14 marzo 2021 La politica dell'antichità è ancora attuale? Protagora, Socrate, Platone 2500 anni fa, mentre popolazioni e tribù di tutto il mondo bisticciavano per chi avesse più territori o più potere, ad Atene è in corso un’importante discussione filosofica che tratta argomenti fuori dal tempo: si va a indagare circa la natura stessa del potere, della politica, della giustizia, della verità. Le posizioni sono le più disparate, ma ciascuna alle sue argomentazioni e ciascuna ci insegna qualcosa. Vissuto durante l’età di Pericle, è Protagora di Abdera l’iniziatore di questa ricerca. Il concetto che sta alla base della filosofia di Protagora è che non esista una verità assoluta, bensì è l’uomo, inteso come individuo ma anche come comunità a cui appartiene, a determinare verità “deboli”, ovvero valide ma non per tutti e non per sempre. Presso alcuni popoli, esemplifica, è uso mangiare i propri genitori defunti, ma in Grecia ciò sarebbe terribilmente infamante. Poiché, tuttavia, in una società è necessario fare delle scelte che influenzano tutti, il filosofo di Abdera teorizza l’utile, inteso come bene comune, come unico criterio di scelta. E quale migliore arbitro per il bene comune se non la comunità stessa? Questa concezione prettamente democratica della politica è testimoniata dal mito di Prometeo che Protagora racconta, secondo cui a tutti gli uomini era stata data da Zeus la percezione della giustizia. Sotto questo punto di vista, il pensiero di Socrate, altro grande pensatore nato poco dopo Protagora, non si distacca da quello di quest’ultimo. Infatti, seppur teorizzando l’esistenza di una verità comune, riteneva non solo che tutti potessero arrivare a conoscerla, ma che addirittura fosse necessario ricercare, oltre che individualmente, insieme ad altri, chiunque essi fossero, per giungere alla verità. Socrate si oppone tuttavia a Protagora non solo nel concepire una verità comune, ma anche nell’utilizzo dell’arte della parola: se per quest’ultimo la retorica era uno strumento usato dai sapienti per convincere gli ignoranti della loro percezione dell’utile, Socrate la vede solo come un ostacolo alla reale comprensione e al parto della verità. Quest’ultima è comunque preesistente nell’uomo, il quale deve sforzarsi appunto di partorirla di volta in volta. È questo il fondamentale elemento di separazione tra Socrate e Platone. Quest’ultimo fu un importantissimo intellettuale, da molti considerato il più grande pensatore dell’antichità, allievo di Socrate. Egli prese le distanze in primo luogo dalla posizione di Protagora, elaborando una teoria che non mettesse la verità, e di conseguenza la giustizia, nelle mani dell’uomo. Questo aveva infatti portato Atene a uccidere il più giusto degli uomini, Socrate. È così che nasce la teoria delle idee, secondo la quale esistono idee relative a ogni cosa o concetto, esterne e indipendenti dall’uomo, che l’uomo deve tentare di conoscere per poi rifarsi ad esse quando necessario. Ma questo difficile percorso non è concesso a tutti, solo a pochi sapienti che hanno trascorso la vita studiando: Platone è un teorizzatore dell’aristocrazia, in particolare della sofocrazia. Lo Stato ideale da lui presentato nella Repubblica è in fortissima contraddizione con il modello precedentemente adottato ad Atene, una democrazia prevalentemente liberista. No, Platone critica a questo modello che il potere così viene preso dai migliori oratori, demagogia, e che chi ha il potere del voto potrebbe non saperne nulla della giustizia. Inoltre, privando i filosofi-governanti della proprietà privata e istruendoli adeguatamente, previene che essi agiscano per un interesse personale. In accordo con il suo maestro, il fine ultimo della filosofia e della politica, che in Platone coincidono, è rendere felici i cittadini: a questo riguardo il filosofo ha una visione organicistica dell’individuo, che è felice se e soltanto se svolge nel suo stato il ruolo a cui è predestinato. Personalmente sono molto colpito dal modello elaborato da Platone: per quanto esso si limiti ad essere un modello utopico difficilmente attuabile, e Platone ne è consapevole, teoricamente parlando, ferme restando le ipotesi preposte dallo stesso, è pienamente consistente ed è difficile avanzargli una sola contestazione. In ogni caso, le critiche da lui avanzate al sistema governativo tuttora in vigore rimangono validi elementi di riflessione. In primo luogo, dare il voto a tutti è un grande pericolo. Trovare una soluzione a questo problema senza cambiare forma di governo è tutt’altro che semplice. Sicuramente un provvedimento utile in questo senso è investire nell’istruzione e in altri campi ai fini di agevolare e migliorare la formazione di cittadini a 360 gradi. A livello governativo, modelli recentemente elaborati consentono, ad esempio, di mantenere una democrazia diretta facendo fronte, almeno in parte, al problema: limitando il diritto di voto ai soli campi in cui l’individuo è competente, le sue scelte saranno necessariamente più consapevoli. Anche sotto il punto di vista dello statalismo, senza spingerlo, come Platone, alle estreme conseguenze, concordo nell’affermare che talvolta sarebbe opportuno che lo Stato intervenisse, ad esempio nell’attività di multinazionali o in generale nel ribilanciamento della ricchezza.