VERISMO 1)Caratteri generali: Movimento letterario sorto in Italia nell'ultimo trentennio del XIX secolo. Il termine "verismo" viene impiegato per indicare la narrativa orientata verso il modello del naturalismo francese (Zola, Flaubert, ecc.), benché il riferimento, come affermava Luigi Capuana, fosse più al metodo e alle tecniche utilizzate che non al contenuto. Infatti i Naturalisti francesi si occupano soprattutto di operai e industrie, mentre il Verismo, considerata la realtà agricola dell’Italia meridionale, di contadini, di pescatori, minatori. 2) La visione del mondo: si vuole rappresentare il mondo in modo realistico, cioè la realtà va descritta così com’è, senza cambiarla, addirittura va descritta con rigore scientifico. La visione è prettamente pessimistica, la realtà è dominata da rapporti di forza e l’Unità d’Italia (1861) non ha modificato le cose (i poveri sono sempre poveri schiacciati dai ricchi). 3) Tecniche narrative: innanzitutto l’IMPERSONALITA’, cioè il narratore deve essere esterno e narrare i fatti in modo distaccato, limitarsi alla loro osservazione e descrizione, senza commenti. Ad esempio, viene utilizzato il discorso diretto o il discorso indiretto libero, in cui vengono riportati pensieri e parole senza virgolette. 4) Temi e autori principali: il tema principale è la rappresentazione della realtà, specialmente quella dei contadini (ma anche di minatori, pescatori, ecc.), nelle loro esistenze semplici e drammatiche, piene di problemi. La descrizione deve essere realistica, per far comprendere come funziona la società. Oltre a Verga, altri autori del Verismo sono Luigi Capuana, teorico del movimento e Federico De Roberto, autore dell’opera ‘I viceré’. GIOVANNI VERGA 1)La vita: Ricordarsi soprattutto che è siciliano (nasce a Catania nel 1840 da una famiglia di nobili origini, ha come insegnante il poeta e patriota Antonino Abate) e che per la sua formazione sarà decisivo il periodo trascorso a Milano (incontra numerosi letterati del tempo). Muore nel 1922. 2) Le tecniche narrative: centrale è l’impersonalità, il narratore esterno, il discorso indiretto libero e del narratore regredito (cioè Verga era più colto dei protagonisti delle sue opere, ma il narratore si pone asl loro livello. Un esempio è costituito dal fatto che di Rosso Malpelo si dice che avesse i capelli rossi, perché era cattivo. E’ ovvio che Verga non può pensare questo, ma il narratore deve ‘regredire’ al livello dei personaggi delle opere). 3)L’ideologia verghiana: per Verga la vita è dominata da rapporti di forza in cui i potenti sono e saranno sempre tali e così i poveri. Il povero deve accettare questa condizione, accontentandosi delle piccole gioie quotidiane e delle proprie sicurezze, mentre provare a cambiare la propria situazione determina guai enormi (ideale dell’ostrica, che resta attaccata allo scoglio in cui si sente al sicuro, ma se si staccasse, sarebbe travolta dal mare aperto. Pensa ai Malavoglia che hanno cercato di cambiare la loro vita con il carico di lupini e hanno avuto guai incredibili). 4) Il complesso dell’opera verghiana Verga scrive romanzi, novelle e alcune opere teatrali (queste ultime, però, non hanno avuto grande risonanza). Novelle: l’opera principale è ‘Vita dei campi’, che contiene novelle come Rosso Malpelo (ha i capelli rossi, lavora come uno schiavo nella miniera in cui è morto il padre, viene spesso maltrattato e lui stesso picchia e maltratta, per farlo diventare più forte, l’amico Ranocchio),oppure La lupa (storia di una donna assetata di sesso, che non si fa scrupoli a sedurre il marito della figlia). E poi, ovviamente, c’è La roba (il protagonista, Mazzarò, ha cominciato come bracciante agricolo, poi diventa proprietario terriero grazie al lavoro durissimo e a rinunce incredibili. Accumula, così, tantissima ‘roba’, cioè oggetti, terreni, animali, ecc. Invecchiato, sente che sta per morire e prende a bastonate tutte le sue cose ‘Roba mia, vientene con me’). Romanzi: oltre a romanzi giovanili di carattere borghese e ‘rosa’ (Eva, Tigre reale, ecc. che parlano di donne seducenti e di tradimenti), c’è il ciclo dei vinti. Dovevano essere 5 romanzi, ma ne pubblica solo due, I Malavoglia e Mastro Don Gesualdo. Il titolo fa riferimento al fatto che, i protagonisti, appartenenti a classi sociali che vanno dalla più umile alla più alta, sono comunque sconfitti dalla vita. MASTRO DON GESUALDO La vicenda ha inizio con l'incendio nel palazzo dei monalisa, annunciato dal suono delle campane. I paesani accorrono in aiuto e fra loro fa la sua comparsa Gesualdo, che fin dalle prime battute mostra il suo attaccamento alla "roba": « Brucia il palazzo, capite? Se ne va in fiamme tutto il quartiere! Ci ho accanto la mia casa, perdio! ». Durante la scena dell'incendio, viene trovato Ninì Rubiera nella stanza di Bianca Trao, sorella di don Diego e di don Ferdinando. Per riscattare l'onore della sorella, don Diego chiederà alla baronessa Rubiera di acconsentire alle nozze fra Bianca e Ninì, ma la baronessa, anche lei piegata dalla logica dell'accumulo materiale, non acconsente perché Bianca, pur essendo nobile di nascita, è povera. A sposare Bianca sarà invece Gesualdo, che su consiglio del canonico Lupi e amareggiato dagli egoismi della sua famiglia che lo sfrutta e nello stesso tempo gli rimprovera la conquista della ricchezza, decide di sposarla per aggiungere alla sua ascesa economica anche un'ascesa di classe sociale. Per far ciò rinuncerà a Diodata, una trovatella da cui Gesualdo ha avuto due figli che non ha riconosciuto né sostenuto economicamente. Bianca, contro il volere dei fratelli, acconsente alle nozze per riparare alla relazione colpevole con il cugino baronetto. Il matrimonio con Bianca si rivela per il protagonista un "affare sbagliato": la donna lo respinge, il suo fisico debole riesce a dargli solo una figlia e non gli procura neanche i rapporti amichevoli con la nobiltà del paese. Bianca ha una figlia, Isabella, che nonostante sia nata dalla precedente relazione che la donna ha avuto con il cugino, viene accettata da Gesualdo. La bambina, educata in collegio fra compagne di estrazione sociale alta, si vergogna a tal punto delle umili condizioni del padre da farsi chiamare con il cognome della madre. Divenuta grandicella ritorna al paese natale a causa della diffusione del colera, e lì si innamora di Corrado la Gurna. Gesualdo, data la condizione poco agiata del ragazzo, si oppone al loro rapporto, e così la figlia decide di scappare con Corrado. Il protagonista, dopo aver fatto esiliare il ragazzo, riesce a organizzare un matrimonio di riparazione fra la figlia e il duca de Leyra, un nobile palermitano decaduto che vivrà alle spalle del suocero sperperando tutte le sue sostanze. Da qui ha inizio il declino di Gesualdo, che nella quarta parte del romanzo, poco dopo la morte della moglie, si ammala ed è costretto a trasferirsi nel palazzo della figlia, dove assisterà impotente alla dilapidazione delle sue sostanze; sarà quindi preso dai rimorsi, e si renderà conto della mancanza di comunicazione fra lui e la figlia. Consumato dal cancro, Gesualdo muore solo, tra l'indifferenza dei servitori, in una stanza appartata del palazzo dei Leyra, lontano dalla sua casa e dalla sua terra.