BIOCHIMICA Proteine e amminoacidi Le proteine sono le sostanze organiche più presenti all'interno delle cellule e svolgono molti compiti: presentano funzione catalitica, di trasporto, recettoriale, strutturale, contrattile, ormonale e anticorporale. Inoltre possono anche svolgere la funzione di interruttori molecolari, ovvero di “attivare” o “disattivare” le molecole a cui si legano. AMMINOACIDI Gli amminoacidi sono i costituenti delle proteine, essi presentano sia un gruppo amminico(-NH2) e un gruppo carbossilico (-COOH). Nell'uomo gli amminoacidi proteinogenici sono 20, mentre ne esistono anche molti altri che non codificano le proteine (GABA). Generalmente tutti gli amminoacidi appartengono alla serie sterica L e sono α amminoacidi. Vengono chiamati α amminoacidi perché il gruppo amminico e il gruppo carbossilico sono legati ad un atomo di carbonio detto carbonio α. A questo carbonio è inoltre legato un atomo di idrogeno e una catena laterale R che varia da amminoacido ad amminoacido. Struttura di un L-α-amminoacido Esistono molti modi di classificare gli amminoacidi, il metodo più comune consiste nel dividere gli amminoacidi in base alle differenze chimico/fisiche della catena laterale. • Amminoacidi con catena alifatica non polare: sono amminoacidi che presentano una catena laterale alifatica e apolare, sono quindi amminoacidi che presentano un carattere idrofobo e sono glicina(gly), alanina(Ala), valina(Val), leucina(Leu), metionina(Met) e isoleucina(Ile). Si puo osservare inoltre che la glicina non ha carboni stereogenici, quindi non ha serie sterica. • Amminoacidi con catena laterale aromatica: sono amminoacidi che presentano catene laterali aromatiche, sono la fenilalanina(Phe), la tirosonina(Tyr) e il triptofano(Trp). Anch'essi sono relativamente idrofobici. • Amminoacidi con catene laterali non cariche e polari: sono amminoacidi che presentano una catena laterale polare, quindi sono idrofilici, fanno parte di questa categoria la serina(Ser), la treonina(Thr), la cisteina(Cys), l'asparagina(Asn), la glutamina(Gln) e la prolina(Pro). Si può notare che asparagina e glutammina sono le ammidi dell'acido aspartico (aspartato) e dell'acido glutamico (glutammato) . Si può infine osservare che aspargina e glutammina a pH fisiologico non sono polari. (parentesi ammoniaca vedi dopo) Tra questo gruppo di amminoacidi un ruolo fondamentale è rivestito dalla cisteina, questo amminoacido è l'unico che presenta un gruppo tiolico (-SH). Due gruppi tiolici della cisteina, unendosi formano un ponte disolfuro creando una stuttura denominata cistina. I residui di cisteina uniti da un ponte disolfuro sono molto idrofobici (non polari). La presenza di ponti disolfuro stabilizza la struttura irrigidendola. Come si osserva dalla reazione, la formazione di una cistina si verfica in un ambiente ossidante (che tende a strappare protoni). Il citosol, però è un ambiente riducente, in cui i ponti disolfuro non possono formarsi. Solamente nel RE è presente un ambiente ossidante e quindi la formazione di ponti disolfuro. • Amminoacidi con catene laterali cariche positivamente: sono amminoacidi che presentano catene laterali basiche, infatti sono in grado di accettare protoni acquistando una carica positiva. Sono la lisina(Lys), l'arginina(Arg) e l'istidina(His). Questa classe di amminoacidi è molto idrofilica. Gli amminoacidi di questo gruppo sono sempre presenti nei siti attivi degli enzimi o come sostegno o come apporto fondamentale alla catalisi, in quanto sono in grado di scambiare facilmente protoni. Inoltre l'arginina è presente nel ciclo dell'urea e presenta il particolare gruppo C=N. Infine l'istidina presenta un anello (ciclo) imdazolico che rende N sufficientemente basico, per cui la sua pkb è 6. • Amminoacidi con catene laterali cariche negativamente: sono amminoacidi che presentano catene laterali acide, infatti sono in grado cedere protoni acquisendo una carica negativa, fanno parte di questa categoria l'aspartato(Asp) e il glutammato(Glu). Anche questi amminoacidi sono molto idrofilici. Punto isoelettrico Il punto isoelettrico è il valore del pH in corrispondenza del quale un amminoacido si comporta come una sostanza priva di carica elettrica. A questo valore del pH il gruppo carbossilico si presenta deprotonato e avente una carica negativa (-COO--), mentre il gruppo amminico risulta protonato e con una carica positiva(-NH3+). Questo amminoacido neutro prende il nome di zwitterione. Zwitterione Gli amminoacidi sono deboli acidi poliprotici, che possono perdere progressivamente due protoni. Per capire il comportamento acido-base di un amminoacido dobbiamo studiarne la situazione al variare del pH. Ad un basso pH sia il gruppo carbossilico sia il gruppo amminico sono protonati e la molecola presenta una carica positiva (Aa+1), questo stadio viene chiamato forma cationica. Al crescere del pH il primo gruppo a dissociarsi cedendo un protone è gruppo carbossilico, formando uno zwitterione (Aa0). Un successivo aumento del pH vede la seconda dissociazione, questa volta da parte del gruppo amminico, che dà vita alla forma anionica (Aa-1). Avendo queste informazioni è possibile calcolare il pKa del gruppo amminico e del gruppo carbossilico. • pKa gruppo carbossilico Aa+1 + H2O ⇄ Aa0 + H3O+ pKa= [Aa0 + H3O+]/[ Aa+1] • pKa gruppo amminico Aa0 + H2O ⇄ Aa-1 + H3O+ pKa=[Aa-1 + H3O+]/[Aa+1] Deamidazione dell'asparagina L'asparagina è analoga all'acido aspartico se non per un gruppo ammidico. L'asparagina in particolari condizioni, può andare incontro ad una reazione di deamidazione, nel quale perde il gruppo amminico che costituisce l'ammide. Questa reazione può dar luogo all'acido aspartico o all'acido isoaspartico a seconda di come si apre il ciclo che si verrà a formare in seguito alla perdita del gruppo amminico. La deamidazione comporta la trasformazione di un amminoacido neutro (Asn) ad uno carico (Asp) che può cambiare la proteina. Un'altra trasformazione di un amminoacido ad un altro è quella che riguarda la fenilalanina. Grazie ad un enzima capace di idrolizzare l'anello benzenico della fenilalanina, quest'ultima si trasforma in tirosina. L'enzima in questione viene chiamato fenilalanina-idrossilasi. Alcune persone non possiedono l'enzima Phe-idrossilasi, la patologia derivante dalla mancanza di questo importante enzima viene chiamata fenilchetonuria, la cui diagnosi viene effettuata alla nascita. È necessario quindi che al bambino venga impedito di assumere grandi quantità di fenilalanina, poiché essa, accumulandosi, può portare allo sviluppo di deficit mentali. Per evitare tutto questo si cerca di sostituire l'assunzione di fenilalanina con la tirosina. INTERAZIONI CHIMICHE CHE STABILIZZANO I POLIPEPTIDI Legami covalenti (-Cα-C) I legami covalenti sono presenti tra i singoli atomi di un amminoacido e intervengono sia nel gruppo carbossilico, sia nel gruppo amminico sia nella catena laterale laterale legati al Cα. La distanza tipica di legame è 1,5Å(Ångstrom) (1Å=0,1nm=10-10m). Si ricordi che l'energia di legame è la quantità di energia che si libera nella formazione del legame e che viene fornita per rompere il legame. ΔG legame covalente=356KJ/mole (610KJ/mole per legame C=C). Si può dire quindi che il legame covalente è forte siccome serve abbastanza energia per rompere il legame. Ponti disolfuro (-Cys-S-S-Cys) Come abbiamo visto precedentemente i ponti disolfuro derivano dall'interazione di due catene laterali di cisteina che formano una cistina. Il ponte disolfuro ha una lunghezza di legame di 3,2Å ed un ΔG di 167 KJ/mole. Questo ci fa capire che questi tipi di legame sono meno forti di un legame covalente. Legame a idrogeno Il legame a idrogeno è un legame intermolecolare che si viene a formare quando l'idrogeno è legato ad un elemento elettronegativo (F,O,N ecc), questo fa si che si formi un dipolo tra l'elemento più elettronegativo(δ-) e l'idrogeno(δ+). l'idrogeno quindi avendo una carica positiva è attratto elettrostaticamente da un altro atomo elettronegativo di una molecola vicina. Questo legame è intermolecolare tra i diversi amminoacidi, ma nelle proteine è intramolecolare. Ha una distanza di legame di 3Å e ha un ΔG minimo di 2-6 KJ/mole in acqua e ha un ΔG di 12,5/21 KJ/mole se il donatore o l'accettore sono carichi. Il legame ad idrogeno tra due amminoacidi è del tipo: dove N è donatore ed O è l'acettore. I legami ad idrogeno per quanto deboli, sono talmente importanti da stabilizzare le varie strutture delle proteine. Ponte salino È un legame elettrostatico caratterizzato dalla presenza di cariche nette ed è dunque difficile che intercorra all'interno della proteina. Il ponte salino crea un dipolo ed è quindi molto frequente nelle strutture quaternarie dove più subunità possono interagire in acqua in quanto ci vuole un ligante più forte per tenere insieme la struttura. Il ponte salino ha una distanza di 2,8Å ed un ΔG di 12,5 KJ/mole. Interazioni idrofobiche (Van Der Waals) Fanno parte delle forze di Van Der Waals: 1. forza dipolo permanente-dipolo permanente; 2. forza dipolo permanente-dipolo indotto; 3. forza dipolo istantaneo-dipolo indotto. Sono forze che agiscono tra atomi di molecole (o porzioni di molecole) apolari che rendono la molecola estremamente flessibile. Hanno distanza di legame di 3,5Å ed un ΔG di 4KJ/mole. Interazioni elettrostatiche a lungo raggio Le interazioni elettrostatiche a lungo raggio nascono da tentativi di formare ponti salini che però non riescono a formarsi. Si formano quindi questo tipo di interazioni la cui lunghezza di legame è variabile e dipende dalla costante dielettrica del mezzo sono legami del tipo: STRUTTURA PRIMARIA PROTEINE Legame peptidico Il legame peptidico è il legame fondamentale e caratteristico delle proteine in quanto lega degli amminoacidi e vede la formazione di un peptide. Il legame peptidico forma un ammide, si può inoltre notare che il legame C-N appena formatosi è un po' più corto di un normale legame C-N, questo suggerisce che ci sia una stabilizzazione per risonanza dell'ammide appena formata e che il legame C-N sia parzialmente doppio e polarizzato. Strutture limite di risonanza Ibrido di risonanza Nel legame peptidico gli atomi C N e O si trovano sullo stesso piano. Siccome il legame C-N è parzialmente doppio, le uniche rotazioni possibili sono intorno ai legami σ Cα -N e Cα -C. Inoltre queste rotazioni sono più o meno ampie a seconda dell'ingombro sterico dovuto a diverse catene laterali R. Gli angoli di rotazione ψ(psi) per il legame Cα -C e φ(phi) per il legame Cα -N, possono quindi assumere valori diversi a seconda dell'ingombro sterico dovuto alle catene laterali. La proteina, formata dalle catene di amminoacidi, può presentare vari livelli di organizzazione: la sequenza degli amminoacidi è detta struttura primaria, questa contiene tutte le informazioni necessarie alla proteina per la determinazione della struttura secondaria, terziaria e delle eventuali subunità che andranno a formare la struttura quaternaria. La struttura primaria quindi condiziona ciberneticamente l'organizzazione tridimensionale della proteina. Tratti specifici di una proteina conferiscono ad essa particolari conformazioni strutturali che rientrano nella struttura secondaria, le cui “disposizioni” più caratteristiche sono l'α-elica e il foglietto β. STRUTTURA SECONDARIA DELLE PROTEINE Ramachandran plot Come detto precedentemente le uniche rotazioni permesse sono intorno ai due angoli ψ e φ(queste rotazioni vanno da -180° a 180°). Esistono però casi in cui sono presenti vincoli sterici che impediscono che i due angoli assumano certi valori, limitando le possibili torsioni della catena. È possibile però determinare i valori di ψ e φ stericamente permessi calcolando le distanze fra gli atomi di un tripeptide in corrispondenza di tutti i valori (φ, ψ) per l’unità peptidica centrale. I valori di ψ(asse y) e φ(asse x) in coppia vengono riportati in un grafico (Ramachandran plot) e da questo grafico è possibile visivamente osservare le “zone di valori” in cui i valori di ψ e φ sono stericamente permessi e quindi in percentuale la possibilità di una proteina di formare un determinata struttura secondaria. In generale il grafico mette in evidenza che solo il 25/30% del volume è occupato da zone stericamente permesse, cioè che possono formare strutture secondarie. Questo grafico è analogo per quasi tutti gli amminoacidi. Se si considera la glicina la situazione cambia: qui le zone stericamente permesse si aggirano intorno al 45% e sono simmetriche, questo può essere spiegato in quanto al fatto che la glicina possiede un solo atomo di idrogeno come catena laterale, riducendo al minimo l'ingombro sterico. Un altro caso particolare è dato dalla prolina: in questo caso le zone stericamente permesse sono poche, questo avviene perchè la conformazione ciclica della prolina limita fortemente i valori permessi di ψ e φ. α-elica L'α-elica è una struttura elicoidale, in cui lo scheletro polipeptidico si avvolge in maniera destrorsa attorno ad un asse centrale immaginario con angoli di -47°per ψ e -57 per φ, mentre i gruppo R dei residui amminoacidi sporgono al di fuori dello scheletro elicoidale. L'eccezionale stabilità di questa conformazione dipende dal fatto che si instaurano legami idrogeno tra un gruppo NH e il gruppo CO. Un α-elica possiede una distanza di traslocazione tra due residui di 1,5Å, la distanza di traslocazione è la distanza tra due carboni carbonilici. Ogni giro d'elica coinvolge 3,6 amminoacidi, un amminoacido ogni 100°. Ogni elica ha un passo, la distanza tra due vertici, di 5,4Å. L'elica possiede tanti piccoli dipoli che costituiscono un macrodipolo. Esistono anche altri tipi di eliche oltre all'α-elica. Si possono trovare,infatti, strutture come l'elica 3-10 (3.010), l'elica π (4.416) e ovviamente l'α-elica (3.613). Il pedice indica il numero di atomi che devono essere contati a partire dall'atomo di ossigeno del primo carbonio carbonilico fino all'ultimo carbonio del gruppo ammidico; X.X sono invece il numero di residui per giro. Se due amminoacidi che distano tra di loro 100° hanno residui laterali con polarità simile si genereranno delle proteine anfipatiche (contengono una regione idrofilica ed una idrofobica). Le diverse proprietà della catena laterale danno caratteristiche diverse alla proteina, come ad esempio: • citrato sintasi, possiede tanti residui apolari e solo due polari, questa proteina può attraversare la membrana; • alcol deidrogenasi, è metà polare e metà apolare, si trova sulla superficie della membrana; • troponina C, presenta una catena totalmente polare, galleggia da fuori dalla membrana. Un esempio particolare della struttura di una proteina è rappresentato da il collagene: il collagene è infatti formato da una tripla elica composta da tre filamenti diversi separati all'origine. Attorcigliandosi su loro stessi formano una struttura che ricorda una gomena a tre capi: se anche uno dei tre capi capi “molla”, tutta la struttura si “srotola”. Per impedire ciò la sequenza collagenica presenta un gruppo ossidrile tale da formare tra le diverse catene legami ad idrogeno. La struttura tipica del collagene è (Gly-x-y) n dove x è la prolina e y è l'idrossiprolina, l'amminoacido che presenta il gruppo -OH. Foglietto-β Il foglietto-β pieghettato è un altro tipo di struttura secondaria che si forma a partire da due o più catene polipeptidiche pressoché distese che si affiancano parallelamente l'una all'altra. Il foglietto è tenuto insieme (e stabilizzato) da legami a idrogeno tra i gruppi -NH di una catena e i gruppi C=O dell'altra catena, questi legami hanno una distanza di 3Å. Il foglietto-β,quindi, può essere visto come delle striscioline di carta pieghettate e disposte parallelamente: ogni “striscia di carta” si può immaginare come un singolo filamento polipeptidico dove lo scheletro segue i ripiegamenti del foglio e i carboni α giacciono sugli spigoli delle pieghe. I filamenti β(singola catena polipeptidica) possono interagire tra di loro a formare i foglietti β in due modi diversi: 1. gli amminoacidi nei filamenti hanno direzioni alternate N-term--->C-term seguito da C-term--->N-term e seguito di nuovo da N-term--->C-term. In questo caso si parla di foglietto β antiparallelo. 2. gli amminoacidi nei filamenti β allineati vanno tutti nella stessa direzione (sempre N-term--->C-term). In questo caso si parla di foglietto β parallelo. filamento β foglietto β La disposizione antiparallela favorisce una minore distanza di legame del legame idrogeno. I legami risultano quindi essere più ravvicinati, più forti e meno suscettibili ad essere coinvolti in una competizione con l'acqua. Le proteine possono presentare una struttura costituita fatta solo da α-eliche o solo da foglietti-β oppure possono essere costituite sia da α-eliche che da foglietti-β. In alcuni casi quando i filamenti antiparalleli sono molto numerosi la struttura può chiudersi formando i barili-β, strutture tonde e cave che costituiscono i trasportatori di membrana: ne è un esempio la proteina FABP che porta nella cellula molecole di acidi grassi a catena lunga. A volte nel barile-β è presente un α-elica polare che serve a legare le sostanze da trasportare. L'α-elica può trovarsi sopra o sotto al barile, in generale la posizione in cui l'elica sta sopra è favorita. Una tipica struttura ad α e β è il Barile TIM. In altri casi i foglietti paralleli possono sovrapporsi dando vita a dei β-sandwich, alcune immunoglobine possiedono questa struttura. Esistono inoltre strutture chiamate beta-turn, strutture più stabili che danno luogo ad una catena CNNC antiparallela (possono collegare tratti sucessivi di α-eliche e foglietti-β). La struttura del beta-turn consiste di un piegamento a 180° di una sequenza di quattro amminoacidi, dove il gruppo carbonilico del primo amminoacido forma un legame a idrogeno con l'idrogeno legato all'azoto del quarto. Residui di glicina e prolina spesso si trovano nei beta-turn; i primi in quanto hanno una struttura piccola e flessibile, mentre i legami peptidici che coinvolgono l'azoto imminico della prolina assumono facilmente la configurazione cis. Oltre ai beta-turn esistono altri tipi di strutture simili; tra di esse troviamo i loop (o anse). I loop sono semplici collegamenti tra catene, inoltre essi sono parti strutturali dotate di una specifiche funzioni, i loop corti sono resistenti ad azioni proteolitiche; nel caso in cui siano lunghi sono suscettibili alla proteolisi e quindi vengono stabilizzati da ioni metallici, spesso di Ca 2+. Spesso i loop ricoprono zone destrutturate apparentemente disposte in maniera casuale ma che invece presentano sempre la stessa funzione. Grafico di idropatia Il grafico di idropatia definisce se un filamento proteico attraversa o meno la membrana. Il grafico si costruisce ponendo sulle ascisse (asse x) il numero dei residui amminoacidici e sulle ordinate (asse y) l'indice idropatico dei vari residui. L'indice idropatico è un numero che rappresenta le proprietà idrofobiche o idrofile del gruppo laterale di un amminoacido, maggiore è il numero più idrofobico è l'amminoacido e viceversa (idrofobi>0 idrofili<0). Costruito il grafico è visibile una netta linea di separazione(valore 0) che delimita in alto le porzioni idrofobe e in basso quelle idrofile. I picchi riscontrabili sono indice di dove il filamento attraversa la membrana. Grazie a questo grafico possiamo dividere la proteina in domini polari e domini apolari. Prendiamo in esame il caso della batteriororodopsina, la prima proteina scoperta capace di trasportare protoni transmembrana. Questa proteina è formata da 7 domini intervallati da piccoli turn. Come funziona nel trasporto di protoni? La funzionalità sfrutta il fatto che il retinale (che è presente in questa proteina) cambi conformazione da cis a trans in presenza di energia luminosa. La sua struttura a sette eliche è compatta, tanto da dare luogo a due canali, dove due amminoacidi cruciali, insieme al retinale sono responsabili del passaggio di protoni, i due amminoacidi sono la lisina 216 e l'acido aspartico 85; i protoni possono legarsi alla lisina (che viene così protonata) ed essere spostati sull'aspartato 85 solo quando il retinale è trans. Effetto idrofobico L'effetto idrofobico è il risultato di differenti interazioni e sta alla base della struttura tridimensionale delle proteine. L'effetto idrofobico spinge i residui idrofobici ad impaccarsi all'interno della struttura proteica lontano dall'ambiente acquoso creando una “goccia apolare”. I gruppi polari o carichi si troveranno quindi fuori dalla goccia apolare interagendo con le molecole polari del solvente (acqua e ioni) Nella formazione di questa goccia, tuttavia, mentre mentre le catene laterali idrofobe si adattano naturalmente alla porzione interna della proteina, i gruppi polari della catena principale devono essere “neutralizzati” attraverso l'interazione con gruppi polari o carichi. A rendere possibile questa neutralizzazione sono le strutture secondarie (α-eliche e foglietti-β) attraverso uno schema regolare di legami ad idrogeno. La struttura secondaria è quindi fondamentale nel determinare il core idrofobico delle proteine. Il folding proteico Il fold è il ripiegamento spaziale della struttura terziaria. Il folding è un processo complesso (non ancora del tutto compreso), in quanto sequenze casuali di amminoacidi non permettono di assumere una struttura tridimensionale ben definita. Nella maggior parte dei casi è infatti la struttura primaria della proteina a definire, sia in senso di processo temporale di ripiegamento spaziale, sia in senso cibernetico ovviamente, lo specifico fold tridimensionale. Se una proteina perde il suo fold (e la sua struttura secondaria), va incontro ad un processo noto come denaturazione. Il fold non è solo una caratteristica strutturale, ma anche funzionale per la proteina. Christian Anfinsen fece importanti studi sulle proteine, ed in particolare sulla ribonucleasi del pancreas bovino scoprendo che il processo di denaturazione avviene (anche) mettendo la proteina in urea, e che era possibile un processo inverso, la rinaturazione, diminuendo gradualmente la concentrazione di urea e mettendo la soluzione in sacchetto da dialisi. Anfinsen fece un'altra importante scoperta: egli dimostrò l'importanza del folding per il corretto svolgimento dell'attività proteica. La proprietà di avere una struttura tridimensionale, il fold, appare quindi essere una proprietà cruciale delle proteine in natura e dipende dal processo di selezione naturale. La selezione naturale, dopo il processo casuale di alterazione della sequenza proteica, seleziona appunto, solo le varianti che conservano la proprietà di avere un fold tridimensionale ben definito. Ma come riesce la proteina a sapere come ripiegarsi? Il lavoro di Anfinsen mostrò inoltre che le strutture native delle proteine rappresentano stadi termodinamicamente stabili. Ma come fa la proteina a raggiungere lo stadio stabile? Levinthal ipotizzò che per una catena polipeptidica siano possibili così tante combinazioni che essa non avrebbe tempo(vitale) sufficiente per arrivare allo stato conformazionale più stabile(paradosso di Levinthal). La dimostrazione del paradosso di Levinthal mostra infatti che il tempo impiegato dalla proteina per trovare la sua conformazione più stabile dovrebbe essere di 4x109 anni. Bisogna quindi supporre che il processo venga svolto all'interno di un imbuto termodinamico, la cui forma porta a forme sempre più obbligate e quindi numericamente inferiori fino all'unica forma possibile. La maggiorparte delle proteine sono stabili con 40/46 KJ/mol Non tutte le proteine sono in grado di foldare autonomamente, quando escono dal ribosoma. La maggiorparte delle proteine nascenti sono infatti in grado di andare incontro a folding solo se assistite da altre proteine dette proteine chaperon, o chaperonine, proteine che sono in grado di circondare parzialmente le porzioni idrofobiche di una proteina affinchè esse non interagiscano con altre parti idrofobiche di altre proteine. Un'importante classe di proteine sono le Hsp70. Le Hsp70 si legano alle porzioni idrofobiche di proteine ancora attaccate al ribosoma, guidandone il ripiegamento. Alcune proteine vanno incontro a folding grazie all'intervento di un altro complesso chiamato GroES/GroEL. La struttura GroEL, la maggiore, è formata da numerose subunità che creano una cavità interna che ospita la proteina(sempre guidata dall'Hsp70). La struttura GroES è formata da una singola sub-unità che chiude la struttura. Il ripiegamento interno a GroEL, richiede un costo di ATP uguale a 130 volte per ogni equivalente di proteina da foldare. Struttura teraziaria La disposizione nello spazio di tutti gli atomi di una proteina viene definita struttura terziaria. La struttura terziaria di una proteina è data dalle diverse interazioni tra gli elementi della struttura secondaria. Possiamo trovare diversi esempi come il ribbon(nastro), il barile TIM ( dove α-eliche e foglietti-β sono alternati e il foglietto-β congiunge due α-eliche). Gli elementi della struttura secondaria hanno il core idrofobico dotato di una certa compattezza, ma esso sarà tanto meno compatto più la proteina avrà funzione catalitica. Questo poiché è necessario che la proteina abbia una certa capacità di adattamento tra il suo sito attivo ed il suo substrato. Una proteina in soluzione ha un'energia di stabilizzazione relativamente alta e quindi non è difficile che si denaturi. La struttura terziaria delle proteine in quanto “marginalmente” stabile può essere modificata da diversi agenti chimici e fisici come temperatura, agenti chimici denaturanti e agenti chimico-fisico naturali. La stabilità marginale rende quindi le proteine flessibli. La stabilità di una proteina è mantenuta da: • ponti disolfuro (come nell'inibitore della tripsina pancreatica) • legami covalenti di coordinazione con ioni metallici(Ca 2+) (come nella subtilina batterica) • legami covalenti di cofattori organici non proteici (come nel citocromo C) Inoltre la struttura terziaria è spesso stabilizzata anche da modificazioni posttraduzionali che possono essere irreversibili (proteolisi controllata e idrossilazione) o reversibili (legami con lipidi, glicosilazione, fosforilazione, acetilazione). Le proteine possono essere classificate in due tipologie: 1. proteine fibrose, che hanno catene polipeptidiche disposte in lunghi fasci o foglietti, e sono costituite da un solo tipo di struttura secondaria. Queste proteine hanno funzione strutturale; 2. proteine globulari, che hanno catene polipeptidiche ripiegate e assumono una forma sferica. Queste proteine sono costituite da più tipi di strutture secondarie e sono spesso enzimi o proteine regolatrici. Le proteine globulari sono spesso costituite da domini. Un dominio è un ripiegamento locale lungo la catena polipeptidica con specificità funzionali. I domini sono in genere costituiti da uno o più filamenti amminoacidici, continui o interrotti, di 100/150 amminoacidi (anche se possono raggiungere i 900 residui). Essi hanno un diametro di circa 20/30A e possono ripiegarsi in maniera indipendente dalla proteina che li comprende. Possono, alle volte, mantenere la loro funzione (ad esempio quella catalitica) anche quando vengono espressi singolarmente. Il numero massimo di domini, ad oggi trovato su una proteina è di 13. La struttura quaternaria è formata da più subunità che possono ricordare e simulare dei domini. Struttura quaternaria La struttura quaternaria è l'ultimo stadio dell'organizzazione strutturale della proteina. La struttura quaternaria non è un alternativa ad una proteina che possieda una struttura terziaria multidominio. Nel corso dell'evoluzione si può osservare come più proteine in struttura terziaria si siano unite a formarne una. È importante quindi non confondere enzimi polifunzionali con proteine multienzimatiche: i primi sono composti da una sola proteina in struttura terziaria con più domini, ognuno dei quali possiede un'attività enzimatica precisa; la proteina multienzimatica, invece, possiede una struttura quaternaria costituita da più proteine in struttura terziaria, ognuna con attività enzimatica specifica. Le subunità di una proteina in struttura quaternaria possono essere svariate, da un minimo di 2 fino anche a 15. possono essere temporanee o permanenti. Le subunità possono essere tra loro uguali, diverse, uguali due a due ecc. L'emoglobina, per esempio è un eterotetramero composto da due omodimeri (a2b2) che però non interagiscono. Le strutture catalitiche cooperative sono spesso omodimeri, omotrimeri o più frequentemente omotetrameri. Il legame tra le varie subunità può avvenire su più lati, quasi sempre sono superfici idrofobe, poiché, in quanto apolari, in un ambiente acquoso sono più portate a legarsi tra di loro. Per permettere questo i fold delle varie subunità devono essere “simili” tra loro, in modo che i siti di legame combacino. L'insulina in soluzione da luogo ad un esamero, anche se funziona come monomero. Per legarsi ai recettori dell'insulina si deve slegare l'esamero. ENZIMOLOGIA Cinetica chimica Prima di iniziare la trattazione dell'enzimologia vera e propria è necessario riprendere alcuni concetti di cinetica chimica. La cinetica è la scienza che studia le reazioni chimiche in base alla loro velocità. Consideriamo la reazione non reversibile, aA---->bB La velocità di reazione è la quantità di reagente [A] consumato nell'unità di tempo Δt, o viceversa, la quantità di prodotto [B] formato nell'unità di tempo Δt. V=- Δ[A]/Δt V=Δ[B]/Δt La velocità può anche essere espressa nel seguente modo V=K[A]m. È evidente che la velocità è proporzionale alla concentrazione dei reagenti ([A]), mentre K è la costante di velocità. Invece m è l'ordine di reazione ed è possibile calcolarlo mettendo in un grafico velocità e concentrazione: stechiometrico Per reazioni che avvengono in un unico stadio (no intermedi), m coincide con il coefficiente stechiometrico di A---> m=a. K1 Per reazioni più complesse, in generale aA+bB⇄cC+dD K -1 Possiamo scrivere scrivere V1= K1 [A]a [B]b e V2=K-1 [C]c [D]d All'equilibrio avremo che K1/ K-1=Keq solo dipendente dalla temperatura Il nostro organismo si muove per raggiungere l'equilibrio ma lavora in condizioni di non equilibrio: l'equilibrio e raggiunto solo nel momento in cui moriamo. In una qualsiasi reazione chimica A-->B, la conversione dei reagenti ai prodotti si verifica poiché ad ogni istante dato, una parte delle molecole di A possiede un'energia necessaria per raggiungere uno stadio detto stato di transizione: in questo stadio è molto probabile che avvenga un riarrangiamento che accompagna la reazione da A a B. Lo stato di transizione si trova all'apice del grafico. L'energia libera della molecola di A definisce lo stato iniziale, l'energia libera della molecola di B, quello finale. La velocità di qualsiasi reazione chimica sarà proporzionale alla concentrazione delle molecole dei reagenti che possiedono un'energia libera pari a quella dello stato di transizione. Ovviamente tanto più alta sarà questa energia rispetto all'energia libera media, più bassa sarà la concentrazione delle molecole che possiedono tale energia e quindi la reazione sarà più lenta. L'altezza di questa barriera è detta energia libera di attivazione ΔG. Esistono due modi per abbassare l'energia di attivazione: 1. aumentando la temperatura e quindi alzando l'energia media delle molecole dei reagenti; 2. fornendo dei catalizzatori, molecole che legandosi momentaneamente alle molecole dei reagenti abbassano l'energia dello stato di transizione L'energia di attivazione in presenza di un catalizzatore è cosi bassa da aumentare notevolmente la velocità della reazione. La maggior parte dei catalizzatori sono enzimi. Cinetica enzimatica Nelle reazioni catalizzate da enzimi, i reagenti sui quali agisce l'enzima sono detti substrati(S). il modello più semplice applicabile alla maggior parte (anche se non a tutte) delle reazioni catalizzate da enzimi è il seguente (avviene in due tappe): 1. E+S⇄ES 2. ES⇄E+P dove S è il substrato, P è il prodotto e ed E è l'enzima. ES rappresenta l'intermedio nel quale il substrato è legato all'enzima. In una reazione catalizzata da un enzima il substrato viene trasformato all'interno di una tasca specifica dell'enzima, definito sito attivo, posto normalmente all'interno della struttura enzimatica. Gli enzimi hanno il sito attivo posto all'interno della struttura poiché per funzionare ci deve essere un ambiente desolvatato, ovvero privo di acqua. L'interazione tra substrato e sito attivo ha nel tempo superato il concetto di chiave-serratura per dare spazio al concetto di adattamento indotto, processo che precede la catalisi, in cui generalmente il substrato si attacca all'enzima. Forniti questi concetti base riguardo agli enzimi torniamo a parlare di cinetica, questa volta enzimatica. Riprendendo l'equazione generale A-->B e costruendone il grafico, come abbiamo visto, la velocità di reazione è una retta di pendenza K e maggiore è la concentrazione di A maggiore è la velocità (reazioni di ordine primo). Un'analisi simile delle reazioni catalizzate da enzimi, mostra tuttavia un risultato differente. Ad una bassa concentrazione del substrato la velocità di reazione appare proporzionale a [S], come dimostrato dalla tradizionale cinetica, tuttavia, all'aumentare di [S] non aumenta anche la velocità, ma al contrario, si stabilizza. Ad un'alta concentrazione di [S], la velocità diventa praticamente indipendente da [S] e si avvicina ad un limite massimo, Vmax. In queste situazioni la reazione diventa di “ordine zero” e questo comportamento è un effetto di saturazione: quando la velocità non mostra incrementi all'aumentare della concentrazione del substrato il sistema è saturato dal substrato. Michealis-Menten (vedi appunti) Attività enzimatica Forniamo ora alcune definizioni e concetti basilari per lo studio dell'enzimologia. • L'attività enzimatica viene espressa dalla quantità di prodotto, in termini di µmol, ottenuto da una reazione enzimatica per minuto. • É definita unità internazionale dell'enzima la quantità di enzima che catalizza la conversione di 1µmol di substrato in un minuto. • Viene definito numero di turn-over il numero di moli di substrato che vengono convertite in prodotto, per mole di enzima nell'unità di tempo. Il numero di turn- over è espresso da Kcat e Kcat=K2 Da michaelis-menten si ricordi che: Vmax=K2[Et] Se K2=Kcat allora: Vmax=Kcat[Et] e Kcat=Vmax/[Et] Inibizione enzimatica Se la velocità di una reazione enzimatica diminuisce o si arresta, la cinetica della reazione è stata perturbata. Ci troviamo, in questo caso davanti ad una inibizione enzimatica. Per gli enzimi che seguono la cinetica di M-M (non allosterici) esistono due tipi di inibizioni, quella competitiva e quella non competitiva. Gli enzimi possono essere inibiti da molecole (inibitori) che inibiscono la loro attività in termini di Km e Vmax. La regolazione enzimatica avviene spesso ad opera di molecole che agiscono su enzimi che catalizzano reazioni irreversibili. La reversibilità come concetto biochimico assume il seguente significato: una reazione è biochimicamente reversibile quando è possibile passare dai reagenti ai prodotti e viceversa mediante la stessa reazione catalizzata dallo stesso enzima. Nel caso contrario la reazione è irreversibile. (se non stoppo il prodotto di un enzima irreversibile posso finire il substrato, mentre se l'enzima è reversibile no). Si noti che da un punto di vista teorico (spesso anche pratico) che non esistono reazioni irreversibili. Torniamo ora a parlare dei due metodi di inibizione. Inibizione competitiva L'inibizione competitiva è caratterizzata dalla presenza di una molecola, l'inibitore, che si lega all'enzima libero nello stesso sito attivo in cui si lega il substrato. Per potersi legare nello stesso sito attivo nel quale si può legare il substrato, l'inibitore deve avere caratteristiche strutturali molto simili a quelle del substrato. Poiché entrambe le molecole potrebbero potenzialmente legarsi al sito attivo dell'enzima il processo è competitivo, in quanto l'enzima si legherà ad una o all'altra molecola e mai ad entrambe contemporaneamente. Ovviamente il complesso enzima-inibitore EI non reagirà per dare il prodotto. Per “eliminare” l'inibizione competitiva è necessario “favorire” nella competizione il substrato aumentandone la concentrazione. Confrontiamo adesso le velocità di reazione nel caso ci fosse inibizione e nel caso non ci fosse. Nel caso in cui non c'è inibizione la formula della velocità secondo M-M è V=(Vmax[S])/(Km+[S]) Mentre nel caso di una reazione con inibizione abbiamo: Aumentando il denominatore la velocità diminuisce. Si noti che le molecole dell'inibizione competitiva vanno ad alterare il valore di Km lasciando inalterato quello di Vmax. (vedi schema quaderno) Aumentando la Km aumenta anche la pendenza del grafico (iperbole) difatti si raggiunge prima la Vmax perchè c'è meno enzima. Inibizione non competitiva Nell'inibizione non competitiva l'inibitore interagisce con un sito diverso dal sito attivo dell'enzima, modificandone la conformazione. L'inibitore va ad interagire sia con l'enzima libero, sia con il complesso enzima-substrato. Se l'inibitore si lega al primo, l'enzima non può legarsi al substrato, mentre se l'inibitore si lega al secondo il complesso enzima-substrato non rilascia S per formare il prodotto. Questo tipo di inibizione altera la Vmax della reazione, ma lascia inalterata la Km Attività enzimatica (2) Gli enzimi possiedono tre principali caratteristiche: 1. specificità; 2. saturabilità; 3. inibilità. Inoltre esistono diversi meccanismi catalitici: • distorsione del substrato, quando il substrato si adatta al sito attivo, si stirano o comprimono i legami che poi andranno ad essere rotti per la formazione di altri; • riduzione entropia e orientazione dei substrati; • desolvatazione, cioè l'allontanamento delle molecole d'acqua; • riduzione della diffusione nei complessi multienzimatici. La catalisi può realizzarsi grazie al contributo di varie strategie: • aumento dell'energia libera del substrato; • diminuzione dell'energia libera dello stato di transizione, situazione che si verifica dal momento in cui si destabilizza lo stato fondamentale, ad esempio inserendo un ligando polare in un sito apolare; • cambiamento del percorso di una reazione, ad esempio portando la reazione da uno a più stadi che prevedono la formazione di intermedi. Se viene cambiato il percorso di una reazione può essere utile, per il procedere della reazione stessa, stabilizzare gli stati di transizione attraverso un legame del sito attivo più saldo nei confronti degli intermedi che nei confronti dei substrati. Classificazione degli enzimi La classificazione è effettuata ad opera dell'international union of biochemistry (IUB). Gli enzimi sono denominati e classificati in base alle reazioni che catalizzano. La nomenclatura degli enzimi deriva dal nome del substrato a cui si aggiunge -asi. Alcuni enzimi, però, hanno nomi di fantasia. Esistono sei classi di enzimi: Ossidoresuttasi Questa classe di enzimi catalizzano reazioni di ossidoriduzione. Essi agiscono su substrati diversi, in particolare sui seguenti gruppi funzionalità -C-OH -C=O -C=C Molti enzimi di questa classe sono -C-NHx deidrogenasi, altri sono chiamati -NADH ossidasi, perossidasi, ossigenasi o -FADH riduttasi. Un esempio di questa classe è la lattato deidrogenasi. É evidente che la lattato deidrogenasi sia una ossidoreduttasi perchè ossida il lattato a piruvato e riduce il NAD a NADH Transferasi Questa classe di enzimi catalizza reazioni di trasferimento di gruppi funzionali. Agiscono sui: gruppi ad un atomo di carbonio -C=O gruppi alchilici gruppi fosforici gruppi glicosilici gruppi contenenti S Molti richiedono la presenza di coenzimi (tipo l'ATP). Una parte della molecola del substrato si unisce con un legame covalente a questi enzimi o ai loro coenzimi. Appartengono a questa classe le chinasi e le transferasi. Un esempio è la glicogeno fosforilasi chinasi La glicogeno fosforilasi chinasi trasferisce un gruppo fosfato sul glicogeno fosforilasi, un enzima, che però in questa reazione si comporta da substrato, trasformandolo in glicogeno fosforilasi-fosfato. Idrolasi Catalizzano reazioni di idrolisi di legami. Agiscono sui: gruppi esteri legami glicosidici anidridi acide legami peptidici legami C-N Fanno parte di questa categoria le amilasi,proteasi,fosfatasi ecc. Un'esempio è la glicogeno sintasi fosfatasi La glicogeno sintasi fosfatasi idrolizza il legame che lega la glicogeno sintasi al gruppo fosfato. Anche in questo caso siamo in presenza di un enzima che svolge la funzione di substrato. Liasi Catalizzano la rottura non idrolitica e non ossidativa. Agiscono su -C=C -C=O -C=Nx Le liasi possono addizionare gruppi a doppi legami o formare doppi legami mediante la rimozione di gruppi (spesso viene rimossa una molecola d'acqua) fanno parte di questa categoria le anidrasi Un'esempio è L'anidrasi carbonica Isomerasi Catalizzano le reazioni di isomerizzazione. Ne fanno parte una sola classe le racemasi. Ligasi Catalizzano la formazione di un legame tra due substrati. Queste reazioni richiedono l'energia chimica dell'ATP. Agiscono su: -C-O -C-S -C-N -C-C Le ligasi sono spesso indicate come sintetasi o sintasi. Un esempio è l'acetil-SCoA sintetasi. L'enzima catalizza la reazione che unisce il gruppo acetato al CoASH Proteine ed enzimi allosterici Queste proteine ed enzimi hanno spesso una struttura quaternaria. Sono molto frequentemente siti di regolazione e inoltre se sono organizzati in più subunità non seguono l'equazione di M-M. Gli enzimi allosterici sono enzimi che presentano più siti attivi, che funzionano da interuttori. A questi siti attivi possono legarsi il substrato ed una molecola detta effettrice (anch'essa un substrato). Quando l'effettore si lega (legame reversibile non covalente) all'enzima, ne modifica la conformazione (struttura), determinando una maggiore o minore affinitá dell'enzima per il suo substrato. In caso questo determini una maggiore affinitá(diminuzione Km), si parlerá di regolazione positiva poiché il legame dell'effettore comporterá un incremento dell'attivitá enzimatica; qualora si determini una minore affinitá(aumento km), si parlerá di regolazione negativa, poiché l'enzima non sará in grado di legare efficacemente il suo substrato e quindi la reazione non potrá avvenire. Questo viene detto effetto cooperativo. In generale, enzimi allosterici formati da più subunità che godono dell'effetto cooperativo hanno un significato regolatorio. Permettono di regolare l'andamento della reazione avanti ed indietro per risparmiare metaboliti. Regolazione enzimatica Esistono tre vie per regolare, cioè attivare o inibire, un'enzima 1. Regolazione allosterica; 2. Regolazione covalente; 3. Regolazione ormonale. Il primo meccanismo, la regolazione allosterica è stata appena trattata. Regolazione covalente La regolazione covalente è l'esito del legame covalente di effettori che portano alla modifica della molecola enzimatica, per cui l'enzima lega meglio o peggio il substrato. Ne sono esempi la fosforilazione e la metilazione: la fosforilazione è l'aggiunta di un gruppo fosfato e spesso questa modifica cambia la polarità della molecola modificata. La metilazione di alcuni enzimi invece porta alla metilazione di alcuni enzimi invece porta alla metilazione del DNA che causa modificazioni post-traduzionali irreversibili. (se un enzima viene fosforilato può attivarsi o inibirsi dipende dal tipo d'enzima). Regolazione ormonale La regolazione ormonale è invece mediata da ormoni. Ne sono un esempio l'insulina e il glucagone, due ormoni che sono in grado di regolare molti enzimi attraverso legami recettore-mediati. Attraverso l'interazione con i recettori di membrana, il glucagone porterà ad una serie di reazioni che porteranno a loro volta alla fosforilazione di un enzima dentro la cellula, mentre l'insulina ne causerà la defosforilazione. Lo schema evidenzia come all'arrivo del glucagone, egli interagisca con il recettore portando ad una serie di reazioni che attivano una chinasi (transferasi) che trasferice un gruppo fosfato da una molecola di ATP al substrato, in questo caso un'enzima e lo fosforila attivandolo. Il glucagone da il via a il processo che porta, in questo caso, all'attivazione tramite fosforilazione di un enzima. L'insulina svolge il meccanismo opposto attivando una fosfatasi (idrolasi) che stacca il gruppo fosfato, inattivando l'enzima. Questo meccanismo di regolazione enzimatica, in cui i due ormoni sono l'insulina e il glucagone, è il meccanismo che regola il livello di glicemia nel sangue e l'enzima è la glicogeno fosforilasi (transferasi) e la glicogeno sintasi (transferasi). Il grafico mostra la regolazione della glicemia, ovvero come i due ormoni, glucagone ed insulina, entrino in gioco regolando due diversi enzimi. Analizziamo il ciclo con un esempio pratico: siamo in presenza di un organismo non allenato in condizioni di attività fisica; per un individuo in condizioni normali la glicemia è di circa 100 mg/ml. Dopo 20/25minuti di attività fisica la glicemia dell'organismo in esame è scesa a 80/85 mg/ml. Interviene quindi il glucagone, un ormone, che come sappiamo, ha il compito di alzare nuovamente la glicemia, attraverso la glicogenolisi: questa via metabolica viene attivata quando nell'organismo non vengono introdotti zuccheri per molto tempo e si ha la necessità di attingere dalle riserve, cioè il glicogeno. Il glicogeno epatico deve essere però scisso in molecole di glucosio: il glucagone attiva un'enzima, una cinasi, che fosforila la glicogeno fosforilasi, un enzima che solo nella forma fosforilata è attivo. La glicogeno fosforilasi fosforilata demolisce il glicogeno in glucosio alzando la glicemia. Viceversa quando la glicemia si alza, quando si assume molto zucchero, viene rilasciata in circolo l'insulina. Per essere alta la glicemia deve essere di 120mg/l. Siamo in una situazione in cui abbiamo molto glucosio in circolo e quindi produrne altro demolendo glicogeno non avrebbe senso. Quindi l'insulina attiva un enzima, una fosfatasi, che defosforila una molecola di glicogeno sintasi, attivandola. In questo modo viene prodotto glicogeno. Isoenzimi Gli isoenzimi sono enzimi che catalizzano le medesime reazioni(c'è ne sono molti), pur avendo strutture diverse. Le diverse strutture fanno si che essi abbiano diverse affinità per lo stesso substrato in quanto hanno diverse Km. Gli isoenzimi si trovano distribuiti in maniera differente nei diversi tessuti: la diversa Km fa si che la stessa reazione proceda a velocità differenti. La presenza di più isoenzimi fa si che l'organismo scelga quale molecola usare per catalizzare meglio la reazione. La lattato deidrogenasi, LDH, è presente sotto forma di cinque isoenzimi. La LDH è costituita da 4 subunità (strutt quaternaria-->allosterico) che possono essere di tipo H (heart) o di tipo M (muscle) • LDH1 (H4) è prevalente nel miocardio e nei globuli rossi. Presente anche nella corteccia renale e nel muscolo scheletrico. LDH2 (H3M1) è prevalente nel miocardio e nelle emazie, oltre ad essere presente nel pancreas, corteccia renale, polmone e muscolo scheletrico. • LDH3 (H2M2) è presente in polmoni, placenta, muscolo scheletrico e pancreas. • LDH4 (H1M3) si trova nella midollare renale, muscolo scheletrico, polmone e placenta. • LDH5 (M4) è caratteristico de muscolo e del fegato. Presente anche nella midollare renale e nel pancreas. Il riconoscimento di uno o dell'altro substrato a seconda dell'isoenzima favorisce la formazione di uno o dell'altro substrato: nei muscoli viene prodotto acido lattico e quindi nei muscoli sarà favorita la reazione <---, da piruvato a lattato; nel fegato è favorita la reazione ---> da lattato a piruvato. Per spiegare il fenomeno basta pensare che nel muscolo, in cui è presente acido lattico, si osserva sempre un consumo di quest'ultimo: è necessario una continua produzione di lattato. Le subunità di tipo H riconoscono bene il lattato, le subunità M il piruvato. • Proenzimi Alcuni enzimi vengono sintetizzati come precursori inattivi e vengono definiti proenzimi. I proenzimi vengono attivati (per proteolisi di una parte inibente) solo nelle zone e/o nelle condizioni che ne richiedono l'attività. Ad esempio la proteasi tripsina viene prodotta nel pancreas ed è attivata nel lume intestinale; analogamente i fattori enzimatici della coagulazione sono sempre presenti nel plasma ma vengono attivati solamente quando si verifica un danno tissutale. Se l'interazione enzima-substrato avviene per la formazione di legami ad idrogeno occorre che le energie in gioco siano tali da permettere la rimozione dello strato d'acqua di solvatazione da entrambi. Si ricordi che, in genere, i legami idrofobici sono responsabili dell'affinità di legame mentre i legami ad idrogeno sono responsabili della specificità di legame. Attività enzimatica (3) Alla base delle”classiche” caratteristiche biochimiche ci sono ragioni strutturali per cui la catalisi è frutto di fattori chimici (come le proprietà degli amminoacidi presenti nel sito attivo) e fattori fisici (come la complementarietà sterica). La geometria del sito attivo è infatti tale da permettere il contrapporsi e/o l'avvicinamento di reagenti in maniera ottimale, spesso l'unica maniera possibile per consentire un andamento produttivo della reazione: parliamo quindi di sottosito di specificità e sottosito di reazione. Per favorire l'ingresso ed il legame di substrati intorno ai siti attivi si generano spesso campi elettrostatici. Abbiamo tre casi: Nel primo caso, quello delle coppie elettrostatiche, abbiamo cariche opposte tra la superficie aderente al sito attivo dell'enzima e il substrato: quest'ultimo viene attratto per l'attrazione tra le due cariche opposte. Nel secondo caso la differenza di cariche si trova da una parte all'altra della superficie aderente al sito attivo che permette un movimento che facilita l'entrata del substrato. Nel terzo caso invece la differenza di cariche è sia sulla superficie aderente al sito attivo, sia sul substrato che viene intrappolato all'interno. L'acqua è fondamentale per veicolare gran parte dei substrati verso il loro sito attivo. Tuttavia molte reazioni non possono procedere in ambiente acquoso: per questa ragione si sono sviluppate strategie catalitiche particolari, come quelle presenti in alcune deidrogenasi (in cui si ha il trasferimento di uno ione idruro instabile in acqua) che prevedono cambiamenti conformazionali del tipo apertochiuso. Per capire tutto questo prendiamo in esame l'LDH(lattato deidrogenasi). L'LDH è un enzima piuttosto lento in quanto ha un numero di turn-over (numero di reazione catalizzate da una mol di enzima nell'unità di tempo) di 103/sec. Si è stimato che per permettere al substrato di entrare il loop deve spostarsi di almeno 1nm: la velocità sarà quindi V=1nm/(103/sec)= 3,6x10-6Km/H. L'LDH funziona grazie alla riduzione di NAD+ a NADH. Nell'enzima quindi si entrano sia lattato che NAD+; l'enzima si chiude, avviene la reazione ed escono piruvato e NADH. Enzimi polifunzionali Un enzima è detto polifunzionale quando catalizza più di una reazione; spesso gli enzimi polifunzionali sono bifunzionali. Si distinguono tre tipologie strutturali di enzimi polifunzionali: 1. l'enzima possiede un solo sito attivo in quanto svolge due attività catalitiche successive che sono una la continuazione della precedente; 2. l'enzima possiede due diversi siti attivi presenti su un unica catena polipeptidica o su più subunità. Anche in questo caso le due attività catalitiche sono spesso una la continuazione della precedente. In queste strutture il prodotto intermedio (che fungerà da substrato per la seconda reazione) deve diffondersi nel mezzo per raggiungere il secondo sito dove viene completata la sua trasformazione. Questa struttura è vantaggiosa solo per una eventuale regolazione comune a livello di espressione genica o nel caso di siti attivi contrapposti; 3. l'enzima presenta due o più siti attivi presenti su un unica catena polipeptidica o su più subunità. Questi siti attivi sono, in questo caso, collegati da uno o più canali , detti tunnel: la presenza di questi tunnel è necessaria in quanto il prodotto intermedio, frutto della prima reazione, spesso non è carico e quindi tenderebbe a perdersi nel cammino verso il secondo sito attivo o perchè risulterebbe particolarmente instabile in soluzione acquosa. Coenzimi Molti enzimi necessitano dell'aggiunta di particolari molecole per svolgere la loro attività catalitica: queste molecole prendono il nome di coenzimi. I coenzimi sono molecole non proteiche, ma tuttavia essenziali per l'attività enzimatica. Sono spesso di origine vitaminica e hanno tipicità di azione. I coenzimi vengono utilizzati come veri e propri substrati, cioè vengono trasformati dall'enzima; enzima a cui possono essere legati covalentemente. Se il coenzima è legato covalentemente ad un sito attivo, la struttura prende il nome di gruppo prostetico. Per definizione un gruppo prostetico è una molecola di natura non proteica legata covalentemente ad una proteina o ad un enzima. Il gruppo prostetico resta saldamente legato alla proteina (enzima) e non se ne distacca facilmente. Analizziamo ora alcuni tra i coenzimi più importanti. NAD+ e NADH Nicotinammide-Adenina-Dinucleotide Il NAD+/NADH è composto da varie parti La nicotinammide si lega al ribosio mediante un legame N-glicosidico. Il legame N-glicosidico interessa il carbonio anomerico dello zucchero, cioè il carbonio in posizione 1. inoltre il ribosio lega un gruppo fosfato inorganico mediante un legame fosfoestere. Questa struttura (nicotinammide+ribosio+P) è un nucleotide in quanto è formato da una base azotata, uno zucchero ed un gruppo fosfato. Sucessivamente mediante un legame fosfoanidridico viene legata un altra struttura composta da adenosina monofosfato AMP. Il NAD+/NADH presenta la sua parte funzionale nella nicotinammide che può ossidarsi o ridursi. Per capire il ruolo del NAD prendiamo nuovamente in esame la reazione da lattato a piruvato catalizzata dalla LDH. Dal lattato vengono trasferiti due atomi di idrogeno e due elettroni. Questi due atomi di idrogeno danno luogo ad uno ione idruro, e ad un protone libero. Lo ione idruro da origine ad una reazione di attacco nucleofilo su un carbonio della nicotinammide con conseguente delocalizzazione elettronica. FAD+ e FADH2 Flavina-Adenosina-Dinucleotide Come il NAD+/NADH il FAD+/FADH2 è composto da varie parti: sono infatti presenti per primi tre anelli organici condensati che prendono il nome di gruppo isoallosazinico o flavina. Tramite uno dei due atomi di azoto dell'anello centrale della flavina, quest'ultima è legata al ribitolo, molecola a cinque atomi di carbonio derivante dal ribosio. Questa struttura prede il nome di riboflavina ed è legata a sua volta ad un gruppo fosfato inorganico diventando così un nucleotide, il Flavin-Mono-Nucleotide, FMN. Mediante un legame fosfoanidridico è possibile legare al FMN, un AMP, adenosina monofosfato. Il passaggio da forma ossidata, FAD+ a forma ridotta, FADH2 è diverso rispetto a quello del NAD+/NADH in quanto gli atomi di idrogeno presi dal FAD possono essere uno o due. Il gruppo funzionale risiede nella flavina. CoA Coenzima A Emoglobina e miolobina L'emoglobina e la mioglobina sono due molecole trasportatrici di ossigeno. Non sono enzimi ma hanno notevoli affinità cinetiche, nel loro legame con l'ossigeno, con gli enzimi. La mioglobina segue l'equazione di M-M, mentre l'emoglobina ha un andamento cooperativo e pertanto segue una curva sigmoide. Queste due proteine hanno diverse affinità: entrambe presentano strutture aventi un fold globinico (sono globulari) composto da 8 α-eliche, che hanno angoli di legame l'uno rispetto all'altro di 50°/90°. inoltre in superficie sono presenti amminoacidi con catene laterali polari. Possiedono tuttavia alcune differenze, l'emoglobina presenta quattro subunità, mentre la mioglobina ne possiede solo una. Analizziamole una per una singolarmente L'emoglobina è un tetramero formato da 4 subunità proteiche: 2α e 2β, α 2 β2. L'emoglobina è quindi una proteina in struttura quaternaria, un eterotetramero composto da due omodimeri. Ognuna della quattro subunità lega nel proprio core idrofobico un gruppo non proteico, definito gruppo eme (la mioglobina ne ha uno solo). Il gruppo eme è composto da uno ione ferroso Fe2+ centrale. Lo ione ferroso all'interno del gruppo eme forma sei legami di coordinazione: quattro legami sono formati con gli atomi di azoto che giacciono sul piano del gruppo eme, gli altri due legami, sono invece ortogonali al piano del gruppo eme, e permettono il legame tra il ferro e la catena proteica tramite un atomo di azoto dell'amminoacido istidina, e l'ossigeno da trasportare. Emoglobina e mioglobina sono proteine di trasporto dell'ossigeno. L'emoglobina è presente negli eritrociti, mentre la mioglobina nelle cellule muscolari. Come detto prima queste due proteine hanno una cinetica simile agli enzimi ed in particolare, l'emoglobina ha affinità con gli enzimi allosterici a più subunità, mentre la mioglobina segue la cinetica di M-M: l'emoglobina lega l'ossigeno in maniera cooperativa (come un enzima allosterico) e infatti la velocità di reazione mostra una curva sigmoide, tipica degli enzimi allosterici. La mioglobina presenta la velocità di reazione come un iperbole. La particolare curva sigmoide dell'emoglobina (a saturazione), può essere spiegata ammettendo che, in seguito al legame con l'ossigeno, lo ione ferroso, si muova verso il centro del piano dell'eme, trascinando con sé la catena peptidica legata tramite il residuo i istidina. Tale movimento porta alla rottura dei legami deboli che tengono unite, le une alle altre, le catene α e β del tetramero dell'emoglobina, rendendo la struttura più “mobile” ma sempre unita. Di conseguenza gli altri tre ioni ferrosi (legati ai restanti gruppi eme) risultano più liberi di muoversi legandosi con maggiore facilità all'ossigeno. Le diverse subunità dell'emoglobina sono legate da legami ad idrogeno, ponti salini e interazioni idrofobiche. Per riassumere il legame dello ione ferroso all'ossigeno comporta un minimo anche se significativo spostamento che consente un miglior riconoscimento e avvicinamento (e quindi legame) degli ioni ferrosi restanti con altrettante molecole di ossigeno: effetto cooperativo. Lo stesso fenomeno si riscontra nel rilascio dell'ossigeno: la prima molecola di ossigeno a staccarsi causa uno spostamento del gruppo eme a cui era attaccata. Questo spostamento provoca uno spostamento anche negli altri gruppi eme che così facendo, tendono a rilasciare la molecola di ossigeno meglio e più velocemente. Un aumento di acidità a livello tissutale, causato dalla produzione di CO 2, principalmente a livello del ciclo di Krebs, e la presenza negli eritrociti di 2,3 bis-fosfo-glicerato (BPG) diminuiscono l'affinità dell'emoglobina per l'ossigeno assicurandone il rilascio dove e quando necessario. Questo è l'effetto Bohr. L'effetto Bohr è quindi un modo per spostare a destra la curva di saturazione dell'emoglobina. Ma come può la diminuzione del pH (aumento acidità) influenzare l'affinità dell'ossigeno nei confronti dell'emoglobina? Diminuzione pH= aumento protoni. L'aumento dei protoni ha come conseguenza una protonazione di specie che precedentemente non lo erano. Queste specie protonate formano una serie di ponti salini tra le subunità della molecola proteica che portano all'irrigidimento della struttura. Grazie a questo irrigidimento l'ossigeno non potrà più essere legato e, anzi, verrà rilasciato con maggiore facilità. L'aumento dei protoni è “dato” dal rilascio di CO2 (ciclo di Krebs) e le elevate quantità di anidrasi carbonica, una liasi che catalizza la reazione H2O+ CO2⇄H2CO3. Le attività fisiologiche richiedono uno spostamento della curva verso destra ancora più marcato: questo fatto è permesso dalla presenza in elevate concentrazioni di 2,3 bis-fosfo-glicerato (BPG), molecola fortemente acida. Cosa succede quindi ai tessuti e ai polmoni? L'emoglobina trasporta ossigeno(O2) dai polmoni ai tessuti e CO2 dai tessuti ai polmoni. I tessuti devono ricevere ossigeno(O2): la CO2 presente si scioglie nel sangue e lo acidifica, in quanto reagendo con acqua forma H2CO3 che dissociandosi libera protoni. I protoni e la bassa pressione dell ossigeno(O 2) determinano il rilascio di quest'ultimo a livello tissutale. I polmoni devono ricevere CO2: la CO2 viene espirata e ciò porta ad un abbassamento della concentrazione di protoni nel sangue e al rilascio di H + dall'emoglobina che si carica di ossigeno. Gli ioni si ricombinano con HCO 3per dare CO2 che viene espirata insieme all'acqua. La mioglobina è formata da una sola subunità proteica (terziaria) e si trova nelle cellule muscolari. Qui riveste il ruolo di riserva di ossigeno per la contrazione muscolare. Anche la mioglobina lega ossigeno grazie ad uno ione ferroso del gruppo eme. La mioglobina, essendo costituita da una sola subunità, non presenta effetto cooperativo nel legame con l'ossigeno e di conseguenza la sua curva di saturazione è un iperbole. Il legame della mioglobina con l'ossigeno è del tipo o tutto o nulla: la mioglobina è completamente saturata dall'ossigeno alla pressione di (O2) alla quale l'emoglobina cede l'ossigeno ai tessuti. La mioglobina cede ossigeno quando il muscolo si contrae attivamente e la pressione scende molto al di sotto dei valori normali, in quanto le cellule muscolari consumano molto rapidamente ossigeno per produrre ATP.