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BIOCHIMICA
Proteine e amminoacidi
Le proteine sono le sostanze organiche più presenti all'interno delle cellule e
svolgono molti compiti: presentano funzione catalitica, di trasporto, recettoriale,
strutturale, contrattile, ormonale e anticorporale. Inoltre possono anche svolgere
la funzione di interruttori molecolari, ovvero di “attivare” o “disattivare” le
molecole a cui si legano.
AMMINOACIDI
Gli amminoacidi sono i costituenti delle proteine, essi presentano sia un gruppo
amminico(-NH2) e un gruppo carbossilico (-COOH). Nell'uomo gli
amminoacidi proteinogenici sono 20, mentre ne esistono anche molti altri che
non codificano le proteine (GABA). Generalmente tutti gli amminoacidi
appartengono alla serie sterica L e sono α amminoacidi.
Vengono chiamati α amminoacidi perché il gruppo amminico e il gruppo
carbossilico sono legati ad un atomo di carbonio detto carbonio α. A questo
carbonio è inoltre legato un atomo di idrogeno e una catena laterale R che varia
da amminoacido ad amminoacido.
Struttura di un L-α-amminoacido
Esistono molti modi di classificare gli amminoacidi, il metodo più comune
consiste nel dividere gli amminoacidi in base alle differenze chimico/fisiche
della catena laterale.
• Amminoacidi con catena alifatica non polare: sono amminoacidi che
presentano una catena laterale alifatica e apolare, sono quindi
amminoacidi che presentano un carattere idrofobo e sono glicina(gly),
alanina(Ala), valina(Val), leucina(Leu), metionina(Met) e
isoleucina(Ile).
Si puo osservare inoltre che la glicina non ha carboni stereogenici,
quindi non ha serie sterica.
• Amminoacidi con catena laterale aromatica: sono amminoacidi che
presentano catene laterali aromatiche, sono la fenilalanina(Phe), la
tirosonina(Tyr) e il triptofano(Trp). Anch'essi sono relativamente
idrofobici.
• Amminoacidi con catene laterali non cariche e polari: sono amminoacidi
che presentano una catena laterale polare, quindi sono idrofilici, fanno
parte di questa categoria la serina(Ser), la treonina(Thr), la
cisteina(Cys), l'asparagina(Asn), la glutamina(Gln) e la prolina(Pro).
Si può notare che asparagina e glutammina sono le ammidi dell'acido aspartico
(aspartato) e dell'acido glutamico (glutammato) . Si può infine osservare che
aspargina e glutammina a pH fisiologico non sono polari.
(parentesi ammoniaca vedi dopo)
Tra questo gruppo di amminoacidi un ruolo fondamentale è rivestito dalla
cisteina, questo amminoacido è l'unico che presenta un gruppo tiolico (-SH).
Due gruppi tiolici della cisteina, unendosi formano un ponte disolfuro creando
una stuttura denominata cistina. I residui di cisteina uniti da un ponte disolfuro
sono molto idrofobici (non polari).
La presenza di ponti disolfuro stabilizza la struttura irrigidendola. Come si
osserva dalla reazione, la formazione di una cistina si verfica in un ambiente
ossidante (che tende a strappare protoni). Il citosol, però è un ambiente
riducente, in cui i ponti disolfuro non possono formarsi. Solamente nel RE è
presente un ambiente ossidante e quindi la formazione di ponti disolfuro.
• Amminoacidi con catene laterali cariche positivamente: sono
amminoacidi che presentano catene laterali basiche, infatti sono in grado
di accettare protoni acquistando una carica positiva. Sono la lisina(Lys),
l'arginina(Arg) e l'istidina(His). Questa classe di amminoacidi è molto
idrofilica.
Gli amminoacidi di questo gruppo sono sempre presenti nei siti attivi degli
enzimi o come sostegno o come apporto fondamentale alla catalisi, in quanto
sono in grado di scambiare facilmente protoni. Inoltre l'arginina è presente nel
ciclo dell'urea e presenta il particolare gruppo C=N. Infine l'istidina presenta un
anello (ciclo) imdazolico che rende N sufficientemente basico, per cui la sua
pkb è 6.
• Amminoacidi con catene laterali cariche negativamente: sono
amminoacidi che presentano catene laterali acide, infatti sono in grado
cedere protoni acquisendo una carica negativa, fanno parte di questa
categoria l'aspartato(Asp) e il glutammato(Glu). Anche questi
amminoacidi sono molto idrofilici.
Punto isoelettrico
Il punto isoelettrico è il valore del pH in corrispondenza del quale un
amminoacido si comporta come una sostanza priva di carica elettrica.
A questo valore del pH il gruppo carbossilico si presenta deprotonato e avente
una carica negativa (-COO--), mentre il gruppo amminico risulta protonato e con
una carica positiva(-NH3+). Questo amminoacido neutro prende il nome di
zwitterione.
Zwitterione
Gli amminoacidi sono deboli acidi poliprotici, che possono perdere
progressivamente due protoni. Per capire il comportamento acido-base di un
amminoacido dobbiamo studiarne la situazione al variare del pH.
Ad un basso pH sia il gruppo carbossilico sia il gruppo amminico sono
protonati e la molecola presenta una carica positiva (Aa+1), questo stadio viene
chiamato forma cationica. Al crescere del pH il primo gruppo a dissociarsi
cedendo un protone è gruppo carbossilico, formando uno zwitterione (Aa0).
Un successivo aumento del pH vede la seconda dissociazione, questa volta da
parte del gruppo amminico, che dà vita alla forma anionica (Aa-1).
Avendo queste informazioni è possibile calcolare il pKa del gruppo amminico e
del gruppo carbossilico.
• pKa gruppo carbossilico
Aa+1 + H2O ⇄ Aa0 + H3O+
pKa= [Aa0 + H3O+]/[ Aa+1]
• pKa gruppo amminico
Aa0 + H2O ⇄ Aa-1 + H3O+
pKa=[Aa-1 + H3O+]/[Aa+1]
Deamidazione dell'asparagina
L'asparagina è analoga all'acido aspartico se non per un gruppo ammidico.
L'asparagina in particolari condizioni, può andare incontro ad una reazione di
deamidazione, nel quale perde il gruppo amminico che costituisce l'ammide.
Questa reazione può dar luogo all'acido aspartico o all'acido isoaspartico a
seconda di come si apre il ciclo che si verrà a formare in seguito alla perdita del
gruppo amminico. La deamidazione comporta la trasformazione di un
amminoacido neutro (Asn) ad uno carico (Asp) che può cambiare la proteina.
Un'altra trasformazione di un amminoacido ad un altro è quella che riguarda la
fenilalanina. Grazie ad un enzima capace di idrolizzare l'anello benzenico della
fenilalanina, quest'ultima si trasforma in tirosina. L'enzima in questione viene
chiamato fenilalanina-idrossilasi.
Alcune persone non possiedono l'enzima Phe-idrossilasi, la patologia derivante
dalla mancanza di questo importante enzima viene chiamata fenilchetonuria, la
cui diagnosi viene effettuata alla nascita. È necessario quindi che al bambino
venga impedito di assumere grandi quantità di fenilalanina, poiché essa,
accumulandosi, può portare allo sviluppo di deficit mentali. Per evitare tutto
questo si cerca di sostituire l'assunzione di fenilalanina con la tirosina.
INTERAZIONI CHIMICHE CHE STABILIZZANO I POLIPEPTIDI
Legami covalenti (-Cα-C)
I legami covalenti sono presenti tra i singoli atomi di un amminoacido e
intervengono sia nel gruppo carbossilico, sia nel gruppo amminico sia nella
catena laterale laterale legati al Cα. La distanza tipica di legame è
1,5Å(Ångstrom) (1Å=0,1nm=10-10m).
Si ricordi che l'energia di legame è la quantità di energia che si libera nella
formazione del legame e che viene fornita per rompere il legame.
ΔG legame covalente=356KJ/mole (610KJ/mole per legame C=C).
Si può dire quindi che il legame covalente è forte siccome serve abbastanza
energia per rompere il legame.
Ponti disolfuro (-Cys-S-S-Cys)
Come abbiamo visto precedentemente i ponti disolfuro derivano dall'interazione
di due catene laterali di cisteina che formano una cistina.
Il ponte disolfuro ha una lunghezza di legame di 3,2Å ed un ΔG di 167
KJ/mole. Questo ci fa capire che questi tipi di legame sono meno forti di un
legame covalente.
Legame a idrogeno
Il legame a idrogeno è un legame intermolecolare che si viene a formare quando
l'idrogeno è legato ad un elemento elettronegativo (F,O,N ecc), questo fa si che
si formi un dipolo tra l'elemento più elettronegativo(δ-) e l'idrogeno(δ+).
l'idrogeno quindi avendo una carica positiva è attratto elettrostaticamente da un
altro atomo elettronegativo di una molecola vicina.
Questo legame è intermolecolare tra i diversi amminoacidi, ma nelle proteine è
intramolecolare.
Ha una distanza di legame di 3Å e ha un ΔG minimo di 2-6 KJ/mole in acqua e
ha un ΔG di 12,5/21 KJ/mole se il donatore o l'accettore sono carichi. Il legame
ad idrogeno tra due amminoacidi è del tipo:
dove N è donatore ed O è l'acettore. I legami ad idrogeno per quanto deboli,
sono talmente importanti da stabilizzare le varie strutture delle proteine.
Ponte salino
È un legame elettrostatico caratterizzato dalla presenza di cariche nette ed è
dunque difficile che intercorra all'interno della proteina.
Il ponte salino crea un dipolo ed è quindi molto frequente nelle strutture
quaternarie dove più subunità possono interagire in acqua in quanto ci vuole un
ligante più forte per tenere insieme la struttura.
Il ponte salino ha una distanza di 2,8Å ed un ΔG di 12,5 KJ/mole.
Interazioni idrofobiche (Van Der Waals)
Fanno parte delle forze di Van Der Waals:
1. forza dipolo permanente-dipolo permanente;
2. forza dipolo permanente-dipolo indotto;
3. forza dipolo istantaneo-dipolo indotto.
Sono forze che agiscono tra atomi di molecole (o porzioni di molecole) apolari
che rendono la molecola estremamente flessibile. Hanno distanza di legame di
3,5Å ed un ΔG di 4KJ/mole.
Interazioni elettrostatiche a lungo raggio
Le interazioni elettrostatiche a lungo raggio nascono da tentativi di formare
ponti salini che però non riescono a formarsi. Si formano quindi questo tipo di
interazioni la cui lunghezza di legame è variabile e dipende dalla costante
dielettrica del mezzo sono legami del tipo:
STRUTTURA PRIMARIA PROTEINE
Legame peptidico
Il legame peptidico è il legame fondamentale e caratteristico delle proteine in
quanto lega degli amminoacidi e vede la formazione di un peptide.
Il legame peptidico forma un ammide, si può inoltre notare che il legame C-N
appena formatosi è un po' più corto di un normale legame C-N, questo
suggerisce che ci sia una stabilizzazione per risonanza dell'ammide appena
formata e che il legame C-N sia parzialmente doppio e polarizzato.
Strutture limite di risonanza
Ibrido di risonanza
Nel legame peptidico gli atomi C N e O si trovano sullo stesso piano.
Siccome il legame C-N è parzialmente doppio, le uniche rotazioni possibili
sono intorno ai legami σ Cα -N e Cα -C. Inoltre queste rotazioni sono più o
meno ampie a seconda dell'ingombro sterico dovuto a diverse catene laterali R.
Gli angoli di rotazione ψ(psi) per il legame Cα -C e φ(phi) per il legame Cα -N,
possono quindi assumere valori diversi a seconda dell'ingombro sterico dovuto
alle catene laterali.
La proteina, formata dalle catene di amminoacidi, può presentare vari livelli di
organizzazione: la sequenza degli amminoacidi è detta struttura primaria,
questa contiene tutte le informazioni necessarie alla proteina per la
determinazione della struttura secondaria, terziaria e delle eventuali subunità
che andranno a formare la struttura quaternaria. La struttura primaria quindi
condiziona ciberneticamente l'organizzazione tridimensionale della proteina.
Tratti specifici di una proteina conferiscono ad essa particolari conformazioni
strutturali che rientrano nella struttura secondaria, le cui “disposizioni” più
caratteristiche sono l'α-elica e il foglietto β.
STRUTTURA SECONDARIA DELLE PROTEINE
Ramachandran plot
Come detto precedentemente le uniche rotazioni permesse sono intorno ai due
angoli ψ e φ(queste rotazioni vanno da -180° a 180°). Esistono però casi in cui
sono presenti vincoli sterici che impediscono che i due angoli assumano certi
valori, limitando le possibili torsioni della catena. È possibile però determinare i
valori di ψ e φ stericamente permessi calcolando le distanze fra gli atomi di un
tripeptide in corrispondenza di tutti i valori (φ, ψ) per l’unità peptidica centrale.
I valori di ψ(asse y) e φ(asse x) in coppia vengono riportati in un grafico
(Ramachandran plot) e da questo grafico è possibile visivamente osservare le
“zone di valori” in cui i valori di ψ e φ sono stericamente permessi e quindi in
percentuale la possibilità di una proteina di formare un determinata struttura
secondaria.
In generale il grafico mette in evidenza che solo il 25/30% del volume è
occupato da zone stericamente permesse, cioè che possono formare strutture
secondarie. Questo grafico è analogo per quasi tutti gli amminoacidi.
Se si considera la glicina la situazione cambia:
qui le zone stericamente permesse si aggirano intorno al 45% e sono
simmetriche, questo può essere spiegato in quanto al fatto che la glicina
possiede un solo atomo di idrogeno come catena laterale, riducendo al minimo
l'ingombro sterico.
Un altro caso particolare è dato dalla prolina:
in questo caso le zone stericamente permesse sono poche, questo avviene
perchè la conformazione ciclica della prolina limita fortemente i valori permessi
di ψ e φ.
α-elica
L'α-elica è una struttura elicoidale, in cui lo scheletro polipeptidico si avvolge
in maniera destrorsa attorno ad un asse centrale immaginario con angoli di
-47°per ψ e -57 per φ, mentre i gruppo R dei residui amminoacidi sporgono al
di fuori dello scheletro elicoidale. L'eccezionale stabilità di questa
conformazione dipende dal fatto che si instaurano legami idrogeno tra un
gruppo NH e il gruppo CO.
Un α-elica possiede una distanza di traslocazione tra due residui di 1,5Å, la
distanza di traslocazione è la distanza tra due carboni carbonilici. Ogni giro
d'elica coinvolge 3,6 amminoacidi, un amminoacido ogni 100°. Ogni elica ha
un passo, la distanza tra due vertici, di 5,4Å. L'elica possiede tanti piccoli dipoli
che costituiscono un macrodipolo.
Esistono anche altri tipi di eliche oltre all'α-elica. Si possono trovare,infatti,
strutture come l'elica 3-10 (3.010), l'elica π (4.416) e ovviamente l'α-elica (3.613).
Il pedice indica il numero di atomi che devono essere contati a partire
dall'atomo di ossigeno del primo carbonio carbonilico fino all'ultimo carbonio
del gruppo ammidico; X.X sono invece il numero di residui per giro.
Se due amminoacidi che distano tra di loro 100° hanno residui laterali con
polarità simile si genereranno delle proteine anfipatiche (contengono una
regione idrofilica ed una idrofobica).
Le diverse proprietà della catena laterale danno caratteristiche diverse alla
proteina, come ad esempio:
• citrato sintasi, possiede tanti residui apolari e solo due polari, questa
proteina può attraversare la membrana;
• alcol deidrogenasi, è metà polare e metà apolare, si trova sulla superficie
della membrana;
• troponina C, presenta una catena totalmente polare, galleggia da fuori
dalla membrana.
Un esempio particolare della struttura di una proteina è rappresentato da il
collagene: il collagene è infatti formato da una tripla elica composta da tre
filamenti diversi separati all'origine. Attorcigliandosi su loro stessi formano una
struttura che ricorda una gomena a tre capi: se anche uno dei tre capi capi
“molla”, tutta la struttura si “srotola”. Per impedire ciò la sequenza collagenica
presenta un gruppo ossidrile tale da formare tra le diverse catene legami ad
idrogeno. La struttura tipica del collagene è (Gly-x-y) n dove x è la prolina e y è
l'idrossiprolina, l'amminoacido che presenta il gruppo -OH.
Foglietto-β
Il foglietto-β pieghettato è un altro tipo di struttura secondaria che si forma a
partire da due o più catene polipeptidiche pressoché distese che si affiancano
parallelamente l'una all'altra. Il foglietto è tenuto insieme (e stabilizzato) da
legami a idrogeno tra i gruppi -NH di una catena e i gruppi C=O dell'altra
catena, questi legami hanno una distanza di 3Å.
Il foglietto-β,quindi, può essere visto come delle striscioline di carta pieghettate
e disposte parallelamente: ogni “striscia di carta” si può immaginare come un
singolo filamento polipeptidico dove lo scheletro segue i ripiegamenti del foglio
e i carboni α giacciono sugli spigoli delle pieghe.
I filamenti β(singola catena polipeptidica) possono interagire tra di loro a
formare i foglietti β in due modi diversi:
1. gli amminoacidi nei filamenti hanno direzioni alternate N-term--->C-term
seguito da C-term--->N-term e seguito di nuovo da N-term--->C-term. In
questo caso si parla di foglietto β antiparallelo.
2. gli amminoacidi nei filamenti β allineati vanno tutti nella stessa direzione
(sempre N-term--->C-term). In questo caso si parla di foglietto β
parallelo.
filamento β
foglietto β
La disposizione antiparallela favorisce una minore distanza di legame del
legame idrogeno. I legami risultano quindi essere più ravvicinati, più forti e
meno suscettibili ad essere coinvolti in una competizione con l'acqua.
Le proteine possono presentare una struttura costituita fatta solo da α-eliche o
solo da foglietti-β oppure possono essere costituite sia da α-eliche che da
foglietti-β.
In alcuni casi quando i filamenti antiparalleli sono molto numerosi la struttura
può chiudersi formando i barili-β, strutture tonde e cave che costituiscono i
trasportatori di membrana: ne è un esempio la proteina FABP che porta nella
cellula molecole di acidi grassi a catena lunga. A volte nel barile-β è presente un
α-elica polare che serve a legare le sostanze da trasportare. L'α-elica può
trovarsi sopra o sotto al barile, in generale la posizione in cui l'elica sta sopra è
favorita. Una tipica struttura ad α e β è il Barile TIM.
In altri casi i foglietti paralleli possono sovrapporsi dando vita a dei
β-sandwich, alcune immunoglobine possiedono questa struttura.
Esistono inoltre strutture chiamate beta-turn, strutture più stabili che danno
luogo ad una catena CNNC antiparallela (possono collegare tratti sucessivi di
α-eliche e foglietti-β). La struttura del beta-turn consiste di un piegamento a
180° di una sequenza di quattro amminoacidi, dove il gruppo carbonilico del
primo amminoacido forma un legame a idrogeno con l'idrogeno legato all'azoto
del quarto. Residui di glicina e prolina spesso si trovano nei beta-turn; i primi in
quanto hanno una struttura piccola e flessibile, mentre i legami peptidici che
coinvolgono l'azoto imminico della prolina assumono facilmente la
configurazione cis.
Oltre ai beta-turn esistono altri tipi di strutture simili; tra di esse troviamo i loop
(o anse). I loop sono semplici collegamenti tra catene, inoltre essi sono parti
strutturali dotate di una specifiche funzioni, i loop corti sono resistenti ad azioni
proteolitiche; nel caso in cui siano lunghi sono suscettibili alla proteolisi e
quindi vengono stabilizzati da ioni metallici, spesso di Ca 2+. Spesso i loop
ricoprono zone destrutturate apparentemente disposte in maniera casuale ma
che invece presentano sempre la stessa funzione.
Grafico di idropatia
Il grafico di idropatia definisce se un filamento proteico attraversa o meno la
membrana. Il grafico si costruisce ponendo sulle ascisse (asse x) il numero dei
residui amminoacidici e sulle ordinate (asse y) l'indice idropatico dei vari
residui.
L'indice idropatico è un numero che rappresenta le proprietà idrofobiche o
idrofile del gruppo laterale di un amminoacido, maggiore è il numero più
idrofobico è l'amminoacido e viceversa (idrofobi>0 idrofili<0).
Costruito il grafico è visibile una netta linea di separazione(valore 0) che
delimita in alto le porzioni idrofobe e in basso quelle idrofile.
I picchi riscontrabili sono indice di dove il filamento attraversa la membrana.
Grazie a questo grafico possiamo dividere la proteina in domini polari e domini
apolari.
Prendiamo in esame il caso della batteriororodopsina, la prima proteina
scoperta capace di trasportare protoni transmembrana. Questa proteina è
formata da 7 domini intervallati da piccoli turn. Come funziona nel trasporto di
protoni? La funzionalità sfrutta il fatto che il retinale (che è presente in questa
proteina) cambi conformazione da cis a trans in presenza di energia luminosa.
La sua struttura a sette eliche è compatta, tanto da dare luogo a due canali, dove
due amminoacidi cruciali, insieme al retinale sono responsabili del passaggio di
protoni, i due amminoacidi sono la lisina 216 e l'acido aspartico 85; i protoni
possono legarsi alla lisina (che viene così protonata) ed essere spostati
sull'aspartato 85 solo quando il retinale è trans.
Effetto idrofobico
L'effetto idrofobico è il risultato di differenti interazioni e sta alla base della
struttura tridimensionale delle proteine. L'effetto idrofobico spinge i residui
idrofobici ad impaccarsi all'interno della struttura proteica lontano dall'ambiente
acquoso creando una “goccia apolare”. I gruppi polari o carichi si troveranno
quindi fuori dalla goccia apolare interagendo con le molecole polari del
solvente (acqua e ioni)
Nella formazione di questa goccia, tuttavia, mentre mentre le catene laterali
idrofobe si adattano naturalmente alla porzione interna della proteina, i gruppi
polari della catena principale devono essere “neutralizzati” attraverso
l'interazione con gruppi polari o carichi. A rendere possibile questa
neutralizzazione sono le strutture secondarie (α-eliche e foglietti-β) attraverso
uno schema regolare di legami ad idrogeno. La struttura secondaria è quindi
fondamentale nel determinare il core idrofobico delle proteine.
Il folding proteico
Il fold è il ripiegamento spaziale della struttura terziaria. Il folding è un
processo complesso (non ancora del tutto compreso), in quanto sequenze
casuali di amminoacidi non permettono di assumere una struttura
tridimensionale ben definita. Nella maggior parte dei casi è infatti la struttura
primaria della proteina a definire, sia in senso di processo temporale di
ripiegamento spaziale, sia in senso cibernetico ovviamente, lo specifico fold
tridimensionale.
Se una proteina perde il suo fold (e la sua struttura secondaria), va incontro ad
un processo noto come denaturazione. Il fold non è solo una caratteristica
strutturale, ma anche funzionale per la proteina. Christian Anfinsen fece
importanti studi sulle proteine, ed in particolare sulla ribonucleasi del pancreas
bovino scoprendo che il processo di denaturazione avviene (anche) mettendo la
proteina in urea, e che era possibile un processo inverso, la rinaturazione,
diminuendo gradualmente la concentrazione di urea e mettendo la soluzione in
sacchetto da dialisi. Anfinsen fece un'altra importante scoperta: egli dimostrò
l'importanza del folding per il corretto svolgimento dell'attività proteica.
La proprietà di avere una struttura tridimensionale, il fold, appare quindi essere
una proprietà cruciale delle proteine in natura e dipende dal processo di
selezione naturale. La selezione naturale, dopo il processo casuale di alterazione
della sequenza proteica, seleziona appunto, solo le varianti che conservano la
proprietà di avere un fold tridimensionale ben definito.
Ma come riesce la proteina a sapere come ripiegarsi?
Il lavoro di Anfinsen mostrò inoltre che le strutture native delle proteine
rappresentano stadi termodinamicamente stabili.
Ma come fa la proteina a raggiungere lo stadio stabile?
Levinthal ipotizzò che per una catena polipeptidica siano possibili così tante
combinazioni che essa non avrebbe tempo(vitale) sufficiente per arrivare allo
stato conformazionale più stabile(paradosso di Levinthal). La dimostrazione del
paradosso di Levinthal mostra infatti che il tempo impiegato dalla proteina per
trovare la sua conformazione più stabile dovrebbe essere di 4x109 anni.
Bisogna quindi supporre che il processo venga svolto all'interno di un imbuto
termodinamico, la cui forma porta a forme sempre più obbligate e quindi
numericamente inferiori fino all'unica forma possibile. La maggiorparte delle
proteine sono stabili con 40/46 KJ/mol
Non tutte le proteine sono in grado di foldare autonomamente, quando escono
dal ribosoma. La maggiorparte delle proteine nascenti sono infatti in grado di
andare incontro a folding solo se assistite da altre proteine dette proteine
chaperon, o chaperonine, proteine che sono in grado di circondare
parzialmente le porzioni idrofobiche di una proteina affinchè esse non
interagiscano con altre parti idrofobiche di altre proteine.
Un'importante classe di proteine sono le Hsp70.
Le Hsp70 si legano alle porzioni idrofobiche di proteine ancora attaccate al
ribosoma, guidandone il ripiegamento.
Alcune proteine vanno incontro a folding grazie all'intervento di un altro
complesso chiamato GroES/GroEL.
La struttura GroEL, la maggiore, è formata da numerose subunità che creano
una cavità interna che ospita la proteina(sempre guidata dall'Hsp70). La
struttura GroES è formata da una singola sub-unità che chiude la struttura. Il
ripiegamento interno a GroEL, richiede un costo di ATP uguale a 130 volte per
ogni equivalente di proteina da foldare.
Struttura teraziaria
La disposizione nello spazio di tutti gli atomi di una proteina viene definita
struttura terziaria.
La struttura terziaria di una proteina è data dalle diverse interazioni tra gli
elementi della struttura secondaria. Possiamo trovare diversi esempi come il
ribbon(nastro), il barile TIM ( dove α-eliche e foglietti-β sono alternati e il
foglietto-β congiunge due α-eliche). Gli elementi della struttura secondaria
hanno il core idrofobico dotato di una certa compattezza, ma esso sarà tanto
meno compatto più la proteina avrà funzione catalitica. Questo poiché è
necessario che la proteina abbia una certa capacità di adattamento tra il suo sito
attivo ed il suo substrato.
Una proteina in soluzione ha un'energia di stabilizzazione relativamente alta e
quindi non è difficile che si denaturi. La struttura terziaria delle proteine in
quanto “marginalmente” stabile può essere modificata da diversi agenti chimici
e fisici come temperatura, agenti chimici denaturanti e agenti chimico-fisico
naturali. La stabilità marginale rende quindi le proteine flessibli.
La stabilità di una proteina è mantenuta da:
• ponti disolfuro (come nell'inibitore della tripsina pancreatica)
• legami covalenti di coordinazione con ioni metallici(Ca 2+) (come nella
subtilina batterica)
• legami covalenti di cofattori organici non proteici (come nel citocromo C)
Inoltre la struttura terziaria è spesso stabilizzata anche da modificazioni posttraduzionali che possono essere irreversibili (proteolisi controllata e
idrossilazione) o reversibili (legami con lipidi, glicosilazione, fosforilazione,
acetilazione).
Le proteine possono essere classificate in due tipologie:
1. proteine fibrose, che hanno catene polipeptidiche disposte in lunghi fasci
o foglietti, e sono costituite da un solo tipo di struttura secondaria. Queste
proteine hanno funzione strutturale;
2. proteine globulari, che hanno catene polipeptidiche ripiegate e assumono
una forma sferica. Queste proteine sono costituite da più tipi di strutture
secondarie e sono spesso enzimi o proteine regolatrici.
Le proteine globulari sono spesso costituite da domini. Un dominio è un
ripiegamento locale lungo la catena polipeptidica con specificità funzionali.
I domini sono in genere costituiti da uno o più filamenti amminoacidici,
continui o interrotti, di 100/150 amminoacidi (anche se possono raggiungere i
900 residui). Essi hanno un diametro di circa 20/30A e possono ripiegarsi in
maniera indipendente dalla proteina che li comprende. Possono, alle volte,
mantenere la loro funzione (ad esempio quella catalitica) anche quando
vengono espressi singolarmente.
Il numero massimo di domini, ad oggi trovato su una proteina è di 13. La
struttura quaternaria è formata da più subunità che possono ricordare e simulare
dei domini.
Struttura quaternaria
La struttura quaternaria è l'ultimo stadio dell'organizzazione strutturale della
proteina. La struttura quaternaria non è un alternativa ad una proteina che
possieda una struttura terziaria multidominio. Nel corso dell'evoluzione si può
osservare come più proteine in struttura terziaria si siano unite a formarne una.
È importante quindi non confondere enzimi polifunzionali con proteine
multienzimatiche: i primi sono composti da una sola proteina in struttura
terziaria con più domini, ognuno dei quali possiede un'attività enzimatica
precisa; la proteina multienzimatica, invece, possiede una struttura quaternaria
costituita da più proteine in struttura terziaria, ognuna con attività enzimatica
specifica. Le subunità di una proteina in struttura quaternaria possono essere
svariate, da un minimo di 2 fino anche a 15. possono essere temporanee o
permanenti. Le subunità possono essere tra loro uguali, diverse, uguali due a
due ecc.
L'emoglobina, per esempio è un eterotetramero composto da due omodimeri
(a2b2) che però non interagiscono. Le strutture catalitiche cooperative sono
spesso omodimeri, omotrimeri o più frequentemente omotetrameri.
Il legame tra le varie subunità può avvenire su più lati, quasi sempre sono
superfici idrofobe, poiché, in quanto apolari, in un ambiente acquoso sono più
portate a legarsi tra di loro. Per permettere questo i fold delle varie subunità
devono essere “simili” tra loro, in modo che i siti di legame combacino.
L'insulina in soluzione da luogo ad un esamero, anche se funziona come
monomero. Per legarsi ai recettori dell'insulina si deve slegare l'esamero.
ENZIMOLOGIA
Cinetica chimica
Prima di iniziare la trattazione dell'enzimologia vera e propria è necessario
riprendere alcuni concetti di cinetica chimica. La cinetica è la scienza che studia
le reazioni chimiche in base alla loro velocità.
Consideriamo la reazione non reversibile, aA---->bB
La velocità di reazione è la quantità di reagente [A] consumato nell'unità di
tempo Δt, o viceversa, la quantità di prodotto [B] formato nell'unità di tempo Δt.
V=- Δ[A]/Δt V=Δ[B]/Δt
La velocità può anche essere espressa nel seguente modo V=K[A]m.
È evidente che la velocità è proporzionale alla concentrazione dei reagenti
([A]), mentre K è la costante di velocità. Invece m è l'ordine di reazione ed è
possibile calcolarlo mettendo in un grafico velocità e concentrazione:
stechiometrico
Per reazioni che avvengono in un unico stadio
(no intermedi), m coincide con il coefficiente
stechiometrico di A---> m=a.
K1
Per reazioni più complesse, in generale aA+bB⇄cC+dD
K -1
Possiamo scrivere scrivere
V1= K1 [A]a [B]b e V2=K-1 [C]c [D]d
All'equilibrio avremo che
K1/ K-1=Keq solo dipendente dalla temperatura
Il nostro organismo si muove per
raggiungere l'equilibrio ma lavora in
condizioni di non equilibrio: l'equilibrio e
raggiunto solo nel momento in cui moriamo.
In una qualsiasi reazione chimica A-->B, la
conversione dei reagenti ai prodotti si verifica poiché ad ogni istante dato, una
parte delle molecole di A possiede un'energia necessaria per raggiungere uno
stadio detto stato di transizione: in questo stadio è molto probabile che avvenga
un riarrangiamento che accompagna la reazione da A a B.
Lo stato di transizione si trova all'apice del grafico. L'energia libera della
molecola di A definisce lo stato iniziale, l'energia libera della molecola di B,
quello finale.
La velocità di qualsiasi reazione chimica sarà proporzionale alla concentrazione
delle molecole dei reagenti che possiedono un'energia libera pari a quella dello
stato di transizione. Ovviamente tanto più alta sarà questa energia rispetto
all'energia libera media, più bassa sarà la concentrazione delle molecole che
possiedono tale energia e quindi la reazione sarà più lenta. L'altezza di questa
barriera è detta energia libera di attivazione ΔG.
Esistono due modi per abbassare l'energia di attivazione:
1. aumentando la temperatura e quindi alzando l'energia media delle
molecole dei reagenti;
2. fornendo dei catalizzatori, molecole che legandosi momentaneamente
alle molecole dei reagenti abbassano l'energia dello stato di transizione
L'energia di attivazione in presenza di un catalizzatore è cosi bassa da
aumentare notevolmente la velocità della reazione. La maggior parte dei
catalizzatori sono enzimi.
Cinetica enzimatica
Nelle reazioni catalizzate da enzimi, i reagenti sui quali agisce l'enzima sono
detti substrati(S). il modello più semplice applicabile alla maggior parte (anche
se non a tutte) delle reazioni catalizzate da enzimi è il seguente (avviene in due
tappe):
1. E+S⇄ES
2. ES⇄E+P
dove S è il substrato, P è il prodotto e ed E è l'enzima. ES rappresenta
l'intermedio nel quale il substrato è legato all'enzima.
In una reazione catalizzata da un enzima il substrato viene trasformato
all'interno di una tasca specifica dell'enzima, definito sito attivo, posto
normalmente all'interno della struttura enzimatica. Gli enzimi hanno il sito
attivo posto all'interno della struttura poiché per funzionare ci deve essere un
ambiente desolvatato, ovvero privo di acqua. L'interazione tra substrato e sito
attivo ha nel tempo superato il concetto di chiave-serratura per dare spazio al
concetto di adattamento indotto, processo che precede la catalisi, in cui
generalmente il substrato si attacca all'enzima.
Forniti questi concetti base riguardo agli enzimi torniamo a parlare di cinetica,
questa volta enzimatica. Riprendendo l'equazione generale A-->B e
costruendone il grafico, come abbiamo visto, la velocità di reazione è una retta
di pendenza K e maggiore è la concentrazione di A maggiore è la velocità
(reazioni di ordine primo). Un'analisi simile delle reazioni catalizzate da enzimi,
mostra tuttavia un risultato differente. Ad una bassa concentrazione del
substrato la velocità di reazione appare proporzionale a [S], come dimostrato
dalla tradizionale cinetica, tuttavia, all'aumentare di [S] non aumenta anche la
velocità, ma al contrario, si stabilizza. Ad un'alta concentrazione di [S], la
velocità diventa praticamente indipendente da [S] e si avvicina ad un limite
massimo, Vmax.
In queste situazioni la reazione diventa di “ordine zero” e questo
comportamento è un effetto di saturazione: quando la velocità non mostra
incrementi all'aumentare della concentrazione del substrato il sistema è saturato
dal substrato.
Michealis-Menten (vedi appunti)
Attività enzimatica
Forniamo ora alcune definizioni e concetti basilari per lo studio
dell'enzimologia.
• L'attività enzimatica viene espressa dalla quantità di prodotto, in termini
di µmol, ottenuto da una reazione enzimatica per minuto.
• É definita unità internazionale dell'enzima la quantità di enzima che
catalizza la conversione di 1µmol di substrato in un minuto.
• Viene definito numero di turn-over il numero di moli di substrato che
vengono convertite in prodotto, per mole di enzima nell'unità di tempo.
Il numero di turn- over è espresso da Kcat e Kcat=K2
Da michaelis-menten si ricordi che:
Vmax=K2[Et]
Se K2=Kcat allora:
Vmax=Kcat[Et] e Kcat=Vmax/[Et]
Inibizione enzimatica
Se la velocità di una reazione enzimatica diminuisce o si arresta, la cinetica
della reazione è stata perturbata. Ci troviamo, in questo caso davanti ad una
inibizione enzimatica. Per gli enzimi che seguono la cinetica di M-M (non
allosterici) esistono due tipi di inibizioni, quella competitiva e quella non
competitiva.
Gli enzimi possono essere inibiti da molecole (inibitori) che inibiscono la loro
attività in termini di Km e Vmax.
La regolazione enzimatica avviene spesso ad opera di molecole che agiscono su
enzimi che catalizzano reazioni irreversibili.
La reversibilità come concetto biochimico assume il seguente significato: una
reazione è biochimicamente reversibile quando è possibile passare dai reagenti
ai prodotti e viceversa mediante la stessa reazione catalizzata dallo stesso
enzima. Nel caso contrario la reazione è irreversibile. (se non stoppo il prodotto
di un enzima irreversibile posso finire il substrato, mentre se l'enzima è
reversibile no). Si noti che da un punto di vista teorico (spesso anche pratico)
che non esistono reazioni irreversibili.
Torniamo ora a parlare dei due metodi di inibizione.
Inibizione competitiva
L'inibizione competitiva è caratterizzata dalla presenza di una molecola,
l'inibitore, che si lega all'enzima libero nello stesso sito attivo in cui si lega il
substrato. Per potersi legare nello stesso sito attivo nel quale si può legare il
substrato, l'inibitore deve avere caratteristiche strutturali molto simili a quelle
del substrato. Poiché entrambe le molecole potrebbero potenzialmente legarsi al
sito attivo dell'enzima il processo è competitivo, in quanto l'enzima si legherà
ad una o all'altra molecola e mai ad entrambe contemporaneamente.
Ovviamente il complesso enzima-inibitore EI non reagirà per dare il prodotto.
Per “eliminare” l'inibizione competitiva è necessario
“favorire” nella competizione il substrato aumentandone la
concentrazione.
Confrontiamo adesso le velocità di reazione nel caso ci fosse inibizione e nel
caso non ci fosse.
Nel caso in cui non c'è inibizione la formula della velocità secondo M-M è
V=(Vmax[S])/(Km+[S])
Mentre nel caso di una reazione con inibizione abbiamo:
Aumentando il denominatore la velocità diminuisce. Si noti che le molecole
dell'inibizione competitiva vanno ad alterare il valore di Km lasciando
inalterato quello di Vmax. (vedi schema quaderno)
Aumentando la Km aumenta anche la pendenza del grafico (iperbole) difatti si
raggiunge prima la Vmax perchè c'è meno enzima.
Inibizione non competitiva
Nell'inibizione non competitiva l'inibitore
interagisce con un sito diverso dal sito attivo
dell'enzima, modificandone la conformazione.
L'inibitore va ad interagire sia con l'enzima libero,
sia con il complesso enzima-substrato. Se l'inibitore
si lega al primo, l'enzima non può legarsi al substrato, mentre se l'inibitore si
lega al secondo il complesso enzima-substrato non rilascia S per formare il
prodotto.
Questo tipo di inibizione altera la Vmax della reazione, ma lascia inalterata la
Km
Attività enzimatica (2)
Gli enzimi possiedono tre principali caratteristiche:
1. specificità;
2. saturabilità;
3. inibilità.
Inoltre esistono diversi meccanismi catalitici:
• distorsione del substrato, quando il substrato si adatta al sito attivo, si
stirano o comprimono i legami che poi andranno ad essere rotti per la
formazione di altri;
• riduzione entropia e orientazione dei substrati;
• desolvatazione, cioè l'allontanamento delle molecole d'acqua;
• riduzione della diffusione nei complessi multienzimatici.
La catalisi può realizzarsi grazie al contributo di varie strategie:
• aumento dell'energia libera del substrato;
• diminuzione dell'energia libera dello stato di transizione, situazione che si
verifica dal momento in cui si destabilizza lo stato fondamentale, ad
esempio inserendo un ligando polare in un sito apolare;
• cambiamento del percorso di una reazione, ad esempio portando la
reazione da uno a più stadi che prevedono la formazione di intermedi.
Se viene cambiato il percorso di una reazione può essere utile, per il procedere
della reazione stessa, stabilizzare gli stati di transizione attraverso un legame
del sito attivo più saldo nei confronti degli intermedi che nei confronti dei
substrati.
Classificazione degli enzimi
La classificazione è effettuata ad opera dell'international union of biochemistry
(IUB). Gli enzimi sono denominati e classificati in base alle reazioni che
catalizzano. La nomenclatura degli enzimi deriva dal nome del substrato a cui si
aggiunge -asi. Alcuni enzimi, però, hanno nomi di fantasia.
Esistono sei classi di enzimi:
Ossidoresuttasi
Questa classe di enzimi catalizzano reazioni di ossidoriduzione. Essi agiscono
su substrati diversi, in particolare sui seguenti gruppi funzionalità
-C-OH
-C=O
-C=C
Molti enzimi di questa classe sono
-C-NHx
deidrogenasi, altri sono chiamati
-NADH
ossidasi, perossidasi, ossigenasi o
-FADH
riduttasi.
Un esempio di questa classe è la lattato deidrogenasi.
É evidente che la lattato deidrogenasi sia una ossidoreduttasi perchè ossida il
lattato a piruvato e riduce il NAD a NADH
Transferasi
Questa classe di enzimi catalizza reazioni di trasferimento di gruppi funzionali.
Agiscono sui:
gruppi ad un atomo di carbonio
-C=O
gruppi alchilici
gruppi fosforici
gruppi glicosilici
gruppi contenenti S
Molti richiedono la presenza di coenzimi (tipo l'ATP). Una parte della molecola
del substrato si unisce con un legame covalente a questi enzimi o ai loro
coenzimi. Appartengono a questa classe le chinasi e le transferasi.
Un esempio è la glicogeno fosforilasi chinasi
La glicogeno fosforilasi chinasi trasferisce un gruppo fosfato sul glicogeno
fosforilasi, un enzima, che però in questa reazione si comporta da substrato,
trasformandolo in glicogeno fosforilasi-fosfato.
Idrolasi
Catalizzano reazioni di idrolisi di legami.
Agiscono sui:
gruppi esteri
legami glicosidici anidridi acide
legami peptidici legami C-N
Fanno parte di questa categoria le amilasi,proteasi,fosfatasi ecc.
Un'esempio è la glicogeno sintasi fosfatasi
La glicogeno sintasi fosfatasi idrolizza il legame che lega la glicogeno sintasi al
gruppo fosfato. Anche in questo caso siamo in presenza di un enzima che
svolge la funzione di substrato.
Liasi
Catalizzano la rottura non idrolitica e non ossidativa.
Agiscono su
-C=C
-C=O
-C=Nx
Le liasi possono addizionare gruppi a doppi legami o formare doppi legami
mediante la rimozione di gruppi (spesso viene rimossa una molecola d'acqua)
fanno parte di questa categoria le anidrasi
Un'esempio è L'anidrasi carbonica
Isomerasi
Catalizzano le reazioni di isomerizzazione. Ne fanno parte una sola classe le
racemasi.
Ligasi
Catalizzano la formazione di un legame tra due substrati. Queste reazioni
richiedono l'energia chimica dell'ATP.
Agiscono su:
-C-O
-C-S
-C-N
-C-C
Le ligasi sono spesso indicate come sintetasi o sintasi.
Un esempio è l'acetil-SCoA sintetasi.
L'enzima catalizza la reazione che unisce il gruppo acetato al CoASH
Proteine ed enzimi allosterici
Queste proteine ed enzimi hanno spesso una struttura quaternaria. Sono molto
frequentemente siti di regolazione e inoltre se sono organizzati in più subunità
non seguono l'equazione di M-M. Gli enzimi allosterici sono enzimi che
presentano più siti attivi, che funzionano da interuttori. A questi siti attivi
possono legarsi il substrato ed una molecola detta effettrice (anch'essa un
substrato). Quando l'effettore si lega (legame reversibile non covalente)
all'enzima, ne modifica la conformazione (struttura), determinando una
maggiore o minore affinitá dell'enzima per il suo substrato. In caso questo
determini una maggiore affinitá(diminuzione Km), si parlerá di regolazione
positiva poiché il legame dell'effettore comporterá un incremento dell'attivitá
enzimatica; qualora si determini una minore affinitá(aumento km), si parlerá di
regolazione negativa, poiché l'enzima non sará in grado di legare efficacemente
il suo substrato e quindi la reazione non potrá avvenire. Questo viene detto
effetto cooperativo.
In generale, enzimi allosterici formati da più subunità che godono dell'effetto
cooperativo hanno un significato regolatorio. Permettono di regolare
l'andamento della reazione avanti ed indietro per risparmiare metaboliti.
Regolazione enzimatica
Esistono tre vie per regolare, cioè attivare o inibire, un'enzima
1. Regolazione allosterica;
2. Regolazione covalente;
3. Regolazione ormonale.
Il primo meccanismo, la regolazione allosterica è stata appena trattata.
Regolazione covalente
La regolazione covalente è l'esito del legame covalente di effettori che portano
alla modifica della molecola enzimatica, per cui l'enzima lega meglio o peggio
il substrato.
Ne sono esempi la fosforilazione e la metilazione: la fosforilazione è l'aggiunta
di un gruppo fosfato e spesso questa modifica cambia la polarità della molecola
modificata. La metilazione di alcuni enzimi invece porta alla metilazione di
alcuni enzimi invece porta alla metilazione del DNA che causa modificazioni
post-traduzionali irreversibili.
(se un enzima viene fosforilato può attivarsi o inibirsi dipende dal tipo
d'enzima).
Regolazione ormonale
La regolazione ormonale è invece mediata da ormoni. Ne sono un esempio
l'insulina e il glucagone, due ormoni che sono in grado di regolare molti enzimi
attraverso legami recettore-mediati. Attraverso l'interazione con i recettori di
membrana, il glucagone porterà ad una serie di reazioni che porteranno a loro
volta alla fosforilazione di un enzima dentro la cellula, mentre l'insulina ne
causerà la defosforilazione.
Lo schema evidenzia come all'arrivo del glucagone, egli interagisca con il
recettore portando ad una serie di reazioni che attivano una chinasi (transferasi)
che trasferice un gruppo fosfato da una molecola di ATP al substrato, in questo
caso un'enzima e lo fosforila attivandolo. Il glucagone da il via a il processo che
porta, in questo caso, all'attivazione tramite fosforilazione di un enzima.
L'insulina svolge il meccanismo opposto attivando una fosfatasi (idrolasi) che
stacca il gruppo fosfato, inattivando l'enzima. Questo meccanismo di
regolazione enzimatica, in cui i due ormoni sono l'insulina e il glucagone, è il
meccanismo che regola il livello di glicemia nel sangue e l'enzima è la
glicogeno fosforilasi (transferasi) e la glicogeno sintasi (transferasi).
Il grafico mostra la regolazione della glicemia, ovvero come i due ormoni,
glucagone ed insulina, entrino in gioco regolando due diversi enzimi.
Analizziamo il ciclo con un esempio pratico: siamo in presenza di un organismo
non allenato in condizioni di attività fisica; per un individuo in condizioni
normali la glicemia è di circa 100 mg/ml. Dopo 20/25minuti di attività fisica la
glicemia dell'organismo in esame è scesa a 80/85 mg/ml. Interviene quindi il
glucagone, un ormone, che come sappiamo, ha il compito di alzare nuovamente
la glicemia, attraverso la glicogenolisi: questa via metabolica viene attivata
quando nell'organismo non vengono introdotti zuccheri per molto tempo e si ha
la necessità di attingere dalle riserve, cioè il glicogeno. Il glicogeno epatico
deve essere però scisso in molecole di glucosio: il glucagone attiva un'enzima,
una cinasi, che fosforila la glicogeno fosforilasi, un enzima che solo nella forma
fosforilata è attivo. La glicogeno fosforilasi fosforilata demolisce il glicogeno in
glucosio alzando la glicemia.
Viceversa quando la glicemia si alza, quando si assume molto zucchero, viene
rilasciata in circolo l'insulina. Per essere alta la glicemia deve essere di 120mg/l.
Siamo in una situazione in cui abbiamo molto glucosio in circolo e quindi
produrne altro demolendo glicogeno non avrebbe senso. Quindi l'insulina attiva
un enzima, una fosfatasi, che defosforila una molecola di glicogeno sintasi,
attivandola. In questo modo viene prodotto glicogeno.
Isoenzimi
Gli isoenzimi sono enzimi che catalizzano le medesime reazioni(c'è ne sono
molti), pur avendo strutture diverse. Le diverse strutture fanno si che essi
abbiano diverse affinità per lo stesso substrato in quanto hanno diverse Km.
Gli isoenzimi si trovano distribuiti in maniera differente nei diversi tessuti: la
diversa Km fa si che la stessa reazione proceda a velocità differenti. La
presenza di più isoenzimi fa si che l'organismo scelga quale molecola usare per
catalizzare meglio la reazione. La lattato deidrogenasi, LDH, è presente sotto
forma di cinque isoenzimi.
La LDH è costituita da 4 subunità (strutt quaternaria-->allosterico) che possono
essere di tipo H (heart) o di tipo M (muscle)
• LDH1 (H4) è prevalente nel miocardio e nei globuli rossi. Presente anche
nella corteccia renale e nel muscolo scheletrico.
LDH2 (H3M1) è prevalente nel miocardio e nelle emazie, oltre ad essere
presente nel pancreas, corteccia renale, polmone e muscolo scheletrico.
• LDH3 (H2M2) è presente in polmoni, placenta, muscolo scheletrico e
pancreas.
• LDH4 (H1M3) si trova nella midollare renale, muscolo scheletrico,
polmone e placenta.
• LDH5 (M4) è caratteristico de muscolo e del fegato. Presente anche nella
midollare renale e nel pancreas.
Il riconoscimento di uno o dell'altro substrato a seconda dell'isoenzima
favorisce la formazione di uno o dell'altro substrato: nei muscoli viene prodotto
acido lattico e quindi nei muscoli sarà favorita la reazione <---, da piruvato a
lattato; nel fegato è favorita la reazione ---> da lattato a piruvato. Per spiegare il
fenomeno basta pensare che nel muscolo, in cui è presente acido lattico, si
osserva sempre un consumo di quest'ultimo: è necessario una continua
produzione di lattato. Le subunità di tipo H riconoscono bene il lattato, le
subunità M il piruvato.
•
Proenzimi
Alcuni enzimi vengono sintetizzati come precursori inattivi e vengono definiti
proenzimi. I proenzimi vengono attivati (per proteolisi di una parte inibente)
solo nelle zone e/o nelle condizioni che ne richiedono l'attività. Ad esempio la
proteasi tripsina viene prodotta nel pancreas ed è attivata nel lume intestinale;
analogamente i fattori enzimatici della coagulazione sono sempre presenti nel
plasma ma vengono attivati solamente quando si verifica un danno tissutale.
Se l'interazione enzima-substrato avviene per la formazione di legami ad
idrogeno occorre che le energie in gioco siano tali da permettere la rimozione
dello strato d'acqua di solvatazione da entrambi.
Si ricordi che, in genere, i legami idrofobici sono responsabili dell'affinità di
legame mentre i legami ad idrogeno sono responsabili della specificità di
legame.
Attività enzimatica (3)
Alla base delle”classiche” caratteristiche biochimiche ci sono ragioni strutturali
per cui la catalisi è frutto di fattori chimici (come le proprietà degli
amminoacidi presenti nel sito attivo) e fattori fisici (come la complementarietà
sterica). La geometria del sito attivo è infatti tale da permettere il contrapporsi
e/o l'avvicinamento di reagenti in maniera ottimale, spesso l'unica maniera
possibile per consentire un andamento produttivo della reazione: parliamo
quindi di sottosito di specificità e sottosito di reazione.
Per favorire l'ingresso ed il legame di substrati intorno ai siti attivi si generano
spesso campi elettrostatici.
Abbiamo tre casi:
Nel primo caso, quello delle coppie elettrostatiche, abbiamo cariche opposte tra
la superficie aderente al sito attivo dell'enzima e il substrato: quest'ultimo viene
attratto per l'attrazione tra le due cariche opposte. Nel secondo caso la
differenza di cariche si trova da una parte all'altra della superficie aderente al
sito attivo che permette un movimento che facilita l'entrata del substrato. Nel
terzo caso invece la differenza di cariche è sia sulla superficie aderente al sito
attivo, sia sul substrato che viene intrappolato all'interno.
L'acqua è fondamentale per veicolare gran parte dei substrati verso il loro sito
attivo. Tuttavia molte reazioni non possono procedere in ambiente acquoso: per
questa ragione si sono sviluppate strategie catalitiche particolari, come quelle
presenti in alcune deidrogenasi (in cui si ha il trasferimento di uno ione idruro
instabile in acqua) che prevedono cambiamenti conformazionali del tipo apertochiuso. Per capire tutto questo prendiamo in esame l'LDH(lattato deidrogenasi).
L'LDH è un enzima piuttosto lento in quanto ha un numero di turn-over
(numero di reazione catalizzate da una mol di enzima nell'unità di tempo)
di 103/sec. Si è stimato che per permettere al substrato di entrare il loop deve
spostarsi di almeno 1nm: la velocità sarà quindi
V=1nm/(103/sec)= 3,6x10-6Km/H.
L'LDH funziona grazie alla riduzione di NAD+ a NADH. Nell'enzima quindi si
entrano sia lattato che NAD+; l'enzima si chiude, avviene la reazione ed escono
piruvato e NADH.
Enzimi polifunzionali
Un enzima è detto polifunzionale quando catalizza più di una reazione; spesso
gli enzimi polifunzionali sono bifunzionali. Si distinguono tre tipologie
strutturali di enzimi polifunzionali:
1. l'enzima possiede un solo sito attivo in quanto svolge due attività
catalitiche successive che sono una la continuazione della precedente;
2. l'enzima possiede due diversi siti attivi presenti su un unica catena
polipeptidica o su più subunità. Anche in questo caso le due attività
catalitiche sono spesso una la continuazione della precedente. In queste
strutture il prodotto intermedio (che fungerà da substrato per la seconda
reazione) deve diffondersi nel mezzo per raggiungere il secondo sito dove
viene completata la sua trasformazione. Questa struttura è vantaggiosa
solo per una eventuale regolazione comune a livello di espressione genica
o nel caso di siti attivi contrapposti;
3. l'enzima presenta due o più siti attivi presenti su un unica catena
polipeptidica o su più subunità. Questi siti attivi sono, in questo caso,
collegati da uno o più canali , detti tunnel: la presenza di questi tunnel è
necessaria in quanto il prodotto intermedio, frutto della prima reazione,
spesso non è carico e quindi tenderebbe a perdersi nel cammino verso il
secondo sito attivo o perchè risulterebbe particolarmente instabile in
soluzione acquosa.
Coenzimi
Molti enzimi necessitano dell'aggiunta di particolari molecole per svolgere la
loro attività catalitica: queste molecole prendono il nome di coenzimi. I
coenzimi sono molecole non proteiche, ma tuttavia essenziali per l'attività
enzimatica. Sono spesso di origine vitaminica e hanno tipicità di azione. I
coenzimi vengono utilizzati come veri e propri substrati, cioè vengono
trasformati dall'enzima; enzima a cui possono essere legati covalentemente.
Se il coenzima è legato covalentemente ad un sito attivo, la struttura prende il
nome di gruppo prostetico. Per definizione un gruppo prostetico è una molecola
di natura non proteica legata covalentemente ad una proteina o ad un enzima.
Il gruppo prostetico resta saldamente legato alla proteina (enzima) e non se ne
distacca facilmente.
Analizziamo ora alcuni tra i coenzimi più importanti.
NAD+ e NADH
Nicotinammide-Adenina-Dinucleotide
Il NAD+/NADH è composto da varie parti
La nicotinammide si lega al ribosio mediante un legame N-glicosidico. Il
legame N-glicosidico interessa il carbonio anomerico dello zucchero, cioè il
carbonio in posizione 1. inoltre il ribosio lega un gruppo fosfato inorganico
mediante un legame fosfoestere. Questa struttura (nicotinammide+ribosio+P) è
un nucleotide in quanto è formato da una base azotata, uno zucchero ed un
gruppo fosfato. Sucessivamente mediante un legame fosfoanidridico viene
legata un altra struttura composta da adenosina monofosfato AMP.
Il NAD+/NADH presenta la sua parte funzionale nella nicotinammide che può
ossidarsi o ridursi. Per capire il ruolo del NAD prendiamo nuovamente in
esame la reazione da lattato a piruvato catalizzata dalla LDH.
Dal lattato vengono trasferiti due atomi di idrogeno e due elettroni. Questi due
atomi di idrogeno danno luogo ad uno ione idruro, e ad un protone libero. Lo
ione idruro da origine ad una reazione di attacco nucleofilo su un carbonio della
nicotinammide con conseguente delocalizzazione elettronica.
FAD+ e FADH2
Flavina-Adenosina-Dinucleotide
Come il NAD+/NADH il FAD+/FADH2 è composto da varie parti: sono infatti
presenti per primi tre anelli organici condensati che prendono il nome di gruppo
isoallosazinico o flavina. Tramite uno dei due atomi di azoto dell'anello centrale
della flavina, quest'ultima è legata al ribitolo, molecola a cinque atomi di
carbonio derivante dal ribosio. Questa struttura prede il nome di riboflavina ed è
legata a sua volta ad un gruppo fosfato inorganico diventando così un
nucleotide, il Flavin-Mono-Nucleotide, FMN.
Mediante un legame fosfoanidridico è possibile legare al FMN, un AMP,
adenosina monofosfato.
Il passaggio da forma ossidata, FAD+ a forma ridotta, FADH2 è diverso rispetto
a quello del NAD+/NADH in quanto gli atomi di idrogeno presi dal FAD
possono essere uno o due. Il gruppo funzionale risiede nella flavina.
CoA
Coenzima A
Emoglobina e miolobina
L'emoglobina e la mioglobina sono due molecole trasportatrici di ossigeno. Non
sono enzimi ma hanno notevoli affinità cinetiche, nel loro legame con
l'ossigeno, con gli enzimi. La mioglobina segue l'equazione di M-M, mentre
l'emoglobina ha un andamento cooperativo e pertanto segue una curva
sigmoide. Queste due proteine hanno diverse affinità: entrambe presentano
strutture aventi un fold globinico (sono globulari) composto da 8 α-eliche, che
hanno angoli di legame l'uno rispetto all'altro di 50°/90°. inoltre in superficie
sono presenti amminoacidi con catene laterali polari. Possiedono tuttavia alcune
differenze, l'emoglobina presenta quattro subunità, mentre la mioglobina ne
possiede solo una.
Analizziamole una per una singolarmente
L'emoglobina è un tetramero formato da 4 subunità proteiche: 2α e 2β, α 2 β2.
L'emoglobina è quindi una proteina in struttura quaternaria, un eterotetramero
composto da due omodimeri.
Ognuna della quattro subunità lega nel proprio core idrofobico un gruppo non
proteico, definito gruppo eme (la mioglobina ne ha uno solo). Il gruppo eme è
composto da uno ione ferroso Fe2+ centrale. Lo ione ferroso all'interno del
gruppo eme forma sei legami di coordinazione: quattro legami sono formati con
gli atomi di azoto che giacciono sul piano del gruppo eme, gli altri due legami,
sono invece ortogonali al piano del gruppo eme, e permettono il legame tra il
ferro e la catena proteica tramite un atomo di azoto dell'amminoacido istidina, e
l'ossigeno da trasportare.
Emoglobina e mioglobina sono proteine di trasporto dell'ossigeno.
L'emoglobina è presente negli eritrociti, mentre la mioglobina nelle cellule
muscolari.
Come detto prima queste due proteine hanno una cinetica simile agli enzimi ed
in particolare, l'emoglobina ha affinità con gli enzimi allosterici a più subunità,
mentre la mioglobina segue la cinetica di M-M: l'emoglobina lega l'ossigeno in
maniera cooperativa (come un enzima allosterico) e infatti la velocità di
reazione mostra una curva sigmoide, tipica degli enzimi allosterici. La
mioglobina presenta la velocità di reazione come un iperbole.
La particolare curva sigmoide dell'emoglobina (a saturazione), può essere
spiegata ammettendo che, in seguito al legame con l'ossigeno, lo ione ferroso, si
muova verso il centro del piano dell'eme, trascinando con sé la catena peptidica
legata tramite il residuo i istidina. Tale movimento porta alla rottura dei legami
deboli che tengono unite, le une alle altre, le catene α e β del tetramero
dell'emoglobina, rendendo la struttura più “mobile” ma sempre unita. Di
conseguenza gli altri tre ioni ferrosi (legati ai restanti gruppi eme) risultano più
liberi di muoversi legandosi con maggiore facilità all'ossigeno. Le diverse
subunità dell'emoglobina sono legate da legami ad idrogeno, ponti salini e
interazioni idrofobiche. Per riassumere il legame dello ione ferroso all'ossigeno
comporta un minimo anche se significativo spostamento che consente un
miglior riconoscimento e avvicinamento (e quindi legame) degli ioni ferrosi
restanti con altrettante molecole di ossigeno: effetto cooperativo.
Lo stesso fenomeno si riscontra nel rilascio dell'ossigeno: la prima molecola di
ossigeno a staccarsi causa uno spostamento del gruppo eme a cui era attaccata.
Questo spostamento provoca uno spostamento anche negli altri gruppi eme che
così facendo, tendono a rilasciare la molecola di ossigeno meglio e più
velocemente.
Un aumento di acidità a livello tissutale, causato dalla produzione di CO 2,
principalmente a livello del ciclo di Krebs, e la presenza negli eritrociti di 2,3
bis-fosfo-glicerato (BPG) diminuiscono l'affinità dell'emoglobina per l'ossigeno
assicurandone il rilascio dove e quando necessario. Questo è l'effetto Bohr.
L'effetto Bohr è quindi un modo per spostare a destra la curva di saturazione
dell'emoglobina. Ma come può la diminuzione del pH (aumento acidità)
influenzare l'affinità dell'ossigeno nei confronti dell'emoglobina?
Diminuzione pH= aumento protoni.
L'aumento dei protoni ha come conseguenza una protonazione di specie che
precedentemente non lo erano. Queste specie protonate formano una serie di
ponti salini tra le subunità della molecola proteica che portano all'irrigidimento
della struttura. Grazie a questo irrigidimento l'ossigeno non potrà più essere
legato e, anzi, verrà rilasciato con maggiore facilità. L'aumento dei protoni è
“dato” dal rilascio di CO2 (ciclo di Krebs) e le elevate quantità di anidrasi
carbonica, una liasi che catalizza la reazione H2O+ CO2⇄H2CO3.
Le attività fisiologiche richiedono uno spostamento della curva verso destra
ancora più marcato: questo fatto è permesso dalla presenza in elevate
concentrazioni di 2,3 bis-fosfo-glicerato (BPG), molecola fortemente acida.
Cosa succede quindi ai tessuti e ai polmoni?
L'emoglobina trasporta ossigeno(O2) dai polmoni ai tessuti e CO2 dai tessuti ai
polmoni. I tessuti devono ricevere ossigeno(O2): la CO2 presente si scioglie nel
sangue e lo acidifica, in quanto reagendo con acqua forma H2CO3 che
dissociandosi libera protoni. I protoni e la bassa pressione dell ossigeno(O 2)
determinano il rilascio di quest'ultimo a livello tissutale.
I polmoni devono ricevere CO2: la CO2 viene espirata e ciò porta ad un
abbassamento della concentrazione di protoni nel sangue e al rilascio di H +
dall'emoglobina che si carica di ossigeno. Gli ioni si ricombinano con HCO 3per dare CO2 che viene espirata insieme all'acqua.
La mioglobina è formata da una sola subunità proteica (terziaria) e si trova nelle
cellule muscolari. Qui riveste il ruolo di riserva di ossigeno per la contrazione
muscolare. Anche la mioglobina lega ossigeno grazie ad uno ione ferroso del
gruppo eme. La mioglobina, essendo costituita da una sola subunità, non
presenta effetto cooperativo nel legame con l'ossigeno e di conseguenza la sua
curva di saturazione è un iperbole.
Il legame della mioglobina con l'ossigeno è del tipo o tutto o nulla: la
mioglobina è completamente saturata dall'ossigeno alla pressione di (O2) alla
quale l'emoglobina cede l'ossigeno ai tessuti. La mioglobina cede ossigeno
quando il muscolo si contrae attivamente e la pressione scende molto al di sotto
dei valori normali, in quanto le cellule muscolari consumano molto rapidamente
ossigeno per produrre ATP.
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