RIASSUNTI DI ORGANIZZAZIONE AZIENDALE NB: i riassunti seguenti sono stati creati da studenti come unione tra le lezioni e il libro e non pretendono di essere sostitutivi di nessuno dei due! Riassunti a cura di: - Aurora Esposito - Alessio Toraldo - Gabriele Marino Cap 1 – Personalità e Valori “Le risorse umane sono il fattore chiave per la costruzione del vantaggio competitivo” Tale assunzione risulta particolarmente vera in questo periodo storico in cui la sopravvivenza e il successo delle aziende sono legati: - All’efficienza dei processi - Alla capacità di innovare il prodotto e il servizio - Alla qualità delle risorse umane (livello di competenze e di motivazione). Risulta, infatti, che modelli improntati alla flessibilità e alla velocità di reazione ai costanti cambiamenti che caratterizzano l’ambiente in cui opera un’impresa (e l’impresa stessa) garantiscono l’eccellenza del risultato, poiché permettono l’empowerment dei singoli individui e dei team e garantiscono l’engagement (ingaggio) delle persone, massimizzando il livello di fit (coerenza) persona–organizzazione. --Coerenza/Fit: sintonia tra le caratteristiche individuali e le caratteristiche dell’organizzazione— Livelli di coerenza persona-organizzazione più elevati si traducono in livelli di engagement superiori che, determinando una percezione positiva dell’esperienza di lavoro, impatta: - sul commitment (impegno) - sulla soddisfazione - sul valore aggiunto creato (per se stessi e per l’organizzazione). È necessario, quindi, prendere come riferimento un modello che permetta di comprendere le determinanti e le dinamiche del comportamento individuale, con riferimento, in particolare, alla qualità e al livello della prestazione e alla soddisfazione individuale. Il concetto di prestazione ha subito una rilevante evoluzione. Innanzitutto, i cambiamenti del contesto competitivo hanno spostato l’attenzione dal job (mansione, attività e compiti) al ruolo (aspettative di comportamento e risultato). Evoluzione delle determinanti della prestazione individuale: - P = persona x situazione (caratteristiche dell’individuo e situazione contingente) - P = motivazione x competenza - P = motivazione x competenza x percezione di ruolo x caratteristiche psicologiche x processi psicologici x fattori situazionali) (oltre alla motivazione e alle competenze è stato necessario considerare determinate caratteristiche psicologiche dell’individuo, processi di natura psicologica, percezione del ruolo che l’individuo ricopre e fattorie esterni/situazionali su cui l’indivuduo non ha controllo e che impattano soprattutto sulla qualità della prestazione). Prestazione: insieme dei risultati e dei comportamenti attesi in ragione del ruolo ricoperto nell’ organizzazione. Motivazione La motivazione è data dall’insieme di forze che determinano la direzione, l’intensità e la persistenza di qualsivoglia comportamento consapevole e volontario. Direzione: definisce l’orientamento del comportamento individuale Intensità: descrive l’entità e la qualità dell’impegno Persistenza: descrive la durata nel tempo del comportamento Combinazioni diverse di queste forze determinano risultati diversi, soprattutto in termini di qualità complessiva del risultato. Competenze La competenza è una caratteristica intrinseca ovvero psicologica di un individuo «causalmente collegata a una prestazione efficace o superiore in un ruolo misurata sulla base di un criterio prestabilito» La competenza si organizza su molteplicità di dimensioni: - - Le attitudini: caratteristiche in parte anche geneticamente determinate, riconducibili al concetto di talento naturale dell’individuo che non è stato però ancora identificato e tradotto incapacità attraverso l'azione intenzionale ripetuta nel tempo. Si tratta di capacità potenziali. Le capacità: definite come la possibilità di svolgere intenzionalmente e con efficacia un compito Le abilità: componente modificabile delle competenze , vengono apprese rafforzate attraverso il loro utilizzo e possono essere di natura cognitiva , fisica ed emotiva. È possibile distinguere: – Competenze di soglia: caratteristica minima essenziale per ricoprire un ruolo – Competenze distintive: caratteristica che differenzia la prestazione e la porta a un livello superiore. Percezione del ruolo comprensione da parte dell’individuo che ricopre un determinato ruolo delle aspettative di risultato e di comportamento a esso connesse. Determinanti delle aspettative: - modello di business (scopi, obiettivi e strategia dell’organizzazione) - modello organizzativo (stili di leadership e manageriali, gerarchia ...) - sistema di relazioni orizzontali e verticali Il sapere cosa si deve fare, come e a quale livello, influenza: – la direzione e l’intensità dell’impegno – i comportamenti orientati allo svolgimento del task – i comportamenti di relazione per il coordinamento e la collaborazione efficace con colleghi, capi, fornitori e clienti La mancanza di chiarezza sulle aspettative è causa di riduzione della produttività con decrementi significativi della soddisfazione individuale e incrementi dello stress percepito. Fattori situazionali insieme delle condizioni di contesto su cui l'individuo non ha controllo, ma che possono agevolare o compromettere l'efficacia del suo comportamento l'impatto che hanno motivazione, competenza e percezione sui comportamenti individuali e sui risultati raggiunti può essere mediato da fattori situazionali di diversa natura. I fattori situazionali possono avere differente natura: - fattori esterni (congiuntura economica, fattori sociali e politici ecc.) - fattori e dinamiche organizzative (disponibilità di budget, disponibilità di persone e competenze adeguate ecc.) Numerosi sono i fattori che concorrono a definire una prestazione e a determinarne il livello e la qualità, tra questi: - - - Task Performance: insieme dei comportamenti e dei risultati riconducibili agli obiettivi specifici della posizione ricoperta da un individuo e funzionale al raggiungimento degli scopi dell’organizzazione. I comportamenti che definiscono la task performance sono comportamenti relativi all'attività di trasformazione delle risorse in prodotti e comportamenti relativi allo svolgimento delle attività di supporto e manutenzione. I comportamenti e i risultati che possono essere ricondotti alla task performance si basano sulla raccolta di informazioni, sull’elaborazioni di dati, sulla gestione di risorse tecnologiche, materiali e umane. Cittadinanza organizzativa: comportamenti attesi ma non richiesti esplicitamente e formalizzati nella job description (Organnli definisce come comportamenti individuali discrezionali, che non vengono riconosciuti attraverso meccanismi di ricompensa, ma che determinano l'efficacia dell'organizzazione. Risultano comportamenti discrezionali in quanto non sono richiesti dal ruolo o dalla mansione svolta e l' omissione di tali comportamenti non è punibile anche se riducono l'entità del valore aggiunto prodotto). Possono assumere diverse forme: 1. relativi alla relazione tra le persone all’interno dell’organizzazione e concorrono alla costruzione di fiducia: collaborare e aiutare i colleghi, condivisione di risorse ecc. 2. Relativi alla relazione con l’organizzazione: contribuire alla costruzione e mantenimento di un’immagine positiva dell’azienda ecc. I comportamenti a cui più comunemente si fa riferimento quando si parla di comportamenti di cittadinanza organizzativa sono: -- supporto attivo o helping behavior (altruismo,cortesia ecc.) -- sportività (adattamento, tolleranza) -- lealtà (fidelizzazione e rappresentazione positiva dell'azienda nelle relazioni interne/esterne) -- compliance (conformità alle norme e alle regole implicite e formalizzate) -- dedizione (rispetto e adattamento alle richieste e agli stili dell'organizzazione). La presenza o meno dei comportamenti di cittadinanza organizzativa influenza sia la qualità dell’esperienza di lavoro sia il clima organizzativo. Comportamenti disfunzionali: insieme dei comportamenti volontari potenzialmente dannosi per l'organizzazione. Assenteismo: assenza dal posto di lavoro dovuta a malattia o emergenze familiari. Risulta più elevato laddove la tolleranza è maggiore, ed è influenzato da livelli elevati di insoddisfazione per il lavoro e da stress negativo. Presenzialismo: tendenza a essere presenti sul luogo di lavoro anche quando le condizioni fisiche e psicologiche sono tali da ridurre significativamente la produttività. La presenza di individui che sono in condizioni tali da avere ridotti livelli di produttività riduce la produttività e la soddisfazione di coloro con cui collaborano. Si tratta di un vero e proprio contagio che, oltre a essere un fenomeno fisico, è anche un fenomeno psicologico. Caratteristiche individuali: personalità, valori, identità, percezioni, emozioni e stress. Personalità La personalità è rappresentata da un insieme di TRATTI, caratteristiche psicologiche individuali, che determinano le modalità con cui un individuo agisce, interagisce e reagisce alle persone e alle situazioni con cui si confronta. La ricerca mostra come la personalità sia frutto dell'interazione di due fattori: genetica e ambiente. Ciò che è ancora viene dibattuto e l'entità dell'impatto di ognuno dei due fattori, sebbene studi più recenti attribuiscano alla componente genetica della personalità un peso mediamente rilevante. L'ambiente ha comunque un ruolo non trascurabile e concorre a determinare la struttura della personalità attraverso le esperienze di vita che portano all' acquisizione e al consolidamento di determinati stili di pensiero (mindset), di reattività emotiva e di comportamento. Lo sviluppo EI cambiamenti a livello di struttura di personalità avvengono in un arco di tempo determinato, tendenzialmente entro i primi 30 anni di vita , anche se alcune caratteristiche possono continuare a modificarsi fino ai 50 anni , soprattutto a fronte di esperienze particolarmente critiche, Ok che possono portare a una riconfigurazione delle modalità di approccio alle situazioni e alle relazioni. Come detto la personalità e intesa come un insieme di tratti, ovvero come un insieme di caratteristiche che la persona specifica manifesta in un grande numero di situazioni e che proprio per questo la definiscono. Tale considerazione permette di considerare il comportamento come una reazione agli stimoli dell'ambiente non casuale, bensì frutto dell’interazione con il contesto a partire da una struttura relativamente stabile di caratteristiche psicologiche. Non si deve pensare però ad una concezione deterministica, bensì ad una concezione probabilistica del comportamento. La ricerca degli ultimi 60- 70 anni ha portato a focalizzare l'attenzione su modelli basati su tre, 8, 10 e 16 fattori, per arrivare poi al modello dei 5 fattori di personalità che identifica appunto 5 tratti con le relative sottodimensioni, in grado di descrivere in modo sintetico ma completo la struttura di personalità degli individui. Il modello viene spesso definito come modello CANOE o OCEAN, acronimo compoasto a partire dalle denominazioni in inglese dei 5 fattori: - Coscienziosità - Coscientiousness Amicalità - Agreeableness Nevroticismo - Neuroticism Apertura L'esperienza – Opennes To Experience Estroversione - Extroversion Coscienziosità misura l’affidabilità ovvero il senso di responsabilità, l’organizzazione, la puntualità e l’ordine. Punteggio basso: soggetto che tende alla distrazione e al non avere un approccio strutturato alle situazioni Amicalità misura la predisposizione verso gli altri e viene definita come collaborazione, cordialità e fiducia nel prossimo. Punteggio basso: atteggiamento di distanza e di scarsa empatia. Nevroticismo misura il grado di reattività in situazioni percepite come stressanti Punteggio basso: qualifica la persona come calma e stabile emotivamente punteggio alto: qualifica la persona come tendente innervosirsi e soggetta all' ansia non è raro che persone con punteggi alti sulla dimensione del nevroticismo si contraddistinguono anche per livelli mediamente più elevati di motivazione ad apprendere EA curare particolari, per ridurre lo stato di incertezza e di stress percepito. È fondamentale distinguere il concetto di nevroticismo da quello di nevrosi. Nevroticismo: dimensione di natura emotiva e far riferimento alla reattività a situazioni percepite come stressanti. Nevrosi: dinamica del comportamento senza base organica dimostrabile con sintomi vari caratterizzati da ansia generale. Apertura all' esperienza misura l'ampiezza degli interessi della persona e la tendenza a ricercare novità e opportunità di confronto con persone diverse e con situazioni mai affrontate prima. Punteggio alto: indicativo di curiosità, creatività e stabilità artistica Punteggio basso: necessità di riferirsi a contesti strutturati con ruoli e regole definite, di riferirsi a modi di essere condivisi e radicati nella tradizione Estroversione misura il livello di benessere e agio nelle situazioni di relazione, si associa ad atteggiamenti improntati alla socievolezza e alla dominanza. Punteggio basso: indicativo di riservatezza, di timidezza e tendenza a non esternare i propri stati d'animo e le proprie idee In ambito organizzativo il modello dei Big Five viene affiancato dal Mayers-Briggs Type indicator , uno strumento disegnato per consentire di rilevare e di misurare le caratteristiche di personalità che si riferiscono al modello junghiano dei tipi psicologici. Il modello si basa su quattro dicotomie: Estroversione – Introversione (come l’individuo raccoglie l’energia) Sensazione – Intuizione (come l’individuo raccoglie informazioni) Pensiero – Sentimento (come l’individuo decide) Giudizio – Percezione (come l’ind. si approccia al mondo esterno) Non si discosta molto dal modello dei big five, ma utilizza una scala differente per misurare i tratti: prevede infatti la scelta di una per referenza tra due estremi. Tali preferenze non sono da considerarsi abilità o capacità e non esiste una preferenza migliore di un'altra. la combinazione delle quattro preferenze da il tipo psicologico. Esistono 16 tipi psicologici , combinazioni di preferenze tutte egualmente valide e positive. Gli obiettivi di tale modello sono: - l'aumento della consapevolezza di sé attraverso la scoperta del proprio tipo psicologico che consente di riflettere sulle potenzialità e aree di miglioramento personali (allineamento con se stessi) - il miglioramento delle qualità della vita relazionale attraverso la comprensione e la valorizzazione delle differenze interpersonali (ponte verso gli altri). Il modello junghiano di personalità e il Myers-briggs Type indicator sono stati oggetto di numerose critiche, anche se restano di fatto i più utilizzati per lo sviluppo e il career counseling. Il principale limite del Myers-Briggs è rappresentato dalla non predittività, e proprio per questo non viene mai utilizzato per la selezione e decisioni relative alla progressione di carriera di un individuo. I tratti del modello dei big five consentono di interpretare e comprendere la maggior parte dei comportamenti individuali e dei risultati di prestazione in ambito organizzativo. Vi sono, però, altri due sistemi di tratti che consentono di comprendere e prevedere comportamenti individuali che influenzano la qualità e il livello della prestazione, soprattutto in determinati ruoli. Core Self-Evaluation La Core Self-Evaluation è un tratto di personalità che rappresenta il modo in cui un individuo valuta se stesso per quanto concerne la competenza e possibilità di esercitare un controllo sugli eventi della propria vita. La core self evaluation si struttura su quattro dimensioni: - Autostima: disposizione che un individuo ha nei confronti di se stesso. La coscienza di sé e la capacità di riflettere su se stessi sono attributi specifici dell'essere umano che si dà o meno un senso e un valore. Nevroticismo: la tendenza a sperimentare in prevalenza emozioni positive o negative la disposizione a reagire in modo spontaneo o controllato a situazioni di stress Il Locus Of Control: modalità con cui un individuo ritiene che gli eventi della sua vita siano prodotti dai suoi comportamenti o azioni oppure da cause esterne indipendenti dalla sua volontà Autoefficacia Generalizzata: percezione del grado di controllo che un individuo ritiene di poter esercitare su se stesso e sull'ambiente. Individui con una Core Self-Evaluation positiva si definiscono positivi, sicuri di sé, a proprio agio, con un buon rapporto con se stessi e in controllo. La ricerca evidenzia una correlazione tra Core Self Evaluation positiva e soddisfazione sul lavoro, il commitment e una performance superiore per l'impatto che è la stessa ha sulla motivazione. È correlata inoltre a progressioni di carriera più rapide in quanto l'individuo si dà e accetta obiettivi più sfidanti, è più persistente è più engaged. Machiavellismo Con il termine personalità machiavellica si intende l'insieme di caratteristiche che sostengono comportamenti orientati a un pragmatismo che, unito al distacco emotivo e alla convinzione che il fine giustifica i mezzi, alimenta modalità di agire e di perseguire i propri obiettivi mediamente aggressive e mirate. Il machiavellico ha uno stile manipolativo con cui persuade gli altri ad agire nel suo personale interesse. L'efficacia dei comportamenti da personalità machiavellica e sostenuta da alcuni fattori situazionali: 1. Situazioni di relazione vis a vis 2. Contesti politici ove le norme e le regole oh non sono esplicite o comunque soggette a interpretazioni personali 3. Relazioni caratterizzate da un elevato coinvolgimento emotivo che distrae ed è fuorviante per la parte che ha o percepisce di avere meno potere I valori «I valori sono convinzioni profondamente radicate e stabili che rappresentano un criterio in base a cui l’individuo definisce le proprie priorità e decide come agire e con quale livello di convinzione e intensità farlo, per perseguire obiettivi e finalità individualmente o socialmente preferibili ad altri» I valori definiscono ciò che è importante, ciò per cui vale la pena darsi da fare e assumersi dei rischi o dei risultati da perseguire con convinzione. l'individuo sviluppa i valori integrando credenze, reazioni emotive e valutazioni e le organizza secondo un ordine gerarchico di preferenza che rappresenta il sistema di valori della persona. Come la personalità, anche i valori influenzano i comportamenti e in ultima analisi la prestazione individuale e si caratterizzano per una relativa stabilità. Vi sono però delle differenze tra i due concetti: - - I valori hanno una componente valutativa : definiscono ciò che è giusto, buono bello in relazione allo stato e ai comportamenti a cui si ispira la persona. I tratti di personalità prescindono dalla dimensione valutativa e rappresentano degli stili cognitivi , degli stati emotivi e dei comportamenti che l'individuo che ne è portatore tende ad adottare più frequentemente di altri nelle diverse situazioni I tratti di personalità non sono l'uno in conflitto con l'altro mentre i valori possono esserlo I tratti sono in parte geneticamente determinati e in parte derivano da un processo di apprendimento. i valori sono interamente il risultato di processi di socializzazione e apprendimento che hanno luogo soprattutto nei primi anni di vita e attraverso la relazione con figure genitoriali/care-giver/modelli di ruolo. Schwartz Value Complex (contributo dello psicologo Shalom Schwartz) Lo Schwartz Value Complex è un modello che nasce da una ricerca empirica svolta su un campione rappresentativo di 25.000 persone di 44 paesi diversi. Esso mappa i valori di base considerati universali perché riscontrabile in tutti i contesti a prescindere dalla dimensione linguistica e culturale. i valori del modello sono tutti indipendenti gli uni dagli altri pur essendo caratterizzati da relazioni di contiguità più o meno marcata che definiscono il grado di compatibilità. Essi sono infatti rappresentati all'interno di un modello circolare da leggere in senso orario a partire dal valore posizionato in alto punto i valori vicini sono valori per i quali la rilevanza dell'uno sancisce la rilevanza dell’altro, mentre valori opposti o distanti sono valori incompatibili o tali per cui la rilevanza dell' uno rende l'altro meno rilevante. Il modello Schwartz Value Complex comprende 57 valori raggruppati in 10 cluster, ognuno dei quali ha al suo interno un sottosistema rappresentato da un numero variabile dei 57 valori identificati. i 10 clusters sono disposti su quattro quadranti: trascendenza del sé, conservazione, valorizzazione del sé e apertura al cambiamento. Pagina 29 e 28 I valori, come detto, sono una bussola a cui si fa riferimento in situazioni percepite come complesse e determinano, anche per la propria natura valutativa, se e in che misura un individuo si trova a suo agio nell’organizzazione nel ruolo specifico che ricopre: si parla di grado di coerenza di valori e di fit valoriale persona-organizzazione. quanto più il sistema di valori dell’individuo e sovrapponibile a quello dell’organizzazione in cui opera tanto più elevato sarà il commitment, la soddisfazione, l'identificazione e l’engagement sperimentato dagli individuo. Lavorare in un contesto di cui non si condividono i valori e gli orientamenti è infatti fonte di stress e causa l’inefficacia delle prestazioni. c'è infatti una relazione tra la person-organization value congruence, la qualità percepita delle esperienze di lavoro e il livello di produttività. Più in generale, il person-organization fit per quanto concerne la dimensione dei valori ha un impatto determinante sulla qualità e il livello della prestazione. Il modello attraction-selection-attrition consente di osservare le conseguenze di livelli più o meno rilevanti del person-organization fit. Secondo tale modello infatti: 1. Gli individui sono attratti verso organizzazioni in cui operano persone con profili di personalità, sistemi di valori e atteggiamenti simili ai propri (attraction) 2. le organizzazioni tendono a selezionare individui con competenze, conoscenze, motivazioni e atteggiamenti simili a quelli di coloro che già operano al loro interno (selection) 3. nel tempo coloro che si evolvono e crescono in direzioni non coerenti con i valori le caratteristiche dell’organizzazione la lasciano orientandosi altrove (attrition) Questo significa che le relazioni più produttive sono quelle con persone con cui si condivide lo stesso sistema di valori e che le organizzazioni devono selezionare solo persone i cui valori sono identici a quelli già prensenti? La congruenza dei valori ha numerosi vantaggi, ma è altrettanto importante coltivare la diversità, la disponibilità delle persone nei confronti della diversità e la capacità delle persone di interagire in modo costruttivo valorizzando le differenze. Cap. 2 - Percezione La percezione è un processo psicologico di creazione di un’immagine interna del mondo esterno: non è frutto di una risposta automatica del nostro organismo a ciò che ci accade e che osserviamo, ma è un processo di interpretazione ed elaborazione delle informazioni forniteci dai nostri sensi in modo da dare un significato all'ambiente circostante. Il processo percettivo inizia quando l'individuo, attraverso i propri sensi, cogliono stimolo esterno e traduce questo stimolo informazioni che dovranno essere lette e codificate all'interno della sua mente. L'individuo può ricevere tanti stimoli, ma non è detto che tutti vengano notati e attivino il processo di percezione: avviene una selezione virgola in maniera conscia e/o inconscia , degli stimoli che si ritengono maggiormente rilevanti in un determinato momento. Una volta ricevuto lo stimolo si attua il processo di stereotipizzazione (classificazione): colui che percepisce utilizza uno schema mentale per dare senso a ciò che è percepito, organizza le informazioni percepite in mappe cognitive che lo aiutano a crearsi una sua propria rappresentazione della realtà (punto di vista). La percezione è soggettiva: gli individui percepiscono una stessa situazione in modo diverso poiché: - ognuno selezione formazioni e input diversi dall’esterno - gli stessi input possono essere organizzati e interpretati in modi differenti Gli psicologi della Gestalt si sono soffermati in particolare sulle leggi dell’organizzazione della mente, cioè sul modo in cui il nostro cervello interpreta ed organizza le informazioni e i dati che seleziona. L'idea di fondo è quella che è per comprendere i fenomeni complessi si utilizza il concetto di struttura più che quello di singolo elemento: il tutto diviene qualcosa di diverso dalla mera somma delle sue parti. Percepire è diverso dal sommare semplicemente delle sensazioni, ma significa organizzarle e conferire loro una forma, una struttura. Per comprendere il mondo circostante si tende a ordinare dati percepiti secondo numerose regole di organizzazione: - La regola figura/sfondo: la figura nella sua globalità è percepita come un insieme ed è distinta dallo sfondo su cui è impressa (es. coppa e amanti) - La regola della buona forma: la struttura percepita è sempre la più semplice. Una forma sarà percepita come buona quando genera una sensazione di armonia ed equilibrio in chi la osserva (es. casa) - La regola della prossimità: raggruppiamo gli elementi in funzione delle distanze, ovvero si considerano componenti di un'unica unità percettiva elementi vicini piuttosto che lontani - La regola della somiglianza: stimoli simili vengono percepiti in modo raggruppato; e sufficiente una minima spazzatura, un cambio di colore o un cambio di forma per vedere linee verticali o orizzontali - La regola della chiusura: gli individui tendono a completare le figure e i suoni fornendo un contorno semplice e completo. Se un'immagine ha un contorno non definito, il nostro cervello ha la tendenza a completarlo. - La regola dell'impostazione soggettiva/ esperienza passata: ceteris paribus, si preferisce un’organizzazione delle informazioni coerente con le conoscenze che si hanno. Figure gestaltiche o bistabili Immagini, ognuna delle quali ne contiene in realtà due, che dimostrano come la percezione sia un processo fisiologico, attivo, dinamico e soggettivo in cui entrano in gioco continui processi di organizzazione interpretazione di ciò che la mente di ciascuno seleziona. Può capitare osservando dalle immagini di coglierne subito una e poi l'altra, oppure di avere maggiori difficoltà, una volta vista una delle due figure, nel vedere anche l'altra. Questo perché, come accade nella vita reale, quando si costruisce il proprio personale punto di vista diventa voi più difficile cogliere altre informazioni, vedere più punti di vista: si verifica il cosiddetto effetto framing (frame: inquadratura ottica, cornice) Fattori che influenzano il processo percettivo La percezione può essere influenzata da: 1. Le caratteristiche dell'ambiente che può essere inteso come: -- contesto: ogni stimolo non ha un'accezione assoluta, ma assume significato a seconda del contesto in cui avviene o si manifesta (es. uomo con la pistola). Lo ci vediamo o stesso stimolo può produrre percezioni differenti al variare delle condizioni di contesto. -- relazione: il fatto di essere soli o in presenza di altri soggetti influenza le nostre percezioni (es. rimprovero in pubblico o soli) 2. Le caratteristiche individuali di chi percepisce: la personalità, gli stati d'animo, le emozioni, i bisogni, i valori, i desideri, la motivazione e il background di ognuno influenzano il modo in cui ciascuno legge l'ambiente che lo circonda, giudica, vive le relazioni interpersonali e interpreta gli eventi. 3. Le caratteristiche dell oggetto percepito: gli oggetti o eventi osservati possono presentare determinate caratteristiche che hanno un effetto su come essi vengono colti, trasformandosi in alcuni casi in vere e proprie illusioni ottiche (rappresentazioni sbagliate e distorte che chi osserva produce su un oggetto o evento) -- le dimensioni: è più probabile notare oggetti di grandi dimensioni piuttosto che oggetti di piccole dimensioni -- l'intensità dello stimolo: suoni forti si sentono facilmente, oggetti chiari o brillanti si notano subito -- il contrasto: fattori che non sono ciò che uno si aspetta sono più facili da notare -- il movimento: un oggetto in movimento viene percepito più facilmente di un fattore stazionario -- la ripetizione: un fattore ripetuto verrà notato più facilmente di un fattore che compare una sola volta -- la novità o la familiarità: a seconda delle circostanze, l'attenzione può essere attratta da fattori nuovi o familiare -- l'ambiguità: eventi ambigui o incompleti si prestano a interpretazioni personali -- le caratteristiche altrui: in generale, essere l'unica persona in un gruppo per caratteristiche come il genere, la razza e il colore dei capelli può influenzare il modo in cui percepiamo o veniamo percepiti dagli altri. Ogni qualvolta si attiva un giudizio su qualcuno, la mente può essere soggetta a distorsioni, veri e propri errori percettivi che nascono dal fatto che per esprimere quel giudizio vengono utilizzate pochissime informazioni che si pensa essere esaustive della persona che si giudica e che invece portano ad avere un'idea sbagliata su questa. Principali errori di percezione: 1. La prima impressione: basare il giudizio sulla persona sulle poche informazioni raccolte durante le prime osservazioni e interazioni con la persona stessa. La criticità di tale errore è legata al fatto che spesso la prima impressione diventa anche l'ultima, per cui risultato finale e che si è costruita un’impressione sull’altro basandosi su pochissimi elementi e che questo giudizio abbia le caratteristiche di essere stabile. Si pensi al caso in cui l'esito della prima impressione sia negativo: ricerche empiriche hanno dimostrato che sono necessarie 8 informazioni positive per annullare ogni informazione negativa. 2. L'effetto alone: situazione in cui l'uso di una o di poche caratteristiche di una persona influenza la valutazione si estende agli altri attributi. solidamente cioè collegato all'immagine che ognuno di noi ha di se stesso: si tende a dare una valutazione positiva a persone che hanno caratteristiche simili a quelle che si crede di avere. (es. uomo barbuto) 3. La profezia che si auto-avvera: una supposizione che, per il solo fatto di essere stata pronunciata, far realizzare l'avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità. Il meccanismo che ne è la base e il seguente: -- l'individuo decide e agisce sulla base di un'idea che ha forte e radicata in testa -- quella che era solo un’idea diventa una profezia che si avvera. Le aspettative che si hanno nei confronti di un individuo lo portano ad assumere comportamenti che siano conformi a quelle aspettative - se tagli aspettative sono positive si parla di effetto pigmalione 4. La proiezione: processo psicologico attraverso cui le persone attribuiscono proprie caratteristiche, attributi o tratti di personalità ad altri. tali attributi possono essere aspetti positivi di noi stessi ho qualcosa che non amiamo 5. Gli stereotipi: sistema di credenze e convinzioni relativo alle caratteristiche o attributi di un gruppo o una categoria sociale - si crede che tutti i membri di uno specifico gruppo condividano tratti e comportamenti simili. La nascita di uno stereotipo avviene in diverse fasi: -- si categorizza la persona in un gruppo in base ad una caratteristica (razza, genere ecc.) -- si suppone che tutti gli individui che appartengono a quel determinato gruppo possiedano le stesse caratteristiche -- in base alle credenze che costruiamo, interpretiamo di conseguenza il comportamento degli altri. Questo modo di ragionare e interpretare le informazioni diventa stereotipo quando si radica nella nostra mente diventano scorciatoia cui ricorriamo in modo automatico per descrivere una persona che appartiene a quella determinata categoria sociale. 6. La teoria implicita della personalità: questa teoria si basa sulla convinzione comune che certi tratti di personalità si presentino insieme e che ciò consenta di predire più facilmente il modo in cui una persona si potrebbe comportare in una determinata situazione. Alla base c'è un vero e proprio processo di apprendimento per associazione in base al quale, se due due eventi si presentano in successione con una certa frequenza, l'accadere di un solo evento basta per essere associato anche all'altro. C’è una tendenza a considerare che i tratti positivi si accompagnano ad altri tratti positivi e che tratti negativi siano associati ad altri tratti negativi. Ciò significa che ogni individuo attribuisce caratteristiche ad un altro le quali sono frutto di proprie associazioni: si viene a formare una vera e propria teoria implicita di personalità. Quest'ultima ha la caratteristica di essere condivisa all'interno di uno stesso contesto storico culturale ed è influenzata dalle dimensioni culturali. Il vantaggio che essa ci offre e legato al fatto che ci permette di arricchire le nostre impressioni con un minimo sforzo e ci consente di andare al di là delle informazioni possedute e di fare inferenze su altre caratteristiche. Se esercitata però da chi ha ruoli di responsabilità può produrre effetti negativi sulla soddisfazione delle persone sul clima organizzativo. 7. La teoria dell'attribuzione: si basa sul presupposto che ogni individuo cerca di comprendere le possibili cause dei propri comportamenti di quelli che osserva, stabilendo continuamente relazioni causa effetto per dar loro un significato. I comportamenti possono essere attribuiti a cause esterne (al di fuori del controllo dell’individuo) o a cause interne (sotto controllo dell’individuo). Questo processo non è sempre consapevole, ma si attiva quando: -- al soggetto che percepisce è stata posta una domanda diretta sul comportamento di un altro -- accade un evento inaspettato -- il soggetto che percepisce prova sensazioni di fallimento o perdita di controllo. Una volta attivato il processo, i comportamenti vengono attribuiti a cause interne o esterne in funzione del livello di: -- Consenso (paragone con gli altri): in che misura gli altri nella medesima situazione si comportano come X? -- Distintività (paragone con altre situazioni): in che misura X si comporta in questo modo anche in altre situazioni? -- Coerenza (tempo): in che misura X si comporta in questo modo anche in altri momenti? Quando tutte e tre le dimensioni sono alte il soggetto che percepisce tenderà ad attribuire il comportamento della persona oggetto di osservazione a fattori esterni. Quando il consenso e la distintività sono bassi, ma la coerenza è alta si tenderà ad attribuire il comportamento dell'altro a fattori interni. - sono possibili anche differenti combinazioni di questi tre fattori Altri due fattori che possono influenzare il processo di attribuzione sono: -- La privacy dell’atto: se le azioni che si stanno osservando sono agite in privato, in assenza di altri, si tende ad attribuire le cause all'interno, mentre se si è in presenza di altri solitamente avviene un’ attribuzione a cause esterne -- Lo status: si crede che un individuo di status sociale elevato sia più responsabile del proprio agire, abbia maggiore possibilità di controllo e di scelta, per cui, se decide di agire in un certo modo, abbia più cognizione di causa. Nell’individuare le cause del comportamento individuale però spesso si commettono alcuni errori: -- Bias attributo di base (quando si giudica il comportamento altrui): nell’individuare le cause del comportamento di un individuo vi è la tendenza a sottovalutare l'influenza dei fattori situazionali e a sopravvalutare l'influenza dei fattori personali, ovvero si ha una tendenza ad attribuire le cause dei comportamenti degli altri a fattori interni. -- Bias auto-funzionale (quando si giudica il proprio comportamento): processo mediante il quale gli individui si attribuiscono il merito del successo (conferiscono il proprio successo a fattori interni) mentre attribuiscono il proprio insuccesso a fattori esterni. L’identità Il tema dell’identità è molto complesso ed è stato oggetto di studio, in particolare, della sociologia e della psicologia dando vita a due filoni: rispettivamente, la teoria dell’identità e la teoria dell’identità sociale. Ciò che accomuna le due teorie è il considerare l’identità di un individuo, non come un’entità psicologicamente autonoma, ma un’entità con una natura sociale che risulta influenzata dalla società e dalla sua struttura. Quando si parla di identità dell’individuo nei luoghi di lavoro, la si può considerare lungo due direttrici: - come l'individuo vede se stesso: l'individuo si definisce si identifica con determinati gruppi sociali - come gli altri vedono l'individuo: gli altri definiscono e categorizzano l’individuo in determinati gruppi sociali Si parlerà, quindi, di: - identificazione, se il punto di riferimento sarà come l'individuo si vede - categorizzazione, se il punto di riferimento sarà come gli altri vedono l'individuo. L’identità di un individuo può essere definita ed analizzata lungo 3 dimensioni: identità di ruolo, identità sociale e identità personale. Identità di ruolo L'identità di ruolo fa riferimento alle posizioni che l'individuo occupa all'interno della società, focalizzandosi su ciò che l'individuo fa, sulla funzione che svolge, e su un criterio di performità (efficacia). Un individuo può occupare posizioni sociali che si distinguono in tre tipologie: - posizioni sociali normative - posizioni sociali contro normative - posizioni sociali basate su interessi, attività e abitudini A ogni posizione nella società corrispondono determinate aspettative che guidano gli atteggiamenti e i comportamenti degli individui e che, nell’insieme, definiscono il suo ruolo. Il ruolo fornisce agli individui una struttura, un'organizzazione per i propri comportamenti e le proprie interazioni con gli altri, in differenti contesti e situazioni. I ruoli sono appresi attraverso la famiglia, la scuola, i media, il luogo di lavoro ecc. Le reazioni degli altri verso il modo in cui un individuo agisce un ruolo rappresentano un feedback che influenza come l'individuo agirà il ruolo successivamente. In questo processo azione-reazione c’è un riferimento anche alla dialettica ruolo-controruolo: un ruolo è definito in modo complementare e/o in opposizione ad un altro ruolo (moglie/marito; studente/docente). Ogni individuo può filtrare il proprio ruolo attraverso l'attribuzione di un proprio significato (interpretazione personale del ruolo. L’identità di ruolo, quindi, è composta da: - una dimensione sociale: aspettative di ruolo socialmente definite - una dimensione personale: interpretazione personale dell’individuo A seconda di quanto la dimensione sociale è condivisa, l'individuo può negoziare come agire il ruolo e dare maggiore o minore spazio alla dimensione personale: - se la dimensione sociale è debole (non si identificano in modo forte le aspettative del determinato ruolo) i margini di libertà degli individui sono ampi - se la dimensione sociale è forte (sono chiare e condivise le aspettative del determinato ruolo) i margini di libertà degli individui sono ristretti L’individuo può decidere quanto conformarsi e/o deviare dalle aspettative. Il bilanciamento tra questi due aspetti può incidere sull’auto-efficienza. Se nel tempo prevale la devianza e se la devianza è sanzionata dalla società, il senso di autoefficacia potrebbe diminuire e l'esito potrebbe essere l'abbandono del ruolo Ogni individuo, combinando la dimensione sociale con quella personale, definisce la propria identità standard, cioè come vorrebbe agire la proprià identità. Questa identità standard viene confermata tutte le volte che è agita concretamente. Ad es. se per uno studente occupare la posizione di studente significa prendere seriamente tale ruolo, e quando va a lezione, invece di essere attento, si distrae facilmente, vuol dire che non sta verificando la propria identità standard. Può accadere che vi sia un disallineamento tra ciò che vorrebbe e ciò che fa un individuo. La conseguenza di questo disallineamento sarà una diminuzione della propria soddisfazione nei confronti del ruolo (diminuzione della propria autoefficacia). Qualora questi fenomeni dovessero ripetersi nel tempo, l'esito potrebbe essere l'abbandono della posizione. Ogni individuo ha tante identità di ruolo quante sono le posizioni che occupa nella società e un individuo può attribuire una differente salienza alle diverse identità di ruolo che lo definiscono (es. padre lavora nel week end o no). In conclusione, il comportamento reale dell’individuo dipende dal contesto, dalla situazione, dalla salienza attribuita l'identità e da come il singolo individuo interpreta la propria posizione ruolo. Identità sociale L’appartenenza a gruppi sociali definisce l'identità sociale dell’individuo, il quale, per l'appunto, si definisce come membro di un particolare gruppo e si identifica con lo stesso. Oppure potrebbero essere gli altri che categorizzano l'individuo come membro di un determinato gruppo. Un gruppo sociale, per definirsi tale, deve essere composto da almeno tre persone che: a) si identificano e si vedono nello stesso modo b) condividono la stessa definizione di chi sono, degli attributi che li caratterizzano e di come si relazionano rispetto agli altri gruppi Esempi di gruppi sociali: cattolico/protestante (preferenza religiosa); donna/uomo (genere). Le modalità attraverso cui è definita l'appartenenza ai gruppi e le aspettative nei confronti di coloro che fanno parte del gruppo sociale sono influenzate dal contesto socio culturale: infatti, il modo corretto di individuare i gruppi sociali è definire precisamente le coordinate spazio-temporali che si considerano. Si pensi alla differenza nel dire: ‘essere donna nel 2021’ ed ‘essere donna nel 1936’. L’identità sociale si basa sull’assunzione dell’Io nel Noi e si sviluppa in una relazione dialettica tra Noi e Loro. Infatti, la motivazione che porta all' auto-inclusione o all'inclusione di un individuo in un gruppo è legata: - alla valorizzazione di sé, al senso di appartenenza e all' autostima (Io nel Noi) - alla riduzione dell’incertezza perché l'appartenenza fornisce un modello di comportamento, che in particolare permette agli individui di un gruppo di distinguersi dagli altri che risultano fuori dal gruppo stesso (Noi contro Loro). Se per l'identità di ruolo è attiva una dialettica ruolo e contro-ruolo, anche per l'identità sociale può innescarsi un meccanismo simile: si pensi alla contrapposizione tra protestanti e cattolici che in un determinato periodo storico risultava essere molto rilevante. Un individuo può appartenere a più gruppi sociali e in funzione del contesto, della situazione e delle preferenze personali (o anche solo di alcune di queste) può decidere se e a quali identità sociali aderire. Questa scelta si basa su: - quanto l'identità sociale sia accessibile (le categorie sociali sono solitamente le più accessibili) - quanto l'identità sociale sia utile per dare senso a una situazione in termine di fit comparativo (le categorie accessibili spiegano le differenze e le somiglianze tra gli individui in una determinata situazione?) - quanto l'identità sociale sia utile per dare senso a una situazione in termine di fit normativo (le categorie accessibili spiegano il comportamento degli individui in una determinata situazione?). L'attivazione di più identità, tuttavia, può comportare un incremento del grado di incertezza e ambiguità poiché non è detto che le identità si muovano tutte nella stessa direzione. Esistono delle sovrapposizioni tra identità di ruolo e identità sociale: entrambe, infatti, riguardano quanto un individuo è simile ad altri individui. “Essere un lavoratore” può essere considerato sotto una duplice prospettiva - identità di ruolo: se “essere un lavoratore” è calato all'interno di una specifica organizzazione e quindi si generano nei suoi confronti delle specifiche aspettative su come deve agire e comportarsi - identità sociale: se “essere un lavoratore” è concepito come una collettività cosciente di essere tale e di cui è rilevante l'appartenenza in sé per sé. Identità personale L'identità personale ha le sue radici nel concetto di sé e può essere definita come quell’insieme di attributi che sono collegati all' individuo nella sua unicità e non sono condivisi con gli altri. Anche per l'identità personale, l'individuo sviluppa un'identità standard che rappresenta l'insieme degli attributi che l'individuo stesso attribuisce o vorrebbe attribuire alla propria identità personale. Questa è verificata nelle situazioni concrete e, in particolare, permette una verificazione dell’autenticità dell’individuo: se l'individuo nelle sue azioni è verificato secondo la sua identità standard allora migliora il suo senso di autenticità, risulta essere un individuo autentico a prescindere dalle situazioni, dal tempo e dalle relazioni. L’identità dell’individuo: overview L'identità dell’individuo si può definire, quindi, considerando unitamente queste tre dimensioni. La sovrapposizione tra identità personale, identità di ruolo e identità sociale definisce l'individuo reale concreto, con un nome e cognome. Risulta essere, quindi, un modo di vedere l'individuo come distinto e simile rispetto agli altri. In particolare: - Le identità personale e la dimensione personale dell’identità di ruolo definiscono l’unicità e la distintività dell’individuo - L’identità sociale e la dimensione sociale dell’identità di ruolo definiscono la similarità dell’individuo rispetto a gruppi di individui. Se c'è dissonanza tra l'identità-secondo-la-società e l'identità-secondo-l'individuo, allora l'individuo può decidere: - di ridurre tale dissonanza modificando il suo personale modo di agire e quindi conformandosi rispetto alle norme sociali (comportamento conformista) - Può decidere di deviare dalla norma e di convivere con la dissonanza (comportamento deviante) Percezione sociale Gli individui come si identificano e come identificano gli altri? Gli individui riescono a definire un individuo tramite la definizione della sua identità e quindi andando ad identificare distintività e similarità che lo caratterizzano. Questo risulta essere però il risultato di un processo di categorizzazione, il quale, a sua volta, è il risultato di un processo di percezione sociale. Quindi, è proprio il meccanismo di percezione sociale che permette di definire se stessi o altri individui. La percezione è un processo cognitivo di creazione di una rappresentazione interna del mondo esterno che inizia quando l'individuo, attraverso i propri sensi, riceve uno stimolo esterno e lo traduce in informazioni, che dovranno essere lette e codificate. Quando lo stimolo coincide con una persona o un attributo di una persona si parla di percezione sociale. La percezione è influenzata da: - il contesto o situazione in cui avviene - gli aspetti cognitivi di chi percepisce - gli aspetti emotivi di chi percepisce L'individuo riceve un grande numero di stimoli e fa una selezione tra questi in maniera conscia o inconscia. Una volta notato e ricevuto lo stimolo rilevante attraverso i sensi il processo di percezione si trasforma nel processo di classificazione o categorizzazione: colui che percepisce utilizza uno schema mentale per dare senso a ciò che ha percepito e, quindi, in particolare per la percezione sociale e della categorizzazione sociale, l'individuo confronta lo stimolo esterno e le informazioni a esse connesse con un prototipo, una rappresentazione di un membro idealtipico di un gruppo o categoria sociale. Il prototipo risulta essere l'equivalente di ciò che è l'identità standard per l'identità di ruolo e quella personale ed è caratterizzato da un insieme di attributi che catturano, da una parte, la similarità di chi è nel gruppo e, dall'altra, la diversità di chi è fuori dal gruppo. L'esito del confronto stimolo-prototipo dal luogo all' inclusione della persona oggetto dello stimolo all'interno di una o più categorie. Quindi se lo stimolo è un individuo, l'esito del processo di percezione di categorizzazione è la classificazione dell’individuo stesso in un determinato gruppo categoria. Una volta che le informazioni sono state organizzate l'individuo passerà alla fase di valutazione/giudizio sull’individuo visto come membro di un gruppo o categoria sociale. Processo di categorizzazione Il processo di categorizzazione si può sviluppare: --verso se stessi (identificazione) --verso gli altri (categorizzazione tout court) L’identificazione e la categorizzazione possono essere: - allineate: io mi definisco come gli altri mi definiscono - disallineate: il modo in cui mi definisco diverge da come gli altri mi definiscono. L’atto di categorizzare fa sì che un soggetto veda un altro in maniera differente, perché lo considera alla luce di un prototipo e con questo lo confronta e lo misura, attribuendogli attributi prototipici. Si verifica, cioè, una de-personalizzazione, attribuzione di caratteristiche del gruppo/categoria di cui fa parte, da non confondere con la de-umanizzazione, considerazione di un individuo come non umano. Se le caratteristiche attribuite al soggetto sono positive, si genera una percezione positiva; se le caratteristiche, invece, sono negative, allora si genera una percezione negativa che, se portata alle estreme conseguenze, può condurre alla de-umanizzazione. La de-personalizzazione è l'anticamera degli stereotipi. uno stereotipo e un sistema di credenze e convinzioni relativo alle caratteristiche di un gruppo sociale chi agisce a livello cognitivo e condiziona i giudizi, le valutazioni e le decisioni di chi lo utilizza per leggere un individuo. Lo stereotipo, agendo a livello emotivo, può contribuire al pregiudizio, un atteggiamento negativo verso i membri di altri gruppi di individui. Stereotipi e pregiudizi alla discriminazione: comportamento esibito del modo in cui gli individui trattano individui (in maniera più positiva o più negativa) di altri gruppi o categorie. Gli stereotipi, generando delle aspettative circa il comportamento degli altri individui, influenzano come un individuo giudica e valuta le altre persone. Talvolta, tale influenza porta a degli errori di giudizio e valutazione. Come si è visto, infatti, con la teoria dell'attribuzione (teorie che si occupa di studiare come un individuo raccoglie, organizza e utilizza le informazioni a propria disposizione per giungere a una spiegazione causale di eventi o fenomeni) solitamente gli individui attribuiscono i comportamenti delle persone a due macro-categorie di cause: - le caratteristiche delle persone - l’ambiente. In linea di massima, la tendenza è ad attribuire: a) il comportamento degli altri alle caratteristiche della persona: bias attributivo di base b) i propri successi a se stessi EI propri fallimenti all'ambiente: bias auto funzionale. Allora ci si chiede come mai gli stereotipi vengono utilizzati anche se portano ad errori di giudizio di valutazione. La risposta risiede nel fatto che il processo di categorizzazione sociale risulta essere un processo complicato, poiché avviene in condizioni di: - volatilità: poiché il comportamento delle persone si modifica con il mutarsi del contesto e delle situazioni in cui agiscono - incertezza: spesso le informazioni sono limitale - complessità: un individuo può rientrare spesso in più categorie, e non sempre è possibile individuare una categoria dominante - ambiguità: in confronto individuo-prototipo non è chiaro Gli stereotipi, quindi, vengono utilizzati per semplificare tale processo. I gruppi/categorie sociali Le categorie che stanno alla base del processo di categorizzazione sono costruite considerando insieme degli attributi degli individui che possono essere di carattere genetico/biologico, psicologico e sociale. Alcuni esempi di categorie sono: - il genere - l’orientamento sessuale - l’età - la generazione - orientamento politico ecc. Queste categorie variano in base a: - Status/stigmatizzazione (appartenenza ad alcune categorie è segno di status/importanza/rilevanza, ad altre è uno stigma – qualcosa che è visto come un difetto all’interno di un determinato contesto sociale) - Maggioranza/minoranza (categorie che definiscono gruppi maggioritari o minoritari in termini numerici) - Grado di visibilità (attributi percepibili come genere, colore pelle; attributi non percepibili come orientamento sessuale, idee politiche, livello di istruzione ...) Discriminazione La discriminazione sul luogo di lavoro ha delle conseguenze rilevanti sull individuo e sul suo comportamento organizzativo, sui gruppi di individui e sulle loro prestazioni, sulle organizzazioni nel loro complesso. la discriminazione sul luogo di lavoro può essere analizzata a lungo tre dimensioni: dimensione giuridico legale, socio psicologica e sociale. Da un punto di vista socio psicologico e sociale la discriminazione può essere definita come trattamento differenziato di un individuo a causa della sua appartenenza a un gruppo sociale, dove il trattamento differenziato, in genere, coincide con un trattamento iniquo. Cause della discriminazione: - Una delle principali è lo stigma che è associato ad alcune categorie sociali - Ideologie (es. razzismo) - Esclusione o emarginazione di individui solo perché costituiscono delle minoranze Gestione individuale dell’identità sui posti di lavoro L’individuo discriminato, consapevole però di essere discriminato, può applicare 3 differenti strategie di gestione delle identità: 1. Passing Consiste nel separare la propria identità privata da quella pubblica, impersonando un membro di un determinato gruppo sociale. Nell’implementare questa strategia gli individui possono adottare tattiche differenti tra cui fornire informazioni false o proteggere informazioni considerate sensibili e evitare di rispondere a domande sulla propria sfera privata. Solitamente questa strategia riguarda identità non direttamente visibili. 2. Covering Depotenziamento delle caratteristiche della propria identità al fine di renderle rispettabili, comportarsi in maniera discreta e rientrare nei canoni della maggioranza. Riguarda sia le identità invisibili, sia le identità visibili. 3. Revealing Mostrarsi per quello che si è, differenziandosi rispetto agli altri e concependo la propria identità diversa al pari di quella degli altri: far coincidere la propria identità privata con quella pubblica. L’utilizzo di strategie di passing e di covering presenta una situazione patologica poi chi è ogni individuo dovrebbe poter esprimersi per quello che è realmente. Tali situazioni hanno degli effetti anche in termini di produttività individuale: chi impegna le proprie risorse e i propri comportamenti nelle strategie di passing e covering ha meno risorse da dedicare alle proprie attività organizzative. Quanto, però, le organizzazioni sono realmente aperte alla diversità? Un rischio messo in evidenza dalla letteratura e che le organizzazioni scelgano di omogenizzare le differenze. Omogeneizzando le differenze le organizzazioni incrementano il grado di controllo normativo sull individui ma riducono allo stesso tempo gli spazi di dissonanza cognitiva e di potenziale creatività degli individui medesimi. L'insieme delle politiche delle pratiche e delle azioni che hanno l'obiettivo di gestire la diversità degli individui e dei gruppi sociali nei luoghi di lavoro viene definito diversity management. Le politiche e le pratiche di Diversity Management adottate dalle singole organizzazioni influiscono, insieme al contesto organizzativo e a quello sociale e legale di un determinato paese, sulla decisione dell’individuo di adottare strategie di passing, covering o revealing. Il clima organizzativo può essere definito come un insieme di fattori che accadono nell organizzazione e che sono da porre in relazione con l'organizzazione; tra questi fattori ritroviamo gli attributi dell organizzazione, il legame tra l'individuo e l'organizzazione, atteggiamenti, comportamenti, mmotivazione ecc. Recentemente si è consolidata una tendenza a sviluppare specifiche tipologie di clima organizzativo, tra cui quello per la diversità. Il clima per la diversità può essere declinato in vari modi: permette di mettere in evidenza quanto il clima organizzativo sia negativo (clima per la diversità ostile) per la diversità oppure esso sia positivo (un clima per la diversità favorevole). Tra l’altro, un clima organizzativo ostile può divenire repressivo se l’organizzazione agisce in un contesto sociale e legale repressivo. Si punta l’attenzione sul passaggio tra l’accettazione della diversità e la realizzazione dell’inclusione. Studi recenti, infatti, hanno messo in luce come alcune organizzazioni orientate alla diversità in realtà accettino una versione normalizzata della diversità: accettano solo identità che si conformano al modello normativo del gruppo dominante e alle attese della maggioranza. L'organizzazione veramente inclusiva è invece quella che accetta tutte le possibili forme di identità. Quindi con un clima per la diversità favorevole si potrebbe raggiungere un clima inclusivo. Emozioni e Stress Le emozioni (e lo stress connesso a queste che può essere definito come uno stato di affaticamento emotivo) possono apparire come una dimensione privata dell’individuo che può rimanere al di fuori del luogo di lavoro e non avere interferenza con esso, ma che in realtà sono comunque rilevanti per comprendere come un individuo si rapporta al lavoro. Non è difficile identificare un’emozione quando questa si verifica; ciò che risulta complesso è distinguere i propri tratti emotivi, gli Stati emotivi che si possono vivere e il modo in cui l'organizzazione può più o meno sostenerli. Ciò risulta importante per 2 motivi: - Permette di costruire un senso accurato di ciò che accade nella propria vita organizzativa (perché sono più persuasivo del mio collega?) - permette di comprendere come supportare i propri dipendenti e di capire il possibile impatto delle proprie decisioni sulle prestazioni individuali e organizzative. I tratti emotivi Predisposizioni individuali, stabili nel tempo, a percepire la realtà come positiva o negativa. Questi caratterizzano il modo in cui le emozioni tendono ad essere espresse: si tratta di una naturale tendenza ad avere un certo livello di positività o di negatività nell’affrontare le esperienze quotidiane. i tratti emotivi si dividono in: - tratto dell'affettività positiva: grado in cui una persona è naturalmente caratterizzata da energia, entusiasmo, determinazione e prontezza - tratto dell'affettività negativa: grado in cui una persona è naturalmente caratterizzata da ansia, nervosismo e irritabilità. Il nostro cervello accumula ricordi diversi a seconda del nostro tratto emotivo dominante. L'affettività positiva fa in modo che gli individui accumulino e ricordino per lo più esperienze piacevoli dal passato e quindi porta gli individui a valutare il prossimo più positivamente, ad aspettarsi gratificazione dall’esperienza sociale e ad essere più disposti ad interagire. La conoscenza del tratto di affettività dominante può, quindi, essere utile per la composizione dei team o per la selezione dei candidati (per individuare una corrispondenza tra il profilo di una persona e il ruolo che meglio potrebbe ricoprire). Gli stati emotivi Stati mentali che derivano da una nostra valutazione di un evento, legati a un preciso stimolo ambientale e molto spesso espressi attraverso il corpo. È opportuno a tal proposito distinguere gli stati emotivi (emozioni) dagli attitudes. Gli stati emotivi emergono grazie a processi di appraisal (interpretazione) che vengono costruiti riguardo un determinato accadimento che ha un particolare significato profondo. Questo processo di interpretazione deriva dalla comparazione che si fa tra uno stato desiderato e lo stato attuale in cui ci si trova. Questa riflessione può essere sia volontaria e intenzionale, sia involontaria e automatica. Quindi, le emozioni nascono da un cambiamento dei propri piani e non vengono conservate nella memoria, si tratta di stati momentanei. Gli attitudes, invece, sono dei giudizi duraturi che vengono maturati non sono nei confronti di un evento/accadimento, ma anche in relazione a oggetti e concetti. Implicano un ragionamento logico, perdurano per molto tempo e possono essere rievocati. Modello di Roseman La classificazione di Roseman consente di cogliere un numero significativo di stati emotivi e di collegarli alle caratteristiche dell’evento che li ha generati. Il modello classifica 16 emozioni tenendo in considerazione 5 parametri: 1. valutazione dell’evento (positivo/negativo) 2. valutazione del fatto che all’evento siano connesse: aver evitato qualcosa di negativo/ aver perso qualcosa di positivo 3. valutazione della fonte dell’evento (interna/esterna) 4. valutazione circa la probabilità delle conseguenze (certe/incerte) 5. percezione dell’essere in grado di gestire le conseguenze o meno TABELLAAAA Differenza tra tristezza e disgusto. Il cogliere determinate differenze tra gli stati emotivi e comprendere da dove questi derivino risulta importante perché consente all’organizzazione di mettere in atto soluzioni per ristabilire il benessere degli individui o per evitare comportamenti lesivi. Questo modello, tuttavia, presenta alcune criticità, legate soprattutto al fatto che si tratta di una classificazione di stati, senza che si tenga in considerazione il contesto sociale in cui Gli stati stessi si verificano. Gli studi sociologici considerano che ci possano essere tante emozioni quanti contesti e che quindi risulti impossibile stilarne un elenco completo. Alcuni sociologi, invece, si focalizzano su come le norme sociali plasmano gli stati emotivi. La norma condivisa, ad esempio, potrebbe essere quella per cui stati emotivi come la gioia o la rabbia non vadano espressi nemmeno con la gestualità o le espressioni facciali. Altri studi si sono focalizzati su come gli stati emotivi cambiano come risposta a un cambiamento nella struttura di potere o di status tra gruppi sociali. La cultura emotiva: il companionate love Le emozioni nelle organizzazioni sono studiate anche con riferimento alla cultura emotiva delle organizzazioni stesse e non solo a livello dei singoli individui. In particolare, risulta avere sempre più importanza quella che è definita cultura di companionate love. Si tratta di uno stato emotivo meno intenso dell'amore romantico che si basa sul calore umano e sul sentirsi connessi agli altri, promuovendo un senso di interdipendenza e di sensibilità verso il prossimo. Una cultura organizzativa basata sul companionate love si può immaginare con la visione di due colleghi che collaborano, che rispettano i sentimenti altrui, che hanno comprensione e che mostrano reciproco supporto. Quando invece la cultura del companionate love è debole, i membri dell'organizzazione mostrano indifferenza reciproca e non lasciano spazi alle proprie emozioni. La cultura del companionate love è visibile nelle espressioni facciali, nel linguaggio del corpo e nei toni della voce. Lo sforzo emotivo – emotional labor La prima definizione di sforzo emotivo la si trova in uno dei primi libri sulla gestione delle emozioni sul luogo di lavoro. Secondo tale testo il settore dei servizi aveva introdotto una nuova concezione di sforzo, quello emotivo: un lavoratore doveva gestire i propri stati emotivi per aiutare l'organizzazione a essere profittevole. Ora, vi sono tre differenti filoni di studio che hanno fornito tre differenti definizioni di tale concetto. 1. La prima molto vicina a quella originaria: lo sforzo emotivo viene identificato come una qualsiasi altra forma di attività in cui il lavoratore si impegna per raggiungere gli obiettivi che gli vengono assegnati. i lavori che richiedono questa tipologia di sforzo emotivo possono essere riconosciuti sulla base di tre caratteristiche: - frequente interazione con i clienti - aspettativa di ruolo: essere capaci di indurre stati emotivi negli altri - gestire questi stati emotivi nell’interazione con gli altri. Questo sforzo emotivo viene percepito come una richiesta stressante dal lavoratore perché è strettamente legato alla volontà strategica e intenzionale dell’azienda di manipolare gli stati emotivi per una ragione economica. L’individuo percepisce che il suo stato emotivo diviene oggetto di scambio di denaro. 2. Sforzo economico come attività intenzionale di condizionare gli stati emotivi da possedere sul posto di lavoro. In questo caso non si evidenzia lo scambio tra sforzo emotivo e profitto, ma si tratta di uno stretto legame tra le aspettative di ruolo e i comportamenti messi in atto dai lavoratori (soprattutto la loro capacità di influenzare i clienti). In questo contesto si può verificare una situazione di armonia emotiva, a differenza della situazione precedente. Tale situazione si verifica quando vi è concordanza tra gli stati emotivi del lavoratore e ciò che viene chiesto di dimostrare dall’azienda. 3. Sforzo emotivo come esperienza individuale interna di gestione delle proprie emozioni sul posto di lavoro. Concetti fondamentali su cui si basa: - Dissonanza emotiva: differenza tra le emozioni che si provano e quelle che si mostrano e che quindi vengono richieste - Deep acting: quando è presente una dissonanza tra emozioni che si hanno e quelle che si devono presentare, il lavoratore decide di cambiare anticipatamente i suoi stati d’animo dissonanti per far si che non emergano, in favore di quelli richiesti dall’organizzazione. - Surface acting: il lavoratore sopprime o modifica emozioni ormai emerse. Si mantiene lo stato d’animo che si prova, ma si cerca di fingere esternamente di provarne un altro. Queste distinzioni e definizioni permettono di individuare le conseguenze che può avere lo sforzo emotivo sull’individuo e sulla sua performance lavorativa e sui risultati che raggiunge. Lo sforzo emotivo ha la capacità di influenzare il comportamento altrui, ma l'intensità di questa capacità dipende da come questo sforzo è attuato. Si fa riferimento in particolare a tre dimensioni: 1. l'autenticità dello sforzo emotivo messo in atto: ad esempio, il deep acting risulta più vero rispetto al surface acting e quindi è maggiormente in grado di influenzare le parti con cui si interagisce 2. lo sforzo emotivo implichi l’amplificazione o la soppressione di un determinato stato emotivo. Entrambe permettono di modulare l’impatto dello sforzo sugli altri. 3. Il potere e la motivazione a comprendere il contesto organizzativo: il soggetto con maggiore potere rispetto all’individuo che gli parla viene influenzato meno, mentre il soggetto interessato a conoscere di più dal contesto organizzativo ricerca più informazioni è risulta maggiormente influenzato da ciò che percepisce. Il rapporto tra sforzo emotivo e pratiche di gestione del personale Rassegna di come l’organizzazione può influenzare o manipolare gli stati d’animo dei propri dipendenti o futuri dipendenti, dalla fase di job design a quella di incentivazione. - Job Design: difficilmente negli annunci di lavoro si fa un esplicito riferimento allo sforzo emotivo richiesto per quel determinato lavoro. spesso però si fa riferimento all'uso di capacità interpersonali (empatia, cortesia ecc..) e a come, a causa di queste, si possa andare incontro a situazioni di stress e frustrazione dovute ad un lavoro di interazione (stretto e continuo rapporto con i clienti e i colleghi). - Reclutamento e selezione: attualmente gli strumenti che vengono utilizzati per comprendere se un soggetto è adatto allo sforzo emotivo richiesto da un determinato ruolo riguardano l’analisi dei tratti di personalità e nella rilevazione dell’intelligenza emotiva. Ad esempio, individui con emozioni più vicine all’organizzazione o con maggiori capacità di gestire le proprie emozioni sono ritenute più adatte a gestire lo sforzo emotivo derivante da un determinato ruolo. - Formazione: esistono casi in cui la formazione del personale si basa sull’allenamento dello stesso al deep acting; in questo caso non si tratta di manipolazione degli stati emotiv, anzi questa tecnica risulta associata a emozioni positive nei dipendenti. Diversamente, in caso di programmi funzionali all’allenamento del surface acting inducono i dipendenti ad assumere emozioni non proprie e quindi implica un’azione di manipolazione delle emozioni stesse. - Processo di valutazione e ricompensa: controllare le emozioni dei dipendenti attraverso la valutazione e gli incentivi monetari può determinare un senso di forte mancanza di autonomia e di motivazione nei dipendenti stessi. Tuttavia, non è ancora stato definito un legame inequivocabile tra incentivo monetario e sforzo emotivo in termini di effetti negativi per i lavoratori. - Socializzazione e cultura organizzativa: lo scambio e l'interazione tra colleghi sono fonte di comprensione riguardo le aspettative dell'organizzazione sullo sforzo emotivo da mettere in atto. Lo Stress Lo stress è uno specifico stato emotivo e fisiologico negativo derivante da esperienze sfavorevoli e di danno per la persona accadute sul luogo di lavoro e la cui responsabilità è solitamente al di fuori del controllo e dell’influenza dell’individuo stesso. Viene assimilato molto spesso al concetto di affaticamento sul luogo di lavoro, che si compone di due dimensioni: - dimensione fisica: perdita di appetito, di sonno, sensazione di stordimento - dimensione mentale: senso di mancanza di efficacia e di valore Inoltre, vi è anche un legame tra stress e dimensione del burnout (crollo dato dall’impossibilità di gestire determinati stimoli o domande). Il burnout è composto da una sensazione di estremo esaurimento emotivo e una riduzione drastica della gratificazione lavorativa. Tra le cause dello stress (sia inteso come affaticamento estremo, sia inteso come burnout) emergono 2 filoni in particolare: 1. filone delle richieste-risorse In particolare, è necessario distinguere le richieste dalle risorse. Parlando di richieste, è possibile identificare con queste aspetti del lavoro a cui l’individuo associa uno sforzo fisico e mentale. Rientrano in questa categoria: - fatica fisica associata al carico di lavoro - pressione sui tempi e conseguente percezione di non avere tempo sufficiente per portare a termine i propri compiti - assenza di equilibrio tra vita e lavoro - determinate condizioni fisiche dell’ambiente di lavoro Queste condizioni sono fonte di stress in quanto, a fronte di queste, l’individuo mette in atto una strategia di protezione basata sull’incremento dello sforzo, il quale, non sempre sfocia in una buona performance, potrebbe determinare maggiori costi fisici e mentali che la persona associa al suo lavoro. Vi sono poi quegli elementi che possono essere considerati come risorse: aspetti del lavoro che risultano funzionali al raggiungimento degli obiettivi lavorativi. Tali risorse sono in grado di ridurre le percezioni di sforzo e di stimolare una percezione di crescita e sviluppo nella persona. le risorse vengono classificate nelle seguenti categorie: - possibilità di esercitare un controllo sul proprio lavoro - opportunità di accreditarsi nell'organizzazione - partecipazione al decision making - varietà delle attività lavorative - supporto dell'organizzazione Le risorse sono in grado di ridurre le percezioni di sforzo in quanto generano il senso di stima, di autorealizzazione e di controllo che ben bilanciano gli stimoli o le situazioni negative. Inoltre, tali risorse permettono di stabilire una relazione tra il dipendente e l'organizzazione che spinge il dipendente stesso verso un comportamento di reciprocità con l'azienda e, quindi, ad utilizzare queste risorse al fine di contribuire al risultato di impresa. 2. filone della dissonanza emotiva Si verifica dissonanza emotiva o fatica emotiva in situazioni in cui l'azienda nutre aspettative riguardo le emozioni che devono essere mostrate nello svolgimento del proprio ruolo ma che potrebbero richiedere al personale di mostrare sentimenti non autentici, con la conseguenza di far sentire gli individui troppo controllati e in mancanza di autonomia e di autoefficacia (esempio: strategie di surface acting). È necessario conoscere ciò che determina lo stress e come è possibile contrastarlo poiché molto spesso questo è fonte di mancanza di soddisfazione lavorativa, attaccamento all'azienda aggressività sul luogo di lavoro e può determinare assenteismo e malattie. Lo stress positivo e l’engagement Lo stress positivo è una particolare tipologia di stress che viene determinato da emozioni positive e che aiuta a sentirsi bene e a fare bene sul luogo di lavoro. Le emozioni positive non solo determinano, ma fanno anche perdurare uno stato di benessere dell’individuo. Tale stato di benessere guida ad azioni positive, le quali a loro volta rafforzano il livello di benessere dell’individuo stesso, dando vita ad un ciclo virtuoso. Le conseguenze più importanti dello stress positivo che sono state osservate a livello individuale riguardano: un miglioramento nella percezione delle proprie competenze, del significato delle azioni che si compiono, un aumento dell’ottimismo e dell'accettazione di sé. Il concetto più vicino allo stress positivo è quello di engagement. In particolare, i contributi accademici sull’engagement sono suddivisi in 3 gruppi: 1. L’engagement come stato di psychological presence sul posto di lavoro. Secondo questo filone: - Una persona engaged (positivamente stressata): riesce a essere presente e a esprimere tutta se stessa sul luogo di lavoro - Una persona dis-engaged: presenta un distacco verso quello che fa, tende alla distrazione frequentemente, non riesce a mettere in atto tutto il proprio potenziale e la propria energia. Affinché questa condizione di engagement si verifichi è fondamentale che i dipendenti percepiscano tre condizioni psicologiche: - senso profondo del proprio lavoro e contributo (consapevolezza che il proprio contributo risulta importante e significativo per l'organizzazione e il raggiungimento dei suoi obiettivi) - sensazione di sicurezza per cui l'errore è accettato (consapevolezza di poter agire e presentarsi in modo autentico sul posto di lavoro) - percezione di disponibilità e adeguatezza delle risorse che si hanno a disposizione. 2. Ricerche sullo stress e sul burnout Questo filone dimostra che l' engagement può essere considerato come uno stato opposto alle dimensioni di spossatezza e inefficacia, includendo l'altra parte le dimensioni di: - vigore (energia, desiderio di contribuire, resistenza alle difficoltà e allo sforzo) - immersione in quello che si fa (identificazione con l'attività che si svolge e piacere nello svolgimento della stessa) - percezione di autoefficacia (sensazione di poter riuscire al meglio con le risorse a disposizione) 3. Set di domande Secondo questo filone l’engagement può essere studiato somministrando ai propri dipendenti un set di domande relativo alla percezione di certe prassi manageriali. L’obiettivo è quello di andare a modificare quelle prassi che hanno delle conseguenze rilevanti sull’engagement. Si consideri, infine, che livelli intermedi di stress positivo generano il massimo beneficio in termini di benessere e agire quotidiano, mentre troppa tensione positiva produce risultati peggiori. Decisioni – Cap 5 Approccio teorico alle decisioni: considera il decidere un processo che, partendo da un problema, porta ad una soluzione di questo e che si compone di 8 fasi. 1. Definizione del problema: i problemi a volte sono strutturati, ma altre no. Un problema si dice strutturato quando ha obiettivi chiari, informazioni certe, alternative definite ed è possibile trovare una soluzione migliore in assoluto (massimizzazione del risultato) 2. Definizione degli obiettivi 3. Raccolta delle informazioni: le info da raccogliere sono numerosissime e questa fase può impiegare molto tempo 4. Valutazione delle informazioni: valutare i dati/info raccolti in termini di affidabilità e precisione 5. Definizione delle alternative possibili 6. Valutazione delle alternative possibili 7. Scelta dell’alternativa: a seconda della valutazione delle alternative, procedere a selezionarne una e quindi compiere una decisione, cercando di massimizzare i propri obiettivi 8. Valutazione dei risultati: feedback finale per valutare l’efficacia e efficienza del processo. È necessario conoscere come le persone prendono le decisioni perché le decisioni sono l’anticamera del comportamento: infatti le decisioni alimentano le azioni di tutti i giorni (binomio decisione-azione). Differente approccio possibile alle decisioni. Approccio razionale Uno dei primi contributi a questo approccio è quello di Bernoulli che, con il paradosso di San Pietroburgo, contesta il concetto della cd speranza matematica che permetteva di decidere quale fosse la decisione giusta da prendere tramite una semplice formula: valore atteso di un’azione = probabilità x valore 1) Probabilità associata alle alternative 2) Valore della singola alternativa Il paradosso di San Pietroburgo afferma che: la speranza matematica di un guadagno atteso è massima se il numero delle giocate è infinito, ma non c'è nessun soggetto razionale disposto a giocare all'infinito nella speranza di ottenere una vincita infinita. Da questa inapplicabilità della speranza matematica, Bernoulli suggerisce di sostituirla con la speranza morale (speranza matematica dell’utilità): l’utilità marginale del denaro è decrescente all’aumentare del denaro a disposizione. La teoria di Bernoulli ha influenzato anche teorie successive, tra cui quella di Bertham secondo cui la decisione da prendere deve massimizzare l'utilità, sia che si tratti di un individuo, di un'organizzazione o della società in generale. Questa visione del modo di comportarsi è stata definita come ‘propria dell’homo oeconomicus’, il quale utilizza una razionalità deduttiva, basata su processi di ottimizzazione. Approccio soddisfacente La scienza delle decisioni, come la conosciamo oggi, però, è stata fondata da Herbert Simon e si basa sulla critica dei modelli razionali puri. Egli parte dalla considerazione che il processo razionale di ottimizzazione è applicabile dal cd uomo economico quando: - Si è in presenza di problemi molto strutturati - Si è in assenza di vincoli da parte dell’organizzazione (si hanno le risorse per cercare le alternative e valutarle correttamente) - L’individuo conosce informazioni, alternative e conseguenze. Ma per Simon, l’agente economico non è più un uomo economico, ma un uomo organizzativo e in quanto tale è indotto a costruire un modello semplificato della realtà che gli interessa. Simon sostituisce quindi ad un approccio di ottimizzazione, un approccio all' ottimizzazione approssimata: si parte da una descrizione della situazione, la si semplifica fino ad ottenerne un'entità che permette a chi prende la decisione di trovare una soluzione. Modello decisionale razionale di ottimizzazione sostituito da modello di tipo soddisfacente. Le differenze rispetto al modello ottimizzante: – Decisioni in regime di razionalità limitata: raramente le persone, nella vita quotidiana, applicano le procedure necessarie a scegliere un’alternativa che massimizza la loro utilità attesa, dato che sono procedure molto dispendiose dal punto di vista cognitive – Decisioni in regime di incertezza: a volte, non è possibile avere informazioni perfette sul contesto e su se stessi – Strategia decisionale satisficing: scelta della alternativa che per prima soddisfa un set minimo di criteri accettabili Motivi di tali differenze: – Problema meno strutturato – Attori multipli con preferenze diverse – Alternative molteplici, non tutte note – Difficoltà di valutare tutte le conseguenze delle alternative – Presenza di vincoli in termini di costi e risorse Processo intuitivo Si usa quando: - Decisione che necessità di creatività e innovatività - Problema destrutturato e non riconducibile a template precedenti - Incertezza elevata - Pochi precedenti simili - Pressione temporale e di risorse - Scarsa utilità dei dati analitici perché non disponibili o perché inibiscono i processi creativi La decisione viene presa nel seguente modo: - Non si usa la logica sequenziale o il ragionamento esplicito dei precedenti modelli - Si usa l’esperienza, i giudizi individuali, la pattern recognition Modello molto legato alle caratteristiche e alle qualità individuali piuttosto che al supporto organizzativo Razionalità euristica Il modello euristico è un ulteriore approccio alle strategie decisionali e parte dalla considerazione che le decisioni prese in condizioni di incertezza sono le più frequenti nella realtà di tutti i giorni e che in queste situazioni l'attore decide utilizzando delle vere e proprie scorciatoie decisionali (eurismi). Tramite gli eurismi si può semplificare il problema, poiché permettono di considerare solo alcune alternative, opzioni o informazioni, rafforzando il modo di decidere e rendono la decisione più leggera. Gli eurismi decisionali sono tre: ancoraggio, rappresentatività e disponibilità. Eurisma: regola o procedura mentale (inconsapevole e spontanea) atta a risolvere problemi, dare giudizi, prendere decisioni eliminando gran parte dello sforzo cognitivo. Ancoraggio In situazioni di incertezza, l’eurisma di ancoraggio aiuta nella decisione perché fornisce un punto di riferimento: l'azione che viene presa di conseguenza all'utilizzo di un eurisma di ancoraggio si colloca in un raggio di possibilità che ha come riferimento centrale proprio il punto di ancoraggio. Quindi si basa la decisione su un qualcosa di già in proprio possesso o lo si modifica in itinere. Tuttavia, le ricerche empiriche evidenziano che le decisioni prese molto spesso sono troppo vicine all’ancora e poco vicine ai fattori correttivi che invece sarebbe bene attivare. L’eurisma di ancoraggio semplifica il modello decisionale soprattutto quando la probabilità di un cambio degli elementi di contesto è molto bassa oh quando il costo, anche in termini di tempo, per la revisione degli elementi è eccessivo. Rappresentatività L’eurisma della rappresentatività entra in gioco in condizioni di incertezza e di ignoranza circa le probabilità di un determinato evento. In questi casi la cosa migliore sarebbe rimandare la decisione, per avere il tempo di documentarsi e reperire le giuste informazioni, per poter agire nel miglior modo possibile. Molto spesso, però, questa strada non viene intrapresa e prende piede l’eurisma della rappresentatività portando a formulare un giudizio utilizzando conoscenze a noi familiari, che consideriamo rappresentative del caso che dobbiamo analizzare. Questo eurisma agisce come un vero e proprio stereotipo, come un pregiudizio precostituito. Si tratta di un giudizio che precede l'esperienza e che si forma in assenza di dati empirici: per questo molte volte porta ad errore poichè fa balzare a una conclusione per una semplice somiglianza della situazione ad un modello di riferimento. Disponibilità Questo eurisma trova applicazione perché le persone tendono a dare maggiore valore e importanza alle informazioni disponibili senza sforzo (di facile accesso) e a dare minore importanza e valore alle informazioni più lontane nel tempo, di maggiore complessità e di difficile acquisizione. Tutto il settore della pubblicità si basa sul fatto che gli individui utilizzino questo eurisma. Questo eurisma molto spesso produce soluzioni corrette soprattutto se si basa sull’esperienza, ma d’altra parte bisogna considerare che molto spesso le info che si hanno con più semplicità e in maggior quantità sono quelle riportate dai media o perché più recenti e quindi si potrebbe incorrere in decisioni errate. Overconfidence Quando i 3 eurismi agiscono contemporaneamente si incorre nel rischio dell’overconfidence (sicumera – superiorità decisionale) che porta le persone a essere sicure di sé, insensibili rispetto alla razionalità delle decisioni, alla verifica delle informazioni in possesso, privilegiando modelli mentali consolidati. Tuttavia, l’overconfidence ha anche un lato positivo: è uno strumento per orientare il comportamento delle persone (si pensi alle istruzioni che vengono date in aereo) Come contrastare i lati negativi dell’overconfidence: - Ricorrere all’aiuto di esperti e non limitarsi a una decisione individuale (avere un bagaglio informativo di maggiore qualità) - Creare una checklist in momenti di assenza di stress e di urgenza da poter utilizzare in momenti di incertezza e di incompletezza informativa - Ricorrere ad un eurisma di tipo opposto - Confrontarsi con un team, creando insieme un corso di azione adeguato Trappole decisionali Considerando quella che è l’equazione utilizzata da Bernoulli: valore atteso = probabilità x valore sarebbe bello poter decidere utilizzando una semplice forma. Bisogna considerare però 2 problemi che implicano la non applicabilità di questa forma: - Gli individui non sono affatto bravi nella stima della probabilità - Gli individui sono in difficoltà nell’attribuire un valore alle alternative. Il comportamento intenzionalmente razionale, infatti, potrebbe indurre in delle trappole. 1. Difficoltà nello stimare la probabilità: tale difficoltà deriva soprattutto dall’utilizzo dell’eurisma della disponibilità, particolarmente amplificato dai media 2. Difficoltà nell’attribuzione di un valore: questa difficoltà può essere dovuta: Comparazione del valore di un’azione con il passato Prima impressione, stereotipi Errata comparazione tra elementi della decisione quando i dati del contesto cambiano (esempio del compiere un’azione quando lo sconto è sempre di 100 dollari). 3. Autoconferma: molte persone dopo aver preso una decisione tendono a raccogliere solo informazioni che confermino la loro scelta. Bisognerebbe, invece, per sostenere la propria tesi considerare l’antitesi e poterla contestare. - Bias all’ottimismo Versione particolare dell’overconfidence secondo cui le persone tendono a sovrastimare le informazioni che hanno un significato positivo per sé e per i propri cari e a sottostimare le informazioni che hanno un impatto negativo. Si tratta di un istinto di sopravvivenza particolarmente sviluppato in situazioni che attengono la salute delle persone. C’è una parrte del cervello umano che risponde positivamente alle notizie positive e che si chiama circonvoluzione frontale inferiore sinistra. Quando invece si riceve una notizia negativa entra in funzione una parte del cervello chiamata circonvoluzione frontale inferiore destra. È stato dimostrato che il numero di neuroni impegnati ad elaborare le notizie negative sono notevolmente inferiori rispetto a quelli presenti nella parte del cervello che elabora le informazioni positive. Questa disparità è presente (dall’esperimento condotto) in tutti gli individui, aldilà delle differenze tra questi. La motivazione al lavoro Il tema della motivazione, soprattutto la motivazione al lavoro,ha sempre ricevuto una grande attenzione sia da parte degli accademici ,che hanno sviluppato diverse teorie, sia da parte di chi lavora in azienda. Andando ad analizzare le differenze tra managerialità e leadership, si è affermato che la capacità di motivare è uno degli aspetti fondamentali della leadership. Per chi gestisce le risorse umane in un’impresa, la motivazione è un requisito fondamentale. La motivazione ha rilevanza per l’individuo, l’azienda e la società in generale. Le teorie che permettono di dare una definizione al concetto di ‘motivazione’ si distinguono in: - Teorie di contenuto: spiegano COSA spinge le persone ad agire Teorie di processo: spiegano COME le persone agiscono Negli anni 50 e seguenti fioriscono le cosiddette teorie di contenuto, di cui le più importanti risultano essere: 1. Gerarchia dei bisogni (Maslow) 2. Fabbisogni appresi (McClelland) 3. Fattori duali (Herzberg e Hackman) Tra le teorie di processo più importanti, invece, troviamo: 1.Rinforzo (Skinner) 2.Goal setting (Locke) 3.Aspettativa/Valenza (Vroom) 4.Equità (Adams) TEORIE DI CONTENUTO La gerarchia dei bisogni - Maslow Maslow propose la teoria della gerarchia dei bisogni: identifica 5 categorie di bisogni, gerarchicamente legati e teorizza che l’azione degli individui sia generata dai bisogni di livello superiore solo se sono stati soddisfatti quelli di livello inferiore. 5 bisogni: - Fisiologici (bisogno di base, primo ad essere soddisfatto) sicurezza appartenenza stima realizzazione (bisogno che sarà soddisfatto solo se soddisfatti quelli prima). Studi successivi hanno smentito tale teoria: sebbene il soddisfacimento di un bisogno sia di stimolo per un successivo comportamento, i bisogni cambiano col tempo e in funzione dell’esperienza. Fabbisogni appresi – McClelland Tale teoria si basa sul potere motivazionale di alcuni bisogni precisi, definiti dall’ autore come spinte e che gli individui possiedono a livelli differenti e sviluppano in base ai processi di socializzazione (NON innati o naturali). La motivazione al successo di un individuo e i comportamenti conseguenti dipendono dalla forza dei bisogni qui elencati (infatti gli individui manifestano questi bisogni, ma alcuni in modo dominante). Bisogni: - potere Affiliazione Achievement autonomia. Mcclelland si concentra sul potere, definito come il bisogno di controllare il proprio ambiente e sull’achievement definito come comportamento diretto alla competizione con uno standard di eccellenza. Essi risultano dominanti negli imprenditori e in coloro che hanno raggiunto posizioni di leadership. Teoria di Herzberg Attraverso uno studio empirico su un campione di 200 ingegneri Herzberg identificò l'esistenza di due tipi di fattori: - Motivanti: generano soddisfazione se sono presenti (ma se assenti NON generano insoddisfazione). Si identificano con aspetti legati al lavoro. Igienici: devono essere presenti per non generare insoddisfazione ma che, limitandosi a prevenire l’insoddisfazione, sono considerati neutri. Riguardano aspetti legati al contesto lavorativo. Quindi chi gestisce persone per motivarle deve far leva sui fattori motivanti e non su quelli igienici. NB: il salario è compreso tra i fattori igienici e non motivanti: studi successivi hanno dimostrato infatti che il salario di base e fisso non è efficace per motivare a produrre. Ciò che serve per incentivare a produrre sono gli incentivi economici basati sulla prestazione individuale o di gruppo. Critiche alla teoria: 1. Differenze individuali e di ruolo: - Come Maslow, Herzberg assume che tutti siamo motivati dalle stesse cose - Herzberg si è concentrato su certi ruoli organizzativi elevati (esempio: ma le condizioni di lavoro sono un fattore igienico per tutti? ) 2. Problema nella metodologia - Errore di attribuzione - Le situazioni positive sono attribuite al contenuto del lavoro (più vicine a noi stessi); le situazioni negative al contesto … ma quando un compito/lavoro si può dire motivante? - teoria di Hackman e Oldham Secondo i due studiosi un compito di dice motivante se possiede le seguenti caratteristica: - Varietà: il lavoro richiede attività differenti per portarlo a termine e differenti capacità e talenti Identità: il lavoro consente di svolgere un’attività dall’inizio alla fine con un risultato identificabile Significatività: il lavoro ha un impatto sulle vite o sul lavoro di altre persone Autonomia: il lavoro consente una sostanziale libertà , indipendenza e discrezione nella programmazione delle attività e nella scelta delle procedure da utilizzare Feedback: l’individuo riceve chiare e dirette informazioni sull’efficacia della sua prestazione Solo autonomia e feedback generano soddisfazione nei lavoratori. TEORIE DI PROCESSO I rinforzi di Skinner Skinner sviluppò una teoria chiamata teoria del rinforzo poiché sostiene che si possono motivare gli individui attraverso dei rinforzi, positivi o negativi, che li spingeranno ad aumentare o ridurre la frequenza di un determinato comportamento. Per incentivare qualcuno a produrre un comportamento desiderato si può ricorrere a rinforzi positivi o negativi. Per far cessare il comportamento si procede con la punizione o l’estinzione. La teoria afferma che sono preferibili i rinforzi alle punizioni in termini di risultati migliori nel medio/lungo termine. Cosa si potrebbe fare con un dipendente sempre in ritardo? La teoria degli obiettivi di Locke (Goal Setting) Principi della teoria: - Gli individui sono motivati ad agire in base alle caratteristiche degli obiettivi che gli sono assegnati …ma come gli obiettivi che l’organizzazione assegna agli individui influenzano la motivazione e prestazione? - Tra obiettivi, motivazione e prestazione c’è una relazione curvilinea. La relazione tra obiettivi e prestazione è moderata da (di conseguenza gli obiettivi sono motivanti se sono): - Difficili (sfidanti, non impossibili) Specifici, non generici Partecipati (partecipare a definirli, avere tante informazioni su di essi, avere la possibilità di definire in modo autonomo come raggiungerli) Associati ad un processo di feedback (il dipendente deve sapere se e come sta raggiungendo gli obiettivi) - Coerenti con le competenze dell’individuo ed in particolare se l’individuo percepisce di poterli raggiungere (auto-efficacia: percezione di poter raggiungere un determinato risultato e se si possiede comporta l’interesse e l’impegno anche per obiettivi più complessi e sfidanti). L' aspettativa valenza di Vroom Vroom introdusse la teoria che spiega la motivazione in base alla valenza che i risultati ottenibili hanno per ciascuno e all' aspettativa che ciascuno ha di raggiungerli. Tale teoria ci spiega in maniera razionale il processo mentale che si attiva prima di decidere se impegnarsi o no. Principi su cui si basa la teoria: - - Gli individui indirizzano i propri sforzi (e sono motivati) verso le attività che li portano ad ottenere i risultati più vantaggiosi. Cioè le attività che ritengono di poter gestire con le loro competenze e che possono produrre conseguenze positive e desiderabili. – Gli individui sono in grado di “calcolare” i costi e i benefici delle diverse alternative e di agire in base alla più vantaggiosa. Risultano fondamentali, quindi, in tal senso 2 concetti: 1. Aspettativa: probabilità di raggiungere un obiettivo e si distingue in: - Aspettativa di sforzo-prestazione: probabilità che lo sforzo porterà a compiere la prestazione - Aspettativa prestazione-risultato: probabilità che l’aver compiuto la prestazione porti effettivamente al risultato. 2. Valenza: è il valore attribuito al raggiungimento di un obiettivo (valore monetario o intangibile) Motivazione secondo questa teoria: VALENZA x ASPETTATIVA. L' aspettativa che si ha di raggiungere un risultato impegnandosi, comprende anche la componente di auto-efficacia, oltre che gli elementi di contesto. Critiche alla teoria valenza-aspettativa 1. La teoria dell’aspettativa valenza assume delle “capacità razionali” dell’individuo che sono poco plausibili quando si considerano processi motivazionali molto complessi: - Prendere in considerazione tutte le alternative - Considerare i loro costi/benefici - Scegliere l’alternativa più vantaggiosa... 2. Benefici immateriali considerati solo se quantificabili La teoria dell'equità di Adams La teoria sull’equità distributiva sostiene che gli individui valutano le ricompense che ottengono sul lavoro in relazione ai contributi che forniscono (impegno, studi, tempo, ecc.) e che quindi confrontano il loro rapporto contributi/ricompense con quello di altri lavoratori. Da tale confronto può derivare: - un senso di giustizia: si percepisce che il proprio rapporto contributi/ ricompense è uguale a quello degli altri un senso di ingiustizia: si percepisce di avere di meno o di più degli altri, in relazione sempre a quanto si dà. Le categorie di lavoratori che vengono scelte per il confronto sono tre: - Gli altri, ovvero individui con lavori simili nella stessa organizzazione, ma anche amici o vicini. Il sistema, ovvero il sistema di incentivi aziendali e la sua amministrazione. - Il sè, ovvero una serie di fattori individuali influenzali, per esempio dalle precedenti esperienze di lavoro. Se i lavoratori percepiscono il rapporto contributi/ ricompense iniquo allora compiranno una delle seguenti azioni: distorceranno i loro contributi/ricompense o quelli degli altri, si comporteranno in modo da indurre gli altri a modificare i loro contributi o ricompense oppure faranno in modo di modificare loro stessi contributi o ricompensa o sceglieranno individui diversi con cui confrontarsi o addirittura lasciare il lavoro. Successivamente sono emerse delle criticità sulla teoria perché: - le si attribuiva una scarsa capacità di predire le azioni che l'individuo avrebbe intrapreso per ridurre il senso di iniquità Le si attribuiva scarsa applicabilità nei casi di iniquità favorevole. Considerava inoltre solo una possibile norma di giustizia, ovvero il merito, laddove si diceva che vi era giustizia quando le ricompense erano in proporzione ai contributi: giustizia distributiva. Esistevano però almeno altre due norme di giustizia che la teoria non aveva preso in considerazione, ovvero l'eguaglianza, dare cioè tutti la stessa ricompensa, indipendentemente dal contributo e il bisogno dare cioè di più a chi ha meno. Quindi viene introdotto un nuovo tipo di giustizia: la giustizia procedurale (equità dei processi con cui vengono distribuiti i risultati). Il concetto di giustizia procedurale è stato successivamente approfondito andando ad individuare 6 regole che sono alla base della percezione della giustizia dei processi in cui vengono distribuiti i risultati: - Costanza, ovvero la necessità di applicare le stesse regole a tutti e la necessità che siano stabili nel tempo. soppressione delle distorsioni Accuratezza, informazioni accurate e opinioni informate. Reversibilità e possibilità di correzione in caso di errore. Rappresentatività Etica, ovvero compatibilità con i fondamenti morali e valori etici dell’individuo. Altri autori hanno proposto differenti determinanti della giustizia del processo, ma tutti presentavano un elemento in comune che è quello della voce, la possibilità cioè di fornire ai decisori degli input, ovvero elementi utili per la formulazione delle decisioni. Cropanzano e Folger sostengono che il risultato e la procedura agiscono insieme nel creare un senso di ingiustizia. Bisogna dunque considerare la loro interazione. Questa ipotesi è nota come modello o effetto interattivo, secondo cui risultati e procedure interagiscono nel determinare la positività o la negatività delle reazioni alle decisioni. Da studi sull’ effetto interattivo è emerso che: - Quando i risultati sono ingiusti o hanno una valenza negativa e più probabile che la giustizia procedurale abbia un effetto diretto sulle reazioni degli individui. Quando la giustizia procedurale è bassa è più probabile che la valenza del risultato sia correlata positivamente con le reazioni degli individui. La combinazione di una bassa giustizia procedurale e una valenza negativa di risultati danno origine alle reazioni più negative. Successivamente è stato individuato il concetto di equità relazionale. Una decisione di allocazione di risorse può essere vista come una sequenza di eventi in cui una procedura genera un processo di interazione e decisione attraverso cui risultati sono allocati a qualcuno. Tale equità include due componenti: - Equità informativa, ovvero le spiegazioni adeguate delle ragioni sottostanti la decisione. Equità comunicativa, Ovvero trattamento con rispetto e dignità da parte di coloro che implementano le decisioni. Frontiere aperte (modello di Locke) Locke e Latham hanno individuato due raccomandazioni: 1) Usare risultati delle meta-analisi esistenti per integrare fra di loro gli aspetti validati delle teorie esistenti. 2) creare la scienza senza confini della motivazione al lavoro Le meta analisi (consigliate nella prima raccomandazione) permettono di sviluppare un modello integrato che tenga in considerazione tutte le teorie precedentemente sviluppate. Per quanto riguarda la seconda raccomandazione si fa riferimento alla ‘scienza senza confini’, cioè al fatto di considerare e studiare la motivazione sotto i suoi più disparati aspetti e punti di vista: in relazione con la personalità, con il contesto, con le decisioni o analizzarla all’interno dei gruppi. Non conviene confinare la motivazione ad una determinata disciplina in quanto si può fare riferimento a molti rami di molte discipline. Motivazione e processi di gestione delle risorse umane. il tema della motivazione è connesso ai processi di gestione delle risorse umane. Quando si impostano tali processi occorre verificare se hanno quelle caratteristiche di equità procedurale. La relazione motivazione-processi di gestione delle risorse umane può essere analizzata solo si è a conoscenza di cosa spinge le persone a muoversi. Se si considera il singolo individuo, infatti, le aziende che attraggono di più sono quelle che offrono lavori del contenuto interessante, prospettive di crescita e sviluppo, retribuzioni soddisfacenti. APPRENDIMENTO Processo di trasformazione permanente tramite cui un individuo si percepisce cambiato per conoscenze, abilità e attitudini. Differenti modalità di apprendimento: - apprendere nella quotidianità, autonomamente (suonando e risuonando lo stesso accordo) - attraverso metodi specifici (es: sistema scolastico o di formazione) L’apprendimento è un processo fondamentale sotto una duplice prospettiva: quella individuale e quella dell’impresa. APPRENDIMENTO INDIVIDUALE Processo di cambiamento complesso, lungo e molto costoso, ma vitale. - Processo complesso Comporta un cambiamento duraturo (soprattutto per gli adulti che risultano essere inerziali) e implica l'assunzione di rischio (si perde l’equilibrio iniziale, si mette in discussione lo status quo di partenza, senza avere certezza nei risultati). - Processo lungo Si compone di diverse fasi (contatto con il nuovo, interiorizzazione del nuovo, apprendimento – se il nuovo non viene interiorizzato non si è in presenza di apprendimento). - Processo molto costoso È necessario utilizzare energie fisiche, cognitive ed emotive (anche il tempo è una risorsa fondamentale, soprattutto per gli individui adulti). - Processo vitale La mancanza di apprendimento comporta invecchiamento e perdita di motivazione. Se non si ha una prospettiva di sviluppo (raggiungibile con l’apprendimento) o se ci si sente indietro rispetto agli altri si perderà la motivazione (soprattutto nei giovani). A parità di gravità della patologia le malattie neurodegenerative tardano a presentare i propri sintomi nel paziente se ha delle risorse cognitive ben sviluppato (ha intrapreso molti e continui processi di apprendimento). APPRENDIMENTO NELLE IMPRESE L’apprendimento nelle imprese può avvenire in differenti maniere, anche semplicemente interagendo con un proprio collega. L'apprendimento nelle imprese può avvenire anche attraverso un meccanismo di gestione delle risorse umane e cioè attraverso la formazione, un meccanismo da attivare (e che viene intenzionalmente progettato) in modo sistematico e continuativo volto ad apportare cambiamenti permanenti alle conoscenze, alle abilità e alle attitudini di chi vi partecipa. La formazione si differenzia dall’apprendimento individuale per almeno due elementi: 1. Presenza di un obiettivo strategico di impresa: l'impresa attiva in modo intenzionale la formazione del proprio personale per apportare cambiamenti permanenti alle competenze, conoscenze e attitudini dello stesso. L'impresa, però, non è interessata al fatto che i dipendenti apprendono nuove conoscenze, ma al fatto che queste conoscenze permettano loro di lavorare meglio negli interessi dell’impresa stessa. la formazione cioè e una levo strategica poiché si pone il raggiungimento di obiettivi strategici per l'impresa. 2. La necessità di una massa critica per attivare apprendimento collettivo: considerato un obiettivo strategico è necessaria una massa critica di individui da formare, altrimenti non sarà possibile apportare un cambiamento all'impresa. Se da una parte la formazione è una leva strategica, al tempo stesso è però una leva molto costosa (anche alla luce della difficoltà con cui si possa calcolare un ritorno in termini monetari della formazione stessa) in particolare perché: 1. bisogna sottrarre il personale all'attività lavorativa ordinaria: difficilmente un dipendente riuscirà a trovare un tempo extra oltre a quello lavorativo, quindi è necessario che l’attività di formazione sia progettata nelle ore lavorative del personale. 2. bisogna progettare la formazione e gli interventi formativi che la compongono (ovviamente questi hanno dei costi) 3. se non fatta bene non c'è ritorno economico: è necessario che la formazione si basi sui fabbisogni dei dipendenti dell’impresa (è necessaria un’analisi ex ante di questi) e che successivamente alla formazione ci sia un’attività di valutazione di questa. Molte imprese sottovalutano tali elementi o non posseggono gli strumenti necessari per attuarli. In tali circostanze la formazione diviene una leva costosa e per nulla strategica. Affinchè la formazione non sia una leva costosa, ma abbia degli ottimi risultati, deve presentare almeno queste 3 fasi: 1. Analisi dei fabbisogni formativi: individuare gli obiettivi che l'impresa intende raggiungere e articolarli fino al l'individuazione dei bisogni specifici di coloro che parteciperanno al corso. Se tale fase manca i partecipanti percepiranno il corso come inutile con la conseguente riduzione della loro motivazione e attenzione. 2. progettazione e realizzazione dell'intervento formativo: individuare l'approccio di apprendimento e le prassi didattiche (metodo, durata, format, tecniche e luoghi). 3. valutazione della formazione: valutare il corso per comprendere se gli obiettivi strategici che ci si era preposti sono raggiunti. l' 80% delle imprese che effettuano formazione non la valutano. senza valutazione non si dimostra in alcun modo che la formazione è una leva strategica per la crescita del capitale umano dell'impresa e per il suo vantaggio competitivo (valutazione = rilevante). la valutazione è complessa perché non sono stati diffusi e sviluppati molti strumenti per adoperarla. Metodo di KirkPatrick per valutare la formazione (valutare l'efficacia della formazione riferendosi alla capacità della stessa di raggiungere quattro step): - reaction: carpire la reazione di breve periodo e istantanea dei partecipanti - learning: ammontare di nuove conoscenze acquisite grazie all' intervento formativo (misurazione tramite test nozionistici e di comprensione) - behavior: grado di utilizzo permanente all'interno del contesto lavorativo delle conoscenze delle abilità apprese - result: grado di raggiungimento degli obiettivi strategici (misurato tramite indicatori specifici correlati agli obiettivi – es: ridurre i tempi di attesa o soddisfare i clienti). In molte imprese la formazione si conclude nel giorno in cui termina il corso o, in quelle in cui viene applicata la fase di valutazione, molto spesso questa si limita ad un questionario di gradimento che compilano i partecipanti del corso: la soddisfazione è una reazione emotiva di brevissimo periodo, molto influenzata da eventi esterni e per questo non permette di affermare che vi sarà una duratura trasformazione del comportamento o cognitiva. L’obiettivo delle imprese è il raggiungimento dell’apprendimento trasferito in modo duraturo al contesto di lavoro che viene denominato training transfer, al fine di ottenere una migliore prestazione individuale e poi complessiva. Ci sono degli elementi che, se ben progettati e considerati, favoriscono il trasferimento dell’apprendimento al contesto lavorativo; sono: caratteristiche individuali dell’individuo, caratteristiche progettuali del corso e caratteristiche del contesto di lavoro. È stato riscontrato che delle prassi costruttiviste riscontrano dei risultati migliori. APPROCCIO COMPORTAMENTISTA Approccio che si basa sulla considerazione dell’apprendimento come condizionamento del comportamento: l’apprendimento si manifesta come una trasformazione del comportamento ottenuto tramite l’utilizzo di stimoli che comportino determinate risposte. Quindi alla base vi è il condizionamento del comportamento che può essere: - Condizionamento classico: l'individuo attiva un nuovo comportamento in risposta a uno stimolo che ha ricevuto e lo memorizzerà grazie alla ripetizione degli stimoli e delle conseguenti risposte - Condizionamento rafforzato (velocizzato): viene introdotta ho una ricompensa o una punizione (rinforzo) a rimarcare la catena stimolo- risposta. Esempi: cani di Pavlov e topi di Skinner. Il condizionamento non è da confondere con la manipolazione: questa ha l’obiettivo di condizionare il comportamento degli altri a proprio vantaggio, creando situazioni patologiche. La manipolazione punitiva grazie all'evoluzione dei costumi socio-culturali non viene quasi mai più utilizzata, ma la manipolazione può essere anche non punitiva e questa, purtroppo, è ancora molto diffusa: genera reazioni positive in chi la subisce, ma l'obiettivo alla sua base è sempre lo stesso. Gli aspetti fondamentali delle prassi didattiche comportamentiste sono: 1. il ruolo attivo del docente e passivo del discente: il discente lancia gli stimoli progettati exante e attiva il condizionamento del comportamento del discente fornendogli la risposta giusta. il discente, in un ruolo meramente passivo, si limita ad apprendere la risposta giusta e a memorizzarla. 2. la centralità della tecnica di lezione frontale: la didattica si sviluppa attraverso la spiegazione da parte del docente e l' ascolto da parte del discente. il primo trasferisce la risposta giusta, il secondo la ascolta passivamente, la memorizza, la ripete individualmente e la utilizzerà in una futura valutazione che consiste nel testare la memorizzazione delle risposte giuste attraverso domande a risposta multipla o domande aperte. 3. utilizzo del modello preventivo e punitivo dell'errore: l'errore viene percepito come esclusivamente negativo, perché rappresenta lo scostamento dallo standard, cioè dalla risposta corretta. il docente insegna al discente come evitare l'errore e come arrivare alla risposta giusta nel minor tempo possibile e qualora commesso verrà punito, creando nel discente insoddisfazione stress e frustrazione. tale metodo incoraggia l'efficienza, ma scoraggia la sperimentazione 4. la progettazione dei luoghi didattici con la "prospettiva dell'osservatore": le aule hanno una prospettiva da spettatore con il docente da un lato EI discenti dall'altro, senza che vi sia per questi la possibilità di interagire. Il comportamentismo ha trovato terreno fertile grazie: - alla compatibilità con molti sistemi culturali: secondo uno studio condotto negli stati uniti negli anni ’80 per il 75/80% del tempo gli alunni stavano seduti, ascoltavano e svolgevano compiti. È diffusa la visione secondo cui gli alunni devono stare seduti e attenti tutto il tempo. - alla facilità di misurazione dei risultati: permettono una verifica veloce e certa dei risultati perché non vi è possibilità di sperimentazione, la risposta giusta è solo una. Questo approccio non è stato comunque esente da critiche, le principali sono: 1. la durata nel tempo del condizionamento: molto spesso il risultato del condizionamento è risultato un risultato di breve periodo e momentaneo. In questo caso, però, non si effettua un vero e proprio apprendimento (questo deve essere duraturo e stabile). Il condizionamento del comportamento dovuto a stimoli esterni e velocizzato tramite rinforzi rimarrà fino a quando rimangono immutate le condizioni esterne o i rinforzi. 2. la riduzione dei comportamenti esplorativi: attraverso i metodi punitivi dell’errore si preclude al discente la possibilità di esplorare nuovi orizzonti perché si incentra l’apprendimento sulla memorizzazione di una risposta giusta. L’uso della punizione, delle volte, può determinare un blocco dell’apprendimento futuro. 3. la mancata considerazione della dimensione sociale: l’individuo è immerso in un contesto sociale ed interagisce con questo. Il condizionamento del comportamento non è dettato esclusivamente da stimoli e condizioni esterne, ma anche, e soprattutto, dall’interazione con gli altri che assumono una funzione di modeling per il discente. Esempio dei bambini che apprendono comportamenti aggressivi in presenza di adulti violenti: questo apprendimento è detto apprendimento vicario (imitazione e riproduzione di modelli di ruolo del contesto sociale in cui ci si trova). Le prime due critiche derivano dalla punizione prevista da Skinner, mentre la terza trova fondamento negli studi di Bandura e nell'apprendimento vicario APPROCCIO COGNITIVISTA E COSTRUTTIVISTA L’approccio costruttivista, che risulta essere un’evoluzione di quello cognitivista, si basa sul fondamento secondo cui l’apprendimento risulta essere un cambiamento duraturo e stabile a livello cognitivo. In particolare, l’approccio cognitivista (secondo cui ogni individuo elabora una prospettiva del mondo esterno – esempio dello scimpanzè di Kholer) presenta delle sostanziali differenze con l’approccio comportamentista: Secondo l’approccio costruttivista la costruzione della propria visione del mondo avviene attraverso un’attività psichica di costruzione di senso: l’apprendimento consiste nella costruzione della propria visione del mondo, nella formazione e nel cambiamento della propria struttura cognitiva, non nella mera e limitata modifica del proprio comportamento. Un individuo nasce con riflessi biologicamente determinati senza saper coordinare percezione e azione. Attraverso reazioni circolari l'individuo: - apprende la coordinazione tra percezione e azione - ricostruisce mentalmente oggetti distanti nel tempo, ma presenti nella sua memoria - sviluppa il pensiero rappresentativo tramite, ad esempio, l'abilità di servirsi di simboli - apprende il ragionamento ipotetico e deduttivo In questo processo di apprendimento sono fondamentali 3 meccanismi: 1) assimilazione: incorporare concetti nelle proprie strutture cognitive, apprendere ciò che è compatibile con le strutture preesistenti (quando si entra a contatto con un elemento nuovo si tenta di decodificarlo tramite concetti già preesistenti nella propria struttura cognitiva e con questi compatibile: se così è lo si assimila ed è avvenuto l’apprendimento). 2) adattamento: permette la modifica della propria struttura cognitiva e si verifica quando si entra in contatto con elementi ignoti (quando si entra contatto con il ‘nuovo’ non sempre questo è compatibile con elementi già noti nella propria struttura cognitiva: se sussiste questa incompatibilità allora l’adattamento permette la modifica della struttura cognitiva stessa. L’entrare a contatto con il nuovo non compatibile con la propria struttura cognitiva comporta che il soggetto si ritrovi in una situazione di squilibrio che terminerà quando, grazie all’adattamento, si giungerà ad un nuovo equilibrio). 3) socializzazione: apprendimento influenzato dal contesto sociale in cui si verifica. La presenza di tale meccanismo risulta essere una grande differenza con quello che è l’apprendimento comportamentista che esclude e non considera assolutamente tale sfera (viene considerata solo in ultima analisi da Bandura che, però, considera la socializzazione limitatamente alla circostanza in cui influenza il comportamento di un individuo – esempio del gioco delle tazze dei bambini di Vigotsky). PRASSI DIDATTICHE COSTRUTTIVISTE [...] è necessario che si impari non solo a cuocere le uova, ma a intraprendere il principio incluso nella cottura delle uova. - Dewey (1966) Le prassi didattiche costruttiviste sono numerose, ma hanno 5 elementi comuni: 1) ruolo attivo del discente: egli deve ricercare, intraprendere e creare significati, anche agendo con gli altri. Non si tratta di una mera ricezione passiva della risposta giusta, ma è necessario che sia protagonista perché ognuno deve sviluppare la propria visione del mondo. 2)tecniche didattiche attive e collaborative: action learning, experimental learning, role playing, discussione di casi, simulazioni ecc. – è necessario che il discente sviluppi una comprensione tale da poter modificare la propria struttura cognitiva, che sperimenti confrontandosi con gli altri e che sviluppi un proprio spirito critico. 3)metodi supportivi dell'errore: ruolo positivo dell'errore che diviene opportunità di riflessione, di raffinazione dei propri modelli cognitivi e di esplorazione, trovando così soluzioni innovative (learning by mistakes). 4)ruolo di guida del docente: egli deve adattare i curricula di studio alla situazione didattica presente, interagire con gli studenti, favorire l'interazione tra studenti e stimolare il loro spirito critico. 5)luoghi didattici con prospettiva del giocatore: possibilità di spostare tavoli e sedie, supporti di lavoro a disposizione di tutti, molteplici prospettive e stimoli. Gruppo: costruzione e dinamiche 1985: 20% delle attività di un’organizzazione venivano svolte in un team. Oggi: più dell’80% di attività di un’organizzazione si basano sul lavoro di gruppo. La complessità crescente del contesto di riferimento, sia da un punto di vista di volatilità economica sia da un punto di vista di evoluzione tecnologica ha portato le aziende a passare ad un approccio più orientato al lavoro di gruppo, rispetto alla preferenza del lavoro individuale: le organizzazioni necessitano di attingere a competenze differenziate per risolvere problemi complessi e traversali per l’organizzazione stessa. Il gruppo, infatti, se ben costruito e gestito, offre alcuni vantaggi rispetto al lavoro individuale: - - Vantaggio cognitivo: mettere a fattor comune le conoscenze individuali consente al gruppo di sviluppare soluzioni più efficaci e innovative rispetto al singolo soggetto. Il lavoro di gruppo è preferibile a quello individuale per la risoluzione di problemi complessi per cui sono richieste differenti competenze o per problemi che richiedono creatività e innovazione. Vantaggio motivazionale: se il gruppo funziona bene, gli individui tendono ad avere un livello maggiore di soddisfazione rispetto a quando lavorano singolarmente (questo porterà ad una migliore relazione dipendente – impresa e quindi anche ad un grado di motivazione in più). Gruppo: tre o più persone che interagiscono e dipendono le une dalle altre per il raggiungimento di un obiettivo comune e che si riconoscono e sono riconosciute come entità sociale unica. È possibile distinguere differenti tipologie di gruppi considerando 2 criteri differenti: Criterio: come viene costituito un gruppo. - Gruppo formale: costituito su mandato organizzativo top down per il raggiungimento di un determinato obiettivo. Gruppo informale: emergere da persone che condividono un interesse o un obiettivo comune e che mettono a fattor comune le proprie risorse. Criterio: durata temporale del gruppo. - Gruppo permanente: gruppi con orizzonte temporale permanente e che non hanno una durata predeterminata. Gruppo temporaneo: hanno un orizzonte di vita che solitamente si conclude con il raggiungimento dell’obiettivo. Dalla combinazione di queste tipologie hanno luogo differenti scenari: - - - - Temporaneo/formale: gruppi che vengono costituiti con la finalità di riunire un pool di competenze differenti volte a sviluppare un prodotto o servizio o a risolvere un problema specifico. La loro durata è legata alla durata del progetto o alla risoluzione del problema. Questa tipologia è molto diffusa nelle organizzazioni (es. Pixar) Permanente/formale: gruppo formato dal management e cui sono generalmente affidate l'attività di consultazione, monitoraggio, coordinamento e controllo costanti nel tempo (es. comitato budget). Temporaneo/informale: insieme di persone che intervengono congiuntamente per affrontare un problema comune, ma non sono state designate formalmente dall’organizzazione. Permanente/informale: questi gruppi non hanno generalmente l'obiettivo di risolvere un problema specifico, ma nascono su base spontanea, alla luce degli interessi convergenti di un insieme di persone. L'obiettivo principale di questi team è di scambiare conoscenze, informazioni in relazione a un determinato ambito a beneficio dei membri del gruppo stesso. Il modello di riferimento Il gruppo è composto da una molteplicità di individui che devono interagire tra loro, che devono interfacciarsi con l'ambiente esterno e queste interazioni sono generalmente la principale fonte di problemi. Un gruppo di per sé non è sinonimo di successo: è fondamentale costruirlo e gestirlo in modo appropriato. A tal fine si consideri il modello di input-processi-output che risulta efficace per analizzare gli elementi determinanti del successo o dell’insuccesso di un team. Gli input costituiscono gli ingredienti del team e ne rappresentano la struttura. Essi sono elementi che devono essere presi in considerazione nella fase di costruzione del team , poiché influenzano i processi e gli output. Gli input sono caratterizzati da: - Numerosità Quanti membri compongono il gruppo. Ricerche manageriali hanno evidenziato che il numero ideale di membri di un team è da considerarsi in un intervallo tra 5 e 9 membri. La scelta della numerosità è un trade off importante: un basso numero di membri permette una migliore gestione dei processi di interazione, ma diminuisce il potenziale innovativo del team; dall'altra parte, aumentando i membri del team aumenta la difficoltà di gestione dei processi di interazione (non tutti i membri potrebbero apportare il proprio contributo in modo efficace, potrebbero crearsi coalizioni o situazioni di opportunismo), ma anche il numero di risorse potenziali a cui si ha accesso. Il volume di interazioni potenziali da gestire all'interno di un team aumenta esponenzialmente al crescere del numero di membri (formula = N*(N-1)/2. É necessario che il numero di membri sia definito nella fase iniziale di vita del team per evitare il cadere nella cosiddetta Brooks Law Trap (aumentare il numero di persone nel team nelle fasi finali di un progetto tende ad accrescere il ritardo nella conclusione del progetto stesso). - Caratteristiche individuali dei membri del team. Questa è una componente fondamentale poiché rappresenta l'insieme delle potenziali risorse cognitive da cui il gruppo può attingere per raggiungere il proprio obiettivo. Le caratteristiche dell'individuo possono essere osservate da 2 punti di vista: le competenze e le caratteristiche della personalità. Le competenze possono essere di carattere tecnico, competenze legate al problem solving e al decision making, competenze di carattere interpersonale (ascolto attivo, comunicazione, gestione del conflitto ecc.) I tratti di personalità sono fondamentali perché possono contribuire al lavoro in team e all' efficacia dei processi in modo differente. - Ruoli Il ruolo costituisce un'aspettativa di comportamento che i membri del team nutrono nei confronti di ciascuno dei membri del team stesso. La definizione dei ruoli all'interno del team è un'attività fondamentale perché fornisce punti di riferimento relativi alle varie tipologie di attività che devono essere svolte. È possibile identificare quattro tipologie di ruolo rispetto ai comportamenti che ciascuno di noi generalmente agisce quando si trova all’interno di un team; tali profili sono dati dalla differente combinazione di 4 elementi: orientamento alla relazione vs orientamento al compito, atteggiamento di esplorazione vs atteggiamento di consolidamento. Inoltre, esistono dei profili secondari che rappresentano delle ulteriori classificazioni all'interno dello stesso profilo primario sulla base dell’orientamento alle relazioni interne o esterne al gruppo o al fatto che l'orientamento al compito sia più focalizzato sull’obiettivo da raggiungere rispetto al processo per raggiungere lo stesso: 1. Explorer (profilo primario): ha un forte orientamento ai compiti che devono essere svolti dal team e all'esplorazione di soluzioni innovative. Experimenter(profilo secondario): il suo orientamento è focalizzato sul processo e sul come svolgere le attività del team Pioneer (profilo secondario): è più orientato l'esplorazione degli obiettivi e scenari alternativi. 2. Optimizer (primario): ha un forte orientamento al compito ma la focalizzzione è sull’ ottimizzazione delle risorse e deve conoscenze già presenti nel team. Pacemaker(secondario): è orientato all’ottimizzazione dei processi e al mantenimento del ritmo delle attività del team Sensemaker(secondario): è orientato all’ottimizzazione dell’obiettivo cercando di dare un senso e un’ interpretazione condivisa di quanto viene richiesto 3. Broker(primario): è prevalentemente orientato alle relazioni attraverso un approccio esplorativo. Enabler(secondario): ha un orientamento alle relazioni interne al team creando le condizioni necessarie per far fluire la conoscenza attraverso il network interno. Linker(secondario): ha un orientamento all'esterno, attivando, ricercando e mediando conoscenze e risorse per il team in un ampio portafoglio di contatti. 4. Trust Builder (primario): ha un orientamento le relazioni attraverso un approccio di consolidamento. A differenza del broker, tende a focalizzarsi su poche relazioni con un forte orientamento alla stabilità e alla costruzione di partnership durature. Binder(secondario): ha un orientamento spiccato verso la creazione di uno spirito di squadra. Facilita la costruzione di team tramite la creazione di relazioni solide tra i membri a lungo termine. Ambassador(secondario):ha un orientamento alle relazioni esterne con la tendenza a creare legami consolidati e di lungo periodo con le controparti e gli stakeholder del team. - Status Un altro importante elemento da prendere in considerazione tra gli input è lo status che i membri hanno all'interno del team. Lo status può essere considerato come l'esplicita o implicita posizione gerarchica di ciascun individuo all'interno del team in relazione a quella degli altri membri. Tale percezione gerarchica può essere determinata da una varietà di fattori come l'esperienza o le competenze. Lo status nei gruppi è particolarmente critico poiché gruppi composti da membri con status differenti tendono a sviluppare processi meno efficaci (i membri di status inferiore tendono ad inibire le proprie opinioni qualora non conformi a quelle di membri che detengono uno status superiore; quando la differenza di status è elevata il gruppo tende ad essere meno coeso). In altri termini, lo status influenza processi tra membri attraverso meccanismi legati alla differenza di percezione gerarchica all’interno del gruppo. Una lente basata sulla diversità. Gli input possono essere osservati anche attraverso una lente che si focalizza sulla diversità, ovvero su quanto la differenziazione di competenze, tecniche, relazioni di analisi e problem solving, nonché differenze di ruolo possono andare ad impattare sui processi e sugli output del team. I team omogenei, che presentano un basso grado di diversità tra i membri, sono meno conflittuali e presentano processi più fluidi. L'omogeneità però può impattare negativamente sulla capacità del team di individuare soluzioni innovative e creative fondate sulla capacità di mettere a fattor comune esperienze e punti di vista differenti. I team eterogenei sono però più innovativi e cattivi perché hanno acceso una serie di risorse differenti ma hanno maggiori difficoltà nel gestire processi di interazione tra i membri. --- Processi I processi rappresentano sono il mezzo attraverso cui i membri del team lavorano in modo interdipendente per utilizzare e trasformare le risorse a disposizione in output. Processi con output elevati hanno una comunicazione aperta tra membri per scambiare informazioni rilevanti, coordinare i propri apporti individuali, stimolare il contributo e il potenziale di ciascun membro. Possono essere suddivisi in: - processi orientati alle relazioni. Ovvero interazioni aventi lo scopo di gestire la dimensione interpersonale tra i membri del team. Processi orientati al compito. Interazioni finalizzate a contribuire direttamente al raggiungimento dell'obiettivo. I principali processi connessi al compito sono: - comunicazione mezzo attraverso cui membri di un team si scambiano le informazioni rilevanti per lo svolgimento del compito. Molto importante è la qualità della comunicazione. Da un punto di vista pratico la comunicazione può essere intesa in termini di: 1. frequenza: quanto tempo viene dedicato all’interazione 2. formalizzazione: la comunicazione è formale nel caso di convegni o riunioni fissate formalmente, mentre è informale nel caso di semplici chiamate telefoniche o meeting spontanei. L'abilità di far leva sulla comunicazione informale costituisce un fattore distintivo dei team di successo. Infatti, attraverso essa di membri del team riescono a scambiarsi informazioni in modo più rapido ed efficiente e focalizzando le proprie energie sulla risoluzione dei problemi e sullo sviluppo di idee innovative. Altro elemento fondamentale è l'apertura del processo comunicativo, infatti, per poter sfruttare le potenzialità date da input differenti, è necessario che il team sia in grado di scambiare apertamente informazioni senza la preoccupazione che tali informazioni possono essere utilizzate in modo distorto e controproducente. - Coordinamento prestazioni di gruppo di elevato livello presuppongono che i membri del team siano in grado di armonizzare e sincronizzare le proprie attività individuali, finalizzandola raggiungimento di un obiettivo comune. È necessario che ciascun individuo svolge le proprie attività avendo ben presenti gli impatti che il proprio lavoro ha sul team e sull'operato degli altri membri. In particolare, necessario che i membri del team sviluppino la cosiddetta Team Awareness, ovvero la consapevolezza rispetto a cosa sta accadendo nel team in un determinato momento e siano in grado di comprendere l'interdipendenza tra i diversi compiti, la sequenza, la priorità delle attività, nonché i tempi necessari per svolgerle. - bilanciamento dei contributi un gruppo efficace deve mettere i propri membri nella condizione di contribuire al risultato di team al massimo del proprio potenziale. Il team infatti delega ai propri membri le attività che devono essere svolte sulla base del contributo differenziale che ciascun membro può dare. Se viene a mancare il contributo di uno o più membri del team, il potenziale di sviluppo di soluzioni innovative e creative, tende a venire meno. Il presidio di questo processo è particolarmente importante se vi è alta differenza in termini di competenza e personalità, poiché è minore la possibilità che i membri del gruppo possano sopperire al mancato contributo di un membro. Se da un lato il contributo bilanciato dei membri è influenzato dagli input, da altra parte è fondamentale il contesto organizzativo di riferimento. Processi orientati alla relazione Interazioni aventi lo scopo di gestire la dimensione interpersonale tra i membri del team. Esempio squadra di basket e LeBron James Un lavoro di integrazione tra processi basati sul compito e processi basati sulla relazione è determinante per il successo del team. Possiamo individuare quindi: - supporto reciproco modalità attraverso cui i membri del team gestiscono il conflitto (in modo cooperativo o competitivo) e supportano gli altri componenti in caso di necessità. In un contesto in cui vi è un elevato supporto reciproco i membri del team danno una prevalenza agli obiettivi del gruppo rispetto agli obiettivi individuali. Gli individui sono orientati a comportamenti di rispetto reciproco, di aiuto e di supporto che vanno oltre a quanto richiesto dal proprio ruolo. In un contesto competitivo, vengono, invece, privilegiati gli obiettivi individuali, con una conseguente riduzione di soluzioni cooperative e creative. Anche il supporto reciproco può essere fortemente influenzato da fattori di contesto: metodi di valutazione e retribuzione strettamente legati alla performance del singolo portano a una bassa cooperazione tra i membri, incentivando la competitività. - Coesione grado di attrazione interpersonale, tre membri del team. Un team coeso si sente una vera propria squadra e la coesione rappresenta un vero e proprio collante del team. Gruppi coesi tendono a condividere con facilità i propri obiettivi e a definire norme e standard di comportamento condivisi all'interno del gruppo. E' stato dimostrato che la coesione diminuisce il senso di ansia e pressione per i membri del team Un livello di coesione troppo elevato, però, può portare effetti negativi che possono spingere il gruppo a sentirsi invulnerabile, a chiudersi a possibili alternative esterne, negare la differenza di opinioni di tre membri e ottenere quindi performance mediocri e disastrose. --Output Il primo aspetto legato all’output è la capacità da parte del team di raggiungere l'obiettivo stabilito. Il team è valutato anche sulla capacità di raggiungere l'obiettivo nel rispetto delle risorse a disposizione, tempi, budget e risorse materiali. Un altro aspetto di output è l'apprendimento. Infatti, date le interazioni e lo scambio di informazioni tra membri, ci si aspetta che il gruppo sia anche un momento di apprendimento dagli individui. I componenti di un gruppo che funziona dovrebbero essere nella condizione di aver sviluppato maggiore conoscenza derivante dall'interazione con gli altri membri. --- Il team nel tempo Il modello input-processi-output può essere letto attraverso una logica temporale. Infatti, il team ha un ciclo di vita composto da 5 fasi: 1) Forming Il team è nella sua fase embrionale e può essere considerato un team solo sulla carta, poiché i membri tendono a comportarsi come singoli individui. Ciascun membro cerca di comprendere quale sia la situazione in cui si trova e di orientarsi nel contesto di gruppo. In questa fase le interazioni tra membri sono tendenzialmente superficiali e astratte, con difficoltà nel mettere a fuoco gli aspetti fondamentali che guideranno il gruppo verso il raggiungimento dell’obiettivo perché gli individui tendono a comportarsi in modo da essere ben visti e accettati. Inoltre, gli individui cercano informazioni relative agli altri membri per avere una maggiore conoscenza dell'ambiente in cui si troveranno a operare. In genere l’atteggiamento e il clima sono positivi e di ottimismo dettato dalla motivazione di essere coinvolti in un nuovo progetto e di far parte di un gruppo. 2) Storming è la fase più delicata del ciclo di vita del team, infatti, le differenze tra membri cominciano a emergere soprattutto nella modalità di raggiungimento dell'obiettivo. In alcuni team questa fase può risolversi velocemente, ma nella maggior parte dei team è piuttosto lunga. Attraverso lo storming possono essere messe a fattor comune le prospettive di ciascuno al fine di integrare le differenti competenze e prospettive individuali e ottenere un grado di innovatività più elevato rispetto a quanto raggiungibile da un singolo soggetto. L’ottimismo della fase iniziale si trasforma in conflitto e la situazione può divenire nociva se il conflitto sul compito diviene conflitto relazionale. La situazione ideale è che i membri creino un clima di serenità dove riescono a sentirsi liberi e non condizionati da eventuali giudizi basati sulle proprie opinioni o differenze di pensiero, mantenendo il confronto sugli aspetti connessi al compito e non trasformino il confronto in un conflitto interpersonale. 3) Norming se il team è riuscito a mantenere il conflitto ad un livello adeguato e fondato sul compito, è pronto per affrontare la fase di Norming. Si tratta, generalmente, dell’attivazione di fasi di storminig controllato volte a risolvere problemi specifici attraverso la definizione di norma di comportamento e di interazione. Le norme rappresentano le aspettative di comportamento rispetto all' interazione con gli altri membri e alla vita del gruppo: in altri termini rappresentano le regole e gli standard di comportamento che un team definisce per i propri membri. La violazione delle norme da parte di un componente spinge gli altri membri ad agire in modo diretto o indirizzo per riportare il comportamento allo standard atteso. In questa fase, membri del team iniziano a sviluppare spirito di squadra e coesione nei confronti del compito da svolgere perché si sentono legati da modalità comuni e condivise di comportamenti. 4) Performing In questa fase i membri del team lavorano come una vera e propria squadra per arrivare all' obiettivo e per promuovere l'attività del team all'esterno. Il conflitto viene gestito in modo efficace e si evita l’escalation che lo rende interpersonale. La motivazione e l'impegno sono particolarmente elevati e concentrati verso una visione comune e i processi sono fluidi e consolidati. 5) Adjourning In questa fase il gruppo si scioglie. Questa fase è importante per il momento di apprendimento del gruppo, infatti prima dello scioglimento è opportuno che il gruppo focalizzi la propria attenzione sui propri punti di forza e sulle difficoltà riscontrate in modo che gli individui possano trarne spunto per successivi incarichi con lo stesso team o in team differenti. --- Le patologie del gruppo Il vantaggio cognitivo del team a volte non si concretizza a causa di alcuni processi distorsivi che si generano nel gruppo stesso, le cosiddette patologie del gruppo. L’incapacità del team di attivare processi efficaci può essere principalmente condotta al meccanismo del conformismo che spinge i membri a diminuire il proprio senso critico per allinearsi al pensiero dominante del team. Il conformismo agisce facendo leva su uno dei principi cardine dell’essere umano: l'accettazione all'interno di un contesto sociale di riferimento. All'interno di un gruppo tale principio si amplifica ulteriormente e i membri di un team, possono sentirsi a disagio nell'esprimere la propria idea perché preoccupati di come gli altri membri li giudicheranno sulla base delle loro idee. Gli effetti negativi del conformismo agiscono principalmente attraverso i seguenti meccanismi: - Groupthink quando i membri di un team considerano il raggiungimento di consenso come la priorità massima del gruppo. In questi casi il desiderio da parte dei membri di raggiungere il consenso diventa talmente forte da rendere impossibile la generazione di alternative o la valutazione razionale delle stesse. Un gruppo che sta entrando nella zona di groupthink presenta 3 sintomi fondamentali: 1) sovrastima del gruppo: i membri del gruppo si vedono come invulnerabili e incapaci di sbagliare. 2) Chiusura mentale, il gruppo tende a razionalizzare le prospettive interne giudicandole positivamente e a trovare giustificazioni per scartare ogni possibile alternativa che provenga dall'esterno. 3) censura della devianza, ogni idea che viene presentata ed è discordante dal pensiero collettivo del gruppo viene criticata e attaccata. I dissenzienti subiscono implicite o esplicite pressioni ad abbandonare la propria idea per conformarsi al gruppo. Un gruppo che si trova in una situazione di groupthink presenta comportamenti distorti, come: - Ricerca incompleta e superficiale delle informazioni. incompleta valutazione e definizione di obiettivi. Rifiuto di esaminare alternative emergenti, non considerazione di scenari alternativi, mancanza di definizione di un piano B - Abilene paradox (ignoranza collettiva) i membri di un team assumono una determinata posizione perché pensano che sia la posizione desiderata dagli altri. Essi non si confrontano l'un l'altro e prende una decisione contro gli interessi di tutti i membri, pensando invece di agire nell’ interesse del gruppo. Ciascun membro del gruppo, credendo che la propria opinione sia contro quella del gruppo, non la manifesta, esprimendo invece ciò che pensa sia la preferenza del gruppo. In questo modo il gruppo prenderà una decisione che in realtà non vuole prendere. La principale causa di conformismo è la mancanza di comunicazione tra membri e la paura del conflitto. - Polarizzazione di gruppo tendenza da parte dei membri a estremizzare l'opinione dominante durante le discussioni di gruppo. I membri del gruppo esprimono giudizi più estremi per avere l'approvazione del gruppo e dimostrare la loro volontà di appartenenza. Dalla polarizzazione deriva il risk shift: tendenza a prendere decisioni collettive che comportano rischi maggiori o minori di quelli che si assumerebbero individualmente. Inoltre, facendo riferimento a una scelta rischiosa è più semplice che venga presa dal perché non vi è la possibilità di attribuire eventuali sviluppi negativi della scelta ad un singolo soggetto. - Interruzione cognitiva Molto spesso le idee che generiamo sono costruite e sviluppate sulla base di quello che sentiamo intorno a noi, che il nostro cervello rielabora e connette con quello che già conosciamo. L'associazione di idee sulla base dei contributi altrui ha effetti positivi, ma il pericolo è che si verifichino situazioni di interruzione cognitiva. In un team risulta difficile per un individuo ascoltare, elaborare e valutare le idee altrui quando egli stesso sta elaborando il proprio pensiero. Il flusso cognitivo dell’individuo viene interrotto dagli altri con la possibilità che quanto essi hanno in mente venga dimenticato perché perdono il filo del proprio ragionamento o perché la discussione del gruppo si sta orientando verso un’altra direzione. In entrambi i casi l’interruzione cognitiva tende a stimolare convergenza di pensiero e conformismo. - Tendenza al ribasso. La performance individuale di persone che lavorano nello stesso gruppo tende a convergere nel tempo. La criticità emerge però quando il gruppo tende a convergere verso la performance del membro meno produttivo all'interno del gruppo stesso. COMUNICAZIONE Processo di scambio intenzionale e razionale di informazioni tra due o più soggetti, per trasmettere il significato di conoscenza desiderato, attraverso un sistema condiviso di simboli e regole di trasmissione. Noi comunichiamo tutti i giorni nella quotidianità La comunicazione nel contesto di impresa è finalizzata alle prestazioni e al vantaggio competitivo dell’impresa stessa. L’effetto della comunicazione deve essere strumentale rispetto alla costruzione di valore in azienda. Ovvero, la comunicazione in azienda, a qualunque livello, è finalizzata al raggiungimento di un obiettivo (influenzare, decidere, coordinarsi, trasferire conoscenza). A seconda della posizione dell’interlocutore, la comunicazione assume obiettivi differenti: ad esempio un capo deve essere abile a comunicare con successo, spiegare la propria visione, essere leader e trasferire conoscenza ad altri. Nel team è di fondamentale importanza e se è essa è buona, significa che i membri hanno un rapporto diretto, si scambiano le informazioni rilevanti per il progetto, sanno focalizzarsi sulle informazioni rilevanti e isolano quelle che creano rumore. Detto questo sulla comunicazione interna, quella esterna si sviluppa attraverso pubblicità, comunicazioni istituzionali e social network. Elementi fondamentali della comunicazione la comunicazione non è un atto che produce effetti istantanei e non garantisce un risultato certo (ad esempio genitore che spiega al figlio come comportarsi). La velocità e coordinazione di essa dipende dal grado di conoscenza che si vuole trasferire e anche dalla capacità di chi comunica. Un modello che analizza il processo di comunicazione è quello di Shannon e Weaver. Questo modello è semplificato e anche un po’ obsoleto; consente, però, di elencare i componenti di un processo di comunicazione (il modello serve solo ad elencare le componenti della comunicazione, poi per la definizione delle componenti stesse vengono usate teorie più sofisticate). Fonte e ricevente La fonte gioca un ruolo fondamentale nella riuscita di un processo di comunicazione e proprio per questo deve avere tre caratteristiche fondamentali: - deve avere un buon grado di conoscenza e adeguate capacità di trattamento nel trasferirla la difficoltà nel traferire conoscenza è proporzionale al grado di complessità del contenuto. La fonte non dovrebbe avere problemi a comunicare contenuti semplici e non ambigui. All’aumentare della complessità della conoscenza, aumenta la difficoltà per la fonte di rappresentare anzitutto a sé e poi agli altri la conoscenza stessa. Un buon leader/manager/capo deve avere contezza di questa difficoltà e per questo, deve aiutare la fonte attraverso delle strategie (guardare le presentazioni dei collaboratori prima dei meeting, chiedere feedback, ecc). - la fonte deve essere motivata a comunicare in modo adeguato. Essere motivati non è un problema banale: la motivazione della fonte può essere di fondamentale importanza (come anche un problema principale) nel processo di comunicazione. Si pensi a due interlocutori: uno molto motivato ha capacità di trasmettere la sua carica, grinta e voglia di fare mentre un altro demotivano, può trasmettere frustrazione o noia. - la fonte deve essere percepita come affidabile e autorevole dal ricevente l’affidabilità porta alla fiducia del ricevente nei confronti della fonte (trustworthiness). Esiste una relazione tra fiducia e successo di comunicazione (a forma di U rovesciata): se il ricevente non si fida della fonte, allora tenderà a considerarla come meno integra nel trasferire una buona conoscenza e possibilità di comunicare al meglio il messaggio. Se il ricevente si fida eccessivamente della fonte, tende a non controllare più la qualità del messaggio e della conoscenza traferite, creando problemi a livello di comprensione, rischio di diminuzione delle prestazioni soprattutto in caso di conoscenza ambigua. Anche la motivazione del ricevente è una componente fondamentale per la buona riuscita della comunicazione: uno motivato cerca di capire il messaggio, ricerca informazioni e non si limita alle sole date dalla fonte ed è meno influenzato dalla sindrome del not invented here (rifiutare info già pronte solo perché non prodotte da sé). Un’ altra caratteristica importante del ricevente è la sua capacità di ritenzione del messaggio: non è detto che il ricevente comprenda a pieno il messaggio. Ad esempio, quando viene implementato un nuovo sistema informatico in un’azienda, non è solo importante l’atto materiale di implementazione ma viene fatto un processo di change management, il quale aiuta chi lo usa ad accettarlo, farlo proprio e quindi usarlo bene. Messaggio nella teoria dell’informazione, quantità di informazioni inviata da un apparato trasmittente a un ricevitore attraverso un canale Il messaggio in azienda può essere caratterizzato da vari livelli di complessità e ricchezza di contenuto e questo implica maggiore o minore difficoltà a codificarlo (attività della fonte) o decodificarlo (attività del ricevente). Un messaggio può essere semplice o complesso. È semplice quando ha le seguenti caratteristiche: - pochi elementi di conoscenza da trasmettere - difficoltà intrinseca di ogni elemento della conoscenza da trasmettere - bassa ambiguità (non presenta aree grigie ed è immediato da comprendere) - basso contenuto di relazioni causa-effetto non esplicite, quindi la relazione tra azione e conseguenza dell’azione è facile da descrivere. Queste caratteristiche non tengono conto dell'abilità della fonte e del ricevente a codificare o decodificare il messaggio. Due studiosi, Nonaka e Takeuchi distinguono: - la conoscenza esplicita: è codificata in testi, lezioni, ecc e ha in sé tutti i riferimenti per essere trasferita (ad esempio la guida di McDonald's per aprire un punto vendita e come gestirlo: tutte queste informazioni esplicitano l'esperienza - conoscenza tacita: è difficile da formalizzare, da rappresentare per iscritto e quindi trasferire (vale soprattutto per quelle conoscenze difficilmente trasferibili per insegnare un lavoro, un’arte). Ad esempio esistono molti manuali per la preparazione del sushi ma non riescono a spiegare tutto per questo il maestro deve affiancare l'allievo per numerosi anni prima di trasferire completamente la sua conoscenza tacita. La teoria(conoscenza esplicita)è relativamente semplice da comunicare e trasferire, la pratica (conoscenza tacita) lo è meno. Sempre questi due studiosi spigano il loro pensiero attraverso un modello di scambio e creazione di informazioni e conoscenza. La comunicazione gioca qui il ruolo essenziale di vettore di scambio tra individui, e tra individui e organizzazione. I momenti sono quattro: 1) Socializzazione - la conoscenza tacita è condivisa tra individui tramite osservazione reciproca e condivisione di esperienza 2) formalizzazione - la conoscenza tacita è localizzata e codificata soprattutto per capire la causa effetto tra azione e conseguenza organizzativa 3) combinazione - parti di conoscenza formalizzata sono messe insieme per standardizzare le regole di funzionamento dell'azienda, i processi, le aree di comportamenti accettati dagli individui 4) interiorizzazione - la conoscenza formalizzata e messa in pratica e gli individui che la utilizzano si appropriano in modo specifico della conoscenza astratta, generando nuova conoscenza specifica. Ovviamente, conoscenza tacita ed esplicita possono riguardare diversi tipi di knowledge specifici utili in azienda, e le distinguiamo secondo questo elenco: - conoscenza teorica, proposizionale: associabile a quella che è la conoscenza scientifica. Conoscenza proposizionale = conoscere proposizioni. Tale conoscenza non implica la percezione: un soggetto può conoscere che una proposizione è vera o falsa anche senza doverla verificare personalmente (non serve viaggiare verso il sole per dire che una navicella spaziale se si avvicina a pochi chilometri dal sole si fonde per l'elevata temperatura. - Conoscenza procedurale (know-how): Conoscere una nozione non implica che con la propria azione si riescano a raggiungere degli obiettivi: la conoscenza teorica è differente e non implica il saper agire nella pratica. Ovviamente la conoscenza teorica è importantissima ma l'esperienza fa la differenza. - Soft skills: conoscenza di come si gestiscono i gruppi di lavoro, di come si esercita la leadership, di come si comunicano queste cose ai collaboratori. - Networking: capitale relazionale posseduto da una persona, dato da quante persone si conoscono effettivamente, quante sono importanti nella rete di persone di riferimento. Il canale di comunicazione Ora andiamo a vedere i canali di comunicazione più diffusi con i loro pro e i Loro contro. Da premettere è che non esiste un canale di comunicazione migliore di altri in senso assoluto, ma tutto dipende dal tipo di uso che se ne vuole fare e capire quale canale di comunicazione sia il migliore per lo scopo che si vuole raggiungere. Per descrivere i canali di comunicazione esistenti possono essere utilizzate 2 variabili: 1. La mediazione del canale: - La comunicazione è detta mediata da computer se lo scambio di informazioni avviene attraverso un canale digitale come uno smartphone o su internet. Una comunicazione è detta non mediata se avviene a voce o attraverso qualcosa di scritto per esempio cartellonistica e artefatti. Inizialmente lo scambio di informazioni avveniva offline ma con l'avvento di internet e le tecnologie digitali man mano vi è stato uno spostamento da canale non mediato a canale mediato. 2. La seconda variabile utilizzata è quella che fa riferimento alla sincronicità. - - Una comunicazione è sincrona se i due o più soggetti coinvolti partecipano allo scambio nello stesso momento, trasmettendosi informazioni in tempo reale. Questo può avvenire sia su un canale mediato come ad esempio una conferenza live, ma anche su un canale non mediato come ad esempio una meeting aziendale in un ufficio. Una comunicazione è detta asincrona invece, se lo scambio di informazioni tra le parti avviene con la presenza di uno scarto temporale come ad esempio un forum che consente ai partecipanti di scrivere un messaggio che si distanzi da quello precedente o successivo anche di pochi minuti. Il concetto di asincrono è oggi cambiato con l’avvento del computer: non è possibile immaginare una comunicazione asincrona senza l’utilizzo soprattutto di internet e quindi non vengono più effettuate comunicazioni asincrone non mediate (scambio di lettere, settimanali in abbonamento ecc.). Ciò che è particolarmente rilevante è che una volta inviato il messaggio dalla fonte, nel caso di comunicazione asincrona mediata da computer darà il ricevente a decidere se, quando e come fruire del messaggio stesso. Un’altra caratteristica di questa tipologia di comunicazione è la notifica che il canale invia al ricevente. Utilizzare i vari canali è questione di abitudine personale ma anche e soprattutto di abitudine dell’organizzazione a cui si appartiene, infatti aziende diverse usano in modo diverso lo stesso canale oppure, ne preferiscono alcuni ad altri. Alcune altre teorie aggiungono a queste due variabili (mediazione e sincronia) altri elementi come: la velocità di trasmissione, la varietà simbolica, il parallelismo, la modificabilità e la riprocessabilità. - la velocità di trasmissione è la capacità di scambiarsi informazioni in tempi rapidi, con feedback immediati e con un monitoraggio in tempo reale delle reazioni nell'altra parte. Rientra tra questo il dialogo face to face. Un esempio pratico può essere un professore che fa lezione e che decide se spiegare con un ritmo elevato oppure no, chiedere in tempo reale se tutto è chiaro e avere subito da parte degli studenti un feedback per poi eventualmente modificare il modo di spiegare adottato. - La varietà simbolica. La comunicazione può essere verbale o non verbale, scritta o orale e queste categorie possono essere contemporaneamente presenti in un singolo flusso di comunicazione e renderlo più ricco e variato. La comunicazione non verbale è la parte della comunicazione che non riguarda il significato letterale delle parole contenute nel messaggio (es: linguaggio del corpo). In una videoconferenza o in una situazione face to face è più semplice trasmettere una maggiore varietà simbolica. - Il parallelismo è una caratteristica del canale che indica il numero di fonti che possono trasmettere simultaneamente sullo stesso canale e quindi di conseguenza indica anche la capacità di raggiungere simultaneamente un numero molto elevato di riceventi. In un comizio, in un’aula: una fonte comunica, molti riceventi ascoltano. In un forum/con la mail: scambio simultaneo di messaggi da più fonti/ raggiungere più persone contemporaneamente. - La modificabilità indica la capacità del canale di consentire di modificare il messaggio mentre esso viene codificato. Per esempio, si può modificare un messaggio di testo prima di inviarlo oppure anche dopo per magari completarlo e renderlo migliore. Quando la comunicazione avviene oralmente ciò che è detto è detto e non può essere modificato. - la riprocessabilità è la capacità del canale di consentire di riesaminare e processare ulteriormente il messaggio inviato, dopo l'avvenuta ricezione. Un testo scritto digitale può essere salvato, modificato, copiato, mischiato e così via. Un filmato però ha una riprocessabilità minore perché occupa uno spazio ampio, difficile da trasferire, e richiede costi e tempi elevati per eventualmente a modificarlo. Si possono definire due clusters sulla media richness e synchronicity: - il cluster dei media caldi: a questo appartengono gli incontri face to face, le videoconferenze, il telefono, i canali mediati. il cluster dei media freddi: a questo appartengono i media asincroni. Non è possibile definire con certezza quale dei due cluster sia migliore: entrambi presentano dei punti di forza e dei punti di debolezza, la scelta da effettuare dipende da molti fattori. Il feedback Feedback significa retroazione: l’effetto che la comunicazione ha su chi l’ha iniziata. Esistono vari tipi di feedback: - feedback inesistente: come nel caso di un video su internet senza che nessuno lo visualizzi, una trasmissione televisiva, l’intervento di un giornalista a cui non è possibile fare domande. La comunicazione in questo caso è detta unidirezionale: non è consentito o possibile chiedere maggiori informazioni o spiegazioni alla fonte e la fonte non può capire se il messaggio è stato decodificato correttamente dal ricevente. Si tratta di una comunicazione molto veloce ma che può dare vita a dei fraintendimenti. - feedback a bassa frequenza: la fonte invia il messaggio e il ricevente dà conferma di un’avvenuta ricezione (positiva o negativa). Esempio dello studente e del docente. - feedback continuo o ad alta frequenza: il classico processo di comunicazione si trasforma in un processo dialogico in cui non vi è una fonte e un ricevente, ma due soggetti che cercano di creare una comprensione comune dell’oggetto di comunicazione. Esempio: membri del consiglio di amministrazione che discutono delle strategie dell’azienda. Ambiente e comunicazione Il processo di comunicazione non è neutro rispetto all'ambiente in cui avviene: via un rapporto tra i 2 fattori. Ambiente: luogo fisico o virtuale dove accade la comunicazione, il momento storico la cultura dei partecipanti, la provenienza delle persone coinvolte, il mood che si crea durante la comunicazione. È interessante considerare: - ambiente come esperienza comunicativa secondo la scuola di Palo Alto e possibile descrivere questo concetto di ambiente attraverso 5 assiomi: 1. è impossibile non comunicare fonte ricevente non hanno necessariamente bisogno di dirsi iscriversi qualcosa per comunicare: la comunicazione implicita (silenzio imbarazzante, silenzio carico di tensione, mancata risposta ad una mail) è importante tanto quanto quella esplicita. Dimenticarsi della parte non verbale o tacita significa sottostimare la complessità del processo di comunicazione. 2. La comunicazione è composta da due livelli di segnale: i. livello di contenuto: cosa il ricevente deve fare a seguito della comunicazione ii. livello di relazione: modo con cui fonte ricevente si relazionano (modo pacato o aggressivo, rispettoso o irrispettoso). una comunicazione può essere molto chiara nella definizione dei ruoli reciproci di fonte e ricevente oppure registrare una continua lotta per la definizione del territorio. 3. Esistenza di una sequenza di eventi durante la comunicazione la comunicazione è un processo che avviene nel tempo e il suo significato è dato da quella che viene definita punteggiatura della comunicazione stessa. la punteggiatura comprende il modo in cui si comunica, la scelta dei canali di comunicazione. Esempio: allenatore che rimprovera il calciatore o gli fa capire perché ha giocato male. 4. Esistenza di due tipi di comunicazione: analogica (verbale) e numerica (non verbale). 5. La comunicazione può essere simmetrica o complementare i. comunicazione simmetrica: la relazione tra fonte e ricevente è di assoluta qualità: lo status di fonte e ricevente è simile. ii. comunicazione complementare: lo status di fonte e ricevente è differente e il comportamento della fonte completa il comportamento del ricevente. - Ambiente come diversità/omogeneità geografica Le caratteristiche dell’ambiente che influenzano il processo di comunicazione sono tante, ma in particolare: l’omogeneità ambientale. Ambiente omogeneo: fonte e ricevente sono culturalmente simili Ambiente disomogeneo: fonte e ricevente sono culturalmente lontani. Se individui abituati a culture ad alto contesto incontrano e comunicano con individui abituati a culture a basso contesto, il clash culturale può diventare evidente. Tali differenze vengono amplificate dalla natura delle aziende multinazionali. Il fatto che i team siano a bassa prossimità geografica (composti da individui di nazionalità diversa) impatta sull’efficacia della comunicazione, insieme ai tipi di canali utilizzati che possono amplificare o ridurre tale disomogeneità. Quando la comunicazione è efficace Comunicazione efficace = giusta combinazione di canali, feedback e ambienti a seconda dell’obiettivo. Si adotta un approccio contingente (non esistono modi di comunicare migliori o peggiori in assoluto). È necessario individuare le situazioni in cui una combinazione di elementi possa risultare migliore di un'altra (fit tra elementi). La regola generale è di cercare il miglior fit possibile fra tipo di task di comunicazione e caratteristiche dei canali di comunicazione. - - I processi di comunicazione che implicano condivisione di conoscenza non formalizzata su cui attuare avvicinamenti reciproci sono meglio supportati da media caldi Media freddi sono maggiormente adatti ai processi di trasferimento di conoscenza sofisticata, perché il ricevente ha la possibilità di meditare sul messaggio, interiorizzarlo, e poi inviare il feedback alla fonte. Se la conoscenza è semplice (e posto che il ricevente abbia le adeguate abilità cognitive), non occorre utilizzare metodi di comunicazione con basso tempo di feedback tra fonte e ricevente Se la conoscenza è complessa occorre verificare che fonte e ricevente siano allineati sul significato trasmesso e questo si può fare solamente con un frequente confronto tra le parti. Spesso questa necessità è sottovalutata, perché in impresa non è sempre semplice costruire adeguati sistemi di feedback CAPITOLO 10 – IL POTERE Il potere influenza, sposta, tiene legati tra loro gli individui in una relazione particolare. Se e in quanto facciamo parte di un gruppo sociale - che sia la famiglia ,una coppia ,il gruppo di lavoro ,con l'azienda in cui lavoriamo - allora viviamo immersi in relazione di potere. Relazioni nelle quali abbiamo sia un ruolo attivo , sia un ruolo passivo. Conviene imparare a conoscere questa forza sia per saperlo usare a nostro vantaggio, sia per essere consapevoli del potere che gli altri possono esercitare su di noi. La semplice presenza attiva di un altro individuo in una determinata situazione, influenza i nostri pensieri , le nostre emozioni e il nostro comportamento. Questo può accadere senza che quella persona sia consapevole dell'effetto che sta avendo su di noi. Nell'ambito del comportamento organizzativo la definizione ristretta del potere è: il potere e la capacità di indurre agli altri attori sociali ad agire in un modo coerente con gli scopi e gli interessi di chi lo esercita. Del potere come capacità di produrre effetti socialmente rilevanti, vengono introdotte delle condizioni più stringenti: - in primo luogo, l'intenzionalità di chi esercita il potere per assecondare un proprio fine o scopo consapevole e intenzionale; - il fatto che l'esercizio del potere abbia uno scopo definito da chi lo esercita è favorevole a quest'ultimo, mentre potrebbe anche indurre comportamenti contrari agli interessi di chi lo subisce. Esempio: l'impiegata che accetta l'ordine del suo capo per trasferirsi in una città diversa, anche se questa scelta le creano dei problemi famigliari. Nella relazione di potere chi subisce il potere dipende da chi lo esercita, e in questa dipendenza, trova una limitazione alla propria libertà (e ovviamente le cose stanno nel modo opposto se guardiamo la relazione dal punto di vista di chi ha potere e lo esercita). Occorre riflettere su questa relazione tra potere e libertà. Questa ci serve a scegliere bene anche il nostro primo lavoro ad esempio: meglio una posizione ben pagata in un'azienda multinazionale dove avrò tre o quattro capi a cui rispondere, o perseguire il sogno di una startup dove sarò solo con un capo? il potere degli altri è sempre -come vedremo- il riflesso dei nostri desideri o delle nostre paure. Da questa breve riflessione sul rapporto tra libertà e potere, dovremmo avere colto un'altra caratteristica fondamentale di quest'ultimo. Il potere esiste solo nell'ambito di una relazione tra individui o gruppi di individui. Non si dà potere senza qualcuno che lo riconosca come tale e vi si sottometta. Maggiore è il grado di accettazione di chi lo subisce, più forte è il potere di chi lo esercita. Il fatto che il potere si eserciti nell'ambito di una relazione implica che la relazione di potere è una relazione dinamica, ovvero che è possibile perdere il potere di cui si gode oggi -oppure conquistare domani il potere che oggi non si ha. Occorre anche distinguere il potere dall’influenza. Il primo è la premessa della seconda. L'influenza è la realizzazione effettiva del potere di chi la esercita. Quindi è l'insieme delle azioni messe in atto concretamente da un soggetto dotato di potere per ottenere da parte di un altro soggetto ciò che ha chiesto. Siamo partiti dall’idea che il potere sia la capacità di generare effetti socialmente rilevanti nella forma di una modifica del comportamento e delle idee e delle emozioni di chi ne ha influenzato. La condizione essenziale affinché un gruppo possa esercitare il potere su altri gruppi o su un individuo, è un elevato grado di coesione tra i membri che lo compongono. Dobbiamo introdurre anche il concetto di politica, ovvero le regole e i processi attraverso cui i membri di una comunità, stabiliscono chi e in che modo ha il potere di decidere per conto di tutti gli altri e di far rispettare le decisioni prese (ma anche far rispettare le tattiche e le determinate azioni che individui e gruppi devono mettere in atto per conquistare e mantenere il potere). Occorre infine distinguere il concetto di potere e un paio di altri concetti affini spesso confusi. Il potere non è lo status sociale: il potere tramite l'influenza genera obbedienza in chi ne è soggetto, lo status suscita ammirazione e rispetto. I due fenomeni sono comunque spesso e fortemente correlati tra loro, in quanto chi ha molto potere e anche un soggetto visibile e ammirato che generalmente e collocato in alto nella scala del prestigio sociale. Inoltre, il potere è poi uno strumento essenziale per l'esercizio della leadership, ma non la esaurisce. I leader svolgono diverse altre attività accanto all'esercizio del potere, come ad esempio interpretare l'ambiente nel quale il gruppo si trova, definire una strategia e pianificare le azioni da compiere. I due fenomeni (leadership e potere), per quanto semanticamente distinti, sono fortemente correlati tra loro nella prassi dal momento che - non si dà esercizio della leadership senza utilizzo di una qualche forma di potere. SU CHE COSA SI BASA IL POTERE Il potere deriva da una asimmetria nel controllo di risorse di valore. La risorsa che controlla chi ha potere, a differenza di chi non lo ha, deve essere il valore. Il valore deve essere percepito e ritenuto tale dai chi subisce l'influenza di chi controlla la risorsa in questione. Deve cioè essere una risorsa in grado di fare una differenza positiva nello stato di benessere attuale (che generalmente corrisponde ad una risorsa utile o addirittura necessaria per realizzare gli scopi e i valori di chi ne è privo o non ne dispone a sufficienza). Se la risorsa in questione non viene giudicata come utile o di valore, la dipendenza cessa e cessa anche la relazione di potere. Infatti, soprattutto nel mondo occidentale, non esistono situazioni di dipendenza assoluta, su tutti gli aspetti della vita (cosa che avviene con la schiavitù). Le relazioni di potere sono multiple e specifiche, ovvero si definiscono in rapporto alla risorsa o alle risorse giudicate di valore nell'ambito di quella relazione e con riferimento ai bisogni e ai fini specifici di chi ne è privo o vuole accumularne ulteriormente. Questo vuol dire che se il vostro capo può: ordinarmi di smettere di dedicarvi all' elaborazione del budget di vendita per uscire a incontrare un cliente importante, non può esercitare la stessa influenza imponendovi l'uomo o la donna che dovreste sposare nella vita quotidiana. Questo, infatti, ci spiega il potere e la sua limitatezza. La libertà al di fuori del contesto lavorativo è un ambiente assolutamente distinto. Un altro esempio può essere la frase: lei non sa chi sono io. Questa frase segnala il tentativo di esercitare un potere fuori dal contesto lavorativo e che ovviamente non ho alcuna rilevanza laddove si tratta appunto di lavoro. Possiamo ora esaminare più da vicino le risorse di valore che creano asimmetria e che danno luogo a relazioni di potere, nelle quali la parte che controlla la risorsa può esercitare influenza, limitando la libertà di qualcuno. 1) Forza, energia e altre risorse fisiche Noi siamo inconsciamente consapevoli anche oggi che maneggiamo tablet invece di una clava, che l'altezza fisica e l'aspetto forte e muscoloso di una persona, ispirino negli altri un'idea di potenza e forza che ne favorisce il comando e il successo. L'importanza della forza fisica spiega anche perché, almeno nella nostra cultura, l'idea di potenza sia maggiormente associata alle persone di sesso maschile piuttosto che femminile. Per quanto riguarda la donna, infatti, prevale quello che è l'aspetto fisico e non ovviamente l'altezza e l'essere muscoloso. La relazione tra potere e tratti fisici (come la forza e la bellezza) è diretta e mediata dal fatto che a persone con queste doti risulta più facile conquistare altre risorse di valore che possono fare da base per l'esercitazione del potere. 2) Risorse e capacità cognitive e realizzative Spesso la forza fisica viene battuta dall’ingegno e dall’astuzia, ovvero dalla capacità distintiva di ragionare in modo eccellente trovando una soluzione brillante a un problema di rilievo. Si tratta di una capacità sicuramente distribuita in modo asimmetrico tra gli individui (cioè che ci sono individui con meno forza cognitiva, e soggetti con più forza cognitiva). Chi ne è privo o meno dotato, può dipendere da chi dispone maggiore ingegno. La capacità cognitiva consiste in una particolare abilità con la quale un individuo o un gruppo svolgono tutte le fasi del processo decisionale: dalla definizione del problema, alla raccolta delle informazioni rilevanti, alla scoperta delle alternative possibili e dei criteri di scelta, all’apprendimento e miglioramento del processo decisionale sulla base dei risultati della decisione presa. Le informazioni sono ormai la risorsa cognitiva più rilevante per sviluppare un differenziale di potere. Questo fa capire che sapere più degli altri, e controllare la diffusione delle informazioni, sono modalità attraverso le quali si possono influenzare pensieri, emozioni e comportamenti. Il controllo di queste risorse tecniche costituisce una base di potere. 3) Risorse e capacità relazionali L'uomo e la donna per sopravvivere devono entrare in relazione con altri esseri umani. La capacità di farlo utilizzando a favore proprio la benevolenza, la simpatia, il sostegno e la fiducia rappresenta una capacità distintiva che può rendere gli altri suscettibili all'influenza di chi ne è dotato. Tendiamo a farci influenzare più facilmente dalle persone che troviamo piacevoli, che sanno ascoltare e comunicare in modo efficace. Lo strumento essenziale, che sa maneggiare chi ha capacità relazionali, è la parola. Comunicare in modo persuasivo, saper spiegare e illuminare, così come in negativo avere la possibilità e la capacità di diffamare qualcuno, possono stare a fondamento di una relazione di potere. La risorsa parola può essere utilizzata a favore o contro un altro soggetto, inducendolo in entrambi i casi ad accettare la nostra influenza. 4) Risorse economiche e strumentali In un'economia capitalistica e di mercato, la risorsa più importante è il denaro in tutte le sue molteplici forme. Il denaro ci dà la possibilità di comprare il consenso di chi ci sta intorno, premiando chi ci obbedisce, e ci permette di accumulare anche risorse del tipo elencato nei paragrafi precedenti. Esempio tipico è quello del datore di lavoro e un suo dipendente: il dipendente ascolta il datore di lavoro per svolgere i suoi compiti e viene premiato con lo stipendio mensile. E’ bene anche soffermarsi su un'altra risorsa (che però è immateriale) ovvero il tempo. Chi ha tempo, ha maggiore libertà di decisione rispetto a chi non ne ha. Chi ha poco tempo è propenso ad essere soggetto ad ansia per via della fretta, e quindi prendere decisioni sbagliate sfavorevoli al benessere. In una negoziazione, ad esempio, il tempo a disposizione è una materia molto importante, perché consente di effettuare una scelta con maggiore sicurezza dopo un'attenta analisi. Allo stesso modo la disponibilità di tempo consente di accumulare un superiore ammontare di risorse (come, ad esempio, informazioni o relazioni personali), che a loro volta possono essere una base di potere. 5) Capacità e risorse politiche Le risorse e le doti politiche, sono proprie della sfera del potere e che contribuiscono a conquistarlo, mantenerlo e rafforzarlo nel tempo. Saper comunicare con i manager il cui consenso è essenziale per raggiungere il mio obiettivo riguardo un determinato compito da svolgere, è sintomo di un buon utilizzo della politica, ovvero della definizione degli obiettivi, della costruzione delle alleanze, della conquista dei consensi e della riduzione delle opposizioni. Tutto questo richiede le doti elencate nei punti precedenti. 6) Essere o apparire? L’impression management. Le relazioni di potere sono relazioni sociali, e il potere deve essere riconosciuto da quanti lo subiscono. Ciò vuol dire che contano tanto le percezioni di costoro, e queste percezioni possono essere ingannate. In altri termini se vuoi riuscire a esercitare influenza fingendo di possedere risorse considerate di valore dagli altri, anche se in realtà non le si possiedono. Questo fenomeno è noto come impression management = L'insieme dei comportamenti volti a produrre una buona impressione su persone che riteniamo rilevanti per noi, e a proteggere la nostra immagine sempre nell’azione con quest'ultime. Si distinguono all'interno di questa vasta categoria di comportamenti almeno a tre tipologie: - la valorizzazione: appartengono a tutti quei comportamenti di tipo adulatorio , come fare i complimenti e sottolineare aspetti positivi nelle azioni e nei risultati conseguiti dai chi si vuole impressionare; - La presentazione di sé: rientrano i comportamenti utilizzati per mettere in buona luce se stesso (autopromozione vs falsa modestia). - Conformismo nelle opinioni: tratta il sostenere tesi opinioni che si ritiene coerenti con i valori e le convinzioni del target. Ovviamente quella di impressionare l'altro non è un'arte facile e soprattutto non bisogna strafare, perché in questo caso lo stesso comportamento avrebbe conseguenze opposte a quelle attese. È necessario che l’individuo conosca bene il soggetto su cui vuole fare una buona impressione e il contesto in cui si trova ad agire (questo ha fatto sì che si passasse da una concezione esclusivamente passiva ad una attiva). A CHI APPARTIENE IL POTERE A chi appartiene il potere? in risposta a questa domanda si dice che appartiene alla persona che occupa una determinata posizione in qualcosa. In epoca moderna si distingue, sopra-ordinandosi a essa, lo stato. Lo stato è definito come l'entità che esercita il potere sovrano su un territorio e sui soggetti a esso appartenente e modifica profondamente le dinamiche di potere. - In primo luogo, di uno stato fa parte il suo ordinamento giuridico che, definendo diritti e doveri dei cittadini, definisce gli ambiti entro i quali gli individui possono esercitare il proprio potere o devono essere subordinati al potere di terzi Lo stato poi delega il proprio potere e lo svolgimento di alcuni compiti a delegati, funzionari e pubblici ufficiali. Avendo il monopolio dell’uso della violenza, lo stato ha il potere di costringere ciascuno a rispettare sia le regole, sia le disposizioni imposte. Ci accorgiamo dell'importanza dello Stato (rispetto alle dinamiche di potere) soprattutto quando questo crolla per una rivoluzione: la mancanza di regole e di un potere di ultima istanza che le faccia rispettare, fa sì che riemergono i confronti tra individui per stabilire chi è il più forte o il più dotato di risorse in grado di influenzare gli altri. I tre livelli del potere (quello individuale, quello delle relazioni tra individui all'interno di una società e quello dello Stato) sono tre sfere concentriche in stretto rapporto tra loro dove la variazione di una sfera ha effetti sulle altre. DALLA PERSONA ALLA POSIZIONE Muoversi dalla sfera più interna del potere individuale a quella più esterna del potere dello Stato, significa viaggiare nel tempo dalle forme più primitive e semplici di relazione a quelle più moderne e complesse. Nella società primitiva il potere individuato da Weber è il potere carismatico. Per carisma, seguendo in maniera letterale dal greco, si intende un dono divino capace di impressionare gli altri in modo tale da indurli al rispetto e all'obbedienza. Una persona di carisma è una persona percepita come speciale, capace con la sua sola presenza di cambiare il clima all'interno di un gruppo. Il carisma, il massimo del potere personale, non può infatti essere trasferito ad altri. In uno stadio successivo secondo Weber si presenta il potere tradizionale, ovvero quello derivante da una prima stratificazione sociale relativamente stabile, che distingue le posizioni in una società in sovraordinate e subordinate in rapporto a determinate caratteristiche di chi le occupa (chi controlla risorse importanti come il denaro o il sapere professionale – si dice stabile perché l’esercizio di tale potere permette di distinguere l’individuo nobile dal borghese e, a differenza del carisma, questa è una caratteristica che ereditariamente viene tramandata). Lo stadio nel quale viviamo noi oggi è invece quello della modernità ed è caratterizzato dall'emergere della forma stato di cui abbiamo già discusso prima. Secondo Weber l’organizzazione delle attività di lavoro tipica di questa fase è la burocrazia che permette di affermare il potere basandosi esclusivamente sulla posizione occupata dagli individui e che garantisce trasparenza, imparzialità e onestà di comportamento. Si delinea quello che è il potere relazionale-legale. Relazionale perché è strumento efficace ed efficiente per il raggiungimento di obiettivi condivisi per la comunità e per lo stato; legale perché strettamente regolato dalle leggi dello Stato. Questo potere ha due caratteristiche chiave: - esercitato al fine di conseguire gli obiettivi dell'ufficio (e quindi quello della comunità e dello Stato) - esplicitamente e formalmente circoscritto da regole opponibili a tutti (e a tutti note). Quest'ultimo potere quindi è totalmente opposto al potere carismatico. POTERE FORMALE, INFORMALE E LA QUESTIONE DELLA LEGITTIMITA’ Queste diverse forme di potere nonostante si affermino in epoche diverse, oggi coesistono tra loro. Immaginiamo il caso in cui venga assegnata una posizione ad una persona che non è capace di occuparla e avere pieno controllo di essa. Alla lunga una persona inadeguata finisce con il ridurre comunque nei fatti il potere della posizione che occupa. Caso contrario è quella di una persona particolarmente preparata e capace, che può rendere la sua posizione di basso livello, centrale e fondamentale nei processi decisionali di un'azienda. A questa tensione si fa riferimento la distinzione tra potere formale e potere informale. Il primo è quello definito nei suoi ambiti di applicazione e nelle sue finalità in documenti scritti accessibili a chiunque, il secondo è invece il potere che non sta scritto da nessuna parte ma prende forma nelle relazioni tra le persone. È semplice individuare in un contesto organizzativo chi esercita un potere formale. Ma, per comprendere chi è in grado di esercitare un potere rilevante ma informale, sarà necessario vivere per un po' di tempo nell'organizzazione, capire il sistema di relazioni e cercare di mapparlo. Possiamo ora comprendere la definizione di potere legittimo ovvero quel potere riconosciuto ed esercitato secondo quanto definito nell’ordinamento giuridico dell'istituzione in cui si esercita una posizione rilevante e in generale definito dallo stato di appartenenza. Si tratta, però, di una definizione limitata perché è necessario anche considerare il rispetto dei principi etici e il fatto che basti la presenza di un soggetto disposto a sottomettersi per parlare di ‘legittimità’ (stati che ordinano le persecuzioni delle minoranze). I PROCESSI E LE TATTICHE DI ESERCIZIO DEL POTERE A questo punto possiamo concentrarci su come si esercita concretamente il potere, ovvero come lo si trasforma in influenza fino al punto di ottenere un cambiamento nel comportamento di altri individui, al fine di raggiungere determinati obiettivi. Conviene affinare una distinzione tra due forme di potere: una forma “contingente”, che richiede di volta in volta l'esercizio di un potere personale all'interno della relazione determinata; una forma “sistematica” per la quale il potere è come congelato e spersonificato all'interno di strutture (anche istituzioni), fatte di ruoli e opposizioni cui è attribuito e riconosciuto il potere (alcune delle pratiche rispettano di più la prima tipologia, altre la seconda). I processi di influenza che analizzeremo sono i seguenti: 1) Costrizione, si tratta della forma più diretta di influenza in quanto comporta l'uso della forza fisica per modificare il comportamento altrui nella direzione voluta. Questo implica un utilizzo continuo di energia da parte di chi lo esercita, in contrasto con la volontà di chi lo subisce. Si tratta di un processo costoso e instabile perché da un momento all'altro chi lo subisce potrebbe smettere di subire (se viene meno, anche di poco, la forza). A questo fenomeno si fa riferimento al termine bossing (vedi anche mobbing) 2) Coercizione, si presenta quando la costrizione agisce direttamente sul comportamento di chi la subisce modificando il processo di scelta razionale e diminuendo quanto più possibile le alternative di comportamento del soggetto che la subisce. La più semplice è quella di promettere un premio in cambio dell’obbedienza, oppure di minacciare una punizione nel caso in cui invece si preferisca non ubbidire. La coercizione è appunto l'atto con il quale si restringe il numero di alternative convenienti per il soggetto che la subisce. 3) Manipolazione, cioè il gioco di prestigio del potere. Avviene attraverso lo sfruttamento della relazione personale per avere ottenere comportamenti finalizzati al raggiungimento dei propri interessi. La tattica utilizzata è quella di operare in simpatia con un altro oggetto e sfruttare tale situazione a proprio vantaggio. Questi meccanismi sono tipici della pubblicità che riesce a farci desiderare l'acquisto di un prodotto spingendoci ad associare a esso emozioni come la serenità, il piacere o l'eccitazione. Ma lo stesso effetto lo ottengono spesso le aziende che organizzano grandi eventi nei quali tra musica, effetti luci, eccetera richiamano valori condivisi, sorrisi e applausi di conquista per orientare determinate persone nella direzione voluta e spingerle a comportarsi in un determinato modo. Si può esercitare la manipolazione anche fornendo esclusivamente determinate informazioni ad un individuo: utilizzo degli eurismi. 4) Emulazione, esempio più semplice per comprendere questo processo di influenza è quello della star della musica o del cinema, che riesce anche senza esserne totalmente consapevole, a orientare il comportamento e le scelte di migliaia di fan. Il soggetto che subisce l'influenza si identifica con quello che ha il potere. Si basano sul processo di identificazione: il soggetto che subisce l’influenza si identifica con quello che ha potere e ne emula comportamento e obiettivi perché da questo deriva un senso di benessere e gratificazione. 5) Persuasione, l'influenza si realizza attraverso la massima sollecitazione della partecipazione del soggetto che la subisce. La sua adesione al comportamento richiesto è infatti subordinata a una comprensione e condivisione totale delle ragioni che lo rendono razionale e accettabile, anche rispetto ai suoi valori e ai suoi interessi. Risoluzione di questo problema viene ricercata e trovata insieme attraverso uno scambio continuo di informazioni e punti di vista. La persuasione è lo strumento di influenza di chi come risorse ha la forza e la capacità di comunicare determinati argomenti in modo efficace e convincente (o di chi comunque preferisce questa strategia di potere rispetto ad altre). 6) Autorità, di fronte a una richiesta da parte di chi esercita il proprio potere mediante autorità, colui al quale è diretta, senza entrare nel merito del suo contenuto, rinuncia in modo cosciente e volontario a opporsi a quella richiesta, accogliendola e comportandosi di conseguenza. Dal punto di vista di chi esercita autorità non vi è quindi obbligo di offrire spiegazioni e motivi né di fare compromessi con la soggettività e gli interessi di chi subisce l'influenza. Nel momento in cui si manifestasse una qualsiasi opposizione una messa in discussione dell’ordine ricevuto nell'ambito di una relazione basata sull’autorità, questa verrebbe immediatamente meno. L'autorità esiste solo in quanto è riconosciuta e rispettata. L'autorità generalmente è detta “giuridica”, ovvero certificata e sostenuta da norme e leggi valide nella comunità sociale di appartenenza. Ma può essere anche “di fatto”. Quando le basi delle autorità vengono meno, perché i soggetti che dovrebbero riconoscerla e rispettarla non lo fanno si parla di autoritarismo. IL POTERE NELLE ORGANIZZAZIONI Le tattiche e le tipologie di potere appena elencate possono essere trasferite all’interno del contesto aziendale. Anche le unità organizzativa utilizzano il potere che hanno, e ne ricercano di maggiore per raggiungere i propri fini. Questo non dovrebbe essere un problema perché il fine ultimo di tali unità risulta essere coerente con gli obiettivi aziendali: ma non sempre è cosi, anzi talvolta il raggiungimento di questi va a discapito dell’azienda. Come fanno le unità ad acquistare e mantenere il proprio potere? Cercando di essere le sole a controllare risorse e attività che sono critiche per il successo dell’impresa, ovvero diventando insostituibili e aumentando il grado di dipendenza delle altre unità da questa. L’unità dominante infatti consiste nell’unità che contribuisce maggiormente al risultato economico di un’impresa. In un'impresa di beni di largo consumo, dove quello che conta è la capacità di indurre un numero ampio di clienti a scegliere il nostro prodotto ci aspettiamo che le maggiori risorse sono concentrate nelle funzioni di marketing e di logistica. Se queste funzioni non hanno le risorse giuste difficilmente riusciranno a raggiungere i propri obiettivi. Per conquistarle e mantenerle serve acquisire e controllare risorse come: personale competente, risorse economiche da investire per migliorare allargare le proprie attività, risorse fisiche come tecnologie e spazi adeguati per svolgere i propri compiti in modo efficace, relazione positivi con gli altri attori che in qualche modo sono collegate a questa attività, acquisire e controllare queste risorse con le doti politiche necessarie per raggiungere gli obiettivi. In una situazione concorrenziale solitamente l’azienda tende ad far emergere come ‘potente’ l’unità organizzativa che realmente apporta maggior successo per l’impresa (perché gestisce fattori di successo). Ma in situazioni di monopolio, ad esempio, potrebbero aumentare aumenti dei giochi politici interni e anche la permanenza di potere per le unità che in realtà non sono tanto critiche per il successo dell’azienda. Solitamente, infatti, il direttore generale e l’amministratore delegato appartengono alle aree organizzative di maggior potere (per cui hanno anche un occhio di riguardo). Infatti, se si pensa ad una crisi aziendale (dovuta ai mutamenti esterni) si è soliti chiamare un manager esterno con competenze in finanza che come primo compito ha quello di dare potere e forza all'interno dell’azienda, e saperla guidare verso una direzione giusta e diversa, utilizzando magari nuove competenze e strumenti per fa si che questo succeda. I lati positivi del potere La ricerca dice che chi ha potere sta meglio e chi non ce l'ha riversa solitamente in stati di stress e frustrazione (si pensi anche alla teoria di McClelland sui Fabbisogni Appresi e sul fatto che uno dei bisogni che porta alla motivazione è proprio il potere). Lati positivi del potere: - Si sperimentano più emozioni positive Agisce più rapidamente, soprattutto in situazioni di cambiamento, al quale riesce a reagire prontamente, risultando flessibile minimizzando l'importanza degli ostacoli, riesce a focalizzarsi meglio sul raggiungimento degli obiettivi piano cognitivo: pensare in modo analitico, astratto e creativo ottimisti e fiduciosi delle proprie capacità meno conformisti e più disposti ad andare contro le regole, Empowerment Considerando che le persone che sentono di avere un potere registrano prestazioni migliori, sono più orientate agli obiettivi e più capaci di raggiungerli superando difficoltà senza abbattersi, meno stressate e più ottimiste, capace di trascinare altri nella stessa direzione, come possono le aziende fare in modo che aumenti al loro interno il numero e la qualità delle persone che sentono di avere potere da esercitare (ovviamente nell'ottica il cui obiettivo è migliorare la prestazione complessiva dell'impresa)? L’empowerment dà una risposta a questa domanda (sebbene abbia subito un’evoluzione). Inizialmente, l'empowerment mette al centro dell'attenzione delle imprese, management e dipendenti delle questioni chiave come: la responsabilità circa il proprio potere e dell'uso che se ne fa, il senso di auto-efficacia, la motivazione, l'ottimismo, la motivazione. Questa concezione di consapevolezza individuale permette di avere dei modelli organizzativi con pochi livelli gerarchici, più autonomi, che permettono maggiore partecipazione e coinvolgimento, decentramento della responsabilità, sviluppo del capitale umano anche attraverso la formazione, la proposta di obiettivi più sfidanti. Successivamente, l'empowerment diventa una filosofia manageriale che modifica profondamente tutto il sistema aziendale (ad esempio modificando sistemi di gestione del personale e relazioni gerarchiche), consentendo di innovare continuamente, migliorare la qualità attraverso maggiore flessibilità, gruppi di lavoro autonomi. Effetti negativi del potere - Il potere può anche corrompere, portando l'individuo o il gruppo ad avere una visione completamente egoistica, svalutando il contributo degli altri. Tende ad aumentare la distanza da chi non detiene il potere, con la conseguenza di tenere meno conto dei bisogni degli altri. Gli altri diventano degli strumenti per il raggiungimento di un obiettivo del singolo. Può portare ad assumere comportamenti non etici, ingiusti e violenti, talvolta inducendo l'individuo a truffare e mentire o in generale essere poco leali nelle relazioni interpersonali. Visione stereotipata degli altri Minore empatia Elevato livello di fiducia per sé stessi nella capacità di gestire l'ambiente circostante, con una conseguente ed eventuale maggiore propensione al rischio. Riduce la capacità di giudicare oggettivamente le proprie decisione e rendersi conto dei propri errori (anche perché si tende ad ascoltare solo gente con la stessa opinione) A tal proposito risulta interessante l’esperimento di Zimbardo: l'obiettivo era quello di capire se la propensione a commettere il male e a comportarsi in modo disumano e insita nell'uomo o viene stimolata dall'ambiente e del ruolo che un individuo assume. l'esperimento fa emergere come normali studenti americani, indossata la divisa di guardia carceraria e attribuito loro un potere assoluto su detenuti (altri studenti) e chiuso in un ambiente claustrofobico con regole rigide, sviluppano comportamenti sadici e aggressivi utilizzando il proprio potere a danno degli esseri umani. Potere ed etica La valenza del potere è ambigua, in quanto può avere effetti sia positivi che negativi ed è a discrezione di ognuno da quale parte stare. Per far sì che l’esercizio del potere non abbia dei riscontri negativi è necessario che si basi sul rispetto di determinati principi etici. È buona prassi, infatti, che il potere venga esercitato al fine di: - Ampliare gli spazi di libertà Ridurre le disuguaglianze Ricercare e affermare la verità Promuovere il bene comune L'atteggiamento è fondamentale perché è da lì che si capisce come si usa il potere: si deve avere umiltà, riconoscenza, responsabilità, sapienza, la capacità di guardare oltre e lontano e il coraggio. CAPITOLO 11 – LEADERSHIP Che si tratti di organizzare un lavoro di gruppo, di preparare il lancio di un nuovo prodotto, o di gestire una grande multinazionale, ognuno di noi è stato o sarà chiamato ad assumere una posizione di leadership. Che cos'è quindi la leadership? Già nei classici della letteratura greca e Latina così come nella Bibbia, alcuni filosofi cercano di rispondere a questa domanda. Questo rende molto difficile la definizione del termine leadership in maniera univoca. Partiamo da due definizioni distinte: - la leadership è il comportamento di un individuo mentre dirige le attività di un gruppo verso un obiettivo condiviso; - la leadership è l'influenza interpersonale esercitata in una situazione e diretta, attraverso un processo di comunicazione, verso il raggiungimento di uno o più obiettivi specifici. La prima definizione pone l'accento sul comportamento dell’individuo, la seconda invece sull’esercizio di influenza in una situazione. Da queste due cerchiamo di trarre una sola definizione di leadership ovvero quella di Robert house: la leadership e la capacità di influenzare un gruppo al raggiungimento degli obiettivi. L’APPROCCIO DEI TRATTI Teoria del grande uomo. Le prime teorie sulla leadership, chiamate anche teoria del grande uomo, avevano l'obiettivo di identificare le caratteristiche e le qualità innate possedute dai grandi leader politici, militari e sociali come Gandhi e Lincoln. Queste teorie cosiddette “approccio dei tratti” si fondano sull’idea che i leader efficaci presentino delle caratteristiche della personalità diverse da quelle di chi non è leader. Queste caratteristiche si dividono in alcuni elementi collegati alla personalità come l'originalità, adattabilità, predominio, sicurezza di se, ottimismo ecc; attributi fisici come l'altezza, la costituzione fisica, l'energia e l’età; diverse capacità come quella di interagire con diversi soggetti, intelligenza, il saper essere cooperativi. Nel loro insieme tutti questi studi dimostrano che nessun tratto è empiricamente in grado di spiegare le differenze tra un leader e un non leader, perché per ogni studio che mostra come un tratto possa differenziare un leader, esiste almeno un altro studio che dimostra il contrario. Il risultato è che l'approccio dei tratti non è stato in grado di identificare quell’insieme di tratti universali e distintivi che distinguono un leader da un non leader. Intelligenza emotiva. Questa teoria sostiene che i leader efficaci sono quelli che posseggono intelligenza emotiva cioè la capacità di riconoscere e gestire le proprie emozioni e quelle degli altri. Il costrutto “intelligenza emotiva” è composto da 5 competenze che attribuiscono a incrementare l'efficacia del leader (che sfocia poi nella performance aziendale). Autoconsapevolezza è l'abilità di riconoscere i propri stati d'animo e il loro effetto sugli altri; l' autoregolazione è la capacità di contribuire a dirigere impulsi e stati d'animo distruttivi e la propensione a sospendere il giudizio; la motivazione è la passione al lavoro per motivi che vanno al di là della remunerazione dello status sociale; l' empatia è la capacità di comprendere l'assetto emotivo degli altri e di agire trattandoli sulla base delle loro reazioni emotive; l'abilità sociale è la competenza nella gestione delle relazioni, nella creazione del network e nel saper trovare un punto di accordo. L’Intelligenza emotiva può essere appresa, questo vuol dire che ogni persona può migliorare la propria intelligenza emotiva e la propria capacità di guidare le persone attraverso le avversità. Con questo si spiega come una persona che si pone determinati obiettivi e che lavora duro può avere tutte le carte in regola per poter diventare un potente leader. LE TEORIE COMPORTAMENTALI Gli stili di Kurt Lewin. I fondamenti della ricerca comportamentale sulla leadership risalgono al lavoro di kart Lewin e dei suoi collaboratori, che furono i primi a introdurre il concetto degli stili di leadership. Ogni leader si comporta usando uno dei tre stili seguenti: - autocratico. Un leader direttivo, forte e con un elevato controllo nelle relazioni. I leader che praticano questo stile usano le regole per far funzionare il contesto lavorativo e lasciano poca discrezionalità agli altri membri del gruppo nell’influenzare la natura del lavoro e i risultati. - partecipativo, sono collaborativi e interattivi nella relazione con gli altri, nonostante il leader abbia l'ultima parola e sia responsabile dei risultati. I membri del team hanno elevata discrezionalità nell’influenzare la natura del lavoro e i suoi risultati. - Lasseiz-faire. Di fatto è calcolato come un “non leader” perché lascia autorità e responsabilità ai membri del gruppo. Gli studi delle università dell’Ohio e del Michigan. Queste due importanti università negli anni 50 hanno fortemente influenzato lo sviluppo delle teorie comportamentali della leadership. Il loro focus prima su “la specificazione dei metodi di lavoro e la considerazione”. La prima dimensione si riferisce a quei comportamenti del leader volte a definire e organizzare i ruoli e le relazioni di lavoro, a stabilire chiari schemi e modelli di organizzazione e di comunicazione. La seconda dimensione si riferisce a quei comportamenti del leader volti a instaurare relazioni di lavoro amichevoli basate sulla fiducia reciproca, e sul rispetto interpersonale all'interno dell'unità di lavoro. I leader che si comportano con livelli elevati di specificazione tendono a generale alto assenteismo e alto turnover, mentre i leader che dimostrano alti livelli di considerazione tendono a produrre elevata soddisfazione del lavoro e basso turnover. In un secondo momento il loro focus è orientato “ai dipendenti e alla produzione”. Nello stile orientato alla produzione il leader è focalizzato sul risultato, e per ottenerlo usa supervisione diretta o regole (scritte o non scritte), per controllare il comportamento dei collaboratori. Nello stile orientato ai dipendenti, il leader si concentra sulle relazioni interpersonali, sostituendo le regole con un'atmosfera di mutuo rispetto e fiducia tra tutti. Il leader che usa lo stile orientato ai dipendenti produce alti livelli di performance, rispetto al leader che si orienta la produzione. Inoltre, si evidenzia che lo stile della leadership orientata alla produzione può anch’essa generare alta performance, generando però al contempo turnover e assenteismo, bassa lealtà al gruppo e sfiducia tra i collaboratori e il leader. La griglia della leadership. Nonostante le differenze di metodi e misure, gli studi comportamentali hanno in comune l'uso di due dimensioni fondamentali per identificare gli stili di leadership, cioè la centralità del compito e la centralità delle persone. Questa griglia ebbe grande successo nei progetti di sviluppo e formazione manageriale. Le due dimensioni della griglia, indipendenti l'una dall'altra, sono gli interessi per la produzione e gli interessi per le persone. A seconda dei vari punti che vediamo su questa griglia è possibile definire 5 diversi stili di leadership. Figura11.1 pag316. LE TEORIE SITUAZIONALI Il modello di Fiedler. Fiedler sviluppa la prima teoria contingente di leadership dopo aver osservato diversi gruppi lavorativi e sportivi. L'aspetto importante di questa teoria è capire come le interazioni tra l'orientamento del leader e la situazione, possano influenzare la prestazione di un gruppo. Questa teoria assume che i leader possono essere orientati al compito o alle relazioni. L'efficacia dipende dal controllo situazionale che il leader possiede e questo controllo dipende da tre fattori: - la struttura del compito, ovvero quanto il compito è chiaro e ben pianificato attraverso il numero e la chiarezza di regole e procedure; - le relazioni tra i leader e i membri del gruppo, ovvero quanto nel gruppo sono presenti buone relazioni affettive e un clima positivo; - la posizione di potere del leader, ovvero quanto il leader dispone di autorità illegittima e ampia autonomia decisionale. Questa teoria suggerisce che diversi livelli di controllo situazionale richiedano leader con diversi orientamenti e che quindi l'efficacia del leader dipende dal giusto accoppiamento tra orientamento e situazione. Da non sottovalutare però, è come un leader opera, in quanto se il controllo situazionale è debole, il gruppo tende a essere diviso e a svolgere i compiti assegnati in modo mediocre. A meno che, il leader non eserciti una buona dose di autorità e comando - senza però esagerare, perché potrebbe andare incontro a una situazione contraria (il gruppo non ubbidisce). La teoria del percorso-obiettivo. Robert house sviluppa nel 1971 una teoria contingente di efficacia del leader chiamata teoria del percorso obiettivo. Secondo questa teoria il ruolo fondamentale del leader è quello di rendere chiaro ai collaboratori il percorso verso l'obiettivo e di eliminare eventuali barriere che ostacolano questo raggiungimento. Vedremo in questo schema gli elementi fondamentali della teoria del percorso-obiettivo. Nello stile direttivo il leader fornisce una direzione specifica in merito alle attività da svolgere, ai ruoli e ai tempi di esecuzione delle procedure. Nello stile supportivo il leader e preoccupato dei bisogni dei propri collaboratori, e amichevole e tratta i membri del gruppo come uguali. Nello stile partecipativo il leader agisce ricercando i consigli e suggerimenti dei collaboratori e tenendoli in considerazione prima di prendere decisioni. Nello stile orientato al successo il leader impone obiettivi sfidanti ai membri del gruppo e fornisce feedback continui ai collaboratori. Riguardo le caratteristiche dei collaboratori influiscono sul loro modo di percepire il comportamento del leader la percezione delle proprie capacità, la visione in merito alle persone in posizione di autorità e la loro percezione sulle fonti di controllo, ovvero la modalità con cui un individuo ritiene che gli eventi nella sua vita siano la conseguenza dei suoi comportamenti o azioni, oppure di cause esterne indipendenti dalla sua volontà. I tre fattori ambientali sono compiti, le autorità formale e gruppo di lavoro primario virgola che contribuiscono a creare un ambiente di lavoro con vari livelli di ambiguità. Bisogna vedere se i compiti sono routinari o meno virgola in che contesto devono essere svolti e ovviamente dipende anche dai ruoli che assegna il leader con la sua autorità formale conto gruppi di lavoro primari sono composti da persone fortemente identificate l'una con l'altra e hanno tendenza a sviluppare procedure per lo svolgimento del lavoro ben definita. Al contrario invece lavorano i gruppi dove le persone non si identificano l'una con l'altra. La teoria della leadership situazionale. Il modello le della leadership situazionale propone che il comportamento del leader debba essere aggiustato in base al livello di maturità dei collaboratori. Il modello utilizza le due dimensioni del comportamento di leadership sviluppata dall’università dell'Ohio, cioè l'orientamento al compito e l'orientamento alle relazioni. La maturità dei collaboratori è categorizzata in quattro livelli che vedremo nella figura che segue. La maturità può quindi essere alta o bassa a seconda del compito in esame, ad esempio un soggetto può avere l'abilità e la volontà di soddisfare semplici richieste dei clienti (alta maturità), ma avere meno abilità e volontà di fornire supporto tecnico specifico ai clienti (bassa maturità). In questo modello è quindi importante che il leader sia in grado di valutare la maturità di ogni collaboratore e rispetto ogni compito, adottare di conseguenza uno dei quattro comportamenti associati ai quattro livelli di maturità del collaboratore. L’APPROCCIO RELAZIONALE L' approccio relazionale analizza il leader e ne valuta l’efficienza in modo statico. Per ovviare a questo limite, gli studiosi di leadership hanno iniziato a considerare la leadership come un processo dinamico che emerge e si sviluppa a partire dalla relazione tra i leader e i suoi collaboratori. Analizziamo la teoria transazionale e quella trasformazionale e infine poi la teoria LMX. La teoria transazionale. Sottolinea come la leadership emerga attraverso una relazione di reciproco scambio tra leader e collaboratori. “la transazione”, descritta come un processo attraverso il quale i leader arriva a conquistare la credibilità e la fiducia dei collaboratori. La teoria transazionale assume che gli individui adottino quei comportamenti che permettono loro di soddisfare i propri obiettivi e inoltre sostiene che le relazioni di scambio siano governate da norme di reciprocità, secondo cui gli individui si sentano obbligati a restituire azioni e comportamenti della stessa valenza di quelli ricevuti. Ovviamente i comportamenti che non producono i risultati desiderati sono invece puniti dal leader. La teoria trasformazionale. Sei leader transazionali usano premi e punizioni per influenzare il comportamento dei collaboratori, i leader trasformazionale usano l’ispirazione, l'emozione e la motivazione per influenzare i propri collaboratori. Il leader trasformazionale si occupa dei membri del gruppo, delle loro aspirazioni, e considera ogni membro come un'entità volta ad esprimere le proprie potenzialità. In questo processo anche il leader essendo parte del processo, si trasforma a sua volta. La teoria LMX. Un'altra teoria all'interno dell’approccio relazionale è la teoria Leader Member Exchange, che pone l'accento su come il leader riesca a mantenere la sua posizione attraverso una serie di accordi con i membri del gruppo di collaboratori. L'idea di base di questa teoria è che le relazioni tra il leader e i collaboratori non sono tutte uguali, in quanto questi ultimi possono offrire supporto differente al leader. I collaboratori che mostrano una particolare disponibilità nei confronti del leader, saranno ricompensati con giudizi più favorevoli, più autonomia e maggiori responsabilità. Avviene quindi uno scambio tra il collaboratore che offre maggiore disponibilità e il leader che ricambia con una maggiore disponibilità in termini di supporto e di progressione di carriera. In questa situazione si creano due differenti gruppi di collaboratori, gli ingroup (formato da persone a più stretto contatto con il leader) e l'outgroup (formato da persone con cui leader intrattiene relazioni più formali e che si limitano a eseguire compiti legata al ruolo e la posizione ricoperta). Tra questi due gruppi è possibile vedere la differenza di stress, perché per i membri degli ingroup è prodotta da maggiori responsabilità, mentre per gli altri dalla loro esclusione nel network di comunicazione. I collaboratori che hanno contatti più frequenti col leader hanno una migliore comprensione delle aspettative del leader, perché li porta ad avere prestazioni migliori e meno incomprensioni con esso. I collaboratori membri dell’ingroup tendono a diventare modelli di comportamento da seguire. GLI APPROCCI CONTEMPORANEI Ora andremo ad esaminare quelle che sono le teorie emergenti del ventunesimo secolo. Sono: la leadership carismatica, leadership autentica e la relazione tra leadership e genere. La leadership carismatica. Si manifesta quando un leader usa la forza dei suoi talenti e delle sue capacità per suscitare profondi cambiamenti nei collaboratori. Alcuni studiosi ritengono che la leadership carismatica e quella trasformazionale siano molto simili; e altri invece ritengono siano differenti in quanto il leader carismatico non è direttamente coinvolto nel processo di trasformazione. Il leader carismatico fa largo uso del potere per influenzare gli altri ed è particolarmente efficace nei tempi di incertezza e di crisi che si presentano all'interno del gruppo. Per questo motivo il leader carismatico può avere effetti eccezionali sia in situazioni estremamente positive, come nella ricerca del potere sociale, sia estremamente negativa, come nella ricerca del potere personale. Il leader autentico. In risposta ai potenziali effetti negativi della leadership carismatica si è delineato un nuovo approccio della leadership ovvero quello autentico. Sebbene l'approccio possa rientrare a tutti gli effetti tra quelli situazionali, il leader autentico usa infatti la leadership trasformazionale, carismatica o transazionale a seconda delle necessità della situazione. Il leader autentico motiva il collaboratore per il raggiungimento del risultato facendo leva sulla speranza, sull’ottimismo, sulla resilienza e sull’autoefficacia. I collaboratori si fidano del leader e sperimentano emozioni positive. Ancora oggi però la ricerca empirica non è riuscita a provare e a dimostrare SE e quanto il leader autentico sia efficace. Leadership e genere. La maggior parte degli approcci delle teorie sulla leadership può essere sviluppata considerando eticamente leader uomini che operano in occidente negli USA. Recentemente gli studiosi di leadership si stanno dedicando a rispondere a due importanti domande: se esistano differenze nei comportamenti e negli stili di leadership tra donne e uomini; e se i modelli di leadership siano universalmente applicabili o dipendano dalla cultura nazionale. Parte degli studiosi che si occupano di esaminare le differenze negli stili di leadership tra uomini e donne hanno effettivamente trovato delle differenze di stile tra i due generi. Laddove gli uomini tendono a utilizzare uno stile di leadership transazionale, basato sul potere derivante dalla posizione gerarchica e sull'utilizzo di sanzioni e premi per rafforzare il comportamento dei collaboratori, le donne tendono a usare uno stile trasformazionale, basato sulla condivisione del potere e delle informazioni e sull’incoraggiamento dei collaboratori all' autorealizzazione. Quindi, le donne tendono a essere più efficaci in quelle situazioni e contesti in cui stili orientali delle persone siano da preferirsi. La relazione tra leadership e genere è un'area particolarmente interessante e che necessita di ulteriori evidenze empiriche per stabilire non solo se esistono differenze di stili e comportamenti, ma anche quali siano le contingenze che determinano la differenza in termini di effic. IL RUOLO DEI COLLABORATORI La maggior parte delle teorie valuta il ruolo del leader e il collaboratore viene messo un attimo da parte. I collaboratori sono considerati come soggetti passivi rispetto alle azioni del leader. Secondo Kelley, i collaboratori riconoscono la loro interdipendenza dal leader e imparano a sfidarlo, pur rispettando nell'autorità. Viene proposto un modello che evidenzia 5 tipologie di collaboratori identificati secondo due dimensioni: comportamento attivo/ comportamento passivo e pensiero critico indipendente/ pensiero acritico dipendente. I collaboratori alienati pensano criticamente e indipendentemente, ma la passività del loro comportamento crea una distanza psicologica ed emotiva col leader. Creano una minaccia alla salute e al buon funzionamento dell’organizzazione. Ancora più pericolosi sono gli accondiscendenti perché, non segnalando problemi potenziali, possono creare l'illusione che tutto vada bene ma non è così. Questi collaboratori non sono molto attivi nel loro comportamento. Le pecore sono collaboratori che non pensano indipendentemente o criticamente, sono passivi nel loro comportamento e fanno sempre quello che viene chiesto dal loro leader. I sopravvissuti sono i collaboratori meno dirompenti e rischiosi per l'organizzazione in quanto controllano continuamente la direzione del vento e si comportano di conseguenza. Sono collaboratori attivi nel comportamento e ritenuti di maggiore valore per il leader. I collaboratori efficaci autogestiscono e si auto responsabilizzano permettendo quindi al leader di delegare responsabilità senza doversi preoccupare, e inoltre si impegnano in modo non egoistico per l'organizzazione investendo nel proprio sviluppo professionale e utilizzando la loro energia per il massimo impatto sull’obiettivo da raggiungere. Sono coraggiosi, onesti e credibili. Uno dei compiti principali del leader dovrebbe essere quello di aiutare i propri collaboratori a diventare efficaci, anche per rendere la loro transizione da collaboratore a leader più semplice, e fornire all'organizzazione un flusso continuo di nuovi ottimi leader. CONFLITTO E NEGOZIAZIONE Esempio Marco e Luca sono amici da tempo e decidono di condividere un appartamento nella città in cui si trova la loro università (sono fuorisede). I due prendono l’esperienza dell’università in modo diverso: Marco si impegna molto e studia; Luca si impegna poco e invita i nuovi amici del corso universitario a casa, distraendo Marco. Quest’ultimo assume un comportamento diverso verso Luca anche se evita di affrontare direttamente la questione. I due si trovano in una situazione di tensione, che nasconde un conflitto. Conflitto è definito come una situazione di disaccordo o contrasto in termini di interessi, posizioni, esigenze, esperienze. Si possono verificare tra individui (ad esempio fra fidanzati), fra gruppi e organizzazione (ad esempio per questioni di potere), tra Stati (guerre). In riferimento ai conflitti tra organizzazioni, si distinguono tre livelli di conflitto: - intrapersonale c’è incertezza sulle aspettative delle persone con cui si interagisce si crede che si ha poca competenza per affrontare qualcosa. Ad esempio, quando il manager controlla un impiegato, quest’ultimo può pensare entrambe le situazioni sopra descritte. Questo livello di conflitto può essere gestito attraverso un confronto diretto tra gli individui per capire meglio le aspettative. - interpersonale sono spesso scatenati da competizione, da differenze di personalità o valore percepito. Ad esempio una persona molto precisa, prende una decisione in modo diverso da una che le prende considerando l’aspetto emotivo/intuitivo. Per gestirlo, è importante mantenere nel tempo discussione e confronto su idee e alternative e tenere a bada le differenze personali. Il conflitto di intragruppo (è una variante) si manifesta quando gli individui in conflitto appartengono allo stesso gruppo. - intergruppo si manifesta quando sono gruppi interi ad essere in conflitto (una funzione aziendale, un team, un fornitore). La differenze sostanziale dal conflitto interpersonale, è che qui entrano in gioco le dinamiche di gruppo. Le cause del conflitto ogni disaccordo può essere causa di conflitto. Nel caso delle organizzazioni, ci sono tre tipi di fattori che creano conflitto: - fattori individuali sono riconducibili alle differenze tra persone (valori, bisogni, personalità). Vedendo una differenza, un individuo può dare la colpa a un altro solo per questo motivo. Tuttavia, le diversità, soprattutto nei gruppi, sono normali e quindi questi fattori si possono gestire andando a comprendere le diverse personalità. - fattori organizzativi riguarda le modalità con cui è strutturata e gestita l’organizzazione. Sono: struttura organizzativa (gli individui e le unità fanno capo a diversi obiettivi che possono generare disaccordo); risorse scarse (qui si genera competizione su come distribuire tali risorse come ad esempio il tempo); interdipendenza tra le attività (visto che le attività si influenzano fra loro, questo può essere causa di conflitto fra i responsabili); obiettivi incompatibili (il conflitto si genera quando due unità hanno differenti obiettivi; ad esempio l’obiettivo della funzione vendite è quello di vendere quanto più possibile ma non è uguale a quello della funzione di produzione che potrebbe ritenere controproducente produrre un prodotto in più). - fattori comunicativi scegliere un canale comunicativo sbagliato, il tono di voce, le parole, ecc. possono essere causa di conflitto (ne sono la fonte principale). Effetti positivi e negativi del conflitto In una organizzazione, un conflitto produce inefficienza, riduzione delle performance e addirittura insuccesso. Il conflitto non ha solo una concezione negativa: può anche essere che da esso ne escano delle criticità o tensioni irrisolte, favorisce la partecipazione, il confronto e di conseguenza problem solving. Una distinzione che consente di individuare aspetti positivi e negativi, è quella di conflitto sul compito (o sostanziale) e conflitto relazionale (o interpersonale). Il primo, marca le differenze di idee e punti di vista. In questo caso, può avere delle note positive, in quanto si tiene il focus sul compito e non sulla relazione. Un livello molto basso o molto alto di conflitto sul compito, genera basse performance: conviene tenerlo ad un livello medio. Se c’è un livello medio, allora c’è discussione e confronto, utile soprattutto nella prima fase del processo decisionale. Il secondo, non contribuisce mai positivamente alla performance dell’organizzazione. Non c'è un confronto sul problema da risolvere. Quindi, gli effetti positivi del conflitto sono la creazione di idee e alternative, permette di approfondire un argomento, aumenta la partecipazione e il coinvolgimento. gli effetti negativi sono l'aumento dello stress e dell’ansia, delusione, riduzione della fiducia: questi tre fattori diminuiscono la soddisfazione, la motivazione e la collaborazione. Un buon manager riesce a prevenire conflitti attraverso delle relazioni improntate alla guida e basate su obiettivi comuni e condivisi. Negoziazione processo di comunicazione tramite cui due o più parti analizzano delle alternative per raggiungere una decisione comune che può concretizzarsi con un accordo o meno. È uno strumento utile per la gestione dei conflitti e aumenta l'efficacia dei processi decisionali. Ciò non si verifica soltanto nelle organizzazioni, ma si verifica nella quotidianità: tutti possono avere la qualità di negoziatore e questo ruolo può portare a una soluzione che sia positiva per le parti coinvolte nel conflitto. La negoziazione è un modo per comprendere meglio chi si ha davanti e per migliorare le capacità comunicative. Elementi essenziali della negoziazione - mandato negoziale: documento con cui il mandante insegna l'incarico al negoziatore che lo rappresenta; contiene informazioni necessarie per il processo negoziale (interessi, obiettivi, perimetro negoziale). Da queste informazioni il negoziatore capisce che cosa vuole il mandante. Le materie negoziali fanno riferimento all'oggetto della negoziazione. Gli obiettivi rappresentano il risultato che si intende raggiungere e il mandato definisce i parametri massimi per ognuna delle materie. All'interno di questi ultimi, il mandato può formulare delle proposte mentre al di fuori non c'è negoziazione. - parti negoziali: i negoziatori sono anche chiamati attori negoziali o parti negoziali, quindi la controparte rappresenta il soggetto con cui si negozierà. Se quest’ultima si conosce bene, allora è maggiore la probabilità che si possa raggiungere un miglior esito. Le informazioni necessarie sono di tipo professionale (ad esempio stile di negoziazione) e personale (ad esempio tratti di personalità), gli obbiettivi e le materie, il perimetro della negoziazione della controparte. Non si verifica sempre che avendo tutte le informazioni, si abbia il miglior esito possibile ma le informazioni possono cambiare durante la negoziazione. Un buon negoziatore ne deve tenere conto. - strategia negoziale: è l’approccio che il negoziatore utilizzerà per condurre il processo negoziale con la controparte. Dipende da tre fattori: la relazione che può essere episodica (è di breve termine e si trova un accordo in base alla situazione specifica, non si è interessati a stabilire una relazione con la controparte) oppure continuativa (di lungo termine, si tende a costruire una relazione utile per il futuro); dalle numero di materie, in quanto all’aumentare di esse, aumenta la probabilità di raggiungere un esito positivo tra le parti; il tempo a disposizione. Dalla combinazione di questi fattori, si possono scegliere le strategie negoziali: quando la relazione è di breve termine e la materia è singola, allora si sceglie una strategia distributiva; quando la relazione è a lungo termine e le materie molteplici, allora si sceglie una strategia integrativa; nelle altre combinazioni, non c’è una giusta strategia da scegliere, ma essa varia a seconda degli obiettivi del mandante e a seconda della situazione. Adesso si delineano le differenti strategie: Strategia distributiva i valore delle materie è predefinito e si cerca di distribuirlo tra le parti ma ogni negoziatore cercherà di prendere la parte più grande. Questo è un gioco a somma zero o “win-lose”, in quanto il vantaggio di uno corrisponde a uno svantaggio dell’altro. Alcuni esempi di questa strategia sono le negoziazioni avvenuto tra USA e URSS durante la Guerra Fredda. Uno degli errori tipici dei negoziatori è quello di dare un valore predefinito a una materia quando quest’ultima non lo ha. Strategia integrativa consiste in due fasi: la prima riguarda l’aumento del valore delle materie da negoziare, la seconda della ripartizione di esse. In questo caso, il valore delle materie non è predefinito ma si evolve. Tutte le parti negoziali possono vincere, infatti questa situazione si configura in un “win-win”. È necessario conoscere lo stile dei negoziatori, i quali devono collaborare e non competere e la loro capacità di ascoltare aumenta all’aumentare della fiducia e quest’ultima, se elevata, facilita la negoziazione e e la collaborazione. Esempio: Macchinari Umbri vende gioielli mentre Argenteria Vicentina intende acquistarli. La prima impresa dice che il trasporto avverrà dopo due settimane; la seconda pone domande per capire il perché di questo ritardo e sa che i corrieri sono impegnati in queste due settimane; allora propone a Macchinari Umbri di ridurre il prezzo ma essa si fa carico del traporto. In questo caso, hanno vinto entrambi sotto tutti i punti di vista. Una caratteristica di entrambe le strategie, è il focus, il quale la strategia distributiva ce l’ha sulle posizioni, mentre quella integrativa sugli interessi. Le posizioni fanno riferimento al che cosa si vuole ottenere mentre gli interessi al perché si vuole quel che si chiede. Nella maggior parte dei casi, viene utilizzata la strategia distributiva (80% dei casi). Sarebbe opportuno utilizzare sempre quella collaborativa, ma il passaggio a questa strategia è molto meno frequente. Ciò dipende soprattutto dall’esperienza e la preparazione dei negoziatori coinvolti. La comunicazione - un altro elemento essenziale per qualsiasi negoziazione è una comunicazione efficace. La comunicazione è un processo base per far sì che avvenga il processo negoziale, e che quindi abbia inizio quella che è la negoziazione. Una comunicazione efficace richiede tre capacità: Ascolto attivo ----- I principi fondamentali dell’ascolto attivo sono: - far completare. La modalità più efficace di dimostrare ascolto attivo è non interrompere la controparte mentre espone un argomento. E’ importante far capire che stiamo ascoltando attivamente. Avremo poi modo di esporre il nostro punto di vista e di spiegare perché concordiamo, o non concordiamo , con quanto c'è stato detto prima. - Incoraggiare la condivisione. E’ sempre bene pure delle domande alla controparte in modo da portarla a condividere la sua opinione è il punto di vista in merito a determinate questioni. - Dare feedback. Dove vedere ascoltato quanto la controparte ci ha voluto comunicare, è utile restituirle un commento, un cenno di accordo o non accordo, eccetera. Rilasciare un feedback è un'altra prova per dire alla controparte che abbiamo ascoltato attivamente. - mantenere il contatto visivo. Guardare in giro mentre la controparte ci sta parlando dimostra un ascolto passivo, perciò mentre parla bisogna cercare quanto più di mantenere il contatto visivo connesso. Comprensione ----- I principi fondamentali della comprensione sono: - chiedere chiarimenti. Porre domande per verificare se abbiamo compreso correttamente e dimostrare alla controparte il nostro interesse. Chiedere chiarimenti inoltre elimina quelle che sono le eventuali incomprensioni o percezioni sbagliate e dubbi. - Analizzare il linguaggio del corpo. In una negoziazione come molte altre situazioni, il linguaggio del corpo è molto importante. Bisogna utilizzare il giusto il linguaggio del corpo per far sì che la controparte se ne accorga e ovviamente far si che venga tradotta nel modo giusto. Un esempio classico è quello delle braccia conserte, una postura che indica una bassa intenzione ad ascoltare e collaborare. D'altra parte, invece, la stessa posizione in una foto indica un soggetto abbastanza sicuro di sé. Dialogo ----- I principi fondamentali del dialogo sono: - ordinare le idee. Prima degli incontro con la controparte è sempre bene mettere ordine tra le proprie idee perché aiuta a rendere il processo negoziale più semplice e riduce il rischio di non dire o sottovalutare alcune informazioni importanti. - Tenere il focus sull’oggetto negoziale. All'inizio dell'incontro negoziale, dovremmo sempre trovare un accordo con la controparte su quale sia il problema o la situazione per cui ci troviamo a negoziare. - Preparare i messaggi. E sempre bene preparare in anticipo alcune messaggi e in particolare quelli che utilizzeremo in apertura dell incontro negoziale prestando attenzione a cosa dire e soprattutto come dirlo. - chiarire le aree comuni. Gli elementi su cui le parti si trovano in accordo vanno sempre tenuti in considerazione durante il processo negoziale perché facilita un atteggiamento maggiormente collaborativo dalla controparte. Ovviamente oltre a tenere fissi tutti questi elementi fondamentali e questi principi, bisogna raccogliere quante più informazioni possibili che riguardano una controparte. Come ad esempio: la cultura di riferimento, Se sia un uomo, una donna o un bambino, eccetera. Questo perché il linguaggio deve essere adottato e calibrato al problema e a quello che è il soggetto nelle vesti della controparte. Struttura del processo negoziale - la negoziazione è un processo che deve essere organizzato e strutturato, infatti si delineano quelle che sono le fasi della negoziazione o meglio dire del processo negoziale. 1) Investigazione e spazio negoziale. La prima fase è costituita dalla preparazione, cioè dalla raccolta e valutazione delle informazioni. E’ una fase tanto cruciale, quanto spesso sottovalutata dai negoziatori. naturalmente non dobbiamo subito porci domande che riguardano la controparte, ma porre domande a noi stessi che siamo nelle vesti del negoziatore: quali sono le materie che ho a disposizione ? conosco gli interessi del mio mandante ? quali sono le mie alternative ? Una volta che abbiamo risposto a tali domande il focus della ricerca delle informazioni su sposta sulla controparte, e quindi ci chiederemo: quali sono gli obiettivi della controparte ? che problema deve risolvere ? a cosa è realmente interessato ? e poi iniziare a raccogliere quelle che sono le informazioni sul contesto culturale ed economico della controparte. Tutte queste informazioni ci consentono di delineare quello che lo spazio negoziale, ovvero l'aria all'interno della quale la negoziazione può trovare un esito positivo. 2) Definizione della migliore alternativa. Andare a definire quale sia la migliore alternativa a nostra disposizione nel caso in cui non raggiungessimo un accordo con la controparte, la cosiddetta MAAN. Conoscere la propria MAAN prima di iniziare l' incontro negoziale facilita la decisione se accettare o meno una determinata proposta. Conoscerla prima ci semplifica in termini di tempo la scelta da prendere e SE prenderla, infatti il motivo per cui si attiva un processo negoziale è perché si intende raggiungere un esito migliore di quello che si avrebbe senza la negoziazione. Un esempio è quello di decidere se accettare o meno un lavoro posto Laurea che sia al di sotto della nostra MAAN che corrisponde a 1200euro. Da questo esempio pratico, capiamo che la MAAN definisce la divisione tra le offerte inaccettabili e quelle accettabili. 3) Elaborazione delle informazioni. Dobbiamo mettere insieme le informazioni raccolte per valutare e selezionare quelle necessarie per argomentare, a favore, ciò che vogliamo ottenere. 4) Incontro negoziale. In questa parte si discute con la controparte per quanto riguarda l'oggetto della negoziazione e si spera ovviamente in un comportamento collaborativo da parte di questa. Dobbiamo essere bravi a cogliere quelle informazioni che non sono esplicite così da formulare frasi che puntino su queste e che ovviamente andranno a nostro favore. Tra queste informazioni potrebbero rientrare quelle che sono le “materie prime” come tempo e denaro. Per esempio, se la controparte ha un urgente bisogno di avere un prodotto, sarà disposta a pagare un prezzo leggermente più alto per farla arrivare prima possibile. Le negoziazioni di successo sono quelle che non si basano su un'unica proposta, ma piuttosto sull’analisi di una varietà di soluzioni alternative. La controparte analizzerà i pro e i contro di ognuna di esse finché non trova quella ideale e che fa per lei. La fine della negoziazione potrebbe anche arrivare dopo diversi incontri, ma fondamentale è il luogo in cui si svolgerà l’incontro. Il luogo influenza la dinamica negoziale che potrebbe andare a favore o contro a uno dei due soggetti, perciò è bene incontrarsi in un luogo neutrale dove entrambe le parti si sentano a loro agio. 5) Chiusura della negoziazione. La chiusura del processo negoziale può consistere nella decisione di formalizzare l'accordo che le parti hanno raggiunto, oppure in quella di abbandonare il processo perché non sembra esserci alcuno spazio negoziale. Se si presenta quest’ultimo caso, il processo di negoziazione può riattivarsi se una delle due parti cambia la propria posizione. Per un buon negoziatore, una negoziazione non conclusa è un'occasione di apprendimento, infatti la dovrà analizzare e capirà se si è arrivati a questo fine per via di un suo errore, oppure perché la controparte non era minimamente interessata. 6) Valutazione. Possono esserci tre tipologie di valutazione. La prima tipologia di valutazione riguarda il processo negoziale in itinere. In altre parole, bisogna valutare ogni singola azione e comportamento, che sia nostro o della controparte in modo da definire o rivedere le azioni successive. Tramite questa è possibile vedere se ci sono sfuggite informazioni importanti e utilizzarle a nostro vantaggio magari nel prossimo appuntamento con la controparte. La seconda tipologia di valutazione riguarda l'accordo subito prima che venga formalizzato. Dovremmo sempre avere cura di prenderci del tempo per rivedere l'accordo nel suo insieme che verificare la coerenza degli obiettivi definiti dalla mandante e se effettivamente sono stati raggiunti in parzialità o totalità. La terza tipologia di valutazione fa riferimento agli effetti dell’accordo formalizzato. Una volta che l'accordo è stato formalizzato dobbiamo verificare che venga rispettato, perché basta una semplice deviazione da una delle due parti, per far cadere un po' di fiducia tra queste. Errori tipici del processo di negoziazione - sono quattro i tipici errori che caratterizzano i processi negoziali: - accettare la prima offerta senza aver realmente negoziato. Quando accettiamo la prima offerta ricevuta dobbiamo essere consapevoli che così facendo potremmo perdere alcuni possibili ulteriori vantaggi. Bisogna analizzare e investigare quelli che sono i vantaggi della prima offerta ma anche quelli delle alternative. Solo dopo aver fatto questo possiamo prendere la nostra decisione conto - far dominare la negoziazione dalle proprie emozioni. La dimensione emotiva ha un peso rilevante nei processi negoziali. Immaginiamo infatti una controparte molto puntigliosa. Anche se al negoziatore danno fastidio questi atteggiamenti devi essere bravo a non far emergere le emozioni. Questo perché la reazione emotiva potrebbe compromettere il raggiungimento degli obiettivi previsti dal nostro mandante. Qualora succedesse dobbiamo essere tempestivi risanare la nostra reazione e rimetterci in carreggiata senza perdere d'occhio il nostro focus. - considerare la negoziazione come predefinita e a valore fisso. Preso in considerazione l'obiettivo del mandato, nulla vieta di intraprendere e adottare una strategia integrativa, ovvero orientata all' integrazione e alla collaborazione piuttosto che alla competizione per la distribuzione del valore. Adottare questa strategia però richiede più tempo, e qualora il tempo a disposizione sia molto limitato, bisogna esser bravi a raggiungere il risultato nel breve tempo possibile. - Gestire le negoziazioni come un processo indipendente dal contesto culturale. In questo punto rientrano tutte quelle cose che bisogna da sapere quando si negozia in un contesto multiculturale. Come ad esempio sapere che uno statunitense, all'apertura di una negoziazione utilizza una stretta di mano lunga e vigorosa, mentre gli europei una stretta di mano molto rapida e formale. CAPITOLO 14 STRUTTURE ORGANIZZATIVE Rappresenta la divisione del lavoro nell’azienda sia a livello verticale (chi è sottoposto e chi sottopone) che orizzontale (chi fa cosa). Si sostanzia in organi o unità organizzativa a cui sono associati i compiti relativamente stabili e indipendenti, i quali consentono di identificare la funzione di ogni organo e le sue responsabilità. All'interno di ogni unità organizzativa ci sono diverse posizioni le quali hanno diverse mansioni (ovvero l'insieme di attività e compiti elementari specifici). Una rappresentazione grafica della struttura organizzativa è l'organigramma (formalizza la denominazione delle unità e rappresenta la suddivisione gerarchica e orizzontale dell’azienda). Il mansionario è invece la descrizione dei compiti assegnati a una determinata posizione e consente di avere maggiore chiarezza sulle attività e le responsabilità di ogni posizione. L’operatività dei compiti è formalizzata in procedure, ovvero una serie di operazioni che si devono svolgere per raggiungere un determinato scopo e hanno la finalità di allineare le azioni e i comportamenti degli operatori. La contingenza indica il fatto che l'organizzazione dipende da una serie di variabili che devono essere considerate e ponderate in fase di progettazione. Da qui ne discende la teoria contingente, la quale presuppone un continuo adattamento dall’ organizzazione a tali variabili che si verificano nel contesto ambientale. Ci sono diverse dimensioni contingenti, le quali si possono sintetizzare in: - ambiente, ovvero il contesto competitivo di riferimento - tecnologia, cioè le soluzioni disponibili di Scienze applicate - cultura, cioè l'insieme dei valori dei simboli di un paese - dimensione, ovvero grandezza e volume dell’ impresa e delle persone - strategia obiettivi dell'azienda, ovvero combinazione di prodotti e servizi, marcati e tecnologie impiegate. Il cambiamento di una variabile deve essere accompagnato da un adeguamento della struttura organizzativa; quest'ultima diventa lo strumento a sostegno della strategia di impresa, la quale può essere a sua volta influenzata e condizionare le altre variabili contingenti. Le strutture organizzative di base sono Struttura elementare Una struttura semplice ed è tipicamente associata: - alla fase di avvio di attività imprenditoriali o start up - alle piccole imprese (<50 dipendenti) – molto diffusa in Italia per questo Sono caratterizzate da pochi livelli gerarchici e organismi specialistici e ci sono meccanismi di integrazione poco sofisticati e numerosi. Spesso la totale coincidenza fra proprietà, imprenditorialità e managerialità (un esempio sono le aziende a conduzione familiare). Si presentano spesso solo due livelli gerarchici: - quello superiore è l'organo centrale dove si concentrano le responsabilità di governo economico e direzione, vengono prese le decisioni strategiche e organizzative rilevanti; - il livello inferiore e composto da organi operativi e senza responsabilità decisionale. Tra i due livelli c'è un rapporto di comando diretto tra livello superiore e inferiore con una supervisione immediata. I documenti come ad esempio organigrammi e mansionari sono spesso inesistenti e non sono esplicitati i meccanismi di funzionamento (cioè le singole procedure). Solitamente questa struttura è adatta per: situazione competitiva favorevole, situazione che non richieda eccessivi investimenti in sistemi di controllo, strategie semplici (monoprodotto e mercato) e aziende di piccole dimensioni. Da questa tipologia di struttura se ne delineano altre: o assetti imprenditoriale l'impresa ruota intorno all' imprenditore, il quale organizza e coordina diversi fattori di produzione; è una forma caratterizzata da forte centralizzazione del potere decisionale, informativo, controllo e valutazione nelle mani dell’imprenditore (i flussi di comunicazione sono ad una via: tutte le info convergono verso l’imprenditore e lui dà feedback sotto forma di ordini e direttive. Anche la gestione del personale viene svolta dall’imprenditore che direttamente supervisiona i comportamenti dei dipendenti Questa forma necessità tecniche abbastanza semplice, sia in termini di variabilità delle situazioni sia in termini di livello di difficoltà della ricerca delle soluzioni. è adattabile a situazioni in cui la variabilità delle situazioni risulta rara e semplice e in cui risulta pressochè semplice trovare soluzioni. o forma artigiana è una variante della forma imprenditoriale e comporta la discrezionalità degli organi operativi nello svolgimento dei compiti, poiché gli operatori possiedoco capacità e conoscenze per affrontare i problemi che si incontrano. Un accentramento di tale know-how ostacolerebbe la possibilità di intervenire subito a livello locale. Di conseguenza, l'imprenditore lascia agli esecutori autonomia decisionale e mantiene responsabilità di coordinamento e indirizzo dello sviluppo aziendale attraverso la trasmissione diretta delle conoscenze. Ideale anche per situazioni tradizionali che si basa sull’attività di erogazione e sul contatto con il cliente. È ottimale nel momento in cui la pressione competitiva è bassa e quando il personale operativo non ha una professionalità complessa. o gruppo di pari si adatta particolarmente allo svolgimento di attività complesse. l'organizzazione interna non è gerarchica ma è definita ad imprenditorialità diffusa, quindi i diritti di proprietà e partecipazione alle scelte strategiche sono estese a un gruppo di partner. C'è un elevata circolazione delle informazioni e si tiene particolare attenzione a sviluppare obiettivi comuni. Si tratta spesso di unione di professionisti che gestiscono automaticamente le proprie attività lavorative che mettono in comune strumenti come segreterie, dotazioni strumentali e supporti informativi. Il meccanismo di coordinamento è la democrazia, utilizzando processi di confronto interno al gruppo. Il gruppo di pari è adatto ad affrontare attività che hanno tecnica complessa; Vantaggi: - basso costo di struttura (mancanza di profili e strumenti manageriali complessi) - la grande flessibilità (avere una buona capacità di adattamento e tempestività) Svantaggi: - - eccesso di attenzione alle questioni operative e un problema di successione legato all' eccessiva personalizzazione organizzativa. Si ha scarsa capacità di osservazione sorveglianza dell'ambiente (perché sono presenti pochi organi che non siano operativi) e impossibilità di raccogliere ed elaborare informazioni sul piano competitivo. Se questa forma si mantiene quando l'azienda ha una dimensione media, si mina alla sopravvivenza dell’impresa e quindi bisogna adottare un'altra struttura più complessa. Struttura funzionale evoluzione di quella elementare. Presenta un più alto decentramento decisionale e supera il limite della personalizzazione delle strutture semplici, acquisendo nuove competenze e metodi per gestire situazioni di complessità competitiva crescente. Il lavoro è diviso in funzioni, le quali raggruppano attività omogenee dal punto di vista tecnico (acquisti, progettazione, vendite, marketing). Ogni funzione fa capo a un responsabile con competenze specifiche relative alle singole funzioni e ad esse sono sottoposte unità e persone addette allo svolgimento operativo. Il livello manageriale si pone in mezzo fra vertice strategico e nucleo operativo con operazioni di coordinamento, gestione, supervisione e valutazione. Tale livello traduce gli obiettivi strategici in sotto obiettivi più limitati e precisi, fino a redigere degli ordini per i singoli operatori (utilità verso il basso) e raccoglie, seleziona e aggrega informazioni relative alle prestazioni del sistema organizzativo, utili per redigere la strategia aziendale (utilità verso l’altro). Quando aumentano le dimensioni aziendali e la pressione competitiva, si rischia di sovraccaricare i manager: in questo caso la struttura può presentare più livelli gerarchici. Sono istituiti organi di staff, offrono servizi di consulenza interna all’azienda, elaborano informazioni, sintetizzandole e trasferendole all'alta direzione (direzione del personale). Gli organi di staff si differenziano dalle funzioni di linea (entrano direttamente nel processo di trasformazione del prodotto, dall' acquisto dei materiali fino ai servizi post vendita). Lavorano a diretto contatto con clienti e fornitori e sono collocate alla dipendenza dell'alta direzione. Idonea per situazioni in cui: - Con forte pressione competitiva - Complesse per l’evoluzione dei prodotti - Di aziende mono prodotto (o prodotti strettamente correlati tra loro) Per una corretta costruzione gerarchico funzionale, si devono rispettare tre principi: - i livelli gerarchici non devono essere più di 7 in quanto si allungherebbe la comunicazione e si può perdere il messaggio originale - l’area di controllo è inversamente proporzionale al livello gerarchico più si scende, più l'area di controllo diventa ampia mentre più si sale, più e complesso controllare e quindi si controlla meno - univocità di comando, ovvero una funzione o aria non può avere due capi o responsabili. Vantaggi: - si massimizza la specializzazione in quanto i responsabili risolvono problemi simili dal punto di vista tecnico, quindi hanno la possibilità di raffinare i propri schemi cognitivi e rafforzare competenze specialistiche. - promuove il raggiungimento di economie di scala in quanto per tutti i processi che necessitano di attrezzature e competenze simili possono essere svolte all'interno di una singola unità organizzativa, massimizzando nell’ utilizzo e diminuendo i costi medi di produzione all'aumentare dei volumi realizzati. Svantaggi: - in caso di numerose funzioni presenti la tempestività verso l'esterno è minore in quanto la gerarchia viene sovraccaricata e le decisioni da prendere si accumulano. - Le funzioni potrebbero concentrarsi troppo sui propri obiettivi specifici, con conseguenze non positive per gli obiettivi aziendali generali. - I diversi responsabili delle unità organizzative possono sviluppare linguaggi e stili cognitivi diversi (perché strettamente a contatto con soggetti esyerni), andando incontro al pericolo di differenziazione tra funzioni e generando problemi di comunicazione e probabili conflitti interfunzionali. Come rimedio alla differenziazione tra funzioni vanno introdotti meccanismi di integrazione, i quali possono essere classificati in: - strumenti impersonali, i quali specificano e formalizzano in anticipo le aree discrezionali di ogni funzione attraverso regole e procedure - strumenti personali, consiste nell’inserire nuove posizioni gerarchiche che vadano a coordinare le funzioni (si deve dosare questo strumento in quanto può causare sovraccarico direttivo) - strumenti di gruppo, ovvero la riunione di personale di diverse funzioni attraverso comitati e riunioni al fine di integrarle. I limiti delle strutture funzionali si manifestano quando le scelte strategiche mirano ha un ampliamento significativo della gamma dei prodotti proposti, dei marchi o dei canali serviti (ad esempio le aziende che producono beni di largo consumo molto spesso puntano alla differenziazione). Di conseguenza si arricchisce la struttura con nuovi organi: alle direzioni funzionali si associano figure che hanno responsabilità su un prodotto (product manager), su un marchio (brand manager) o su un canale distributivo (trade manager). Struttura funzionale con Product Manager La prima è caratterizzata da una tradizionale struttura funzionale con accanto organi specializzati per prodotto che hanno la funzione di integrare le varie unità funzionali. Ci sono due versioni: - il product manager nella versione forte fa capo direttamente all'alta direzione ma non si trova in posizione di sopra o subordinazione gerarchica con le altre funzioni. Ha responsabilità specifiche in tema di marketing operativo e collabora con: - funzione vendite nella definizione dei prezzi funzione ricerca e sviluppo per le innovazioni funzione produzione nella scelta dei prodotti. Le relazioni si sviluppano orizzontalmente senza un rapporto gerarchico e quindi è importante che questa figura abbia caratteristiche diplomatiche, creative e stimolanti (persuasione e negoziazione). - il product manager nella versione debole, è quello più diffuso e si tratta di un organo collocato alle dipendenze della direzione marketing: gli vengono affidati specifici compiti per la promozione e le pubblicità. In questo caso è debole perché ha più limitate funzioni di integrazione, in quanto le altre funzioni non hanno l'esigenza di consultarlo nella risoluzione dei problemi che ricadono nelle loro competenze. . Vantaggi: ai vantaggi della struttura funzionale di base si riesce a mantenere la dimensione di integrazione e coordinamento e non ci si appesantisce eccessivamente. Svantaggi: - con questa struttura si hanno meccanismi operativi più sofisticati e costosi; - la presenza di questa figura può essere causa di conflitto con le funzioni o con altri product manager (relativamente all’allocazione delle risorse: solitamente si predilige il prodotto che garantisce più redditività) - Un'altra criticità è il fatto che la valutazione della prestazione dei product manager si basa spesso sull’ andamento economico del prodotto a loro affidato quando invece dovrebbero essere valutati sulle dimensioni del processo (quanto sono riusciti a risolvere problemi di integrazione). Struttura con Project Manager Nella struttura per progetti gli organi specializzati per funzione vengono affiancati ad altri organi temporanei guidati da project manager, i quali sono responsabili dell'esecuzione di un progetto specifico. La forma per progetti viene utilizzata quando si vuole raggiungere uno specifico obiettivo non usuale, creando un output unico, differente dal ripetitivo prodotto offerto dall’azienda: è necessario in questi casi avviare un progetto. Un progetto è un insieme di attività particolarmente complicate che richiedono la collaborazione di diverse funzioni aziendali. Questa struttura alla durata del progetto stesso e il fine e l’obiettivo (caratteristiche output, costi e tempi) devono essere esplicitati. Ci sono due tipologie di struttura per progetto, ovvero: - debole: il capo progetto è il coordinatore ma non ha responsabilità gerarchica sulle risorse: esercita la sua influenza ma non ha comando; svolge funzione di coordinamento, pianificazione e controllo del progetto in modo trasversale alle altre funzioni. Si conserva la base funzionale, infatti l’organizzazione non presenta delle grandi modifiche alla struttura, nominando però un responsabile di progetto. I limiti di questa forma sono la mancata correlazione fra autorità e responsabilità del project manager, creando ambiguità circa il suo ruolo. È necessario che questa figura abbia molta esperienza e carisma. Un'altra problematica è il rispetto dei tempi e dei costi di progetto. - forte: il capo progetto ha piena responsabilità gerarchica sulle risorse, le quali sono attribuite in maniera stabile alla realizzazione del progetto per l'intera durata. Viene modificata la struttura funzionale: alle funzioni già esistenti viene affiancato un nuovo ramo dedicato esclusivamente al progetto (attinge allre risorse delle altre funzioni, finito il progetto queste torneranno alla loro funzione). In questo caso c'è perfetta correlazione fra autorità e responsabilità del project manager, riducendo l’ambiguità e aumentando le capacità di coordinamento. Un limite è che la creazione di un'ulteriore unità comporta problemi di specializzazione o di duplicazione delle risorse (+ una volta finito il progetto la dissoluzione del gruppo può essere vista come una perdita per il personale). Struttura divisionale è ottimale quando l'impresa sceglie di diversificare strategicamente, quindi presenta più prodotti/progetti/mercati/canali/ecc eterogenei. Con questa struttura si riesce a ovviare al problema del sovraccarico del vertice strategico, delle difficoltà di controllo e coordinamento delle funzioni rispetto a prodotti o linee di prodotti, si riesce a garantire una allocazione mirata delle risorse che permetterà di generare maggiori risultati. La struttura divisionale è così composta: sotto l’alta direzione ci sono gli staff centrali che generalmente gestiscono processi comuni a ogni divisione per non creare sprechi e ripetizioni (ad esempio area amministrazione, finanza e controllo, sistemi informativi). Ad ogni staff centrale vengono la parte restante dei processi relativi ad un certo prodotto o mercato (marketing, produzione, ricerca e sviluppo). Sotto a livello strategico ci sono due livelli: - gli organi direttivi di primo livello sono specializzati per prodotto, mercato o tecnologia (divello divisionale) - gli organi di secondo livello sono specializzati per tecnica, si tratta di un livello funzionale presente in ogni divisione (funzioni di linea). All’interno di ogni divisione, oltre alle funzioni di linea, si possono trovare gli staff periferici, i quali sono strettamente dipendenti dalle direzioni delle singole divisioni e si attengono alle linee guida degli staff centrali. La coordinazione fra le diverse divisioni, le quali hanno ampia autonomia decisionale (possono quasi considerarsi un’impresa a parte, possono presentare anche una propria struttura differente dalle altre), può essere resa più facile dall'omogeneizzazione delle procedure (soprattutto quelle contabili), al fine di favorire un confronto diretto con le informazioni rilevanti. Il sistema di controllo pianifica e programma le responsabilità di ogni divisione. Inoltre può succedere che si verifichi incomunicabilità fra le divisioni, essendo diverse una dall'altra, in questo caso gli organi di staff centrale sono fondamentali in quanto possono essere un punto di contatto e può essere la soluzione di conflitti. Vantaggi: riesce a supportare strategia di diversificazione o espansione, è possibile rimuovere rami dalla struttura senza causare scompensi e quindi consente una rapida capacità di adattamento alle variazioni ambientali. Svantaggi: - si sostengono costi derivanti dalla duplicazione degli organi (organi funzionali duplicati per ogni divisione) gli staff centrali sono di notevoli dimensioni che insieme a quelli periferici appesantiscono la struttura e ne aumentano i costi non si sfruttano le economie di scala in quanto si utilizzano gli stessi impianti per prodotti diversi. pur essendo vero che questa forma consente di diversificare, può portare a sovradiversificazione o sovradimensionamento. Holding è l'evoluzione di una struttura divisionale: le varie divisioni si trasformano in società giuridicamente autonome. La holding controllerà le divisioni divenute imprese e ne detiene la maggioranza azionaria. Ci sono due tipologie di holding: - pura o finanziaria: svolge azione di coordinamento e controllo finanziario delle attività operative delle società sottoposte. Detiene pacchetti azionari con lo scopo di esercitare il controllo su un certo numero di imprese e nel fissare le linee guida a cui tutte le società devono attenersi affinchè le attività di quest'ultime siano in linea con gli obiettivi del gruppo (ad esempio Fiat detenuta da Exor). - mista o operativa: la società capogruppo detiene il controllo proprietario delle altre società e svolge direttamente anche attività operative, gestiscono le risorse critiche del gruppo e l'offerta di servizi comuni (ad esempio Mediobanca) In Italia la forma di holding più diffusa e quella di proprietà familiare (spesso società in accomandita per azioni), come ad esempio Fininvest di Berlusconi. Negli ultimi anni si è diffusa la tendenza delle holding a svolgere operazioni di natura finanziaria a livello accentrato, per conto delle partecipate. Le holding acquisiscono partecipazioni non più solo con l’intenzione di tenerle in portafoglio ed esercitarci il proprio controllo, ma anche per cederle sul mercato e realizzare capital gains (acquisto e vendita di titoli immobiliari per trarre profitto) – Holding diversificate: questa strategia viene attuata per partecipazioni detenute temporaneamente, non per quelle che costituiscono maggiore fonte di profitto. Struttura a matrice È la soluzione ottimale quando si vuole perseguire una strategia di differenziazione di prodotti e mantenere un elevato livello di integrazione interna. Il voler portare avanti più prodotti differenti o progetti rende la struttura funzionale inadeguata e la struttura divisionale non permetterebbe di mettere a disposizione di tutte le linee le unità funzionali. Tale struttura si presenta come una tabella a doppia entrata, nella quale da una parte ci sono le unità funzionali e dall'altra i prodotti/ progetti/ mercati. Si vanno a creare così due livelli gerarchici: - gli organi di primo livello sono specializzati per tecnica e per prodotti/mercati/progetti (righe) - gli organi di secondo livello corrispondono all’incrocio tra righe e colonne nella matrice. I responsabili di divisione funzioni hanno lo stesso livello di autorità e quindi i responsabili di secondo livello fanno capo a due responsabili di primo (two boss managers). Con quest'ultima caratteristica si va contro il principio di unicità di comando ma al tempo stesso si riesce a garantire diversificazione e mantenimento del controllo. Si può verificare, però, che la linea divisionale si imponga su quella funzionale o viceversa. Da questa dinamica ne discendono due tipologie di struttura matrice: - struttura a matrice funzionale: i manager funzionali si impongono su quelli divisionali (questi coordinano solo le attività relative ai prodotti) - struttura a matrice per prodotto: i manager e divisionali s'impongono su quelli funzionali (questi ultimi svolgono la funzione di consulenza e assegnano il personale tecnico). La linea funzionale svolge delle funzioni simili a quelle di organi di staff (mantengono e sviluppano il knowhow) mentre quella divisionale può essere assimilata a organi di linea in quanto intervengono direttamente nei processi dell’impresa (utilizzare al meglio il personale che viene messo a disposizione). Ci sono molteplici ruoli integratori: - l'alta direzione applica un'integrazione dall'alto - i two boss managers applicano un'integrazione dal basso - direttori di funzioni un'integrazione tecnica. La complessità interna di questa struttura è molto elevata e quindi è necessario implementare meccanismi operativi che devono comunque essere accompagnati da adeguati modelli di comportamento e cultura organizzativa in sintonia con le esigenze della struttura. È ottimale utilizzarla quando la strategia aziendale e focalizzata sull'innovazione continua, sull'ampliamento e la differenziazione. Non è ottimale quando sia un solo prodotto e nemmeno quando ci sono svariate linee di prodotto (si utilizzerebbe nel primo caso la forma funzionale e nel secondo quella multi divisionale). Vantaggi: si riesce a fornire elevata efficienza organizzativa e si sfruttano le economia di scala, si riesce ad affrontare la pressione ambientale e l'altra complessità dei compiti. è possibile potenziare il know how, in quanto le conoscenze possono essere trasferite tra le divisioni che appartengono allo stesso ramo funzionale. Svantaggi: elevati costi di struttura e complessità. avere due capi può creare confusione e quindi è necessario che i collaboratori abbiano capacità di gestire entrambe le direzioni a cui sono sottoposti. tiene posto agli organi alti dell'impresa deve avere elevati standard manageriali. Un ultimo svantaggio e l'elevato controllo e coordinamento che richiede molto tempo. • Struttura reticolare si possono formare delle relazioni tra azienda che vanno oltre a quelle strettamente economiche tra cliente fornitore. Le forme di collaborazione si affermano sempre più tra le aziende, modificando il modo di lavorare per trasformando i modelli di business pressati dalla concorrenza globale. Ciò accade soprattutto in Italia con le PMI. la creazione di reti sia intensificato con la definizione del contratto di rete, il quale regola la collaborazione fra imprese che mirano a un progetto condiviso ma mantengono la propria autonomia. Ci sono diverse tipologie di aggregazioni, ovvero informali (basate sulla fiducia come ad esempio i rapporti di subfornitura e distretti industriali), formali (hanno alla base un contratto e sono ad esempio consorzi e associazioni temporanee di impresa), patrimoniali (sono di natura proprietaria esso ad esempio le joint ventures e le holding). Nel primo caso non c'è un vincolo contrattuale. Il contratto di rete ha superato le relazioni di subfornitura, in quanto c'è la presenza di un'impresa guida e altre sottoposte che si impegnano a fornire prodotti e servizi per l'attività economica della prima. Con il contratto il fornitore diventa partner, il committente ne riconosce il valore e l'orizzonte temporale aumenta al medio termine, quindi aumenta lo scambio di conoscenze per come ultimo effetto si crea una relazione più stretta. Il contratto di rete supera i distretti industriali: i distretti sono formati da più imprese che hanno diverse competenze utili in una singola fase del processo produttivo e che operano in un'area territoriale circoscritta. Negli anni 2000, dopo 50 anni di risultati utili, i distretti hanno mostrato delle inadeguatezze di fronte al cambiamento ambientale. La concentrazione territoriale e la specializzazione non sono più punti di forza in quanto è necessario aprirsi commercialmente a mercati più lontani e diversi. A questo punto gli imprenditori anno iniziato a formare reti per fare innovazione rafforzarsi commercialmente al fine di internazionalizzarsi e raggiungere un' adeguata dimensione. Una di queste è il consorzio, il quale consente di avere un'organizzazione comune cerca la disciplina e lo svolgimento delle fasi delle rispettive imprese e spesso nascono con fini non lucrativi. In questa forma di rete si associano imprese dello stesso tipo che da soli non riuscirebbero a raggiungere un obiettivo specifico; al di fuori di questa organizzazione ogni impresa e autonomo e concorrente con le altre. A differenza del contratto di rete, il consorzio ha una propria identità istituzionale è un pericolo del Levante da questo è che ogni associato rischia di perdere parte della propria capacità imprenditoriale in quanto si conferiscono prodotti in esclusiva. Di fatto l'autonomia delle aziende resta solo su carta e nei fatti no. Con il contratto di rete questo non succede ma, al contrario incentiva l'autonomia dei partecipanti e li responsabilizza nella conduzione delle proprie imprese. Un'altra aggregazione formale e l'associazione temporanea di impresa(ATI), ovvero una collaborazione transitoria fra imprese chiama mantengono la loro indipendenza e sono responsabili di ciascuna parte della propria competenza in un progetto comune (Ad esempio nelle gare di appalto). L'unione è spesso di breve periodo e comporta un minore coinvolgimento dei partecipanti, riduce le occasioni di confronto e lo scambio di conoscenza. Sono uno strumento molto più limitato rispetto al contratto di rete in quanto non c'è una specifica normativa chi è la regola ed è adatta solo a pochi mercati. Le forme di aggregazione di tipo patrimoniale sono spesso di origine anglosassone: una è la jointventure con la quale due società creano un nuovo soggetto giuridicamente indipendente, il quale è controllato a livello proprietario. Si allo scopo di creare una nuova società per penetrare in nuovi mercati. Si tratta di una forma completamente diversa dal contratto di rete in quanto c'è un consistente investimento Inter organizzativo di tutte le risorse in quanto per la jointventure ci deve essere una struttura dedicata mentre per la holding c'è un altissimo livello di articolazione organizzativa. Un'ulteriore aspetto di differenza riguarda la cultura manageriale: nella rete di impresa la gestione di questo aspetto è opzionale mentre nelle due forme di aggregazione di forma proprietaria è fondamentale. In Italia sono molto più diffuse le aggregazioni formali informali proprio perché sono di piccole dimensioni e perché hanno un pensiero diverso rispetto a quello anglosassone. Nella realtà non esistono delle strutture organizzative uguali a quelle teoriche, ma ci sono realtà ibride che aggiungono o sottraggono caratteristiche alle strutture pure. È necessario comprendere le struttura pura in quanto si può capire l' evolversi di un'impresa a livello organizzativo. La realtà delle imprese conduce a pensare chi è si ricorre più spesso a un poliformismo organizzativo piuttosto che l'adozione di forme standard dovuti la presenza di più soluzioni non è un problema ma deve essere apprezzata quando questa botta a risultati positivi in termini di continuità dell'impresa, aumento del valore nel lungo periodo e soddisfazione di tutti i soggetti coinvolti. Cultura nazionale e organizzativa Non c’è una definizione unica di cultura, ma gli studiosi convergono nel pensare che la cultura condiziona tutte le sfere della vita (influenza valori, comportamenti, atteggiamenti ecc…) Alcune definizioni: Un insieme di assunti di base che definisce a cosa prestare attenzione, il significato delle cose, come reagire emotivamente agli eventi, come comportarsi in varie tipologie di situazioni - Schein La cultura determina dove passa il confine che separa una cosa dall’altra. Il confine è arbitrario, ma una volta appreso e interiorizzato, esso diviene reale - Hall Definizione di sintesi: La cultura é un sistema appreso di simboli, norme, conoscenze, e valori che forniscono una cornice relativamente stabile ma modificabile alla nostra interpretazione del mondo e al nostro orientamento in termini di comportamenti sociali. Si forma per socializzazione: si assimila da bambini vivendo in un certo paese e in un certo gruppo I modelli di analisi delle diversità culturali Geert Hofstede ha analizzato un numeroso database di valori ripresi attraverso test specifici effettuati su 116.000 impiegati IBM in più di 70 paesi (vengono tenute in considerazione le differenze d’età e di attività lavorativa, quindi le differenze nella abitudini sono necessariamente dovute alla diversità della cultura nazionale di appartenenza). Individua 5 dimensioni della cultura nazionale a cui assegna un valore da 1 a 100: 1. Distanza dal potere Misura in cui una società accetta che il potere sia distribuito in modo diseguale nelle istituzioni, nella società e nelle organizzazioni (grado di differenza di status ammesso: distanza tra genitori figli, capi e impiegati, insegnanti e studenti ecc.) 2. Individualismo – collettivismo Una cultura è individualista quando i rapporti reciproci fra gli individui non sono stretti: l’individuo si occupa di sé stesso e dei suoi familiari stretti, importanza della libertà e delle scelte di affermazione dei singoli Una cultura è collettivista se l’appartenenza a uno o più gruppi è fondamentale, prevale l’identità collettiva, gli individui crescono in gruppi coesi e protettivi a cui danno in cambio fedeltà . 3. Mascolinità-femminilità Misura in cui una società enfatizza valori associati agli stereotipi maschili (aggressività , dominanza, successo) rispetto a quelli femminili (compassione, empatia, collaborazione). - Culture ad alta mascolinità: Assertive, competitive, “dure”, perseguenti la visibilità personale. In esse conta essere brillanti, “chi la spunta”, i risultati raggiunti - Culture ad alta femminilità: Accomodanti, “morbide”, perseguenti la solidarietà . In esse conta salvaguardare buoni e sinceri rapporti con le persone, la realizzazione di un comune progetto, la cooperazione. 4. Avversione all’incertezza Misura quanto i membri di una cultura si sentano minacciati da situazioni incerte e sconosciute, ambigue e nuove - Alta avversione per incertezza Culture che hanno regole e leggi ferree e sono intolleranti verso idee e comportamenti devianti. - Bassa Avversione per incertezza: Culture che accettano maggiormente l’aleatorietà , più tolleranti verso le opinioni altrui, cercano di avere poche regole e leggi. Lasciano che più correnti di idee convivano e si evolvano contemporaneamente. 5. Orientamento a lungo o breve termine Misura in cui in una società prevalgono modelli di pensiero e di comportamento le cui implicazioni posso essere valutate su orizzonti temporali diversi. - Short-term Verità assolute e rispetto per le tradizioni, scarsa propensione al risparmio per il futuro, orientamento ai risultati di breve. - Long-term La verità dipende dalle situazioni, tradizioni adattate alle condizioni, frugalità , molti risparmi, perseveranza, orientamento alle relazioni costruite nel lungo periodo. Vantaggi del modello: - Riassume le differenze tra culture in un numero limitato di dimensioni - Misurazione tramite indici che permettono una valutazione rapida - I suoi risultati sono stati confermati da ricerche successive Svantaggi del modello: - Associazione tra culture e stati nazionali - Non tiene in considerazione le subculture (differenze culturali presenti in uno stesso Paese) Studi di Hall 1. Hall considera la stretta connessione tra cultura e comunicazione (culture = sistemi atti a fornire, trasmettere e immagazzinare informazioni). Egli distingue culture a basso e ad alto livello, considerando che l’interazione umana può essere divisa in sistemi di comunicazione a basso e alto contesto. Il contesto definisce le circostanze in cui la comunicazione avviene e ovviamente la cultura è definita a basso o alto livello in termini relativi: cioè, in confronto con altri contesti culturali. - Culture ad alto contesto Relazionali e collettiviste, dove gli elementi non verbali della comunicazione sono fondamentali (espressioni facciali, tono della voce, postura ecc.). Le scelte delle parole sono fondamentali perché messaggi complessi possono essere compresi facilmente dai membri del gruppo, ma difficilmente da soggetti che non ne fanno parte. - Culture a basso contesto Dirette, individualiste e orientate all’azione. La comunicazione è basata maggiormente su messaggi verbali espliciti e diretti (viene data molta importanza al significato letterale e preciso dei termini), messaggi fondati su dati e fatti e poco incentrata su aspetti non verbali. 2. Percezione del tempo Secondo Hall il tempo è una variabile cultural, che, però, si può considerare secondo due approcci: - Tempo Monocronico (M-time): limitato, finito, regolato da orari, una cosa alla volta, lineare, divisibile in segmenti, efficiente - Tempo Policronico (P-time): multidimensionale, flessibile, più cose allo stesso tempo, sincrono, circolare 3. Prossemica: studio dello spazio umano nel contesto culturale. La percezione dello spazio e la funzione della distanza personale sono elementi culturali. Per Hall lo spazio si divide in: - Spazio intimo (0 – 45 cm): il più vicino possibile ad una persona. Possono entrare in questo spazio solo persone intime, se sussistono relazioni familiari, di amore o affetto. - Spazio personale (45 – 120 cm): cd zona cuscinetto, accettabile per interagire con gli amici - Spazio sociale e consultivo (120 cm – 3,6 m): spazio entro il quale le persone si sentono a proprio agio gestendo interazioni sociali e professionali sia con conoscenti sia con sconosciuti - Spazio pubblico (oltre 3,6 m): oltre il quale le interazioni vengono percepite come impersonali e anonime (adatto a relazioni pubbliche. Differenze negli spazi tra Paesi: spazio di cortesia negli Stati Uniti doppio rispetto ai paesi europei, in Spagna baciarsi sulla guancia è normale, mentre nei paesi anglosassoni non è accettato. Cultura organizzativa Insieme di assunti, valori, norme, modi di pensare condivisi dai membri di un’organizzazione (anche implicitamente) che permettono di regolare le interazioni tra membri e tra questi e l’ambiente esterno. Cultura organizzativa = identità dell’organizzazione, sviluppatasi attraverso le esperienze, i problemi e le soluzioni trovate man mano. Funzioni della cultura organizzativa Processo di sense-making Gruppo sviluppa modi ripetitivi e condivisi di pensare ai problemi fondamentali e che permettono la sopravvivenza dell’organizzazione stessa (perché il gruppo esiste, obiettivi da raggiungere e come farlo, allocazione del potere e status dei membri) - Strumento di coordinamento Riferimento che agevola i rapporti tra gli individui ed evita la confusione, regolatore invisibile dei Comportamenti (le interazioni avvengono nel rispetto delle norme condivise, quindi non è necessario un continuo scambio di info e di regolare le divergenze) - Strumento di riduzione dell’ansia, funzione emotiva Aiuta a gestire l’incertezza, implicitamente insegna come gli individui devono pensare, sentire e agire per contenere l’ansia - Fornisce identità organizzativa, senso di appartenenza I dipendenti che condividono una cultura forte ne sono orgogliosi (forte senso di appartenenza), il che aumenta il loro commitment. La cultura organizzativa affonda le radici nella cultura nazionale, ma si distingue da questa per la storia, caratteristiche del prodotto, settore, esperienza di ogni singola impresa, valori dei fondatori e del gruppo dirigente. Per questo, nella cultura nazionale è possibile trovare organizzazioni con diverse culture ‘corporate’. All'interno della stessa organizzazione possono convivere sub culture differenti come variazione di alcuni attributi della cultura dominante (possono formarsi a ogni livello: gruppi professionali, funzioni, unità organizzative ecc.). Una subcultura è un sottoinsieme di membri di un'organizzazione che si identificano come un gruppo distinto e agiscono abitualmente sulla base di convinzioni collettive. solidamente e se convivono sotto l'ombrello della stessa cultura dominante, ma in organizzazioni con culture aziendali deboli le differenze tra sottoculture possono condurre talvolta a conflitti tra unità organizzative. Una cultura organizzativa forte può: - generale vantaggio competitivo se ispira ai suoi dipendenti, li spinge a dare il meglio e a identificarsi con l'impresa - essere un forte ostacolo al cambiamento o di venire pericolosa se propone valori non etici o se asseconda comportamenti illegali Gli elementi fondamentali della cultura. I principali elementi simbolici di cui si compone una cultura organizzativa sono: - valori. I valori dell’organizzazione sono un insieme di principi guida e standard ai quali una cultura attribuisce una valenza intrinseca e che definiscono ciò che è giusto o sbagliato per i membri dell’organizzazione stessa. Nella maggior parte dei casi i valori che contano non sono scritti ed espliciti, ma si manifestano in credenza, regole e modi di pensare agire che l'individuo nell'organizzazione usano per relazionarsi gli uni con gli altri o con gli esterni. I valori nascono: i. dalla personalità individuale dei soggetti ii. dalla specificità del settore, del prodotto e della cultura nazionale in cui l'organizzazione alle sue radici iii. esperienza passate: soluzioni che sono risultate efficaci e hanno funzionato. È importante inoltre tenere presente che i valori non sempre sono poi attuati nell’impresa. Questa incoerenza viene percepita sia dai dipendenti sia dai clienti e crea demotivazione nel tempo, ostacolando il perseguimento degli obiettivi. - Norme. Le norme sono aspettative di comportamento rispetto all' interazione con gli altri. Le norme sono prevalentemente regole non scritte che consentono ai membri di una cultura di sapere ciò che si aspetta da loro in una varietà di situazioni. Col tempo questi comportamenti vengono a essere parte fondamentale della mentalità di ogni soggetto, influenzano il modo di interpretare la realtà e di agire in determinate situazioni. Le norme possono riguardare le modalità con cui si tratta il cliente, la velocità di esecuzione del lavoro, le decisioni, l'atteggiamento verso l'etica e la relazione con gli altri. Miti e storia. Tutte le organizzazioni hanno storie che vengono raccontate all'interno e all'esterno dell’impresa, che spiegano che cos'è importante in una cultura e legittimano il modo in cui l'organizzazione opera. Nel raccontare storie si può verificare che a eventi realmente accaduti siano aggiunti dei dettagli immaginari o che queste non siano supportate da fatti in grado di provarne il reale accadimento: in questo caso si parla di mito. - Riti e cerimonia. I riti e le cerimonie servono a comunicare e rinforzare i valori e le norme culturali. I rituali possono anche riguardare eventi quotidiani, come le modalità di comunicazione accettate, il modo in cui si conducono le riunioni, ma anche il cd casual Friday. Le cerimonie sono eventi pianificati atti a celebrare successi e eventi organizzativi, come le feste di Natale, le premiazioni dei dipendenti, le feste per il pensionamento dei colleghi eccetera. Le cerimonie possono segnare riti di passaggio (promozione di un dipendente o assunzione di un altro), riti di integrazione (mirati a rafforzare i rapporti tra gli individui), riti di rinforzo dell’identità sociale dello status dei dipendenti. - Leader. I leader esercitano un forte influenza sulla cultura di organizzazione anche se non la possono determinare completamente in modo unilaterale, perché la cultura emerge da un senso negoziato dai membri di un sistema sociale. Le azioni e i discorsi dei leader nell’organizzazione hanno una forte influenza sulla cultura. Attraverso azioni e parole, i top manager stabiliscono le norme che filtrano all'organizzazione e ne determinano un rinforzo dei valori. Modello Multilivello di Shein Modello teorico che studia la cultura basato su 3 livelli strettamente correlati tra loro. Il primo livello contiene le manifestazioni visibili della cultura, gli artefatti e le creazioni osservabili, che includono sia oggetti fisici sia comportamenti. In questo ritroviamo: i. gli artefatti che sono oggetti materiali creati per facilitare le attività come una determinata attrezzatura, oppure segnaletica e abiti; ii. simboli - che è una cosa che ne rappresenta un'altra e rientrano le cerimonie, le storie, il linguaggio eccetera così come alcuni oggetti fisici tra cui il posto auto e la collocazione degli uffici; iii. storie e miti - che sono narrative basate su eventi reali che vengono usati per spiegare le origini di credo o prassi ritenuti corretti e giusti al di là di una spiegazione razionale; iv. eroi - che sono i personaggi, attuale o del passato, che incarnano i valori e le credenze di fondo e di solito sono i fondatori o i manager importanti del passato; v. vi. vii. viii. linguaggio - dove si fa riferimento alle forme di espressioni orali o scritte tipiche dell’organizzazione che hanno un significato per i suoi membri come acronimi, humor o dei segnali; ridi e cerimonia; architettura e layout dell'organizzazione degli uffici e la distribuzione degli spazi a cui è possibile accedere; norme; struttura, gerarchia e sistemi dove si fa riferimento al modo in cui l'azienda è strutturata, ai livelli gerarchici e l'importanza dei capi, i sistemi di selezione e la remunerazione con la carriera. Il secondo livello, meno accessibile rispetto al primo, contiene i valori e le credenze accumulate su come si dovrebbero affrontare le situazioni, cosa è considerato giusto o sbagliato. I valori sono estremamente importanti perché guidano i comportamenti delle persone all'interno dell’organizzazione e rientrano tutti quei metodi per la risoluzione di problemi che sono risultati ottimi in passato. I portatori di cultura in primis sono i top manager. Il terzo livello del modello, quello più profondo e più difficile da capire e interpretare, si riferisce agli assunti di base, che sono un insieme condiviso di modi di percepire e pensare l'esperienza, assunzioni date per scontate ma non esplicitate sulla natura della realtà e delle relazioni dell’organizzazione con il suo ambiente. Secondo Schein questo è il vero cuore della cultura aziendale ed è interessante studiare se ci siano delle contraddizioni tra gli assunti e le manifestazioni più evidenti e storie ufficiali della cultura. Socializzazione della cultura. La forza di una cultura organizzativa dipende da quanto i suoi membri sono simili e dalla durata e intensità delle esperienze condivise. Porsi determinate domande come: qual è il comportamento corretto con capi e colleghi? Qual è il modo appropriato di salutare e interagire? I nuovi arrivati come dovrebbero comportarsi? I nuovi arrivati diventano membri effettivi dell’organizzazione solo quando hanno interiorizzato le regole e agiscono con naturalezza in conformità a esse. Il modo attraverso cui questo avviene è chiamato socializzazione. Attraverso la socializzazione i comportamenti, valori, punti di vista e motivazioni di un dipendente vengono influenzati per confermarsi a quelli dell’organizzazione. Il processo di socializzazione parte dalla scelta dei nuovi assunti, dalla loro formazione ed al rinforzo di comportamenti desiderati che aiutano il raggiungimento degli obiettivi. Da alcune ricerche è emerso che l'approccio “fai da te” riguardo l'apprendimento induttivo della cultura aziendale attraverso l'osservazione e l'imitazione, può comportare il rischio di far passare pratiche e valori che l'organizzazione non approva. Il ruolo dei manager nell’integrazione dei neoassunti nei primi sei mesi di lavoro è l'utilizzo di strategie di socializzazione coerenti con la mission dell’organizzazione, è fondamentale per evitare questo rischio. Forza della cultura e cambiamento. Una cultura forte si caratterizza per intensità e condivisione. Solitamente la cultura si è formata confermando soluzioni di successo a problemi presentati in determinate circostanza e la tendenza è quella di utilizzare le stesse soluzioni anche se le circostanze cambiano: questo atteggiamento molto spesso porta al fallimento. Tuttavia, modificare una cultura è estremamente difficile e più una cultura è forte, più è difficile da cambiare. Il cambiamento culturale non solo provoca ansia e resistenza nelle persone, ma necessita il rendere espliciti i presupposti culturali non coscienti che regolano come agire, come pensare e come sentirsi. Quando si vuole intervenire sulla cultura, si sta mettendo mano su una delle parti più stabili dell’organizzazione, e per cambiare la cultura è necessario mettere mano contemporaneamente a molti elementi e a diversi livelli della vita aziendale. Possono nascere diversi conflitti se si tenta il cambiamento della cultura. I conflitti culturali possono avere ricadute sulla tempistica e l'esito dell’integrazione provocando demotivazione nei dipendenti, fuoriuscita delle persone chiave, conflitti e abbassamento della produttività. Tali conflitti sono considerati tra i motivi più importanti di fallimento nelle operazioni di acquisizione e fusione. Il tentativo di cambiare una cultura implica il dover disapprendere convinzioni e valori assunti per impararne dei nuovi: in questo processo i leader aziendali giocano un ruolo fondamentale sia nell’identificare le aree di cambiamento e intervento, sia nell’essere carismatico per consentire all’organizzazione di fidarsi in una situazione caratterizzata da ansia e incertezza, garantendo sostegno, sistema di premi, formazione, feedback e strutture organizzative adeguate. PERSONALE Come le persone sono centrali per il successo aziendale Principali sistemi e processi per la gestione Che ruolo svolge il manager nella gestione Processi, pratiche più adatte Alcune definizioni: - Organico aziendale Insieme di persone, caratterizzate da differenti variabili demografiche, anagrafiche, scolastiche e professionali, che a vario titolo collaborano con una certa organizzazione. Viene definito dalla quantità e dalla qualità di persone. Il numero e la composizione di tale insieme di persone possono avere valore diverso rispetto alla strategia aziendale e alla performance organizzativa. Tuttavia, un organico quanti e qualitativamente corretto non rappresenta di per sé una risorsa di valore per l’impresa: è necessario che le persone si comportino conformemente alle strategie dell’organizzazione, ai suoi valori e alla sua cultura aziendale. - Valori e Cultura aziendale Insieme di norme e credenze che le persone che operano all’interno di un’organizzazione hanno riguardo allo svolgimento del lavoro. La combinazione di organico e cultura aziendale definisce il capitale umano dell’organizzazione. - Capitale umano L’insieme delle componenti legate agli individui (qualità, quantità) e componenti legate alle interazioni tra gli individui (capitale sociale). - Capitale sociale Aziende con dotazioni di capitale umano migliore o più appropriate sono in grado di perseguire al meglio i propri obiettivi strategici e conseguono migliori performance. Ciò ha determinato il cd talent management, un insieme di politiche e pratiche di gestione finalizzate ad attrarre e assumere soggetti particolarmente brillanti: si tratta di una vera e propria ‘guerra’ – ‘race for talents’ che vede coinvolte le imprese. Risulta, quindi, fondamentale gestire le persone presenti nell’organizzazione e tale gestione è possibile grazie all’implementazione di processi di gestione del personale: insiemi di attività, da svolgere secondo sequenze predeterminate, attuate da determinati soggetti, tramite determinate tecnologie e che sono finalizzate ad acquisire, valutare, sviluppare, motivare e trattenere le persone necessarie al perseguimento degli obiettivi aziendali. Tali processi si distinguono in: 1. Processi di supporto 2. Processi primari configurano il ciclo di vita professionale di un soggetto all’interno dell’organizzazione Questi processi si suddividono in: i. Processi di acquisizione e sviluppo del capitale umano: reclutamento, selezione, inserimento, formazione, sviluppo e carriera. Un’impresa che presenta un determinato organico dispone potenzialmente di un capitale umano, che si tradurrà in valore (comportamenti e prestazioni) solo se le persone saranno motivate a farlo. È per questo necessario che vi siano dei processi di gestione delle prestazioni. ii. Processi di gestione delle prestazioni: misurazione e valutazione delle prestazioni, comunicazione, remunerazione e incentivazione. Tali processi si basano sulle politiche e pratiche adoperate dall’organizzazione. Le politiche di gestione delle persone sono le macro-decisioni o linee guida che riguardano il come le persone vengono gestite all’interno dell’organizzazione. Non esistono politiche giuste o sbagliate di per sé, ciò che è importante è che siano coerenti tra loro e rispetto alle strategie aziendali. Le politiche sono macro-regole che però possono essere soggette a eccezioni e interpretazioni nei casi specifici. Le politiche di gestione non devono essere necessariamente formalizzate ed esplicate, ma possono essere anche implicite: questo accade spesso nelle piccole imprese. A differenza delle politiche di gestione delle persone, le pratiche o prassi di gestione delle persone riguardano il come avviene la gestione e sono spesso implicite. Le pratiche di gestione delle persone possono riguardare le modalità di gestione dei processi, gli strumenti utilizzati e gli attori coinvolti. Il capitale umano aziendale e influenzato dalle politiche delle pratiche di gestione delle persone (l'insieme di entrambi definisce il sistema di gestione delle persone): il valore delle persone che operano all'interno dell'organizzazione dipende, cioè, anche da come queste sono scelte, trasformate e motivato dall' impresa stessa. È necessario che il sistema di gestione delle persone sia coerente: - rispetto al modello di business aziendale e alle condizioni di contesto - al proprio interno: cioè che non presenti politiche pratiche discordanti o in contraddizione tra loro e che, anzi, si rafforzano a vicenda con effetti sinergici. Funzione di direzione del personale: unità organizzativa che si occupa della progettazione, gestione e coordinamento dei processi di gestione delle persone. essa è presente in quasi tutte le imprese con più di 100 dipendenti e solitamente risulta essere alle dipendenze del vertice aziendale. nelle imprese di maggiori dimensioni può essere articolata in sotto-unità e ruoli e si occupa di: i. svolgere i processi di supporto ii. progettare coordinare e controllare i processi di acquisizione sviluppo del capitale umano e di gestione delle prestazioni iii. (a volte in parte) definire e applicare delle politiche pratiche di gestione delle persone Capitale umano Tutti gli esseri umani sono dotati di un mix di tratti distintivi: - Alcune caratteristiche sono specifiche, individuali, stabile nel tempo e derivano da differenze genetiche o di personalità - altre caratteristiche (tra cui conoscenza abilità e capacità) si sviluppano nel tempo per effetto di processi di socializzazione e apprendimento. Queste ultime caratteristiche spesso vengono riassunte sotto il termine di competenze e costituiscono gli elementi di base del capitale umano individuale e aziendale. Le competenze vengono classificate secondo due modalità: 1. La prima modalità distingue tra conoscenza, abilità cognitive e abilità non cognitive (emotive e sociali). Questa distinzione è importante per due motivi: i. le conoscenze e le abilità cognitive sono facilmente misurabili, mentre le abilità non cognitive non lo sono ii. esse hanno un diverso grado di malleabilità, quindi sono tutte trasformabili, ma con costi diversi. È necessario quindi valutare e misurare adeguatamente tali competenze, evitarne il degrado e favorirne lo sviluppo continuo. 2. La seconda modalità distingue tra competenze capitale umano generico e specifico: i. il capitale umano generico è rappresentato da conoscenze, abilità e capacità il cui valore di scambio e uguale al valore d'uso in una certa impresa: si tratta di competenze trasferibili senza costi da un contesto aziendale all'altro. Ciò implica che l'impresa effettuerà degli investimenti (ad esempio formativi) solo se può ridurre il rischio del loro trasferimento ad altre imprese attraverso il turnover, mentre le persone hanno un interesse maggiore in tali investimenti perché migliora la loro ‘impiegabilità’. ii. il capitale umano specifico è rappresentato da conoscenze, abilità e capacità il cui valore di scambio è inferiore al valore d'uso in una certa impresa: si tratta di competenze non trasferibili da un contesto aziendale all'altro e che riducono, di conseguenza, la mobilità interaziendale. Per le imprese gli investimenti in questo tipo di competenze sono necessari e non soggetti a rischio di perdita, mentre i dipendenti non hanno interesse a effettuare gli stessi investimenti, a meno che questi non comportino il mantenimento o il miglioramento della propria posizione lavorativa. Le conoscenze, dunque, sono conoscenze abilità capacità e altre caratteristiche che hanno un valore per l'azienda. Solidamente conoscenze e abilità tendono a differenziarsi all'interno delle organizzazioni in quanto sono determinate dalle tecnologie utilizzate e dalla modalità di svolgimento dei processi, mentre le competenze non cognitive solidamente sono omogenee all'interno dell'organizzazione ed esplicitate come la manifestazione dei valori della cultura aziendale. Gestione delle persone e perfomance aziendale Persone più capaci e più adatte a un certo contesto aziendale rappresentano valore per l'azienda: il capitale umano si traduce in asset aziendali, tangibili e intangibili. Va notato, però, che il capitale umano non è semplicemente la somma delle competenze individuali, ma riguarda anche il rapporti sociali e le modalità di interazione delle persone nelle organizzazioni. Per questo le aziende hanno, in genere, interesse nel mantenere persone chiave, cioè a tutelare il proprio capitale umano perché fonte di valore: tale mantenimento può avvenire attraverso differenti strumenti gestionali tra cui clausole contrattuali, piani di incentivazione, benefit di vario tipo e meccanismi di fidelizzazione e identificazione. Va analizzato anche il legame esistente tra sistemi di gestione delle persone e performance aziendali: solitamente, se i processi di gestione delle persone sono progettati e diretti secondo logiche moderne, efficaci e basate sulle evidenze scientifiche portano a performance aziendali migliori. Tale assunto è difficile da confermare in via esclusiva nel caso di organizzazioni complesse o che competono su scala globale in settori caratterizzati da forte concorrenza ed evoluzione tecnologica. in tali casi, il legame tra sistemi di gestione performance è più complesso per due motivi: 1. E' necessario che e politiche prassi siano tra loro coordinate e integrate 2. è necessario che politica e prassi supportano efficacemente il business model e la strategia dell'organizzazione A tal proposito è utile introdurre due tipologie di adattamento delle politiche e prassi aziendali: - adattamento verticale: grado in cui il sistema di gestione delle persone è coerente con la strategia aziendale, il contesto ambientale di riferimento e l'assetto istituzionale - adattamento orizzontale: grado in cui il sistema di gestione delle persone è coerente al proprio interno - è importante che politiche pratiche non si contraddicano, anzi dovrebbero rafforzarsi a vicenda creando effetti sinergici. Si può notare come il problema non risulta essere più l'adozione di strumenti moderni e sofisticati per svolgere meglio i processi di gestione delle persone, mari diventa più complesso e concerne l' identificare l'insieme di politiche e pratiche di gestione delle persone che siano più adatte verticalmente e orizzontalmente. Si parla, quindi, di gestione strategica delle risorse umane che ha subito un'evoluzione nel tempo: i. inizialmente venne proposto un approccio universalistico: un insieme di politiche e pratiche (digestione definite high performance Human resources practices) che rappresentavano le one best way, le soluzioni migliori in qualsiasi situazione (risultava fondamentale la coerenza tra le pratiche adottate: veniva prediletto l’adattamento orizzontale). Queste pratiche comprendevano: sicurezza del posto di lavoro, retribuzioni elevate, alta selettività, trasparenza informativa e condivisione delle informazioni, decentramento del potere, responsabilizzazione, collaborazione, organizzazione basata su team, elevati investimenti formativi, rotazione di mansioni incarichi, riduzione dei differenziali di status ii. iii. Successivamente, si osservò che sistemi di gestione delle persone diversi potevano influenzare positivamente la performance aziendale a seconda delle variabili di contesto delle strategie, passando ad un approccio situazionale: ciò che contava veramente era la coerenza rispetto al contesto e al modello di business Infine, vi è stata convergenza verso un approccio configurazione le: adattamento verticale e orizzontale sono ugualmente importanti ai fini delle performance aziendali, vi possono essere diversi sistemi di gestione delle persone che, in un determinato contesto ambientale, portano agli stessi livelli di performance aziendale. Il modello A-M-O (abilities – motivation – opportunities) L'effetto delle politiche delle pratiche di gestione delle persone avviene attraverso tre variabili fondamentali: - Abilità (competenze): caratteristiche di un individuo - Motivazioni: determinanti delle decisioni e delle azioni degli individui - Opportunità: possibilità di applicare le proprie abilità e motivazioni. ragionamento di fondo del modello: le politiche e le pratiche che compongono un sistema di gestione delle persone devono supportare il miglioramento di tutte e tre le dimensioni, in caso contrario il sistema di gestione non avrà effetti positivi sulle performance aziendali. Ovviamente una stessa pratica impatta in misura e in modo differente sulle tre variabili. per questo motivo le pratiche e le politiche di gestione delle persone possono essere classificate in tre grandi categorie: i. di sviluppo delle competenze ii. di miglioramento delle motivazioni iii. di creazione di opportunità Se vengono adottate pratiche e politiche non adeguate impatteranno negativamente su competenze, motivazioni e opportunità queste tre variabili determineranno una riduzione dell'adattamento verticale e orizzontale ne conseguono delle performance aziendali negative a livello operativo ne conseguono delle performance aziendali negative a livello economico-finanziario. Il modello Strategy Map permette di connettere secondo un nesso casuale i sistemi di gestione delle persone, le performance operative dei processi di business, le performance operative dei processi di mercato, le performance operative dei processi di soddisfazione della clientela e le performance operative dei processi economico finanziari. Questo modello permette di spiegare e predire gli effetti di eventuali cambiamenti nelle politiche e nelle pratiche di gestione delle risorse umane sulla performance aziendale. Chi gestisce le persone in azienda? Nelle piccole imprese: le politiche e le pratiche sono implicite e non formalizzate, le decisioni riguardo i processi di gestione delle persone sono in genere presa dall'imprenditore o dal vertice aziendale. nelle imprese di grandi dimensioni e di maggiore complessità organizzativa: le decisioni che riguardano i processi di gestione delle persone sono numerose, frequenti e complesse. Per questo, E' necessario che esse: - vengano prese tramite strumenti analitici avanzati, regole e indirizzi generali ed in modo rapido e coerente - siano prese in modo efficace ed efficiente in questa in realtà complesse solitamente la responsabilità complessiva riguardo la gestione delle persone viene scomposta e attribuita ad attori organizzativi diversi: la direzione del personale e il management di linea. La direzione del personale Unità organizzativa dedicata alla progettazione e (in parte) alla gestione dei processi di gestione delle persone. È un organo di staff in genere collocato alle dipendenze della direzione generale e con un direttore del personale: la presenza di tale organo è giustificata perché parte delle attività necessarie per i processi di gestione delle persone è caratterizzato da: - competenze specifiche (ambito psicologico, sociologico, informatico ed economico) che richiedono una professionalità distinta - economie di scala e specializzazione - strategicità e specificità Alcune delle attività svolte dalla direzione del personale sono: - impostare processi definendo le politiche sulla base delle indicazioni della direzione generale e mettendo appunto le pratiche di gestione del personale - definizione delle metodologie per lo sviluppo di tali processi - coordinare le attività che comunque rimangono nelle responsabilità del management di linea Tali attività di coordinamento avviene soprattutto attraverso lo strumento del budget del personale: tale strumento include attività e previsioni di costo relative alle decisioni di un certo esercizio. - svolgere servizi per il management di linea supportando altre unità organizzative nello svolgimento del loro ruolo nella gestione delle persone. In tale funzione la direzione del personale si pone come partner delle unità organizzative e del management di linea che supporta, effettuando un' integrazione di ruoli. tale integrazione può venire o in maniera pesante (indirizzo e controllo) oppure in maniera leggera (supporto e consulenza). Nelle grandi imprese multinazionali la direzione del personale risulta essere un'unità organizzativa articolata con presidi decentrati e shared services accentrati. La digitalizzazione di parte dei processi di gestione delle persone e la possibilità di esternalizzare gli stessi sta trasformando il ruolo delle direzioni del personale, spingendo verso un ridimensionamento degli organici e dell' incidenza dei costi della funzione di direzione del personale sui costi operativi: molti processi possono essere efficacemente gestiti dal management di linea o comunque in modo decentrato. Management di linea Funzioni del manager di linea: - nei processi di reclutamento partecipano alla definizione del ruolo da ricoprire - nei processi di selezione sulla base di una short list di candidati redatta dalla direzione del personale svolgono le interviste finali e scelgono i candidati da assumere. - nei processi di inserimento guidano il processo di socializzazione dei neoassunti e verificano che non ci siano stati errori nel processo di selezione - nei processi di formazione e addestramento si occupano di spiegare ai neoassunti il proprio ruolo, a risolvere problemi, come migliorare processi operativi - nei processi di gestione delle prestazioni valutazione delle prestazioni dei collaboratori: tali valutazioni permettono di comprendere l’andamento delle prestazioni, evidenziare eventuali errori e di predisporre di una base informativa per prendere decisioni riguardo la politica retributiva. L’importanza del ruolo dei manager di linea crescerà con l’evoluzione delle tecnologie di supporto alla gestione del personale poiché verrà sempre meno il ruolo della direzione del personale. Processi di gestione delle persone 1. processo di acquisizione Sequenza di attività volte ad acquisire le persone ritenute necessarie all'impresa dal mercato esterno del lavoro. Tali attività sono: - reclutamento: processo attraverso cui l'impresa esercita la propria domanda di lavoro sul mercato, comunicando le proprie richieste e aspettative riguardo alle competenze di cui necessita - selezione: processo attraverso cui l'impresa sceglie le persone che ritiene più competenti e adeguate al ruolo tra quelle che si sono rese disponibili dal processo di reclutamento. il processo di acquisizione è molto diverso dai processi di acquisizione di altre risorse in primo luogo perché il lavoro non è una commodity il cui grado di utilizzo può essere espresso attraverso un'unità di misura: l'acquisizione del persone non si risolve con il pagamento di un prezzo, ma attraverso attività e metodologie per garantire un' acquisizione efficace ed efficiente. Risulta un processo complesso in quanto l'impresa ricerca e poi seleziona persone con competenze necessarie all'impresa stessa. la complessità risiede nel fatto che e difficile verificare il possesso delle competenze richieste da parte dei soggetti che si sono resi disponibili per due motivi: - motivi oggettivi: difficoltà nella rilevazione delle competenze - perché le persone stesse segnalano in modo imperfetto distorto il possesso di tali confidenze. in tal senso il processo di reclutamento e selezione e potenzialmente rischioso, si potrebbero verificare due situazioni negative: - processo falso positivo: assumerò una persona che non possiede le competenze richieste - processo falso negativo: non assumere una persona che in realtà possiede le competenze richieste. il processo di acquisizione può ispirarsi a due strategie fondamentali: reclutamento esterno Reclutamento interno In cosa consiste utilizzo prevalente del mercato utilizzo prevalente delle esterno del lavoro per coprire promozioni e dei trasferimenti le posizioni organizzative che interni per coprire le posizioni risultano vacanti organizzative che risultano vacanti Ipotesi implicita internamente non esistono l'azienda e molto efficace ed candidati con le competenze efficiente a reclutare e necessarie a svolgere selezionare giovani talenti che efficacemente tale ruolo, risulta poi a destra e sviluppa opportuno sostenere i costi di internamente. utilizzo delle ricerca sul mercato esterno promozioni interne per ottenere vantaggi e motivazionali In ogni caso, le imprese devono cercare di costruirsi una reputazione sul mercato esterno del lavoro, rendendosi riconoscibili agli occhi dei potenziali candidati. Le attività finalizzate a tale scopo (tra cui ritroviamo rapporti intensi e proattivi con le istituzioni scolastiche e universitarie e indagini quali Grand place to work) sono alla base del cosiddetto employer branding: idea secondo cui l'impresa debba costruire una propria identità rispetto ai propri collaboratori e potenziali candidati. Un employer brand dovrebbe creare un legame emozionale prima fra candidati azienda e solo successivamente fra dipendenti e impresa. 2. Processo di reclutamento Le imprese hanno cambiato il modo in cui gestiscono i rapporti con il mercato esterno per due motivi: - presenza di intermediari sempre più numerosi e specializzati - disponibilità di piattaforme tecnologiche di rete e dei social media Anche se gli intermediari basati su adesione volontaria (membership-based) e quelli pubblici sono diffusi, quelli che risultano maggiormente diffusi sono gli intermediari privati con fini di lucro. Tra questi quelli più utilizzati sono gli operatori che bastano i propri servizi su piattaforme tecnologiche (online job boards e social media sites). Un numero crescente di imprese utilizza social network nella ricerca, nello screening e nella selezione dei candidati. Tale utilizzo però comporta anche dei potenziali rischi e distorsioni: - il rischio che i candidati possono distorcere le informazioni relative al proprio curriculum, considerando che vi siano difficoltà nel riscontrare puntualmente quanto scritto - il rischio che siano percezioni di invasione della privacy, mancanza di criteri e dati oggettivi per lo screening dei candidati, inattendibilità del tipo della quantità di informazioni disponibili in rete. Il reclutamento deve essere svolto in modo efficace ed efficiente: - alcune delle misure di efficacia sono costituite dalla qualità delle candidature e dal tasso di sopravvivenza delle stesse dopo lo screening - alcune misure di efficienza sono il costo di reclutamento per candidato, il tempo di copertura (tempo trascorso tra la formalizzazione della necessità di copertura di una posizione e l'assunzione della persona che compra tale ruolo) e il tempo di risposta al management di linea (tempo trascorso tra la formalizzazione della necessità di copertura di una posizione e la proposta di un gruppo di candidati potenziali) 3. processo di selezione Una volta individuati gli candidati grazie al processo di reclutamento può avere inizio il processo di selezione. esistono diverse strategie di selezione: i. orientamento al breve termine: attuare processi di selezione ogni qualvolta si presenti una job vacancy (posizioni di lavoro scoperta) ii. orientamento al lungo periodo: processi di selezione intenti ad introdurre in azienda una persona alla quale far compiere un determinato percorso di carriera iii. orientamento al lungo periodo: processi di selezione atti ad individuare persone ad elevato potenziale, ricerca dei giovani talenti in ogni caso l'impresa può adottare: - un criterio di ottimizzazione assoluta: la selezione del candidato avverrà solo se questo presenta tutte le caratteristiche previste - un criterio di ottimizzazione relativa: la scelta ricade sulla persona che meglio soddisfa, anche non completamente, gli standard richiesti. in linea generale essere molto selettivi e'una prassi molto efficace: ciò implica che la selezione deve avvenire tra un numero elevato di candidati e deve basarsi non tanto sulle specifiche conoscenze possedute (queste potranno essere acquisite tramite la formazione in azienda), ma dovranno basarsi piu che altro sulla corrispondenza E'sulla coerenza tra i valori del candidato e la cultura aziendale. soprattutto per alcune famiglie professionali la corrispondenza persona- cultura organizzativa e quella- persona- gruppo sono tanto importanti quanto quella- persona- mansione. Nel caso di ruoli nuovi per i quali non è possibile fornire una descrizione della mansione: ha più importanza la corrispondenza persona cultura organizzativa nel caso di ruoli stabiliti e mansioni esistenti: la corrispondenza persona mansione riveste un ruolo principale, andando a verificare le skill le conoscenze delle abilità professionali possedute dal candidato. Le job description definiscono l'oggetto del lavoro, definiscono le caratteristiche che la persona chiamata a svolgere il lavoro deve possedere, andando a delineare il profilo del candidato ideale considerando caratteristiche quali: - dati anagrafici - scolarità e formazione - esperienze lavorative pregresse - attitudini e particolari competenze Un approccio alternativo è quello per competenze: ci si focalizza sulle caratteristiche personali degli individui che risulteranno correlate da un rapporto causale allo svolgimento efficace di una mansione. Come avviene un processo di selezione: i. Si effettua lo screening dei curricula dei candidati verificando dati biografici, la formazione, le esperienze di lavoro e valutando la coerenza rispetto alla posizione da coprire. Il gruppo di candidati che passa questa fase è sottoposto al processo di selezione vero e proprio ii. processo di selezione vero e proprio: solitamente si basa Sull'utilizzo di prove e interviste atte a misurare le caratteristiche dei candidati rispetto ai criteri di selezione. gli strumenti di selezione maggiormente utilizzati sono: - i test: prove che consentono di misurare caratteristiche specifiche dei candidati come l'intelligenza, la conoscenza, le abilità cognitive, la personalità. vi sono differenti tipologie di test: intellettivi, di abilità, di conoscenza e di integrità. i test devono possedere due caratteristiche fondamentali: -- validità: capacità di predire la performance lavorativa, a tal proposito sarebbe necessario validare il test prima dell' utilizzo, anche se risulta una pratica spesso impossibile o troppo costosa -- affidabilità: capacità del test di fornire per un certo soggetto punteggi simili ripetendo la somministrazione del test stesso. una volta identificati i test da somministrare è necessario validarli ed identificare il criterio di accettazione. - le interviste effettuate sia ad opera della direzione del personale sia del management di linea. una delle interviste maggiormente utilizzata è quella degli episodi comportamentali: si chiede al candidato di narrare degli episodi della propria recente vita professionale in base all' analisi dei quali si valuta il grado di coerenza del profilo del candidato rispetto ai valori alla cultura e al modello di leadership aziendale. le interviste sono strumenti di selezione molto costosi e che hanno un limite importante, cioè la soggettività dell' intervistatore che potrebbe portare ad potenziali distorsioni o errori, ma che potrebbe essere risolta attraverso l'addestramento del management o di linea alla riduzione delle distorsioni percettive oppure utilizzando più intervistatori indipendenti. la finalità del processo di selezione e quello di ridurre quanto più possibile i falsi positivi EII falsi negativi. E' necessario quindi valutare attraverso degli indicatori l'efficacia e l'efficienza del processo di selezione: - efficacia: indicatori di breve periodo come il tasso di soddisfazione del management di linea rispetto ai candidati proposti oppure il tasso di turnover volontario dei neoassunti - efficienza: come indicatori posso essere considerati i costi di selezione per assunto 4. processo di addestramento e formazione Il processo di addestramento e formazione è immediatamente successivo al processo di acquisizione delle persone ed costituisce la prima fase del processo di professionalizzazione e di socializzazione organizzativa delle persone. Bisogna considerare che una volta assunto un soggetto bisognerà procedere al suo inserimento, cioè ad una fase di apprendimento atta a interiorizzare i valori e la cultura aziendale, definire con precisione la mansione da svolgere e la prestazione lavorativa che l'organizzazione si aspetta. a tal fine gli strumenti maggiormente utilizzati sono: - la formazione iniziale - l'assistenza personale – coaching - la consulenza psicologica – sportello In questa fase solitamente è necessario trasformare il patrimonio di competenze possedute da una persona per adeguarlo allo specifico contesto lavorativo: questa trasformazione non interessa esclusivamente la fase di inserimento, ma si tratta di un processo continuo per l'intera vita professionale del lavoratore. Nelle imprese tradizionali la produzione e il trasferimento della conoscenza avvenivano in luoghi e tempi separati rispetto a quelli di lavoro. Attualmente, lavoro e apprendimento sono contestuali, a volte sovrapposti e si alternano continuamente. addestramento e formazione, però, sono processi costosi e rischiosi per questo imprese e persone sono molto attente al decidere se e quanto investire in tali processi. - un fattore di rischio è relativo all' obsolescenza: si potrebbero formare persone facendo apprendere loro competenze che potrebbero rilevarsi inutili o obsolete - Un'altro fattore di rischio è relativo all' imperfetta appropriabilità dei ritorni dell'investimento formativo: quanto appreso rimane nella disponibilità delle persone che non è detto lo utilizzeranno nel contesto lavorativo (ad esempio per mancanza di motivazione) ok potrebbero andare perse a causa di processi di turnover. Le finalità dei processi di addestramento e formazione sono: - allineare il capitale umano con la strategia e la cultura aziendale - aumentare nel tempo il valore del capitale umano - migliorare le prestazioni lavorative individuali e di gruppo - motivare e remunerare le persone Il processo di addestramento e formazione si articola in quattro fasi principali: 1. analisi dei fabbisogni formativi questa può avvenire: i. a livello aggregato, aziendale e di unità organizzativa, ed essere svolta dalla direzione del personale e dal vertice aziendale e consiste Nell'identificazione delle competenze necessarie alla strategia e al modello di business. ii. a livello individuale ed essere svolte in collaborazione con il management di linea, come conseguenza di processi di valutazione delle prestazioni delle competenze e costituisce parte dei piani di sviluppo individuali che tentano di colmare i gap di competenza 2. Definizione degli obiettivi formativi e della pianificazione dell'intervento formativo vengono definite le competenze oggetto dell'intervento e le modalità con cui l'intervento formativo verrà svolto (modello di apprendimento, tecnologie utilizzate e attori coinvolti, se interni o esterni). 3. erogazione del programma formativo ed Engineering dei processi di apprendimento solitamente i programmi formativi aziendali sono resi il più possibile esperienziale e connessi all'attività lavorativa, utilizzando tecnologie digitali e sperimentando con il mobile learning. 4. valutazione dei risultati dell'attività formativa modello di kirkpatrick. --5. i processi di valutazione I sistemi di valutazione sono molteplici e si distinguono per oggetto della valutazione e strumenti utilizzati. - Sistemi di valutazione della posizione (valutano il ‘cosa’ del lavoro) Valutano le posizioni lavorative rispetto alle altre presenti nella struttura organizzativa aziendale, al fine di determinare il livello di importanza relativa di ciascuna posizione. Si tratta ni una valutazione pluriennale, ad opera della direzione del personale e oggetto della valutazione sono i compiti e la responsabilità previsti da ciascuna mansione. la valutazione avviene impiegando diverse tecniche (job evaluation) che hanno la finalità di dare ordine alla struttura organizzativa, valutando l'impatto delle diverse posizioni lavorative sui processi operativi aziendali e sui risultati aziendali. La tecnica the job evaluation più utilizzata è il metodo del punteggio: i. si assegna ad ogni posizione un punteggio ii. ogni punto corrisponde ad un determinato valore monetario iii. la retribuzione di ciascuna posizione sarà data dal prodotto matematico dei punti attribuiti alla mansione stessa e il valore monetario assegnato ciascun punto. - Sistemi di valutazione delle competenze (valutano il ‘chi’ del lavoro) avviene con cadenza annuale o pluriennale e si basa Sull'ipotesi che alla base di ciascun ruolo esiste un insieme di competenze necessarie per lo svolgimento della mansione stessa. le competenze che una persona possiede non sono costituite solamente dalle conoscenze e dalle capacità professionali, ma anche da un insieme di caratteristiche psicologiche e comportamentali meno visibili. tale valutazione permette di distinguere le competenze di soglia (che portano ad una prestazione lavorativa normale) dalle competenze distintive (portano a risultati e performance superiori alla media). - sistemi di valutazione del potenziale (valutano il ‘chi’ del lavoro) non avviene con una cadenza temporale prefissata e ha per oggetto le caratteristiche, le capacità e le attitudini possedute dalle persone che però non vengono attualmente utilizzate nell'ambito delle attività svolte, ma il cui sviluppo e la cui applicazione si considerano utili per incarichi futuri. tale valutazione avviene generalmente tramite gli assessment center: tecnica che consiste nell'utilizzo integrato di test e prove psicologiche individuali e collettive al fine di identificare all'interno di un gruppo le persone con potenziale più elevato - sistemi di valutazione dei risultati (valuta il ‘come’ del lavoro) effettuata con cadenza annuale dal responsabile dell'unità organizzativa sulla base dei dati forniti dal controllo di gestione, concerne la valutazione a consuntivo del grado di raggiungimento di obiettivi preventivamente determinati. Tali obiettivi aziendali (solitamente quantitativi) vengono attribuiti tramite il metodo MBO (Management By Objectves). Gli obiettivi sono assegnati ai management delle diverse unità organizzative. l'assegnazione di questi obiettivi segue i principi del modello di goal setting: si tratta quindi di obiettivi motivanti il cui raggiungimento porterà ad una variazione della retribuzione, tramite i cosiddetti bonus. - sistemi di valutazione della prestazione in senso stretto (valuta il ‘come’ del lavoro) Avviene con cadenza annuale o semestrale e permette di valutare la performance lavorativa del singolo soggetto in termini di comportamenti e azioni e il loro grado di aderenza rispetto a comportamenti azioni attesi Dall'organizzazione. solitamente tale valutazione avviene tramite schede di valutazione chi eri portano i fattori di valutazione (comportamenti attesi). tale valutazione in genere è svolta dal responsabile delle unità organizzativa, ma è sempre più diffusa La prassi di avere valutazioni fornite da colleghi, clienti, fornitori e dal dipendente stesso tramite autovalutazione. La finalità di tale valutazione e quella di indirizzare i comportamenti organizzativi verso i valori la cultura aziendale (considerando ovviamente che tali comportamenti risultino funzionali al raggiungimento dei risultati aziendali). Successivamente alla valutazione si procede con un colloquio di valutazione: un incontro che permette la discussione tra valutato il responsabile dell'unità organizzativa che risulta finalizzata a fornire feedback e a intraprendere azioni correttive che possono portare a piani di sviluppo e formazione. 6. Processi di sviluppo Insieme di attività, piani e programmi predisposti e gestiti dalla direzione del personale insieme al management di linea, finalizzati a supportare lo sviluppo professionale delle persone e a valorizzarle nella loro vita professionale. Il processo di sviluppo tiene conto dei: - bisogni delle persone: bisogni di crescita e di autorealizzazione che permettono loro di essere motivate e di effettuare prestazioni lavorative adeguate. In particolare, secondo Schein, pur modificando i propri desideri e aspettative gli individui tendono a rimanere legati a certi sistemi di preferenze (relative allo stile di vita, allo status, all'immagine di sé o ai propri valori) detti ancore di carriera. - bisogni delle imprese: desiderano sviluppare e far crescere il valore del capitale umano e hanno necessità di allocare o riallocare le persone in modo flessibile all'interno dell'organizzazione. Per questo, predispongono differenti strumenti e opportunità di sviluppo professionale e organizzativo. Queste pratiche politiche adottate sono spesso formalizzate e in alcuni casi differenziate per diversi segmenti della popolazione aziendale. Tra gli strumenti di sviluppo maggiormente utilizzati ritroviamo: - percorsi di carriera: sequenze di ruoli organizzativi caratterizzati da crescenti responsabilità e retribuzione che persone con determinate caratteristiche (rilevate grazie ai sistemi di valutazione) copriranno in futuro secondo un determinato piano temporale. - progetti incarichi: assegnare a una persona, in sostituzione o in aggiunta ai normali incarichi, una responsabilità relativa a incarichi temporanei o alla partecipazione a un team di progetto. Permette di esporsi ad attività diverse e apprendere competenze specifiche. - rotazioni di incarichi: assegnazione di diversi incarichi ad una persona secondo una certa sequenza temporale. Permette l'apprendimento di competenze relative a ruoli diversi e di conoscere i processi operativi nella loro interezza, oltre ad essere consapevoli delle problematiche dei ruoli organizzativi adiacenti. - piani di sviluppo: sequenze di attività progettuali e formative finalizzate a facilitare eventuali trasferimenti o promozioni o a colmare eventuali gap di prestazione e competenza - tavole di rimpiazzo e piani di successione: strumenti finalizzati ad identificare persone potenzialmente candidabili per assumere altri ruoli. Permette di mitigare il rischio derivante dal turnover. - Mentoring, coaching e conseling: assegnare ad una persona un consulente per la risoluzione di problemi professionali e che la assista nella presa di decisioni relative alla carriera 7. Il processo di remunerazione La formazione di un sistema retributivo è affidata alla direzione del personale che deve tener conto: i. Della legislazione e dei vincoli contrattuali ii. Della compatibilità economico-finanziaria iii. Degli indirizzi strategici del vertice aziendale Il piano di remunerazione serve ad attrarre, motivare e trattenere le persone che hanno le competenze necessarie per il raggiungimento degli obiettivi aziendali. Questa risulta una finaltà generale, vi sono poi degli obiettivi specifici: - Ottenere il grado desiderato di competitività esterna delle retribuzioni sul mercato del lavoro: sono necessarie indagini retributive, che permettono di comparare il proprio sistema di retribuzione con quelli presenti sul mercato del lavoro - Garantire il grado desiderato di equità retributiva interna: utilizzo dei sistemi di valutazione per determinare dei differenziali retributivi che siano equi Garantire equilibrio tra contributi e incentivi: vengono adoperati sistemi di retribuzione variabile e di incentivazione Garantire che il sistema retributivo sia compatibile con l’equilibrio economico finanziario Garantire che il sistema retributivo rispetti norme e contratti. CAPITOLO 17 – CAMBIAMENTO Il cambiamento organizzativo. il cambiamento organizzativo è oggi un tema di grande attualità ma è stato affrontato dal punto di vista “teorico” solo recentemente, mentre altri costrutti di management hanno una storia ben più lunga. Si pensi per esempio alla motivazione, dove gli studi risalgono agli anni 40. La recente attenzione al tema è dovuta anche alla frequenza con cui le imprese si confrontano con il cambiamento. In realtà il cambiamento è stato profondamente studiato, inizialmente a livello individuale ma in seguito anche a livello di gruppo, nell'articolato mondo della psicologia. Due ambiti di ricerca della psicologia, psicoterapia individuale e di gruppo e l'apprendimento sono legati al cambiamento organizzativo. Gli studiosi si sono da sempre sforzati di individuare processi ripetibili per aiutare le persone a risolvere i loro problemi di relazione con la realtà esterna, con la propria realtà interiore e con gli altri esseri umani (questa è la psicoterapia); gli psicologi si sono sforzati di identificare processi ripetibili riguardo a come le persone imparano, sia a livello individuale che di gruppo (questo è l'apprendimento). Infatti, nell'impresa sono due i principali obiettivi in termini di cambiamento: cambiare i comportamenti, e apprendere qualche cosa di nuovo. Oggi il cambiamento è costante anche perché la realtà non è più considerata come statica, ma come un qualcosa in continua evoluzione in cui ogni impresa può, e deve, scrivere una parte. Oggi il vantaggio è proprio l'essere in grado di adattarsi continuamente all' evoluzione dell'ecosistema economico. Certamente tecnologia, competenza, strutture organizzative sono rilevanti, ma solo se accompagnate dalla capacità di apprendere continuamente. Siamo consapevoli che il cambiamento organizzativo è qualcosa che ha a che fare con modificare comportamenti e apprendere qualcosa di nuovo per adattare l'impresa a una nuova strategia. Per raggiungere la massa critica di elementi necessari a catalizzare il nostro apprendimento, dovremo esplorare un'altro tema: la cultura d’impresa. Attraverso la modifica della cultura, (cioè dei paradigmi, dei valori e degli artefatti) utilizzati dall'impresa per condurre il proprio business l'impresa si sposta dal momento A al momento B. Non è possibile percorrere la prospettiva storica selezionando alcune delle teorie che hanno cercato di interpretare e teorizzare il cambiamento organizzativo, e invece importante è comprendere l'aggancio che esse hanno con il pensiero scientifico. Infatti, è proprio questo elemento che ha influenzato il sorgere di certe teorie. Vediamo differenti teorie sul cambiamento secondo quattro Idealtipi: - ciclo di vita. Il cambiamento organizzativo è semplicemente un passaggio che tutte le imprese attraversano durante il loro ciclo di vita. Durante questo l'impresa attraversa i numerosi momenti di cambiamento, e quest'ultimo è visto come un processo che da una situazione iniziale sposta l'impresa a una situazione finale. - Teleologico. Il cambiamento organizzativo è originato della tensione continua che un'entità organizzativa ha verso uno o più scopi finali. La visione teleologica suggerisce che l'origine dei cambiamenti sia nella continua ricerca dello scopo finale dell'impresa, dei suoi fondatori e dei suoi stakeholder. Questa teoria si concentra sulla ricerca degli scopi che si generano all'interno dell’impresa. - Dialettico. Il cambiamento scaturisce dunque dall'esigenza di integrare differenti visioni e si sviluppa come rottura degli equilibri organizzativi e la loro successiva ricostruzione, attraverso confronti di potere e articolate negoziazioni. - Evolutivo. Il cambiamento è un naturale e continuo processo di variazione e selezione. In azienda le persone, come individui, gruppi e funzioni, non mantengono lo status quo. Piccoli o grandi cambi procedurali, modifiche nelle procedure, modifica delle tecnologie: ogni elemento che viene mutato contribuisce a una o più variazioni. Evoluzione significa sopravvivere. Il cambiamento come integrazione di processo e contenuto. Il nostro obiettivo è comprendere come governare un cambiamento organizzativo almeno nei suoi aspetti fondamentali. A tale scopo la prima cosa che occorre avere chiara è che il processo di cambiamento e il contenuto del cambiamento sono due elementi distinti ma fortemente integrati. Occorre essere consapevoli che sono una robusta integrazione tra il come (processo) e il cosa (contenuto) porta a un'azione di cambiamento incisiva. Immaginiamo per esempio che il contenuto del cambiamento sia l'adattamento di una struttura organizzativa al fine di meglio perseguire la strategia aziendale: l'attuazione di questo cambiamento richiede l'esecuzione di alcune fasi come l'analisi delle nuove esigenze, un confronto con l'organizzazione attuale, la progettazione della nuova organizzazione a livello macro e a livello micro, fase di trasformazione e poi la messa appunto. La visione a oggi ancora dominante nelle imprese è semplicistica, cioè che si progetta tecnicamente il progetto di cambiamento e infine si esegue quest'ultimo attraverso la sequenza di attività necessaria. Quello che invece occorre fare e ben più complesso perché il modo e il processo con cui si contribuisce il cambiamento del contenuto devono essere intrinsecamente connessi a come avviene il processo di cambiamento delle persone. Il processo di cambiamento. Un processo è una sequenza di azioni finalizzate a un risultato. Le azioni possono essere: - pianificate o progettate: si pensa al processo di gestione degli ordini di un'azienda che vende macchine del caffè. Il processo è stato accuratamente progettato, implementato attraverso l'addestramento del personale e l'introduzione delle necessarie tecnologie. - Naturali: per comprendere il significato di questo aggettivo ha applicato i processi, si pensi alle modalità con cui cerchiamo di imparare. Ogni volta che si prospetta qualcosa di nuovo da imparare, gli esseri umani attuano un processo che dipende certamente dalle loro esperienze precedenti e dalla capacità di imparare del soggetto. Malgrado differenze individuali e culturali, questo processo di apprendimento è relativamente stabile per ogni persona o gruppo. La differenza tra processi di cambiamento progettati e processi di cambiamento e naturali è fondamentale. I primi, devono essere ideati artificialmente dalle imprese per sfruttare i secondi. Se l'impresa è in grado di effettuare questa integrazione in maniera efficace, la trasformazione tecnica raggiungerà i suoi obiettivi. Il cambiamento come trasformazione da uno stato A uno stato B. Ragionare sul cambiamento come una trasformazione che sposta l'impresa da uno stato stabile A, a uno stato stabile B è una semplificazione, che però agevola non solo la comprensione dei processi che il cambiamento genera, ma anche una rappresentazione mentale efficace per le persone. Una seconda semplificazione, anch'essa pratica e rilevante, è la rappresentazione del cambiamento come un progetto. Introdurre l'idea di progetto ci permette di utilizzare alcuni concetti molto evocativi. Vediamo infatti: Autore. Il progetto ha un ideatore. Spesso nel cambiamento delle imprese non è un singolo individuo, ma un'insieme di individui che magari corrispondono ai soci dell'impresa. Attori. Gli abbiamo già definiti e sono tutte le persone che dovranno attuare il cambiamento in questo ambito. Rientrano anche quelli che sono gli autori. Agenti. Sono le persone che costruiscono il piano di progetto a partire dal racconto degli autori, gestiscono il progetto di attuazione del cambiamento e costruiscono il change network. Piano di progetto. Ovvero cosa farà in B l'impresa? La famosa rappresentazione di cui abbiamo parlato poco sopra cioè attività e prodotti, gruppi di lavoro e piano dei tempi. Il modello del processo di cambiamento. Un ultimo modello di cambiamento è quello del processo di apprendimento che rappresenta il cambiamento come una coppia di: - un processo di apprendimento individuale. Ogni soggetto dovrà apprendere come utilizzare nuovi sistemi informativi e come comportarsi in modo differente rispetto a prima. Per rappresentare l'apprendimento individuale è stato spesso utilizzato il cosiddetto ciclo di kolbe, ma avere un approccio normativo è più fruttuoso utilizzare il processo di shank, detto cascata dell'apprendimento o learning waterfall. Shank ha proposto di rappresentare l' apprendimento dell'adulto in quattro principali fasi, ovvero l'identificazione di un obiettivo cioè quando l' adulto incontra il cambiamento e si pone in modo naturale un obiettivo da raggiungere; la costruzione della domanda che è la fase in cui aumenta la consapevolezza della complessità del processo di apprendimento; costruzione della risposta che è la fase cruciale dove la persona apprende perché costruisce la propria specifica risposta, ricombinando e integrando ciò che già conosceva, con le nuove informazioni che ha ricevuto e raccolto; e la sperimentazione e utilizzo dove le persone cercano stabilità, per cui tentano di stabilizzare ciò che hanno imparato e ripeterlo nel tempo senza generale due situazioni negative che potrebbero essere: 1) lo shortcut, quando le persone selezionano alcuni degli elementi appresi in cui si sentano particolarmente sicuri di sé e cercano di utilizzare soprattutto quelli; o 2) il back to the Origin, dove le persone dopo un certo periodo adattano le procedure e i nuovi comportamenti riavvicinandoli a quelli passati. - un processo di apprendimento organizzativo. Questa situazione è inevitabile perché quando il cambiamento coinvolge la modifica delle relazioni tra gli attori, occorre del tempo perché si ritrovino una collaborazione che sia innanzitutto stabile e successivamente anche efficiente. In questo caso il processo si sviluppa in tre passi, ovvero lo scongelamento dove le persone sono attaccate alle loro routine e bisogna distaccarsi da questa. E’ anche uno dei maggiori ostacoli, se non il maggiore in assoluto, alla flessibilità e al cambiamento. La prassi e l'abitudine deve essere superata affinché un processo di apprendimento e un cambiamento organizzativo vadano a buon fine. Per far sì che questo succeda le persone e i gruppi entrano nell'aria dell’incertezza, dove inizialmente prevale la paura di non essere capaci, la paura di non comprendere, la paura di non essere all'altezza e altri eventuali dubbi; poi vi è l'apprendimento o ristrutturazione cognitiva dove le persone cercano di costruire le risposte in maniera collettiva e cercano sincronizzazione tra tutti gli individui che fanno parte di questo gruppo. In questa fase gli agenti devono non solo comunicare, ma anche ascoltare attentamente le persone e i gruppi. Il processo di apprendimento organizzativo richiede infatti un lavoro cooperativo che è possibile grazie a un continuo feedback raccolto sul campo e in maniera live; infine il ricongelamento dove i gruppi cercano di consolidare la rutine, e corrisponde alla fase cruciale per poter arrivare allo stato stabile B. Questa fase può durare a lungo se il progetto è complesso e coinvolge molti differenti attori. Se questa fase non viene presidiata con cura, il rischio che abbiamo è chiamato back to the Origin. L'impresa quindi una volta che parte dallo stato stabile A, il suo obiettivo è quello di arrivare in meno tempo possibile e nel modo più efficiente possibile allo stato stabile B, superando la difficoltà di poter ritornare al punto di partenza. Il cambiamento come evoluzione della cultura. È importante sottolineare come le imprese durante il processo di variazione- selezione, gestiscono un bilanciamento tra l'utilizzare le routine sfruttando ciò che hanno appreso nel tempo, ed esplorare nuove possibilità. Se un'impresa che si trova nello stato stabile A registra alcuni problemi da risolvere, ha bisogno di un cambiamento per poter correggere gli eventuali scostamenti presenti, perciò si concentrano sul cambiamento dei paradigmi, degli assunti di base e degli artefatti. Cambiare questi, aiuta l'impresa a dare una risposta a quello che è il problema iniziale, e quindi raggiungere lo stato stabile B. Per spiegare cos'è un assunto di base, faremo riferimento ad un esempio matematico: 10 – 16 - 10.000 , ci viene da leggere questi numeri così come li vediamo, ma alla base di questi vi è il numero 16 con basi differenti. 10 equivale a 16 in base esadecimale, 16 equivale a 16 in base decimale e 10.000 equivale a 16 in base binaria. Sembra un trucco ma è solo un perfetto esempio di assunto di base. Quindi non bisogna considerare gli elementi di un'impresa in maniera scontata. Nel processo di apprendimento le persone, facendo propri nuovi elementi tecnici e comportamenti, progressivamente apprendendo una nuova cultura, o meglio, apprendono come integrare i vecchi paradigmi con quelli nuovi. Questo fa parte dei paradigmi. Gli artefatti invece sono concreti. Le persone apprendono dagli artefatti e dal fatto di essere coinvolte nello sviluppare e adattare gli artefatti integrandoli nell'organizzazione reale. Il sistema informativo è un'eccellente artefatto, perché grazie alla sua fisicità e ai vincoli che impone costringe le persone a misurarsi con il cambiamento reale. Dunque, il cambiamento 1) deve partire dagli artefatti,2) bisogna rileggerli con nuovi paradigmi e 3) costruire nuovi artefatti attraverso i passi dei due processi di apprendimento individuale e organizzativo.