I TOTALITARISMI Il fascismo La situazione dell’Italia nel dopoguerra non era per niente migliorata. Continuavano i contrasti sociali, gli squilibri tra la città e la campagna, la debolezza dello Stato liberale, la ritardata industrializzazione, l’arretratezza del Mezzogiorno (sud Italia), la forte povertà di gran parte del paese. A tutto ciò si aggiungeva un malcontento generale di come era finita la guerra. Così tra il 1919 e il 1920 si susseguirono una serie di lotte e rivendicazioni sociali (biennio rosso). Lo Stato liberale era, inoltre, attaccato dalle destre nazionaliste (più estreme), che lo accusavano di non saper reagire adeguatamente alla minaccia comunista e di non aver conseguito dalla vittoria contro l’Austria, ciò che effettivamente doveva (Istria, Dalmazia, Albania). Da questa generale crisi del primo dopoguerra, approfittò il movimento fascista, fondato nel 1919 a Milano da Benito Mussolini che, dopo una fallimentare partecipazione alle elezioni, passò all’uso della forza per ricevere consensi. Esso, infatti, organizzò azioni intimidatorie contro i socialisti e si unì ai proprietari agrari della pianura padana. I liberali pensarono, a questo punto, di potersi servire dei fascisti per avere la meglio sulle opposizioni di sinistra, e, così, crearono per le elezioni del 1921, una lista di coalizione con candidati fascisti. In tal modo i fascisti entrarono in parlamento e nel dopo alcuni mesi si trasformavano in Partito nazionale fascista, dimostrando, così, la volontà di Mussolini di far del fascismo una grande forza politica che conquistasse il potere. Dimostrazione di ciò fu il 28 ottobre 1922 la marcia su Roma allo scopo di costringere il re Vittorio Emanuele III ad affidare a Mussolini l’incarico di primo ministro. Il re scelse di non fare intervenire l’esercito e di cedere alle pressioni. Si apriva così il ventennio fascista. Mussolini portò avanti sempre più un processo di “fascistizzazione” dello Stato a tutti i livelli: cancellò pian piano tutte le libertà individuali e politiche, costrinse le opposizioni al silenzio, sottopose gli organi di stampa a rigida censura, plasmò a sua immagine la società controllando anche il tempo libero delle persone, l’educazione scolastica e bloccando qualsiasi trasformazione. Tutto era inquadrato in un sistema d’irreggimento (militare). IL dopoguerra e la fragilità dello Stato liberale L’Italia era uscita vincitrice dal conflitto ma era allo stesso tempo molto provata dallo stesso e attraversata da forti tensioni sociali. Il gruppo dei nazionalisti (destra più estrema) era rimasto deluso dei possedimenti territoriali guadagnati dalla vittoria con l’Austria (Friuli e Trentino Alto Adige), esso parlava di “vittoria mutilata” (espressione di D’Annunzio). Tra coloro che appoggiavano la destra nazionalista c’erano molti reduci della guerra che avevano difficoltà a reinserirsi nella società e, quindi, erano insoddisfatti e disprezzavano la società borghese che non trovava un posto per loro. I prezzi aumentavano sempre più e i salari restavano uguali, per cui tutto il ceto medio degli operai s’impoveriva. Il malumore veniva ad alimentare gli iscritti ai sindacati, sia alla Confederazione generale del lavoro (socialista), sia alla Confederazione italiana dei lavoratori (cattolica). A partire da una manifestazione a La Spezia, sorsero in tutta Italia una serie di insurrezioni spontanee( alimentari svuotate) e nelle campagne del sud i contadini occuparono le terre. Tali scontri sociali durarono per ben due anni e presero il nome di biennio rosso(perchè d’ispirazione socialista). Il punto debole di tali rivolte fu la loro spontaneità: esse non erano ben organizzate e non seppero mai progettare un unico movimento di protesta di operai e contadini. P A La situazione mutò, quando, a Torino e a Milano, a partire dalla primavera del 1920, gli operai occuparono le fabbriche e, cioè, le autogestivano contro la volontà degli imprenditori che le avevano forzatamente chiuse(in seguito alle richieste di turni lavorativi e salari migliori). Questi operai trovarono subito l’appoggio della ferrovia che non vi trasportavano le truppe militari e, invece, vi portavano materiale da lavorare. In tal modo si evidenziava un totale rifiuto dell’ordine costituito. Nelle elezioni del novembre del 1919, emerse con chiarezza la debolezza dello Stato liberale: i socialisti e i popolari avevano ottenuto la maggioranza. Il partito popolare era stato fondato da don Luigi Sturzo, sacerdote siciliano, nel 1919, era d’ispirazione cattolica ma aperto alle riforme sociali a vantaggio di contadini e operai. Per reagire all’imminente crisi politica, la classe liberale chiamò Giolitti (quasi ottantenne) ad assumere la carica di primo ministro( fidando nel suo prestigio). Giolitti attuò, stavolta, una politica attendista, cioè di attesa dell’esaurimento spontaneo dei moti operai, visto che essi non avevano nessuna guida politica unitaria. Inoltre, una commissione composta da rappresentanti di operai e di imprenditori si accordò per aumenti dei salari . in tal modo le occupazioni delle fabbriche cessarono. All’interno del Psi si era creata una scissione che portò alla nascita del Pci (partito comunista italiano) nel 1921, che aveva come modello la rivoluzione russa. Il Pci si riunì intorno ad Antonio Gramsci. Dal “biennio rosso”, quindi, le sinistre uscivano indebolite, soprattutto perché l’opinione pubblica iniziava ad avere paura che avvenisse quanto era accaduto in Russia in seguito alla rivoluzione bolscevica. “La paura dei rossi” aiutò la diffusione del fascismo. Oltre alle forze di sinistra erano, perciò, contro lo Stato liberale: - gli ex-interventisti; - i nazionalisti; - i reduci di guerra. Tutti accomunati dal considerare lo Stato liberale colpevole della diffusione del socialismo per estrema debolezza di fondo. Occorreva, invece, uno Stato forte. Le origini del fascismo Il 23 marzo del 1919, Mussolini, ex socialista, espulso in seguito al suo schieramento a favore dell’intervento dell’Italia nel primo conflitto mondiale, fondò a Milano il movimento dei Fasci di combattimento con un programma un pò confuso che prevedeva: - riforme radicali antimonarchiche; - forte nazionalismo; - antisocialismo; - dottrina dell’azione, spesso violenta. Dopo , però, la fallimentare partecipazione alle elezioni del ’19, in cui non ottennero neanche un seggio, Mussolini cambiò programma, togliendo le posizioni antimonarchiche, le riforme sociali e creando delle squadre d’azione al fine di spedizioni punitive contro qualsiasi oppositore. I primi luoghi d’azione delle squadre fasciste furono le campagne padane, in cui i contadini si erano ribellati ai proprietari terrieri. P A Dallo squadrismo derivò l’assalto di tutte le organizzazioni e le istituzioni socialiste (leghe contadine, camere del lavoro, case del popolo), che vennero distrutte e incendiate. Tutti i dirigenti e i militanti (sostenitori ) socialisti furono picchiati a sangue e spesso assassinati. Lo squadrismo si diffuse presto in tutto il centro nord e fu appoggiato da ex combattenti, da studenti e dalla piccola borghesia che alimentava rancori socialisti. Il finanziamento derivava dagli agrari e la polizia con il governo acconsentivano tacitamente alla sua azione. Giolitti stesso pensava di utilizzare le squadre fasciste in funzione antisocialista e antisindacale e poi assorbirle entro il partito liberale. Proprio per questo pensiero di Giolitti, alle elezioni del maggio 1921, candidati fascisti furono inclusi nelle liste di coalizione insieme ai liberali, per evitare, inoltre, la nuova vittoria di socialisti e popolari. in realtà, socialisti e popolari ottennero sempre successo, ma, a differenza delle elezioni precedenti, anche 35 deputati fascisti poterono entrare in parlamento. Giolitti dovette dare le dimissioni. Nel novembre 1921 il fascismo da movimento diviene partito: Mussolini mostra come aveva intenzione di prendere le redini del governo come forza autonoma. Il partito nazionale fascista non rinunciò all’uso della violenza. Pestaggi, intimidazioni e incendi erano tollerati da polizia e carabinieri. Dinanzi a questi fenomeni di violenza sempre più frequenti e tollerati, le sinistre proclamarono uno sciopero generale “legalitario”, finalizzato alla difesa delle libertà costituzionali contro il disordine e la violenza. A questo punto, il fascismo esce fuori tutta la sua forza, unifica tutte le squadre paramilitari in un unico esercito e fa aggredire tutti gli scioperanti, li fa ricondurre al lavoro o spesso li fa sostituire dai fascisti stessi. In sostanza, i fascisti si proponevano come garanti dell’ordine e dell’efficiente funzionamento della vita civile. Essi si sostituivano largamente allo Stato liberale di fatto, debole e incapace di risolvere i problemi. La prova decisiva di quanto detto si ebbe il 28 ottobre del 1922, quando i fascisti (50.000), marciarono su Roma per imporre la propria forza, e non furono bloccati da nessun esercito regio. Anzi, Vittorio Emanuele III mandò a chiamare Mussolini, che attendeva a Milano, e gli diede l’incarico di formare il nuovo governo. I liberali si illudevano, però, di far entrare i fascisti nella loro stessa lista e, proprio per questo, diedero la fiducia al governo retto da Mussolini. Mussolini al potere, inizialmente si tenne in apparenza all’interno del sistema politico liberale, ne rispettava le leggi e la tradizione, per non perdere i consensi dei liberali stessi e dei cattolici. In realtà, egli avviava un processo di “fascistizzazione” dello Stato italiano con i seguenti provvedimenti: - sottrazione al parlamento di numerose funzioni (tributaria, amministrativa e burocratica) che venivano, di contro, affidate al governo; - istituzione del Gran Consiglio del fascismo all’interno del Partito nazionale fascista (Pnf), di modo che era il governo ad indicare al partito gli obiettivi da raggiungere e come coordinare le diverse attività; -creazione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, corpo paramilitare per garantire la difesa del regime; - istituzione con la legge elettorale Acerbo del premio di maggioranza che sostituiva il metodo proporzionale: i seggi, prima ottenuti in base ai voti, adesso andavano per i due P A terzi alla lista di maggioranza che aveva ottenuto più del 25% dei voti. In tal modo si evitava, in futuro, qualsiasi opposizione parlamentare. Nelle elezioni dell’aprile 1924, i fascisti crearono un super listone di candidati fascisti, cattolici di destra e liberali e con l’uso della forza e delle intimidazioni contro gli oppositori politici, ottennero la maggioranza assoluta in parlamento. Tali intimidazioni fasciste e brogli furono denunciati nel giorno d’apertura della nuova legislatura (24 <maggio 1924), dal deputato socialista Giacomo Matteotti, segretario del PS. Dopo un paio di giorno, il 10 giugno 1924, Matteotti fu rapito e assassinato da sicari fascisti. L’uccisione del leader dell’opposizione destò molto scalpore, e si capì, per la prima volta, il pericolo che il sistema liberale stava correndo. I gruppi parlamentari di opposizione abbandona, per protesta, la Camera (Secessione Aventino), in attesa di un governo che garantisse la legalità. Con questo atto, però, si diede totale via libera alla presa di pieno controllo da parte di Mussolini, che era stata incrinata con il clamore dell’omicidio Matteotti. Prima della fine dell’anno si contano ben 400 aggressioni e 36 omicidi compiuti dagli squadristi. Il 3 gennaio 1925 Mussolini, sospettato di essere il mandante dell’uccisione Matteotti, pronuncia un discorso arrogante, in sua difesa, sapendo che non poteva mai essere punito. Egli ammette la sua piena responsabilità sul fatto “se il fascismo è un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa”, dice. Ma aggiunge che i suoi complici sono stati il re e tutti i liberali, quindi se si punisce lui devono punirsi anche loro. L’opposizione dell’Aventino risponde ancora una volta con un comunicato di protesta (inutile nel contesto attuale che esigeva una forte contro-azione), e Mussolini capì che nessuno ormai avrebbe potuto ostacolarlo. La costruzione del regime Dopo il discorso del 3 gennaio 1925, le poche voci contro il regime furono costrette al silenzio o all’esilio. I liberali radicalmente antifascisti Giovanni Amendola e Piero Gobetti morirono in seguito ai pestaggi. Molti politici, Turati, Togliatti, Sturzo, Nitti, dovettero lasciare l’Italia e il segretario del Partito comunista Antonio Gramsci, fu condannato al carcere fino alla morte dal Tribunale speciale fascista. Tutti gli spazi di democrazia furono, in sostanza, cancellati. Mussolini, svincolato da qualsiasi controllo, abolì i diritti allo sciopero, soppresse tutti i partiti e le associazioni di opposizione, chiuse gli organi di stampa avversi al regime, istituì il confino di polizia per gli oppositori politici (che spesso scelsero l’esilio), creò una polizia politica e il Tribunale speciale, il cui giudizio era inappellabile. Nelle elezioni del 1934 gli italiani si trovarono davanti solo un’unica lista, quella fascista. Finiva così, il regime costituzionale parlamentare. Le basi della dittatura fascista erano consolidate. Dalle ceneri dello Stato liberale era nato un regime a partito unico, in cui il potere era nelle mani di uno solo, Mussolini. Perchè vinse il fascismo? Nel dopoguerra le classi dirigenti liberali non riuscirono a dare risposta né ai ceti popolari che chiedevano un’equità sociale ed economica, né ai ceti medi e alla borghesia che P A volevano un mantenimento degli equilibri sociali. I liberali non sapevano governare le contraddizioni della NUOVA società di massa e quando alle elezioni del novembre del 1919, vinsero i partiti di massa (popolare e socialista), i liberali non capirono che sarebbe stato necessario allearsi con queste forze e adeguare lo Stato alla nuova società. Fu così che Mussolini si propose alle classi più elevate come promotore di ordine, come colui che riportava il primato dell’Italia in cambio, però, del rifiuto delle libertà individuali. IL governo fascista della società italiana Una volta assunto e consolidato il proprio potere, il Pnf mirava a riunire attorno alla figura del duce un ampio consenso e a creare una società fascista che avesse gli stessi valori del regime. In una parola, si tentò di “fascistizzare” anche la società italiana. A tale scopo si crearono delle strutture che organizzavano il lavoro, il tempo libero e la formazione culturale (tra le quali l’Opera nazionale del dopolavoro che organizzava spettacoli cinematografici, teatrali, gite turistiche, manifestazioni sportive e servizi di base come asili e colonie estive). Tutte queste organizzazioni avevano come primissimo scopo l’attività propagandistica del regime, ossia la sua promozione al fine di aumentare sempre più il consenso. Il fascismo diede grandissima importanza anche ai mass media per creare il consenso pubblico, e, quindi, li controllava pienamente. Dispose radio nelle scuole, negli uffici e nelle organizzazioni ricreative per monitorare la sua propaganda. Estese il suo controllo anche all’editoria e alla stampa, oltre che al cinema. Quest’ultimo fu sostenuto economicamente per creare una cinematografia nazionale(in concorrenza alla statunitense), in cui i contenuti del partito venivano obbligatoriamente proiettati prima dell’inizio del film (l’Istituto luce creava questi cinegiornali). Anche l’istruzione divenne uno dei canali di fascistizzazione. Nel 1931 fu imposto il giuramento di fedeltà al fascismo che fu rifiutato solo da 12 professori su 1200. L’opera di fascistizzazione passò pure attraverso il controllo sui giovani, sia i bambini che i ragazzi erano rigidamente inquadrati entro strutture che oltre alla disciplina, li educavano alle armi( figli della lupa fino agli otto anni; Balilla fino ai 14; avanguardisti fino ai 18 anni). Mussolini voleva, inoltre, controllare gli spostamenti dalle campagne alle città, che dovevano essere rari perchè avrebbero creato un proletariato urbano fonte di conflitti sociali, e le nascite, che dovevano aumentare per confinare il ruolo della donna a quello di madre e per avere più soldati possibili nel futuro. In entrambi i fronti, però, fallì: le migrazioni interne verso le città aumentarono e le nascite calarono. Il fascismo cercò di plasmare a sua immagine e somiglianza tutta la società italiana e per questo , per la sua presenza ossessiva nella sfera pubblica, esso può considerarsi tra i regimi totalitari del Novecento (oltre al nazismo e allo stalinismo). Ma, va ricordato, che a differenza di questi, il fascismo come partito conviveva con lo Stato, non lo sostituiva. Infatti, la monarchia sabauda continuava ad esistere: Mussolini era primo ministro ma il capo dello Stato era Vittorio Emanuele III che, in base allo Statuto albertino, aveva potere di deporre Mussolini e nominare un nuovo primo ministro( cosa che fece nel giugno 1943). Per completare il quadro dei consensi al fascismo, mancava la Chiesa. Il regime aprì trattative con essa che si conclusero con i Patti lateranensi dell’11 febbraio 1929. Il papa riconobbe Roma come capitale e l’Italia riconobbe piena sovranità allo Stato del Vaticano, P A neutrale e inviolabile, oltre che versò una cospicua somma di risarcimento per gli espropri del dopo unità e privilegi al culto cattolico, insegnamento obbligatorio della religione cattolica nelle scuole e riconoscimento del matrimonio religioso. La politica estera e le leggi razziali Nel 1932 Mussolini divenne ministro degli esteri. Egli portò avanti una politica estera aggressiva creando instabilità nell’area della diplomazia internazionale. Egli, infatti, mise in discussione i trattati di pace del 1919, cercava un’egemonia in tutto il Mediterraneo, voleva imporre il controllo dell’Africa. In particolare, Mussolini, indirizzò le sue mire espansionistiche in uno dei pochi paesi africani rimasti indipendenti, l’Etiopia. Nell’ottobre 1935, invase l’Etiopia con un massiccio numero di uomini e mezzi, utilizzando contro la popolazione civile anche il gas nervino. Tale aggressione spinse la Società delle Nazioni (organismo creato dagli Usa nel dopoguerra per mantenere la pace e gli equilibri nel futuro), ad approvare sanzioni economiche oltre al blocco dei rifornimenti strategici all’Italia, riconosciuta come “paese aggressore”. Queste sanzioni furono usate da Mussolini per rafforzare ancora di più il consenso alla sua politica imperialistica. Egli proclamò Vittorio Emanuele III, imperatore d’Etiopia e sfruttò tantissimo il paese con durissimi trattamenti. Così, l’Italia fu isolata dal consesso internazionale. Tale isolamento internazionale, unito a debolezze economiche, portò Mussolini a rivedere la sua politica estera. Si avvicinò, così, nel 1936 alla Germania nazista(Hitler aveva preso il potere nel gennaio 1933), vicina politicamente e ideologicamente al regime, firmando un patto Asse Roma- Berlino, in cui si accordava politicamente in funzione antibolscevica. Inoltre Hitler e Mussolini appoggiarono con mezzi e truppe il dittatore spagnolo Francisco Franco nella guerra civile spagnola. Nel 1937 l’Italia uscì dalla Società delle Nazioni e aderì al Patto anticomintern già firmato da Germania e Giappone. L’alleanza Italia Germania si dimostrò subito squilibrata: economicamente, politicamente e militarmente la Germania era più forte dell’Italia, che, quindi, è costretta a seguire e approvare le scelte del più forte alleato. Segno della subalternità alla politica di Hitler fu il varo in Italia nel 1938 delle leggi razziali contro gli ebrei che furono discriminati sul lavoro, esclusi dagli uffici pubblici, dal servizio militare, dalle scuole, obbligati a non contrarre matrimoni misti: ben 279 presidi e professori furono espulsi dalle scuole, più di 4.400 bambini non poterono più frequentare le scuole, gli ebrei furono radiati da tutte le associazioni pubbliche e private. Le leggi razziali furono l’inizio delle deportazioni di ebrei italiani dal 1943, una delle pagine più vergognose della nostra storia. P A Il nazismo La Germania per pagare le pesanti sanzioni di guerra dovette dissanguarsi. La situazione economica fu davvero disastrosa, causando una polarizzazione sociale: da un lato la massa dei proletari, composta da impiegati e piccola borghesia, dall’altro i forti gruppi industriali con forte potere economico. Ad un periodo di relativa stabilizzazione economica e politica degli anni ’20, seguì un periodo di grossa crisi dal 1929: inflazione, crollo produzione industriale, disoccupazione totale. Nelle elezioni politiche del ’30 si evidenziò la crisi, con la diminuzione dei voti per i socialdemocratici e l’aumento per i comunisti e i nazionalsocialisti di Adolf Hitler. Nel gennaio del 1933 Hitler fu nominato cancelliere e nei mesi successivi assunse il controllo della vita politica tedesca, eliminando tutte le opposizioni, chiedendo e ottenendo pieni poteri, tra cui quello di emanare leggi senza l’approvazione del Parlamento. Hitler assunse anche il controllo della vita sociale, regolamentando i comportamenti collettivi, inquadrando i cittadini in organizzazioni di massa, controllando i mezzi d’informazione e svolgendo una capillare propaganda. Ciò che maggiormente univa i tedeschi attorno alla figura del fuhrer saranno: -la repressione politica; - la propaganda razzista; - la persecuzione degli ebrei. I nazionalsocialisti volevano restituire alla Germania il ruolo di prima potenza mondiale e, per far ciò, esaltavano lo spirito tedesco assumendo un atteggiamento nazionalista xenofobo(nemico dei non tedeschi). Gli ebrei, in particolare, divennero il capro espiatorio dei nazisti dal 1933 attraverso provvedimenti volti alla loro repressione e segregazione(allontanamento dalla società). Quando nel 1939 Hitler, per realizzare un nuovo ordine europeo, condusse alla seconda guerra mondiale, inasprì crudamente le persecuzioni contro gli ebrei trasformandole in uno sterminio sistematico (soluzione finale). Effetti della “grande crisi” e radicalizzazione politica Intorno agli anni ’20 la Germania aveva superato quel terribile dopoguerra di aspre difficoltà economiche, acute tensioni sociali e politiche. Nel 1920 era stata ammessa nella Società delle Nazioni ed era ritornata competitiva nel campo produttivo. Tutto ciò era avvenuto grazie, anche, ai capitali statunitensi. Nel 1929, però, la forte crisi economica che coinvolse tutto il mondo, ebbe gravissime conseguenze, a partire dal ritiro degli aiuti da parte degli Usa. L’inflazione aumentò e la produzione industriale crollò, provocando la chiusura delle fabbriche e l’aumento della disoccupazione. Di questa grave crisi risentì il governo socialdemocratico che cadde e perse i sostegni, infatti alle elezioni del settembre 1930 i socialdemocratici persero voti, mentre li aumentarono i comunisti e, soprattutto, i nazionalfascisti , che accrebbero il numero di deputati da 12 a 107. Il Partito nazista aveva assunto questo nome nel 1920 e aveva in Adolf Hitler il suo principale esponente. Questi i punti fondamentali del partito: - esaltazione spirito tedesco e di un nazionalismo xenofobo e aggressivo; - unificazione di tutte le popolazioni tedesche; - revisione dei confini stabiliti nel 1919; - creazione di un forte esercito di popolo; - centralizzazione dello Stato; - razzismo antisemita contro gli ebrei, considerati non di sangue tedesco; - limitazione libertà di stampa e di espressione di opposizione. P A Sin dall’inizio il partito nazista si era strutturato in maniera paramilitare(come fosse un esercito), e aveva creato reparti d’assalto (SA o camice brune guidate da Rohm). Nel novembre 1923, con il tacito accordo dell’esercito, Hitler tentò un colpo di stato che lo mise fuorilegge e lo imprigionò per pochi mesi (nonostante la condanna fosse di cinque anni). Ciò, come visto, non compromise il consenso al partito che emerse nelle elezioni del 1930. La Repubblica di Weimar (così chiamata la Germania dal 1919; Weimar città scelta come capitale del nuovo stato tedesco), non sapeva risolvere i problemi emergenti e, quindi, si alimentava sempre più una coalizione di oppositori formata dal Partito nazista, che utilizzava le SA per ridurre al silenzio gli oppositori con la violenza, l’esercito, la grande industria e l’aristocrazia terriera, forze tutte conservatrici e tradizionali. Nell’ottobre 1931 Hitler alleò alla sua destra violenta ed estremista quella conservatrice dell’aristocrazia, dell’esercito e dei grandi proprietari terrieri (fronte Harzburg) e il 30 gennaio 1933 fu nominato cancelliere, prese, cioè, la guida del governo. Le ragioni del successo nazista Uno dei principali motivi del successo nazista, fu la capacità di acquistarsi la fiducia della destra tradizionale, che vedeva nel nazismo non un concorrente ma una forza capace di riunire tutte le componenti di destra in funzione anticomunista, antisocialista e una forza in grado di riorganizzare lo Stato in senso autoritario. Hitler aveva pronunciato in un discorso ad Amburgo, che non avrebbe avuto pace fino a quando non avrebbe sterminato l’ultimo marxista. In tal modo, i gruppi industriali e finanziari, antidemocratici e antisocialisti, vedevano in Hitler la guida per una rinascita economica e per una Germania di nuovo potente senza il nemico operaio. Altro fattore che promosse il nazismo, fu la grave crisi economica dopo il ’29. la propaganda nazista, basata sulla promessa di prosperità, lavoro e ordine sociale, era destinata a favorire un largo consenso da parte di ceti diversi accomunati dal desiderio di lavoro, di ripristino dell’ordine e della forza tedesca. Questi sono i ceti che appoggiarono il Partito nazista: - piccola borghesia con impiegati, artigiani e commercianti; - grandi proprietari terrieri; - industriali; - gruppi finanziari. A tutto ciò la propaganda nazista aggiungeva un forte nazionalismo che presentava Hitler come il difensore della Germania, dello spirito tedesco, umiliato dalle potenze vincitrice della prima guerra mondiale e dal governo vigente che non aveva saputo tutelare gli interessi della nazione e aveva favorito la diffusione del socialismo. Tutti questi argomenti erano di facile presa su una popolazione che aveva subito le pesanti clausole di Versailles. Infine, ruolo importante per il successo nazista fu un forte antisemitismo della propaganda, attraverso cui si diceva che tutti i mali della Germania ( sconfitta guerra mondiale, tensioni tra le classi sociali, crisi economica), provenissero da un complotto ebreo. Si trovò così il capro espiatorio verso il quale scaricare le varie tensioni. P A Appena Hitler giunse al potere, ricorse ai suoi più stretti collaboratori, ai rappresentanti dei settori tradizionali del potere economico e dell’esercito per formare un governo di coalizione (unione) che ristrutturasse l’apparato statale in senso totalitario. In una ventina di mesi, dal gennaio 1933 all’estate del 1934, Hitler aveva assunto il pieno controllo della vita politica tedesca. Tutti i partiti, ad eccezione di quello nazista, erano stati dichiarati fuorilegge, i sindacati chiusi, la stampa sottoposta a censura, le opposizioni interne al partito trucidate. Per quest’ultimo aspetto ricordiamo la notte dei lunghi coltelli del 30 giugno 1934, in cui Hitler ordinò l’eliminazione delle SA di Rohm e del loro capo. Rohm e molti altri dirigenti nazisti furono assassinati, il Fuhrer (capo), doveva avere tutti i poteri decisionali sia dentro il partito che dentro la stato. Il posto delle SA fu preso dalle SS( = squadre di protezione), guidate da Himmler, braccio destro di Hitler, che avevano ruolo di proteggere il Fuhrer. Nell’estate del 1934 il Fuhrer unì alla carica di cancelliere anche quella di presidente del Reich (regno), in un’unica persona. A Hitler in sostanza, erano stati conferiti pieni poteri, tra cui quello di emanare leggi al di fuori del controllo del parlamento. Hitler avocò a sé tutti i poteri, trasformando la repubblica federale democratica di Weimar in uno Stato centralizzato e totalitario. Propaganda, mobilitazione popolare e Stato di polizia Con lo scopo di formare un vasto consenso attorno agli obiettivi del nazionalsocialismo, si cercava di identificare un nemico comune che andava distrutto sia sul piano simbolico che su quello fisico. Tra questi nemici, i libri antitedeschi, considerati “proibiti” e per questo bruciati in grandi roghi nelle varie città tedesche. Tra questi libri Marx, Freud e Mann. Il nazismo, come il fascismo, aveva intenzione di assorbire attorno a sé un largo consenso e per far ciò regolamentò comportamenti collettivi, inquadrò i cittadini in organizzazioni di massa, controllò i mezzi d’informazione. Il regime doveva esser visto come “difensore” dello spirito tedesco, mettendo al bando qualsiasi corrente non nazionalista o aperta a idee(contaminazioni), provenienti da altri paesi e tutti quei movimenti che parlavano di libertà d’espressione e di pacifismo. Fu così che il nazismo pose fine a molte ricerche artistiche scientifiche e costrinse molti intellettuali e artisti ad abbandonare la Germania, tra questi Freud, Einstein e Brecht. Alla libera espressione si sostituirono i valori della tradizione tedesca che spingevano all’obbedienza e alla passività. Lo Stato nazista voleva controllare anche la vita privata. Non solo s’incentivavano le nascite con aiuti alle giovani coppie, ma si autorizzavano gli uomini dei corpi scelti del regime, come ad esempio delle SS, di procreare anche al di fuori della famiglia, selezionando, però, donne di razza ariana. Queste iniziative relegavano la donna ad un ruolo marginale di madre prolifica. Essa era considerata come la parte debole della società e quindi rifiutata dalle scuole superiori e dal voto. L’uomo, invece, con la sua virilità era costruttore e portatore di civiltà. Le varie organizzazioni giovanili femministe inculcavano alle donne che i loro compiti consistevano nella continuità della razza e nell’assistere l’uomo. I giovani erano inquadrati sin dall’infanzia in organizzazioni paramilitari in cui s’insegnava disciplina e obbedienza alimentando la soggezione per il nazismo e un culto per il fuhrer. P A Le forze di polizia furono completamente assorbite dal Partito. Chiunque fosse ritenuto pericoloso poteva essere arrestato e condannato. Nel marzo del 1933 in Prussia fu fondata la polizia segreta di stato, la Gestapo, che l’anno dopo avrebbe esteso il suo controllo in tutto il territorio tedesco. Capo delle SS e della Gestapo fu nominato Himmler. Le basi della coesione nazionale: repressione politica e persecuzione razziale Hitler aveva dei programmi espansionistici che avevano bisogno di un largo consenso e di una forte unione nazionale. Era, perciò, necessario eliminare qualsiasi opposizione e identificare in precisi soggetti politici(i comunisti) e etnici (gli ebrei), i responsabili dei mali tedeschi. Il pensiero nazista si basava sul concetto di superiorità del popolo tedesco, giustificando così le aggressioni verso le razze “inferiori”. I tedeschi si sentivano molto uniti attorno al Fuhrer nella repressione politica, nella propaganda razzista e nella persecuzione e distruzione degli ebrei. Le persecuzioni contro gli ebrei si basavano sul concetto di razza ariana superiore a quella ebrea. Per cui il popolo tedesco doveva essere formato solo da ariani, gli altri non dovevano avere alcun diritto. Inoltre, gli ebrei erano visti come causa dei mali tedeschi. Erano stati essi a incassare tutti i risparmi del ceto medio tedesco, erano stati gli intellettuali ebrei a causare la crisi dei costumi tradizionali. Gli ebrei, in sostanza, avevano congiurato ai danni della Germania. A tal proposito fu creato un falso “I protocolli dei savi di Sion”, in cui si scopriva un complotto degli ebrei per imporre la loro supremazia in tutto il mondo. Il nazismo prese dei provvedimenti ufficiali contro gli ebrei che furono esclusi, prima, dalle amministrazioni pubbliche e dall’insegnamento e dal giornalismo, poi da qualsiasi attività economica. Nel 1935 le Leggi di Norimberga tolsero agli ebrei la cittadinanza tedesca e i diritti politici e vietarono i matrimoni di ebrei con gli ariani. In seguito ad un’uccisione di un diplomatico tedesco a Parigi da parte di un ebreo, scattò in Germania un vero e proprio pogrom: tra il 9 e il10 novembre 1938, la notte ei cristalli, molti negozi ebrei e le sinagoghe furono distrutti. Circa cento persone furono uccise e 35.000 arrestate e deportate in campi di concentramento. L’opinione pubblica non reagì per nulla e così si autorizzò qualsiasi tipo di provvedimento repressivo contro gli ebrei in un crescendo di violenze e discriminazioni in futuro di una vera e propria segregazione razziale. Lo scoppio della guerra e l’estendersi del dominio nazista su milioni di ebrei avrebbe consentito il loro sterminio sistematico (soluzione finale). P A Nel 1933 in Germania salì al potere Hitler e da quel momento la storia d’Europa e del mondo non sarà la stessa: il regime nazista andrà a creare una serie di alleanze con i vari regimi fascisti che guidavano diversi paesi, in primo luogo l’Italia di Mussolini, a cui inizialmente lo stesso Hitler s’ispirò. In breve la Germania hitleriana divenne guida di un sistema di regimi e movimenti fascisti per ridefinire i confini decisi dalla Prima guerra mondiale, di assumere il ruolo di potenza egemone nel vecchio continente e di espandersi verso est. Gli equilibri internazionali dovevano mutare. Tale espansione del fascismo, spinse movimenti e partiti che nel primo dopoguerra si erano contrapposti, a coalizzarsi contro il comune nemico: comunisti, socialisti, liberali e cattolici e democratici si riunirono tra di loro. Anche l’Urss di Stalin invitò i partiti comunisti ad allearsi ai liberali e ai cattolici antifascisti. Lo scontro tra fascismi e partiti e movimenti antifascisti (socialismo e democrazia) era inevitabile. Ciò sarà alla base del secondo conflitto mondiale. Nell’aprile del 1938 Hitler, violando i trattati di Versailles, occupava l’Austria e l’annetteva alla Germania, poi occupava la Cecoslovacchia e invadeva la Polonia, Francia e Inghilterra dovettero dichiarare guerra: iniziava il secondo conflitto in cui non ci si scontrava solo per l’egemonia politica ed economica, ma anche ideologica Lo stalinismo L’URSS e la collettivizzazione dell’agricoltura Alla fine della guerra civile, che aveva visto lo scontro tra Armata bianca, filo-zarista, e Armata rossa, comunista, con la vittoria di quest’ultima, tutti i territori appartenenti all’eximpero russo furono unificati nell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (Urss), uno stato federale. L’Urss era divenuta una grande realtà nazionale, politica, militare ed economica. Sul piano politico si registrarono dei cambiamenti che si allontanavano da quanto avevano sostenuto i bolscevichi nel 1917, cioè dell’autogoverno del proletariato e dell’abbattimento del potere centralizzato. Infatti, il potere divenne sempre più centralizzato in mano ad un partito unico il Pcus (partito comunista dell’Unione sovietica), e esercito e polizia erano direttamente controllati dal partito che prendeva tutte le decisioni. Si venne a sviluppare, così, una forte centralizzazione del potere nel partito, tanto che , nel 1922, poco prima della malattia di Lenin che lo porterà alla morte nel 1924, fu abolita la gestione a tre della segreteria di partito, da quel momento affidato ad un segretario unico Stalin (= acciaio). Negli anni ’20 i dirigenti bolscevichi ben capirono che l’ipotesi di “contagiare” con la rivoluzione tutti i paesi capitalistici, non poteva realizzarsi. Ovunque, infatti, sorgevano regimi conservatori o, addirittura, autoritari. Allora i dirigenti sovietici cominciarono a pensare di concentrarsi esclusivamente nello sviluppo dell’Urss. Solo che all’interno del partito c’erano delle opposte tendenze: chi come Trockij sosteneva la necessità di proseguire l’estensione della rivoluzione all’esterno e chi, come Stalin e la maggioranza, sosteneva di rafforzare lo stato sovietico, anche con l’aiuto dei comunisti di tutto il mondo. Tale opposizione era forte anche in ambito economico, infatti Trockij voleva finalizzare la produzione agricola all’industria, Stalin voleva liberalizzare il mercato per un maggiore sviluppo economico. Fu nel 1927 che Stalin sconfisse ed espulse dal partito gli oppositori, esiliandoli e avviando un processo di epurazione del partito, dell’esercito e dello Stato. Stalin, in politica estera, promosse la necessità di rompere l’isolamento in cui si trovava la P A Russia dalla rivoluzione, necessario ciò per proteggere il paese da eventuali attacchi dei paesi capitalisti. Fu così che si tentò di normalizzare i rapporti diplomatici, ottenendo man mano dei riconoscimenti. Prima dalla Germania (trattato di Rapallo), poi da Gran Bretagna e Italia, Francia e Cina, e, infine Usa e nel 1934 fu accettata all’interno della Società delle Nazioni (di cui facevano parte Francia e Inghilterra). Comunque Stalin si attenne ad una politica difensiva che garantisse la sicurezza militare del paese. Quando nel 1924 scomparve Lenin, si aprì un’aspra lotta per la successione tra Trockij e Stalin. Già nel ’25 Trockij era stato escluso dal potere e nel ’27 allontanato dal partito insieme ad altri 75 oppositori, nel ’29 fu espulso dall’Urss e, infine, nel 1940 ucciso in Messico da un sicario di Stalin. Sarà bene, dunque, affermare che dalla fine degli anni ’20, leader indiscusso era Stalin, che attraverso i suoi funzionari, indottrinava i vari militanti di partito. Il partito comunista era, inoltre, fuso con gli organismi statali e sempre più incline al ricorso a metodi coercitivi (di violenza). Stalin, di lì a poco, avrebbe instaurato un potere autoritario fondato sul ruolo centrale del partito e sulla sua figura di dirigente rivoluzionario e guida della Russia, inaugurando un vero e proprio “culto della personalità”. Nel momento in cui Stalin prendeva sempre più potere, la situazione economica in Russia era molto grave: mancavano le abitazioni nelle città che si erano inurbate per le industrie, i prezzi dei prodotti agricoli erano instabili, la produzione agricola e l’allevamento erano in declino, i cereali, soprattutto, davano scarsi raccolti e, addirittura, nelle città mancava il grano. Per risolvere quest’ultimo problema, la dirigenza ricorse a drastici interventi e, cioè, l’ammasso forzoso: tutti dovevano dare parte del loro grano allo Stato. Si pensò, inoltre, di ridurre la privatizzazione delle campagne e di promuovere una loro collettivizzazione forzata: i contadini ricchi (kulaki) dovevano cedere non solo il loro grano allo Stato, ma anche le loro terre. Spesso i kulaki preferivano uccidere il proprio bestiame anziché consegnarlo alle autorità sovietiche. Fu per queste resistenze che si ricorse alla violenza e alla deportazione di tutti i kulaki in Siberia (29 dicembre 1929). Anche i contadini furono obbligati a sottoscrivere con lo Stato un contratto che li vincolava ad una consegna di una quota del raccolto. Spesso i contadini, però, nascondevano il loro raccolto spingendo all’uso di metodi sempre più coercitivi: operai e funzionari di partito venivano mandati nelle campagne a fare pesanti multe, arresti e deportazioni di massa. Fu così che i contadini, stanchi, cominciarono per protesta a ridurre le semine. Ciò causò tra il 1932 e il 1933 una gravissima carestia che fece milioni di vittime. In sostanza, la collettivizzazione forzata dell’agricoltura aveva arrecato solo danni. Lo stato efficiente nelle requisizioni forzate, era pessimo nel progettare un recupero della produzione. Ben 9.000.000 di persone furono private dei loro beni terrieri e il 20% perì per le difficili condizioni di vita, per le uccisioni e per le deportazioni in campi di lavoro. Si sperimentò così un apparato repressivo che avrebbe da lì a poco connotato tutto il sistema di potere staliniano. Anche nel settore industriale, Stalin avviò un processo di industrializzazione forzata attraverso piani quinquennali (progettati per cinque anni), che prevedevano espansioni fortissime. Per raggiungere questi ambiziosi piani, si alimentò una massiccia domanda di forza lavoro alla quale risposero milioni di contadini che abbandonarono le loro terre, trasferendosi in città sovraffollate che costringevano a vivere in alloggi strapieni. Tutto ciò P A creava un fortissimo disagio sociale e un calo delle nascite. Spesso in città aumentavano la criminalità, la prostituzione, l’alcolismo. Anche la produzione aveva un’impronta militarizzata e nascondeva dietro al mito della Russia che aveva bisogno dei sacrifici di tutto il suo popolo per crescere, lo sfruttamento atroce che di quel popolo si faceva. Dal 1935 la disoccupazione fu eliminata, il livello di vita cominciò a migliorare ma le condizioni generali erano sempre difficili. Il sistema di potere staliniano In politica interna, Stalin annientò tutti i suoi oppositori, iniziando da quelli interni al partito contro i quali emanò un decreto antiterrorismo con il quale poteva arrestare i sospettati senza informarli di cosa erano accusati, di processarli a porte chiuse e senza difensori, di procedere all’immediata esecuzione dei prigionieri condannati a morte. Così centinaia di migliaia di presunti o reali oppositori furono arrestati, uccisi o deportati in Siberia. Chi si opponeva a Stalin, rischiava un’eliminazione politica e fisica. Lo stesso partito negli anni ’30 non ebbe più una funzione politica ma divenne strumento di potere nelle mani di Stalin, a cui i funzionari erano legati per coercizione. Anche l’Armata rossa fu colpita dal terrore staliniano: ben 35.000 ufficiali su 80.000 furono imprigionati e uccisi. Il terrore staliniano non colpì solo i ceti dirigenti ma anche l’intera società. Nel corso degli anni ’30 tutti coloro che erano estranei alla realtà socialista, venivano rinchiusi nei campi di lavoro forzato (gulag): kulaki, ex-artigiani, commercianti, piccoli imprenditori, professionisti. Chi veniva accusato di essere controrivoluzionario, solo in base al sospetto o ad accuse non provate, era condannato a cinque o dieci anni di lavoro forzato in Siberia, dove si moriva per fame e stenti. Stesso destino per le minoranze etniche o religiose legate al proprio culto e alle proprie tradizioni. Alla fine del 1938 i russi internati nei gulag erano ben 8.000.000. Il ricorso alla forza e alla repressione non bastava a controllare tutta la società. Occorreva raccogliere un ampio consenso attraverso una propaganda del culto della personalità di Stalin che veniva presentato come “guida”, “grande timoniere”, “capo del proletariato”, implacabile avversario del privilegio, artefice di tutti i successi raggiunti dalla Russia, assicuratore di ordine e benessere. Veniva, inoltre, enfatizzata anche l’immagine del popolo sovietico come instancabile lavoratore che assicurava la ripresa dell’Urss. Anche in Russia tutti i lavoratori erano inquadrati in organizzazioni di massa come nell’Italia fascista e nella Germania nazista P A