso il complesso IV per cedere l’ e-.
COMPLESSO IV: CitocromoC-Ossidasi. Questa è l’ultima tappa del lungo percorso degli
elettroni.
Il trasferimento di e- dal citocromo c ridotto a O2 avviene attraverso: centro CuA, gruppo
eme a,centro a3-CuB i protoni necessari per formare H2O vengono prelevati dalla matrice il
flusso degli elettroni attraverso il complesso determina lo spostamento di protoni dalla
matrice allo spazio intermembrana (terza pompa protonica – 2H+ per ogni coppia di e-).
4 molecole di citocromo vengono ossidate dal complesso IV passando per dei centri
contenenti atomi di rame. Gli elettroni vengono infine donati all’ossigeno molecolare O2 che
funge da accettore finale. I due atomi di ossigeno che compongono la molecola vengono
scissi e ridotti dai 4 elettroni e combinandosi con 4 protoni (prelevati dalla matrice
mitocondriale) si trasformano in 2 molecole di acqua. Durante il processo vengono pompati
altri 4 protoni nello spazio intermembrana.
TEORIA CHEMIOSMOTICA
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Le nostre conoscenze sulla sintesi di ATP sono sostanzialmente basate sull’ipotesi, proposta
da Peter Mitchell nel 1961, in cui la traduzione energetica avviene mediante la creazione di
gradienti protonici transmembrana associati al trasferimento elettronico: la teoria
chemiosmotica. La membrana esterna sappiamo essere permeabile, al contrario di quella
interna che non lo è affatto, anche nei confronti di piccole molecole e di quasi tutti gli ioni
compresi i protoni (H+ ); le sole specie chimiche che possono attraversare la membrana
sono quelle che possiedono uno specifico trasportatore inserito nella membrana stessa.
Queste sono le caratteristiche fondamentali per la creazione e il mantenimento del
gradiente protonico. La catena respiratoria riceve gli elettroni da equivalenti riducenti che
entrano da punti separati. Gli equivalenti riducenti sono il NADH (nicotinammide adenin
dinucleotide) e il FADH2 ( flavina adenin dinucleotide), che trasferiscono gli elettroni ai
complessi respiratori. Qui gli elettroni percorrono i centri redox del complesso, da quello
con potenziale negativo, verso quello a potenziale positivo (questo fa sì che il trasporto degli
elettroni lungo la catena sia un processo esoergonico) fino alla conversione di ossigeno
molecolare in acqua. Il potenziale redox standard della coppia NADH-NAD+ è di -320mV,
indice di una forte tendenza a donare elettroni, mentre quello della coppia H2O-½O2 è di
820 mV, indice di una forte tendenza ad accettare elettroni. Gli elettroni del NADH sono
trasferiti al Complesso I e poi al CoQ, mentre quelli del succinato sono trasferiti al
Complesso II e da qui al CoQ. Dal CoQ gli elettroni passano al Complesso III, al citocromo c,
poi al Complesso IV e infine all’ ossigeno molecolare per dare H2O. L’energia libera resa
disponibile dal flusso di elettroni è accoppiata al trasporto endoergonico di protoni
attraverso la membrana mitocondriale interna. Tale trasporto protonico produce sia un
gradiente chimico (∆pH) sia un gradiente elettrico (∆Ψ). Si genera così una forza
elettromotice protonica che spinge i protoni dallo spazio intermembrana verso la matrice;
poichè la membrana interna è impermeabile ai protoni questi, per rientrare, devono
attraversare il canale transmembrana specifico del settore F0 della ATP sintasi (o Complesso
V). La forza motrice che spinge i protoni verso la matrice fornisce l’energia necessaria alla
sintesi di ATP, catalizzata dal settore F1 della ATP sintasi. Parte dell’ATP è utilizzata per i
bisogni propri del mitocondrio, ma la maggior parte è trasportata fuori dall’organello
mediante il traslocatore adeninnucleotidico (ANT) ed è usata per le diverse funzioni cellulari.
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Ricapitolando: Gli elettroni passano attraverso una catena di trasportatori disposti in
maniera asimmetrica nella membrana interna. Il flusso degli elettroni è accompagnato da
traslocazione di protoni attraverso la membrana che produce un gradiente chimico ed
elettrico. La membrana mitocondriale interna è impermeabile ai protoni, che per rientrare
devono attraversare i canali proteici del complesso Fo. La forza motrice protonica che spinge
i protoni verso la matrice fornisce l’energia per la sintesi di ATP, catalizzata dal complesso F1
associato ad Fo (ATP sintasi).
2,4 deidrofenolo e FCCP sono detergenti in grado di disaccoppiare il processo di
fosforilazione ossidativa.( non capisco a cosa ci serve sapere sta cosa ma vabbè…)
ATP SINTASI
Gli studi cristallografici di Walker hanno fornito dati strutturali utili per comprendere il
meccanismo catalitico dell’enzima.
L’ ATP sintasi mitocondriale o F1F0 ATPasi o Complesso V , è un enzima funzionalmente
reversibile, può sintetizzare l’ATP usando la forza motrice protonica attraverso la membrana
e può idrolizzare l’ATP per pompare protoni contro un gradiente elettrochimico.
Il componente F1, contiene diversi siti di legame per l’ATP e l’ADP, compreso il sito catalitico
in cui avviene la sintesi dell’ATP. E’ un complesso proteico periferico che resta unito alla
membrana mediante interazioni con il componente Fo, complesso proteico integrale di
membrana, che costituisce un canale trans-membrana attraverso il quale possono passare i
protoni. Fotografie al microscopio elettronico del Complesso V hanno mostrato che la
struttura ha la forma di un pomello dove F1 è la testa globulare e Fo è la base, normalmente
inserita nella membrana. Anche il complesso completo, come la parte F1 isolata, può
idrolizzare l’ATP, ma la sua funzione biologica resta quella di produrre ATP a partire da ADP
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e Pi. Ogni complesso F1 è formato da 5 subunità (α, β, γ, δ, ε ) con una composizione del
tipo α3β3γδε [34] dove le subunità α e β sono omologhe, entrambe legano i nucleotidi, ma
solo quelle β hanno attività catalitica [66] , ciascuna delle quali possiede un sito attivo per la
sintesi di ATP. Le subunità δ e ε regolano l’interazione tra F1 e Fo e, infine la subunità γ ha la
funzione di regolare il flusso di protoni verso F1. L’unità Fo , formante il canale, è composta
di tre subunià idrofobiche indicate come a, b, e c, con una stechiometria apparente di
a1b2c10-12. Le due subunità b formano un peduncolo esterno, che insieme alle subunità ε e
γ (peduncolo interno), contribuiscono a tenere legate le due unità F1 e Fo. La sintesi di ATP,
che si alterna sui siti catalitici delle subunità β di F1, è possibile grazie al flusso dei protoni
attraverso Fo verso la matrice mitocondriale. Poiché il flusso protonico avviene secondo
gradiente (di pH e di potenziale di membrana ), durante il passaggio dei protoni si libera una
quantità di energia sufficiente per consentire la sintesi di ATP.
Ricorda:
F1: 9 subunità α3β3γδε Ciascuna subunità β ha un sito catalitico per la sintesi di ATP La
subunità γ possiede un dominio che costituisce l’asse centrale del complesso e un dominio
che si associa a una delle β La conformazione delle subunità β cambia se associata a γ .
Fo: tre subunità ab2c10-12 Le due subunità b si fissano ad α e β di F1 mantenendolo legato
alla membrana.
Quando i protoni fluiscono attraverso Fo, il cilindro e l’asse ruotano e le subunità β di F1
cambiano conformazione; in questo modo γ si associa a turno con ciascuna di esse.
Modello della catalisi rotazionale (Paul Boyer)
Ogni coppia αβ possiede un sito di legame per ATP che può oscillare fra tre diverse
conformazioni: quando uno dei tre siti si trova nella conformazione:
β-ATP (lega saldamente ATP) il secondo si trova nella conformazione
α-ADP (lega debolmente ATP) e il terzo si trova nella conformazione
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β-vuota (lega molto debolmente ATP) La forza motrice provoca la rotazione della subunità γ
centrale che entra in contatto in successione con ciascuna coppia αβ. La conformazione di
legame con γ è β-vuota. Ciò produce una modificazione conformazionale cooperativa nelle
tre subunità che consente il legame alternativo ad ADP + Pi , ATP, o rilascio di ATP.
La forza motrice protonica fornisce energia al trasporto attivo. La funzione principale del
trasferimento degli e- nei mitocondri è quella di fornire energia per la sintesi di ATP. La
stessa energia può servire anche a favorire sistemi di trasporto essenziali per la
fosforilazione ossidativa. Poiché la membrana mitocondriale interna è impermeabile alle
specie cariche, sono presenti due sistemi di trasporto che portano ADP e Pi nella matrice e
consentono ad ATP appena sintetizzato di uscire nel citosol.
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