Relazione libri greco Omero, Iliade L’autore Alessandro Baricco, nato il 25 gennaio 1958, è uno scrittore, drammaturgo, sceneggiatore, autore televisivo, critico musicale, conduttore televisivo e conduttore radiofonico italiano. Laureato in filosofia presso l’Università degli Studi di Torino, fondò nel 1994 la Scuola Holden, scuola di storytelling e arti perfomative, di cui oggi è il presidente. Tra le sue opere più acclamate troviamo Castelli di mare, Senza sangue e Omero, Iliade. Il libro Paride è innamorato della bella Elena, sposa di Menelao, la rapisce e la porta con sé a Troia. Menelao, offeso, dichiara guerra ai troiani appoggiato dal fratello Agamennone, re degli achei, che saccheggiano periodicamente le città vicine. Dall'inizio dell'assedio di Troia sono passati nove anni, e gli Achei hanno bisogno di rifornimenti. Li cercano a Tebe, dove Agamennone vede una ragazza, Criseide, e la porta con sé per renderla sua schiava. Crise, padre di Criseide e sacerdote di Apollo, va da Agamennone a richiedere indietro sua figlia, ma Agamennone lo scaccia malamente: causa così l'ira degli dei, che si vendicano con una terribile pestilenza nel campo acheo. Agamennone interpella Calcante, famoso indovino. È lui a dichiarare che la causa di questa pestilenza è il rapimento di Criseide,e che solo la sua restituzione potrà placare gli dei. Ma Agamennone si rifiuta: ne segue una lite con Achille, che si conclude con la richiesta di prendere con sé Briseide, schiava di Achille e parte del suo bottino, per poter restituire Criseide al padre. La fiducia dei guerrieri verso Agamennone si affievolisce dopo l’ingiustizia riservata ad Achille, il più forte e valoroso fra i guerrieri achei. Tersite, uno dei guerrieri anchei, parla ad Agamennone a nome di molti dei suoi compagni, ma viene picchiato. Agamennone però, dà ai guerrieri una ragione per combattere: la speranza di un ritorno a casa. L'esercito dunque avanza mentre anche i nemici schierati gli vanno incontro. Paride, figlio di Priamo, avanzò davanti a tutti sfidando i principi achei, finché non si mostra Menelao, che lo fa fuggire. Ettore, eroe troiano, gli parla e Paride si decide a sfidare in duello Menelao: il vincitore avrebbe ottenuto Elena e tutte le sue ricchezze. Il giorno del duello Elena si trova nelle sue stanze, quando una figlia di Priamo la va a chiamare e le spiega ciò che sta accadendo. Corre allora alle porte Scee dove Priamo le chiede informazioni su tutti i principi Achei, suoi nemici. Poi chiamano il re di Troia, che ha il compito di stipulare la pace. Quando tutto è compiuto Priamo chiede di ritornare in città per non vedere suo figlio combattere contro Menelao. Il duello si conclude con Menelao che sta per dare il colpo di grazia a Paride, ma quest'ultimo riesce a fuggire e a ritrovarsi nelle stanze di Elena, che si concede a colui che tutti considerano ormai un codardo. Pàndaro, un altro guerriero troiano, colpisce Menelao a tradimento con la sua freccia. Lo ferisce, mentre i troiani continuano ad avanzare approfittando del momento della confusione degli achei. La situazione si capovolge in favore di questi ultimi quando scende in battaglia Diomede, figlio di Tideo. Ettore ascolta il consiglio di Eleno, figlio di Priamo, che va in città per chiedere alla madre di pregare Atena per avere il suo sostegno. prima di tornare in battaglia Ettore va a casa ma non trova la moglie e il figlio, scoprendo che sono corsi alle porte Scee temendo per lui. Ettore corre loro incontro, trovandoli in lacrime, e qui può dare l'addio a sua moglie Andromaca e a suo figlio Astianatte. Entrambi tornano in casa e piangono l'uomo, di cui già prevedono la sorte. Ettore combatte, poi sfida i principi achei, che lo temono. Infine tocca ad Aiace Telamonio, con cui combatte fino al calare del sole, congedandosi scambiandosi doni preziosi. Dopo aver brindato, Nestore propone ai principi achei di costruire un muro attorno alle navi, ma nessuno accoglie quell’idea. La mattina seguente arriva un’ambasciata troiana che offre agli achei le ricchezze di Elena e altri doni in aggiunta per compensarli del tradimento, ma gli achei rifiutano. Si stabilisce un giorno di tregua per raccogliere i caduti e bruciare i corpi secondo l’usanza. Lo stesso giorno gli achei costruiscono finalmente un alto muro attorno alle navi come aveva consigliato Nestore. Il giorno seguente la battaglia ricomincia, ma questa volta sono i troiani ad arrivare fin sotto il muro costruito dagli achei: quando arriva la sera è la prima volta che Ettore non riporta il suo esercito dentro le mura. Un giorno, cinque uomini vanno alla tenda di Achille. Sono i più cari all’eroe, inviati da Agamennone per chiedere ad Achille di tornare a combattere offrendogli splendidi doni. Lui però rifiuta. Il vecchio Fenice cerca di convincerlo, ma inutilmente. I cinque uomini, comunque, riescono a portare ad Agamennone la notizia che Achille scenderà in battaglia solo quando Ettore arriverà alle sue navi e non a quelle degli achei. Quella notte Agamennone non riesce a prendere sonno e va da Nestore per decidere su da farsi, poi vanno a chiamare Ulisse ed infine Diomede. Si siedono in uno spiazzo e decidono chi andrà nell’accampamento troiano per capire la strategia del nemico. Si offrono Ulisse e Diomede e partono immediatamente. Durante il tragitto sorprendono un soldato troiano, Dolone, che sta cercando di spiare gli achei.Lo catturano, ottengono da lui delle informazioni - come ad esempio il fatto che l'accampamento dei Traci sia la parte non protetta del campo nemico - e infine lo uccidono, offrendolo in sacrificio ad Atena. Diomede uccide poi tutti i dodici Traci nella tenda insieme a Reso, re alleato ai troiani. Ulisse prende i cavalli e la carrozza del re e scappano verso le navi achee. Prima, però, prendono il corpo del soldato ucciso e lo issano sulla poppa della nave, come dono per Atena. Nei giorni successivi gli Achei perdono molti uomini, e tanti altri vengono feriti: Agamennone, Ulisse Macaone. Patroclo viene mandato da Achille a chiedere come stia Macaone e Nestore resta sorpreso nel sapere che ad Achille interessano le sorti degli Achei. Inoltre, Patroclo chiede ad Achille le sue armi da indossare in battaglia per spaventare i troiani. La guerra continua e i troiani attaccano il muro con Sarpedonte. Intanto anche Ettore, scagliando un'enorme pietra appuntita, scardina una delle porte. Ormai i troiani oltrepassano il muro da ogni parte. Gli achei non sanno se scappare o continuare a combattere,ma decidono di continuare. Anche i troiani fanno lo stesso, con Ettore a capo. Gli achei si rianimano, Aiace colpisce Ettore. La dolcezza delle lacrime: il mito di Orfeo L’autrice Eva Cantarella, nata a Roma il 28 novembre 1936, è una storica, giurista e sociologa italiana, che si occupa della società antica. Figlia del grecista e bizantinista siciliano Raffaele Cantarella, nel 1960 si laurea in diritto presso l’Università degli Studi di Milano; durante il corso della sua carriera di legge insegnò anche in diverse università straniere. Possiede l’onoreficenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, e ha vinto il premio Bagutta e il premio Hemingway. Tra le sue opere più famose ricordiamo Studi sull’omicidio in diritto greco e romano, Tacita Muta: la donna nella città antica e La dolcezza della lacrime: il mito di Orfeo. Il libro Orfeo partecipò alla spedizioni degli Argonauti e quando la nave Argo giunse in prossimità dell'isola delle Sirene, vinse con il suono della sua cetra, la dolcezza del loro canto di modo che gli Argonauti non cedettero alle loro insidie. Ma Orfeo è più noto per la grande impresa che lo fece scendere nell'Ade, per cercare di riportare in vita la sua sposa, Euridice. Egli infatti, amò in tutta la sua vita una sola donna: Euridice, figlia di Nereo e di Doride. Il destino però non aveva previsto per loro un amore duraturo. Infatti un giorno la bellezza di Euridice fece ardere il cuore di Aristeo che si innamorò di lei e cercò di sedurla. La fanciulla per sfuggire alle sue insistenze si mise a correre ma ebbe la sfortuna di calpestare un serpente nascosto nell'erba che la morsicò, provocandole la morte istantanea. Orfeo, impazzito dal dolore e non riuscendo a concepire la propria vita senza la sua sposa decise di scendere nell'Ade per cercare di strapparla dal regno dei morti. Convinse Caronte a traghettarlo sull'altra riva dello Stige e circondato da anime dannate che tentavano in tutti i modi di ghermirlo, giunse alla presenza di Ade e Persefone. Una volta giunto al loro cospetto, Orfeo iniziò a cantare la sua disperazione e solitudine e nel suo canto mise tanta abilità e tutto il suo dolore che gli stessi signori degli inferi si commossero; le Erinni piansero; la ruota di Issione si fermò ed i perfidi avvoltoi che divoravano il fegato di Tizio non ebbero il coraggio di continuare nel loro macabro compito. Fu così che fu concesso ad Orfeo di ricondurre Euridice nel regno dei vivi a condizione che durante il viaggio verso la terra non si voltasse a guardarla in viso fino a quando non fossero giunti alla luce del sole. Orfeo, presa così per mano la sua sposa iniziò il suo cammino verso la luce ma durante il viaggio, un sospetto cominciò a farsi strada nella sua mente pensando di condurre per mano un'ombra e non Euridice. Dimenticando così la promessa fatta si voltò a guardarla ma nello stesso istante in cui i suoi occhi si posarono sul suo volto Euridice svanì ed Orfeo assistette impotente alla sua morte per la seconda volta. Invano Orfeo per sette giorni cercò di convincere Caronte a condurlo nuovamente alla presenza del signore degli inferi ma questi per tutta risposta lo ricacciò alla luce della vita. Si rifugiò allora Orfeo sul monte Rodope, in Tracia trascorrendo il tempo in solitudine e nella disperazione. Riceveva solo uomini e ragazzi che istruiva all'astinenza e sull'origine del mondo e degli dei. Molte donne tentavano di catturare il suo cuore e tra queste alcune Baccanti . Quest'ultime, irate dalla sua indifferenza e istigate da Dioniso per la mancanza di devozione che Orfeo aveva nei suoi confronti, decisero di ucciderlo durante un'orgia bacchica. Arrivato il momento stabilito, si scagliarono contro di lui con furia selvaggia, lo fecero a pezzi e sparsero le sue membra per la campagna gettando la testa nell' Ebro Le pietre, le selve, gli uccelli piansero la morte del meraviglioso cantore e tutte le ninfe indossarono una veste nera in segno di lutto. Le Muse piangenti raccolsero le membra di Orfeo e le seppellirono ai piedi del monte Olimpo, là dove ancor oggi il canto degli usignoli è più dolce che in qualunque parte del mondo. Poichè il delitto delle Baccanti era rimasto impunito, gli dei colpirono la Tracia con una terribile pestilenza. L'oracolo, consultato dalla popolazione su come porre fine a tanta tragedia, rispose che per farla cessare, era necessario ricercare la testa di Orfeo e rendere al cantore gli onori funebri. Il suo capo reciso fu così trovato da un pescatore presso la foce del Melete e fu deposta nella grotta di Antissa. In quel luogo la testa di Orfeo iniziò a profetizzare finchè Apollo, vedendo che i suoi oracoli di Delfi, Grinio e Claro non erano più ascoltati, si recò alla grotta e gridò alla testa di Orfeo di smettere di interferire con il suo culto. Da quel giorno la testa tacque per sempre. Eva Cantarella – rifacendosi a L’inconsolabile-Orfeo di Pavese – s’interroga su quale sarebbe potuta essere una motivazione alternativa a quella tradizionale del volgersi da parte del cantore verso l’amata. E la trova considerando quell’atto cruciale non certo istintivo ma piuttosto volontario; dettato cioè dalla consapevolezza che la defunta rappresentasse una stagione della vita destinata a non più ritornare. Così, nel suo viaggio in quelle che si potrebbero interpretare come le profondità dell’inconscio, Orfeo era alla ricerca di sé stesso più che della definitivamente scomparsa Euridice.