Kreitner Kinicki Robert Kreitner Angelo Kinicki Seconda edizione Robert Kreitner è professore emerito di Management presso la Arizona State University. Angelo Kinicki insegna Management e Leadership presso la stessa università. L’edizione italiana è curata da Cristina Bombelli, Wise Growth, e Barbara Quacquarelli, Università degli Studi di Milano-Bicocca. € 34,00 3146-8.indd 1 Il libro di Kreitner e Kinicki, che proponiamo in una seconda edizione completamente rinnovata, offre una panoramica esaustiva e organica degli studi sul comportamento organizzativo. Il volume illustra sia i principali schemi teorici di riferimento, sia i più importanti risultati della ricerca empirica, con una particolare attenzione per la dimensione applicativa e le implicazioni manageriali. Nella nuova edizione viene presentata un’ampia e approfondita trattazione di numerosi temi di frontiera nella ricerca attuale. Tra questi, gli effetti di Internet e dei social media sui comportamenti nei luoghi di lavoro; l’abbattimento dei confini tra l’ambito formale e informale della vita organizzativa; l’ingresso del concetto di sostenibilità nella gestione delle persone; lo sviluppo del tema dell’engagement; le questioni legate alla diversità relativa all’età; la gestione dello stress. Comportamento organizzativo Comportamento organizzativo Comportamento organizzativo Seconda edizione Robert Kreitner Angelo Kinicki www.apogeonline.com/Education 16/01/13 16.08 CompOrga.indb i 11/01/2013 16.34.29 Dal catalogo Apogeo Discipline aziendali Boldizzoni, Nacamulli (a cura di), Oltre l’aula. Strategie di formazione nella società della conoscenza, seconda edizione Borazzo, Candiotto, Applicazioni aziendali con Excel Candiotto, Analisi di bilancio con Excel, seconda edizione Clerici, De Pra, Salviotti, Comunicare 2.0. Lavorare con gli strumenti del nuovo Web Damodaran, Roggi, Finanza aziendale. Applicazioni per il management,, terza edizione Damodaran, Valutazione delle aziende Daft, Organizzazione aziendale, quarta edizione De Baggis, World Wide We. Progettare la presenza online: le aziende dal marketing alla collaborazione East, Wright, Vanhuele, Comportamento del consumatore. Applicazioni per il marketing Elton, Gruber, Brown, Goetzmann, Teorie di portafoglio e analisi degli investimenti Galeotti (a cura di), La finanza nel governo dell’azienda Ghiringhelli, Pero, Le PMI in Italia. Innovazione, strategie, modelli organizzativi Giunta, Pisani, Il bilancio, seconda edizione Hoffman, Bateson, Iasevoli, Marketing dei servizi La Bella, Leadership La Bella, Battistoni (a cura di), Economia e organizzazione aziendale Lindstrom, Neuromarketing. Attività cerebrale e comportamenti d’acquisto Luenberger, Finanza e investimenti. Fondamenti matematici Lugli, Neuroshopping. Come e perché acquistiamo Lugli, Troppa scelta. Difficoltà e fatica dell’acquistare Noe, Hollenbeck, Gerhart, Wright, Gestione delle risorse umane, seconda edizione Odoardi (a cura di), Valori e innovazione. Mobilitare le risorse umane nelle organizzazioni Pastore, Vernuccio, Impresa e comunicazione. Principi e strumenti per il management, seconda edizione Peretti, Marketing digitale. Scenari, strategie, strumenti Pigni, Ravarini, Sciuto, Sistemi per la gestione dell’informazione, seconda edizione Prandstraller, Quacquarelli, Risorse umane internazionali. Cultura, competenze, strategia Rezzani, Business Intelligence. Processi, metodi, utilizzo in azienda Shefrin, Finanza aziendale comportamentale. Decisioni per creare valore Solomon, Stuart, Marketing Waner, Costenoble, Strumenti quantitativi per la gestione aziendale Winer, Dhar, Mosca, Marketing management, seconda edizione CompOrga.indb ii 11/01/2013 16.34.48 Comportamento organizzativo Seconda edizione Robert Kreitner Angelo Kinicki Edizione italiana a cura di Cristina Bombelli e Barbara Quacquarelli CompOrga.indb iii 11/01/2013 16.34.49 Comportamento organizzativo. Seconda edizione Titolo originale: Organizational Behavior 10th ed. Autori: Robert Kreitner, Angelo Kinicki Original English language edition by The McGraw-Hill Companies, Inc. Copyright © 2013 – The McGraw-Hill Companies Copyright © 2013 – APOGEO – IF – Idee editoriali Feltrinelli s.r.l. Email education@apogeonline.com U.R.L. http://www.apogeonline.com/Education ISBN: 978-88-503-1581-9 Traduzione: Chiara Bonan, Alessandra Donnini, Maristella Notaristefano Revisione: Cristina Bombelli, Barbara Quacquarelli Il presente file può essere usato esclusivamente per finalità di carattere personale. Tutti i contenuti sono protetti dalla Legge sul diritto d’autore. Nomi e marchi citati nel testo sono generalmente depositati o registrati dalle rispettive case produttrici. Sommario Presentazione dell’edizione italiana Prefazione Principi morali generali 21 Come migliorare il clima etico di un’organizzazione 22 Un appello individuale all’azione 23 Apprendere il comportamento organizzativo: l’importanza della ricerca 24 Le cinque fonti di evidenza empirica 24 Un modello per comprendere e gestire il comportamento organizzativo 25 xi xiii Parte I Il mondo del comportamento organizzativo 1 1 Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico 3 Perché Zappos.com è così brava a battere la concorrenza? 3 Benvenuti nel mondo del comportamento organizzativo 5 Il comportamento organizzativo: un campo interdisciplinare 5 Domande frequenti sullo studio del comportamento organizzativo 6 Il comportamento organizzativo: una prospettiva storica 7 La corrente delle relazioni umane 8 La corrente della qualità totale 10 La rivoluzione di Internet e dei social media 12 La costruzione del capitale umano e sociale 13 Il contesto manageriale: ottenere risultati con e attraverso gli altri 16 Che cosa fanno i manager? Un profilo delle capacità manageriali 16 I manager del XXI secolo 17 L’approccio contingente al management 19 La sfida dell’etica 19 Un modello di etica e responsabilità sociale globale d’impresa 19 CompOrga.indb v 2 La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona 27 Sarà possibile per le donne fare carriera? 27 Definire la diversità 28 I livelli della diversità 28 Azioni positive e gestione delle diversità 30 Gli argomenti a favore della gestione della diversità 31 L’aumento della diversità nella forza lavoro 32 Le implicazioni manageriali della diversità 38 Effetti positivi e negativi della diversità negli ambienti di lavoro 41 Le barriere e le sfide alla gestione della diversità 44 Pratiche organizzative per la gestione della diversità 46 3 Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring 49 Vi piacerebbe lavorare per Southwest Airlines? 49 La cultura organizzativa: definizione e contesto 50 Dinamiche della cultura organizzativa 51 11/01/2013 16.34.49 Sommario vi I livelli della cultura organizzativa 51 Quattro funzioni della cultura organizzativa 54 Tipi di culture organizzative 55 Le conseguenze associate alla cultura organizzativa 59 Il processo di cambiamento culturale 61 Il processo di socializzazione organizzativa 63 Un modello di socializzazione organizzativa a tre fasi 64 Radicare la cultura organizzativa attraverso il mentoring 67 Funzioni del mentoring 68 Network per lo sviluppo alla base del mentoring 68 Implicazioni personali e organizzative 69 4 Perché gli americani falliscono negli incarichi all’estero? 91 Come evitare gli elementi critici di comportamento organizzativo negli incarichi all’estero 93 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni 97 5 CompOrga.indb vi 99 Un introverso può guidare Facebook verso il successo nel lungo periodo? 99 Il concetto di sé 101 L’autostima 102 L’auto-efficacia 102 L’auto-osservazione 105 L’identificazione organizzativa 106 La personalità: concetti e controversie 107 I Big Five 107 La personalità proattiva 108 È corretto utilizzare i test di personalità sul posto di lavoro? 109 Capacità (intelligenza) e performance 109 Intelligenza e capacità cognitive 111 Siamo dotati di intelligenze multiple? 111 Le emozioni nella vita organizzativa 113 Emozioni positive ed emozioni negative 113 Lo sviluppo dell’intelligenza emotiva 114 Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale 71 Quante delle vostre supposizioni sulle culture straniere sono errate? 71 Cultura e comportamento organizzativo 73 La cultura di un gruppo sociale è complessa e multistratificata 74 La cultura è una forza sottile ma pervasiva 74 Cultura sociale e cultura organizzativa: un modello 75 Sviluppare l’intelligenza culturale 76 Etnocentrismo: un ostacolo per le interazioni interculturali 76 L’intelligenza culturale è la soluzione ai paradossi culturali 78 Comprendere le differenze culturali 79 Culture a struttura complessa e culture lineari 79 Le nove dimensioni culturali del progetto GLOBE 81 Individualismo e collettivismo 83 Percezione culturale del tempo 84 Spazio interpersonale 86 Religione 87 Conseguenze operative delle ricerche sul management interculturale 88 Lo studio di Hofstede: le teorie di management statunitensi sono applicabili in altri paesi? 88 Lezioni di leadership dal progetto GLOBE 89 Lo stile di management varia di paese in paese 90 Come prepararsi per incarichi all’estero 91 Le differenze individuali 6 Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa 117 Come conciliare i valori dichiarati con quelli praticati? 117 Valori personali 118 La teoria dei valori di Schwartz 118 Conflitti di valori 120 Conflitto tra lavoro e vita familiare 121 Atteggiamenti 122 La natura degli atteggiamenti 123 Che cosa succede quando gli atteggiamenti collidono con la realtà? La dissonanza cognitiva 124 Quanto sono stabili gli atteggiamenti? 124 Gli atteggiamenti influenzano il comportamento attraverso le intenzioni 125 Atteggiamenti nei confronti del lavoro 126 L’impegno verso l’organizzazione 127 Il coinvolgimento del personale 129 11/01/2013 16.34.49 Sommario vii La soddisfazione lavorativa 130 Le cause della soddisfazione lavorativa 130 Implicazioni e conseguenze della soddisfazione lavorativa 131 I comportamenti controproducenti in ambito lavorativo 134 Maltrattamenti 134 Le cause e la prevenzione dei comportamenti controproducenti 135 7 Percezioni e attribuzioni sociali 137 Mostrarsi vulnerabili è un bene o un male? 137 La percezione come modello di elaborazione delle informazioni 139 Una sequenza a quattro fasi e un esempio operativo 139 Fase 1: selezione attiva/comprensione 140 Fase 2: codificazione e semplificazione 141 Fase 3: immagazzinamento e conservazione 143 Fase 4: Recupero e reazione 144 Implicazioni manageriali 144 Stereotipi: percezioni relative a gruppi di persone 146 Formazione e radicamento dello stereotipo 146 Stereotipi legati ai ruoli sessuali 148 Stereotipi legati all’età 149 Stereotipi legati alla razza e all’etnia 150 Stereotipi sulla disabilità 151 Sfide manageriali e consigli utili 151 Profezia che si autoavvera: l’effetto Pigmalione 152 La ricerca e un modello esplicativo 152 Sfruttare al meglio la profezia che si autoavvera 154 Attribuzioni causali 155 Modello dell’attribuzione secondo Kelley 156 Tendenze attributive 157 Applicazioni e implicazioni manageriali 159 8 I fondamenti della motivazione 161 È giusto legare lo stipendio degli insegnanti al rendimento degli studenti? 161 La motivazione attraverso i contenuti del lavoro 163 La teoria della gerarchia dei bisogni di Maslow 163 La teoria ERC di Alderfer 164 CompOrga.indb vii La teoria dei bisogni di McClelland 165 La teoria dei fattori duali di Herzberg 166 Le teorie motivazionali incentrate sui processi 168 La teoria motivazionale dell’equità di Adams 168 La relazione di scambio tra individuo e organizzazione 169 Iniquità negativa e positiva 169 Espandere il concetto di equità: la giustizia organizzativa 171 Implicazioni pratiche derivanti dalla teoria dell’equità 172 La teoria dell’aspettativa di Vroom 173 Aspettativa 173 Strumentalità 174 Valenza 174 La teoria dell’aspettativa in azione 175 Ricerca sulla teoria dell’aspettativa e implicazioni a livello manageriale 175 La motivazione attraverso il goal setting 176 Obiettivi: definizione e antecedenti 177 Come funziona il goal setting? 177 Implicazioni pratiche delle ricerche sul goal setting 178 Motivare i collaboratori attraverso la riorganizzazione del lavoro 180 Gli approcci top-down 180 Gli approcci bottom-up 184 Gli accordi personalizzati 185 Applicare le teorie motivazionali nell’ambiente di lavoro 186 9 Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi 187 Quanto è importante conoscere il giudizio sulle proprie prestazioni? 187 Il goal setting 189 Due tipi di obiettivi 190 Il management by objectives 191 Gestire il processo del goal setting 191 Il feedback 194 Due funzioni del feedback 195 I riceventi del feedback sono pronti, disponibili e capaci? 195 Consigli pratici derivanti dalla ricerca sul feedback 197 Feedback a 360 gradi 198 11/01/2013 16.34.49 Sommario viii Come fornire feedback finalizzato al coaching e all’efficacia organizzativa 199 Sistemi di ricompensa 199 Tipologie di ricompensa 200 Criteri di distribuzione delle ricompense 201 Risultati desiderati dal sistema di ricompense 201 Le basi della motivazione e delle ricompense intrinseche 201 Perché le ricompense estrinseche non riescono a motivare? 203 Retribuzione legata alla performance 204 Trarre il meglio da ricompense estrinseche e retribuzioni basate sulla performance 205 Il rinforzo positivo 206 La legge degli effetti di Thorndike 206 Il modello di Skinner del condizionamento operativo 206 Conseguenze contingenti 207 Programmi di rinforzo 209 Modellare il comportamento 211 Parte III 10 I gruppi e i processi sociali Dinamiche di gruppo 11 215 Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci 243 Perché un servizio clienti eccellente somiglia a uno sport di squadra? 243 Team di lavoro: tipi, efficacia e difficoltà 244 Una tipologia generale dei team di lavoro 245 Efficacia dei team di lavoro 247 Perché i team di lavoro falliscono? 250 Lavoro di team efficace tramite cooperazione, fiducia e coesione 252 Cooperazione 252 Fiducia 253 Coesione 256 Team virtuali e team auto-gestiti 257 Team virtuali 258 Team auto-gestiti 260 Il team building e la leadership dei team 262 Team building 262 La leadership dei team 264 213 Quanto sono utili i gruppi informali? 215 I gruppi nell’epoca dei social media 216 Gruppi formali e informali 217 Funzioni dei gruppi formali 217 L’era dei social media ha sfumato i confini tra formale e informale 218 Il processo di sviluppo dei gruppi 220 Le cinque fasi 220 Sviluppo dei gruppi: studi e indicazioni pratiche 222 Ruoli e norme: basi sociali per il comportamento organizzativo e di gruppo 224 Ruoli 225 Norme 228 Risultati della ricerca e implicazioni per i manager 229 Struttura e composizione del gruppo 230 Ruoli funzionali rivestiti dai membri del gruppo 230 Dimensioni del gruppo 232 Uomini e donne che lavorano insieme in un gruppo 233 Minacce all’efficacia del gruppo 237 CompOrga.indb viii L’effetto Asch 237 Groupthink 239 Inerzia sociale 240 12 Processi decisionali individuali e di gruppo 265 Perché i vertici di Google hanno adottato il processo decisionale di gruppo? 265 Modelli decisionali 266 Il modello razionale 266 I modelli decisionali non razionali 268 Integrare il modello razionale e i modelli non razionali 270 I bias decisionali 270 Il processo decisionale basato sull’evidenza 273 Un modello di processo decisionale basato sull’evidenza 273 Sette principi per l’implementazione 275 Perché è difficile adottare il processo decisionale basato sull’evidenza? 276 Dinamiche del processo decisionale 276 Stili decisionali 276 L’intuizione nel processo decisionale 279 Processi decisionali di gruppo 281 Il gruppo nei processi decisionali 282 Vantaggi e svantaggi del processo decisionale di gruppo 283 11/01/2013 16.34.49 Sommario ix Tecniche per il problem-solving di gruppo 285 Creatività 289 Definizione e caratteristiche individuali associate alla creatività 289 Le caratteristiche del contesto associate alla creatività 291 Le fasi del processo creativo 291 13 Gestione del conflitto e negoziazione 293 Quanto conta l’emotività nella gestione dei conflitti? 293 Conflitto: una prospettiva moderna 294 Il linguaggio del conflitto: metafore e significati 295 Il continuum dei conflitti 296 Conflitto funzionale e conflitto patologico 297 Antecedenti del conflitto 298 Soluzioni auspicabili dei conflitti 298 Tipologie di conflitto 299 Conflitto di personalità 299 Conflitto tra gruppi 300 Conflitti interculturali 303 Gestire i conflitti 304 Stimolare i conflitti funzionali 305 Stili alternativi per la gestione del conflitto patologico 307 Intervento da parte di terzi 309 Lezioni pratiche dalla ricerca sui conflitti 311 Negoziazione 312 Due tipi di negoziazione 312 Insidie di carattere etico nella negoziazione 313 Gestione del conflitto e negoziazione: un approccio contingente 313 Parte IV 14 I processi organizzativi 15 Influenza, empowerment e manovre politiche 351 Quanto possono divergere i punti di vista? 351 Tattiche di influenza organizzativa 353 Nove tattiche di influenza generiche 353 Tre possibili esiti di un processo di influenza 354 Potere sociale 354 Dimensioni del potere 355 Ricerche sul potere sociale 357 Uso etico e responsabile del potere 358 Empowerment: dalla condivisione alla distribuzione del potere 359 Una questione di sfumature 360 Management partecipativo 361 Delega 361 Manovre politiche e gestione dell’impressione 363 Definizione e dominio delle manovre politiche 364 Tattiche politiche 366 Gestione dell’impressione 368 Gestione delle manovre politiche nelle organizzazioni 370 317 Comunicazione organizzativa nell’era digitale 319 I social network sono una perdita di tempo? 319 Dimensioni di base del processo comunicativo e impatto dei social media 320 Un modello di processo percettivo della comunicazione 321 Barriere a una comunicazione efficace 323 L’impatto dei social media sulla comunicazione 326 CompOrga.indb ix Comunicazione interpersonale 326 Assertività, aggressività e non assertività 327 La comunicazione non verbale 328 Ascolto attivo 330 Stili linguistici e genere 332 Comunicazione organizzativa 334 I canali formali per la comunicazione verso l’alto, verso il basso, orizzontale ed esterna 335 I canali di comunicazione informali 336 La scelta del mezzo di comunicazione: una prospettiva contingente 338 L’impatto della comunicazione digitale sul comportamento organizzativo 341 Problemi strategici: la sicurezza e la privacy 342 La dirompente Net Generation 343 Telependolarismo e telelavoro: vantaggi e problemi 344 Gestire le conseguenze indesiderate dell’era digitale 346 16 Leadership 373 Quanto la realtà e l’apparenza coincidono nella leadership? 373 11/01/2013 16.34.49 Sommario x I temi della leadership 374 Che cos’è la leadership? 374 Approcci alla leadership 375 Leadership vs management 376 Teoria dei tratti e teoria comportamentale della leadership 376 Teoria dei tratti 377 Teoria degli stili comportamentali 380 Teorie contingenti 382 Il modello contingente di Fiedler 383 La teoria del percorso-obiettivo 385 L’applicazione pratica delle teorie contingenti 388 Cautela nell’applicazione delle teorie contingenti 388 Il modello full range della leadership: dallo stile laissez-faire allo stile trasformazionale 389 Come fa la leadership trasformazionale a influire sui follower? 390 Ricerche e implicazioni manageriali 391 Altre prospettive sulla leadership 393 Il modello dello scambio tra leader e collaboratore 393 La leadership condivisa 394 La leadership di servizio 395 Il ruolo dei follower nel processo di leadership 397 CompOrga.indb x 17 Gestione del cambiamento e dello stress 399 Il cambiamento organizzativo è un processo facile? 399 Le forze del cambiamento 400 Forze esterne 401 Forze interne 403 Modelli e dinamiche del cambiamento pianificato 404 Tipologie di cambiamento 404 Il modello del cambiamento di Lewin 405 Un modello sistemico del cambiamento 407 Le otto fasi di Kotter della gestione del cambiamento organizzativo 409 Determinare il cambiamento attraverso lo sviluppo organizzativo 410 Capire e gestire la resistenza al cambiamento 413 Le cause della resistenza al cambiamento 414 Strategie alternative per vincere la resistenza al cambiamento 417 Dinamiche dello stress 417 Definizione di stress 419 Un modello di stress lavorativo 419 Moderatori dello stress occupazionale 423 Tecniche per ridurre lo stress 426 Note al volume 429 11/01/2013 16.34.49 Presentazione dell’edizione italiana Questa nuova edizione italiana del manuale Comportamento organizzativo di Kreitner e Kinicki nasce dall’esigenza di rendere sempre più aggiornata la trattazione di una materia che evolve di continuo, congiuntamente a eventi di contesto e aziendali che modificano sostanzialmente i modi di pensare e di lavorare degli individui. I cambiamenti di cui il testo dà conto sono soprattutto legati alla presenza sempre più pervasiva di Internet nelle diverse funzioni aziendali, presenza che comporta una evoluzione delle conoscenze, ma anche e soprattutto delle modalità di comunicazione e di interazione tra gli individui. A questo si affianca la novità costituita dai social network, sia nei processi di coesione organizzativa che di trasferimento immediato delle informazioni. Mutamenti di cui è necessario tenere conto articolando in modo gestionale le opportunità, ma anche i rischi che essi rappresentano. La necessità di aggiornare lo studio del comportamento organizzativo alla luce degli effetti, spesso dirompenti, della tecnologia sui comportamenti quotidiani e sulla vita delle organizzazioni non esime comunque dal conoscere e approfondire le basi, anche storiche, su cui si fonda questa disciplina. Nella realtà della formazione spesso si diffondono modelli poco fondati dal punto di vista della ricerca, che affascinano e seducono, ma non forniscono risposte di apprendimento adeguate. In questo contesto, l’obiettivo del manuale che presentiamo rimane essenzialmente quello di fornire della basi teoriche a temi che possono essere soggetti a mode e a influenzamenti di varia natura. Per questo riteniamo molto importante che il comportamento organizzativo si affermi a tutti gli effetti come disciplina universitaria, affiancando discipline più consolidate nella realtà italiana come Organizzazione Aziendale e Gestione delle Risorse Umane, ma anche trovando spazio nel più vasto ambito delle scienze umane, per completare la gamma essenziale degli strumenti a disposizione sia degli studiosi, che possono sostenere in modo attivo l’evoluzione della materia, sia di tutti coloro che gestiscono persone in ambiti profit e no-profit, che necessitano di mezzi concreti per intervenire sulle reali situazioni lavorative. Rispetto alla prima edizione italiana di questo libro (2004) molta acqua è passata sotto i ponti e il comportamento organizzativo si è legittimato in entrambi le sedi, quella accademica e quella formativa, costituendo un corpus ormai imprescindibile di riferimento. CompOrga.indb xi 11/01/2013 16.34.49 xii Presentazione dell’edizione italiana Permangono, come abbiamo già sottolineato presentando le edizioni precedenti, dei pericoli che è sempre necessario tenere presenti, sia nell’approfondimento che nella gestione operativa. Il primo pericolo, cui già abbiamo accennato, riguarda la divulgazione estrema e la banalizzazione di contenuti dovute a una domanda ampia e molto spesso indifferenziata, che non è in grado di discernere tra la moda affascinante e la seria professionalità. In realtà, in questi anni, i referenti all’interno delle organizzazioni si sono fatti più competenti e abili nel riuscire a distinguere i contenuti e gli obiettivi adeguatamente sostenuti dalla teoria da quelli confezionati solo per attrarre. Ovviamente sul fronte dell’offerta si assiste a una amplissima gamma di possibilità, con proposte che spesso sono esclusivamente di fascinazione, con poca o nessuna attenzione sia al contesto organizzativo che all’apprendimento delle persone. Un secondo e ben più grave pericolo riguarda il sottile confine che divide gli interventi sul comportamento organizzativo dalla strumentazione psicologica tradizionale. Alcuni programmi proposti dalle aziende ai loro collaboratori sono costruiti con setting analoghi a quelli terapeutici. Quando questo avviene dovrebbero sorgere diverse domande. La principale di natura etica: può l’azienda legittimamente costringere le persone che offrono il loro lavoro a percorsi che possono mettere in discussione profondamente la loro identità? Non è intrinseco a un setting terapeutico la necessità della volontà del soggetto nella costruzione di un contratto psicologico adeguato? Questo problema si è fatto ancora più pressante ora, con l’affermarsi del coaching e in generale dei contesti formativi one-to-one. Come si può arguire, il panorama degli studi e degli interventi sul comportamento organizzativo necessita di alcuni chiarimenti, che possono rivelarsi estremamente utili nella costruzione di un sistema di conoscenze diffuso e articolato, che possa diventare un patrimonio sul quale sviluppare ricerche serie radicate nella realtà italiana, decisamente trascurata fino a ora. Il terzo pericolo riguarda la sottovalutazione degli elementi culturali nella proposta di modelli di lettura dei comportamenti. Si tratta di una contraddizione interessante, dato che le culture sono esattamente uno degli ambiti di studio del comportamento organizzativo. Quello che si intende sottolineare, e che sta emergendo in numerosi studi, è la collocazione culturale di alcuni modelli spesso identificati come universali. Il predominio di modelli interpretativi nati prevalentemente nelle business school americane, che può essere provato con solo un’occhiata alla bibliografia, non tiene conto delle concrete realtà locali, di universi linguistici differenti, come di contesti valoriali e di approcci al lavoro diversi. Per questo è molto importante che si sviluppi una ricerca capace di cogliere in profondità i cambiamenti del mondo del lavoro, ma anche le peculiarità locali e le relative differenze. Un compito che pochi, in Italia, si sono assunti, e che dovrebbe diventare fondamento di una ricerca diffusa, pur all’interno dei limitati mezzi delle università del nostro Paese, per far germogliare uno spirito critico e una diffusa capacità di innovazione. M. Cristina Bombelli Barbara Quacquarelli CompOrga.indb xii 11/01/2013 16.34.50 Prefazione Indipendentemente dalle dimensioni, dal settore di attività e dalle tecnologie utilizzate, le persone sono il denominatore comune nel rispondere alle sfide dell’ambiente competitivo globale di oggi. Il successo o il fallimento dipendono dalla capacità di attrarre, trattenere e motivare individui dotati delle abilità necessarie. Il fattore umano è tutto. Acquisire una migliore conoscenza del comportamento sul lavoro significa guadagnare un significativo vantaggio competitivo. L’obiettivo di questo libro è aiutare i manager attuali e futuri a comprendere meglio le persone in un ambiente di lavoro, e a gestirle meglio. Sebbene la decima edizione americana del libro, come le precedenti, si rivolga in primo luogo a studenti universitari di discipline aziendali, il testo ha dimostrato di essere assai flessibile: è stato usato con successo in programmi MBA e corsi di formazione manageriale in diversi paesi. Il testo è il risultato dei nostri complessivi 65 e più anni di insegnamento e ricerca negli Stati Uniti, in Europa e nell’area del Pacifico. I feedback offerti da studenti, docenti e manager ci hanno aiutato a rifinirlo e migliorarlo nel tempo. Anche questa edizione è stata arricchita con nuovi temi, nuovi risultati di ricerca e nuove tecniche di management. Il libro, nelle sue successive edizioni, è stato guidato dal cliente (poiché abbiamo tenuto conto delle indicazioni dei nostri lettori), realizzato attraverso un lavoro in team tra autori ed editore, e ha comportato un miglioramento continuo. Questo approccio ci ha aiutati a raggiungere una serie di difficili compromessi: tra teoria e pratica manageriale, tra contenuti concettuali ed esempi attuali, tra rigore e leggibilità. La lettura di un libro di testo che, come in questo caso, aspira a dare una visione complessiva di una disciplina è un’esperienza sicuramente impegnativa; ci auguriamo che possa anche essere interessante, e a momenti persino piacevole. Ringraziamenti Questo libro è frutto del lavoro di molte persone. I nostri colleghi alla Arizona State University ci hanno aiutato fin dall’inizio. Negli anni i nostri studenti alla ASU, all’American Graduate School of International Management (Thunderbird) e all’Università di CompOrga.indb xiii 11/01/2013 16.34.50 Prefazione xiv Tirana (Albania) sono stati “clienti” entusiasti e sinceri; siamo loro grati per i feedback forniti, dei quali abbiamo cercato di tenere conto. Un sincero apprezzamento per la realizzazione degli ausili didattici va a Mindy West della Arizona State University, a Brad Cox di Midland Tech e a Floyd Ormsbee della Clarkson University; un grazie a Terri Lawson per la gestione di diritti e autorizzazioni. I lettori delle precedenti nove edizioni hanno contribuito al nostro obiettivo di kaizen (miglioramento continuo). A questa edizione hanno fornito i loro commenti: Grace Auyang, Ph.D. University of Cincinnati Ellen J. Mullen, Ph.D. Iowa State University M. Suzanne Clinton University of Central Oklahoma Jeff Peterson Woodbury School of Business, Utah Valley University Elizabeth Cooper University of Rhode Island Tim DeGroot Midwestern State University Kathy Edwards University of Texas at Austin Leslie Elrod University of Cincinnati RWC Sean D. Jasso, Ph.D. University of California, Riverside Dr. Christopher McChesney, Ph.D. Indian River State College Mary Pisnar Baldwin-Wallace College Consuelo M. Ramirez, Ph.D. University of Texas at San Antonio Donald R Schreiber Baylor University Jerry Stevens Texas Tech University Jerald T Storey Western Governors University Ethan P. Waples University of Central Oklahoma Uno speciale ringraziamento va al nostro “branco” alla Irwin/McGraw-Hill: i nostri editor, Mike Ablassmeir e Kelly Pekelder; il marketing manager, Anke Weekes; il team di progetto e produzione, Matt Diamond, Dana Pauley, Michael McCormick e Jeremy Cheshareck. Infine vogliamo ringraziare le nostre mogli, Margaret e Joyce, per essere state “prime clienti” severe e attente del nostro lavoro. Bob Kreitner Angelo Kinicki CompOrga.indb xiv 11/01/2013 16.34.50 Il mondo del comportamento organizzativo Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 CompOrga.indb 1 I Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring Comportamento organizzativo nel mondo: il management interculturale 11/01/2013 16.34.50 Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico 1 Perché Zappos.com è così brava a battere la concorrenza? Probabilmente sono in pochi ad aver sentito nominare Tony Hsieh (si pronuncia Shay), amministratore delegato di Zappos.com, ma i numerosissimi clienti fedeli e soddisfatti del sito di vendita online di calzature e altri articoli non possono che avere voglia di congratularsi con lui. Inizialmente come investitore/consulente, poi in veste di amministratore delegato, Hsieh ha traghettato Zappos dai difficili esordi come start-up digitale alla fusione con Amazon nel 2009 per 1,2 miliardi di dollari. Lungo la rotta, ha aiutato Zappos a sviluppare una bizzarra cultura aziendale basata sull’affiatamento tra i dipendenti e l’ossessione per l’eccellenza del servizio ai clienti sette giorni su sette e ventiquattro ore su ventiquattro. “Il Servizio Clienti non è solo un ufficio!”, proclama il sito web dell’azienda. Quando è stata annunciata la fusione con Amazon, Hsieh ha promesso a tutti i dipendenti un lettore di e-book Kindle e un bonus legato alla permanenza in azienda pari al 40% dello stipendio annuo. Aspetto ancora più importante, si è impegnato a mantenere la tanto amata cultura aziendale. Il seguente estratto dal libro di Hsieh Delivering Happiness: A Path to Profits, Passion, and Purpose illustra attraverso quale percorso Zappos.com è arrivata a mettere in primo piano le persone (clienti e dipendenti). Ho inviato diverse email a tutta l’azienda, ricevendo in risposta numerosi suggerimenti e feedback sui valori fondamentali considerati più importanti dal personale. La lentezza del processo mi ha sorpreso, ma non era nostra intenzione essere precipitosi perché, quali che CompOrga.indb 3 risultassero i valori più importanti, volevamo poterli sposare con convinzione […] Abbiamo ottenuto un elenco finale di 10 valori (partendo da 37) che continuiamo a seguire ancora oggi: 1. Offrire un servizio DA URLO dall’inizio alla fine 2. Sposare il cambiamento ed esserne gli artefici 3. Creare un’atmosfera divertente e un po’ bizzarra 4. Essere avventurosi, creativi e di larghe vedute 5. Cercare la crescita e l’apprendimento 6. Instaurare rapporti aperti e onesti attraverso la comunicazione 7. Costruire uno spirito familiare e di squadra positivo 8. Fare di più con meno 9. Essere entusiasti e determinati 10. Essere umili Essere umili è forse il valore che incide maggiormente sulla nostra politica di assunzione: durante i colloqui incontriamo tanti candidati intelligenti, dotati di talento e grande esperienza, e notiamo in loro il potenziale per fare la differenza in termini di fatturato e profitti. Molti, però, sono profondamente individualisti e preferiamo non assumerli. La filosofia di Zappos è che siamo disposti a fare sacrifici nel breve periodo (anche in termini di minore fatturato) se riteniamo di poter cogliere benefici maggiori nel lungo periodo. Proteggere la cultura aziendale e rispettare i valori fondamenti è un beneficio nel lungo periodo.1 11/01/2013 16.34.50 4 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo Tony Hsieh non si limita a spendere belle parole su quanto siano importanti i suoi collaboratori: ripone fiducia in loro, li ascolta e li responsabilizza. Non sorprende che nel 2011 Zappos.com abbia conquistato il sesto posto nella classifica della rivista Fortune delle migliori imprese in cui lavorare in America.2 Hsieh ha creato quella che Jeffrey Pfeffer della Stanford University definisce un’organizzazione “orientata alle persone”. Dai risultati delle ricerche condotte su aziende sia negli Stati Uniti sia in Germania emerge chiaramente una forte connessione fra l’adozione delle seguenti sette pratiche incentrate sulle persone, profitti molto più alti e un turnover dei dipendenti significativamente più basso: 1. Sicurezza dell’impiego (per eliminare la paura di licenziamenti in seguito a crisi aziendali). 2. Assunzioni selettive (che enfatizzano un buon adattamento con la cultura aziendale). 3. Potere alle persone (attraverso la decentralizzazione e i team autogestiti). 4. Retribuzioni elevate ma contingenti alle prestazioni. 5. Molta formazione. 6. Riduzione delle differenze di status (per costruire la sensazione del “noi”). 7. Costruzione della fiducia (attraverso la condivisione di informazioni critiche).3 È rilevante sottolineare che questi fattori costituiscono un pacchetto integrato, nel senso che necessitano di essere applicati in modo coordinato e sistematico e non in modo frammentato. Solo il 12% delle organizzazioni, secondo Pfeffer, hanno un approccio sistematico e la perseveranza per essere qualificate come vere organizzazioni centrate sulle persone, conseguendo per questo un vantaggio competitivo.4 A nostro parere, un 88% di organizzazioni non sufficientemente orientate alle persone rappresenta un tragico spreco di potenziale umano ed economico. Di recente Pfeffer ha espresso il suo appello per un maggiore orientamento alle persone con il termine sostenibilità, legato al cosiddetto green management: “Come ci si preoccupa di tutelare le risorse naturali, ci si dovrebbe preoccupare della tutela delle risorse umane.”5 Le implicazioni etiche dell’orientamento alle persone sono molto profonde, soprattutto durante le fasi recessive, che possono causare milioni di licenziamenti. Nelle organizzazioni orientate alle persone, il licenziamento è l’ultima alternativa possibile, non una reazione automatica alla difficile congiuntura economica. L’esperienza e i risultati di svariate ricerche dicono che i licenziamenti si ripercuotono negativamente su tutti, anche sui “sopravvissuti” che conservano il posto di lavoro. Un recente studio condotto su 318 imprese ha riportato la seguente conclusione: “Tre quarti dei 4.172 dipendenti che hanno mantenuto il posto di lavoro affermano che la propria produttività è calata dopo i licenziamenti.”6 Se in alcuni casi i licenziamenti sono purtroppo inevitabili, le organizzazioni orientate alle persone possono differirli quanto più a lungo possibile applicando strategie come la riduzione generalizzata degli stipendi e/o la riduzione degli orari di lavoro e l’aspettativa volontaria non retribuita. Quale che sia il nostro ruolo nella società (datore di lavoro/imprenditore, dipendente, manager, azionista, studente, insegnante, elettore, eletto, attivista in ambito sociale/ politico), è necessario che accettiamo la sfida di creare e salvaguardare organizzazioni che pongono al centro le persone. La missione di questo libro è incrementare il numero CompOrga.indb 4 11/01/2013 16.34.50 1 Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico 5 di organizzazioni orientate alle persone e gestite in modo etico in tutto il mondo al fine di migliorare la qualità della vita di tutti.7 Lo scopo del primo capitolo è di definire il campo di studi del comportamento organizzativo, esaminarne la rilevanza attuale e analizzarne il profilo storico, manageriale ed etico. Viene infine presentata la struttura del libro. Benvenuti nel mondo del comportamento organizzativo Organizzazione: sistema di attività consapevolmente coordinate di due o più persone Il comportamento organizzativo studia come le persone agiscono e reagiscono all’interno di organizzazioni di ogni tipo. Durante tutta la vita, nelle nostre attività quotidiane, entriamo continuamente in contatto con organizzazioni che offrono lavoro, istruzione, informazioni, cibo, cure sanitarie, protezione e attività di svago. Secondo la definizione classica di Chester Barnard, un’organizzazione è “un sistema di attività o di forze consapevolmente coordinate di due o più persone”.8 Le organizzazioni sono un’invenzione sociale che ci aiuta a ottenere collettivamente risultati che i singoli non potrebbero mai raggiungere e, nel bene o nel male, amplificano le nostre potenzialità. Consideriamo un interessante esempio riguardante l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Nel 1967 ogni anno il vaiolo colpiva dai 10 ai 15 milioni di persone in tutto il mondo. L’OMS decise di istituire un’unità per l’eradicazione del vaiolo, che riuscì a portare a termine la sua missione dopo 13 anni. Nel 1988 si registravano 350.000 casi di poliomielite e l’OMS istituì un’unità di eradicazione della malattia. Da quel momento, sono stati investiti nel progetto 3 miliardi di dollari e 20 milioni di volontari in tutto il mondo hanno offerto il proprio aiuto. Il risultato? Nel 2003, i casi di poliomielite sono stati solo 784.9 Al contrario, organizzazioni come al-Qaeda seminano terrore e morte, mentre altre come istituti bancari e aziende in bancarotta dilapidano le nostre risorse. Le organizzazioni sono la scacchiera su cui si svolge il gioco della vita: approfondire le conoscenze sul comportamento organizzativo – la vita all’interno delle organizzazioni – significa acquisire una maggiore consapevolezza sulla natura, le possibilità e le regole del gioco. Il comportamento organizzativo: un campo interdisciplinare Comportamento organizzativo: campo di studi interdisciplinare che mira a una migliore comprensione e gestione delle persone nel contesto lavorativo CompOrga.indb 5 Il comportamento organizzativo, a cui comunemente in inglese ci si riferisce con l’abbreviazione OB (Organizational Behavior), è un campo di studi interdisciplinare il cui fine è una migliore comprensione e gestione delle persone nel contesto lavorativo. Per definizione, il comportamento organizzativo è orientato sia alla ricerca teorica sia all’applicazione pratica. I tre livelli di base dell’analisi sono l’individuo, il gruppo e l’organizzazione. Il comportamento organizzativo attinge da un’ampia gamma di discipline, incluse la psicologia, l’economia aziendale, la sociologia, la teoria organizzativa, la psicologia sociale, la statistica, l’antropologia, la teoria dei sistemi, l’economia, i sistemi informativi, le scienze politiche, il counseling, la gestione dello stress, la psicometria, l’ergonomia, la teoria delle decisioni e l’etica.10 Da questa ricca eredità sono state generate molte prospettive e teorie in competizione fra loro riguardanti il 11/01/2013 16.34.50 6 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo comportamento umano sul lavoro. Nel 2003 un ricercatore ha identificato 73 teorie distinte in quest’area.11 Domande frequenti sullo studio del comportamento organizzativo Nel corso degli anni, assieme ai colleghi abbiamo risposto a una serie di domande relative a questa disciplina rivolteci dai nostri studenti. Seguono le più comuni, con le relative risposte. Perché studiare il comportamento organizzativo? Studiando attentamente questo libro, scoprirete di più su voi stessi, su come interagire efficacemente con gli altri e su come crescere (non limitandosi a sopravvivere) all’interno delle organizzazioni. La seconda parte vi offre una molteplicità di spunti di riflessione sulla personalità, le emozioni, i valori, le gratificazioni lavorative, le percezioni, i bisogni e gli obiettivi. Per quanto concerne l’efficacia interpersonale, imparerete come fare gioco di squadra, costruire la fiducia, gestire i conflitti, negoziare, comunicare, influenzare e guidare gli altri. La trattazione di quasi tutti i principali argomenti si conclude con una serie di consigli pratici. L’idea è quella di aiutarvi ad acquisire competenze relative alla gestione di sé, al processo decisionale etico, al pensiero indipendente, all’ascolto, alla gestione delle politiche organizzative, del cambiamento e dello stress. Il noto studioso di comportamento organizzativo Edward Lawler III ha realizzato la “spirale di carriera virtuosa”, riportata in figura 1-1, per illustrare come le capacità legate al comportamento organizzativo possono indirizzare verso il successo professionale. “È la dimostrazione che capacità e prestazioni di maggiore qualità possono tradursi in posti di lavoro migliori e riconoscimenti più importanti.”12 Se i miei studi vertono su discipline tecniche, perché dovrei dedicarmi a studiare il comportamento organizzativo? Molti studenti di contabilità, finanza, informatica o ingegneria considerano il comportamento organizzativo una scienza “soft” di scarsa importanza. È probabile che la loro carriera lavorativa inizi in un ambito molto specifico, per poi evolversi in un ruolo di guida e controllo o in una posizione di leadership. A questo punto, le capacità di relazione “soft” rappresenteranno un fattore decisivo per il successo. Inoltre, nelle organizzazioni di oggi, orientate al lavoro di squadra e globalizzate, le capacità di lavorare in gruppo, relazionarsi con culture diverse, comunicare, gestire i conflitti, negoziare e persuadere i colleghi spesso si rendono necessarie molto presto. Jack Welch, il leggendario amministratore delegato di General Electric, e Suzy Welch, già direttrice della rivista Harvard Business Review, hanno risposto come segue alla domanda di un docente di una business school su come preparare al meglio gli studenti per il contesto aziendale globalizzato: A nostro avviso, i fondamenti della gestione delle persone dovrebbero assumere maggiore importanza nella formazione. Negli ultimi due anni abbiamo visitato 35 business school in tutto il mondo e in molti casi siamo rimasti sorpresi dalla poca attenzione dedicata ad aspetti quali i modi di assumere, motivare, costruire un team e licenziare. Si privilegiano concetti cervellotici, come tecnologie d’avanguardia, modelli di complessità e argomenti CompOrga.indb 6 11/01/2013 16.34.50 1 Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico Figura 1-1 Le capacità legate al comportamento organizzativo sono il lasciapassare per una spirale lavorativa virtuosa R n ic o Lavoro im osc e Motiv a zione e s oddisfa z ione nti R ic onosc im Fonte: Edward E. Lawler, Treat People Right! How Organizations and Individual Can Propel Each Other into a Virtuous Spiral of Success, Jossey-Bass, 2003, p. 21. Riprodotto su autorizzazione di John Wiley & Sons, Inc. e nti 7 Pr Pr e es t a z io ni s ta z i o n i acit à Cap Lavoro Capacità del genere, che sono utili soprattutto nel contesto delle società di consulenza. I manager però devono anzitutto sapere come tirare fuori il massimo dalle persone. Ci auguriamo che lei abbia un’influenza tale all’interno della sua università da porre al centro degli studi la gestione delle persone perché, se lo farà, i suoi studenti avranno una marcia in più quando entreranno nel mondo del lavoro.13 Troverò un lavoro nel campo del comportamento organizzativo? Comportamento organizzativo è una definizione accademica e, fatta eccezione per le posizioni di insegnamento e ricerca, non corrisponde a una categoria di attività aziendali come la contabilità, il marketing o la finanza. Ai collaboratori tipicamente non vengono assegnati compiti riguardanti il comportamento organizzativo come area a sé stante. Ciò non svilisce in nessun modo il comportamento organizzativo e non ne diminuisce l’importanza nell’efficace gestione di un’organizzazione. Il comportamento organizzativo è una disciplina trasversale che idealmente interseca ogni categoria delle attività quotidiane, ogni funzione aziendale e ogni specializzazione professionale. Chiunque progetti di guadagnarsi da vivere in un’organizzazione, grande o piccola, pubblico o privata, ha necessità di studiare il comportamento organizzativo. Il comportamento organizzativo: una prospettiva storica Affrontando questo tema è utile adottare una prospettiva storica. Secondo un esperto di storia del management, questo è importante perché: CompOrga.indb 7 11/01/2013 16.34.50 Parte I 8 Il mondo del comportamento organizzativo La prospettiva storica è lo studio di una materia alla luce delle sue prime fasi e della sua successiva evoluzione. La prospettiva storica differisce dalla storia in quanto il suo scopo è raffinare una visione del presente, non del passato.14 In altre parole, è possibile comprendere meglio dov’e oggi il campo del comportamento organizzativo e dove sembra dirigersi ricostruendo cosa è stato sino a oggi e lungo quali direttrici si sta evolvendo.15 Si esaminano di seguito quattro punti di riferimento significativi nell’evoluzione della riflessione e della pratica di gestione: 1. 2. 3. 4. la corrente delle relazioni umane; la corrente della qualità totale; la rivoluzione di Internet e dei social media; la costruzione del capitale umano e sociale. La corrente delle relazioni umane Una combinazione di fattori unica durante gli anni ’30 promosse la corrente delle relazioni umane. Prima di tutto, a seguito della legalizzazione delle contrattazioni collettive tra sindacati e datori di lavoro negli Stati Uniti nel 1935, il management iniziò a cercare nuovi modi di gestire i dipendenti. In secondo luogo, gli scienziati del comportamento che conducevano ricerche sul campo iniziarono a richiamare l’attenzione sul “fattore umano”. I manager che avevano perso la battaglia per chiudere le porte delle fabbriche ai sindacati considerarono con più attenzione il miglioramento delle relazioni umane e delle condizioni lavorative. Uno studio condotto alla Western Electric di Chicago, nell’area dell’impianto di Hawthorne, fu il primo stimolo al movimento delle relazioni umane, anche se, ironia della sorte, i risultati di tale studio si sono rivelati in buona parte un mito. L’eredità di Hawthorne Le interviste condotte decenni dopo con tre soggetti coinvolti negli studi di Hawthorne e una seconda analisi dei dati originali attraverso moderne tecniche statistiche non hanno supportato le conclusioni allora raggiunte. In particolare, le cause che fecero registrare un aumento dell’output negli esperimenti condotti su un campione di operai furono il denaro, la paura della disoccupazione durante la Grande Depressione, la disciplina e materie prime di alta qualità; non fu dunque merito, come allora si credette, di un atteggiamento incoraggiante da parte dei superiori.16 Ciò nonostante, la corrente delle relazioni umane acquistò vigore durante gli anni ’50, quando accademici e manager sottolinearono il potente effetto che i bisogni individuali, il controllo motivante e le dinamiche di gruppo esercitavano sulla performance dei dipendenti. Gli scritti di Mayo e Follett Essenziali per lo sviluppo della corrente delle relazioni umane furono gli scritti di Elton Mayo e Mary Parker Follett. L’australiano Mayo, il quale aveva guidato i ricercatori di Harvard a Hawthorne, consigliò ai manager, con il suo classico scritto del 1933 “The Human Problems of an Industrial Civilization”, di rispondere ai bisogni emotivi dei propri dipendenti. La Follett fu una vera innovatrice, non solo come donna consulente di management nel mondo industriale maschilista CompOrga.indb 8 11/01/2013 16.34.51 1 Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico 9 Tabella 1-1 Le teorie X e Y di McGregor Ipotesi superate (teoria X) Ipotesi moderne (teoria Y) 1. 2. 1. 3. Le persone in genere non amano lavorare e lo evitano. Le persone devono essere costrette e spaventate con la minaccia di punizioni affinché lavorino e richiedono una stretta direzione. Le persone preferiscono essere guidate. Tendono a evitare la responsabilità e mostrano poca ambizione. 2. 3. 4. 5. Il lavoro è un’attività naturale, al pari del gioco o del riposo. Le persone sono capaci di auto-dirigersi e di autocontrollarsi se sono coinvolte negli obiettivi. Le persone generalmente si impegnano negli obiettivi organizzativi se sono ricompensate per farlo. Il dipendente tipico può imparare ad accettare e a cercare la responsabilità. La persona media possiede immaginazione, ingegnosità e creatività. Fonte: adattato da D. McGregor, The Human Side of Enterprise (New York: McGraw-Hill, 1960), cap. 4. degli anni ’20, ma anche come studiosa che considerava gli individui una combinazione complessa di attitudini, credenze e bisogni. Mary Parker Follett precorreva i suoi tempi nel raccomandare ai manager di motivare la performance lavorativa al posto di richiederla semplicemente, seguendo una strategia “pull” piuttosto che “push”. Costruì inoltre una connessione logica fra la democrazia politica e lo spirito cooperativo sul posto di lavoro.17 Teoria Y: insieme di ipotesi formulate da McGregor secondo cui gli individui sono in genere responsabili e creativi La teoria Y di McGregor Nel 1960, Douglas McGregor scrisse un libro intitolato The Human Side of Enterprise, che è diventato un’importante base filosofica per la moderna visione del comportamento sul lavoro.18 Prendendo spunto dalla sua esperienza come consulente manageriale, McGregor formulò due serie di ipotesi sulla natura umana nettamente in contrasto fra loro (tabella 1-1). Le ipotesi di quella che chiamò “teoria X” erano pessimistiche, negative e, secondo l’interpretazione di McGregor, tipiche di come i manager tradizionalmente percepiscono i loro dipendenti. Per aiutare i manager ad abbandonare questa visione negativa, McGregor formulò la teoria Y, un insieme di ipotesi più positive e moderne. Egli credeva che i manager potessero ottenere migliori risultati attraverso gli altri percependoli come persone dotate di energia propria, impegnate, responsabili e creative. Purtroppo, secondo quanto emerso da una ricerca tuttora in corso sul coinvolgimento dei dipendenti, la realtà dell’ambiente di lavoro è ancora molto lontana dalla teoria Y di McGregor. Nell’agosto 2009, l’indice del coinvolgimento dei dipendenti (Employee Engagement Index) elaborato dalla società di ricerca Gallup riportava che solo il 33% dei lavoratori era coinvolto nella propria attività professionale, il 49% non era coinvolto e il 18% era attivamente non coinvolto. La Gallup definisce le tre categorie come segue: i dipendenti coinvolti sono coloro che lavorano con passione, sentono un profondo legame con la loro azienda e stimolano l’innovazione, favorendo il progresso dell’organizzazione; i dipendenti non coinvolti sono praticamente “assenti”, dedicano tempo al lavoro, ma non energia e passione; infine, i dipendenti attivamente non coinvolti non solo sono infelici, ma esternano in tutti i modi la frustrazione minando ogni giorno i risultati CompOrga.indb 9 11/01/2013 16.34.51 10 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo raggiunti dai colleghi coinvolti. Secondo le stime dei ricercatori di Gallup, che elaborano l’indice conducendo un’indagine su un campione casuale di circa 42.000 adulti, negli Stati Uniti i lavoratori non coinvolti costano alle aziende circa 350 miliardi di dollari all’anno.19 Il coinvolgimento dei collaboratori e i tanti modi per accrescerlo saranno esaminati nei capitoli successivi. Nuove ipotesi sulla natura umana Sfortunatamente, metodi di ricerca sul comportamento poco sofisticati hanno portato gli studiosi appartenenti alla corrente delle relazioni umane a sostenere alcune conclusioni ingenue e fuorvianti.20 Per esempio, questi studiosi hanno creduto nell’assioma “un dipendente soddisfatto è un dipendente che lavora sodo”. Ricerche successive, come vedremo più avanti in questo libro, hanno dimostrato che il legame tra soddisfazione e performance è più complesso di quello che si era pensato originariamente. Nonostante i limiti, la corrente delle relazioni umane ha aperto le porte a un pensiero più moderno sulla natura umana. Piuttosto che continuare a considerare i collaboratori come oggetti economici passivi, i manager hanno iniziato a concepirli come soggetti sociali attivi, e questo ha portato a compiere passi importanti verso la creazione di ambienti di lavoro più umani. La corrente della qualità totale Nel 1980 la NBC trasmise un documentario televisivo intitolato “Se il Giappone può… perché noi non possiamo?”. Era una sveglia per le aziende americane affinché migliorassero sostanzialmente la qualità dei loro prodotti come risposta alla continua perdita di quote di mercato a favore dei produttori di elettronica e delle case automobilistiche giapponesi. Durante gli anni ’80 e ’90 si sviluppò un’altra corrente di pensiero manageriale. Molto fu scritto, detto e fatto per migliorare la qualità sia dei prodotti che dei servizi.21 Grazie al concetto di management della qualità totale (TQM, Total Quality Management) e agli standard Six Sigma, la qualità della maggior parte dei beni che oggi compriamo è significativamente migliore rispetto al passato. Il Six Sigma fu sviluppato nel 1986 alla Motorola dall’ingegnere Bill Smith per conseguire uno straordinario obiettivo di qualità del 99,997% eliminando i difetti e riducendo gli sprechi. È stato concesso in licenza ad aziende come General Electric, che ne hanno fatto largo uso, e si stima che sia stato adottato dal 35% delle aziende americane. In termini generali, il Six Sigma rappresenta una prospettiva sui problemi aziendali che stimola la precisione e la prevedibilità. Il mantra delle “cinture nere” del Six Sigma è DMAIC, che sta per “Define, Measure, Analyze, Improve, and Control” ossia “definire, misurare, analizzare, migliorare e controllare”. “Sigma” è la lettera dell’alfabeto greco utilizzata in statistica per indicare la deviazione standard, mentre “Six” è legato all’obiettivo di non più di sei deviazioni standard dalla misura perfetta.22 CompOrga.indb 10 11/01/2013 16.34.51 1 Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico 11 I principi sottostanti al management della qualità totale e al Six Sigma sono oggi più importanti che mai, date le aspettative sempre crescenti della clientela. La corrente della qualità totale ha profonde implicazioni pratiche per la gestione delle persone. Management della qualità totale: una cultura organizzativa orientata alla formazione, al miglioramento continuo e alla soddisfazione del cliente Che cos’è il management della qualità totale? Due studiosi dell’argomento hanno offerto la seguente definizione di management della qualità totale (indicato spesso con l’acronimo TQM: Total Quality Management): TQM significa che la cultura dell’organizzazione supporta ed è definita dal costante conseguimento della soddisfazione del cliente attraverso un sistema integrato di strumenti, tecniche e formazione. Questo implica il continuo miglioramento dei processi organizzativi, il cui risultato è un’alta qualità dei prodotti e dei servizi.23 Richard J. Schonberger, consulente specializzato sui temi della qualità, riassume il management della qualità totale come “un miglioramento continuo, centrato sul cliente e guidato dai collaboratori.”24 Il management della qualità totale è necessariamente guidato da questi ultimi perché la qualità del prodotto e del servizio non può essere continuamente migliorata senza l’apprendimento attivo e la partecipazione di ogni singola persona. Per tale motivo, nei programmi di miglioramento della qualità che hanno successo, i principi del management della qualità totale sono radicati nella cultura organizzativa. Secondo i risultati di una recente ricerca, i clienti che hanno interagito con impiegati di banca formati a fornire un servizio eccellente hanno riportato una maggiore soddisfazione.25 L’eredità di Deming Il management della qualità totale è oggi saldamente affermato in larga parte grazie al lavoro pionieristico di W. Edwards Deming.26 Strano a dirsi, il matematico cui è stata attribuita la rivoluzione della qualità nel Giappone del dopoguerra raramente ha parlato in termini di qualità; durante i seminari che ha tenuto fino alla morte, all’età di 93 anni, nel 1993, preferiva usare il termine “buon management”.27 Anche se la passione di Deming erano le misurazioni statistiche e la riduzione della variabilità nei processi industriali, egli ebbe molto da dire su come i collaboratori dovrebbero essere trattati. Riguardo alla componente umana del miglioramento della qualità, Deming richiese le seguenti condizioni: • una preparazione formale nelle tecniche statistiche di controllo dei processi e nel lavoro di squadra; • una leadership incentrata sul supporto piuttosto che su comandi e sanzioni; • l’eliminazione della paura per far sentire i collaboratori liberi di porre domande; • un’enfasi sui processi di miglioramento continuo più che sulle quote numeriche; • un lavoro di squadra; • l’eliminazione degli ostacoli al miglioramento delle capacità dei collaboratori.28 Una delle lezioni più durature di Deming per i manager è la sua “regola 85-15”.29 Nello specifico, quando le cose non procedono nel migliore dei modi vi è approssimativamente un 85% di possibilità che la colpa sia attribuibile al sistema (il quale include il CompOrga.indb 11 11/01/2013 16.34.51 12 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo management, i macchinari e le regole). Solo il 15% circa delle volte è il collaboratore singolo a sbagliare. Sfortunatamente, come osservato da Deming, il manager tipico passa la maggior parte del suo tempo incolpando erroneamente e punendo gli individui per gli insuccessi del sistema. I principi del management della qualità totale Nonostante le variazioni nel linguaggio e nello scopo dei diversi programmi di management della qualità totale, è possibile identificare quattro principi comuni. 1. Ottenere un risultato corretto la prima volta per eliminare costosi rifacimenti e ritiri dei prodotti dal mercato. 2. Ascoltare e imparare dai clienti e dai dipendenti. 3. Rendere quotidiano il miglioramento continuo. 4. Costruire il lavoro di squadra, la fiducia e il rispetto reciproco.30 È evidente in questo elenco l’influenza di Deming. Ancora una volta, com’è stato per la corrente delle relazioni umane, le persone sono concepite come fattore chiave del successo organizzativo. Riassumendo, i difensori del management della qualità totale hanno offerto un valido contributo allo studio del comportamento organizzativo fornendo un contesto pratico per la gestione delle persone. Il management della qualità totale è apprezzato in quanto, come rilevato in due recenti e importanti studi, funziona!31 Quando le persone sono gestite secondo questi principi, ne derivano migliori opportunità di lavoro e una più alta qualità di beni e servizi. Come sarà possibile osservare più volte nei capitoli seguenti, questo libro è basato sulla filosofia di Deming e sui principi del management della qualità totale, in particolare sull’idea del miglioramento continuo. La rivoluzione di Internet e dei social media E-business: l’utilizzo di Internet in ogni aspetto della gestione di un’impresa CompOrga.indb 12 All’inizio degli anni ’90, periodo in cui proliferavano le start up digitali, i più entusiasti affermavano che Internet avrebbe segnato una rivoluzione. Nel 2001, dopo lo scoppio della bolla speculativa, le belle promesse della nuova tecnologia venivano ridicolizzate come una semplice illusione. Dopo alcuni “dolori di crescita”, però, Internet (ora anche mobile) si è confermato essere una vera e propria rivoluzione. I dati sono impressionanti: gli utenti nel mondo sono aumentati da 361 milioni nel 2001 a quasi 2 miliardi nel 2010.32 Quello che un tempo era l’e-commerce (l’acquisto e la vendita di beni e servizi attraverso Internet) è diventato e-business, ovvero l’utilizzo di Internet per facilitare ogni aspetto della gestione di un’impresa.33 Un osservatore del settore afferma: “Eliminando tutti i discorsi ampollosi, Internet è uno strumento che abbatte sostanzialmente i costi di comunicazione. Questo significa che è in grado di modificare radicalmente ogni settore o attività che dipende fortemente dal flusso di informazioni”.34 Un altro importante cambiamento nel mondo di Internet, generato da social media come Facebook, LinkedIn e Twitter, è la crescente importanza dei contenuti generati dagli utenti. I consumatori passivi di contenuti di massa (per esempio fruitori di programmi 11/01/2013 16.34.51 1 Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico 13 televisivi, film e giornali) sono diventati artefici e divulgatori di contenuti individuali: tengono un blog, un profilo Facebook oppure un account Twitter comunicando qualsiasi cosa desiderino in qualunque momento.35 Questa dinamica conferisce un grande potere al singolo consumatore, dipendente, cittadino o studente. Le nuove tecnologie, come gli smartphone, il cloud computing e la realtà aumentata, sono importanti propulsori di cambiamento.36 Relativamente al comportamento organizzativo, ci concentriamo su come Internet, in continua evoluzione, abbia modificato il comportamento di chi è cresciuto con Internet e dà per scontati Google, Facebook, YouTube e Twitter. Secondo Don Tapscott, autore dell’interessante libro Grown Up Digital: How the Net Generation Is Changing the World (in italiano, Net Generation. Come la generazione digitale sta cambiando il mondo, trad. di Elisa Tomassucci, Franco Angeli, Milano), coloro che sono nati tra il 1977 e il 1997 hanno una visione del mondo peculiare plasmata da Internet: Queste sono le otto norme della Net Generation. I giovani di oggi danno un grande valore alla possibilità di essere ciò che vogliono e alla libertà di scelta. Amano personalizzare ogni cosa, anche il loro lavoro. imparano presto a essere scettici e a verificare con attenzione tutto ciò che vedono e leggono sui media. Danno molta importanza all’integrità – essere onesti, rispettosi, trasparenti, ligi agli impegni presi. Sono grandi collaboratori, con gli amici on-line e al lavoro. sono rapidi, adorano le innovazioni. […] attraverso la loro [delle regole applicate dai giovani] comprensione si possono fare le necessarie modifiche a livello economico, educativo, politico e familiare per affrontare al meglio questo ventunesimo secolo.37 (Le idee di Tapscott sulla Net Generation sono trattate più dettagliatamente nel Capitolo 14.) In sintesi, le organizzazioni e la vita organizzativa sono ormai cambiate irreversibilmente per effetto del mondo virtuale di Internet.38 I manager sono chiamati a monitorare e guidare individui e team geograficamente dispersi comunicando attraverso le moderne tecnologie. La creazione e la gestione di team virtuali è trattata dettagliatamente nel Capitolo 11. La costruzione del capitale umano e sociale I lavoratori della conoscenza, coloro che producono valore usando il cervello anziché le braccia, sono più importanti che mai nell’attuale economia globalizzata. Che cosa si sa e chi si conosce rappresentano sempre più le chiavi del successo individuale e organizzativo (vedi la figura 1-2). I paesi occidentali sono attraversati da una “tempesta perfetta” di tendenze già in atto ed emergenti che mette in luce l’importanza e l’urgenza della costruzione del capitale umano: • diffusione di tecnologie avanzate in paesi in via di sviluppo con una classe media in rapida crescita (per esempio la Cina, l’India, la Russia e il Brasile); • delocalizzazione di lavori sempre più sofisticati (per esempio progettazione, architettura, diagnosi mediche); CompOrga.indb 13 11/01/2013 16.34.51 Parte I 14 Il mondo del comportamento organizzativo Ipotesi strategica: le persone, individualmente e collettivamente, sono la chiave per il successo dell’organizzazione Capitale umano individuale • Intelligenza/competenze/ conoscenza • Visioni/sogni/aspirazioni • Capacità tecniche e sociali • Fiducia/stima di sé • Iniziativa/intraprendenza • Adattabilità/flessibilità • Prontezza ad apprendere • Creatività • Entusiasmo • Motivazione/impegno • Tenacia • Valori etici/coraggio • Onestà • Maturità emotiva • • • • • • Apprendimento organizzativo (conoscenza condivisa) • • • • • • • • • • Capitale sociale Condivisione di visioni e obiettivi Condivisione dei valori Fiducia Rispetto reciproco/benevolenza Amicizia/supporto nei gruppi Mentoring/modelli di ruolo positivi Partecipazione/empowerment Collegamenti/fonti Network/affiliazioni Cooperazione/collaborazione Lavoro di squadra Cameratismo Comunicazione assertiva (piuttosto che aggressiva) Conflitto funzionale (e non disfunzionale) Negoziazioni win-win Filantropia/volontariato Figura 1-2 L’importanza strategica e le dimensioni del capitale umano e sociale Fonte: basato sulla discussione in P.S. Adler e S. Kwon, “Social Capital: Prospects for a New Concept,” Academy of Management Review, gennaio 2002, pp. 17-40; e C.A. Bartlett e S. Ghoshal,“Building Competitive Advantage through People,” MIT Sloan Management Review, inverno 2002, pp. 34-41. • competenze matematiche e scientifiche lacunose dei giovani occidentali rispetto a quelli di altri paesi; • massiccia perdita di competenze legata al pensionamento dei cosiddetti baby-boomer del secondo dopoguerra.39 Che cos’è il capitale umano? Un gruppo di studiosi di gestione delle risorse umane ha offerto questa prospettiva: “Viviamo in un tempo in cui il nuovo paradigma economico – caratterizzato dalla velocità, dall’innovazione, dai cicli brevi, dalla qualità, dalla soddisfazione del cliente – sottolinea l’importanza dei beni immateriali, quali CompOrga.indb 14 11/01/2013 16.34.51 1 Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico Capitale umano: il potenziale produttivo della conoscenza e delle azioni di un individuo 15 il riconoscimento della marca, la conoscenza, l’innovazione e in particolar modo il capitale umano.”40 Il capitale umano è il potenziale produttivo della conoscenza e delle azioni di un individuo. La parola centrale in questa definizione volutamente ampia è potenziale. Quando abbiamo fame, il denaro è utile perché ha il potenziale di fornirci un pasto; allo stesso modo, un collaboratore, presente o futuro, con la giusta combinazione di conoscenza, capacità e motivazione a eccellere, rappresenta un capitale umano con il potenziale di fornire all’organizzazione un vantaggio competitivo. Secondo i risultati di un sondaggio del 2010 su 449 professionisti della gestione delle risorse umane, “Ottenere capitale umano e ottimizzare gli investimenti in tale direzione” è la sfida principale che le aziende saranno chiamate ad affrontare nei prossimi 10 anni.41 La Intel, per esempio, è un’azienda ad alta tecnologia molto attiva in questo ambito perché il suo futuro dipende dall’innovazione tecnologica e ingegneristica. Ci vogliono anni di studi in matematica e materie scientifiche per formare un ingegnere ben preparato; non volendo lasciare al caso l’offerta futura di tali figure, Intel ogni anno spende 100 milioni di dollari finanziando la ricerca a ogni livello in tutto il mondo.42 L’azienda incoraggia i giovani a studiare matematica e sponsorizza competizioni scientifiche con borse di studio fino a 100.000 dollari per i vincitori.43 Tutti gli studenti finiranno a lavorare per Intel? No. Non è questo il punto. L’obiettivo è molto più grande: costruire il capitale umano del mondo. Capitale sociale: il potenziale produttivo risultante da relazioni forti, improntate a fiducia e collaborazione Che cos’è il capitale sociale? La nostra attenzione si sposta ora dalla dimensione individuale a quella sociale (per esempio amici, famiglia, azienda, gruppo o associazione, nazione). Pensiamo alle relazioni. Il capitale sociale è il potenziale produttivo risultante dalle relazioni forti, dalla buona volontà, dalla fiducia e dalla collaborazione.44 Ancora una volta, la parola chiave è potenziale. Secondo alcuni esperti dell’argomento: “È vero: il capitale sociale che una volta si riscontrava normalmente nelle organizzazioni è ora raro e in pericolo. Ma il capitale sociale che possiamo costruire ci permetterà di capitalizzare sulle possibilità mutevoli e virtuali dell’attuale ambiente economico.”45 Le relazioni contano. In una recente indagine, il 77% delle donne e il 63% degli uomini hanno valutato estremamente importante “un buon rapporto con il proprio superiore”. Altri fattori – tra cui buone attrezzature, risorse, facilità di raggiungimento del luogo di lavoro e orari flessibili – hanno ricevuto una valutazione inferiore.46 Inoltre, la ricerca dimostra che le interazioni sociali positive giovano alla salute cardiovascolare e al sistema immunitario.47 Costruire il capitale umano e sociale Le diverse dimensioni del capitale umano e sociale sono elencate in figura 1-2. L’apprendimento organizzativo formale e i programmi di knowledge management, come si vedrà nel Capitolo 12, necessitano del capitale sociale per utilizzare il capitale umano individuale per il bene comune. È una semplice formula per il successo: la crescita dipende dalla tempestiva condivisione di conoscenze preziose. Dopo tutto, a che servono collaboratori brillanti che non si relazionano, non insegnano e non ispirano gli altri? CompOrga.indb 15 11/01/2013 16.34.52 16 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo Il contesto manageriale: ottenere risultati con e attraverso gli altri Management: lavorare con e attraverso gli altri per raggiungere gli obiettivi organizzativi in modo efficiente ed etico I manager influenzano le nostre vite in molti modi. Scuole, ospedali, uffici statali e piccole e grandi imprese richiedono tutti una gestione sistematica. Secondo una definizione formale, il management è un processo che consiste nel lavorare con e attraverso gli altri per raggiungere gli obiettivi organizzativi in modo efficiente ed etico, in un contesto in continuo mutamento. Per gli studenti di comportamento organizzativo, la caratteristica centrale di questa definizione è “lavorare con e attraverso gli altri”. I manager ricoprono un ruolo costantemente in evoluzione. Oggi i manager di successo non sono più come i capi del passato, che affermavano di avere “tutto sotto controllo” e davano ordini da eseguire; piuttosto, hanno la necessità di prevedere in modo creativo e promuovere in modo attivo nuove direzioni, con coraggio, senso etico e sensibilità. I manager efficaci sono giocatori di una autorevole squadra il cui potere deriva dalla volontà e dal supporto attivo di altri individui, mossi da interessi divergenti. Ciascuno di noi è interessato a come i manager adempiono al loro ruolo. Secondo le conclusioni tratte da una recente rassegna della letteratura manageriale prodotta negli ultimi 30 anni, il buon management consiste nel “trovare un obiettivo chiaro; essere consapevoli che le esperienze passate e un accumulo di informazioni possono interferire con le decisioni sagge; mantenere una propensione all’azione; essere aperti al cambiamento; cercare il feedback”.48 La qualità del management può fare una grande differenza tanto per i dipendenti quanto per i clienti. Ampliando il tema, esaminiamo in maniera più approfondita le capacità che i manager non possono non avere e gli sviluppi futuri del management. Che cosa fanno i manager? Un profilo delle capacità manageriali Gli studi basati sull’osservazione condotti da Mintzberg e da altri hanno scoperto che il giorno tipico di un manager è un susseguirsi frammentato di brevi episodi.49 Le interruzioni sono abituali, mentre non lo sono lunghi periodi di tempo dedicati alla pianificazione e alle riflessioni. In uno studio in particolare si rilevava come quattro manager di alto livello trascorressero il 63% del loro tempo in attività della durata di meno di un minuto ciascuna; solo il 5% del loro tempo era dedicato ad attività della durata maggiore di un’ora.50 Ma quali capacità specifiche i manager devono effettivamente dimostrare durante i loro movimentati e frammentati giorni lavorativi? Negli anni sono stati fatti molti tentativi per dipingere un quadro realistico delle attività che svolgono i manager. Sono stati suggeriti molti elenchi, assai diversi tra loro, dei ruoli e delle funzioni manageriali. Fortunatamente, negli ultimi vent’anni un filone di ricerca, facente capo a Clark Wilson e ai suoi collaboratori, ha fornito un profilo pratico e statisticamente convalidato delle capacità manageriali51 (tabella 1-2). Tale profilo si concentra su 11 categorie osservabili del comportamento manageriale e questo è perfettamente in sintonia con l’attuale enfasi sulle competenze manageriali. La tecnica di Wilson per la valutazione delle capacità va oltre il consueto approccio basato sull’auto-valutazione, con i suoi inevitabili rischi di distorsione: infatti, oltre a CompOrga.indb 16 11/01/2013 16.34.52 1 Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico Tabella 1-2 Le capacità di un manager efficace 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 17 Rende chiari scopi e obiettivi a tutti coloro che sono coinvolti. Incoraggia la partecipazione, la comunicazione verso l’alto e i suggerimenti. Pianifica e organizza al fine di ottenere un ordinato flusso di lavoro. Possiede una competenza tecnica amministrativa per rispondere alle domande relative all’organizzazione. Facilita il lavoro attraverso la costruzione di team, la formazione, il coaching e il supporto. Fornisce feedback in modo onesto e costruttivo. Fa funzionare le attività basandosi su programmi, scadenze e solleciti. Controlla i dettagli senza essere invadente. Esercita una ragionevole pressione per il raggiungimento degli obiettivi. Autorizza e delega compiti chiave agli altri mantenendo chiarezza di obiettivi e di impegno. Riconosce una buona performance con ricompense e rinforzi positivi. chiedere direttamente a un manager di auto-valutarsi rispetto alle 11 capacità, l’approccio di Wilson prevede anche di chiedere a coloro che riportano direttamente a lui di valutarlo. Secondo Wilson e i suoi colleghi, il risultato è una valutazione dell’effettiva padronanza delle capacità, non semplicemente della consapevolezza delle stesse.52 La logica sottostante all’approccio di Wilson è semplice e convincente. Chi è meglio in grado di valutare le capacità di un manager di coloro che fanno quotidianamente esperienza dei suoi comportamenti, ovvero di coloro che riportano direttamente a lui? La ricerca di Wilson sulle capacità manageriali ci offre quattro importanti lezioni: 1. Trattare efficacemente con le persone è l’essenza del management. Le 11 capacità riportate in tabella 1-2 costituiscono un ciclo di creazione degli obiettivi-impegnofeedback-ricompensa-realizzazione in ogni fase del quale compare l’interazione umana. 2. I manager con un’alta padronanza delle proprie capacità tendono a ottenere migliori performance dalle sotto-unità e un morale dei collaboratori migliore.53 3. Manager uomini e donne efficaci non presentano profili delle capacità significativamente diversi,54 contrariamente a quanto si è letto in anni recenti sulla stampa non specializzata.55 4. A ogni tappa della carriera, i manager deragliati (coloro che hanno fallito nella realizzazione del proprio potenziale) tendono a essere coloro che sovrastimano la padronanza delle proprie capacità (valutandosi in modo migliore rispetto a quanto facciano i loro collaboratori).56 Questo suggerisce la seguente conclusione del ricercatore: “quando si selezionano individui per promuoverli a posizioni manageriali, dovrebbero essere evitati gli arroganti, i riservati, gli insensibili e coloro che stanno sempre sulla difensiva”.57 I manager del XXI secolo L’attuale mondo del lavoro è davvero sottoposto a cambiamenti di grande entità e destinati a durare nel tempo.58 Le organizzazioni sono state “reingegnerizzate” per avere maggiore velocità, efficienza e flessibilità. Al posto dell’individuo, i team sono CompOrga.indb 17 11/01/2013 16.34.52 Parte I 18 Il mondo del comportamento organizzativo diventati la nuova componente costitutiva dell’organizzazione.59 Il management incentrato sul binomio “comando e controllo” sta lasciando il posto a una gestione partecipativa e orientata all’empowerment. I leader concentrati esclusivamente su se stessi sono sostituiti da leader concentrati sul cliente. In misura crescente i collaboratori sono considerati come clienti interni. In occasione di un summit tenutosi nel 2008, 35 dirigenti e studiosi di management hanno lanciato l’appello a reinventare il management. Il ricercatore Gary Hamel ha inquadrato la sfida in questi termini: [Storicamente,] i problemi sono sempre stati l’efficienza e la dimensione e la soluzione è sempre stata la burocrazia, con la struttura gerarchica, gli obiettivi a cascata, l’esatta definizione dei ruoli e norme e procedure complesse. Oggi i manager devono affrontare un insieme di problemi del tutto nuovi causati da un contesto volatile e intransigente. Come creare organizzazioni tanto flessibili e resistenti quanto attente ed efficienti in un’epoca di rapidi mutamenti? In un mondo battuto dai venti della distruzione creatrice, come innovare con la necessaria rapidità e audacia per continuare a contare e realizzare profitti? In un’economia creativa, nella quale il genio imprenditoriale è la chiave del successo, come incentivare i dipendenti a trasmettere spirito di iniziativa, immaginazione e passione nel lavoro di tutti i giorni? Come […] incoraggiare i dirigenti a fare fronte alle proprie responsabilità nei confronti di tutti gli stakeholder?60 Questi fattori impongono alle organizzazioni di rendersi più flessibili, innovative e reattive e disegnano un profilo nuovo del manager del XXI secolo (vedi tabella 1-3). Tabella 1-3 L’evoluzione del manager del XXI secolo Ruolo primario Apprendimento e conoscenza Criteri di ricompensa Orientamento culturale Fonte primaria di influenza Concezione delle persone Direzione principale della comunicazione Stile decisionale Riflessione etica Natura delle relazioni interpersonali Detenzione del potere e delle informazioni chiave Approccio al cambiamento CompOrga.indb 18 Manager del passato Colui che dà ordini, appartiene a un’elite privilegiata, manipolatore, controllore Apprendimento periodico, strettamente specialistico Tempo, sforzo Monoculturale, monolinguistico Autorità formale Problema potenziale Verticale Manager del futuro Facilitatore, membro del team, insegnante, difensore, sponsor, coach Input limitati per decisioni individuali Ripensamento Competitiva (win-lose) Input su base ampia per decisioni congiunte Anticipazione Cooperativa (win-win) Accesso ristretto Accesso condiviso e vasto Resistenza Facilitazione Apprendimento continuo per tutta la vita, generale con molteplici specializzazioni Capacità, risultati Multiculturale, multlinguistico Conoscenza (tecnica e interpersonale) Risorsa primaria Multidirezionale 11/01/2013 16.34.52 1 Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico 19 L’approccio contingente al management Approccio contingente: l’utilizzo delle tecniche di management in un modo appropriato alle situazioni Gli studiosi per molti anni si sono posti il problema di come applicare nel modo migliore il crescente numero di strumenti e tecniche di management disponibili. La loro risposta è l’approccio contingente. Si definisce approccio contingente l’utilizzo delle tecniche di management in un modo appropriato alle situazioni, in contrapposizione al tentativo di applicare il concetto di ”one best way” o “one size fits all”. L’approccio contingente incoraggia i manager a concepire il comportamento organizzativo all’interno di un contesto. Secondo questa prospettiva moderna, a determinare quando e dove le diverse tecniche di management siano appropriate sono le situazioni in evoluzione, e non rigide e semplici regole. Come spiega Clayton Christensen, della Harvard University, “molti dei principi di buon management diffusamente accettati sono appropriati solo in situazioni specifiche.”61 Per esempio, come si vedrà nel Capitolo 16, i ricercatori che seguono questo approccio hanno sottolineato come non esista uno stile di leadership migliore in assoluto. Gli specialisti del comportamento organizzativo condividono l’approccio contingente perché li aiuta in modo realistico a interrelare gli individui, i gruppi e le mutevoli circostanze interne ed esterne all’organizzazione inviando inoltre un chiaro messaggio ai manager della presente economia globale: occorre leggere attentamente le situazioni ed essere abbastanza flessibili per adattarsi. La sfida dell’etica Etica: lo studio delle questioni morali con cui ci confrontiamo nelle nostre scelte Esiste una varietà di caratteristiche individuali e organizzative che contribuiscono ai comportamenti non etici. Il comportamento organizzativo è un punto d’osservazione privilegiato per una migliore comprensione di questo aspetto e per il miglioramento dell’etica sul posto di lavoro: fornendo importanti indicazioni per la gestione del comportamento, può anche insegnare qualcosa su come evitare i comportamenti sbagliati. L’etica comprende lo studio delle questioni morali e delle scelte conseguenti. Riguarda la contrapposizione tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra il bene e il male, e permette di individuare le molte sfumature di grigio in questioni che potrebbero apparire “bianche o nere”. Vi sono implicazioni morali virtualmente in ogni decisione, sia sul lavoro che fuori. I manager spesso devono avere immaginazione e coraggio per compiere la scelta giusta. Per migliorare la vostra comprensione dei rapporti tra l’etica e il comportamento organizzativo (1) presentiamo un modello di responsabilità sociale d’impresa, (2) esaminiamo sette principi morali generali per i manager, (3) ci chiediamo come migliorare il clima etico di un’organizzazione e (4) lanciamo un appello individuale all’azione. Un modello di etica e responsabilità sociale globale d’impresa Per responsabilità sociale d’impresa (corporate social responsibility, CSR) si intende “l’idea che le aziende abbiano degli obblighi nei confronti di gruppi sociali diversi dagli azionisti che vanno oltre le disposizioni di legge o i contratti collettivi”.62 La CompOrga.indb 19 11/01/2013 16.34.52 Parte I 20 Il mondo del comportamento organizzativo responsabilità sociale d’impresa chiama le aziende a non limitarsi alla ricerca del profitto, ma a servire gli interessi e i bisogni dei cosiddetti “stakeholder”, cioè dipendenti ed ex dipendenti, clienti, fornitori e comunità e paesi dove sono situati gli impianti di produzione.63 L’appello per una maggiore responsabilità sociale d’impresa ha scatenato un’accesa polemica perché, secondo le teorie economiche classiche, il compito delle aziende è produrre beni e servizi per realizzare profitti, non risolvere problemi sociali, politici e ambientali.64 Proponendo una visione molto ampia, lo studioso di etica aziendale della University of Georgia Archie B. Carroll ha realizzato un modello di responsabilità sociale d’impresa/etica aziendale adeguato all’economia globale e alle multinazionali (figura 1-3). Il modello è decisamente in linea con il contesto attuale perché fotografa efficacemente tre macrotendenze: (1) la globalizzazione dell’economia, (2) le crescenti aspettative in rapporto alla responsabilità sociale d’impresa e (3) l’appello per un’etica aziendale più sana. La piramide della responsabilità sociale globale d’impresa, dalla base al vertice, offre i seguenti suggerimenti alle organizzazioni che operano nell’economica globalizzata: • realizzare profitti coerenti con le aspettative legate alle imprese internazionali; • rispettare le leggi dei paesi ospitanti e la normativa internazionale; Essere un buon cittadino globale d’impresa Agire come auspicato dagli stakeholder globali Responsabilità filantropica Seguire comportamenti etici Rispettare le leggi Conseguire redittività Responsabilità etica Responsabilità legale Responsabilità economica Agire come atteso dagli stakeholder globali Agire come richiesto dagli stakeholder globali Agire come richiesto nel contesto del capitalismo globale Figura 1-3 La piramide della responsabilità sociale globale d’impresa Fonte: A.B. Carroll, Academy of Management Executive: The Thinking Managers’ Source. Copyright © 2004 The Academy of Management. CompOrga.indb 20 11/01/2013 16.34.52 1 Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico 21 • seguire prassi etiche che tengano conto degli standard applicati dai paesi ospiti e a livello globale; • essere un buon “cittadino d’impresa” in particolare rispetto alle aspettative prevalenti nel paese ospitante.65 Come esemplificato dalla figura della piramide, Carroll sottolinea che la struttura può reggere solo se ciascun livello è solido: un approccio arbitrariamente selettivo alla responsabilità sociale d’impresa è inadeguato. Secondo Carroll, il vertice della piramide rispecchia “le aspettative nutrite dalla società globale che le aziende si impegnino in attività sociali non prescritte per legge né generalmente attese in senso etico”.66 Lo spirito della piramide della responsabilità sociale globale d’impresa è evidente nel tentativo tuttora in corso della Nike di scrollarsi di dosso l’immagine di azienda sfruttatrice. I progressi si sono manifestati lentamente nella catena di fornitura mondiale della Nike, che impiega circa 800.000 lavoratori in 52 paesi. Tuttavia, la multinazionale ha compiuto grandi passi avanti da quando ha sposato la causa della responsabilità sociale d’impresa. Quella che inizialmente rappresentava un massiccia operazione di facciata si è evoluta in una missione più ampia, che tocca le modalità di produzione e vendita dei prodotti. La Nike ha dimostrato grande inventiva nell’integrare il rispetto per l’ambiente nella fase di progettazione, valutando tutti i modelli di calzature sportive in base a un indice di sostenibilità. In materia di lavoro, l’azienda ammette che le misure iniziali (l’elaborazione di un codice di condotta e il monitoraggio della compliance) non hanno messo fine agli abusi nelle centinaia di stabilimenti produttivi dove si realizzano i prodotti. La lezione degli anni ’90 – prendere atto dei problemi e trovare soluzioni applicabili all’azienda nel suo insieme – sta aiutando molto il più grande produttore al mondo di calzature rispetto alle problematiche legate al lavoro. “Sono orgoglioso di quanto abbiamo conquistato, ma non siamo ancora arrivati al traguardo,” afferma l’attuale amministratore delegato dell’azienda Mark Parker.67 Tenendo a mente questa visione globale della responsabilità sociale d’impresa, restringiamo il campo al comportamento etico individuale. Principi morali generali Kent Hodgson, studioso di management e consulente, ha aiutato i manager a raggiungere decisioni etiche identificando sette principi morali generali (tabella 1-4). Egli li chiama “i magnifici sette“ per enfatizzarne la rilevanza universale, senza limiti di tempo né geografici. Le prospettive sia della giustizia che della cura sono chiaramente presenti nei magnifici sette, che sono però più dettagliati e pratici. È importante sottolineare che secondo Hodgson non vi sono risposte etiche assolute nel momento in cui si deve prendere una decisione. I manager dovrebbe basarsi sui principi morali in modo da prendere decisioni ben fondate, appropriate e difendibili.68 CompOrga.indb 21 11/01/2013 16.34.52 Parte I 22 Tabella 1-4 I magnifici sette: principi morali generali per i manager 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Il mondo del comportamento organizzativo Dignità della vita umana: la vita deve essere rispettata. Gli esseri umani, per il solo fatto di esistere, hanno valore e dignità. Non dovremmo agire con la diretta intenzione di ferire o uccidere una persona innocente. Gli esseri umani hanno diritto alla vita; siamo obbligati a rispettare questo diritto. La vita umana deve essere preservata e trattata come sacra. Autonomia: tutte le persone hanno valore intrinseco e hanno il diritto di autodeterminarsi. Dovremo comportarci in modo da dimostrare il valore di una persona, la sua dignità e il suo diritto alla libera scelta. Abbiamo il diritto di agire asserendo il nostro stesso valore e i nostri bisogni legittimi. Non dovremmo usare gli altri come “cose” o come mezzi per un fine. Ogni persona ha lo stesso diritto alla basilare libertà umana, compatibilmente con la libertà altrui. Onestà: la verità dovrebbe essere detta a coloro che hanno il diritto di conoscerla. L’onestà è conosciuta anche come integrità, sincerità e onore. Ognuno dovrebbe parlare e agire così da riflettere la realtà della situazione. Le parole e le azioni dovrebbero rispecchiare il modo in cui le cose sono realmente. A volte gli altri hanno il diritto di ascoltare la verità raccontata da noi; altre non hanno questo diritto. Lealtà: promesse, contratti e impegni dovrebbero essere onorati. La lealtà include la fedeltà, il mantenimento delle promesse, il rispetto della fiducia pubblica, il comportarsi da buoni cittadini, la qualità del proprio lavoro, l’affidabilità, l’impegno e il rispetto di leggi, regole e norme di condotta. Giustizia: le persone dovrebbero essere trattate giustamente. Ogni persona ha il diritto a essere trattata lealmente, con imparzialità ed equità. Ognuno ha l’obbligo di trattare gli altri lealmente e giustamente. Tutti hanno diritto al necessario per vivere – specialmente le persone profondamente bisognose e prive di aiuti. La giustizia include l’equità, l’imparzialità e un trattamento non discriminatorio. Coloro che operano con giustizia tollerano le diversità e accettano le differenze fra le persone e le loro idee. Umanità: comprende due parti: (1) bisognerebbe fare il bene e (2) bisognerebbe evitare di fare il male. Dovremmo fare il bene per gli altri e per noi stessi. Dovremmo preoccuparci del benessere degli altri; solitamente, dimostriamo questa preoccupazione nelle forme della compassione, della generosità, della gentilezza, del servizio e dell’attenzione. Bene comune: nelle proprie azioni si dovrebbe realizzare “il maggior bene possibile per il maggior numero di persone”. Ci si dovrebbe comportare in modo da aumentare il benessere della maggioranza di persone, cercando allo stesso tempo di proteggere i diritti degli individui. Fonte: A Rock and a Hard Place: How to Make Ethical Business Decisions When the Choices Are Tough, © 1992 Kent Hodgson, pp. 69-73. Pubblicato da AMACOM, una divisione della American Management Association. Riprodotto su autorizzazione. Come migliorare il clima etico di un’organizzazione Oltre a essere una cosa giusta, migliorare l’etica sul posto di lavoro può determinare effetti positivi sui risultati economici. Studi condotti negli Stati Uniti e nel Regno Unito hanno dimostrato che l’impegno aziendale per l’etica può essere remunerativo: la reputazione di onestà e la buona cittadinanza d’impresa aumentano la redditività.69 Il profilo etico può influire anche sulla qualità dei potenziali candidati: in un sondaggio online condotto su 1.020 individui, l’83% ha affermato di considerare “molto importante” il profilo etico di un’azienda al momento di valutare una proposta di lavoro, mentre solo il 2% lo ha considerato “trascurabile”.70 Un team di ricercatori di management ha raccomandato le seguenti azioni per migliorare l’etica sul lavoro.71 CompOrga.indb 22 11/01/2013 16.34.52 1 Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico • • • • • • • 23 Comportarsi eticamente in prima persona. I manager sono importanti modelli di ruolo; le loro abitudini e i loro comportamenti inviano segnali chiari rispetto all’importanza della condotta etica. Il comportamento etico deve partire dall’alto. Esaminare i potenziali collaboratori. Sorprendentemente, i selezionatori in genere trascurano di controllare la veridicità di referenze, credenziali e altre informazioni fornite dai candidati. Un’azione più diligente in quest’area potrebbe individuare coloro che sono propensi alla menzogna e alla scorrettezza. Controlli sull’integrità sono piuttosto validi, ma non sono una panacea.72 Sviluppare un codice etico significativo. I codici etici possono avere un impatto positivo se soddisfano questi quattro criteri: 1. devono essere distribuiti a ogni dipendente; 2. devono essere fermamente supportati dal top management; 3. devono riferirsi a pratiche specifiche e a dilemmi etici che probabilmente un certo gruppo di collaboratori si trova ad affrontare (ad esempio le mazzette per i venditori o per i responsabili acquisti, la falsificazione dei dati per gli scienziati di laboratorio o per i contabili); 4. devono essere applicati in modo equanime, con opportune ricompense per chi li rispetta e penalità per i trasgressori.73 Fornire una formazione etica. I dipendenti possono essere formati a identificare e affrontare questioni etiche durante la fase di orientamento e mediante seminari, video e sessioni di formazione online.74 Rinforzare il comportamento etico. Il comportamento che viene rinforzato tende a essere ripetuto, mentre il comportamento che non lo è tende a scomparire. La condotta etica è troppo spesso punita, mentre il comportamento immorale è ricompensato. Creare posizioni, unità e altri meccanismi strutturali per affrontare le questioni etiche. L’etica deve diventare una questione quotidiana, non un singolo annuncio che viene archiviato e dimenticato. Un numero crescente di grandi aziende statunitensi ha introdotto la figura del “Chief ethics officer”, che collabora direttamente con l’amministratore delegato; in questo modo, le questioni legate alla condotta etica e all’assunzione di responsabilità diventano prioritarie . Creare un clima in cui non ci sia bisogno del “whistle-blowing”. Per whistle-blowing (letteralmente “soffiare nel fischietto”) si intende la denuncia ad autorità pubbliche, mezzi di comunicazione o gruppi di interesse pubblico di attività non etiche e/o illeciti commessi dall’azienda da parte di un dipendente. Sherron Watkins è salita agli onori delle cronache per aver denunciato lo scandalo della sua azienda, la Enron.75 Le organizzazioni possono prevenire questo fenomeno incoraggiando l’espressione libera e aperta del dissenso, dando voce ai dipendenti tramite procedure di vertenza giuste e/o linee telefoniche dedicate alle questioni etiche utilizzabili in forma anonima. Un appello individuale all’azione In ultima analisi, l’etica tocca la percezione e la motivazione individuali. Il clima organizzativo, i modelli di ruolo, la struttura, la formazione e i riconoscimenti possono CompOrga.indb 23 11/01/2013 16.34.52 Parte I 24 Il mondo del comportamento organizzativo indirizzare i dipendenti verso la giusta direzione, ma in primo luogo è importante che gli individui siano attenti alla sfera morale, cioè che considerino in buona fede le implicazioni etiche di atti e circostanze.76 In secondo luogo, i collaboratori devono desiderare di fare la cosa giusta e avere il coraggio di agire. Bill George, lo stimato ex amministratore delegato di Medtronic, che produce dispositivi salvavita come i pacemaker, ha espresso questo appello all’azione: “Ciascuno di noi è chiamato a stabilire i propri paletti sul piano etico e deve rifiutarsi di oltrepassarli, se gli viene chiesto. Se questo significa rifiutarsi di eseguire un ordine diretto, dobbiamo essere pronti a rassegnare le dimissioni.”77 Per essere all’altezza di questa sfida, occorre essere dotati di forti valori individuali (argomento che approfondiremo nel Capitolo 6) e del coraggio di difenderli anche nelle avversità. Apprendere il comportamento organizzativo: l’importanza della ricerca Il comportamento organizzativo è una disciplina vasta e in continua evoluzione. Per rendere quanto più informativo e utile il lungo percorso che ci attende seguiremo una strategia teoria-ricerca-pratica. Quasi tutti gli argomenti più importanti trattati in questo libro sono introdotti da una presentazione del quadro teorico di base (spesso con l’ausilio di grafici che illustrano le relazioni tra le variabili principali) e dei termini chiave, seguita da una rassegna delle ultime novità nell’ambito della ricerca, che possono fornire spunti di riflessione preziosi. La trattazione si conclude con esempi esplicativi e, quando possibile, consigli pratici. Le cinque fonti di evidenza empirica Il comportamento organizzativo acquista credibilità come disciplina accademica perché si basa sulla ricerca. Il rigore scientifico spazza via congetture, pregiudizi e ipotesi non confermate riguardanti il comportamento negli ambienti di lavoro. Nel testo citiamo sistematicamente evidenze empiriche a sostegno, derivanti da cinque diverse categorie. Ecco, in ordine di priorità, le metodologie di ricerca da cui derivano i dati riportati: Meta-analisi: tecnica statistica che permette di riassumere i risultati di ricerche differenti Studio sul campo: ricerca svolta in un contesto organizzativo reale Studio di laboratorio: ricerca svolta in situazioni artificiali CompOrga.indb 24 • Meta-analisi. La meta-analisi è una tecnica statistica riassuntiva che permette agli studiosi del comportamento di giungere a conclusioni generali riguardanti determinate variabili a partire da più studi differenti;78 tipicamente fa riferimento a un gran numero di individui, spesso migliaia. Le meta-analisi sono istruttive perché si concentrano sugli schemi generali emergenti dalla ricerca empirica, non su studi frammentari o isolati.79 • Studi sul campo. Nel comportamento organizzativo, uno studio sul campo indaga processi individuali o di gruppo in un contesto organizzativo concreto. Poiché gli studi sul campo prendono in considerazione situazioni di vita reale, i risultati che ne conseguono hanno spesso una rilevanza immediata e pratica per i manager. • Studi di laboratorio. In uno studio di laboratorio le variabili sono manipolate e misurate in situazioni artificiali. In questo caso i soggetti studianti sono spesso stu- 11/01/2013 16.34.53 1 Le organizzazioni orientate alle persone e il comportamento etico Indagine campionaria: risultati ottenuti tramite questionari inviati a un campione di persone Studio di un caso: analisi approfondita su un individuo, un gruppo o un’organizzazione 25 denti universitari. Il contesto altamente controllato degli studi di laboratorio aumenta la precisione della ricerca, ma generalizzare i risultati e applicarli al management richiede cautela. • Indagini campionarie. In una indagine campionaria, gruppi di persone tratti da popolazioni specifiche rispondono a questionari. I ricercatori traggono così le conclusioni sull’insieme della popolazione. La possibilità di generalizzare i risultati dipende dalla qualità del campionamento e dalle tecniche di costruzione dei questionari. • Studi di casi. Lo studio di un caso è un’analisi approfondita di un singolo individuo, di un gruppo o di un’organizzazione: a causa del loro ambito limitato, gli studi di casi fruttano risultati realistici, ma non molto generalizzabili. Un modello per comprendere e gestire il comportamento organizzativo La figura 1-4 è una mappa sintetica degli argomenti trattati, utile per il nostro viaggio attraverso questo libro. La destinazione è l’efficacia organizzativa attraverso il miglioramento continuo. Ambiente esterno (contesto culturale) Organizzazione (struttura, cultura, cambiamento) Comprendere e gestire il comportamento individuale Manager e team leader responsabili del raggiungimento dei risultati organizzativi con e attraverso gli altri Comprendere e gestire i processi di gruppo e sociali Efficacia organizzativa attraverso il miglioramento continuo Comprendere e gestire i processi e i problemi organizzativi Figura 1-4 Un modello degli argomenti trattati nel seguito del libro CompOrga.indb 25 11/01/2013 16.34.53 26 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo Nell’angolo a sinistra della nostra mappa vi sono i manager e i team leader, coloro che sono responsabili del raggiungimento dei risultati organizzativi con e attraverso gli altri. I tre cerchi al centro corrispondono alle parti seconda, terza e quarta del testo. Logicamente, il flusso del discorso in questo libro (dopo la prima parte introduttiva) scorre dagli individui, ai processi di gruppo, fino ai processi e ai problemi organizzativi. Al cuore della mappa in figura 1-4 c’è l’organizzazione. La linea tratteggiata rappresenta un confine permeabile fra l’organizzazione e il suo ambiente; nel mondo attuale, altamente interattivo e interdipendente, nessuna organizzazione è un’isola. Il Capitolo 2 esamina le implicazioni in termini di comportamento organizzativo delle principali tendenze demografiche e sociali. Queste discussioni forniscono un contesto realistico per lo studio della gestione delle persone. I Capitoli 3 e 4 forniscono un contesto culturale per il comportamento organizzativo. Bon voyage! Buon viaggio attraverso il mondo difficile, interessante e spesso sorprendente del comportamento organizzativo. CompOrga.indb 26 11/01/2013 16.34.53 La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona 2 Sarà possibile per le donne fare carriera? Patrizia Guglielmi lavorava da quattro anni nelle Direzione del Personale di una grande azienda farmaceutica e in quel periodo si era sempre chiesta perché fossero così poche le donne ai vertici della sua organizzazione. Sia l’Amministratore Delegato che il Direttore del Personale erano seriamente orientati a supportare le carriere al femminile, eppure ciò non avveniva. Fu molto felice quando i suoi superiori le proposero un’indagine qualitativa, per capire meglio il fenomeno. Con una società esterna costruì interviste e focus group da cui emersero molti risultati e spunti di riflessione, tra cui due le parvero più importanti, perché non espliciti, ma profondamente inseriti nella cultura aziendale. Il primo riguardava la valutazione della prestazione e il secondo quella di potenziale. Nel caso della prestazione, nonostante le schede fossero costruite in modo univoco, emerse che i capi usavano un metro di giudizio più rigoroso verso le donne. Siccome erano poche, dovevano essere necessariamente più brave, top performer, come si dice nel linguaggio aziendale, mentre nel gruppo maschile, più numeroso, venivano tollerate molte più sbavature. CompOrga.indb 27 Inoltre, nello sviluppo carriere, per gli uomini si scommetteva molto si più sul potenziale, mentre per le donne si richiedeva già una prestazione definita per poter passare ad una posizione superiore. Con questi elementi Patrizia poteva iniziare a progettare un percorso interno di consapevolezza delle deformazioni mentali agite per potervi porre rimedio. Un altro aspetto interessante che emerse dai focus group e dalle interviste era riferito alla gestione del tempo. In azienda era consuetudine consolidata per le persone di alto livello gerarchico fermarsi fino a molto tardi la sera. Era diventato quasi uno status symbol: i direttori e i dirigenti facevano tardi, confermandosi a vicenda la loro importanza relativa e gli onerosi carichi di lavoro che dovevano sostenere. Era questo un prezzo che le donne, anche single e senza figli, non parevano disposte a pagare. Patrizia pensò alle sue serate con gli amici, al cinema e alle mostre, seguite dall’aperitivo, e pensò: “Che abbiano ragione loro?” 11/01/2013 16.34.53 28 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo La gestione della diversità è un tema delicato, difficile e qualche volta scomodo. Nonostante questo i manager devono affrontarlo nel nome della sopravvivenza organizzativa. Di conseguenza, lo scopo del presente capitolo è quello di portare a una migliore comprensione dell’importanza di questo aspetto del comportamento organizzativo. Prima di tutto viene fornita una definizione di diversità. In seguito, si propongono gli argomenti a favore della diversità e vengono discusse le barriere e le sfide associate alla gestione della diversità. Il capitolo si conclude descrivendo le pratiche organizzative più efficaci in quest’ambito. Definire la diversità Diversità: l’insieme delle differenze e somiglianze tra i singoli individui La diversità rappresenta la molteplicità di differenze e somiglianze individuali che esistono fra le persone. Essa non riguarda solo l’età, la razza o il genere. Non riguarda il fatto che un individuo sia eterosessuale od omosessuale, oppure cattolico, ebreo, protestante o musulmano. La diversità, inoltre, non mette in contrapposizione i maschi bianchi rispetto a tutti gli altri gruppi di persone. Essa riguarda la molteplicità di caratteristiche che rendono ogni individuo unico. Questa sezione inizia l’itinerario attraverso la gestione della diversità, o diversity management, prendendo in considerazione in primo luogo le dimensioni chiave che la riguardano. Inoltre si confrontano le azioni positive e la gestione delle diversità, due strategie che vengono spesso associate, ma che non sono del tutto assimilabili. I livelli della diversità Come le conchiglie sulla spiaggia, le persone possiedono una gran varietà di forme, dimensioni e colori; questa varietà rappresenta l’essenza della diversità. Lee Gardenswartz e Anita Rowe, esperti della materia, hanno identificato quattro livelli di diversità, che costituiscono uno schema per distinguere le modalità con cui le persone differiscono (figura 2-1). Considerati nel loro insieme, questi strati definiscono una singola identità personale e influenzano il modo in cui ciascuno vede il mondo. Nella figura 2-1 vediamo che la personalità è raffigurata al centro della ruota della diversità, perché rappresenta un gruppo di caratteristiche stabili collegate all’identità di una persona; le dimensioni che la compongono verranno discusse in seguito, nel Capitolo 5. Lo strato successivo è composto da una gamma di dimensioni interne; in gran parte queste ultime non sono sotto il controllo cosciente della persona, ma influenzano fortemente atteggiamenti, aspettative e considerazioni circa gli altri, e quindi, di conseguenza, il comportamento individuale. Per fare un esempio, ecco l’esperienza di una donna afroamericana, in vacanza in una località turistica: Mentre ero seduta vicino alla piscina un corpulento uomo bianco sulla cinquantina mi si è avvicinato e mi ha chiesto di poter avere degli altri asciugamani. Ho chiesto “Come prego?” E lui per risposta “Oh, non lavori qui”, senza una briciola di imbarazzo o di tono di scusa nella voce.1 CompOrga.indb 28 11/01/2013 16.34.53 2 La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona Figura 2-1 I quattro livelli della diversità Dim *Le dimensioni interne ed esterne sono adattate da Loden e Rosener, Workforce America! (Homewood, IL: Business One Irwin, 1991). Fonte: L. Gardenswartz e A. Rowe, Diverse Teams at Work: Capitalizing on the Power of Diversity (New York: McGrawHill, 1994), p. 33. © 1994. Riprodotto su autorizzazione di The McGrawHill Companies. 29 ensioni organizzative Livello funzionale/ classificazione ensioni esterne* Dim Localizzazione geografica Status manageriale Stato civile Condizione familiare Iscrizione al sindacato ensioni interne * Dim Età Abitudini personali Genere Razza Personalità Aspetto Preferenze sessuali Gruppo etnico Esperienze di lavoro Abilità fisica Contenuto del lavoro/ ambito Reddito Divisione/ Passatempi dipartimento/ abituali unità/ gruppo Religione Istruzione Luogo di lavoro Anzianità Il comportamento di quest’uomo verso la donna è stato probabilmente influenzato dagli stereotipi riguardanti una o più delle dimensioni interne della diversità. La figura 2-1 mostra che il livello successivo della diversità è composto dalle dimensioni esterne, definite anche secondarie. Esse rappresentano le differenze individuali che possono essere controllate con maggiore successo. Gli esempi includono il luogo dove si è cresciuti e dove si vive, la scelta religiosa, l’essere sposati o meno, l’avere dei figli e le esperienze lavorative. Queste dimensioni esercitano anch’esse un’influenza significativa sulle percezioni, sui comportamenti e sugli atteggiamenti individuali. Possiamo prendere la religione come esempio. Negli Stati Uniti, negli ultimi 15 anni i contenziosi per discriminazione religiosa sono raddoppiati e le organizzazioni stanno dedicando un’attenzione crescente a questo aspetto. Le leggi statunitensi in materia di lavoro impongono alle organizzazioni di “agevolare ragionevolmente le pratiche religiose dei collaboratori, a meno che ciò non imponga un onere indebito. Per agevolazione CompOrga.indb 29 11/01/2013 16.34.53 30 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo ragionevole si intende qualsiasi adeguamento del contesto di lavoro che consenta alle persone di praticare la loro religione, per esempio orari flessibili, sostituzioni o cambi di turno volontari, riassegnazione delle mansioni o mobilità laterale ed eccezioni alle norme di cura dell’aspetto.”2 L’ultimo livello delle diversità concerne aspetti organizzativi quali l’anzianità aziendale, la qualifica professionale e il luogo di lavoro. Azioni positive e gestione delle diversità La gestione efficace delle diversità impone alle organizzazioni di adottare un nuovo modo di pensare le differenze fra le persone: infatti, invece di lasciare che si sviluppino conflitti tra un gruppo e l’altro, bisogna riconoscere l’unicità del contributo che ogni collaboratore può fornire. Le aziende devono tentare di gestire efficacemente le diversità non solo perché è “socialmente accettabile”, ma perché contribuisce al raggiungimento degli obiettivi strategici. Per esempio, alcune aziende si focalizzano sull’assunzione e la promozione di collaboratori con estrazione diversa con lo scopo di commercializzare prodotti allettanti per una base di clienti più ampia ed eterogenea.3 In questa sezione verranno messe in luce le differenze tra le azioni positive e la gestione della diversità. Discriminazione: avviene quando le decisioni riguardanti un individuo sono slegate dalle sue prestazioni lavorative Azioni positive: interventi che mirano a raggiungere l’eguaglianza di opportunità in un’organizzazione CompOrga.indb 30 Azioni positive Le azioni positive sono originate dalle leggi a tutela delle pari opportunità lavorative, mirate a vietare le discriminazioni incoraggiando le organizzazioni ad attuare forme attive di prevenzione. Si parla di discriminazione quando l’assunzione o la promozione di un individuo sono slegate dalle prestazioni: le organizzazioni non possono discriminare per razza, colore, religione, nazionalità, genere, età, disabilità mentali e fisiche o stato di gravidanza. Contrariamente all’approccio proattivo della normativa in materia di pari opportunità lavorative, le azioni positive sono un intervento consapevole del management il cui scopo è correggere un disequilibrio, un’ingiustizia, un errore o una discriminazione verificatisi in passato. Le azioni positive non legittimano le quote: queste possono solo essere imposte dalla legge o costituire una libera scelta organizzativa. In Italia sono state introdotte dalla legge 20 del 12 luglio 2011 e prevedono una quota crescente di donne negli organi di amministrazione e controllo. La legge cesserà di esistere nel 2022, una volta raggiunto lo scopo per cui è stata istituita. È inoltre importante notare che in nessuna circostanza le azioni positive richiedono alle aziende di assumere personale non qualificato o non adeguato alle posizioni. Anche se le azioni positive hanno creato buone opportunità per le donne e le minoranze, esse non sempre promuovono il substrato culturale necessario per gestire effettivamente la diversità. Alcune ricerche condotte negli Stati Uniti hanno messo in luce come nel senso comune si possa intravedere nelle azioni positive una “discriminazione contraria”, ad esempio se il supporto è fornito alle donne, verso gli uomini della stessa organizzazione. Si è, inoltre, scoperto che le azioni positive possono anche influenzare negativamente le donne e le minoranze che dovrebbero esserne tutelate: la ricerca ha dimostrato che le persone oggetto delle azioni positive si sono sentite stigmatizzate dal gruppo di appartenenza come se avessero raggiunto la posizione senza la qualifica o la competenza 11/01/2013 16.34.53 2 La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona 31 necessaria. In questa situazione esse hanno avuto una minore soddisfazione lavorativa e hanno sperimentato uno stress maggiore rispetto ai dipendenti selezionati esclusivamente sulla base del merito.4 In un altro studio si è messo in luce come le conseguenze negative per le donne fossero minori nel momento in cui il criterio del merito veniva incluso nelle decisioni di assunzione. In altre parole, le donne assunte sotto programmi di azioni positive si sono sentite meglio con loro stesse e hanno mostrato una performance più alta se convinte di essere state assunte per la loro competenza piuttosto che per il genere a cui appartengono.5 Gestione della diversità: cambiamento organizzativo che permette a ciascuna persona di esprimersi al massimo del proprio potenziale Gestire la diversità La gestione della diversità implica mettere le persone nelle condizioni di fornire prestazioni pienamente adeguate al loro potenziale. Questa strategia si realizza intervenendo sulla cultura e le infrastrutture organizzative con l’obiettivo di mettere le persone in condizione di ottenere la maggior produttività possibile. Sodexo, operante nel settore della ristorazione con 380.000 dipendenti in 80 paesi, è un buon esempio di azienda che gestisce efficacemente le diversità: nel 2010 DiversityInc l’ha designata migliore azienda nella gestione della diversità sulla base di un sondaggio annuale articolato in 200 domande e condotto su 449 aziende.6 Ann Morrison, un’esperta del tema, ha condotto uno studio su 16 organizzazioni che hanno gestito con successo la diversità. I risultati della ricerca hanno messo in luce che le tre strategie chiave per il successo sono l’educazione e la formazione, il rinforzo di comportamenti desiderabili e l’opportunità per le persone di vivere esperienze diversificate. Queste strategie possono essere così descritte: La componente educativa della strategia ha due obiettivi: il primo è di preparare manager innovativi per incarichi che comportano responsabilità maggiori, il secondo è di aiutare i manager tradizionali a superare i loro pregiudizi nel pensare e nell’interagire con persone di sesso o etnia diversa. Il rinforzo di comportamenti desiderabili mette in evidenza l’importanza di obiettivi riguardanti la diversità e incoraggia il comportamento conseguente. La terza componente, l’opportunità di vivere esperienze diversificate, consente di elaborare strategie personali di gestione delle diversità aiutando i manager a conoscere e rispettare le peculiarità di ciascuno.7 Riassumendo, sia i consulenti che gli accademici sono d’accordo nel ritenere migliore la strategia organizzativa di gestione delle diversità piuttosto che la semplice valorizzazione o l’utilizzo delle azioni positive. Gli argomenti a favore della gestione della diversità Le motivazioni che conducono alla scelta manageriale di gestione della diversità vanno al di là di quelle legali, sociali e morali. A queste importanti ragioni va aggiunta quella di natura economica, in quanto è stato dimostrato che le aziende che dimostrano una buona gestione della diversità hanno anche migliori risultati economici. Ne sono testimonianza le parole di William Weldon, Presidente e CEO di Johnson & Johnson: CompOrga.indb 31 11/01/2013 16.34.53 32 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo La diversità e l’inclusione sono parte della struttura delle nostra attività e sono essenziali per il nostro successo in tutto il mondo. I principi della diversità e dell’inclusione sono radicati nel Credo [i valori aziendali] e accrescono le nostre capacità di fornire prodotti e servizi per la salute e il benessere delle persone in tutto il mondo. Non possiamo permetterci di abbassare la guardia su questi temi critici in nessuna congiuntura economica.8 Molte aziende approvano e sposano questo punto di vista e la ricerca conferma la logica vincente di questa strategia: per esempio, uno studio condotto su 207 imprese operanti in 11 settori ha dimostrato che le performance finanziarie sono migliori quando il team di top management è eterogeneo e si trova nella stessa sede.9 Per raggiungere questo obiettivo è necessario che i collaboratori siano messi in condizione di utilizzare tutti i propri talenti, nonché la motivazione e l’impegno, e per fare ciò è essenziale creare un ambiente o una cultura che permetta a tutti di raggiungere la pienezza del loro potenziale. Si affronteranno ora le motivazioni che sorreggono la gestione della diversità; in seguito si passeranno in rassegna le implicazioni manageriali. L’aumento della diversità nella forza lavoro Andamenti demografici: profilo statistico della popolazione adulta attiva Soffitto di vetro: barriera invisibile che impedisce a donne e minoranze di accedere a posizioni manageriali di alto livello CompOrga.indb 32 La comprensione degli andamenti demografici, ovvero i dati relativi alle caratteristiche e alla composizione della popolazione adulta attiva, è un aiuto indispensabile per costruire una politica di gestione delle risorse umane; essa permette ai manager di anticipare problemi relativi alla carenza o sovrabbondanza di determinate figure professionali. In Italia, per dare un’idea del fenomeno di invecchiamento a cui siamo sottoposti, la percentuale di persone oltre i 60 anni è passata dal 13,1% nel 1958 al 19,8% nel 1988, con una previsione del 28,9% nel 2018. Questi dati dimostrano che i manager del futuro dovranno porre particolare attenzione al tema dell’età, sia per la diversificazione generazionale presente nel contesto lavorativo, ma anche per l’allungamento progressivo dell’età della pensione. Si dovranno trovare strategie di motivazione di persone senior e modalità di convivenza tra molto giovani e persone mature. Questa sezione esplora le implicazioni manageriali di quattro caratteristiche della forza lavoro legate alla gestione della diversità: (1) l’introduzione della metafora del labirinto oltre a quella del soffitto di vetro per il personale femminile, (2) la percezione di discriminazione nei gruppi razziali, (3) la mancata corrispondenza fra il livello di istruzione e le esigenze occupazionali e (4) l’invecchiamento della forza lavoro e le sue conseguenze. Oltre il soffitto di vetro, il labirinto Coniata nel 1986 dai giornalisti del Wall Street Journal Carol Hymowitz e Timothy Schellhardt, l’espressione glass ceiling, o soffitto di vetro, indicava le barriere e gli ostacoli che impedivano alle donne di conquistare posizioni di livello più elevato, relegandole in mansioni di più basso profilo, prive di responsabilità, visibilità e potere. Questa discrepanza è ben rappresentata ogni anno dalla ricerca prodotta dall’organizzazione indipendente World Economic Forum, denominata Gender Gap, che mette in luce le differenze di opportunità tra uomini e donne nei diversi 11/01/2013 16.34.54 2 La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona 33 paesi. Ricerche più puntuali, inoltre, hanno evidenziato quasi ovunque l’esistenza di un pay gap, ovvero di una differenza salariale tra i generi pur nelle stesse posizioni organizzative. Le possibili cause di queste differenze sono molteplici:10 • le donne subiscono pratiche discriminatorie; • le donne dedicano più tempo alla cura della casa e alla famiglia; • le donne incontrano più ostacoli lungo il cammino verso posizioni di leadership e comando (per esempio, stereotipi negativi); • le donne escono periodicamente dalla forza lavoro per maternità o esigenze familiari, accumulando così esperienze lavorative più discontinue; • le donne dispongono di meno capitale sociale e di una rete di relazioni personali meno ampia; • le organizzazioni richiedono orari di lavoro più lunghi, viaggi e trasferimenti, e tali richieste entrano in conflitto con il ruolo domestico di molte donne sposate. Nel 2004 Carol Hymowitz, che aveva coniato la metafora del soffitto di vetro, scrisse un articolo per il Wall Street Journal nel quale affermava che le donne avevano sfondato la barriera invisibile negli Stati Uniti. Ciò indusse le ricercatrici Alice Eagly e Linda Carli a condurre un’attenta indagine sulla vita organizzativa al femminile; i risultati vennero presentati nel libro Through the Labyrinth, pubblicato nel 2007. Alla luce delle analisi effettuate su dati longitudinali di vario tipo, le due autrici si dichiararono d’accordo con Hymowitz. L’aggiornamento dei dati riportati nel libro di Eagly e Carli ci ha consentito di rilevare i seguenti risultati: nel 2010, le donne che rivestivano la posizione di CEO (12 e 26 fra le società delle classifiche Fortune 500 e Fortune 1000, rispettivamente) e le donne impegnate in occupazioni manageriali e nelle professioni erano aumentate rispetto agli anni ’80 e ’90.11 Secondo le statistiche, inoltre, le donne hanno compiuto grandi passi in avanti in termini di (1) formazione, superando gli uomini nelle lauree di primo e secondo livello, titoli professionali e dottorati dal 2006 al 2010; (2) presenza nei consigli di amministrazione di società della classifica Fortune 500, con un incremento del 6,1% dal 1995 al 2010; (3) posizioni di leadership negli istituti di formazione (nel 2010, le donne rappresentavano il 18,7% dei direttori di istituti scolastici di grado superiore e il 29,9% dei membri del consiglio); (4) incarichi presso corti federali (nel 2010, il 22% dei giudici di corte distrettuale e il 28% dei giudici di tribunali di circuito erano donne).12 Le conclusioni di Alice Eagly e Linda Carli sono: Le donne hanno compiuto notevoli progressi, ma hanno di fronte a sé un lungo cammino da percorrere per conquistare una rappresentanza paritaria nelle posizioni di leadership […] Le statistiche testimoniano un considerevole mutamento sociale e dimostrano che i percorsi professionali delle donne sono diventati di gran lunga più gratificanti che in passato. Gli uomini continuano a detenere maggiore autorità e a ricevere stipendi più alti, ma le donne stanno guadagnando terreno. Dato che alcune donne sono riuscite a conquistare gran parte dei ruoli di leadership più elitari, le barriere assolute appartengono ormai al passato.13 CompOrga.indb 33 11/01/2013 16.34.54 Parte I 34 Il mondo del comportamento organizzativo Secondo le due autrici, le donne non sono più vittime, ma seguono un percorso di carriera che somiglia ad attraversare un labirinto, “un percorso complesso con passaggi interconnessi nel quale è difficile trovare la strada.”14 Eagly e Carli hanno scelto la metafora del labirinto perché ritengono che per le donne (in particolare se sposate e con figli) la strada verso il successo sia segnata da deviazioni e ostacoli, anziché essere diritta e semplice. I manager e le organizzazioni dovrebbero pertanto sviluppare politiche, procedure e programmi mirati ad aiutare le donne a trovare il cammino nel labirinto delle carriere. La percezione di discriminazione nei gruppi razziali Se storicamente gli Stati Uniti sono sempre stati un paese “bianco e nero”, la variazione percentuale per razza della popolazione statunitense tra il 2000 e il 2050 dimostra che non è più così. Come illustra la figura 2-2, si prevede che tra il 2000 e il 2050 asiatici e ispanici andranno incontro alla crescita più rilevante: entro il 2050 la popolazione asiatica triplicherà, toccando i 33 milioni, mentre gli ispanici aumenteranno del 118% arrivando a 102,6 milioni, cioè Figura 2-2 Variazione percentuale per razza della popolazione statunitense Fonte: G.C. Armas, “Almost Half of US Likely to Be Minorities by 2050,” Arizona Republic, 18 marzo 2004, p. A5. US Census Bureau, Table 1a, “Projected Population of the US by Race and Hispanic Origin: 2000-2050,” www.census.gov/ipc/www/ usinterimproj/. Bianchi Afroamericani Asiatici Ispanici 35% 30% 25% 20% 15% 10% 5% 0% 0 2000-2010 2010-2020 2020-2030 2030-2040 2040-2050 209.2 mi 50.4 22.6 73.1 210.3 mi 55.9 28.0 87.6 210.3 mi 61.4 33.4 102. 6 Popolazione (in milioni) Bianchi Afroamericani Asiatici Ispanici 201.1 mi 40.5 14.2 47.8 Fonte: US Census Bureau CompOrga.indb 34 205.9 mi 45.4 18.0 59.8 Associated Press 11/01/2013 16.34.54 2 La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona 35 il 25% della popolazione. Alla luce di questi dati, secondo il Census Bureau nel 2050 le cosiddette “minoranze” rappresenteranno circa il 55% della forza lavoro. Le ricerche mettono in luce come l’avanzamento di carriera delle minoranze sia più lento di quello dei bianchi. Inoltre il numero di discriminazioni legate alla razza ritenute ragionevolmente tali dalla Commissione per le Pari Opportunità Lavorative degli Stati Uniti è aumentato da 294 nel 1995 a 1.061 nel 2008. Infine le persone appartenenti alle minoranze tendono ad avere un reddito inferiore rispetto ai bianchi. In aggiunta molti studi dimostrano che le persone appartenenti alle minoranze fanno esperienza di maggiori discriminazioni percepite, stress causato da atteggiamenti razzisti e meno supporto psicologico rispetto ai bianchi.15 L’esempio degli Stati Uniti, che è terra di migrazioni e melting pot di lungo corso, è paradigmatico di una situazione che si estende in tutti i paesi industrializzati. In Italia mancano statistiche approfondite, ma – ad esempio – in una recente ricerca è stato messo in luce che la presenza di stranieri nei consigli di amministrazione è inferiore a quella, già molto bassa, delle donne. La mancata corrispondenza fra il livello di istruzione e le esigenze occupazionali Negli Stati uniti, approssimativamente il 28% della forza lavoro ha una laurea e i laureati percepiscono uno stipendio significativamente più alto rispetto ai lavoratori meno qualificati.16 Tre tendenze indicano tuttavia che esiste una mancata corrispondenza tra il livello di istruzione e le capacità e conoscenze richieste nel mondo del lavoro. In primo luogo, studi recenti mostrano che i laureati evidenziano lacune nelle capacità di lavoro in gruppo, pensiero critico e ragionamento analitico, pur essendo dotati di competenze tecniche e funzionali. In secondo luogo, si registra una carenza di laureati in settori tecnici legati alla scienza, alla matematica e all’ingegneria. In terzo luogo, le organizzazioni riscontrano che i diplomati al primo impiego non possiedono le competenze di base necessarie per fornire prestazioni efficaci. Quest’ultima tendenza è in parte causata dal fatto che negli Stati Uniti la percentuale di diplomati è solo del 75% e circa 32 milioni di adulti sono funzionalmente analfabeti.17 La questione chiave per le organizzazioni statunitensi e di ogni altro paese che puntano a competere in un’economia globalizzata è se la popolazione possieda o meno le capacità necessarie per stimolare la crescita economica. I risultati di uno studio commissionato dal National Center on Education and the Economy evidenziano che gli Stati Uniti stanno perdendo terreno sotto questo profilo. Le rilevazioni sono state sintetizzate in un libro intitolato Tough Choices or Tough Times: The Report of the New Commission on the Skills of the American Workforce e gli autori hanno presentato la seguente conclusione: Durante gran parte del XX secolo, gli Stati Uniti hanno potuto vantare la forza lavoro più istruita al mondo. Oggi non è più così: nel corso degli ultimi 30 anni, molti paesi ci hanno superato nella percentuale di nuovi entranti nella forza lavoro dotati dell’equivalente di un diploma di scuola secondaria e molti altri sono sul punto di farlo. Trenta anni fa, gli Stati Uniti potevano vantare il 30% della popolazione mondiale di studenti universitari. Oggi il dato è sceso al 14% e continua a diminuire. I giovani degli altri paesi ricevono più istruzione di maggiore qualità: studenti e giovani americani occupano le posizioni dalla metà al fondo delle classifiche in tutti CompOrga.indb 35 11/01/2013 16.34.54 36 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo e tre gli studi comparativi continuativi sulle competenze matematiche e scientifiche e l’alfabetizzazione generale nelle nazioni industriali avanzate. Mentre la nostra posizione relativa nelle classifiche mondiali dell’istruzione ha evidenziato un lento declino, la struttura dell’economia globale ha continuato a evolversi. Ogni giorno, una quota crescente di lavoro viene digitalizzata: da radiografie utilizzate a fini diagnostici, canzoni, film, progetti architettonici a documenti tecnici e romanzi, il lavoro viene salvato su un supporto e inviato istantaneamente tramite Internet a un destinatario vicino o lontano che può servirsene in una molteplicità di modi diversi. Proprio per questo, i datori di lavoro in tutto il mondo hanno accesso a una forza lavoro composta da persone che non devono spostarsi per appartenere a gruppi di lavoro realmente globali. Proprio per questo, un numero in rapida crescita di lavoratori americani dotati di competenze di ogni livello compete direttamente con i lavoratori di ogni paese del mondo.18 Queste conclusioni sottolineano che la mancata corrispondenza fra il livello di istruzione e le qualifiche professionali determina implicazioni nel breve e nel lungo periodo tanto per le organizzazioni quanto per i paesi. È molto probabile che le aziende americane ricorrano all’outsourcing di mansioni tecniche in paesi come l’India e la Cina, assumano più immigrati per le posizioni di primo impiego, investano maggiormente sulla formazione dei dipendenti e propongano ai lavoratori più competenti piani di pensionamento graduali per incoraggiarli a mantenere il posto di lavoro. L’invecchiamento della forza lavoro La popolazione e la forza lavoro americane stanno invecchiando, così come avviene in tutti i paesi del mondo, soprattutto di quello sviluppato. L’Italia, in particolare, è dopo il Giappone il paese più longevo del mondo. Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2050 il 33% della popolazione dei paesi sviluppati avrà più di sessant’anni e un individuo su tre sarà in pensione. Alla luce di queste statistiche, alcuni esperti hanno affermato che le crisi finanziarie globali degli anni 2009-2010 “sono nulla rispetto ai costi di una popolazione globale che invecchia”.19 L’invecchiamento della popolazione statunitense evidenzia un potenziale divario tra le competenze possedute e le competenze richieste. Con il pensionamento dei cosiddetti baby-boomer (i 78 milioni di nati tra il 1946 e il 1964) la forza lavoro statunitense perderà le competenze, le conoscenze, l’esperienza e le reti di relazioni di oltre un quarto dell’intera popolazione. Con tutta probabilità, questo scenario determinerà una carenza di competenze in settori tecnici in rapida evoluzione; alcune aziende preveggenti hanno già attuato programmi mirati a risolvere il problema del trasferimento delle conoscenze. Oltre ad affrontare le sfide associate all’invecchiamento della forza lavoro, i manager sono chiamati a gestire efficacemente la compresenza di quattro generazioni di lavoratori, con le conseguenti differenze sul piano dei valori, degli approcci e dei comportamenti, cui nel 2020 circa si affiancherà una quinta generazione. La tabella 2-1 presenta un riepilogo delle differenze tra cinque gruppi generazionali comunemente denominati tradizionalisti, baby-boomer, generazione X, generazione Y e generazione 2020. Prima di passare e esaminarle, è importante sottolineare che queste etichette e distinzioni sono generalizzazioni cui ricorriamo per semplicità di analisi. Esistono sempre eccezioni alle caratteristiche presentate nella tabella e tutte le conclusioni vanno interpretate con cautela.20 CompOrga.indb 36 11/01/2013 16.34.54 2 La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona 37 Come si può notare, gli appartenenti alla generazione Y rappresentano il gruppo più numeroso, seguiti dai baby-boomer. Si tratta di un dato importante perché molti membri della generazione Y sono gestiti da baby-boomer, che presentano un insieme di caratteristiche personali molto diverse. Le caratteristiche personali, che saranno approfondite nel Capitolo 5, sono attributi fisici e mentali costanti che costituiscono l’identità dell’individuo. Caratteristiche differenti possono causare contrasti tra le persone: per esempio, è probabile che la competitività e lo stacanovismo tipici dei baby-boomer entrino in conflitto con la prospettiva dei diritti acquisiti e dell’equilibrio tra vita privata e lavoro dei membri della generazione Y. Come si vedrà nella sezione seguente, per gestire efficacemente le diversità, sia i manager che i dipendenti dovranno essere sensibili alle differenze generazionali evidenziate nella tabella. Tabella 2-1 Le differenze generazionali Periodo di nascita Tradizionalisti Baby-boomer Generazione X Generazione Y Generazione 2020 1925–1945 1946–1964 1965–1979 1980–2001 2002– Popolazione attuale 38,6 milioni 78,3 milioni 62 milioni 92 milioni 23 milioni Eventi storici principali Grande Depressione, Seconda guerra mondiale, Guerra di Corea, Guerra fredda, espansione delle periferie Assassinio di John Kennedy, Robert Kennedy e Martin Luther King, Guerra del Vietnam, Watergate, emancipazione femminile, sparatoria della Kent State, allunaggio dell’Apollo 11 MTV, epidemia di AIDS, Guerra del golfo, caduta del Muro di Berlino, attentato terroristico di Oklahoma City, crollo del mercato azionario del 1987, scandalo ClintonLewinsky Attacchi terroristici dell’11 settembre, Google, massacro della Columbine High School, scandalo Enron e altri scandali aziendali, guerra in Iraq e Afganistan, uragano Katrina, crisi finanziaria del 2008, disoccupazione elevata Social media, elezione di Barack Obama alla Presidenza degli Stati Uniti, crisi finanziaria del 2008, disoccupazione elevata Caratteristiche generali Patriottismo, lealtà, disciplina, conformismo, solida etica del lavoro, rispetto per l’autorità Stacanovismo, idealismo, etica del lavoro, competitività, materialismo, ricerca di gratificazioni personali Autonomia, equilibrio vita privata/carriera, elasticità, cinismo, sfiducia verso le autorità, indipendenza, competenza tecnologica Diritti acquisiti, coscienza civile, forte coinvolgimento nei rapporti genitori/ figli, alfabetizzazione digitale, apprezzamento della diversità, capacità di multitasking, equilibrio vita privata/carriera, competenza tecnologica Capacità di multitasking, vita online, alfabetizzazione digitale, comunicazione rapida e virtuale Invenzione simbolo Fax Computer Telefono cellulare Google e Facebook Social media e applicazioni per smartphone Fonte: Adattato da J.C. Meister e K. Willyerd, The 2020 Workplace (New York: Harper Collins, 2010), pp. 54-55; e R. Alsop, The Trophy Kids Grow Up (San Francisco: Jossey-Bass, 2008) p. 5. CompOrga.indb 37 11/01/2013 16.34.54 38 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo Concludiamo la nostra analisi delle differenze generazionali illustrando i risultati di due recenti meta-analisi. Nel primo studio, i ricercatori hanno indagato la relazione tra l’età e alcuni aspetti della prestazione lavorativa quali creatività, orientamento all’apprendimento, collaborazione, aggressività, insofferenza verso orari rigidi e assenteismo. Secondo i risultati, i lavoratori più anziani mostravano un comportamento più collaborativo e attento alla sicurezza, meno aggressività, abitudine al ritardo e assenteismo. È emerso che l’età è prevalentemente slegata da produttività, creatività e orientamento all’apprendimento.21 La seconda meta-analisi riassume le ricerche condotte in oltre 800 studi e ha evidenziato che l’età è positivamente legata alle attitudini rispetto ai compiti, ai colleghi, ai supervisori e all’organizzazione nel suo insieme.22 Questi dati suggeriscono che i dipendenti più anziani possono apportare ancora un prezioso contributo nelle organizzazioni. Le implicazioni manageriali della diversità Per attrarre e trattenere le persone migliori, le aziende si devono attrezzare con politiche e programmi che soddisfino i bisogni di tutti. Questi programmi hanno l’obiettivo di rendere i consapevoli i manager degli stereotipi in agguato nella loro attività, e cercano di supportare le minoranze a trovare dei propri percorsi di sviluppo. Si tratta quindi di formazione, ma anche dell’offerta di servizi alla famiglia per aiutare nella gestione dei figli e nell’assistenza agli anziani. In molti casi si mettono in atto programmi di mentoring per le giovani donne o dedicati al trasferimento di conoscenze tra maturi e giovani in ingresso. Gestire la diversità di genere Sono necessarie misure specifiche per aiutare le donne ad attraversare il labirinto del successo professionale. Le organizzazioni possono contribuire assegnando incarichi di sviluppo che le preparino per future opportunità di promozione.23 Le donne possono perseguire i propri obiettivi di carriera seguendo sette consigli proposti da Alice Eagly e Linda Carli, le autrici del libro Through the Labyrinth.24 Primo, concentrarsi sull’acquisizione di ottime competenze e cercare mentori e sponsor (approfondiremo il tema del mentoring nel Capitolo 3); le ricerche dimostrano che gli uomini ottengono promozioni più di frequente rispetto alle donne perché hanno più probabilità di essere sponsorizzati dai superiori e da mentori informali.25 Secondo, creare relazioni per costruire il capitale sociale; come si è visto nel Capitolo 1, il capitale sociale rappresenta l’insieme delle relazioni professionali e personali dell’individuo. Terzo, cercare un equilibrio tra lavoro e vita privata delegando le mansioni domestiche e facendosi aiutare. Quarto, migliorare le capacità di negoziazione. Quinto, prendersi i propri meriti per i successi ottenuti, esattamente come gli uomini. Sesto, impegnarsi per instaurare un rapporto basato sul sostegno reciproco con il partner: alcune interviste con executive donne indicano che un partner collaborativo è un fattore essenziale per il successo nella carriera. Infine, sviluppare uno stile interpersonale che associ la risolutezza allo spirito di collaborazione. CompOrga.indb 38 11/01/2013 16.34.54 2 La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona 39 Gestire la diversità razziale Le organizzazioni sono chiamate a educare i dipendenti sugli stereotipi negativi riguardanti le diverse etnie soprattutto nella fase di selezione e nomina dei leader. Gli stereotipi negativi non solo impediscono a individui qualificati di ottenere avanzamenti di carriera, ma possono minare la loro fiducia nelle proprie capacità di leadership.26 David Thomas, un ricercatore dell’Università di Harvard, ha condotto uno studio triennale sulle pratiche di mentoring presso tre aziende statunitensi, una manifatturiera, una di elettronica e una di alta tecnologia. I risultati hanno messo in luce che le persone di colore di successo che avanzavano maggiormente nella carriera possedevano una rete di mentori e sponsor i quali consolidavano il loro sviluppo professionale. I risultati hanno inoltre dimostrato che le persone di colore dovrebbero essere affiancate in modo differente rispetto alle persone di razza bianca. L’autore ha raccomandato alle organizzazioni di provvedere una gamma di percorsi di carriera, non correlati alla razza, che conducano alle posizioni dirigenziali… Ottenere un tale sistema, comunque, richiede l’integrazione dei principi di pari opportunità, di sviluppo e di sostegno alla diversità nelle pratiche organizzative e nei sistemi operativi di gestione delle risorse umane. Un elemento importante del sistema dovrebbe essere l’identificazione di mentori potenziali, la loro formazione e il loro abbinamento con persone di colore ad alto potenziale.27 Gestire la diversità di istruzione Il divario tra le competenze necessarie alla imprese per raggiungere i propri risultati e la formazione scolastica sta crescendo. Questa tendenza determina due potenziali problemi per le organizzazioni. In primo luogo, si registrerà una carenza di lavoratori qualificati in ambito tecnico; per ovviare a questo problema, Lockheed Martin e Agilent Technologies offrono forme retribuite di apprendistato o tirocinio per attirare studenti di scuola superiore interessati alle scienze. Altre aziende come State Street, Fidelity e Cisco stanno invece tentando di colmare il divario tra le competenze possedute e le competenze richieste incoraggiando i dipendenti a prendere parte a progetti su base volontaria mirati a potenziare specifiche capacità.28 In secondo luogo, la sottoccupazione dei laureati minaccia di erodere la soddisfazione professionale e la motivazione. Poiché lavoratori con una solida preparazione di studi cercheranno impieghi commisurati alle loro qualificazioni e aspettative, l’assenteismo e il turnover sono destinati ad aumentare. Questo problema sottolinea il bisogno di una ridefinizione delle posizioni (si rimanda alla discussione di questo tema nel Capitolo 8). Inoltre le organizzazioni avranno la necessità di sviluppare programmi di previsione delle competenze realistici e di attuare rinforzi positivi (si rimanda al Capitolo 9) per ridurre l’assenteismo e il turnover del personale. Formazione on the job e interventi di alfabetizzazione saranno necessari per aiutare il crescente numero di coloro che abbandonano la scuola o sono analfabeti ad adeguarsi alle esigenze lavorative. Gestire la diversità generazionale Le organizzazioni possono trarre vantaggio dal capitale umano e sociale dei dipendenti più anziani implementando programmi che li incoraggino a continuare a lavorare e trasferire le proprie conoscenze agli altri. Per esempio, BMW ha riprogettato una linea di produzione presso uno stabilimento della bassa Baviera per aiutare i dipendenti più anziani a gestire più facilmente lavori pesanti CompOrga.indb 39 11/01/2013 16.34.54 40 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo dal punto di vista fisico e ridurre l’assenteismo: grazie a questi cambiamenti, la produttività è aumentata del 7% e l’assenteismo è diminuito.29 Affinché questa strategia funzioni, però, le organizzazioni dovranno incoraggiare i baby-boomer a rimanere nella forza lavoro anziché andare in pensione. Le sette iniziative seguenti possono contribuire a mantenere il coinvolgimento e l’impegno dei lavoratori più maturi.30 1. Assegnare incarichi sfidanti che possono fare la differenza per l’organizzazione. 2. Concedere ampia autonomia e libertà di azione nel completamento di un incarico. 3. Offrire pari accesso alla formazione e alle opportunità di apprendimento legate alle nuove tecnologie. 4. Offrire frequenti riconoscimenti per le capacità e l’esperienza acquisite nel corso degli anni. 5. Offrire opportunità di mentoring mediante le quali i lavoratori più anziani possono trasmettere le proprie conoscenze ai più giovani. 6. Assicurarsi che la supervisione sia rispettosa e di alta qualità. 7. Progettare un ambiente di lavoro stimolante e divertente. Poiché le differenze generazionali illustrate nella tabella 2-1 possono incidere sulla motivazione e la produttività dei collaboratori, occorre offrire formazione mirata a favorire la collaborazione con colleghi diversi. Per esempio, da interviste approfondite con 50 lavoratori di età superiore ai 50 anni è emerso che gli intervistati si sentivano esclusi da reti di comunicazione importanti da parte dei lavoratori più giovani e percepivano un mancato apprezzamento delle proprie esperienze e capacità. Uno degli intervistati ha commentato: “durante gli interventi dei colleghi più anziani in occasione delle riunioni, i più giovani sbadigliavano, evitavano di guardare chi aveva preso la parola, scarabocchiavano sui fogli e inviavano SMS sotto la scrivania”.31 Al contrario, alcuni lavoratori appartenenti alla generazione Y ritengono che i babyboomer vogliano ottenere riconoscimenti per la quantità di tempo che dedicano al lavoro anziché per la produttività. I membri della generazione X si sentono invece “intrappolati nel mezzo”. Michael, per esempio, afferma: “Gli executive della mia azienda hanno dagli 8 ai 12 anni più di me e non pensano di andare in pensione nel prossimo futuro. Mi sento bloccato nella mia posizione attuale e mi sono messo alle ricerca di altre opportunità di lavoro perché non ripongo molta fiducia nelle grandi aziende.”32 Come è evidente, le organizzazioni devono trovare le strategie per motivare e trattenere i membri delle generazione X, che potrebbero sentirsi intrappolati nelle gerarchie. I manager che appartengono alle generazioni dei tradizionalisti e dei baby-boomer sono chiamati a esaminare il proprio approccio alla gestione dei dipendenti delle generazioni X e Y, dotati di una solida competenza tecnologica. Per esempio, molto probabilmente questi lavoratori hanno l’abitudine di visitare i siti di social networking durante l’orario di lavoro in una sorta di “pausa caffè virtuale”; manager tradizionalisti e baby-boomer con tutta probabilità giudicano questa attività uno spreco di tempo e potrebbero attuare politiche mirate a impedirla. Secondo gli esperti, limitare l’accesso ai social network non è una strategia efficace nel lungo periodo se si vogliono motivare i lavoratori più giovani.33 CompOrga.indb 40 11/01/2013 16.34.55 2 La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona 41 Infine, la potenziale futura carenza di lavoratori qualificati sottolinea la necessità per le aziende di reclutare individui appartenenti alla generazione Y: questi non solo rappresentano il gruppo più numeroso all’interno della forza lavoro (si rimanda alla tabella 2-1), ma possiedono le caratteristiche e le capacità necessarie in un’economia sempre più avanzata sul piano tecnologico. Le organizzazioni stanno affrontando la questione tentando di creare ambienti di lavoro che soddisfino i bisogni di questo gruppo. Per esempio, Growth Works Capital, Ernst & Young, Philip Morris USA, IBM e Bearing Point hanno promosso nuovi programmi di riconoscimento e interventi di progettazione delle mansioni mirati ad attirare e trattenere i lavoratori della generazione Y. Analogamente, Unilever ha creato la posizione di “architetto della consumerizzazione” per facilitare l’uso di tecnologie molto diffuse dopo aver appurato che i dipendenti della generazione Y erano insoddisfatti rispetto all’impiego delle nuove tecnologie in azienda.34 Effetti positivi e negativi della diversità negli ambienti di lavoro All’inizio di questo capitolo, abbiamo affermato che la gestione efficace delle diversità non è solo finalizzata ad attirare e trattenere i collaboratori migliori, ma incide anche sui risultati economici. Per quanto sia semplice trovare testimonianze di manager e casi reali di aziende a supporto di questa affermazione, occorre esaminarne la validità alla luce dei dati forniti dalla ricerca nell’ambito del comportamento organizzativo. Come vedremo a breve, le ricerche dimostrano che le diversità possono determinare effetti sia positivi che negativi sui risultati aziendali. Questa apparente contraddizione è generata dalle modalità di gestione organizzativa di due problematiche che esamineremo di seguito: quella della categorizzazione, o in group, e quella delle modalità di decisione all’interno di un’organizzazione. Teoria della categorizzazione sociale: l’affinità determina simpatia e attrazione La teoria della categorizzazione sociale La teoria della categorizzazione sociale è stata definita nel modo seguente: Secondo la prospettiva della categorizzazione sociale, affinità e differenze rappresentano la base per la categorizzazione di sé e degli altri all’interno di gruppi, con la conseguente distinzione tra gruppo di appartenenza e uno o più gruppi di non appartenenza. Gli individui tendono a sviluppare empatia e fiducia verso i membri del gruppo di appartenenza, per i quali generalmente manifestano una preferenza rispetto ai membri dei gruppi di non appartenenza […] I membri di un gruppo di lavoro dimostrano attitudini più positive nei confronti del proprio gruppo e delle persone che ne fanno parte quando questi sono simili a loro, anziché diversi.35 Secondo la teoria della categorizzazione sociale, quindi, l’affinità determina simpatia e attrazione e favorisce una molteplicità di risultati positivi. Stando a questo approccio, maggiore è l’omogeneità all’interno di un gruppo di lavoro, maggiori saranno l’impegno dei membri e la coesione, minori i conflitti interpersonali. Un ampio corpus di ricerche conferma le considerazioni derivanti dal modello della categorizzazione sociale.36 CompOrga.indb 41 11/01/2013 16.34.55 42 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo Secondo alcune ricerche, gli individui che si differenziavano per origine etnica o razziale dalle proprie unità di lavoro erano meno coinvolti psicologicamente nei confronti dell’organizzazione e meno soddisfatti della propria carriera.37 Altri studi hanno evidenziato che la diversità demografica è associata a una minore collaborazione tra i membri di un team e a impressioni più negative nei confronti delle persone con caratteristiche demografiche diverse.38 Infine, studi recenti hanno dimostrato che la diversità demografica è associata a livelli più alti di depressione, turnover e devianza (comportamenti che violano le norme e minacciano il benessere dell’organizzazione) dei dipendenti, e a profitti più bassi.39 In sintesi, secondo il modello della categorizzazione sociale l’omogeneità va preferita alla diversità per i suoi effetti sull’atteggiamento, il comportamento e le prestazioni in ambito lavorativo. Teoria dell’informazione e del processo decisionale: la diversità conduce a processi e decisioni migliori La teoria dell’informazione e del processo decisionale Il secondo approccio teorico, denominato teoria dell’informazione e del processo decisionale, trae le conclusioni contrarie suggerendo che i gruppi eterogenei evidenzino prestazioni migliori rispetto ai gruppi omogenei. La logica alla base di questa teoria è stata descritta come segue: I gruppi eterogenei hanno maggiori probabilità di possedere un ventaglio più ampio di conoscenze, capacità diverse e non ripetitive, e di contare su opinioni e prospettive diverse sul compito da svolgere. Questo non solo conferisce ai gruppi diversificati un insieme più ampio di risorse, ma potrebbe determinare anche altri effetti positivi.40 Questo approccio sottolinea tre effetti positivi della diversità all’interno dei gruppi di lavoro.41 In primo luogo, si ipotizza che i gruppi eterogenei siano in grado di gestire più efficacemente le prime fasi del problem solving perché esistono maggiori probabilità che attingano a esperienze diverse per ottenere una visione più globale di un problema. Per esempio, la diversità di genere e di appartenenza etnica può consentire ai gruppi di lavoro di comprendere meglio i bisogni e le prospettive di una base di clienti multiculturale. In secondo luogo, la diversità di prospettive può essere d’aiuto nella fase di brainstorming e ricerca di soluzioni innovative ai problemi. Infine, la diversità può contribuire ad accrescere i contatti di un gruppo o di un’unità di lavoro: l’ampiezza della rete consente di accedere a informazioni e competenze nuove, motivando le decisioni meglio che nei gruppi omogenei. I risultati delle ricerche confermano la validità di questo approccio. È stato riscontrato che le prestazioni dei team sono positivamente legate alla diversità di genere, etnia, età e formazione.42 Inoltre, si è notato che i gruppi eterogenei prendono decisioni migliori ed evidenziano una produttività più alta rispetto ai gruppi omogenei.43 Ricerche preliminari supportano l’idea che la diversità della forza lavoro promuova la creatività e l’innovazione; questo avviene attraverso la condivisione di idee e prospettive diverse. Rosabeth Moss-Kanter, esperta di management, è stata una delle prime ad analizzare questa relazione. I suoi risultati hanno indicato che le società innovative utilizzano in modo deliberato gruppi eterogenei per risolvere i problemi e impiegano più donne e persone di colore rispetto ad aziende meno innovative. Ha inoltre notato che le aziende innovative hanno migliori risultati nell’eliminare il razzismo, il sessismo e il classismo.44 Una recente rassegna delle ricerche sulla diversità negli ultimi quarant’anni ha supportato la conclusione raggiunta da Moss- CompOrga.indb 42 11/01/2013 16.34.55 2 La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona 43 Kanter rispetto al fatto che la diversità promuove la creatività e migliora il processo decisionale di gruppo.45 Faglia demografica: barriera ipotetica che divide un gruppo in sottogruppi sulla base di attributi demografici CompOrga.indb 43 Conciliare gli effetti contrastanti di ambienti di lavoro diversificati L’esame della teoria della categorizzazione sociale e di quella dell’informazione e del processo decisionale ha mostrato che le diversità determinano effetti positivi ed effetti negativi. Il modello in figura 2-3 presenta una sintesi sottolineando tali effetti. In linea con la teoria della categorizzazione sociale, esiste una relazione negativa tra la diversità all’interno di un gruppo di lavoro e la qualità dei processi interpersonali e delle dinamiche di gruppo (percorso A), che determina esiti negativi perché la qualità dei processi interpersonali e delle dinamiche di gruppo è legata positivamente ai risultati (percorso C). Per esempio, le diversità di genere e di razza in un gruppo di lavoro favoriscono il conflitto interpersonale, che a sua volta determina minore soddisfazione lavorativa, turnover più alto e produttività più bassa. Ricerche recenti dimostrano che questa relazione negativa è più accentuata quando all’interno dei gruppi esistono faglie demografiche significative.46 Per faglia demografica si intende “una barriera ipotetica che divide il gruppo in sottogruppi sulla base di uno o più attributi”.47 Le faglie emergono quando i membri di un gruppo di lavoro possiedono caratteristiche demografiche diverse (per esempio genere, età, etnia) e il raggruppamento degli individui secondo faglie o caratteristiche demografiche salienti può generare processi interpersonali negativi. Al contrario, le ricerche riguardanti la teoria dell’informazione e del processo decisionale evidenziano che la diversità all’interno di un gruppo è associata positivamente ai processi importanti per il compito e al processo decisionale (percorso B), favorendo esiti positivi (percorso D). Secondo questo approccio, la diversità di genere e la diversità razziale determinano risultati positivi perché migliorano i processi legati al compito e la fase decisionale. Due studi hanno dimostrato che gli effetti positivi della diversità sono amplificati quando i gruppi di lavoro sono dotati di ampie vedute, più pronti al confronto e alla condivisione di informazioni e mostrano un comportamento più integrativo.48 Poiché la diversità all’interno dei gruppi di lavoro è associata a effetti positivi e negativi, dobbiamo considerare in che modo il management può ridurre i potenziali effetti negativi. Anzitutto, le organizzazioni possono ricorrere alla formazione per attenuare gli effetti della relazione negativa tra le diversità e i processi interpersonali e le dinamiche di gruppo (percorso A). Per esempio, la formazione può aiutare i dipendenti a comprendere le differenze demografiche e a sviluppare capacità interpersonali che favoriscono un comportamento di integrazione e collaborazione.49 Le attività di formazione possono vertere sulla gestione del conflitto, l’influenza interpersonale, il feedback, la comunicazione e la valorizzazione delle differenze. In secondo luogo, i manager possono cercare strategie per aiutare i dipendenti ad allentare le tensioni causate dal lavoro in gruppi eterogenei, per esempio creando gruppi di supporto. Infine, si possono adottare misure volte a ridurre gli effetti negativi degli stereotipi inconsci (che approfondiremo nel Capitolo 7) e ad accrescere il ricorso a obiettivi di gruppo nei team eterogenei. Offrire riconoscimenti per il raggiungimento di obiettivi di gruppo può incoraggiare i membri a concentrarsi sugli obiettivi comuni anziché sulle faglie demografiche, che non hanno nulla a che vedere con la prestazione. 11/01/2013 16.34.55 Parte I 44 Il mondo del comportamento organizzativo Figura 2-3 Un modello di processo della diversità Un modello di processo della diversità Dimensioni della diversità Risultati ) Livello manifesto • Età • Genere • Abilità fisiche • Etnia • Razza Livello profondo • Valori • Atteggiamenti • Credenze • Personalità – (A Processi interpersonali e dinamiche di gruppo +(B +(C ) ) +(D ) Atteggiamenti nell’ambiente di lavoro Comportamenti nell’ambiente di lavoro Prestazioni Processo decisionale Le barriere e le sfide alla gestione della diversità All’inizio di questo capitolo abbiamo notato come la diversità sia un argomento delicato, difficile e qualche volta scomodo; quindi non sorprende che le organizzazioni incontrino barriere significative nel momento in cui tentano di realizzare la gestione della diversità. L’elenco seguente presenta le barriere più comuni all’efficace implementazione di programmi per la gestione della diversità:50 Clima legato alla diversità: insieme delle percezioni relative alle caratteristiche formali e ai valori di un’organizzazione riguardanti la diversità CompOrga.indb 44 1. Stereotipi e pregiudizi. Questa barriera si manifesta nella convinzione che le differenze siano un elemento di debolezza; ne deriva il timore che una maggior diversità nelle assunzioni significhi sacrificare la competenza e l’efficienza. 2. Etnocentrismo. La barriera dell’etnocentrismo consiste nel ritenere superiori o più appropriate le regole e le norme di una cultura (generalmente la propria) rispetto a quelle di un’altra. Questa barriera sarà discussa in modo dettagliato nel Capitolo 4. 3. Scarsa attenzione allo sviluppo delle carriere. Questa barriera è legata alla mancanza di opportunità per i collaboratori con alcune caratteristiche di diversità, che non si vedono assegnare compiti lavorativi che li qualificherebbero per posizione più elevate. 4. Clima impermeabile alla diversità. Per “clima” si intende l’insieme di percezioni e adesione individuale e collettiva del personale rispetto alle politiche, prassi e procedure organizzative formali e informali. Il clima legato alla diversità è una componente del clima organizzativo e si definisce come l’insieme delle “percezioni relative alle 11/01/2013 16.34.55 2 La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona 45 caratteristiche strutturali formali e ai valori informali dell’organizzazione riguardanti le diversità”51 riportate dai collaboratori. Il clima viene considerato positivo quando le persone riferiscono un trattamento equo nei confronti di tutti; il concetto di equità organizzativa sarà esaminato nel Capitolo 8. Recenti ricerche hanno dimostrato che un clima legato alle diversità positivo amplifica gli effetti benefici delle diversità, mentre un clima negativo li riduce.52 5. Ambiente di lavoro intollerante e ostile. Episodi di molestie sessuali e discriminazioni razziali o per età sono esempi comuni di un ambiente di lavoro ostile. Che siano le donne, gli uomini, gli individui più anziani o quelli con determinati orientamenti sessuali a subirne le conseguenze, gli ambienti di lavoro ostili sono avvilenti, non etici e si definiscono, giustamente, “inquinati”. È difficile che le persone lavorino al massimo delle proprie potenzialità quando si trovano in un ambiente ostile. È importante ricordare che l’ostilità è percettiva, quindi individui diversi riportano percezioni diverse di ciò che è “ostile”. Il processo di percezione sarà approfondito nel Capitolo 7. Occorre tenere presente che le molestie possono avvenire tramite email, SMS e social media. Uno studio recente su 220 dipendenti ha mostrato che i primi episodi di molestie sono avvenuti tramite email o telefono.53 I manager dovrebbero gestire questi casi esattamente come tutti gli altri tipi di molestie. 6. Mancanza di sagacia politica. I dipendenti diversi possono non essere promossi perché non conoscono le “regole del gioco” per muoversi in un’organizzazione. La ricerca rivela che le donne e le persone di colore sono spesso escluse dalle reti informali dell’organizzazione.54 7. Difficoltà nel bilanciare carriera e impegni familiari. Le donne assumono ancora la maggior parte delle responsabilità associate all’allevamento dei figli; questo rende più difficile a una donna lavorare la sera e il fine settimana o viaggiare frequentemente. Anche senza prendere in considerazione i figli, la gestione della casa in genere pesa maggiormente sulla donna. 8. Paura di “discriminazioni alla rovescia”. Alcuni dipendenti credono che la gestione della diversità si traduca in una forma di discriminazione alla rovescia. Questa opinione porta a una resistenza molto tenace, perché si è convinti che il guadagno di qualcuno si tradurrà in una perdita per qualcun altro. 9. Bassa priorità organizzativa. Questo elemento conduce a una resistenza insidiosa, che si manifesta sotto forma di rimostranze e atteggiamenti negativi. I collaboratori possono lamentarsi del tempo, dell’energia e delle risorse indirizzate alla diversità, mentre avrebbero potuto essere spese svolgendo il “vero lavoro”. 10. Necessità di ridefinire i sistemi organizzativi di valutazione e ricompensa. Questi sistemi devono rinforzare il bisogno di gestire efficacemente la diversità; ciò significa che la performance deve essere misurata in base a una nuova gamma di criteri. Alcuni probabilmente resisteranno a cambiamenti che possono avere effetti negativi sulle loro promozioni o ricompense. Per esempio, General Electric valuta la misura in cui i manager adottano un comportamento inclusivo nei confronti dei dipendenti dotati di un background diverso e ne tiene conto al momento di prendere decisioni sullo stipendio e la promozione.55 CompOrga.indb 45 11/01/2013 16.34.55 46 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo 11. Resistenza al cambiamento. Una diversità efficacemente gestita implica un significativo cambiamento organizzativo e personale. Come verrà discusso nel Capitolo 17, le persone per svariate ragioni tendono a resistere al cambiamento. In conclusione, la gestione della diversità è una componente critica del successo organizzativo. Pratiche organizzative per la gestione della diversità Cosa fanno dunque le organizzazioni per gestire efficacemente la diversità? Per rispondere a questa domanda è necessario fornire un quadro teorico per categorizzare le iniziative organizzative. Ne sono stati sviluppati alcuni rilevanti, da ricercatori e professionisti. Uno, in particolare, è stato proposto da R. Roosevelt Thomas, Jr, un esperto di diversità, che ha identificato otto possibilità d’azione che possono essere usate per affrontare i problemi della diversità. La presente sezione ripercorre il quadro teorico sviluppato da Thomas per fornire una comprensione al tempo stesso ampia e specifica sull’efficace gestione della diversità. Thomas ha identificato otto risposte base per gestire la diversità. Dopo aver descritto ciascuna opzione di azione, discuteremo le reciproche relazioni.56 Opzione 1: includere/escludere Questa scelta è una derivazione dei programmi di azioni positive. Il suo scopo primario è incrementare o diminuire il numero di persone diverse a ogni livello dell’organizzazione. La catena di ristoranti Shoney fornisce l’esempio di un’azienda che ha tentato di includere i dipendenti diversi dopo una causa per discriminazione: l’azienda ha assunto afroamericani in qualità di supervisori di sala e direttori di divisione, ha aumentato il numero di locali concessi in franchising ad afroamericani e ha acquistato più beni e servizi da aziende di proprietà delle minoranze.57 Opzione 2: negare Le persone che utilizzano questa opzione negano che le differenze esistano. La negazione si può manifestare proclamando che tutte le decisioni sono indipendenti dalla razza, dal genere e dall’età, e che il successo è determinato solamente dal merito e dalla performance. Si consideri per esempio la compagnia assicurativa State Farm. “Nonostante fosse tradizione per gli agenti uomini e i loro manager regionali assumere collaboratori maschi, la State Farm ha evitato il cambiamento e negato ogni comportamento discriminatorio durante un’azione legale durata nove anni, che alla fine la società ha perso”.58 Opzione 3: assimilare La premessa di questa opzione è che tutte le persone, per quanto diverse, impareranno ad adattarsi o a diventare come il gruppo dominante; sono necessari solo del tempo e opportune azioni di rinforzo affinché le persone “vedano la luce”. Le organizzazioni inizialmente assimilano i dipendenti attraverso le pratiche di selezione e l’utilizzo di programmi di orientamento, il cui scopo è fornire ai dipendenti i valori dall’organizzazione unitamente a una gamma di procedure operative standard. I dipendenti sono incoraggiati a riferirsi ai manuali, ai regolamenti e alle procedure se CompOrga.indb 46 11/01/2013 16.34.55 2 La gestione delle diversità: liberare il potenziale di ogni persona 47 sono incerti sul comportamento da tenere in una situazione specifica. Queste pratiche creano omogeneità fra i collaboratori. Opzione 4: nascondere Quando si utilizza questo approccio le differenze sono represse o scoraggiate. Ciò si ottiene costringendo o incentivando le persone ad abbandonare le lamentele rispetto ai problemi della diversità. Il vecchio detto “pagare il dovuto” è un altro modo frequente per promuovere lo status quo. Opzione 5: isolare In questo caso le persone diverse vengono messe da parte, in modo da non causare un cambiamento organizzativo. I manager possono isolare le persone diverse assegnandole a progetti speciali; gruppi di lavoro o interi reparti possono essere isolati creando entità funzionalmente indipendenti, spesso chiamate “silos”. I dipendenti della Shoney Inc. hanno riferito a un giornalista del Wall Street Journal le pratiche di isolamento usate in passato dalla società: I manager bianchi hanno riferito di come il signor Danner [il presidente precedente] avesse detto loro di licenziare i neri nel caso in cui fossero diventati troppo numerosi nei ristoranti dei quartieri bianchi; se si fossero rifiutati, essi stessi avrebbero perso il lavoro. Alcuni hanno inoltre affermato che, quando si prevedeva la visita del signor Danner nei ristoranti, ai dipendenti neri veniva assegnato il giorno di riposo; in un caso sono stati nascosti nel bagno. Altri hanno detto che le domande di lavoro di persone di colore venivano sistematicamente scartate.59 Opzione 6: tollerare La tolleranza implica il riconoscimento delle differenze ma non la loro valorizzazione o accettazione. Rappresenta un approccio del tipo “vivi e lascia vivere” che permette alle organizzazioni di pagare un tributo formale alla gestione della diversità. La tolleranza è diversa dall’isolamento in quanto permette di includere le persone diverse; comunque le diversità non sono realmente valorizzate o accettate nel momento in cui un’organizzazione utilizza questa opzione. Opzione 7: costruire relazioni Questo approccio è basato sulla premessa che delle buone relazioni possono superare le differenze; affronta il tema della diversità incoraggiando relazioni di qualità, caratterizzate dall’accettazione e dalla comprensione, fra gruppi differenti. Opzione 8: promuovere l’adattamento reciproco In questo caso, le persone hanno la volontà di adattare o cambiare le loro prospettive allo scopo di creare relazioni positive con gli altri. Questo implica che i collaboratori e il management devono avere la volontà di accettare le differenze e, cosa più importante, concordare che tutto e tutti possono cambiare. Conclusioni Sebbene le opzioni d’azione possano essere usate singolarmente o in combinazione tra loro, alcune sono chiaramente meglio di altre. Escludere, negare, assimilare, nascondere, isolare e tollerare sono le opzioni meno auspicabili; includere, costruire relazioni e promuovere l’adattamento reciproco sono le strategie migliori. Ciò detto, Thomas ci ricorda comunque che l’adattamento reciproco è l’unica strategia che CompOrga.indb 47 11/01/2013 16.34.55 48 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo promuova integralmente la filosofia di gestione della diversità. In chiusura di questa discussione, è importante notare che la scelta di come gestire al meglio la diversità è un processo dinamico determinato dal contesto. Ad esempio, alcune organizzazioni non sono pronte per l’adattamento reciproco; il meglio che si possa sperare, in questi casi, è l’inclusione delle persone diverse.Tony Hsieh non si limita a spendere belle parole su quanto siano importanti i suoi dipendenti: ripone fiducia in loro, li ascolta e li responsabilizza. Non sorprende che nel 2011 Zappos.com abbia conquistato il sesto posto nella classifica della rivista Fortune delle migliori imprese in cui lavorare in America.2 Hsieh ha creato quella che Jeffrey Pfeffer della Stanford University definisce un’organizzazione “orientata alle persone”. Dai risultati delle ricerche condotte su aziende sia negli Stati Uniti sia in Germania emerge chiaramente una forte connessione fra l’adozione delle seguenti sette pratiche incentrate sulle persone, profitti molto più alti e un turnover dei dipendenti significativamente più basso. CompOrga.indb 48 11/01/2013 16.34.56 Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring 3 Vi piacerebbe lavorare per Southwest Airlines? La Cultura Southwest Airlines permea ogni aspetto della nostra azienda: ne è l’essenza, il DNA, il passato, il presente e il futuro. Riveste una tale importanza che vorrei poterla illustrare più dettagliatamente. Spesso affermiamo che le altre compagnie aeree possono copiare il nostro piano strategico dall’inizio alla fine, ma Southwest si distingue dalle copie grazie alle Persone. E sarei pronto a scommettere che se un altro vettore aereo riuscisse in qualche modo a reclutare tutti i nostri fantastici Dipendenti, non riuscirebbe comunque a eguagliarci. Per quali motivi? Il nuovo datore di lavoro non avrebbe la Cultura Southwest, l’ingrediente segreto, se vogliamo definirlo così, della nostra organizzazione. Per molti di noi, lavorare in Southwest non è solo una vocazione, è una missione. La Cultura non è imposta da me né dagli altri Dirigenti; deriva piuttosto dalla personalità collettiva dei nostri Dipendenti. Ci sono voluti oltre trent’anni solo per elaborare alcune definizioni sulle quali fossimo tutti d’accordo, ora illustrate in quello che chiamiamo “Lo stile di vita Southwest”. Questo credo si articola in tre valori: uno Spirito guerriero che premia il coraggio, l’impegno e l’aspirazione a essere i migliori; un Cuore da servitore, che segue la regola d’oro e considera essenziale il rispetto per gli altri e, infine, un Atteggiamento gioioso, che CompOrga.indb 49 comprende il DIVERTIMENTO, ma anche la passione e la voglia di fare festa. A gennaio abbiamo celebrato il diciottesimo anniversario della fondazione del Comitato della cultura aziendale, che si impegna a tutelare la nostra Cultura nel presente e nel futuro. Il Comitato evidenzia che la Cultura Southwest vive in tutti i Dipendenti, a prescindere dal ruolo, riconoscendo al tempo stesso quanto possa essere fragile. Ho avuto modo di confrontarmi con alcuni dei nostri Dipendenti arrivati da compagnie aeree e società che in passato si distinguevano per una cultura solida. In molti casi mi hanno testimoniato che piccole trascuratezze possono distruggere la cultura molto rapidamente. Le loro esperienze confermano ciò che ho sempre creduto: le Parole vuote rappresentano un enorme pericolo. È facile decantare la Cultura in articoli come questo; molto più difficile è esserne all’altezza ogni giorno. È per questo che i membri del Comitato fungono da esempi per tutti i nostri Dipendenti e dimostrano che la Cultura viene dal cuore, non da comunicazioni di servizio. Come è facile immaginare, il compito loro affidato è difficile ma siamo fortunati a poter contare sull’impegno di questi Guerrieri della Cultura che combattono ogni giorno l’indifferenza e l’autocompiacimento. Grazie al loro aiuto, la nostra Cultura continua a volare alto.1 11/01/2013 16.34.56 50 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo Questo articolo mette in luce tre considerazioni essenziali sulla cultura organizzativa. In primo luogo, la cultura può incidere sulla motivazione, la soddisfazione e il turnover dei dipendenti. Southwest è in grado di minimizzare il turnover e mantenere un’elevata soddisfazione del lavoro mediante una cultura positiva e orientata ai collaboratori. In secondo luogo, la cultura organizzativa può essere una fonte di vantaggio competitivo, come conferma uno studio recente su 194 negozi di vendita al dettaglio e di servizi. Come nel caso di Southwest Airlines, i risultati hanno evidenziato performance di mercato migliori per le imprese con una cultura caratterizzata da pari attenzione ai dipendenti e ai clienti.2 Infine, il management può influenzare la cultura organizzativa: Southwest usa il comitato per la cultura come strumento per plasmare e rafforzare i valori scelti dal gruppo dirigente. Questo capitolo permette di capire meglio come i manager possano trasformare la cultura organizzativa in un vantaggio competitivo. Prima di tutto discuteremo il ruolo del contesto nell’influenzare la cultura organizzativa, quindi passeremo a esaminare (1) le dinamiche della cultura organizzativa, (2) il processo di cambiamento culturale, (3) il processo di socializzazione all’interno di un’organizzazione e infine (4) la trasmissione della cultura organizzativa mediante il mentoring. La cultura organizzativa: definizione e contesto Cultura organizzativa: valori e convinzioni condivise che sono alla base dell’identità di un’organizzazione CompOrga.indb 50 La cultura organizzativa è “l’insieme di idee condivise, implicite e assunte all’interno di un gruppo, che determina il modo in cui il gruppo percepisce, valuta e reagisce all’ambiente esterno”.3 Questa definizione mette in luce tre caratteristiche importanti della cultura organizzativa. Innanzitutto, si trasmette ai nuovi collaboratori attraverso la socializzazione, argomento che affronteremo più avanti in questo capitolo; in secondo luogo, influenza il comportamento sul lavoro; infine, opera a diversi livelli. La figura 3-1 mostra uno schema concettuale utile ad analizzare l’impatto esercitato dalla cultura organizzativa sul comportamento. Sono anche indicati i collegamenti tra questo capitolo – che tratta la cultura, la socializzazione e il mentoring – e gli altri argomenti chiave del libro. Osservando la figura si nota come la cultura organizzativa sia determinata da quattro componenti fondamentali: i valori dei fondatori, il settore, la cultura nazionale e infine la visione e il comportamento del gruppo dirigente. L’impatto della cultura nazionale sul comportamento organizzativo è analizzato nel dettaglio nel Capitolo 4. A sua volta, la cultura influenza il tipo di struttura organizzativa che un’azienda adotta e un vasto insieme di pratiche, politiche e procedure messe in atto per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi. Queste caratteristiche influenzano a loro volta molti processi sociali e di gruppo. E infine, questa sequenza si riflette negli atteggiamenti e nei comportamenti dei collaboratori e in diverse manifestazioni organizzative. Nel complesso, la figura 3-1 rivela che la cultura organizzativa è una variabile di contesto che influenza il comportamento dell’individuo, del gruppo e dell’organizzazione nel suo insieme. È proprio per questo motivo che abbiamo scelto di soffermarci sulla cultura organizzativa nella parte iniziale del libro. 11/01/2013 16.34.56 3 Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring Antecedenti • Valori del fondatore • Caratteristiche del settore e ambiente economico • Cultura nazionale (Cap. 4) • Visione e comportamento del gruppo dirigente (Cap. 16) Cultura organizzativa • Manifestazioni osservabili • Valori dichiarati • Assunti di base Processi sociali e di gruppo Strutture e pratiche organizzative • Sistemi premianti (Cap. 9) 51 • Socializzazione • Mentoring • Processi decisionali (Cap. 12) • Dinamiche di gruppo (Cap. 10) • Comunicazione (Cap. 14) • Influenza e empowerment (Cap. 15) • Leadership (Cap. 16) Atteggiamenti e comportamento collettivo • Atteggiamenti nei confronti del lavoro (Cap. 6) • Soddisfazione del lavoro (Cap. 6) • Motivatione (Cap. 8) Conseguenze a livello organizzativo • Efficacia (Cap. 17) • Stress (Cap. 17) Figura 3-1 Uno schema concettuale per comprendere la cultura organizzativa Fonte: da C. Ostroff, A. Kinicki, e M. Tamkins,”Organizational Culture and Climate,” Handbook of Psychology, vol 12, a cura di W.C. Burman, D.R. Ilgen e R.J. Klimoski, pp. 565-93. Copyright © 2003. Riprodotto su autorizzazione della John Wiley & Sons. Dinamiche della cultura organizzativa Inizieremo questa sezione parlando dei diversi livelli della cultura organizzativa, per capire meglio in che modo essa si consolidi e come si rifletta nelle azioni delle persone. Poi passeremo in rassegna le quattro funzioni della cultura organizzativa, i tipi di cultura organizzativa e le conseguenze ad essa associate. I livelli della cultura organizzativa La figura 3-1 illustra i tre livelli fondamentali della cultura organizzativa: manifestazioni osservabili, valori dichiarati e assunti di base. Ogni livello differisce dagli altri in termini di visibilità e di resistenza al cambiamento; ognuno, inoltre, influenza il livello sottostante. Manifestazioni osservabili La cultura organizzativa è rappresentata, nel suo livello più visibile, dalle manifestazioni osservabili. Tra gli esempi possibili troviamo gli acronimi, il modo di vestire, i premi, i miti e le storie che riguardano l’azienda, i parcheggi riservati, l’arredamento e così via. Per esempio, la catena di hotel Ritz-Carlton ricorre alla narrazione di storie per rafforzare una cultura incentrata sul superamento delle aspettative dei clienti. Durante riunioni settimanali si raccontano le “storie di successo” di collaboratori che vanno al di là dei propri doveri, come riferite dai clienti stessi. Ciascun vincitore – come per esempio un addetto alla lavanderia che ha rovistato in un CompOrga.indb 51 11/01/2013 16.34.56 52 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo cassonetto per l’immondizia per recuperare il peluche di una piccola ospite – riceve in premio 100 dollari.4 Questo livello include anche i comportamenti esibiti dalle singole persone o dai gruppi. I 16 membri del team di progettazione di Google, per esempio, partecipano ogni giorno a uno “stand-up meeting”: “Tutti coloro che lavorano a un progetto si riuniscono e ricevono un rapido aggiornamento stando in piedi, per fare in modo che nessuno si metta troppo comodo e non si perda tempo.”5 Gli “stand-up meeting” sono una manifestazione osservabile dell’obiettivo di Google di impegnarsi al massimo nel lavoro e portare a termine i compiti tempestivamente. Le manifestazioni osservabili sono molto più facili da cambiare rispetto ad aspetti meno evidenti della cultura organizzativa. Valori: convinzioni durature sui modi di agire e sulle loro conseguenze Valori dichiarati: valori stabiliti e consuetudini che l’organizzazione privilegia Sostenibilità: capacità di raggiungere i propri obiettivi senza danneggiare le generazioni future Valori praticati: valori e consuetudini che sono messi in atto dai collaboratori CompOrga.indb 52 Valori dichiarati È possibile descrivere i valori attraverso cinque caratteristiche fondamentali. “I valori (1) sono concetti o convinzioni, (2) si riferiscono a comportamenti e conseguenze desiderate, (3) non dipendono dalle situazioni, (4) guidano nella scelta e nella valutazione dei comportamenti e degli eventi, e infine (5) sono in ordine di importanza relativa”.6 È importante distinguere tra i valori dichiarati e i valori praticati. I valori dichiarati sono le consuetudini e i valori esplicitati che sono privilegiati all’interno dell’organizzazione. Sono generalmente stabiliti dal fondatore di un’azienda di nuova creazione o di piccole dimensioni oppure, nel caso di imprese più grandi, dal gruppo dirigente. È interessante notare che molte aziende stanno sposando il valore della sostenibilità. La sostenibilità rappresenta “la capacità di un’azienda di realizzare profitti senza sacrificare le risorse dei dipendenti, della comunità e del pianeta”.7 Alcuni ritengono che la sostenibilità possa rappresentare una fonte di vantaggio competitivo per le organizzazioni; per esempio, la compagnia assicurativa Safeco e Microsoft hanno conseguito una significativa riduzione dei costi e un incremento della produttività sovvenzionando sistemi di trasporti che incentivano i dipendenti a lasciare a casa l’automobile. Poiché i valori dichiarati rappresentano le aspirazioni dell’azienda che sono comunicate in modo esplicito ai collaboratori, i manager sperano che tali valori influenzino direttamente il comportamento dei collaboratori. Purtroppo, però, tali aspirazioni non producono automaticamente i comportamenti voluti perché non sempre le persone passano dalle parole ai fatti. La British Petroleum (BP), per esempio, si è sempre presentata come una società che pone in primo piano la sicurezza; ciò nonostante, l’incendio scoppiato nel 2005 alla raffineria di Texas City (Texas) è costato la vita a 15 persone; nel 2006, una perdita in un oleodotto in Alaska ha causato la dispersione di oltre 750.000 litri di greggio nell’ambiente; nel 2010, il disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon ha causato lo sversamento di oltre 750 milioni di litri di petrolio nel Golfo del Messico, secondo i dati del governo americano.8 I valori praticati, invece, sono l’insieme di valori e consuetudini che si riflettono o si traducono effettivamente nei comportamenti delle persone. Rappresentano i valori che i dipendenti attribuiscono a un’organizzazione sulla base delle loro osservazioni di quanto accade giorno per giorno. Howard Schultz, CEO di Starbucks, ha tentato in tutti i modi di mettere in pratica il valore di fornire prodotti di qualità e servizio eccellente per fronteggiare le difficoltà finanziarie incontrate dall’azienda nel 2009. In un’intervista del 2010 ha dichiarato: “Ho fatto chiudere le caffetterie per tre ore e mezza di forma- 11/01/2013 16.34.56 3 Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring 53 zione. Molti mi domandavano quanto sarebbe costato e gli azionisti mi chiamavano chiedendomi se non fossi uscito di senno. Ho sempre risposto che stavamo facendo la cosa giusta. Stavamo formando i nostri collaboratori perché avevamo dimenticato la nostra missione, cioè l’impegno assoluto e inequivocabile per la qualità.”9 È importante ridurre il divario esistente tra i valori dichiarati e quelli praticati, perché questi ultimi possono influenzare in modo rilevante gli atteggiamenti dei collaboratori e la performance dell’organizzazione. Secondo un sondaggio condotto dall’Ethics Resource Center, esistono maggiori probabilità che i dipendenti adottino un comportamento etico quando il gruppo dirigente rappresenta un buon esempio, mantiene le promesse e tiene fede agli impegni. Il risultato è confermato da un altro studio recente condotto su 500.000 lavoratori in oltre 85 paesi secondo il quale le organizzazioni sono dieci volte più soggette a comportamenti non etici quando sono dotate di una cultura etica debole.10 È evidente che, in fatto di comportamento etico, i manager devono passare dalle parole ai fatti. Assunti di base Gli assunti di base non sono osservabili e rappresentano il substrato della cultura organizzativa. Si tratta di valori organizzativi che sono divenuti così scontati nel tempo da trasformarsi in ipotesi implicite che guidano il comportamento organizzativo. La loro resistenza al cambiamento è dunque altissima. Se gli assunti di base sono molto radicati tra le persone, queste troveranno inconcepibile qualsiasi comportamento differente. Tutti sanno, ad esempio, che la Southwest Airlines opera in base a principi che danno molta importanza al benessere dei collaboratori e alla qualità del servizio offerto ai clienti. I collaboratori dell’azienda sarebbero sconvolti se vedessero i manager agire in modo da non rispettare i bisogni loro e dei clienti. Adattamento persona-ambiente: grado di compatibilità tra un individuo e il suo ambiente di lavoro CompOrga.indb 53 Che cosa dice la ricerca sui livelli della cultura? Il principale spunto di riflessione riguarda le conseguenze del cosiddetto adattamento persona-ambiente (PE fit in inglese). Per adattamento persona-ambiente si intende “la compatibilità tra un individuo e un ambiente di lavoro che si ottiene quando le rispettive caratteristiche si adattano bene le une alle altre.”11 I risultati di una meta-analisi condotta su oltre 170 studi e 40.000 lavoratori hanno dimostrato che gli individui riportano una maggiore soddisfazione del lavoro, manifestano un impegno più elevato nei confronti dell’organizzazione e meno intenzioni di cambiare lavoro quando le loro caratteristiche personali (capacità, abilità e personalità) e i loro valori (per esempio, integrità) corrispondono alle richieste del lavoro, ai valori organizzativi e ai valori del gruppo di lavoro.12 Questi dati sottolineano che l’adattamento persona-ambiente è importante per la carriera e le soddisfazioni professionali. Ma come determinare il proprio adattamento persona-ambiente prima di accettare un’offerta di lavoro oppure una promozione? Anzitutto occorre effettuare una valutazione dei propri punti di forza, punti di debolezza e valori; la stessa valutazione va poi operata per l’azienda o l’unità organizzativa ricercando informazioni online e dagli stessi dipendenti che vi lavorano. Le informazioni così ricavate servono per elaborare un insieme di domande da porre durante il colloquio per determinare il possibile livello di adattamento da parte nostra. Per esempio, se si attribuisce molta importanza all’impegno, sarebbe opportuno domandare ai reclutatori come vengono riconosciute le prestazioni; se dalla risposta emerge un legame debole tra 11/01/2013 16.34.56 Parte I 54 Il mondo del comportamento organizzativo la prestazione e i riconoscimenti, probabilmente il livello di adattamento personaambiente è basso e un’esperienza di lavoro presso l’azienda potrebbe non essere molto gratificante. Quattro funzioni della cultura organizzativa Come mostrato nella figura 3-2, una cultura organizzativa realizza quattro funzioni. Per contestualizzare queste funzioni, proviamo a pensare come ognuna di esse si sia manifestata alla Southwest Airlines. Quest’azienda rappresenta un esempio didattico particolarmente utile, perché dagli inizi (nel 1971) ad oggi è cresciuta tanto da diventare il principale vettore negli Stati Uniti, con un bilancio in attivo per 38 anni consecutivi. Dal 1997 al 2000, Fortune ha collocato quest’azienda tra le prime cinque nella classifica delle migliori imprese in cui lavorare in America; a partire dal 2000, Southwest ha deciso di non essere più coinvolta nella classifica. Infine, nel 2010 Southwest si è aggiudicata il primo posto nella classifica delle 50 aziende più attente alla responsabilità sociale d’impresa.13 1. Dare alle persone un’identità organizzativa. La Southwest Airlines ha fama d’essere un posto divertente in cui lavorare, in cui la soddisfazione dei collaboratori e la fedeltà dei clienti sono più importanti dell’utile aziendale. Gary Kelly, CEO di Southwest, sottolinea l’importanza di questo punto osservando che “i nostri collaFigura 3-2 Quattro funzioni della cultura organizzativa Fonte: adattamenti dalla discussione in L. Smircich,”Concepts of Culture and Organizational Analysis,” Administrative Science Quarterly, settembre 1983, pp. 339-58. Riprodotto su autorizzazione della John Wiley & Sons, Limited. Identità organizzativa Mezzo per la costruzione dei significati Cultura organizzativa Impegno collettivo Stabilità del sistema sociale CompOrga.indb 54 11/01/2013 16.34.56 3 Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring 55 boratori sono il punto di forza più importante dell’azienda e la fonte più stabile di vantaggio competitivo nel lungo periodo.”14 L’azienda dispone inoltre di un “fondo catastrofi”, costituito da contributi volontari e utilizzato per i collaboratori che si trovano in una situazione personale difficile. L’identità della Southwest, con un forte orientamento alle persone, è rinforzata dal fatto che si tratta di un datore di lavoro “di prima scelta”. Nel 2009, ad esempio, la Southwest ha ricevuto 90.043 curriculum e ha assunto 831 nuovi collaboratori. 2. Favorire l’impegno collettivo. La missione della Southwest Airlines “consiste nell’impegno per la migliore qualità del servizio al cliente, accompagnato da calore, cortesia, orgoglio individuale e spirito di gruppo”.15 Gli oltre 35.000 collaboratori della Southwest sono impegnati in questa missione. Dalle rilevazioni sulla clientela del Dipartimento del trasporto aereo statunitense, la Southwest è sin dal 1987 il vettore che ha registrato meno lamentele da parte dei clienti. 3. Promuovere la stabilità dell’ambiente sociale. La stabilità dell’ambiente sociale riflette la misura in cui l’ambiente di lavoro viene percepito come positivo e motivante, e l’efficacia con cui vengono gestiti il conflitto e il cambiamento. La Southwest è famosa per la predominante filosofia del divertimento: i festeggiamenti e le celebrazioni sono parte integrante dell’azienda. A ogni città in cui il vettore fa scalo, ad esempio, viene assegnato un budget per le feste. Per motivare i collaboratori, inoltre, l’azienda premia in molti modi la produttività e il servizio. Un clima positivo, dunque, grazie anche al più basso tasso di turnover del settore dei trasporti aerei, e all’impiego di 1164 coppie sposate. 4. Formare il comportamento aiutando le persone a dare un senso all’ambiente in cui lavorano. Questa funzione della cultura aiuta il collaboratore a capire le scelte aziendali e le modalità che l’organizzazione adotta per il raggiungimento degli obiettivi a lungo termine. Sapendo, ad esempio, che il gruppo dirigente della Southwest agli inizi, nel 1971, considerava il trasporto via terra come principale concorrente, i collaboratori riescono a capire perché l’obiettivo primario della compagnia aerea consista nell’essere il miglior vettore a basso prezzo, ad alta frequenza, che opera sulle tratte brevi, e in tutti gli Stati Uniti. Capiscono di dover raggiungere livelli di performance eccezionali, come far manovra con un aereo in 20 minuti, perché devono tenere bassi i costi per poter competere con il trasporto con i pullman e con le automobili. A sua volta, l’azienda evidenzia l’importanza di ottenere i massimi livelli di servizio al cliente e le sue aspettative di prestazioni di alto livello usando premi basati sulla produttività e sistemi di condivisione degli utili. I collaboratori possiedono circa il 5% delle azioni della compagnia. Tipi di culture organizzative I ricercatori di comportamento organizzativo hanno proposto tre modelli per descrivere i vari tipi di culture organizzative: l’inventario della cultura organizzativa, il modello dei valori competitivi (competing values framework, CVF, in inglese) e il profilo della cultura organizzativa. Questa sezione è dedicata al modello dei valori competitivi, perché si è dimostrato che è un approccio valido per la classificazione delle culture CompOrga.indb 55 11/01/2013 16.34.56 56 Modello dei valori competitivi: strumento per categorizzare le culture organizzative Cultura di clan: cultura caratterizzata da focus interno ed enfasi sulla flessibilità Parte I Il mondo del comportamento organizzativo organizzative ed è il più utilizzato. È stato inoltre riconosciuto come uno dei 40 modelli più importanti nello studio delle organizzazioni.16 Il modello dei valori competitivi è uno strumento pratico per comprendere, misurare e modificare la cultura organizzativa. È stato sviluppato da un team di ricercatori che si erano proposti di classificare modalità diverse di valutazione dell’efficacia organizzativa. La ricerca dimostrava che i parametri di misurazione dell’efficacia organizzativa variano lungo due dimensioni, o assi, fondamentali. Il primo misura quanto l’organizzazione focalizza la sua attenzione e i suoi sforzi sulle dinamiche interne e sui collaboratori oppure sull’ambiente esterno, sui clienti e sugli azionisti; il secondo riguarda quanto l’organizzazione privilegia la flessibilità e la discrezionalità oppure il controllo e la stabilità. La combinazione dei due assi consente di individuare quattro tipi di culture organizzative basate su valori diversi e criteri distinti per conseguire l’efficacia organizzativa. Il modello dei valori competitivi è riportato nella figura 3-3.17 La figura 3-3 illustra l’orientamento strategico associato a ciascun tipo di cultura organizzativa, i mezzi impiegati per attuarlo e i relativi fini e obiettivi. Prima di passare a un’analisi dettagliata, è importante sottolineare che le organizzazioni possono presentare caratteristiche associate a ciascun tipo di cultura organizzativa; premesso questo, un tipo di cultura tende a risultare dominante rispetto agli altri. Iniziamo il nostro esame dei tipi di cultura partendo dal quadrante in alto a sinistra del modello. La cultura di clan Caratterizzata da focus interno ed enfasi sulla flessibilità, anziché su stabilità e controllo, la cultura di clan dà vita a un’organizzazione di tipo familiare nella quale si raggiunge l’efficacia favorendo la collaborazione tra i dipendenti. Questo tipo di cultura è molto “orientata ai dipendenti” e mira a costruire la coesione mediante il consenso e la soddisfazione del lavoro e l’impegno attraverso il coinvolgimento dei collaboratori. Le organizzazioni con una cultura di clan investono considerevoli risorse nell’assunzione e nello sviluppo dei dipendenti e considerano i clienti come partner. Un buon esempio di azienda con una forte cultura di clan è Decagon Devices, basata a Pullman (Washington), una piccola impresa nella quale il gruppo dirigente cerca di mantenere un’atmosfera familiare. Tamsin Jolley, CEO di Decagon Devices, osserva: “Ci piace pensare che i neoassunti siano i nuovi membri della nostra famiglia”. L’azienda ha elaborato un piano di condivisione dei profitti che prevede la distribuzione del 20% degli utili lordi ai dipendenti su base trimestrale. Sono inoltre previste una serie di attività quotidiane mirate a riunire i collaboratori: ogni mercoledì, alcuni di loro portano dei pasti preparati a casa da offrire ai colleghi e si pranza tutti insieme. I manager colgono questa occasione per illustrare le novità riguardanti l’azienda, presentare i nuovi assunti e insegnare ai collaboratori a leggere i rendiconti finanziari. L’azienda promuove iniziative di socializzazione nell’ambiente di lavoro: in ufficio ci sono un tavolo da ping pong e una pista elettrica e le partite di calcetto durante le pause sono ormai una tradizione consolidata.18 L’azienda offre generosi benefit sanitari e organizza ogni anno picnic e feste per i collaboratori e le loro famiglie. CompOrga.indb 56 11/01/2013 16.34.57 3 Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring 57 Flessibilità e discrezionalità Cultura di clan Focus interno e integrazione Cultura adhocratica Orientamento strategico: collaborare Orientamento strategico: creare Mezzi: coesione, partecipazione comunicazione e empowerment Mezzi: adattabilità, creatività, agilità, prontezza Fini: morale, sviluppo delle persone, coinvolgimento Fini: innovazione, crescita, risultati innovativi Cultura gerarchica Cultura di mercato Orientamento strategico: controllare Orientamento strategico: competere Mezzi: processi efficaci, coerenza, controllo dei processi, misurazione Mezzi: focus sul cliente, produttività, miglioramento della competitività Fini: efficienza, tempestività, regolarità del funzionamento Fini: quota di mercato, redditività, raggiungimento degli obiettivi Focus esterno e differenziazione Stabilità e controllo Figura 3-3 Modello dei valori competitivi Fonte: adattato da K.S. Cameron, R.E. Quinn, J. Degraff e A.V. Thakor, Competing Values Leadership (Northampton, MA: Edward Elgar, 2006), p. 32. Cultura adhocratica: cultura caratterizzata da focus esterno ed enfasi sulla flessibilità CompOrga.indb 57 La cultura adhocratica Con focus esterno ed enfasi sulla flessibilità, la cultura adhocratica favorisce la creazione di prodotti e servizi innovativi mediante l’adattabilità, la creatività e la rapidità nel rispondere ai cambiamenti del mercato. Le culture adhocratiche non si fondano sulla centralizzazione del potere e sulle relazioni di autorità tipiche delle culture di mercato e gerarchica, ma favoriscono l’empowerment dei dipendenti incoraggiandoli ad assumere rischi, coltivare il pensiero creativo e sperimentare nuove modalità di svolgimento dei compiti. Questo tipo di cultura è particolarmente adatto alle start-up, alle aziende che operano in settori in costante mutamento e a quelle operanti in settori maturi che puntano sull’innovazione per conseguire la crescita. Esaminiamo come queste caratteristiche culturali vengano rafforzate nell’azienda biofarmaceutica AstraZeneca. “AstraZeneca sta sperimentano nuove modalità di organizzazione della ricerca per migliorare la produttività. Gli scienziati restano responsabili dei farmaci candidati fino all’inizio delle sperimentazioni finali sull’uomo; questo nuovo modo di operare ha eliminato la consuetudine di passare i prodotti ad altri ricercatori nella prima fase di elaborazione come in una sorta di catena di montaggio.”19 Il gruppo indiano Tata, con oltre 90 società operative in più di 90 paesi, è un altro ottimo esempio di organizzazione dotata di una cultura adhocratica. “Resa famosa dalla Nano, la minicar a basso costo, Tata attribuisce una tale importanza all’innovazione da aver sviluppato un indice apposito per misurarla, il cosiddetto ‘Innometer’. L’indice misura obiettivi e 11/01/2013 16.34.57 58 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo successi nell’ambito della creatività rispetto a parametri nazionali o globali trasmettendo un ‘senso di urgenza’ ai collaboratori.”20 Intel e Google sono altri esempi di aziende che presentano caratteristiche culturali proprie dell’adhocrazia. Cultura di mercato: cultura caratterizzata da focus esterno ed enfasi sulla stabilità La cultura di mercato La cultura di mercato si caratterizza per un forte focus esterno e un’enfasi sulla stabilità e il controllo. I propulsori delle organizzazioni dotate di questo tipo di cultura sono la competitività e l’obiettivo di conseguire risultati e raggiungere obiettivi. Poiché questo tipo di cultura è orientato all’ambiente esterno, i clienti e gli utili hanno la precedenza sullo sviluppo e la soddisfazione dei dipendenti. Obiettivo principale dei manager è ottenere produttività, utili e soddisfazione del cliente. Richard Branson, proprietario della compagnia aerea Virgin America, pensa che “i vettori statunitensi sono praticamente identici l’uno all’altro e i manager che li gestiscono non pensano affatto ai clienti. Il servizio aereo somiglia sempre più a un servizio di autobus”. Per soddisfare i bisogni dei clienti, il vettore di Branson dispone di una flotta di Airbus A319 e A320: oltre a essere più spaziosi, gli aeromobili sono dotati di dispositivi di intrattenimento a ogni poltrona, accesso a Internet Wi-Fi e una speciale illuminazione con 12 sfumature di rosa, lilla e blu.21 Il tempo dirà se questa cultura di mercato si tradurrà in utili sostenibili. Nelle culture di mercato, si richiede ai collaboratori di reagire rapidamente, lavorare con impegno e portare a termine i compiti in maniera efficace e tempestiva. Le organizzazioni dotate di questo tipo di cultura tendono a premiare i collaboratori che ottengono risultati. Byung Mo Ahn, presidente di Kia Motors, è un buon esempio di leader che desidera promuovere una cultura di mercato: nel febbraio del 2008 ha licenziato due alti dirigenti di Kia Motors America perché non avevano centrato gli obiettivi di vendite. Secondo i dipendenti nordamericani, Ahn ha creato un ambiente di lavoro caratterizzato da una forte aggressività e competitività e, secondo alcuni, militarista.22 Cultura gerarchica: cultura caratterizzata da focus interno ed enfasi sulla stabilità La cultura gerarchica Il pilastro della cultura gerarchica è il controllo. Caratterizzata da un focus interno, che determina un ambiente di lavoro più formalizzato e strutturato, la cultura gerarchica pone enfasi sulla stabilità e sul controllo, anziché sulla flessibilità. Questo orientamento si traduce nello sviluppo di processi interni affidabili e parametri di misurazione e nell’implementazione di una molteplicità di meccanismi di controllo. È molto probabile che le organizzazioni dotate di questo tipo di cultura valutino l’efficacia mediante misure di efficienza, tempestività, qualità, sicurezza e affidabilità nella produzione ed erogazione di beni e servizi. Johnson & Johnson (J&J) è un buon esempio del perché alcune organizzazioni scelgano di abbracciare una cultura gerarchica. Nel 2010 gravi problemi di produzione hanno determinato il ritiro dal mercato statunitense del Tylenol, un analgesico, e di altri farmaci da banco. “Una relazione ispettiva della Food and Drug Administration del 30 aprile evidenzia casi di cattiva gestione dei materiali, documentazione superficiale e scarse indagini sui reclami dei clienti.” L’azienda ha stimato una perdita di 600 milioni di dollari nel 2010, oltre a ricevere un duro colpo alla propria reputazione. Per risolvere il problema, è stato creato un “team di qualità a livello aziendale e si sta procedendo a rinnovare gli stabilimenti produttivi”, offrendo parallelamente corsi di formazione ai dipendenti.23 Il tempo dirà se la scelta di una cultura gerarchica nelle attività produttive sarà sufficiente a risolvere i problemi riscontrati. CompOrga.indb 58 11/01/2013 16.34.57 3 Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring 59 I tipi di culture rappresentano valori in competizione È importante notare che alcuni tipi di culture riflettono valori fra loro opposti. Le culture in competizione si trovano nei quadranti opposti della figura 3-3: per esempio, la cultura di clan (quadrante in alto a sinistra) è rappresentata da valori che pongono enfasi sul focus interno e sulla flessibilità, mentre la cultura di mercato (quadrante in basso a destra) si contraddistingue per il focus esterno e l’attenzione alla stabilità e al controllo. Lo stesso conflitto è evidente tra la cultura adhocratica, che premia la flessibilità ed è dotata di un focus esterno, e la cultura gerarchica, che avvalora la stabilità e il controllo ed è dotata di un focus interno. Perché queste contraddizioni sono importanti? Lo sono perché il successo di un’organizzazione potrebbe dipendere dalla sua capacità di scegliere valori fondamentali associati a tipi di culture in competizione. Impresa difficile, ma non impossibile; 3M è un buon esempio in proposito, perché sta cercando di unire le caratteristiche della cultura adhocratica a quelle della cultura gerarchica. In linea con i valori della cultura adhocratica, nel 2009 3M ha lanciato 1000 nuovi prodotti e “distribuisce ogni anno ai propri scienziati i Genesis Grant, finanziamenti di ammontare fino a 100.000 dollari, da destinare alla ricerca. I fondi vengono assegnati dai colleghi e investiti in progetti sui quali ‘nessun dipendente assennato e tradizionalista’ punterebbe”, afferma Chris Holmes, vicepresidente di divisione. 3M ha anche coltivato una cultura gerarchica implementando tecniche di gestione della qualità mirate a ridurre sprechi e difetti e accrescere l’efficienza. Nonostante l’azienda abbia migliorato l’efficienza e registrato utili nel breve periodo, i profitti derivanti dai nuovi prodotti sono diminuiti e gli scienziati hanno puntato il dito contro le iniziative legate alla qualità, sostenendo che soffocavano l’innovazione. Come ha commentato un ingegnere, “è veramente difficile programmare le invenzioni”. Messo al corrente del conflitto culturale, il CEO George Buckley ha deciso di attenuarlo all’interno dei laboratori togliendo enfasi alle politiche e alle procedure gerarchiche e caldeggiando quelle legate all’adhocrazia. L’azienda continua a porre in primo piano la qualità e l’affidabilità nei suoi stabilimenti produttivi. Ad oggi i risultati indicano che la transizione è andata a buon fine: nel 2010 l’azienda ha centrato sia gli obiettivi di efficienza sia quelli legati ai profitti derivanti dai nuovi prodotti.24 Le conseguenze associate alla cultura organizzativa È opinione sia dei manager sia degli studiosi di matrice accademica che la cultura organizzativa possa determinare gli atteggiamenti dei dipendenti, l’efficacia e la performance di un’organizzazione. Al fine di verificare questa ipotesi, sono state messe in relazione diverse misure della cultura organizzativa con risultati individuali e organizzativi. Che cosa si è riscontrato? Di recente un team di ricercatori ha condotto una meta-analisi di 93 studi incentrati su oltre 1100 aziende. I risultati sono riportati nella figura 3-4.25 La figura mostra la forza della relazione tra otto conseguenze a livello organizzativo e le tipologie culturali del clan, dell’adhocrazia e del mercato. La cultura gerarchica è stata tralasciata per carenza di ricerche in merito. Un esame più attento della Figura 3-4 consente di trarre le seguenti cinque conclusioni: CompOrga.indb 59 11/01/2013 16.34.57 Parte I 60 Il mondo del comportamento organizzativo 1. La cultura organizzativa è chiaramente correlata a misure di efficacia organizzativa, a conferma che può rappresentare una fonte di vantaggio competitivo. 2. I dipendenti sono più soddisfatti e mostrano un maggiore coinvolgimento verso le organizzazioni con una cultura di clan. Questi risultati suggeriscono che gli individui preferiscono lavorare in organizzazioni che avvalorano la flessibilità, anziché la stabilità e il controllo, e sono più attente a soddisfare i bisogni dei collaboratori anziché i desideri dei clienti e degli azionisti. 3. È possibile promuovere l’innovazione e la qualità sviluppando all’interno dell’organizzazione caratteristiche associate alle culture di clan, adhocratica e di mercato. 4. I risultati economici di un’organizzazione (per esempio, la crescita dei profitti e del fatturato) non sono fortemente correlati alla cultura organizzativa. Pertanto i manager non dovrebbero aspettarsi di migliorare le performance finanziarie solo modificando la cultura dell’organizzazione. 5. Le aziende dotate di una cultura di mercato tendono a ottenere conseguenze più positive a livello organizzativo. I manager dovrebbero valutare come rendere più orientata al mercato la cultura della propria organizzazione. I ricercatori hanno anche studiato l’importanza della cultura organizzativa nel caso di una fusione, scoprendo che un’alta percentuale di fallimenti nelle fusioni tra aziende è dovuta all’incompatibilità culturale. Dato il numero sempre maggiore di fusioni aziendali nel mondo, e considerando che esse falliscono 7 volte su 10, non mantenendo le promesse Fonte: dati ottenuti da C.A. Hartnell, A.Y. Ou e A.J. Kinicki, “Organizational Culture and Organizational Effectiveness: A Meta-Analytic Investigation of the Competing Values Framework’s Theoretical Suppositions,” Journal of Applied Psychology, luglio 2011, pp 677-694. Soddisfazione del lavoro Commitment verso l’organizzazione Innovazione soggettiva Variabli Figura 3-4 Risultati correlati alla cultura organizzativa Qualità dei prodotti e dei servizi Utili soggettivi Crescita soggettiva Utili oggettivi Crescita oggettiva Non significativa Cultura di clan CompOrga.indb 60 Debole Moderata Forza della relazione Cultura adhocratica Forte Cultura di mercato 11/01/2013 16.34.57 3 Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring 61 economiche iniziali, sarebbe auspicabile che i manager delle aziende considerassero il ruolo della cultura organizzativa nella creazione di una nuova organizzazione.26 Nel loro insieme, questi risultati della ricerca evidenziano l’importanza della cultura organizzativa e sottolineano la necessità di conoscere meglio il processo di costruzione e di cambiamento della cultura di un’organizzazione. Essa, infatti, non nasce per caso: si forma e si definisce dalla combinazione e dall’integrazione di tutti coloro che vi lavorano. Una cultura resistente al cambiamento, ad esempio, può minare l’efficacia di qualsiasi tipo di cambiamento organizzativo. Modificare la cultura non è certo un compito facile; nel prossimo paragrafo cercheremo di fornire delle linee guida su come avviare un cambiamento culturale. Il processo di cambiamento culturale Visione: obiettivo a lungo termine che descrive “cosa” un’azienda vuole diventare Prima di esaminare nel dettaglio le modalità attraverso le quali i manager possono modificare la cultura organizzativa, è importante ricordare quattro importanti considerazioni sul cambiamento culturale. La prima: i leader sono gli architetti e gli artefici della cultura organizzativa e la gestione della stessa è una delle funzioni di leadership più importanti.27 La seconda: il processo del cambiamento culturale inizia essenzialmente con l’individuazione dei tre livelli della cultura organizzativa precedentemente esaminati, cioè le manifestazioni osservabili, i valori dichiarati e gli assunti di base.28 La terza: è importante valutare in che misura la cultura adottata si allinea alla visione e al piano strategico prima di tentare di modificarne qualsiasi aspetto. Una visione rappresenta un obiettivo a lungo termine che descrive “cosa” un’organizzazione vuole diventare. Per esempio, la visione iniziale di Walt Disney per Disneyland era la seguente: Disneyland sarà un luna park, un’esposizione, un’area di svago, un centro ricreativo, un museo vivente e un monumento alla bellezza e alla magia. Conterrà tutti i successi, le gioie e le speranze del mondo in cui viviamo. Ci mostrerà e ci ricorderà come rendere queste meraviglie parte della nostra vita.29 Piano strategico: piano a lungo termine che delinea le azioni necessarie per raggiungere i risultati desiderati Un piano strategico delinea gli obiettivi a lungo termine dell’organizzazione e le strategie necessarie per raggiungerli. Mark Fields, vicepresidente esecutivo di Ford Motor Company e presidente per le Americhe, è fermamente convinto che deve esistere un allineamento tra cultura, visione e piani strategici: “La cultura si nutre della strategia. Si può contare sul piano strategico più brillante al mondo, ma se la cultura non lo favorisce, resterà sulla carta.”30 Infine, nell’attuazione di un cambiamento culturale, è importate ricorrere a un approccio strutturato. Nel Capitolo 17 passeremo in rassegna svariati modelli con passi specifici da seguire per attuare qualsiasi tipo di cambiamento organizzativo. Passiamo ora a esaminare metodi e tecniche che i manager possono seguire per modificare la cultura organizzativa. Edgar Schein, un famoso studioso di comportamento organizzativo, sostiene che il radicamento di una cultura implica un processo di apprendimento. In altre parole, i componenti dell’organizzazione insegnano gli uni agli altri quali siano i valori di riferimento CompOrga.indb 61 11/01/2013 16.34.57 62 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo dell’azienda, le regole implicite, le aspettative e i comportamenti. Questo passaggio di conoscenze avviene attraverso uno o più dei seguenti percorsi:31 1. Affermazioni formali relative alla filosofia aziendale, la missione, la visione e i valori; materiali utilizzati nella ricerca, nella selezione e nella socializzazione del reclutamento persone. Sam Walton, il fondatore di Walmart, ha stabilito tre valori fondamentali che rappresentano il nocciolo della cultura organizzativa: (a) rispetto per l’individuo, (b) servizio ai clienti e (c) aspirazione all’eccellenza. 2. L’organizzazione dello spazio fisico, gli ambienti di lavoro e gli edifici. Novartis AG, basata a Basilea (Svizzera), ha progettato gli ambienti degli uffici in modo da favorire la collaborazione con “spazi di lavoro comuni, divani, illuminazione soffusa e macchinette per il caffè che facilitano il dialogo, la condivisione di idee e l’instaurazione di rapporti sociali”. L’azienda ha anche investito in computer portatili per i dipendenti, che sono così liberi di spostarsi dalla loro scrivania.32 3. Slogan, linguaggio, acronimi e modi di dire. Robert Mittelstaedt, preside della W.P. Carey School of Business della Arizona State University, promuove la sua visione di creare una delle migliori business school al mondo attraverso lo slogan “Top-of-mind business school” e incoraggia i dipendenti a impegnarsi in attività per promuovere la qualità e la reputazione dei programmi accademici. 4. Creazione esplicita di modelli a cui ispirarsi, percorsi di formazione, insegnamento e affiancamento da parte di manager e supervisori. Fluor Corporation, una delle principali società appaltatrici al mondo operante nel settore ingegneristico e del design, punta a una cultura etica per contrastare la corruzione nel settore edilizio. La società, che ricava all’estero oltre la metà del fatturato di 17 miliardi di dollari, sottopone tutti i dipendenti a sessioni di formazione online anticorruzione e offre corsi in presenza ai lavoratori specializzati, come gli operatori sul campo. I dirigenti promuovono una politica della porta aperta e una hotline per la denuncia di illeciti, penalizzando pesantemente le infrazioni.33 5. Premi, status symbol (ad esempio titoli) e criteri di promozione. Alla Triage Consulting Group, i dipendenti di pari livello di carriera percepiscono lo stesso stipendio, ma possono ricevere bonus per merito, una politica che consolida la cultura del successo. I bonus per merito vengono assegnati basandosi sul giudizio dei colleghi su chi abbia apportato il maggiore contributo al successo dell’azienda. Gli assegnatari dei bonus vengono presentati ufficialmente in occasione della riunione annuale “State of Triage”.34 6. Storie, leggende o miti riguardanti persone ed eventi fondamentali per l’azienda. Marriott ricorre alle storie per rafforzare la propria cultura. Ed Fuller, responsabile degli hotel in tutto il mondo per Marriott International, forma i collaboratori sulla correttezza nella gestione degli avanzamenti di carriera raccontando che lui stesso e un altro alto dirigente hanno iniziato la carriera come vigilante e cameriere.35 I manager possono creare storie motivanti prendendo spunto da fatti significativi associabili ai valori; un’ottima fonte di storie sono i clienti. Occorre ricordare che è importante raccontare episodi autentici perché potrebbero essere sottoposti a verifiche. 7. Attività, processi, risultati che i leader osservano, misurano e controllano. Quando Ron Sargent ha assunto il ruolo di CEO di Staples, si è posto l’obiettivo di accrescere il focus sul servizio ai clienti. Indagando per individuare i valori già seguiti CompOrga.indb 62 11/01/2013 16.34.57 3 Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring 63 dai collaboratori, ha rilevato che uno di questi era l’altruismo. Sargent ha quindi fatto leva su questo valore per sviluppare le capacità di servizio ai clienti, fornendo informazioni più approfondite sui prodotti ai collaboratori e assegnando bonus per le prestazioni di team. Inoltre, Sargent si reca spesso in visita nei negozi per dialogare direttamente con i dipendenti sulle preferenze dei clienti.36 8. Reazione dei leader di fronte a incidenti gravi per l’azienda e a crisi organizzative. Il nuovo CEO della BP Bob Dudley, nominato dopo l’incidente nel Golfo del Messico, ha reagito tempestivamente alle critiche secondo le quali la società attribuisce maggiore importanza ai profitti e all’efficienza che alla sicurezza. Ha inviato un promemoria a tutti i dipendenti comunicando che “la sicurezza sarà l’unico criterio per il riconoscimento delle prestazioni dei dipendenti durante il quarto trimestre”.37 Questa politica dovrà essere estesa al lungo termine se l’azienda punta a modificare gli assunti di base dei collaboratori. 9. Struttura organizzativa e gerarchia. Le strutture gerarchiche sono più orientate al controllo e all’autorità rispetto alle organizzazioni orizzontali. Molti dirigenti tendono a ridurre il numero di livelli all’interno della propria organizzazione nel tentativo di responsabilizzare i collaboratori e incrementare il loro impegno. Novartis è un chiaro esempio: la società ha modificato la struttura organizzativa per promuovere la creatività e la produttività associate alle culture adhocratica e di mercato. “I leader stanno ottenendo buoni risultati dai team transfunzionali di sviluppo del prodotto. Anche la rotazione delle mansioni e la formazione trasversale stanno facendo segnare buoni successi. La creazione di opportunità informali di networking può apparire banale, ma sono state riscontrate prove evidenti che le relazioni determinano un notevole impatto sulla produttività e la creatività.”38 10. Sistemi e procedure organizzative. Le aziende fanno un uso sempre più ampio di reti elettroniche per favorire la collaborazione tra i dipendenti e conseguire innovazione, qualità ed efficienza. Per esempio, Serena Software, una società californiana con 800 dipendenti in 14 paesi, ha incoraggiato i collaboratori a iscriversi a Facebook e servirsene per conoscere meglio i colleghi. Dow Chemical ha invece lanciato un social network interno per favorire i rapporti tra i dipendenti attuali e gli ex dipendenti.39 11. Obiettivi organizzativi e relativi criteri per la ricerca, la selezione, lo sviluppo, le promozioni, i licenziamenti e il pensionamento del personale. Zappos, al quindicesimo posto nella classifica Fortune delle migliori aziende per cui lavorare negli Stati Uniti nel 2009, investe molto tempo nella ricerca di nuovi dipendenti che si integrino bene nella sua cultura di clan. Il processo di socializzazione organizzativa Socializzazione organizzativa: processo attraverso cui le persone apprendono i valori, le consuetudini e i comportamenti richiesti di un’organizzazione CompOrga.indb 63 Si definisce socializzazione organizzativa “il processo tramite il quale un individuo apprende valori, consuetudini e comportamenti richiesti che gli permettono di essere parte integrante dell’organizzazione”.40 Come abbiamo già detto, la socializzazione organizzativa è un meccanismo fondamentale che le organizzazioni utilizzano per radicare le loro culture tra le persone. Riassumendo, la socializzazione organizzativa trasforma elementi esterni all’azienda in elementi perfettamente integrati, promuoven- 11/01/2013 16.34.57 64 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo do e sostenendo i valori e le convinzioni che stanno alla base dell’organizzazione. In questo paragrafo introduciamo un modello di socializzazione organizzativa a tre fasi. Un modello di socializzazione organizzativa a tre fasi Il primo anno all’interno di un’organizzazione complessa può creare confusione in un individuo. C’è un avvicendarsi continuo di volti nuovi, si parla uno strano gergo, vi sono aspettative in conflitto, accadono eventi privi di connessione. Alcune organizzazioni trattano i nuovi arrivati in modo piuttosto casuale, del tipo “se sei capace nuota, altrimenti affoga pure”. Più propriamente, però, il processo di socializzazione è caratterizzato da una sequenza di fasi ben precise. Daniel Feldman, un ricercatore di comportamento organizzativo, ha proposto un modello di socializzazione organizzativa in tre fasi, che permette una comprensione più approfondita di questo fondamentale processo. Come si può vedere nella figura 3-5, le tre fasi sono (1) la socializzazione anticipatrice, (2) l’incontro e (3) il cambiamento e l’integrazione. A ogni fase si associano dei processi percettivi e sociali. Il modello di Feldman specifica anche i comportamenti e le emozioni che è possibile osservare per valutare la misura in cui un individuo si è integrato nell’azienda. Il completamento delle tre fasi del processo può richiedere poche settimane o anche un anno intero, a seconda delle diversità individuali e della complessità della situazione. Socializzazione anticipatrice: avviene prima che l’individuo entri a far parte di un’organizzazione, e include tutte le informazioni acquisite su carriere, occupazioni, professioni Presentazione realistica del lavoro: spiega gli aspetti positivi e negativi di un posto di lavoro CompOrga.indb 64 Fase 1: socializzazione anticipatrice La socializzazione anticipatrice ha luogo prima che l’individuo entri effettivamente a far parte dell’organizzazione. Rientrano in questo fenomeno tutte le informazioni che l’individuo ha acquisito su carriere, occupazioni, professioni e organizzazioni. Le informazioni che costruiscono la socializzazione anticipatrice provengono da diverse fonti, tra cui, una delle più significative, i dipendenti di un’organizzazione. Anche Internet e i social media sono fonti importanti di informazioni. PricewaterhouseCoopers(PwC), la più grande società di servizi professionali a livello mondiale, si avvale di svariate risorse web per attrarre potenziali dipendenti. “La strategia di identificazione precoce della PwC è supportata dal sito web pwc.tv, dalla rivista Feed Your Future (scaricabile alla pagina pwc.tv, racconta le vite e le carriere dei professionisti di PwC) e Leadership Adventure, programmi di apprendimento in presenza incentrati sul Comportamenti PwC.”41 Nella fase 1 vengono spesso formulate aspettative non realistiche sul tipo di lavoro, sullo stipendio e sulle promozioni; poiché gli individui con aspettative eccessive sono quelli che con maggiore probabilità abbandoneranno il lavoro in seguito, le organizzazioni utilizzano talvolta le cosiddette presentazioni realistiche del lavoro, che consistono nel dare al candidato un’immagine veritiera di quello che lo aspetterà, descrivendo sia gli aspetti positivi del posto di lavoro sia quelli negativi. Whirlpool, per esempio, utilizza il sito dedicato alle carriere per pubblicare commenti schietti dei dipendenti su come sia il lavoro in azienda.42 Queste presentazioni possono essere comunicate oralmente, sotto forma scritta, elettronica, di audiovisivo o durante un corso pratico. La ricerca conferma i benefici pratici derivanti dall’uso di queste “anteprime”: uno studio condotto su 40 di queste ha rivelato che erano correlate con un livello di performance più alto e minori attriti durante il processo di ricerca del personale. Da questa ricerca è 11/01/2013 16.34.58 3 Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring 65 Individuo esterno all’organizzazione Fasi Processi sociali e percettivi • Previsione della realtà interna all’organizzazione e al nuovo lavoro • Previsione delle competenze e abilità richieste dall’organizzazione • Previsione della sensibilità dell’organizzazione verso necessità e valori del singolo 1. Socializzazione anticipatrice Apprendimento che avviene prima di entrare a far parte dell’organizzazione • Gestione di conflitti tra stile di vita e lavoro • Gestione di conflitti di ruolo all’interno del gruppo di lavoro • Ricerca di chiarezza e di definizione del proprio ruolo • Familiarizzazione con dinamiche di lavoro e di gruppo 2. Incontro Valori, competenze e atteggiamenti iniziano a cambiare man mano che il neo-assunto scopre come è l’organizzazione in realtà 3. Cambiamento e integrazione Il collaboratore gestisce abilità e ruoli e si adatta a valori e norme del gruppo Effetti sul comportamento • Esegue gli incarichi assegnati in base al proprio ruolo • Rimane nell’organizzazione • Apporta innovazioni e coopera in modo spontaneo • Risoluzione di richieste concorrenti • Gestione competenze di obiettivi critici • Acquisizione di norme e valori di gruppo Individuo inserito Effetti sulle emozioni • È generalmente soddisfatto • È internamente motivato al lavoro • È fortemente coinvolto dal suo lavoro Figura 3-5 Un modello di socializzazione organizzativai Fonte: adattamento da D.C. Feldman, “The Multiple Socialization of Organization Members,” Academy of Management Review, aprile 1981, pp. 309-18.. emerso inoltre che queste presentazioni contribuivano a diminuire le aspettative iniziali dei candidati all’assunzione, riducendo il livello di turnover tra coloro che poi erano effettivamente assunti.43 Incontro: gli individui capiscono com’è nella realtà l’organizzazione e rivedono le loro aspettative CompOrga.indb 65 Fase 2: incontro Questa seconda fase inizia con la firma del contratto d’assunzione. La fase dell’incontro permette al dipendente di conoscere il vero aspetto dell’azienda. Si tratta di un periodo utile a riconciliare le aspettative non soddisfatte, in cui l’individuo 11/01/2013 16.34.58 Parte I 66 Onboarding: programmi mirati ad aiutare i neo-assunti a integrarsi nel nuovo ambiente di lavoro Cambiamento e integrazione: al dipendente è richiesto di gestire compiti e ruoli e adattarsi a valori e consuetudini del proprio gruppo Il mondo del comportamento organizzativo dovrebbe capire il nuovo ambiente di lavoro. Molte aziende ricorrono a una combinazione di orientamento e programmi di formazione per favorire il processo di socializzazione dei dipendenti durante la fase dell’incontro, tra cui l’onboarding. I programmi di onboarding aiutano i neo assunti a integrarsi e assimilarsi nel nuovo ambiente di lavoro familiarizzandoli con le norme, le procedure, la cultura e la politica aziendali e chiarendo le aspettative e le responsabilità legate al ruolo di lavoro.44 Fase 3: cambiamento e integrazione La fase di cambiamento e integrazione richiede all’individuo la capacità di gestire obiettivi e ruoli importanti e di adattarsi a valori e consuetudini del suo gruppo di lavoro. Ciò è possibile solo quando i dipendenti hanno una visione chiara del proprio ruolo (la chiarezza del ruolo è esaminata nel Capitolo 10) e sono efficacemente integrati nell’unità di lavoro. Per il successo della fase 3 è importante che i collaboratori abbiano ben chiaro come utilizzare i social media. È semplice cadere in errore quando non si conoscono le aspettative legate alla navigazione in rete, all’invio di SMS durante le riunioni o all’utilizzo delle attrezzature dell’azienda per messaggi privati. Gli esperti consigliano di illustrare le regole di base il primo giorno di lavoro, fare coaching dei dipendenti sulle norme e illustrare come le linee guida sono mutate nel tempo.45 Inoltre, organizzazioni come Schlumberger, una grande società Tabella 3-1 Strategie di socializzazione Strategia Descrizione Collettiva vs. individuale La socializzazione collettiva consiste nel riunire i neo-assunti e proporre al gruppo esperienze comuni, anziché lasciare che ciascuno viva un’esperienza isolata. La socializzazione formale prevede che il neo-assunto venga separato dagli altri membri dell’organizzazione per tutto il periodo di socializzazione; il contrario consiste nel non distinguere in modo chiaro il nuovo arrivato dai membri più esperti del gruppo. Le reclute dell’esercito, ad esempio, sono tenute a frequentare dei campi di addestramento specifici prima di lavorare a fianco dei veri soldati. La socializzazione sequenziale prevede una serie di passi successivi che culminano nel raggiungimento del ruolo assegnato, mentre il suo contrario sarebbe una progressione ambigua o dinamica. La socializzazione dei medici, ad esempio, prevede una sequenza obbligata che va dalla facoltà di medicina, all’internato, alla copertura di un incarico stabile in ospedale: solo a questo punto il medico apre uno studio per conto proprio. La socializzazione fissa stabilisce una tabella di marcia precisa per l’assunzione di un determinato incarico, mentre un processo variabile di socializzazione non prevede tempi rigidi. Gli studenti universitari americani rimangono in genere un anno come matricole (“freshmen”), per poi diventare “sophomore”, “junior” e infine “senior”. In un processo seriale il nuovo arrivato viene accompagnato nella socializzazione da un membro più anziano, mentre in un processo disgiuntivo non viene utilizzato alcun modello cui ispirarsi. L’investitura prevede l’affermazione dell’identità specifica e delle competenze del ruolo che il nuovo assunto dovrà ricoprire. La privazione esercitata sul neo-assunto è la negazione di se stesso e delle ricostruzione della propria identità all’interno dell’organizzazione. Durante l’addestramento di polizia, i cadetti devono indossare l’uniforme e avere sempre un aspetto perfetto: vengono chiamati “ufficiali” e viene loro detto che non sono più semplici cittadini, ma rappresentanti delle forze di polizia. Formale vs. informale Sequenziale vs. casuale Fissa vs. variabile Seriale vs. disgiuntiva Investitura vs. privazione Fonte: descrizioni tratte da B.E. Ashforth, Role Transitions in Organizational Life: An Identity-Based Perspective (Mahwah, NJ: Lawrence Erlbaum Associates, 2001), pp. 149-83. CompOrga.indb 66 11/01/2013 16.34.58 3 Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring 67 petrolifera multinazionale, utilizzano gli incentivi e le occasioni sociali per rafforzare i nuovi comportamenti attesi dai dipendenti. L’azienda sta gradualmente modificando la sua vecchia cultura sovietica dell’accusa. Luc Ollivier, un cinquantenne francese, è stato nominato responsabile delle operazioni regionali di Siberian Geophysical. Il suo obiettivo è premiare le prestazioni e, aspetto ancora più importante, eliminare sistematicamente gli errori anziché limitarsi a punire chi li ha commessi. Secondo Ollivier, i trivellatori veterani dell’azienda hanno grande esperienza, “ma non amano insegnare ai giovani”. Per questo motivo, sta tentando di instaurare rapporti migliori mediante grandi riunioni della durata di un giorno che si concludono con un giro di birre. Ollivier afferma che il ritmo del lavoro è aumentato di oltre il 30% negli ultimi due anni e gli utili delle trivellature di Siberian Geophysical hanno toccato i 250 milioni di dollari l’anno scorso [nel 2007], circa il doppio rispetto al 2006.46 Nella tabella 3-1 sono elencate una serie di strategie di socializzazione utilizzate dalle organizzazioni per aiutare i collaboratori a superare questa fase di adattamento. Riferendovi alla tabella, riuscite a identificare le strategie di socializzazione utilizzate dalla Schlumberger? Radicare la cultura organizzativa attraverso il mentoring Mentoring: l’istituzione e il mantenimento di relazioni costruttive tra un mentore e un discepolo CompOrga.indb 67 La parola mentore deriva dal nome di un personaggio dell’Odissea, l’uomo a cui Ulisse affidò il piccolo Telemaco prima di partire per la guerra di Troia. Il mentore, dunque, è una sorta di maestro o guida. Si definisce mentoring il processo di costruzione e mantenimento di relazioni intense e durature tra una o più persone che svolgono il ruolo di mentore (ossia offrono sostegno professionale e psicologico) e un giovane, spesso, ma non necessariamente, un neo-assunto in un’organizzazione (mentee).47 Il mentoring, qualora i mentori e i mentee lavorino all’interno della stessa organizzazione, può essere utile per radicarne la cultura, per due ragioni. Innanzitutto, il mentoring contribuisce a creare un senso di unità, promuovendo l’accettazione dei valori fondamentali dell’organizzazione a tutti i suoi livelli. In secondo luogo, l’aspetto di socializzazione proprio del mentoring favorisce anche il senso di appartenenza. Il mentoring non è importante solo come strategia per il radicamento della cultura organizzativa: dalle ricerche svolte emerge infatti che esso può influire in modo significativo sulla carriera del mentee. Una meta-analisi ha rivelato che i collaboratori seguiti da un mentore ricevevano un compenso più alto e più promozioni rispetto a quelli che non lo erano sati. Inoltre, i collaboratori seguiti da un mentore possiedono una maggiore conoscenza organizzativa, evidenziano prestazioni migliori e uno stipendio più alto con il passare del tempo.48 Ci occuperemo in questa sezione di come trarre vantaggio dal mentoring. Prima di tutto ne analizzeremo le funzioni, poi passeremo alle reti di sviluppo che ne costituiscono la base, per parlare infine delle implicazioni personali e organizzative. 11/01/2013 16.34.58 68 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo Funzioni del mentoring Kathy Kram, ricercatrice alla Boston University, ha intervistato in modo approfondito 18 coppie composte da un manager senior (mentore) e da un manager junior (mentee). Nel corso della sua ricerca la Kram ha identificato due tipologie di funzioni del processo di mentoring: le funzioni legate alla carriera e quelle psicosociali. Le cinque funzioni del mentoring legate alla carriera, che favoriscono lo sviluppo professionale del collaboratore, sono: la sponsorizzazione da parte di un superiore, l’esposizione e la visibilità, il sostegno, la protezione e l’assegnazione di obiettivi complessi. Le quattro funzioni psicosociali sono: l’esemplificazione di un modello di ruolo, l’accettazione e la conferma, la distribuzione di consigli utili, l’amicizia. Le funzioni psicosociali hanno contribuito a costruire le identità lavorative dei partecipanti e a migliorare le loro percezioni sulle proprie competenze.49 Network per lo sviluppo alla base del mentoring Diversità delle relazioni di sviluppo: varietà di persone cui un individuo si rivolge per ricevere assistenza Forza delle relazioni di sviluppo: qualità delle relazioni tra un individuo e le persone nella sua rete di sviluppo CompOrga.indb 68 Un tempo si pensava che il mentoring fosse principalmente appannaggio di una singola persona, che era per l’appunto detta “mentore”. Ma attualmente la tecnologia in continuo cambiamento, le strutture organizzative e le dinamiche dei mercati richiedono agli individui di procurarsi informazioni e sostegno per la propria carriera da molte fonti diverse. Ora si considera il mentoring come un processo in cui i giovani ricercano una guida per il proprio sviluppo all’interno di un network di persone. Lo slogan di McKinsey & Company per gli associate è “Costruisci la tua McKinsey”: la società di consulenza incoraggia i dipendenti a identificare partner, colleghi e collaboratori con obiettivi e interessi simili, in modo da aiutarsi l’uno l’altro a sviluppare le competenze. Ogni associate è quindi responsabile dello sviluppo delle propria carriera e del mentoring dei colleghi. Come riconosciuto dall’approccio McKinsey, la diversità e la forza della rete di relazioni di ogni individuo sono funzionali all’ottenimento del sostegno di cui questi ha bisogno per gestire il proprio percorso professionale.50 In figura 3-6 sono rappresentate diverse tipologia di network di sostegno basate sull’integrazione di due caratteristiche: la diversità e la forza delle relazioni.51 La diversità delle relazioni di sviluppo riflette la varietà di persone all’interno di una struttura cui l’individuo si riferisce per ricevere assistenza. Ci sono due componenti associate alla diversità: (1) il numero di persone con cui l’individuo è connesso e (2) la varietà dei differenti sistemi sociali da cui derivano le sue relazioni (ad esempio l’azienda, la scuola, la famiglia, la comunità, le associazioni professionali e i gruppi religiosi). Come si può vedere nella figura 3-6, la diversità delle relazioni di sviluppo può variare da bassa (poche persone o sistemi sociali) ad alta (numerose persone o sistemi sociali). La forza delle relazioni di sviluppo riflette la qualità delle relazioni tra un individuo e le persone coinvolte nella sua rete di sviluppo. Ad esempio, legami forti indicano rapporti basati su interazioni frequenti, reciprocità e sentimenti positivi; i legami deboli, invece, sono associati a relazioni più superficiali. La diversità e l’intensità delle relazioni di sviluppo danno vita nel loro insieme a quattro tipologie di reti (vedi figura 3-6): ricettiva, tradizionale, imprenditoriale e opportunistica. 11/01/2013 16.34.58 3 Cultura organizzativa, socializzazione e mentoring Figura 3-6 Reti di sviluppo associate al processo di mentoring Forza delle relazioni di sviluppo Legami deboli Legami forti Diversità delle relazioni di sviluppo Fonte: M. Higgins e K. Kram, “Reconceptualizing Mentoring at Work: A Developmental Network Perspective,” Academy of Management Review, April 2001, p. 270. 69 M2 M2 Bassa M1 M1 P P Tradizionale Ricettiva M2 M1 M1 M2 Alta P P M4 M3 M4 M3 Opportunistica Imprenditoriale Legenda: M, mentore; P, protegé Una rete ricettiva si compone di pochi legami deboli derivanti da un unico sistema sociale, ad esempio quello del datore di lavoro o di un’associazione professionale. L’ovale che circonda M1 e M2 nella figura 3-6 indica appunto due attori provenienti dallo stesso sistema sociale. Una rete di tipo tradizionale, invece, contiene pochi legami forti tra un dipendente e degli attori appartenenti a uno stesso sistema sociale. La rete di tipo imprenditoriale è la tipologia più forte tra le reti di sviluppo, ed è composta da legami forti con numerosi attori (M1-M4) provenienti da sistemi sociali diversi. Infine, la rete di tipo opportunistico ha in genere legami deboli con numerosi attori provenienti da sistemi sociali differenti. Implicazioni personali e organizzative Ci sono cinque implicazioni a livello personale da prendere in considerazione. Innanzitutto, è importante sviluppare un’ampia rete di sviluppo perché il numero e la qualità dei contatti possono incidere sul futuro successo professionale. In secondo luogo, la soddisfazione sul lavoro e il percorso di carriera sono facilmente influenzati dalla coerenza tra gli obiettivi di carriera che un individuo si pone e il tipo di rete per lo sviluppo di carriera che ha a disposizione. Ad esempio: chi si trova in un network di tipo imprenditoriale avrà maggiori opportunità di affrontare dei cambiamenti all’interno del proprio percorso professionale e di beneficiare di un apprendimento personalizzato rispetto a un CompOrga.indb 69 11/01/2013 16.34.58 70 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo collega che ha a disposizione una rete di tipo ricettivo, tradizionale od opportunistico. Se vi sembra una prospettiva interessante, dovreste cercare di aumentare la diversità e la forza delle vostre relazioni per lo sviluppo di carriera. Al contrario, è più probabile registrare bassi tassi di soddisfazione lavorativa nei casi in cui i collaboratori, trovandosi a disposizione reti di sviluppo di tipo ricettivo, aspirino a un avanzamento di carriera all’interno di organizzazioni a più livelli. Le reti di sviluppo di tipo ricettivo possono però rivelarsi soddisfacenti per persone che non aspirino a particolari avanzamenti di carriera.52 In terzo luogo, la volontà di un mentore di fornire assistenza professionale e psicosociale al suo mentee è legata alle capacità di quest’ultimo di costruire una solida relazione interpersonale.53 Le ricerche dimostrano che la qualità della relazione di mentoring può essere più elevata quando le parti coinvolte presentano valori e caratteristiche personali simili.54 È quindi necessario prendersi la responsabilità di migliorare le proprie competenze e abilità nel costruire la propria rete di sviluppo nonché i propri rapporti interpersonali se si desidera davvero un avanzamento di carriera. In quarto luogo, è importante servirsi efficacemente di strumenti per il networking come Twitter, LinkedIn e Facebook. Aziende come AT&T fanno un uso sempre più ampio degli strumenti online per favorire le relazioni di mentoring internazionali. Strumenti di questo tipo consentono non solo di ampliare la propria rete sociale, ma anche di accrescere la produttività. Infine, è opportuno mettere a punto un piano di mentoring che, secondo gli esperti, dovrebbe comprendere i seguenti elementi:55 • Identificare gli obiettivi del mentoring basandosi su quello che si desidera imparare e stabilire delle priorità. • Identificare individui competenti o esperti nelle aree in cui si vuole migliorare. Non sottovalutare i colleghi, che possono essere un’ottima fonte di conoscenze funzionali, tecniche e organizzative. • Stabilire il modo migliore per instaurare un rapporto con le persone individuate. • Stabilire che cosa offrire al mentore. Dato che il mentoring è un rapporto biunivoco, ci saranno più probabilità che gli altri siano disponibili se la relazione di mentoring può aiutarli a raggiungere i propri obiettivi di carriera. • Stabilire quando è tempo di cambiare. Le relazioni di mentoring non durano per sempre: se si ritiene che il mentore sia inefficace o causi più danni che benefici è opportuno cercarne un altro. Le ricerche condotte sull’argomento sostengono inoltre i benefici che il mentoring apporta all’organizzazione. Per esempio, esso migliora l’efficacia della comunicazione organizzativa. Entrando nel dettaglio, il mentoring aumenta la comunicazione sia verso l’alto sia verso il basso all’interno di un’organizzazione, oltre a costituire un meccanismo di modifica e sostegno della cultura organizzativa esistente. Benefici di questo tipo inducono un numero crescente di aziende a istituire programmi di mentoring formalizzati. Secondo un sondaggio, 6 aziende su 10 offrono già programmi di mentoring o coaching, mentre tra le restanti, 8 su 10 li stanno mettendo a punto.56 CompOrga.indb 70 11/01/2013 16.34.58 Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale 4 Quante delle vostre supposizioni sulle culture straniere sono errate? Sue, una formatrice americana esperta di gestione del tempo, è convinta che il segreto del successo dei suoi corsi di formazione stia nel preparare una presentazione PowerPoint ben pianificata e strutturata. Ricevuto l’incarico di tenere un corso presso la sede israeliana di un’azienda statunitense, Sue lavora diligentemente, crea nuove slide, amplia gli obiettivi e impara alcune parole in ebraico. È molto sorpresa al notare che alcuni partecipanti arrivano in ritardo o restano assorbiti in animate conversazioni, mentre altri non si presentano perché impegnati in una riunione urgente. Il suo stupore cresce quando, durante la presentazione, alcuni si dedicano a controllare le email e altri mettono in discussione la formulazione degli obiettivi, attentamente pianificati. Dopo un’ora di continue domande su ogni slide, animate discussioni e divagazioni in ebraico, Sue ha illustrato solo 7 slide su 60 e propone una pausa. CompOrga.indb 71 Che cosa non ha funzionato? È stata la cultura a interferire… Nonostante le somiglianze superficiali, tra statunitensi e israeliani esistono importanti differenze nella percezione e nell’approccio all’apprendimento, alla comunicazione, al lavoro e alla professionalità. La realtà culturale è che gli israeliani hanno un’ottima capacità di gestire il cambiamento e improvvisare in contesti in rapido mutamento. Generalmente sono rilassati rispetto alla gestione del tempo e dei programmi e preferiscono la spontaneità, la flessibilità e il dibattito acceso ai programmi rigidi. Il multitasking e l’azione just-in-time, caratteristiche distintive della cultura israeliana, sono considerati pratici ed efficienti. Quando gli israeliani accolgono visitatori autorevoli con una raffica di domande difficili, manifestano interesse, non necessariamente un atteggiamento critico. In Israele di norma durante le conversazioni il tono di voce è alto e ci sono molte interruzioni, senza che ciò implichi una mancanza di rispetto per gli interlocutori.1 11/01/2013 16.34.59 72 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo La globalizzazione e l’economia globale sono ormai da tempo temi all’ordine del giorno e le differenze culturali, come quelle sperimentate da Sue durante il suo incarico in Israele, rappresentano una sfida crescente. Nell’economia globalizzata di oggi le capacità di interazione interculturale possono determinare successi e fallimenti. I segni e le conseguenze della globalizzazione economica saliti agli onori delle cronache negli ultimi anni sono molti e hanno toccato diversi argomenti: le controversie durante i vertici dell’Organizzazione mondiale del commercio, le polemiche accese sulla concorrenza sleale tra stati, lo sfruttamento della forza lavoro in alcuni paesi e le violazioni del diritto di proprietà intellettuale.2 Nel nuovo scenario economico, i manager globali capaci di destreggiarsi in culture diverse godono di un grande vantaggio. Secondo i risultati di una recente ricerca condotta dall’Harvard Business Review: Viaggiare e vivere all’estero sono da tempo considerate attività che arricchiscono l’individuo. Ciò che forse si tende a non considerare è che portano benefici anche alle aziende: secondo la nostra ricerca, gli individui che hanno vissuto esperienze internazionali o si identificano con più di una nazionalità presentano migliori capacità di problem solving e maggiore creatività. Inoltre, abbiamo riscontrato che le persone che hanno fatto esperienze all’estero hanno più probabilità di creare nuove attività e nuovi prodotti e di ricevere promozioni.3 Secondo un’altra indagine, imprese multinazionali statunitensi guidate da CEO con provata esperienza nell’ambito di incarichi all’estero riescono tendenzialmente a conseguire risultati migliori.4 Persino per le persone che rimarranno nel loro paese d’origine sarà difficile sfuggire all’economia globale e alle interazioni interculturali. Per esempio la Nestlé, la più grande azienda al mondo di prodotti alimentari, occupa presso il quartier generale di Vevey (Svizzera) collaboratori di 100 nazionalità diverse.5 I contatti interculturali sono particolarmente comuni in paesi come gli Stati Uniti, il Canada e il Brasile, culturalmente eterogenei perché abitati da popolazioni indigene e generazioni di migranti (vedi la tabella 4-1).6 I collaboratori che restano nel proprio paese d’origine svilupperanno rapporti internazionali lavorando per aziende a capitale straniero o trattando con fornitori, clienti e collaboratori stranieri7 o riceveranno un incarico all’estero inaspettato.8 L’economia globale è caratterizzata da una ricca mescolanza di opportunità, problemi e culture, ed è sicuramente giunto il momento di sviluppare delle adeguate competenze di gestione intercultuale. Scopo del presente capitolo è pertanto quello di aiutare a intraprendere tale direzione esaminando gli effetti della diversità di culture nell’impresa di oggi, sempre più internazionalizzata. Il capitolo si avvale dei contributi dell’antropologia culturale.9 In primo luogo proporremo un modello che illustra come la cultura sociale e la cultura aziendale (concetto analizzato nel Capitolo 3) concorrano a influenzare il comportamento sul lavoro. Si passerà poi a illustrare come sviluppare l’intelligenza culturale. In seguito verranno esaminati gli aspetti chiave della cultura di un gruppo sociale con il fine ultimo di accrescere la consapevolezza interculturale. Verranno poi passate in rassegna le ricadute operative della letteratura sulla gestione interculturale. Il capitolo CompOrga.indb 72 11/01/2013 16.34.59 4 Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale Tabella 4-1 La diversità delle radici culturali degli Stati Uniti. Se gli Stati Uniti, con 312 milioni di abitanti, venissero proporzionalmente ridotti a un villaggio di 100 abitanti, questi avrebbero la seguente origine: Fonti: David J. Smith, If America Were a Village (Toronto: Kids Can Press, 2009); e Greg Toppo, “Counting to 100 in ‘America’,” USA Today, 3 settembre 2009, p. 7D. Tedesca Irlandese Africana Inglese Messicana Italiana Polacca Francese Nativa americana Scozzese Olandese Norvegese Scozzese-irlandese Svedese Discendenza diversa 73 15 persone 11 persone 9 persone 9 persone 7 persone 6 persone 3 persone 3 persone 3 persone 2 persone 2 persone 2 persone 1 persona 1 persona 26 persone si concluderà esaminando le difficoltà, da un punto di vista soggettivo, di accettare un incarico all’estero e di evitare lo shock culturale. Cultura e comportamento organizzativo Se foste un manager, come interpretereste i seguenti casi? • Un dirigente asiatico di una multinazionale, trasferito da Taiwan al Midwest degli Stati Uniti, risulta, agli occhi dei suoi pari, distaccato e autoritario. • Una banca della West Coast intraprende una campagna volta a incentivare una maggiore informalità da parte del personale nei confronti dei clienti, ma le cassiere filippine non vogliono cooperare. • Un dirigente di razza bianca critica il lavoro di un impiegato di colore; invece di ottenere una spiegazione il manager riceve in cambio silenzio e uno sguardo di sfida.10 Associando una tipologia di personalità ai comportamenti sopra descritti, tre sono le caratteristiche che emergono: rispettivamente arrogante, scortese e ostile. Queste sarebbero conclusioni logiche, ma probabilmente errate, essendo basate più su pregiudizi e stereotipi che su fatti concreti. Se tuttavia i comportamenti fossero attribuiti a differenze culturali si avrebbe la possibilità di giungere a interpretazioni più convincenti: “la cultura asiatica incoraggia uno stile manageriale più distaccato; i filippini associano un comportamento troppo cordiale nelle donne a qualcosa di sconveniente; le persone di colore, come gruppo, agiscono più cautamente, con una attenzione visiva maggiore rispetto ai bianchi”.11 In conclusione, non si possono trascurare importanti elementi culturali quando si cerca di comprendere e gestire il comportamento organizzativo. CompOrga.indb 73 11/01/2013 16.34.59 74 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo La cultura di un gruppo sociale è complessa e multistratificata Cultura: convinzioni e valori di una comunità rispetto ai comportamenti, e consuetudini a supporto di tali valori. Nel Capitolo 3 si è parlato di cultura organizzativa. Nel presente capitolo ci si concentrerà maggiormente sul concetto di cultura sociale. “La cultura consiste in un insieme di convinzioni e valori relativi a ciò che è auspicabile o meno all’interno di una comunità di persone e in una serie di consuetudini formali e informali che sostengono tali valori”.12 La cultura è costituita, dunque, sia da elementi prescrittivi (ciò che la gente dovrebbe fare), che da elementi descrittivi (ciò che effettivamente fa). Essa passa da una generazione all’altra attraverso la socializzazione nella famiglia, con gli amici, gli insegnanti e altre persone significative. L’apprendimento culturale viene consolidato per la maggior parte tramite l’osservazione e l’imitazione di modelli di comportamento osservati nella loro quotidianità o attraverso i mass media.13 È difficile cogliere appieno il significato del termine “cultura” perché si tratta di un concetto con diversi strati. Due esperti di management internazionale, l’olandese Fons Trompenaars e l’inglese Charles Hampden-Turner, hanno fornito una analogia istruttiva nella loro fondamentale opera Riding the Waves of Culture: La cultura è come una cipolla: è fatta a strati. Per comprenderla occorre sbucciarla, strato per strato. Su quello esterno si trovano i prodotti della cultura: ad esempio, i grattacieli torreggianti di Manhattan, veri pilastri del potere privato, tra cui scorrono strade congestionate. Tali elementi sono espressione di valori e norme sociali più profonde e invisibili: ad esempio valori quali la mobilità verticale, lo status, il successo materiale. Gli strati di valori e norme che si trovano nella parte più profonda della “cipolla” sono più difficili da identificare.14 Il modo migliore per “sbucciare la cipolla della cultura” è adottare un approccio proattivo ed entrare in contatto con persone di cultura diversa. Il CEO di IBM Samuel Palmisano esprime così il concetto: “Mi piace trascorrere del tempo in altre parti del mondo, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove ho notato un incredibile ottimismo ed entusiasmo rispetto al futuro. Restando al quartier generale dell’azienda è impossibile conoscere culture e opportunità diverse.”15 Lo stesso discorso vale per gli studenti: recenti ricerche condotte su studenti universitari hanno dimostrato che le esperienze multiculturali accrescono la creatività.16 (Un buon motivo per prendere in considerazione le tante opportunità offerte dai programmi di scambio e studio all’estero!) La cultura è una forza sottile ma pervasiva La cultura rimane generalmente al di sotto della soglia della consapevolezza perché implica assunti dati per scontati che influiscono sul modo di percepire, pensare, agire e sentire. L’antropologo culturale Edward T. Hall presenta la cosa nei seguenti termini: Dal momento che gran parte della cultura agisce al di fuori della nostra coscienza accade di frequente che noi non siamo consapevoli di ciò che sappiamo. Iniziamo a immagazzinare [… aspettative e assunti] fin dai primi mesi di vita. Inconsciamente impariamo che CompOrga.indb 74 11/01/2013 16.34.59 4 Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale 75 cosa osservare e che cosa tralasciare, come suddividere il tempo e lo spazio; impariamo a camminare, a parlare e a usare il nostro corpo; impariamo a comportarci come uomini o donne, a metterci in relazione con gli altri, a gestire le responsabilità, sia che l’esperienza sia vista nel suo complesso o in piccoli frammenti separati. E questo vale per tutti: i cinesi, i giapponesi o gli arabi sono tanto inconsapevoli dei loro assunti quanto lo siamo noi dei nostri. Ognuno di noi presuppone che facciano parte della natura umana; il nostro concetto di “mente” è in realtà cultura interiorizzata.17 In sintesi potremmo affermare: “ognuno è la propria cultura, e la cultura è ciascuno”. Questo tema è diventato così importante negli ultimi anni che molte aziende hanno assunto degli antropologi al fine di decifrare le radici culturali dei bisogni e delle preferenze del cliente come parte integrante delle proprie pratiche di marketing.18 Cultura sociale e cultura organizzativa: un modello Come si evince dalla figura 4-1, la cultura influenza il comportamento organizzativo in due modi: gli individui portano la cultura del proprio gruppo sociale di appartenenza sul posto di lavoro sotto forma di comportamenti e linguaggi; la cultura aziendale, un sottosistema della cultura sociale, influisce a sua volta sui valori e sull’etica degli individui, sui loro atteggiamenti, sugli assunti di base e le aspettative. La cultura di un gruppo sociale è influenzata dai diversi fattori ambientali elencati sul lato sinistro della figura 4-1. Inoltre, quando l’individuo si trova all’interno della sfera d’influenza dell’organizzazione è ulteriormente condizionato dalla cultura dell’organizzazione stessa. La reciproca influenza tra culture sociali e organizzative può dare luogo a dinamiche interessanti nelle aziende multinazionali. Ad esempio, nel caso di dipendenti francesi e americani che lavorano fianco a fianco nella struttura della General Electric di Waukesha, nel Wisconsin, il capo reparto Claude Benchimol è stato testimone di una sorta di shock culturale: Cultura aziendale • Scenario economico/ tecnologico • Scenario politico/ legale • Background etnico • Religione Cultura sociale • Usanze • Linguaggi • Valori personali/etica • Atteggiamenti • Assunti di base • Aspettative Comportamento organizzativo Figura 4-1 Influenze culturali sul comportamento organizzativo CompOrga.indb 75 11/01/2013 16.34.59 76 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo I francesi si sorprendono del fatto che gli uffici si svuotino già alle 5 del pomeriggio; gli americani del fatto che i francesi non comincino a lavorare alle 8 del mattino. Benchimol reputa che i francesi siano più loquaci e franchi; che gli americani abbiano un maggior senso della gerarchia e siano meno propensi alla critica. La vicinanza con i francesi, tuttavia, li sta cambiando; Benchimol afferma: “C’è voluto un anno per capire che tutti abbiamo il diritto di dire ciò che non è di nostro gradimento, in modo da diventare più produttivi e lavorare meglio”.19 Si tratta della stessa azienda, della stessa cultura aziendale, eppure i colleghi francesi e americani della GE hanno un atteggiamento diverso nei confronti del tempo, del sistema gerarchico e della comunicazione. Questi comportamenti, che per ciascuno sono “naturali”, sono in realtà il risultato di culture sociali differenti. Quando si gestiscono le persone è necessario prendere in considerazione la cultura sociale del singolo, la cultura organizzativa e i diversi tipi di interazione tra le due dimensioni. L’orientamento culturale verso il miglioramento della qualità per i lavoratori americani, per esempio, differisce in modo sostanziale dallo schema culturale giapponese. “Diversamente dai giapponesi, i lavoratori americani non hanno alcun interesse a compiere piccoli miglioramenti graduali per l’incremento della qualità; loro desiderano la grande svolta, il sogno impossibile che improvvisamente si realizza. I lavoratori dei due paesi hanno quindi sistemi di motivazione diversi; nel primo caso sono soddisfatti di lavorare per piccoli passi, nel secondo bisogna chiedere loro il perseguimento di un grande balzo.”20 Sviluppare l’intelligenza culturale Quanto siete preparati a interagire efficacemente con persone di cultura diversa? Per rispondere a questa domanda, immaginate un continuum nel quale l’etnocentrismo rappresenta il livello minimo di preparazione, mentre l’intelligenza culturale corrisponde al livello massimo. Passiamo ora a esaminare questi due estremi con l’obiettivo di attenuare l’etnocentrismo e sviluppare l’intelligenza culturale. Etnocentrismo: un ostacolo per le interazioni interculturali Etnocentrismo: convinzione che la cultura, la lingua e i comportamenti del proprio paese siano superiori CompOrga.indb 76 L’etnocentrismo, ossia la convinzione che la cultura, la lingua e i comportamenti del proprio paese nativo siano superiori a tutti gli altri, affonda le sue radici negli albori della civiltà. Descritto per la prima volta nel 1906, nell’ambito dello studio scientifico del comportamento, come la tendenza dei gruppi a rifiutare elementi estranei,21 il termine etnocentrismo possiede oggi un significato più ampio. I segni dell’etnocentrismo sono diffusi in tutto il mondo; per esempio, Hiwa Assad, un ex guerrigliero curdo residente a Kirkuk, nella regione curda dell’Iraq settentrionale, afferma: “La gente di Kirkuk ha due volti […] Stanno seduti a discutere con te e sembrano angeli, dicono ‘Io non ho nemici e non odio la gente di religione e nazionalità diverse’. Ma non appena si riuniscono con la loro tribù si abbandonano all’astio e agli insulti.”22 L’etnocentrismo militante 11/01/2013 16.34.59 4 Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale 77 ha portato a mortali “pulizie etniche” in Bosnia e Kosovo, e a veri e propri genocidi in Ruanda, Burundi e nel Darfur. Di portata minore, ma pur sempre problematico, è l’etnocentrismo in ambito manageriale e organizzativo. Il problema può essere così definito: [I manager etnocentrici] preferiscono collocare i loro connazionali in posizioni chiave ovunque nel mondo, spesso assicurando loro uno stipendio superiore a quello che la posizione dovrebbe garantire. È questa la conseguenza del ritenere il proprio gruppo più intelligente, più capace o più affidabile. […] Spesso l’etnocentrismo non è tanto associabile al pregiudizio, quanto all’inesperienza o alla mancanza di conoscenza degli individui stranieri e delle situazioni inusuali. È questo un fatto che non deve stupire, dal momento che la maggior parte dei dirigenti è solita lavorare con persone inserite nel proprio ambiente di origine. Secondo quanto afferma un dirigente, “con i nostri manager, almeno capisco come mai commettano errori; con quelli stranieri non lo so mai con certezza. I manager stranieri potrebbero essere migliori, ma se non riesco a fidarmi di una persona dovrei forse assumerla semplicemente a testimonianza del fatto che siamo una multinazionale?”23 La ricerca indica come l’etnocentrismo abbia una influenza negativa sulle performance aziendali. Un’indagine condotta su 918 multinazionali con la casa madre situata negli Stati Uniti (272 aziende), in Giappone (309) e in Europa (337), ha portato alla conclusione che l’assunzione di personale etnicamente omogeneo, insieme a politiche non innovative di gestione delle risorse umane, ha determinato crescenti problemi, tra i quali difficoltà di reclutamento, alti livelli di turnover e azioni legali contro le politiche del personale adottate. Secondo questa ricerca, le aziende giapponesi risultano essere quelle meno orientate alla diversità, con le più diffuse pratiche etnocentriche e i maggiori problemi di gestione del personale internazionale.24 I manager attuali e futuri – e le persone più in generale – possono concretamente gestire il problema dell’etnocentrismo attraverso la formazione, una maggiore consapevolezza interculturale, l’esperienza internazionale e un cosciente sforzo volto a valorizzare la diversità culturale. Fareed Zakaria, un corrispondente della CNN nato in India, ha di recente lanciato questo appello sui rischi legati all’etnocentrismo: Gli statunitensi parlano poche lingue, conoscono superficialmente le altre culture e non sono affatto convinti che sia necessario cambiare questo stato di cose. Di rado si attengono a standard globali perché sono certi di essere i migliori e i più progrediti. Il risultato? Sono sempre più sospettosi rispetto alla nuova era globale. Si sta aprendo un divario crescente tra la classe cosmopolita e l’élite mondana degli affari e la maggior parte della popolazione; se non si farà nulla per colmarlo, rischia di distruggere il vantaggio competitivo e il futuro politico del paese.25 A ravvivare questo scenario piuttosto tetro, alcuni segnali positivi riguardanti gli studenti universitari: secondo i dati più recenti, nel 2009 gli studenti stranieri iscritti in università statunitensi erano 690.923 (con un ritorno economico di circa 20 miliardi di dollari), mentre gli studenti statunitensi iscritti in università estere erano 260.327.26 CompOrga.indb 77 11/01/2013 16.34.59 78 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo L’intelligenza culturale è la soluzione ai paradossi culturali Intelligenza culturale: capacità di interpretare correttamente situazioni interculturali ambigue A questo punto è importante sottolineare che tutte le differenze culturali presentate in questo capitolo, e altrove in questo libro, devono essere intese come tendenze e tracce di riflessione piuttosto che in senso assoluto.27 Non appena si scivola nella trappola che porta a credere che tutti gli italiani siano fatti in un certo modo, o che tutti i coreani agiranno in una determinata maniera, generalizzazioni potenzialmente istruttive possono diventare sciocchi stereotipi. Due studiosi in possesso di un’ampia esperienza lavorativa all’estero suggeriscono quanto segue: “In qualità di insegnanti, ricercatori e manager inseriti in contesti interculturali, dobbiamo riconoscere che le nostre caratterizzazioni iniziali su altre culture sono congetture che necessitano di essere adattate con il progredire dell’esperienza”.28 Di conseguenza, essi sostengono, noi saremo meglio preparati a gestire gli inevitabili paradossi culturali; dove per paradosso è intesa l’esistenza, sempre e comunque, di eccezioni che confermano la regola, vale a dire individui che non si inseriscono nello schema culturale atteso. Un buon esempio è il capo della Canon: “secondo quelli che sarebbero i parametri standard dei CEO giapponesi, Fujio Mitarai della Canon Inc. rappresenta un’anomalia. Tanto per cominciare è rapido e direttivo – ben distante dai ‘costruttori di consenso’ che generalmente guidano l’industria giapponese”.29 È possibile riscontrare molti paradossi culturali in nazioni grandi e culturalmente variegate come Stati Uniti e Australia. È per questo motivo che occorre sviluppare l’intelligenza culturale, che possiamo definire come la capacità di interpretare correttamente situazioni interculturali ambigue; una capacità essenziale negli attuali ambienti di lavoro, culturalmente eterogenei.30 David C Thomas e Kerr Inkson, autori del libro Cultural Intelligence: Living and Working Globally, affermano che l’intelligenza culturale si articola in tre componenti. 1. Innanzitutto, l’individuo dotato di intelligenza culturale deve poter contare su un insieme di conoscenze sulla cultura e i principi fondamentali delle interazioni interculturali. Ciò significa che sa che cos’è la cultura, come cambia e come influenza il comportamento. 2. In secondo luogo, deve praticare la consapevolezza, cioè deve essere in grado di valutare con attenzione, riflessività e creatività gli elementi ricavabili dalle situazioni interculturali, nonché i propri sentimenti e le proprie conoscenze. 3. Infine, sulla base delle conoscenze e della consapevolezza, l’individuo dotato di intelligenza culturale sviluppa capacità di interazione interculturale e diventa in grado di gestire un ampio ventaglio di situazioni. Queste capacità comprendono la scelta del comportamento giusto da un ampio repertorio di comportamenti adeguati in una serie di situazioni interculturali diverse.31 Chi desidera sviluppare l’intelligenza culturale deve prima coltivare la propria intelligenza emotiva, esaminata in dettaglio nel Capitolo 5, e poi fare pratica in situazioni interculturali poco familiari.32 Come accade in ogni tipo di interazione umana, non esiste adeguato sostituto all’approfondita conoscenza personale delle persone con cui si tratta, all’ascolto e all’interesse autentico nei confronti degli altri. Immaginate quante opportunità di sviluppare l’intelligenza culturale possono cogliere gli studenti della IE Business School di Madrid, che offre un programma MBA d’eccellenza a livello internazionale: CompOrga.indb 78 11/01/2013 16.34.59 4 Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale 79 La classe dell’anno precedente, composta da 287 studenti, contava 55 nazionalità diverse. […] Il corpo studentesco della IE è uno dei più variegati al mondo. Rodrigo Sanchez Hidalgo, che ha portato a termine il programma a dicembre, ha lavorato con compagni provenienti da 15 paesi, tra cui El Salvador e il Kazakhstan. Per attirare un maggior numero di studenti internazionali, la scuola ha di recente aperto uffici per il marketing e le ammissioni a Singapore, Dubai, Berlino e Lisbona. Obiettivo? Formare laureati in grado di operare in un ambiente multiculturale. “Il nostro non è un melting pot in cui i partecipanti condividono una cultura comune,” afferma Santiago Iñiguez de Ozoño, il preside della scuola.33 Comprendere le differenze culturali La presente sezione analizza le modalità fondamentali adottate per descrivere e paragonare le culture. In primo luogo verranno messe a confronto le culture a struttura complessa e le culture lineari, e verranno presentate nove dimensioni culturali che danno forma al modello GLOBE. Si prenderanno infine in esame le differenze interculturali relative all’individualismo, al tempo, allo spazio e alla religione. Culture a struttura complessa e culture lineari Culture a struttura complessa: culture che nella comunicazione e nella percezione dei significati si riferiscono a segnali deboli, situazionali e non verbali Si tratta di una distinzione culturale utile e largamente applicabile (figura 4-2).34 I popoli appartenenti a culture a struttura complessa, o ad alto contesto – tra le quali sono comprese Cina, Corea, Giappone, Vietnam, Messico e le culture arabe – nella comunicazione e nella percezione dei significati si riferiscono a segnali deboli. Elementi non verbali, relativi alla posizione ufficiale di un individuo, al suo status o alle relazioni familiari, trasmettono messaggi più efficaci di quanto non facciano le parole. Come esempio, consideriamo l’esperienza di lavoro del pachistano Arif M. Naqvi a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti: Naqvi è un insider e conclude affari con alcune delle figure più influenti nella regione, tra cui Khalid bin Sultan, figlio del principe ereditario alla corona saudita Sultan. I suoi contatti e l’esperienza maturata sono essenziali per portare a casa i risultati; i rapporti sociali sono spesso più importanti del denaro in Medio Oriente […] Occorre una certa diplomazia per concludere un accordo, come quella usata da Naqvi con Aramex International, un corriere espresso. Fadi Ghandour, fondatore e CEO di Aramex, ricorda una serie di [lunghi] pranzi e cene con Naqvi nell’arco di diversi mesi.35 Culture lineari: culture che attribuiscono un alto valore alle parole scritte e pronunciate CompOrga.indb 79 Le culture lineari: il valore delle regole scritte Nelle culture lineari, o a basso contesto, le parole, scritte e pronunciate, si assumono in buona parte il compito di trasmettere i significati condivisi. Le culture lineari includono la Germania, la Svizzera, i paesi scandinavi, il Nord America e la Gran Bretagna. Caratteristica della Germania, ad esempio, è il fatto di avere regole scritte e precise anche per i più piccoli dettagli della vita quotidiana.36 Nell’ambito di culture a struttura complessa si ha la tendenza a prendere accordi basandosi sulla parola di qualcuno o su di una stretta di mano, dopo un 11/01/2013 16.34.59 Parte I 80 Araba Greca Il mondo del comportamento organizzativo Spagnola Italiana Vietnamita Giapponese Coreana Inglese Nordamericana Scandinava Svizzera Cinese Tedesca Culture a struttura complessa â– Per prima cosa va stabilito un certo grado di fiducia sociale â– Si valorizzano le relazioni personali e la buona volontà â– Si stabilisce un accordo sulla base della fiducia generale â– Le negoziazioni sono lente e ritualistiche Culture lineari â– Prima di tutto gli affari â– Si valorizzano l’esperienza e il risultato â– Si prendono accordi sulla base di un contratto specifico e legalmente vincolante â– Si portano avanti le negoziazioni nel modo più efficiente possibile Figura 4-2 Confronto tra culture a struttura complessa e culture lineari Fonte: M. Munter, “Cross-Cultural Communication for Managers,” maggio-giugno 1993, Figura 3, p. 72. Copyright © 1993 by the Board of Trustees at Indiana University, Kelley School of Business. periodo piuttosto lungo di conoscenza e di costruzione della fiducia reciproca. Americani e canadesi, provenienti da culture lineari, che affondano le proprie radici nell’Europa del nord, intendono invece la stretta di mano come un semplice segnale preliminare in vista della firma di un contratto formale, avente valore legale. Evitare scontri culturali Il fraintendimento e l’incapacità di comunicazione rappresentano un problema nelle relazioni commerciali internazionali quando le parti in causa provengono da culture agli estremi di questo spettro. Un professore messicano di materie aziendali ha fornito, di recente, un esempio istruttivo: Nel corso degli anni ho avuto modo di constatare come vi siano, tra una cultura e l’altra, diverse opinioni su cosa ci si aspetti da una relazione scritta. I manager statunitensi, per esempio, assumono un atteggiamento pragmatico, che arriva direttamente al punto, e vogliono che le relazioni siano concise e orientate verso l’azione; non hanno tempo di leggere prolisse spiegazioni: “solo i fatti, signori”. I manager dell’America Latina presentano di solito lunghe spiegazioni che vanno oltre i semplici fatti. […] A un mio amico, rappresentante, in America Latina, di un’azienda statunitense, è stato chiesto dal suo capo di fornire rapporti regolari sulle attività di vendita. Le relazioni da lui presentate erano lunghe, includevano dettagliate spiegazioni sul contesto nel quale si verificavano gli eventi e le relative interpretazioni. Il suo capo gli rispondeva regolarmente con messaggi molto brevi il cui senso era “lascia stare le sciocchezze e vieni al punto!”.37 CompOrga.indb 80 11/01/2013 16.35.00 4 Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale 81 Situazioni imbarazzanti come questa possono essere evitate quando entrambe le parti coinvolte fanno un tentativo, in buona fede, per comprendersi e venirsi incontro. Qui di seguito sono riportati alcuni suggerimenti pratici. • Le persone, da entrambe le parti, devono essere adeguatamente formate in modo da modificare il proprio punto di vista e accettare i compromessi. • Un nuovo collaboratore deve essere accolto da un gruppo comprendente il suo superiore diretto, alcuni colleghi che ricoprono mansioni simili alle sue e un collega geograficamente vicino a lui. • Nel fornire spiegazioni di qualunque tipo si devono aggiungere le opportune informazioni di contesto, inclusi gli antefatti e le personalità coinvolte. • Non bisogna dare per scontato che il nuovo arrivato sia autonomo, è necessario fornire istruzioni esplicite non solo in merito agli obiettivi, ma anche ai processi necessari al loro raggiungimento. • I dipendenti provenienti da culture a struttura complessa devono imparare a porre domande anche al di fuori della funzione aziendale in cui operano. • I dipendenti stranieri devono compiere uno sforzo al fine di diventare più autonomi.38 Le nove dimensioni culturali del progetto GLOBE Il progetto GLOBE (Global Leadership and Organizational Behavior Effectivness) è nato da un’idea del professor Robert J. House, della University of Pennsylvania.39 Si tratta di un importante tentativo, in fase di svolgimento, volto a “elaborare una teoria, basata su dati empirici, che descriva, comprenda e predica l’impatto di specifiche variabili culturali sulla leadership, sui processi organizzativi e sulla loro efficacia”.40 A partire dal 1994, anno in cui il progetto GLOBE è stato lanciato a Calgary, in Canada, esso si è sviluppato nell’ambito di una rete di più di 150 studiosi provenienti da 62 paesi. I ricercatori coinvolti sono originari, per la maggior parte, dei paesi oggetto dello studio; la qual cosa aumenta la credibilità del progetto. Durante le prime due fasi dello studio in questione è stata compilata una lista di nove dimensioni culturali di base, supportata poi da dati statistici. Questionari basati su tali nove dimensioni sono stati distribuiti in tutto il mondo a migliaia di manager di diversi settori, dal credito all’alimentare alle telecomunicazioni, al fine di costruire un grande database. I risultati vengono pubblicati regolarmente. Il progetto, per raggiungere il proprio obiettivo principale, richiederà ancora molti anni; allo stato attuale, comunque, è stato messo a punto uno strumento efficace per meglio comprendere somiglianze e differenze interculturali. Le nove dimensioni culturali del progetto GLOBE sono le seguenti. • Distanza dal potere: quanto dovrebbe essere diseguale la distribuzione del potere nella società e nelle organizzazioni? • Rifiuto dell’incertezza: fino a che punto gli individui dovrebbero affidarsi a norme e regole sociali per evitare l’incertezza e limitare l’imprevedibilità? • Collettivismo orientato all’istituzione: fino a che punto i leader dovrebbero incoraggiare e premiare la lealtà al gruppo rispetto al perseguimento degli obiettivi individuali? CompOrga.indb 81 11/01/2013 16.35.00 Parte I 82 Il mondo del comportamento organizzativo • Collettivismo orientato al gruppo: quale grado di orgoglio e lealtà dovrebbero dimostrare i singoli individui nei confronti della loro famiglia od organizzazione di appartenenza? • Uguaglianza di genere: quale sforzo dovrebbe essere compiuto per minimizzare la discriminazione di genere e le disuguaglianze dei ruoli? • Assertività: fino che punto i singoli individui, nelle relazioni sociali, dovrebbero porsi in modo negoziale o dominante? • Orientamento verso il futuro: in che misura gli individui dovrebbero rimandare la gratificazione immediata, pianificando e investendo nel futuro? • Orientamento al risultato: quanto dovrebbero essere premiati i singoli per miglioramento ed eccellenza? • Orientamento alle persone: fino a che punto la società dovrebbe incoraggiare e premiare gli individui per essere cortesi, leali, amichevoli e generosi?41 E la vostra cultura? Fate una breve pausa e assegnate un punteggio da 1 a 10 (1 = poco o nulla, 10 = molto) alle vostre convinzioni rispetto alle nove dimensioni culturali del progetto GLOBE. In questo modo potrete comprendere meglio i concetti culturali alla base del progetto. Profili nazionali e implicazioni pratiche Come vengono valutati i differenti paesi nelle dimensioni culturali del progetto GLOBE? I dati raccolti da 18.000 manager, riassunti nella tabella 4-2, illustrano i vari profili. Una rapida visione d’insieme mostra una notevole diversità culturale in tutto il mondo; ma grazie alle nove dimensioni culturali Tabella 4-2 I paesi con il punteggio più alto e più basso nelle dimensioni culturali del progetto GLOBE Dimensione Più alto Più basso Distanza dal potere Marocco, Argentina, Tailandia, Spagna, Russia Rifiuto dell’incertezza Svizzera, Svezia, Germania – ex occidentale, Danimarca, Austria Svezia, Sud Corea, Giappone, Singapore, Danimarca Iran, India, Marocco, Cina, Egitto Danimarca, Paesi Bassi, Sud Africa – persone di colore, Israele, Costa Rica Russia, Ungheria, Bolivia, Grecia, Venezuela Collettivismo orientato all’istituzione Collettivismo orientato al gruppo Uguaglianza di genere Assertività Orientamento verso il futuro Orientamento al risultato Orientamento alle persone Ungheria, Polonia, Slovenia, Danimarca, Svezia Germania – ex orientale, Austria, Grecia, Stati Uniti, Spagna Singapore, Svizzera, Paesi Bassi, Canada – di lingua inglese, Danimarca Singapore, Hong Kong, Nuova Zelanda, Taiwan, Stati Uniti Filippine, Irlanda, Malesia, Egitto, Indonesia Grecia, Ungheria, Germania – ex orientale, Argentina, Italia Danimarca, Svezia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Finlandia Sud Corea, Egitto, Marocco, India, Cina Svezia, Nuova Zelanda, Svizzera, Giappone, Kuwait Russia, Argentina, Polonia, Italia, Kuwait Russia, Argentina, Grecia, Venezuela, Italia Germania – ex occidentale, Spagna, Francia, Singapore, Brasile Fonte: adattamento da: “Cultural Acumen for the Global Manager: Lessons from Project GLOBE”, di M. Javidan e R.J. House; Organizational Dyamics, primavera 2001; pp. 289-305. CompOrga.indb 82 11/01/2013 16.35.00 4 Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale 83 del progetto GLOBE abbiamo una comprensione più precisa di come variano le culture. Un’analisi più approfondita ci permette di riconoscere i diversi modelli culturali, o i tratti peculiari delle varie nazioni. Il campione costituito dai manager statunitensi, per esempio, ha ottenuto un punteggio alto in merito all’assertività e all’orientamento al risultato; non a caso, gli americani sono generalmente percepiti come grintosi e diligenti. L’alto punteggio ottenuto dalla Svizzera per quanto riguarda il rifiuto dell’incertezza e l’orientamento verso il futuro aiuta a spiegare la lunga tradizione di neutralità politica di questo paese e il successo del suo settore bancario. Singapore è nota come un posto ideale per gli affari perché pulito e sicuro; inoltre i suoi abitanti possiedono una buona istruzione e una notevole disciplina sul lavoro. Tutto ciò non è sorprendente se si considera l’alto punteggio ottenuto nell’ambito del collettivismo orientato all’istituzione, dell’orientamento verso il futuro e dell’orientamento al risultato.42 Il basso punteggio ottenuto dalla Russia in merito all’orientamento verso il futuro e all’orientamento al risultato, invece, potrebbe preludere a una transizione più lenta di quanto sperato da un’economia a pianificazione centrale verso un’economia di mercato. Individualismo e collettivismo Cultura individualistica: enfatizza libertà e scelte individuali Vi è mai capitato di sentirvi fortemente combattuti tra quanto da voi personalmente desiderato e quello che il gruppo, l’azienda o la società si attendono da voi? In caso affermativo, avete avuto il vostro primo impatto con un’importante distinzione culturale: quella tra individualismo e collettivismo. Tale differenziazione culturale, rappresentata da due delle nove dimensioni del progetto GLOBE, merita un’analisi più approfondita. Come ci si può facilmente attendere data la grande mole di studi sull’argomento, la contrapposizione individualismo-collettivismo è soggetta a numerose interpretazioni.43 Esaminiamo i concetti di base di questa distinzione con l’obiettivo di sviluppare una maggiore consapevolezza culturale. Le culture individualistiche, le “culture dell’io”, attribuiscono maggiore importanza alla libertà e alla scelta del singolo. Di conseguenza, tendono a sottolineare la responsabilità individuale rispetto a problemi e questioni di varia natura, un aspetto non di poco conto in una società che invecchia: Un forte sentimento di “solidarietà sociale”, come lo definisce [il professore della Johns Hopkins University Gerald F] Anderson, rende gli europei inclini alla generosità nei confronti dei più anziani e più disponibili ad aiutarli. “Pensano che quando invecchieranno, avranno a loro volta bisogno di aiuto,” afferma il professore. “L’atteggiamento statunitense è improntato a uno spiccato individualismo: saremo noi ad occuparci di noi stessi, non gli altri.”44 Cultura collettivistica: gli obiettivi individuali sono meno importanti degli obiettivi e degli interessi della comunità CompOrga.indb 83 Questa differenza culturale ha trovato conferma in un recente sondaggio sulla qualità della vita dei cittadini anziani in 16 paesi industrializzati: i Paesi Bassi si sono classificati al primo posto, gli Stati Uniti al tredicesimo.45 Le culture collettivistiche, le “culture del noi”, attribuiscono un valore maggiore agli obiettivi condivisi, piuttosto che a quelli individuali. Nelle culture collettivistiche ci si attende che gli individui mettano in secondo piano i propri desideri e obiettivi per 11/01/2013 16.35.00 84 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo favorire quelli del gruppo sociale a cui appartengono. Un sondaggio, condotto su scala mondiale su 30.000 manager da Trompenaars e Hampden-Turner (che preferiscono il termine comunitarianismo a quello di collettivismo), ha rilevato il più alto grado di individualismo in Israele, Romania, Nigeria, Canada e Stati Uniti; i paesi con il più basso grado di individualismo, pertanto identificati come paesi a cultura collettivistica, sono Egitto, Nepal, Messico, India e Giappone; anche Brasile, Cina e Francia sono stati classificati tra i paesi a cultura collettivistica.46 Un fattore di successo In paesi culturalmente differenziati come gli Stati Uniti è naturalmente lecito aspettarsi di incontrare sia gli individualisti che i collettivisti. Immaginate, per esempio, la frustrazione di Dave Murphy, venditore di fondi comuni di investimento proveniente da Boston, che cercava invano di suscitare interesse negli indiani Navajo dell’Arizona relativamente all’utilità di risparmiare in vista della pensione. Dopo diversi incontri infruttuosi con gruppi di Navajo, un funzionario locale gli ha fornito la seguente prospettiva culturale: “Deve capire che in questo tipo di ambiente il denaro è percepito in maniera diversa; è fatto per essere speso. Se qualcuno ne possiede una certa quantità aiuta la propria famiglia”.47 (Dunque i Navajo, nelle dimensioni culturali del progetto GLOBE, otterrebbero un punteggio alto nel collettivismo orientato al gruppo e un punteggio basso nell’orientamento verso il futuro.) Per i Navajo tradizionali, cresciuti in una cultura collettivistica, il risparmio di denaro è visto come un inutile atto di egoismo. Di conseguenza nel proporre loro i fondi comuni si è messo l’accento sui benefici per la famiglia dei piani individuali di risparmio. Fedeltà a chi? L’esempio degli indiani Navajo fa emergere un aspetto molto importante delle culture collettivistiche: quale elemento della società è il riferimento predominante? Per il popolo Navajo la famiglia è il gruppo di riferimento fondamentale; tuttavia, come hanno osservato Trompenaars e Hampden-Turner, esistono importanti differenze anche tra le culture collettivistiche (o comunitarie): Per ogni società presa singolarmente è necessario individuare il gruppo con il quale gli individui si identificano maggiormente. Potrebbero avere la tendenza a identificarsi con il sindacato, la famiglia, l’azienda, la religione, con la loro professione, il gruppo nazionale o l’apparato dello stato. I francesi hanno la tendenza a identificarsi con la France, la famille, le cadre; i giapponesi con la loro azienda; nell’ex blocco orientale ci si identificava con il Partito Comunista; e in Irlanda con la Chiesa cattolica. Gli obiettivi comunitari possono essere positivi o negativi, dal punto di vista di un’azienda, a seconda della comunità coinvolta, del suo atteggiamento e della sua importanza nella vita dell’azienda.48 Tale osservazione giustifica la distinzione, fatta nell’ambito del progetto GLOBE, tra collettivismo orientato all’istituzione e collettivismo orientato al gruppo. Percezione culturale del tempo Nelle culture nordeuropee e nordamericane il tempo viene percepito in maniera molto semplice: suddiviso in parti fisse, lineare, inesorabilmente volto al futuro, mai al passato. CompOrga.indb 84 11/01/2013 16.35.00 4 Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale Tempo monocronico: orientamento a fare le cose una alla volta poiché il tempo è limitato, suddiviso in segmenti precisi e regolato da orari Tempo policronico: orientamento a fare più cose nello stesso momento poiché il tempo è flessibile e multidimensionale 85 Gli americani, sempre a corto di tempo, credono nel consiglio di Benjamin Franklin secondo il quale “il tempo è denaro”: può essere impiegato, risparmiato o sprecato.49 Un ottimo esempio in tal senso è William P Lauder, CEO del gigante della cosmesi Esteé Lauder Companies, che in una recente intervista ha dichiarato: “Quando vedo delle persone perdere tempo, le richiamo immediatamente. Il tempo è la risorsa più preziosa e, quando passa, è perso per sempre.”50 L’opposto di Lauder è l’attore Johnny Depp che, secondo un cronista di Newsweek, “sembra un uomo che non ha mai avuto fretta nella sua vita. È in ritardo cronico per le interviste, talvolta di quattro o cinque ore, altre volte di giorni; questa volta si tratta solo di 50 minuti, da gentiluomo.”51 L’attore, originario del Kentucky, smentisce lo stereotipo secondo il quale gli americani si presentano agli appuntamenti con 10 minuti di anticipo. Tuttavia, quando nell’ambito del lavoro le culture coinvolte sono diverse, il tempo diventa una questione molto complessa. Immaginate la contrarietà di un uomo d’affari newyorchese lasciato in sala d’attesa per 45 minuti, per poi essere ammesso alla presenza di un funzionario di un governo latino americano che discute contemporaneamente con altre tre persone. L’uomo d’affari si sente offeso dalla mancanza di pronta e completa attenzione da parte del funzionario; questi si sente offeso dall’impazienza e apparente egocentrismo dell’altro. Si può meglio chiarire questo circolo vizioso di risentimenti tramite la distinzione tra tempo monocronico e tempo policronico. Il primo si rivela nell’uso del tempo pubblico, scandito da orari, preciso e ordinato, che identifica e addirittura caricaturizza gli abitanti dell’Europa settentrionale e del Nord America. Il secondo emerge nelle attività multiple e cicliche e nel coinvolgimento simultaneo con diverse persone tipico di varie culture mediterranee, latinoamericane e in particolar modo arabe.52 Le culture lineari, quale quella statunitense, hanno la tendenza a basarsi sul tempo monocronico, mentre quelle a struttura complessa, come quella costaricana, si basano tendenzialmente sul tempo policronico. Le persone facenti parte di culture policroniche vedono il tempo come qualcosa di flessibile, fluido e multidimensionale. Per esempio, immaginate di trovarvi in Qatar per concludere affari: I qatarioti continuano ad amare la vecchia tradizione del majilis, le riunioni serali durante le quali gli uomini (e solo gli uomini) sorseggiano il tè, fumano il narghilè e risolvono i problemi dell’umanità durante interminabili conversazioni. Grahame Maher, dirigente locale per Vodafone, ha dovuto diventare maestro in questa centenaria usanza prima di poter conquistare i locali. Afferma: “Ho imparato un modo di fare affari che in Occidente abbiamo dimenticato perché richiede troppo tempo.”53 Come è evidente, la globalizzazione economica ha prodotto pratiche di business globale monocroniche che determinano eccezioni nelle culture tradizionalmente policroniche. In Spagna, le guide turistiche avvisano i turisti che, per via della tradizionale siesta, negozi e uffici potrebbero essere chiusi per buona parte del pomeriggio. Tuttavia, almeno nelle città più importanti del paese, l’abitudine della siesta si sta perdendo per influenza della globalizzazione e dell’equilibrio tra vita personale e carriera. I datori di lavoro spagnoli CompOrga.indb 85 11/01/2013 16.35.00 Parte I 86 Il mondo del comportamento organizzativo hanno riconsiderato la prassi di permettere lunghe pause pomeridiane che causano il protrarsi della giornata di lavoro fino a tarda sera. La siesta può interrompere i contatti con altre aziende europee per buona parte dell’orario di lavoro. Inoltre, dal punto di vista dei dipendenti, nelle grandi città sta diventando sempre più difficoltoso rincasare per pranzo e la durata della giornata di lavoro inizia a rappresentare un problema.54 I manager devono ricordarsi di reimpostare i loro “orologi mentali” nel condurre trattative tra culture diverse. Spazio interpersonale Figura 4-3 La distanza interpersonale negli incontri d’affari varia da cultura a cultura Pubblica Distanza interpersonale (in metri) Prossemica: lo studio delle aspettative culturali in merito alla distanza interpersonale L’antropologo Edward T. Hall ha rilevato un legame tra la cultura e la distanza interpersonale preferita: in particolare, ha osservato come gli individui appartenenti a culture a struttura complessa stiano a distanza ravvicinata quando sono coinvolti in una conversazione con qualcuno, mentre nelle culture lineari si preferisce uno spazio interpersonale nettamente superiore. Nello studio di quelle che sono le aspettative culturali in merito alla distanza interpersonale, Hall ha utilizzato il termine prossemica.55 In particolare, egli ha individuato quattro zone di distanza intersoggettiva, chiamate da alcuni “bolle di spazio personale”: le zone intima, personale, sociale e pubblica; le loro dimensioni, nonché alcune delle differenze culturali a esse relative, sono illustrate nella figura 4-3. Come illustrato nella figura, quando si parla di affari in Nord America la distanza mantenuta tra le persone coinvolte è di circa un metro e mezzo, ossia all’interno della zona personale; nelle culture latinoamericane e asiatiche la distanza in questione è di circa trenta centimetri, evidentemente alquanto spiacevole per americani e nordeuropei. 3,5 Sociale 1,5 Personale 0,5 Intima 0 Araba Asiatica + Latino americana Nord americana + Nord europea Culture CompOrga.indb 86 11/01/2013 16.35.00 4 Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale 87 Alcuni arabi amano addirittura avvicinarsi ancora di più. Le differenze originate da valutazioni dello spazio personale diverse tra le varie culture possono essere estremamente fastidiose per chi non sia preparato. Hall fornisce la seguente spiegazione: Gli arabi hanno la tendenza a starti molto vicino e a respirarti addosso. Fa parte del coinvolgimento altamente sensoriale di una cultura a struttura complessa. […] L’americano che subisce tale comportamento non riesce a identificare tutte le origini del suo disagio, ma percepisce l’arabo come invadente. L’arabo si avvicina mentre l’americano indietreggia. L’arabo lo segue perché è in grado di interagire solo a determinate distanze. Una volta che l’americano impara che gli arabi gestiscono lo spazio diversamente e che il respirare sulle persone è una forma di comunicazione, la situazione può essere talvolta ridefinita e l’americano può rilassarsi.56 Gli asiatici e i mediorientali si stancano di rincorrere i loro ospiti appartenenti a culture lineari per mantenere quella che loro ritengono essere la distanza ideale durante una conversazione. D’altra parte, continuare tutta la sera a indietreggiare per mantenere a un’idonea distanza i partner coinvolti nella conversazione è a sua volta un’esperienza imbarazzante. La consapevolezza delle differenze culturali, nonché un abile adeguamento, sono elementi essenziali al fine di arrivare a trattative d’affari produttive in ambito interculturale. Religione L’espressione della fede e l’adempimento di pratiche religiose possono avere importanti conseguenze sulle relazioni interculturali. Un’analisi completa delle diverse religioni va oltre lo scopo del presente lavoro;57 è tuttavia utile esaminare il rapporto tra l’affiliazione religioso e i valori legati al mondo del lavoro. Uno studio effettuato su 484 studenti di diverse nazioni presso un’università statunitense del Midwest ha messo in luce diversi approcci al lavoro, conseguenti alla fede religiosa. • Cattolica – Considerazione (“Attenzione a che i collaboratori siano presi sul serio, siano tenuti informati, e che si ricorra alle loro opinioni.”) • Protestante – Efficacia del datore di lavoro (“Desiderio di lavorare per un’impresa che sia efficiente, di successo e leader nella tecnologia.”) • Buddista – Responsabilità sociale (“Attenzione a che il datore di lavoro si senta responsabile del benessere della società.”) • Mussulmana – Continuità (“Desiderio di un ambiente stabile, con rapporti di lavoro di lunga durata, con poca incertezza.”) • Nessuna fede religiosa – Sfida professionale (“Interesse ad avere un lavoro che fornisca opportunità d’apprendimento e la possibilità di fare un uso appropriato delle proprie capacità.”)58 Non esistono quindi approcci al lavoro universali, dal punto di vista religioso. Questo ha portato i ricercatori a concludere che “i datori di lavoro farebbero bene a considerare l’impatto che le differenze religiose (e, più ampiamente, i fattori culturali) possono avere CompOrga.indb 87 11/01/2013 16.35.00 Parte I 88 Il mondo del comportamento organizzativo sui valori dei propri collaboratori”.59 Negli Stati Uniti, come in molti altri paesi, la legge sulle pari opportunità d’impiego proibisce ai manager di attuare discriminazioni nelle scelte di assunzione in base alla religione di appartenenza. Conseguenze operative delle ricerche sul management interculturale Management interculturale: disciplina dedicata a comprendere e gestire i comportamenti individuali in organizzazioni che coinvolgono culture diverse Nancy Adler, studiosa di comportamento organizzativo in ambito internazionale presso l’università canadese McGill, ha proposto la seguente definizione: “il management interculturale (cross-cultural management) aiuta a comprendere il comportamento degli individui in organizzazioni operanti su scala mondiale e offre indicazioni utili a chi lavora per aziende aventi clienti e collaboratori appartenenti a molte culture diverse”.60 Storicamente, le ricerche di management interculturale si sono soffermate quasi esclusivamente sulle differenze tra una cultura e l’altra; preoccupato da confronti interculturali inappropriati, un ricercatore ha di recente definito questo approccio come “un paragone tra bacchette cinesi e forchette.”61 Mansour Javidan e Robert J House, ricercatori impegnati nel progetto GLOBE, suggeriscono di studiare anche le affinità tra di esse. Questi studiosi ritengono che seguire la traccia delle convergenze culturali sarà utile per capire meglio quanto le singole pratiche di management siano condivisibili da culture altre. “Sarà ad esempio più facile applicare teorie della leadership sviluppate negli Stati Uniti a manager britannici (altro gruppo di radice anglosassone), piuttosto che a manager di un paese arabo.”62 In questo paragrafo prenderemo in considerazione tre diversi filoni di ricerca relativi al management interculturale che offrono utili suggerimenti per i manager che operano nell’economia globalizzata. Lo studio di Hofstede: le teorie di management statunitensi sono applicabili in altri paesi? La risposta sintetica a questa importante domanda è non molto, ed è il risultato di un importante studio condotto trent’anni fa dal ricercatore olandese Geert Hofstede. Il suo confronto interculturale tra 116.000 dipendenti IBM provenienti da 53 paesi nel mondo è incentrato su quattro dimensioni culturali: • Distanza dal potere: qual è il grado di disuguaglianza atteso in determinate situazioni sociali? • Individualismo-collettivismo: quanto sono forti i legami sociali dell’individuo? • Mascolinità-femminilità: gli individui agiscono in base a tratti maschili, come la competitività e l’orientamento al risultato, o femminili, come la solidarietà e l’orientamento ai rapporti personali? • Rifiuto dell’incertezza: in che misura gli individui preferiscono situazioni strutturate? Gli Stati Uniti hanno riportato un punteggio relativamente basso nell’ambito della distanza dal potere e del rifiuto dell’incertezza, un punteggio molto alto nell’ambito dell’individualismo e moderatamente alto nell’ambito della mascolinità.63 CompOrga.indb 88 11/01/2013 16.35.01 4 Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale 89 Alla luce delle significative variazioni riscontrate tra culture diverse, Hofstede ha tratto due importanti conclusioni: (1) le teorie e le prassi manageriali devono essere adattate alla cultura locale. Questo vale, in particolar modo, per le teorie di management nate in America (ad esempio la gerarchia dei bisogni di Maslow) e per le prassi manageriali giapponesi. Non esiste un modo migliore per gestire le persone e le organizzazioni.64 (2) Nell’ambito di un’economia globale, l’arroganza culturale è un lusso che gli individui, le imprese e le nazioni non si possono più permettere. Lezioni di leadership dal progetto GLOBE Nella seconda fase del loro lavoro i ricercatori del progetto GLOBE si sono posti l’obiettivo di individuare l’esistenza di caratteristiche di leadership che fossero universalmente giudicate in modo positivo o negativo. Per fare questo hanno condotto una ricerca su 17.000 manager di medio livello appartenenti a 62 paesi/culture e a 951 organizzazioni diverse. I risultati della ricerca, sintetizzati nella tabella 4-3, determinano implicazioni importanti per i responsabili della formazione dei manager globali presenti e futuri.65 I leader carismatici, dotati di visione e della capacità di ispirare i collaboratori, sono generalmente considerati i migliori. Al contrario, i leader concentrati su se stessi e visti come individui solitari o pronti a cercare espedienti per salvare la faccia in genere non sono giudicati positivamente (si rimanda al Capitolo 16 per una trattazione più Tabella 4-3 Caratteristiche di leadership universalmente apprezzate o universalmente rifiutate in 62 paesi/culture Fonte: estratto e adattato da P.W. Dorfman, P.J. Hanges e F.C. Brodbeck, “Leadership and Cultural Variation: The Identification of Culturally Endorsed Leadership Profiles,” in Culture, Leadership, and Organizations: The GLOBE Study of 62 Societies, ed. R.J. House, P.J. Hanges, M. Javidan, P.W. Dorfman e V. Gupta (Thousand Oaks, CA: Sage, 2004), Tabelle 21.2 e 21.3, pp. 677-78. CompOrga.indb 89 CARATTERISTICHE DI LEADERSHIP UNIVERSALMENTE APPREZZATE CARATTERISTICHE DI LEADERSHIP UNIVERSALMENTE RIFIUTATE Degno di fiducia Solitario Equo Asociale Onesto Non cooperativo Lungimirante Irritabile Pianificatore Poco chiaro Incoraggiante Egocentrico Positivo Spietato Dinamico Autoritario Motivante Creatore di fiducia Stimolante Affidabile Intelligente Determinato Buon negoziatore Capace di trovare soluzioni win-win ai problemi Amministratore competente Comunicativo Istruito Coordinatore Dotato di capacità di team building 11/01/2013 16.35.01 90 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo approfondita della leadership). I manager locali e stranieri che leggono questi risultati farebbero bene a impiegare un approccio contingente alla leadership dopo aver cercato di comprendere la popolazione e la cultura locali usando l’intelligenza culturale. David Whitman, da tempo CEO di Whirlpool, azienda produttrice di elettrodomestici, inquadra la sfida in questo modo: Il compito di guidare un’azienda globale è significativamente cambiato rispetto agli anni ’80 e ’90 e richiede un insieme del tutto nuovo di competenze. Le strutture burocratiche non funzionano più e bisogna escludere dal sistema gli individui autoritari. Occorre favorire e stimolare un ampio coinvolgimento all’interno dell’azienda. Soprattutto per le imprese operanti nel settore dei beni di consumo, è essenziale disporre di una forza lavoro eterogenea e di una leadership differenziata. Serve una forte leadership regionale ben radicata nella cultura locale: nel nostro caso, le attività in Nord America sono gestite da un nordamericano, mentre le attività in America Latina sono gestite da un latinoamericano.66 Lo stile di management varia di paese in paese I risultati di un ampio studio condotto di recente in 17 paesi confermano e sviluppano le conclusioni di Hofstede: le pratiche di management sono di fatto legate al paese e alla cultura. Lo studio ha coinvolto 5.922 imprese selezionate in maniera casuale con un numero di dipendenti da 100 a 5.000. Gli intervistatori hanno assegnato un punteggio da basso ad alto ai manager sulla base dell’impiego di 18 prassi di management efficaci. Secondo i ricercatori principali, Nicholas Bloom e John Van Reenen, le 18 prassi sono riconducibili a tre categorie: 1. Monitoraggio. Con quanta efficacia le aziende monitorano che cosa accade internamente e come usano il monitoraggio per il miglioramento continuo? 2. Obiettivi. Le imprese stabiliscono gli obiettivi giusti? Monitorano le conseguenze giuste? Implementano azioni efficaci in caso di mancato allineamento tra obiettivi e conseguenze? 3. Incentivi. Le aziende promuovono e premiano i collaboratori sulla base delle prestazioni e cercano di assumere e trattenere i dipendenti migliori?67 Le risposte fornite dai manager sono state raggruppate per paese al fine di individuare uno stile di management nazionale caratteristico. Tra i risultati più interessanti, si è riscontrato che: • La classifica dei paesi, dalla posizione più alta alla più bassa, rispetto alla qualità delle pratiche di management combinate è la seguente: Stati Uniti, Germania e Svezia (pari al secondo posto), Giappone, Canada, Francia, Italia, Gran Bretagna, Australia, Irlanda del Nord, Polonia, Irlanda, Portogallo, Brasile, India, Cina e Grecia. • Ciascuno dei 17 paesi esaminati evidenzia un mix distintivo di enfasi su “monitoraggio”, “obiettivi” e “incentivi”. Per un esempio, si rimanda ai profili dei cinque paesi ai primi posti della classifica riportati nella tabella 4-4. CompOrga.indb 90 11/01/2013 16.35.01 4 Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale Tabella 4-4 I paesi con i punteggi di management complessivi più alti nel ricorso a pratiche di management diverse Fonte: adattamento dai dati citati in N. Bloom e J. Van Reenen, “Why Do Management Practices Differ Across Firms and Countries?” Journal of Economic Perspecitves, inverno 2010, Tabella 2, p. 210. 91 Posizione nella classifica dei 17 paesi Monitoraggio Obiettivi Incentivi Stati Uniti Germania Svezia Giappone Canada 2 3 1 7 4 3 2 4 1 5 1 3 5 4 2 • Non esiste un singolo stile di management più efficace a livello mondiale. • Le imprese multinazionali sono meglio gestite delle imprese locali e rappresentano quindi un buon modello di ruolo e una fonte di buone pratiche di management. Questo studio consiglia ai manager di essere flessibili e adattare il proprio stile alle preferenze locali se lavorano in un paese diverso dal proprio. Per esempio, come indicato nella tabella 4-4, gli incentivi risultano molto efficaci negli Stati Uniti e in Canada ma meno in Svezia, dove il monitoraggio è dato per scontato. Gli obiettivi sono la pratica preferita in Giappone e in Germania. Un equilibrio adeguato alla cultura di attenzione al monitoraggio, agli obiettivi e agli incentivi consente di ottenere i risultati migliori e richiede una ricerca preliminare, una buona dose di intelligenza culturale e pazienza, piuttosto che fretta di imporre uno stile di management estraneo. Come prepararsi per incarichi all’estero Con la crescente diffusione di imprese globali aumenteranno anche le opportunità di vivere e lavorare in paesi stranieri. Un esempio delle opportunità di trasferimenti e di esperienze tra culture diverse è dato dalla Siemens, gigante tedesco dell’elettronica e delle apparecchiature industriali con sede a Monaco. La Siemens ha 405.000 dipendenti in 190 paesi, di cui oltre 61.000 negli Stati Uniti.68 Imprese globali di questo tipo necessitano di collaboratori dinamici e con desiderio di crescere, che siano in grado di lavorare in culture diverse.69 Jack e Suzy Welch, scrivendo su BusinessWeek, hanno di recente proposto la seguente visione dello scenario dei prossimi 10 anni: “Esistono opportunità d’oro per i manager con esperienza e dotati dell’ambizione, dell’interesse e della mentalità globale necessari per lavorare all’estero per un certo periodo di tempo.”70 In questa ultima sezione cercheremo quindi di sottolineare gli elementi che possano aiutare a lavorare con successo in paesi stranieri perché gli incarichi all’estero possono aggiungere molto valore al curriculum nell’attuale economia globalizzata. Perché gli americani falliscono negli incarichi all’estero? Espatriato: chiunque viva o lavori fuori dal proprio paese d’origine CompOrga.indb 91 Con il termine espatriati indichiamo qui chiunque viva e/o lavori fuori dal suo paese di origine (mentre i rimpatriati sono coloro che vi ritornano dopo un periodo di lavoro all’estero). Da alcune ricerche risulta che i cittadini americani sono poco predisposti 11/01/2013 16.35.01 Parte I 92 Il mondo del comportamento organizzativo alla sfida della diversità culturale e inclini al fallimento negli incarichi internazionali. Due studiosi di management internazionale hanno fornito la seguente valutazione: Nel corso degli ultimi dieci anni abbiamo studiato gli espatriati presso circa 750 imprese statunitensi, europee e giapponesi. Abbiamo chiesto sia agli espatriati stessi che ai dirigenti che li avevano mandati all’estero di valutare le loro esperienze. Abbiamo, altresì, osservato cosa è accaduto dopo il rientro degli espatriati nel loro paese. […] I risultati della nostra ricerca sono stati, nell’insieme, preoccupanti: abbiamo appurato che tra il 10 e il 20% dei manager statunitensi mandati all’estero sono rientrati in anticipo a causa di insoddisfazione a livello professionale o difficoltà di adattamento nel paese straniero. Di quelli rimasti per il tempo previsto, quasi un terzo ha ottenuto risultati inferiori alle aspettative dei superiori; fatto ancor più preoccupante, un quarto di coloro che hanno portato a termine l’incarico, dopo essere rientrati nel loro paese hanno lasciato l’azienda, spesso andando a lavorare per la concorrenza, nel giro di un anno. Si tratta di un turnover doppio rispetto ai colleghi che sono rimasti in patria.71 Un’indagine più recente sui motivi del rientro anticipato degli espatriati ha evidenziato piccoli miglioramenti. Ciò nonostante, i problemi di adattamento personale e familiare (36,6%) e la nostalgia di casa (31%) sono emersi come i maggiori ostacoli per i manager americani impiegati all’estero.72 Un sondaggio che ha chiesto a 72 responsabili delle risorse umane presso imprese multinazionali di indicare il più significativo fattore di successo in un incarico all’estero ha fornito il seguente spunto di riflessione: “Il 35% circa degli intervistati ha indicato la capacità di adattamento culturale: pazienza, flessibilità e tolleranza nei confronti dei valori altrui.”73 Le imprese multinazionali statunitensi devono evidentemente supportare con una adeguata formazione i dipendenti destinati a incarichi in paesi stranieri, soprattutto alla luce degli elevati costi ad essi legati. Mosche bianche: donne nordamericane con incarichi all’estero In passato trovare una donna statunitense o canadese impegnata in incarichi all’estero era un fatto raro. Sebbene lentamente, le cose stanno cambiando: di seguito si elencano alcuni elementi in proposito. • La percentuale delle donne nordamericane dipendenti di grandi imprese impegnate in incarichi all’estero è aumentata dal 3% all’inizio degli anni ’80 a poco meno del 15% in anni recenti. • I principali ostacoli nei confronti delle candidate per un trasferimento all’estero non sono tanto il pregiudizio verso di loro nel paese ospitante, quanto l’autosvalutazione delle candidate stesse e l’ipotesi da parte del vertice aziendale che le donne non saranno bene accette nel paese ospitante. • Le donne nordamericane espatriate sono viste, dai membri del paese ospitante, innanzi tutto come straniere e solo secondariamente come donne. • Le donne nordamericane conseguono un’elevata percentuale di successo nei loro incarichi all’estero.74 In considerazione della domanda crescente di manager globali, donne che si autoescludono e orientamenti manageriali basati sul pregiudizio sono decisamente controprodu- CompOrga.indb 92 11/01/2013 16.35.01 4 Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale 93 centi. Dal canto loro, le donne (o anche gli uomini) che desiderano assumere incarichi all’estero devono adottare un approccio proattivo sviluppando l’intelligenza culturale e candidandosi per svolgere incarichi all’estero. Come evitare gli elementi critici di comportamento organizzativo negli incarichi all’estero Trovare la persona giusta per l’assegnazione di una posizione all’estero (spesso associata a una famiglia che fornisca adeguato supporto e sia disposta all’avventura) è un’operazione costosa, complessa e che richiede una grande quantità di tempo. In questa sede sarà sufficiente restringere l’area di nostro interesse ai fattori problematici di comportamento organizzativo più comuni nell’ambito degli incarichi all’estero. Osservando il ciclo rappresentato nella figura 4-4 si nota come il primo e l’ultimo stadio avvengano in patria, mentre i due stadi intermedi nel paese straniero. Ciascuno di questi stadi cela un punto nodale correlabile al comportamento organizzativo che deve essere individuato in anticipo e neutralizzato; pena un altro incarico all’estero fallito. Evitare aspettative irrealizzabili tramite una preparazione interculturale Le presentazioni realistiche del lavoro si sono dimostrate efficaci per fornire alle persone in attesa di un incarico all’estero le necessarie informazioni positive e negative, così da riportare a maggiore realismo aspettative eccessive; gli individui con aspettative realistiche hanno la tendenza a lasciare il posto di lavoro meno di frequente e a essere Figura 4-4 Ciclo dell’incarico all’estero (con gli elementi critici di comportamento organizzativo) Esperienze nel paese d’origine 1. Selezione e preparazione “Aspettative non realistiche” Esperienze nel paese straniero 2. Arrivo e adattamento “Shock culturale” Riassegnamento 4. Rientro nel proprio paese “Shock da rientro” CompOrga.indb 93 3. Sistemazione e acculturazione “Mancanza di supporto” 11/01/2013 16.35.01 Parte I 94 Formazione interculturale: percorsi formativi strutturati volti a fornire un sostegno nell’adattamento a una nuova cultura o a un nuovo paese Il mondo del comportamento organizzativo più soddisfatti. Le presentazioni realistiche del lavoro devono essere accompagnate da una adeguata formazione interculturale. Per formazione interculturale si intende una serie di esperienze strutturate, orientate ad aiutare i collaboratori in partenza nell’adattamento a una cultura straniera. Negli Stati Uniti si nota una tendenza alla maggiore diffusione di questo tipo di formazione; tuttavia, ci sono ancora ampie possibilità di miglioramento sul piano quantitativo e qualitativo. Secondo gli esperti, pur essendo dispendiosa, la formazione interculturale costa meno del fallimento di un incarico all’estero. I programmi di formazione devono necessariamente cambiare in considerazione della tipologia di incarico e per il rigore con il quale si affrontano i contenuti. Naturalmente una formazione di qualità necessita di un tempo più lungo e di maggiori risorse. • Incarichi a bassa complessità. La preparazione preventiva si limita a fornire materiale informativo, libri, lezioni, film, video e ricerche in Internet. • Incarichi a complessità media. La preparazione preveda un ruolo attivo dei partecipanti e va progettata attraverso lo studio di casi, role playing, simulazioni e una introduzione alla lingua del paese. • Incarichi a elevata complessità. Ai dipendenti in partenza viene fornita una formazione come nel caso precedente, più una buona conoscenza della lingua e un’esperienza sul campo nella cultura di loro interesse. Come esempio di quest’ultima categoria, la Pepsi manda “negli Stati Uniti circa 25 giovani manager stranieri ogni anno per un incarico annuale nei propri impianti di imbottigliamento”.75 Qual è l’approccio migliore? La ricerca fornisce interessanti spunti di riflessione. Uno studio riguardante espatriati statunitensi nella Corea del Sud ha portato i ricercatori a consigliare, come sistema ideale, la combinazione di una preparazione informativa preventiva e di una formazione attiva prima della partenza.76 Un altro studio recente condotto su 226 manager espatriati in Nigeria (di cui il 30% donne) e provenienti da Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania ha evidenziato la necessità di svolgere formazione interculturale prima della partenza e nel paese ospitante. Tra gli altri risultati significativi: • Esperienze all’estero precedenti favoriscono l’adattamento a una cultura straniera. • Tutti i tipi di formazione interculturale favoriscono l’adattamento, ma la formazione nel paese ospitante è la più efficace. • I collaboratori impiegati in mansioni tecniche hanno bisogno di meno formazione interculturale rispetto a coloro che detengono posizioni nel management, nel marketing e nelle relazioni pubbliche, caratterizzate da un grado elevato di contatti sociali. • La formazione esperienziale incentrata sulla cultura del paese ospitante, con partecipazione attiva in simulazioni di situazioni reali, favorisce l’adattamento in misura maggiore rispetto alle presentazioni sulla cultura fruite passivamente.77 A buon senso si può affermare che più l’addestramento interculturale è progettato con rigore più sarà efficace. Idealmente, al termine della formazione, i partecipanti dovrebbero aver sviluppato le nove competenze interculturali illustrate nella tabella 4-5. CompOrga.indb 94 11/01/2013 16.35.01 4 Comportamento organizzativo nel mondo: management interculturale Tabella 4-5 Competenze interculturali essenziali Fonte: estratto da Y. Yamazaki e D.C. Kayes, “An Experiential Approach to Cross-Cultural Learning: A Review and Integration of Competencies for Successful Expatriate Adaptation,” Academy of Management Learning and Education, dicembre 2004, Tabella 2, p. 372. Insieme di competenze interculturali Conoscenza o competenza necessaria Costruire relazioni Instaurare e mantenere rapporti con i membri della cultura ospitante Manifestare empatia per le differenze e sensibilità rispetto alle diversità Conoscere la storia culturale e le motivazioni alla base di determinate azioni e usanze culturali Riconoscere e interpretare i comportamenti impliciti, soprattutto i segnali non verbali Conoscere la lingua locale, i simboli e le altre forme di linguaggio verbale nonché la lingua scritta Comprendere le conseguenze volute e potenzialmente non volute delle azioni Gestire i dettagli di un lavoro, favorendo anche la coesione del gruppo Adottare prospettive diverse Comprendere l’umore, le emozioni e la personalità propri e altrui Valutare le persone di cultura diversa Ascoltare e osservare Gestire le ambiguità Tradurre informazioni complesse Agire e prendere l’iniziativa Gestire gli altri Essere elastici e flessibili Gestire lo stress Shock culturale: ansia e dubbi causati da un sovraccarico di situazioni e segnali sociali sconosciuti 95 Evitare lo shock culturale Vi siete mai trovati in una situazione totalmente sconosciuta che vi ha portato a sentirvi disorientati e forse un po’ spaventati? In caso affermativo avete già un’idea di cosa si intenda per shock culturale. Lo shock culturale comporta, secondo gli antropologi, ansia e dubbi causati da un sovraccarico di situazioni e segnali sociali sconosciuti.78 Gli studenti iscritti al primo anno di università sperimentano spesso una variante dello shock culturale; un manager in trasferta all’estero può sentirsi disorientato da tutta una serie di immagini, suoni e comportamenti, da segnali stradali illeggibili, cibi dal sapore strano, o dal fatto di non riuscire a strappare una risata con una barzelletta solitamente infallibile. Lo shock culturale, per un manager espatriato che cerca di seguire in ogni minimo dettaglio una negoziazione d’affari, più che un inconveniente imbarazzante è un vero e proprio disastro! Così come la matricola confusa abbandona l’università e torna a casa, il manager che subisce uno shock culturale spesso, preso dal panico, chiede un rientro anticipato. La migliore difesa consiste in una completa preparazione interculturale che comprenda lo studio intensivo della lingua. la cui conoscenza consente di cogliere sottili ma importanti segnali culturali. Sostegno durante l’incarico all’estero Quando all’espatriato tutto appare come una novità, soprattutto durante i primi sei mesi, è necessario un appropriato sistema di sostegno.79 Sponsor del paese ospitante, assegnati ai singoli manager o alle famiglie, sono figure consigliate per la loro funzione, paragonabile a quella dei cani guida per ciechi, dove la cecità in questo caso è di natura culturale. In un paese straniero, dove la più semplice commissione può trasformarsi in un compito estremamente stancante, gli sponsor possono risolvere rapidamente i problemi perché conoscono il territorio, sia da un punto di vista culturale che geografico. I dipendenti della Honda in Ohio, per esempio, hanno apprezzato l’aiuto degli sponsor familiari durante la loro formazione in Giappone. CompOrga.indb 95 11/01/2013 16.35.01 96 Parte I Il mondo del comportamento organizzativo La Honda ha semplificato la vita degli espatriati statunitensi grazie alle mogli dei dipendenti giapponesi che avevano vissuto negli Stati Uniti, intervenute nella gestione di varie emergenze, per esempio quando la piccola Ashley, figlia di Diana Jett, ha avuto bisogno di medicare una ferita al mento con punti di sutura. Quando la figlia di Kim Smalley, senior manager della task force, ha avuto problemi di inserimento scolastico e aveva bisogno di una particolare custodia per la sua armonica, una volontaria giapponese ha passato la notte in bianco per realizzarla.80 Evitare lo shock da rientro Per quanto possa sembrare strano, molti manager espatriati, anche di successo, hanno incontrato la loro prima grande difficoltà una volta portato a termine un incarico all’estero. Come si spiega tale fenomeno? Il ritorno alla propria cultura di origine è un passaggio dato per scontato perché considerato un fatto di routine; l’essere riusciti ad adattarsi al modo di gestire la quotidianità in un altro paese per un periodo di tempo esteso, tuttavia, può porre la propria cultura e tutto ciò che ne fa parte sotto una luce nuova e bizzarra. Tre sono i settori che possono provocare un eventuale shock da rientro: il lavoro, le attività sociali e l’ambiente complessivo (la politica, il clima, i mezzi di trasporto e il cibo). Il ritorno di Ira Caplan a New York City fornisce un esempio di tale shock. Nel corso degli ultimi 12 anni, vivendo per lo più in Giappone, Caplan e sua moglie avevano trascorso le vacanze in crociera sul Nilo o facendo trekking in Nepal. Gli Stati Uniti che ricordavano erano quelli di dodici anni prima. Guardando il suo paese con occhi diversi, i prezzi lo lasciano allibito, il livello di criminalità lo spaventa; ma ciò che più di tutto lo turba riguarda quanto di sé stesso si è lasciato alle spalle. Alle prese con una sindrome da ritorno tanto snervante quanto quella della partenza, Caplan si sente spaesato, trascurato e sminuito […] In un ristorante italiano, affollatissimo all’ora di pranzo, quando il cameriere ha posato davanti a lui una ciotola di linguine; il signor Caplan non è riuscito a trattenersi dall’osservare: “In Asia abbiamo porzioni più ridotte e persone più minute”. Non riesce a smettere di pensare all’Asia. Ha trascorso anni portando avanti un’esperienza in un territorio di enorme importanza, e ora questo non sembra interessare a nessuno. Questa è New York!81 Casi di difficoltà di adattamento al lavoro precedente sono riscontrabili per molti espatriati di diverse nazionalità, nordeuropei, giapponesi e americani.82 Poco dopo essere stato rimpatriato, dopo dodici anni trascorsi all’estero, un manager di un’azienda statunitense ha affermato: “La cultura aziendale che conoscevo è stata completamente ribaltata: adesso abbiamo altri obiettivi strategici, altri strumenti e parole chiave diverse. Ho dovuto imparare un ‘linguaggio’ aziendale completamente nuovo.”83 La portata dello shock da rientro può essere contenuta attraverso un servizio di sostegno e consulenza ai dipendenti e con sponsor del paese d’origine. Il solo fatto di essere consapevoli di tale problema rappresenta, di per sé, un importante passo avanti verso una concreta presa di posizione in merito.84 La chiave verso la piena riuscita di un incarico all’estero sta, sostanzialmente, nel vederlo come parte integrante della carriera piuttosto che come un’avventura isolata. CompOrga.indb 96 11/01/2013 16.35.02 Il comportamento individuale nelle organizzazioni Capitolo 5 Capitolo 6 Capitolo 7 Capitolo 8 Capitolo 9 CompOrga.indb 97 II Le differenze individuali Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa Percezioni e attribuzioni sociali I fondamenti della motivazione Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi 11/01/2013 16.35.02 Le differenze individuali 5 Un introverso può guidare Facebook verso il successo nel lungo periodo? Nel suo libro The Facebook Effect: The Inside Story of the Company That Is Connecting the World (in italiano, Facebook. La storia. Mark Zuckerberg e la sfida di una nuova generazione, traduzione di Ilaria Katerinov, Milano, Hoepli, 2011), David Kirkpatrick fornisce un quadro interessante della personalità e del carattere del fondatore e CEO di Facebook. Quello che segue è un ritratto di Mark Zuckerberg come brillante studente universitario e genio dell’informatica destinato a diventare CEO di un gigante del web. All’inizio del 2011, gli oltre 500 milioni di utenti attivi di Facebook (di cui oltre il 70% al di fuori degli Stati Uniti) condividevano all’incirca 30 miliardi di contenuti al mese.1 Mark Zuckerberg era un ragazzo basso e magro, introverso e sensibile, con i riccioli castani e le lentiggini: dimostrava quindici anni, anziché i diciannove che aveva [ad Harvard]. La sua uniforme era costituita da jeans larghi, sandali di gomma – anche in inverno – e una t-shirt con qualche disegno o scritta ironica. Una maglietta che indossava spesso in quel periodo raffigurava una scimmietta, CompOrga.indb 99 con la scritta “Code Monkey”. Con gli estranei appariva taciturno, ma era solo un’illusione: quando iniziava a parlare, era velenoso. Di solito restava in silenzio finché l’interlocutore non aveva finito di parlare. Ti fissava. Ti ascoltava nel più assoluto silenzio. Se trovava interessanti le parole dell’interlocutore alla fine diceva la sua e a quel punto era inarrestabile: un torrente di parole. Ma se lo annoiavi, se parlavi troppo o dicevi ovvietà, allora non ti considerava più, guardava oltre le tue spalle. Alla fine del tuo monologo mormorava: “Già!” poi cambiava argomento o si voltava dall’altra parte. Zuckerberg è un pensatore altamente intenzionale, razionale all’estremo. Con la sua grafia ordinata, meticolosa e minuscola, riempie quaderni con lunghe meditazioni. Alle ragazze piaceva il suo sorriso scanzonato, la sua baldanza, il senso dell’umorismo e l’irriverenza […]. Portava sempre stampata in faccia un’espressione soddisfatta che sembrava dire: “So il fatto mio”. Zuck, come lo chiamavano tutti, aveva l’aria di pensare che tutto sarebbe finito per il meglio, qualsiasi cosa avesse deciso di fare.2 11/01/2013 16.35.02 Parte II 100 Il comportamento individuale nelle organizzazioni Dal punto di vista biologico, le persone presentano più somiglianze che differenze. Quanto siamo simili gli uni agli altri? [Le risposte si trovano nei] centomila miliardi di cellule di ciascun essere umano. Ogni cellula contiene il DNA sotto forma di 46 cromosomi, di cui 23 ereditati dal padre e 23 dalla madre. Le molecole di DNA sono composte da quattro basi (adenina, timina, citosina e guanina) associate a due a due in una struttura denominata a doppia elica, simile a una scala a chiocciola. Il Progetto Genoma Umano ha determinato la sequenza esatta delle cosiddette coppie di basi che formano il DNA e identificato circa 20.500 geni, pressappoco lo stesso numero riscontrato negli scimpanzè e nei cani. Dal punto di vista genetico, i 7 miliardi di abitanti della Terra sono identici l’uno all’altro per il 99,5%. La variazione tra i genomi individuali è solo di una coppia di basi ogni 5.000. Considerato che il genoma è costituito da 3 miliardi di coppie di basi, si tratta di una variazione minima eppure essenziale: ad essa sono infatti riconducibili tutte le caratteristiche che differenziano un individuo dall’altro, che siano l’altezza, il peso, il colore degli occhi e dei capelli, oppure ancora il rischio di malattie cardiovascolari e di tumori.3 La gestione delle differenze individuali – dettate dalla minima variazione genetica che rende ciascuno di noi un individuo unico al mondo – è una sfida continua per i manager. Per esempio, come vi esprimete nell’ambiente di lavoro? Siete intraprendenti come Mark Zuckerberg o pigri? Solitari o socievoli? Vi considerate padroni del vostro destino o vittime delle circostanze? Siete emotivi o mantenete la calma in ogni situazione? La Figura 5-1 Una mappa per lo studio delle differenze individuali nel comportamento organizzativo L’individuo unico Tratti di personalità Valori personali Atteggiamenti/intenzioni di comportamento Forme di espressione di sé Capacità Concetto di sé • Autostima • Auto-efficacia • Auto-osservazione • Identificazione organizzativa Emozioni Soddisfazione lavorativa Definizione del successo CompOrga.indb 100 11/01/2013 16.35.02 5 Le differenze individuali 101 vostra soddisfazione lavorativa è alle stelle o ai minimi storici? È grazie a differenze individuali di questo tipo che le aziende sono composte da un tessuto umano ricco e interessante; la stessa caratteristica rende però infinitamente complesso il compito del manager. In effetti, le ricerche empiriche dimostrano che “la variabilità tra le persone che lavorano è cospicua a tutti i livelli, ma aumenta in maniera notevole al crescere della complessità delle mansioni. Nella vendita di polizze assicurative sulla vita, ad esempio, la variabilità in termini di performance è circa sei volte maggiore rispetto a quella che si riscontra in un normale lavoro impiegatizio”.4 La crescente diversità delle risorse umane obbliga il manager a considerare in modo completamente nuovo le differenze individuali. I manager di oggi, quindi, anziché limitare la diversità, come succedeva in passato, devono imparare a capire meglio la diversità dei collaboratori e le differenze individuali, e ad adattarvisi.5 In questo capitolo e nel prossimo analizzeremo le differenze individuali rappresentate nella figura 5-1. Lo schema è una sorta di mappa che illustra i collegamenti tra il concetto di sé e l’espressione di sé. Questo capitolo tratta in particolare il concetto di sé, la personalità, le capacità e le emozioni. Nel Capitolo 6 si parlerà invece di valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa. Tutti questi fattori, se presi nel loro insieme, costituiscono una base per accettare meglio ogni membro dell’organizzazione nella sua unicità di individuo. Il concetto di sé Concetto di sé: la percezione che una persona ha di sé stessa in quanto essere fisico, sociale, spirituale Cognizioni: la conoscenza, le opinioni, le convinzioni di un individuo CompOrga.indb 101 Quando vi guardate allo specchio, ovviamente riconoscete l’immagine riflessa: vedete voi stessi.6 Secondo gli scienziati, questa è una capacità poco comune nel regno animale, che solo uomini, scimmie, delfini e elefanti possono vantare.7 Tuttavia, che cosa sapete esattamente della persona che vedete nello specchio? In una ricerca in cui è stato chiesto a un gruppo di persone tra i 16 e i 70 anni cosa avrebbero fatto di diverso potendo rivivere la propria vita, il 48% degli intervistati ha scelto “Entrare in contatto con me stesso”.8 Questa sezione è mirata ad aiutarvi a entrare in contatto in modo più profondo con voi stessi, per comprendervi e gestirvi meglio e per meglio comprendere e gestire gli altri nell’ambiente di lavoro. Come ha affermato l’ex CEO di General Electric Jack Welch, “per essere un buon capo bisogna stare bene con se stessi”.9 Il sociologo Viktor Gecas definisce il concetto di sé come “l’idea che l’individuo ha di sé stesso come essere fisico, sociale, spirituale e morale”.10 In questo modo, ci si riconosce come un essere umano distinto. Il concetto di sé non potrebbe esistere senza il pensiero; e questo ci porta a parlare del ruolo delle cognizioni. Esse rappresentano “qualsiasi conoscenza, opinione o convinzione sull’ambiente circostante, su sé stessi, sul proprio comportamento”.11 Tra tutte le tipologie di cognizioni, alcune sono particolarmente rilevanti per il comportamento organizzativo. Ci concentreremo ora su tre argomenti onnipresenti nelle discussioni sul concetto di sé tra gli studiosi del comportamento: autostima, auto-efficacia e auto-osservazione. Analizzeremo inoltre le implicazioni dell’identificazione organizzativa, in altre parole gli aspetti sociali del sé. Ognuno degli argomenti citati deve essere esaminato a fondo da chi vuole capire meglio e gestire in modo efficace sé stesso e gli altri. 11/01/2013 16.35.02 Parte II 102 Il comportamento individuale nelle organizzazioni L’autostima Autostima: la valutazione complessiva di un individuo su se stesso e sul proprio valore L’autostima è l’opinione di un individuo sul proprio valore basata su una complessiva autovalutazione.12 I successi personali e i riconoscimenti tendono ad accrescere l’autostima, mentre i periodi prolungati di disoccupazione, i rapporti interpersonali difficili e persino le semplici “giornate storte” possono scalfirla.13 L’autostima si misura chiedendo agli intervistati di indicare se sono d’accordo o meno con affermazioni positive e negative. Ecco un esempio di affermazione positiva in un questionario generico sull’autostima: “So di essere una persona che vale, mi sento alla pari degli altri”.14 Ecco invece un esempio di affermazione negativa: “Non c’é molto di cui possa essere orgoglioso”.15 Gli individui che si dichiarano d’accordo con le affermazioni positive e in disaccordo con quelle negative hanno un alto livello di autostima, si considerano validi, capaci e degni di accettazione. Gli individui con bassi livelli di autostima si considerano in termini negativi, non hanno sensazioni positive su se stessi e sono bloccati nelle loro azioni dall’insicurezza; la ricerca ha dimostrato che tendono ad avere problemi di salute e rapporti sociali di bassa qualità, oltre a essere maggiormente esposti al rischio di depressione.16 L’autostima in altre culture Quali sono le implicazioni interculturali dell’autostima, concetto prettamente occidentale? Uno studio condotto su 13.118 studenti provenienti da 31 paesi ha rilevato una correlazione moderatamente positiva tra autostima e livello di soddisfazione generale. Il rapporto cresce nelle culture individualistiche (ad esempio in quella statunitense, canadese, neozelandese e olandese) rispetto alle culture collettivistiche (ad esempio quella coreana, keniota o giapponese). I ricercatori ne traggono la conclusione che le culture individualistiche insegnano alle persone a concentrarsi su sé stesse, mentre nelle culture collettivistiche le persone “vengono cresciute in modo che si adattino alla comunità e facciano il loro dovere. Quindi, per un individuo appartenente a una società collettivistica l’idea di sé stesso è meno rilevante nel determinare il livello di soddisfazione generale relativamente alla propria vita”.17 I manager che operano a livello globale devono ricordarsi di dare meno importanza all’autostima quando si trovano a lavorare all’interno di culture collettivistiche (“del noi”), mentre, al contrario, devono darne molta all’interno di culture individualistiche (“dell’io”). L’auto-efficacia Auto-efficacia: convinzione di una persona sulla propria capacità di raggiungere un risultato CompOrga.indb 102 Una certa fiducia in sé stessi, che contribuisce al raggiungimento dei risultati, è essenziale negli attuali ambienti di lavoro, particolarmente esigenti. La fiducia in sé stessi supportata da risultati concreti richiede, oltre all’autostima, anche l’auto-efficacia.18 L’auto-efficacia è la convinzione che una persona ha sulle proprie possibilità di riuscire a portare a termine con successo un determinato compito. Uno studioso di comportamento organizzativo sostiene che “l’auto-efficacia deriva dall’acquisizione graduale, mediante l’esperienza, di complesse capacità cognitive, sociali, linguistiche e/o fisiche”.19 I modelli di ruolo possono aiutare gli individui a sviluppare l’auto-efficacia. La relazione tra auto-efficacia e performance è di tipo ciclico. I cicli di efficacia → performance possono sia salire a spirale verso il successo, sia scendere verso il fallimento.20 Gli studiosi hanno documentato l’esistenza di stretti legami tra grandi aspettative 11/01/2013 16.35.02 5 Le differenze individuali 103 di auto-efficacia e il successo in compiti diversi, di tipo sia fisico che intellettuale, la riduzione dell’ansia, il controllo della dipendenza, la tolleranza al dolore, la guarigione da malattie, la mancanza di stress, l’assenza di mal di mare tra i marinai cadetti, l’esercizio fisico e l’apprendimento.21 Al contrario, le persone con basse aspettative di auto-efficacia tendono ad avere bassi tassi di successo. Sebbene il termine auto-efficacia faccia pensare a qualche strana alchimia mentale, in realtà essa opera in modo molto semplice, come si vedrà dal modello spiegato di seguito. Quali sono i meccanismi dell’auto-efficacia? La figura 5-2 illustra un modello base dell’auto-efficacia, che si fonda sulla ricerca dello psicologo Albert Bandura, dell’Università di Stanford. Esploriamo questo modello con un semplice esercizio. Immaginate di dover preparare e tenere una lezione di comportamento organizzativo di 10 minuti davanti a un gruppo di 50 studenti. Il tema è il funzionamento del modello sull’autoefficacia illustrato in figura 5-2. I calcoli sull’auto-efficacia che farete comprenderanno una valutazione cognitiva dell’interazione tra la vostra capacità percepita e le opportunità e gli ostacoli contingenti. Mentre vi preparate per la lezione, entreranno in gioco le quattro fonti dell’autoefficacia. Dal momento che le esperienze precedenti costituiscono, secondo Bandura, la fonte più incisiva, esse occupano il primo posto e nella figura sono connesse alle opinioni sull’auto-efficacia con una linea continua. La vostra auto-efficacia, insomma, aumenterebbe se aveste già riscosso successo in passato nel parlare in pubblico; in caso di insuccesso, l’esperienza negativa contribuirebbe a diminuire la vostra auto-efficacia. Se considerate i modelli comportamentali come una fonte di convinzioni sull’autoefficacia, sarete influenzati da quanto i vostri compagni di corso riescano efficacemente a parlare in pubblico. I successi degli altri tenderanno a darvi coraggio (o forse anche i loro fallimenti, se siete persone molto competitive e con un alto livello di autostima). Allo stesso modo, ogni atteggiamento di sostegno da parte dei compagni, convinti che farete un buon lavoro, aumenterà la vostra auto-efficacia. Altri fattori che potrebbero influire sulla fiducia in voi stessi sono di natura fisica ed emotiva; un attacco improvviso di laringite o di panico da palcoscenico potrebbero far crollare le vostre aspettative di auto-efficacia. La vostra valutazione cognitiva della situazione darà vita a una valutazione di auto-efficacia variabile, che determina un’alta o bassa aspettativa di successo. È importante sottolineare che le valutazioni sull’auto-efficacia non devono intendersi come affermazioni di uno sbruffone: tutt’altro, si tratta invece di convinzioni profonde basate sull’esperienza. Prendiamo ora in esame gli schemi comportamentali rappresentati in figura 5-2: possiamo vedere come vengono esternate le valutazioni di auto-efficacia. In breve: se avete un alto livello di auto-efficacia nei confronti del discorso da preparare, lavorerete di più, in modo più creativo e più a lungo rispetto ai compagni che hanno invece un basso livello di auto-efficacia, e i risultati verranno di conseguenza. Ci si prepara al successo o al fallimento impersonando le proprie aspettative di auto-efficacia. A loro volta, i risultati positivi o negativi ottenuti diventano un feedback per la base personale di esperienza. Implicazioni dell’auto-efficacia per i manager I risultati delle ricerche condotte sui luoghi di lavoro incoraggiano i manager ad alimentare l’auto-efficacia sia in sé stessi CompOrga.indb 103 11/01/2013 16.35.02 Parte II 104 Fonti delle convinzioni sull’auto-efficacia Feedback Esperienze precedenti Alta “So che posso farcela” Modelli di comportamento Convinzioni sull’auto-efficacia Persuasione che viene dagli altri Valutazione dello stato fisico/ emotivo Bassa “Penso di non farcela” Il comportamento individuale nelle organizzazioni Schemi comportamentali • Essere ativo selezionare le migliori opportunità • Gestire la situazione, evitare o neutralizzare eventuali ostacoli • Stabilire degli obiettivi, definire i criteri • Pianificare, preparare, mettere in pratica • Provare con impegno perseverare • Risolvere i problemi in modo creativo • Trarre insegnamento dalle sconfitte • Visualizzare il successo. • Limitare lo stress • Essere passivo • Evitare gli incarichi difficili • Avere aspirazioni limitate e impegnarsi poco • Concentrarsi sui propri difetti • Non provarci, metterci un impegno minimo • Lasciarsi scoraggiare dagli insuccessi e abbandonare • Attribuire i fallimenti alla mancanza di capacità o alla sfortuna • Preoccuparsi, essere stressati, deprimersi • Trovare delle scuse per giustificare il fallimento Risultati Successo Fallimento Figura 5-2 Un modello che spiega come l’auto-efficacia possa portare al successo o al fallimento Fonte: adattamento dalla discussione in A Bandura,“Regulation of Cognitive Processes through Perceived Self-Efficacy” Developmental Psychology, settembre 1989, pp. 729-35; e R. Wood e A. Bandura,“Social Cognitive Theory of Organizational Management,” Academy of Management Review, luglio 1989, pp. 361-84. CompOrga.indb 104 11/01/2013 16.35.02 5 Le differenze individuali 105 sia negli altri. In effetti, da una meta-analisi su 21.616 soggetti è emersa una rilevante correlazione positiva tra l’auto-efficacia e le prestazioni lavorative.22 Negli ambienti di lavoro, l’auto-efficacia può essere incrementata mediante politiche di assunzione attente, compiti sfidanti, formazione e coaching, determinazione di obiettivi, leadership supportiva e mentoring, nonché riconoscimenti per i progressi evidenziati. L’auto-osservazione Confrontate queste due situazioni: 1. Mentre correte per arrivare in orario a un incontro di lavoro, un collega vi prende da parte e inizia a parlarvi di un problema personale. Volendo interrompere la conversazione, guardate l’ora, ma lui continua a parlare. Allora dite: “Ho una riunione importante, sono in ritardo”; non si ferma ancora. A questo punto vi girate e ve ne andate. La persona in questione continua a parlare, come se non avesse ricevuto nessuno dei segnali verbali e non verbali che gli avete inviato per chiudere la conversazione. 2. Stessa situazione. Questa volta, però, quando guardate l’ora, il vostro collega dice subito: “Oh, so che devi andare, scusami tanto. Parleremo più tardi”. Auto-osservazione: la capacità di osservare il proprio comportamento autoespressivo, adattandolo alla situazione Nella prima situazione, peraltro alquanto frequente, l’interlocutore era una persona “a basso livello di auto-osservazione”, mentre nel secondo caso il livello era alto. Tra i due individui emerge una differenza fondamentale nel comportamento auto-espressivo; si parla di auto-osservazione per indicare quanto una persona osservi il proprio comportamento auto-espressivo e quanto lo adatti alle diverse situazioni. Si ritiene che le persone con un alto livello di auto-osservazione regolino la loro presentazione espressiva in base all’immagine di sé che desiderano dare in pubblico, per cui sono molto reattivi a tutti i segnali sociali e interpersonali che indicano quanto la loro performance risulti adeguata alla situazione. Sembra invece che le persone con un basso livello di auto-osservazione manchino della capacità o della motivazione a regolare la propria auto-presentazione espressiva. I comportamenti espressivi di queste persone rifletterebbero invece in modo funzionale i loro stati interiori, sia quelli permanenti, sia quelli momentanei, ivi inclusi gli atteggiamenti, i sentimenti e le caratteristiche di ognuno.23 Nella vita organizzativa sono soggette a critiche entrambe le tipologie di persone. Gli individui con un alto livello di auto-osservazione vengono talvolta chiamati camaleonti, perché riescono velocemente ad adattare il loro modo di presentarsi a ciò che li circonda. Chi invece ha un basso livello di questa qualità viene spesso tacciato di insensibilità nei confronti degli altri, rimproverandogli di vivere in un mondo tutto suo. Una questione di misura L’auto-osservazione non è una caratteristica che può essere presente o assente: è una questione di misura, che si traduce nella collocazione in un punto alto o basso di una scala che misura gli schemi di espressione di sé. Consideriamo per esempio la seguente descrizione di una persona con un basso livello di CompOrga.indb 105 11/01/2013 16.35.03 106 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni auto-osservazione: “Abbiamo una dipendente che trasforma ogni interazione (relativa al lavoro e non) in una conversazione che la riguarda. Al di là di questo, sa fare bene il suo lavoro, ma i colleghi iniziano a evitarla e a evitare i gruppi di cui fa parte. ‘Monopolizza anche l’ossigeno’ ha affermato un collega.”24 Quali sono le vostre tendenze di auto-osservazione? Conseguenze operative delle ricerche Da una meta-analisi condotta di recente su 23.191 soggetti di 136 campioni, è emerso che l’auto-osservazione è una caratteristica importante e utile quando si ha a che fare con le prestazioni lavorative e i leader emergenti.25 Gli studi empirici e l’esperienza pratica ci hanno condotto a definire alcune raccomandazioni: • Per tutti, con qualunque livello di auto-osservazione: diventate maggiormente consapevoli della vostra immagine e di come questa influenzi gli altri. • Per chi ha un alto livello di auto-osservazione: non esagerate trasformandovi da un buon camaleonte in un individuo che è percepito da molti come sleale, inaffidabile e falso. Non è possibile piacere a tutti. • Per chi ha un basso livello di auto-osservazione: è possibile piegarsi senza spezzarsi, quindi dovete cercare di essere un pochino più accomodanti, pur rimanendo fedeli ai vostri principi di base. Non esaurite l’atteggiamento positivo durante la comunicazione. Fate esercizio di lettura e di adattamento ai segnali non verbali da parte del pubblico in diverse situazioni. Se l’interlocutore appare annoiato o distratto, smettete di parlare, perché non vi sta davvero ascoltando. L’identificazione organizzativa Identificazione organizzativa: si verifica quando valori e norme organizzative diventano parte dell’identità di un individuo CompOrga.indb 106 La linea che divide il sé dagli altri non è netta né precisa. In certi casi si verifica una sorta di confusione, ad esempio quando un collaboratore fa coincidere sé stesso con una specifica organizzazione, un processo psicologico detto identificazione organizzativa. Uno studioso di questo tema, emergente all’interno del comportamento organizzativo, sostiene che “l’identificazione organizzativa avviene quando una persona va a integrare all’interno della propria identità i principi relativi all’organizzazione”.26 L’identificazione organizzativa è un processo centrale all’interno della cultura e della socializzazione organizzativa (si veda la discussione in proposito nel Capitolo 3). I manager di oggi danno molta importanza alla missione, alla filosofia, ai valori dell’organizzazione, con l’intento esplicito di integrare l’azienda all’interno dell’identità di ciascun collaboratore. A rigor di logica, il dipendente che si identifica strettamente con l’organizzazione dovrebbe, essere più leale e impegnato e lavorare di più. Un caso estremo di identificazione organizzativa è quello dei dipendenti delle fabbriche Harley Davidson: tanto forte è il legame che molti di loro portano il logo dell’azienda tatuato sulla pelle. Lavorare alla Harley non è solo un lavoro, ma uno stile di vita (è difficile immaginare un dipendente con tatuato il logo della General Motors o della Burger King). Farsi tatuare il logo della propria azienda può sembrare un comportamento estremo, e anche un po’ ridicolo, ma ci sono profonde implicazioni etiche dietro a un’eccessiva 11/01/2013 16.35.03 5 Le differenze individuali 107 identificazione con il proprio datore di lavoro. Quando i collaboratori sospendono il pensiero critico e perdono oggettività, può nascere un “groupthink” deleterio, e il conflitto costruttivo può venir meno (affronteremo il groupthink nel Capitolo 10, il conflitto funzionale nel Capitolo 13). La personalità: concetti e controversie Personalità: insieme delle caratteristiche fisiche e mentali costanti che determinano l’identità di un individuo Ogni individuo pensa e agisce in modo unico: c’è uno stile che lo contraddistingue, detto anche personalità. Si definisce personalità l’insieme delle caratteristiche fisiche e mentali stabili che formano l’identità di un individuo.27 Tali caratteristiche (o tratti), ivi compresi l’aspetto e il modo di pensare, agire e sentire, sono il prodotto dell’interazione tra influssi genetici e ambientali.28 In questo paragrafo introduciamo i cosiddetti “Big Five”, ossia le grandi dimensioni della personalità, esploriamo la personalità proattiva e indichiamo alcune cautele da seguire nell’indagare la personalità sul posto di lavoro. I Big Five Decenni di ricerche hanno prodotto liste lunghissime e caotiche di dimensioni della personalità: uno studio recente ha identificato 1.710 aggettivi in inglese per descrivere gli aspetti della personalità.29 Fortunatamente, con l’ausilio della statistica si è giunti a identificare i cosiddetti Big Five,30 ossia cinque dimensioni maggiori: l’estroversione, l’amabilità, la coscienziosità, la stabilità emotiva e l’apertura a nuove esperienze (le descrizioni si trovano nella tabella 5-1). Esistono dei test standardizzati per indagare, sia in senso positivo che negativo, in ognuno dei Big Five. Se, ad esempio, una persona ha un punteggio negativo nell’estroversione, ci troveremo di fronte a un individuo introverso, che tende a essere timido e riservato. Chi invece ottiene un punteggio negativo nella stabilità emotiva sarà nervoso, teso, arrabbiato e impaurito (per la precisione, l’estremo negativo della scala che misura la stabilità emotiva viene etichettato come nevroticismo). Il punteggio che ognuno ottiene nei Big Five rivela un profilo personale unico e irripetibile, proprio come le impronte digitali. Il profilo della personalità di un individuo tende a risultare stabile nel tempo. Secondo le conclusioni di una recente meta-analisi, Tabella 5-1 Le cinque dimensioni principali della personalità (Big Five) Dimensione Caratteristiche di un individuo che registra un punteggio positivo in questa dimensione 1. 2. 3. 4. 5. Aperto, loquace, socievole, assertivo Fiducioso, ben disposto, cooperativo, sensibile Affidabile, responsabile, orientato al successo, perseverante Rilassato, sicuro, tranquillo Intellettuale, fantasioso, curioso, mentalmente aperto Estroversione Amabilità Coscienziosità Stabilità emotiva Apertura a nuove esperienze Fonte: adattamento da M.R. Barrick e M.K. Mount, “Autonomy as a Moderator of the Relationships between the Big Five Personality Dimensions and Job Performance,” Journal of Applied Psychology, febbraio 1993, pp. 111-18 CompOrga.indb 107 11/01/2013 16.35.03 108 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni “sia i profili normali sia i profili caratterizzati da disturbi della personalità sono molto stabili nell’arco della vita e i pazienti in terapia non evidenziano cambiamenti della personalità più rilevanti degli individui non in terapia.”31 Per coloro che sono interessati al comportamento nell’ambiente di lavoro è importante conoscere il collegamento esistente tra i Big Five e la performance lavorativa. Idealmente, il fatto che la correlazione tra le cinque grandi dimensioni della personalità e la performance sul lavoro sia stretta e forte risulterebbe utile per la selezione, formazione e valutazione del personale. Fornisce una valida indicazione in questo senso una meta-analisi di 117 ricerche su 23.994 soggetti impiegati in professioni diverse.32 Tra i Big Five, la coscienziosità ha registrato la più forte correlazione positiva con le prestazioni sul lavoro e durante la formazione. I ricercatori sostengono che “gli individui che mostrano caratteristiche associabili a un forte senso dell’obiettivo da raggiungere, al senso del dovere e alla tenacia, in genere rendono di più rispetto ai loro colleghi”.33 Studi recenti hanno fornito utili consigli pratici per aiutare i dipendenti coscienziosi a ottenere buone prestazioni: nello specifico, si è visto che essi preferiscono la leadership incentrata sugli obiettivi, per esempio i lavori altamente complessi, e necessitano di un feedback che ne favorisca l’apprendimento senza frustrarne i tentativi di raggiungere i risultati.34 Non sorprende che gli imprenditori evidenzino un’elevata coscienziosità.35 Un altro risultato interessante: l’estroversione presenta una correlazione positiva con lo sviluppo delle carriere, il livello salariale e la soddisfazione lavorativa. E, come ci si potrebbe aspettare, il nevroticismo (ossia una scarsa stabilità emotiva) è stato associato con un basso livello di soddisfazione legato alla carriera.36 La personalità proattiva Personalità proattiva: persona portata all’azione, che dimostra iniziativa e persegue il cambiamento Locus of control interno: attribuire i risultati alle proprie azioni Locus of control esterno: attribuire i risultati a circostanze che esulano dal proprio controllo CompOrga.indb 108 Come si evince da quanto detto sopra, chi ottiene un punteggio alto nella dimensione della coscienziosità è, probabilmente, un buon lavoratore. Thomas S. Bateman e J. Michael Crant hanno fatto un passo avanti in questo settore con la formulazione del concetto di personalità proattiva. I due studiosi definiscono e caratterizzano la personalità proattiva in questi termini: “una persona relativamente libera rispetto alle situazioni specifiche e che attua un cambiamento nell’ambiente. Le persone proattive identificano le opportunità e agiscono su di esse, dimostrano spirito di iniziativa, agiscono e perseverano sino a ottenere cambiamenti significativi”.37 Hanno quello che i ricercatori definiscono un locus of control interno, la convinzione di controllare gli eventi e le loro conseguenze.38 Una persona di questo tipo ha la tendenza ad attribuire alle proprie capacità i risultati positivi, ad esempio il superamento di un esame o un avanzamento di carriera. Allo stesso modo, si ritiene responsabile dei propri fallimenti, attribuendone la causa a mancanze personali: non aver passato un esame, ad esempio, per una persona di questo tipo dipenderebbe dal non aver studiato a sufficienza. Al contrario, gli individui che hanno un locus of control esterno tendono ad attribuire gli eventi a cause ambientali, come la fortuna o il destino.39 Analizzando le ricerche sull’argomento, Crant ha scoperto una correlazione positiva tra la personalità proattiva e il successo personale, di gruppo e dell’organizzazione di appartenenza.40 11/01/2013 16.35.03 5 Le differenze individuali 109 Gli imprenditori di successo costituiscono un esempio di personalità proattiva. In generale, le persone dotate di personalità proattiva sono davvero da considerare un capitale umano, nell’accezione data nel Capitolo 1. Chi è intenzionato a progredire farebbe bene a coltivare lo spirito di iniziativa, le inclinazioni e la perseveranza tipici degli individui proattivi, e i manager dovrebbero aumentare questo tipo di persone tra i loro collaboratori. È corretto utilizzare i test di personalità sul posto di lavoro? L’uso di test di personalità per decidere relativamente ad assunzioni, formazione e promozioni è molto comune. Esiste purtroppo il grave problema della somministrazione approssimativa dei test. Annie Murphy Paul, autrice del libro The Cult of Personality,41 spiega: Gli psicologi favorevoli all’uso di test di personalità, e talvolta le società che li elaborano, affermano spesso che esistono modalità ideali di impiego di questi test, per esempio chiedere a uno psicologo di condurre uno studio della mansione e mettere a punto o personalizzare un test specifico, somministrarlo ai candidati e mantenere la riservatezza sui risultati. A mio parere, però, in realtà si acquistano test standardizzati che vengono somministrati indiscriminatamente da persone prive di formazione e qualifiche adeguate senza poi curarsi di mantenere la riservatezza sui risultati. Nonostante si parli tanto di standard sull’utilizzo corretto [dei test di personalità], nel mondo reale non si fa che improvvisare.42 Altri potenziali problemi legati all’uso di test di personalità in ambito lavorativo sono la possibilità di fingere e il rischio di utilizzo discriminatorio. Una simulazione computerizzata ha dimostrato che è possibile simulare la coscienziosità, una dimensione essenziale dei Big Five.43 I suggerimenti pratici forniti nella tabella 5-2 possono aiutare i manager a evitare di incorrere in utilizzi scorretti o discriminatori dei test di personalità e psicologici per le assunzioni. I test delle competenze relative alla mansione e i colloqui comportamentali sono due buone alternative ai test di personalità. Passiamo ora a esaminare le capacità e l’intelligenza. Capacità (intelligenza) e performance Capacità: caratteristiche costanti che determinano la massima prestazione fisica o intellettuale di una persona Abilità: capacità specifiche nel manipolare oggetti CompOrga.indb 109 Le diverse capacità e abilità che caratterizzano ciascun individuo sono di vitale importanza per una attenta gestione manageriale. Infatti i risultati perseguibili sono strettamente legati alle tipologie di persone che vengono impiegate per raggiungerli. Con capacità si intende una caratteristica generale e stabile di un individuo, responsabile della sua massima (non tipica) performance nello svolgimento di determinati compiti fisici o mentali. Una abilità, invece, è la specifica competenza di un individuo di manipolare fisicamente degli oggetti. Per capire la differenza tra le due, provate a immaginare di essere l’unico passeggero di un piccolo aereo in cui il pilota è svenuto. L’aereo scen- 11/01/2013 16.35.03 110 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni Tabella 5-2 Consigli e avvertimenti sull’utilizzo dei test di personalità negli ambienti di lavoro I consigli sotto elencati sono quelli che i ricercatori, gli autori dei test e le aziende che si occupano di valutazione del personale forniscono per giudicare la validità dei test attualmente in uso nella previsione della performance lavorativa. • Stabilisci tu l’obiettivo che ti poni. Se persegui l’abbinamento perfetto tra persona e lavoro, analizza quali sono gli aspetti della posizione che possono determinarlo. • Cerca un consulente esterno che ti aiuti a valutare se esiste o se è possibile elaborare un test per selezionare quali candidati siano più adatti alla posizione offerta. Rivolgiti a psicologi aziendali, associazioni di categoria oppure consulta uno dei siti Internet dedicati all’argomento. • Assicurati che ogni test adottato sia scientificamente provato per lo scopo che ti sei prefisso. Chi lo vende dovrebbe essere in grado di citare almeno una ricerca indipendente che provi la sussistenza di una correlazione del test con la performance lavorativa. • Chiedi al tuo fornitore di documentare la legalità del test acquistato: è corretto? è strettamente connesso al lavoro? Comporta qualche forma di discriminazione di tipo razziale o etnico? Viola il diritto alla privacy in base alle leggi vigenti? Il fornitore dovrebbe presentare una dichiarazione legale a garanzia che il test non discrimina alcuna fascia protetta; i datori di lavoro, da parte loro, hanno il diritto di sentire anche l’opinione dei propri legali a proposito. • Assicurati che tutti i membri dello staff che sottoporranno i test ai dipendenti o analizzeranno i risultati siano adeguatamente preparati a farlo e mantengano il segreto sui risultati. Usa i punteggi dei test di personalità in concomitanza ad altre valutazioni che ritieni fondamentali per il posto di lavoro – come capacità ed esperienza – per valutare in modo completo le qualità di ciascuna persona; applica gli stessi criteri a ciascun candidato. Fonte: S. Bates, “Personality Counts,” HR Magazine, febbraio 2002, p. 34. de in picchiata: impegno e capacità non basteranno per salvarvi, se non possedete le necessarie abilità pratiche, saper pilotare un aereo. Come si vede nella figura 5-3, una performance di successo (sia nel far atterrare un velivolo sia nell’esecuzione di qualsiasi altro compito) dipende da una combinazione di impegno, capacità e abilità. Tra le numerose abilità e competenze auspicabili nella vita organizzativa ci sono la comunicazione scritta e orale, l’iniziativa, la capacità di prendere decisioni e di risolvere problemi, la tolleranza, l’adattabilità e l’elasticità. Non bisogna dimenticare che le precauzioni che abbiamo auspicato nei confronti dei test di personalità sul lavoro vanno estese anche ai test di capacità, intelligenza e competenza. Nella presente sezione esploreremo l’intelligenza, alcune capacità cognitive specifiche e la controversa idee delle intelligenze multiple. Figura 5-3 La performance dipende dalla giusta combinazione di impegno, capacità e abilità pratiche Capacità Performance Impegno Abilità CompOrga.indb 110 11/01/2013 16.35.03 5 Le differenze individuali 111 Intelligenza e capacità cognitive Intelligenza: capacità di elaborare un pensiero costruttivo, ragionare e risolvere problemi Gli esperti non sono arrivati a una definizione univoca, ma si può dire che l’intelligenza rappresenta la capacità dell’individuo di pensare in modo costruttivo, ragionare e risolvere problemi.44 Nel passato si riteneva che l’intelligenza fosse una capacità innata che si tramandasse geneticamente da una generazione all’altra. La ricerca ha però dimostrato che l’intelligenza, così come la personalità e altri aspetti individuali, è funzione anche degli influssi ambientali e del contesto più generale.45 Più di recente sono state aggiunte anche altre concause, come i fattori organici: è stato infatti provato con sempre maggiore evidenza che esiste una connessione tra l’utilizzo di alcol e droga nelle donne in gravidanza e l’insorgere di problemi nello sviluppo intellettivo dei figli.46 Negli ultimi anni i ricercatori hanno ottenuto risultati interessanti relativamente all’intelligenza. Negli ultimi 70 anni si è osservato un aumento continuo e significativo dell’intelligenza media nelle nazioni sviluppate. Perché? Gli esperti, riuniti in una conferenza della American Psychological Association, hanno decretato che “una combinazione tra un miglior livello di istruzione, un miglioramento nello status socioeconomico e una società più complessa a livello tecnologico potrebbe essere la causa dell’aumento nei punteggi di QI”.47 Quindi, se qualche giovane pensa di essere più brillante dei suoi genitori o dei suoi insegnanti, nonostante questi lo critichino perché ignora tante cose importanti, probabilmente ha ragione! Due tipologie di capacità L’intelligenza umana è stata studiata con un approccio sostanzialmente empirico. Dall’esame delle correlazioni tra le misure delle capacità mentali e il comportamento, gli studiosi hanno isolato statisticamente le principali componenti dell’intelligenza. Utilizzando questa procedura, Charles Spearman, psicologo che ha avuto un ruolo pionieristico in questo tipo di studi, ha avanzato nel 1927 l’ipotesi che la performance cognitiva fosse determinata da due tipologie di capacità. La prima si può definire come una capacità mentale generale necessaria in tutti i compiti cognitivi. La seconda è caratteristica peculiare del compito in esame.48 Ad esempio, la capacità di un individuo di fare parole crociate è funzione delle sue generiche capacità mentali, ma anche della sua abilità specifica di percepire una struttura guardando delle parole complete solo in parte. Sette capacità mentali principali Nel corso degli anni molte sono state le ricerche che hanno cercato di approfondire ed espandere le idee di Spearman sulla relazione tra capacità cognitive e intelligenza. Uno psicologo è arrivato a compilare una lista di 120 capacità mentali diverse. La tabella 5-3 contiene la definizione delle sette più citate. Quattro di queste in particolare, secondo i ricercatori che si occupano di selezione del personale, sono valide per prevedere le performance dei potenziali candidati a un posto di lavoro: le capacità verbale, numerica, spaziale e di ragionamento induttivo.49 Siamo dotati di intelligenze multiple? Nel suo libro del 1983 Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences (in italiano, Formae mentis: saggio sulla pluralità dell’intelligenza, traduzione di Libero Sosio, CompOrga.indb 111 11/01/2013 16.35.03 Parte II 112 Il comportamento individuale nelle organizzazioni Tabella 5-3 Capacità mentali che sottendono la performance Capacità Descrizione 1. Comprensione verbale 2. Padronanza del vocabolario Capacità di cogliere il significato delle parole e capire con prontezza ciò che si legge Capacità di pronunciare parole isolate che rispondano a specifici requisiti simbolici o strutturali (come, ad esempio, parole che inizino con la lettera b e contengano due vocali) Capacità di eseguire calcoli aritmetici, ad esempio l’addizione e la sottrazione, in modo veloce e preciso Essere in grado di percepire schemi spaziali e visualizzare la trasformazione di forme geometriche al variare della posizione o della forma Avere buona memoria per parole accoppiate, simboli, liste di numeri o altro genere di elementi associati Capacità di percepire figure, riconoscere somiglianze e differenze e portare a termine compiti che implicano una percezione visiva Capacità di trarre conclusioni generali partendo da elementi specifici 3. Numerica. 4. Spaziale 5. Di memoria 6. Velocità percettiva 7. Ragionamento induttivo Fonte: adattamento da M.D. Dunnette, “Aptitudes,Abilities, and Skills,” in Handbook of Industrial and Organizational Psychology, a cura di M.D. Dunnette (Skokie, IL: RandMcNally, 1976), pp. 478-83. Feltrinelli, Milano, 2010) il professore della Harvard Graduate School of Education Howard Gardner ha proposto un nuovo paradigma dell’intelligenza umana.50 Successivamente lo studioso ha identificato otto diverse forme di intelligenza, che ampliano enormemente il concetto di intelligenza così come è stato inteso per lungo tempo. La teoria delle intelligenze multiple di Gardner abbraccia non solo le capacità cognitive, ma anche le capacità e abilità sociali e fisiche: • • • • • • • • Intelligenza linguistica: capacità di apprendere e usare le lingue in forma scritta e orale. Intelligenza logico-matematica: capacità legate al ragionamento deduttivo, all’analisi dei problemi e al calcolo matematico. Intelligenza musicale: capacità di apprezzare la musica, talento nel comporre e suonare uno o più strumenti. Intelligenza corporeo-cinestesica: capacità di usare la mente e il corpo per coordinare i movimenti. Intelligenza spaziale: capacità di riconoscere e utilizzare schemi di vario genere. Intelligenza interpersonale: capacità di entrare in sintonia con gli altri, comprenderli e collaborare efficacemente. Intelligenza intrapersonale: capacità di comprendere sé stessi e controllarsi. Intelligenza naturalistica: capacità di vivere in armonia con l’ambiente.51 Molti educatori e genitori hanno sposato la teoria delle intelligenze multiple perché spiega come mai un bambino possa riportare un punteggio basso nei test che misurano il QI pur essendo palesemente dotato di specifiche capacità (per esempio musicali, sportive o di relazione). Secondo i sostenitori, il concetto di intelligenze multiple sottolinea la necessità di aiutare i bambini a sviluppare le doti mentali e fisiche seguendo i propri ritmi. Inoltre, i testi standardizzati di misurazione del QI coprono solo i primi CompOrga.indb 112 11/01/2013 16.35.03 5 Le differenze individuali 113 due tipi di intelligenza dell’elenco sopra riportato e un punteggio basso può diventare un peso per via di stereotipi e pregiudizi. Nel contempo, gran parte degli psicologi accademici e degli esperti in materia continuano a criticare il modello di Gardner perché troppo soggettivo e male integrato, preferendo il modello tradizionale di intelligenza come variabile unitaria misurabile mediante un solo test. Per quanto ci riguarda, siamo aperti alla teoria di Gardner, come testimonia l’attenzione che abbiamo dedicato alle intelligenze culturale ed emotiva. Le emozioni nella vita organizzativa Nel mondo ideale delle teorie manageriali, i dipendenti perseguono gli obiettivi dell’azienda in modo logico e razionale. Il comportamento emotivo viene raramente considerato tra i fattori dell’equazione. La vita organizzativa di ogni giorno, d’altra parte, ci mostra l’importanza che le emozioni possono avere.52 Emozioni forti, come la collera e l’invidia, spesso riescono a far mettere da parte la logica e la razionalità sul lavoro. I manager stessi si servono della paura e di altre emozioni per motivare o intimidire. Talvolta possono manifestarsi anche tristezza e ansia. In quest’ultima sezione del capitolo ci occuperemo delle differenze individuali relativamente alle emozioni, passando in rassegna una tipologia di dieci emozioni positive e negative ed esplorando il concetto di intelligenza emotiva. Emozioni positive ed emozioni negative Emozioni: reazioni umane complesse di fronte a successi e fallimenti personali; possono essere sentite interiormente e manifeste CompOrga.indb 113 Richard S. Lazarus, autorevole studioso dell’argomento, definisce così le emozioni: “reazioni complesse, strutturate dell’organismo alla nostra situazione percepita nell’eterno sforzo di sopravvivere, prosperare e ottenere ciò che desideriamo”.53 La parola organismo è appropriata, perché le emozioni coinvolgono l’intera persona – dal punto di vista biologico, psicologico e sociale. Va notato che gli psicologi distinguono tra le emozioni provate e quelle manifeste.54 Una persona, ad esempio, può nutrire collera (emozione provata) di fronte a un collega scortese, ma evitare di rispondere con rabbia alle sue parole (emozione manifesta). Come diremo più avanti, nel Capitolo 17, le emozioni influiscono sia sull’insorgere dello stress, sia sul processo di adattamento a esso, e ai problemi biologici e psicologici collegati. L’effetto distruttivo del comportamento emotivo sulle relazioni sociali è fin troppo ovvio nella vita di tutti i giorni. D’altro canto, la ricerca ha dimostrato che gli individui tendono a instaurare forti legami sociali con le persone con cui hanno condiviso un’esperienza intensa dal punto di vista emotivo.55 Per esempio, è piuttosto comune che i sopravvissuti a eventi terribili come disastri naturali o incidenti aerei si riuniscano anni dopo. La definizione che Lazarus dà delle emozioni mette al centro gli obiettivi dell’individuo, ed è proprio in base agli obiettivi che si distinguono emozioni positive e negative. Alcune emozioni nascono da un fallimento o da una frustrazione nel raggiungimento di un obiettivo: Lazarus le chiama emozioni negative, perché incongruenti con l’obiettivo posto. Ad esempio: quali tra le sei emozioni negative della figura 5-4 provereste se dovesse andarvi male un esame? Il fatto di non passare l’esame sarebbe incongruente 11/01/2013 16.35.04 Parte II 114 Figura 5-4 Emozioni positive e negative Fonte: adattamento da R.S. Lazarus, Emotion and Adaptation (New York: Oxford University Press, 1991), Capp. 6, 7. Il comportamento individuale nelle organizzazioni Emozioni negative (incoerenti con l’obiettivo) Collera Emozioni positive (coerenti con l’obiettivo) Felicità/gioia Paura/ ansia Orgoglio Colpa/vergogna Tristezza Amore/affetto Invidia/ gelosia Disgusto Sollievo con il vostro obiettivo, ossia laurearvi. Se, invece, vi doveste laureare senza andare fuori corso e per giunta con la lode, quali tra le quattro emozioni positive del grafico provereste? In questo caso sarebbero emozioni positive, in quanto congruenti (o coerenti) con un importante obiettivo. È importante notare che gli obiettivi di una persona possono essere socialmente accettabili o meno. Di conseguenza, un’emozione positiva, come l’amore/l’affetto, può risultare indesiderabile se associata, ad esempio, alle molestie sessuali. In senso positivo, invece, un lieve senso di colpa, un po’ di ansia o di invidia possono determinare un maggior impegno. In fin dei conti, quindi, la natura distruttiva o costruttiva di un’emozione deve essere stabilita considerandone sia l’intensità sia il relativo obiettivo dell’individuo che la prova. Lo sviluppo dell’intelligenza emotiva È possibile affrontare la paura e altre emozioni in modo efficace maturando dal punto di vista emotivo attraverso lo sviluppo della propria intelligenza emotiva. Daniel Goleman, uno psicologo diventato giornalista, nel 1995 pubblicò un libro dal titolo Intelligenza emotiva, che fu causa di fermento nel mondo dell’accademia e del management. Sviluppando il concetto di intelligenza interpersonale elaborato da Howard Gardner, Goleman critica i tradizionali modelli per la misurazione dell’intelligenza (QI) perché sono troppo ristretti e non considerano la competenza interpersonale. L’elenco da lui redatto, molto più ampio, include “abilità come essere CompOrga.indb 114 11/01/2013 16.35.04 5 Le differenze individuali 115 Tabella 5-4 Sviluppare la competenza personale e sociale attraverso l’intelligenza emotiva Competenza personale: queste capacità determinano come ciascuno gestisce sé stesso. • • Consapevolezza di sé Consapevolezza emotiva: saper leggere le proprie emozioni riconoscendone le conseguenze; saper decidere in base al proprio “sesto senso”. Autovalutazione accurata: conoscere i propri punti di forza e i propri limiti. Fiducia in sé stessi: avere consapevolezza del proprio valore e delle proprie capacità. • • • • • • Gestione di sé Autocontrollo emotivo: tenere sotto controllo le emozioni e gli impulsi distruttivi. Trasparenza: dimostrare onestà e affidabilità. Adattabilità: essere flessibili nell’adattarsi alle situazioni che cambiano e agli ostacoli incontrati. Risultati: sentire l’impulso a migliorare la performance per raggiungere standard interni di eccellenza. Iniziativa: avere prontezza d’azione e saper afferrare le opportunità. Ottimismo: vedere il lato positivo degli eventi. • Competenza sociale: queste capacità determinano il nostro modo di gestire le relazioni. • • • Consapevolezza sociale Empatia: sentire le emozioni degli altri, capire il loro punto di vista e interessarsi dei loro problemi. Consapevolezza organizzativa: leggere le correnti, le reti decisionali e gli intrecci politici a livello organizzativo. Servizio: riconoscere e andare incontro alle necessità dei colleghi e dei clienti. • • • • • • • Gestione delle relazioni Leadership ispirata: guidare e motivare utilizzando una visione convincente. Influsso: utilizzare una gamma di strategie per persuadere. Aiuto alla crescita: sostenere le abilità degli altri guidandoli e fornendo un feedback adeguato. Catalizzare il cambiamento: avviare, gestire e guidare in una nuova direzione. Gestione del conflitto: saper risolvere i disaccordi. Costruzione di legami: coltivare e mantenere una rete di relazioni. Lavoro in gruppo e collaborazione: saper cooperare e costruire un gruppo di lavoro. Fonte: D. Goleman, R. Boyatzis e A. McKee, Primal Leadership: Realizing the Power of Emotional Intelligence (Boston: Harvard Business School Press, 2002), p. 39. Intelligenza emotiva: capacità di autogestirsi e di interagire con gli altri in modo maturo e costruttivo CompOrga.indb 115 in grado di trovare in sé stessi la motivazione e perseverare nonostante le frustrazioni, frenare i propri impulsi e posporre le gratificazioni, tenere sotto controllo i cambiamenti d’umore e lo stress per evitare che impediscano di pensare; infine, saper creare empatia con le persone e saper sperare”.56 L’intelligenza emotiva, quindi, è la capacità di gestire sé stessi e le relazioni interpersonali in modo maturo e costruttivo. Alcuni la chiamano IE, altri QE, e comprende quattro componenti chiave: consapevolezza di sé, gestione di sé, consapevolezza sociale e gestione delle relazioni. Le prime due componenti costituiscono la competenza personale; le altre la competenza sociale (tabella 5-4). I ricercatori invitano alla cautela rispetto all’uso dell’intelligenza emotiva come strumento per la selezione e la valutazione dei collaboratori. Secondo alcuni studiosi di comportamento, i principali punti problematici sono la mancanza di coerenza a livello teorico e la scarsa validità dei parametri di misurazione: secondo le conclusioni, i punteggi che misurano l’IE non aggiungono molto alle dimensioni di base dei Big Five in merito alla previsione delle prestazioni lavorative.57 Ciò nonostante, 11/01/2013 16.35.04 116 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni l’IE sembra rivestire una certa importanza per la crescita personale dei collaboratori e i programmi di sviluppo loro dedicati. L’insieme formato dalla personalità proattiva e dalle caratteristiche contenute nella Tabella 5-4 rappresenta un complesso programma di sviluppo personale per ciascuno. CompOrga.indb 116 11/01/2013 16.35.04 Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa 6 Come conciliare i valori dichiarati con quelli praticati? “Io non ci casco, sai?”, l’ingegner Colombo sussurrò all’orecchio del suo vicino subito dopo lo scrosciante applauso che aveva fatto seguito alla parole di Della Pergola, l’Amministratore Delegato dell’impresa di costruzioni Liberty. Erano state parole di impatto emotivo perché Della Pergola era un grande oratore, ma purtroppo la veemenza la riservava più alle occasioni pubbliche che nel perseguire le modalità organizzative interne. Colombo era un vecchio dell’azienda, gli mancavano due anni alla pensione. Era rispettato da tutti come un grande lavoratore, poco incline a manovre di corridoio e a inseguire l’amicizia dei capi. “Ricordati – continuò verso il suo più giovane interlocutore – più ne parlano, di valori, e meno li praticano. Andassero nei cantieri a vedere deve finisce la loro catena di subappalto. Noi siamo sempre corretti, assumiamo le persone direttamente, ma poi lo scavo lo diamo fuori da eseguire, così come pezzi di costruzione. Non ci arrivano i bambini, questo no, ma quanti degli extracomunitari che vedi in giro saranno regolari?” La convention volgeva al termine e tutti si accalcavano a stringere la mano e a complimentarsi con l’Amministratore Delegato. Colombo sentiva frasi come CompOrga.indb 117 “Una sferzata di moralità”, “Una svolta necessaria” e così via. Si allontanò lentamente, quando intravide sulla porta l’assistente di Della Pergola, quello che da sempre era il principale consigliere oltre che il suo braccio destro. “Bene – lo apostrofò Colombo – un bellissimo discorso. È già in programma, immagino, una riunione di attuazione di queste strategie? Penso vorrete delle relazioni precise di quanto accade nei cantieri, di come controllare gli appalti esterni ed evitare l’endemico mangia mangia che nella catena ciascuno attua. Io avrei un paio di idee in proposito”. Come Colombo sospettava l’assistente prese tempo, gli disse che sicuramente lo avrebbero cercato, anzi che nel prossimo futuro sarebbe certamente stata convocata una riunione come lui suggeriva. Colombo se ne andò borbottando tra sé: “Come io suggerisco? Allora non ci avete neanche pensato. Il discorso lo avrà scritto uno specialista, senza che nessuno si sia curato della reale fattibilità. Il bello che pensano che noi non ce ne accorgiamo, come se lavorassimo sulla luna. Meno male che mi mancano solo due anni, preferisco andare a giocare a bocce che partecipare a questi mega raduni, costosi e inutili.” 11/01/2013 16.35.04 118 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni Obiettivo del presente capitolo è proseguire la nostra analisi delle differenze individuali intrapresa nel Capitolo 5 per comprendere meglio in che modo i manager e le organizzazioni possono sfruttare le conoscenze sulle differenze individuali per attirare, motivare e trattenere collaboratori di talento. Analizzeremo l’influsso che valori e atteggiamenti esercitano su conseguenze importanti a livello organizzativo come la soddisfazione lavorativa, la performance, il turnover e i comportamenti controproducenti. Valori personali Parlando di cultura organizzativa, nel Capitolo 3, abbiamo definito i valori come modalità di comportamento desiderate o punti di arrivo auspicati e ci siamo soffermati sui valori collettivi o condivisi; ora invece tratteremo i valori personali. I valori personali rappresentano essenzialmente tutto ciò che è significativo per noi nella vita e sono importanti nello studio del comportamento organizzativo perché influenzano il nostro comportamento in contesti diversi. Shalom Schwartz ha elaborato una teoria generale dei valori personali,1 che verrà descritta nel paragrafo che segue; successivamente si analizzeranno i conflitti di valori, esaminando infine un problema strettamente collegato, ossia l’equilibrio tra il lavoro e la vita privata. La teoria dei valori di Schwartz Secondo Schwartz, i valori sono motivazionali perché “rappresentano obiettivi ampi che si applicano in contesti diversi nel tempo.”2 Per esempio, se attribuite importanza al successo, molto probabilmente lavorerete con impegno per ottenere una promozione lavorativa, e metterete in campo tutto il vostro spirito competitivo anche nello sport che praticate settimanalmente con gli amici. Inoltre, i valori sono relativamente stabili e possono influenzare il nostro comportamento senza che ne siamo consapevoli. Schwartz ha proposto 10 valori di base che guidano il comportamento e ha identificato i meccanismi motivazionali alla base di ciascun valore (tabella 6-1). È proprio per via di questi meccanismi motivazionali che i valori influenzano il comportamento. Per esempio, la tabella 6-1 illustra che il desiderio di potere sociale, autorità e ricchezza motiva gli individui che attribuiscono importanza al potere. Al contrario, il valore dell’essere accettati dal gruppo motiva comportamenti quali gentilezza, obbedienza, auto-disciplina e rispetto nei confronti dei genitori e degli anziani. Questi 10 valori non solo consentono di prevedere il comportamento, come proposto da Schwartz, ma sono anche validi in contesti culturali diversi.3 La figura 6-1 illustra le relazioni proposte tra i 10 valori. Il modello circolare mostra quali sono più strettamente correlati tra loro e quali sono in conflitto. In linea generale i valori adiacenti – per esempio l’indipendenza e l’universalismo – presentano una relazione positiva, mentre tra i valori distanti gli uni dagli altri – l’indipendenza e il potere – intercorre una relazione meno forte. Approfondendo la riflessione in questa direzione Schwartz ha ipotizzato che i valori in posizioni opposte nella figura 6-1 siano in conflitto: alcuni esempi sono il potere e l’universalismo, oppure l’orientamento al CompOrga.indb 118 11/01/2013 16.35.04 6 Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa 119 Tabella 6-1 Definizione dei valori e dei meccanismi motivazionali secondo la teoria di Schwartz VALORE DEFINIZIONE E ORIENTAMENTI VALORIALI Potere Status sociale e prestigio, controllo o dominio sulle persone e sulle risorse (potere sociale, autorità, ricchezza) Successo personale attraverso la dimostrazione di competenze socialmente riconosciute (successo, capacità, ambizione, influenza) Piacere e gratificazione immediata (vita piacevole e divertente) Entusiasmo, amore per le novità e per le sfide (vita entusiasmante, varia e audace) Successo Edonismo Orientamento al cambiamento Indipendenza Universalismo Benevolenza Tradizione Conformità Sicurezza Pensiero e scelta indipendenti, spirito creativo, esplorazione (creatività, libertà, indipendenza, curiosità, scelta autonoma degli obiettivi) Comprensione, gratitudine, tolleranza e tutela del benessere di tutti gli individui e della natura (ampiezza di vedute, saggezza, giustizia sociale, uguaglianza, pace, bellezza, sintonia con la natura, protezione dell’ambiente) Protezione e cura del benessere delle persone con cui si è in stretto contatto (altruismo, onestà, indulgenza, lealtà, responsabilità) Rispetto, impegno e accettazione di usanze e idee della cultura o della religione tradizionali (umiltà, accettazione del proprio destino, devozione, rispetto per la tradizione, moderazione) Limitazione di azioni, inclinazioni e impulsi potenzialmente fastidiosi o dannosi per gli altri e contrari alle aspettative e norme sociali (gentilezza, obbedienza, auto-disciplina, rispetto verso i genitori e gli anziani) Armonia e stabilità della società, delle relazioni e dell’individuo (sicurezza della famiglia, sicurezza nazionale, ordine sociale, decenza, scambio di favori) Fonte: Da Anat Bardi e Shalom H Schwartz, “Values and Behavior: Strength and Structure of Relations,” Personality & Social Psychology Bulletin, ottobre 2003, p 1208. Copyright © 2003 Sage Publications. Figura 6-1 Le relazioni intercorrenti tra i valori di Schwartz Fonte: Anat Bardi e Shalom H Schwartz, “Values and Behavior: Strength and Structure of Relations,” Personality and Social Psychology Bulletin, ottobre 2003, p 1208. Copyright © 2003 Sage Publications. Indipendenza Orientamento al cambiamento Universalismo Benevolenza Edonismo Conformità Tradizione Successo Potere CompOrga.indb 119 Sicurezza 11/01/2013 16.35.04 120 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni cambiamento e la conformità/tradizione. Il desiderio di vivere una vita stimolante dedicandosi ad attività come il paracadutismo o l’arrampicata entrerebbe in conflitto con il proposito di vivere una vita moderata o tradizionale. La ricerca ha in parte confermato queste ipotesi.4 Conflitti di valori Vi sono tre tipologie di conflitti di valori collegabili agli atteggiamenti, alla soddisfazione lavorativa, al turnover, alla prestazione e ai comportamenti controproducenti individuali. Si possono classificare come conflitti di valori intrapersonali, interpersonali e tra individuo e azienda. In queste tre diverse tipologie, il conflitto ha origine rispettivamente dentro la persona, tra una persona e le altre e tra la persona e l’organizzazione. Conflitti di valori intrapersonali Dall’esame della teoria dei valori di Schwartz è emerso che gli individui possono vivere una condizione di conflitto interiore e stress quando i valori personali sono in contrasto tra loro. I lavoratori che desiderano condurre una vita equilibrata possono vivere una stressante condizione di conflitto quando, per esempio, attribuiscono importanza al “successo” e alla “tradizione”. Paul Wenske, ex reporter per il Kansas City Star, vive un conflitto di valori intrapersonale dopo essere stato costretto ad accettare una proposta di pensionamento dal suo datore di lavoro. Giornalista affermato e riconosciuto con trent’anni di esperienza, si identificava fortemente nel suo lavoro e in un’intervista al Wall Street Journal ha dichiarato: “Da un giorno all’altro, non sei più la persona che sei sempre stato. Ti guardi allo specchio e ti domandi chi sei.” Secondo i terapisti, questo tipo di conflitto di valori può essere attenuato “andando orgogliosi di caratteristiche personali immutabili a prescindere dalle situazioni come la virtù, l’integrità, l’onestà e la generosità. Si consiglia inoltre di dedicare più tempo ed energie ai rapporti con i familiari, gli amici e la comunità.”5 In genere, le persone sono più serene e meno stressate quando i loro valori personali sono allineati. Conflitti di valori interpersonali Questa tipologia di conflitti di valori è spesso alla base di scontri tra personalità diverse e può incidere negativamente sulla carriera. Consideriamo il caso di Jeffrey Johnson, che è stato licenziato dalla Tribune Company, proprietaria del Los Angeles Times, quando i suoi valori sono entrati in conflitto con quelli dei dirigenti. Costoro avevano chiesto a Johnson di migliorare le performance finanziarie del quotidiano tagliando i costi, cioè riducendo il personale. Il conflitto di valori è sorto perché Johnson puntava a risanare le finanze esplorando strategie innovative per generare nuove entrate, non ritenendo che i problemi del giornale potessero essere risolti licenziando i dipendenti.6 Questo esempio dimostra quanto sia importante valutare con attenzione pro e contro nella gestione dei conflitti di valori interpersonali con i superiori. Conflitti di valori tra individuo e organizzazione Come abbiamo visto nel Capitolo 3, le organizzazioni cercano attivamente di radicare determinati valori all’interno della loro cultura aziendale. Il conflitto può verificarsi quando i valori dichiarati e messi in atto dall’organizzazione entrano in collisione con i valori personali dei collaboratori. CompOrga.indb 120 11/01/2013 16.35.04 6 Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa 121 Nel Capitolo 3 abbiamo illustrato l’adattamento persona-ambiente, cioè la misura in cui le caratteristiche individuali sono coerenti con quelle dell’ambiente di lavoro.7 I conflitti di valori tra individuo e organizzazione sono importanti perché sono collegati a conseguenze positive a livello organizzativo come la soddisfazione, l’impegno e il successo professionale.8 Prima di accettare una proposta di lavoro, è importante quindi valutare con attenzione la coerenza tra la proposta e i propri valori individuali. Conflitto tra lavoro e vita familiare Una complessa rete di fattori demografici ed economici rende l’equilibrio tra lavoro e vita privata una sfida per la maggior parte della popolazione. La sfida diventa più complessa durante fasi di recessione, caratterizzate da disoccupazione elevata. In questa sezione cercheremo di capire meglio il conflitto tra lavoro e famiglia introducendo un modello basato sui valori. Un modello di conflitto lavoro/famiglia basato sui valori Pamela L. Perrewé e Wayne A. Hochwarter hanno proposto il modello di conflitto lavoro/famiglia rappresentato nella figura 6-2. Sul lato sinistro sono indicati i valori generali di vita, che alimentano i valori collegati alla famiglia e al lavoro. I valori familiari includono le convinzioni durature sull’importanza della famiglia e su chi riveste i ruoli fondamentali al suo interno (ad esempio allevare i figli, mandare avanti la casa e guadagnare il denaro). I valori legati al lavoro si concentrano sull’importanza relativa del lavoro e degli obiettivi lavorativi nella vita di una persona. La similitudine di valori è legata al grado di consenso tra i membri della famiglia sui valori familiari. Se, ad esempio, una moglie intraprende un Figura 6-2 Un modello di conflitto lavoro/famiglia basato sui valori Fonte: Pamela L. Perrewé e Wayne A. Hochwarter,“Can We Really Have It All? The Attainment of Work and Family Values,” Current Directions in Psychological Science, febbraio 2001, p. 30. Pubblicato da Blackwell Publishers, Inc. © American Psychological Society. Valori familiari Similitudine di valori Valori generali di vita Conflitto lavoro/ famiglia Perseguimento dei valori Soddisfazione lavorativa e nella vita Congruenza di valori Valori legati al lavoro CompOrga.indb 121 11/01/2013 16.35.04 122 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni lavoro nonostante il marito desideri essere l’unico in casa a guadagnare, la mancanza di similitudine tra i valori causa un conflitto lavoro/famiglia. La congruenza di valori, d’altra parte, implica l’accordo sui valori tra dipendente e datore di lavoro. Se, ad esempio, il datore di lavoro considera il fatto che un dipendente non parta per un viaggio d’affari per non perdere il compleanno del figlio come una slealtà nei confronti dell’azienda, la mancanza di congruenza di valori può scatenare un conflitto lavoro/famiglia. “Il conflitto lavoro/famiglia può assumere due forme: interferenza del lavoro con la famiglia e interferenza della famiglia con il lavoro”.9 Supponiamo, ad esempio, che due manager all’interno della stessa funzione abbiano le figlie che giocano nella medesima squadra di calcio. Uno dei due si perde una partita importante per partecipare a una riunione indetta all’ultimo minuto, l’altro salta la riunione per vedere la partita. Entrambi potrebbero andare incontro a un conflitto lavoro/famiglia, ma per ragioni totalmente diverse.10 Gli ultimi due riquadri a destra del modello, ossia il perseguimento dei valori e la soddisfazione nella vita, vanno di pari passo. La soddisfazione è tendenzialmente maggiore per chi vive secondo i propri valori, minore per chi non lo fa. In generale, il modello riflette il senso comune. Ora potremmo chiedere: come si posiziona la vostra vita in questo modello? Per molte persone confrontarsi attualmente con questo modello è fonte di difficoltà. Le politiche organizzative rispetto al conflitto lavoro-famiglia Le organizzazioni hanno implementato una molteplicità di programmi e servizi per la famiglia mirati ad aiutare i collaboratori a trovare un equilibrio tra lavoro e vita personale. Si tratta di contributi alla gestione familiare quali integrazioni sanitarie, contributi per asili nido o assistenza agli anziani, convenzioni con organizzazioni che forniscono diverse tipologie di servizi. Atteggiamenti Non passa giorno senza che vengano diffusi i risultati di un ennesimo sondaggio sugli atteggiamenti. L’idea di fondo è quella di avere “il polso” dell’opinione pubblica, ossia di capire che cosa ne pensa la gente di un uomo politico, del terrorismo, della droga, della pressione fiscale e così via. Sul posto di lavoro, contemporaneamente, i manager propongono altri sondaggi tesi a monitorare questioni quali la soddisfazione lavorativa e il coinvolgimento del personale. Tutta questa enfasi nei confronti degli atteggiamenti si basa sulla presa di coscienza che essi influenzano in qualche modo il comportamento. Per esempio secondo alcune ricerche, gli anziani che manifestano un atteggiamento positivo rispetto all’invecchiamento hanno una memoria e un udito migliori e vivono più a lungo rispetto a quelli che manifestano un atteggiamento negativo.11 Diversi studi hanno rivelato che sul posto di lavoro gli atteggiamenti rispetto al lavoro erano legati positivamente alla performance e negativamente a indicatori quali pensieri di abbandono, tendenza ad arrivare in ritardo, assenteismo e turnover.12 In questa sezione analizzeremo le componenti degli atteggiamenti e la connessione esistente tra gli atteggiamenti e il comportamento. CompOrga.indb 122 11/01/2013 16.35.05 6 Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa 123 La natura degli atteggiamenti Atteggiamento: predisposizione acquisita nei confronti di qualcosa Si definisce atteggiamento “una predisposizione acquisita a reagire in modo coerentemente favorevole o sfavorevole nei riguardi di qualcosa”.13 Consideriamo come esempio l’atteggiamento rispetto al gelato al cioccolato: è più probabile che decidiate di mangiare un cono al cioccolato se avete un atteggiamento positivo verso questo gusto, mentre molto probabilmente sceglierete un gusto diverso, per esempio la crema, se avete un atteggiamento positivo verso il gelato alla crema e neutrale o negativo verso il gelato al cioccolato. Esaminiamo ora un esempio legato al contesto lavorativo. Se avete un atteggiamento positivo rispetto al vostro lavoro (cioè il vostro lavoro vi piace) sarete più propensi a impegnarvi al massimo lavorando più duramente e più a lungo. Questi semplici esempi spiegano che gli atteggiamenti ci inducono ad agire in una determinata maniera in un contesto specifico: in altre parole, gli atteggiamenti agiscono sul comportamento a un livello diverso rispetto ai valori. Questi ultimi rappresentano infatti delle convinzioni di fondo che influiscono sul comportamento in ogni situazione, mentre gli atteggiamenti hanno a che fare solamente con il comportamento in determinate situazioni o nei confronti di alcune persone o cose. Valori e atteggiamenti sono generalmente coerenti, ma non sempre: un manager che attribuisce un grande valore all’aiuto del prossimo, ad esempio, potrebbe manifestare un atteggiamento negativo nei confronti di un collega scorretto, e dunque rifiutarsi di aiutarlo. Chiariamo la differenza tra atteggiamenti e valori prendendo in considerazione le tre componenti degli atteggiamenti: affettiva, cognitiva e comportamentale. È importante sottolineare che l’atteggiamento complessivo verso qualcuno o qualcosa è una funzione dell’influenza combinata di queste tre componenti. Componente affettiva: i sentimenti o le emozioni che un individuo prova di fronte a una cosa o a una situazione Componente affettiva La componente affettiva di un atteggiamento racchiude in sé i sentimenti o le emozioni che una persona prova nei confronti di una determinata cosa o situazione. Ad esempio: quali sono i vostri sentimenti nei confronti delle persone che parlano al cellulare al ristorante? Se provate fastidio o irritazione, state esprimendo un sentimento negativo nei confronti delle persone che si comportano così. Se, invece, provate indifferenza, la componente affettiva del vostro atteggiamento è neutrale. Componente cognitiva: le convinzioni o le idee che un individuo ha su una cosa o una situazione Componente comportamentale: come un individuo intende comportarsi nei confronti di qualcuno o qualcosa CompOrga.indb 123 Componente cognitiva Che cosa pensate delle persone che parlano al cellulare al ristorante? Ritenete che il loro comportamento sia poco rispettoso della privacy, produttivo, completamente accettabile o scortese? La risposta rappresenta la componente cognitiva del vostro atteggiamento nei confronti delle persone che si comportano in quel modo. La componente cognitiva di un atteggiamento riflette le convinzioni o le idee di una persona nei confronti di una determinata cosa o situazione. Componente comportamentale La componente comportamentale fa riferimento al modo in cui una persona intende reagire o si aspetta di agire nei confronti di qualcosa o qualcuno. Ad esempio: come reagireste se qualcuno seduto vicino a voi e al vostro commensale al ristorante parlasse al cellulare? In base alla teoria degli atteggiamenti, il comportamento di una persona in una situazione del genere è funzione delle tre componenti. Se il comportamento della persona che telefona non vi irrita (affettiva) o se pensate che l’uso del cellulare aiuti le persone a gestire la propria vita (cognitiva) 11/01/2013 16.35.05 124 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni e non avete intenzione di confrontarvi con quella persona (comportamentale), è poco probabile che le diciate qualcosa.14 Che cosa succede quando gli atteggiamenti collidono con la realtà? La dissonanza cognitiva Dissonanza cognitiva: disagio psicologico provato quando gli atteggiamenti sono incoerenti con il comportamento Che cosa accade quando un atteggiamento fortemente consolidato entra in conflitto con la realtà? Supponiamo che un individuo abbia il forte timore di contrarre l’AIDS, che ritiene si trasmetta attraverso il contatto con fluidi corporei infetti, tra cui il sangue. Durante la permanenza in un paese estero subisce un grave incidente; necessita di un’operazione chirurgica e trasfusioni con sangue (forse infetto) proveniente da una banca del sangue che applica controlli di qualità dubbi. Secondo voi, rifiuterebbe di sottoporsi alle trasfusioni per restare coerente con le sue convinzioni rispetto al contagio dell’AIDS? Secondo lo psicologo sociale Leon Festinger, questa situazione determinerebbe una dissonanza cognitiva. La dissonanza cognitiva rappresenta il disagio psicologico provato da un individuo quando i suoi atteggiamenti o le sue convinzioni sono incompatibili con il comportamento.15 Festinger ha ipotizzato che gli individui sono motivati a mantenere la coerenza tra atteggiamenti, credenze e comportamenti e che cercheranno di ridurre la “dissonanza” (cioè la tensione psicologica) attraverso uno dei seguenti metodi: 1. Modificare l’atteggiamento o il comportamento, oppure entrambi. Si tratta della soluzione più semplice. Ritornando all’esempio della trasfusione di sangue, tale soluzione consisterebbe in (a) convincersi che non si può contrarre l’AIDS attraverso il sangue e sottoporsi alla trasfusione, oppure (b) rifiutare la trasfusione. 2. Minimizzare la gravità di un comportamento incoerente. È una soluzione adottata con grande frequenza. Nel nostro esempio, l’individuo può minimizzare la convinzione che contrarrà la malattia accettando la trasfusione (fidandosi del medico che afferma che il sangue proveniente da quella banca del sangue viene regolarmente utilizzato). 3. Trovare elementi consonanti che bilancino gli elementi dissonanti. Questo approccio consiste nell’eliminare la dissonanza razionalizzandola. L’individuo può convincersi che deve accettare la trasfusione perché non ha alternative: dopo tutto, se non si sottoponesse all’operazione rischierebbe comunque la vita. Quanto sono stabili gli atteggiamenti? Nel corso di un importante studio, i ricercatori hanno rilevato che gli atteggiamenti lavorativi degli intervistati (5000 maschi occupati di mezza età) rimanevano piuttosto stabili per un periodo pari a 5 anni; gli atteggiamenti positivi rimanevano tali, così come quelli negativi. Anche se le persone cambiavano lavoro o ruolo, tendevano comunque a mantenere gli atteggiamenti esternati in precedenza.16 Ricerche più recenti ipotizzano invece che questo studio avesse sopravvalutato il grado di stabilità degli atteggiamenti, essendosi limitato a esaminare un campione di persone di mezza età. Questa volta, la domanda che si sono posti i ricercatori è stata CompOrga.indb 124 11/01/2013 16.35.05 6 Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa 125 la seguente: come cambiano gli atteggiamenti nell’arco dell’età adulta? È emerso che gli atteggiamenti generali sono maggiormente suscettibili al cambiamento nella prima giovinezza e nella maturità rispetto al periodo di mezzo. Tre sono i fattori responsabili della stabilità che caratterizza la mezza età: (1) maggiore sicurezza personale; (2) percezione di avere competenze significative; (3) bisogno di atteggiamenti saldi. In questo modo è stata smentita l’idea mutuata dal senso comune secondo cui gli atteggiamenti generali diventerebbero più stabili con l’età. Le persone più anziane, così come le più giovani, cambiano effettivamente i propri atteggiamenti generali perché sono più aperte al cambiamento e meno sicure di sé.17 Il nostro background culturale e le esperienze che viviamo cambiano; di conseguenza cambiano anche gli atteggiamenti e i comportamenti. Le propensioni si traducono in comportamento attraverso le intenzioni comportamentali. Prendiamo ora in esame un modello che spiega tale processo. Gli atteggiamenti influenzano il comportamento attraverso le intenzioni Sviluppando le teorie di Leon Festinger sulla dissonanza cognitiva, Icek Ajzen e Martin Fishbein hanno indagato più a fondo per comprendere la causa delle discrepanze tra gli atteggiamenti e il comportamento degli individui. Ajzen ha sviluppato e affinato un modello incentrato sulle intenzioni come collegamento chiave tra gli atteggiamenti e il comportamento pianificato. La sua teoria sul comportamento pianificato (figura 6-3) Figura 6-3 Teoria di Ajzen del comportamento pianificato Fonte: riprodotto da Organizational Behavior and Human Decision Processes, I. Aizen, “The Theory of Planned Behavior,” Figura 1, p. 182, Copyright 1991, su autorizzazione della Elsevier Science. Atteggiamento nei confronti del comportamento Norma soggettiva Intenzione Comportamento Controllo comportamentale percepito CompOrga.indb 125 11/01/2013 16.35.05 126 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni mostra tre determinanti, separate ma interagenti, dell’intenzione individuale) di agire un certo comportamento. Ajzen ha spiegato in questo modo la natura e i ruoli delle tre determinanti dell’intenzione: La prima determinante è l’atteggiamento nei confronti del comportamento, e si riferisce alla misura in cui la persona esprime una valutazione favorevole o meno sul comportamento in questione. Il secondo elemento predittore è un fattore sociale denominato norma soggettiva; si riferisce alla pressione sociale percepita che spinge ad avere o meno un determinato comportamento. La terza causa dell’intenzione è il grado di controllo comportamentale percepito, ossia la facilità o la difficoltà nell’assumere un comportamento. Si ritiene che quest’ultima determinante rifletta sia le esperienze passate dell’individuo, sia impedimenti e ostacoli previsti.18 Atteggiamenti nei confronti del lavoro Atteggiamenti nei confronti del lavoro come l’impegno verso l’organizzazione, il coinvolgimento del personale e la soddisfazione lavorativa rivestono un’importanza duplice per i manager. Da un lato, rappresentano risultati importanti che i manager potrebbero voler incoraggiare. Dall’altro, sono sintomatici di altri potenziali problemi: per esempio, un basso livello di coinvolgimento o di soddisfazione lavorativa potrebbero essere il sintomo dell’intenzione di un collaboratore di licenziarsi. Pertanto è essenziale che i manager comprendano le cause e le conseguenze degli atteggiamenti nei confronti del lavoro. Qual è il vostro orientamento verso il lavoro? Lo ritenete una componente importante che vi sostiene nella costruzione della vostra identità e vi soddisfa, o è solo un mezzo per guadagnarsi dei soldi e pagare le bollette? È interessante notare come gli atteggiamenti nei confronti del lavoro siano cambiati in modo significativo nel corso della storia. Nell’antica Grecia, per esempio, il lavoro era svolto da persone ridotte in schiavitù, mentre oggi è considerato da molti una fonte di soddisfazione e piacere e si sta diffondendo sempre più la convinzione che debba essere divertente. Non tutti saranno d’accordo su questo fatto, ma organizzazioni come la Southwest Airlines l’hanno trasformato in un vantaggio competitivo strategico. Uno dei fattori fondamentali per essere assunti alla Southwest, infatti, è avere senso dell’umorismo e un atteggiamento generale positivo. Prendiamo in esame quanto conterebbe nel dare un’impronta ai collaboratori l’orientamento positivo nei confronti del lavoro di Bob Pyke, amministratore delegato alla Creative Training Techniques International, Inc: Non si tratta di scegliere tra divertirsi e lavorare, bensì di scegliere di lavorare divertendosi. Trovo estremamente deprimente che ci sia tanta gente che trascorre otto ore al giorno lavorando e le altre sedici a tentare di dimenticarsene. La definizione “se non è stupido e noioso allora non è lavoro” non vale più e va cambiata. Il lavoro dovrebbe essere sinonimo di passione, dovrebbe avere uno scopo e implicare coinvolgimento e partecipazione. I team a elevata performance che svolgono compiti complessi sanno anche come divertirsi. Hanno un atteggiamento che dimostra quanto apprezzino ciò che CompOrga.indb 126 11/01/2013 16.35.05 6 Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa 127 fanno e in che misura appartengano a un gruppo composito di individui impegnati in una missione comune, che hanno dei valori e una visione. E ognuno di loro non vede l’ora di dare un contributo al gruppo. Tenete conto che esisteranno sempre sia gli amanti del divertimento che chi lo depreca. Non è che questi ultimi siano contrari al divertimento; semplicemente ritengono che non sia una componente rilevante nel lavoro.19 Vi piacerebbe lavorare per Bob Pyke? Le persone esprimono molti atteggiamenti nei confronti di ciò che succede al lavoro, ma gli esperti di comportamento organizzativo si sono concentrati solo su alcuni di essi. In questa sezione esamineremo da vicino due tipi di atteggiamenti lavorativi, l’impegno nei confronti dell’azienda (commitment) e il coinvolgimento del personale (engagement), che hanno importanti implicazioni pratiche. La soddisfazione sul lavoro, l’atteggiamento lavorativo più studiato, sarà analizzato nella sezione successiva del capitolo. L’impegno verso l’organizzazione Impegno verso l’organizzazione: quanto un individuo si identifica con un’organizzazione e con i suoi obiettivi Prima di esaminare un modello dell’impegno verso l’organizzazione è importante riflettere sul significato della parola impegno. Che cosa significa impegnarsi? Secondo il senso comune, l’impegno è la disponibilità a fare qualcosa per se stessi, per un altro individuo, per un gruppo oppure un’organizzazione. Formalmente, gli studiosi di comportamento organizzativo definiscono l’impegno come “una forza che vincola un individuo a un corso di azione importante per il raggiungimento di uno o più obiettivi.”20 Questa definizione sottolinea che l’impegno è associato al comportamento e può essere mirato a molteplici obiettivi o entità. Per esempio, un individuo può assumere un impegno rispetto al lavoro, alla famiglia, al compagno o alla compagna, a un credo religioso, agli amici, alla carriera, all’organizzazione o a una molteplicità di associazioni professionali. Concentriamo l’attenzione sull’applicazione dell’impegno verso un’organizzazione lavorativa. L’impegno verso l’organizzazione (organizational commitment) riflette quanto un individuo si identifica con l’organizzazione per cui lavora e si impegna per raggiungerne gli obiettivi. È questo un atteggiamento importante, perché individui impegnati esprimono una maggiore disponibilità a lavorare intensamente per raggiungere gli obiettivi aziendali e un maggiore desiderio di restare all’interno dell’organizzazione cui appartengono. La figura 6-4 presenta un modello di impegno verso l’organizzazione che ne identifica le cause e le conseguenze. Un modello dell’impegno verso l’organizzazione La figura 6-4 illustra che l’impegno verso l’organizzazione si articola in tre componenti distinte ma legate l’una all’altra: l’impegno affettivo, l’impegno normativo e l’impegno di continuità. John Meyer e Natalie Allen, due esperti in materia, definiscono queste componenti come segue: L’impegno affettivo (affective commitment) si riferisce all’attaccamento emotivo, all’identificazione e al coinvolgimento di un collaboratore nei confronti dell’organizzazione: le persone che manifestano un forte impegno affettivo restano all’interno dell’organizzazione perché desiderano farlo. L’impegno di continuità (continuance CompOrga.indb 127 11/01/2013 16.35.05 Parte II 128 Il comportamento individuale nelle organizzazioni commitment) è legato alla consapevolezza dei costi associati alla decisione di lasciare l’organizzazione: i collaboratori il cui legame principale con l’organizzazione si basa sull’impegno di continuità restano perché lo necessitano. Infine, l’impegno normativo (normative commitment) riflette un senso di obbligo a continuare il rapporto di lavoro: i collaboratori che manifestano un forte impegno normativo sentono di dover restare all’interno dell’organizzazione.21 La figura 6-4 mostra inoltre che le tre componenti si associano determinando un effetto vincolante che esercita un’influenza su aspetti come il turnover e comportamenti lavorativi come la performance, l’assenteismo e la cittadinanza aziendale, che esamineremo nel prosieguo del capitolo. Ciascuna componente è influenzata da un insieme diverso di antecedenti (figura 6-4), termine che in questo contesto indica qualcosa che attiva una componente dell’impegno. Antecedenti • Cultura organizzativa • Adattamento personaambiente • Tratti individuali • Comportamento del leader Nor (ob ma bli g (d A Impegno verso l’organizzazione (forza vincolante) o ttiv io) ffe ider es Antecedenti • Cultura organizzativa • Socializzazione • Contratto psicologico o tiv o) Consequenze • Turnover • Comportamento sul posto di lavoro C o n tinu i t à (co s ti/be ne fici) Antecedenti • Mancanza di alternative • Investimenti Figura 6-4 Un modello dell’impegno verso l’organizzazione Fonte: Adattamento da J P Meyer e L Herscovitch, “Commitment in the Workplace: Toward a General Model,” Human Resource Management Review, autunno 2001, p 317. CompOrga.indb 128 11/01/2013 16.35.05 6 Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa Contratto psicologico: la percezione di un individuo rispetto a termini e condizioni di uno scambio reciproco con un’altra parte 129 Per esempio, l’impegno affettivo è legato alla cultura organizzativa e all’adattamento persona-ambiente (analizzati nel Capitolo 3), a una molteplicità di tratti individuali come la personalità (esaminata nel Capitolo 5) e al comportamento del leader (che vedremo nel Capitolo 16).22 Poiché l’impegno di continuità riflette un bilancio dei costi e dei benefici associati alla decisione di lasciare l’organizzazione, gli antecedenti sono tutti quegli elementi che incidono su tale decisione, per esempio la carenza di alternative di lavoro/carriera e l’entità degli investimenti reali e psicologici che l’individuo ha effettuato in una determinata organizzazione o comunità. L’impegno di continuità sarà elevato se l’individuo non dispone di alternative, è attivamente coinvolto nel suo credo religioso, ha molti amici nella comunità, detiene azioni del capitale aziendale e necessita dell’assicurazione sanitaria per la sua famiglia composta da cinque persone. Infine, l’impegno normativo è influenzato dalla cultura organizzativa e dal processo di socializzazione, illustrati nel Capitolo 3, nonché dai cosiddetti contratti psicologici. Il contratto psicologico è la percezione di un individuo rispetto ai termini e condizioni di uno scambio reciproco con un’altra parte.23 Nel contesto organizzativo, il contratto psicologico è rappresentato dal bilancio di dare e avere, in termini personali e non giuridici, tra l’individuo e l’organizzazione. Il coinvolgimento del personale Coinvolgimento lavorativo: quanto un individuo è assorbito dal lavoro che fa Il coinvolgimento del personale è una strategia relativamente nuova nel campo del comportamento organizzativo. Fu definita nel 1990 da William Kahn sulla base di due studi qualitativi condotti osservando lavoratori impiegati in un campo estivo e presso uno studio di architettura. Kahn ha definito il coinvolgimento del personale (employee engagement) come “il darsi dei membri dell’organizzazione al proprio ruolo; quando sono coinvolti, gli individui si spendono ed esprimono sé stessi sul piano fisico, cognitivo ed emotivo durante l’esecuzione dei propri compiti.”24 Il nocciolo di questa definizione è l’idea che i dipendenti coinvolti “diano il massimo” durante il lavoro. Altri studi di questa variabile dell’atteggiamento hanno dimostrato che si articola in quattro componenti: (1) sentimenti di urgenza, (2) sentimenti di concentrazione, (3) sentimenti di intensità e (4) sentimenti di entusiasmo.25 Se vi è capitato di provare questo tipo di sentimenti durante il lavoro o lo studio, vi sarà facile comprendere perché studiosi, manager e consulenti puntino a sfruttare il potere del coinvolgimento del personale. Le cause del coinvolgimento del personale Il coinvolgimento è determinato da una molteplicità di variabili, che possono essere raggruppate in due categorie: fattori personali e fattori legati all’ambiente di lavoro, o di contesto. Secondo molti studi, i fattori personali che influenzano il coinvolgimento sono la positività e l’ottimismo, la personalità proattiva, la coscienziosità, l’adattamento persona-ambiente e l’essere presenti o consapevoli (mindfulness).26 Quest’ultima caratteristica rappresenta la misura in cui un individuo è concentrato su ciò che accade in un dato momento, anziché distrarsi pensando a qualcos’altro. Esiste un ampio ventaglio di fattori contestuali che possono influire sul coinvolgimento del personale. Uno di questi è chiaramente legato alla cultura organizzativa: per esempio, probabilmente i collaboratori si sentiranno più coinvolti quando l’azienda è CompOrga.indb 129 11/01/2013 16.35.06 130 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni dotata di una cultura di clan (illustrata nel Capitolo 3), che attribuisce valore allo sviluppo dei dipendenti, al riconoscimento e alla fiducia tra management e personale.27 Anche la sicurezza del posto di lavoro e la sensazione di libertà di manifestare idee e proposte accrescono il coinvolgimento dei dipendenti.28 Il comportamento del leader, e in particolare la leadership trasformazionale (illustrata nel Capitolo 16), è un’altra variabile contestuale essenziale.29 Infine, il coinvolgimento del personale è maggiore quando i collaboratori si sentono appoggiati dal diretto supervisore e dall’azienda nel suo insieme e hanno una visione coerente con le strategie e gli obiettivi dell’organizzazione.30 La soddisfazione lavorativa Soddisfazione lavorativa: risposta affettiva o emotiva nei confronti del proprio lavoro La soddisfazione lavorativa riflette essenzialmente la misura in cui un individuo apprezza il proprio lavoro. Per dare una definizione formale, la soddisfazione lavorativa è la risposta emotiva o affettiva di una persona nei confronti dei vari aspetti del lavoro. Questa definizione implica che non si tratta di un concetto univoco; una persona può essere relativamente soddisfatta di un aspetto del proprio lavoro e insoddisfatta per altri aspetti. Per esempio, un sondaggio recente su un campione di 11.000 persone ha rivelato che i membri della generazione Y erano più soddisfatti dei propri manager rispetto ai membri delle generazione X e ai baby boomer, mentre la soddisfazione lavorativa complessiva era più elevata per i baby boomer che per i membri delle generazioni X e Y.31 Alcuni ricercatori della Cornell University, ad esempio, hanno elaborato il Job Descriptive Index (JDI – indice di descrizione del lavoro) per valutare il grado di soddisfazione utilizzando queste dimensioni: lavoro, retribuzione, promozioni, rapporto con i colleghi e con i capi.32 Altri ricercatori, dell’Università del Minnesota, hanno invece concluso che sono 20 le dimensioni che sottendono la soddisfazione lavorativa. Gli studiosi sono ancora discordi sul numero esatto delle dimensioni che costituiscono la soddisfazione lavorativa, ma sono state individuate cinque cause predominanti che, a nostro parere, possono aiutare i manager a potenziare questo atteggiamento essenziale verso il lavoro. Passiamo dunque a esaminare le cause della soddisfazione lavorativa. Le cause della soddisfazione lavorativa Esistono cinque tipi di modelli principali che descrivono la soddisfazione sul lavoro, e ognuno privilegia cause diverse. Rispettivamente: il soddisfacimento dei bisogni, le discrepanze, la realizzazione dei valori, l’equità e la componente genetica/di predisposizione. Entrando brevemente nel merito di ciascuno dei modelli potremo trarre interessanti spunti di riflessione sulla molteplicità di strategie utilizzabili per accrescere la soddisfazione lavorativa dei collaboratori. Soddisfacimento dei bisogni I modelli del primo tipo ipotizzano che la soddisfazione lavorativa sia legata a quanto le caratteristiche di un lavoro permettono all’individuo il soddisfacimento dei propri bisogni. Per esempio, la Society for Human Resource Management ha condotto un sondaggio su un campione di dipendenti chiedendo loro di identificare gli aspetti del lavoro importanti per la soddisfazione lavorativa personale. CompOrga.indb 130 11/01/2013 16.35.06 6 Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa 131 I quattro aspetti più citati sono stati la retribuzione, i benefit, la certezza del lavoro e l’equilibrio lavoro-famiglia, tutti direttamente legati alla capacità di soddisfare una molteplicità di bisogni di base.33 Si può ipotizzare che durante le fasi recessive la certezza del lavoro assuma un’importanza ancora maggiore. Nonostante i modelli di questo tipo abbiano suscitato controversie, la correlazione tra il soddisfacimento dei bisogni e la soddisfazione lavorativa è ormai generalmente accettata.34 Aspettative realizzate: la misura in cui una persona riceve dal proprio lavoro ciò che si aspettava Realizzazione dei valori: la misura in cui il lavoro permette la realizzazione dei valori di una persona Discrepanze Questi modelli ipotizzano che la soddisfazione sia una conseguenza delle aspettative realizzate, ossia della differenza tra ciò che una persona si aspettava di ottenere con un lavoro, ad esempio una buona retribuzione e interessanti opportunità di promozione, e ciò che effettivamente riceve. Se le aspettative sono molto superiori a quanto ricevuto, la persona sarà insoddisfatta, mentre sarà soddisfatta se ottiene risultati uguali o superiori rispetto alle proprie aspettative. Realizzazione dei valori Secondo l’ipotesi della realizzazione dei valori, la soddisfazione è legata alla percezione che nel lavoro sia possibile perseguire importanti valori personali. In generale, la ricerca prova l’esistenza di una correlazione positiva tra la soddisfazione lavorativa e la realizzazione dei valori. È questa una importante indicazione per i manager, che possono quindi migliorare la soddisfazione dei propri collaboratori progettando un ambiente di lavoro coerente con i valori professati. Equità In questi modelli, la soddisfazione è funzione dell’equità percepita. La soddisfazione è il risultato della percezione che l’individuo ha del fatto che i risultati del suo lavoro, in relazione agli input ricevuti, siano equamente giudicati in relazione a quelli dei colleghi. Una meta-analisi che ha coinvolto 64.757 persone prova la validità di questo collegamento. È infatti emersa una correlazione positiva molto forte tra la percezione che il lavoratore ha di essere trattato in modo equo al lavoro e la sua soddisfazione generale.35 I manager sono quindi incoraggiati a controllare le proprie azioni in riferimento a quanto percepito dai collaboratori, e a interagire con loro per migliorare l’equità del proprio comportamento. Nel Capitolo 8 vedremo come conseguire questi risultati. Predisposizione personale Al di là delle situazioni oggettive, è possibile notare che alcune persone appaiono sempre soddisfatte, mentre altre sembrano sempre insoddisfatte. Il quinto dei modelli proposti cerca di spiegare questo fenomeno. Nello specifico, il modello di predisposizione si basa sulla convinzione che la soddisfazione sul lavoro sia in parte funzione di tratti personali. Di conseguenza, si ipotizza che differenze individuali stabili possano rivestire una importanza analoga alle caratteristiche dell’ambiente di lavoro nella spiegazione della soddisfazione individuale. Implicazioni e conseguenze della soddisfazione lavorativa L’ambito di studi relativo alla soddisfazione e alle sue connessioni con altre variabili organizzative ha importanti implicazioni a livello manageriale. È impossibile pensare di rendere conto di tutti i risultati; prenderemo perciò in considerazione solo alcune delle variabili esaminate, selezionandole in relazione alla loro rilevanza a livello manageriale. CompOrga.indb 131 11/01/2013 16.35.06 Parte II 132 Il comportamento individuale nelle organizzazioni La tabella 6-2 riassume i risultati relativi alla correlazione tra la soddisfazione lavorativa e le altre variabili considerate; può esservi una correlazione positiva o negativa e, in entrambi i casi, debole o forte. I casi di correlazione forte suggeriscono al manager spunti di progettazione organizzativa e di comportamenti per migliorare la soddisfazione lavorativa. Prendiamo ora in esame sette variabili particolarmente rilevanti. Motivazione Dalla meta-analisi di 9 studi su 1739 lavoratori è emersa un’importante correlazione positiva tra la motivazione e la soddisfazione lavorativa. Dal momento che il grado di soddisfazione nei confronti dei capi è direttamente proporzionale alla motivazione, i manager dovrebbero prendere in seria considerazione i propri comportamenti per capire quanto essi influenzino la soddisfazione dei collaboratori.36 Possono inoltre accrescere la motivazione dei dipendenti mediante varie strategie mirate a incrementare la soddisfazione lavorativa. Coinvolgimento lavorativo Il coinvolgimento lavorativo, una componente del coinvolgimento del personale, rappresenta il grado di coinvolgimento personale nel lavoro. Una meta-analisi che ha coinvolto 27.925 persone ha dimostrato che il coinvolgimento lavorativo è moderatamente correlato alla soddisfazione del lavoro.37 I manager dovrebbero spendersi per creare un ambiente di lavoro soddisfacente in modo da stimolare il coinvolgimento lavorativo dei collaboratori. Comportamenti di cittadinanza aziendale: comportamenti dei dipendenti che eccedono quanto formalmente richiesto dal proprio ruolo Comportamento di cittadinanza aziendale I comportamenti di cittadinanza aziendale sono comportamenti messi in atto dai collaboratori che vanno al di là dei loro precisi doveri all’interno dell’azienda. Ad esempio “gesti come pronunciare affermazioni costruttive sul proprio reparto, esprimere interesse personale verso il lavoro degli altri, dare consigli mirati al miglioramento, guidare il personale neoassunto, dimostrare rispetto per lo spirito e le regole di pulizia dei locali, per le proprietà dell’azienda, essere puntuali e presenti oltre quanto richiesto”.38 Qualsiasi manager apprezzerebbe un dipendente che dimostra questo tipo di comportamenti. Da una meta-analisi di 21 studi Tabella 6-2 Fattori correlati alla soddisfazione lavorativa Variabili collegate alla soddisfazione Direzione della relazione Forza della relazione Motivazione Comportamento di cittadinanza aziendale Coinvolgimento lavorativo Impegno verso l’organizzazione Pensieri di abbandono Turnover Problemi cardiocircolatori Stress percepito Adesione ai sindacati Performance lavorativa Soddisfazione generale Salute mentale Soddisfazione del cliente Positiva Positiva Positiva Positiva Negativa Negativa Negativa Negativa Negativa Positiva Positiva Positiva Positiva Moderata Moderata Moderata Moderata Forte Moderata Moderata Forte Moderata Moderata Moderata Moderata Moderata CompOrga.indb 132 11/01/2013 16.35.06 6 Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa 133 diversi è emersa l’esistenza di una correlazione moderatamente positiva e significativa tra i comportamenti di cittadinanza aziendale e la soddisfazione lavorativa.39 Inoltre, due studi meta-analitici più ampi e recenti hanno rivelato che esiste una significativa correlazione tra i comportamenti di cittadinanza aziendale e una serie di conseguenze a livello individuale (risultati nelle valutazioni della prestazione, intenzioni di lasciare l’azienda, assenteismo e turnover) e risultati a livello organizzativo (produttività, efficienza, costi più bassi, soddisfazione del cliente, soddisfazione a livello di funzione aziendale e turnover).40 Questi dati sono importanti per due ordini di motivi. In primo luogo, i comportamenti di cittadinanza aziendale possono determinare impressioni positive sui colleghi e i capi e questo a sua volta può incidere sulla capacità di collaborare con gli altri, sulla valutazione della performance operata dai manager e sulla possibilità di ottenere promozioni. In secondo luogo, nel loro insieme i comportamenti di cittadinanza aziendale possono determinare importanti conseguenze a livello organizzativo. I manager dovrebbero essere incoraggiati a perseguire decisioni le più eque possibile nei riguardi dei collaboratori per stimolare i comportamenti di cittadinanza aziendale. L’argomento sarà approfondito nel Capitolo 8. Pensieri di abbandono: pensieri e sentimenti sull’abbandonare il proprio posto di lavoro Pensieri di abbandono del lavoro Alcune persone lasciano il lavoro impulsivamente o in un impeto di rabbia, ma la maggior parte lo fa dopo aver riflettuto e ponderato la scelta. I pensieri di abbandono, ossia i pensieri che portano alla decisione di lasciare il lavoro, riassumono elementi razionali e sentimenti. È quindi molto importante per un manager agire sulla soddisfazione lavorativa anche per tenere sotto controllo il turnover. Turnover Prima di discutere la relazione tra soddisfazione lavorativa e turnover, soffermiamoci a esaminare i pro e i contro del turnover. Il turnover può determinare risvolti positivi quando un dipendente che evidenzia performance mediocri lascia l’azienda o viene licenziato, consentendo ai manager di sostituirlo con un collaboratore migliore o di riallineare la spesa. Al contrario, la perdita di una persona di talento è negativa perché l’organizzazione perde un contributo prezioso.41 Molti sono i provvedimenti che un manager può adottare per ridurre il tasso di turnover, ma la gran parte mira all’aumento della soddisfazione lavorativa. Una meta-analisi di 67 studi condotti su un campione totale di 24.556 persone lo dimostra. La correlazione tra soddisfazione lavorativa e turnover dei dipendenti è negativa e moderatamente forte,42 quindi i manager dovrebbero tentare di ridurre il turnover incrementando la soddisfazione. Stress percepito Lo stress può avere effetti estremamente negativi sul comportamento organizzativo e sulla salute dell’individuo. Esiste una correlazione positiva tra stress e assenteismo, turnover, malattie cardiocircolatorie e infezioni virali. La tabella 6-2, basandosi su una meta-analisi di sette studi su un campione di 2659 persone, rivela che lo stress percepito ha una forte correlazione negativa con la soddisfazione lavorativa.43 È stato inoltre rilevato che lo stress percepito è negativamente associato al coinvolgimento del personale. Consigliamo ai manager di tentare di ridurre gli effetti negativi dello stress migliorando la soddisfazione e incoraggiando i collaboratori a distaccarsi completamente dal lavoro durante il tempo libero.44 CompOrga.indb 133 11/01/2013 16.35.06 134 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni Performance lavorativa Uno dei temi più dibattuti nelle ricerche di comportamento organizzativo è la relazione tra soddisfazione e performance lavorativa, in quanto è difficile stabilire quale sia la causa e quale l’effetto: è la soddisfazione a migliorare la performance o, viceversa, quando si ottiene un buon risultato si è più soddisfatti?45 Un gruppo di ricercatori ha tentato di porre fine alla controversia confrontando i dati relativi a 312 campioni su un totale di 54.417 individui.46 Due sono stati gli esiti più importanti di questo studio. Innanzitutto, è emersa una moderata correlazione positiva tra soddisfazione lavorativa e performance; si tratta di un risultato importante perché sostiene l’ipotesi che la soddisfazione del lavoratore sia un atteggiamento di fondamentale importanza, degno perciò di attenzione per i manager che tentano di migliorare il rendimento dei propri collaboratori. Secondo risultato: la correlazione tra soddisfazione lavorativa e performance è molto più complessa di quanto si potesse pensare. La questione non si riduce quindi a una semplice relazione diretta in cui la soddisfazione causa la performance o viceversa: i ricercatori sono invece convinti che entrambe le variabili si influenzino a vicenda e siano a loro volta influenzate da numerose differenze individuali e dalle caratteristiche ambientali del posto di lavoro. I comportamenti controproducenti in ambito lavorativo Comportamenti controproducenti in ambito lavorativo: comportamenti che hanno un impatto negativo sui lavoratori e l’organizzazione nel suo insieme Nella nostra analisi della soddisfazione lavorativa, abbiamo notato che l’insoddisfazione può essere associata ad alcune tipologie di comportamento indesiderabile, come un basso coinvolgimento del personale e un turnover più elevato. Comportamenti di questo genere, assieme ad altri più sgradevoli, appartengono a una categoria denominata comportamenti controproducenti in ambito lavorativo (counterproductive work behavior, CWB), che hanno un impatto negativo su tutti gli attori aziendali. I comportamenti controproducenti comprendono il furto, i pettegolezzi, le “pugnalate alle spalle” ai colleghi, l’abuso di alcolici e l’uso di stupefacenti, la devastazione di proprietà aziendali, la violenza, lo svolgimento intenzionale di lavori errati o di cattiva qualità, l’uso personale della rete aziendale, la socializzazione eccessiva, l’abitudine ad arrivare in ritardo, il sabotaggio e le molestie sessuali.47 Maltrattamenti Gran parte delle forme di comportamento controproducente si concretizza in maltrattamenti di colleghi e subordinati o talvolta dei clienti; per esempio, i collaboratori possono compiere molestie, atti di bullismo o azioni palesemente inique. Purtroppo, un recente sondaggio Zogby ha indicato che oltre il 50% degli adulti statunitensi ha subito o è stato testimone di episodi di bullismo nell’ambiente di lavoro. Un altro sondaggio condotto su 12.000 persone provenienti da 24 paesi ha indicato che circa il 10% degli intervistati ha subito molestie sessuali o fisiche sul posto di lavoro.48 Gli abusi commessi dai supervisori sono particolarmente insidiosi perché, secondo quanto riferito dagli stessi collaboratori, sentendosi intimiditi, umiliati o sminuiti dai supervisori, essi sono più propensi a vendicarsi adottando un comportamento controproducente ai danni del supervisore e dei colleghi.49 Questo tipo di reazione è più probabile quando CompOrga.indb 134 11/01/2013 16.35.06 6 Valori, atteggiamenti e soddisfazione lavorativa 135 l’organizzazione non offre canali attraverso i quali i dipendenti possono segnalare il problema e cercare di risolverlo. Le cause e la prevenzione dei comportamenti controproducenti Occorre conoscere le cause dei comportamenti controproducenti per prevenirli. Secondo uno studio che ha seguito per 23 anni i comportamenti sul lavoro di oltre 900 giovani adulti, la diagnosi di disturbi della condotta durante l’adolescenza era associata a comportamenti controproducenti in ambito lavorativo, mentre le condanne penali precedenti l’ingresso nella forza lavoro non lo erano.50 Anche i tratti della personalità e le condizioni di lavoro possono favorire l’insorgere di questi comportamenti.51 Questi risultati suggeriscono le seguenti implicazioni per i manager: • Le organizzazioni possono contenere i comportamenti controproducenti assumendo individui che mostrano una minore tendenza a manifestare questo tipo di comportamenti. • Le organizzazioni dovrebbero motivare i comportamenti desiderati, per esempio, progettando mansioni che favoriscono la soddisfazione e prevenendo gli abusi da parte dei supervisori. Uno studio condotto su 265 ristoranti ha riscontrato che i comportamenti negativi erano maggiori nei ristoranti dove i dipendenti avevano segnalato abusi da parte dei supervisori e i manager dovevano monitorare un numero maggiore di dipendenti.52 Di conseguenza, procedure di assunzione adeguate e programmi di sviluppo dei manager possono non solo rendere più piacevoli le vite dei dipendenti, ma anche migliorare le performance finanziarie. • Se un collaboratore assume comportamenti inaccettabili, l’organizzazione dovrebbe approntare una reazione tempestiva e adeguata, definendo quali comportamenti specifici sono inaccettabili e i requisiti dei comportamenti accettabili. Il Capitolo 9 presenta linee guida per fornire feedback efficaci. CompOrga.indb 135 11/01/2013 16.35.06 Percezioni e attribuzioni sociali 7 Mostrarsi vulnerabili è un bene o un male? Un recente articolo pubblicato sulla rivista Bloomberg Businessweek ha passato in rassegna gli aspetti positivi del mostrarsi vulnerabili (cioè manifestare le proprie debolezze e i propri limiti) quando si pubblicizzano prodotti e servizi o quando si punta a creare team più efficaci. Secondo l’autore Patrick Lencioni, le organizzazioni e gli individui creano percezioni positive quando ammettono le proprie debolezze, nella misura in cui lo fanno con sincerità. “La vulnerabilità è spesso considerata debolezza, mentre in realtà è indice di forza. Le persone autenticamente aperte e trasparenti dimostrano di avere la fiducia e l’autostima necessarie per mostrarsi agli altri così come sono, con tutti i loro difetti. E hanno un non so che di incredibilmente affascinante”, afferma Lencioni. Lencioni ritiene inoltre che mostrare le proprie vulnerabilità ai colleghi può favorire il lavoro di squadra: “Quando i membri di un team si sentono liberi di ammettere i propri errori, chiedere aiuto e riconoscere CompOrga.indb 137 le proprie debolezze, attenuano le dinamiche di contrasto e instaurano un legame di fiducia più prezioso di qualsiasi altro vantaggio strategico.” A supporto della sua opinione, Lencioni cita i casi di Domino’s Pizza e della squadra di football dei Chicago Bears. La pubblicità di Domino’s Pizza “si apre con dei clienti che descrivono la pizza Domino’s usando parole come ketchup e cartone. Poi il presidente dell’azienda Patrick Doyle spiega con un tono molto pragmatico che è importante prendere atto delle opinioni dei clienti e illustra le novità introdotte per migliorare il prodotto: una salsa più aromatica, con il 40% di erbe in più, un formaggio di migliore qualità e una crosta più croccante.” Analogamente, i Chicago Bears “hanno concluso una stagione fallimentare con una pubblicità a pagina intera nella quale ammettevano di aver fatto un tentativo mediocre di giocare a football da professionisti e ringraziavano i fan per il loro sostegno nonostante le pessime prestazioni”.1 11/01/2013 16.35.06 138 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni Il caso di apertura sottolinea un aspetto importante del processo di percezione: le persone non riportano le stesse impressioni dei messaggi pubblicitari, degli eventi, degli individui e di tutto ciò che rientra nella vita quotidiana. Il CEO di Domino’s Pizza evidentemente ritiene che descrivere il suo prodotto come “cartone” determinerà impressioni positive e incrementerà le vendite, mentre altri potrebbero non essere attirati da una descrizione del genere. Percezioni e impressioni sono influenzate dalle informazioni che riceviamo da quotidiani, riviste, televisione, radio, familiari e amici. Inoltre, utilizziamo tutte le informazioni immagazzinate nella nostra memoria per interpretare il mondo circostante; e queste interpretazioni, a loro volta, esercitano un’influenza sulle reazioni e le interazioni con gli altri. Gli esseri umani si sforzano continuamente di dare un senso a ciò da cui sono circondati, l’accumulo di conoscenza che ne deriva influenza il comportamento e aiuta ad affrontare i diversi problemi che si incontrano nella vita. Proviamo a pensare al processo di percezione che entra in gioco quando incontriamo una persona per la prima volta. La nostra attenzione è attratta dal suo aspetto fisico, dai modi, dai comportamenti e dalle reazioni a ciò che diciamo e facciamo. L’idea che ci costruiamo, in definitiva, si basa sulle nostre percezioni nei confronti dell’interazione sociale in corso. Questa persona, ad esempio, ha i capelli castani e gli occhi verdi, si rivela amichevole ed è appassionata di sport all’aria aperta. La conclusione può essere che la persona ci piace, quindi la invitiamo a un concerto, chiamandola con il nome che abbiamo immagazzinato nella nostra memoria. Questo processo reciproco di percezione, interpretazione e risposta comportamentale entra in gioco anche nell’ambiente lavorativo. Bernie Madoff, per esempio, ha fatto leva sul processo di percezione per orchestrare una truffa ai danni di ignari investitori, basata sul vecchio principio della “catena di Sant’Antonio”, per 50 miliardi di dollari. Madoff, descritto come “intraprendente, ricco e affascinante”, ha sfruttato il successo riscosso dalla sua società negli anni ’80 e ’90 per crearsi l’immagine di investitore capace: i suoi uffici “trasudavano successo” e le contrattazioni sembravano “molto redditizie e del tutto legittime”. Inoltre Madoff era impegnato nel sociale e rivestiva un ruolo attivo in organizzazioni di beneficenza. Nell’insieme questa immagine di sé lo ha aiutato ad attirare ricchi investitori e professionisti della finanza, sostenendo la percezione che stesse guidando una delle società di investimento più esclusive e di maggior successo al mondo. Purtroppo, si trattava di una recita, che ha convinto il pubblico per molto tempo a causa dell’immagine percepita.2 Il processo di percezione influenza molto di più delle impressioni che le persone colgono reciprocamente nelle loro interazioni. Per esempio, le aziende sfruttano le dinamiche percettive sia nella progettazione che nel marketing dei prodotti, mentre i candidati politici le usano per vincere le elezioni. L’Agenzia governativa statunitense per la sicurezza dei trasporti ha usato la ricerca sulla percezione per mettere a punto programmi di formazione per gli addetti alla sicurezza aeroportuale mirati a migliorarne le capacità di riconoscere oggetti potenzialmente pericolosi;3 in questo contesto, distorsioni ed errori nel processo di percezione possono determinare conseguenze catastrofiche! Con questi esempi, vogliamo sottolineare che il processo di percezione influenza una molteplicità di attività manageriali, processi organizzativi e aspetti legati alla qualità della vita. CompOrga.indb 138 11/01/2013 16.35.06 7 Percezioni e attribuzioni sociali 139 Iniziamo quindi il nostro viaggio all’interno dei processi di percezione e delle conseguenze che ne derivano analizzando: (1) la percezione, vista come un modello di elaborazione delle informazioni; (2) gli stereotipi; (3) la profezia che si autoavvera; (4) in che modo le attribuzioni causali sono utilizzate per interpretare il comportamento. La percezione come modello di elaborazione delle informazioni Percezione: processo di interpretazione del proprio ambiente La percezione è un processo cognitivo che ci permette di interpretare e capire ciò che ci circonda. Una delle funzioni principali di questo processo è il riconoscimento degli oggetti. Tanto gli uomini quanto gli altri animali, ad esempio, riconoscono gli oggetti familiari nei loro ambienti. Ciascuno di noi saprebbe riconoscere una foto del suo migliore amico, così come i cani e i gatti sanno riconoscere la loro ciotola o il giocattolo preferito. Anche il processo di lettura implica la capacità di distinguere degli schemi visuali che rappresentano le lettere dell’alfabeto e di riconnetterli in un significato. Affinché ci sia un’interazione significativa tra uomo e ambiente, è necessario saper riconoscere gli oggetti. L’obiettivo principale del comportamento organizzativo è però quello di studiare le persone e le loro interazioni; perciò ci concentreremo sulla percezione sociale, tralasciando la percezione degli oggetti. Lo studio del modo in cui le persone si percepiscono l’un l’altra è stato definito cognizione sociale e elaborazione sociale delle informazioni. La cognizione sociale, a differenza della percezione degli oggetti, si occupa delle modalità tramite le quali le persone danno un senso a se stesse e alle altre persone. Si concentra dunque su come normalmente pensiamo agli altri esseri umani, e su come pensiamo di pensare agli altri esseri umani. La ricerca sulla cognizione sociale cerca di andare oltre la psicologia ingenua; questo tipo di studi implica infatti un’analisi molto dettagliata di ciò che l’individuo pensa di se stesso e degli altri, analisi che si collega a teorie e metodi della psicologia cognitiva.4 Passiamo ora ad analizzare i processi fondamentali che stanno alla base della percezione. Una sequenza a quattro fasi e un esempio operativo La percezione implica una sequenza di elaborazione dell’informazione a quattro fasi. La figura 7-1 mostra un modello base della percezione come elaborazione dell’informazione. Tre delle quattro fasi del modello – selezione attiva/comprensione, codificazione e semplificazione, immagazzinamento e conservazione – descrivono in che modo l’informazione specifica e gli stimoli ambientali vengono notati e registrati in memoria. L’ultima fase, recupero e reazione, implica la trasformazione delle rappresentazioni mentali in giudizi e decisioni reali. Leggendo i paragrafi che seguono, nei quali ci occuperemo delle quattro fasi della percezione, è opportuno tenere sempre sullo sfondo qualche esempio di vita quotidiana. Si può immaginare, ad esempio, di stare per fare l’iscrizione al corso di finanza; ci sono CompOrga.indb 139 11/01/2013 16.35.07 Parte II 140 Fase 1 Selezione attiva/ comprensione Il comportamento individuale nelle organizzazioni Fase 2 Codificazione e semplificazione Fase 4 Recupero e reazione Fase 3 Immagazzinamento e conservazione A Stimoli ambientali in competizione • Persone • Eventi • Oggetti B C D E Interpretazione e categorizzazione A C F Memoria C Giudizi e decisioni F Figura 7-1 Percezione: un modello di elaborazione delle informazioni tre professori che tengono lo stesso corso, ma ognuno utilizza metodi di insegnamento e di verifica diversi. L’esperienza ha insegnato a preferire i buoni insegnanti che utilizzano il metodo dei casi e che chiedono una tesina per l’esame finale. In base al modello di elaborazione delle informazioni, probabilmente decidereste quale corso scegliere nel seguente modo. Fase 1: selezione attiva/comprensione Attenzione: essere coscienti di qualcosa o qualcuno Nell’ambiente in cui vivono, le persone sono costantemente bombardate da stimoli fisici e sociali. Non disponendo della capacità intellettiva necessaria a comprendere tutte le informazioni in arrivo, percepiscono in modo selettivo dei sottoinsiemi di stimoli ambientali; ed è qui che entra in gioco la selezione attiva. L’attenzione è il processo per cui si diventa consapevoli di qualcuno o qualcosa. Essa può essere concentrata sia su informazioni provenienti dall’ambiente, sia su informazioni reperibili nella propria memoria. A proposito di quest’ultimo caso, se vi ritrovate a pensare a cose o fatti che non c’entrano niente mentre state leggendo questo libro, l’oggetto della vostra attenzione è situato nella memoria. La ricerca dimostra che le persone tendenzialmente riservano la propria attenzione agli stimoli rilevanti. Stimoli rilevanti Una cosa è rilevante quando emerge dal contesto. Un uomo di 150 chili che partecipa a una lezione di aerobica, ad esempio, è sicuramente rilevante, mentre non lo sarebbe a un incontro della National Football League Players’ Association. Spesso sono i bisogni e gli obiettivi della persona a rendere uno stimolo rilevante o meno. Per un autista con il veicolo in riserva, le insegne della Exxon o della Mobil saranno più rilevanti di quelle di McDonald’s o Burger King; se la stessa persona avesse una gran fame e il serbatoio pieno, sarebbe vero il contrario. Inoltre, la ricerca dimostra che le persone hanno la tendenza a prestare più attenzione alle informazioni negative che a quelle positive, atteggiamento che dà origine al cosiddetto bias negativo,5 e che permette di spiegare perché gli automobilisti rallentano per curiosare sul luogo di un incidente. CompOrga.indb 140 11/01/2013 16.35.07 7 Percezioni e attribuzioni sociali 141 Ritorniamo al nostro esempio Iniziate a cercare il professore “giusto” di finanza chiedendo informazioni ad amici che hanno frequentato i corsi di tutti e tre i docenti. O magari andate a parlare con i singoli professori per raccogliere informazioni ancora più rilevanti. Ritornando alla figura 7-1, tutte le informazioni che ottenete rappresentano gli stimoli ambientali in concorrenza tra loro rappresentati dalla linee A-F. Dal momento che vi interessano il metodo di insegnamento (ad esempio, la riga A nella figura), le modalità di valutazione (riga C) e le votazioni date in passato (riga F), le informazioni relative a queste aree risultano per voi particolarmente rilevanti. La figura 7-1 mostra che solo queste tre informazioni rilevanti vengono percepite, e si passa quindi alla seconda fase dell’elaborazione dell’informazione. Nel frattempo, gli stimoli concorrenti, rappresentati dalle righe B, D ed E, non attirano la vostra attenzione e non verranno più presi in considerazione. Fase 2: codificazione e semplificazione Categorie cognitive: archivi mentali per l’immagazzinamento delle informazioni Schemi: immagini mentali di un evento o di un oggetto Le informazioni raccolte non vengono immagazzinate in memoria nella loro forma originaria. C’è bisogno di una codifica; le informazioni grezze vengono interpretate o tradotte in rappresentazioni mentali. Per farlo, la persona che percepisce colloca ciascuna informazione all’interno di categorie cognitive. “Intendiamo con categoria un numero di oggetti considerati equivalenti. Le categorie sono di solito descritte da un nome, ad esempio cane oppure animale”.6 Le persone, gli eventi e gli oggetti sono interpretati e valutati tramite un confronto delle loro caratteristiche con le informazioni contenute all’interno di schemi. Schemi Uno schema rappresenta l’immagine o riassunto mentale che una persona si costruisce di un determinato evento o tipo di stimolo. Lo schema di un evento, per esempio andare a cena al ristorante, è detto script (copione). Lo schema nella vostra memoria di una cena al ristorante è probabilmente molto simile a quello riportato nella tabella 7-1. Per rendere gli schemi significativi sono necessarie delle etichette relative alle categorie cognitive. Nella vostra memoria sono immagazzinati schemi come “andare a cena al ristorante” o “automobili sportive” e ciascuno contiene delle informazioni. Per esempio, il vostro schema mentale “automobili sportive” contiene un veicolo di piccole dimensioni a due porte, magari di colore rosso? Se sì, tenderete a classificare tutti i veicoli piccoli, di colore rosso, a due porte come automobili sportive perché sono coerenti con il vostro schema mentale delle “automobili sportive”. Codifica dei risultati Il processo di codifica ci serve per interpretare e valutare l’ambiente in cui viviamo. Si tratta di un processo che può dar luogo a interpretazioni e valutazioni diverse della stessa persona o dello stesso evento. Le interpretazioni di ciò che vediamo sono diverse per quattro ragioni fondamentali. In primo luogo, ogni persona dispone, all’interno degli schemi usati per l’interpretazione, di informazioni diverse. Ad esempio, da una meta-analisi di 62 studi è emerso che le donne e gli uomini hanno opinioni diverse su quali comportamenti possano essere considerati molestie sessuali; il campione femminile ha definito molestie una CompOrga.indb 141 11/01/2013 16.35.07 Parte II 142 Tabella 7-1 Schema di una cena al ristorante Fonte: da D Rumelhart, Introduction to Human Information Processing (New York: John Wiley & Sons, Inc., 1977. Ristampa autorizzata da John Wiley & Sons, Inc.). Il comportamento individuale nelle organizzazioni Schema: Ristorante Protagonisti: Clienti, direttrice di sala, cameriere, cuoco, cassiere Scena 1: Ingresso Il cliente entra nel ristorante Il cliente trova un posto a sedere Lo trova da solo È la direttrice di sala ad accompagnarlo al tavolo Chiede alla direttrice di sala un tavolo Lei gli indica il tavolo a cui può accomodarsi Scena 2: Ordinazioni Il cliente riceve un menu Lo legge Decide che cosa ordinare Il cameriere prende gli ordini Il cameriere vede il cliente Si avvicina al cliente Il cliente ordina Il cuoco cucina il pasto Scena 3: Consumazione Dopo un po’ il cameriere porta il cibo dal cuoco al cliente Il cliente mangia Scena 4: Uscita Il cliente chiede il conto al cameriere Il cameriere dà il conto al cliente Il cliente lascia una mancia L’entità della mancia dipende dalla qualità del servizio Il cliente paga il conto al cassiere Il cliente esce dal ristorante gamma più vasta di comportamenti.7 In secondo luogo, i nostri stati d’animo e le emozioni possono influenzare la nostra attenzione e le valutazioni degli altri. Terza ragione, le persone tendono a usare per la codifica le categorie cognitive di uso più recente. Sarà più facile che il comportamento neutro di un docente venga valutato positivamente se ultimamente il pensiero è andato a categorie ed eventi positivi. E infine, quarto punto, anche le differenze individuali influiscono sulla codifica. Gli individui depressi o pessimisti, quindi, tenderanno a interpretare ciò che li circonda in modo più negativo rispetto alle persone ottimiste e allegre. Sostanzialmente, non dovrebbe sorprenderci che le persone valutino la stessa situazione in modo diverso. I ricercatori stanno cercando di identificare la miriade di fattori che possono influire sul processo di codifica. Ritorniamo al nostro esempio Dopo aver raccolto le informazioni relative ai tre docenti di finanza e ai loro metodi, passate a confrontarle con altri dettagli contenuti negli schemi. E questo vi porta a delineare una sensazione o una valutazione di come sarebbe CompOrga.indb 142 11/01/2013 16.35.07 7 Percezioni e attribuzioni sociali 143 frequentare un corso con ciascuno di loro. Subito dopo, le informazioni contenute nei percorsi A, C ed F della figura 7-1 vengono passate alla terza fase dell’elaborazione delle informazioni. Fase 3: immagazzinamento e conservazione In questa fase avviene l’immagazzinamento delle informazioni nella memoria a lungo termine. Possiamo immaginare la memoria a lungo termine come un complesso di appartamenti costituito da unità separate ma collegate l’una all’altra; in ogni appartamento vivono persone diverse, che qualche volta interagiscono; il complesso, inoltre, ha varie dependance o sottoinsiemi (ad esempio le scale A, B, C). Analogamente, la memoria a lungo termine è composta da categorie separate ma interconnesse tra di loro; come i singoli appartamenti sono abitati da individui, le categorie contengono diversi tipi di informazioni; le informazioni si muovono tra queste categorie; infine, la memoria a lungo termine è composta da tre comparti che contengono le categorie di informazioni relative a eventi, materiale semantico e persone.8 Memoria degli eventi Questo compartimento è composto da categorie contenenti informazioni su eventi sia generici sia specifici. Si tratta di ricordi che descrivono sequenze appropriate di eventi in situazioni note, come ad esempio andare al ristorante (tabella 7-1), a un colloquio di lavoro, al negozio di alimentari o al cinema. Memoria semantica La memoria semantica fa riferimento a conoscenze generiche sul mondo; funziona quindi come un dizionario mentale dei concetti. Ogni concetto contiene una definizione (ad esempio, un buon leader) e le relative caratteristiche personali (estroverso), emotive (felice), fisiche (alto) e comportamentali (lavora sodo). Così come esistono degli schemi per gli eventi generici, allo stesso modo i concetti vengono immagazzinati nella memoria semantica sotto forma di schemi. Partendo da quanto abbiamo affermato sulla gestione della diversità nel Capitolo 2 e sul management interculturale nel Capitolo 4, non dovrebbe sorprendere l’esistenza di differenze culturali nel tipo di informazioni immagazzinate nella memoria semantica. Memoria personale Le categorie incluse in questo settore contengono informazioni sui singoli individui (ad esempio, il vostro professore di comportamento organizzativo) o su gruppi di persone (i professori). Le persone tendono a ricordare le informazioni riguardanti un individuo, un evento o un messaggio pubblicitario con caratteristiche simili a qualcosa che è già immagazzinato in memoria. Per esempio, aziende come Nutrisystem e Unilever fanno sempre più ricorso a persone “normali” anziché a personaggi famosi nelle loro pubblicità perché i consumatori non si identificano con le celebrità. Torniamo al nostro esempio Si avvicina il momento di scegliere un professore di finanza: gli schemi che riguardano ciascun docente sono ormai immagazzinati nelle tre categorie della memoria a lungo termine. Ognuno di questi schemi rimane a disposizione per un confronto o un recupero immediato. CompOrga.indb 143 11/01/2013 16.35.07 144 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni Fase 4: Recupero e reazione L’individuo recupera le informazioni dalla memoria quando giudica e decide. Infatti le decisioni e i giudizi si basano su deduzioni, interpretazioni e integrazioni delle informazioni conservate nella memoria a lungo termine, o sul recupero di giudizi di massima già fatti. Per concludere il nostro esempio, arriviamo al giorno dell’iscrizione: ora dovete scegliere definitivamente il vostro futuro docente di finanza. Dopo avere recuperato dalla memoria le impressioni basate sugli schemi che riguardano ciascun docente, ne scegliete uno in gamba, che utilizza il metodo dei casi e chiede un elaborato finale (riga C nella figura 7-1). Al contrario, potreste però anche scegliere l’insegnante semplicemente basandovi sulla decisione presa due settimane fa, prima di dare avvio al processo razionale di decisione. Implicazioni manageriali La cognizione sociale rappresenta la finestra attraverso cui tutti noi osserviamo, interpretiamo e prepariamo le nostre reazioni a cose e persone. Un gran numero di attività manageriali, processi organizzativi e questioni concernenti la qualità della vita sono perciò influenzate dalla percezione. Analizziamo, ad esempio, le seguenti sette implicazioni. Cognizione implicita: insieme di pensieri e credenze automaticamente e inconsapevolmente attivato dalla memoria Assunzione Gli intervistatori scelgono chi assumere in base alle loro impressioni sulla corrispondenza tra il candidato e i requisiti percepiti necessari per un determinato posto di lavoro.9 Purtroppo però molte di queste decisioni vengono prese sulla base della cognizione implicita. Per cognizione implicita si intende l’insieme di pensieri e credenze automaticamente e inconsapevolmente attivato dalla memoria. La cognizione implicita induce le persone a prendere delle decisioni influenzate da particolari distorsioni (bias) senza rendersene conto.10 Questa tendenza è stata considerata una possibile spiegazione di presunti comportamenti discriminatori presso aziende come Walmart, FedEx, Johnson & Johnson e Cargill. Gli esperti consigliano due soluzioni per attenuare gli effetti della cognizione implicita.11 Anzitutto, si possono formare i manager per aiutarli a riconoscere e ridurre questo tipo di bias. Secondo i risultati di uno studio, la formazione ha migliorato l’abilità degli intervistatori nell’ottenere informazioni di alta qualità e connesse al lavoro, aiutandoli a rimanere concentrati sul colloquio. In questo studio, chi aveva ricevuto una formazione specifica emetteva giudizi più equi sui candidati rispetto ai colleghi non formati.12 In secondo luogo, il bias può essere ridotto effettuando colloqui strutturati, anziché non strutturati, e tenendo conto delle valutazioni di più intervistatori anziché di uno o due. Valutazione della performance Schemi impropri su cosa sia una performance buona o cattiva possono portare a valutare in modo errato la prestazione stessa, intaccando la motivazione, l’impegno e la fedeltà del lavoratore. Uno studio condotto su 166 addetti alla produzione, ad esempio, ha dimostrato come questi lavoratori avessero maggiore fiducia nei loro manager quando percepivano che il processo di valutazione della performance forniva valutazioni accurate.13 È quindi importante che i manager identifichino in modo CompOrga.indb 144 11/01/2013 16.35.07 7 Percezioni e attribuzioni sociali 145 il più possibile preciso le caratteristiche di comportamento e i risultati indicativi di una buona performance, prima di iniziare un ciclo di valutazione delle prestazioni. Queste caratteristiche possono servire come standard per la valutazione della performance dei dipendenti. Da una meta-analisi di 50 ricerche che hanno coinvolto 8341 individui, è emersa l’importanza di utilizzare misure oggettive e non soggettive nella valutazione della performance dei lavoratori. L’analisi rivela infatti che esiste solo una correlazione moderata tra misure oggettive e soggettive. Gli studiosi che se ne sono occupati hanno concluso che tali misure non sono intercambiabili.14 Si consiglia perciò ai manager di utilizzare misure oggettive per la valutazione della prestazione per quanto possibile, perché gli indicatori soggettivi possono essere influenzati da bias e quindi non accurati e pregiudiziali. Nei casi in cui non esistano misure oggettive adeguate alla valutazione della performance, però, i manager si troveranno costretti a utilizzare quelle soggettive. Inoltre, siccome la memoria relativa a particolari specifici della prestazione del collaboratore svanisce nel tempo, è necessario che il manager disponga di un metodo accurato per riportarli alla memoria. Le ricerche rivelano che è possibile insegnare a valutare in modo più accurato la performance.15 Leadership La ricerca dimostra che le valutazioni dei dipendenti sull’efficacia del leader vengono fortemente influenzate dagli schemi in base ai quali essi valutano la qualità del leader stesso. Se il capo assume atteggiamenti che rientrano nello schema del cattivo leader, gli riuscirà molto difficile imporsi ai collaboratori. Un gruppo di ricercatori ha esaminato i comportamenti contenuti nei nostri schemi riferiti a leader buoni o cattivi. In particolare, un buon leader dovrebbe comportarsi così: (1) assegnare compiti specifici ai membri del gruppo di lavoro; (2) fare i complimenti a chi li merita; (3) definire specifici obiettivi per il gruppo; (4) delegare le decisioni ai membri del team; (5) fare in modo che il gruppo lavori in squadra e (6) mantenere standard di performance definiti. Secondo un altro studio recente, sono percepiti come buoni leader coloro che trattano sempre equamente tutti i membri di un gruppo di lavoro.16 Comunicazione e influenza interpersonale Un manager dovrebbe tenere presente che la percezione sociale è un filtro che può distorcere la comunicazione, sia nell’ascolto che nella trasmissione. Poiché i messaggi scritti e orali vengono interpretati in base agli schemi elaborati nelle esperienze passate, la capacità di influenzare altre persone risente delle informazioni contenute negli schemi mentali riguardanti l’età, il sesso, l’etnia, l’aspetto, il modo di parlare, gli atteggiamenti, la personalità e altre caratteristiche individuali. È importante tenerne conto quando si cerca di esercitare un’influenza su altre persone o di affermare le proprie idee. Comportamenti controproducenti in ambito lavorativo Alcune ricerche hanno dimostrato che i dipendenti mettevano in atto comportamenti controproducenti in ambito lavorativo (analizzati nel Capitolo 6) quando percepivano di essere trattati in maniera iniqua. È molto importante che i manager trattino i collaboratori equamente, ricordando che la percezione di equità è nell’occhio di chi guarda. Il Capitolo 8 illustra in maggior dettaglio come garantire un trattamento equo a tutti i collaboratori. CompOrga.indb 145 11/01/2013 16.35.07 146 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni Benessere fisico e psicologico Il bias negativo può sfociare in problemi fisici e psicologici: nello specifico, le ricerche dimostrano che le percezioni di paura, pericolo e ansia sono associate all’insorgere di patologie, all’assenteismo e alle intenzioni di licenziarsi.17 Sarebbe bene per tutti cercare di evitare la tendenza a prestare troppa attenzione ai pensieri negativi: è molto più salutare lasciare che ci scivolino addosso. Design di pagine web Recentemente i ricercatori hanno iniziato a indagare su quali elementi catturino l’attenzione degli utenti sul web utilizzando sofisticati dispositivi di tracciamento oculare (eye tracking). I risultati di queste ricerche possono aiutare le organizzazioni a investire più efficacemente nel design di pagine web. Stereotipi: percezioni relative a gruppi di persone Anche se spesso la bellezza è negli occhi di chi guarda, alcune conseguenze della percezione sono prevedibili. Un manager consapevole del processo percettivo e delle sue conseguenze gode di un vantaggio competitivo. La Walt Disney Company, ad esempio, utilizza le tendenze percettive per influenzare le reazioni dei visitatori alle code nei suoi parchi a tema. A Orlando, negli studi della Disney-MGM, mentre aspettano di entrare a vedere i Muppet i visitatori guardano videocassette della rana Kermit, proiettate su schermi televisivi. Nel Magic Kingdom, chi aspetta di entrare allo show degli Extraterrestri è intrattenuto da un robot parlante. Nella zona d’attesa di alcune attrazioni l’azienda mette a disposizione semplici giocattoli per intrattenere i più piccoli finché aspettano in coda con i genitori.18 L’esempio dimostra quanto focalizzare l’attenzione su qualcosa influenzi la percezione dell’attesa. Analogamente, un manager può usare la consapevolezza delle conseguenze percettive per interagire più efficacemente con i propri collaboratori. La tabella 7-2, ad esempio, descrive cinque errori percettivi molto diffusi. Questi errori spesso distorcono la valutazione dei candidati all’assunzione o della performance dei dipendenti, per cui i manager devono fare attenzione a non incorrervi. Questa sezione esamina una delle conseguenze più importanti e potenzialmente più pericolose correlate alla percezione della persona: la creazione di stereotipi. Analizzeremo dapprima il processo di formazione e di radicamento dello stereotipo, per poi indagare più a fondo gli stereotipi legati ai ruoli sessuali, all’età, alla razza e alla disabilità. Ci occuperemo infine della responsabilità dei manager nell’evitare i pregiudizi legati agli stereotipi stessi. Formazione e radicamento dello stereotipo Stereotipo: insieme di convinzioni sulle caratteristiche di un gruppo CompOrga.indb 146 “Lo stereotipo è l’insieme delle convinzioni di un individuo sulle caratteristiche o attributi di un gruppo.”19 Non sempre gli stereotipi sono negativi. Anche l’opinione comune secondo cui gli ingegneri sono forti in matematica, ad esempio, fa parte di uno 11/01/2013 16.35.07 7 Percezioni e attribuzioni sociali 147 Tabella 7-2 Errori percettivi comunemente riscontrati Errore percettivo Descrizione Esempio Soluzione consigliata Effetto alone La persona che giudica si forma un’impressione generale su un oggetto e poi la utilizza per influenzare i suoi giudizi su quell’oggetto. Valutare positivamente le caratteristiche didattiche di un docente, quali la capacità di motivare gli studenti, la competenza e le doti di comunicazione, solo perché ci piace la persona. Il comportamento di un collaboratore tende a variare nelle diverse dimensioni della performance. Si consiglia di tenere una cartella o un diario per registrare esempi di prestazioni positive e negative nel corso dell’anno. Indulgenza Caratteristica personale che porta l’individuo a valutare le persone o gli oggetti altri da se stesso costantemente in un modo molto positivo. Valutare bene un docente in tutte le dimensioni della performance, senza tenere in considerazione l’effettiva prestazione. Chi giudica in questo modo non ama pronunciare giudizi negativi sugli altri. Non è molto utile fornire feedback positivi ma poco precisi ai collaboratori: è sempre meglio adottare un approccio equo e realistico nella valutazione. Tendenza centrale Tendenza a evitare qualsiasi giudizio di carattere estremo e a valutare persone e cose in modo medio o neutrale. Valutare un docente nella media in tutte le dimensioni della performance, a prescindere dall’effettiva prestazione. È normale fornire feedback con commenti positivi e negativi. L’uso di un diario della performance può essere utile per ricordare esempi di prestazioni dei collaboratori. Effetto attualità Tendenza a ricordare le informazioni più recenti. Se l’informazione più recente è negativa, la persona o l’oggetto vengono valutati negativamente. Anche se un docente ha tenuto delle belle lezioni per 12 o 15 settimane di seguito, viene valutato negativamente per le scarse prestazioni dimostrate nelle ultime tre settimane. È essenziale raccogliere esempi di prestazioni relativi all’intero periodo in esame. Si consiglia di tenere una cartella o un diario per registrare esempi di prestazioni nel corso di tutto l’anno. Effetto contrasto Tendenza a valutare persone e oggetti confrontandoli con le caratteristiche di persone e oggetti osservati di recente. Valutare un docente come nella media perché si è confrontata la sua performance con tre dei migliori professori dell’università, di cui si stanno frequentando i corsi. È importante valutare i collaboratori rispetto a uno standard anziché affidandosi al ricordo delle prestazioni del collaboratore migliore o peggiore che ha svolto una specifica mansione. stereotipo. Gli stereotipi possono essere accurati o meno. È verosimile, in effetti, che gli ingegneri riescano meglio in matematica rispetto alla gente comune. In generale, le caratteristiche stereotipiche vengono utilizzate per differenziare un determinato gruppo di persone dagli altri.20 È importante ricordare che gli stereotipi sono una componente essenziale del processo di percezione e che ce ne serviamo per elaborare la grande quantità di informazioni dalle quali siamo bombardati ogni giorno. In questo senso, l’utilizzo degli stereotipi fa parte della fisiologia del processo di osservazione della realtà. Premesso questo, l’uso improprio di stereotipi può portare a decisioni sbagliate; ad esempio, può creare barriere per donne, persone di età avanzata, persone di etnia diversa dalla nostra e disabili, oltre a minare la lealtà e la soddisfazione lavorativa all’interno delle aziende. CompOrga.indb 147 11/01/2013 16.35.08 148 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni La creazione dello stereotipo avviene in quattro fasi. Inizia con la categorizzazione delle persone in gruppi in base a vari criteri, tra cui il genere, l’età, l’etnia e l’occupazione. Il passo successivo consiste nel presumere che tutte le persone appartenenti a una determinata categoria possiedano le stesse caratteristiche (ad esempio, che tutte le donne siano materne, che gli anziani siano più soggetti a incidenti sul lavoro, che tutti gli afro-americani siano bravi atleti, che tutti gli studiosi abbiano la testa tra le nuvole). Quindi, si creano delle aspettative e si interpreta il comportamento degli altri in base agli stereotipi. Nell’ultima fase, gli stereotipi vengono radicati (1) sopravvalutando la frequenza dei comportamenti stereotipici, (2) spiegando in modo non corretto i comportamenti corrispondenti alle aspettative e quelli non corrispondenti e (3) differenziando gli individui facenti parte di minoranze dagli altri.21 È difficile evitare che le persone usino gli stereotipi perché le quattro fasi descritte si rinforzano automaticamente. La buona notizia è che i ricercatori hanno identificato delle strategie per rompere la catena della stereotipizzazione. Le ricerche dimostrano che l’uso degli stereotipi è influenzato dalla quantità e dal tipo di informazioni di cui un individuo dispone e dalla sua motivazione nei confronti di una corretta elaborazione delle informazioni.22 Le persone sono meno predisposte a utilizzare stereotipi se si scontrano con informazioni rilevanti che con essi sono in netto contrasto. Se, ad esempio, un docente guida una Harley Davidson, va a lezione in pantaloni di pelle e ha un piercing sul naso, ci sono meno probabilità che gli vengano assegnate le caratteristiche dello stereotipo del “professore”. Un altro fattore che riduce la forza dello stereotipo è avere una motivazione per non incorrervi; in altre parole, si può dire che un’accurata elaborazione delle informazioni richieda uno sforzo mentale; la stereotipizzazione è una strategia meno faticosa, poiché non necessita il ripensamento di processi abitudinari. Passiamo ora ad analizzare i diversi tipi di stereotipi e alcuni metodi per ridurne l’effetto negativo. Stereotipi legati ai ruoli sessuali Stereotipi legati ai ruoli sessuali: convinzioni sui ruoli maschili e femminili CompOrga.indb 148 Gli stereotipi legati ai ruoli sessuali implicano la convinzione che tratti e abilità diverse rendano gli uomini o le donne più o meno adatti a svolgere determinati ruoli. È stato riscontrato che questi stereotipi influenzano le percezioni delle donne in veste di leader. Una sintesi recente di queste ricerche, per esempio, ha rivelato che (1) spesso le persone preferiscono capi di sesso maschile, (2) le donne faticano di più per essere percepite come leader efficaci (per esempio, le donne erano considerate più efficaci degli uomini solo quando l’organizzazione registrava un miglioramento dopo una crisi) e (3) le donne afro-americane risentono in misura maggiore degli stereotipi legati ai ruoli sessuali rispetto alle donne bianche e agli uomini in generale.23 Secondo i ricercatori, gli stereotipi legati ai ruoli sessuali sono legati alle aspettative rispetto ai generi che le persone usano senza esserne consapevoli. Ora, la domanda chiave che sorge è: questo tipo di stereotipi può influenzare le assunzioni, le valutazioni e le promozioni dei dipendenti? Una meta-analisi di 19 ricerche su un totale di 1842 individui non ha fatto emergere alcuna correlazione significativa tra genere del candidato e decisioni di assunzione.24 Un’ulteriore ricerca, confrontando i risultati di 24 studi sperimentali, ha rivelato che 11/01/2013 16.35.08 7 Percezioni e attribuzioni sociali 149 uomini e donne ottenevano una valutazione simile a parità di prestazioni; in altre parole, non è emerso alcun pregiudizio a favore dell’uomo. Tali studi sperimentali hanno trovato riscontro in una ricerca sul campo condotta tra professori maschi e femmine.25 Sfortunatamente, i risultati che si riferiscono alle promozioni non sono così positivi. Una ricerca su 682 dipendenti di una multinazionale inclusa nella lista delle 500 imprese di Fortune ha rivelato che il genere contava molto nella possibilità di promozione. È emerso che gli uomini ricevevano valutazioni più favorevoli a parità di altri fattori quali l’età, il grado di istruzione, la capacità organizzativa, il livello salariale e il tipo di lavoro.26 È stato inoltre riscontrato che i pregiudizi incidono maggiormente sulle donne impiegate in occupazioni non tradizionali.27 Stereotipi legati all’età Gli stereotipi legati all’età rinforzano le discriminazioni in virtù degli orientamenti negativi associati ad alcune fasi della vita. Esistono, ad esempio, stereotipi di vecchia data legati all’età, secondo i quali i lavoratori più anziani sono meno soddisfatti, non abbastanza coinvolti, meno motivati, impegnati e produttivi, e più propensi ad assentarsi dal lavoro rispetto ai colleghi più giovani. Si pensa, inoltre, che i dipendenti più anziani siano più esposti al rischio di incidenti sul lavoro. Come nel caso degli stereotipi legati al genere, anche questi sono basati più sulla fantasia che su fatti reali.28 Susan Rhodes ha cercato di determinare se gli stereotipi legati all’età corrispondessero alla realtà in base ai dati raccolti in 185 studi diversi; ha scoperto che la soddisfazione del lavoratore aumenta con il passare degli anni, e che lo stesso vale per il coinvolgimento, le motivazioni personali e l’impegno a livello organizzativo. Inoltre, non ha avuto conferma l’ipotesi che i lavoratori più anziani incorressero più spesso in incidenti.29 Relativamente alla performance, una meta-analisi su oltre 52.000 persone ha dimostrato che l’età non è correlata alla prestazione nelle mansioni, alla creatività e al risultato di apprendimento in percorsi formativi.30 Alcuni studiosi di comportamento organizzativo, però, ritengono che questo dato non rifletta la correlazione esistente nella realtà tra l’età e la prestazione. Per esempio, uno studio condotto su un campione di 24.210 persone ha dimostrato che l’età e l’esperienza sono elementi predittivi di una migliore prestazione in alcuni tipi di lavoro, più complessi rispetto ad altri.31 Un’altra ricerca condotta su un campione di 1000 medici di età compresa tra 25 e 92 anni e 600 adulti non medici ha rivelato che “una larga percentuale degli individui più vecchi ha fornito prestazioni uguali o migliori rispetto ai colleghi più giovani”.32 Che cosa succede nei fenomeni di turnover e assenteismo? Da una meta-analisi è emersa una correlazione negativa tra età e turnover,33 ossia: più un dipendente è anziano, meno è probabile che lasci l’azienda. Analogamente, un’altra meta-analisi ha rilevato una correlazione negativa tra età e assenteismo, sia volontario (una giornata al mare) che involontario (un giorno di malattia).34 Dai risultati delle due meta-analisi citate è chiaro che i manager dovrebbero concentrarsi maggiormente sul turnover e l’assenteismo dei giovani rispetto a quello dei più anziani. CompOrga.indb 149 11/01/2013 16.35.08 150 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni Stereotipi legati alla razza e all’etnia Micro aggressioni: pensieri, atteggiamenti e sentimenti influenzati da bias esistenti a livello inconscio Esistono diversi stereotipi legati alla razza. Per fare qualche esempio, comunemente si crede che gli afro-americani siano atletici e aggressivi, gli asiatici tranquilli, introversi, brillanti e orientati alle materie quantitative, gli ispanici attenti alla famiglia e religiosi, gli arabi tendenti all’ira. Gli stereotipi legati alla razza e all’etnia sono particolarmente problematici perché si attivano automaticamente e possono sfociare in quelle che i ricercatori definiscono micro aggressioni. Le micro aggressioni sono “pensieri, atteggiamenti e sentimenti influenzati da bias” che esistono a livello inconscio35 e possono esercitare un’influenza sul nostro comportamento, ripercuotendosi sulle persone di altre etnie. Consideriamo la seguente situazione: Due colleghi, un asiatico americano e un afro-americano, si imbarcano su un piccolo aereo. L’assistente di volo li invita a prendere posto dove preferiscono e i due occupano due poltrone adiacenti al corridoio nella parte anteriore dell’aereo in modo da poter conversare. All’ultimo momento, tre uomini bianchi salgono a bordo e occupano i posti di fronte a quelli scelti dai due colleghi. Poco prima del decollo, l’assistente di volo, che è bianca, chiede ai due la cortesia di occupare le poltrone poste sul retro del velivolo per bilanciare meglio il carico. Entrambi reagiscono con stizza, condividendo l’impressione che sia stato chiesto loro, simbolicamente, di “sedersi negli ultimi posti dell’autobus”. Quando comunicano queste sensazioni all’assistente di volo, quest’ultima nega l’accusa con indignazione, affermando che il suo unico obiettivo era garantire la sicurezza del volo e concedere loro un po’ di privacy.36 Pensate che il comportamento dell’assistente di volo fosse una micro aggressione o che i due colleghi fossero troppo sensibili? Gli stereotipi negativi legati alla razza e all’etnia sono evidenti in molti aspetti della vita quotidiana e organizzativa.37 Consideriamo l’esperienza di Eldrick (Tiger) Woods. Il campione del golf, di madre tailandese e padre afro-americano, è cresciuto in due culture diverse. Dopo essere diventato un golfista professionista nel 1996, Tiger ha vinto 95 tornei e collezionato più vittorie nella sua carriera di qualsiasi altro giocatore partecipante al PGA Tour. Vanta la media di punteggio in carriera più bassa e i guadagni più alti di qualsiasi altro golfista nella storia. È anche l’unico al mondo ad aver detenuto contemporaneamente il titolo dei quattro tornei principali.38 Purtroppo però Tiger è stato vittima di una serie di stereotipi e pregiudizi razziali. Consideriamo ora alcuni dati sugli stereotipi legati alla razza e all’etnia nel mondo delle organizzazioni. Dalla meta-analisi condotta sugli esiti dei colloqui di lavoro per un totale di 4169 afro-americani e 6307 bianchi è emerso che questi ultimi ricevevano giudizi migliori. Un altro studio, che ha preso in considerazione 2805 colloqui, ha rivelato l’esistenza di una preferenza tra membri della stessa razza negli ispanici e negli afro-americani, ma non nei bianchi; ciò significa che gli intervistatori ispanici o afro-americani valutavano più favorevolmente i candidati appartenenti alla loro stessa razza rispetto agli altri, mentre gli intervistatori bianchi non facevano questo tipo di preferenza.39 Le valutazioni relative alle prestazioni sono apparse non condizionate dalla razza in due studi che hanno analizzato campioni composti rispettivamente da 21.547 e 39.537 CompOrga.indb 150 11/01/2013 16.35.08 7 Percezioni e attribuzioni sociali Minaccia dello stereotipo: situazione in cui i membri di un gruppo sociale devono gestire la possibilità di essere giudicati o trattati secondo stereotipi 151 coppie con valutatori e valutati afro-americani e bianchi, provenienti da varie parti degli Stati Uniti. Questi risultati hanno rivelato che né i manager afro-americani né i bianchi discriminavano i propri dipendenti in base alla razza.40 Dato il numero crescente di persone appartenenti a diversi gruppi etnici che entreranno nella forza lavoro nell’arco dei prossimi 10 anni (come abbiamo visto nel Capitolo 2), le organizzazioni dovrebbero dedicarsi allo sviluppo delle donne e dei dipendenti appartenenti alle minoranze, affinando nel contempo la sensibilità dei manager rispetto a falsi stereotipi legati alla razza e alla cosiddetta minaccia dello stereotipo. Per minaccia dello stereotipo “si intende la ‘situazione imbarazzante’ in cui i membri di un gruppo sociale (per esempio gli afro-americani, le donne) ‘devono gestire la possibilità di essere giudicati o trattati stereotipicamente, o di fare qualcosa che confermerebbe lo stereotipo’.”41 Secondo alcune ricerche, la minaccia dello stereotipo è associata a performance più basse per le donne e i non bianchi in compiti di valutazione: per esempio, afro-americani e donne evidenziavano prestazioni peggiori nei test accademici quando qualcosa li induceva a pensare alla razza o al genere. Il calo della prestazione era più marcato quando gli individui erano vittime di uno stereotipo legato alla razza o all’etnia.42 Questi risultati suggeriscono che per insegnanti e manager è importante evitare di attivare qualsiasi stereotipo legato alla razza, all’etnia o al genere (ad esempio rivolgendo domande dirette su questi aspetti) in occasione di momenti di valutazione, come esami accademici, test di impiego oppure test di ammissione all’università. Stereotipi sulla disabilità Le persone disabili si trovano a dover combattere stereotipi negativi che influenzano le loro prospettive occupazionali, oltre a essere stigmatizzate in generale. Queste tendenze creano una molteplicità di problemi: per esempio, le persone disabili hanno più probabilità di rimanere disoccupate e di percepire uno stipendio inferiore rispetto alle persone normodotate.43 Inoltre, hanno una probabilità di vivere in povertà 2,5 volte maggiore rispetto alle persone non disabili.44 Le difficoltà sono ancora maggiori per le persone affette da gravi disturbi mentali. Sfide manageriali e consigli utili La sfida più importante consiste nel ridurre l’influenza esercitata dagli stereotipi sul processo decisionale e sui processi interpersonali a livello organizzativo. A nostro parere, in primo luogo le organizzazioni devono informare il personale sul problema della stereotipizzazione mediante la formazione del personale. Possono essere utili anche dei corsi per dare ai manager gli strumenti necessari ad affrontare situazioni particolari, legate alla gestione di collaboratori con handicap. Il passo successivo consiste nell’impegnarsi ad ampio raggio per ridurre gli stereotipi nell’intera organizzazione di appartenenza. I ricercatori delle scienze sociali sono convinti che contatti interpersonali “di qualità” all’interno di gruppi misti siano il modo migliore per ridurre gli stereotipi, perché forniscono alle persone dati precisi sulle caratteristiche di altri gruppi di persone. CompOrga.indb 151 11/01/2013 16.35.08 152 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni Quindi le organizzazioni dovrebbero creare opportunità per i collaboratori di incontrarsi e lavorare insieme in gruppi di cooperazione a parità di status. Un altro consiglio per i manager è quello di identificare le differenze individuali (vedi Capitolo 5) che possono determinare il livello delle prestazioni. Ad esempio, come abbiamo già detto, la ricerca rivela che l’esperienza funziona meglio rispetto all’età come predittore della prestazione. La ricerca dimostra anche che i manager possono essere formati a utilizzare criteri validi nel corso della selezione dei candidati e della valutazione dei collaboratori.45 Eliminare le barriere alla promozione di donne, persone di colore e disabili è un’altra soluzione utile per diminuire i problemi legati alla stereotipizzazione. In conclusione, sono fondamentali la collaborazione e il sostegno dei massimi dirigenti per l’eliminazione delle pratiche organizzative che rinforzano le decisioni legate a stereotipizzazione e discriminazione. Le ricerche dimostrano che il sostegno del top management ha un ruolo essenziale per il successo dei cambiamenti a livello organizzativo. Profezia che si autoavvera: l’effetto Pigmalione Profezia che si autoavvera: le aspettative di un individuo ne determinano comportamento e prestazioni Effetto Galatea: le aspettative elevate di un individuo nei confronti di se stesso si traducono in prestazioni elevate La profezia che si autoavvera affonda le sue radici nella mitologia greca. Il mito racconta di Pigmalione, scultore che, pur odiando le donne, si innamorò di una figura femminile che egli stesso aveva scolpito nell’avorio. La sua infatuazione per la statua era tale da spingerlo a pregare la dea Afrodite di portarla in vita. La dea udì la preghiera di Pigmalione, esaudì il suo desiderio e la statua prese vita. L’essenza della profezia che si autoavvera, o effetto Pigmalione, è che le aspettative elevate nei confronti di una persona determinano prestazioni elevate. Un’altra profezia che si autoavvera è il cosiddetto effetto Galatea, che si verifica quando le aspettative elevate di un individuo nei confronti di se stesso si traducono in prestazioni elevate. Il processo fondamentale alla base degli effetti Pigmalione e Galatea consiste nel fatto che le aspettative o le convinzioni delle persone, influendo sul loro comportamento e sulle loro prestazioni, possono diventare realtà. In altre parole, tutti noi ci sforziamo di convalidare le nostre percezioni della realtà, a prescindere dalla loro validità effettiva. La profezia che si autoavvera costituisce quindi un risultato percettivo importante, che è necessario comprendere meglio. La ricerca e un modello esplicativo La prima dimostrazione empirica della profezia che si autoavvera è avvenuta in ambito accademico. Dopo aver fatto compilare a studenti dalla prima elementare alla prima media un falso test sul potenziale intellettivo, i ricercatori hanno segnalato agli insegnanti gli individui dotati di alte potenzialità di successo. In realtà, gli studenti erano stati assegnati in modo casuale ai gruppi “ad alto potenziale” e “di controllo” (cioè a potenziale normale). La ricerca ha rivelato che i piccoli definiti ad alto potenziale hanno ottenuto miglioramenti nei punteggi di QI e nelle capacità di lettura significativamente superiori rispetto ai bambini del gruppo di controllo.46 Gli insegnanti del primo gruppo CompOrga.indb 152 11/01/2013 16.35.08 7 Percezioni e attribuzioni sociali Effetto Golem: diminuzione delle prestazioni causata dal basso livello delle aspettative da parte del leader CompOrga.indb 153 153 hanno riscontrato risultati migliori perché le loro aspettative nei confronti degli studenti li portavano ad assegnare compiti più difficili e a gratificare di più i ragazzi. Gli studenti del secondo gruppo, invece, non hanno eccelso perché i docenti non si aspettavano da loro risultati di alto livello. La ricerca ha inoltre dimostrato che aumentando le aspettative di istruttori e manager nei confronti degli individui che svolgono molti compiti diversi è possibile ottenere migliori livelli di produttività. I risultati derivanti da una meta-analisi che ha coinvolto 2874 persone, impiegate in svariati settori e con ruoli diversi, hanno dimostrato che l’effetto Pigmalione era molto marcato.47 Questo implica la possibilità di ottenere livelli più alti di efficacia e produttività aumentando le aspettative dei manager nei confronti dei propri collaboratori. Inoltre, l’effetto Pigmalione sul miglioramento delle prestazioni risulta più marcato nei militari, tra le persone di sesso maschile e con basse aspettative nei confronti delle proprie performance. Ampliando questi risultati, uno studio recente ha confermato che i leader di sesso femminile sono in grado di sortire l’effetto Pigmalione sui subordinati di sesso maschile.48 Si tratta di un risultato molto importante data la crescente presenza femminile in ruoli manageriali (come abbiamo visto nel Capitolo 2). La figura 7-2 rappresenta un modello che integra la profezia che si autoavvera, l’effetto Galatea e il concetto di auto-efficacia (analizzato nel Capitolo 5). Il modello evidenzia che il processo della profezia che si autoavvera è innescato dalle aspettative di un manager nei confronti dei diretti collaboratori. Tali aspettative a loro volta esercitano un’influenza sul modello di leadership (legame 1). Le aspettative positive, infatti, generano una leadership positiva e di supporto, che induce i collaboratori a sviluppare aspettative più elevate nei confronti di se stessi (legame 2). L’effetto Galatea positivo generato dalle aspettative maggiori a sua volta motiva i collaboratori a impegnarsi di più (legame 3), e, infine, migliora la prestazione (legame 4) e le aspettative dei supervisori (legame 5). Una buona performance migliora anche l’auto-efficacia, che alimenta l’aspettativa stessa dei dipendenti nei confronti dei propri successi (legame 6). Questo modello ha trovato conferma nelle ricerche empiriche.49 I ricercatori hanno coniato il termine effetto Golem per definire la versione in negativo del processo di miglioramento della performance raffigurato nella figura 7-2. L’effetto Golem consiste in una caduta delle prestazioni derivante da bassi livelli di aspettative da parte dei leader.50 Vediamo come funziona. Poniamo che un collaboratore compia un errore, ad esempio perda degli appunti importanti durante una riunione, o consegni un rapporto con un giorno di ritardo. Il manager, di conseguenza, si chiede se questa persona possieda le caratteristiche necessarie per raggiungere risultati positivi all’interno dell’azienda. Questo dubbio lo porterà a osservare più attentamente la persona in questione, che ovviamente si accorgerà della situazione e inizierà a sentirsi sfiduciata. Il collaboratore sotto osservazione potrà quindi comportarsi in due modi: prima possibilità, potrà mettere in discussione le proprie competenze e il proprio giudizio. In questo caso diventerà più restio al rischio e diminuirà la quantità di idee e suggerimenti dati, per paura di un giudizio negativo da parte del manager. Questi, a sua volta, noterà tale comportamento e lo interpreterà come un esempio di poca iniziativa. Il lavoratore potrebbe al contrario prendersi maggiori responsabilità per dimostrare la propria competenza. Questo atteggiamento potrebbe però portarlo a fare qualche altro errore, rinforzando 11/01/2013 16.35.08 154 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni Figura 7-2 Modello della profezia che si autoavvera Aspettativa del supervisore Fonte: D. Eden,“Self-Fulfilling Prophecy as a Management Tool: Harnessing Pygmalion,” Academy of Management Review, gennaio 1984, p. 67. Riprodotto su autorizzazione. 1 5 Leadership Performance 6 2 4 Motivazione 3 Aspettativa personale del collaboratore così i sospetti del manager. Come si può notare il processo descritto costruisce una relazione distruttiva rinforzata da aspettative negative. Va ricordato dunque che la profezia che si autoavvera funziona in entrambe le direzioni. Nel prossimo paragrafo prenderemo in esame alcune idee per incrementare l’effetto Pigmalione e ridurre l’effetto Golem. Sfruttare al meglio la profezia che si autoavvera È soprattutto grazie all’effetto Pigmalione che le aspettative manageriali influenzano significativamente il comportamento e la performance del collaboratore. I manager dovrebbero quindi incentivare tale effetto costruendo una struttura gerarchica che rinforzi le aspettative nei confronti di prestazioni positive in tutta l’organizzazione. Le aspettative dei lavoratori verso se stessi costituiscono il fondamento di una struttura di questo tipo. A loro volta, esse migliorano le aspettative esterne incoraggiando le persone a lavorare per il raggiungimento di un obiettivo comune. Questa forma di cooperazione incrementa la produttività a livello di gruppo e promuove il formarsi di aspettative positive sulle prestazioni all’interno del gruppo stesso. Alla Google, ad esempio, generalmente le giornate di lavoro dei dipendenti sono molto lunghe, specialmente quando i gruppi di lavoro devono rispettare i termini per il lancio di un nuovo prodotto. La Google ha fama di creare prodotti innovativi in tempi record, perciò le aspettative positive a livello di gruppo facilitano la creazione e il CompOrga.indb 154 11/01/2013 16.35.08 7 Percezioni e attribuzioni sociali 155 rinforzo di una cultura organizzativa caratterizzata da alte aspettative di successo. Il processo descritto a sua volta spinge l’individuo a lavorare per l’azienda, e questo facilita la riduzione del turnover.51 Dal momento che le aspettative positive nei confronti di se stessi costituiscono il fondamento dell’esistenza di un effetto Pigmalione diffuso nell’intera organizzazione, proviamo a vedere in che modo i manager possano riuscire a creare aspettative positive sulle prestazioni. È un compito, questo, che può essere svolto utilizzando diverse combinazioni delle azioni elencate di seguito. 1. Riconoscere che ogni individuo può, potenzialmente, migliorare la propria performance. 2. Determinare i propri obiettivi di performance. 3. Dare riscontri positivi per lavori ben fatti. 4. Offrire feedback frequenti che comunicano fiducia nelle capacità dei collaboratori di portare a termine i compiti assegnati. 5. Offrire ai collaboratori la possibilità di gestire compiti e progetti sempre più complessi. 6. Comunicare usando la mimica facciale, l’intonazione della voce, il linguaggio del corpo e mediante commenti di incoraggiamento che lasciano trasparire aspettative elevate. 7. Fornire ai collaboratori gli input, le informazioni e le risorse di cui necessitano per raggiungere i loro obiettivi. 8. Presentare i neo-assunti sottolineando le loro potenzialità. 9. Incoraggiare i collaboratori a concentrarsi sul presente senza preoccuparsi di eventi negativi legati al passato. 10. Aiutare i collaboratori a padroneggiare perfettamente le proprie mansioni e le proprie abilità.52 Attribuzioni causali Attribuzioni causali: motivazioni dedotte o sospettate di un comportamento CompOrga.indb 155 La teoria dell’attribuzione si fonda sulla premessa che tutti noi cerchiamo di dedurre le possibili cause di un comportamento osservato. A torto o a ragione, noi formuliamo costantemente relazioni causa-effetto per spiegare il comportamento nostro e degli altri. È comune, infatti, sentir pronunciare affermazioni di tipo attributivo come: “Joe beve troppo perché non ha forza di volontà; io invece dopo il lavoro ho bisogno di bere un paio di birre perché sono sotto pressione”. Per dare una definizione formale, le attribuzioni causali sono cause sospette o dedotte di un determinato comportamento. Sebbene le attribuzioni causali che facciamo tendano a giustificare i nostri comportamenti, e siano quindi spesso sbagliate, è importante capire come avviene la formulazione di tali affermazioni, perché esse possono influenzare profondamente il comportamento organizzativo. Se, ad esempio, un supervisore attribuisce la causa di un compito svolto male allo scarso impegno del lavoratore, probabilmente lo rimprovererà. Se, invece, la mancanza venisse attribuita a una carenza di capacità, il supervisore potrebbe ritenere necessario un periodo di formazione per il collaboratore. 11/01/2013 16.35.08 156 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni In senso generale, le persone formulano attribuzioni causali considerando gli eventi che precedono il comportamento osservato. In questo paragrafo analizzeremo il modello di attribuzione proposto da Harold Kelley, due importanti tendenze all’attribuzione e le implicazioni manageriali correlate. Modello dell’attribuzione secondo Kelley Fattori interni: caratteristiche personali che causano il comportamento Fattori esterni: caratteristiche ambientali che causano il comportamento I modelli in uso dell’attribuzione, tra cui quello di Kelley, si basano sul lavoro pionieristico di Fritz Heider, il fondatore della teoria dell’attribuzione. Egli ipotizzò che il comportamento potesse essere attribuito o a fattori interni alla persona (ad esempio l’abilità) o a fattori esterni, insiti nell’ambiente (ad esempio un compito difficile, l’aiuto di terzi, la buona o la cattiva sorte). Questo modo di pensare corrisponde al concetto di locus of control interno ed esterno, di cui abbiamo parlato nel Capitolo 5. Basandosi sul lavoro di Heider, Kelley ha cercato di determinare i principali antecedenti delle attribuzioni localizzate internamente o esternamente agli individui. Ha ipotizzato che le persone effettuino attribuzioni causali dopo aver raccolto informazioni su tre dimensioni del comportamento: il consenso, la distinzione e la coerenza.53 Queste dimensioni variano indipendentemente, dando vita a diverse combinazioni e differenti attribuzioni. In figura 7-3 sono rappresentati alcuni grafici di performance che dimostrano il contrasto tra livelli alti e bassi di consenso, distinzione e coerenza. I grafici di cui sopra verranno ora utilizzati per sviluppare una conoscenza operativa delle tre dimensioni del modello di Kelley. 1. Il consenso implica un confronto tra il comportamento dell’individuo e quello dei suoi pari. Il livello di consenso è alto quando una persona si comporta come il resto del gruppo, basso quando si comporta diversamente. Come si può vedere nella figura 7-3, il consenso è alto quando le persone A, B, C, D ed E hanno livelli di prestazioni individuali simili. Nel grafico a sinistra, la performance della persona C è invece bassa in termini di consenso perché si distacca sensibilmente da quella di A, B, D ed E. 2. La distinzione si determina confrontando il comportamento di un individuo nello svolgimento di compiti diversi. Un alto livello di distinzione indica che l’individuo ha svolto un determinato compito in modo significativamente diverso rispetto ad altri compiti. Un basso livello di distinzione significa che la prestazione o qualità dell’individuo è stabile a prescindere dal compito svolto. La figura 7-3, grafico a destra, rivela che la prestazione del dipendente nel compito 4 è fortemente distintiva in quanto si discosta molto dalle sue prestazioni nei compiti 1, 2, 3 e 5. 3. La coerenza viene determinata in base al fatto che la prestazione di un individuo nello svolgimento di un determinato compito rimanga costante nel tempo. Un alto livello di coerenza implica che la persona svolge quel compito nello stesso modo di volta in volta. Se, invece, la prestazione varia nel tempo, si ha un basso livello di coerenza. Il picco negativo nella prestazione riportato nel grafico a sinistra della figura 7-3 indica un basso livello di coerenza; in questo caso, la prestazione del lavoratore nello svolgere un determinato compito è variata nel tempo. CompOrga.indb 156 11/01/2013 16.35.09 Percezioni e attribuzioni sociali 157 Basso Alto A B C D E Persone A B C D E Persone Performance individuale Performance individuale Consenso Distinzione Bassa Alta 1 2 3 4 5 Compiti 1 2 3 4 5 Compiti Coerenza Performance individuale 7 Bassa Alta Tempo Tempo Figura 7-3 Grafici sulla performance che illustrano consenso, distinzione e coerenza Fonte: K.A. Brown, “Explaining Group Poor Performance: An Attributional Analysis,” Academy of Management Review, gennaio 1984, p. 56. Riprodotto su autorizzazione. Dunque il consenso mette a confronto le persone, la distinzione i compiti, la coerenza la variazione nel tempo. La domanda che sorge a questo punto è: in che modo le nozioni concernenti queste tre dimensioni del comportamento portano a formare attribuzioni causali autoriferite (interne) o eteroriferite (esterne)? Kelley ha ipotizzato che le persone attribuiscano il comportamento a cause esterne (fattori ambientali) quando percepiscono un alto livello di consenso e di distinzione ma un basso livello di coerenza. Le attribuzioni interne (fattori personali), invece, vengono fatte tendenzialmente quando il comportamento osservato è caratterizzato da bassi livelli di consenso e distinzione, e alto livello di coerenza. Quindi, per esempio, quando tutti i collaboratori esibiscono prestazioni di cattiva qualità (alto consenso), oppure quando la prestazione di cattiva qualità si presenta solo con riferimento a un determinato compito (alta distinzione) o solo in un determinato periodo di tempo (bassa coerenza), il supervisore probabilmente la attribuirà a una fonte esterna, ad esempio le pressioni dei colleghi o la difficoltà eccessiva di un compito. La prestazione sarà invece attribuita alle caratteristiche personali del lavoratore (attribuzione interna) quando solamente l’individuo in questione fornisce una performance di cattivo livello (basso consenso), quando tale livello è riscontrabile in compiti diversi (bassa distinzione) e persiste nel tempo (alta coerenza). Esistono molte ricerche a sostegno di questo processo di attribuzione negli ambienti di lavoro.54 Tendenze attributive Gli studiosi hanno scoperto due tendenze attributive che distorcono l’interpretazione del comportamento osservato: il bias (deformazione) attributivo di base e il bias autofunzionale. Bias attributivo di base: ignorare i fattori ambientali che influenzano il comportamento CompOrga.indb 157 Il bias attributivo di base Il bias attributivo di base riflette la tendenza ad attribuire il comportamento di una persona alle caratteristiche della persona stessa, anziché 11/01/2013 16.35.09 158 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni a fattori situazionali. Questa tendenza fa in modo che l’osservatore ignori importanti forze ambientali, che spesso influenzano in modo significativo il comportamento. La ricerca ha inoltre rilevato un altro dato interessante: le persone di cultura occidentale sembrano essere più predisposte al bias attributivo di base rispetto agli individui di origine asiatica.55 Uno studio recente condotto su un campione di azionisti ha dimostrato che questi attribuivano il valore delle azioni più al comportamento del CEO che alle fluttuazioni del mercato.56 Bias auto-funzionale: attribuire alla propria responsabilità più i successi che i fallimenti CompOrga.indb 158 Il bias auto-funzionale Il bias auto-funzionale rappresenta la tendenza a prendersi più facilmente la responsabilità di un successo che di un fallimento. Il bias auto-funzionale mostra che i collaboratori attribuiranno i propri successi a fattori interni (grandi capacità o duro lavoro), i propri fallimenti a fattori esterni non controllabili (compito difficile, sfortuna, colleghi poco cooperativi, capo insensibile). Questa tendenza si manifesta in tutti gli aspetti della vita. Per esempio, Bob Poznanovich era vicepresidente vendite e marketing per Zenith, ora LG Electronics, prima di essere licenziato per uso di stupefacenti. Ammette di aver speso fino a 1000 dollari al giorno in stupefacenti di cui faceva uso con altri collaboratori e clienti; spesso non si presentava al lavoro oppure arrivava in ritardo. Poznanovich attribuisce all’azienda le responsabilità della sua dipendenza, affermando che si sarebbe fatto aiutare se il management gli avesse fatto notare il suo comportamento sbagliato.57 Pat Murphy, ex allenatore capo della squadra di baseball della Arizona State University (ASU), fa ricadere sul management le responsabilità per la violazione delle norme NCAA riguardanti i contatti telefonici con possibili studenti/atleti da parte del suo dipartimento, sostenendo che non avesse formato adeguatamente il suo staff in merito alla compilazione dei registri telefonici. Dal canto suo, il management considera Murphy responsabile di non aver sottolineato l’importanza della compilazione dei registri telefonici, concludendo che “Murphy sembrava promuovere un programma di compliance ma in realtà era il primo a non applicare tutte le politiche ASU e forniva tabulati telefonici imprecisi e rappresentazioni falsate della realtà allo staff di compliance.”58 Molte sono state le ricerche che hanno investigato il bias auto-funzionale. Sono stati condotti due studi con lo scopo di verificare se gli alti dirigenti cadessero preda del bias auto-funzionale quando si accingevano a redigere l’annuale lettera di comunicazione ai propri azionisti. In base ai risultati, molti dirigenti negli Stati Uniti e a Singapore si prendevano il merito per l’andamento positivo dell’azienda, attribuendo invece ogni risultato negativo alle circostanze esterne.59 I risultati delle ricerche sul bias autofunzionale nel loro insieme, comunque, non possono essere considerati coerenti. Due sono gli schemi attributivi che emergono dalla ricerca empirica. Il primo rivela che gli individui elaborano attribuzioni del successo interne, come previsto dal bias autofunzionale; il fallimento, invece, viene attribuito sia internamente sia esternamente.60 Ciò significa che, al contrario di quanto previsto dalla teoria del bias autofunzionale, l’attribuzione del fallimento a cause esterne non avviene automaticamente. Ecco la conclusione di un gruppo di studiosi della materia: “Quando persone molto concentrate su se stesse percepiscono l’insuccesso come facilmente rimediabile, ne elaboreranno un’attribuzione interna; se, invece, la probabilità di un miglioramento appare minima, allora l’attribuzione sarà esterna.”61 11/01/2013 16.35.09 7 Percezioni e attribuzioni sociali 159 Applicazioni e implicazioni manageriali I modelli attributivi possono essere utilizzati per spiegare come i manager gestiscono i collaboratori che forniscono prestazioni inadeguate. Una ricerca ha dimostrato che se un manager attribuiva la scarsa performance del collaboratore a un impegno insufficiente, dava feedback più immediati, frequenti e negativi. Una reazione di questo tipo era ancora più evidente qualora il successo del manager dipendesse dalla prestazione del collaboratore stesso. Un’altra ricerca ha indicato che i manager tendevano a trasferire i collaboratori, se ritenevano che la loro performance fosse inadeguata per mancanza di capacità. Gli stessi manager non prendevano invece decisioni immediate se la prestazione negativa era attribuibile a fattori esterni, che esulavano dal controllo dell’individuo.62 Le situazioni elencate comportano una serie di importantissime implicazioni a livello manageriale. In primo luogo, uomini e donne tendono ad attribuire le promozioni a cause diverse. I risultati di una recente ricerca condotta su un campione di 140.000 persone provenienti da 80 paesi ha dimostrato che uomini e donne attribuiscono a cause diverse la promozione a una posizione dirigenziale di alto livello. Secondo gli uomini, la promozione è motivata dall’impegno, mentre le donne ritengono che le promozioni si basino più sulla fortuna e sulla rete di conoscenze personali. Come evidenziato nel Capitolo 2, questi risultati, peraltro coerenti in paesi diversi, suggeriscono che il cammino delle donne verso il successo professionale somiglia più a un labirinto che a una traiettoria diritta. Si consiglia ai manager di aiutare le donne a sviluppare capitale sociale e di promuovere i collaboratori sulla base di parametri accuratamente misurati e legati alla mansione.63 In secondo luogo, il manager tende ad attribuire il comportamento a cause interne con frequenza eccessiva.64 Ciò può comportare valutazioni inesatte delle prestazioni, e di conseguenza ridurre la motivazione dei collaboratori. A nessuno, infatti, piace essere accusato per cause percepite come esterne al proprio controllo. Inoltre, dal momento che le reazioni dei manager di fronte alla performance dei propri collaboratori cambiano in base alle attribuzioni, ogni eventuale pregiudizio attributivo può dar vita a interventi manageriali sbagliati, ivi comprese promozioni, trasferimenti, licenziamenti e così via. Questo processo può indebolire le motivazioni e le prestazioni. Per evitare queste conseguenze negative, è utile che i manager seguano dei corsi di formazione sull’attribuzione. Nell’ambito di questi corsi possono essere spiegati i processi attributivi, insegnando ai manager come riconoscere ed evitare eventuali pregiudizi nell’attribuzione. Infine, le attribuzioni del lavoratore stesso sulla propria prestazione producono effetti rilevanti su motivazione, prestazioni e atteggiamenti personali come l’autostima. Se, ad esempio, una persona attribuisce il motivo del proprio fallimento a una mancanza di capacità, tenderà ad abbandonare il compito, elaborare aspettative minori nei confronti dei successi futuri, e vedrà decrescere la propria autostima. Fortunatamente, rieducando all’attribuzione si può riuscire a migliorare sia la motivazione sia la performance. Le ricerche dimostrano che è possibile insegnare ai collaboratori ad attribuire il fallimento a una mancanza di impegno anziché di capacità.65 Questo tipo di riallineamento attributivo prepara la strada per un incremento di motivazione e di prestazione. È inoltre molto importante ricordare le implicazioni del pregiudizio auto-funzionale. Se l’obiettivo del manager è quello di CompOrga.indb 159 11/01/2013 16.35.09 160 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni portare i propri collaboratori ad accettare le responsabilità personali per il fallimento e, di conseguenza, modificare l’impegno e il comportamento, è essenziale che essi credano di poter migliorare la propria prestazione in futuro. Altrimenti, i collaboratori tenderanno ad attribuire il fallimento a cause esterne e a non apportare cambiamenti al proprio comportamento. CompOrga.indb 160 11/01/2013 16.35.09 I fondamenti della motivazione 8 È giusto legare lo stipendio degli insegnanti al rendimento degli studenti? L’ex direttrice generale delle scuole di Washington DC Michelle Rhee ha tentato di ottenere un miglioramento delle performance degli insegnanti attraverso l’applicazione dei principi di diverse teorie motivazionali. In passato il 95% degli insegnanti operanti nel sistema scolastico di Washington DC riceveva una valutazione eccellente e nessuno veniva licenziato per performance mediocri; nel contempo, però, i punteggi riportati dagli studenti nei test di valutazione erano tra i più bassi del paese. Nel 2010 la Rhee ha licenziato 241 insegnanti, circa il 6% del corpo docente del sistema; altri 737 insegnanti hanno ricevuto una valutazione di efficacia minima del loro operato. La Rhee ha avviato questa piccola rivoluzione dopo aver messo a punto un diverso sistema di valutazione degli insegnanti e negoziato un nuovo accordo sulla retribuzione con la Washington Teachers Union (TWU), il sindacato di categoria. L’attuale sistema di valutazione è considerato uno dei più rigorosi negli Stati Uniti. Si basa su numerose ore di osservazione dell’operato dell’insegnante in aula e tiene conto del rendimento degli studenti […] I docenti ricevono cinque valutazioni annuali dai dirigenti scolastici e da insegnanti esperti su aspetti come l’elaborazione di piani didattici coerenti CompOrga.indb 161 e il coinvolgimento degli studenti. Dopo una prima osservazione, ricevono una valutazione che segnala i punti deboli e viene loro offerto coaching per migliorarsi […] I docenti vengono classificati secondo quattro categorie: quest’anno il 16% rientrava nella categoria più alta, rispetto al 45% degli anni passati. Il 20% circa si è attestato nella categoria più bassa in classifica, rispetto al 4% degli anni scorsi. In base al nuovo sistema di retribuzione, “i bravi insegnanti ricevono uno stipendio più alto (comprensivo di un aumento del 21,6% nel 2012 e possibilità di ricevere bonus per merito) mentre gli insegnanti meno bravi rischiano il licenziamento”. George Parker, presidente del WTU, ha reagito con indignazione ai licenziamenti, affermando che il sindacato avrebbe presentato ricorso e minacciando di formalizzare un’accusa contro il distretto scolastico per pratiche discriminatorie. Richard Whitmire, autore di The Bee Eater: Michelle Rhee Takes on the Nation’s Worst School District, ha riconosciuto che la Rhee doveva scegliere la linea dura per motivare i docenti perché “solo un terzo circa degli insegnanti di Washington DC era in grado di offrire” istruzione di alta qualità.1 11/01/2013 16.35.09 Parte II 162 Motivazione: processi psicologici che originano e direzionano il comportamento orientato all’obiettivo Teorie della motivazione basate sui contenuti del lavoro: identificano fattori interni che influenzano la motivazione Teorie della motivazione incentrate sui processi: identificano i processi attraverso cui fattori interni e cognizioni influenzano la motivazione Tabella 8-1 Sintesi delle teorie motivazionali CompOrga.indb 162 Il comportamento individuale nelle organizzazioni Come vedremo in questo capitolo, la teoria dell’aspettativa si basa sul principio secondo il quale il compenso di un collaboratore dovrebbe essere legato alla qualità della performance. Secondo il concetto fondamentale soggiacente questa teoria, la motivazione dei collaboratori cresce quando vengono ricompensati con riconoscimenti che considerano preziosi, per esempio uno stipendio più alto. Nel caso illustrato in apertura, al contrario, il sindacato degli insegnanti di Washington DC contrastava il tentativo di Michelle Rhee di fare leva sulla teoria dell’aspettativa. Per quale motivo? Perché in realtà, come scopriremo in questo capitolo, i fattori che esercitano un’influenza sulla motivazione dei collaboratori sono numerosi e non si limitano all’assegnazione di ricompense. Vedremo che la motivazione è una funzione di diverse componenti, tra cui i bisogni individuali, la misura in cui un ambiente di lavoro è positivo e supportivo, la percezione di ricevere un trattamento equo, la creazione di un legame solido tra la performance e l’assegnazione di ricompense apprezzate, l’uso di misure accurate della prestazione e la determinazione di obiettivi specifici. Il termine motivazione deriva dal latino movere, che significa “muovere”. In questo contesto, la motivazione rappresenta “quei processi psicologici che provocano la nascita, la direzione e la persistenza di azioni volontarie dirette verso un obiettivo”.2 Le teorie proposte dagli studiosi per spiegare i fattori alla base della motivazione dei collaboratori possono essere ricondotte a due categorie generali: le teorie della motivazione basate sui contenuti del lavoro e le teorie della motivazione incentrate sui processi. Le teorie della motivazione basate sui contenuti del lavoro (content theories) si fondano sull’identificazione di fattori interni (come gli istinti, i bisogni, la soddisfazione e le caratteristiche del lavoro) che alimentano la motivazione dei collaboratori, e non tengono conto di come questa sia influenzata dall’interazione dinamica tra l’individuo e l’ambiente di lavoro. Questo limite ha portato all’elaborazione delle teorie della motivazione incentrate sui processi (process theories), che spiegano come fattori interni e cognizioni influenzano la motivazione dei collaboratori.3 Le teorie incentrate sui processi sono più dinamiche rispetto a quelle basate sui contenuti del lavoro. La tabella 8-1 mostra una panoramica delle teorie illustrate in questo capitolo. Conviene ricordare che, basandosi su insiemi differenti di ipotesi rispetto alle cause della motivazione, queste sette teorie offrono consigli diversi su come motivare i collaboratori. La trattazione di ciascuna teoria si conclude con una sintesi delle implicazioni manageriali, utile per aiutarvi a integrare i diversi approcci e applicarne le indicazioni. Dopo aver illustrato le principali teorie motivazionali, questo capitolo fornisce una rassegna dei metodi di job design utilizzati per motivare i collaboratori e si conclude con alcuni consigli per mettere in pratica le teorie motivazionali nell’ambiente di lavoro. TEORIE DELLA MOTIVAZIONE BASATE SUI CONTENUTI DEL LAVORO TEORIE DELLA MOTIVAZIONE INCENTRATE SUI PROCESSI Teoria della gerarchia dei bisogni di Maslow Teoria ERC di Alderfer Teoria dei bisogni di McClelland Teoria dei fattori duali di Herzberg Teoria dell’equità di Adams Teoria dell’aspettativa di Vroom Teoria del goal setting 11/01/2013 16.35.09 8 I fondamenti della motivazione 163 La motivazione attraverso i contenuti del lavoro Bisogni: mancanze fisiologiche o psicologiche che causano un comportamento Gran parte delle teorie motivazionali centrate sui contenuti del lavoro si basano sull’idea che la motivazione sia influenzata dai bisogni dei collaboratori. I bisogni sono esigenze fisiologiche o psicologiche che innescano un comportamento. Può trattarsi di necessità forti o deboli, che vengono influenzate da fattori ambientali, variando quindi nel tempo e nello spazio. Secondo la visione generale alla base delle teorie motivazionali fondate sui bisogni, gli individui sono motivati a perseguire il soddisfacimento di esigenze non soddisfatte. Passiamo ora a considerare quattro note teorie motivazionali basate su questa visione: la teoria della gerarchia dei bisogni di Maslow, la teoria ERC di Alderfer, la teoria dei bisogni di McClelland e la teoria dei fattori duali di Herzberg. La teoria della gerarchia dei bisogni di Maslow Teoria della gerarchia dei bisogni: cinque bisogni primari (sopravvivenza, sicurezza, amore, stima, autorealizzazione) influenzano il comportamento Nel 1943 lo psicologo Abraham Maslow pubblicava la sua ormai famosa teoria della gerarchia dei bisogni. Sebbene questa teoria si basasse sull’osservazione clinica di individui nevrotici, è stata utilizzata per spiegare il comportamento umano in generale. Maslow ipotizzava che la motivazione fosse funzione di cinque bisogni fondamentali, ossia: 1. Sopravvivenza. Bisogno di base. Include la disponibilità di cibo, aria e acqua sufficienti alla sopravvivenza. 2. Sicurezza. La necessità di essere protetti dal dolore psicologico e fisiologico. 3. Amore. Il desiderio di essere amati e riamare. Comprende il bisogno di affetto e appartenenza. 4. Stima. Bisogno di fama, prestigio e riconoscimento da parte degli altri. Include il bisogno di autostima e di forza. 5. Autorealizzazione. Desiderio di realizzarsi, di crescere al meglio delle proprie possibilità. Maslow sosteneva che queste cinque necessità fossero disposte in una gerarchia molto rigida, come si vede in figura 8-1. In altre parole, secondo lo studioso i bisogni umani si presentano in un ordine prevedibile. Di conseguenza, una volta che i bisogni fisiologici di una persona sono sufficientemente soddisfatti, emerge il bisogno di sicurezza, e così via risalendo lungo la scala dei bisogni, un passo alla volta. La soddisfazione di un bisogno attiva il bisogno successivo della gerarchia, e il processo continua finché non si arriva al bisogno di autorealizzazione.4 Anche se le ricerche non supportano esplicitamente questa teoria, vi sono due implicazioni manageriali fondamentali dell’ipotesi di Maslow sicuramente degne di nota. Innanzitutto, è importante che i manager si concentrino sul soddisfare i bisogni dei collaboratori legati all’autostima e all’autorealizzazione, perché la loro soddisfazione influenza in modo significativo i risultati e previene manifestazioni negative quali ansia, depressione e altri disturbi.5 CompOrga.indb 163 11/01/2013 16.35.09 164 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni Figura 8-1 Gerarchia dei bisogni primari di Maslow Autorealizzazione Stima Amore Sicurezza Fisiologici In secondo luogo, un bisogno soddisfatto può perdere il suo potenziale motivazionale. I manager dovrebbero quindi fare attenzione a motivare le persone con programmi e proposte che tengano conto in modo attento dei bisogni emergenti. Molte aziende hanno reagito a questa raccomandazione offrendo ai propri dipendenti benefit mirati a soddisfarne i bisogni specifici.6 La teoria ERC di Alderfer Teoria ERC: tre bisogni fondamentali (esistenza, relazione, crescita) influenzano il comportamento CompOrga.indb 164 Verso la fine degli anni ‘60 Clayton Alderfer elaborò una teoria alternativa relativamente ai bisogni umani, che differisce da quella di Maslow in tre punti fondamentali. Innanzitutto, essa spiega il comportamento utilizzando un gruppo più ridotto di bisogni fondamentali, che, dal livello inferiore a quello superiore, possono essere definiti come bisogni esistenziali (E), ossia il desiderio di avere un benessere fisiologico e materiale; bisogni relazionali (R), il desiderio di intessere relazioni significative con persone importanti per l’individuo; bisogni di crescita (C), il desiderio di crescere come essere umano e di utilizzare le proprie capacità al massimo del proprio potenziale. Da qui la definizione di teoria ERC. Seconda differenza: la teoria ERC non presuppone che i bisogni siano correlati l’un l’altro in una scala gerarchica, come invece accadeva nella teoria di Maslow. Secondo Alderfer, infatti, più bisogni possono attivarsi contemporaneamente. Infine, la teoria ERC contiene una componente di frustrazione-regressione. Con questo si intende dire che la frustrazione dei bisogni di ordine superiore può influenzare il desiderio dei bisogni di ordine inferiore.7 Ad esempio, può succedere che dipendenti frustrati o insoddisfatti dalla qualità delle loro relazioni interpersonali al lavoro (bisogni di relazione) richiedano stipendi più elevati o benefit maggiori (bisogni di esistenza), regredendo al livello inferiore. Dalle ricerche che si sono occupate della teoria ERC emerge un sostegno non univoco nei confronti di alcune affermazioni fondamentali della teoria. Due sono, in ogni caso, le implicazioni manageriali fondamentali a essa associate. La prima ha a che fare con 11/01/2013 16.35.09 8 I fondamenti della motivazione 165 la frustrazione-regressione. I manager dovrebbero tenere conto del fatto che i collaboratori possono essere motivati a perseguire bisogni di livello inferiore perché frustrati nei bisogni di livello superiore. Ad esempio, la richiesta di aumenti di stipendio o di benefit può in realtà nascondere l’insofferenza verso un ambiente di lavoro soffocante. La seconda implicazione riguarda il fatto che la teoria ERC è coerente con la scoperta che le differenze culturali e individuali influenzano i bisogni soggettivi. Le persone sono motivate da bisogni diversi in momenti diversi della loro vita. Da ciò consegue che il management dovrebbe personalizzare i programmi di ricompensa in modo che essi corrispondano ai bisogni dei lavoratori, che variano nel tempo. Vediamo come gestisce questa raccomandazione Marc Albin, CEO di Albin Engineering Services. Per identificare a quali bisogni dei propri collaboratori rispondere, Albin usa un approccio non convenzionale. “In base alla mia esperienza di gestione del personale, ogni individuo è diverso dall’altro”, afferma Albin. “Alcune persone vogliono essere riconosciute per l’atteggiamento amichevole e per la capacità che hanno di creare relazioni nell’organizzazione. Altri desiderano che si riconosca la qualità del loro lavoro, altri ancora la quantità. Ad alcuni fa piacere ricevere un riconoscimento individuale, altri preferiscono che il plauso sia di gruppo.” Di conseguenza, alla fine di ogni sessione di orientamento con i dipendenti, Albin invia un’email ai neo-assunti chiedendo quali aspettative avessero nei confronti dell’azienda. “Mi aiuta a capire l’opinione che ognuno ha di sé e delle proprie capacità, e ne tengo nota in modo da dedicare a ciascuno un’attenzione speciale” racconta Albin. “Nessuno mi ha mai detto: mi basta avere un riconoscimento per qualsiasi cosa io faccia bene”.8 La teoria dei bisogni di McClelland David McClelland, noto psicologo, ha studiato la relazione esistente tra bisogni e comportamento sin dalla fine degli anni ’40. Sebbene sia più conosciuto per i suoi studi sul bisogno di realizzazione, egli si è occupato anche dei bisogni di affiliazione e di potere, che di seguito descriviamo separatamente. Bisogno di realizzazione: desiderio di ottenere qualcosa di difficile Il bisogno di realizzazione Il bisogno di realizzazione (achievement) si può così descrivere: Ottenere qualcosa di difficile. Avere padronanza di un mestiere, saper manipolare o gestire oggetti fisici, coordinare persone o sviluppare idee. Fare questo in modo rapido e indipendente. Superare gli ostacoli e ottenere alti standard di prestazione. Superare i propri limiti. Confrontarsi con gli altri e sentirsi migliori. Incrementare il rispetto per se stessi utilizzando con successo le proprie doti naturali.9 Le persone orientate all’achievement hanno tre caratteristiche in comune: (1) preferiscono lavorare su compiti di difficoltà moderata; (2) amano le situazioni in cui la performance dipende dagli sforzi personali anziché da fattori esterni, come la fortuna, e (3) desiderano avere un feedback sui loro successi e insuccessi più intensamente rispetto alle altre persone. Un’analisi comparata sulla personalità “imprenditoriale” CompOrga.indb 165 11/01/2013 16.35.10 166 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni ha evidenziato che gli imprenditori hanno un maggiore bisogno di achievement in confronto ad altre persone.10 Bisogno di affiliazione: desiderio di trascorrere del tempo coltivando relazioni sociali e svolgendo attività Il bisogno di affiliazione Le persone che hanno un accentuato bisogno di affiliazione dedicano più tempo al mantenimento delle relazioni sociali, alla vita di gruppo e alla ricerca di apprezzamento. Persone di questo tipo non sono completamento adatte a posizioni manageriali, perché tendono a evitare i conflitti, difficilmente riescono a prendere decisioni impopolari ed evitano di fornire feedback negativi.11 Bisogno di potere: desiderio di influenzare, guidare, insegnare o incoraggiare gli altri alla realizzazione Il bisogno di potere Il bisogno di potere riflette il desiderio individuale di influenzare, guidare, insegnare o incoraggiare gli altri a realizzarsi. Le persone con un accentuato bisogno di potere amano lavorare e tengono in alta considerazione la disciplina e il rispetto per se stessi. Si tratta di un bisogno che esprime aspetti positivi e negativi. Il lato negativo del bisogno di potere è dato dalla prevalenza di una mentalità del tipo “se io vinco, tu perdi”. Viceversa, le persone con un orientamento positivo nei confronti del potere si concentrano sull’ottenimento di obiettivi di gruppo e sul fatto di aiutare i collaboratori a sentirsi competenti. Parleremo delle due facce del potere in modo più dettagliato nel Capitolo 13. Se è vero che un manager di successo deve saper influenzare positivamente gli altri, McClelland ipotizza che queste posizioni debbano essere ricoperte da persone in cui coesistano un alto bisogno di potere e un minore bisogno di affiliazione. Implicazioni manageriali Dal momento che è possibile formare un individuo adulto ad accrescere la propria motivazione all’achievement,12 ogni organizzazione dovrebbe prendere in considerazione i benefici di un programma interno mirato a tale scopo. È inoltre opportuno tenere in considerazione i bisogni individuali di achievement, di affiliazione e di potere nel corso della selezione, per assegnare al meglio le posizioni lavorative. Una ricerca, ad esempio, ha rivelato che il bisogno di achievement individuale influenza la scelta di lavorare in aziende diverse. Le persone caratterizzate da un bisogno accentuato di achievement sono più attratte dalle aziende in cui stipendi e remunerazioni siano commisurate alla prestazione rispetto a chi ha bassa motivazione all’achievement.13 Infine, è importante ricercare un equilibrio tra queste raccomandazioni e gli aspetti negativi di un bisogno accentuato di achievement. McClelland ha notato che gli individui caratterizzati da un elevato bisogno di achievement potrebbero essere disposti a “ingannare, imboccare scorciatoie ed escludere gli altri.” Ha inoltre sottolineato che alcuni “sono talmente concentrati sul rapido raggiungimento dell’obiettivo da non preoccuparsi troppo dei mezzi utilizzati per raggiungerlo.”14 La teoria dei fattori duali di Herzberg La teoria di Frederick Herzberg si basa su uno studio in cui il ricercatore intervistò 203 tra contabili e ingegneri, con l’obiettivo di determinare i fattori responsabili della soddisfazione e dell’insoddisfazione lavorativa.15 Herzberg rintracciò due gruppi distinti di fattori associati alla soddisfazione e all’insoddisfazione sul lavoro. La soddisfazione poteva essere associata più di frequente con l’achievement, il riconoscimento, le caratte- CompOrga.indb 166 11/01/2013 16.35.10 8 I fondamenti della motivazione Fattori motivanti: caratteristiche del lavoro connesse alla soddisfazione lavorativa Fattori igienici: caratteristiche del lavoro connesse all’insoddisfazione lavorativa 167 ristiche del lavoro, la responsabilità e l’avanzamento di carriera. Ognuno di questi fattori è correlato alle conseguenze associate al contenuto del compito da svolgere. Herzberg li definì fattori motivanti, perché ognuno di essi risultava associato a un forte impegno e a buone prestazioni. Lo studioso ipotizzò che i fattori motivanti portassero la persona a passare da uno stadio di mancanza di soddisfazione a uno di soddisfazione (figura 8-2). La teoria di Herzberg perciò prevede che i manager possano riuscire a motivare i collaboratori inserendo dei fattori motivanti nel lavoro di ciascuno. Herzberg rilevò inoltre una correlazione tra l’insoddisfazione sul lavoro e fattori interni al contesto lavorativo o ambiente. Nello specifico, politiche aziendali e vincoli burocratici, supervisione tecnica, stipendi, relazioni interpersonali dell’individuo con il proprio superiore e condizioni lavorative risultano essere i fattori nominati più di frequente dai collaboratori che si dichiarano insoddisfatti dal lavoro. Herzberg ha definito questo secondo gruppo di elementi come fattori igienici. Ha inoltre ipotizzato che questi fattori non fossero di per sé motivanti. Per lo studioso, al più gli individui non sperimentano insoddisfazione lavorativa quando non hanno rimostranze sui fattori igienici (figura 8-2). Electronics Art, sviluppatore, editore e distributore di videogiochi a livello internazionale, applica strategie che contrastano con questo aspetto della teoria di Herzberg. Il management cerca di accrescere la soddisfazione del personale e ridurre il turnover creando fattori igienici positivi con iniziative che comprendono: (1) autorizzare i collaboratori a portare gli animali domestici al lavoro; (2) organizzare in sede eventi sportivi dedicati al basket, al calcio e al beachvolley durante la giornata di lavoro; (3) creare sale in cui i dipendenti possono giocare a ping pong, al biliardo e Figura 8-2 Modello dei fattori motivanti e igienici di Herzberg Fattori motivanti Non soddisfazione Lavori che non offrono realizzazione, riconoscimento, compiti stimolanti, responsabilità e avanzamenti di carriera. Fonte: adattato in parte da D.A. Whitsett e E.K. Winslow, “An Analysis of Studies Critical of the Motivator-Hygiene Theory,” Personnel Psychology, inverno 1967, pp. 391-415. Soddisfazione Lavori che offrono realizzazione, riconoscimento, compiti stimolanti, responsabilità e avanzamenti di carriera. Fattori igienici Insoddisfazione Lavori con cattive politiche aziendali e amministrative, supervisione tecnica, stipendio, relazioni interpersonali con i superiori e condizioni lavorative. CompOrga.indb 167 Non insoddisfazione Lavori con buone politiche aziendali e amministrative, supervisione tecnica, stipendio, relazioni interpersonali con i superiori e condizioni lavorative. 11/01/2013 16.35.10 168 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni con videogiochi; (4) istituire un centro dove i collaboratori possono prendere in prestito gratuitamente videogiochi, film, libri e riviste recenti e (5) offrire una palestra con lezioni di fitness di gruppo.16 La chiave per comprendere al meglio la teoria di Herzberg relativa ai fattori motivanti e igienici è riconoscere che per lo studioso la soddisfazione non è l’opposto dell’insoddisfazione. La mancanza dei fattori igienici conduce all’insoddisfazione, ma non necessariamente la loro presenza porta alla motivazione, così come i fattori motivanti non sempre arginano l’insoddisfazione.17 Herzberg sostiene quindi che il continuum insoddisfazione-soddisfazione contiene un punto zero centrale nel quale mancano entrambi questi fattori. Si potrebbe assumere come posizione zero quella di un membro dell’organizzazione che lavora in buone condizioni, con uno stipendio adeguato e un superiore accettabile, ma svolge un compito poco stimolante e ha scarse possibilità di avanzamento. Questa persona non sarà insoddisfatta (perché i fattori igienici sono positivi), ma nemmeno soddisfatta (per la carenza di fattori motivanti). La teoria di Herzberg ha dato vita a molte controversie, stimolando il progredire della ricerca sull’argomento.18 I risultati degli studi successivi non sempre confermano l’aspetto bi-fattoriale della teoria, né l’idea che i fattori igienici non siano legati alla soddisfazione lavorativa. La teoria ha comunque due implicazioni molto importanti. Anzitutto, i manager dovrebbero prestare attenzione sia ai fattori igienici che ai fattori motivanti, perché sono entrambi correlati alla soddisfazione lavorativa dei collaboratori. Lauren Dixon, CEO di Dixon Schawbl, segue esattamente questo approccio per mantenere la motivazione e la soddisfazione dei dipendenti: nel 2010 la Dixon Schawbl si è classificata come la migliore piccola azienda per la quale lavorare. In secondo luogo, il riconoscimento delle buone performance è essenziale, soprattutto durante le fasi economiche negative, quando è raro che si concedano aumenti di stipendio. È importante premiare i comportamenti e i risultati legati agli obiettivi dell’organizzazione. Le teorie motivazionali incentrate sui processi Nella prima parte del capitolo abbiamo illustrato le teorie motivazionali incentrate sui contenuti del lavoro, basate su orientamenti individuali; ora cercheremo di fare un passo successivo spiegando i processi attraverso cui i fattori interni influenzano la motivazione. Questi processi sono di natura cognitiva, cioè si fondano sulla premessa secondo la quale la motivazione è una funzione delle percezioni, dei pensieri e delle credenze dei collaboratori. Passiamo ora a esaminare le tre principali teorie motivazionali incentrate sui processi cognitivi: la teoria dell’equità, la teoria dell’aspettativa e la teoria del goal setting. La teoria motivazionale dell’equità di Adams Teoria dell’equità: sostiene che la motivazione sia funzione della imparzialità negli scambi sociali CompOrga.indb 168 Per dare una definizione generica, la teoria dell’equità è un modello della motivazione secondo cui le persone negli scambi sociali o nelle relazioni del tipo dare-avere cercano l’imparzialità e la giustizia. Essendo una teoria motivazionale incentrata sui processi, la teoria dell’equità spiega come la motivazione degli individui ad agire in un certo modo 11/01/2013 16.35.10 8 I fondamenti della motivazione 169 sia alimentata da sentimenti di iniquità e mancanza di giustizia. Per esempio, i sostenitori di WikiLeaks hanno sferrato attacchi cibernetici contro i siti web di MasterCard e Visa perché ritengono che queste società abbiano ingiustamente tentato di ostacolare la divulgazione di rapporti diplomatici segretati del governo statunitense. Entrambi i siti web sono stati temporaneamente non disponibili a seguito di questi attacchi.19 Lo psicologo J. Stacey Adams è stato pioniere nell’applicazione del principio di equità sul posto di lavoro. Per capire la teoria motivazionale dell’equità di Adams è necessario conoscere le quattro componenti della relazione di scambio tra individuo e organizzazione. La relazione di scambio tra individuo e organizzazione Adams indica due componenti primarie della relazione collaboratore-datore di lavoro, gli input e gli output. Gli input del collaboratore, per i quali questi si aspetta un’equa ricompensa, sono la formazione, le abilità, la creatività, l’anzianità, l’età, i tratti della personalità, lo sforzo e la presenza. Per quanto concerne gli output, invece, è l’organizzazione a fornirli sotto forma di stipendi, benefit e riconoscimenti, compiti sfidanti, sicurezza del lavoro, promozioni, status symbol e partecipazione in decisioni importanti. Iniquità negativa e positiva Sul lavoro, le sensazioni di iniquità riguardano la misura in cui una persona ritiene di ricevere un trattamento adeguato che compensa i contributi forniti. Le persone fanno questo tipo di valutazioni confrontando l’equità percepita del loro scambio lavorativo con quella attribuita ad altri individui che per loro costituiscono un riferimento.20 Questo processo comparativo, che si basa su una norma di equità, generalmente assume forme variabili in personalità e nazioni diverse.21 Le persone tendono a confrontarsi con individui a cui sono legate personalmente (come gli amici) o con cui hanno qualcosa in comune (come coloro che fanno lo stesso lavoro o sono dello stesso sesso o hanno lo stesso titolo di studio) e non con persone differenti o lontane. Per esempio, gli autori di questo libro non confrontano i propri stipendi con quello dell’allenatore della squadra di football della Arizona State University, ma certamente li raffrontano a quelli di altri professori universitari. Sulla scorta di questa considerazione, apriamo una parentesi su un’interessante tendenza nell’ambito della professione legale. I grandi studi legali hanno adottato la prassi di concedere “stipendi astronomici agli avvocati di punta, in alcuni casi dieci volte superiori a quelli concessi ad altri, seguendo una strategia che sta aprendo un vero e proprio divario nella retribuzione e mettendo a dura prova il morale […] Sebbene il divario retributivo sia sempre esistito, in passato i partner che detenevano quote di proprietà ricevevano stipendi simili agli altri per favorire un approccio di squadra ed evitare possibili risentimenti.”22 La figura 8-3 illustra tre diverse tipologie di equità: equità, iniquità negativa e iniquità positiva. Presupponiamo che le due persone in ciascuna relazione di equità della figura 8-3 abbiano background equivalenti (istruzione, anzianità, e così via) e che svolgano compiti identici. L’unica differenza tra loro è la retribuzione. L’equità sussiste quando CompOrga.indb 169 11/01/2013 16.35.10 Parte II 170 A. Situazione equa Il comportamento individuale nelle organizzazioni B. Iniquità negativa Se stesso Se stesso L’altro L’altro Risultati Input Risultati Input Risultati Input Risultati Input $2 = $ 2 all’ora 1 ora $4 = $ 2 all’ora 2 ore $2 = $ 2 all’ora 1 ora $3 = $ 3 all’ora 1 ora C. Iniquità positiva Se stesso L’altro Risultati Input Risultati Input $3 = $ 3 all’ora 1 ora $2 = $ 2 all’ora 1 ora Figura 8-3 Iniquità positiva e negativa Iniquità negativa: confronto nel quale un’altra persona riceve compensi migliori a parità di input Iniquità positiva: confronto nel quale un’altra persona riceve compensi peggiori a parità di input CompOrga.indb 170 il rapporto tra gli output percepiti e gli input dell’individuo è pari al rapporto tra gli output e gli input di un collega rilevante (parte A nella figura 8-3). Dato che l’equità si basa sul confronto tra il rapporto tra output e input, l’iniquità non sarà necessariamente percepita solo perché qualcuno riceve ricompense superiori. Se i risultati migliori sono riferibili a input maggiori, può comunque esistere un senso di equità. Se invece, il termine di paragone riceve output migliori a parità di input, allora verrà percepita una iniquità negativa (parte B nella figura 8-3). D’altra parte, una persona proverà una iniquità positiva se il rapporto tra output e input nel proprio caso è superiore rispetto a quello di un collega rilevante (parte C nella figura 8-3). Aspetto interessante, un clima economico negativo può determinare sentimenti di iniquità positiva per i sopravvissuti alle operazioni di ridimensionamento del personale, che si sentono fortunati ad aver conservato il posto di lavoro. Ridurre l’iniquità I rapporti di equità possono essere cambiati cercando di variare gli output o gli input di un individuo. L’iniquità negativa, ad esempio, può essere eliminata 11/01/2013 16.35.10 8 I fondamenti della motivazione 171 chiedendo un aumento o una promozione (ossia, aumentando gli output) o riducendo gli input (quindi lavorando meno ore o mettendoci meno impegno). È anche importante notare che l’equità può essere ristabilita agendo sugli individui in senso comportamentale o cognitivo, oppure in entrambi i sensi. Una strategia cognitiva implica, ad esempio, la distorsione psicologica delle percezioni di una persona nei confronti del rapporto proprio e degli altri tra output e input (ad esempio, comprendendo che la persona di confronto ha più esperienza o lavora di più).23 È importante notare che le persone cercano l’equità anche in veste di consumatori, utilizzando in misura crescente i social media per presentare i propri reclami rispetto a situazioni di iniquità. Reclami di questo tipo possono diventare virali e determinare una visione negativa del marchio. Per contrastare questa tendenza, le organizzazioni hanno iniziato a monitorare i contenuti pubblicati online e a fornire risposte adeguate.24 Espandere il concetto di equità: la giustizia organizzativa Giustizia distributiva: la giustizia percepita dal modo in cui le risorse e le ricompense vengono distribuite Giustizia procedurale: la giustizia percepita dal processo e dalle procedure utilizzate per prendere decisioni di allocazione delle risorse Giustizia interazionale: la misura in cui le persone si sentono trattate in modo equo nell’applicazione delle procedure CompOrga.indb 171 I ricercatori hanno iniziato dalla fine degli anni ’70 a espandere il ruolo della teoria dell’equità nella spiegazione degli atteggiamenti e dei comportamenti del collaboratore, cosa che ha portato alla creazione di un ambito di ricerca chiamato giustizia organizzativa. Quest’ultima riflette la misura in cui le persone percepiscono di essere trattate equamente sul lavoro. Ciò, a sua volta, porta a identificare tre diverse componenti della giustizia organizzativa: distributiva, procedurale e interazionale.25 La giustizia distributiva riflette l’equità percepita riguardo alla modalità con cui le risorse e le ricompense vengono distribuite o assegnate. La giustizia procedurale viene definita come l’equità percepita del processo e delle procedure usate nelle decisioni di allocazione delle risorse. La ricerca dimostra che le percezioni positive della giustizia distributiva e procedurale aumentano se si dà al collaboratore la possibilità di intervenire nelle decisioni che lo riguardano. La possibilità di dar “voce” ai collaboratori rappresenta la misura in cui coloro che sono coinvolti dall’esito di una decisione possono disporre di informazioni rilevanti sulle decisioni prese da altri, e corrisponde a chiedere ai collaboratori di contribuire al processo decisionale. L’ultima componente, la giustizia interazionale, riguarda la “qualità del trattamento interpersonale che le persone ricevono quando vengono applicate le procedure”.26 Questa forma di giustizia non si riferisce ai risultati o alle procedure associate al processo decisionale: essa si concentra invece sulla percezione che le persone hanno di essere trattate equamente o meno nell’applicazione delle decisioni. Un trattamento interpersonale per essere considerato equo richiede che il manager comunichi in modo limpido e sincero e tratti le persone con cortesia e rispetto. Sono molte le ricerche sulla giustizia organizzativa condotte negli ultimi 20 anni, ma esistono per fortuna quattro recenti meta-analisi che riassumono i risultati di oltre 200 ricerche.27 Sono emerse le seguenti tendenze generali: (1) la prestazione lavorativa è positivamente associata alla giustizia distributiva e procedurale, ma quest’ultima permetterebbe di prevedere meglio i risultati; (2) tutte e tre le forme di giustizia sono positivamente correlate con la soddisfazione lavorativa, il commitment, i comportamenti di cittadinanza organizzativa e la lealtà dei collaboratori; correlazioni negative invece si sono riscontrate con il desiderio di lasciare l’azienda da parte dei collaboratori e il 11/01/2013 16.35.10 172 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni tasso di turnover; (3) l’ingiustizia distributiva e quella procedurale sono state associate con emozioni negative come la rabbia; infine, tutte e tre le forme di giustizia sono negativamente associate a comportamenti aggressivi nell’ambiente di lavoro.28 Questi risultati suggeriscono ai manager una molteplicità di importanti indicazioni pratiche. Implicazioni pratiche derivanti dalla teoria dell’equità La teoria dell’equità ha perlomeno sei importanti implicazioni pratiche. Innanzitutto, la ricerca enfatizza la necessità che il manager faccia attenzione alle percezioni dei propri collaboratori su cosa sia giusto ed equo. Non ha importanza quanto politiche, procedure e sistemi di ricompensa aziendali siano effettivamente obiettivi per il management: ciò che conta è la percezione del singolo collaboratore sull’equità di ciascuno di questi fattori. Uno studio condotto su un campione di 3000 lavoratori statunitensi ha evidenziato che il 39% ritiene di essere sottopagato e solo il 37% si sente apprezzato dal datore di lavoro.29 I manager dovrebbero quindi prendere qualsiasi decisione che riguardi assunzioni o promozioni in base al merito del dipendente e a informazioni pertinenti con il lavoro e dedicare maggiore attenzione e tempo all’assegnazione di riconoscimenti positivi per il comportamento e le prestazioni dei collaboratori. Inoltre, dato che le impressioni sulla giustizia sono influenzate dalla misura in cui i manager motivano le decisioni che prendono, questi ultimi dovrebbero spiegare, per quanto possibile, le loro motivazioni. In secondo luogo, i manager possono beneficiare dal coinvolgimento dei collaboratori nei processi decisionali che riguardano importanti risultati lavorativi. In generale, le percezioni dei collaboratori sulla giustizia procedurale sono migliori se essi hanno “voce” in capitolo nel processo decisionale. Si consiglia ai manager di chiedere ai collaboratori un’opinione in merito a cambiamenti organizzativi che possono determinare delle conseguenze sul loro operato. Terza considerazione, i collaboratori dovrebbero avere la possibilità di fare appello relativamente a decisioni che riguardano la loro situazione: tale opportunità incoraggia le percezioni di giustizia distributiva e procedurale. Quarta implicazione pratica, i manager possono promuovere la cooperazione e il lavoro di gruppo adottando un comportamento imparziale nei confronti dei membri del proprio team. Le ricerche rivelano che gli individui si preoccupano allo stesso modo dell’equità nella composizione dei gruppi e dei propri interessi personali.30 Quinta implicazione, le percezioni di giustizia dei dipendenti sono fortemente influenzate dal comportamento di leadership assunto dai manager (analizzeremo la leadership nel Capitolo 16). È dunque essenziale per i manager considerare le conseguenze sulla percezione di giustizia di decisioni, azioni e comunicati pubblici. Infine, i manager devono prestare attenzione al clima organizzativo relativamente alla giustizia. Si è riscontrato, ad esempio, che un clima di giustizia all’interno di un’organizzazione influenza in modo significativo il commitment e la soddisfazione lavorativa dei collaboratori.31 I ricercatori credono inoltre che un clima equo possa influire in modo significativo sulla qualità del servizio al consumatore; a sua volta, questa caratteristica si riflette sulla percezione che i clienti hanno del “giusto servizio” e sulla loro conseguente lealtà e soddisfazione. CompOrga.indb 172 11/01/2013 16.35.11 8 I fondamenti della motivazione 173 I manager possono dunque cercare di rispettare questi consigli monitorando le percezioni di equità e giustizia, tramite conversazioni informali, colloqui e indagini sugli atteggiamenti. I ricercatori hanno elaborato e convalidato molti metodi che possono essere utilizzati a tale scopo. La teoria dell’aspettativa di Vroom Teoria dell’aspettativa: sostiene che le persone sono motivate ad assumere un comportamento che produce risultati ritenuti importanti La teoria dell’aspettativa dice che le persone sono motivate a comportarsi in modi che producano combinazioni desiderate di risultati attesi. Parlando in termini generali, la teoria dell’aspettativa può essere utilizzata per prevedere il comportamento in ogni situazione in cui si debba compiere una scelta tra due o più alternative possibili. Può essere utilizzata, ad esempio, per prevedere se sia il caso di lasciare o di tenere un posto di lavoro; se esercitare uno sforzo minimo o notevole nell’esecuzione di un compito, se specializzarsi in management, informatica, contabilità, marketing, psicologia o comunicazione. Victor Vroom ha formulato un modello matematico della sua teoria dell’aspettativa nell’opera Work and Motivation, pubblicata nel 1964.32 La teoria di Vroom è stata così riassunta: “La forza di una tendenza a comportarsi in un determinato modo dipende dalla forza di una aspettativa che l’individuo nutre nei confronti di una data conseguenza (o risultato) e dal valore o attrattiva di tale conseguenza (o risultato) per chi compie l’atto.”33 La motivazione, secondo Vroom, si riassume nella decisione della quantità di sforzo da esercitare in una determinata situazione. Tale scelta si basa su una sequenza bifasica di aspettative (sforzo → prestazione e prestazione → risultato). Innanzitutto, la motivazione è influenzata dall’aspettativa da parte dell’individuo che un certo livello di sforzo produrrà il previsto obiettivo di prestazione. Se, ad esempio, non siete convinti che aumentare il tempo passato sui libri possa alzare in modo rilevante la vostra votazione finale, probabilmente non studierete più del solito. La motivazione è influenzata anche dalle possibilità percepite dal collaboratore di ottenere diversi risultati in seguito all’ottenimento dei propri obiettivi di prestazione. L’individuo è motivato, infine, anche dal valore che assegna ai risultati. Vroom ha utilizzato una equazione matematica per integrare i concetti esposti sinora in un modello che prevedesse la forza motivazionale. Ai nostri scopi è però sufficiente definire e spiegare i tre concetti chiave del modello di Vroom: aspettativa, strumentalità e valenza. Aspettativa Aspettativa: convinzione che l’impegno porti a un determinato livello di prestazione CompOrga.indb 173 Un’aspettativa, in base alla terminologia utilizzata da Vroom, rappresenta la convinzione dell’individuo per cui un determinato livello di sforzo comporterà un certo livello di prestazione. In altre parole, si tratta di un’aspettativa sforzo → prestazione. Le aspettative prendono la forma di probabilità soggettive. Come saprete dallo studio della statistica, le probabilità vanno da zero a uno. Un’aspettativa pari a zero indica che lo sforzo non esercita alcun impatto preventivo sulla prestazione. 11/01/2013 16.35.11 Parte II 174 Il comportamento individuale nelle organizzazioni Supponiamo, ad esempio, che non abbiate memorizzato la disposizione delle lettere sulla tastiera. A prescindere dallo sforzo esercitato, la probabilità percepita di digitare 30 parole al minuto senza errori sarà probabilmente pari a zero. Un’aspettativa pari a 1 fa pensare che la prestazione dipenda totalmente dallo sforzo. Se avete deciso di memorizzare la disposizione delle lettere sulla tastiera e di fare esercizio un paio di ore al giorno per qualche settimana (impegno alto), dovreste essere in grado di digitare 30 parole al minuto senza errori. Se, invece, non avete memorizzato le lettere e avete semplicemente fatto pratica un’ora o due per settimana (sforzo basso), la probabilità di riuscire a digitare 30 parole al minuto senza errori è molto bassa (diciamo intorno al 20%). Ecco i fattori che influiscono sulle percezioni di aspettativa del collaboratore: 1. 2. 3. 4. 5. 6. autostima; auto-efficacia (vedi l’analisi condotta nel Capitolo 5); successi già ottenuti in passato nello svolgimento dello stesso compito; assistenza da parte del superiore e dei subordinati; padronanza delle informazioni necessarie per portare a termine il compito; disponibilità di buoni materiali e attrezzature per lavorare.34 Strumentalità Strumentalità: percezione di causalità tra prestazione e risultato La strumentalità è una percezione di consequenzialità tra prestazione e risultato. Rappresenta la convinzione da parte di una persona che un particolare risultato dipenda dal raggiungimento di uno specifico livello di prestazione. La prestazione è strumentale quando conduce a qualcos’altro. Per esempio, passare un esame è strumentale a laurearsi. La strumentalità varia da –1 a 1. Una strumentalità pari a 1 indica che l’ottenimento di un determinato risultato dipende totalmente dalla prestazione nello svolgimento di un compito. Se invece la strumentalità è pari a 0, non c’è relazione tra la prestazione e il risultato. Le aziende, ad esempio, nella stragrande maggioranza mettono in relazione il numero di giorni di vacanza all’anzianità di servizio e non alla prestazione sul lavoro. Una strumentalità pari a –1, infine, rivela che un’alta prestazione riduce la possibilità di ottenere un risultato mentre un basso livello di prestazione l’aumenta. Ad esempio, più tempo trascorrete a studiare per prendere 30 all’esame (alta prestazione), meno tempo avrete per divertirvi. Analogamente, diminuendo il tempo trascorso a studiare (bassa prestazione), aumenterà il tempo da poter dedicare alle attività ricreative. Valenza Valenza: valore di una ricompensa o di un risultato CompOrga.indb 174 Nel senso usato da Vroom, la valenza si riferisce al valore positivo o negativo che le persone assegnano ai risultati. La valenza riflette le nostre preferenze personali. Ad esempio, molti collaboratori assegnano valenza positiva al fatto di ricevere del denaro in più in riconoscimento dei propri meriti. Al contrario, lo stress lavorativo e il fatto di essere licenziati risulterebbero probabilmente come valenza negativa per molti individui. Nel modello delle aspettative di Vroom, i risultati si riferiscono a diverse conseguenze 11/01/2013 16.35.11 8 I fondamenti della motivazione 175 che dipendono dalla prestazione, come lo stipendio, le promozioni o i riconoscimenti. La valenza di un risultato dipende dalle necessità dell’individuo e si può misurare a scopi di ricerca con scale che variano da un valore negativo a uno positivo. Ad esempio la valenza di un individuo nei confronti di un maggiore riconoscimento può essere valutata su una scala che varia tra –2 (molto indesiderabile), 0 (neutro) e +2 (molto desiderabile). La teoria dell’aspettativa in azione Si può utilizzare il modello motivazionale elaborato da Vroom per analizzare un piano motivazionale reale. Prendiamo, ad esempio, la seguente descrizione di un problema legato alle prestazioni, dalle parole di Frederick W Smith, fondatore e CEO della Federal Express Corporation: Avevamo un sacco di problemi a rispettare i tempi. Gli aerei atterravano e tutto il resto veniva posticipato. Abbiamo provato ogni tipo di meccanismo di controllo pensabile e immaginabile, ma non ce n’era uno che funzionasse. Alla fine è diventato ovvio che alla base di tutto stava un fatto: era nell’interesse dei collaboratori al terminal (quasi tutti studenti) tirar per le lunghe, perché fare più ore significava guadagnare di più. Allora cosa abbiamo fatto? Abbiamo assegnato a tutti un minimo garantito dicendo loro “Guarda, se finisci prima, vai pure a casa, e avrai avuto la meglio sul sistema”. Beh, il risultato è stato incredibile. Nel giro di 45 giorni eravamo in anticipo sulla tabella di marcia. E non credo nemmeno che da parte dei collaboratori si sia trattato di una reazione consapevole.35 Come ha fatto la Federal Express a indurre i suoi collaboratori addetti al carico a passare da uno sforzo minimo a uno sforzo elevato? In base al modello di Vroom, i lavoratori studenti esercitavano inizialmente un basso livello di sforzo perché erano pagati a ore e non a seconda del risultato. Era quindi nel loro interesse lavorare lentamente e accumulare più ore possibile. Dando loro la possibilità di andare a casa in anticipo una volta completati i compiti assegnati, la Federal Express ha incentivato uno sforzo maggiore da pare dei collaboratori. Questo nuovo accordo tra le parti comportava due risultati valutati positivamente: lo stipendio assicurato e la possibilità di andarsene prima. La motivazione a impegnarsi di più diventava maggiore rispetto a quella che spingeva a impegnarsi di meno. Giudicando dai risultati sorprendenti ottenuti dall’azienda, gli studenti lavoratori avevano sia elevate aspettative sforzo → prestazione, sia una strumentalità positiva prestazione → risultato. Inoltre, uno stipendio garantito e l’opportunità di andarsene in anticipo comportava evidentemente valenze estremamente positive per gli studenti lavoratori. Ricerca sulla teoria dell’aspettativa e implicazioni a livello manageriale Molti ricercatori hanno sottoposto a verifica la teoria dell’aspettativa. A sostegno della teoria, un’analisi comparata condotta su 77 studi ha evidenziato che essa permette di prevedere in modo significativo la prestazione, lo sforzo, le intenzioni, le preferenze e CompOrga.indb 175 11/01/2013 16.35.11 176 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni Tabella 8-2 Implicazioni manageriali e organizzative della teoria dell’aspettativa Implicazioni per i manager Implicazioni per le organizzazioni Comprendere i risultati a cui i collaboratori danno valore. Ricompensare le persone per le prestazioni desiderate e non tenere segrete le decisioni che riguardano le retribuzioni Progettare il lavoro in modo sfidante. Identificare una buona prestazione cosicché i comportamenti appropriati possano essere premiati. Assicurarsi che i collaboratori possano raggiungere i livelli di prestazione previsti. Collegare i risultati desiderati a livelli di prestazione posti come obiettivo. Assicurarsi che le variazioni nei risultati siano di entità sufficiente a motivare uno sforzo impegnativo. Monitorare il sistema di ricompense, per evitare le iniquità. Legare alcune ricompense a risultati di gruppo per incentivare il lavoro di team e la cooperazione. Ricompensare i manager che creano, controllano e mantengono aspettative, strumentalità, e risultati che portano a grandi sforzi e al raggiungimento degli obiettivi. Tenere sotto controllo il livello di motivazione dei collaboratori con interviste o questionari anonimi. Adattarsi alle differenze individuali rendendo flessibili i programmi motivazionali. la scelta.36 In linea generale, l’idea che legare i riconoscimenti a obiettivi mirati eserciti un’influenza sul comportamento e sugli atteggiamenti gode di un ampio consenso.37 Nonostante tali risultati positivi, la teoria dell’aspettativa è stata criticata per molti motivi. Ad esempio, perché è difficile da sottoporre a verifica, e le misure utilizzate per testare l’aspettativa, la strumentalità e la valenza hanno una validità discutibile. In conclusione, comunque, la teoria dell’aspettativa ha importanti implicazioni pratiche per i manager dal punto di vista individuale e per le organizzazioni nel loro complesso (vedi tabella 8-2). I manager dovrebbero sostenere il legame tra sforzo e prestazione aiutando i collaboratori a raggiungere i loro obiettivi. Questo risultato si può ottenere fornendo loro supporto e coaching per migliorare la loro auto-efficacia. È inoltre importante che il manager influenzi le strumentalità del collaboratore e ne monitori le valenze nei confronti di diverse ricompense. In sintesi, non esiste una ricompensa migliore in senso assoluto: le differenze individuali e le teorie dei bisogni ci dicono che gli individui sono motivati da ricompense diverse. Per esempio, un’indagine recente su 1047 lavoratori operanti in diversi settori ha rivelato che gli incentivi non monetari come i complimenti, i riconoscimenti dei leader e i compiti di coordinamento dei progetti sono più efficaci nel motivare i dipendenti rispetto agli incentivi monetari.38 Questa considerazione è vera anche per voi? A nostro parere, alcune persone preferiscono i riconoscimenti non monetari, mentre altre prediligono gli incentivi monetari. I manager dovrebbero quindi legare la prestazione dei dipendenti a riconoscimenti ritenuti preziosi a prescindere dal tipo di ricompensa offerto per accrescere la motivazione. La motivazione attraverso il goal setting A prescindere dalle personali propensioni, le persone di successo tendono ad avere una cosa in comune: la loro vita è orientata all’obiettivo. Consideriamo il caso di Mike Proulx: “Quando, negli anni ’60, Mike era un adolescente e imbustava prodotti alimentari, decise CompOrga.indb 176 11/01/2013 16.35.11 8 I fondamenti della motivazione 177 che sarebbe diventato presidente di Bashas. [Bashas è una catena di supermercati non quotata con oltre 150 punti vendita in Arizona] Da tre anni è questo il suo lavoro. […] ‘Quando avevo 18 anni ho stabilito una serie di obiettivi, prefissandomi che alla tale età sarei diventato direttore di negozio, poi manager di distretto, vicepresidente e infine presidente’, racconta Mike.”39 Come modello di processo della motivazione, la teoria del goal setting spiega come la semplice determinazione di obiettivi attivi un potente processo motivazionale che determina performance elevate e sostenute. La presente sezione indaga la teoria e le ricerche legate al goal setting, mentre le applicazioni pratiche sono trattate nel Capitolo 9. Obiettivi: definizione e antecedenti Obiettivo: ciò che l’individuo tenta di realizzare Edwin Locke, un’autorità nel campo della definizione degli obiettivi, ha dato insieme ai suoi collaboratori una definizione del termine obiettivo (goal): “ciò che un individuo sta tentando di realizzare; l’oggetto o scopo di un’azione”.40 L’impatto motivazionale degli obiettivi di prestazione e dei piani di ricompensa basati sul raggiungimento degli obiettivi è stato riconosciuto molti anni or sono. All’inizio del XX secolo, Frederick Taylor tentò di determinare scientificamente quanto lavoro di una certa qualità si possa assegnare a un individuo giornalmente, proponendo di basare l’assegnazione di bonus al raggiungimento di uno standard di risultato, come vedremo nella sezione successiva del presente capitolo. Più di recente, il goal setting è stato promosso grazie all’uso di una tecnica di management molto diffusa, chiamata management by objectives (MBO). L’applicazione dell’MBO è delineata nel Capitolo 9. Come funziona il goal setting? Nonostante esista un’enorme mole di ricerche e di pratiche che si sono occupate del goal setting, le teorie sono sorprendentemente scarse. Locke e i suoi seguaci hanno elaborato però un modello interessante. In base a questo, la definizione degli obiettivi consta di quattro meccanismi motivazionali. Gli obiettivi focalizzano l’attenzione Gli obiettivi focalizzano l’attenzione e gli sforzi verso attività rilevanti per il raggiungimento degli obiettivi stessi, distogliendoli da quelle irrilevanti. Se, ad esempio, dovete consegnare una tesina tra pochi giorni, i vostri pensieri tenderanno a rimanere concentrati sul completamento di quel compito. In realtà, però, spesso lavoriamo al raggiungimento di più obiettivi e diventa essenziale assegnare le giuste priorità per distribuire efficacemente gli sforzi nel tempo.41 Gli obiettivi regolano lo sforzo Gli obiettivi non solo ci rendono percettivi in modo selettivo, ma ci motivano anche all’azione. Il termine stabilito dal docente per la consegna della tesina vi spronerebbe a completarla anziché uscire con gli amici, guardare la televisione o studiare per un altro corso. In generale, il livello di sforzo impiegato è proporzionale alla difficoltà dell’obiettivo. CompOrga.indb 177 11/01/2013 16.35.11 178 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni Gli obiettivi aumentano la tenacia Nel contesto della definizione degli obiettivi, la tenacia rappresenta lo sforzo impiegato per l’esecuzione di un compito sul lungo termine. Correre i 100 metri comporta uno sforzo, mentre correre la maratona comporta un notevole livello di determinazione. Le persone tenaci tendono a considerare gli ostacoli come sfide da superare, più che come motivi per non farcela. Un obiettivo difficile, se importante per un individuo, costituisce un costante promemoria a continuare a impegnarsi nella giusta direzione. Gli obiettivi incentivano lo sviluppo e l’applicazione di piani d’azione e strategie Se voi siete qui e il vostro obiettivo è da qualche parte là fuori, il problema che dovete affrontare è superare la distanza che vi separa. Per esempio, pensate alle sfide legate all’inizio di una nuova attività. Il vostro obiettivo è guadagnare profitti, ampliare l’attività o fare del mondo un posto migliore? Per raggiungerlo dovrete prendere molte decisioni e portare a termine numerosissimi compiti. Gli obiettivi possono aiutare, perché incoraggiano le persone a elaborare strategie e piani d’azione che possano metterli nelle condizioni di raggiungerli. Una serie di studi condotti in Sud Africa, Zimbabwe e Namibia ha riscontrato che le piccole aziende avevano più probabilità di crescere e ottenere successo se i proprietari si dedicavano ad attività di “pianificazione complessa e proattiva.”42 Implicazioni pratiche delle ricerche sul goal setting Le ricerche confermano in modo coerente il ruolo del goal setting come tecnica motivazionale. Definire degli obiettivi aumenta la prestazione individuale, di gruppo e organizzativa. Gli effetti positivi del goal setting sono stati riscontrati in altri sei paesi oltre agli Stati Uniti: l’Australia, il Canada, i Caraibi, l’Inghilterra, la Germania Occidentale e il Giappone. Il goal setting funziona dunque in culture diverse. Da un confronto tra i numerosi studi che si sono occupati negli ultimi decenni della definizione degli obiettivi sono emerse cinque riflessioni utili per i manager. Specificità dell’obiettivo: quantificabilità di un obiettivo CompOrga.indb 178 1. Obiettivi specifici ed elevati stimolano una performance migliore. La specificità dell’obiettivo riguarda la sua quantificabilità. Ad esempio, l’obiettivo di vendere nove auto in un mese è più specifico del semplice “fare del proprio meglio”. 2. Il feedback amplifica gli effetti nel caso di obiettivi specifici e difficili. Il feedback gioca un ruolo fondamentale nelle nostre vite. Il feedback fa in modo che le persone capiscano se sono indirizzate al raggiungimento dei propri obiettivi o se sono fuori strada e devono reindirizzare i loro sforzi. L’approccio consigliato implica quindi obiettivi accompagnati da feedback. Gli obiettivi danno informazioni sugli standard di prestazione e sulle aspettative, così che l’individuo riesce a incanalare al meglio le proprie energie. A sua volta, il feedback fornisce le informazioni necessarie ad aggiustare la direzione, a calibrare lo sforzo e a elaborare delle strategie adatte alla realizzazione degli obiettivi. 3. Obiettivi sviluppati in maniera partecipativa, assegnati dall’alto e sviluppati autonomamente hanno la stessa efficacia. Manager e ricercatori sono estremamente interessati a identificare il modo migliore per definire gli obiettivi. Il quesito è: gli 11/01/2013 16.35.11 8 I fondamenti della motivazione Piano d’azione: attività e compiti da portare a termine per raggiungere un obiettivo Commitment nell’obiettivo: quantità di impegno e coinvolgimento dell’individuo nel raggiungimento di un obiettivo 179 obiettivi vanno determinati insieme, vanno assegnati dall’alto o devono essere sviluppati dal collaboratore stesso? Da una rassegna delle ricerche sulla determinazione degli obiettivi è emerso che non esiste un approccio significativamente più efficace degli altri per incrementare la prestazione.43 I manager dovrebbero perciò utilizzare un approccio legato alla situazione contingente, scegliendo un metodo che si adatti volta per volta all’individuo e alle circostanze. 4. I piani d’azione facilitano il raggiungimento degli obiettivi. Un piano d’azione delinea le attività e i compiti da portare a termine per raggiungere un obiettivo. Può inoltre prevedere date associate al completamento di ciascun compito, risorse necessarie e ostacoli da superare. I piani d’azione possono essere utilizzati dai manager come strumento per discutere della performance con i collaboratori e dai dipendenti per monitorare i progressi compiuti verso il raggiungimento dell’obiettivo. Inoltre, i piani d’azione fungono da promemoria, ricordando su che cosa focalizzare le energie, e questa funzione determina comportamenti rilevanti per il raggiungimento dell’obiettivo e del successo, come è stato riscontrato. Nello specifico, la ricerca ha dimostrato che la determinazione di obiettivi e l’elaborazione di piani d’azione aiutava gli studenti universitari a migliorare il rendimento accademico.44 Infine, si consiglia ai manager di incoraggiare i dipendenti a sviluppare autonomamente i piani d’azione perché questo alimenta un maggiore impegno rispetto al raggiungimento degli obiettivi e suscita la sensazione di svolgere un lavoro significativo.45 5. Il livello di commitment e gli incentivi monetari influenzano i risultati del goal setting. Il livello di commitment nell’obiettivo rappresenta la misura in cui l’individuo è coinvolto personalmente nel raggiungimento dell’obiettivo stesso. In generale, ci si aspetta che un individuo persista nel tentativo di raggiungere un obiettivo quando ne è coinvolto. I ricercatori sono convinti che il livello di commitment moderi la relazione esistente tra la difficoltà dell’obiettivo stesso e la prestazione. Quindi obiettivi difficili implicano prestazioni migliori solo se i collaboratori sono coinvolti nei loro obiettivi. Si ipotizza invece che obiettivi difficili portino a prestazioni peggiori se le persone non sono coinvolte nel loro obiettivo. Il confronto di 21 studi condotti su 2360 persone conferma queste previsioni.46 È inoltre importante notare che la probabilità che un individuo sia coinvolto in obiettivi complessi è maggiore se ha un alto livello di auto-efficacia nei confronti della realizzazione dei propri obiettivi. Analogamente al goal setting, l’utilizzo di incentivi monetari per motivare i collaboratori non viene quasi mai messo in discussione. Purtroppo le ricerche più recenti hanno rilevato alcune conseguenze negative in situazioni in cui il raggiungimento dell’obiettivo è connesso agli incentivi individuali. Studi empirici hanno dimostrato che gli incentivi basati sugli obiettivi producono un maggior livello di commitment solo nel caso di obiettivi facili. È emersa una certa riluttanza a impegnarsi in obiettivi laboriosi a cui siano collegati incentivi monetari. Gli individui con un alto livello di commitment relativo all’obiettivo hanno tendenzialmente aiutato meno i propri colleghi nel momento in cui ricevevano incentivi basati sul raggiungimento di obiettivi individuali difficili. Venivano inoltre trascurati aspetti del lavoro non legati a obiettivi di performance.47 Infine, un recente sondaggio condotto su 277 dirigenti operanti in settori diversi ha rivelato che il 51% “ha fatto uno strappo alle regole” per raggiungere gli obiettivi.48 CompOrga.indb 179 11/01/2013 16.35.11 180 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni Questi risultati suggeriscono che il cieco perseguimento degli obiettivi può favorire l’insorgere di comportamenti non etici. Quanto illustrato finora mette in luce alcuni dei rischi legati all’uso di incentivi basati sugli obiettivi, in particolare per i collaboratori che operano in mansioni complesse e interdipendenti, che richiedono cooperazione. I manager devono valutare i vantaggi, gli svantaggi e i dilemmi legati agli incentivi basati sugli obiettivi prima di farvi ricorso. Motivare i collaboratori attraverso la riorganizzazione del lavoro Riorganizzazione del lavoro: cambiare i contenuti o i processi di un lavoro per incrementare la soddisfazione e la performance Ogni lavoro consiste essenzialmente nel completare dei compiti e la riorganizzazione del lavoro è mirata ad accrescere la motivazione dei collaboratori modificando il tipo di compiti che devono portare a termine nello svolgimento del loro lavoro. Il termine riorganizzazione del lavoro “si riferisce a qualsiasi insieme di attività che comportino la modifica di determinati compiti o sistemi di compiti interdipendenti allo scopo di migliorare la qualità del lavoro del collaboratore e quindi la sua produttività”.49 Storicamente, la riorganizzazione del lavoro si è caratterizzata per un approccio top-down, secondo il quale i manager modificavano i compiti dei dipendenti con l’obiettivo di accrescere la motivazione e la produttività; in altre parole, la riorganizzazione del lavoro era guidata dal management. Nell’arco degli ultimi dieci anni, questa prospettiva ha lasciato spazio a quelli che sono stati definiti approcci bottom-up, basati sull’idea che i collaboratori possano proattivamente modificare o riorganizzare il proprio lavoro e che tale processo alimenti la motivazione e l’impegno. Secondo gli approcci bottom-up, il processo di riorganizzazione del lavoro è guidato dai collaboratori, anziché dal manager. L’approccio più recente alla riorganizzazione del lavoro è un tentativo di fondere le due prospettive storiche ed è denominato “accordi personalizzati”. Secondo questa visione, la riorganizzazione del lavoro è un processo nel quale manager e collaboratori negoziano il tipo di compiti che dovranno essere svolti durante l’attività lavorativa. Il processo di riorganizzazione del lavoro è dunque gestito congiuntamente da collaboratori e manager. La presente sezione fornisce una panoramica di questi tre approcci concettualmente diversi alla riorganizzazione del lavoro.50 Una maggiore attenzione è dedicata alle tecniche e ai modelli top-down perché, essendo stati impiegati per un periodo di tempo più lungo, sono stati oggetto di un maggior numero di ricerche per valutarne l’efficacia. Gli approcci top-down Secondo la premessa fondamentale alla base degli approcci top-down, il management è responsabile della creazione di combinazioni di compiti efficienti e significative per i collaboratori. In teoria, questi ultimi evidenzieranno prestazioni, soddisfazione lavorativa e coinvolgimento maggiori e un livello più basso di assenteismo e turnover se i manager svolgono correttamente questo compito. Consideriamo ora i cinque approcci top-down principali: lo scientific management, l’ampliamento delle mansioni, la rotazione del lavoro, l’arricchimento del lavoro e il modello basato sulle caratteristiche del lavoro. CompOrga.indb 180 11/01/2013 16.35.12 8 I fondamenti della motivazione Scientific management: utilizzare la ricerca e la sperimentazione per trovare il modo più efficace di svolgere un compito Ampliamento delle mansioni: aumentare la varietà di un lavoro Rotazione del lavoro: spostare i collaboratori da un lavoro specializzato a un altro CompOrga.indb 181 181 Scientific management Lo scientific management trae spunto dalla ricerca nel campo dell’ingegneria industriale ed è fortemente influenzato dall’opera di Frederick W. Taylor. Quest’ultimo, un ingegnere meccanico, elaborò i principi dello scientific management lavorando alla Midvale Steel Works e alla Bethlehem Steel, in Pennsylvania. Egli partì dall’osservare un basso livello di cooperazione tra manager e collaboratori, e scoprì che questi ultimi avevano bassi livelli di risultati perché impegnati a limitare deliberatamente la produzione, metodo che Taylor definì “da scansafatiche sistematico”. L’interesse dello studioso per lo scientific management nacque proprio dal suo desiderio di migliorare questo tipo di situazione. Lo scientific management è “quel tipo di management che ricerca modalità standard per condurre un’azienda derivate dall’osservazione precisa della realtà, e stabilite attraverso un processo sistematico di osservazione, sperimentazione e ragionamento”.51 L’approccio di Taylor si focalizzava sull’utilizzo di ricerca e sperimentazione per determinare il modo più efficiente per eseguire un determinato compito. L’applicazione dello scientific management implica cinque fasi: (1) sviluppo di metodi standardizzati per l’esecuzione dei compiti, ottenuti attraverso studi sulla velocità dei gesti e il movimento, (2) selezione attenta dei collaboratori dotati delle capacità adeguate al compito in questione, (3) addestramento dei collaboratori all’utilizzo di metodi e procedure standardizzate, (4) supporto al personale per ridurre le interruzioni e (5) offerta di incentivi legati alla prestazione.52 Un lavoro organizzato in base ai principi dello scientific management risulta altamente specializzato e standardizzato, perciò questo tipo di approccio mira a ottenere efficienza, flessibilità e produttività. Organizzare il lavoro in ottemperanza ai principi dello scientific management comporta aspetti sia positivi sia negativi. Conseguenze positive sono sicuramente l’incremento di efficienza e di produttività. D’altro canto, però, la ricerca rivela che l’impiego in occupazioni semplificate e ripetitive può causare nel collaboratore insoddisfazione, riduzione dell’equilibrio psichico, alti livelli di stress e poco senso di realizzazione e crescita personale.53 Questo tipo di conseguenze negative ha preparato il terreno ai quattro approcci top-down illustrati di seguito. Job enlargement Questa tecnica fu usata per la prima volta verso la fine degli anni ’40, in reazione alle lamentele dovute a lavori eccessivamente specializzati e noiosi. L’ampliamento delle mansioni (job enlargement) consiste nell’apportare maggiore varietà al lavoro, combinando mansioni specializzate di difficoltà simili. Alcuni definiscono quest’operazione sviluppo orizzontale del lavoro. I ricercatori raccomandano di utilizzare questo metodo nell’ambito di un più ampio approccio, composto da molteplici metodi motivazionali, perché di per sé non determina un effetto positivo significativo e duraturo sulla prestazione lavorativa.54 Job rotation Come nel caso dell’ampliamento delle mansioni, lo scopo di questa tecnica è quello di dare più varietà al lavoro. La rotazione del lavoro (job rotation) richiede che i collaboratori si spostino da una postazione specializzata a un’altra. Essi hanno quindi l’opportunità di svolgere due o più compiti diversi a rotazione, anziché svolgere sempre lo stesso. I manager sono convinti di riuscire, spostando i propri collaboratori da una postazione all’altra, a stimolare l’interesse e la motivazione personali, fornendo loro, nello stesso tempo, una prospettiva più ampia dell’organizzazione in 11/01/2013 16.35.12 182 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni cui operano. La Tata Consulting Services (TCS), per esempio, utilizza la rotazione del lavoro per favorire lo sviluppo dei collaboratori ed esporli a esperienze internazionali. La job rotation comporta anche altri vantaggi: la flessibilità del lavoratore aumenta e la programmazione risulta facilitata, perché ogni persona può svolgere compiti diversi. Le organizzazioni ricorrono alla rotazione del lavoro come strumento per assegnare ai collaboratori lavori a loro scelta. L’idea è che lasciando ai dipendenti la libertà di scegliere il proprio lavoro è possibile ottenere una riduzione del tunorver e una crescita della performance. Nonostante le esperienze positive di aziende come la TCS, non è possibile trarre conclusioni certe sull’uso della job rotation perché non ci sono ancora ricerche accurate che possano suffragare completamente tale visione. Arricchimento del lavoro: creare realizzazione e riconoscimento, stimolare il lavoro, la responsabilità e gli avanzamenti di carriera Motivazione intrinseca: motivazione causata da sensazioni interne positive Dimensioni fondamentali del lavoro: caratteristiche del lavoro riscontrabili in quantità variabili in qualsiasi tipo di occupazione Job enrichment Il job enrichment è l’applicazione pratica della teoria dei fattori duali, motivanti e igienici, elaborata da Frederick Herzberg già illustrata in questo capitolo. Specificamente, l’arricchimento del lavoro (job enrichment) consiste nella modificazione delle condizioni di lavoro in modo da dare la possibilità al collaboratore che lo svolge di realizzarsi e sperimentare riconoscimento, esecuzione di un compito stimolante, responsabilità e avanzamento di carriera. Tali caratteristiche sono incorporate in un determinato lavoro attraverso uno sviluppo verticale, che consiste nell’affidare maggiori responsabilità e autonomia al singolo. Intuit, per esempio, cerca di ottenere questo risultato “incoraggiando i collaboratori a prendersi settimanalmente quattro ore di ‘tempo non strutturato’ da dedicare ai propri progetti e a ‘idea jam’, durante i quali i team presentano nuove idee con l’obiettivo di ottenere premi”.55 Il modello basato sulle caratteristiche del lavoro Due ricercatori di comportamento organizzativo, Hackman e Oldham, hanno giocato un ruolo di primo piano nell’elaborazione dell’approccio fondato sulle caratteristiche del lavoro. I due hanno cercato di determinare in che modo si possa strutturare il lavoro per motivare intrinsecamente o internamente il personale. La motivazione intrinseca entra in gioco quando un individuo è “ben disposto nei confronti di un lavoro in conseguenza di positive sensazioni interne generate dal fare bene il proprio lavoro e non dipendenti da fattori esterni (come incentivi o approvazione del capo)”.56 La motivazione intrinseca è strettamente allineata al concetto di coinvolgimento del personale, esaminato nel Capitolo 6. Tali sensazioni positive danno vita a un ciclo di motivazione che si autoalimenta. Come si vede in figura 8-4, la motivazione lavorativa interna è determinata da tre stati psicologici, a loro volta favoriti dalla presenza di cinque dimensioni lavorative fondamentali. L’oggetto di questo approccio è la promozione di una elevata motivazione interna, che si realizza tramite un disegno organizzativo che possegga tutte e cinque le caratteristiche lavorative illustrate in figura 8-4; andiamo a esaminarle. In termini generali, si definiscono dimensioni fondamentali del lavoro le caratteristiche comuni riscontrabili in vari gradi in qualsiasi lavoro. Tre delle caratteristiche descritte nella figura 8-4 si combinano definendo il significato attribuito al proprio lavoro (ovvero la sensazione che il proprio lavoro sia importante): • Varietà delle abilità richieste. Misura quanto un lavoro richieda all’individuo di eseguire diversi compiti, per i quali è tenuto a utilizzare abilità e capacità diverse. CompOrga.indb 182 11/01/2013 16.35.12 8 I fondamenti della motivazione 183 Stati psicologici critici Caratteristiche fondamentali del lavoro • Varietà delle abilità richieste • Identità del task • Significatività del task • Significato attribuito al proprio lavoro • Responsabilità esperita sulle conseguenze del lavoro • Conoscenza dei risultati effettivi delle attività lavorative • Autonomia • Feedback Risultati • Alta motivazione intrinseca nei confronti del lavoro • Alta soddisfazione legata allo sviluppo • Alta soddisfazione lavorativa generale • Alta efficienza lavorativa Moderatori 1. Conoscenze e abilità 2. Forza del bisogno di crescita 3. Soddisfazioni provenienti dal contesto Figura 8-4 Modello della caratteristiche del lavoro Fonte: J.R. Hackman e G.R. Oldham, Work Redesign, © 1980,Addison-Wesley Publishing Co., Reading, MA, p. 90. Riprodotto su autorizzazione. • Identità del task. Misura quanto un task sia eseguito in modo completo da un individuo. In altre parole, l’identità del task è alta se la persona lavora su un prodotto o progetto dall’inizio alla fine, vedendone il risultato tangibile. • Significatività del task. Misura quanto gli effetti di un lavoro si estendano sulla vita di altre persone all’interno o all’esterno dell’organizzazione. La responsabilità esperita (ovvero il fatto di sentire la responsabilità per i risultati del lavoro che si svolge) deriva da una caratteristica detta autonomia, che può essere così definita: • Autonomia. Misura quanto il lavoro dia la possibilità a un individuo di sperimentare libertà, indipendenza e arbitrio, sia nella programmazione che nella scelta delle procedure da utilizzare per l’esecuzione del compito affidato. Infine, la conoscenza dei risultati è data dalle caratteristiche del feedback, che si può definire come segue: • CompOrga.indb 183 Feedback. Misura quanto un individuo riceva informazioni chiare e dirette sull’efficacia del compito che sta svolgendo.57 11/01/2013 16.35.12 184 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni Hackman e Oldham hanno riconosciuto che nessuno desidera un lavoro che contenga tutte e cinque le caratteristiche fondamentali a livello elevato, conclusione che i due studiosi hanno poi integrato nel modello, identificando i tre attributi che influenzano il modo in cui gli individui reagiscono al job enrichment. Questi attributi hanno a che fare con le conoscenze e le abilità di ciascuno, la forza del bisogno di crescita (che rappresenta il desiderio di crescere come individuo) e le soddisfazioni contestuali (vedi il riquadro “moderatori” di figura 8-4). Le soddisfazioni provenienti dal contesto rappresentano la misura in cui i collaboratori sono soddisfatti dai vari aspetti del loro lavoro, ad esempio la remunerazione, i colleghi e i superiori. La ricerca mette in luce tre implicazioni pratiche associate all’applicazione del modello basato sulle caratteristiche del lavoro. Anzitutto, i manager possono servirsi del modello per incrementare la soddisfazione lavorativa dei propri collaboratori. In secondo luogo, è possibile migliorare la motivazione intrinseca, il coinvolgimento nel lavoro e la performance e ridurre l’assenteismo e lo stress incrementando le caratteristiche fondamentali del lavoro. Infine, è molto probabile che i manager riscontrino un elevato miglioramento qualitativo della performance dopo un programma di riorganizzazione del lavoro. Gli approcci bottom-up Job crafting: comportamenti proattivi e flessibili mirati a modificare la natura del proprio lavoro CompOrga.indb 184 Come suggerito dalla stessa espressione “bottom-up”, questo approccio alla riorganizzazione del lavoro, denominato job crafting, è gestito dai collaboratori anziché dai manager. Il job crafting è definito come “l’insieme delle modifiche fisiche e cognitive che gli individui apportano ai limiti tecnici e relazionali del proprio lavoro”.58 In questo modello i collaboratori sono considerati “gli artefici del lavoro”, perché hanno il compito di stabilirne e definirne i confini. In questo senso, tale approccio alla riorganizzazione del lavoro rappresenta un insieme di comportamenti proattivi e flessibili, mirati a modificare i compiti, i rapporti e le cognizioni associate al lavoro. La tabella 8-3 definisce e illustra le tre forme principali di job crafting. La prima consiste nel modificare i confini dei propri compiti, alterandone l’ampiezza o la natura, oppure ancora incrementando o diminuendo le attività. Questo è illustrato nell’esempio in cui gli ingegneri svolgono più attività di tipo relazionale per portare a termine i progetti. La seconda forma di job crafting riportata nella tabella 8-3 comporta la modifica dell’aspetto relazionale del lavoro: nello specifico, si può alterare la quantità e la qualità delle interazioni con gli altri nell’ambiente di lavoro, oppure si possono instaurare rapporti nuovi. Un esempio in tal senso può essere un dipendente ospedaliero addetto alla pulizie che interagisce con i pazienti, sentendo così di poter determinare un effetto sulle cure. Infine, il job crafting cognitivo implica una modifica della percezione e delle convinzioni circa i compiti e i rapporti umani associati al lavoro. Per esempio, un’infermiera può considerare la corretta gestione dell’archivio e dei documenti un aspetto essenziale di un servizio sanitario di alta qualità, non un compito che sottrae tempo alla cura dei pazienti. La colonna finale della tabella 8-3 delinea il potenziale impatto del job crafting sulla motivazione e le performance dei collaboratori. Come potete notare, il job crafting dovrebbe modificare la percezione del lavoro, generando attitudini più positive con 11/01/2013 16.35.12 8 I fondamenti della motivazione 185 Tabella 8-3 Forme di job crafting FORMA ESEMPIO EFFETTO SUL SIGNIFICATO DEL LAVORO Modificare il numero, l’ampiezza e il tipo dei compiti Ingegneri che svolgono compiti relazionali nella gestione dei progetti Modificare la qualità e/o la quantità delle interazioni con gli altri nel lavoro Gli addetti alle pulizie negli ospedali si prendono cura dei pazienti e delle famiglie, integrandosi nel flusso di lavoro del reparto in cui operano Modificare i confini cognitivi del compito Gli infermieri si assumono la responsabilità della gestione delle informazioni e di altri compiti “insignificanti” che possono contribuire a fornire al paziente un trattamento più adeguato Il lavoro è portato a termine più tempestivamente; gli ingegneri percepiscono un significato diverso del proprio lavoro, considerandosi i custodi o i propulsori dei progetti Gli addetti alle pulizie si percepiscono come un aiuto per i pazienti; vedono il lavoro del reparto come un insieme integrato del quale rappresentano una parte vitale Gli infermieri modificano il senso attribuito al proprio lavoro, sentendosi paladini dei pazienti oltre che fornitori di un servizio tecnico di alta qualità. Fonte: A Wrzesniewski e J E Dutton, “Crafting a Job: Revisioning Employees As Active Crafters of Their Work,” Academy of Management Review, aprile 2001, p. 185. conseguenti miglioramenti della motivazione, del coinvolgimento e delle prestazioni. Questa conclusione ha trovato conferma in svariate ricerche preliminari.59 Gli accordi personalizzati Accordi personalizzati: le condizioni di impiego sono negoziate tra i collaboratori e i manager CompOrga.indb 185 Quest’ultimo approccio alla riorganizzazione del lavoro rappresenta una via di mezzo tra i metodi top-down e bottom-up e tenta di superarne i limiti. Per esempio, gli approcci top-down sono vincolati dal fatto che i manager non riescono sempre a implementare cambiamenti ottimali nelle caratteristiche del lavoro di tutti i collaboratori. Analogamente, il job crafting è limitato dalla libertà conferita ai dipendenti di modificare il proprio lavoro. Gli accordi personalizzati (idiosyncratic deals o i-deals) rappresentano “le condizioni di impiego negoziate dai collaboratori, che possono assumere una molteplicità di forme, dall’orario flessibile allo sviluppo della carriera”.60 Da tempo i “collaboratori di punta” negoziano contratti o accordi di impiego particolari, ma le tendenze demografiche e l’evoluzione del lavoro hanno aperto tale opportunità a una fascia più ampia di lavoratori. Gli accordi personalizzati tendono a essere caratterizzati da flessibilità individuale, bisogni di sviluppo e aspetti legati ai compiti specifici. L’obiettivo di tali accordi è accrescere la motivazione e la produttività concedendo ai collaboratori la libertà di negoziare relazioni di impiego che ne soddisfino i bisogni e i valori. RSM McGladrey è un ottimo esempio in tal senso. L’azienda incoraggia e promuove l’applicazione di accordi personalizzati con i suoi 8000 dipendenti. Cardine del programma della RSM McGladrey è creare modalità di lavoro innovative e flessibili perché l’aziende ritiene che tale approccio all’organizzazione del lavoro alimenti il coinvolgimento, la soddisfazione, la produttività dei collaboratori nonché la soddisfazione dei clienti, riducendo al tempo stesso il turnover. Questa convinzione sembra confermata dai numerosi premi 11/01/2013 16.35.13 186 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni conferiti all’azienda negli ultimi anni: nel 2009 è stata menzionata per la terza volta nella classifica delle 100 aziende migliori stilata da Working Mother, si è classificata quinta nella classifica Today 2010 delle 100 migliori aziende e nel 2009 è stata scelta da BusinessWeek come una delle migliori aziende in cui iniziare la carriera.61 Sebbene questo approccio alla riorganizzazione del lavoro sia troppo recente per aver generato una mole cospicua di ricerche, i riscontri preliminari sono positivi. Un recente studio condotto in ospedali statunitensi e tedeschi dimostra che gli accordi personalizzati sono associati a livelli più bassi di stress e maggiori opportunità di svolgere lavori significativi, determinando un maggiore coinvolgimento del personale.62 Per determinare in che misura questi risultati incoraggianti siano generalizzabili, occorre attendere i risultati di future ricerche. Applicare le teorie motivazionali nell’ambiente di lavoro Abbiamo aperto questo capitolo notando che motivare i collaboratori è uno dei compiti essenziali di un buon manager. Premesso questo, i manager sono chiamati ad affrontare due sfide complesse nell’elaborazione di programmi motivazionali. Innanzitutto, dovendo gestire numerose attività contemporaneamente, molti manager talvolta si sentono spinti in direzioni diverse e impiegano troppo tempo nella gestione delle emergenze invece di concentrarsi proattivamente sui bisogni dei collaboratori. Questa situazione frustrante può incidere negativamente sulla soddisfazione lavorativa e la motivazione dei manager stessi. È tuttavia essenziale che i manager si dedichino a coltivare la motivazione dei collaboratori con un’attitudine positiva. A proposito di questo tema, Jack e Suzy Welch ritengono che “il capo non sta facendo bene il suo lavoro se non comunica a tutti i collaboratori quale sia la loro situazione con chiarezza e dovizia di dettagli” e che occorre assegnare “premi straordinari per performance straordinarie”.63 In secondo luogo, i manager devono conoscere metodi diversi dalle ricompense economiche per motivare i collaboratori. È importante ricorrere a un approccio più ampio e più integrato per motivare i collaboratori, tenendo conto dei modelli e delle teorie illustrate in questo capitolo nonché delle idee proposte nei capitoli precedenti. Le organizzazioni possono aiutare i manager offrendo loro formazione e coaching incentrati su come migliorare le proprie capacità di motivare i collaboratori. CompOrga.indb 186 11/01/2013 16.35.13 Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi 9 Quanto è importante conoscere il giudizio sulle proprie prestazioni? Ileana Buzzi non sapeva cosa pensare. Era stata convocata dall’Ufficio del Personale e non aveva assolutamente idea di quale potesse essere il motivo. Giovane ingegnere civile, Ileana era stata messa in staff alla direzione Grandi Opere di una società autostradale di grandi dimensioni. Per due anni dopo la laurea aveva lavorato in una piccola società di costruzioni, ma con poche possibilità di sviluppo. Era stato un suo compagno di corso, in partenza per un MBA in USA, a dirle che l’azienda cercava giovani volonterosi. Così aveva mandato il curriculum e tutto si era svolto in modo molto rapido. Ileana aveva un solo, grande problema: non sapeva mai esattamente cosa dovesse fare. La sua posizione era stata creata perché il suo capo, l’ingegner Giuliani, lamentava un eccessivo carico di lavoro avendo la sua posizione e un paio d’altre ad interim. Giuliani passava in ufficio come una scheggia, parlava velocemente, le dava qualche indicazione e poi spariva. Lei aveva iniziato a “inventarsi” il lavoro. Cercava di capire come potesse aiutare il suo capo, scriveva progetti che poi rapidamente concordava con lui, convocava riunioni di cui gli faceva dei brevissimi report. Il giorno dopo venne ricevuta dal responsabile della formazione che in poche parole le disse che, dati i suoi ottimi risultati, era stata scelta per essere inserita in un CompOrga.indb 187 programma di sviluppo dei giovani talenti. Il progetto formativo era veramente interessante: si trattava di dedicare un weekend al mese per sei mesi in una famosa Business School, dove avrebbe trattato gli argomenti di cui si sentiva più carente: amministrazione, finanza, marketing. Alla fine del colloquio, e delle sue numerose domande, chiese come mai nessuno, nei due anni precedenti, le avesse mai fatto cenno della qualità delle sue prestazioni. Il responsabile della formazione parve cadere dalla nuvole: “Come, Giuliani non le ha mai restituito la scheda di valutazione delle prestazioni?” Così, in modo casuale, scoprì che esistevamo delle modalità di monitoraggio delle prestazioni individuali, molto schematiche, ma con alcuni feedback interessanti. Poi i singoli responsabili dovevano, in teoria, farsi carico dei colloqui di valutazione, spiegando le aree di sviluppo. “Come crede l’abbiamo scelta? Sapevamo che tutto stava procedendo al meglio e che le sue competenze necessitavano di un aggiornamento!”. Combattuta tra la gioia dell’opportunità che le veniva offerta e la constatazione desolata che qualche cosa nella sua organizzazione non funzionava a dovere, Ileana andò verso l’ufficio di Giuliani, per raccontagli le novità. Era sicura che lui non ne fosse a conoscenza o, nel caso lo avessero informato, se ne fosse già dimenticato. 11/01/2013 16.35.13 188 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni A completamento dei contenuti illustrati nelle Parti I e II del libro, questo capitolo è incentrato su come migliorare la performance lavorativa individuale applicando quanto abbiamo appreso sulle differenze culturali e individuali, sulla percezione e sulla motivazione. Alcune aziende fanno un ottimo lavoro da questo punto di vista: una cultura premiante, realmente orientata ai collaboratori, crea una forza lavoro leale e motivata. Purtroppo la ricerca dimostra che gran parte dei manager si dedica poco a stimolare e coltivare la prestazione lavorativa. Uno studio avviato nel 1993 e tuttora in corso condotto da una società di consulenza su oltre 500 manager ha rilevato le seguenti conclusioni: Solo un manager su 100 fornisce ogni giorno a tutti i diretti collaboratori questi cinque elementi essenziali: 1. Requisiti di performance e procedure operative standardizzate relative ai compiti e alle responsabilità. 2. Parametri definiti, obiettivi misurabili e scadenze precise relative a tutti i compiti di cui il collaboratore è responsabile. 3. Monitoraggio, valutazione e documentazione precisa sulla performance lavorativa. 4. Feedback specifico sulle prestazioni con consigli per migliorare. 5. Ricompense e sanzioni equamente distribuite.1 Gestione delle prestazioni: ciclo continuo di miglioramento delle prestazioni lavorative mediante goal setting, feedback e coaching, ricompense e rinforzi positivi CompOrga.indb 188 Questo tipo di situazione è stata denominata “under-management” dai ricercatori. Le conseguenze dell’under-management sono tutt’altro che positive: secondo la Society for Human Resource Management, “i risultati di una recente indagine rivelano che nel mondo solo un lavoratore su sette è pienamente coinvolto nel suo lavoro. Esiste un’enorme riserva largamente inutilizzata di potenziale performance lavorativa”.2 (Ricordate quanto illustrato a proposito del coinvolgimento del personale nei Capitoli 1 e 6). Un approccio completo per attingere a questo enorme potenziale è rappresentato dalla gestione delle prestazioni. La gestione delle prestazioni (performance management) è un sistema organizzativo mediante il quale i manager integrano le attività di goal setting, monitoraggio e valutazione, fornendo feedback e attività di coaching e premiando i dipendenti su base costante.3 Si tratta di un approccio in netto contrasto con la discutibile prassi delle valutazioni annuali della prestazione,4 un’esperienza generalmente poco soddisfacente per tutte le persone coinvolte.5 Il comportamento organizzativo può fornire preziosi spunti di riflessione su aspetti essenziali della gestione delle prestazioni come il goal setting, il feedback e il coaching, le ricompense e i rinforzi positivi. Come indicato in figura 9-1, le prestazioni lavorative necessitano di un sistema di supporto. Così come gli astronauti non potrebbero andare in missione nello spazio senza la protezione e il supporto di una navicella spaziale, le prestazioni lavorative non possono evidenziare buoni risultati in assenza di un sistema di supporto adeguato. Inoltre è necessario ricorrere alla formazione per colmare eventuali lacune nelle conoscenze lavorative.6 Anche fattori come la struttura organizzativa, la cultura, la progettazione delle mansioni e le prassi di supervisione possono agevolare oppure ostacolare la performance lavorativa. Al centro del modello rappresentato in figura 9-1 si possono osservare gli aspetti chiave del ciclo di miglioramento della prestazione che esamineremo in questo capitolo. È importante sottolineare che questo è un ciclo dinamico e continuo che richiede la supervisione strategica del top management e continue attenzioni. 11/01/2013 16.35.13 9 Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi Fattori situazionali Ciclo di miglioramento della performance Individuo • Tratti/caratteristiche personali • Capacità/abilità • Conoscenza del lavoro • Motivazione Organizzazione/ Gruppo di lavoro/ Team 189 Risultati attesi Goal setting Ricompense e rinforzi positivi • Sforzo persistente • Apprendimento/ crescita personale • Miglioramento della performance lavorativa • Soddisfazione lavorativa Feedback e coaching • Cultura organizzativa • Progettazione della mansione • Qualità della supervisione Figura 9-1 Migliorare la performance lavorativa individuale: un processo continuo Il goal setting Visibilità: i dipendenti comprendono gli obiettivi strategici dell’organizzazione e sanno quali azioni intraprendere A quanto pare, la gestione del goal setting negli ambienti di lavoro andrebbe radicalmente trasformata: secondo un sondaggio condotto dalla Franklin Covey su un campione di lavoratori statunitensi, il 56% “non comprende chiaramente gli obiettivi più importanti dell’organizzazione per la quale lavora” e un sorprendente 81% “non è provvisto di obiettivi ben definiti”.7 Se anche queste percentuali fossero dimezzate, lo scenario resterebbe comunque molto improduttivo. L’elemento mancante è quello che gli esperti in materia definiscono visibilità. I dipendenti dotati di una chiara visibilità (line of sight) comprendono gli obiettivi strategici dell’organizzazione e sanno quali azioni intraprendere, a livello individuale e come membri di un team.8 Un ottimo esempio in tal senso è rappresentato dalla Bloomberg LP, l’azienda fondata dal sindaco della città di New York Michael Bloomberg, che fornisce software e informazioni finanziarie e conta 9400 collaboratori: L’azienda segue una politica retributiva molto peculiare, legando il compenso dei dipendenti alla vendita di terminali o, più precisamente, alle installazioni in rete. Il concetto alla base di questo sistema è che tutti all’interno dell’azienda devono puntare verso un CompOrga.indb 189 11/01/2013 16.35.13 190 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni unico obiettivo: vendere più Bloomberg. Per sottolinearlo, negli uffici sono installati grandi tabelloni elettronici che riportano i dati relativi a vendite e installazioni. Inoltre, le vendite sono annunciate da una scampanellata, o più di una, se è il caso.9 Per aiutarvi a comprendere pienamente le potenzialità del goal setting, in questa sezione tracciamo una distinzione tra due tipi di obiettivi, illustriamo il management by objectives e spieghiamo come gestire il processo di goal setting. Due tipi di obiettivi Obiettivo di risultato delle prestazioni: mira al raggiungimento di uno specifico risultato Obiettivo di apprendimento: mira a sviluppare la creatività e le abilità Gli esperti in materia di goal setting hanno tracciato un’interessante distinzione tra obiettivi di risultato delle prestazioni e obiettivi di apprendimento. Un obiettivo di risultato delle prestazioni è mirato al raggiungimento di uno specifico risultato finale, mentre un obiettivo di apprendimento è mirato a sviluppare la creatività e le abilità. Generalmente, nel tentativo di spronare i dipendenti a impegnarsi di più per il raggiungimento dei risultati, i manager pongono un’enfasi eccessiva sugli obiettivi del primo tipo, ignorando quelli del secondo tipo. Tuttavia, per i dipendenti privi delle abilità richieste, gli obiettivi di risultato delle prestazioni risultano frustranti più che motivanti; in caso di carenza di capacità, occorre mettere a punto un processo di sviluppo nel quale gli obiettivi di apprendimento risultano prioritari rispetto agli obiettivi di risultato delle prestazioni. I ricercatori Gerard Seijts e Gary Latham illustrano il concetto mediante un’analogia con il golf: Un obiettivo di risultato delle prestazioni spesso distoglie l’attenzione dall’apprendimento di strategie rilevanti per il compito. Nel golf, per esempio, ponendo come obiettivo per dei principianti un punteggio di 95, si potrebbe impedire loro di concentrarsi sull’apprendimento dello swing, dello spostamento del peso e dell’uso delle mazze giuste per totalizzare quel punteggio […] In sintesi, il golfista alle prime armi deve imparare a giocare prima di preoccuparsi di raggiungere un risultato ambizioso (per esempio, un punteggio di 95).10 Lo stesso discorso si applica alla carriera universitaria (e alla vita in genere). Dato che circa il 25% degli studenti statunitensi iscritti a corsi di laurea quadriennali abbandona gli studi, le capacità di goal setting devono essere curate con più attenzione. Uno studio recente condotto su un campione casuale di studenti che incontravano difficoltà nel percorso di studi ha dimostrato quanto sia importante insegnare come stabilire efficacemente obiettivi di apprendimento e obiettivi di risultato delle prestazioni e integrarli. Un tutorial online intensivo su come definire e raggiungere obiettivi personali ha determinato significativi miglioramenti del rendimento accademico dopo quattro mesi. I ricercatori hanno descritto sinteticamente il tutorial come “un intervento rapido, efficace e conveniente per studenti universitari in difficoltà”.11 CompOrga.indb 190 11/01/2013 16.35.13 9 Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi 191 Il management by objectives Management by objectives: sistema manageriale che implica la partecipazione nel processo decisionale, nella definizione degli obiettivi e nel feedback L’impatto motivazionale degli obiettivi di prestazione e dei piani di ricompensa basati sul raggiungimento degli obiettivi è stato riconosciuto molti anni or sono. Oltre un secolo fa, Frederick Taylor tentò di determinare scientificamente quanto lavoro di una certa qualità si possa assegnare a un individuo giornalmente, proponendo di basare l’assegnazione di bonus al raggiungimento di uno standard di risultato specifico. A partire dagli anni ’50, il goal setting è stato promosso grazie all’uso di una tecnica di management molto diffusa, chiamata management by objectives (MBO). Il management by objectives è un sistema che implica la partecipazione nel processo decisionale, nella determinazione degli obiettivi e nel feedback sugli stessi.12 Il concetto chiave dell’MBO, cioè fare in modo che ciascun collaboratore “possieda” una parte dello sforzo collettivo, è evidente in questo consiglio offerto di recente dal dirigente della Google Paul Russell: Aiutate i vostri collaboratori a tracciare i loro obiettivi. Chiedete loro di applicare queste aspirazioni alle attività quotidiane. In questo modo, ne svilupperete il senso di affiliazione all’azienda e farete sentire loro che ne fanno parte. E si convinceranno che non devono andare via per soddisfare le ambizioni personali.13 Un’analisi comparata sui programmi di MBO ha dimostrato che la produttività é migliorata in 68 aziende su 70. Nello specifico, i risultati hanno rivelato un guadagno medio di produttività pari al 56% in corrispondenza di alti livelli di impegno da parte del management. Il guadagno medio si è aggirato invece intorno al 6% in caso di scarso impegno. Un’ulteriore analisi comparata condotta su 18 studi ha inoltre dimostrato che la soddisfazione del lavoratore è correlata in modo significativo all’impegno del management rispetto all’applicazione dell’MBO.14 Questi sorprendenti risultati sono ridimensionati dai problemi etici derivanti da una pressione estrema per il raggiungimento dei risultati, come nel caso della IndyMac Bancorp, una società di prestiti ipotecari salvata dal governo statunitense durante la crisi finanziaria del 2008. Secondo un investigatore, “i vertici esercitavano pressione affinché si accordassero quanti più prestiti possibile, ignorando le conseguenze”.15 I programmi di MBO validi sul piano etico uniscono obiettivi di apprendimento e obiettivi di risultato della prestazione legati a standard etici elevati. Gestire il processo del goal setting Tre sono i passaggi fondamentali da seguire per applicare un piano di goal setting.16 Mancanze in uno dei passaggi non si compensano con impegno negli altri due. I tre passaggi devono quindi essere eseguiti in modo sistematico. Fase 1: definire gli obiettivi Che gli obiettivi siano imposti o, preferibilmente, stabiliti in maniera partecipativa attraverso un confronto aperto con il manager, dovrebbero essere “SMART”. SMART è un acronimo che sta per Specifico, Misurabile, Attuabile, orientato al Risultato e legato al Tempo. La tabella 9-1 contiene una serie di indicazioni per la definizione di obiettivi SMART. Ci sono inoltre due ulteriori consigli per CompOrga.indb 191 11/01/2013 16.35.13 Parte II 192 Tabella 9-1 Linee guida per la definizione di obiettivi SMART Fonte: A.J. Kinicki, Performance Management Systems (Superstition Mt., AZ: Kinicki and Associates Inc., 1992), pp. 2-9. Riprodotto su autorizzazione; tutti i diritti riservati. Specifico Misurabile Attuabile Orientato al risultato Legato al tempo Il comportamento individuale nelle organizzazioni Gli obiettivi devono essere definiti in termini precisi e non vaghi. Ad esempio, un obiettivo che stabilisce 20 ore di formazione tecnica per ciascun collaboratore è più specifico di un obiettivo che impone al manager di inserire quante piú persone nei corsi di formazione. Quando è fattibile, l’obiettivo va quantificato. È necessario disporre di uno strumento di misurazione per valutare la misura in cui un obiettivo è raggiunto. Gli obiettivi devono quindi essere misurabili. È peraltro difficile considerare l’aspetto qualitativo dell’obiettivo quando si stabiliscono dei criteri di misurazione. Ad esempio, se l’obiettivo è quello di completare uno studio a livello manageriale dei metodi per incrementare la produttività, è necessario considerare come misurare la qualità dello sforzo. Gli obiettivi andrebbero definiti considerando la relazione tra quantità e qualità del risultato. Gli obiettivi dovrebbero essere realistici, complessi ma attuabili. Obiettivi impossibili riducono la motivazione, perché le persone non amano fallire. È necessario ricordare che ognuno ha un livello diverso di capacità e abilità. Gli obiettivi aziendali dovrebbero orientarsi ai risultati finali che sostengono la visione dell’organizzazione. A loro volta, gli obiettivi individuali dovrebbero sostenere direttamente il raggiungimento di obiettivi aziendali. Le attività facilitano il raggiungimento degli obiettivi e vengono descritte all’interno dei piani d’azione. Per focalizzare gli obiettivi sui risultati desiderati, gli obiettivi dovrebbero iniziare con la parola per, seguita da verbi come completare, acquisire, produrre, incrementare, e diminuire. Verbi come sviluppare, condurre, applicare, o monitorare implicano attività e non dovrebbero essere utilizzati all’interno di definizioni di obiettivi. Gli obiettivi contengono indicazioni specifiche riguardo al loro raggiungimento. la Fase 1. Innanzitutto, di fronte a compiti complessi, i collaboratori devono ricevere formazione sulle tecniche di risoluzione dei problemi e sullo sviluppo di piani d’azione mirati al raggiungimento della prestazione. I piani d’azione permettono di specificare le strategie o tattiche che devono essere messe in atto per raggiungere un obiettivo. Per fare un esempio molto semplice, una persona potrebbe porsi l’obiettivo di perdere 5 chili in due mesi seguendo un piano d’azione che prevede camminare 30 minuti ogni giorno ed evitare dolci e snack in tarda serata. Seconda osservazione, potrebbe rendersi necessario stabilire obiettivi diversi per collaboratori che svolgono lo stesso incarico, per via delle differenze individuali. Per esempio, da uno studio condotto su 103 studenti di economia, è emerso che gli individui molto coscienziosi avevano una motivazione maggiore, un più alto livello di commitment nei confronti dell’obiettivo, e riuscivano a ottenere voti migliori rispetto ai colleghi meno coscienziosi.17 L’orientamento della persona nei confronti dell’obiettivo è una caratteristica individuale molto importante da tenere presente nella definizione degli obiettivi. Esistono tre tipologie di orientamento all’obiettivo: la tendenza all’obiettivo di apprendimento, la tendenza positiva all’obiettivo di prestazione e la tendenza negativa all’obiettivo di prestazione. Un gruppo di ricercatori ha così descritto le differenze e le implicazioni che esse comportano nella definizione degli obiettivi: CompOrga.indb 192 11/01/2013 16.35.13 9 Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi 193 Le persone con una marcata tendenza all’obiettivo di apprendimento considerano le abilità elementi flessibili e si sforzano non solo di raggiungere gli obiettivi contestuali, ma anche di sviluppare le capacità per lo svolgimento di compiti futuri. Le persone con una spiccata tendenza positiva all’obiettivo di prestazione tendono a concentrarsi sulla performance e cercano di dimostrare le proprie capacità ottenendo risultati migliori rispetto agli altri. Infine, gli individui che evidenziano una forte tendenza negativa all’obiettivo di prestazione si concentrano sulla performance nel tentativo di evitare i risultati negativi.18 Nonostante una serie di studi abbia dimostrato che le persone orientate all’apprendimento si pongono obiettivi più elevati, si impegnano di più, pianificano meglio e raggiungono migliori livelli di prestazione rispetto agli individui caratterizzati da una tendenza positiva o negativa all’obiettivo di prestazione, altre ricerche evidenziano un insieme di relazioni più complesso.19 La raccomandazione da ricordare è che gli orientamenti all’obiettivo sono importanti ed è bene tenere conto delle differenze individuali durante il processo di definizione degli obiettivi. Fase 2: promuovere il commitment nei confronti dell’obiettivo Ottenere il commitment è importante perché i collaboratori sono più motivati a perseguire obiettivi che ritengono ragionevoli, raggiungibili ed equi. È possibile aumentare il commitment nei confronti dell’obiettivo applicando le seguenti linee guida: Scale di obiettivi: catene di obiettivi con difficoltà e sfide progressive 1. Spiegare perché l’organizzazione applica un programma completo di goal setting. 2. Creare una visibilità chiara illustrando gli obiettivi aziendali e collegando ad essi gli obiettivi individuali. Jeroen van der Veer, CEO di Royal Dutch Shell, consiglia: “Il compito dei leader è semplificare.”20 A suo parere, non dovrebbero occorrere più di due minuti per comunicare la direzione strategica dell’organizzazione. 3. Consentire ai collaboratori di partecipare alla definizione dei loro obiettivi e di elaborare autonomamente i piani d’azione. Incoraggiarli a porsi obiettivi sfidanti e ambiziosi. Gli obiettivi dovrebbero essere difficili ma non impossibili.21 4. Favorire la crescita personale chiedendo ai collaboratori di elaborare scale di obiettivi, cioè catene di obiettivi con difficoltà e sfide progressive. Recenti ricerche sulle scale di obiettivi illustrano la differenza sostanziale tra concentrarsi sugli obiettivi raggiunti oppure su quelli ancora da raggiungere. Nello specifico, concentrarsi sugli obiettivi della scala già raggiunti favorisce un senso di soddisfazione, mentre focalizzare l’attenzione sugli obiettivi da raggiungere motiva a un livello più alto di achievement. Le persone con un’accentuata propensione all’achievement sono brave a spostare strategicamente l’attenzione dai successi ottenuti (per trarne soddisfazione) alle sfide ancora da affrontare (per essere motivati a lavorare con più impegno).22 E voi avete una scala di obiettivi? Il vostro sguardo è orientato al passato o al futuro? Fase 3: fornire sostegno e feedback La fase 3 richiede che si aiutino i collaboratori a raggiungere i rispettivi obiettivi. Ecco alcune linee guida da seguire: CompOrga.indb 193 11/01/2013 16.35.14 Parte II 194 Il comportamento individuale nelle organizzazioni • Garantire che ogni collaboratore abbia le abilità e le informazioni necessarie per raggiungere i propri obiettivi. Il concetto si riassume perfettamente nell’affermazione di due esperti di definizione degli obiettivi: “La motivazione non serve a niente senza la conoscenza”.23 Spesso è necessario un periodo di formazione per aiutare i collaboratori a raggiungere obiettivi difficili e costruire scale di obiettivi. • Badare alle percezioni dei collaboratori nei confronti delle aspettative impegno → prestazione, auto-efficacia percepita e preferenze rispetto alla ricompensa, e tenerle in debito conto. • Essere di sostegno ai collaboratori, conferire loro maggiore autonomia man mano che crescono e non utilizzare gli obiettivi come minaccia nei loro confronti. • Fornire feedback al momento giusto, che sia di tipo specifico (conoscenza dei risultati), per capire come stanno procedendo. • Fornire incentivi monetari e non monetari e premiare sia il raggiungimento degli obiettivi che i progressi significativi.24 Il feedback Il forte desiderio dei collaboratori di ricevere un feedback spesso non viene esaudito: secondo un sondaggio “il 43% dei lavoratori sente di non essere sufficientemente guidato nel miglioramento della performance”.25 Anche gli studenti orientati al risultato cercano un feedback.26 Dopo un esame difficile, ad esempio, uno studente desidera sapere due cose: come è andato e come sono andati gli altri. Il feedback dell’insegnante, permettendo allo studente di conoscere il proprio risultato sia in base a standard di confronto che in senso assoluto, gli dà la possibilità di adattare le proprie abitudini di studio in modo da raggiungere gli obiettivi desiderati. Analogamente, nelle aziende ben gestite un manager fa seguire alla definizione degli obiettivi un programma di feedback che fornisca una base razionale per eventuali adattamenti e miglioramenti. Vediamo, ad esempio, le osservazioni di Fred Smith, fondatore e amministratore delegato della Federal Express, azienda leader delle consegne veloci con un fatturato di oltre 35 miliardi di dollari e più di 247.000 dipendenti.27 L’esperienza vissuta tra i marines come comandante di compagnia durante la guerra in Vietnam ha forgiato il suo stile di comando. La mia filosofia di leadership è una sintesi dei principi insegnati dai marines e da tutte le organizzazioni negli ultimi 200 anni. Quando una persona entra da quella porta, vuole sapere: che cosa ti aspetti da me? Cosa ne ricavo io? Che cosa devo fare per andare avanti? A chi mi rivolgo per ottenere giustizia se vengo trattato in modo inadeguato? Tutti vogliono sapere se stanno lavorando bene e desiderano un feedback. Inoltre vogliono sapere che il loro contributo è importante per il raggiungimento del risultato. Se si utilizzano questi basilari principi di leadership e si risponde continuamente a questo tipo di domande, si riuscirà a gestire bene le persone.28 Feedback: informazione oggettiva sulla performance CompOrga.indb 194 Nel senso in cui è utilizzato in questo contesto, il feedback rappresenta un’informazione oggettiva su una performance individuale o di gruppo. Affermazioni soggettive come “stai lavorando male”, “sei troppo pigro” o “apprezziamo molto il tuo impegno” non si qualificano come feedback oggettivi. Sono invece utilizzabili nei programmi di 11/01/2013 16.35.14 9 Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi 195 feedback oggettivo dati concreti come unità vendute, giorni di assenza, denaro risparmiato, progetti portati a termine, clienti soddisfatti e scarti di produzione. Christopher D. Lee, autore del libro Performance Conversations: An Alternative to Appraisals, chiarisce il concetto di feedback confrontandolo con la valutazione della prestazione: • Il feedback è lo scambio di informazioni sullo status e la qualità dei risultati del lavoro. Fornisce una mappa per il successo e viene impiegato per motivare, sostenere, guidare, correggere e regolare l’impegno nel lavoro e i risultati. Garantisce inoltre che il manager e i dipendenti siano in sintonia e concordino sugli standard e le aspettative legati al lavoro da svolgere. • Le valutazioni tradizionali, al contrario, scoraggiano la comunicazione bidirezionale e attribuiscono una valenza negativa al coinvolgimento dei collaboratori. I dipendenti sono scoraggiati dal partecipare alla verifica della prestazione e, nei casi in cui lo fanno, le loro risposte sono spesso considerate “confutazioni”. • Per evitare questo genere di situazioni, la gestione efficace delle prestazioni deve prevedere un sano grado di feedback e coinvolgimento dei collaboratori.29 Due funzioni del feedback Gli esperti dicono che il feedback ha due funzioni per chi lo riceve, una istruttiva e l’altra motivazionale. Il feedback è istruttivo se chiarisce i ruoli o se insegna un nuovo comportamento. È un caso che si verifica, ad esempio, quando si consiglia a un assistente contabile di registrare una certa somma come capitale e non come spesa. Il feedback, invece, funziona da motivatore quando si qualifica come ricompensa o promessa di ricompensa.30 Potrebbe fungere da ricompensa il fatto che il capo comunichi che un progetto difficile a cui si è lavorato è giunto a conclusione. Come emerge dalle ricerche, la funzione motivazionale del feedback può essere aumentata in modo significativo associando obiettivi complessi e specifici a specifici feedback sui risultati.31 Tenendo a mente le due funzioni del feedback, passiamo a esaminare il ruolo cruciale dei riceventi del feedback, alcune implicazioni pratiche della ricerca sul feedback, il feedback a 360 gradi e l’uso del feedback a fini di coaching. I riceventi del feedback sono pronti, disponibili e capaci? La saggezza popolare sostiene che più feedback i membri di un’organizzazione ricevono, meglio è. Ne deriva la convinzione che il feedback funzioni da solo, e che i manager debbano semplicemente essere motivati a darlo. Da una meta-analisi su 23.663 casi, però, emerge che l’efficacia del feedback non è automatica. Di certo il suo influsso sulla performance si è rivelato in generale positivo, ma la performance è diminuita in oltre il 38% dei casi;32 inoltre, il feedback può essere distorto da fattori che nulla hanno a che vedere con il lavoro, come ad esempio l’appartenenza razziale. Alla Stanford University sono stati esaminati i feedback dati da ragazzi appartenenti a una razza sul contenuto (feedback soggettivo) e sulla tecnica di scrittura (feedback oggettivo) di tesine scritte CompOrga.indb 195 11/01/2013 16.35.14 196 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni da coetanei della stessa razza o di una razza diversa. Ne è emerso che gli studenti bianchi davano feedback soggettivi meno critici agli afro-americani rispetto a quelli che davano a colleghi bianchi. Tale pregiudizio razziale positivo scompariva nel feedback oggettivo.33 Questi risultati impongono una certa cautela a chi desideri migliorare la performance lavorativa utilizzando il feedback, in quanto il feedback soggettivo viene facilmente contaminato da fattori situazionali. Se, inoltre, si vuole far funzionare un feedback oggettivo come previsto, i manager devono comprendere l’interazione tra le persone che lo ricevono e l’ambiente in cui operano. Le caratteristiche del ricevente Caratteristiche della personalità, come l’autostima e l’auto-efficacia, possono aiutare od ostacolare la disposizione della persona nei confronti del feedback. Chi ha un basso livello di autostima e di auto-efficacia generalmente non cerca in modo attivo un feedback che, purtroppo, andrebbe quasi sicuramente ad aggravare le sue difficoltà. Anche bisogni e obiettivi influenzano l’apertura della persona al feedback. Da una ricerca di laboratorio è emerso che gli studenti giapponesi di psicologia che registravano un punteggio elevato relativamente al bisogno di realizzazione rispondevano in modo più favorevole al feedback rispetto ai colleghi con minori bisogni di realizzazione.34 Probabilmente lo stesso vale anche nelle culture occidentali. Ad esempio, è stato rilevato che 331 appartenenti al settore marketing di un’azienda di servizi pubblici statunitense cercavano un feedback su questioni importanti o di fronte a situazioni incerte. I collaboratori con una anzianità più elevata cercavano meno il feedback rispetto ai colleghi occupati da meno tempo.35 Inoltre, gli individui con alti livelli di auto-osservazione, i camaleonti di cui abbiamo parlato nel Capitolo 5, con molta probabilità sono più aperti al feedback perché è un mezzo che li aiuta ad adattare il proprio comportamento alla situazione. Abbiamo visto nel Capitolo 5 come per le persone con alto livello di auto-osservazione sia più facile instaurare una relazione con i propri mentori (che, tipicamente, danno loro un feedback).36 Le persone con un basso livello di auto-osservazione, invece, sono più sintonizzate con le proprie sensazioni interiori rispetto ai segnali provenienti dall’esterno. Qualcuno, ad esempio, ha osservato che parlare con Ted Turner, magnate dei media e fondatore della CNN, personaggio caratterizzato da un livello bassissimo di auto-osservazione, è come conversare con una radio. I ricercatori hanno iniziato a concentrarsi più direttamente sul desiderio del ricevente di avere un feedback, più che sulle caratteristiche personali, sui bisogni e sugli obiettivi dell’individuo. L’esperienza di ogni giorno ci insegna che non tutti vogliono davvero il feedback sulla performance che sembrerebbero cercare. Al ristorante, ad esempio, se il cameriere chiede “Tutto a posto?” quando presenta il conto, in genere non si aspetta certo una risposta dettagliata. Come il ricevente percepisce il feedback Il segno del feedback (termine utilizzato nell’ambito della ricerca) si riferisce al fatto che esso sia positivo o negativo. In termini generali, si tende a percepire e ricordare in modo più accurato un feedback positivo rispetto a uno negativo.37 Un feedback con segno negativo (ad esempio se ci viene comunicato che abbiamo ottenuto una performance al di sotto della media) può avere un impatto motivazionale positivo. In effetti, da uno studio è emerso che gli individui a cui era stato comunicato un risultato inferiore alla media in un test di creatività CompOrga.indb 196 11/01/2013 16.35.14 9 Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi 197 avevano in seguito surclassato coloro che erano stati invece indotti a credere di aver totalizzato punteggi superiori alla media. I soggetti di cui sopra avevano evidentemente considerato il feedback negativo come una sfida, e di conseguenza avevano stabilito e perseguito degli obiettivi più elevati. Chi aveva invece ricevuto un feedback positivo è apparso meno motivato a fare di meglio.38 Nonostante questi risultati, il feedback con segno negativo va gestito con attenzione, per evitare che insorgano reazioni come insicurezza e autodifesa. Il feedback negativo può danneggiare anche l’auto-efficacia, come si è scoperto in alcuni esperimenti su studenti di economia. I ricercatori hanno concluso che “per facilitare lo sviluppo di forti convinzioni di efficacia, i manager devono fare molta attenzione a come distribuiscono feedback negativi”. Una critica distruttiva da parte di un manager, che attribuisca la causa di una performance non adeguata a fattori interni, riduce sia le convinzioni relative all’auto-efficacia, sia gli obiettivi che i riceventi si pongono”.39 Come il ricevente valuta il feedback dal punto di vista cognitivo Nel momento in cui riceve un feedback, una persona valuta dal punto di vista cognitivo fattori come la precisione del giudizio, la credibilità della fonte, l’equità del sistema (ad esempio di valutazione della performance), le aspettative personali riguardanti il rapporto tra performance e ricompensa e la ragionevolezza degli standard applicati. Se un feedback non si giustifica in base a uno o più degli elementi citati, verrà rifiutato o tenuto in scarsa considerazione. Il peso dei fattori descritti dipende in larga misura dall’esperienza personale. Probabilmente, ad esempio, non si darà molto credito al feedback di una persona che tende a esagerare o a qualcuno che ha palesemente svolto male un compito. Alla luce del “gap di fiducia” descritto nel Capitolo 11, la credibilità manageriale è una questione etica di importanza fondamentale. Secondo gli autori del libro Credibility: How Leaders Gain and Lose It, Why People Demand It, “senza un solido fondamento di credibilità personale, un leader non può sperare che gli altri si associno alla sua visione aziendale”.40 Se un manager si è rivelato indegno di fiducia e non credibile, gli riuscirà molto difficile migliorare la performance lavorativa dei suoi collaboratori utilizzando il feedback. Se il feedback proviene da una fonte che mostra favoritismo o che si basa su standard di comportamento irragionevoli, allora apparirà sospetto.41 Inoltre, come prevede la teoria relativa al ruolo dell’aspettativa nella motivazione, il feedback, per influire sul comportamento desiderato, dovrebbe favorire il consolidamento di una elevata connessione tra sforzo e performance e tra performance e sistemi di ricompensa. Consigli pratici derivanti dalla ricerca sul feedback Dall’analisi di decine di studi teorici sul feedback, tre ricercatori hanno stilato questo elenco di consigli pratici per i manager: • CompOrga.indb 197 L’accettazione del feedback non deve essere data per scontata; vi possono essere mal interpretazioni o rifiuti. Questo avvertimento vale soprattutto in situazioni in cui convivono culture diverse. 11/01/2013 16.35.14 Parte II 198 Tabella 9-2 Sei segnali che indicano problemi nel sistema di feedback di un’organizzazione Fonte: adattato da C. Bell e R. Zemke, “On-Target Feedback,” Training, giugno 1992, pp. 36-44. Il comportamento individuale nelle organizzazioni 1. 2. 3. 4. 5. Il feedback viene utilizzato per punire, mettere in imbarazzo o umiliare i collaboratori. I riceventi ritengono il feedback irrilevante per il lavoro che svolgono. Il feedback viene dato troppo tardi per sortire alcun effetto positivo. I riceventi pensano che il feedback faccia riferimento a questioni che non possono controllare. Le persone si lamentano di dover perdere troppo tempo nella raccolta e nella memorizzazione di dati relativi al feedback. 6. I riceventi si lamentano per l’eccessiva complessità e per l’incomprensibilità del feedback. • • • • • I manager possono migliorare la loro credibilità come fonte di feedback, sviluppando la loro competenza nel creare un clima di fiducia. Il feedback negativo viene tipicamente mal interpretato o rifiutato. Anche se talvolta il feedback può intaccare il senso di controllo e l’iniziativa dell’individuo, rimane troppo poco frequente nella maggior parte delle aziende. Il feedback va adattato al ricevente. Chi ottiene performance medie o inferiori alla media necessita di riconoscimenti estrinseci della performance, chi invece si caratterizza per alti livelli di performance risponde a feedback che migliorino l’idea della propria competenza e del proprio controllo.42 Altre ricerche recenti relative al feedback offrono i seguenti spunti: • I feedback sulla performance informatica comportano miglioramenti della performance più elevati se vengono inviati direttamente via rete e non attraverso un supervisore.43 • I riceventi percepiscono i feedback come più accurati se partecipano attivamente alle riunioni di definizione degli stessi, rispetto a quando li ricevono in modo passivo.44 • Le critiche distruttive causano tendenzialmente conflitti e riducono la motivazione.45 • Più una persona sale nella gerarchia di un’organizzazione, minori probabilità ha di ricevere feedback di qualità sulla sua performance lavorativa”.46 I manager che prenderanno in considerazione i consigli elencati e i segnali negativi contenuti nella tabella 9-2 riusciranno probabilmente a creare sistemi di feedback credibili ed efficaci. Il feedback di cui si è finora discusso è quello tradizionale, gerarchicamente orientato dall’alto verso il basso. Vediamo ora un interessante nuovo approccio al feedback sul posto di lavoro. Feedback a 360 gradi Feedback a 360 gradi: confronto tra i feedback anonimi forniti dal superiore, dai subordinati, dai colleghi e le percezioni individuali CompOrga.indb 198 Il feedback a 360 gradi contiene l’idea che l’individuo confronti la sua percezione soggettiva della performance con informazioni, generalmente anonime, fornite da manager, subordinati e colleghi di pari livello circa alcuni comportamenti specifici. In questo processo, talvolta detto anche feedback a circolo completo, possono venire coinvolti anche individui esterni all’azienda.47 11/01/2013 16.35.14 9 Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi 199 Una meta-analisi di 24 studi sul feedback a 360 gradi nei quali i riceventi ricevevano due o più valutazioni ha consentito ai ricercatori di trarre questa utile conclusione: È più probabile che si ottengano miglioramenti quando il feedback indica che il cambiamento è necessario, i riceventi hanno un orientamento positivo al feedback, percepiscono la necessità di cambiare il proprio comportamento, reagiscono positivamente, ritengono che il cambiamento sia fattibile, stabiliscono obiettivi adeguati per modificare il comportamento e prendono provvedimenti che si traducono in un miglioramento delle capacità e della prestazione.48 I risultati delle ricerche e l’esperienza personale ci inducono a favorire l’anonimato e scoraggiare ogni collegamento tra feedback a 360 gradi e decisioni concernenti aumenti retributivi e promozioni. Secondo un esperto in materia, il problema principale è la fiducia: La fiducia sta alla base dell’utilizzo di una forma di feedback a 360 gradi allo scopo di incrementare la produttività. La fiducia determina la misura in cui un individuo desidera contribuire al successo del suo datore di lavoro. Utilizzare il sistema in termini confidenziali, allo scopo di far crescere l’azienda, aumenta la fiducia; utilizzarlo invece per decidere in merito a stipendi o altre questioni relative al personale la mette in pericolo.49 Il feedback a 360 gradi ha certamente un ruolo nello sviluppo delle capacità manageriali, in special modo nelle organizzazioni odierne, che si basano sul lavoro di gruppo. Come fornire feedback finalizzato al coaching e all’efficacia organizzativa I manager che si accingono a dare un feedback nell’ambito di un programma completo di gestione delle prestazioni devono tener presenti questi consigli: • Concentrare il feedback sulla performance, non sulla personalità. • Dare feedback specifici, legati a obiettivi di apprendimento e risultati delle prestazioni. • Incanalare il feedback verso aree di risultato importanti per l’organizzazione. • Dare feedback prima possibile. • Dare feedback positivi volti al miglioramento attraverso il coaching, non relativi al solo risultato finale. • Basare il feedback su informazioni accurate e credibili. • Collegare il feedback ad aspettative ben definite di miglioramento.50 Sistemi di ricompensa Le ricompense rappresentano una caratteristica organizzativa onnipresente e sempre al centro di controversie (pensate al dibattito in corso sulla remunerazione dei CEO, CompOrga.indb 199 11/01/2013 16.35.14 200 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni nell’ordine delle centinaia di migliaia di dollari).51 Ci sono persone che considerano il loro lavoro solo come una fonte di reddito, altre che invece ricavano grandi soddisfazioni dal lavoro e dalla compagnia dei colleghi. Secondo una recente indagine Gallup, il 55% dei lavoratori statunitensi “continuerebbe a lavorare anche se vincesse una lotteria con un jackpot intorno ai dieci milioni di dollari”.52 (Voi che cosa fareste?) Persino i volontari che regalano del tempo ad associazioni come la Croce Rossa ne ricavano una ricompensa sotto forma di riconoscimento sociale e di orgoglio derivante dall’aver donato il proprio tempo per fini non egoistici. L’argomento ricompensa include quindi non solo il compenso monetario, ma molto altro.53 In questa sezione analizzeremo le componenti chiave del sistema organizzativo delle ricompense, per fornire un background concettuale che permetta di discutere argomenti come la retribuzione legata alla performance e la retribuzione legata al lavoro di gruppo. Nonostante il sistema di ricompense sia estremamente variabile, è possibile identificare e mettere in collegamento tra loro alcune componenti comuni. Il modello di figura 9-2 si concentra su tre componenti principali: (1) tipologie di ricompensa, (2) regole di assegnazione, (3) risultati desiderati. Andiamo a vedere le singole componenti. Tipologie di ricompensa Ricompense estrinseche: ricompense economiche, materiali o sociali che derivano dall’ambiente Ricompense intrinseche: ricompense autoassegnate o psicologiche Figura 9-2 Un modello generale dei sistemi di ricompensa organizzativi Definiamo ricompense estrinseche quelle economiche, materiali e sociali, perché derivano dall’ambiente. Le ricompense psicologiche sono invece definite come intrinseche perché assegnate dall’individuo a se stesso. Una persona che lavora per ottenere ricompense estrinseche, denaro o apprezzamento, si definisce estrinsecamente motivata. Una persona che invece trae piacere dal compito in sé, o è gratificata da una sensazione di competenza e di autodeterminazione, si dice intrinsecamente motivata. Tipologie di ricompensa • Economica/ materiale (estrinseca) • Sociale (estrinseca) • Psicologica (intrinseca) Risultati desiderati • Attrarre • Motivare • Sviluppare • Soddisfare • Trattenere Criteri di distribuzione • Risultati • Comportamento • Altri fattori CompOrga.indb 200 11/01/2013 16.35.14 9 Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi 201 L’importanza relativa di ricompense intrinseche ed estrinseche dipende dalla cultura e dai gusti dell’individuo.54 Criteri di distribuzione delle ricompense Secondo l’opinione di un esperto di sistemi di ricompensa aziendale, esistono tre criteri generali per la distribuzione delle ricompense. • Performance: risultati. Risultati tangibili, a livello individuale, di gruppo o aziendale; la quantità e la qualità della performance. • Performance: azioni e comportamenti. Il lavoro di gruppo, la cooperazione, l’assunzione di rischi, la creatività. • Considerazioni slegate dalla performance. Per consuetudine o per contratto, vengono ricompensati: il tipo di lavoro, la natura del compito svolto, l’equità, l’anzianità, il livello all’interno della gerarchia e così via.55 Attualmente si preferiscono tendenzialmente i criteri legati alla performance, prescindendo da quelli a essa non collegati, quali l’anzianità. Un’altra tendenza è quella di ricorrere a molteplici criteri di distribuzione delle ricompense: Westinghouse Electric è un buon esempio recente: “Per mettere le truppe in carreggiata, i manager vengono valutati non solo sui profitti generati, ma anche sul numero di clienti con cui hanno parlato e il numero di proposte che hanno effettuato.”56 Risultati desiderati dal sistema di ricompense Come si vede dall’elenco della figura 9-2, un buon sistema di ricompense dovrebbe attirare persone di talento; una volta che sono entrate a far parte dell’organizzazione, è necessario continuare a motivarle e soddisfarle. Inoltre, un buon sistema di ricompense dovrebbe incentivare il personale a crescere e svilupparsi, e fare in modo che le persone dotate di talento non abbandonino il posto di lavoro. Un esempio perfetto è offerto dalla QuickTrip, basata a Tulsa: “I dipendenti vengono trattati così bene in questa catena di alimentari con apertura no stop – con stipendi, benefit e formazione – che restano per un lungo periodo di tempo. oltre 200 lavorano lì da più di 20 anni.”57 Le basi della motivazione e delle ricompense intrinseche Come si ricava dalla definizione precedente, le ricompense intrinseche sono concesse dall’individuo a se stesso. Questo però non esclude il management, al contrario: i manager possono adoperarsi per creare situazioni in cui i collaboratori si concederanno ricompense da cui trarranno motivazione intrinseca. Il modello della motivazione intrinseca di Kenneth Thomas fornisce indicazioni utili,58 associando elementi di riorganizzazione del lavoro (esaminata nel Capitolo 8), il concetto di empowerment (che vedremo nel Capitolo 15) e la teoria della valutazione cognitiva di Deci e Ryan. CompOrga.indb 201 11/01/2013 16.35.15 202 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni Secondo Deci e Ryan, affinché un compito sia intrinsecamente motivante, gli individui che lo svolgono devono soddisfare il proprio bisogno di autonomia e competenza.59 Thomas utilizza il concetto di blocchi portanti per dimostrare ai manager come costruire le condizioni giuste per le quattro ricompense intrinseche essenziali: il significato, la scelta, la competenza e il progresso (vedi figura 9-3). Esaminiamo le sfide che ciascun mattone pone al management. Migliorare il significato I manager migliorano il significato ispirando i propri collaboratori e modellando i comportamenti desiderati. La figura 9-3 mostra che i manager possono raggiungere lo scopo aiutando i collaboratori a identificare le proprie passioni sul lavoro e creando una visione organizzativa stimolante, che faccia presa sul personale. I risultati di un’indagine Gallup permettono di affermare che i collaboratori sono più impegnati e produttivi sul lavoro se percepiscono la connessione tra ciò che fanno e la vision organizzativa, legame che realizza un obiettivo comune a cui tendere.60 Alcuni lavori rivestono una tale importanza che di per sé sono portatori di un forte significato. Per esempio consideriamo questo lavoro, unico nel suo genere, presso la più grande centrale nucleare in territorio statunitense, nei pressi di Phoenix: Alle sei del mattino, Michelle Catts raggiunge il suo ufficio, oltrepassando guardie dotate di armi automatiche, macchine a raggi X ultrasensibili, cancelli elettronici e sensori che rilevano la presenza di esplosivi. Catts è una dei quattro ispettori scelti dalla Commissione di vigilanza per il nucleare impiegati presso lo stabilimento come sorveglianti pubblici incaricati di verificare che la Arizona Public Service Co rilevi i problemi prima che insorgano rischi per la sicurezza […] “il mio lavoro è garantire ogni giorno che questa centrale operi in condizioni di sicurezza” spiega la Catts. “Si tratta di un lavoro Figura 9-3 Blocchi portanti della motivazione e delle ricompense intrinseche secondo Thomas CompOrga.indb 202 Scelta: • Delega di autorità • Fiducia nei collaboratori • Non perseguimento di errori privi di intenzione • Obiettivi chiari • Informazione Competenza: • Conoscenze • Feedback positivo • Riconoscimento delle capacità • Sfida • Standard elevati Significato: • Ambiente non cinico • Passioni chiaramente identificate • Missione aziendale stimolante • Obiettivi delle attività coerenti • Attività complete Miglioramento: • Clima collaborativo • Enfasi sui risultati raggiunti • Celebrazioni • Accesso ai clienti • Misurazione dei miglioramenti 11/01/2013 16.35.15 9 Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi 203 piuttosto importante. Alla fine della giornata, è bello sapere di essermi interrogata su questioni importanti.”61 Migliorare le possibilità di scelta I manager migliorano le possibilità di scelta responsabilizzando i collaboratori e delegando loro mansioni e compiti importanti. Di seguito le modalità seguite da Gail Evans, executive vice president della CNN di Atlanta. Gail Evans […] afferma che delegare è essenziale. Se non permetti ai tuoi collaboratori di gestire i loro progetti, metti a repentaglio la loro possibilità di progredire, perché non acquisiscono nuove abilità e non aggiungono obiettivi raggiunti al curriculum, e perdi tempo prezioso per fare il lavoro di qualcun altro.62 Migliorare la competenza I manager migliorano la competenza sostenendo e affiancando i propri collaboratori. La figura 9-3 fornisce molti esempi di come ciò possa essere messo in pratica. I manager devono innanzitutto assicurarsi che i propri collaboratori possiedano le conoscenze necessarie a svolgere bene il compito assegnato. Eventuali lacune possono essere colmate con un’adeguata formazione e con l’ausilio di mentori. Oltre a dare feedback positivi e riconoscimenti sinceri, è possibile anche assegnare compiti complessi che incentivino la motivazione intrinseca del collaboratore. Dare un maggiore senso di miglioramento I manager danno un senso di miglioramento monitorando e ricompensando. Douglas R Conant, CEO di Campbell Soup Company, è stato artefice di un notevole cambiamento ed è un buon modello di ruolo a questo proposito: Il cambiamento è stato catalizzato da innovazioni intelligenti e mirate a ridurre i costi e uno sforzo concentrato per rinvigorire la forza lavoro […] Conant non ha scosso una tranquilla azienda con 137 anni di storia usando l’arma dell’aggressività. Al contrario, assegna di buon grado il merito agli altri e declina le lodi. Non è arrogante. Nei suoi anni alla Campbell, ha inviato oltre 16.000 ringraziamenti scritti di suo pugno ai collaboratori, dal direttore finanziario alla receptionist del quartier generale, biglietti che spesso faceva trovare appesi in ufficio oppure sulla scrivania. “[Nel lavoro] siamo preparati ad andare alla ricerca di ciò che non va. Io voglio riconoscere ciò che va bene” afferma Conant.63 Focalizziamo ora l’attenzione sulle ricompense estrinseche, cioè il denaro, le opportunità o i riconoscimenti offerti dagli altri. Perché le ricompense estrinseche non riescono a motivare? Nonostante l’enorme investimento di tempo e denaro dell’organizzazione per gestire i sistemi di ricompense, spesso non si ottiene l’impatto motivazionale desiderato. Un consulente di management ha elencato otto possibili spiegazioni: 1. Troppa enfasi sulle ricompense monetarie. CompOrga.indb 203 11/01/2013 16.35.15 204 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni 2. Le ricompense mancano del cosiddetto “effetto apprezzamento”. 3. I benefit eccessivi diventano diritti. 4. Si ricompensano comportamenti controproducenti (ad esempio, “un’azienda che consegna pizze dava riconoscimenti a chi impiegava meno tempo a portare le pizze a destinazione, per poi scoprire che così facendo premiava una guida spericolata”).64 5. Si lascia troppo tempo tra la valutazione della performance e l’attuazione della ricompensa. 6. Ricompense troppo uniformi. 7. Utilizzo di ricompense una tantum con impatto motivazionale a breve termine. 8. Uso continuo di pratiche demotivanti come licenziamenti, tagli e compensi eccessivi agli alti livelli organizzativi.65 Problemi cronici come questi hanno accresciuto l’interesse nei confronti dell’elaborazione di pratiche di ricompensa e di retribuzione più efficaci. Nello spazio di questo capitolo non possiamo discutere tutte le moderne strategie retributive. Possiamo però analizzare un approccio generale per incrementare l’impatto motivazionale delle ricompense monetarie: la retribuzione basata sulla performance. Retribuzione legata alla performance Retribuzione legata alla performance: incentivi economici legati ai risultati e alle realizzazioni dell’individuo Retribuzione legata alla performance (pay for performance) è un’espressione comunemente usata per indicare gli incentivi monetari che associano almeno una piccola porzione dello stipendio direttamente a risultati e realizzazioni. Molti parlano semplicemente di incentivi, altri la definiscono retribuzione variabile. “L’80% delle aziende statunitensi offre programmi a larga base di retribuzione legata alla performance.”66 Il concetto generale che sottende questo schema retributivo (che include la retribuzione per merito, i bonus, le percentuali sul profitto, ma anche altro) è quello di dare ai collaboratori un incentivo perché lavorino di più o meglio. La retribuzione legata alla performance è qualcosa in più, una retribuzione straordinaria rispetto a stipendi e salari base. I sostenitori della retribuzione per incentivi affermano che ci sia bisogno di qualcosa in più, perché le retribuzioni orarie e i salari fissi riescono solo a motivare le persone a presentarsi al lavoro e a svolgere le proprie mansioni.67 La forma più semplice di retribuzione legata alla performance è il tradizionale cottimo, in cui al dipendente viene pagato un certo ammontare di denaro per ogni pezzo prodotto. 2500 artigiani che lavorano alla Longaberger, a Frazeburg, nell’Ohio, sono per esempio pagati per ogni prezioso cestino di legno che intrecciano. Complessivamente, ne realizzano 40.000 al giorno.68 Le commissioni sulle vendite rappresentano un altro esempio di retribuzione legata alla performance: in questo caso il venditore riceve una certa quantità di denaro per ogni unità venduta.69 L’economia odierna, fondata sui servizi, forza il management ad adattarsi in modo creativo e a superare i programmi basati sul numero di pezzi prodotti o sulle commissioni sulle vendite, per dare più enfasi alla qualità dei prodotti e servizi, all’interdipendenza, al lavoro di squadra. Pratiche correnti Dai premi immediati in contanti alla retribuzione basata sul lavoro di gruppo a quella legata alle competenze, le prassi di retribuzione attuali sono ancora CompOrga.indb 204 11/01/2013 16.35.15 9 Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi 205 in fase sperimentale. Rimane molto da imparare sia dalle ricerche che dalla sperimentazione. Nel contempo, la ricerca indica chiaramente che è impensabile adottare un approccio omogeneo alla retribuzione basata sugli incentivi. Risultati della ricerca Secondo l’opinione degli studiosi, confermata anche dai risultati della ricerca, la retribuzione basata sulla performance troppo spesso non riesce a ottenere un miglioramento della performance lavorativa. “Gli esperti affermano che circa la metà dei programmi di incentivi che hanno visto non funzionano a causa di una progettazione e di una gestione poco efficace”.70 Uno studio ha in effetti documentato l’effetto negativo che una retribuzione per incentivi ha sortito sulla performance di 150.000 manager di 500 aziende che versavano in difficoltà economiche.71 Una metaanalisi su 39 studi ha riscontrato una modesta correlazione positiva tra incentivi finanziari e quantità di performance, e impatto zero sulla qualità della performance.72 Altri ricercatori hanno rilevato un collegamento statisticamente debole tra bonus ai dirigenti pagati negli anni positivi e un successivo miglioramento della redditività aziendale.73 Da un’indagine condotta tra proprietari di piccole aziende è emerso inoltre che più della metà afferma che i propri piani di pagamento di commissioni non sono riusciti a motivare un impegno maggiore nei venditori.74 Mettere in connessione la retribuzione per merito data ai docenti con la performance degli studenti, un’idea molto sostenuta per una riforma della scuola, ha evidenziato risultati contrastanti. Trarre il meglio da ricompense estrinseche e retribuzioni basate sulla performance Ecco un piano di lavoro basato su quanto appreso fino a questo punto, utile per massimizzare l’impatto motivazionale delle ricompense estrinseche. • Collegare encomi, riconoscimenti e premi non monetari a risultati specifici. • Rendere la retribuzione legata alla performance parte integrante della strategia aziendale (ad esempio, ponendo come obiettivo la ricerca del prodotto migliore nel settore di appartenenza, o della migliore qualità nel servizio). • Fondare la determinazione degli incentivi su dati di performance oggettivi. • Fare in modo che tutti i collaboratori partecipino allo sviluppo, all’applicazione e alla revisione delle formule di retribuzione basate sulla performance. • Incoraggiare una comunicazione bilaterale, per poter riconoscere quanto prima eventuali problemi legati al piano di incentivi. • Progettare i piani di retribuzione legata alla performance su strutture partecipative, come sistemi di raccolta delle opinioni o team per la risoluzione dei problemi. • Quando possibile, premiare il lavoro di gruppo e la collaborazione. • Coinvolgere attivamente nel piano supervisori e manager di secondo livello che potrebbero considerare la partecipazione del dipendente come una minaccia al loro concetto di autorità. • Se si assegnano bonus annuali in contanti, pagarli tutti insieme per massimizzarne l’impatto motivazionale. CompOrga.indb 205 11/01/2013 16.35.15 206 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni • Fare un uso selettivo di incentivi non monetari innovativi per creare entusiasmo e interesse.75 Il rinforzo positivo Programmi di feedback e di ricompense estrinseche risultano troppo spesso inefficaci perché vengono amministrati un po’ a casaccio.76 Analizziamo ad esempio queste due situazioni: • Un giovane programmatore smette di mandare consigli creativi al proprio superiore via email, perché non riceve mai risposta. • In un ufficio la persona più abile nei maneggi politici riceve una promozione mentre i suoi colleghi, molto più capaci, se ne chiedono il motivo e spettegolano sull’ingiustizia del trattamento subito. Nel primo caso, il comportamento costruttivo del dipendente si è interrotto per mancanza di incoraggiamento. Nel secondo caso, invece, poco saggiamente è stato premiato un comportamento non costruttivo. Il feedback e le ricompense devono essere assegnate in modo molto più accurato. In questi casi la psicologia comportamentale può essere d’aiuto: nei lavori di Thorndike, Skinner e altri, è stata elaborata una tecnica di modificazione del comportamento, detta rinforzo positivo, che supporta il manager nell’ottenere la disciplina necessaria e gli effetti desiderati con il giusto feedback e le adeguate ricompense estrinseche. La legge degli effetti di Thorndike Legge dell’effetto: un comportamento che ha conseguenze positive si ripete, un comportamento con conseguenze negative scompare Nei primi anni del ’900, Edward L. Thorndike osservò nei suoi studi sperimentali di psicologia che un gatto, posto in una piccola gabbia con una levetta nascosta per aprirla, si comportava in modo casuale e selvaggio. Una volta che era riuscito ad azionare casualmente la levetta e uscire, però, l’animale, se rimesso nella gabbia, andava direttamente verso la leva per scappare. Thorndike formulò così la sua famosa legge degli effetti, secondo cui il comportamento che implica conseguenze positive tende a essere oggetto di ripetizione, mentre il comportamento con conseguenze negative tende a scomparire.77 Un notevole cambiamento rispetto alla convinzione allora prevalente, secondo cui il comportamento sarebbe stato il prodotto di istinti innati. Il modello di Skinner del condizionamento operativo Skinner ha ulteriormente sviluppato la conclusione tratta da Thorndike, secondo cui il comportamento sarebbe controllato dalle conseguenze che implica. L’opera di Skinner è stata definita comportamentismo, perché lo studioso si è occupato principalmente di comportamenti osservabili.78 In quanto comportamentista, Skinner era convinto che fosse perfettamente inutile spiegare il comportamento in termini di stati interiori non CompOrga.indb 206 11/01/2013 16.35.15 9 Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi Comportamento reattivo: termine usato da Skinner per definire i riflessi condizionati stimolo-risposta Comportamento operativo: termine usato da Skinner per definire il comportamento acquisito, determinato dalle conseguenze che produce 207 osservabili, come bisogni, tendenze, atteggiamenti o processi mentali.79 Allo stesso modo, lo studioso teneva in scarsa considerazione il concetto di autodeterminazione. In The Behaviour of Organisms, Skinner traccia una distinzione importante tra due tipologie di comportamento: reattivo e operativo.80 Egli definisce comportamento reattivo tutti i riflessi condizionati, o le connessioni stimolo-risposta (S-R), ritenendo che questa categoria di comportamento descriva una piccola percentuale del comportamento nell’adulto. Piangere mentre si taglia della cipolla, o ritrarre la mano dal fornello acceso, sono esempi di comportamento reattivo.81 Skinner definisce invece comportamento operativo il comportamento appreso nell’atto di “operare sull’ambiente” per produrre le conseguenze desiderate. Alcuni parlano di modello risposta-stimolo (R-S). In anni di esperimenti controllati, eseguiti su piccioni all’interno delle cosiddette “scatole di Skinner”, lo studioso riuscì a elaborare una sofisticata tecnologia di controllo del comportamento, o condizionamento operativo. Ad esempio, insegnò ai piccioni come camminare disegnando un otto e come arrivare alla ciotola: ci riuscì usando il rinforzo, ossia dando cibo ai piccioni sottopeso (e quindi affamati) ogni volta che si avvicinavano ai comportamenti desiderati. Lo studio di Skinner ha dato vita al settore della modificazione del comportamento, e ha implicazioni significative per il comportamento organizzativo, perché molti comportamenti nelle organizzazioni possono ascriversi alla categoria operativa.82 Conseguenze contingenti In base alla teoria di Skinner, le conseguenze contingenti controllano il comportamento in quattro modi: attraverso il rinforzo, positivo e negativo, la punizione e l’estinzione. Il termine contingente allude al fatto che il collegamento tra il comportamento in esame e la conseguenza è sistematicamente del tipo se-allora. Facciamo l’esempio di una frase che le mamme dicono sempre: “Se non finisci il pranzo, non avrai il dessert” (figura 9-4). Per evitare di commettere errori banali nel riconoscimento delle conseguenze elencate, vediamo alcune definizioni formali. Rinforzo positivo: fare in modo che un comportamento si ripeta offrendo in cambio qualcosa di positivo Il rinforzo positivo rafforza il comportamento Per rinforzo positivo si intende il processo di rafforzamento del comportamento ottenuto dall’offerta contingente di qualcosa che ha valenza positiva (è importante ricordare che un comportamento è rafforzato quando aumenta di frequenza, indebolito quando la frequenza diminuisce). Un ingegnere progettista che lavora fuori orario perché il capo ha lodato e riconosciuto il suo operato sta rispondendo al rinforzo positivo. Rinforzo negativo: fare in modo che un comportamento si ripeta evitando una conseguenza negativa Anche il rinforzo negativo rafforza il comportamento Per rinforzo negativo si intende il processo di rafforzamento del comportamento ottenuto dalla negazione contingente di qualcosa che ha valenza negativa. Un sergente dell’esercito, ad esempio, che smette di urlare quando la recluta esce dal letto, ha negativamente rinforzato quel determinato comportamento. Analogamente, portare le mani alle orecchie nel guardare un jumbo che decolla è un comportamento negativamente rinforzato dal sollievo dato dall’azione. Spesso si confonde il rinforzo negativo con la punizione. Le due strategie provocano però effetti opposti sul comportamento. Il rinforzo negativo, come dice CompOrga.indb 207 11/01/2013 16.35.16 Parte II Figura 9-4 Conseguenze contingenti nel condizionamento operativo Rapporto tra comportamento e conseguenza 208 Il comportamento individuale nelle organizzazioni Natura delle conseguenze Presentazione contingente Rifiuto contingente Positive o piacevoli Negative o spiacevoli Rinforzo positivo Risultati comportamentali: Il comportamento desiderato si presenta più spesso Punizione Risultati comportamentali: Il comportamento desiderato si presenta con meno frequenza Punizione (costo di reazione) Risultati comportamentali: Il comportamento desiderato si presenta con meno frequenza Rinforzo negativo Risultati comportamentali: Il comportamento desiderato si presenta più spesso (nessuna conseguenza contingente) Estinzione Risultati comportamentali: Il comportamento desiderato si presenta con meno frequenza la stessa parola rinforzo, rafforza il comportamento perché fornisce sollievo da una situazione spiacevole. Punizione: fare in modo che un comportamento si verifichi più raramente rispondendo con una conseguenza negativa o negandone una positiva La punizione indebolisce il comportamento La punizione è il processo di indebolimento del comportamento che si opera in una situazione concedendo qualcosa di spiacevole o negando qualcosa di positivo. Il primo tipo di punizione si verifica, ad esempio, qualora un manager assegni al dipendente che arriva in ritardo un compito ingrato. Se invece il manager decurta lo stipendio del ritardatario, allora si verifica il secondo tipo di punizione, detta “costo di reazione”. Un altro esempio di questa seconda tipologia sono le multe. Il commesso di negozio, che deve rispondere di ogni ammanco di cassa dal proprio portafoglio, è sottoposto alla legge della punizione per costo di reazione. Si tratta di una punizione che può e deve suscitare interrogativi di tipo etico.83 Estinzione: fare in modo che un comportamento si verifichi con minor frequenza ignorandolo o evitando di rinforzarlo Anche l’estinzione indebolisce il comportamento L’estinzione provoca l’indebolimento del comportamento, che si verifica quando esso viene ignorato o quando ci si assicura che non venga rinforzato. Liberarsi dell’ex fidanzato rifiutandosi di rispondere alle sue telefonate è una strategia di estinzione. Immaginate che cosa succederebbe alle vostre piante se smetteste di innaffiarle: ecco una metafora che ben descrive l’estinzione. Come una pianta senz’acqua, così un comportamento, privato di un rinforzo almeno occasionale, alla fin fine muore. Sia la punizione che l’estinzione, pur essendo procedimenti totalmente diversi, comportano uno stesso effetto di indebolimento sul comportamento. CompOrga.indb 208 11/01/2013 16.35.16 9 Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi 209 Programmi di rinforzo Come abbiamo detto, le conseguenze contingenti costituiscono un fattore determinante del comportamento futuro. La programmazione delle conseguenze comportamentali può essere ancora più importante. Dopo anni di noiosi esperimenti di laboratorio su piccioni, eseguiti in ambienti altamente controllati, Skinner e colleghi hanno scoperto che le risposte a programmi di rinforzo strutturati diversamente sono diverse.84 Alcune delle conclusioni tratte da questi studi potrebbero essere generalizzate a rinforzo negativo, punizione ed estinzione, ma quando si elabora un programma di rinforzo è preferibile pensare solo a rinforzi positivi. Rinforzo continuo: rinforzare ogni singola azione del comportamento Rinforzo intermittente: rinforzare solo alcune azioni del comportamento Rinforzo continuo Ogni singola azione che rientri nel comportamento desiderato è oggetto di rinforzo se viene applicato un programma di rinforzo continuo. Se il vostro iPhone funziona bene, ad esempio, sarete rinforzati dall’immagine che compare sul display e dal suono che emette ogni volta che lo accendete. Se l’iPhone si guasta, succederà quello che succede sempre con i programmi di rinforzo continuo: il comportamento che vi porta ad accenderlo si estinguerà in fretta. Rinforzo intermittente A differenza di quello continuo, il rinforzo intermittente implica il rinforzo solo di alcune azioni del comportamento desiderato, non di tutte. Esistono quattro sottogruppi di programmi a rinforzo intermittente: programmi a proporzione fissa o variabile, programmi a intervallo fisso o variabile. Nei programmi a proporzione, il rinforzo dipende dal numero di risposte date. Il rinforzo a intervallo si basa invece sul passare del tempo. Ecco alcuni esempi tipici di ciascuna tipologia di rinforzo intermittente: 1. Proporzione fissa: stipendio a cottimo; bonus dipendente dalla vendita di un numero prefissato di unità. 2. Proporzione variabile: slot machine, che pagano dopo un numero variabile di giocate; lotterie, che pagano dopo l’acquisto di un numero variabile di biglietti. 3. Intervallo fisso: stipendio orario; salario annuale pagato su base fissa. 4. Intervallo variabile: lode e complimenti da parte del supervisore fatti a intervalli casuali, in risposta a un lavoro ben svolto. La criticità della programmazione Il tipo di programma di rinforzo scelto può influenzare il comportamento molto più della qualità del rinforzo stesso. Nonostante tale affermazione derivi dallo studio del comportamento dei piccioni, esistono delle ricerche condotte in contesti di lavoro che la confermano. Prendiamo in esame, ad esempio, uno studio condotto su 12 cacciatori di castori, ingaggiati da una ditta di legname per evitare che i roditori mangiassero le giovani piante appena messe a dimora.85 I cacciatori sono stati divisi in due gruppi, a ognuno dei quali veniva applicato settimanalmente uno dei due piani di bonus previsti. Il primo programma prevedeva una paga oraria di 7 dollari con un bonus di 1 dollaro per ogni castoro catturato. Tecnicamente, in questo caso si applicava un programma di rinforzo continuo. Il secondo programma prevedeva la stessa paga oraria di 7 dollari, più una possibilità su quattro CompOrga.indb 209 11/01/2013 16.35.16 210 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni (determinata dai dadi) di ricevere 4 dollari per ogni castoro intrappolato. In questo caso si può parlare di un programma a proporzione variabile. Alla lunga, entrambi i sistemi davano una media retributiva pari a 1 dollaro per castoro. Sorprendentemente, però, i cacciatori si sono dimostrati più produttivi, in una misura pari al 58%, se sottoposti allo schema variabile, nonostante il fatto che la paga media alla fine delle 12 settimane di caccia sia stata praticamente uguale nei due gruppi. Le organizzazioni in genere si basano sul programma più debole In genere, i programmi di rinforzo a proporzione variabile e a intervalli variabili determinano un comportamento più resistente all’estinzione. Come potrebbe confermare qualsiasi scommettitore, un programma variabile contiene la promessa di rinforzo dopo la prossima reazione coerente con l’obiettivo. Ecco una dimostrazione della potenza del rinforzo a proporzione variabile: si tratta di un piccolo episodio accaduto in un casinò di Laughlin, in Nevada. Un’anziana donna con le stampelle sta giocando alla slot machine quando inavvertitamente lascia la manopola della macchinetta da gioco e cade a terra. “Aiuto!”, è il suo fievole grido. Solo la donna che sta giocando nella slot machine accanto interrompe il gioco per qualche secondo per tentare di rialzarla, mentre tutti gli altri incalliti giocatori continuano a inserire monetine nelle loro slot machine. A questo punto arriva un uomo della sicurezza, che calma la donna e la porta via. “Grazie”, risponde l’anziana signora con riconoscenza. “Ma non dimenticarti i soldi che ho vinto”.86 Un’organizzazione che non adotta almeno in parte un programma di rinforzo variabile avrà meno possibilità di riuscire a incentivare un simile attaccamento al lavoro. Un buon esempio in questo senso è Zappos, azienda retail online con sede a Las Vegas, dove “qualsiasi collaboratore può assegnare un bonus di 50 dollari a qualsiasi collega per un lavoro ben fatto”.87 Purtroppo, oggigiorno di regola nei posti di lavoro lo schema applicato più di frequente è quello che si basa sul tempo, come ad esempio gli stipendi su base annua e oraria, che fanno riferimento al programma più debole di rinforzo (intervallo fisso). Di fatto, secondo il Bureau of Labor Statistics degli Stati Uniti, “il 59% dei lavoratori americani sono retribuiti a ore”.88 Se uno stipendio fisso è sempre allettante, non suscita l’“effetto sorpresa”, un qualcosa che somiglia a tirare fuori un full durante una partita di poker. I manager creativi sanno come sfruttare il potere del rinforzo variabile. Per esempio, Ami Dar, fondatore e direttore di idealist.org, sceglie un giorno dell’anno e ne fa un Sun Day. Aspetta che le previsioni segnalino l’arrivo di una giornata di sole, con cielo terso e venticello fresco, per comunicare ai collaboratori che gli uffici saranno chiusi e invitarli a trascorrere un po’ di tempo all’aria aperta. Alcuni si lasciano prendere dal panico al pensiero di dover posticipare riunioni o di non poter controllare costantemente la posta elettronica, ma Ami … [dice] che ritornano al lavoro il giorno dopo con … un nuovo slancio. Una delle chiavi del successo dei cosiddetti Sun Day? L’effetto sorpresa. Il Sun Day scuote i collaboratori dalla routine ed è un’esperienza gratificante per i sensi. Inoltre, li fa sentire doppiamente apprezzati, come non accade quando il riconoscimento è atteso.89 CompOrga.indb 210 11/01/2013 16.35.16 9 Migliorare la performance: obiettivi, feedback, ricompense e rinforzi 211 Modellare il comportamento Modellazione: rinforzare le approssimazioni che si avvicinano sempre più al comportamento richiesto Tabella 9-3 Dieci consigli pratici per la modellazione del comportamento lavorativo Fonte: adattamento da A.T. Hollingsworth e D. Tanquay Hoyer,“How Supervisors Can Shape Behavior,” Personnel Journal, maggio 1985, pp. 86, 88. CompOrga.indb 211 Vi siete mai chiesti come fanno gli istruttori dei parchi marini a fare in modo che i delfini saltino, che le orche si facciano cavalcare e che le foche giochino con la palla? I risultati sembrano opera di magia. In realtà tutto ciò è reso possibile da un processo di apprendimento molto semplice, denominato modellazione del comportamento. Le orche, ad esempio, pesano due tonnellate e hanno un grande appetito: per loro una bacinella di pesce rappresenta un rinforzo molto efficace. Quindi, se un istruttore vuole cavalcare l’animale, non farà altro che rinforzarne ogni singolo comportamento che porti all’obiettivo: l’orca verrà rinforzata con qualche pesce se si avvicina all’istruttore, poi se si fa toccare, se si fa mettere una bardatura sul naso, se si fa cavalcare e infine se nuota con l’istruttore a cavalcioni. In effetti, l’istruttore innalza sistematicamente la richiesta comportamentale che porterà al rinforzo.90 La modellazione è definita quindi come il processo che porta a rinforzare le approssimazioni che si avvicinano sempre più al comportamento desiderato. Il processo funziona benissimo anche con le persone, specialmente all’interno di programmi di formazione e qualità che implicano un miglioramento continuo. Per un manager la lode, il riconoscimento, un feedback costruttivo e credibile non costano molto più che qualche minuto del suo tempo. Se utilizzate in associazione a un programma di modellazione del comportamento, queste azioni possono però incentivare efficacemente dei miglioramenti nella performance lavorativa. Il segreto per riuscire a modellare efficacemente un comportamento sta nella capacità di ricondurre un complesso obiettivo comportamentale a piccoli semplici passi, per poi rinforzare ogni minimo miglioramento, con fiducia e pazienza. La Continental Airlines, ad esempio, 1. Prefigurare il processo di cambiamento del comportamento I comportamenti cambiano per gradi, non all’improvviso. 2. Dare una definizione specifica dei nuovi modelli di comportamento. Definire i propri obiettivi in termini espliciti e in piccole quantità, affinché il concetto venga ben recepito. 3. Dare feedback sulla performance dell’individuo. Valutare la performance di una persona una volta all’anno non è sufficiente. 4. Rinforzare il comportamento prima possibile. 5. Usare rinforzi validi. Le ricompense per essere efficaci devono avere un certo valore per il collaboratore, non per il manager. 6. Utilizzare un programma di rinforzo continuo. Ogni nuovo comportamento deve essere rinforzato ogni volta che si verifica e questo rinforzo deve continuare finché il comportamento in questione diventa abituale. 7. Utilizzare un programma di rinforzo variabile di mantenimento. Anche quando il comportamento è diventato abituale, c’è ancora bisogno di ricompensarlo, anche se non necessariamente ogni volta che si verifica. 8. Ricompensare il lavoro di gruppo, non la competizione. Gli obiettivi e le ricompense di gruppo costituiscono un modo per incoraggiare la cooperazione in situazioni nelle quali il lavoro e la performance sono interdipendenti. 9. Fare in modo che le ricompense corrispondano sempre a una performance. 10. Non dare mai una performance per scontata. Anche la migliore delle performance, se non ricompensata, si deteriora nel tempo. 11/01/2013 16.35.16 212 Parte II Il comportamento individuale nelle organizzazioni ha utilizzato un programma di bonus per migliorare il suo standard di arrivi in orario, risalendo la classifica del settore. All’inizio veniva promesso un bonus pari a 65 dollari al mese, a condizione che la Continental si classificasse tra le prime cinque compagnie. Ora ci vuole un secondo o un terzo posto per guadagnare quei 65 dollari, mentre la prima posizione significherebbe 100 dollari di bonus.91 (La tabella 9-3 riporta alcuni consigli utili per modellare i comportamenti). CompOrga.indb 212 11/01/2013 16.35.16 I gruppi e i processi sociali Capitolo 10 Capitolo 11 Capitolo 12 Capitolo 13 CompOrga.indb 213 III Dinamiche di gruppo Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci Processi decisionali individuali e di gruppo Gestione del conflitto e negoziazione 11/01/2013 16.35.16 Dinamiche di gruppo 10 Quanto sono utili i gruppi informali? Inutile, ogni volta aveva l’impressione di perdere tempo. Mauro Baliani si era avvicinato al gruppo di direttori risorse umane con molte speranze. Aveva ottenuto da poco la posizione che ricopriva e si sentiva molto inadeguato al ruolo. Così aveva deciso di aderire agli incontri serali proposti dalla associazione “Innovazione nella gestione”, ma ogni volta usciva con la sensazione di non avere imparato niente. La riunione era impostata male, senza un univoco filo conduttore e tutti sembravano essere intorno al tavolo per raccontare i propri successi aziendali o dichiarare magnifiche intenzioni: dal punto di vista operativo, poco o nulla. Ne parlò con Carla De Carolis, una sua vecchia amica, da più tempo in una posizione analoga, e lei gli consigliò un gruppo di discussione su un social network del settore. Iniziò a iscriversi e vide con piacere che venivano poste delle questioni molto pratiche, di quelle che a lui servivano. I più esperti rispondevano senza troppi fronzoli e le informazioni erano preziose. CompOrga.indb 215 Un giorno un famoso consulente iniziò a rispondere ai quesiti facendo riferimento a possibili proposte di iniziative che lui e la sua azienda avrebbero potuto fare: immediatamente il moderatore del gruppo fece presente le regole – una discussione tra pari, senza nessuna concessione al marketing individuale – e la cosa cessò. Mauro apprezzò molto questa direttiva, che non aveva colto nella sua adesione iniziale, ma chi gli parve utile per distinguere le situazioni di elaborazione da quelle di “vendita”. Dopo qualche tempo, in relazione alla sua crescita professionale, le domande che venivano poste gli interessavano sempre meno e, dal canto suo, si sentiva di avere poco da offrire. Si collegava con sempre minor frequenza e alla fine lasciò il gruppo; provava una certa tristezza, ma – si sa – anche le migliori esperienze hanno una fine. 11/01/2013 16.35.16 216 Parte III I gruppi e i processi sociali Per definizione le organizzazioni sono insiemi di persone che interagiscono costantemente per raggiungere risultati superiori a quelli ottenibili dai singoli. La ricerca fornisce prove sostanziali sull’importanza delle abilità sociali sia per il successo individuale che per quello organizzativo. Quanto sono sviluppate le vostre abilità sociali? In che cosa dovete migliorarvi? In questo capitolo cominceremo dando una definizione del termine gruppo per passare poi a esaminare le varie tipologie, le funzioni dei suoi membri, gli scambi sociali sul posto di lavoro e il processo di crescita di un gruppo. Passeremo quindi a esaminare i ruoli e le regole del gruppo, che sono le basi delle dinamiche di gruppo; seguirà un’analisi degli effetti della struttura del gruppo e delle caratteristiche dei suoi membri sui risultati prodotti dal gruppo stesso. Verranno discussi, infine, tre seri fattori di minaccia all’efficacia del gruppo. (Il presente capitolo servirà da punto di partenza per la discussione di concetti come “team” e “lavoro in team”, trattati nel capitolo seguente.) I gruppi nell’epoca dei social media Gruppo: due o più persone che interagiscono liberamente, condividono norme e obiettivi e hanno un’identità comune Nel mondo d’oggi si incontrano spesso momenti di gruppo;1 gli studenti formano spesso team insieme ai loro compagni di classe per lavori di gruppo; i genitori sono membri dei consigli di classe delle scuole dei figli; i manager sono coinvolti nei comitati per la pianificazione dei prodotti e nelle task force per la produttività. Le organizzazioni efficaci non funzionano affatto senza l’ausilio di gruppi e team ma, come l’esperienza personale dimostra, lo sforzo di lavorare in gruppo può far emergere tanto il meglio quanto il peggio delle persone. Una riunione della funzione marketing, dove più persone danno libero sfogo alle loro idee e proposte per il perfezionamento di una nuova campagna pubblicitaria creativa, può portare a risultati che vanno oltre le capacità dei singoli collaboratori. D’altra parte, nelle aziende i comitati sono diventati il tipico oggetto di battute derisorie, perché sono troppo spesso affetti da mancanza di direzione e da conflitti. I manager devono poter comprendere a fondo i gruppi e i processi di gruppo, sia per essere in grado di evitare gli errori, sia per sfruttarne le potenzialità. Inoltre, la già vasta e sempre crescente presenza di Internet e delle moderne tecnologie di comunicazione – caratterizzate da reti peculiari di rapporti sociali formali e informali – rappresenta una sfida importante per i manager orientati al successo. Sebbene esistano altre definizioni, da un punto di vista sociologico un gruppo è formato da due o più persone che interagiscono liberamente condividendo norme e obiettivi collettivi e avendo un’identità comune.2 La figura 10-1 mostra come i quattro criteri che caratterizzano tale definizione si combinino fra loro formando un insieme concettuale. Edgar Schein, psicologo delle organizzazioni, ha fornito una spiegazione più chiara di questo concetto distinguendo in modo accurato gruppo, folla e organizzazione: La dimensione del gruppo è dunque limitata dalle possibilità di interazione e consapevolezza reciproca. Un semplice aggregato di persone non può essere definito nei termini di “gruppo” perché le persone non interagiscono e non si percepiscono come parte di un gruppo, nonostante siano consapevoli della reciproca presenza, come può avvenire nel caso di una folla a un angolo di strada intenta ad assistere a qualche avvenimento. Un CompOrga.indb 216 11/01/2013 16.35.17 10 Dinamiche di gruppo 217 Figura 12-1 Quattro criteri sociologici per definire un gruppo Identità comune 4 1 Due o più individui che interagiscono liberamente Norme collettive 2 3 Obiettivi collettivi intero reparto, un sindacato o un’organizzazione, sebbene pensino a loro stessi in termini di “noi”, non possono comunque essere considerati un gruppo perché generalmente non tutti interagiscono e non tutti si conoscono. Viceversa team di lavoro, comitati, unità organizzative e varie altre forme di associazione tra membri dell’organizzazione, risponderebbero alla definizione di gruppo sopra riportata.3 Gruppi formali e informali Gruppo formale: gruppo formato da un’organizzazione Gruppo informale: gruppo formato da amici o da persone con interessi comuni Gli individui si riuniscono in gruppi, o vi vengono assegnati, per vari scopi. Un gruppo si definisce formale se è formato da un manager al fine di aiutare l’organizzazione a perseguire i suoi obiettivi. I gruppi formali sono tipicamente classificati come gruppi di lavoro, team di progetto, comitati, commissioni o task force. Si parla di gruppo informale quando gli scopi principali per riunirsi sono l’amicizia o gli interessi comuni. I gruppi formali e informali possono talvolta sovrapporsi nell’ambiente di lavoro, ad esempio nelle aziende a conduzione familiare e per la prassi assai diffusa di assumere persone di fiducia quali parenti e amici.4 Funzioni dei gruppi formali Secondo i ricercatori i gruppi formali soddisfano due funzioni basilari: quella organizzativa e quella individuale. Le varie funzioni sono elencate nella tabella 10-1. In qualunque momento è possibile riscontrare, nei gruppi formali, combinazioni complesse di tali funzioni. CompOrga.indb 217 11/01/2013 16.35.17 Parte III 218 I gruppi e i processi sociali Tabella 10-1 I gruppi formali soddisfano funzioni organizzative e individuali Funzioni organizzative Funzioni individuali 1. Portare a termini risultati complessi e interdipendenti 2. 3. 4. 5. 6. 1. Soddisfare l’esigenza di affiliazione dell’individuo che vanno oltre le capacità degli individui Generare idee e soluzioni originali o creative. 2. Sviluppare, migliorare e confermare all’individuo la fiducia in se stesso e il senso di identità Coordinare attività interfunzionali. 3. Dare un’opportunità di provare e condividere le proprie percezioni della realtà sociale. Fornire un meccanismo di problem-solving per problemi 4. Ridurre le ansie e le sensazioni di insicurezza e impotenza complessi che richiedono varie informazioni e valutazioni Mettere in atto decisioni complesse 5. Fornire un meccanismo di problem-solving per problemi di carattere personale e interpersonale Curare la socializzazione e formare i nuovi arrivati Fonte: adattato da E.H. Schein, Organizational Psychology, 3a edizione (Englewood Cliffs, NJ: Prentice Hall, 1980), pp. 149-151). Considerate, ad esempio, l’esperienza dei nuovi dipendenti americani della Mazda che, prima dell’apertura dello stabilimento a Flat Rock, in Michigan, hanno lavorato per un mese in Giappone: Dopo un mese di formazione secondo i metodi della Mazda, battendo i loro nuovi colleghi giapponesi a softball, e sperimentando i vari locali della zona, gli americani si sono entusiasmati. […] Un manager responsabile della manutenzione ha addirittura vagamente elogiato la pratica giapponese della ginnastica di gruppo che si tiene ogni mattina prima del lavoro: “Non pensavo che fare ginnastica ogni mattina mi sarebbe piaciuto, ma in un certo senso è stato così.”5 Mentre la Mazda perseguiva le proprie funzioni organizzative (lavoro di squadra interdipendente, creatività, coordinamento, problem-solving e formazione), i lavoratori americani hanno tratto beneficio dalle funzioni individuali dei gruppi formali, che includevano l’affiliazione con nuovi amici, una valorizzazione della fiducia in se stessi, l’esposizione alla realtà sociale giapponese e la diminuzione dell’ansia derivata dal lavorare per un’azienda straniera. La Mazda, in breve, ha creato un mix gestibile che, tramite la formazione dei nuovi dipendenti americani in Giappone, combina funzioni di gruppo individuali e organizzative. L’era dei social media ha sfumato i confini tra formale e informale Le relazioni sociali sono complesse, vive e in continuo movimento; è difficile tracciare confini netti, soprattutto in una realtà dominata dai social media e dalle interazioni in tempo reale. In questo contesto ci si interroga su quanto sia utile che gruppi formali e informali si sovrappongano. Alcuni manager sono convinti che l’amicizia personale renda i team più produttivi, altri ritengono che le “aggregazioni informali” rappresentino un ostacolo per la produttività. Un recente sondaggio condotto su un campione di lavoratori dai 18 anni in su ha evidenziato i principali vantaggi e svantaggi determinati dai CompOrga.indb 218 11/01/2013 16.35.17 10 Dinamiche di gruppo 219 rapporti di amicizia nell’ambiente di lavoro. I lati positivi sono un ambiente di lavoro più incoraggiante (secondo il 70% degli intervistati) e più lavoro in team (69%), quelli negativi il pettegolezzo (44%) e i favoritismi (37%).6 I manager sono chiamati a trovare un giusto equilibrio, tenendo conto della maturità e degli obiettivi delle persone coinvolte. La rivoluzione dei social media Per lungo tempo, il termine networking indicava semplicemente lo sviluppo di un insieme di relazioni personali e professionali e la cura dei contatti. Con l’avvento di email, blog e siti come Facebook, LinkedIn, YouTube e Twitter, il networking ha assunto una portata molto più ampia e globale, giocando persino un ruolo essenziale nella rivoluzione egiziana attraverso Facebook e Twitter.7 Perché accontentarsi di un insieme statico di contatti quando si possono instaurare interazioni istantanee, complete e significative con migliaia di persone? La rivista PC propone questa utile definizione di sito di social networking (social networking site, SNS): Un sito web che rappresenta una comunità virtuale per le persone interessate a un particolare tema o desiderose di “trascorrere del tempo” assieme. I membri creano il proprio “profilo” online con dati biografici, immagini, preferenze e qualsiasi altra informazione decidano di pubblicare. Comunicano con gli altri utenti a voce, tramite chat e messaggi istantanei, videoconferenze e blog e generalmente hanno la possibilità di interagire con i contatti di altri membri.8 I membri di un sito di social networking possono anche non conoscersi personalmente. L’utenza è eterogenea, con una netta prevalenza dei più giovani; secondo un sondaggio del Pew Research Center, il 75% degli utenti di Internet di età compresa tra i 18 e i 24 anni e il 30% di coloro che hanno tra i 35 e i 44 anni possiede un profilo su almeno un sito di social networking.9 È giusto che i manager siano amici dei collaboratori? Un annoso problema legato alle dinamiche di gruppo e amplificato dai social media è quello dei rapporti di amicizia manager-collaboratore. Nella loro rubrica di consigli incentrati sul mondo degli affari, Jack e Suzy Welch offrono questa utile prospettiva: Non dovete necessariamente diventare amici dei collaboratori, almeno fintanto che condividete con loro gli stessi valori per l’azienda. Se siete legati da un rapporto di amicizia, tanto meglio: lavorare con persone che vi piacciono per 8-10 ore al giorno rende tutto più divertente. Premesso questo, ricordate che le amicizie capo-subordinati possono vivere o morire per via di un solo fattore: l’onestà, totale e costante. La schiettezza è indispensabile in qualsiasi rapporto di lavoro, ma diventa particolarmente vitale quando entra in gioco anche un aspetto sociale. Dovete evitare che il vostro apprezzamento per la personalità di un collaboratore equivalga a un apprezzamento automatico delle sue prestazioni. Questo può capitare, ma le valutazioni della prestazione devono rappresentare momenti di conversazione distinti e separati – almeno quattro volte all’anno – durante i quali vi sedete a tavolino, mettete da parte gli aneddoti della grigliata dello scorso fine settimana e parlate di aspettative e prestazioni effettive.10 CompOrga.indb 219 11/01/2013 16.35.17 Parte III 220 I gruppi e i processi sociali Per seguire questo consiglio, occorre una buona dose di intelligenza emotiva e sociale. Il processo di sviluppo dei gruppi I gruppi e i team passano attraverso un processo di sviluppo simile a quello di qualunque situazione presenti un “ciclo di vita” (le persone, le organizzazioni, i prodotti). Se da una parte tra gli studiosi c’è un generale accordo sul fatto che il processo di sviluppo dei gruppi si articoli in stadi identificabili, dall’altra non c’è accordo sull’esatto numero, la sequenza, la durata e la natura di tali stadi.11 Un modello spesso citato è quello proposto nel 1965 da Bruce W. Tuckman, uno psicologo della formazione. Inizialmente il suo modello comprendeva quattro stadi (forming, storming, norming e performing). Il modello suddiviso in cinque fasi, illustrato nella figura 10-2, si è evoluto quando Tuckman e uno studente di dottorato hanno aggiunto, nel 1977, la voce “adjourning”.12 È però necessario un avvertimento; analogamente, in un certo qual modo, alla teoria di Maslow sulla gerarchia dei bisogni, la teoria di Tuckman è stata ripetuta e insegnata così spesso e così a lungo da essere considerata da molti come una realtà documentata, e non come una semplice teoria. Anche oggi è importante ricordare l’avvertimento dello stesso Tuckman, il quale precisa che il modello di sviluppo dei gruppi è stato ricavato più da sessioni di terapia di gruppo che non da esperienze di vita di tutti i giorni. Ciò nonostante molti, nell’ambito del comportamento organizzativo, apprezzano questo modello perché è facile da ricordare e compatibile col buon senso. Le cinque fasi Esaminiamo brevemente ogni singola fase del modello di Tuckman. Da notare, nella figura 10-2, come le persone, quando decidono di unirsi a un gruppo e partecipare alle sue attività, rinuncino a una parte della loro indipendenza. Le varie fasi, inoltre, non sono tutte caratterizzate dalla medesima durata o intensità; la fase dello storming, ad esempio, potrebbe essere pressoché inesistente o terribilmente lunga, a seconda di quanto chiaro sia l’obiettivo da perseguire e del livello di impegno e maturità dei membri del gruppo. Potete mettere in pratica questo processo associando le varie fasi alla vostra esperienza personale con gruppi di lavoro, comitati, squadre sportive, associazioni di carattere sociale o religioso, oppure con lavori di gruppo svolti in classe. Alcuni avvenimenti di gruppo che all’epoca hanno suscitato la vostra sorpresa potrebbero ora avere senso o essere visti come inevitabili aspetti di un processo di sviluppo naturale. Fase 1: forming Durante la fase 1, di “rottura del ghiaccio”, i membri del gruppo tendono a mostrarsi incerti e ansiosi in merito a fattori quali il proprio ruolo, la responsabilità della supervisione e gli obiettivi del gruppo. Secondo un nuovo studio, contatti precedenti tra i membri del gruppo possono creare attriti.13 La fiducia reciproca è bassa e molti si mostrano titubanti in attesa di vedere chi assumerà il controllo della situazione e come. Se il leader formale (ad esempio un supervisore) non mostra con decisione la sua autorità, un altro leader prenderà il suo posto per soddisfare il bisogno di leadership e controllo del gruppo. Solitamente i leader confondono questo periodo di “luna CompOrga.indb 220 11/01/2013 16.35.17 10 Dinamiche di gruppo 221 Performing Adjourning Ritorno all’indipendenza Norming Storming Dipendenza/ interdipendenza Forming Indipendenza “Qual è il mio “Che cosa si ruolo?” aspettano gli altri da me?” Problemi individuali “Come mi inserisco?” Problemi di gruppo “Perché siamo “Perché stiamo qui?” litigando su chi debba avere il controllo della situazione e su chi debba fare cosa?” “Come posso rivestire al meglio il mio ruolo?” “Che cosa accadrà dopo?” “Siamo in grado “Possiamo aiutare “Possiamo essere d’accordo di svolgere il lavoro i partecipanti a sui ruoli e in modo adeguato?” lasciare il gruppo? sul lavoro come team?” Figura 10-2 Le cinque fasi della teoria di Tuckman sullo sviluppo dei gruppi di miele” con un mandato di controllo permanente; l’insorgere di problemi successivi, tuttavia, può rendere necessario un cambiamento di leadership. Il team building, che esamineremo nel capitolo successivo, può aiutare i nuovi gruppi a partire con il piede giusto. Fase 2: storming Si tratta di un periodo di prova; i membri del gruppo, nel cercare di stabilire come si inseriscono nella struttura di potere, mettono alla prova le politiche e gli assunti del leader. Si vengono a creare dei sottogruppi e con essi forme sotterranee di ribellione, come la procrastinazione. Molti gruppi si bloccano alla fase 2 perché le politiche di potere sfociano in scontri aperti.14 Fase 3: norming I gruppi riescono generalmente a superare la fase 2 poiché un certo numero di partecipanti, diversi dal leader, sfidano il gruppo a risolvere i conflitti di potere al fine di procedere nel perseguimento dell’obiettivo. I problemi di autorità e CompOrga.indb 221 11/01/2013 16.35.17 222 Coesione di gruppo: senso di “collettività” che unisce i membri del gruppo Parte III I gruppi e i processi sociali potere vengono risolti tramite discussioni controllate e concrete. Si percepisce un forte spirito di squadra perché ogni membro ritiene di aver trovato il ruolo a lui più adatto. La coesione di gruppo, definita come il senso di “collettività” che unisce i partecipanti al gruppo, è il più importante sottoprodotto della fase 3.15 Fase 4: performing Durante questa fase, di fondamentale importanza, l’attività si concentra sulla risoluzione del problema oggetto dell’attività di gruppo. In qualità di membri di un gruppo maturo, i partecipanti portano a termine il loro compito senza ostacolare gli altri. L’atmosfera è di aperta comunicazione, solida cooperazione e intenso aiuto reciproco. Coerenza e impegno personale nel perseguimento degli obiettivi comuni aiutano il gruppo a raggiungere risultati più consistenti di quelli di un singolo individuo che opera da solo. Stando a quanto dice una coppia di esperti di sviluppo dei gruppi, la struttura del gruppo può diventare flessibile e adeguarsi a quelle che sono le esigenze della situazione senza creare problemi ai suoi membri. Il grado di importanza può spostarsi da un membro all’altro a seconda di chi possiede le capacità o il grado di esperienza necessari per lo svolgimento del compito o dell’attività del gruppo. I sottogruppi possono occuparsi di problemi speciali o di problemi secondari senza minacciare l’autorità o la coesione del resto del gruppo.16 Fase 5: adjourning Il lavoro è concluso; è il momento di passare ad altro. Dopo essersi impegnati duramente per andare d’accordo e portare a termine un compito, molti membri provano un grave senso di perdita; il ritorno all’autonomia può essere facilitato da rituali che festeggiano “la fine” e “un nuovo inizio”. Le feste, l’assegnazione di premi, le cerimonie di laurea o i finti funerali possono essere la chiosa adeguata a un progetto di gruppo di una certa importanza. I leader, al fine di preparare tutti a futuri incarichi di gruppo, devono mettere in risalto gli insegnamenti utili tratti in merito alle dinamiche di gruppo. Sviluppo dei gruppi: studi e indicazioni pratiche Un crescente numero di studi sullo sviluppo dei gruppi fornisce ai manager alcune indicazioni pratiche. Estensione del modello di Tuckman: decadenza del gruppo Un interessante studio condotto su 10 team per lo sviluppo di software, che comprendevano dai 5 ai 16 membri, ha dato una maggiore rilevanza pratica al modello di Tuckman.17 Diversamente dai gruppi di laboratorio, coinvolti per un breve periodo di tempo nel lavoro di gruppo, le squadre di ingegneri del software esaminate lavoravano su progetti che duravano anche anni. I ricercatori, pertanto, hanno scoperto un processo di sviluppo dei gruppi più articolato rispetto alle cinque fasi. In realtà, una volta raggiunta la fase di performing di Tuckman, i ricercatori hanno rilevato che spesso si verifica la decadenza del gruppo. In linea con la terminologia adottata da Tuckman, le tre fasi caratterizzanti la decadenza del gruppo sono state definite come “de-norming”, “de-storming” e “de-forming”. Tali fasi aggiuntive si sviluppano come segue: CompOrga.indb 222 11/01/2013 16.35.17 10 Dinamiche di gruppo 223 • De-norming. Man mano che il progetto prende forma gli standard di comportamento incominciano, in modo naturale, a venir meno; i membri del gruppo si spostano in direzioni diverse a seconda dei loro interessi e delle loro aspettative. • De-storming. Questa fase della decadenza del gruppo si sviluppa nel modo esattamente opposto alla fase di storming; se in quest’ultima i disaccordi e i conflitti emergono in maniera alquanto improvvisa, durante la fase opposta il senso latente di malcontento emerge lentamente. La resistenza individuale aumenta e la coesione diminuisce. • De-forming. Il gruppo di lavoro letteralmente si disgrega, mentre i sottogruppi si scontrano per assumere il controllo. Le parti del progetto che non sono reclamate dai singoli o dai sottogruppi sono abbandonate. “I membri del gruppo cominciano a isolarsi tra di loro e rispetto ai loro leader. Il valore della performance subisce un rapido declino perché il lavoro, nella sua completezza, non viene svolto, e i membri del gruppo non sono interessati a quello che accadrà al di là dei confini che si sono autoimposti.”18 La principale lezione di management che emerge da questo studio è che i leader del gruppo non dovrebbero farsi prendere dall’entusiasmo una volta raggiunta la fase di performing. Stando a quanto i ricercatori affermano: “La fase di performing è molto rischiosa e non è una fase di equilibrio stabile”.19 La prima linea di difesa è la consapevolezza; è inoltre necessario compiere passi costruttivi che rafforzino le norme e la coesione e che riconfermino l’obiettivo comune, anche nel caso in cui i membri stiano agendo nel modo migliore possibile. Feedback Un altro studio piuttosto importante è quello condotto da una coppia di psicologi olandesi. Sono partiti dall’ipotesi che, durante il processo di sviluppo dei gruppi, il feedback interpersonale mutasse sistematicamente. “L’unità considerata come feedback era un messaggio verbale che un partecipante rivolgeva a un altro, nel quale veniva indicato un particolare aspetto del comportamento.”20 Dopo aver raccolto e suddiviso in categorie 1600 esempi di feedback tratti da quattro diversi gruppi, ognuno formato da otto elementi, i ricercatori hanno tratto le seguenti conclusioni: • Il feedback interpersonale aumenta man mano che il gruppo si sviluppa nelle fasi successive. • Nel corso dello sviluppo del gruppo il feedback interpersonale diventa più specifico. • Con lo sviluppo del gruppo il feedback positivo aumenta e quello negativo diminuisce. • Nel corso dello sviluppo del gruppo aumenta la credibilità del feedback tra pari.21 Tali scoperte sono molto importanti per i manager; il contenuto e la modalità del feedback interpersonale tra membri di un gruppo di lavoro o di un comitato possono essere usati come criteri per stabilire se il gruppo si sta sviluppando in maniera adeguata. L’inizio della fase 2 (storming), ad esempio, verrà segnalato da un sostanziale aumento di feedback negativo. Si può poi tentare di generare, tra i membri, un feedback specifico e positivo, affinché lo sviluppo del gruppo non subisca un arresto. A questo proposito può risultare utile il modello di feedback discusso nel Capitolo 9. CompOrga.indb 223 11/01/2013 16.35.17 224 Parte III I gruppi e i processi sociali Scadenze Sia le ricerche condotte sul campo che gli studi in laboratorio hanno dato esiti incerti rispetto al ruolo delle scadenze come forze distruttive sia per lo sviluppo del gruppo che per le relazioni tra i gruppi. Le implicazioni pratiche di tali risultati sono state riassunte dai ricercatori come segue: Scadenze incerte o tendenti a slittare in avanti sono una cosa naturale per molte organizzazioni. Unità organizzative e gruppi interdipendenti possono vicendevolmente farsi aspettare, possono all’improvviso anticipare o posticipare le scadenze, o possono crearne di nuove, appositamente fissate prima del termine utile, al fine di controllare flussi di lavoro irregolari. La presente ricerca suggerisce che le conseguenze di tale incertezza potrebbero portare a qualcosa di peggio dello stress, del tempo sprecato, degli straordinari e dei conflitti tra gruppi. La sincronia tra le aspettative dei diversi partecipanti in merito alle scadenze può influire criticamente sulle capacità dei gruppi di concludere con successo le varie fasi del loro lavoro.22 La gestione di un gruppo efficiente, pertanto, implica non solo un chiarimento dei compiti e degli obiettivi, ma anche dei programmi e delle scadenze. Quando i membri del gruppo percepiscono adeguatamente l’importanza delle scadenze, l’andamento del lavoro e la tempestività con cui si conducono i lavori interdipendenti tendono a migliorare. Stili di leadership Esperti di leadership sostengono, in parte in contrasto con le affermazioni precedenti, che nel corso del suo sviluppo il gruppo necessita di diversi stili di leadership. In generale è stato provato che il comportamento di leadership attivo, aggressivo, direttivo, strutturato e orientato al compito sembra mostrare risultati favorevoli all’inizio della storia del gruppo. Pare tuttavia che tali comportamenti, se mantenuti durante tutto il corso della vita del gruppo, abbiano un effetto negativo sulla coesione e sulla qualità del lavoro. Viceversa, un comportamento di leadership volto al sostegno, democratico, decentralizzato e partecipativo sembra spiegare un funzionamento mediocre del gruppo nelle prime fasi del suo sviluppo. Tuttavia, sembra che tali comportamenti, se mantenuti durante tutta la vita del gruppo, determinino maggiore produttività, soddisfazione e creatività.23 In sostanza si consiglia ai manager, nel corso dello sviluppo del gruppo, di muoversi da uno stile di leadership direttivo e strutturato a uno partecipativo e orientato al sostegno.24 Ruoli e norme: basi sociali per il comportamento organizzativo e di gruppo I gruppi di lavoro trasformano gli individui in membri attivi di un’organizzazione tramite sottili ma potenti forze sociali.25 Tali forze, di fatto, trasformano un “io” in “noi”. L’influenza del gruppo inserisce gli individui nella trama sociale dell’organizzazione comunicando aspettative di ruolo e norme e dando loro forza cogente. Se vogliamo gestire il comportamento organizzativo e di gruppo dobbiamo dunque capire i ruoli e le norme. CompOrga.indb 224 11/01/2013 16.35.18 10 Dinamiche di gruppo 225 Ruoli Ruoli: comportamenti previsti per una data posizione Sono passati quattro secoli da quando William Shakespeare ha scritto per il suo personaggio Jaques, nel II atto di Come vi piace, le battute indimenticabili che seguono: “il mondo è tutto un palcoscenico / sul quale tutti noi, uomini e donne / siam solo attori, con le nostre uscite / e con le nostre entrate; ove ciascuno, / per il tempo che gli è stato assegnato, / recita molte parti”. Questa interessante idea delle persone viste come attori di una rappresentazione universale è riemersa tra i sociologi degli anni ’20, che hanno sviluppato una complessa teoria sulla interazione umana basata sui ruoli. Secondo uno studioso di comportamento organizzativo, “i ruoli si definiscono come una serie di comportamenti che la gente si aspetta da chi occupa una determinata posizione”.26 La teoria dei ruoli tenta di spiegare come tali aspettative sociali influiscano sul comportamento delle persone che lavorano. La presente sezione esaminerà la teoria dei ruoli analizzando gli episodi di ruolo e definendo i concetti di sovraccarico, conflitto e ambiguità di ruolo. Episodi di ruolo Un episodio di ruolo, come mostrato nella figura 10-3, può essere descritto come lo scatto di un’istantanea che ferma un momento di interazione in corso tra due persone. In ciascun episodio di ruolo vi è una persona che crea il ruolo e un’altra che ha il compito di metterlo in pratica. In un contesto sociale più ampio colui che crea il ruolo può simultaneamente essere anche colui che lo interpreta. Ai fini dell’analisi sociale è tuttavia più istruttivo analizzare gli episodi di ruolo separati. Gli episodi di ruolo cominciano con la percezione, da parte di colui che crea il ruolo, dei requisiti comportamentali importanti per il gruppo o per l’organizzazione. Tali requisiti sono il modello su cui valutare con attenzione l’effettivo comportamento della persona chiamata a interpretare il ruolo. A quest’ultima vengono poi inviati messaggi verbali e comportamentali affinché adegui il suo modo di agire alle aspettative. Una meta-analisi dei risultati di 160 studi che hanno coinvolto 77.954 lavoratori ha confermato che la pressione positiva e negativa dei pari esercita una forte influenza sulla Disegno del ruolo • Percezione organizzativa/ requisiti richiesti dal gruppo • Valutazione comparativa di – Aspettative di ruolo per chi deve interpretare il ruolo – Comportamento di chi interpreta il ruolo Modellazione del ruolo Comunicazione di approvazione o esigenza di cambiamento Persona che interpreta il ruolo • Aspettative di ruolo percepite • Sperimentazione di sovraccarichi, conflitti e ambiguità di ruolo • Reazioni costruttive/distruttive Feedback Figura 10-3 Un episodio di ruolo Fonte: adattato da R.L. Kohn, D.M. Wolfe, R.P. Quinn, e J.D. Snoek, Organizational Stress: Studies in Role Conflict and Ambiguity (Malabar, FL: Robert E Krieger Publishing, 1964), p. 26. CompOrga.indb 225 11/01/2013 16.35.18 226 Parte III I gruppi e i processi sociali prestazione nel ruolo.27 Osservate come Westinghouse ha usato il metodo del bastone e della carota per comunicare le aspettative del ruolo: La carota è data da un piano che […] ha ricompensato 134 manager con stock option su 764.000 azioni dell’azienda per aver incrementato i risultati finanziari. Il bastone è dato dalle riunioni trimestrali nelle quali i manager vengono valutati in base a quanto le loro operazioni contribuiscono all’utile per azione. [Il presidente del consiglio di amministrazione], dai toni pacati, non rimprovera; si limita semplicemente a rappresentare graficamente in verde i risultati dei manager che hanno raggiunto i loro obiettivi e in rosso chi invece è rimasto indietro. La pressione da parte degli altri membri fa il resto. La vergogna, come afferma un dirigente, “è uno strumento molto potente”.28 Aspetto molto interessante, in un recente sondaggio condotto in ambienti di lavoro solo il 10% e il 31% degli intervistati si dicevano rispettivamente molto d’accordo e d’accordo con la seguente affermazione: “All’interno della mia organizzazione, le persone devono dare conto del raggiungimento della performance”.29 Dedicando maggiori energie alla comunicazione e all’esplicitazione delle aspettative di ruolo si può migliorare significativamente la produttività nell’ambiente organizzativo. Chi dovrà interpretare il ruolo può percepire in maniera accurata o imprecisa le aspettative comunicate e il modello di comportamento. Si sperimentano, in seguito, varie combinazioni di sovraccarico di ruolo, conflitto di ruolo e ambiguità di ruolo (questi concetti verranno definiti e discussi di seguito). La persona che deve interpretare il ruolo può reagire in modo costruttivo, impegnandosi, per esempio, nella risoluzione di un problema, o in modo distruttivo, a causa della tensione, dello stress e della pressione subita. Sovraccarico di ruolo: le aspettative altrui superano le capacità della persona Conflitto di ruolo: le aspettative altrui sono contrastanti o incoerenti CompOrga.indb 226 Sovraccarico di ruolo Secondo Edgar Schein, psicologo delle organizzazioni, un sovraccarico di ruolo si verifica quando “l’insieme delle aspettative di coloro che hanno creato il ruolo nei confronti di chi dovrà interpretarlo supera le sue effettive capacità”.30 Gli studenti che tentano di seguire un corso regolare di studi e mantenere una vita sociale dignitosa pur lavorando 30 o più ore a settimana, conoscono molto bene le conseguenze del sovraccarico di ruolo. Quando l’individuo prova a svolgere sempre più compiti, avendo sempre meno tempo a disposizione, lo stress aumenta, l’efficacia personale subisce un calo e anche la salute può risentirne. Conflitti di ruolo Vi siete mai sentiti lacerati dalle aspettative contrastanti di chi vi circonda? In caso affermativo siete stati vittime di un conflitto di ruolo. Un conflitto di ruolo si verifica quando “diversi soggetti che contornano il ruolo in questione hanno aspettative diverse nei confronti della persona che lo interpreta”. I lavoratori, come discusso nel Capitolo 6, si trovano spesso in conflitto tra le esigenze del lavoro e quelle della famiglia; le donne devono affrontare conflitti di ruolo tra lavoro e famiglia maggiori rispetto agli uomini, perché rivestono tuttora un ruolo di responsabilità maggiore, sia per quanto riguarda i doveri della vita domestica, sia in merito alla cura dei figli e degli anziani. 11/01/2013 16.35.18 10 Dinamiche di gruppo 227 In media le mogli si fanno carico del doppio dei lavori domestici rispetto ai mariti, l’equivalente di due giornate di compiti supplementari alla settimana. Anche quando l’uomo è disoccupato, la donna gestisce gran parte del carico di lavoro domestico e lo stesso accade per la cura dei figli. Se entrambi i genitori lavorano, le donne trascorrono il 400% di tempo in più con i bambini.31 I single vivono il loro conflitto di ruolo tra lavoro e tempo libero. I conflitti di ruolo emergono anche quando valori interiorizzati, standard etici o modelli personali si scontrano con le aspettative di altri. Un manager che normalmente si attiene all’etica, ad esempio, potrebbe ricevere da un superiore l’ordine di presentare una relazione sul controllo di qualità “non troppo corrispondente al vero” al fine di rispettare un’importante scadenza. Il conflitto di ruolo che ne risulta costringe il manager a scegliere tra un comportamento leale, ma contro l’etica, e uno conforme all’etica, ma sleale. Difficili scelte etiche come questa sono causa di inquietudine personale, conflitto interpersonale e persino di dimissioni. Gli esperti, di conseguenza, affermano che le business school dovrebbero impegnarsi maggiormente nell’inserire l’etica tra i temi fondamentali dei loro corsi. Ambiguità di ruolo: le aspettative altrui sono ignote CompOrga.indb 227 Ambiguità di ruolo Coloro che si trovano ad affrontare un conflitto di ruolo possono avere problemi nell’adeguarsi alle esigenze richieste da questo ma, per lo meno, sanno che cosa ci si aspetta da loro. La stessa cosa non vale per l’ambiguità di ruolo, che si viene a creare quando “coloro che creano il ruolo non riescono a comunicare al destinatario ciò che si aspettano da lui oppure le informazioni necessarie per mettere in pratica il ruolo, o perché non dispongono di tali informazioni o perché, deliberatamente, non le comunicano”.32 In breve, le persone sperimentano l’ambiguità di ruolo quando non sanno come ci si aspetta che agiscano. I nuovi arrivati in un’impresa si lamentano spesso in merito a descrizioni poco chiare del lavoro da svolgere e criteri di promozione troppo vaghi. Stando alla teoria dei ruoli, un’ambiguità di ruolo prolungata può incrementare l’insoddisfazione sul lavoro, minare la fiducia in se stessi e danneggiare la prestazione lavorativa. L’ambiguità di ruolo, come è ovvio, varia a seconda delle realtà culturali; in uno studio condotto su 21 nazioni è emerso che le persone appartenenti a culture individualistiche avevano un grado di ambiguità di ruolo più alto rispetto a quelle appartenenti a culture collettivistiche.33 Le persone appartenenti a culture collettivistiche, in altre parole, avevano un’idea più chiara di ciò che gli altri si aspettavano da loro. Tali culture si assicurano che ciascuno sappia quale posto occupare nella società. Le persone appartenenti a culture individualistiche, come gli Stati Uniti, possono apprezzare una maggiore discrezionalità individuale, ma, di conseguenza, uno scarso riscontro da parte di terzi determina chiaramente una maggiore ambiguità di ruolo. Come precedentemente accennato le conseguenze derivate dal ruolo si sviluppano in una qualche combinazione tra loro e di solito vanno a danneggiare l’individuo e l’organizzazione. Una ricerca condotta in Israele ha rilevato, per l’appunto, come persone coinvolte in un conflitto di ruolo unito a un’ambiguità di ruolo abbiano avuto una prestazione lavorativa meno efficace.34 11/01/2013 16.35.18 Parte III 228 I gruppi e i processi sociali Norme Norme: comportamenti condivisi, opinioni, sensazioni o azioni che guidano il comportamento organizzativo Le norme sono molto più complete dei ruoli; se da una parte i ruoli implicano un determinato comportamento per determinate posizioni, dall’altra le norme aiutano i membri dell’organizzazione a stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è positivo e cosa è negativo. Secondo quanto affermato da un gruppo accreditato di consulenti manageriali: “una norma indica un comportamento, un atteggiamento, un’opinione o un’azione – condivisa da due o più persone – che fa da guida al loro comportamento”.35 Sebbene le norme siano notoriamente non scritte e raramente discusse apertamente, influiscono notevolmente sul gruppo e sul comportamento organizzativo. La PepsiCo Inc., ad esempio, ha sviluppato una regola in base alla quale la competitività aziendale è paragonata alla cura della forma fisica. Secondo quanto osservato La magrezza e l’agilità sono qualità tipiche dell’azienda. Quando i giovani rampanti manager della Pepsi si prendono una pausa dall’ufficio vanno spesso direttamente nel centro sportivo dell’azienda o a fare una corsa attorno alle sculture situate al di fuori del centro direzionale della PepsiCo a New York.36 Ostracismo: rifiuto da parte degli altri membri del gruppo Alla PepsiCo e in altre aziende i membri del gruppo accolgono e sostengono positivamente chi aderisce alle norme in uso. Ciò nonostante gli anticonformisti vanno incontro a critiche e addirittura a ostracismo o rifiuto da parte dei membri del gruppo. Chiunque abbia sperimentato di essere stato punito col silenzio da parte degli amici sa perfettamente quale arma potente possa essere l’ostracismo.37 Le norme possono essere poste nella giusta prospettiva cercando di capirne lo sviluppo e il motivo per cui sono applicate. Come si sviluppano le norme Gli esperti affermano che, quando il gruppo o l’organizzazione stabiliscono cosa è necessario fare per essere efficaci, le norme si sviluppano in maniera informale. In generale le norme si sviluppano in diverse combinazioni dei modi qui di seguito riportati: 1. Affermazioni esplicite dei capi o dei colleghi. Il leader di un gruppo, ad esempio, potrebbe stabilire norme esplicite che vietino il consumo di bevande alcoliche nella pausa pranzo. 2. Avvenimenti critici nella storia del gruppo. Talvolta si verifica, nella storia del gruppo, un avvenimento critico che stabilisce un precedente importante. Ad esempio un nuovo assunto portatore di competenze rilevanti può voler decidere di lavorare altrove perché un membro del gruppo ha detto troppe cose negative in merito all’organizzazione. Si potrebbe pertanto sviluppare una norma contro tale comportamento “sgradevole”. 3. Supremazia. Il primo tipo di comportamento emergente in un gruppo spesso determina le aspettative del gruppo stesso. Se la prima riunione è caratterizzata da un tipo di interazione alquanto formale tra capi e collaboratori, il gruppo si aspetterà che le riunioni successive si svolgeranno allo stesso modo. 4. Comportamenti passati applicati a situazioni presenti. L’applicazione di comportamenti verificatisi in precedenti situazioni può aumentare la prevedibilità dei comportamenti dei membri del gruppo in situazioni nuove e facilitare l’esecuzione CompOrga.indb 228 11/01/2013 16.35.18 10 Dinamiche di gruppo 229 del compito. Gli studenti e i professori, ad esempio, portano con sé, da una classe all’altra, un buona dose di aspettative.38 Vi proponiamo ora di pensare per qualche istante alle norme attualmente vigenti nel vostro corso. Elencatele su un foglio di carta. Queste norme vi sono d’aiuto o di ostacolo nella vostra capacità di apprendimento? Le norme possono influire sulla prestazione sia positivamente che negativamente. Perché le norme vengono applicate? Le norme tendono a essere applicate dai membri del gruppo quando • aiutano la sopravvivenza del gruppo o dell’organizzazione; • chiariscono o semplificano le aspettative sul comportamento; • aiutano gli individui a evitare situazioni imbarazzanti; • chiariscono quali sono i valori fondamentali e/o l’identità del gruppo e dell’organizzazione.39 Esempi pratici delle quattro suddette situazioni sono presentati nella tabella 10-2. Risultati della ricerca e implicazioni per i manager Sebbene la validità degli strumenti utilizzati per misurare il conflitto di ruolo e l’ambiguità di ruolo sia contestabile,40 due meta-analisi distinte hanno indicato che il conflitto di ruolo e l’ambiguità di ruolo incidevano negativamente sui collaboratori. In particolare il conflitto di ruolo e l’ambiguità di ruolo sono state associate all’insoddisfazione profes- Tabella 10-2 Quattro ragioni per l’applicazione delle norme Norma Motivazione dell’applicazione Esempio “Far apparire bene il nostro reparto agli occhi del top management” Sopravvivenza del gruppo/dell’organizzazione “Il successo sorride a coloro che lavorano duramente e non creano difficoltà” Chiarimento delle aspettative comportamentali “Lavora per il successo del tuo team, non per il tuo” Evitare l’imbarazzo “Il servizio alla clientela è la nostra priorità assoluta” Chiarimento dei valori centrali/identità Dopo aver difeso energicamente il ruolo fondamentale del dipartimento risorse umane, nel corso di una riunione di divisione, un esperto dello staff ha ricevuto i complimenti del capo. Un senior manager chiama in disparte un giovane collega e lo esorta a mostrarsi più paziente nei confronti dei collaboratori che hanno opinioni diverse dalla sua. Il membro di un team di progetto viene preso in giro dai suoi colleghi per aver dominato la discussione durante una relazione al manager sull’andamento dei lavori. Viene organizzata una festa a sorpresa venerdì pomeriggio per due agenti di vendita, per aver ricevuto, da un’associazione industriale, un prestigioso riconoscimento per il servizio alla clientela. CompOrga.indb 229 11/01/2013 16.35.18 230 Parte III I gruppi e i processi sociali sionale, a tensione e ansia, alla mancanza di commitment organizzativo, all’intenzione di abbandonare il lavoro e, in forma minore, a una prestazione lavorativa scadente.41 I risultati delle meta-analisi non hanno costituito una grande sorpresa per i manager; generalmente, date le associazioni negative riportate, diventa conseguenza logica, per il management, ridurre sia il conflitto che l’ambiguità di ruolo. A questo scopo i manager possono ricorrere al feedback, a regole e procedure formali, a una leadership direttiva, a obiettivi specifici dal punto di vista comportamentale (difficili) e alla partecipazione. I manager, al fine di ridurre il conflitto e l’ambiguità di ruolo, possono altresì ricorrere all’intervento di un mentore, processo discusso nel Capitolo 3. Per quanto riguarda le norme, una serie recente di studi di laboratorio, che ha visto coinvolti 1504 studenti universitari, presenta importanti implicazioni per i programmi che riguardano la diversità sul posto di lavoro. I soggetti appartenenti a gruppi dove vigeva la norma di manifestare pregiudizi, legittimare la discriminazione e reagire ridendo a scherzi ostili, tendevano ad assumere tali spiacevoli comportamenti. Al contrario, i soggetti messi a confronto con gruppi caratterizzati da regole socialmente più accettabili, hanno dato segno di disapprovazione nei confronti di una condotta pregiudiziale e discriminatoria.42 Quindi, ancora una volta, la mamma aveva ragione quanto ci diceva di non frequentare “cattive compagnie”. I manager che desiderano costruire solidi programmi di diversità devono valorizzare modelli di ruolo e norme di gruppo adeguate. È necessario individuare ed eliminare i modelli di ruolo negativi e le pratiche antisociali. Struttura e composizione del gruppo I gruppi di lavoro di varie dimensioni sono formati da individui aventi capacità e motivazioni diverse.43 Essi, inoltre, rivestono ruoli diversi sia in mansioni a loro assegnate, sia su base volontaria. Non è un caso che alcuni gruppi di lavoro siano più produttivi di altri, né che alcuni comitati siano molto uniti mentre altri si trovano in aperto conflitto. Nella presente sezione prenderemo in esame tre importanti aspetti della struttura e composizione del gruppo: (1) ruoli funzionali dei membri del gruppo, (2) dimensione del gruppo e (3) composizione di genere. Ciascuno di questi aspetti può, alternativamente, a seconda di come viene gestito, valorizzare o ostacolare l’efficacia del gruppo. Ruoli funzionali rivestiti dai membri del gruppo Come illustrato nella tabella 10-3, se un gruppo di lavoro è chiamato a portare a termine una qualunque mansione devono essere ricoperti sia i ruoli di mantenimento sia quelli orientati al compito.44 Ruoli orientati al compito: comportamenti del gruppo orientati verso il compito da svolgere Ruoli di mantenimento: comportamenti del gruppo volti alla costruzione di rapporti CompOrga.indb 230 Ruoli orientati al compito e ruoli di mantenimento I ruoli orientati al compito permettono al gruppo di lavoro di definire, chiarire e perseguire un obiettivo comune. I ruoli di mantenimento, invece, favoriscono i rapporti interpersonali costruttivi e volti al sostegno. I ruoli orientati al compito, in breve, mantengono il gruppo in carreggiata mentre i ruoli di mantenimento lo tengono unito. Abbiamo a che fare con un ruolo orientati al compito quando un membro di un progetto si alza durante una riunione di 11/01/2013 16.35.18 10 Dinamiche di gruppo Tabella 10-3 Ruoli funzionali interpretati dai membri del gruppo 231 Ruoli orientati al compito Descrizione Iniziatore Ricercatore/portatore di informazioni Ricercatore/portatore di opinioni Elaboratore Suggerisce nuovi obiettivi o idee Chiarisce i problemi chiave Coordinatore Guida Valutatore Stimolatore Tecnico procedurale Segretario Chiarisce i valori pertinenti Promuove una maggiore comprensione mediante esempi o esplorazione di implicazioni Riunisce idee e suggerimenti Aiuta il gruppo a non perdere di vista l’obiettivo finale. Testa i risultati del gruppo usando diversi criteri come la logica e la praticità Incita il gruppo ad andare avanti o a raggiungere risultati ulteriori. Esegue doveri di routine (es. distribuzione di nuovi materiali o riorganizzazione dei posti a sedere) Esercita la funzione di “memoria di gruppo” documentando le discussioni e i risultati. Ruoli di mantenimento Descrizione Sostenitore Sostiene la solidarietà di gruppo accettando ed elogiando i vari punti di vista Media i conflitti tramite riconciliazione o senso dell’umorismo Aiuta a risolvere i conflitti andando incontro agli altri a metà strada Incoraggia tutti i membri del gruppo a partecipare Valuta la qualità dei processi del gruppo Registra e commenta le dinamiche/i processi di gruppo Funge da ascoltatore passivo Armonizzatore Mediatore Custode Definitore di standard Commentatore Seguace Fonte: adattato dalla discussione in K.D. Benne e P. Sheats, “Functional Roles of Group Members”, Journal of Social Issues, primavera 1948, pp. 41-49. aggiornamento e dice: “Qual è il vero problema qui? Non mi sembra che si stia arrivando da nessuna parte”. Quando un altro dice: “Ascoltiamo chi non è d’accordo su questo progetto” abbiamo a che fare con un ruolo di mantenimento. È importante sottolineare che ciascuno dei diversi ruoli può essere rivestito in diverse combinazioni e sequenze dai leader del gruppo o da uno qualsiasi dei partecipanti. Checklist per i manager I ruoli di mantenimento e orientati al compito elencati nella tabella 12-3 possono servire da checklist per i manager che desiderano assicurare un adeguato sviluppo di un gruppo. A ruoli come quello del coordinatore, del valutatore e del custode, non sempre ricoperti al momento necessario, possono provvedere in modo adeguato il leader ufficiale o altri membri assegnati. I ruoli orientati al compito di iniziatore, di guida e di stimolo sono particolarmente importanti perché diretti verso l’obiettivo. Ricerche in merito alla messa a punto di obiettivi (goal setting) di gruppo confermano la forte motivazione derivata dallo stabilire traguardi ambiziosi. Analogamente a quanto visto per il goal setting individuale (argomento trattato nel Capitolo 9), obiettivi difficili, ma raggiungibili, sono associati a risultati di gruppo migliori.45 Sempre in modo analogo alla teoria e alla ricerca sul goal setting individuale, gli obiettivi CompOrga.indb 231 11/01/2013 16.35.19 Parte III 232 I gruppi e i processi sociali di gruppo risultano più efficaci se i partecipanti li comprendono e si impegnano, sia a livello individuale che collettivo, a portarli a termine. A questo proposito risultano molto utili le figure di iniziatore, di guida e di stimolo. I manager in ambito internazionale devono mostrarsi sensibili nei confronti delle differenze culturali legate all’importanza dei ruoli di compito e di mantenimento. In Giappone, ad esempio, la tradizione culturale richiede maggior enfasi sui ruoli di mantenimento, specialmente per i ruoli di armonizzatore e di mediatore. L’educazione prevede che durante una riunione, o in classe, non ci si metta in evidenza o non si sia litigiosi. Se due o più membri scoprono di avere opinioni diverse – cosa che si spera sia casuale – ci si aggiorna al fine di trovare maggiori informazioni e impegnarsi per trovare una posizione accettata all’unanimità. I giapponesi non impongono le loro opinioni personali mediante argomentazioni fondate, logica esatta, o ricompense e minacce; non esitano, altresì, ad andare contro le loro convinzioni se questo può impedire di intaccare i rapporti interpersonali. (Perdere significa vincere.)46 Dimensioni del gruppo Quando si può dire che un gruppo è troppo numeroso? La risposta a questa domanda, apparentemente semplice, ha interessato i manager e gli accademici per anni. Secondo la saggezza popolare “due teste sono meglio di una”, ma “troppi galli che cantano non fanno mai far giorno”. Sondaggi recenti condotti su campioni di lavoratori indicano che i gruppi di lavoro formati da tre persone risultano i preferiti (54%), seguiti da gruppi con quattro o più membri (27%) e da gruppi di due persone (9%).47 Dove dovrebbe dunque porre il limite un manager nella formazione di un comitato? Quando ha raggiunto i 3 membri? 5 o 6? 10 o più di 10? Al fine di individuare la dimensione ideale del gruppo, i ricercatori hanno adottato due approcci diversi: l’utilizzo di modelli matematici e le simulazioni effettuate in laboratorio. Riesaminiamo brevemente le prove empiriche partendo da questi due approcci. Approccio dei modelli matematici Tale approccio implica l’elaborazione di un modello matematico attorno a determinati risultati auspicati dall’azione di gruppo, come ad esempio la qualità della decisione. A causa di assunti e tecniche statistiche divergenti, i risultati di tale ricerca sono inconcludenti. Stime statistiche relative alla dimensione ottimale del gruppo indicano un risultato compreso tra 3 e 13.48 Approccio delle simulazioni in laboratorio Tale filone di studi si basa sul presupposto che il comportamento di gruppo deve essere osservato, personalmente, in ambienti controllati di laboratorio. Uno studio di laboratorio condotto dall’autorevole ricercatore australiano Philip Yetton e dal suo collega Preston Bottger, fornisce utili osservazioni in merito alla dimensione e al risultato del gruppo.49 Un totale di 555 soggetti (330 manager e 225 laureati in economia aziendale, 20% dei quali donne) sono stati suddivisi in gruppi di lavoro aventi da 2 a 6 membri. Le squadre hanno svolto l’esercizio di sopravvivenza sulla luna elaborato dalla NASA (tale esercizio consiste nel mettere in graduatoria 15 pezzi di attrezzatura che permetterebbero all’equipaggio di una navicella spaziale sulla CompOrga.indb 232 11/01/2013 16.35.19 10 Dinamiche di gruppo 233 luna di sopravvivere in un viaggio di 200 miglia tra un atterraggio di emergenza e la base di partenza).50 Dopo aver analizzato il rapporto tra la dimensione del gruppo e la sua prestazione, Yetton e Bottger sono giunti alle seguenti conclusioni: Sarebbe difficile, almeno per quanto riguarda la qualità della decisione, giustificare l’esistenza di gruppi formati da più di cinque elementi. […] Naturalmente, al fine di soddisfare necessità diverse dalla qualità della decisione, le organizzazioni potrebbero utilizzare gruppi formati da molti più elementi.51 Studi di laboratorio più recenti che analizzano la produttività dell’attività di brainstorming di gruppi di varie dimensioni (dai 2 ai 12 elementi), coinvolti in interazioni a tu per tu oppure mediate dal computer, si sono rivelati molto utili. Nella consueta sessione di brainstorming a tu per tu, la produttività, in termini di idee generate, non è aumentata con l’aumento della dimensione del gruppo. Nel momento in cui le idee sono state digitate su computer in rete, invece, la produttività del brainstorming è aumentata al crescere della dimensione del gruppo.52 Questi risultati suggeriscono che le reti informatiche possono realmente portare a un miglioramento della produttività mediante l’uso delle moderne tecnologie informatiche. Suggerimenti per i manager All’interno di uno schema concettuale che prevede che il management debba adattarsi alle situazioni non esistono regole rigide in merito alla dimensione del gruppo; questa varia a seconda dell’obiettivo che il manager stabilisce per il gruppo. Se l’obiettivo principale è una decisione di alta qualità, il numero adeguato dei membri del gruppo in questione sarà compreso tra tre e cinque. Se, invece, l’obiettivo è quello di generare idee creative, incoraggiare la partecipazione, aiutare nuovi membri a socializzare, impegnarsi nella formazione o comunicare delle politiche, allora un gruppo composto da più di cinque membri sarà giustificato. Ma persino in questo ambito di sviluppo i ricercatori hanno trovato dei limiti nella dimensione del gruppo. In base ai risultati di una meta-analisi, gli effetti positivi di attività legate alla formazione di team diminuivano con l’aumento della dimensione del gruppo.53 È inoltre necessario che i manager siano consapevoli dei cambiamenti qualitativi determinati dall’aumento della dimensione del gruppo. Da una meta-analisi, comprensiva di otto studi, sono emersi i seguenti rapporti: con l’aumentare della dimensione del gruppo si è registrata una tendenza dei leader a diventare più direttivi e una lieve diminuzione della soddisfazione dei membri.54 Si consigliano gruppi formati da un numero di membri dispari (tre, cinque, sette) nel caso in cui la decisione da prendere possa essere determinata da una votazione a maggioranza. Votazioni con un risultato di parità sono troppo spesso causa di ostacolo nell’efficacia di gruppi formati da un numero pari di membri. Uomini e donne che lavorano insieme in un gruppo Come messo in evidenza nel Capitolo 2, negli ultimi decenni è notevolmente aumentata la quantità di donne all’interno della forza lavoro. Tale cambiamento demografico ha CompOrga.indb 233 11/01/2013 16.35.19 234 Parte III I gruppi e i processi sociali influenzato gli atteggiamenti. Per esempio, nella relazione circa uno studio longitudinale condotto su dirigenti statunitensi, i ricercatori hanno osservato che: Uomini e donne […] danno risposte simili all’affermazione “Sarei a mio agio lavorando per una donna”. Gran parte delle donne continua a rispondere affermativamente, sebbene si sia registrato un lieve calo dopo il 1985. Per quanto riguarda gli uomini, il 71% afferma che si sentirebbe a proprio agio. Il dato ha evidenziato un notevole incremento rispetto al 1965 (27%) e al 1985 (47%).55 Dato l’incremento nel numero dei comitati e dei team composti da uomini e donne, ci si può aspettare una serie di intense ripercussioni sulle dinamiche di gruppo. Osserviamo ora cosa hanno scoperto i ricercatori riguardo al modo in cui influisce la composizione di genere all’interno del gruppo e a cosa possono fare in merito i manager. La difficile battaglia delle donne nei gruppi di lavoro misti Studi di laboratorio e ricerche sul campo disegnano un quadro difficile per le donne che fanno parte di gruppi di lavoro misti. Al fine di compiere i passi giusti verso un miglioramento della situazione è necessario che sia gli uomini, sia le donne siano a conoscenza di tali dinamiche di gruppo, spesso sottili, ma molto potenti. Ecco un esempio tratto da un recente studio sul legame tra la forza della stretta di mano e la valutazione nei colloqui di lavoro. Secondo le conclusioni dei ricercatori: Abbiamo dimostrato che le donne compensano gli effetti di strette di mano più deboli, dato che in media non ricevono valutazioni più basse nei colloqui, e potrebbero di fatto trarre più vantaggi degli uomini presentandosi con una stretta di mano forte e completa.56 Ovviamente, occorre tenere conto del contesto culturale di questo studio (condotto su un campione di studenti universitari statunitensi). Le norme che regolano le strette di mano variano infatti di cultura in cultura. In uno studio di laboratorio condotto su gruppi di sei persone è stato individuato un chiaro esempio di disuguaglianza di genere nel modo in cui i membri del gruppo si interrompevano mentre parlavano. Gli uomini interrompevano le donne decisamente più spesso di quanto non facessero con gli altri uomini; le donne, con una tendenza all’interruzione meno frequente e meno efficace degli uomini, interrompevano uomini e donne in egual misura.57 Un altro studio di laboratorio condotto su studenti universitari canadesi ha rilevato che “uomini e donne evidenziano una tendenza maggiore all’interruzione nei gruppi a prevalenza maschile”.58 Una ricerca condotta sul campo, che ha preso in esame, in Olanda, un team misto di polizia e uno di infermieri, ha rilevato, nelle dinamiche di gruppo, un altro elemento di svantaggio per le donne. La scelta di queste due particolari professioni è risultata molto utile ai fini della ricerca perché il primo gruppo era caratterizzato da una prevalenza maschile mentre il secondo da una prevalenza femminile. Con l’inserimento delle donne nelle squadre di polizia, dove gli uomini costituiscono la maggioranza, e l’aumento delle opportunità di impiego per gli uomini nel mondo infermieristico, prevalentemente femminile, chi si trova ad affrontare la maggiore resistenza? Secondo i risultati della CompOrga.indb 234 11/01/2013 16.35.19 10 Dinamiche di gruppo 235 ricerca sono le donne poliziotto. Con l’aumento della rappresentanza della minoranza di genere nei gruppi di lavoro (sia che si trattasse di poliziotte o di infermieri) sono stati osservati i seguenti cambiamenti: L’atteggiamento della maggioranza maschile cambia e da neutrale si fa resistente, mentre l’atteggiamento della maggioranza femminile cambia da favorevole a neutrale. In altri termini, gli uomini mostrano la ferma intenzione di voler mantenere il proprio campo per sé, mentre le donne continuano a dimostrarsi disposte a condividere il proprio campo con gli uomini.59 I manager, ancora una volta, si trovano ad affrontare la sfida che li porta a opporsi a tendenze discriminatorie nelle dinamiche di gruppo. Il problema delle molestie sessuali Secondo un’indagine di settore condotta da uno studio legale di New York specializzato in controversie di lavoro, il problema delle molestie sessuali è lungi dall’essere risolto: Il 63% dei [234] intervistati ha riferito di aver dovuto gestire una denuncia per molestie sessuali presso la propria azienda. Il dato è superiore rispetto al 57% registrato nel 2003, ma fortunatamente è molto più basso rispetto al 95% riscontrato nel 1995.60 A dipingere un quadro ancora più fosco della situazione, uno studio sul campo su cinque organizzazioni ha rilevato che le molestie sessuali si accompagnano alla discriminazione etnica. Secondo i ricercatori, “le donne subiscono più molestie sessuali rispetto agli uomini, gli appartenenti alle minoranze subiscono più discriminazioni etniche rispetto ai bianchi e le donne appartenenti alle minoranze subiscono più molestie rispetto agli uomini, agli uomini appartenenti alle minoranze e alle donne bianche”.61 Le donne appartenenti alle minoranze sono più esposte a questo genere di problema. Le molestie nell’ambiente di lavoro sono persistenti perché radicate nei comportamenti violenti generalizzati tra adolescenti (sia in interazioni faccia a faccia che in interazioni virtuali).62 Da un punto di vista del comportamento organizzativo il problema delle molestie sessuali è complesso e sfaccettato. Da una recente meta-analisi di 62 studi risulta, ad esempio, che le donne, diversamente dagli uomini, percepiscono come molestia sessuale una serie più ampia di comportamenti (tabella 10-4). Donne e uomini si sono trovati d’accordo nel definire come molestie proposte e coercizioni sessuali, ma non si sono trovati d’accordo in merito ad altri aspetti presenti in un ambiente di lavoro ostile.63 Azione manageriale costruttiva Uomini e donne sono in grado di lavorare bene in gruppo e questo accade spesso. Un sondaggio condotto su 387 dipendenti statali statunitensi uomini ha cercato di determinare in che modo essi siano stati influenzati dall’incremento numerico delle collaboratrici donne. I ricercatori hanno concluso che “in molte circostanze, comprese interazioni promiscue nei gruppi di lavoro, il contatto frequente porta a rapporti sociali di cooperazione e sostegno”.64 Più di recente, uno studio sul campo condotto su 1158 ufficiali dell’Aeronautica militare statunitense suddivisi in gruppi misti per un programma di sviluppo di cinque settimane ha evidenziato CompOrga.indb 235 11/01/2013 16.35.19 Parte III 236 I gruppi e i processi sociali Tabella 10-4 Categorie di comportamento delle molestie sessuali Categoria Atteggiamenti impersonali Descrizione Comportamenti che denotano atteggiamenti denigratori in merito a uomini o donne in generale Atteggiamenti denigratoriComportamenti diretti a un obiettivo che personali denotano atteggiamenti denigratori nei confronti del genere della vittima Pressione in merito a un Insistente richiesta di un appuntamento appuntamento indesiderato dopo il rifiuto della persona a cui è stata fatta la richiesta Richieste a sfondo sessuale Richieste esplicite di incontri sessuali Contatto fisico di natura Comportamento per cui il molestatore sessuale esercita sulla vittima un contatto di natura sessuale Contatto fisico non di natura Comportamento per cui il molestatore sessuale esercita sulla vittima un contatto fisico di natura non sessuale Coercizione sessuale Richieste o costrizioni di incontri di natura sessuale che diventano conditio sine qua non per un impiego o promozione Esempi di comportamento Gesti osceni senza un preciso obiettivo Battute a sfondo sessuale Telefonate oscene Minimizzazione della competenza della vittima Insistenti richieste di uscire insieme dopo il lavoro o la scuola Proposta di una relazione Abbraccio Bacio Abbraccio in segno di congratulazioni Minaccia di punizione se non viene elargito il favore sessuale richiesto Corruzione sessuale Fonte: M. Rotundo, D. Nguyen, e P.R. Sackett,.“A Meta-Analytic Review of Gender Differences in Perceptions of Sexual Harassment,” Journal of Applied Psychology, ottobre 2001, Article 914-922, copyright © 2001 by the American Psychological Association. Ristampato per concessione. che “una presenza femminile leggermente maggiore all’interno dei gruppi contribuiva a potenziare le capacità di risoluzione dei problemi del team”.65 I manager, tuttavia, devono intraprendere un cammino positivo che assicuri che il documentato aumento delle relazioni sentimentali tra colleghi sul posto di lavoro non solleciti comportamenti affini alle molestie sessuali. Sia che riguardino donne o uomini, le molestie sessuali sono avvilenti, vanno contro l’etica e sono propriamente definite “inquinamento dell’ambiente di lavoro”. La Commissione per le Pari Opportunità Lavorative, inoltre, considera i dipendenti responsabili di un comportamento ritenuto sessualmente molesto perseguibili a livello legale. Un esperto sull’argomento fornisce la seguente spiegazione: Che cos’è esattamente la molestia sessuale? La Equal Employment Opportunity Commission dice che avance, richieste di favori sessuali e qualsiasi altra condotta verbale o fisica di natura sessuale, costituiscono molestie nel momento in cui diventano conditio sine qua non all’impiego, quando la sottomissione o il rifiuto di tali avance vanno a incidere su decisioni di carattere professionale, oppure quando tale condotta crea, sul posto di lavoro, un’atmosfera intimidatoria, ostile o offensiva. Tali direttive della commissione, che interpretano il VII Titolo dello Statuto dei Diritti Civili del 1964, affermano inoltre che i datori di lavoro sono responsabili per le azioni dei loro supervisori e agenti nonché per le azioni di altri collaboratori se il datore di lavoro in questione è o dovrebbe essere al corrente della molestia sessuale.66 CompOrga.indb 236 11/01/2013 16.35.19 10 Dinamiche di gruppo 237 Aspetto molto importante, non essere a conoscenza di episodi di molestie sessuali all’interno dell’organizzazione non è una linea di difesa valida per i datori di lavoro. Oltre a evitare contenziosi legali istituendo e applicando politiche mirate a sradicare discriminazioni e molestie, i manager devono adottare un approccio proattivo. Si raccomanda caldamente di organizzare workshop sulla diversità che illustrino anche come identificare ed evitare le molestie sessuali.67 Minacce all’efficacia del gruppo Anche quando i manager formano e organizzano con cura i gruppi di lavoro, le dinamiche di gruppo possono sempre andare fuori controllo. La conoscenza dei tre principali fattori di minaccia all’efficacia del gruppo, ovvero l’effetto Asch, il groupthink e l’inerzia sociale, possono aiutare i manager a prendere le misure preventive adeguate. Dal momento che i primi due problemi sono legati al conformismo è opportuna una breve premessa. Senza conformarsi alle norme, alle aspettative di ruolo, alle politiche, alle regole, i gruppi di lavoro concluderebbero ben poco. D’altra parte, le scadenze, gli impegni e gli standard di qualità del servizio/prodotto devono essere stabiliti e rispettati se si vuole che l’organizzazione sopravviva. Il conformismo però è un’arma a doppio taglio: il conformismo puro e semplice o eccessivo può opprimere il pensiero critico, ultima linea di difesa contro una condotta non etica. Resoconti quasi giornalieri dai mass media riguardanti misfatti aziendali, insider trading, scarico illegale di rifiuti pericolosi e altre pratiche scorrette, rendono assolutamente necessaria, da parte dei manager futuri, una comprensione delle meccaniche del conformismo.68 L’effetto Asch Circa sessant’anni fa lo psicologo sociale Solomon Asch ha condotto una serie di esperimenti di laboratorio che hanno fatto emergere un aspetto negativo delle dinamiche di gruppo.69 Facendolo sembrare un “test di percezione”, Asch ha chiesto a gruppi, formati da un numero di studenti volontari del college compreso tra sette e nove, di guardare 12 coppie di carte come quelle mostrate nella figura 10-4. Lo scopo era quello di individuare quale linea fosse della stessa lunghezza di quella indicata come linea standard. A ciascuno studente è stato chiesto di comunicare la sua risposta al gruppo. Data l’evidente differenza tra le linee da paragonare, si sarebbe dovuta riscontrare una risposta unanime nel corso dei 12 giri di carte, ma non è stato così. Solo uno Di ogni gruppo, tutti i partecipanti tranne uno erano complici di Asch, e selezionavano sistematicamente la linea sbagliata durante sette dei giri di carte compiuti (gli altri cinque erano giri di controllo). L’ultimo individuo era l’inconsapevole vittima dell’inganno. La pressione del gruppo consisteva nel fare in modo che l’elemento “ingenuo” del gruppo fosse tra gli ultimi a comunicare la sua scelta. Sono stati esaminati trentuno soggetti; la domanda che Asch si poneva era: quanto spesso un soggetto “ingenuo” si sarebbe conformato a un’opinione della maggioranza chiaramente sbagliata? Solo il 20% dei soggetti presi in esame da Asch si è rivelato completamente CompOrga.indb 237 11/01/2013 16.35.19 Parte III 238 Figura 10-4 L’esperimento di Asch Carta con la linea di riferimento Carta con le linee da paragonare 1 Effetto Asch: cedere a una opposizione unanime ma scorretta I gruppi e i processi sociali 2 3 indipendente; l’80% ha ceduto alla pressione dell’opinione del gruppo almeno una volta! Il 58% si è arreso alla “maggioranza immorale” almeno due volte. In questo modo è stato documentato l’effetto Asch: la distorsione del giudizio individuale per mezzo di un’opposizione unanime ma scorretta. Una prospettiva manageriale L’esperimento di Asch è stato più volte ripetuto portando a risultati contrastanti; sono stati osservati gradi sia alti che bassi di conformismo in situazioni diverse e in relazione a soggetti diversi. Ripetizioni di tale esperimento in Giappone e Kuwait hanno dimostrato che l’effetto Asch non riguarda unicamente gli Stati Uniti.70 Una meta-analisi del 1996 su 133 esperimenti “alla Asch” condotti in 17 paesi ha rivelato, dagli anni ’50, un declino del conformismo nei soggetti statunitensi. A livello internazionale, i paesi collettivistici, nei quali il gruppo prevale sul singolo, hanno raggiunto livelli più alti di conformismo rispetto ai paesi individualistici.71 Il punto rilevante, comunque, non è tanto quello di dimostrare la portata dell’effetto Asch in una data situazione o cultura, ma piuttosto quello di fare in modo che i manager, impegnati a sostegno di una condotta corretta, si preoccupino della sua esistenza. Per Jeffrey Skilling, l’ex CEO della Enron, l’effetto Asch andava invece sostenuto e curato. Considerate il clima organizzativo orientato alla cieca obbedienza che egli aveva creato: Skilling stava riempiendo il quartier generale con le sue truppe. I neoassunti parlavano di un processo di socializzazione chiamato “Enronizzazione”. Tempo per la famiglia? Qualità della vita? Da dimenticare. Chi non abbracciava la cultura dello sgomitare a tutti i costi “non ce la faceva”. Veniva considerato “merce danneggiata” o “relitto”, passibile di licenziamento durante dolorosi incontri annuali noti come sessioni di “pubblico ludibrio”. La cultura era diventata paranoica: ex agenti della CIA e dell’FBI venivano assunti per rafforzare la sicurezza. Usando programmi “spia” individuavano chiunque avesse mandato un’email a un potenziale concorrente. Gli “spettri”, come venivano chiamati gli ex agenti, erano noti per le loro intromissioni negli uffici e per le confische dei computer.72 CompOrga.indb 238 11/01/2013 16.35.19 10 Dinamiche di gruppo 239 Persino casi isolati di conformismo hanno seriamente minacciato l’efficacia e l’integrità dei gruppi di lavoro e delle organizzazioni. Il conflitto e l’assertività funzionali, discussi nei Capitoli 13 e 14, possono aiutare le persone ad avere una reazione adeguata, nel momento in cui si trovano di fronte a una maggioranza immorale. Ulteriori guide e supporti sono forniti dai codici etici che fanno riferimento a specifiche procedure. Groupthink Perché mai il Presidente Lyndon B. Johnson e il suo gruppo di intelligenti consiglieri alla Casa Bianca hanno preso decisioni tanto poco intelligenti da determinare l’escalation della guerra in Vietnam? Tali fatali decisioni sono state prese nonostante la presenza di evidenti segnali di allarme, compresa una resistenza più forte del previsto da parte dei vietnamiti del Nord e un’evidente disapprovazione sia all’interno del paese sia all’estero. L’analisi sistematica dei processi decisionali sottesi alla guerra in Vietnam e ad altri disastri di politica estera statunitense ha spinto Irving Janis, dell’Università di Yale, a coniare il termine groputhink (letteralmente “pensiero di gruppo”). Se ignorano passivamente il pericolo, è molto facile che i manager moderni, proprio come lo staff del Presidente Johnson, rimangano vittime del groupthink. Groupthink: tendenza a non prendere in considerazione azioni alternative che si verifica in un gruppo coeso Definizione e sintomi del groupthink Janis definisce il groupthink come un “modo di pensare adottato dalle persone profondamente coinvolte in un gruppo coeso quando lo sforzo dei membri per raggiungere l’unanimità supera la loro motivazione a valutare realisticamente azioni alternative”.73 Aggiunge inoltre che “il groupthink fa riferimento a un deterioramento dell’efficienza mentale, della valutazione della realtà e del giudizio morale risultante da pressioni esercitate dal gruppo”.74 Diversamente dai soggetti presi in esame da Asch, che non si conoscevano tra di loro, i membri dei gruppi vittime del groupthink sono in un rapporto di amicizia, molto uniti e coesi. I sintomi del groupthink, elencati nella figura 10-5, si sviluppano nel tipo di clima imperante in passato nelle sale del consiglio di amministrazione delle aziende statunitensi, dove troppo spesso i membri si piegavano alle decisioni sbagliate di CEO molto determinati. Lo scenario è cambiato positivamente in misura significativa. Ricerca e prevenzione del groupthink Studi di laboratorio condotti su studenti di college confermano alcune parti del concetto definito da Janis; più precisamente è emerso che: • gruppi caratterizzati da coesione moderata prendono decisioni migliori rispetto a gruppi caratterizzati da un alto o da un basso grado di coesione; • gruppi dall’alta coesione, se vittime del groupthink, prendono le decisioni peggiori nonostante l’alto grado di sicurezza in tali decisioni.75 Janis ritiene che, quando si ha a che fare con il groupthink, prevenire sia meglio che curare. Raccomanda pertanto le seguenti misure preventive. CompOrga.indb 239 11/01/2013 16.35.20 Parte III 240 Sintomi del groupthink 1. Invulnerabilità: illusione che alimenta eccessivo ottimismo e propensione al rischio 2. Moralità scadente: credenza che incoraggia il gruppo a ignorare le implicazioni etiche 3. Razionalizzazione: sottovalutazione sistematica dei segnali negativi 4. Visione stereotipata degli esterni al gruppo: porta a sottovalutare gli oppositori 5. Autocensura: reprime il dibattito critico 6. Sovrastima del grado di consenso: silenzio assenso 7. Pressione sui membri: viene messa in dubbio la lealtà dei dissenzienti 8. Presenza di filtri alle informazioni: tutori delle opinioni collettive I gruppi e i processi sociali Difetti della decisione di gruppo 1. Poche alternative 2. Nessun riesame delle alternative preferite 3. Nessun riesame delle alternative escluse 4. Rifiuto dell’opinione di esperti 5. Selezione preconcetta di nuove informazioni 6. Nessun piano contingente Figura 10-5 Sintomi del groupthink che portano a un processo decisionale insoddisfacente Fonti: sintomi adattati da I.L. Janis, Groupthink, 2nd ed (Boston: Houghton Mifflin, 1982) pp. 174-75. Difetti adattati da G. Moorhead.“Groupthink: Hypothesis in Need of Testing,” Group & Organization Studies, dicembre 1982, p. 434. Copyright © 1982 Sage Publications. Ristampa per concessione della Sage Publications, Inc. 1. A ogni membro del gruppo dovrebbe essere assegnato il ruolo di valutatore critico. Tale ruolo implica l’attiva esternazione di obiezioni e dubbi. 2. I top manager non dovrebbero ricorrere a comitati per approvare a scatola chiusa decisioni che sono già state prese. 3. Gruppi diversi con leader diversi dovrebbero esaminare gli stessi problemi. 4. Bisognerebbe ricorrere a dibattiti tra sottogruppi ed esperti esterni per introdurre nuove prospettive. 5. Nella discussione delle alternative più importanti bisognerebbe assegnare a qualcuno il ruolo di avvocato del diavolo. La persona scelta tenterà di scoprire qualsiasi immaginabile fattore negativo. 6. Una volta raggiunto un accordo, ciascun membro dovrebbe essere incoraggiato a riesaminare la sua posizione nel caso vi fossero dei punti deboli.76 Tali misure anti-groupthink possono aiutare i gruppi coesi a produrre raccomandazioni e decisioni sensate.77 Evitare il groupthink è un’ottima argomentazione a favore della diversità, non solo di razza e di genere, ma anche di età, bagaglio di esperienze, religione, istruzione e visione del mondo. Inerzia sociale La performance del gruppo è minore, uguale o maggiore della somma dei membri che lo compongono? Tre persone, ad esempio, lavorando insieme, possono raggiungere un CompOrga.indb 240 11/01/2013 16.35.20 10 Dinamiche di gruppo Inerzia sociale: diminuzione dello sforzo individuale in concomitanza con l’aumento della dimensione del gruppo 241 risultato inferiore, uguale o maggiore di quello che raggiungerebbero se lavorassero separatamente? Uno studio interessante, condotto più di cinquant’anni fa da un ingegnere agrario francese di nome Ringelmann, ha concluso che il risultato raggiunto sarebbe inferiore.78 In un esercizio di tiro alla fune pare che Ringelmann abbia scoperto che tre persone che tiravano insieme raggiungevano una forza pari a solo due volte e mezza quella media individuale. Otto tiratori raggiungevano una forza pari a meno di quattro volte quella individuale. Questa tendenza dello sforzo individuale a diminuire con l’incremento della dimensione del gruppo è stata definita inerzia sociale.79 Analizziamo brevemente tale minaccia all’efficacia e sinergia del gruppo, per cercare di evitarla. Teoria e ricerca sull’inerzia sociale Tra le spiegazioni teoriche addotte per questo effetto vi sono (1) l’equità di sforzo (“Tutti perdono tempo in sciocchezze, perché non dovrei farlo anch’io?”), (2) la perdita di responsabilità personale (“Sono perso tra la folla, che importa, dunque?”), (3) la perdita di motivazione dovuta alla condivisione dei premi (“Perché mai dovrei lavorare più degli altri se alla fine riceviamo tutti lo stesso premio?”) e (4) la perdita di coordinamento data dal coinvolgimento di più persone nello stesso compito (“Ci intralciamo a vicenda”). Ricerche di laboratorio hanno raffinato tali teorie individuando fattori situazionali che hanno moderato l’effetto dell’inerzia sociale. Essa si è verificata quando: • il compito da svolgere è stato percepito come non importante, semplice o non interessante;80 • membri del gruppo hanno pensato che il loro risultato individuale non fosse identificabile;81 • membri del gruppo si aspettavano scarso impegno da parte dei loro colleghi.82 L’inerzia sociale, tuttavia, non si è verificato quando i membri del gruppo, in due studi di laboratorio, si aspettavano di essere valutati.83 I ricercatori indicano, inoltre, che gli “individualisti” dotati di fiducia in se stessi hanno una maggiore tendenza all’inerzia rispetto ai “collettivisti” orientati al gruppo. Gli individualisti, tuttavia, possono essere resi più cooperativi mantenendo il gruppo di dimensioni ridotte e rendendo ciascun membro personalmente responsabile per i risultati ottenuti.84 Uno studio recente ha rilevato una diminuzione dell’inerzia sociale grazie al ricorso a una combinazione ibrida di ricompense individuali e di gruppo.85 Ozio telematico: l’uso di Internet per attività non legate al lavoro CompOrga.indb 241 Implicazioni pratiche nell’era di Internet Questi risultati dimostrano come l’inerzia sociale non sia un aspetto inevitabile del lavoro di gruppo. I manager possono controllare questo fattore di minaccia all’efficacia del gruppo assicurandosi che il compito sia stimolante e sia considerato importante. È altresì utile che i membri del gruppo siano personalmente responsabili per parti definite del lavoro di gruppo. Ciò nonostante, l’inerzia sociale è un “bersaglio mobile” e impone di applicare contromisure innovative nell’era di Internet. Gli ambienti di lavoro digitali sono infatti un terreno fertile per l’amplificarsi del fenomeno. L’ozio telematico (cyberloafing), cioè l’uso di Internet per attività non legate al lavoro quali comunicare con gli amici tramite email e social media, navigare in Internet, effettuare acquisti online o intrattenersi con i videogiochi, è piuttosto diffuso. 11/01/2013 16.35.20 Parte III 242 I gruppi e i processi sociali I team virtuali, che analizzeremo nel capitolo seguente, hanno allentato la tradizionale supervisione amministrativa sui collaboratori.86 La tabella 10-5 elenca una serie di problemi e soluzioni per i manager che cercano di contrastare l’inerzia sociale negli ambienti di lavoro interconnessi. Tabella 10-5 Pigrizia nell’era di Internet: problemi e soluzioni PROBLEMA SOLUZIONI Ozio telematico • Navigare in Internet durante l’orario di lavoro per attività di svago, tra cui shopping, gestione di attività online, invio di email private, aggiornamento del profilo sui social network ecc. • Monitoraggio ragionevole dell’uso dei computer da parte dei collaboratori • Politiche di uso di Internet, dei social media e della posta elettronica • Elaborazione di norme sull’uso appropriato di Internet da parte dei collaboratori Mancanza di impegno nei team virtuali/lavoro intellettuale • Abbassamento dei livelli di impegno perché è difficile osservare e identificare l’impatto del singolo sulla prestazione complessiva • Dedicarsi ad attività di routine non orientate al risultato • Ambiguità nella relazione tra sforzo e prestazione • Sottolineare la responsabilità individuale e reciproca nel raggiungimento degli obiettivi del team al momento di stabilire norme e ricompense • Garantire la presenza dei meccanismi adeguati per palesare e risolvere i conflitti all’interno del team • Proporre sia obiettivi di apprendimento che obiettivi di prestazione Fonte: estratto dalla Tabella 1 in R.E. Kidwell, “Loafing in the 21st Century: Enhanced Opportunities – and Remedies – for Withholding Job Effort in the New Workplace,” Business Horizons, novembre-dicembre 2010, pp. 543-52. CompOrga.indb 242 11/01/2013 16.35.20 Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci 11 Perché un servizio clienti eccellente somiglia a uno sport di squadra? Il direttore delle risorse umane di Wynn Resort, Arte Nathan, e il proprietario, Steve Wynn, prendono molto sul serio l’alchimia dei team. Una storia ormai leggendaria all’interno dell’organizzazione è un’esperienza vissuta da Wynn assieme alla sua famiglia soggiornando al Four Seasons durante una vacanza a Parigi. Avevano consumato la colazione in camera e la figlia di Wynn aveva mangiato solo metà del croissant ordinato, lasciando da parte la metà restante per consumarla durante la giornata. Di ritorno da una passeggiata alla scoperta della capitale francese, la bambina voleva mangiare la metà restante del croissant, che però era sparita, portata via dagli addetti alle pulizie. La figlia di Wynn era delusa. Il personale aveva dato per scontato che quel mezzo croissant andasse buttato via. Ma era andata davvero così? CompOrga.indb 243 Un led del telefono della stanza lampeggiava: era un messaggio dalla reception. Gli addetti alle pulizie avevano portato via il croissant ipotizzando che chi lo aveva conservato ne avrebbe preferito uno fresco. La reception aveva quindi contattato la cucina chiedendo di tenere da parte un croissant e il servizio in camera era stato informato che, su richiesta, avrebbe dovuto consegnarlo immediatamente. “Perché questa storia è così importante?” si domanda Nathan. “Il livello di lavoro di squadra e comunicazioni tra dipartimenti diversi è sorprendente. Tutti i partecipanti avevano ben chiaro il risultato, cioè la soddisfazione dell’ospite. E ciascuno ha accettato il suo ruolo nel rendere indimenticabile l’esperienza del cliente.”1 11/01/2013 16.35.20 244 Parte III I gruppi e i processi sociali Di primo acchito, la storia narrata nel caso di apertura sembra quasi irrilevante: d’altronde si trattava di un semplice croissant. Provate tuttavia a considerarla un’analogia al mondo dello sport, nel quale spesso è il gioco di squadra a fare la differenza; nell’economia attuale dei servizi, in molti casi un fattore decisivo per il successo è poter contare su collaboratori orientati al cliente e capaci di lavorare in team. Steve Wynn auspica che i suoi dipendenti facciano squadra per offrire agli ospiti un livello di soddisfazione pari a quello che ha sperimentato al Four Seasons di Parigi con la sua famiglia. Il concetto di capitale sociale, illustrato nel Capitolo 1, assume un significato molto concreto se pensiamo ai team e al lavoro in team. Il presente capitolo si concentrerà su come utilizzare al meglio il promettente potenziale del lavoro di gruppi e team. (1) Individueremo i diversi tipi di team di lavoro, (2) analizzeremo i fattori decisivi per il successo o il fallimento del team, (3) discuteremo elementi essenziali dell’efficacia del lavoro di gruppo, come la fiducia, (4) esploreremo le più recenti applicazioni del concetto di team, tra cui i team virtuali e i team auto-gestiti, e (5) esamineremo le tecniche di team building e la leadership dei team. Team di lavoro: tipi, efficacia e difficoltà Team: numero ridotto di persone aventi capacità complementari che si ritengono reciprocamente responsabili per scopo, obiettivi e approccio comuni Jon R. Katzenbach e Douglas K. Smith, consulenti manageriali della McKinsey & Company, ritengono che sia sbagliato utilizzare i termini gruppo e team come se fossero equivalenti. Dopo aver esaminato diversi tipi di team – da quelli sportivi a quelli aziendali e militari – sono arrivati alla conclusione che i team di successo tendono a brillare di luce propria. Katzenbach e Smith definiscono un team come “un numero limitato di persone aventi capacità complementari, impegnate per uno scopo comune, per il raggiungimento degli obiettivi e che condividono un approccio similare”.2 In relazione alla teoria dello sviluppo del gruppo di Tuckman, trattata nel Capitolo 10 (forming, storming, norming, performing e adjourning) i team sono gruppi di lavoro maturati fino alla fase performing (ma che non sono precipitati nella decadenza). A causa dei conflitti legati al potere e all’autorità e ai rapporti interpersonali instabili, molti gruppi di lavoro non arrivano mai a qualificarsi come un vero e proprio team.3 Katzenbach e Smith hanno spiegato tale differenza in questo modo: “L’essenza di un team è l’impegno comune; senza questo i gruppi lavorano come individui; con esso diventano una potente unità di performance collettiva” (tabella 11-1).4 Per un ottimo esempio del processo di trasformazione di un gruppo di individui in un team, vediamo come Skip Holtz ha creato una squadra di football vincente alla East Carolina University. Holtz, che è passato alla University of South Florida, ha lanciato un segnale forte quando ha incontrato per la prima volta il suo nuovo team al campus di Greenville (North Carolina): La prima cosa che fece fu togliere i nomi dei giocatori dalle magliette. “Andai via al termine del primo incontro con la netta sensazione di avere a che fare con una squadra molto egoista, concentrata su se stessa,” dice Holtz. “Non erano in molti a parlare di obiettivi e di una visione d’insieme. Bisognava cambiare la cultura e gli atteggiamenti, e cambiarli in fretta.” Nel 2004 Zack Slate, difensore esterno della prima linea difensiva, era una matricola e ricorda bene quel primo incontro: CompOrga.indb 244 11/01/2013 16.35.20 11 Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci Tabella 11-1 L’evoluzione di un team Fonte: riassunto e adattamento di J.R. Katzenbach e D.K. Smith, The Wisdom of Teams: Creating the High-Performance Organization (New York; HarperBusiness, 1999), p. 214. 245 Un gruppo di lavoro diventa un team quando 1. La leadership diventa attività condivisa. 2. La responsabilità, da strettamente individuale, diventa sia individuale che collettiva. 3. Il gruppo sviluppa un proprio scopo o una missione. 4. Il problem-solving diventa uno stile di vita, non un’attività part-time. 5. L’efficacia viene misurata dai risultati e dai prodotti collettivi del gruppo. “Tanti ragazzi della squadra erano divisi in tanti modi. Non c’era un senso del team” afferma Slate. “L’allenatore Holtz iniziò a crearlo dal nulla con disciplina e precisione.”5 Quando Katzenbach e Smith, nella loro definizione, fanno riferimento a “un numero limitato di persone”, parlano di un team formato da un numero di elementi compreso tra 2 e 25. Hanno scoperto che i team efficaci sono formati solitamente da meno di 10 membri. Una tipologia generale dei team di lavoro I team di lavoro sono creati per vari scopi e affrontano, pertanto, sfide diverse. I manager riescono ad affrontare più efficacemente tali sfide quando capiscono quali differenze caratterizzano i team. Un modo utile per rendere le cose più chiare è quello di considerare una tipologia di team di lavoro elaborata da Eric Sundstrom e i suoi colleghi.6 Quattro tipi generici elencati nella tabella 11-2 sono (1) supporto, (2) produzione, (3) progetto e (4) azione. Ciascuna di tali etichette identifica uno scopo di base. I team di supporto, ad esempio, si occupano generalmente di dare consigli in merito a decisioni manageriali. Raramente sono responsabili per la decisione finale. I team di produzione e azione, invece, attuano le decisioni manageriali. Quattro variabili chiave, indicate nella tabella 11-2, si occupano di specializzazione tecnica, coordinamento, cicli di lavoro e risultati. Il livello di specializzazione tecnica è basso quando il team punta sull’esperienza generale e sulla capacità di problem-solving dei suoi membri; è invece alto quando è richiesto ai membri del team di applicare capacità tecniche acquisite nel corso degli studi o durante una formazione avanzata. Il grado di coordinamento con altri team di lavoro è determinato dalla rispettiva indipendenza (basso coordinamento) o interdipendenza (alto coordinamento) del team. Per cicli di lavoro si intende il tempo necessario ai team per portare a termine le missioni. I vari risultati elencati nella tabella 11-2 hanno lo scopo di illustrare gli impatti sulla vita reale.7 Team di supporto I team di supporto sono creati per ampliare la base informativa per le decisioni manageriali. Dispongono tendenzialmente di un basso grado di specializzazione tecnica; anche il grado di coordinamento è basso, perché tali team lavorano perlopiù indipendentemente. Comitati organizzati per una determinata occasione (ad esempio, i comitati annuali per la festa di Natale) sono caratterizzati da cicli vitali più brevi rispetto a quelli di comitati permanenti (ad esempio, il comitato interno per la discussione delle lamentele del personale). CompOrga.indb 245 11/01/2013 16.35.20 Parte III 246 I gruppi e i processi sociali Tabella 11-2 Quattro tipi generici di team di lavoro e i relativi risultati Tipi ed esempi Supporto Comitati Gruppi, consigli di revisione Circoli di qualità Gruppi di coinvolgimento di collaboratori Comitato consultivo Grado di specializzazione tecnica Grado di coordinamento con le altre unità di lavoro Cicli lavorativi Risultati tipici Basso Basso I cicli lavorativi possono essere brevi o lunghi; la durata di un ciclo può essere pari a quella della vita del team Decisioni Selezioni Suggerimenti Proposte Consigli Alto I cicli di lavoro generalmente ripetuti o a processo continuo; i cicli possono spesso essere più brevi della vita del team Cibo, prodotti chimici Componenti Assemblati Vendite al dettaglio Assistenza ai clienti Riparazioni delle attrezzature Alto Basso (per le unità tradizionali); alto (per le unità interfunzionali) I cicli lavorativi si differenziano generalmente per ogni nuovo progetto; la durata di un ciclo può essere pari a quella della vita del team Piani, progetti Indagini Presentazioni Prototipi Relazioni, scoperte Alto Alto Episodi brevi di performance, spesso ripetuti in base a nuove condizioni, che richiedono un’ampia preparazione o una formazione Missioni di combattimento Spedizioni Contratti, cause legali Concerti Operazioni chirurgiche Competizioni Assistenza in casi di estrema emergenza Produzione Team di assemblaggio Basso Gruppi di produzione Team minerari Equipaggio di assistenza sugli aerei Gruppi di elaborazione dei dati Equipaggio di mantenimento Progetto Gruppi di ricerca Team di pianificazione Team di architetti Team di ingegneri Team di sviluppo Team speciali Azione Squadre sportive Gruppi di intrattenimento Spedizioni Team di negoziazione Team di chirurghi Equipaggi di piloti e pattuglie Team di poliziotti e vigili del fuoco Fonte: estratto e adattato da E. Sundstrom, K.P. De Meuse, “Work Teams,”American Psychologist, febbraio 1990, p. 125. Team di produzione Questo secondo tipo di team è responsabile dello svolgimento di operazioni quotidiane. Una formazione minima per lavori di routine spiega il basso grado di specializzazione tecnica; il grado di coordinamento è invece tipicamente alto poiché il lavoro passa da un team all’altro. Le squadre di manutenzione ferroviaria, ad esempio, devono essere costantemente aggiornate dalle squadre addette ai treni in merito alle riparazioni necessarie; tali squadre, a loro volta, devono sapere esattamente dove stanno lavorando le squadre addette alla manutenzione. CompOrga.indb 246 11/01/2013 16.35.20 11 Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci 247 Team di progetto L’esecuzione di progetti richiede una predisposizione creativa al problem-solving che spesso implica l’applicazione di conoscenze specializzate. Dato che i progetti sono finalizzati al raggiungimento di un risultato specifico (ad esempio, sviluppare un nuovo vaccino, realizzare un film o costruire un grattacielo), il fattore tempo è essenziale e il team può sciogliersi dopo il completamento del progetto. Attualmente, nell’ambito dello sviluppo dei prodotti, si tende a ricorrere a team interfunzionali che associano specialisti in produzione, marketing e finanza provenienti da tutto il mondo. Consideriamo l’esempio del laptop ThinkPad X300 Lenovo: Come gran parte degli altri ThinkPad, anche questo è nato negli Stati Uniti. I pianificatori, i leader di progetto e alcuni dei designer si trovano in North Carolina, mentre il lavoro di design e ingegneria è svolto da un team di Yamato, in Giappone. La produzione e l’acquisto avvengono invece a Shenzhen, in Cina.8 Un team di progetto specializzato in tecnologia come questo richiede un alto grado di coordinamento e pratiche di comunicazione efficaci. Team di azione Quest’ultimo tipo di team trova la sua esemplificazione migliore in una squadra di baseball; un alto grado di specializzazione si combina a un alto grado di coordinamento. Nove atleti, allenati intensamente, giocano nelle specifiche posizioni di difesa. Un buon gioco di difesa non è tuttavia sufficiente, in quanto è necessario anche un efficace attacco. Anche il coordinamento tra l’allenatore, i giocatori alle basi, i capo base e la zona di riscaldamento deve essere preciso. La stessa cosa vale, per citare altri esempi, per gli equipaggi aerei, per le squadre di vigili del fuoco, per le unità chirurgiche, per le spedizioni di scalatori, per i gruppi rock, per i team addetti alla negoziazione di contratti di lavoro e per i corpi speciali di polizia. Una sfida unica, per i team d’azione, consiste nel dare prova, su richiesta, di un’eccellente prestazione.9 Queste quattro tipologie di team di lavoro non sono statiche, ma dinamiche e mutevoli; alcune si evolvono da una tipologia all’altra, altre rappresentano una combinazione di tipologie. Consideriamo, ad esempio, il lavoro svolto da un team della General Foods: “L’azienda ha lanciato una linea di dessert pronti da consumare, riunendo un team formato da nove persone che avevano la libertà di agire come se fossero degli imprenditori alle prese con il lancio del loro business.”10 Questo tipo particolare di team era una combinazione tra un team di supporto e uno di progetto. Il team della General Foods, in altre parole, ha svolto tutto il lavoro tranne quello di produrre da sola il prodotto in questione (compito affidato al team di produzione). Efficacia dei team di lavoro L’efficacia di un team di atleti sta semplicemente nel fatto di vincere o perdere. Le cose sono però più complicate quando si tratta di team di lavoro nelle organizzazioni di oggi.11 La figura 11-1 elenca due criteri di efficacia per i team di lavoro: la prestazione e la vitalità. Concettualmente, il primo è molto semplice da comprendere: il team ha portato a termine il compito? Il secondo criterio è più sottile e spesso viene ignorato o sottova- CompOrga.indb 247 11/01/2013 16.35.21 Parte III 248 I gruppi e i processi sociali Figura 11-1 Efficacia dei team di lavoro Fonti: adattato in parte da E. Sundstrom, K.P. DeMeuse e D. Futrell, “Work Teams,” American Psychologist, febbraio 1990, pp. 120-33; e da C.A. Beatty e B.A. Barker Scott, Building Smart Teams: A Roadmap to High Performance (Thousand Oaks, CA: Sage, 2004), pp. 5-8. Vitalità del team: i membri del team sono soddisfatti e vogliono offrire il loro contributo Organizzazione orientata ai team Team di lavoro • Individui con competenze di lavoro di team • Efficace lavoro di team Criteri di efficacia del team 1. Performance Il risultato del team corrisponde alle aspettative degli utenti 2. Vitalità Membri soddisfatti della esperienza di team Membri disposti a continuare a contribuire allo sforzo del team lutato, causando però un danno per l’organizzazione nel lungo periodo. La vitalità del team è definita come la soddisfazione dei membri del team e il loro desiderio costante di offrire il proprio contributo. I singoli individui traggono vantaggi o svantaggi dalla loro partecipazione agli sforzi comuni? Un team di lavoro non si può dire realmente efficace se porta a termine il suo compito ma si auto-distrugge nel corso del processo, oppure arriva a logorare le persone. Come indicato in figura 11-1, i team di lavoro necessitano di un sistema di supporto per essere efficaci: devono quindi essere appoggiati da un’organizzazione orientata ai team. La possibilità dei team di essere efficienti è molto più elevata se sono assistiti e aiutati dall’organizzazione. L’obiettivo del team deve essere in armonia con la strategia dell’organizzazione, e parimenti la sua partecipazione e autonomia richiedono una cultura organizzativa che valorizzi tali processi. I membri hanno, inoltre, bisogno di strumenti tecnologici appropriati, una programmazione ragionevole e adeguata formazione. Il lavoro di gruppo deve essere consolidato dal sistema di ricompense dell’organizzazione,12 cosa che non avviene se le remunerazioni e i bonus sono legati esclusivamente al risultato individuale. Per un esempio positivo, vediamo che cosa è accaduto alla Cisco Systems, azienda produttrice di dispositivi per Internet: [Il CEO John] Chambers […] ha fatto del lavoro di team una componente essenziale dei piani bonus dei dirigenti, legando il 30% dei bonus [annuali] a quanto collaborano reciprocamente. “Così facendo, si tende a formalizzare la discussione su come aiutarsi a vicenda” afferma Sue Bostrom, a capo del gruppo di consulenza Internet della Cisco.13 I membri necessitano di competenze di lavoro di team Due buoni punti di partenza per dare vita a un team efficace sono creare team nell’ambiente di lavoro e incoraggiare i collaboratori a dimostrarsi buoni membri del team. Nell’attuale contesto economico, CompOrga.indb 248 11/01/2013 16.35.21 11 Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci 249 Tabella 11-3 Quanto sono sviluppate le vostre competenze di lavoro di team? Orientare il team verso una situazione di problem solving Guidare il team verso una visione comune della situazione o del problema. Identificare gli elementi importanti di una situazione problematica. Ricercare dati rilevanti legati alla situazione o al problema. Fonte: da G. Chen, L.M. Donahue e R.I. Klimoski, “Training Undergraduates to Work in Organizational Teams,” Academy of Management Learning and Education, marzo 2004, App. A, p. 40. Organizzare e gestire la prestazione del team Aiutare il team a stabilire obiettivi collettivi specifici, sfidanti e accettati. Monitorare, valutare e fornire feedback sulla prestazione del team. Identificare strategie alternative oppure stabilire una nuova allocazione delle risorse in risposta ai risultati del feedback. Favorire un ambiente di team positivo Contribuire a creare e rafforzare norme di tolleranza, rispetto ed eccellenza. Riconoscere e lodare l’impegno degli altri membri, aiutarli e sostenerli. Mettere in pratica un modello del comportamento auspicato all’interno di un team. Promuovere e gestire il conflitto di team Incoraggiare i conflitti auspicabili e scoraggiare quelli indesiderati. Riconoscere la tipologia e la causa dei conflitti affrontati dal team e mettere in atto una strategia risolutiva adeguata. Impiegare strategie di negoziazione “win-win” per risolvere i conflitti di team. Proporre adeguatamente la propria prospettiva Difendere preferenze esplicite, sostenere un particolare punto di vista e resistere alla pressione senza cambiare posizione per un’alternativa non suffragata da argomentazioni logiche o basate sulla conoscenza. Modificare la propria posizione quando altri membri del team avanzano argomentazioni valide. Difendere la propria posizione con fare cortese e amichevole. tuttavia, questo non basta.14 Jeff Zucker, presidente di NBC Universal Television Group, spiega: La sfida più complessa è fare in modo che il nuovo team massimizzi il nostro potenziale e aderisca a una sola cultura. Abbiamo collaboratori dotati di una forte personalità ed estremamente bravi nel proprio lavoro. Vorrei che ciascuno di loro si sentisse il migliore, ma riuscisse a lavorare in team insieme con gli altri.15 In sintesi, poiché il gruppo di leadership non si era amalgamato in un vero team, come definito in precedenza, la leadership del gruppo da parte di Zucker doveva accertarsi che i suoi collaboratori fossero dotati delle competenze di lavoro di team illustrate nella tabella 11-3. Le abilità e le competenze di lavoro di team devono essere insegnate e mostrate mediante modelli di ruolo. Tra le caratteristiche illustrate nella tabella 11-3, particolare importanza assumono le capacità di problem soving del gruppo, di mentoring e di gestione del conflitto. Quali sono le caratteristiche di un team di lavoro efficace? Purtroppo i termini team e lavoro di team vengono impiegati in maniera piuttosto casuale. Numerosi gruppi di lavoro sono denominati team, pur non presentando affatto le caratteristiche proprie di un team. Il vero lavoro di team necessita di uno sforzo collettivo concertato (vedi tabella 11-4) e richiede tolleranza, esercizio e apprendimento tramite esperimenti ed errori.16 Utilizzando come guida la tabella 11-4, avete mai vissuto l’esperienza del vero lavoro in team? CompOrga.indb 249 11/01/2013 16.35.21 Parte III 250 I gruppi e i processi sociali Tabella 11-4 Caratteristiche di un team efficace 1. Scopo chiaro 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. La visione, la missione, l’obiettivo o compito del team è stato definito e accettato da ciascun membro. Esiste un piano d’azione Informalità L’atmosfera è tendenzialmente informale, gradevole e rilassata. Non si notano tensioni palesi o segni di noia. Partecipazione La discussione è accesa e tutti sono invitati a partecipare. Ascolto I membri ricorrono a efficaci tecniche di ascolto come il porre domande, parafrasare e riassumere al fine di trovare nuove idee. Disaccordo civile Vi è disaccordo, ma il team è a proprio agio e non da segno di voler evitare, appianare o eliminare il conflitto. Decisioni consensuali Per le decisioni importanti l’obiettivo è rilevante, ma non necessariamente un accordo unanime raggiunto tramite la discussione aperta delle idee di ciascuno membro, l’elusione di una votazione formale o i facili compromessi. Comunicazione aperta I membri del team si sentono liberi di esprimere i loro pareri sui compiti da svolgere nonché sull’operato del gruppo. Esistono pochi obiettivi occulti. La comunicazione ha luogo al di fuori delle riunioni Ruoli chiari Vi sono chiare aspettative sui ruoli ricoperti da ciascun membro del gruppo. Quando si agisce e assegnazione le assegnazioni sono chiare, accettate e portate a termine. Vi è un’equa distribuzione del lavoro dei compiti tra i membri del team Leadership condivisa Mentre il team dispone di un leader formale, le funzioni di leadership variano da un momento all’altro a seconda delle circostanze, delle necessità del gruppo e dalle capacità dei membri. Il leader formale assume il comportamento appropriato e aiuta a stabilire norme positive Relazioni esterne Il team trascorre del tempo sviluppando relazioni chiave con elementi esterni al team, mobilitando risorse e costruendo credibilità con importanti attori in altre parti dell’organizzazione Diversità di stile Il team è caratterizzato da una vasta gamma di tipi di teamplayer inclusi i membri che pongono l’attenzione al compito, all’obiettivo, al processo e a domande che riguardano il funzionamento del team Auto-valutazione Con scadenza periodica il team si ferma a esaminare la qualità del suo funzionamento e quali elementi potrebbero interferire con la sua efficacia Fonte: G.M. Parker, Team Players and Teamwork: The New Competitive Business Strategy (San Francisco: Jossey-Bss, 1990), tabella 2, p. 33. Copyright © 1990 Jossey-Bass Inc. Ristampa per concessione di John Wiley & Sons, Inc. Perché i team di lavoro falliscono? Coloro che sostengono un approccio di management incentrato sul team ne danno un’immagine ottimistica e positiva; ciononostante ci sono degli aspetti negativi.17 Pur non esistendo dati statistici che lo provano, può accadere, e accade spesso, che i team falliscano. Chiunque consideri l’uso di strutture di team sul posto di lavoro ha bisogno di uno schema di quelli che sono i possibili vantaggi e limiti. Frequenti errori di gestione dei team Stando a quanto riportato al centro della figura 11-2, ciò che principalmente minaccia l’efficacia di un team sono le aspettative irrealistiche che portano alla frustrazione che, a sua volta, induce le persone ad abbandonare il team. Sia i manager che i membri dei team possono esserne vittime. Sul lato sinistro della figura 11-2 è riportata una lista di frequenti errori manageriali, che implicano generalmente la scarsa capacità di creare un ambiente di supporto per il team e per il lavoro di gruppo. CompOrga.indb 250 11/01/2013 16.35.21 11 Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci Figura 11-2 Perché i team falliscono Fonti: adattamento della discussione tratta da S.R. Rayner, “Team Traps: What They Are, How to Avoid Them,” National Productivity Review, estate 1996, pp. 101-15; L. Holpp e R. Phillips, “When is a Team Its Own Worst Enemy?”, Training, settembre 1995, pp. 71-82; B. Richardson, “Why Work Team Flop – and What Can Be Done about It,” National Productivity Review, inverno 1994/1995, pp. 9-13; e C.O. Longenecker e M. Neubert, “Barriers and Gateways to Management Cooperatione and Teamowrk,” Business Horizons, settembre-ottobre 2000, pp. 37-44. 251 Errori tipici del management • I team non riescono a superare strategie deboli e scadenti pratiche aziendali • Ambiente ostile per il team (cultura del comando e del controllo; piani di ricompense individuali e competitivi; resistenza al management) • Team usati come ultima moda, nessun impegno a lungo termine • Lezioni non trasmesse da un team all’altro (limitata sperimentazione con i team) • Compiti assegnati vaghi o contrastanti • Formazione sulle capacità di team inadeguata • Selezione scadente Aspettative irrealizzabili dei membri che sfociano • Mancanza di fiducia in frustrazione Tipici problemi sperimentati dai membri del team • Il team tenta di portare a termine troppe cose in troppo poco tempo • Conflitti sulle differenze degli stili lavorativi personali (e/o conflitti personali) • Troppa importanza data ai risultati, rispetto ai processi e alle dinamiche di gruppo • Ostacoli imprevisti portano a rinunciare • Resistenza a voler agire in modo diverso • Mediocri abilità interpersonali (comunicazione aggressiva piuttosto che assertiva, conflitto distruttivo, negoziazione del tipo win-lose) • Scarsa alchimia interpersonale (i solitari, i dominatori, gli esperti autonominatisi non si adattano a una dinamica di team) • Mancanza di fiducia Problemi dei membri del team La parte in basso a destra della figura 11-2 elenca i problemi più frequenti che i membri dei team si trovano ad affrontare. Contrariamente a quanto dicono i critici della Teoria X a proposito della mancanza di motivazione e di creatività utili al lavoro di gruppo vero e proprio, è fattore comune nei team intraprendere troppe cose troppo velocemente ed estenuarsi troppo per raggiungere al più presto i risultati. Importanti dinamiche di gruppo e capacità individuali si perdono nella corsa al risultato. Le aspettative degli individui, di conseguenza, devono essere considerate realizzabili sia da parte del management sia dei membri stessi del team. I team, inoltre, devono essere scoraggiati dall’abbandonare la loro posizione, quando incorrono in un ostacolo imprevisto. Il fallimento fa parte del processo di apprendimento dei team come pure nella vita reale. Una formazione completa sulle capacità interpersonali può prevenire molti problemi tipici del lavoro di gruppo. CompOrga.indb 251 11/01/2013 16.35.21 Parte III 252 I gruppi e i processi sociali Lavoro di team efficace tramite cooperazione, fiducia e coesione Con l’aumento della pressione competitiva gli esperti sostengono che il successo organizzativo dipenderà, in forma sempre più frequente, dal lavoro di gruppo piuttosto che da quello di individui eccellenti. Non vi è luogo a miglior sostegno di tale affermazione che gli ospedali; immaginate voi stessi, o un vostro caro, coinvolti in questa terribile situazione: Una donna di 67 anni è stata ricoverata all’ospedale a causa di un aneurisma cerebrale – un indebolimento dei vasi sanguigni nel cervello. I medici l’hanno visitata e poi mandata nella sua stanza. Il giorno successivo la donna è stata spostata, tra tutti quelli possibili, nel reparto di cardiologia, dove un medico le ha messo un catetere nel cuore, prima che qualcuno si accorgesse che si trattava della paziente sbagliata. La procedura è stata interrotta e la paziente è guarita.18 Dopo aver esaminato il caso citato i ricercatori hanno constatato la necessità di una migliore comunicazione e un più efficace lavoro di gruppo. Che il contesto sia un ospedale o un’azienda, i tre fondamentali elementi del lavoro di team sono la cooperazione, la fiducia e la coesione. Esaminiamo in che modo ciascuno di essi contribuisce all’efficacia del lavoro di team. Cooperazione Si parla di individui cooperativi quando i loro sforzi sono sistematicamente integrati al fine di realizzare un comune obiettivo.19 Più gli individui sono integrati più alto sarà il grado di cooperazione. Cooperazione vs competizione La maggior parte dei manager sostiene che “la concorrenza fa emergere il meglio delle persone”. Da un punto di vista economico la sopravvivenza del business dipende dal superamento della concorrenza; da un punto di vista interpersonale, invece, la critica sostiene che sia stato dato troppo valore alla competizione a scapito della cooperazione.20 Sandra Dawson, esperta di cambiamento organizzativo e docente di management all’Università di Cambridge, ha di recente proposto queste interessanti riflessioni: Sono una strenua sostenitrice della collaborazione … [Dico sempre ai miei studenti] “non avete bisogno di lezioni sulla competizione: sarete competitivi come chiunque altro, perché siete qui e sapete bene dove volete arrivare. Non sono altrettanto sicura rispetto alla vostra capacità di collaborare, che potrebbe risultare il fattore decisivo di differenziazione nel contesto economico globalizzato del futuro.” Ho notato che le donne sono più propense a riconoscere l’importanza della collaborazione, mentre gli uomini si dimostrano più restii. Probabilmente gli uomini fanno più fatica a guardare oltre se stessi e le persone simili a loro. Devono vedere valore nell’“Altro”, che per definizione avrà interessi e modi di pensare diversi. CompOrga.indb 252 11/01/2013 16.35.21 11 Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci 253 Insegniamo ai ragazzi la collaborazione dimostrandone l’efficacia in situazioni concrete [attraverso progetti di gruppo con aziende locali] … I gruppi devono rispettare scadenze molto strette e possono riuscirci solo se ciascuno contribuisce tirando fuori il meglio di sé e non si consente a uno dei membri di dominare da nessun punto di vista.21 Sostegno della ricerca alla cooperazione Sulla base di una meta-analisi comprensiva di 122 studi che includono un’ampia varietà di argomenti e situazioni, un gruppo di ricercatori ha tratto le conclusioni che seguono. 1. La cooperazione è superiore alla competizione nel promuovere il raggiungimento dei risultati e la produttività. 2. La cooperazione è superiore agli sforzi individualistici nel promuovere il raggiungimento dei risultati e la produttività. 3. La cooperazione senza la competizione tra gruppi favorisce una migliore capacità di raggiungere i risultati e una maggiore produttività rispetto alla cooperazione unita alla concorrenza tra gruppi.22 Considerate la dimensione e la diversità della base di tale ricerca, i risultati appoggiano fortemente la cooperazione nelle organizzazioni moderne; è possibile incoraggiarla tramite sistemi di ricompensa che rafforzino il lavoro di gruppo oltre che il risultato del singolo individuo. È interessante notare come la cooperazione possa essere incoraggiata molto semplicemente abbattendo delle barriere o non costruendole per niente. Uno studio recente condotto su 229 manager e professionisti provenienti da otto piccole imprese si è rilevato molto utile: I ricercatori hanno osservato gli effetti degli uffici privati, di quelli condivisi e degli scomparti a cubicoli sulla produttività, e sono rimasti inizialmente sorpresi del fatto che la più alta performance fosse correlata con la configurazione dell’ufficio aperto, pensato per un team di piccole dimensioni (con scrivanie distribuite in ordine sparso su una piccola area senza pareti divisorie). Essi hanno inoltre appurato come tale configurazione dell’ufficio fosse in particolar modo preferita dai collaboratori più giovani, i quali sostengono che gli uffici aperti danno loro maggiori opportunità di comunicare con i colleghi e di apprendere dalle persone più anziane e con maggiore esperienza.23 Vi è una tendenza, tra gli architetti e i pianificatori urbanistici, a progettare e costruire strutture che favoriscono l’interazione spontanea, la cooperazione e il lavoro di gruppo. Fiducia La fiducia, nel mondo aziendale, non ha incontrato momenti favorevoli: anni di sprechi di denaro pubblico, disoccupazione elevata, crisi finanziaria, bonus gonfiati per dirigenti, CompOrga.indb 253 11/01/2013 16.35.22 254 Parte III I gruppi e i processi sociali scandali aziendali e promesse non mantenute hanno reso, a ragione, molti collaboratori, piuttosto cinici nel riporre fiducia nelle parole e nell’operato del management.24 D’altra parte, “in uno studio condotto dalla MasterWorks, Annandale, in Virginia, su 500 uomini d’azienda, il 95% ha dichiarato che ciò che principalmente determina la decisione di abbandonare o no il posto di lavoro è l’avere un rapporto di fiducia con il proprio manager.”25 Occorre, chiaramente, agire in modo attivo per chiudere l’enorme divario di fiducia, soprattutto tra i collaboratori e il top management. Nella presente sezione esamineremo il concetto di fiducia e presenteremo sei linee guida per costruirla nella pratica. Fiducia: credito reciproco alle intenzioni e ai comportamenti altrui Un salto cognitivo La fiducia si definisce come il credito reciproco nelle intenzioni e nel comportamento altrui.26 L’aspetto di reciprocità della fiducia (dare e avere) è essenziale: abbiamo la tendenza, in altre parole, a dare ciò che riceviamo, quindi la fiducia genera fiducia; la sfiducia genera sfiducia. Studiando le misure specifiche adottate dalla 3M per costruire la fiducia tra i 75.000 dipendenti dislocati in 200 paesi, alcuni esperti in gestione delle risorse umano hanno di recente osservato: La fiducia, che è tutto nei rapporti, è la convinzione che l’altro farà la cosa più giusta per noi anche se non siamo in grado di confermarlo. La fiducia permette agli individui legati da un rapporto di assumere dei rischi perché entrambi ritengono che l’altro agirà solo dopo aver considerato le conseguenze delle sue azioni sul rapporto. La fiducia è l’elemento che incoraggia i collaboratori a profondere tutte le loro energie e tutto il loro impegno nel lavoro.27 Propensione alla fiducia: aspetto della personalità che implica la generale disposizione della persona a riporre fiducia negli altri La fiducia può anche essere molto fragile, come ci ricorda il noto giornalista economico Harvey Mackay: “occorrono anni per costruire la fiducia, basta un secondo per distruggerla.”28 Appropriatamente, una nuova linea di ricerca nell’ambito del management è incentrata proprio sulla ricostruzione della fiducia, organizzativa e interpersonale.29 Un modello di fiducia organizzativa include un aspetto della personalità chiamato propensione alla fiducia. Gli ideatori di tale modello forniscono la seguente spiegazione: Questa propensione può essere intesa come la generica disponibilità a fidarsi degli altri, che determinerà il grado di fiducia nei confronti di una persona prima di poter avere su di lei alcune informazioni. Persone caratterizzate da esperienze di sviluppo, tipi di personalità e background culturali diversi mostrano un differente grado di propensione alla fiducia. […] Un esempio di caso estremo, a questo proposito, è dato da quella che comunemente è definita fiducia cieca. Alcuni hanno la tendenza a riporre ripetutamente la loro fiducia in situazioni nelle quali, la maggior parte delle persone non ne riporrebbe alcuna. Altri, al contrario, non sono disposti a fidarsi nella maggior parte delle situazioni, anche quando le circostanze suggerirebbero un comportamento opposto.30 La fiducia implica “un ‘salto’ cognitivo oltre le aspettative che la ragione e l’esperienza da sole garantirebbero”31 (figura 11-3). Supponiamo, ad esempio, che una persona che partecipa a un progetto di gruppo si impegni a fondo sulla base del presupposto che anche i suoi compagni si comportino nello stesso modo; l’assunto sul quale basa la sua CompOrga.indb 254 11/01/2013 16.35.22 11 Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci Figura 11-3 La fiducia interpersonale implica un salto cognitivo 255 Salto cognitivo Fede nelle buone intenzioni altrui. Assunto che gli altri si comporteranno come noi desideriamo Conoscenza personale dell’affidabilità e integrità altrui Sfiducia Fiducia fiducia è un salto cognitivo che va oltre la sua effettiva esperienza con i suoi compagni. Quando ti fidi di qualcuno credi nelle sue buone intenzioni. Porre la propria fiducia in qualcuno, tuttavia, implica il rischio che questa sia tradita. Manager all’avanguardia reputano che i vantaggi della fiducia tra le persone siano superiori al rischio di vedere tradita tale fiducia. Michael Powell, ad esempio, fondatore più di 25 anni fa della catena di librerie omonime, ha costruito la sua impresa basandosi sui principi della gestione “a libro aperto”, sull’empowerment e la fiducia. La propensione di Powell alla fiducia è stata messa a dura prova nel momento in cui uno dei suoi collaboratori ha rubato più di 60.000 dollari durante l’acquisizione di libri di seconda mano. Dopo aver introdotto alcun sistemi di controllo della contabilità, la propensione alla fiducia di Powell è rimasta intatta. Ecco quanto ha osservato: L’accaduto ha determinato una svolta per me e il mio staff, portandoci a eliminare qualunque forma di ingenuità che abbiamo potuto avere in merito a un atto criminoso. Non solo ci siamo resi conto che il furto può verificarsi, ma che si verificherà. Gestire questa questione ci ha costretto, allo stesso tempo, a rivedere i nostri valori e la nostra filosofia manageriale. Riteniamo che le imprese moderne cerchino uno staff flessibile e con pieni poteri e questo implichi che tale staff dovrà spesso gestire merci di valore e denaro. Riteniamo inoltre che nella maggior parte dei casi le persone non abuseranno della fiducia in loro riposta se collocate in una posizione con il giusto livello di controlli e responsabilità.32 Come costruire la fiducia Fernando Bartolomé, professore e consulente aziendale, propone le seguenti sei linee guida per costruire e conservare la fiducia: 1. Comunicazione. Tenere aggiornati i membri dei team e i collaboratori spiegando loro le politiche e le decisioni e fornendo un adeguato feedback. Essere franchi nel discutere i problemi e i limiti di un individuo. Dire la verità. 2. Sostegno. Mostrare disponibilità e apertura, fornire aiuto, consiglio e sostegno alle idee dei membri del team. 3. Rispetto. La delega, sotto forma di una reale autorità decisionale, rappresenta la più importante espressione di rispetto manageriale. L’ascolto attivo delle idee altrui si CompOrga.indb 255 11/01/2013 16.35.22 Parte III 256 I gruppi e i processi sociali piazza secondo a breve distanza (l’empowerment, che analizzeremo nel Capitolo 15, non è possibile senza fiducia). 4. Lealtà. Riconoscere con rapidità i meriti dei collaboratori. Assicurarsi che tutti gli apprezzamenti e le valutazioni delle prestazioni siano obiettivi e imparziali. 5. Prevedibilità. Come accennato in precedenza, si deve essere coerenti e prevedibili nelle proprie azioni quotidiane. Mantenere sia le promesse fatte sia quelle implicite. 6. Competenza. Valorizzare la credibilità dimostrando buone competenze nel business, capacità tecnica e professionalità.33 Credibilità: effetto di integrità, intenti, capacità e risultati La fiducia bisogna guadagnarsela, non si può pretendere, ed è strettamente legata alla credibilità, cioè allo “sviluppo dell’integrità, degli intenti, delle capacità e dei risultati che rendono credibili ai propri occhi e agli occhi degli altri”.34 Quanto siete credibili e affidabili? E quanto lo sono coloro che vi circondano nella vita privata e professionale? Coesione Coesione: un senso di unione che aiuta il gruppo a restare unito La coesione è un processo attraverso il quale “emerge un senso di “pluralità’ che supera le differenze e le motivazioni individuali”.35 I membri di un gruppo coeso restano uniti e sono riluttanti ad abbandonarlo, in quanto: (1) apprezzano la reciproca compagnia, oppure (2) hanno bisogno uno dell’altro per perseguire un obiettivo comune. I sociologi, di conseguenza, hanno individuato due tipi di coesione: la coesione socio emotiva e la coesione strumentale.36 Coesione socioemotiva: senso di unione basato sulla soddisfazione emotiva Coesione socio-emotiva e strumentale La coesione socio-emotiva è un senso di unione che si sviluppa quando gli individui traggono soddisfazione emotiva dalla partecipazione nell’attività di gruppo. In linea con questa affermazione, recenti ricerche dimostrano che la condivisione di esperienze emotivamente intense (per esempio, la temuta visita dal dentista) tendono a favorire la creazione di legami tra gli individui.37 Le discussioni più generiche sulla coesione di gruppo si limitano a questo tipo. Se, però, consideriamo le cose dal punto di vista della realizzazione dei compiti dei team e dei gruppi, non possiamo permetterci di ignorare la coesione strumentale. Per coesione strumentale si intende un senso di unione che si sviluppa quando i membri dei gruppi sono legati da reciproca dipendenza perché ritengono di non poter essere in grado di perseguire l’obiettivo del gruppo operando da soli. Una sensazione di pluralità è strumentale nel raggiungimento dell’obiettivo comune. I sostenitori del team partono, generalmente, dal presupposto che entrambi i tipi di coesione sono essenziali ai fini di un lavoro di gruppo produttivo. Ma è proprio vero? Una meta-analisi non ha trovato collegamenti significativi tra la coesione e la qualità delle decisioni di gruppo. Comunque i risultati hanno sostenuto l’ipotesi proposta da Janis secondo la quale gruppi coesi e con forte leadership tendono a soffrire di groupthink: i gruppi i cui membri mostravano un grande apprezzamento reciproco tendevano a generare decisioni di qualità peggiore.38 Coesione strumentale: senso di unione basato sulla dipendenza reciproca necessaria al raggiungimento dell’obiettivo Trarre effetti positivi dalla coesione del gruppo La ricerca afferma che la coesione di gruppo non è un’arma segreta per migliorare la performance del gruppo o del team. CompOrga.indb 256 11/01/2013 16.35.22 11 Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci Tabella 11-5 Passi che i manager devono fare per aumentare i due tipi di coesione di gruppo 257 Coesione socio-emotiva Mantenere gruppi di dimensioni ridotte. Impegnarsi a favore di un’immagine pubblica di un certo livello al fine di aumentare lo status e il prestigio di appartenere al team. Favorire l’interazione e la cooperazione. Valorizzare gli interessi e le caratteristiche comuni dei membri. Far presente le minacce ambientali (es. i risultati dei concorrenti) al fine di mobilitare il gruppo. Coesione strumentale Aggiornare e chiarire con regolarità l’obiettivo/gli obiettivi del gruppo. Fornire a ciascun membro del gruppo un ruolo concreto nell’azione del team. Incanalare le doti speciali di ciascun membro verso l’obiettivo/gli obiettivi comuni. Riconoscere e avvalorare equamente i contributi di ciascun membro. Ricordare spesso ai membri del gruppo che hanno bisogno l’uno dell’altro per portare a termine il compito assegnato. Il trucco sta nel mantenere i gruppi di lavoro di piccole dimensioni, assicurarsi che gli standard di performance e gli obiettivi siano chiari e accettati, registrare in anticipo alcuni successi e seguire i suggerimenti riportati nella tabella 11-5. Un esempio valido, a questo proposito, ci è dato dall’impianto radar elettronico militare, altamente automatizzato della Westinghouse, situato a College Station, in Texas. Paragonato con i suoi equivalenti di una fabbrica tradizionale di Baltimora, ciascuno dei 500 dipendenti negli impianti texani fornisce, per ciascuna unità, una produzione otto volte superiore e alla metà dei costi. Il segreto, afferma la Westinghouse, non sono le macchine ma le persone: i collaboratori lavorano in team composti da un numero compreso tra gli 8 e i 12 elementi. I membri escogitano soluzioni ai problemi; i team valutano quotidianamente la misura in cui la performance del singolo sia paragonabile con quella di altri membri e come la performance dei team sia paragonabile con quella dell’impianto. Joseph L. Johnson, esperto di robotica, ritiene che si tratti di un notevole cambiamento dal lavoro che in precedenza portava a dover stare ore in fabbrica e dove si trattava solo di “mettere insieme il salario”. Qui la pressione dei tuoi colleghi “fa in modo che il lavoro sia fatto effettivamente”.39 Team di lavoro che si auto-selezionano (ovvero team nei quali gli individui scelgono i propri compagni) e eventi sociali fuori dall’orario d’ufficio possono stimolare la coesione socio-emotiva,40 che però deve essere bilanciata con la coesione strumentale. Questa ultima può essere incoraggiata assicurandosi che il gruppo riconosca e apprezzi il contributo vitale di ciascun membro all’obiettivo del gruppo. Oltre a stabilire un equilibrio tra i due tipi di coesione, i manager devono ricordare che la teoria e la ricerca nell’ambito del groupthink mettono in guardia di fronte a un grado di coesione troppo alto. Team virtuali e team auto-gestiti Oggigiorno, sul posto di lavoro, è possibile riscontrare ogni sorta di approccio interessante sui team e sul lavoro di gruppo. Nel tentativo di raggiungere una maggiore CompOrga.indb 257 11/01/2013 16.35.22 Parte III 258 Tabella 11-6 Differenze di base tra i team virtuali e i team auto-gestiti Tipo di team (tabella 11-2) Tipo di empowerment (figura 15-2) Membri Base di appartenenza Rapporto con la struttura organizzativa Grado di comunicazione faccia a faccia I gruppi e i processi sociali Team virtuali Team auto-gestiti Consiglio o progetto (solitamente progetto) Consultazione, partecipazione o delega Manager e specialisti tecnici Assegnata (talvolta volontaria) Parallelo o integrato Produzione, progetto o azione Tendente a zero Varia a seconda dell’uso delle tecnologie informatiche Delega Produzione/servizio, specialisti tecnici Assegnata Integrato flessibilità e prontezza di risposta, le organizzazioni stanno portando avanti diverse sperimentazioni, incoraggiate anche dalle nuove tecnologie informatiche. La presente sezione descrive due tipi diversi di approccio con tali strutture: i team virtuali e i team auto-gestiti. Abbiamo selezionato questi particolari tipi di team per tre ragioni: (1) hanno nomi facilmente riconoscibili, (2) sono, almeno parzialmente, supportati da ricerche, (3) implicano diversi livelli di empowerment: basso, medio, alto (si veda in proposito la figura 15-2). I due tipi di team, come si può notare nella tabella 11-6, sono ben delineati, ma non sono unici nel loro genere. Esistono infatti degli elementi comuni. I team virtuali gestiti mediante reti informatiche, ad esempio, possono essere formati da membri volontari o meno, e possono sia essere auto-gestiti sia non esserlo. Un’altra caratteristica comune riguarda la quinta variabile indicata nella tabella 11-6, in altre parole il rapporto con la struttura organizzativa. I team sono definiti strutture parallele perché esistono al di fuori dei normali canali di autorità e comunicazione.41 I team auto-gestiti, d’altro canto, sono integrati nella struttura organizzativa di base. I team virtuali, a questo proposito, variano, sebbene abbiano la tendenza a somigliarsi perché composti da specialisti (ingegneri, contabili, operatori di mercato ecc.) che si riuniscono in progetti a termine. Tenendo presenti tali distinzioni di base esaminiamo i team virtuali e i team auto-gestiti. Team virtuali I team virtuali sono un prodotto dei tempi moderni; il loro nome deriva da simulazioni al computer della realtà virtuale dove “le cose ti appaiono quasi come se fossero vere”. Grazie a tecnologie informatiche in evoluzione come Internet mobile, la posta elettronica, i social media, l’instant messaging, le videoconferenze e i “groupware”, è possibile far parte di un team di lavoro senza essere effettivamente presenti.42 I team tradizionali si incontrano in un luogo specifico: e le persone sono presenti fisicamente oppure assenti. I team virtuali, invece, sono convocati elettronicamente e i membri partecipano stando in luoghi e in organizzazioni diverse, persino con fusi orari differenti. CompOrga.indb 258 11/01/2013 16.35.22 11 Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci Team virtuali: la tecnologia informatica permette ai membri del gruppo di portare avanti le attività da diverse postazioni 259 Essendosi sviluppati di recente, non esiste una definizione comunemente condivisa di team virtuale. La nostra definizione operativa descrive un team virtuale come un gruppo di lavoro composto da membri geograficamente distanti che porta avanti il business avvalendosi dei moderni strumenti di tecnologia informatica. I sostenitori affermano che i team virtuali sono molto flessibili ed efficienti perché guidati dalle informazioni e dalle capacità dei loro membri e non dal tempo e dalla localizzazione. Persone che hanno le capacità e le informazioni necessarie possono partecipare indipendentemente dal luogo o dal momento in cui svolgono il loro lavoro. i team virtuali sono una realtà molto familiare per le generazioni cresciute utilizzando Internet e i social media. Per quanto riguarda gli aspetti negativi, la mancanza di un’interazione faccia a faccia può determinare un indebolimento della fiducia, della comunicazione e del senso di responsabilità. In un sondaggio che ha chiesto a 1.465 lavoratori se la percezione della qualità del lavoro varia a seconda che questo sia stato svolto remotamente oppure in ufficio, il 55% ha risposto affermativamente e il 45% negativamente.43 Può risultare molto difficoltoso svolgere il ruolo di leadership e management a distanza. Billie Williamson, partner Ernst&Young responsabile della diversità aziendale, ha gestito team virtuali per oltre 10 anni e offre un interessante punto di vista: La gestione virtuale presenta numerosi vantaggi: semplifica il coordinamento di programmi diversi, consente di convocare riunioni con breve preavviso, contribuisce a ridurre le spese di viaggio, permettendo una maggiore sostenibilità ambientale e minimizzando i tempi morti. Favorisce inoltre la creazione di team più eterogenei, dotati di un bagaglio di esperienza e conoscenze più ampio. L’aspetto più importante che i manager devono ricordare è che il successo di un team, che sia virtuale o meno, dipende dalle persone: la tecnologia può accorciare le distanze, ma è il manager a doversi assicurare che i rapporti siano vitali, che ogni membro del team venga apprezzato e che la produttività sia alta.44 Suggerimenti della ricerca Com’è facile aspettarsi da un campo nuovo e non ancora ben definito, i risultati forniti dalla ricerca sono, a oggi, piuttosto scarni. Ecco quanto abbiamo finora appreso da studi recenti sui gruppi mediati dal computer: • Gruppi virtuali formati tramite Internet seguono un processo di sviluppo del gruppo simile a quello di gruppi non virtuali45 (ricordate la discussione in merito al modello di Tuckman del Capitolo 10). • Le stanze di chat in Internet creano maggiore lavoro e approdano a decisioni più limitate rispetto agli incontri faccia a faccia e alle teleconferenze.46 • Un utilizzo efficace del groupware (software che facilita l’interazione tra membri virtuali del gruppo) richiede formazione ed esperienza pratica.47 • Una leadership ispiratrice, durante i brainstorming elettronici dei gruppi, ha un effetto positivo sulla creatività.48 • La gestione del conflitto è particolarmente difficoltosa per i team virtuali asincroni, (ovvero quelli non presenti in tempo reale), che non hanno l’opportunità di interagire faccia a faccia.49 • Se almeno un membro del team lavora remotamente “il gruppo è motivato a una maggiore disciplina nel coordinamento e nella comunicazione, il che si traduce in CompOrga.indb 259 11/01/2013 16.35.22 Parte III 260 I gruppi e i processi sociali un’esperienza migliore e più produttiva per tutti [ …] Se tuttavia il singolo viene affiancato da un collega, il team ne soffre.”50 Ciò accade perché la coppia tende a coalizzarsi, troppo spesso in contrapposizione al “quartier generale”. Considerazioni pratiche Sebbene i team virtuali siano alquanto popolari, non costituiscono una soluzione generale. Possono, infatti, determinare, per coloro non particolarmente esperti di tecnologia informatica, un consistente passo indietro. I manager che li utilizzano sono d’accordo su un punto: un espressivo contatto visivo, specialmente durante le prime fasi di sviluppo del gruppo, è assolutamente essenziale. I membri di gruppi virtuali devono poter associare delle “facce” ai nomi e ai messaggi elettronici. Un’interazione faccia a faccia periodica non solo stimola un legame sociale tra i membri del team virtuale, ma facilita la risoluzione dei conflitti. Inoltre, sono indispensabili alcuni elementi tradizionali come il sostegno del top management, una formazione pratica, una missione chiara e obiettivi specifici da perseguire, una leadership efficace e la pianificazione dei tempi, delle attività e delle scadenze (consigli pratici aggiuntivi sono elencati nella tabella 11-7). Team auto-gestiti Team auto-gestiti: gruppi di collaboratori aventi la supervisione gestionale del proprio lavoro Vi siete mai trovati a pensare di poter ottenere un risultato sul lavoro migliore del vostro capo? Bene, se la tendenza verso team di lavoro auto-gestiti continua a crescere come previsto potreste avere occasione di dimostrarlo. Per esempio, “Allo stabilimento produttivo della General Mills a Lodi, in California, i team […] programmano, utilizzano e mantengono i macchinari così efficacemente che la fabbrica va avanti senza la necessità di manager presenti durante il turno di notte.”51 Generalmente i manager sono presenti e fungono da formatori o facilitatori. I team auto-gestiti assumono una molteplicità di forme diverse nell’attuale contesto economico, con un grado di autonomia variabile. I team auto-gestiti si definiscono come gruppi di lavoratori ai quali viene affidata la supervisione gestionale del loro ambito di attività. La supervisione gestionale implica la delega di attività come la pianificazione, la tempistica, il monitoraggio e la selezione del personale. Tali compiti sono generalmente affidati ai manager; i collaboratori, in breve, nell’ambito di questi peculiari gruppi di lavoro agiscono come supervisori di se stessi. La gestione delle responsabilità è curata indirettamente da manager e leader esterni. Secondo uno studio condotto su un’azienda dotata di 300 team auto-gestiti, 66 “consiglieri di team” sfruttavano le quattro strategie di influenza indiretta seguenti: 1. Creare relazioni: comprendere la struttura di potere dell’organizzazione, costruire la fiducia, mostrare interesse per i singoli membri del team. 2. Fare scouting: cercare informazioni all’esterno, diagnosticare i problemi del lavoro in team, facilitare la risoluzione dei problemi del gruppo. 3. Persuadere: acquisire supporto e risorse esterne, influenzare il team a essere più efficace e perseguire gli obiettivi organizzativi. 4. Favorire l’empowerment: delegare l’autorità decisionale, facilitare il processo decisionale del team, fare coaching.52 CompOrga.indb 260 11/01/2013 16.35.22 11 Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci Tabella 11-7 Creare e gestire un team virtuale Fonte: da R. Kreitner e C. Cassidt, Management, XII ed. (Mason, OH: South-Western Cengage Learning, 2012). Tabella 13.3. Copyright © 2009 SouthWestern, appartenente a Cengage Learning. Riproduzione autorizzata. www.cengage.com/ permission. 261 Formare il team Sviluppare una dichiarazione della missione del team, assieme ad aspettative e norme del lavoro in team, obiettivi e scadenze. Reclutare membri con capacità complementari ed esperienze eterogenee, dotati della capacità e della volontà di contribuire. Ottenere uno sponsor di alto livello che sostenga il progetto. Per favorire la socializzazione e la corretta gestione della dispersione geografica, rendere disponibili per ciascun membro del team informazioni biografiche e profilo delle competenze, contatti e “fuso orario”. Preparare il team Accertarsi che tutti i membri del team abbiano a disposizione una connessione a banda larga e siano in grado di utilizzare le tecnologie per il lavoro in team virtuale (p. es., email, chat, videochiamate, riunioni online e programmi di collaborazione come WebEx, videoconferenze). Garantire la compatibilità di hardware e software. Assicurarsi che tutti i membri del team siano in grado di gestire il lavoro in team sincrono (interazione simultanea) e asincrono (interazione non simultanea). Fare in modo che i singoli si facciano carico degli obiettivi del team, delle scadenze e dei compiti individuali. Costruire il lavoro in team e la fiducia Coinvolgere tutti i membri del team (durante le riunioni e in generale). Organizzare periodicamente incontri faccia a faccia, esercizi di team building e attività di svago. Promuovere la collaborazione tra i membri del team nello svolgimento dei compiti intermedi. Istituire un sistema di segnalazione tempestiva dei conflitti (p.es., riunioni dedicate a far emergere i malumori). Motivare e guidare il team Servirsi di un tabellone per segnalare i progressi del team verso il raggiungimento degli obiettivi. Festeggiare i successi del team in occasioni virtuali e faccia a faccia. Aprire tutte le riunioni virtuali lodando i membri del team e offrendo riconoscimenti per i loro contributi. Informare i manager di linea dei membri del team dei successi e dei progressi compiuti. I team auto-gestiti sono altrimenti definiti come gruppi di lavoro semi-autonomi, gruppi di lavoro autonomi e super-team. Resistenza manageriale Dietro la denominazione apparentemente semplice di team auto-gestito si nasconde un significato molto complesso. Con il termine auto-gestito non si intende semplicemente che i lavoratori sono lasciati liberi di gestire il loro lavoro: un’organizzazione pronta ad accettare i team auto-gestiti dovrà essere pronta a cambiare radicalmente la sua filosofia gestionale, la sua struttura, le pratiche di selezione e di formazione del personale e i sistemi di remunerazione. Inoltre le tradizionali nozioni di autorità e controllo manageriale vengono capovolte. Non a caso molti manager si oppongono fermamente all’affidare le redini del potere a persone che loro vedono come subordinati, in quanto vedono i team auto-gestiti come una minaccia alla loro sicurezza professionale CompOrga.indb 261 11/01/2013 16.35.23 Parte III 262 I gruppi e i processi sociali Il team building e la leadership dei team Per trasformare un gruppo di lavoro in un vero team occorrono attività di team building creative ed efficaci sul piano dei costi e un insieme particolare di capacità di leadership. Analizziamole nel dettaglio. Team building Team building: apprendimento sperimentale volto a un migliore funzionamento interno dei gruppi Team building è un’espressione generica per definire tutta una serie di tecniche volte al miglioramento del funzionamento interno dei gruppi di lavoro. I workshop sul team building, sia che siano condotti da formatori interni all’azienda o da consulenti esterni, puntano a una maggiore cooperazione, una migliore comunicazione e un minore conflitto disfunzionale. Memorizzazioni ripetitive e lezioni/discussioni sono sconsigliate dagli esperti di team building, che preferiscono un apprendimento attivo rispetto a uno passivo. Viene in particolar modo valorizzato il modo in cui i gruppi svolgono il lavoro e non tanto il lavoro in sé. Tecniche di apprendimento sperimentale come gli esercizi sulla fiducia interpersonale, le sessioni di giochi di ruolo sulla gestione dei conflitti, le attività creative e i giochi competitivi sono alquanto comuni. Le attività all’aperto possono rappresentare un piacevole stacco dalla routine dell’ufficio o della fabbrica. Un esempio estremo in tal senso è il seguente: “Ogni anno la Seagate Technology spende 2 milioni di dollari per consentire a 200 collaboratori di trascorrere una settimana a fare hiking, canoa e raid tra le montagne della Nuova Zelanda.”53 Secondo i rappresentanti dell’azienda si tratta di denaro ben speso; tuttavia, specie durante le fasi di profonda recessione economica, molti considerano poco etica la spesa di somme consistenti di denaro per organizzare bizzarre attività fuori sede. Attività di team building meno costose, per esempio contribuire a costruire una casa con l’organizzazione non profit Habitat for Humanity, possono risultare efficaci e al tempo stesso socialmente responsabili.54 Jeffrey Katzenberg, CEO di DreamWorks Animation SKG, preferisce fare team building festeggiando: “La prima di un film, l’uscita di un DVD o l’assegnazione di un premio sono traguardi festeggiati alla grande.”55 In rete si trova una molteplicità di risorse gratuite, come per esempio il sito www. businessballs.com, che possono fornire interessanti spunti per elaborare attività di team building tenendo sotto controllo i costi. L’aspetto importante da ricordare è che senza obiettivi chiari, capacità di leadership, attenzione al dettaglio e applicazione dei contenuti appresi al lavoro, le sessioni di team building in azienda e fuori possono rivelarsi una costosa delusione.56 L’obiettivo del team building: team ad alta performance Il team building permette ai membri di affrontare problemi simulati o reali. I risultati vengono poi esaminati dal gruppo al fine di stabilire quali processi devono essere migliorati. L’apprendimento deriva dal riconoscere e dal parlare delle dinamiche di gruppo mancanti; può ad esempio essersi verificato un occultamento di informazioni fondamentali da parte di un sottogruppo nei confronti di un altro che ha poi determinato un ostacolo al progresso CompOrga.indb 262 11/01/2013 16.35.23 11 Sviluppare e guidare team di lavoro efficaci 263 del lavoro. Nel caso di team interculturali, divenuti una situazione comune nell’attuale economia globale, il team building è più importante che mai.57 Un sondaggio della Wilson Learning Corporation, condotto su scala nazionale su membri di team provenienti da molte organizzazioni, fornisce un utile modello o punto di riferimento su ciò che ci si aspetterebbe dai team. La domanda posta dai ricercatori era semplice: “Che cosa si intende per team ad alta performance?”58 Agli intervistati è stato chiesto di descrivere le loro esperienze più importanti avute nei team di lavoro. L’analisi dei risultati ottenuti ha delineato, per i team ad alta performance, le seguenti otto caratteristiche: 1. Leadership partecipativa. Creare un’interdipendenza attraverso l’empowerment, la concessione di libertà e il servizio nei confronti degli altri. 2. Responsabilità condivisa. Creare un ambiente nel quale tutti i membri del team, in merito alla performance dell’unità operativa, si sentono responsabili tanto quanto i manager. 3. Allineamento al proposito. Avere un senso di proposito comune sul motivo per cui i team esistono e sulla funzione che ricoprono. 4. Alta comunicazione. Creare un clima di fiducia e di aperta e onesta comunicazione. 5. Focalizzazione sul futuro. Vedere nel cambiamento un’opportunità di crescita. 6. Focalizzazione sul compito. Tenere riunioni focalizzate sui risultati. 7. Talenti creativi. Applicare i talenti e le creatività individuali. 8. Risposta rapida. Identificare e agire in base alle opportunità.59 Le otto caratteristiche sopra riportate, in effetti, racchiudono molte delle attuali idee più avanzate sul management, tra le quali la partecipazione, l’empowerment, l’etica di servizio, lo sviluppo e la responsabilità individuali, l’auto-gestione, la fiducia, l’ascolto attivo e la creazione di una visione comune. Occorrono, comunque, pazienza e disciplina; stando a quanto afferma un manager competente di team di lavoro, “per la formazione di team ad alta performance possono essere necessari dai tre ai cinque anni”.60 Valutare l’efficacia del team building I manager devono essere in grado di valutare l’efficacia delle attività di team building organizzate. Il modello di valutazione più impiegato tra i formatori aziendali è stato sviluppato nel 1959 da Donald L Kirkpatrick, docente presso la University of Wisconsin. Il suo modello di valutazione a quattro livelli, dal più superficiale al più completo, comprende: 1. Reazione: che cosa pensano dell’attività i partecipanti? 2. Apprendimento: l’esperienza ha contribuito ad accrescere le conoscenze e migliorare le capacità? 3. Comportamento: il comportamento sul lavoro dei partecipanti è migliorato a seguito dell’attività? 4. Risultati: i partecipanti hanno successivamente ottenuto risultati migliori misurabili?61 Purtroppo troppo spesso i manager si accontentano di condurre un rapido sondaggio tra i partecipanti (con domande del tipo: L’attività è stata piacevole? Ne è valsa la pena?). CompOrga.indb 263 11/01/2013 16.35.23 Parte III 264 I gruppi e i processi sociali Una valutazione adeguata richiede invece un approccio più completo. Tony Hsieh, CEO del rivenditore online Zappos, ha intrapreso la giusta direzione decidendo di interrogare i manager responsabili del team building: [Hsieh] rivolge precise domande ai manager che portano i team a cena fuori oppure a fare una camminata in montagna e invariabilmente sente parlare di comunicazione, maggiore fiducia e amicizie. “Allora domando, ‘Secondo te, di quanto è aumentata l’efficienza del team?’” riferisce Hsieh. “La misura varia dal 20 al 100%.”62 La leadership dei team L’esperienza pratica e un crescente corpus di ricerche dimostrano che guidare un team non è esattamente come guidare singoli individui.63 Occorre una leadership versatile. La differenza è simile a quella esistente tra guidare un esercizio di gruppo in un’aula piena ed esaminare un problema con un singolo studente dopo una lezione, due situazioni che si caratterizzano per dinamiche relazionali molto diverse. Come anticipazione alla trattazione completa della leadership nel Capitolo 16, in questa sezione conclusiva concentriamo l’attenzione sulla capacità di guidare singoli individui e team. Linda A Hill, docente presso la Harvard Business School, ha inquadrato come segue la sfida che si pone ai nuovi manager: Il nuovo manager deve comprendere come gestire il potere di un team. Limitarsi a concentrare l’attenzione sulle relazioni uno a uno con i membri può minare questo processo. […] Molti manager non riconoscono, né tantomeno affrontano, le loro responsabilità nel team building, concependo il loro ruolo di gestione delle persone come la costruzione di rapporti quanto più efficaci possibile con i singoli e assimilando erroneamente la gestione del team alla gestione degli individui che ne fanno parte. Si concentrano principalmente sulle performance individuali, dedicando ben poca attenzione alla cultura e alle prestazione del team. Non si servono quasi mai di riunioni di gruppo per identificare e risolvere i problemi. Passano troppo tempo con un gruppo limitato di subordinati che considerano affidabili, spesso coloro che si mostrano più disponibili. I nuovi manager tendono a gestire tutte le questioni, anche quelle che si ripercuotono sull’intero team, su base uno a uno. Questo approccio li induce a prendere decisioni basandosi su informazioni limitate.64 CompOrga.indb 264 11/01/2013 16.35.23 Processi decisionali individuali e di gruppo 12 Perché i vertici di Google hanno adottato il processo decisionale di gruppo? Ogni lunedì pomeriggio un gruppo di dirigenti della Google si riunisce nella sala del consiglio di amministrazione: “L’iniziativa della riunione settimanale, denominata Execute, è stata lanciata l’estate scorsa con uno scopo preciso: riunire nella stessa stanza i leader dei variegati gruppi di prodotto della Google, dotati di poteri quasi illimitati, e armonizzare i loro disparati progetti.” Sono i cofondatori della società Sergey Brin e Larry Page, che di recente ha assunto il ruolo di CEO, e l’ex CEO Eric Schmidt a guidare gli incontri, cui partecipano Andy Rubin, vicepresidente di Android, Salar Kamangar, vicepresidente di YouTube, e Vic Gundotra, vicepresidente dell’unità ingegneristica per i social network. Come lo stesso Page ha riferito a un giornalista di Bloomberg Businessweek, l’obiettivo dell’iniziativa è “riunire i leader di prodotto e discutere di tutti i punti di integrazione [ ] Ogni volta che l’azienda cresce, dobbiamo assicurarci che tutte le attività procedano in modo tale da consentirci di mantenere rapidità, ritmo e passione.” Nel corso degli anni, il processo decisionale del gigante di Mountain View ha dato vita a una grande varietà di prodotti innovativi, come Gmail e Android, per non parlare del celeberrimo motore di ricerca. In tempi più CompOrga.indb 265 recente l’azienda ha incassato qualche fallimento, come Google Buzz, una sorta di clone di Twitter, e Google Wave, un servizio di collaborazione online. “Page non attribuisce esplicitamente la responsabilità di questi passi falsi alla gestione poco coesa né alla famosa troika al vertice dell’azienda, ma ammette: ‘Paghiamo un prezzo [per il processo decisionale condiviso] in termini di rapidità e difficoltà a individuare i responsabili dei progetti’.” Page è convinto di poter contribuire ad accrescere la rapidità delle operazioni in qualità di CEO. Osservatori esterni e non hanno notato che Larry Page si discosta dal profilo tradizionale del CEO; è un introverso, non ama parlare in pubblico né tenere sotto stretto controllo le attività giornaliere. Questo è uno dei motivi per i quali l’azienda ha lanciato l’iniziativa delle riunioni settimanali: i partecipanti diventeranno portavoce dell’organizzazione in tutto il mondo. “Page dichiara che uno dei suoi obiettivi è diffondere in tutta l’azienda lo stile di leadership risoluto dimostrato da questi leader nei rispettivi gruppi di prodotto e applicarlo alle decisioni importanti.” Page mira ad accrescere la rapidità del processo decisionale e delle innovazioni e ritiene che le riunioni Executive settimanali siano uno degli strumenti principali per raggiungere l’obiettivo.1 11/01/2013 16.35.23 Parte III 266 I gruppi e i processi sociali Sarà il tempo a dire se l’approccio della Google al processo decisionale determinerà buoni risultati nel lungo periodo. Ogni giorno tutti noi prendiamo molte decisioni, dalle più banali alle più importanti, che influenzano in misura significativa le nostre vite e possono rivelarsi talvolta giuste, talvolta sbagliate. Nel contesto organizzativo, il processo decisionale è una delle responsabilità primarie dei manager e la qualità delle decisioni può determinare conseguenze importanti. Scopo di questo capitolo è aiutarvi a comprendere a fondo le dinamiche del processo decisionale per migliorare la qualità delle decisioni che prendete individualmente e in gruppo. Il capitolo si concentrerà (1) sui modelli decisionali, (2) sui bias decisionali, (3) sul processo decisionale basato sull’evidenza, (4) sulle dinamiche del processo decisionale, (5) sul processo decisionale di gruppo e (6) sulla creatività. Modelli decisionali Processo decisionale: identificazione e scelta tra soluzioni che portano al risultato finale desiderato Il processo decisionale comporta l’individuazione e la scelta tra soluzioni alternative per giungere a una situazione auspicata. Al momento di prendere una decisione, si possono scegliere due approcci generali, privilegiando un modello razionale oppure svariati modelli non razionali. Passiamo a esaminare le dinamiche di ciascuno di essi iniziando con il modello razionale del processo decisionale. Il modello razionale Modello razionale: approccio logico del processo decisionale articolato in quattro fasi In fase decisionale, il modello razionale propone al manager una sequenza razionale articolata in quattro fasi (vedi la figura 12-1). Secondo questo modello, i manager sono completamente oggettivi e dispongono di tutte le informazioni necessarie per prendere una decisione. A dispetto delle critiche che lo considerano non realizzabile, il modello razionale è istruttivo perché suddivide in modo analitico il processo decisionale fornendo una solida base concettuale ai modelli più innovativi.2 Prendiamo ora in esame ciascuno dei singoli punti. Problema: divario tra una situazione reale e una auspicata Fase 1: identificare il problema o l’opportunità e confrontare la situazione effettiva con quella desiderata Si parla di problema quando la situazione effettiva in cui ci si Fase 1 Fase 2 Fase 3 Fase 4 Identificare il problema o l’opportunità Generare soluzioni alternative Vagliare le alternative e scegliere una soluzione Implementare la soluzione scelta e valutarla Figura 12-1 Le quattro fasi del processo decisionale razionale CompOrga.indb 266 11/01/2013 16.35.23 12 Processi decisionali individuali e di gruppo Opportunità: situazione nella quale si potrebbero raggiungere risultati superiori alle aspettative 267 trova e quella desiderata non coincidono. I manager non sono mai a corto di problemi: reclami dei clienti, turnover dei collaboratori, nuovi prodotti della concorrenza, difficoltà nella produzione e così via. I manager devono prendere decisioni anche relativamente alle opportunità che si presentano. Un’opportunità è una situazione nella quale si possono intraprendere azioni che potrebbero determinare risultati superiori agli obiettivi e alle aspettative. Che ci si trovi di fronte a un problema oppure a un’opportunità, l’obiettivo resta il medesimo: apportare dei miglioramenti per modificare la situazione dallo stato effettivo a quello auspicato. A questo scopo, occorre diagnosticare le cause del problema. Fase 2: generare una molteplicità di soluzioni, dalle più scontate alle più creative Dopo aver individuato un problema e le sue cause, il passo logico successivo consiste nel trovare soluzioni alternative. Analizzeremo successivamente diverse tecniche di problem solving di gruppo che possono risultare utili durante questa fase. Uno studio condotto su 400 decisioni strategiche ha evidenziato che i principali ostacoli incontrati dai manager durante questa fase sono tre: (1) giudizi affrettati, (2) scelta di idee o soluzioni immediatamente disponibili e (3) allocazione inefficace delle risorse destinate a studiare soluzioni alternative. Si consiglia di affrontare il processo decisionale con calma, valutando un insieme ampio di alternative e investendo tempo nello studio di un ventaglio più esteso di possibili soluzioni.3 Fase 3: vagliare le alternative e scegliere una soluzione etica, fattibile ed efficace In questa fase bisogna vagliare le alternative tenendo conto di molteplici criteri. Oltre a esaminare i costi e la qualità, bisogna porsi anche altre domande: (1) La decisione è etica? (Se non lo è, meglio scartarla subito.) (2) La decisione è fattibile? (Si tratta di capire se vi è il tempo necessario, se i costi sono accessibili, se si dispone delle risorse tecnologiche richieste e così via.) (3) La decisione eliminerà il problema risolvendone le cause? Fase 4: implementare e valutare la soluzione scelta Una volta scelta la soluzione, bisogna metterla in pratica. Una volta messa in pratica la soluzione, la fase di valutazione serve a fornire una stima della sua efficacia. Se la soluzione è efficace dovrebbe ridurre la differenza tra la situazione effettiva, causa del problema, e quella desiderata. Se il divario non scompare significa che l’implementazione non ha avuto successo, per cui è possibile individuare una delle due seguenti cause: o il problema non era stato identificato correttamente, oppure la soluzione non era appropriata. Nel caso in cui sia stata l’implementazione a non aver avuto successo, il manager può tornare al primo stadio del processo, ovvero all’identificazione del problema. Se invece è il problema a non essere stato individuato correttamente, il manager potrebbe considerare di attuare una delle soluzioni precedentemente individuate ma non sperimentate. Questo processo può andare avanti fino a quando tutte le soluzioni possibili sono state attuate o fino a quando il problema non cambia. Sintesi del modello razionale Il modello razionale è prescrittivo perché delinea il processo logico che i manager dovrebbero seguire nel prendere decisioni e, in quanto tale, si basa sul presupposto che il manager, nella fase decisionale, tenda all’ottimizzazione. CompOrga.indb 267 11/01/2013 16.35.23 268 Ottimizzazione: scelta della migliore soluzione possibile Parte III I gruppi e i processi sociali L’ottimizzazione comporta la risoluzione dei problemi tramite la scelta della migliore delle soluzioni possibili e si basa su un insieme di presupposti altamente auspicabili, cioè: disporre di informazioni complete, non lasciarsi influenzare da fattori emotivi durante il processo decisionale, valutare con attenzione e onestà tutte le alternative, avere a disposizione tempo e risorse abbondanti, essere circondati da collaboratori disposti a implementare e sostenere le decisioni. L’esperienza pratica, naturalmente, ci suggerisce che tali presupposti sono irrealistici. Come è stato osservato da Herbert Simon, studioso che nel 1978 ha ricevuto il Premio Nobel per l’Economia proprio per il suo lavoro sui processi decisionali, “i presupposti della razionalità assoluta sono contrari alla realtà. Non è solo una questione di approssimazione, ma non descrivono neanche lontanamente i processi che gli esseri umani mettono in atto per prendere decisioni nell’ambito di situazioni complesse”.4 Premesso questo, cercare di seguire un processo razionale nel modo più realistico possibile determina tre benefici: • È possibile migliorare la qualità delle decisioni, nel senso che rappresenteranno la soluzione più logica alla luce di tutte le conoscenze e competenze a disposizione. • Il ragionamento alla base delle decisioni risulta trasparente e sottoponibile ad analisi. • Se reso pubblico, il modello razionale scoraggia il decisore dall’agire sulla base di motivazioni non limpide (per esempio con l’obiettivo di ottenere tornaconti personali oppure di evitare impacci burocratici).5 I modelli decisionali non razionali Modelli non razionali: cercano di descrivere ciò che di fatto avviene nei processi decisionali Razionalità limitata: limitazioni che vincolano il processo di decisione razionale CompOrga.indb 268 Contrariamente al modello razionale, incentrato su come sarebbe opportuno affrontare il processo decisionale, i modelli non razionali rappresentano un tentativo di descrivere ciò che di fatto avviene e si basano sui seguenti presupposti: il processo decisionale è caratterizzato dall’incertezza, i decisori non dispongono di informazioni complete ed è difficile prendere decisioni ottimali. Due modelli decisionali non razionali sono il modello normativo di Herbert Simon e il modello garbage can (letteralmente “del contenitore dei rifiuti”). Il modello normativo di Simon Herbert Simon ha proposto questo modello per tentare di identificare il processo che i manager effettivamente adottano quando prendono delle decisioni e si basa sulla razionalità limitata del decisore. La razionalità limitata si riferisce al fatto che coloro che prendono le decisioni sono “limitati” o ostacolati da una serie di vincoli. Tali restrizioni comprendono qualunque caratteristica personale o risorsa interna ed esterna che limiti il processo decisionale razionale. Alcuni esempi di caratteristiche personali sono la limitata capacità della mente umana, la personalità (dai risultati di una meta-analisi, che riassume 150 studi, è emerso che negli uomini è presente una maggiore propensione al rischio rispetto a quella riscontrata nelle donne)6 e i vincoli temporali. Esempi di risorse interne sono il capitale umano e sociale dell’organizzazione, le risorse finanziarie, la tecnologia, gli impianti di produzione e i macchinari, nonché i processi e i sistemi interni. Le risorse esterne comprendono fattori che l’organizzazione non può controllare diret- 11/01/2013 16.35.24 12 Processi decisionali individuali e di gruppo Satisficing: optare per una soluzione che rispetti uno standard minimo di soddisfazione tamente, come i livelli di occupazione nella comunità, la disponibilità di capitali e i vincoli legislativi.7 Le limitazioni imposte dalla realtà diminuiscono il numero di informazioni in possesso dei decisori, portando a un processo decisorio non ottimale, ma comunque soddisfacente. Il processo di satisficing (adozione di un’alternativa soddisfacente) consiste nell’optare per la prima soluzione che incontra i criteri minimi stabiliti come accettabili dal decisore. Questa opzione risolve i problemi producendo soluzioni che siano soddisfacenti invece che ottimizzanti. Un buon esempio in tal senso è dato dalla scelta della stazione radiofonica da ascoltare in macchina: non si può ottimizzare la scelta perché è impossibile ascoltare tutte le stazioni contemporaneamente; si smette pertanto di cercare una volta trovata una stazione che trasmetta della musica passabile. Un recente sondaggio condotto negli Stati Uniti dal Business Performance Management Forum conferma la diffusione del satisficing nella pratica: solo il 26% degli intervistati ha riferito che la propria azienda dispone di processi decisionali formalizzati e chiari, segnalando che tra le cause più frequenti dell’inefficacia del processo decisionale figurano: • • • • Modello garbage can: il processo decisionale organizzativo è descritto come accidentale CompOrga.indb 269 269 processi e pratiche mal definiti; scarsa chiarezza della visione, della missione e degli obiettivi dell’azienda; riluttanza dei leader ad assumersi responsabilità; carenza di informazioni affidabili e tempestive.8 Il modello garbage can Come il modello normativo di Simon, questo approccio è nato dall’inefficacia del modello razionale nel descrivere come si svolge in realtà il processo decisionale. Si basa sull’idea che il processo decisionale organizzativo sia sciatto e accidentale, in netto contrasto con l’ipotesi di fondo del modello razionale, secondo la quale i decisori seguono una serie sequenziale di fasi che inizia con un problema e termina con una soluzione. Secondo il modello garbage can, le decisioni sono il risultato di un’interazione complessa tra quattro flussi indipendenti di eventi: problemi, soluzioni, attori del processo e opportunità di scelta.9 Le interazioni sono casuali, da qui la denominazione: la decisione è un “contenitore dei rifiuti” in cui tutti gli elementi si dispongono in modo fortuito. Proprio come il mescolarsi casuale dei rifiuti, questo modello ipotizza che il processo decisionale non segua una serie ordinata di fasi; al contrario, soluzioni allettanti possono essere abbinate a qualsiasi problema insorga in un determinato momento. Analogamente, alcuni individui ricevono certi incarichi semplicemente perché sono meno oberati di lavoro. Il modello del contenitore dei rifiuti presenta quattro implicazioni pratiche. In primo luogo, è un modello più evidente in settori basati sulle innovazioni scientifiche, come per esempio l’industria farmaceutica;10 i manager che operano in questi settori devono avere una maggiore consapevolezza del potenziale del processo decisionale casuale. In secondo luogo, numerose decisioni vengono prese per sbaglio oppure perché si presenta un’opportunità significativa; per esempio, i manager della Campbell Soup Company dovevano trovare il modo per ottenere maggiore visibilità nei supermercati e hanno deciso di creare un nuovo sistema di scaffalatura che faceva scorrere automaticamente i barattoli di minestra quando ne veniva estratto uno. La decisione si è rivelata un successo: i consumi sono aumentati, accrescendo i profitti dell’azienda e dei supermercati, che 11/01/2013 16.35.24 Parte III 270 I gruppi e i processi sociali hanno potuto così ridurre anche i costi di ricostituzione delle scorte.11 Terza implicazione, spesso i partecipanti prendono decisioni influenzati da fattori politici; è dunque importante considerare le conseguenze politiche delle decisioni (la politica all’interno delle organizzazioni è esaminata nel Capitolo 15). Infine, esistono maggiori probabilità che si risolvano i problemi importanti rispetto a quello secondari, perché hanno una maggiore rilevanza per i partecipanti.12 Integrare il modello razionale e i modelli non razionali Basandosi sull’idea che le decisioni sono plasmate dalle caratteristiche dei problemi e dei decisori, i consulenti David Snowden e Mary Boone hanno proposto un approccio meno casuale del modello del contenitore dei rifiuti, che tuttavia tiene conto delle sfide poste alle organizzazioni odierne. Essenzialmente i due consulenti integrano il modello razionale ai modelli non razionali identificando quattro tipi di contesti decisionali e un metodo efficace per prendere una decisione in ciascuno di essi.13 1. In un contesto semplice e stabile i rapporti causa-effetto sono chiaramente identificabili ed è possibile concordare la scelta migliore. Tale contesto richiede l’applicazione del modello razionale, secondo il quale il decisore raccoglie informazioni, le classifica e risponde in modo convenzionale. 2. In un contesto complicato, esiste un chiaro rapporto causa-effetto, che tuttavia potrebbe non essere evidente per tutti, e le soluzioni efficaci potrebbero risultare più di una. Anche in questo caso si può applicare il modello razionale, indagando quali siano le opzioni e analizzandole. 3. In un contesto complesso, la risposta giusta è solo una, ma le incognite sono così numerose che i decisori non riescono a identificare i rapporti causa-effetto. È dunque consigliabile sperimentare, testare opzioni diverse e considerare i possibili scenari ricercando nel contempo una soluzione creativa. 4. In un contesto caotico, i rapporti causa-effetto mutano così rapidamente da impedire l’individuazione di un modello. I decisori sono chiamati a mettere ordine e poi a ricercare aree nelle quali è possibile identificare dei modelli, in modo da gestire gli aspetti di un problema. In una situazione di questo genere, può essere utile ricorrere all’intuito e al processo decisionale basato sull’evidenza, che esamineremo nel prosieguo del capitolo.14 I bias decisionali Euristiche: regole empiriche o scorciatoie utilizzate per ridurre le esigenze di elaborazione dell’informazione CompOrga.indb 270 Durante il processo decisionale gli individui possono commettere una molteplicità di errori sistematici, generalmente associati a una serie di bias che possono emergere quando si ricorre alle euristiche. Le euristiche consistono in una serie di regole pratiche o accorgimenti utilizzati per ridurre la necessità di elaborazione delle informazioni.15 Si utilizzano in modo automatico, senza esserne realmente consapevoli, al fine di ridurre l’incertezza insita nel processo decisionale. Tali accorgimenti sono frutto di una conoscenza acquisita in seguito a passate esperienze; aiutano, pertanto, i decisori 11/01/2013 16.35.24 12 Processi decisionali individuali e di gruppo 271 a valutare i problemi che si presentano. Le euristiche possono, tuttavia, anche causare errori sistematici che vanno a intaccare la qualità delle decisioni, in particolare quando esistono vincoli legati al tempo, come accade ai medici responsabili dell’assistenza sanitaria primaria. Per esempio, uno studio recente sui casi di terapie sbagliate ha dimostrato che nel 40% dei casi il problema era causato da errori diagnostici, derivanti in parte dalle euristiche. Il ricorso alle euristiche presenta aspetti positivi e negativi. In questa sezione esamineremo otto bias che influenzano il processo decisionale: (1) l’euristica della disponibilità, (2) l’euristica della rappresentatività, (3) il bias di conferma, (4) il bias di ancoraggio, (5) l’overconfidence bias (ovvero una distorsione causata dall’eccesso di fiducia), (6) il bias retrospettivo, (7) il framing bias e (8) l’escalation of commitment bias (o errore legato all’intensificazione dell’impegno). Conoscere questi bias può aiutare a evitarli. 1. Euristica della disponibilità Descrive la tendenza del decisore a basare le sue decisioni su una serie di informazioni già presenti nella sua memoria. Tali informazioni sono più accessibili se si riferiscono a un evento accaduto in un passato recente, se hanno importanza rilevante (ad esempio un disastro aereo) e quando rievocano forti emozioni (ad esempio uno studente di liceo che spara contro altri studenti). Questo tipo di euristica porta, con facilità, ad attribuire una probabilità troppo alta al verificarsi di eventi rari quali un disastro aereo o una sparatoria in un liceo. L’euristica della disponibilità è in parte anche responsabile del cosiddetto “effetto attualità” di cui si è discusso nel Capitolo 7: è più probabile, ad esempio, che un manager dia una valutazione positiva del lavoro del proprio collaboratore, se quest’ultimo ha dimostrato una grande efficienza nel corso degli ultimi mesi. 2. Euristica della rappresentatività Viene adottata quando si valuta la probabilità che un evento si verifichi basandosi sulle impressioni legate ad avvenimenti simili. Un manager, ad esempio, potrebbe assumere il laureato di una particolare università sulla base del fatto che tre studenti, provenienti dalla medesima università, assunti in precedenza, non hanno deluso le aspettative dell’azienda. In questo caso, il criterio del “tipo di università frequentato” viene adottato per semplificare la complessa elaborazione dell’informazione tipica dei colloqui di lavoro. Questo espediente, tuttavia, può portare a una decisione errata. Allo stesso modo, un individuo può pensare di arrivare a padroneggiare, in breve tempo, un nuovo pacchetto software basandosi sulla facilità di apprendimento di un tipo diverso di software. Non è detto che una valutazione del genere sia precisa; può anche darsi, infatti, che sia necessario più tempo per imparare a padroneggiare il nuovo software perché questo richiede l’apprendimento di un nuovo linguaggio di programmazione. 3. Bias di conferma Si articola in due componenti: la prima è decidere inconsciamente di fare qualcosa prima di accertarsi che la decisione sia quella giusta, per esempio acquistare un tipo particolare di palmare. Questo determina direttamente la seconda componente, cioè la ricerca di informazioni a conferma della decisione presa ignorando le informazioni contrarie. CompOrga.indb 271 11/01/2013 16.35.24 272 Parte III I gruppi e i processi sociali 4. Bias di ancoraggio Come rispondereste alle due domande seguenti: (1) La popolazione dell’Iraq è maggiore di 40 milioni di abitanti? (2) Secondo voi, qual è la popolazione dell’Iraq? La vostra risposta alla seconda domanda è stata influenza dal numero citato nella prima? In questo caso, siete stati influenzati dal bias di ancoraggio, che si verifica quando i decisori sono influenzati dalle prime informazioni ricevute, anche se sono irrilevanti. Questa distorsione emerge perché informazioni, impressioni, dati, feedback e stereotipi delle fasi iniziali influenzano valutazioni e decisioni successive. 5. Overconfidence bias È legato alla tendenza a essere eccessivamente ottimisti nelle proprie stime e previsioni, ed è particolarmente forte quando si deve rispondere a domande di difficoltà da moderata a elevata, anziché a domande semplici. Immaginate i problemi che questo bias può causare a un manager vendite chiamato a elaborare previsioni sulle vendite per l’anno successivo. La ricerca dimostra che l’eccesso di ottimismo influenza in misura significativa la decisione degli imprenditori di avviare e perseguire nuove attività.16 6. Bias retrospettivo Immaginate di trovarvi nella seguente situazione: state seguendo un corso di comportamento organizzativo con lezione il martedì e il giovedì e il docente è solito proporre test senza preavviso ogni settimana. È lunedì sera e dovete decidere se studiare per un possibile test oppure guardare la televisione; due compagni di corso hanno deciso di non studiare, convinti che il giorno successivo non ci sarà il test. Il giorno successivo, durante la lezione il professore propone un test di valutazione e voi reagite dicendo ai vostri amici: “Lo sapevo! Perché vi ho dato ascolto?” Il bias retrospettivo si verifica quando la conoscenza di un risultato influenza le convinzioni sulla capacità di prevedere quel risultato. Solitamente siamo soggetti a questa distorsione quando riesaminiamo le decisioni e tentiamo di ricostruire il processo che ci ha portato a prenderle. 7. Framing bias Questo bias è legato al modo in cui sono poste le domande. Consideriamo la seguente situazione: gli Stati Uniti si preparano ad affrontare un’epidemia di una rara malattia asiatica che secondo le previsioni causerà 600 decessi. Sono stati messi a punto due programmi alternativi per contrastare l’epidemia. Ipotizziamo che le stime scientifiche esatte dei risultati dei due programmi siano le seguenti: Programma A: l’adozione del programma A consente di salvare 200 persone. Programma B: se viene adottato il programma B, c’è una probabilità pari a un terzo di salvare 600 persone e una probabilità pari a due terzi di non salvare nessuno. Quale dei due programmi scegliereste?17 Le ricerche dimostrano che gran parte delle persone sceglie il programma A, anche se in realtà determina lo stesso risultato del programma B. Questo è dovuto al framing bias, cioè la tendenza a considerare i rischi relativi ai guadagni (nel nostro esempio, salvare vite umane) diversamente dai rischi relativi alle perdite. Per evitare di cadere in questa distorsione, è consigliabile cercare una formulazione alternativa delle domande. 8. Escalation of commitment bias Il concetto di intensificazione dell’impegno (escalation of commitment) si riferisce alla tendenza a perseverare in decisioni inefficaci CompOrga.indb 272 11/01/2013 16.35.24 12 Processi decisionali individuali e di gruppo 273 anche quando è improbabile che la situazione negativa che si è venuta a creare possa essere ribaltata. Esempi nella vita privata riguardano i casi in cui si spende altro denaro in un’auto già vecchia o fuori uso oppure si tenta di salvare un rapporto interpersonale distruttivo che dura da dieci anni. I ricercatori suggeriscono diversi modi per ridurre gli effetti dell’escalation of commitment: • Stabilire degli obiettivi minimi di performance e fare in modo che i decisori paragonino il loro risultato con questi obiettivi. • Durante lo svolgimento di un progetto, far ruotare regolarmente i manager che detengono posizioni chiave. • Incoraggiare i decisori a diminuire il loro coinvolgimento psicologico nel progetto. • Mettere al corrente i decisori relativamente ai costi necessari per il proseguimento di un progetto.18 Il processo decisionale basato sull’evidenza Processo decisionale basato sull’evidenza: uso scrupoloso dei dati e delle evidenze migliori a disposizione durante il processo decisionale L’interesse verso il concetto di processo decisionale basato sull’evidenza nasce da due fattori: il primo è l’obiettivo di evitare i bias decisionali esaminati nella sezione precedente, il secondo è la ricerca condotta sulla medicina basata sull’evidenza. Il dottor David Sackett definisce la medicina basata sull’evidenza come “l’uso coscienzioso, esplicito e giudizioso delle migliori evidenze disponibili nel processo decisionale riguardante le cure da somministrare ai singoli pazienti”. Ricercatori e medici studiano la medicina basata sull’evidenza perché, secondo i risultati delle ricerche, solo il 15% delle decisioni dei medici si basano sulle evidenze e questo approccio potrebbe contribuire a determinare l’uso più efficiente delle risorse sanitarie.19 Gli studiosi di comportamento organizzativo hanno adottato questo modello per applicarlo al contesto del processo decisionale manageriale. Molto semplicemente, il processo decisionale basato sull’evidenza (evidence-based decision making, EBDM) consiste nell’uso scrupoloso dei dati e delle evidenze migliori a disposizione durante il processo decisionale manageriale. Analizzeremo questo nuovo approccio alla fase decisionale presentando un modello ed esaminando un insieme di principi per l’implementazione che possono aiutare le organizzazioni ad applicarlo. Concluderemo analizzando i motivi per i quali può essere difficile seguire il processo decisionale basato sull’evidenza. Lo studio di questi concetti può contribuire a ridurre la vulnerabilità ai bias decisionali. Un modello di processo decisionale basato sull’evidenza La figura 12-2 illustra un modello del processo decisionale basato sull’evidenza articolato in cinque fasi.20 Come potete notare, la fase iniziale del processo consiste nella raccolta di dati ed evidenze interni ed esterni sul problema da affrontare; tali informazioni vengono successivamente integrate ai punti di vista degli stakeholder (ad esempio collaboratori, azionisti e clienti) e a considerazione etiche. Tutto considerato, il processo illustrato in figura 12-2 aiuta i manager a valutare i fatti con obiettività ed evitare l’influenza dei CompOrga.indb 273 11/01/2013 16.35.24 274 Parte III I gruppi e i processi sociali Fase 1 Fase 2 Fase 3 Fase 4 Fase 5 Identificare il problema o l’opportunità Raccogliere evidenze e dati interni circa il problema da affrontare, valutandone la rilevanza e la validità Raccogliere evidenze esterne circa il problema dalle ricerche pubblicate Raccogliere i punti di vista degli stakeholder interessati dalla decisione e considerare le implicazioni etiche Integrare tutti i dati, valutarli criticamente e prendere una decisione Figura 12-2 Modello del processo decisionale basato sull’evidenza Fonte: tratto da R.B. Briner, D. Denyer e D.M. Rousseau, “Evidence-Based Management: Concept Cleanup Time?” Academy of Management Perspectives, novembre 2009, pp. 19-32. bias individuali nel prendere le decisioni. L’uso di dati rilevanti e affidabili provenienti da fonti diverse è chiaramente mirato a rendere il contesto decisionale più esplicito, critico, sistematico e basato sui fatti. È importante sottolineare che all’interno del processo rappresentato in figura 12-2 le evidenze vengono utilizzate con tre finalità: per prendere una decisione, per influenzare una decisione e per sostenerla.21 “L’evidenza viene impiegata per prendere una decisione quando questa è una conseguenza diretta dell’evidenza.” Per esempio, se desiderate acquistare una determinata automobile usata (una Toyota Prius) in base al prezzo e al colore (rosso), ricercherete informazioni online e consulterete gli annunci di vendita per poi scegliere la Prius rossa con il costo più basso. “L’evidenza viene impiegata per influenzare una decisione quando il processo decisionale associa dati obiettivi e input qualitativi come l’intuito e la negoziazione con gli stakeholder.” Per esempio, nei casi di assunzione di neolaureati, i dati obiettivi tratti dalle esperienze dei candidati, dalla formazione e dall’appartenenza ad associazioni studentesche rappresenterebbero input rilevanti ai fini del processo decisionale. A questi si associano le impressioni soggettive riportate durante i colloqui e la consultazione delle referenze. Entrambi questi usi dell’evidenza sono chiaramente positivi e vanno incoraggiati. Lo stesso non si può dire dell’uso dell’evidenza per sostenere una decisione. “L’evidenza viene impiegata per sostenere una decisione ogniqualvolta viene raccolta o modificata al solo fine di legittimare una decisione già presa.” Quest’ultima applicazione dell’evidenza determina effetti positivi e negativi. Per quanto riguarda i primi, le evidenze costruite possono essere utilizzate per convincere soggetti esterni che l’organizzazione sta perseguendo una linea d’azione sana in risposta a un contesto decisionale complesso e ambiguo, creando un clima di fiducia e una predisposizione positiva sulle reazioni organizzative agli eventi esterni. Per quanto concerne gli effetti negativi, questa pratica può ostacolare l’offerta di input e il coinvolgimento dei collaboratori, inducendoli a credere che il management ha intenzione di ignorare l’evidenza e agire a propria discrezione. Le lezioni da ricordare in merito all’uso dell’evidenza CompOrga.indb 274 11/01/2013 16.35.24 12 Processi decisionali individuali e di gruppo 275 per sostenere una decisione sono due: la prima, questa pratica non va sempre evitata; la seconda, proprio perché determina effetti positivi e negativi, il management deve valutarla attentamente nei casi in cui “potrebbe” essere opportuno ignorare le evidenze contrarie e proseguire lungo il percorso scelto. Sette principi per l’implementazione Jeffrey Pfeffer e Robert Sutton, docenti a Stanford, hanno studiato a lungo il management basato sull’evidenza e propongono sette principi per l’implementazione che possono aiutare le organizzazioni a integrare il processo decisionale basato sull’evidenza nella propria cultura.22 Considerare l’organizzazione un prototipo incompiuto Essenzialmente, questo principio consiste nel favorire una mentalità secondo la quale l’organizzazione è un prototipo incompiuto che potrebbe essere rotto o da riparare, evitando così la convinzione arrogante e supponente secondo la quale nulla deve mutare al suo interno. Bando alle chiacchiere, attenzione ai fatti La DaVita, una società che gestisce 600 centri per la dialisi, usa questo slogan per rafforzare una cultura di sostegno al processo decisionale basato sull’evidenza. L’organizzazione misura e monitora regolarmente l’efficacia dei centri per la dialisi e il benessere dei pazienti e premia l’eccellenza. Guardare se stessi e l’organizzazione con gli occhi di un esterno Numerosi manager sono carichi di ottimismo e hanno una visione distorta del proprio talento e delle possibilità di raggiungere il successo. Questo li induce a sottovalutare i rischi, cadendo nell’escalation of commitment bias. “Un amico, un mentore o un consigliere senza peli sulla lingua possono aiutare a valutare evidenze migliori e agire di conseguenza,” suggeriscono Pfeffer e Sutton. Il management basato sull’evidenza non è prerogativa dell’alta dirigenza Le ricerche dimostrano che le organizzazioni migliori sono quelle in cui tutti i collaboratori, e non solo i top manager, applicano il processo decisionale basato sull’evidenza.23 Pfeffer e Sutton incoraggiano i manager a “trattare i dipendenti come se una componente importante del loro lavoro fosse inventare, trovare, testare e implementare le idee migliori.” Ciò implica che i dipendenti devono ricevere la formazione e le risorse necessarie per applicare il processo decisionale basato sull’evidenza. Bisogna sapersi vendere “Purtroppo idee nuove ed entusiasmanti catturano l’attenzione anche quando sono peggiori rispetto alle vecchie” affermano Pfeffer e Sutton. “Belle storie e casi di studio interessanti vendono meglio rispetto a dati dettagliati, rigorosi e francamente noiosi, a prescindere da quanto siano errate le storie e quanto siano esatti i dati.” Questo significa che per ‘vendere’ il processo decisionale basato sull’evidenza bisogna saper fare ricorso anche a storie e casi accattivanti. CompOrga.indb 275 11/01/2013 16.35.25 Parte III 276 I gruppi e i processi sociali Fermarsi è meglio che andare avanti facendo le cose sbagliate Poiché può accadere che i collaboratori vengano spinti a mettere in atto azioni che sanno essere inefficaci, potrebbero trovarsi nelle condizioni di adottare quello che Pfeffer e Sutton definiscono “comportamento ostruzionistico basato sull’evidenza”, per esempio ignorare le richieste ricevute e ritardare l’azione. Occorre molta cautela nell’applicazione di questo principio. La migliore domanda diagnostica: che cosa accade quando si sbaglia? “L’insuccesso ferisce, è imbarazzante e tutti ne faremmo volentieri a meno” affermano i due professori. “Eppure senza l’errore non si apprende [...] Se si esamina la gestione dei sistemi più efficaci al mondo, si nota che quando qualcosa non va, gli individui affrontano la realtà, comprendono che cosa non ha funzionato e perché e se ne servono per migliorare il sistema.” Perché è difficile adottare il processo decisionale basato sull’evidenza? Nonostante la valenza del processo decisionale basato sull’evidenza sia lampante, può risultare difficile avvalersi delle evidenze migliori in fase decisionale per sette ordini di ragioni: (1) le evidenze sono troppe; (2) le evidenze di buona qualità sono insufficienti; (3) le evidenze non sono pertinenti; (4) altri soggetti tentano di portare fuori strada il decisore; (5) il decisore inganna se stesso; (6) gli effetti collaterali hanno maggior peso del rimedio e (7) le fandonie alla fine sono sempre più convincenti.24 Dinamiche del processo decisionale Il processo decisionale è un po’ scienza e un po’ arte. Nella presente sezione prenderemo in esame innanzitutto gli stili decisionali, che riguardano la componente “scientifica” del processo e sono importanti perché influiscono sul processo decisionale dei singoli. Analizzeremo anche la componente “artistica” illustrando il ruolo dell’intuizione nel processo decisionale. La comprensione di tali dinamiche può aiutare i manager a prendere decisioni migliori. Stili decisionali Stile decisionale: la combinazione del modo in cui un individuo percepisce le informazioni e vi risponde CompOrga.indb 276 La presente sezione si concentra sul modo in cui lo stile decisionale del singolo influisce sul suo processo decisionale. Lo stile decisionale riflette la combinazione del modo in cui il singolo percepisce e comprende gli stimoli e in cui sceglie di rispondere a tale informazione.25 Un gruppo di ricercatori ha elaborato un modello di stili decisionali partendo dal principio che questi varino in base a due diverse dimensioni: l’orientamento al valore e la tolleranza nei confronti dell’ambiguità.26 L’orientamento al valore mette in evidenza quanto un individuo nel momento in cui prende una decisione si concentra sulle questioni tecniche e sul compito piuttosto che sulle questioni personali e sociali. Alcuni, per esempio, sul lavoro sono molto concentrati sulla mansione da svolgere, non 11/01/2013 16.35.25 12 Processi decisionali individuali e di gruppo 277 prestando particolare attenzione alle questioni personali, mentre altri si comportano in maniera opposta. La seconda dimensione riguarda la tolleranza della persona verso l’ambiguità. Tale dimensione indica quanto l’individuo sente una forte necessità di strutturare e controllare la sua vita. Alcuni sentono il bisogno di avere una vita molto strutturata (bassa tolleranza per l’ambiguità) e considerano le situazioni ambigue stressanti e psicologicamente scomode. Altri, al contrario, non sentono un particolare bisogno di strutturare la loro vita e riescono ad avere successo in situazioni di incertezza (alta tolleranza per l’ambiguità). Le situazioni ambigue possono addirittura trasmettere energia a chi ha un alto grado di tolleranza per l’ambiguità. La combinazione delle due dimensioni dà origine a quattro stili decisionali: direttivo, analitico, concettuale e comportamentale (figura 12-3). Direttivo Chi è caratterizzato da uno stile direttivo ha una bassa tolleranza per l’ambiguità e, al momento di prendere una decisione, è maggiormente orientato al compito e alle questioni tecniche; nell’affrontare la soluzione di un problema è efficiente, logico, pratico e sistematico. Chi possiede questo stile è orientato all’azione, è deciso e preferisce concentrarsi sui fatti. Nel perseguire rapidità e risultati, tuttavia, tali individui tendono a essere autocratici, a esercitare il potere e il controllo e a focalizzarsi sul breve termine. Aspetto interessante, lo stile direttivo sembra il più adeguato per i controllori del traffico aereo. Ecco che cosa ha raccontato Paul Rinaldi del suo stile decisionale a un giornalista della rivista Fortune. Figura 12-3 Stili nei processi decisionali Fonte: basato sulla discussione in A.J. Rowe e R.O. Mason, Managing with Style: A Guide to Understanding, Assessing, and Improving Decision Making (San Francisco: Jossey-Bass, 1987), pp. 1-17 Tolleranza verso l’ambiguità Non si tratta tanto di analizzare, quanto di prendere una decisione rapida e sostenerla. Si deve agire in questo modo con la consapevolezza che alcune decisioni risulteranno sbagliate e si dovrà fare in modo che siano giuste. Non si può tornare indietro. Occorre tenere sempre conto della velocità dell’aeromobile, delle sue caratteristiche, della velocità variometrica e della rapidità con la quale potrà reagire alle istruzioni. Un controllore del traffico aereo reperisce e analizza queste informazioni in mezzo secondo, augurandosi che tutto vada per il verso giusto; se non accade, si passa al piano B […] Tra chi svolge Alta Analitico Concettuale Direttivo Comportamentale Bassa Orientamento al compito e agli aspetti tecnici Orientamento alle persone e agli aspetti sociali Orientamento al valore CompOrga.indb 277 11/01/2013 16.35.25 278 Parte III I gruppi e i processi sociali la mia professione, sono in pochi ad arrivare alla pensione. È un lavoro usurante. Non possiamo permetterci di commettere errori.27 Analitico Questo stile è caratterizzato da una tolleranza verso l’ambiguità assai maggiore nonché dalla tendenza all’analisi della situazione estremamente (persino troppo) approfondita. Chi adotta tale stile preferisce, diversamente da coloro che sono direttivi, valutare più informazioni e alternative. Gli analitici sono decisori attenti, che impiegano più tempo, ma che mostrano una buona reazione di fronte a situazioni incerte. Spesso possono essere autocratici. Zhang Gaungming è un ottimo esempio di decisore analitico: “Da mesi Zhang Gaungming è concentratissimo sull’acquisto di un’automobile nuova. Ha trascorso ore sfogliando riviste cinesi specializzate, visitando siti Internet alla ricerca di informazioni su svariati modelli e recandosi in decine di concessionari in tutta Pechino. Ha infine deciso di acquistare una berlina Volkswagen Bora o Hyundai Sonata ma, dato che la concorrenza feroce sta costringendo i concessionari a ridurre notevolmente i prezzi, non sa ancora se acquistare subito o aspettare.”28 Concettuale Gli individui caratterizzati da questo stile possiedono un alto grado di tolleranza verso l’ambiguità e tendono a concentrarsi sugli aspetti personali e sociali di una situazione lavorativa. Pongono la risoluzione del problema in una prospettiva più ampia, e preferiscono valutare molte opzioni e possibilità future. I concettuali sono lungimiranti e, per ottenere maggiori informazioni, si affidano all’intuizione e ai confronti verbali con altri. Sono disposti a correre rischi e abili a trovare soluzioni creative ai problemi. Per quanto riguarda gli aspetti negativi, questo tipo di stile può favorire, nel processo decisionale, un approccio idealistico e poco incisivo. Howard Stringer, il primo CEO della Sony Corporation nato all’estero, esemplifica le caratteristiche del decisore concettuale. Howard Stringer si divide tra stili di management e culture diverse, è questo il suo dilemma. Afferma di riconoscere il rischio di rimanere indietro rispetto ai rapidi cambiamenti che attraversano il settore dell’elettronica, ma sostiene che esiste anche il rischio di muoversi troppo aggressivamente. “Non voglio modificare la cultura della Sony al punto da renderla irriconoscibile rispetto alla visione del fondatore” dice […] Stringer, che ha 65 anni e ha mantenuto il team dirigenziale trovato al suo arrivo in azienda. Cerca di persuadere con gentilezza i manager a collaborare gli uni con gli altri e li ha invitati a riflettere su nuove strategie di sviluppo dei prodotti.29 Comportamentale Rispetto agli altri, lo stile comportamentale è maggiormente orientato verso le persone; chi si affida a tale stile ha un buon rapporto di lavoro con i colleghi e apprezza le interazioni sociali durante le quali avviene un aperto scambio di opinioni. Il tipo comportamentale è una persona che dà sostegno, accetta suggerimenti, dimostra cordialità e preferisce l’informazione verbale a quella scritta. Pur non rifiutando di partecipare alle riunioni, le persone caratterizzate da questo stile tendono a evitare il conflitto e a essere maggiormente orientate verso i bisogni degli altri. Ciò può portare queste persone ad avere un approccio poco convinto durante il CompOrga.indb 278 11/01/2013 16.35.25 12 Processi decisionali individuali e di gruppo 279 processo decisionale, a dover affrontare il problema di dire di no ad altri e a trovarsi in difficoltà al momento di prendere una decisione sgradevole. Ricerche e implicazioni pratiche La ricerca in questo campo dimostra che sono davvero pochi gli individui che, nei propri processi decisionali, sono caratterizzati da un solo stile dominante. Emerge altresì che gli stili decisionali variano a seconda del lavoro preso in considerazione, della posizione che si occupa e del paese in cui ci si trova.30 Quattro sono i modi in cui si può utilizzare la teoria sugli stili decisionali: la conoscenza degli stili vi aiuta, innanzitutto, a capire voi stessi; essere consapevoli del vostro stile vi sarà utile per individuare, in qualità di decisori, i vostri punti di forza e di debolezza; sarete inoltre facilitati nella possibilità di un miglioramento personale. La consapevolezza dell’esistenza di tali stili, in secondo luogo, può accrescere la vostra capacità di esercitare influenza sugli altri. Se, per esempio, avete a che fare con una persona analitica, dovete essere in grado di fornire, a sostegno delle vostre idee, quante più informazioni possibili; questo tipo di approccio tenderà a non incontrare invece il favore di una persona direttiva. In terzo luogo, la conoscenza degli stili vi rende consapevoli di come i singoli individui, partendo dalle stesse informazioni, approdino a decisioni diverse usando un gran numero di strategie decisionali. I diversi stili rappresentano, sul posto di lavoro, una possibile fonte di conflitto interpersonale (tale argomento verrà diffusamente trattato nel Capitolo 13). Infine, è bene comunque concludere ricordando che non esiste uno stile decisionale migliore degli altri e valido per tutte le situazioni. È decisamente vantaggioso adottare un approccio contingente, scegliendo lo stile più adeguato alla situazione. Per esempio, se il contesto richiede una decisione rapida, lo stile direttivo potrebbe risultare il migliore; al contrario, un approccio comportamentale può essere più adeguato quando si prendono decisioni che incidono sul benessere dei collaboratori. Attualmente non è possibile fornire indicazioni più dettagliate perché non è stata ancora sviluppata una teoria contingente completa che illustra in quali circostanze adottare i diversi stili decisionali. L’intuizione nel processo decisionale Intuizione: un giudizio che affiora spontaneamente, senza un’esplicita consapevolezza dei suoi fondamenti Nel suo libro How We Decide (in italiano, Come decidiamo, trad. di Susanna Bourlot, Codice, Torino, 2009), Jonah Lehrer sostiene che molti individui usano efficacemente l’intuizione in fase decisionale.31 L’intuizione si definisce come un giudizio, un’idea o una decisione che “affiora spontaneamente, senza un’esplicita consapevolezza degli spunti che l’abbiano generata e senza un’esplicita valutazione della loro validità”.32 Le ricerche dimostrano che tutti gli individui sono dotati di intuizione e che la tendenza a fidarsi delle intuizioni non è correlata al genere.33 È dunque importante comprendere quali siano le fonti dell’intuizione e sviluppare le proprie capacità intuitive perché queste possono risultare importanti quanto l’analisi razionale in molti contesti decisionali. Consideriamo i seguenti esempi: Ignorando i suggerimenti dei consulenti, Ray Kroc acquistò dai fratelli McDonald il marchio McDonald’s: “Non amo rischiare e non avevo a disposizione grandi risorse finanziarie, ma l’istinto mi spingeva a portare avanti l’operazione.” Incurante del parere CompOrga.indb 279 11/01/2013 16.35.25 Parte III 280 Figura 12-4 Un modello duale dell’intuizione Fonti: basato in parte su D. Kahneman e G. Klein, “Conditions for Intuitive Expertise,” American Psychologist, settembre 2009, pp. 515-26; E. Sadler-Smith e E. Shefy, “The Intuitive Executive: Understanding and Applying ‘Gut Feel’ in Decision-Making,” Academy of Management Executive, novembre 2004, pp. 76-91; e C.C. Miller e R.D. Ireland, “Intuition in Strategic Decision Making: Friend or Foe in the FastPaced 21st Century,” Academy of Management Executive, febbraio 2005, pp. 19-30. Competenza • Conoscenza tacita ed esplicita Intuizione olistica Processi intuitivi • Automatici, involontari e spontanei • Controllati, volontari e forzati Sensazioni I gruppi e i processi sociali Esperienza automatica degli scettici e della carenza di ricerche di mercato a supporto, l’ex presidente della Chrysler Bob Lutz fece diventare realtà la Dodge Viper. “Era una sensazione inconscia, viscerale. E sentivo che era la scelta giusta.” Senza curarsi del fatto che 24 editori avevano rifiutato il libro e la sua stessa casa editrice si opponeva, Eleanor Friede puntò su “un piccolo libro da poco” intitolato Il gabbiano Jonathan Livingstone: “Sentivo che quella storia semplice raccontava delle verità che l’avrebbero resa un classico internazionale.”34 Purtroppo l’intuizione non induce sempre a prendere decisioni vincenti come quelle di Ray Kroc ed Eleanor Friede. Per approfondire le conoscenze sul ruolo dell’intuizione nel processo decisionale, nella presente sezione esamineremo un modello dell’intuizione, analizzando i pro e i contro dell’intuizione in fase decisionale. Un modello dell’intuizione La figura 12-4 presenta un modello dell’intuizione. Partendo da destra, il modello dimostra che esistono due tipi di intuizione: 1. Un’intuizione olistica rappresenta una valutazione basato sull’integrazione inconscia di informazioni immagazzinate nella memoria. Gli individui che ricorrono a questa forma di intuizione potrebbero non essere in grado di spiegare perché desiderano prendere una determinata decisione, se non perché “sembra la scelta giusta”. 2. Le esperienze automatiche rappresentano una scelta basata su situazioni familiari e l’applicazione parzialmente inconscia di informazioni apprese in precedenze e legate a queste situazioni. Per esempio, quando si hanno anni di esperienza nella guida, si reagisce a una molteplicità di situazioni senza analizzarle coscientemente. Tornando alla figura 12-4, come potete notare, l’intuizione è data da due processi distinti, l’uno automatico, involontario e spontaneo, l’altro controllato, volontario e forzato. Le ricerche dimostrano che i due processi possono influenzare l’intuizione agendo separatamente oppure insieme.35 Per esempio, nel rispondere alle domande di riepilogo sui contenuti di un capitolo di un manuale di studio, è possibile che CompOrga.indb 280 11/01/2013 16.35.25 12 Processi decisionali individuali e di gruppo 281 nella vostra mente affiori automaticamente una risposta basata sul ricordo di ciò che avete letto (un processo automatico). Pensandoci su (processo controllato), potreste decidere che il vostro primo pensiero è errato e che è necessario tornare a rileggere alcuni contenuti per approdare a una risposta diversa. Ciò a sua volta potrebbe indurvi a richiamare altre idee, e così i due processi continuerebbero. I processi intuitivi sono influenzati da due fattori: le competenze e le sensazioni (vedi figura 12-4). Le competenze sono date dalla combinazione delle conoscenze esplicite (cioè informazioni esprimibili verbalmente senza sforzo) e delle conoscenze tacite individuali (cioè informazioni acquisite attraverso l’esperienza e difficili da esprimere e formalizzare) in relazione a un oggetto, una persona, una situazione oppure un’opportunità decisionale. Questa fonte di intuizione si sviluppa con l’età e l’esperienza. La componente delle sensazioni riflette l’effetto soggiacente automatico sollecitato da un oggetto, una persona, una situazione oppure un’opportunità decisionale. La reazione intuitiva si basa sull’interazione tra le competenze e le sensazioni individuali in una determinata situazione. I pro e i contro dell’intuizione in fase decisionale Tra gli aspetti positivi, l’intuizione può velocizzare il processo decisionale,36 rivelandosi un prezioso aiuto nel mondo odierno, complesso e soggetto a costanti mutamenti. Può inoltre rivelarsi molto pratica quando le risorse e il tempo a disposizione sono limitati. Per esempio, le intuizioni basate su profonde conoscenze e preparazione attiva puntellano le decisioni rapide e complesse nel contesto di un’unità ospedaliera di pronto soccorso. Ricordando il suo lavoro come direttrice di un pronto soccorso, Kathleen Gallo afferma, “Se l’arrivo di un elicottero con a bordo un’intera famiglia vittima di un incidente automobilistico può sembrare una crisi e può di fatto esserlo per la famiglia, non lo è per il personale sanitario [ ], che è pronto ad affrontare la situazione.”37 Per quanto concerne gli aspetti negativi, l’intuizione è soggetta agli stessi bias che possono influenzare il processo decisionale razionale, in particolare le euristiche della disponibilità e della rappresentatività, il bias di ancoraggio, l’overconfidence bias, e il bias retrospettivo.38 Inoltre, il decisore potrebbe faticare a convincere gli altri che la sua decisione intuitiva sia sensata, con il rischio che una buona idea venga ignorata. Quali conclusioni possiamo dunque trarre rispetto al ricorso all’intuizione in fase decisionale? A nostro parere, l’intuizione e la razionalità sono complementari e i manager dovrebbero tentare di fare leva su entrambe. Vi incoraggiamo quindi a usare l’intuizione in fase decisionale e a sviluppare la vostra consapevolezza intuitiva applicando le linee guida illustrate nella tabella 12-1. Processi decisionali di gruppo I gruppi (comitati, task force, team di progetto o collegi di esperti che effettuano congiuntamente una valutazione) ricoprono spesso un ruolo chiave nell’ambito del processo decisionale. ATA Engineering Inc., per esempio, adotta il processo decisionale di gruppo: I colloqui di assunzione di nuovi collaboratori prevedono il coinvolgimento di almeno 8-10 dipendenti; se uno di loro si oppone all’assunzione, è possibile che il candidato non CompOrga.indb 281 11/01/2013 16.35.26 Parte III 282 Tabella 12-1 Linee guida per sviluppare la consapevolezza intuitiva Fonte: da E. Sadler-Smith e E. Shefy, “The Intuitive Executive: Understanding and Applying ‘Gut Feel’ in Decision-Making,” Academy of Management Executive, novembre 2004, p. 88. I gruppi e i processi sociali CONSIGLIO DESCRIZIONE 1. Aprite il cassetto In che misura avete delle intuizioni, vi fidate delle vostre sensazioni, fate affidamento su valutazioni intuitive, ignorate le impressioni, fate affidamento celatamente sul vostro istinto? Istinto, idea e intuizione non sono sinonimi: esercitatevi a distinguere tra istinti, idee e intuizioni. Cercate di ottenere feedback sui vostri giudizi intuitivi; sviluppate fiducia rispetto al vostro istinto e create un ambiente di apprendimento che vi consenta di sviluppare una migliore consapevolezza intuitiva. Create dei parametri di valutazione delle vostre intuizioni e fatevi un’idea della misura in cui sono affidabili. Domandatevi come migliorare i vostri giudizio intuitivi. Usate le immagini anziché le parole: cercate di visualizzare letteralmente potenziali scenari futuri tenendo conto delle vostre sensazioni. Mettete alla prova le vostre valutazioni intuitive, ponete obiezioni e create argomentazioni contrarie per testare la solidità del vostro istinto quando viene messo in discussione. Raggiungete lo stato interiore nel quale la vostra mente intuitiva è libera di elaborare; catturate le intuizioni creative e prendetene nota prima che siano censurate dall’analisi razionale. 2. Non fate confusione tra le “I” 3. Cercate feedback di qualità 4. Valutate l’efficacia del vostro intuito 5. Usate le immagini 6. Fate l’avvocato del diavolo 7. Catturate le intuizioni e avvaloratele riceva alcuna proposta, a meno che la persona in questione non cambi parere. Talvolta anche le decisioni aziendali più importanti vengono prese dai lavoratori. Quando il canone di affitto della sede aziendale è aumentato, per esempio, l’ATA ha istituito un comitato di dipendenti incaricato di esaminare il problema. Il comitato ha deciso di restare, dopo aver constatato che la sede era comoda per la maggioranza dei dipendenti.39 Due teste, o più, sono davvero meglio di una, come sostiene la ATA? Tutti i collaboratori desiderano dare il loro contributo durante il processo decisionale? Fino a che punto i manager li coinvolgono nella fase decisionale? Quali tecniche utilizzano i gruppi per migliorare il loro modo di prendere le decisioni? Gli incontri a tu per tu sono più efficaci delle decisioni prese mediante l’utilizzo di sistemi informatici? La presente sezione fornirà le informazioni necessarie per rispondere a queste domande. Gli argomenti trattati saranno: (1) il coinvolgimento del gruppo nel processo decisionale, (2) vantaggi e svantaggi del processo decisionale supportato dal gruppo e (3) le tecniche di problem-solving di gruppo. Il gruppo nei processi decisionali I gruppi sono in grado di contribuire a ciascuna fase del processo decisionale, sia che decidano di incontrarsi, sia che si affidino ad altri metodi tecnologicamente più avan- CompOrga.indb 282 11/01/2013 16.35.26 12 Processi decisionali individuali e di gruppo 283 zati per collegarsi a distanza. È importante, tuttavia, al fine di massimizzare il valore del processo decisionale di gruppo, creare un ambiente nel quale i singoli membri si sentano a loro agio e liberi di esprimere le loro opinioni. La ricerca ha chiarito come i manager possano creare un simile ambiente. Un gruppo di ricercatori ha condotto due studi per stabilire quanto la capacità di innovazione di un gruppo fosse legata al dissenso della minoranza, intesa come la libertà percepita dai membri del gruppo di dissentire dalle opinioni degli altri membri, e al livello di partecipazione al processo decisionale. I risultati delle due ricerche hanno dimostrato che i gruppi più innovativi possedevano, in larga misura, sia il dissenso della minoranza, sia la partecipazione al processo decisionale.40 Una possibile strategia è favorire un dibattito più prolifico tra i membri del gruppo durante le riunioni. Le ricerche dimostrano che tale strategia presenta anche effetti positivi collaterali: la discussione di gruppo accresce la soddisfazione lavorativa e la performance dei membri.41 Un altro suggerimento è quello di sollecitare punti di vista divergenti da parte dei membri del gruppo e non penalizzare gli elementi del gruppo che esprimono un’opinione diversa da quella della maggioranza. Vantaggi e svantaggi del processo decisionale di gruppo Il coinvolgimento dei gruppi nel processo decisionale presenta vantaggi e svantaggi (tabella 12-2). Per quanto riguarda gli aspetti positivi, i gruppi possono comprendere un più ampio insieme di conoscenze, offrono punti di vista più eterogenei, creano una maggiore comprensione dei problemi, aumentano la probabilità che una decisione venga accettata, costituiscono infine un ambito di formazione per i collaboratori privi di esperienza. Tali vantaggi devono però essere bilanciati dagli svantaggi elencati nella tabella 12-2. A questo scopo i manager devono stabilire fino a che punto i vantaggi e gli svantaggi riguardano la situazione decisionale specifica. Per decidere se un gruppo debba essere coinvolto in un processo decisionale, infine, si possono utilizzare i tre criteri di seguito riportati. 1. Se informazioni aggiuntive possono contribuire a migliorare la qualità della decisione, allora i manager devono coinvolgere gli individui in grado di fornire tali informazioni. 2. Se l’accettazione è importante, i manager devono coinvolgere gli individui la cui approvazione e il cui impegno sono importanti. 3. Se la partecipazione favorisce la crescita delle persone, i manager devono coinvolgere coloro la cui crescita è particolarmente importante.42 Performance individuale vs performance di gruppo Prima di consigliare il coinvolgimento dei gruppi nel processo decisionale è importante riuscire a capire se essi siano in grado di produrre un risultato migliore rispetto agli individui presi singolarmente. Dopo aver riesaminato gli studi prodotti nel corso di 61 anni, un esperto di processi decisionali è giunto alla conclusione che “il risultato del gruppo, solitamente, è stato qualitativamente e quantitativamente superiore rispetto a quello dell’individuo medio”.43 Sebbene anche studi successivi, in merito a processi decisionali di piccoli gruppi, ab- CompOrga.indb 283 11/01/2013 16.35.26 Parte III 284 Tabella 12-2 Vantaggi e svantaggi del processo decisionale di gruppo Fonte: R. Kreitner, Management, 8° ed. (Boston; Houghton Miffln, 2001), p. 243. I gruppi e i processi sociali Vantaggi Svantaggi 1. Maggiori conoscenze. Nel prendere una decisione o affrontare un problema, un gruppo può fornire molte più informazioni e mettere a disposizione una gamma di esperienze più vasta rispetto a quanto non possa fare un individuo che agisce da solo. 2. Prospettive differenti. Gli individui con esperienze e interessi diversi aiutano il gruppo a osservare le situazioni e i problemi da prospettive diverse. 1. Pressione sociale. Il voler evitare i conflitti e la pressione al conformismo potrebbero reprimere la creatività dei singoli collaboratori. 3. Maggiore comprensione. Chi sperimenta personalmente la reciprocità delle discussioni di gruppo in merito ad azioni alternative tende a comprendere le ragioni che hanno portato alla decisione finale. 4. Maggiore accettazione. Chi gioca un ruolo attivo nell’ambito del processo decisionale di gruppo e nell’ambito del problemsolving ha la tendenza a vedere i risultati finali come “nostri” piuttosto che come “loro”. 5. Luogo di formazione. I partecipanti a una decisione di gruppo con meno esperienza imparano a gestire le dinamiche del gruppo tramite un coinvolgimento attivo e concreto. 2. Supremazia di una piccola, ma accesa minoranza. Talvolta la qualità della decisione si riduce quando il gruppo cede di fronte a coloro che prevaricano gli altri con interventi più lunghi e accesi. 3. Scambio di voti. Scambi di natura politica possono soppiantare un approccio equilibrato se i progetti o gli interessi di una persona sono in gioco. 4. Spostamento dell’obiettivo. Talvolta considerazioni secondarie come il voler prevalere in una discussione, il voler dimostrare il proprio punto di vista o il voler rispondere all’avversario, distolgono dal compito primario di prendere una valida decisione o di risolvere un problema. 5. Groupthink. Talvolta, nel generare e valutare azioni alternative, gruppi uniti fanno prevalere il desiderio di unanimità su un giudizio sensato (il concetto di groupthink viene trattato nel Capitolo 12). biano sostenuto, in linea generale, tale affermazione, prima di coinvolgere i gruppi nel processo decisionale bisogna considerare cinque importanti risultati: 1. In alcuni casi i gruppi sono stati meno efficienti dei singoli individui. I vincoli temporali sono un fattore molto importante quando si deve stabilire se coinvolgere un gruppo nel processo decisionale. 2. I gruppi, rispetto ai singoli individui, hanno dimostrato una maggiore sicurezza dei loro giudizi e delle loro scelte. Dal momento che la sicurezza che un gruppo sente di avere non può andare a sostituire la qualità della decisione presa dal gruppo stesso, tale eccesso di sicurezza può favorire il groupthink (concetto trattato diffusamente nel Capitolo 10) e la resistenza a considerare soluzioni alternative proposte da individui esterni al gruppo. 3. I gruppi tendono a prendere decisioni più moderate. Sembra che la necessità di raggiungere il consenso o il compromesso induca a prendere decisioni meno estreme.44 4. L’accuratezza del processo decisionale è stata maggiore quando (a) i gruppi coinvolti conoscevano molto bene gli argomenti da trattare e (b) i leader dei gruppi possedevano la capacità di valutare efficacemente le opinioni e i giudizi dei membri del gruppo. I gruppi devono dare maggior valore ai giudizi importanti e accurati CompOrga.indb 284 11/01/2013 16.35.26 12 Processi decisionali individuali e di gruppo 285 dei membri che ne fanno parte e nel contempo minimizzare quelli non importanti o meno accurati.45 5. La composizione di un gruppo influisce sui suoi processi decisionali e, alla fine, sul risultato. È più probabile, ad esempio, che gruppi composti da persone che si conoscono bene prendano decisioni migliori quando è necessario condividere molte informazioni personali. Gruppi composti da persone meno intimamente legate, invece, dovrebbero raggiungere un risultato migliore rispetto a un gruppo di amici se le informazioni rilevanti sono note a tutti.46 Studi ulteriori suggeriscono che i manager, nello stabilire se includere o meno altre persone nel processo decisionale, dovrebbero adottare, a seconda delle circostanze, metodi diversi. Consideriamo ora tali circostanze. Raccomandazioni pratiche legate alle situazioni Se si tratta di decisioni che si ripresentano spesso, come ad esempio la promozione di un collaboratore o la concessione di un prestito, è bene coinvolgere il gruppo per la sua tendenza a prendere decisioni più coerenti rispetto ai singoli individui. Nel caso in cui vi siano vincoli temporali stringenti, lasciate che sia l’individuo più competente, e non il gruppo, a prendere la decisione. Di fronte a minacce ambientali quali pressioni temporali e potenziali gravi effetti determinati dalla decisione presa, i gruppi tendono a ricorrere a una quantità ridotta di informazioni e a un numero minore di canali di comunicazione. Tale comportamento aumenta la probabilità di approdare alla decisione sbagliata. Alla luce di queste conclusioni è importante, nel caso di compiti difficili, che i manager ricordino la necessità di definire strumenti adeguati per potenziare l’efficacia della comunicazione, considerando quanto la qualità di quest’ultima influisce sulla produttività del gruppo. Tecniche per il problem-solving di gruppo Consenso: situazione in cui tutti i membri di un gruppo sostengono una decisione CompOrga.indb 285 Il coinvolgimento di gruppi nel processo decisionale richiede generalmente che questi raggiungano un consenso al proprio interno. Il consenso, secondo un esperto di processi decisionali, “si raggiunge quando tutti i membri del gruppo possono dire di essere d’accordo con la decisione presa, oppure quando non sono stati in grado di convincere gli altri del loro punto di vista. In ultima analisi, tutti sono d’accordo nel sostenere l’esito finale”.47 Tale definizione indica che il consenso non deve essere necessariamente unanime, perché i membri del gruppo, pur non essendo ancora d’accordo sulla decisione finale, possono comunque volere impegnarsi perché questa abbia successo. È possibile che i gruppi, nel tentativo di raggiungere una decisione unanime, incontrino degli ostacoli sul loro cammino; essi, per esempio, potrebbero non sviluppare tutte le alternative importanti ai fini di risolvere un problema a causa dell’atteggiamento dominante e intimidatorio che un individuo assume nei confronti di altri membri del gruppo. Ciò può avvenire apertamente o subdolamente: membri che, ad esempio, possiedono potere e autorità, indipendentemente dal loro modo di rapportarsi agli altri, possono intimidire con la sola presenza in una stanza. Anche la timidezza può frenare la produzione di alternative; persone timide o ansiose potrebbero non portare il loro contributo per imbarazzo o mancanza di fiducia in se stessi. Accontentarsi di un’alternativa 11/01/2013 16.35.26 286 Parte III I gruppi e i processi sociali soddisfacente può costituire un altro ostacolo verso l’efficacia di un processo decisionale di gruppo. Come precedentemente osservato, i gruppi optano per un’alternativa soddisfacente a causa del tempo limitato, della scarsa informazione o dell’incapacità di gestire molte informazioni. Un esperto di management ha fornito alcuni suggerimenti su come agire per raggiungere con successo un consenso: i gruppi dovrebbero ascoltare attivamente, coinvolgendo quante più persone possibile, scoprire le ragioni sottese a ogni discussione ed esaminare a fondo i fatti. Allo stesso tempo i gruppi non dovrebbero ricorrere a meccanismi di scambio politico (sosterrò la tua decisione perché tu, l’ultima volta, hai sostenuto la mia), mettere ai voti le questioni controverse o mostrarsi d’accordo solo per evitare conflitti.48 Utilizzare il voto per prendere una decisione non è consigliabile perché potrebbe portare a una divisione del gruppo in vincitori e vinti. Al fine di ridurre questi ostacoli, gli esperti del processo decisionale hanno sviluppato tre tecniche di problem-solving di gruppo: brainstorming, nominal group e tecnica Delphi. La conoscenza di tali tecniche può aiutare i manager di oggi e di domani ad avviare più efficacemente un processo decisionale di gruppo. L’avvento di decisioni prese tramite il supporto del computer, inoltre, permette ai manager di utilizzare le tecniche descritte per risolvere problemi di natura complessa anche con gruppi numerosi. Brainstorming: processo volto a generare una grande quantità di idee Brainstorming Il brainstorming è una tecnica sviluppata da A.F. Osborn, un manager del settore pubblicitario, per migliorare la creatività;49 viene utilizzata per aiutare i gruppi nella generazione di molteplici idee e alternative volte a risolvere i problemi. Quando il brainstorming è messo in pratica, un gruppo viene convocato per valutare il problema all’ordine del giorno; ai vari partecipanti viene quindi chiesto di generare in silenzio idee/alternative volte a risolvere il problema. All’esposizione ad alta voce e disordinata delle idee si preferisce la generazione silenziosa perché sfocia in una quantità maggiore di contributi originali. I gruppi tendono a concentrarsi su un numero più limitato di idee e a restare bloccati su una singola proposta quando, prima della condivisione delle proposte, l’elaborazione di alternative avviene a voce alta.50 In seguito si chiede che le idee/alternative generate vengano esposte per iscritto. Potrebbe essere preferibile la raccolta anonima delle idee generate dal brainstorming; i risultati delle ricerche hanno dimostrato che porta a idee più controverse e decisamente meno ridondanti.51 Infine il gruppo si riunisce in un secondo momento per valutare le varie alternative. Durante il brainstorming è opportuno che i manager si attengano a sette regole:52 1. Sospendere il giudizio. Non criticare le idee generate durante la prima fase del brainstorming. Bisognerebbe evitare osservazioni come: “non abbiamo mai agito in quel modo”, “non funzionerà”, “ci costa troppo,” e “il capo non sarà mai d’accordo”. 2. Costruire sulle idee degli altri. Incoraggiare i partecipanti a sviluppare le idee degli altri usando “e” al posto di “ma”. 3. Incoraggiare idee bizzarre. Favorire il pensiero libero da preconcetti: tanto più le idee sono stravaganti o irriverenti, tanto meglio. 4. Dare importanza alla quantità più che alla qualità. I partecipanti devono cercare di generare e scrivere quante più idee possibili. Sottolineando l’importanza della quantità, gli individui sono incoraggiati ad andare oltre le loro idee preferite. 5. Curare l’aspetto visivo. Usare penne di colore diverso per scrivere su lavagne a fogli mobili o cartelloni da appendere alle pareti. CompOrga.indb 286 11/01/2013 16.35.26 12 Processi decisionali individuali e di gruppo 287 6. Restare concentrati sul tema. Un facilitatore può guidare la discussione ed evitare divagazioni. 7. Parlare uno per volta. La regola di base è che non si interrompono gli altri, non si scartano le idee altrui e si tiene sempre un atteggiamento rispettoso e cortese. È utile infine ricordare che tale tecnica è efficace per la generazione di nuove idee/ alternative e la ricerca dimostra che si possono affinare le capacità di brainstorming dei collaboratori attraverso la formazione. Il brainstorming però non è adatto al fine di valutare le alternative o di selezionare le soluzioni appropriate. Tecnica del nominal group: processo mediante il quale si generano idee e si valutano le soluzioni Tecnica Delphi: processo durante il quale un gruppo di esperti geograficamente distanti genera idee CompOrga.indb 287 Tecnica del nominal group La tecnica del nominal group serve ad aiutare i gruppi a generare idee, valutare e selezionare le varie alternative; è un incontro strutturato di gruppo che si mette in pratica nel modo seguente.53 Un gruppo viene convocato per discutere un particolare problema o argomento; una volta focalizzato il tema gli individui iniziano con una silenziosa esposizione scritta delle loro idee. Procedendo in cerchio, ciascuno sceglie dalla propria lista una delle idee e la propone; tutte le idee vengono scritte su una lavagna, senza che, a questo punto del processo, vengano ancora discusse. Solo una volta completato l’elenco incomincia la discussione di gruppo. Chiunque può criticare o difendere qualunque idea elencata; nel corso di questa fase vengono forniti chiarimenti e si raggiunge o meno un accordo in merito all’idea discussa. Per agevolare la discussione si può ricorrere al “metodo dei 30 secondi”: ciascun membro del gruppo ha l’opportunità, per un massimo di 30 secondi, di parlare a favore o contro qualunque idea presa in considerazione. In alternativa, i gruppi possono elaborare una matrice sforzo/benefici, identificando l’impegno e i costi dell’implementazione di ciascuna idea e raffrontandoli ai potenziali benefici. Alla fine i membri del gruppo esprimono, in segreto, le loro preferenze. Il capogruppo, in seguito, somma i voti per stabilire la scelta del gruppo. Prima di giungere alla decisione finale, il gruppo può anche decidere di discutere le idee che hanno ottenuto il punteggio più alto e procedere a una seconda votazione. La tecnica del nominal group riduce le difficoltà nell’ambito di un processo decisionale di gruppo (1) separando la fase di brainstorming da quella della valutazione; (2) favorendo una partecipazione equilibrata tra i membri del gruppo; (3) includendo sistemi di votazione al fine di raggiungere un accordo. Questa tecnica è stata usata con successo per prendere decisioni in situazioni molto diverse e si è riscontrato che genera più idee rispetto a una sessione standard di brainstorming.54 Tecnica Delphi Questo metodo di problem-solving è stato in origine sviluppato dalla Rand Corporation per effettuare previsioni tecnologiche.55 Attualmente viene usato come strumento di pianificazione multifunzionale. La tecnica Delphi è un processo applicato alla comunicazione di gruppo durante il quale esperti, anche geograficamente distanti, generano idee o esprimono giudizi in forma anonima. Diversamente dalla tecnica del nominal group, caratterizzata da una discussione faccia a faccia tra i membri del gruppo, in questo caso le idee degli esperti vengono raccolte mediante questionari o attraverso la comunicazione via Internet. Il manager dà inizio a tale processo identificando innanzitutto il problema che si vuole affrontare; per esempio, potrebbe trattarsi di valutare le future preferenze della clientela 11/01/2013 16.35.26 288 Parte III I gruppi e i processi sociali o le conseguenze della localizzazione di un impianto in una determinata regione del paese. In seguito vengono selezionati i partecipanti e viene formulato un questionario, che viene inviato loro e poi rispedito al manager (attualmente, molto spesso tali questionari vengono inviati tramite e-mail). Il manager riassume le risposte e le rispedisce ai partecipanti; a questo punto viene loro chiesto (1) di riesaminare le proprie risposte, (2) di assegnare priorità agli argomenti considerati e (3) di restituire, entro il periodo di tempo specificato, il questionario. Questo ciclo si ripete fino a quando il manager non ha ottenuto le informazioni necessarie. La tecnica Delphi risulta utile quando non è possibile organizzare un incontro a tu per tu, quando disaccordi e divergenze di opinioni possono compromettere la comunicazione, quando alcuni individui potrebbero esercitare un forte predominio nella discussione e quando il groupthink è un risultato probabile del processo decisionale di gruppo.56 Processo decisionale assistito dal computer La crescente globalizzazione delle organizzazioni, associata al progresso delle tecnologie dell’informazione, ha determinato lo sviluppo di sistemi per il processo decisionale assistito dal computer. Due sono le modalità generali di utilizzo. In primo luogo, numerose organizzazioni per migliorare il processo decisionale usano una molteplicità di strumenti informatici, hardware e software, che consentono ai manager di ottenere rapidamente una maggiore quantità di informazioni da collaboratori, clienti e fornitori in tutto il mondo. Per esempio, Best Buy, Google, GE, Intel e Microsoft ricorrono a reti intranet per ottenere input dai collaboratori; Best Buy e Google hanno rilevato che tali sistemi sono utili per elaborare stime della domanda di nuovi prodotti e servizi.57 Anche la Walmart ha adottato sistemi computerizzati per migliorare il processo decisionale; per esempio, i punti vendita ricorrono a un nuovo sistema computerizzato per stabilire la turnazione dei circa 1,3 milioni di collaboratori. Il sistema determina il numero di dipendenti necessario per ciascun punto vendita in base all’affluenza dei clienti in determinate fasce orarie.58 È stato inoltre comprovato che tali sistemi migliorano l’elaborazione delle informazioni e il processo decisionale dei team virtuali, che abbiamo analizzato nel Capitolo 11. La seconda applicazione generica del processo decisionale assistito dal computer è legata alla gestione delle riunioni. Esistono due sistemi di processo decisionale assistito dal computer: quello guidato da un moderatore e quello guidato dal gruppo. Nel primo i partecipanti sono chiamati a rispondere a domande prestabilite indicando la loro risposta su tastiere elettroniche; questo sistema viene spesso usato in trasmissioni televisive. Nel giro di pochi secondi il computer ordina le risposte dei partecipanti in una tabella. Le riunioni guidate dal gruppo sono condotte con uno dei due metodi seguenti. Primo metodo: i manager, per raccogliere informazioni o valutare le idee riguardo a una decisione da prendere, possono ricorrere ai sistemi di posta elettronica o a Internet. Un secondo metodo di conduzione delle riunioni di gruppo assistite dal computer si svolge nell’ambito di strutture specializzate dotate di postazioni di lavoro collegate fra loro. I partecipanti, invece di parlare, digitano sulla tastiera i loro input: idee, commenti, reazioni o valutazioni. I dati immessi appaiono simultaneamente su un grande schermo proiettato davanti a loro che permette così la visione a tutti i partecipanti. Tale procedimento riduce gli ostacoli che portano al raggiungimento del consenso perché l’input è anonimo, ciascun membro riceve un’opportunità per dare il suo contribuito e CompOrga.indb 288 11/01/2013 16.35.27 12 Processi decisionali individuali e di gruppo 289 nessuno può prevaricare durante il processo. La ricerca ha dimostrato che il processo decisionale assistito dal computer ha prodotto idee quantitativamente e qualitativamente superiori rispetto a quelle prodotte utilizzando il brainstorming o la tecnica del nominal group, sia nel caso di piccoli che di grandi gruppi.59 In conclusione, prevediamo che il ricorso al processo decisionale assistito dal computer aumenterà in futuro, anche perché questi sistemi si prestano bene alla vita organizzativa moderna e al nutrito gruppo di membri delle generazioni X e Y che sta entrando nella forza lavoro. Creatività Data l’attuale necessità di prendere decisioni rapidamente, sta diventando sempre più importante la capacità di un’organizzazione di stimolare la creatività e l’innovazione dei suoi collaboratori. In alcune aziende si ritiene addirittura che la creatività e l’innovazione siano le chiavi del successo. Rispetto all’argomento del presente capitolo, la creatività entra in gioco in tutte le quattro fasi del processo decisionale razionale e ogniqualvolta un individuo oppure un gruppo si trovano a dover risolvere un problema, a prendere una decisione oppure a creare qualcosa di nuovo. La creatività è particolarmente importante anche durante le sessioni di brainstorming. Al fine di comprendere più approfonditamente la gestione di tale processo creativo cominceremo dalla definizione del concetto di creatività, mettendo in evidenza le caratteristiche individuali e contestuali ad essa associate; passeremo poi in rassegna le fasi sottostanti al processo creativo. Definizione e caratteristiche individuali associate alla creatività Creatività: processo volto allo sviluppo di qualcosa di unico e nuovo CompOrga.indb 289 Nonostante siano state proposte varie altre definizioni, la creatività viene qui definita come il processo mediante il quale si ricorre all’immaginazione e alle proprie abilità per lo sviluppo di qualcosa di nuovo e unico: un prodotto, un oggetto, un processo o un pensiero.60 La creatività può portare tanto a risultati molto semplici, come l’ideazione di un nuovo posto dove appendere le chiavi della macchina, quanto a operazioni complesse, come la creazione di un microcomputer tascabile. Questa definizione mette in evidenza tre tipologie generali di creatività. Si può creare qualcosa di nuovo (creazione), si può combinare o sintetizzare qualcosa (sintesi), si possono migliorare o modificare le cose (modifica). Il comportamento creativo individuale subisce l’influenza diretta di una serie di singole caratteristiche della persona. La creatività richiede motivazione; le persone, in altri termini, prendono una decisione indipendentemente dall’intenzione di voler applicare le loro conoscenze e abilità per creare nuove idee, cose o prodotti. Oltre alla motivazione, un’altra caratteristica tipica delle persone creative è di agire al di fuori degli schemi comuni. Sono individui fortemente motivati che trascorrono gran parte del tempo sviluppando sia una conoscenza tacita sia una conoscenza esplicita riguardo la loro sfera di interesse o la loro occupazione. Diversamente da quanto si è soliti credere, le persone creative non sono necessariamente geni o personaggi introversi; non sono 11/01/2013 16.35.27 Parte III 290 I gruppi e i processi sociali neppure degli adattatori, intesi come “coloro che [ ] preferiscono risolvere le difficoltà e prendere decisioni cercando di avere il minor impatto possibile con i presupposti, le procedure e i valori dell’organizzazione”.61 I creativi, al contrario, sono insoddisfatti dello status quo. Cercano nuove ed entusiasmanti soluzioni ai problemi e tendono a essere curiosi.62 La ricerca dimostra inoltre che uomini e donne non possiedono livelli diversi di creatività, e che vi sono molte caratteristiche della personalità associate alla creatività.63 Tali caratteristiche comprendono, tra le altre, quelle mostrate nella tabella 12-3. L’argomento diventa più concreto se si considera l’esempio che segue. La storia dei post-it fornisce un esempio adeguato su come le caratteristiche individuali mostrate nella tabella 12-3 favoriscano il comportamento creativo. I post-it sono un prodotto che frutta alla 3M 200 milioni di dollari all’anno: L’idea è venuta ad Art Fry, un dipendente della 3M che aveva l’abitudine di segnare con pezzetti di carta gli inni da cantare nel coro della chiesa. Questi segnalibri, però, continuavano a scivolare fuori dal libro dei canti; Fry pensò pertanto a un foglio di carta dotato di una parte adesiva sul retro che potesse rimanere attaccato per tutto il tempo necessario, ma che si potesse anche staccare facilmente. Trovò quello che stava cercando nel laboratorio della 3M, e così nacquero i post-it. Fry intuì il potenziale di mercato della sua invenzione, ma altri no. Le indagini di mercato diedero risultati negativi; i maggiori distributori di materiale da ufficio si mostrarono scettici. Fry pertanto cominciò a diffondere il prodotto regalandone dei campioni ai manager della 3M e alle loro segretarie. Una volta che li ebbero sperimentati di persona si convinsero definitivamente.64 Tabella 12-3 Caratteristiche individuali associate alla creatività Fonti: basato sulla discussione in T. Brown, “Thinking,” Harvard Business Review, giugno 2008, pp. 85-92; e R.J. Sternberg e R.I. Lubart, “Investing in Creativity,” American Psychologist, luglio 1996, pp. 677-88. Capacità intellettuali • Capacità di vedere i problemi da altre prospettive e di sfuggire ai limiti del pensiero convenzionale. • Capacità di riconoscere quali idee è opportuno portare avanti o meno. • Capacità di persuadere e influenzare gli altri. Conoscenza tacita (implicita) ed esplicita (in merito a un particolare settore, un’occupazione, un argomento, un prodotto, un servizio ecc.) Stile di pensiero • Preferenza verso nuovi modi di pensare scelti personalmente. Aspetti personali • Propensione al superamento degli ostacoli. • Propensione ad assumere rischi ragionevoli. • Propensione a tollerare l’ambiguità. • Auto-efficacia. • Apertura all’esperienza e coscienziosità. Motivazione intrinseca al compito CompOrga.indb 290 11/01/2013 16.35.27 12 Processi decisionali individuali e di gruppo 291 Si noti come Fry abbia dovuto esercitare la sua influenza su altri per convincerli a sperimentare la sua idea. La tabella 12-3 mostra che le persone creative possiedono la capacità di convincere e influenzare gli altri. Le caratteristiche del contesto associate alla creatività Nel Capitolo 1 abbiamo notato che il contesto può influenzare il nostro comportamento, e tale considerazione è certamente vera in relazione alla creatività. Ritornando all’esame della cultura organizzativa condotto nel Capitolo 3, le ricerche hanno rilevato che le organizzazioni dotate di una cultura adhocratica tendono a essere più innovative.65 Questi risultati suggeriscono che potrebbe essere auspicabile ispirarsi alle prassi adottate dalla Google, consentendo maggiore flessibilità, assunzione di rischio e sperimentazione nell’ambiente di lavoro con l’obiettivo di incentivare la creatività dei collaboratori. La creatività è inoltre associata ai vincoli temporali e al livello di stress caratteristici dell’ambiente. A smentire la convinzione che le persone siano più creative quando sono in crisi o sotto forte pressione, si è notato che stretti vincoli temporali soffocano la creatività, così come lo stress. La creatività tocca i livelli massimi quando i collaboratori subiscono uno stress moderato.66 Infine, i leader possono fare molto per accrescere la creatività mostrando interesse per i collaboratori e riservando a tutti un trattamento equo (ricordate la teoria dell’equità illustrata nel Capitolo 8).67 Le fasi del processo creativo I ricercatori non dispongono di certezze sul funzionamento della creatività; tuttavia sappiamo che essa implica “associazioni remote” tra eventi, idee e informazioni, non legate tra loro, presenti nella memoria (Capitolo 7), o oggetti concreti. Consideriamo in che modo il dottor William Foege, durante il suo incarico presso i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie negli Stati Uniti, ha coordinato il programma per sradicare il vaiolo in Nigeria. Foege si rese conto che la fornitura di vaccino a sua disposizione non era sufficiente per l’intera popolazione; osservando che la gente si riuniva nei mercati, mirò la sua campagna di vaccinazione agli individui che frequentavano le aree più affollate, anche se erano solo di passaggio. Così facendo, Foege (attualmente senior fellow del Carter Center e della Bill and Melinda Gates Foundation) creò un modello per le future campagne di vaccinazione che contrasta efficacemente la diffusione dei virus.68 Il concetto di “associazione remota” delinea idee come il legame individuato da Foege tra i comportamenti di acquisto e la diffusione di un virus; non spiega però come Foege abbia creato tale associazione. I ricercatori hanno individuato cinque fasi del processo creativo: la preparazione, la concentrazione, l’incubazione, l’illuminazione e la verifica. Passiamo ora a esaminare queste fasi. La fase di preparazione indica che la creatività ha origine da una base di conoscenza. Secondo gli esperti la creatività comprende una convergenza tra conoscenza tacita e conoscenza esplicita. CompOrga.indb 291 11/01/2013 16.35.27 292 Parte III I gruppi e i processi sociali Durante la fase di concentrazione l’individuo si focalizza sul problema oggetto della discussione. Nel contesto lavorativo, spesso le idee creative nascono da problemi, incongruenze e fallimenti legati al lavoro; premesso questo, le ricerche dimostrano che concentrarsi eccessivamente sulla ricerca di soluzioni creative può di fatto inibire la creatività. Per esempio, il fantasticare è stato collegato alla creatività, mentre altre ricerche hanno dimostrato che “curiosare navigando in Internet” accresce la creatività.69 Concedetevi delle distrazioni durante la ricerca di soluzioni creative perché questo può migliorare la fase successiva del processo, cioè quella dell’incubazione. L’incubazione avviene a livello inconscio; nel corso di questa fase la persona è impegnata nelle proprie attività quotidiane e, nel frattempo, rimugina sulle informazioni in proprio possesso compiendo associazioni remote. Tali associazioni conducono alla fase dell’illuminazione. L’ultima fase è quella della verifica, che consiste nel rivedere l’intero processo, controllare, apportare modifiche o sperimentare l’idea scaturita dal processo. Esaminiamo ora le fasi della creatività per capire come mai le organizzazioni giapponesi propongono e portano a termine un numero di idee superiore rispetto alle imprese americane. Nell’affrontare il problema un esperto in materia ha incontrato e intervistato approfonditamente i dipendenti di cinque fra le più importanti aziende giapponesi. L’esperto ha osservato come queste ultime abbiano creato un’infrastruttura manageriale volta a promuovere e rafforzare la creatività. Ai dipendenti è stato chiesto, sin dal primo giorno di impiego, di indicare la presenza di problemi (insoddisfazioni). Tali elementi, a loro volta, sono stati definiti “uova d’oro” per sottolineare l’importanza di questo processo. Le organizzazioni prese in esame hanno, altresì, promosso le fasi di incubazione, illuminazione e verifica tramite il lavoro di squadra e la creazione di incentivi. Alcune aziende, per esempio, hanno raffigurato tali “uova d’oro” su poster giganti appesi nei luoghi di lavoro; i collaboratori sono stati poi incoraggiati a interagire per portare a termine le fasi finali del processo creativo. Sono stati assegnati dei premi in denaro per ogni suggerimento che superasse tutte le cinque fasi del processo.70 Questa ricerca sottolinea la conclusione secondo la quale la creatività può essere valorizzata da una gestione concreta del processo creativo e dalla creazione di un ambiente di lavoro positivo e di supporto. CompOrga.indb 292 11/01/2013 16.35.27 13 Gestione del conflitto e negoziazione Quanto conta l’emotività nella gestione dei conflitti? L’ingegner Fazi sapeva che parte del suo lavoro consisteva nel cercare di mantenere un buon clima nel suo team, ma a volte era preso dallo sconforto. In particolare, in quel momento, stava scorrendo una mail che, a suo parere, non andava scritta. Sospirò pensando a quanti malintesi avrebbe evitato una normale telefonata. Nel caso specifico il coordinatore di un cantiere aveva scritto a Silva, responsabile degli acquisti, mettendo ovviamente in copia una decina di altre persone. Come più volte sollecitato ricordo che le valvole di regolazione del progetto veneto, dovranno essere in cantiere entro e non oltre 10 giorni. Sarà mio personale impegno chiedere che i costi dell’eventuale fermo cantiere vengano addebitati alle funzioni che non sanno fare gioco di squadra! CompOrga.indb 293 Ovviamente le risposta era stata scritta quasi in simultanea, segno che Silva non si era fermato neanche un istante a riflettere e aveva scritto immediatamente: Ricevo l’ultimatum a cui mi preme rispondere che le valvole saranno in cantiere quando il fornitore verrà pagato dall’amministrazione che non ha ancora sbloccato una vecchia e consistente fattura e che il sottoscritto su questo processo non ha alcun potere. Richiamo inoltre il fatto che i “giochi di squadra” si fanno insieme e non addossando le colpe agli altri. Fazi mise in calendario una riunione tra gli interessati, chiamando anche il responsabile dei pagamenti, sapendo che avrebbe passato la prima mezz’ora a calmare gli animi e successivamente, forse, a occuparsi della valvole incriminate. 11/01/2013 16.35.27 294 Parte III I gruppi e i processi sociali La ricerca di un sano equilibrio tra l’eccesso e la totale assenza di conflitto è una sfida costante nel contesto organizzativo. In questo capitolo, dopo aver discusso una visione aggiornata del concetto di conflitto e i tre principali tipi di conflitto esistenti, impareremo a gestirlo, sia in qualità di persone direttamente coinvolte, sia come parti terze; successivamente verrà presa in esame la negoziazione; concluderemo descrivendo un approccio contingente alla gestione del conflitto e alla negoziazione. Conflitto: una prospettiva moderna Non fatevi trarre in inganno. Il conflitto è un aspetto inevitabile della vita organizzativa. Di seguito riportiamo le tendenze principali che contribuiscono a rendere il conflitto organizzativo inevitabile. • Cambiamento costante. • Una maggiore diversità nel personale. • Presenza di più gruppi (virtuali e autogestiti). • Diminuzione della comunicazione faccia a faccia (maggiore interazione virtuale). • Un’economia globale con un incremento di rapporti interculturali. Dean Tjosvold, della Lingnan University di Hong Kong, fa notare che “il cambiamento genera conflitto e il conflitto genera cambiamento”,1 e ci sfida a migliorare proponendo il seguente punto di vista globale: Imparare a gestire il conflitto rappresenta un investimento serio nel processo di miglioramento che noi, le nostre famiglie e le nostre organizzazioni intraprendiamo nel trarre vantaggio dal cambiamento. Una buona gestione dei conflitti non ci protegge dal cambiamento, né ci permette di ottenere sempre il massimo dei successi, né di ottenere tutto quello che vogliamo. Tuttavia, ci aiuta a restare in contatto con nuovi sviluppi e a creare soluzioni adeguate contro minacce nascenti o in favore di nuove opportunità. Numerosi fatti, dagli elevati tassi di divorzio ai casi di abuso sessuale o fisico a danno di bambini, dalle fusioni aziendali andate in fumo alle sanguinose violenze etniche, sembrano indicare che non possediamo le capacità di far fronte ai nostri conflitti globali, organizzativi e interpersonali.2 Conflitto: una parte percepisce che i propri interessi sono ostacolati o influenzati negativamente da un’altra parte CompOrga.indb 294 Ma una risposta la dobbiamo pur dare. Come sottolineato nel presente capitolo, gli strumenti e le soluzioni ci sono, se solo ci impegniamo nello sviluppo delle capacità e della volontà di utilizzarli con perseveranza. La scelta spetta a noi: essere attivi gestori del conflitto o lasciare che sia il conflitto a gestire noi. Un approfondito studio della letteratura sull’argomento ha portato alla seguente definizione universalmente condivisa: “il conflitto è quel processo per cui una parte percepisce che i propri interessi sono ostacolati o influenzati negativamente da un’altra parte”.3 L’uso del verbo percepire, in questo caso, ci ricorda come le origini del conflitto possano essere reali o immaginate; il conflitto che ne consegue è lo stesso. Nel corso del tempo il conflitto può rafforzarsi o indebolirsi. “Il processo conflittuale si manifesta in un determinato contesto; in qualunque momento avvenga, sia esso in crescita o 11/01/2013 16.35.27 13 Gestione del conflitto e negoziazione 295 meno, le parti in causa o le parti terze possono tentare, in qualche modo, di gestirlo.”4 Ne consegue che i manager attuali e futuri devono necessariamente capire le dinamiche del conflitto e sapere come gestirlo in modo efficace (sia che siano direttamente o indirettamente coinvolti). Il linguaggio del conflitto: metafore e significati Quello del conflitto è un argomento complesso per diverse ragioni;5 prima fra tutte vi è il fatto inequivocabile che il conflitto implica spesso un consistente bagaglio emotivo. Il timore di perdere o la paura del cambiamento determinano, nell’ambito di un conflitto, una rapida impennata emozionale. I conflitti, inoltre, variano molto in ampiezza. Essi hanno sia attori direttamente coinvolti che osservatori; alcuni di questi ultimi possono dimostrarsi interessati e attivi, altri disinteressati e passivi. Il termine conflitto, di conseguenza, a seconda delle circostanze e del coinvolgimento del singolo, può assumere un gran numero di significati. Considerate, ad esempio, le seguenti tre metafore e le espressioni a esse legate, usate sul posto di lavoro: • Conflitto come guerra: “Quell’idea l’abbiamo uccisa noi.” • Conflitto come opportunità: “Che cosa è necessario per superare il disaccordo?” • Conflitto come viaggio: “Vediamo di cercare un punto di incontro e di imparare tutti qualcosa di utile.”6 Chiunque concepisca il conflitto come una guerra tenterà di vincere a tutti i costi e di annientare il nemico. Viceversa, coloro che vedono il conflitto come un’opportunità o un viaggio avranno la tendenza a essere più positivi, più aperti e costruttivi. Purtroppo, in un mondo dominato da ostilità, un pensiero bellicoso, distruttivo e combattivo ha troppo spesso il sopravvento. I conflitti sul posto di lavoro, comunque, non sono una guerra. Nella gestione dei conflitti all’interno delle organizzazioni, pertanto, dovremmo cercare di basarci non tanto sulla metafora e sul linguaggio della guerra, quanto su quelle dell’opportunità e del viaggio. In situazioni conflittuali è necessario monitorare con cura la scelta delle parole. Spiegando le tre metafore, gli esperti di conflitto Cloke e Goldsmith hanno fornito il commento che segue, utile per dare al presente capitolo il giusto equilibrio: Il conflitto vi da l’opportunità di approfondire il vostro grado di empatia e intimità nei confronti dei vostri avversari. La vostra rabbia trasformerà “l’altro” in un demone o un furfante stereotipato. Un atteggiamento difensivo, parimenti, vi impedirà di comunicare apertamente con il vostro oppositore o di ascoltare attentamente ciò che dice. D’altro canto, una volta che incomincerete a dialogare con quella persona, farete rinascere il lato umano della sua personalità e riuscirete, di rimando, a esprimere il vostro. Inoltre, se gestirete i conflitti con integrità, essi vi porteranno a una crescita della consapevolezza e a un miglioramento di voi stessi. La rabbia incontrollata, un atteggiamento difensivo e la vergogna vanno a minare tali possibilità. Tutti si sentono meglio una volta risolti i problemi e trovata una soluzione, e si sentono peggio quando soccombono o falliscono nel risolverli. L’amara verità è che le vittorie rabbiose portano a una sconfitta CompOrga.indb 295 11/01/2013 16.35.27 Parte III 296 I gruppi e i processi sociali a lungo termine. Gli sconfitti si ritirano, si sentono traditi e perduti, e conserveranno tale sentimento per il conflitto successivo. Il conflitto può essere visto semplicemente come un modo per imparare qualcosa di più in merito a ciò che non funziona e a come risolvere il problema. L’utilità della soluzione dipende da quanto profonda sia la vostra comprensione del problema. Questo è legato alla vostra capacità di ascoltare, che dipende, a sua volta, dall’arresto del ciclo di escalation e dalla ricerca di opportunità e di miglioramenti.7 Per farla breve, una situazione “win-win” (in cui si lavora per la vittoria di entrambi) è migliore di una situazione “win-lose” (in cui uno dei due deve soccombere), sia nell’ambito di un conflitto che di una negoziazione. Il continuum dei conflitti Nel corso del XX secolo, le idee legate alla gestione del conflitto sono passate attraverso un’interessante evoluzione; all’inizio del secolo, esperti di scientific management come Taylor ritenevano che tutti i conflitti, in definitiva, costituissero una minaccia per l’autorità manageriale e che pertanto dovessero essere evitati o risolti celermente. In seguito, i sostenitori delle relazioni umane hanno riconosciuto l’inevitabilità del conflitto e suggerito ai manager di imparare a convivere con esso. Il fattore più importante, tuttavia, è sempre stato legato, laddove possibile, alla risoluzione del conflitto. A partire dagli anni ’70, gli studiosi di comportamento organizzativo si sono resi conto che il conflitto, a seconda della sua natura e intensità, portava a risultati sia negativi che positivi. Tale prospettiva ha introdotto l’idea rivoluzionaria secondo la quale le organizzazioni potessero soffrire del fatto di avere troppo pochi conflitti. La figura 13-1 illustra il rapporto tra l’intensità del conflitto e i risultati. Gruppi di lavoro, uffici o organizzazioni aventi a che fare con una quantità troppo ridotta di conflitti hanno la tendenza a essere afflitti da apatia, mancanza di creatività, indecisione e scadenze non rispettate. Un conflitto eccessivo, tuttavia, può minare la Figura 13-1 Relazione tra l’intensità del conflitto e i risultati Risultati Fonte: L.D. Brown, Managing Conflict of Organizational Interfaces, (Reading; MA, Addison-Wesley Publishing, 1986), figura 1.1, p. 8 © 1986, Addison-Wesley Publishing Co. Riprodotto su autorizzazione. Positivi Neutrali Negativi Conflitto troppo basso Bassa Conflitto adeguato Conflitto troppo elevato Moderata Alta Intensità CompOrga.indb 296 11/01/2013 16.35.28 13 Gestione del conflitto e negoziazione 297 performance organizzativa a causa di lotte politiche interne, insoddisfazioni, mancanza di lavoro di squadra e turnover. Il bullismo nell’ambiente di lavoro, subito da un terzo degli intervistati in un recente sondaggio,8 è certamente classificabile come conflitto patologico; anche l’aggressività e la violenza sul posto di lavoro possono essere manifestazioni di un conflitto eccessivo.9 Tipologie e livelli adeguati di conflitto, invece, forniscono le giuste energie per muoversi in direzioni costruttive. Conflitto funzionale e conflitto patologico Conflitto funzionale: conflitto che promuove gli interessi dell’organizzazione Conflitto patologico: conflitto che minaccia gli interessi dell’organizzazione La distinzione tra conflitto funzionale e conflitto patologico è in relazione a quanto gli interessi dell’organizzazione vengano o meno soddisfatti. Stando a quanto afferma un esperto di conflitto Alcuni [tipi di conflitto] sostengono gli obiettivi dell’organizzazione e migliorano la performance; possono quindi essere interpretati come forme di conflitto costruttive, funzionali e fisiologiche. Vi sono, invece, forme di conflitto che ostacolano la performance organizzativa; esse sono definite patologiche o distruttive. Non sono auspicabili e i manager dovrebbero fare di tutto per evitarle.10 Il conflitto funzionale viene anche comunemente definito costruttivo o cooperativo. In relazione a quanto abbiamo affermato in precedenza rispetto al linguaggio del conflitto, coloro che hanno un atteggiamento funzionale adottano un approccio win-win per risolvere i problemi e trovare un terreno comune. L’esperto in psicologia organizzativa Kerry Sulkowicz traccia una distinzione importante tra aggressività e assertività in questa osservazione sul conflitto funzionale. I migliori CEO con i quali mi capita di lavorare sanno come fare pressione, dire di no, iniziare e vincere una battaglia quando è necessario. Addio lavoro in team? In realtà, la collaborazione e il confronto non si escludono a vicenda. Esiste l’aggressività – un meccanismo di sopravvivenza di base – e poi esiste l’assertività, la cugina più mansueta e socialmente accettabile, che può essere impiegata efficacemente anche tra persone che lavorano “nello stesso schieramento”. La necessità di essere assertivi emerge di continuo: è fondamentale nelle negoziazioni contrattuali, nella bocciatura di un lavoro svolto male, nella critica di una strategia, nel licenziamento (o nella difesa) di un collaboratore. Eppure alcuni farebbero di tutto pur di evitare il confronto […] Piuttosto stranamente, il segreto è essere empatici con la persona con cui ci si confronta. A tal fine, conviene addurre dati utili anziché impressioni, offrire alternative assieme alle obiezioni e limitare i commenti al peccato, non al peccatore. L’antagonista non vorrà più sentire ragioni dopo essersi sentito attaccato sul piano personale. È fondamentale evitare i moralismi. E gongolare dopo essere riusciti a prevalere. I vincitori meschini non piacciono a nessuno.11 CompOrga.indb 297 11/01/2013 16.35.28 Parte III 298 I gruppi e i processi sociali Antecedenti del conflitto Alcune situazioni generano più conflitti di altre. Conoscendo gli antecedenti del conflitto, i manager saranno maggiormente in grado di anticiparlo e di agire nel caso in cui esso diventi patologico. Ecco alcune tra le situazioni che tendono a creare conflitti, funzionali o patologici. • Personalità o sistemi di valori incompatibili. • Confini di ruolo poco chiari o sovrapposti. • Competizione per risorse limitate. • Competizione tra diversi sottosistemi organizzativi. • Comunicazione inadeguata. • Attività interdipendenti (esempio: una persona non può portare a termine ciò che le è stato assegnato fino a quando tutti non hanno completato la loro parte). • Complessità organizzativa (il conflitto tende ad aumentare con l’aumento dei livelli gerarchici e con una maggiore specializzazione delle attività). • Politiche, standard o regole irragionevoli o poco chiare. • Scadenze irragionevoli o esagerate pressioni sui tempi. • Processi decisionali collettivi (più elevato è il numero delle persone che prendono parte a un processo decisionale, più alta è l’eventualità che si venga a creare un conflitto). • Processo decisionale basato sul consenso. • Aspettative non realizzate (i collaboratori aventi aspettative non realizzabili in merito a incarichi di lavoro, stipendi o promozioni hanno una maggiore propensione al conflitto). • Conflitti rimasti irrisolti o sospesi.12 I manager proattivi sono coloro che tengono conto di queste situazioni e che prendono adeguati provvedimenti. Soluzioni auspicabili dei conflitti Nell’ambito delle organizzazioni la gestione del conflitto è qualcosa di più del perseguimento di un accordo. Il conflitto deve essere non solo eliminato, ma risolto in modo funzionale all’organizzazione. Per arrivare a questo risultato è necessario allargare la visuale. Il modello del conflitto cooperativo di Tjosvold suggerisce di perseguire tre risultati: 1. Accordo. Ma a quale costo? Gli accordi equi e leali sono i migliori; infatti un accordo che lascia a una delle parti una sensazione di sconfitta tenderà ad alimentare rancore e un conseguente ulteriore conflitto. 2. Rapporti più solidi. Buoni accordi permettono alle parti in conflitto di costruire legami basati su buona volontà e fiducia, che potranno essere utilizzati in seguito. Inoltre le parti in causa che hanno costruito una buona fiducia reciproca possono arrivare più rapidamente a un accordo. CompOrga.indb 298 11/01/2013 16.35.28 13 Gestione del conflitto e negoziazione 299 3. Apprendimento. Un conflitto funzionale può creare una maggiore consapevolezza di sé e un problem-solving di tipo creativo. Come per ogni pratica manageriale, anche la gestione del conflitto si apprende principalmente praticandola. La conoscenza dei concetti e delle tecniche presentate nel presente capitolo costituisce un primo passo necessario, ma non può sostituire la pratica concreta. In un mondo pieno di conflitti esistono opportunità infinite per esercitarsi in questa attività.13 Tipologie di conflitto Alcuni antecedenti del conflitto, messi in evidenza nel paragrafo precedente, necessitano di un approfondimento. La presente sezione esaminerà la natura e le implicazioni organizzative di tre tipi principali di conflitto: il conflitto di personalità, il conflitto fra gruppi e il conflitto interculturale. La discussione relativa a ciascun tipo di conflitto include alcune tecniche e suggerimenti pratici. Conflitto di personalità Nel corso dell’esposizione relativa alla diversità, nel Capitolo 2, abbiamo toccato l’argomento della personalità, che è stato poi ripreso discutendo il modello dei Big Five nel Capitolo 5. Sintetizzando, la personalità è l’insieme di tratti e caratteristiche stabili che creano una identità specifica e unica. Come sottolineano alcuni esperti in materia: Ciascuno di noi possiede un modo unico di interagire con gli altri. Il fatto di essere visti come affascinanti, irritanti, ordinari, avvicinabili o intimidatori, dipende in parte dalla nostra personalità o da quello che altri potrebbero descrivere come il nostro stile.14 Conflitto di personalità: contrasto interpersonale basato su personali antipatie, disaccordi o modi di essere differenti Dati gli infiniti modi in cui i tratti della personalità possono combinarsi tra loro, diventa evidente come mai i conflitti di personalità siano praticamente inevitabili. Il conflitto di personalità si definisce come un contrasto interpersonale basato su personali antipatie, disaccordi e/o modi di essere differenti. Intolleranza sul posto di lavoro: i germi del conflitto di personalità In parte simili al dolore fisico, i conflitti di personalità cronici cominciano spesso con irritazioni apparentemente insignificanti. Due ricercatori di comportamento organizzativo mettono in guardia rispetto al problema e alle sue conseguenze: L’intolleranza, o la mancanza di rispetto reciproco tra i collaboratori, è costosa per le organizzazioni in modo sottile e pervasivo. Sebbene i comportamenti intolleranti siano piuttosto comuni, numerose organizzazioni non li riconoscono e poche ne comprendono gli effetti dannosi; gran parte dei manager e dei dirigenti non sono ben preparati a gestirli. Nell’arco degli ultimi otto anni, indagando sul fenomeno attraverso interviste, focus group, questionari, esperimenti e forum con dirigenti, con il coinvolgimento di oltre 2.400 persone negli Stati Uniti e in Canada, abbiamo riscontrato che l’intolleranza induce le vittime, i testimoni e altre parti interessate ad agire in maniera tale da erodere i valori CompOrga.indb 299 11/01/2013 16.35.28 Parte III 300 I gruppi e i processi sociali organizzativi e impoverire le risorse dell’organizzazione. L’intolleranza nell’ambiente di lavoro riduce l’impegno, la produttività, le prestazioni e il tempo dedicato al lavoro dai collaboratori. Se non si cerca di arginare l’intolleranza, la soddisfazione lavorativa e la lealtà nei confronti dell’organizzazione non potranno che diminuire. Alcuni lavoratori abbandonano l’impiego esclusivamente per via dell’impatto di questa sottile forma di devianza.15 I circoli viziosi di intolleranza devono essere evitati o prevenuti coltivando una cultura organizzativa che attribuisca un alto valore al rispetto per le persone. Ciò implica che manager e leader siano modelli di cortesia e attenzione. Altresì utile è uno spirito di positiva collaborazione che si contrapponga a uno basato su atteggiamenti negativi e aggressività. Alcune organizzazioni hanno adottato corsi di correttezza sul posto di lavoro; più specificamente, un feedback costruttivo o modelli di comportamento appropriato possono contenere comportamenti irritanti evitando che precipitino in un vero e proprio conflitto di personalità (o peggio).16 Gestione dei conflitti di personalità I conflitti di personalità, per i manager, sono un potenziale campo minato. Vediamo di inquadrare il problema: i tratti della personalità, per definizione, sono stabili e resistenti al cambiamento. Secondo quanto riportato nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders della American Psychiatric Association, inoltre, esistono 410 tipi di disordine psicologico possibili, che si possono manifestare anche sul luogo di lavoro.17 In questa situazione si sommano anche fattori legali; infatti i collaboratori statunitensi che soffrono di disturbi psicologici, come la depressione, o di fattori di alterazione dell’umore, come l’alcolismo, sono protetti dall’American with Disbilities Act.18 Questo accade anche in altri paesi che dispongono di leggi simili. Anche le molestie sessuali e altre forme di discriminazione possono nascere da conflitti di personalità. Infine queste tipologie di conflitto possono generare violenza e aggressività sul posto di lavoro. Tradizionalmente i manager si sono confrontati con i conflitti di personalità ignorandoli oppure trasferendo una delle persone coinvolte. Alla luce delle implicazioni legali sopra riportate, entrambe le opzioni si prestano a denunce per discriminazione. La tabella 13-1 fornisce suggerimenti pratici per i manager e per tutte le persone coinvolte o colpite da conflitti di personalità. Successivamente verranno discusse le tecniche di gestione dei conflitti patologici e le tecniche alternative di risoluzione dei conflitti. Conflitto tra gruppi I conflitti tra gruppi di lavoro, team e sottosistemi organizzativi rappresentano una comune minaccia alla competitività dell’organizzazione. Quando Michael Volkema, a metà degli anni ‘90, è diventato amministratore delegato della Herman Miller, ad esempio, si è trovato di fronte lo scenario di un’azienda concentrata verso l’interno, con funzioni in conflitto tra loro per questioni di budget. Da allora Volkema ha tenuto sotto controllo il conflitto tra gruppi cercando di dare maggior enfasi alla collaborazione e orientando l’attenzione di ciascun collaboratore verso l’esterno, cioè verso il cliente.19 CompOrga.indb 300 11/01/2013 16.35.28 13 Gestione del conflitto e negoziazione 301 Tabella 14-1 Come gestire i conflitti di personalità Suggerimenti per gestire conflitti di personalità tra pari • Comunicare direttamente con l’altra persona al fine di risolvere il conflitto percepito (valorizzare il problem-solving gli obiettivi comuni piuttosto che elementi legati alla personalità) • Evitare di coinvolgere i colleghi nel conflitto • Se un conflitto patologico persiste cercare aiuto nei diretti supervisori, o presso gli esperti in risorse umane Suggerimenti per spettatori di conflitti di personalità • Nel caso di conflitti di personalità che riguardano qualcun altro non prendere le parti di nessuno • Suggerire alle parti coinvolte di ririsolvere i problemi in modo costruttivo e positivo • Se il conflitto patologico persiste riferire il problema al diretto supervisore delle parti in causa Suggerimenti per manager aventi collaboratori che soffrono di conflitti di personalità • Condurre indagini e documentare il conflitto • Se è il caso farsi parte attiva (ad esempio fornire feedback o formazione comportamentale) • Se necessario tentare una risoluzione informale del conflitto • In caso di conflitti difficili fare riferimento a specialisti in risorse umane o consulenti interni all’azienda per tentare di risolverli formalmente o tramite provvedimenti di altra natura Nota: tutti i collaboratori devono conoscere e seguire le politiche dell’azienda in merito a diversità, discriminazione e molestie sessuali. È evidente che i manager che comprendono i meccanismi del conflitto tra gruppi sono maggiormente preparati ad affrontare tale tipo di sfida. In-group thinking: i germi del conflitto tra gruppi Come discusso nei capitoli precedenti, la coesione – intesa come senso di “pluralità” che tiene uniti i gruppi – può essere un fattore positivo o negativo. Un certo grado di coesione può trasformare un gruppo di individui in una squadra efficiente. Un grado troppo elevato di coesione, invece, può dare adito al cosiddetto in-group thinking (pensare in gruppo), per il quale il desiderio di non creare disaccordi ha la meglio sul senso critico. Uno studio sulle dinamiche interne al gruppo, condotto da esperti dell’argomento, ha rivelato l’esistenza di tutta una serie di cambiamenti legati a un incremento della coesione di gruppo. In dettaglio: • Le persone all’interno del gruppo si considerano un insieme di individui unici, mentre considerano stereotipicamente i membri di altri gruppi “tutti uguali fra loro”. • Le persone all’interno del gruppo si considerano positive e moralmente corrette, mentre considerano negativi e immorali i membri di altri gruppi. • Le persone all’interno del gruppo vedono gli elementi esterni come una minaccia. • Le persone all’interno del gruppo portano all’estremo le differenze tra il loro gruppo e gli altri. Tale comportamento comporta, notoriamente, una distorta percezione della realtà.20 Un gruppo di tifosi fanatici, che non riescono proprio a immaginare la ragione per cui qualcuno dovrebbe tifare per la squadra rivale, rappresentano un esempio di in-group thinking. Questo modello di comportamento, inoltre, rappresenta una forma di etnocentrismo, individuata nel Capitolo 4 come barriera interculturale. L’in-group thinking rappresenta, nella vita organizzativa, un fattore che quasi sicuramente prepara un conflitto. I manager non lo possono eliminare, ma certamente, quando si trovano a dover gestire conflitti tra gruppi, non devono ignorarlo. CompOrga.indb 301 11/01/2013 16.35.28 Parte III 302 I gruppi e i processi sociali Lezioni dalla ricerca per la gestione dei conflitti tra gruppi I sociologi, per ridurre i conflitti tra gruppi, hanno più volte suggerito il contatto reciproco. L’ipotesi del contatto può essere così descritta: maggiore è il grado di interazione tra i membri di gruppi diversi, minore sarà il numero di conflitti tra gruppi che essi sperimenteranno. Chi è interessato a un miglioramento dei rapporti razziali o internazionali tra i manager, incoraggerà tipicamente l’interazione tra un gruppo e l’altro. Si spera che qualsiasi tipo di interazione, che non abbia conflitti recenti, ridurrà la tendenza alla stereotipizzazione e combatterà l’in-group thinking. I risultati delle ricerche non sono univoci. Una meta-analisi di 515 studi diversi ha avvalorato l’ipotesi del contatto, riscontrando un’associazione tra la maggiore interazione tra gruppi diversi e minori pregiudizi.21 D’altro canto, uno studio condotto su 83 dipendenti di centri sanitari (l’83% dei quali erano donne) di un’università statunitense del Midwest, ad esempio, ha indagato sulla natura specifica dei rapporti tra gruppi ed è giunto alla seguente conclusione: Il numero delle relazioni negative era significativamente correlato con le elevate percezioni di conflitti tra gruppi. Sembra, pertanto, che le relazioni negative abbiano un’importanza che va ben oltre qualsiasi possibile effetto positivo relativamente alla creazione di legami amichevoli tra i gruppi.22 Come documentato da numerosi studi, legami di amicizia tra gruppi sono ancora cosa auspicabile;23 essi sono tuttavia sopraffatti da interazioni negative tra i gruppi. La priorità assoluta per i manager aventi a che fare con conflitti tra i gruppi è pertanto quella di identificare ed estirpare specifici legami negativi tra i gruppi. Un conflitto di personalità, ad esempio, potrebbe, da solo, intaccare l’intera esperienza tra i gruppi. La stessa cosa vale per un collaboratore che diffonde opinioni o voci negative in merito a Figura 14-2 Un modello aggiornato di sviluppo dei contatti per minimizzare i conflitti tra gruppi Interventi suggeriti: Il livello di conflitto tra gruppi percepito tende ad aumentare quando: • Il conflitto all’interno del gruppo è alto. • Le interazioni tra gruppi, (o tra i membri di quei gruppi), sono negative. • L’influenza di pettegolezzi da parte di terzi su altri gruppi è negativa. CompOrga.indb 302 • Lavorare per eliminare interazioni negative specifiche tra i gruppi (e i singoli membri). • Proporre la formazione sul team building al fine di ridurre il conflitto tra i gruppi e preparare i collaboratori per un lavoro di gruppo interfunzionale. • Incoraggiare le amicizie personali e i buoni rapporti d’affari tra i gruppi e i reparti. • Sostenere atteggiamenti positivi nei confronti di membri di altri gruppi (empatia, compassione, comprensione). • Evitare o neutralizzare pettegolezzi negativi tra i gruppi e i reparti. 11/01/2013 16.35.28 13 Gestione del conflitto e negoziazione 303 un altro gruppo. Il modello di contatto, riportato nella figura 13-2, si basa su questi e altri risultati di studi recenti, che comportano ad esempio la necessità di sostenere atteggiamenti positivi nei confronti di altri gruppi. Si noti, inoltre, che se si vuole minimizzare il conflitto, è necessario agire all’interno del gruppo evitando la diffusione di pettegolezzi negativi da parte di terzi, pettegolezzi che costituiscono una vera e propria minaccia.24 Conflitti interculturali Le relazioni con persone appartenenti a culture diverse sono cosa comune nella nostra economia globale dove le fusioni, le società miste e le alleanze sono all’ordine del giorno.25 In queste situazioni, dati i diversi presupposti in merito al modo di pensare e agire, l’eventualità di un conflitto interculturale è tanto immediata quanto di vasta portata.26 Il successo o il fallimento, nella conduzione di affari tra realtà culturali diverse, dipendono spesso dal fatto di evitare o minimizzare un conflitto reale o presunto. Considerate, ad esempio, l’equivoco interculturale di seguito riportato: I messicani danno grande importanza a “salvare la faccia” durante un conflitto, e hanno quindi la tendenza ad aspettarsi che qualunque situazione si verifichi nel corso di negoziazioni venga minimizzata o tenuta segreta. L’atteggiamento predominante [negli Stati Uniti] è invece quello di gestire il conflitto direttamente e pubblicamente, al fine di evitare lo sviluppo di risentimenti a livello personale.27 Non è necessario, e forse sarebbe impossibile, stabilire chi abbia ragione e chi torto; viceversa, ciascuno deve comprendere quanto sia utile superare le differenze culturali al fine di portare a termine con successo una transazione economica. La consapevolezza delle dimensioni interculturali del progetto GLOBE, di cui si è trattato nel Capitolo 4, rappresenta un importante punto di partenza. È inoltre necessario identificare e neutralizzare gli stereotipi; è possibile altresì moderare il conflitto interculturale ricorrendo a consulenti internazionali e costruendo solide relazioni interculturali. Consulenti internazionali In risposta a una crescente domanda, l’esercito dei consulenti manageriali specializzati in rapporti interculturali assume dimensioni sempre più cospicue. La competenza e le tariffe, come è ovvio che sia, sono tra le più varie. Un consulente interculturale, accuratamente selezionato, può risultare, tuttavia, molto utile. Osservate l’esempio seguente: Quando l’impresa di elettronica Canon ha progettato di fondare, tramite la sua sezione olandese, una filiale a Dubai, si è rivolta al consulente Sahid Mirza di Glocom, che si trovava sul posto, perché scoprisse come le due culture avrebbero potuto lavorare insieme. Mirza ha distribuito dei test sotto forma di questionari ottenendo un certo responso. “I risultati mi hanno alquanto sorpreso” spiega. “Abbiamo notato che, a livello generale, le differenze erano sostanzialmente poche. Molti uomini d’affari arabi provenivano da ex colonie inglesi, pertanto avevano una visione della conduzione degli affari molto simile a quella olandese.” Per quanto riguarda, invece, il comportamento, è stato riscontrato un vero e proprio conflitto. “Gli olandesi sono molto franchi e diretti nel loro modo di CompOrga.indb 303 11/01/2013 16.35.29 Parte III 304 I gruppi e i processi sociali esprimersi e ciò risulta molto offensivo per la sensibilità araba.” […] Il risultato della ricerca di Mirza è che la Canon ha fondato una filiale a Dubai, ma si è prima preoccupata di formare professionalmente alla comunicazione interculturale sia i manager olandesi che quelli arabi.28 I consulenti possono inoltre aiutare a distinguere eventuali conflitti tra gruppi o di personalità da conflitti radicati nella differenza tra culture nazionali. È infine importante sottolineare che sebbene abbiamo considerato queste tre tipologie di conflitto separatamente, nella comunicazione interpersonale quotidiana esse si riscontrano in un insieme complesso e confuso. Costruire relazioni interculturali per evitare conflitti patologici Lo studio, condotto da Rosalie L. Tung su 409 espatriati da multinazionali canadesi e statunitensi, citato nel Capitolo 4, è molto istruttivo.29 La sua inchiesta ha cercato di individuare i fattori di successo per gli espatriati (il 14% dei quali erano donne), che lavoravano in 51 diversi paesi in tutto il mondo. Nove metodi specifici per facilitare l’interazione con gli abitanti del paese ospitante, classificati dagli intervistati dai più utili ai meno utili, sono elencati nella tabella 13-2. Al primo posto troviamo una buona capacità di ascolto, seguita da sensibilità verso gli altri e dalla collaborazione, che va preferita alla competizione. È interessante notare come i manager statunitensi siano culturalmente caratterizzati da qualità opposte: mediocri ascoltatori, schietti a tal punto da sfiorare l’insensibilità e eccessivamente competitivi. Alcuni manager dovrebbero aggiungere il fattore consapevolezza e gestione di sé alla lista dei metodi necessari alla minimizzazione del conflitto interculturale.30 Gestire i conflitti Come abbiamo potuto notare il conflitto ha molti aspetti e rappresenta una costante sfida per i manager responsabili del raggiungimento di obiettivi organizzativi. Ci concentreremo ora sulla gestione attiva sia del conflitto funzionale che di quello patologico. Discuteremo su come stimolare i conflitto funzionali, su come gestire quelli patologici Tabella 13-2 Modi di costruire relazioni interculturali Fonte: adattato da R.L. Tung, “American Expatriates Abroad: From Neophytes to Cosmopolitans,” Journal of World Business, estate 1998, tabella 6, p. 136. CompOrga.indb 304 Comportamento Classifica Siate buoni ascoltatori Siate sensibili ai bisogni degli altri Siate collaborativi piuttosto che iper-competitivi Sostenete una leadership inclusiva (partecipativa) Cercate di accomodare piuttosto che prevalere Costruite relazioni tramite conversazioni Siate comprensivi Evitate il conflitto valorizzando l’armonia Prendetevi cura degli altri (agite sullo sviluppo e fate da mentore) 1 2 2 3 4 5 6 7 8 pari merito 11/01/2013 16.35.29 13 Gestione del conflitto e negoziazione 305 e su come le terze parti possano contribuire alla soluzione di un conflitto. Verranno, inoltre, esaminati i contributi delle ricerche a questo tema. Stimolare i conflitti funzionali Conflitto programmato: incoraggia opinioni diverse prescindendo dai sentimenti personali del management Avvocato del diavolo: assegnare a qualcuno il ruolo di critico Metodo dialettico: sviluppare un dibattito tra punti di vista opposti per una migliore comprensione del problema CompOrga.indb 305 I comitati e i gruppi che devono prendere decisioni, talvolta, si perdono nei dettagli e nelle procedure tanto da non raggiungere nessun risultato sostanziale. Un conflitto funzionale tenuto adeguatamente sotto controllo potrebbe riaccendere nuovamente lo spirito creativo. I manager dispongono, in sostanza, di due possibilità: possono soffiare sul fuoco di un conflitto sviluppatosi in modo spontaneo, ma questa tattica può trasformarsi in un approccio lento e poco sicuro; oppure possono ricorrere al conflitto programmato,31 definito dagli esperti in materia come “un conflitto che suscita opinioni diverse a prescindere dai personali sentimenti dei manager”.32 Il trucco sta nel fare in modo che chiunque partecipi alla discussione debba difendere o criticare le idee basandosi su fatti rilevanti e non su preferenze personali e interessi politici. Per arrivare a questo è necessaria una disciplinata interpretazione dei ruoli. Due tecniche di conflitto programmato di comprovato successo sono quella dell’avvocato del diavolo e quella del metodo dialettico, che esaminiamo successivamente. L’avvocato del diavolo Tale tecnica prende il nome da una pratica attuata nella Chiesa Cattolica. Quando davanti al Collegio dei Cardinali veniva presentato un candidato alla santità era essenziale assicurarsi che avesse condotto una vita esemplare. Di conseguenza a un individuo veniva assegnato il ruolo di avvocato del diavolo, avente il compito di scoprire e rendere noti tutti i possibili elementi che potessero costituire un fattore d’ostacolo verso la canonizzazione. Similmente, ricorrere all’avvocato del diavolo nelle odierne organizzazioni significa assegnare a qualcuno il ruolo di critico.33 Nel Capitolo 10, come si ricorderà, Irving Janis raccomandava il ricorso al ruolo di avvocato del diavolo per evitare il problema del groupthink. Si noti come, nella parte sinistra della figura 13-3, l’introduzione dell’avvocato del diavolo possa alterare un processo decisionale altrimenti lineare. Questo approccio al conflitto programmato è volto a stimolare senso critico e una forte adesione ai dati di fatto.34 È consigliabile alternarsi nel ruolo di avvocato del diavolo per evitare che una sola persona o un gruppo si crei una reputazione esclusivamente negativa. Rivestire periodicamente questo ruolo, inoltre, costituisce un buon addestramento per lo sviluppo di abilità comunicative e analitiche, e di intelligenza emotiva. Metodo dialettico Come per quello dell’avvocato del diavolo, il metodo dialettico è una pratica nota da tempo. Tale approccio particolare al conflitto programmato risale all’antica Grecia. Platone e i suoi seguaci tentavano di sintetizzare le verità esplorandone le posizioni opposte (chiamate tesi e antitesi). Ancora oggi nei processi, negli Stati Uniti e altrove, per provare colpevolezza o innocenza, si utilizza il confronto di punti di vista diametralmente opposti. Parimenti, il metodo dialettico odierno chiama i anager a sostenere, prima di prendere una decisione, un dibattito strutturato basato su punti di vista opposti.35 Il 3° e 4° passaggio nella parte destra della figura 13-3 isolano l’approccio dialettico dal processo decisionale. 11/01/2013 16.35.29 Parte III 306 Figura 13-3 Tecniche per stimolare un conflitto funzionale: avvocato del diavolo e metodo dialettico Fonte: R.A. Cosier e C.R. Schwenk, “Agreement and Thinking Alike: Ingredients for Poor Decisions,” Academy of Management Executive, febbraio 1990, pp. 72-73. I gruppi e i processi sociali Itinerario decisionale basato sul metodo dell’avvocato del diavolo Metodo decisionale dialettico 1 Si crea un itinerario per l’azione. 1 Si crea un itinerario per l’azione. 2 Un avvocato del diavolo (che può essere sia un individuo che un gruppo) ha il compito di criticare la proposta. 2 Vengono identificati i presupposti sottesi alla proposta. 3 La critica viene presentata ai decisori chiave. 3 Viene prodotta una controproposta basata su presupposti diversi. 4 Si riunisce qualunque forma di informazione aggiuntiva rilevante nella discussione. 4 I portavoce di ciascuna posizione presentano e discutono i valori delle loro proposte di fronte ai decisori chiave. 5 Si prende la decisione necessaria ad adottare, modificare o abbandonare il corso d’azione proposto. 5 Viene presa la decisione per l’adozione di una o l’altra posizione, oppure, per esempio: un compromesso. 6 La decisione viene monitorata. 6 La decisione viene monitorata. Lo svantaggio maggiore del metodo dialettico è che lo stimolo a vincere nella disputa potrebbe offuscare il problema in discussione. Tale metodo, di conseguenza, richiede una formazione più puntuale rispetto a quello dell’avvocato del diavolo. L’efficacia dei due metodi paragonata in uno studio di laboratorio ha portato a una situazione di parità. Confrontati con gruppi orientati al consenso, i gruppi che hanno adottato il metodo dell’avvocato del diavolo e quello dialettico sono giunti a decisioni di qualità migliore, pressoché nella stessa misura.36 Secondo una ricerca più recente, tuttavia, gruppi che sono ricorsi al metodo dell’avvocato del diavolo hanno prodotto risultati più efficaci CompOrga.indb 306 11/01/2013 16.35.29 13 Gestione del conflitto e negoziazione 307 e fornito soluzioni migliori di quanto non abbiano fatto gruppi che hanno adottato il metodo dialettico.37 Alla luce dell’eterogeneità dei risultati di ricerca i manager possono scegliere con libertà quale dei diversi metodi adottare al fine di risvegliare discussioni arenate in un punto morto. La preferenza personale e l’esperienza nell’interpretazione di ruoli possono essere considerate, a tutti gli effetti, fattori decisivi nella scelta di un approccio rispetto all’altro. È comunque importante, laddove necessario, stimolare attivamente un conflitto funzionale, vale a dire, ad esempio, quando il rischio del conformismo o del groupthink è molto alto. Joseph M. Tucci, amministratore delegato della EMC di cui abbiamo parlato in precedenza, incoraggia il conflitto funzionale creando un clima orientato a sostenere il dissenso: Leader abili lasciano sempre spazio al dibattito e all’espressione di opinioni diverse. La squadra deve essere in armonia; ma prima di prendere qualsiasi decisione occorre che vi sia una discussione: la leadership non è un diritto, bisogna guadagnarsela sul campo. Ogni azienda necessita di una sana paranoia. Spetta al leader il compito di tenerla accesa, di creare tensione all’interno del sistema.38 Quanto affermato è coerente con i risultati di alcuni studi sperimentali che hanno rilevato un legame positivo tra il grado di dissenso della minoranza e l’innovazione nel gruppo, ma solo dove si fosse ricorsi a un processo decisionale partecipativo.39 Stili alternativi per la gestione del conflitto patologico Figura 13-4 Cinque stili per la gestione dei conflitti Fonte: M.A. Rahim, “A Strategy for Managing Conflict in Complex Organizations,” Human Relations, gennaio 1985, p. 84. Riprodotto su autorizzazione della Plenum Publishing. Preoccupazione per gli altri Le persone tendono a gestire i conflitti negativi ricorrendo a modelli definibili come stili. Nel corso degli anni diversi stili di conflitto sono stati raggruppati in categorie. Secondo il modello di Afzalur Rahim, studioso della materia, è possibile tracciare cinque diverse tipologie di stili di gestione del conflitto, che possono essere inseriti in una griglia bidimensionale. Sull’asse orizzontale della griglia troviamo un grado alto o basso di preoccupazione per sé, mentre sull’asse verticale troviamo un grado alto o basso di preoccupazione per gli altri (figura 13-4). La combinazione di tali variabili Alta Integrante Premuroso Favorevole al compromesso Bassa Dominante Propenso a evitare il conflitto Alta Bassa Preoccupazione per sé CompOrga.indb 307 11/01/2013 16.35.29 308 Parte III I gruppi e i processi sociali produce cinque diversi stili di gestione del conflitto: integrante, premuroso, dominante, propenso a evitare il conflitto e favorevole al compromesso.40 Non esiste uno stile migliore di altri; ciascuno di essi è fatto di punti di forza e limiti ed è più efficace in alcune situazioni piuttosto che in altre. Integrante Persone caratterizzate da questo stile confrontano i contenuti e collaborano nell’identificazione del problema, generando e soppesando soluzioni alternative, e, infine, arrivano a identificare una soluzione.41 Tale stile è appropriato nel caso di questioni complesse generate da malintesi e nella risoluzione di conflitti radicati in sistemi di valori contrapposti. Il principale punto di forza di questo stile consiste nelle soluzioni di lunga durata che esso determina, legate ad aver affrontato i veri problemi sottesi piuttosto che i semplici sintomi apparenti. L’elemento di debolezza principale è legato ai tempi lunghi che esso richiede. Premuroso “Una persona premurosa mette in secondo piano le sue preoccupazioni in favore di quelle dell’altra parte.”42 Tale stile, spesso definito come quello dell’appianatore, implica la minimizzazione delle differenze e la valorizzazione dei punti in comune. Esso può essere considerato una strategia adeguata per la gestione del conflitto nel caso in cui sia eventualmente possibile ottenere qualcosa in cambio; è, d’altro canto, inadeguata nel caso di problemi più complessi e gravi. Il suo punto di forza principale sta nella valorizzazione della collaborazione;43 il punto debole è che spesso arriva a una soluzione temporanea. Dominante Un alto grado di preoccupazione per sé contro un basso di grado di preoccupazione per gli altri favorisce tattiche del tipo “io vinco, tu perdi”. I bisogni dell’altra parte vengono ampiamente ignorati. Tale stile viene spesso chiamato coercitivo, perché si basa sull’autorità formale che costringe all’obbedienza. Lo stile dominante è adeguato quando è necessario attuare una soluzione impopolare, il problema passa in secondo piano, la scadenza è vicina oppure incombe una crisi. Non è adeguato nell’ambito di un clima aperto e partecipativo; il suo punto di forza è la rapidità, la principale debolezza sta nel fatto di essere spesso causa di risentimento. È interessante notare come il Centro Nazionale per le Donne in Polizia citi la diffusione di questo stile come una delle ragioni a favore di un maggior inserimento di personale femminile, in quanto più orientato a capacità comunicative e di negoziazione diverse.44 Propenso a evitare il conflitto Questo stile può determinare sia un allontanamento dal problema, sia un’attiva sospensione del problema in questione. Questo tipo di approccio è adeguato nel caso di questioni di scarso rilievo o in cui i costi del confronto si bilanciano con i vantaggi che potrebbero derivare dalla risoluzione del conflitto. Non è adeguato nel caso di problemi difficili o con tendenza al peggioramento. Il punto di forza consiste nel far guadagnare tempo in situazioni ambigue o ancora in evoluzione. La debolezza sta nel procurare una soluzione temporanea che non affronta il reale problema soggiacente. Favorevole al compromesso Si tratta di un approccio che comporta un dare-e-ricevere, caratterizzato da un moderato grado di preoccupazione per sé e per gli altri. Un com- CompOrga.indb 308 11/01/2013 16.35.29 13 Gestione del conflitto e negoziazione 309 promesso è appropriato nel caso in cui le parti mirino a obiettivi opposti o dispongano dello stesso grado di potere. Non si tratta, invece, di una scelta adeguata nel caso in cui porti a un’azione inconcludente (ad esempio il fallimento nel rispetto di importanti scadenze). Il principale punto di forza di tale tattica di carattere democratico è data dal fatto di non generare perdenti, ma anch’essa porta a una soluzione temporanea che può soffocare un problem solving di carattere creativo. Intervento da parte di terzi In un mondo perfetto le persone cercherebbero di evitare il conflitto e gestirebbero quelli in corso in modo diretto e con positività, ma questo è appunto un sogno. Nelle dinamiche politiche delle organizzazioni possiamo trovarci nel ruolo di involontari (e spesso impreparati) terze parti nel conflitto di altri. Perciò è importante conoscere le dinamiche della triangolazione nel conflitto e alcune tecniche alternative di risoluzione, argomento principale di questa sezione del capitolo. Triangolazione del conflitto: parti in conflitto tra loro coinvolgono una terza persona invece di gestire la situazione attraverso un confronto reciproco Risoluzione alternativa del conflitto: evitare costose azioni legali risolvendo i conflitti in modo informale o con l’intervento di mediatori e arbitri CompOrga.indb 309 Triangolazione del conflitto Immaginate questa situazione: nel bel mezzo di una giornata piena di impegni venite interrotti dalla vostra vicina di ufficio, che inizia a parlarvi dei suoi problemi con un collega dal carattere particolarmente difficile, chiedendovi di aiutarla a risolvere la faccenda. Ecco un classico esempio di triangolazione del conflitto, che “si viene a creare quando due persone hanno un problema e, invece di risolverlo parlando direttamente tra loro, una delle due coinvolge una terza persona”.45 Come vedremo nel capitolo 15, quando parleremo di politiche organizzative, i collaboratori hanno la tendenza a formare coalizioni politiche quando il potere ha una valenza numerica. Nelle moderne organizzazioni si tratta di una situazione molto comune, spesso deleteria. Il problema è: come comportarsi in questi casi? Stando a quanto affermano gli esperti in materia, chi si trova coinvolto in una triangolazione del conflitto ha a sua disposizione una vasta gamma di scelte. La figura 13-5 ci mostra come una risposta, in questi casi, possa sfociare in un conflitto funzionale o patologico. Le opzioni preferite, la numero 1 e la 2, chiamate detriangolazione, implicano che la terza parte incanali l’energia dei contendenti/litiganti positivamente in un confronto reciproco. È importante che la parte terza, nelle opzioni 1 e 2, eviti di prendere le parti di una delle due coalizioni. Le opzioni comprese tra la 3 e la 8 possono far scivolare verso un’ulteriore controproducente triangolazione. Le implicazioni politiche ed etiche, inoltre, si moltiplicano quando si adottano l’opzione 3 o le successive. Risoluzione alternativa del conflitto I conflitti tra colleghi, tra collaboratori e datori di lavoro e tra le aziende, si trascinano troppo spesso in estenuanti battaglie in tribunale. Negli ultimi anni ha guadagnato considerevole popolarità un approccio definito come risoluzione alternativa del conflitto.46 Gli show televisivi, diffusi un po’ in tutto il mondo, che imitano lo stile dei tribunali popolari operanti al di fuori del formale sistema giudiziario, fanno in effetti parte di quella tendenza, definita da uno scrittore con l’espressione “giustizia fai da te”.47 Secondo una coppia di avvocati canadesi del lavoro, la risoluzione alternativa del conflitto “ricorre non tanto ai tradizionali approcci antagonistici (quali un processo decisionale unilaterale o una causa giudiziaria), quanto 11/01/2013 16.35.29 Parte III 310 Figura 13-5 Opzioni di intervento per le parti terze nella gestione del conflitto Fonte: la lista delle opzioni è tratta da P. Ruzich,“Triangles: Tools for Untangling Interpersonal Messes,” HR Magazine, luglio 1999, p. 134. Detriangolazione (meno politica; basso rischio di un conflitto patologico) Maggiore triangolazione (più politica; alto rischio di un conflitto patologico) I gruppi e i processi sociali 1. Dirottare le lamentele incoraggiando chi le esprime a trovare modi per esporre, in modo costruttivo il problema al destinatario. Non assumere il ruolo di ambasciatore. 2. Agevolare un incontro tra i due litiganti perché discutano del problema in modo diretto e costruttivo. 3. Trasmettere, parola per parola, quanto affermato dal mittente includendo nel messaggio il suo nome, e suggerire al destinatario modi costruttivi per discutere della faccenda con il mittente. 4. Trasmettere parola per parola quanto affermato dal mittente, evitando però di rivelarne il nome. 5. Attenuare il messaggio da trasmettere al fine di proteggere il mittente. 6. Aggiungere commenti personali al messaggio da trasmettere al fine di proteggere il mittente. 7. Non fare nulla. I litiganti coinvolgeranno qualcun altro. 8. Non fare nulla e diffondere la voce. Sarete voi a creare triangoli con altre parti. a metodi di uso più familiare e più rapido”.48 Le tecniche legate a tale approccio, di seguito riportate, rappresentano una serie di passi in successione utili alle parti terze per aiutare la risoluzione dei conflitti organizzativi.49 Sono messe in ordine dalla più semplice e meno dispendiosa a quella più difficile e onerosa. Sono sempre di più le organizzazioni che applicano politiche formali di risoluzione alternativa delle controversie che implicano una sequenza stabilita di varie combinazioni di tali tecniche: • Facilitazione. Una terza parte, di solito un manager, insiste formalmente affinché le parti in causa discutano direttamente della questione in maniera positiva e costruttiva. Come accennato in precedenza questa tecnica può essere intesa come una forma di detriangolazione. • Conciliazione. Una terza parte, che si mantiene in una posizione di neutralità, si presta come filo conduttore di comunicazione informale tra le parti in causa. Tale tecnica vale nel caso in cui le due parti coinvolte si rifiutino di incontrarsi faccia a faccia. L’obiettivo immediato è quello di stabilire una comunicazione diretta puntando al fine ultimo di trovare punti di incontro comuni e una soluzione costruttiva. • Supervisione da parte dei pari. Un gruppo di colleghi di fiducia, scelti per la loro obiettività, ascoltano, durante un incontro confidenziale e informale, entrambe le parti in causa. A seconda della politica di risoluzione alternativa del conflitto, qualunque decisione presa dal gruppo di revisione potrebbe non essere vincolante. La scelta dei membri del gruppo di pari viene fatta spesso girare tra i collaboratori. • Ombudsman (“difensore civico”). Figura che lavora nell’organizzazione, gode di grande rispetto e fiducia da parte dei collaboratori, ascolta i motivi di risentimento in forma confidenziale e cerca di trovare una soluzione. Tale approccio, di uso più CompOrga.indb 310 11/01/2013 16.35.30 13 Gestione del conflitto e negoziazione 311 comune in Europa piuttosto che in Nord America, permette all’individuo di ricevere un aiuto senza dover dipendere dalla formale catena di gerarchie. • Mediazione. “Il mediatore – una terza parte addestrata e neutrale – aiuta attivamente le due parti in causa nell’esplorazione di soluzioni innovative del conflitto. Sebbene le aziende dispongano di mediatori interni opportunamente addestrati alle tecniche di risoluzione alternativa, molte ricorrono anche a mediatori esterni che non hanno legami con la compagnia.”50 Diversamente da un arbitro, un mediatore non fornisce una decisione da prendere; spetta ai due litiganti il raggiungimento di una decisione reciprocamente accettabile. • Arbitrato. Le parti in causa dichiarano in anticipo di voler accettare la decisione neutrale di un arbitro presa nell’ambito di un ambiente simile a un tribunale formale, spesso completata dalla presentazione di prove e testimonianze. La partecipazione a tale forma di risoluzione alternativa del conflitto può essere volontaria o obbligatoria, sempre in base alle strategie aziendali o ai contratti sindacali.51 Le affermazioni sono confidenziali; le decisioni si basano su elementi giuridici. Gli arbitri addestrati, provenienti di solito da agenzie esterne come la American Arbitration Association, sono esperti legali e hanno esperienza di gestione di casi simili.52 Lezioni pratiche dalla ricerca sui conflitti Studi di laboratorio, che hanno avuto come oggetto studenti di college, hanno dato, in merito al conflitto organizzativo, i seguenti risultati: • Persone con uno spiccato bisogno di affiliazione tendevano a utilizzare uno stile appianatore (premuroso) evitandone uno coercitivo (dominante).53 I tratti della personalità, pertanto, influiscono sul modo in cui le persone gestiscono il conflitto. • Un disaccordo espresso in modo arrogante e degradante ha prodotto una quantità considerevolmente maggiore di effetti negativi rispetto a uno espresso in modo ragionevole.54 In altre parole, le modalità di espressione del disaccordo sono molto importanti nelle situazioni di conflitto. • Minacce e punizioni da parte di una delle persone coinvolte nel disaccordo tendevano a determinare un’intensificazione delle minacce e delle punizioni da parte dell’altra.55 In sintesi, l’aggressione genera aggressione. • Con l’intensificazione del conflitto si è verificato un calo della soddisfazione nel gruppo. Uno stile integrativo della gestione del conflitto ha portato a una maggiore soddisfazione del gruppo di quanto non abbia fatto uno stile che tende a evitare il problema.56 • Aziende aventi politiche di arbitraggio vincolanti o obbligatorie sono state viste meno favorevolmente rispetto ad aziende che non ricorrevano a tali strategie.57 A quanto pare politiche di arbitraggio obbligatorie o vincolanti rappresentano un fastidio per persone che non amano l’idea di dover essere costretti a fare qualcosa. Studi mirati coinvolgenti manager e organizzazioni reali hanno portato alle seguenti conclusioni: CompOrga.indb 311 11/01/2013 16.35.30 Parte III 312 I gruppi e i processi sociali • Sia i conflitti all’interno dei sottosistemi organizzativi che quelli tra sottosistemi diminuiscono all’aumentare della difficoltà degli obiettivi e della chiarezza con cui sono comunicati. Di conseguenza obiettivi chiari e stimolanti possono diminuire la conflittualità. • Alti livelli di conflitto tendono a erodere la soddisfazione professionale e la motivazione intrinseca al lavoro.58 • Donne e uomini che occupano la stessa posizione a livello manageriale tendevano a gestire il conflitto in modo simile; quindi non vi sono differenze rilevanti in relazione al genere.59 • Nel caso di una scuola pubblica, è stato notato che il conflitto tendeva a spostarsi in parti diverse dell’organizzazione.60 I manager, pertanto, devono essere consapevoli del fatto che il conflitto spesso ha origine in un’area o in un livello dell’organizzazione per mostrarsi poi da qualche altra parte. Se si desidera raggiungere un miglioramento duraturo è necessario risalire alle origini reali del conflitto. • Manager giapponesi, tedeschi e americani, provenienti dagli stessi contesti di conflitto, hanno optato per tecniche risolutive differenti. I manager tedeschi e giapponesi non condividevano l’entusiasmo degli americani nell’integrare gli interessi di tutte le parti. I giapponesi, per avere delle direttive, tendevano a fare riferimento ai propri manager, mentre i tedeschi si sono mostrati maggiormente legati a regole e procedure. Nella risoluzione di un conflitto interculturale non esiste un approccio migliore di altri. Le preferenze culturalmente specifiche devono essere prese in considerazione prima di avviare un processo di risoluzione del conflitto che comporti persone provenienti da culture diverse.61 Negoziazione Negoziazione: processo di dare-e-avere in atto tra parti interdipendenti coinvolte in un conflitto Formalmente la negoziazione è definita come un processo decisionale di dare-e-avere che coinvolge parti interdipendenti caratterizzate da preferenze diverse.62 Gli esempi più comuni includono le negoziazioni tra lavoratori e imprese riguardanti i salari, gli orari e le condizioni di lavoro, o le negoziazioni tra fornitori e clienti riguardano i prezzi, i tempi di consegna e i termini di pagamento. Anche i team autogestiti con lavori non chiaramente suddivisi e sovrapposizioni di ruoli devono cercare accordi al proprio interno. Da queste considerazioni consegue che oggi più che mai le capacità di negoziazione siano molto importanti.63 In un recente sondaggio condotto su 3.600 professionisti assunti in 18 paesi, solo il 52% ha risposto affermativamente alla domanda: “Avete mai chiesto o negoziato un aumento di stipendio?”64 Due tipi di negoziazione Gli esperti in materia distinguono due tipi di negoziazione – quella distributiva e quella integrativa. Per capirne le differenze è necessario rivedere il tradizionale modo di pensare: CompOrga.indb 312 11/01/2013 16.35.30 13 Gestione del conflitto e negoziazione 313 Una negoziazione distributiva comporta una sorta di “torta fissa” dalla quale qualcuno trae porzioni maggiori a spese dell’altro. Contrattare sul prezzo di un tappetino a un bazar è un esempio di negoziazione distributiva. Nella maggior parte dei conflitti, tuttavia, vi è più di un argomento da discutere e ciascuna parte attribuisce a essi un valore diverso. I risultati a disposizione non sono quindi una torta fissa da dividere tra tutte le parti in causa. Si può scoprire un accordo migliore per entrambe le parti di quanto non sarebbe stato quello raggiunto passando attraverso una negoziazione distributiva. In questo caso si tratta di negoziazione integrativa. Le parti coinvolte in una negoziazione, tuttavia, non considerano vantaggiose tali soluzioni perché ciascuna di esse presuppone che i suoi interessi siano direttamente in conflitto con quelli dell’altra parte. “Ciò che è positivo per l’altra parte è sicuramente negativo per noi” è una prospettiva purtroppo diffusa tra la maggior parte delle persone. Questo è il tipo di impostazione mentale definito come “mito della torta fissa”.65 La negoziazione distributiva implica il tradizionale pensiero “win-lose”. La negoziazione integrativa richiede una strategia progressiva “win-win”.66 In uno studio di laboratorio relativo a negoziazioni per joint venture, i team formati alle tattiche integrative, diversamente da quelli privi di formazione, hanno ottenuto risultati migliori in entrambe le situazioni.67 I negoziatori nord americani sono generalmente troppo orientati a breve termine e non sanno costruire rapporti duraturi come i negoziatori asiatici, latino americani o medio orientali.68 La negoziazione che crea valore aggiunto, illustrata in figura 13-6, è un approccio integrativo che può contribuire a superare questi ostacoli. Insidie di carattere etico nella negoziazione Il successo di una negoziazione integrativa, così come il valore aggiunto della negoziazione, dipende in gran parte dalla qualità delle informazioni scambiate.69 Dichiarare il falso, nascondere elementi chiave o impegnarsi nelle altre tattiche, potenzialmente non etiche, elencate nella tabella 13-3, può minare la fiducia e la buona volontà, entrambi fattori fondamentali nelle negoziazioni “win-win”.70 Essere a conoscenza di tali “sporchi trucchi” può aiutare i negoziatori in buona fede a non farsi ingannare o manipolare.71 Le tattiche di negoziazione non etiche dovrebbero essere esplicitate nei codici etici delle organizzazioni. Gestione del conflitto e negoziazione: un approccio contingente Esistono tre principi che guidano il modo in cui un conflitto organizzativo dovrebbe essere gestito. Innanzitutto è inevitabile che esistano diversi tipi di conflitto, perché le cause sono molteplici. In secondo luogo, l’assenza di conflitti può essere tanto controproducente quanto una loro eccessiva presenza. In terzo luogo, non esistono modalità in assoluto migliori di altre per affrontare o risolvere i conflitti; di conseguenza gli esperti raccomandano un approccio contingente, ossia adeguato alle circostanze specifiche. È necessario per la gestione dei conflitti conoscere e monitorare gli antecedenti e le con- CompOrga.indb 313 11/01/2013 16.35.30 Parte III 314 I gruppi e i processi sociali Insieme Separatamente Passo 1: chiarimento degli interessi • Identificare i bisogni tangibili e non tangibili • Discutere i rispettivi bisogni • Trovare punti in comune per la negoziazione Passo 2: identificazione delle opzioni • Identificare gli elementi di valore (per esempio proprietà, denaro, comportamento, diritti, rischi) • Creare un mercato del valore discutendo sui rispettivi elementi di valore Passo 3: progettazione di pacchetti di accordi alternativi • Mescolare e abbinare gli elementi di valore nelle varie combinazioni possibili • Pensare in termini di accordi multipli • Identificare e scambiare soluzioni differenti Passo 4: selezione di un accordo . • Analizzare i pacchetti proposti dall’altra parte • Discutere e selezionare tra i pacchetti attuabili • Pensare in termini di accordo creativo Passo 5: accordo perfetto • Discutere le questione irrisolte • Sviluppare un accordo per iscritto • Costruire rapporti per negoziazioni future Figura 13-6 Un approccio integrativo: negoziazione a valore aggiunto Fonte: adattato da K. Albrecht e S. Albrecht, “Added Value Negotiation,” Training, aprile 1993, pp. 26-29. seguenze che essi possono avere. Inoltre, se si riscontra una palese scarsità di conflitti, situazione accompagnata spesso da una certa apatia o mancanza di creatività, è necessario stimolare dei conflitti funzionali. Si può fare questo alimentando adeguati antecedenti al conflitto o programmarne uno ricorrendo a tecniche come quella dell’avvocato del diavolo e del metodo dialettico. Quando invece il conflitto diventa patologico, è necessario attuare uno stile di gestione del conflitto appropriato. Una formazione molto realistica, che implichi l’utilizzo di role playing, può permettere ai manager di sperimentare stili di gestione del conflitto alternativi. I manager possono evitare di essere troppo coinvolti nel conflitto cercando di applicare quattro suggerimenti scaturiti da ricerche recenti: (1) stabilire obiettivi stimolanti e chiari, (2) esprimere il proprio disaccordo in modo costruttivo e ragionevole, (3) non lasciarsi coinvolgere in triangolazioni del conflitto e (4) rifiutarsi di essere trascinati CompOrga.indb 314 11/01/2013 16.35.30 13 Gestione del conflitto e negoziazione 315 Tabella 13-3 Tattiche di negoziazione discutibili/eticamente controverse Tattica Descrizione/chiarimento/ambito Menzogne Le argomentazioni per le menzogne possono includere limiti, alternative, l’intento del negoziatore, l’autorità a contrattare, altri impegni, l’accettazione delle offerte degli oppositori, pressioni sui tempi e sulle risorse disponibili. Tra gli elementi che possono essere “gonfiati” sono inclusi il valore dei risultati di un individuo rispetto alla controparte, le alternative personali del negoziatore, i costi delle rinunce o di quanto si sia disposti a cedere, questioni importanti, e le qualità dei prodotti e dei servizi Azioni e affermazioni possono includere promesse o minacce, richieste iniziali eccessive, riferimenti di fatti poco accurati o la richiesta non desiderata di concessioni. Il negoziatore, in questo caso, può eliminare alcune alternative proposte dall’avversario, incolparlo per azioni da lui commesse, ricorrere ad affermazioni personali demonizzatrici nei suoi confronti o indebolirne le alleanze. Tale tattica implica la costruzione delle proprie risorse compresa una cerchia di esperti, di supporti finanziari e di alleanze. Include altresì l’esposizione, all’avversario o parte terza, di una serie di ragionamenti persuasivi (per esempio: il pubblico, i mass media) o il conseguimento di incarichi per una determinata posizione. Include un rivelamento parziale di fatti, non rivelare fatti nascosti, non correggere fraintendimenti o ignoranza degli avversari e tenere nascosta la propria posizione o circostanze rilevanti. Informazioni ottenute dagli avversari possono essere usate per sfruttare le loro debolezze, limitare le loro alternative, avanzare richieste nei loro confronti o indebolire le loro alleanze. Implica l’accettazione di offerte inizialmente rifiutate, cambiare richieste, rimangiarsi la promessa di offerte fatte e avanzare minacce in merito a promesse non fatte. Include, altresì, il manifestarsi di un comportamento diverso da quello previsto. Tali azioni o affermazioni possono semplicemente consistere in un’eccessiva distribuzione di informazioni all’avversario, porre molte domande, eludere le risposte, o occultare aspetti rilevanti. Possono anche essere più sofisticate come simulare debolezza in una particolare area, in modo che l’avversario si concentri su di essa, ignorando altri aspetti rilevanti.. Implica la richiesta all’avversario di fare concessioni che risultino un guadagno del negoziatore e una perdita uguale o maggiore dell’avversario. Implica inoltre la conversione della situazione da una basata su un modello “win-win” a una “win-lose”. Esagerazioni Raggiri Indebolimento dell’avversario Consolidamento della propria posizione Omissione Sfruttamento dell’informazione Cambiamento di opinione Distrazione Massimizzazione Fonte: H.J. Reitz, J.A. Wall, Jr, e M.S. Love, “Ethics in Negotiation: Oil and Water or Good Lubrication?” Business Horizons, maggio-giugno 1998, p. 6. Ristampa dietro concessione. Copyright © 1998 by the Board of Trustees at Indiana University, Kelley School of Business. in spirali emotive nelle quali l’aggressività non contenuta potrebbe generare ulteriore aggressività. L’intervento di terzi diventa necessario qualora le parti in causa non siano in grado di impegnarsi in una risoluzione del conflitto o in una negoziazione integrativa. Quest’ultima è, per lo più, appropriata se attuata in conflitti tra gruppi o tra organizzazioni. Il segreto è fare in modo che le parti coinvolte abbandonino uno schema di pensiero prefissato e aspettative basate sulla vittoria di una parte e la sconfitta dell’altra. Inoltre, il fondatore e direttore dell’Harvard International Negotiation Program Daniel Shapiro consiglia ai negoziatori di non rifuggire dalle emozioni perché la razionalità, pur importante, non basta. Occorre tenere in debito conto i seguenti aspetti emotivi essenziali della negoziazione: • Apprezzamento: riconoscere reciprocamente il valore di pensieri, sentimenti e azioni. CompOrga.indb 315 11/01/2013 16.35.30 316 Parte III I gruppi e i processi sociali • Affiliazione: trattarsi vicendevolmente come colleghi, non come avversari da tenere a debita distanza. • Autonomia: rispettare la reciproca libertà di prendere decisioni importanti. • Status: riconoscere la reputazione dell’altra persona, invece di considerarla inferiore. • Ruolo: definire ruoli e attività in maniera gratificante.72 Buoni consigli da applicare in ogni contesto della vita quotidiana! CompOrga.indb 316 11/01/2013 16.35.31 I processi organizzativi Capitolo 14 Capitolo 15 Capitolo 16 Capitolo 17 CompOrga.indb 317 IV Comunicazione organizzativa nell’era digitale Influenza, empowerment e manovre politiche Leadership Gestione del cambiamento e dello stress 11/01/2013 16.35.31 Comunicazione organizzativa nell’era digitale 14 I social network sono una perdita di tempo? Qualche anno fa sono stato invitato a interessarmi al mondo dei social media dal responsabile marketing che, dimostrando grande acume, si era reso conto della trasformazione culturale in atto. Best Buy ha 180.000 dipendenti, per la maggior parte ventiquattrenni o anche più giovani, motivo per cui molti di loro avevano un profilo su MySpace e altri siti analoghi. Quando ho domandato al responsabile marketing come controllare il fenomeno, la sua risposta è stata: non è possibile controllarlo, bisogna gestirlo! Ben presto ho iniziato a chattare con i collaboratori e i clienti su Facebook ogni sera alle 22.00. A volte mi riusciva difficile vincere la timidezza, perché qualsiasi commento pubblicassi poteva potenzialmente rendermi vulnerabile. L’aspetto più difficile da gestire era però un altro: dopo la mia decisione di dedicare del tempo a questa attività, tutti hanno iniziato a dire la loro senza alcuna ritrosia. L’anno scorso, poi, per un certo periodo il mio account Twitter è stato preso di mira da un hacker e in uno dei miei tweet in sostanza comunicavo a tutti che negli ultimi tempi me la spassavo parecchio a letto. Mi sono sentito violentato, ma non ho perso entusiasmo. Durante questo percorso, ho anche imparato delle lezioni importanti. Bastano 5 o 10 minuti online CompOrga.indb 319 per capire bene e subito qual è l’aria che tira nei nostri negozi. Quando mi imbatto in qualcuno che ha un problema, mi viene spontaneo cercare di risolverlo in prima persona; in una occasione l’ho fatto e sono stato inondato da numerose altre richieste d’aiuto. Il mio lavoro però è un altro. Con oltre 1,5 miliardi di interazioni con i clienti previste, abbiamo messo a punto processi efficaci per essere d’aiuto alla nostra clientela. La cosa migliore che posso fare è quindi indirizzare i clienti a tali risorse, e lo stesso vale per i dipendenti. Ora nel mio ufficio campeggia un grande monitor che riporta tutte le attività in cui figura il nostro nome. Devo sapere che cosa si dice là fuori; non rispondo a tutto, ma sono io a scrivere i miei post pubblicati su Facebook e i miei tweet, nessuno è incaricato di farlo per me. Sono io il responsabile di quello che dico online e mi aspetto che i collaboratori adottino lo stesso approccio. L’unica linea guida che abbiamo fornito è agire nel rispetto dei valori individuali. Ci si può buttare nel mondo dei social media e sentirsi molto a proprio agio nel caos che lo contraddistingue. Abbiamo superato il punto critico. Bisogna essere presenti laddove sono tutti gli altri.1 11/01/2013 16.35.31 320 Parte IV I processi organizzativi Moltiplicando le occasioni di contatto tra gli individui, le moderne tecnologie dell’informazione stanno determinando trasformazioni senza precedenti nel nostro stile di vita. L’esperienza del CEO di Best Buy Brian Dunn consente di farsi un’idea di che cosa sta accadendo nell’ambiente di lavoro. Poiché vivere in un mondo connesso digitalmente 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 determina conseguenze impreviste, positive e negative, è importante comprendere il processo comunicativo soggiacente e il mutare delle dinamiche della comunicazione di pari passo con l’innovazione tecnologica. Consideriamo, per esempio, gli effetti a catena in ambito organizzativo di questo recente utilizzo di Internet mobile: Medtronic, azienda produttrice di dispositivi medici, ha distribuito alla forza vendite oltre 5000 iPad. Il giorno stesso in cui l’innovativo tablet è stato lanciato sul mercato, Medtronic ne ha acquistati dieci e, dopo aver caricato informazioni sui prodotti, li ha posizionati nel suo stand durante un convegno di cardiologia, rubando la scena alla concorrenza. “Ci siamo resi conto subito che dotare la forza vendite degli strumenti giusti ha un importante valore commerciale” afferma il chief information officer di Medtronic Mike Hedges.2 Lo studio della comunicazione assume un’enorme importanza perché tutte le funzioni e attività manageriali implicano qualche forma di comunicazione diretta o indiretta. Sia che pianifichino e organizzino, o che dirigano e guidino, i manager si trovano a comunicare con altri o tramite altre persone. Ciò implica che le capacità comunicative di ciascuno incidono sull’efficacia personale e organizzativa.3 Per esempio, uno studio ha rilevato che il 70% degli “incidenti ospedalieri prevenibili” è causato da una comunicazione carente tra i membri del personale, soprattutto durante il passaggio di consegne.4 Un sondaggio condotto sui dipendenti di 336 organizzazioni ha invece rivelato che il 66% degli intervistati non conosce o non comprende la missione e la strategia dell’organizzazione per la quale lavora e, di conseguenza, si sente meno coinvolto nel proprio lavoro. Questo tipo di problema comunicativo incide negativamente sulla produttività e la qualità del prodotto, arrecando costi del lavoro e turnover più alti.5 Come avrete modo di constatare nel corso del presente capitolo, il modo migliore per comunicare dipende dalle circostanze. Si capirà meglio in che modo i manager riescano sia a migliorare le loro doti comunicative che a ideare programmi di comunicazione più efficaci. Parleremo di (1) le dimensioni di base del processo comunicativo, con particolare riferimento a un modello del processo percettivo, alle barriere a una comunicazione efficace e all’impatto dei social media; (2) la comunicazione interpersonale; (3) la comunicazione organizzativa; (4) la comunicazione nell’era delle tecnologie digitali dell’informazione. Dimensioni di base del processo comunicativo e impatto dei social media Comunicazione: scambio interpersonale di informazioni e significati CompOrga.indb 320 La comunicazione è definita come “lo scambio di informazioni tra un mittente e un destinatario e la deduzione (percezione) del significato tra le parti coinvolte”.6 I manager che comprendono tale processo sono in grado di analizzare i loro sistemi di comuni- 11/01/2013 16.35.31 14 Comunicazione organizzativa nell’era digitale 321 cazione nonché di ideare programmi di comunicazione che rispecchino le esigenze dell’organizzazione. La presente sezione riesamina un modello del processo percettivo della comunicazione, passa in rassegna le barriere a una comunicazione efficace e indaga su come i social media stanno modificando la comunicazione. Un modello di processo percettivo della comunicazione Modello percettivo della comunicazione: processo nel quale i destinatari si creano il proprio personale significato Il processo comunicativo è stato descritto, storicamente, mediante un modello “di flusso”. Secondo tale modello tradizionale la comunicazione viene rappresentata come una tubazione nella quale le informazioni e i loro significati si trasmettono da una persona all’altra. Oggi, tuttavia, gli esperti di comunicazione criticano il modello di flusso perché non realistico; tale modello, per esempio, parte dall’assunto che la comunicazione trasmetta, da un individuo all’altro, significati voluti; se ciò fosse vero non esisterebbero fraintendimenti nella comunicazione e non esisterebbe il problema di non essere capiti. Potremmo semplicemente dire o scrivere ciò che vogliamo e presumere che chi ascolta o legge capisca accuratamente ciò che intendiamo comunicare. Come tutti ben sappiamo, comunicare non è così semplice o scontato; la comunicazione è piena di malintesi. Alla luce di tali fatti, i ricercatori hanno iniziato a esaminare la comunicazione come una forma di elaborazione sociale dell’informazione (ricordate, a tal proposito, quanto riportato nel Capitolo 7), durante la quale i destinatari interpretano i messaggi tramite un’informazione elaborata razionalmente. Tale modo di intendere la comunicazione ha portato allo sviluppo di un modello percettivo della comunicazione che descrive quest’ultima come un processo nel quale i destinatari creano, nella loro mente, un significato. Esaminiamo brevemente gli elementi del modello di processo percettivo integrandoli con un esempio. Mittente, messaggio e destinatario Il mittente è l’individuo che desidera comunicare delle informazioni, cioè il messaggio, mentre il destinatario è l’individuo, il gruppo o l’organizzazione cui il messaggio è rivolto. Codifica La codifica consiste nel tradurre un pensiero mentale in un codice o in un linguaggio che può essere capito da altri e costituisce le fondamenta del messaggio. Per esempio, se una docente desidera assegnare un compito ai suoi studenti, deve riflettere su quali informazioni intende comunicare, codificarle in un discorso scritto o parlato e selezionare un mezzo per condividere il messaggio. La scelta delle parole è molto importante: pensate che in inglese, per esempio, esistono oltre 1 milione di parole.7 La scelta di un mezzo di comunicazione I manager possono avvalersi di una varietà di mezzi per comunicare. Tra quelli possibili abbiamo le conversazioni faccia a faccia, le telefonate, la posta elettronica, i messaggi in segreteria telefonica e gli SMS, le videoconferenze, le lettere o i promemoria scritti, le fotografie o i disegni, le riunioni faccia a faccia o virtuali, le bacheche, i dati informatici, le interazioni attraverso i social media, i diagrammi o i grafici. La scelta dei mezzi appropriati dipende da molti fattori, inclusa la natura del messaggio, l’obbiettivo prefissato, il tipo di pubblico e quanto è vicino, l’orizzonte temporale per la diffusione del messaggio, le preferenze e le capacità individuali. CompOrga.indb 321 11/01/2013 16.35.31 322 Parte IV I processi organizzativi Tutti i mezzi di comunicazione presentano vantaggi e svantaggi. Le conversazioni faccia a faccia, per esempio, sono utili per la comunicazione di questioni importanti e delicate, che richiedono un feedback e un’interazione intensa. Le telefonate sono comode, rapide e private, ma mancano di informazione non verbale. Sebbene scrivere promemoria o lettere porti via del tempo, rappresenta un mezzo efficace qualora sia difficile incontrarsi con l’altra persona, quando la formalità e un documento scritto siano fattori importanti e quando non sia necessario ricorrere a una interazione faccia a faccia per assicurarsi una maggiore comprensione. Sulla scelta dei mezzi di comunicazione parleremo più approfonditamente nel corso del capitolo. Decodifica e costruzione del significato La decodifica è il processo che avviene quando il destinatario riceve il messaggio, lo interpreta e gli attribuisce un significato. Tornando al nostro esempio, gli studenti decodificano il messaggio ricevuto dalla docente. Diversamente dal presupposto del modello di flusso, in base al quale il significato viene trasmesso direttamente dal mittente, il modello percettivo si basa sulla convinzione che sia il destinatario a elaborare nella sua mente il significato di un messaggio. Consideriamo l’esperienza interculturale di un giornalista del Wall Street Journal incaricato di svolgere un incarico in Cina. Qualche settimana fa ero nella sede asiatica del Journal, in ascensore con una collega cinese. Quando le ho sorriso e l’ho salutata, mi ha detto: “Sei ingrassato”. Avrei potuto stupirmi ma almeno altri tre colleghi cinesi mi hanno detto che sono grasso. Forse dovrei mangiare meno gnocchi di maiale. In Cina, un commento così personale da parte di un collega non è necessariamente un insulto. Probabilmente è solo una dimostrazione di cordialità.8 L’esempio mette in luce che la decodifica e la creazione del significato sono influenzate da norme e valori culturali. Feedback Quante volte, quando siete al telefono, avete l’impressione che la comunicazione si sia interrotta? Generalmente lo scambio di battute è pressappoco questo: “Sei ancora lì? Mi senti?” L’altro risponde: “Sì, ma ti sento a tratti.” Questo è un esempio di feedback: il mittente ottiene una reazione di qualche tipo dal destinatario. Disturbo Il disturbo rappresenta qualunque cosa vada a interferire con la trasmissione e la comprensione del messaggio e può influenzare qualsiasi fase del processo comunicativo. Questa definizione ampia del disturbo include fattori come difficoltà nel parlare o accenti particolari, linee telefoniche mal funzionanti, grafie illeggibili, fotocopie poco chiare, statistiche imprecise, menzogne, rumori di sottofondo, udito o vista scarsi e la distanza fisica tra mittente e destinatario. La figura 14-1 mostra un esempio di modello di processo percettivo della comunicazione. Notate la natura ciclica dello scambio di significati: il mittente diventa destinatario e così via. CompOrga.indb 322 11/01/2013 16.35.31 14 Comunicazione organizzativa nell’era digitale Figura 14-1 Il processo di comunicazione Incontriamoci in biblioteca per studiare insieme 323 2. Il messaggio viene trasmesso attraverso un mezzo (per esempio, SMS) Quale biblioteca? Quale delle due materie che seguiamo insieme pensavi di studiare? Disturbo (interferenze di qualsiasi tipo) 1. Il mittente codifica un messaggio e seleziona un mezzo di comunicazione (per esempio il telefono cellulare) 4. Il destinatario invia un feedback attraverso un mezzo (per esempio, SMS) 3. Il destinatario decodifica il messaggio e ritiene opportuno fornire un feedback Barriere a una comunicazione efficace Le componenti essenziali di un processo comunicativo efficace sono due: il mittente deve comunicare con precisione il messaggio desiderato, altrimenti è improbabile che sarà compreso, e il destinatario deve percepire e interpretare il messaggio con altrettanta precisione. Qualsiasi elemento che si frapponga alla trasmissione e ricezione corretta di un messaggio rappresenta una barriera a una comunicazione efficace. Alcune barriere fanno parte del processo di comunicazione stesso (vedi tabella 14-1). La comunicazione non può andare a buon fine nel caso in cui una fase qualsiasi del processo venga disturbata o interrotta. In linea più generale, le barriere che possono ostacolare il processo comunicativo sono tre: (1) barriere personali, (2) barriere fisiche e (3) barriere semantiche. Tabella 14-1 Potenziali barriere alla comunicazione legate al processo comunicativo • Barriera del mittente (per esempio, dimenticare o avere timore di inviare un messaggio, posticipare l’invio di un messaggio difficile). • Barriera della codifica (per esempio, capacità linguistiche mediocri, scelte lessicali inadeguate, pronuncia incomprensibile). • Barriera del mezzo (per esempio, trasmissione difettosa, batteria scarica su dispositivi wireless, linea occupata, rumori di sottofondo, guasto della rete informatica). • Barriera della decodifica (per esempio, capacità linguistiche mediocri, segnali contrastanti da messaggi verbali e non verbali, incapacità di comprendere battute di spirito, espressioni gergali e termini tecnici). • Barriera del ricevente (per esempio, mancata ricezione del messaggio, non disponibilità a ricevere il messaggio, forte reazione emotiva al messaggio). • Barriera del feedback (per esempio, inespressività, mancanza di una risposta scritta o orale, segnali contrastanti da messaggi verbali e non verbali). CompOrga.indb 323 11/01/2013 16.35.31 324 Parte IV I processi organizzativi Barriere personali Vi è mai capitato di comunicare con qualcuno e provare un tale senso di smarrimento da domandarvi se dipenda da voi oppure dal vostro interlocutore? Le barriere personali sono rappresentate da attributi individuali che possono ostacolare la comunicazione. Esaminiamo di seguito nove barriere personali piuttosto comuni che possono determinare una cattiva comunicazione. 1. Capacità individuali di comunicare efficacemente. Alcuni individui sono più bravi a comunicare rispetto ad altri. Magari conoscono una o più lingue straniere,9 sono dotati di capacità espressive e di ascolto e sanno usare la gestualità per determinare un impatto maggiore. Inoltre, scelgono il lessico adeguato ai destinatari, possiedono buone capacità di scrittura per comunicare i concetti in forma concisa e chiara e sono dotati delle capacità sociali necessarie per mettere a proprio agio gli altri. Coloro che non possiedono tali capacità possono coltivarle e potenziarle attraverso la pratica.10 2. Variazioni nel modo in cui le informazioni vengono elaborate e interpretate. Siete cresciuti in campagna o in città? Avete frequentato le scuole pubbliche o le scuole private? Siete stati stimolati dai vostri genitori a contribuire alle faccende domestiche oppure a praticare sport? Siete cresciuti in un ambiente tranquillo o litigioso? I fattori cui fanno riferimento queste domande sono importanti perché contribuiscono a plasmare gli schemi di riferimento e le esperienze cui ciascun individuo ricorre per interpretare il mondo. Come abbiamo visto nel Capitolo 7, gli individui dedicano un’attenzione selettiva alla molteplicità di stimoli che ricevono a seconda del proprio schema di riferimento individuale. Tali differenze possono quindi incidere sull’interpretazione di ciò che vediamo e sentiamo. 3. Variazioni nel livello di fiducia interpersonale. Nel Capitolo 11 abbiamo visto in che misura la fiducia influenza i rapporti interpersonali. È più probabile che una comunicazione venga alterata quando non vi è fiducia reciproca fra le persone.11 Una carenza di fiducia può indurre ad adottare un atteggiamento difensivo e a mettere in discussione i contenuti comunicati, distogliendo l’attenzione dal messaggio. 4. Stereotipi e pregiudizi. Nel Capitolo 7 abbiamo visto che i pregiudizi sono convinzioni semplicistiche riguardo determinati gruppi di persone; potenzialmente distorcono la comunicazione perché possono indurre gli individui a percepire male o filtrare le informazioni.12 È importante conoscere gli stereotipi cui si è soggetti ed essere consapevoli del loro effetto inconscio sui messaggi inviati agli altri e sull’interpretazione dei messaggi ricevuti. 5. Ego ipertrofico. Per orgoglio, eccessiva sicurezza di sé, consapevolezza di avere migliori capacità o arroganza, il nostro ego può rappresentare una notevole barriera alla comunicazione. Un ego troppo sviluppato può essere causa di battaglie politiche, guerre territoriali, corse per il potere, per il prestigio e per le risorse. L’ego determina il modo in cui le persone si trattano reciprocamente, nonché la nostra apertura a subire l’influenza di altri. Se vi è mai capitato di essere messi in ridicolo oppure di subire atti di bullismo in pubblico, probabilmente sapete bene in che misura i sentimenti legati all’ego possono incidere sulla comunicazione. 6. Scarse capacità di ascolto. Quante volte durante una lezione un vostro compagno di corso ha posto una domanda cui era già stata data risposta? Oppure, quante volte vi è capitato di incontrare una persona con un basso livello di auto-osservazione (vedi Capitolo 5) che parla solo di sé e mostra ben poco interesse nei vostri confronti? CompOrga.indb 324 11/01/2013 16.35.31 14 Comunicazione organizzativa nell’era digitale 325 Se l’interlocutore non ascolta, è molto difficile che la comunicazione sia efficace. Esamineremo le capacità di ascolto nel prosieguo del capitolo. 7. Naturale tendenza a valutare o giudicare il messaggio di un mittente. Immaginate il possibile scambio di battute con un amico dopo essere stati al cinema insieme: “Ti è piaciuto il film?”; “Molto, è il film più bello dell’anno!”; “Lo penso anch’io”, oppure: “Mah, io mi sono addormentato tre volte…”. Scopo di questo esempio è dimostrare che, come evidenziato dal rinomato psicologo Carl Rogers, tutti abbiamo una naturale tendenza a valutare i messaggi secondo il nostro punto di vista o schema di riferimento, soprattutto quando siamo molto coinvolti nell’argomento.13 8. Incapacità di ascoltare comprendendo. L’ascolto volto a comprendere si ha quando il destinatario è in grado “di capire l’idea espressa e l’atteggiamento partendo dal punto di vista dell’altro, di percepire che cosa significhi per lui, di acquisire la sua cornice, il suo schema di riferimento in merito a ciò di cui parla”.14 Cercate sempre di ascoltare comprendendo perché, così facendo, adotterete un approccio meno difensivo e potrete migliorare le vostre capacità di comprendere accuratamente i messaggi. 9. Comunicazione non verbale. Il processo comunicativo acquista in efficacia quando le espressioni del viso e la gestualità sono coerenti con lo scopo del messaggio. Aspetto interessante, spesso le persone non sono consapevoli dei messaggi non verbali che comunicano. Approfondiremo questo importante aspetto della comunicazione nel seguito del capitolo. Barriere fisiche: rumori, vincoli temporali e spaziali, e non solo Immaginate di parlare al telefono cellulare mentre vi trovate in una zona molto trafficata e siete circondati da persone che parlano ad alta voce. In questa situazione emergono diverse barriere fisiche alla comunicazione, tra cui figurano anche le eventuali differenze di fuso orario, la qualità della linea telefonica, la distanza dagli interlocutori o i guasti alla rete informatica. La disposizione degli uffici può rappresentare un’altra barriera fisica, motivo per cui un numero crescente di organizzazioni si affida a esperti in grado di progettare spazi che favoriscano la libera interazione e, all’occorrenza, la privacy. Semantica: lo studio delle parole e del loro significato Gergo: linguaggio, acronimi e terminologia specifici di una professione, un gruppo o un’azienda CompOrga.indb 325 Barriere semantiche: quando le parole contano Se il vostro capo dice “Dobbiamo completare subito questo progetto”, che cosa intende comunicarvi? Il “noi” implicito nella sua affermazione si riferisce solo a voi, a voi e ai vostri colleghi oppure a voi, ai vostri colleghi e a se stesso? “Subito” significa oggi, domani o la settimana prossima? Questi sono esempi di barriere semantiche. La semantica è lo studio delle parole e del loro significato. Le barriere semantiche emergono più spesso nell’economia globalizzata odierna, data la crescente diversità della forza lavoro e il ricorso sempre più comune all’outsourcing di alcune mansioni all’estero. Il gergo e i termini in voga rappresentano un’altra tipologia di barriera semantica. Il gergo è dato dal linguaggio, gli acronimi e la terminologia specifici di una professione, un gruppo o un’azienda. In una società tecnologicamente avanzata e a corto di tempo come quella attuale, si tende a ricorrere agli acronimi sempre più spesso (per esempio, “Contattami ASAP”, dove ASAP sta per “as soon as possible”, prima possibile). Si assiste spesso anche all’uso di parole inflazionate che diventano una forma di eufemismo nella lingua scritta e parlata (per esempio, se un 11/01/2013 16.35.32 Parte IV 326 I processi organizzativi economista afferma “In fin dei conti, ciò che emerge è una carenza di visione da parte dell’esecutivo” intende dire “Il governo non sa come gestire la politica economica”). Parole o espressioni che per voi appartengono alla lingua comune potrebbero risultare oscure a persone esterne o non specialisti. Se vogliamo farci capire, dobbiamo scegliere bene le parole e adeguare i nostri messaggi alla situazione e agli schemi di riferimento del destinatario.15 L’impatto dei social media sulla comunicazione Come abbiamo visto nel Capitolo 10, social media come Facebook, Twitter, YouTube e LinkedIn stanno sfumando i confini tra gruppi formali e informali negli ambienti di lavoro. In termini più generali, i social media stanno significativamente alterando la comunicazione organizzativa e la vita lavorativa nel suo insieme. Per esempio, “circa il 28% degli studenti universitari ha in mente di cercare lavoro usando LinkedIn, con un notevole incremento rispetto al 5% [del 2010] … Gli studenti scoprono tutto sui potenziali datori di lavoro visitandone i siti web, ricevendo gli aggiornamenti su Facebook e Twitter e visionando i profili LinkedIn”.16 Due importanti conseguenze associate ai social media, alimentati da contenuti generati dall’utente, sono: (1) accesso personale immediato a informazioni provenienti da tutto il mondo e non filtrate e (2) empowerment dal basso verso l’alto. Implicazioni manageriali I manager non possono permettersi di ignorare o sottovalutare la rapidità e il potenziale di empowerment dal basso verso l’alto dei social media se non vogliono essere colti impreparati dalle correnti contrarie interne ed esterne. I contenuti dei social media interni possono racchiudere tempestivi campanelli d’allarme rispetto a problemi legati al morale dei dipendenti o alla gestione delle risorse umane come molestie sessuali, fuga di informazioni privilegiate, abuso di Internet e dei social media, decadenza etica e rancori. Il monitoraggio dei social media esterni può essere utile invece per aggiornarsi sui reclami e le reazioni dei consumatori, sulle minacce concorrenziali emergenti e sui potenziali insuccessi nella gestione legale o delle relazioni pubbliche. Data l’importanza, nel seguito del capitolo ci soffermeremo sulle politiche organizzative in merito all’uso dei social media. Comunicazione interpersonale Competenza comunicativa: capacità di ricorrere in modo efficace a comportamenti comunicativi in un determinato contesto CompOrga.indb 326 Nell’ambito di un’organizzazione, la qualità della comunicazione interpersonale è più importante che mai. Secondo i ricercatori, le persone dotate di buone doti comunicative hanno aiutato gruppi a prendere decisioni più innovative e sono state promosse con più frequenza rispetto agli altri.17 La competenza comunicativa può essere definita come la capacità di comunicare efficacemente in situazioni specifiche. La business etiquette, ad esempio, è una componente di tale competenza comunicativa.18 La competenza comunicativa si articola in una molteplicità di capacità e abilità comunicative; in questa sede concentreremo la nostra attenzione su cinque in particolare, che si possono controllare: l’assertività, l’aggressività e la non assertività, la 11/01/2013 16.35.32 14 Comunicazione organizzativa nell’era digitale 327 comunicazione non verbale e l’ascolto attivo. Concluderemo la sezione esaminando le differenze di genere nella comunicazione. Assertività, aggressività e non assertività La tabella 14-2 descrive gli stili di comunicazione assertivo, aggressivo e non assertivo, identificando i relativi modelli di comportamento verbale e non verbale. Spesso capita che ci venga chiesto di fare qualcosa che non vorremmo. Immaginate che un compagno di corso vi chieda di lasciargli copiare il compito, oppure che qualcuno cerchi di convincervi ad acquistare un prodotto che non vi serve. In entrambi i casi, l’obiettivo di comunicazione è dire di no in maniera assertiva. Di seguito, trovate una serie di consigli per imparare a dire no. • Non sentitevi obbligati a dare una risposta immediata; chiedete del tempo per pensarci. • Siate onesti e prendete la parola dicendo no. È più semplice restare fermi nella propria posizione quando si dice subito esplicitamente di no. • Usate comportamenti non verbali assertivi per sottolineare le vostre parole. Per esempio, scuotete la testa in segno di diniego o guardare dritto negli occhi il vostro interlocutore mentre dite no, senza però mostrare uno sguardo fisso e truce. • Usate comportamenti verbali assertivi. Dite no con un tono di voce fermo e diretto. Iniziate le frasi con “Io” quando è necessaria maggiore enfasi, per esempio “Io non Tabella 14-2 Stili di comunicazione Stili di comunicazione Descrizione Modello di comportamento non verbale Modello di comportamento verbale Assertivo Fa pressione senza attaccare; permette agli altri di influenzare il risultato finale; espressivo e volto all’auto-valorizzazione senza essere invadenti. Linguaggio diretto e non ambiguo. Nessun tipo di attribuzione o valutazione nei confronti del comportamento altrui. Uso di affermazioni caratterizzate dall’uso dell’“ïo”e affermazioni volte a incentivare la collaborazione caratterizzate dall’utilizzo del “noi”. Aggressivo Approfitta degli altri; espressivo e volto all’auto-valutazione a danno di altri. Non assertivo Incoraggia gli altri ad approfittarsi di noi; inibito; abnegante. Buon contatto visivo. Postura comoda ma sicura. Voce potente, stabile e alta. Espressione facciale adeguata al tipo di messaggio che si vuole trasmettere. Tono adeguatamente serio. Interruzioni mirate al fine di assicurarsi della comprensione dei messaggi. Contatto visivo irato. Tendenza a sporgersi eccessivamente verso l’interlocutore. Gesti minacciosi (dita puntate, pugno chiuso). Voce alta. Interruzioni frequenti. Scarso contatto visivo; sguardo rivolto verso il basso; postura scomposta; continuo spostamento del peso; continua torsione delle mani; voce debole e lamentosa. Uso di turpiloquio e parole offensive. Attribuzioni e valutazioni nei confronti del comportamento altrui. Termini sessisti o razzisti. Minacce esplicite e mortificazioni. Parole che qualificano o specificano (“forse”, “una specie”) Riempitivi (“eh”, “sa …”, “beh”) Confutazioni (“non è poi così importante”, “non sono sicuro”) Fonte: adattato in parte da J.A. Waters, “Managerial Assertiveness,” Business Horizons, settembre-ottobre 1982, pp. 24-29. CompOrga.indb 327 11/01/2013 16.35.32 Parte IV 328 I processi organizzativi trovo affatto giusto che tu copi il mio lavoro, dato che invece di venire a lezione te ne stai a letto.”19 Dire no non è sbagliato. Ricordate: più acconsentite alle richieste degli altri, meno tempo avrete a disposizione per voi stessi. L’incapacità di dire no può portare a sensi di colpa, collera, risentimento e potenziali fallimenti. La comunicazione non verbale Comunicazione non verbale: messaggi trasmessi al di là della parola scritta o parlata Si dice comunicazione non verbale “qualsiasi tipo di messaggio, inviato o ricevuto, privo di parola scritta o detta a voce […] include fattori quali il tempo, lo spazio, la distanza che separa gli interlocutori, l’uso dei colori, l’abbigliamento, il modo di camminare, di stare in piedi, la propria posizione, la disposizione dei posti a sedere, l’ubicazione dell’ufficio e l’arredamento”.20 Stando alle percentuali forniteci dagli esperti di comunicazione, è possibile interpretare circa il 65% delle conversazioni tramite la comunicazione non verbale,21 per cui è importante assicurarsi che i segnali non verbali siano coerenti con il tipo di messaggio verbale che si intende trasmettere. La mancanza di coerenza crea disturbo e dà adito a incomprensioni a livello comunicativo.22 Data la prevalenza della comunicazione non verbale e il notevole impatto sul comportamento organizzativo (che include, tra le altre cose, la percezione da parte degli altri, le decisioni in merito alle assunzioni, gli atteggiamenti professionali sul lavoro e il turnover), è importante che i manager acquisiscano concreta consapevolezza dei segnali non verbali che inviano e ricevono. Il noto giornalista di settore Harvey Mackay ci ricorda che “le parole sussurrano, il linguaggio non verbale urla”.23 Il linguaggio del corpo e i gesti Movimenti del corpo quali la tendenza a sporgersi in avanti o indietro, e gesti come quello di puntare le dita, sono fonte di informazioni non verbali che possono sia migliorare sia peggiorare un funzionale processo comunicativo. Posizioni del corpo aperte, quali la tendenza a sporgersi verso l’interlocutore, comunicano immediatezza, termine usato per esprimere apertura, calore, vicinanza e predisposizione alla comunicazione. Un atteggiamento difensivo viene trasmesso da gesti quali le braccia conserte, le mani incrociate e le gambe accavallate. Judith Hall, studiosa di comunicazione, ha condotto una meta-analisi riguardante le differenze di genere nei modi di muoversi e nei tipi di gesti usati; i risultati hanno mostrato come le donne facciano cenni col capo e muovano le mani più frequentemente di quanto non facciano gli uomini; lo sporgersi in avanti, gli ampi spostamenti del corpo, i movimenti di gambe e piedi, invece, sono stati maggiormente rilevati tra gli uomini che tra le donne.24 Sebbene l’interpretazione dei movimenti del corpo e dei gesti sia tanto facile quanto divertente, è importante ricordare che l’analisi del linguaggio del corpo facilmente dà adito a interpretazioni sbagliate e che dipende in gran parte dal contesto. I gesti delle mani possono essere particolarmente problematici in contesti interculturali. Per esempio, il pollice verso l’alto esibito con un sorriso dal Presidente Obama in occasione del G20 del 2009 a Londra può essere interpretato come “ok!” negli Stati Uniti e in Cina, CompOrga.indb 328 11/01/2013 16.35.32 14 Comunicazione organizzativa nell’era digitale 329 come “numero 1” in Francia, “numero 5” in Giappone o come un gesto offensivo in Australia e numerosi altri paesi.25 Il contatto Il contatto fisico è un altro tipo di indizio non verbale molto potente: di solito si tende ad avere un contatto fisico con le persone che piacciono. Una meta-analisi, volta a mettere in evidenza le differenze di genere in merito a tale argomento, ha rivelato che le donne, durante una conversazione, tendono a cercare, rispetto agli uomini, un maggiore contatto fisico.26 È interessante notare, tuttavia, come l’interpretazione del contatto fisico, da parte di uomini e donne, sia diversa. Forse, tenendo conto di tali differenze di percezione, è possibile ridurre le lamentele riguardanti le molestie sessuali. Inoltre, le norme relative al contatto variano in modo significativo da una cultura all’altra. Considerate l’esempio di due ragazzi che camminano nel campus tenendosi per mano; un comportamento del genere, in Medio Oriente, sarebbe alquanto comune per ragazzi legati da un rapporto di amicizia o che nutrono un forte rispetto reciproco; negli Stati Uniti o in Canada, invece, lo stesso comportamento è assai inusuale. L’espressione del viso Le espressioni facciali forniscono un notevole numero di informazioni. A Kansas City, ad esempio, sorridere durante una riunione di lavoro è una tipica espressione di calore, felicità o amicizia, mentre un’espressione corrucciata è segno di insoddisfazione o rabbia. Queste interpretazioni sono riferibili a gruppi interculturali diversi? Molto sinteticamente, la risposta è no. Una sintesi di importanti studi ha rivelato che il legame tra espressioni del viso ed emozioni effettivamente varia da cultura a cultura.27 Fare un ampio sorriso mostrando i denti, ad esempio, non comunica in tutti i paesi il medesimo stato d’animo. Ancora una volta, occorre fare attenzione nell’interpretazione e nell’uso delle espressioni facciali dei diversi gruppi di collaboratori e quando si opera in contesti interculturali. Il contatto visivo Il contatto visivo rappresenta un forte segnale non verbale che, nella comunicazione, svolge quattro funzioni. Innanzitutto il contatto visivo, segnalando l’inizio e la fine della conversazione, regola il flusso della comunicazione. Si ha la tendenza a spostare lo sguardo dalle altre persone quando si inizia a parlare e a guardarle quando si è finito. In secondo luogo, uno sguardo intenso (che si oppone a uno fisso e truce), facilita e monitorizza il feedback perché esprime interesse e attenzione. In terzo luogo, il contatto visivo trasmette un sentimento. Si tende, infatti, a evitarlo quando si comunicano notizie spiacevoli o un feedback negativo. Lo sguardo, in ultimo, è legato al rapporto tra gli interlocutori. Come per il linguaggio del corpo e le espressioni del viso, le abitudini relativa al contatto visivo cambiano a seconda delle culture. Agli occidentali, fin dalla tenera età, viene insegnato a guardare i genitori negli occhi quando viene rivolta loro la parola. A molte persone di cultura asiatica, sudamericana o africana, al contrario, viene insegnato di evitare il contatto visivo con un genitore o superiore in segno di obbedienza e sottomissione.28 Ancora una volta i manager, nell’uso del contatto visivo con i diversi collaboratori, devono mostrarsi sensibili ai diversi tipi di orientamenti culturali. Suggerimenti pratici Data la loro importanza nello sviluppo di un rapporto interpersonale positivo, è importante disporre di buone doti comunicative non verbali. Al fine CompOrga.indb 329 11/01/2013 16.35.32 Parte IV 330 I processi organizzativi di migliorare le proprie doti comunicative non verbali, un esperto di comunicazione fornisce i seguenti consigli:29 Azioni non verbali positive che favoriscono la comunicazione • • • • • • Mantenere il contatto visivo. Fare di tanto in tanto cenni con la testa in segno di approvazione. Sorridere e mostrare interesse. Sporgersi verso l’interlocutore. Parlare con moderazione usando un tono rassicurante e tranquillo. Controllare le espressioni facciali. Azioni da evitare • Leccarsi le labbra e giocherellare con capelli e barba. • Distogliere lo sguardo o girare le spalle all’interlocutore. • Chiudere gli occhi e mostrare espressioni facciali disinteressate, per esempio sbadigliando. • Muoversi eccessivamente nella sedia o battere il piede. • Usare un tono sgradevole della voce e parlare troppo velocemente o troppo lentamente. • Mangiarsi le unghie, stuzzicarsi i denti o sistemarsi di continuo gli occhiali. Questi consigli sono adeguati alla cultura nordamericana e potrebbero non essere integralmente applicabili in altri contesti culturali. Ascolto attivo Ascolto: decodifica e interpretazione attiva dei messaggi verbali Alcuni esperti di comunicazione sostengono che l’ascolto sia la capacità comunicativa fondamentale per gli addetti alle vendite o al servizio alla clientela e per il management. È stata notata una correlazione positiva tra l’efficacia dell’ascolto e la soddisfazione del cliente, a fronte di una correlazione negativa con l’intenzione, da parte del collaboratore, di abbandonare il posto di lavoro. Un’altra causa primaria di insoddisfazione dei collaboratori è stata individuata nello scarso grado di comunicazione tra collaboratori e management.30 Essere dotati all’ascolto è particolarmente importante per tutti noi perché trascorriamo molto tempo ad ascoltare gli altri. Ascoltare un messaggio comporta uno sforzo maggiore del semplice udirlo. L’udito è solo la componente fisica dell’ascolto. L’ascolto è quel processo che comporta una decodifica e un’interpretazione attiva dei messaggi verbali; richiede un’attenzione mentale e una rielaborazione dell’informazione; la stessa cosa non vale per il semplice udito. Alla luce di tali distinzioni, prenderemo in esame gli stili di ascolto e alcuni consigli pratici per diventare un ascoltatore migliore. Stili di ascolto Secondo gli esperti in comunicazione, ciascun individuo adotta uno stile di ascolto preferenziale; alcuni tendono a evidenziare uno stile dominante, men- CompOrga.indb 330 11/01/2013 16.35.32 14 Comunicazione organizzativa nell’era digitale 331 tre altri presentano una combinazione di due o tre stili. Gli stili di ascolto principali sono cinque: che mostra apprezzamento, empatico, olistico, in grado di distinguere e valutativo.31 Un ascoltatore che adotta lo stile che mostra apprezzamento tende ad ascoltare con uno stato d’animo rilassato, prediligendo informazioni piacevoli, divertenti o ispiratrici, e a non essere in sintonia con interlocutori con scarso senso dell’umorismo e verve. L’ascoltatore empatico interpreta i messaggi prestando attenzione alle emozioni e al linguaggio del corpo dell’interlocutore, nonché al mezzo di comunicazione, e tende ad astenersi dal giudizio. L’ascoltatore olistico attribuisce significato al messaggio ordinando pensieri e azioni specifici e integrando le informazioni così ricavate con l’analisi delle relazioni tra le idee; predilige le presentazioni logiche e senza interruzioni. L’ascoltatore in grado di distinguere tenta di comprendere il messaggio principale e di individuarne i punti più rilevanti; in genere prende appunti e predilige le presentazioni logiche. Infine, l’ascoltatore valutativo ascolta analiticamente e formula argomentazioni e smentite a ciò che viene affermato; tende ad accettare o bocciare i messaggi a seconda delle sue opinioni, pone numerose domande e può mostrare la tendenza a interrompere l’interlocutore. È possibile migliorare le capacità di ascolto acquistando consapevolezza dell’efficacia dei diversi stili di ascolto a seconda del contesto, in modo da adeguare il proprio stile alla situazione specifica. Per esempio, se si ascolta un confronto tra candidati politici, potrebbe essere opportuno adottare uno stile olistico e in grado di distinguere, mentre se si assiste a una presentazione vendite potrebbe essere più adeguato uno stile valutativo. Diventare un ascoltatore migliore Un ascolto efficace è una capacità da apprendere, che richiede sforzo e motivazione. Occorrono energia e forte motivazione per poter veramente ascoltare gli altri. Sfortunatamente, pare che non vi siano ricompense per chi ascolta, ma solo conseguenze negative per chi non lo fa. Pensate, ad esempio, alla volta in cui qualcuno non ha prestato attenzione a quanto stavate dicendo, guardando l’orologio o dedicandosi ad altro come scrivere qualcosa al computer. Come vi siete sentiti? Probabilmente mortificati, non importanti od offesi. Tali sensazioni, di rimando, possono minare la qualità del rapporto interpersonale nonché alimentare l’insoddisfazione professionale, diminuire la produttività e peggiorare il servizio alla clientela. L’ascolto è una dote importante che può essere migliorata evitando i 10 comportamenti tipici del cattivo ascoltatore e coltivando le 10 abitudini del buon ascolto (tabella 14-3). Secondo un esperto di comunicazione, possiamo migliorare le nostre capacità di ascolto applicando i seguenti consigli:32 • • • CompOrga.indb 331 Prestate attenzione a ciò che viene detto, non a quello che desiderate dire successivamente. Lasciate che l’interlocutore concluda il suo discorso prima di prendere la parola. Ripetete quello che è stato detto per dare all’interlocutore la possibilità di chiarire il messaggio. 11/01/2013 16.35.32 Parte IV 332 I processi organizzativi Tabella 14-3 Chiavi per un ascolto efficace Chiavi per un ascolto efficace Il cattivo ascoltatore Il buon ascoltatore 1. Tenere a freno la velocità del pensiero Tende a distrarsi 2. Ascoltare le idee 3. Trovare un’area di interesse comune 4. Giudicare il contenuto, non la trasmissione del messaggio Ascolta i fatti concreti Elimina gli oratori o gli argomenti noiosi Elimina gli oratori monotoni Non si distrae, riassume mentalmente ciò che dice l’oratore, soppesa i fatti e ascolta i messaggi tra le righe Ascolta le idee centrali o generali Ascolta qualunque possibile informazione utile Prima di esprimere giudizi valuta il contenuto ascoltando il messaggio 5. Mantenere l’equilibrio Manifesta troppa emotività 6. Lavorare alla propria capacità di ascolto 7. Non distrarsi 8. Ascoltare quanto viene detto 9. Sfidare sé stessi 10. Utilizzare materiale, lucidi o altri supporti visivi o si infervora per qualcosa che è stato detto dall’oratore intervenendo nel discorso Non investe energia nell’ascolto Si distrae facilmente Si chiude in sé stesso o nega ogni informazione non favorevole Mostra resistenza all’ascolto di presentazioni di argomenti difficili Non prende appunti e non presta attenzione al materiale distribuito per intero Trattiene ogni giudizio fino a quando la comprensione non sia completa Presta all’oratore completa attenzione Combatte le distrazioni e si concentra sull’oratore Ascolta ogni tipo di informazione, sia quelle favorevoli, sia quelle non favorevoli Si concentra su presentazioni difficili come esercizio mentale Prende appunti come richiesto e ricorre al materiale distribuito per una maggiore comprensione della relazione Fonti: tratto da N. Skinner, “Communication Skills,” Selling Power, luglio-agosto 1999, pp. 32-34; e da G. Manning, K. Curtis e S. McMillen, Building the Human Side of Work Community (Cincinnati: Thomson Executive Press, 1996), pp. 127-54. Stili linguistici e genere Stile linguistico: schema linguistico tipico di una persona È risaputo che uomini e donne comunicano in modo diverso. Tali differenze possono creare problemi di comprensione che vanno a minare la produttività e la comunicazione interpersonale. Le differenze nella comunicazione basate sul genere sono in parte dovute a stili linguistici generalmente diffusi tra le donne e tra gli uomini. Deborah Tannen, esperta di comunicazione, fornisce la seguente definizione di stile linguistico: Lo stile linguistico si riferisce allo schema di comunicazione tipico di un soggetto. Implica elementi quali l’essere diretto o indiretto, il procedere a un ritmo giusto e fare delle pause, la scelta delle parole e l’uso di elementi come battute spiritose, figure retoriche, aneddoti, domande e scuse. Lo stile linguistico, in altre parole, consiste in una serie di segnali culturalmente acquisiti che ci permettono non solo di comunicare ciò che vogliamo esprimere, ma anche di interpretare ciò che altri vogliono dire e valutarci reciprocamente come individui.33 CompOrga.indb 332 11/01/2013 16.35.32 14 Comunicazione organizzativa nell’era digitale 333 Lo stile linguistico non solo ci aiuta a spiegare le differenze di comunicazione tra uomini e donne, ma influenza anche la percezione che noi abbiamo del grado di fiducia, di competenza e di capacità altrui. Un maggiore incremento della consapevolezza degli stili linguistici può, pertanto, migliorare l’accuratezza comunicativa e la competenza in termini di comunicazione. Differenze di genere nella comunicazione La ricerca dimostra che uomini e donne comunicano in modo diverso in una serie di modi.34 La tabella 14-4 illustra 10 diversi tipi di schemi di comunicazione che variano tra uomini e donne. In merito alle tendenze identificate dalla suddetta tabella esistono due importanti questioni da considerare: gli andamenti indicati non possono, innanzitutto, essere generalizzati per tutti gli uomini e tutte le donne; può darsi, infatti, che alcuni uomini siano meno inclini a vantarsi delle loro conquiste, e alcune donne possono non voler condividere i loro meriti. Il fatto è che ci sono sempre eccezioni che confermano la regola. Il vostro stile linguistico, in secondo luogo, influenza le percezioni che altri hanno sul vostro grado di sicurezza, competenza e autorità. Tali giudizi potrebbero, di rimando, influire sui vostri futuri incarichi professionali e, di conseguenza, su un’eventuale promozione. Considerate, ad esempio, gli stili linguistici mostrati da Greg e Mindy. Greg minimizza qualsiasi incertezza egli abbia in merito a determinate questioni e fa poche domande; si comporta così quando non è sicuro dell’argomento oggetto di discussione. Mindy, invece, tende a fare molte domande. Alcuni potrebbero ritenere Greg più competemte di Mindy, perché mostra una sicurezza maggiore e si comporta come se capisse ciò di cui si parla. Tabella 14-4 Differenze di comunicazione tra uomini e donne 1. Gli uomini, in pubblico, tendono a non chiedere informazioni che metterebbero in luce la loro mancanza di conoscenza. 2. In fase decisionale le donne tendono a minimizzare la loro certezza; gli uomini a minimizzare i loro dubbi. 3. Le donne tendono a chiedere scusa anche quando non hanno fatto nulla di sbagliato. Gli uomini tendono a evitare di chiedere scusa perché sarebbe sintomo di debolezza o concessione. 4. Le donne tendono ad assumersi la colpa come mezzo per alleggerire una situazione delicata. Gli uomini tendono a ignorare il rimprovero e a metterlo da parte. 5. Le donne tendono a esporre delle critiche cercando di attenuarle in modo positivo. Gli uomini tendono a esporre una critica in modo molto diretto. 6. Le donne tendono a inserire, nel corso della conversazione, ringraziamenti non necessari e non richiesti. Gli uomini evitano, in generale, i ringraziamenti, visti come segno di debolezza. 7. Le donne tendono a chiedere, al fine di cercare approvazione “che cosa ne pensi?”. Gli uomini spesso interpretano tale domanda come indice di incompetenze e mancanza di fiducia in se stessi. 8. Le donne tendono a dare indicazioni in modo indiretto; tale tecnica potrebbe essere percepita dagli uomini come confusa, poco chiara o manipolativa. 9. Gli uomini tendono a usurpare le idee proposte da donne millantandole come proprie. Le donne tendono a permettere tale modo di agire per prendere posto senza suscitare proteste. 10. Le donne usano una tono di voce più delicato per incoraggiare persuasione e appoggio. Gli uomini usano un tono di voce più alto per attirare l’attenzione e mantenere il controllo. Fonte: tratto da D.M. Smith, Women at Work: Leadership for the Next Century (Upper Saddle River, NJ: Prentice Hall, 2000), pp. 26-32. CompOrga.indb 333 11/01/2013 16.35.33 Parte IV 334 Flessibilità di genere: uso temporaneo di comportamenti di comunicazione tipici dell’altro sesso I processi organizzativi Verso una maggiore efficacia dello stile linguistico L’autrice Judith Tingley suggerisce che donne e uomini dovrebbero apprendere la flessibilità di genere. La flessibilità di genere implica l’uso temporaneo di comportamenti comunicativi tipici dell’altro genere al fine di incrementare la possibilità di esercitare un’influenza.35 Deborah Tannen, al contrario, sostiene che ciascuno debba diventare consapevole del funzionamento degli stili linguistici e del modo in cui essi influiscono sulle nostre percezioni e giudizi, in quanto reputa che aiutino ad assicurare che persone con conoscenze o idee valide vengano ascoltate. Si consideri come le differenze linguistiche basate sulle differenze di genere influiscono su chi viene ascoltato a una riunione: Coloro che sono abituati a parlare ad alta voce nei gruppi, che non hanno esigenze particolari di silenzio prima di alzare la mano, o che sono a loro agio nell’esporre le proprie idee senza aspettare di essere riconosciuti, hanno molte più probabilità di essere ascoltati nel corso di una riunione. Coloro, invece, che non parlano fino a quando l’oratore precedente non ha terminato, che aspettano di essere ammessi alla conversazione e che tendono a collegare i loro commenti a quelli di altri, se la caveranno bene durante una riunione nella quale tutti seguono le medesime regole, ma si troveranno in difficoltà in riunioni con persone caratterizzate da stili di comunicazione simili al primo schema descritto. Considerata la socializzazione tipica di ragazzi e ragazze, gli uomini tenderanno ad aver appreso il primo stile, mentre le donne il secondo, portando a riunioni più congeniali per gli uomini che per le donne.36 La conoscenza di tali differenze linguistiche può servire ai manager per scoprire metodi che assicurino che le idee di tutti vengano ascoltate e che vengano attribuiti i giusti meriti sia durante che al di fuori delle riunioni. È altresì utile considerare i punti di forza e i limiti organizzativi del vostro stile linguistico. Potreste considerare l’ipotesi di modificare una caratteristica linguistica che vada a scapito della percezione altrui in merito al vostro grado di sicurezza, di competenza e di autorità. Comunicazione organizzativa Adottare la prospettiva della comunicazione organizzativa può essere una buona strategia per identificare i fattori che contribuiscono a determinare l’efficacia o l’inefficacia del management. La nostra analisi è incentrata sul “chi” e sul “come” del processo di comunicazione. Per esempio, qualsiasi atto comunicativo inizia con l’identificazione di chi sarà il destinatario del messaggio: negli ambienti di lavoro, si può comunicare verso l’alto con il superiore, verso il basso con i diretti subordinati, orizzontalmente con i colleghi ed esternamente con clienti e fornitori. Esamineremo il “chi” della comunicazione organizzativa passando in rassegna svariati canali di comunicazione formali e informali. Successivamente, approfondiremo le nostre conoscenze sul “come” della comunicazione presentando un modello contingente per la scelta del mezzo adeguato. Vedremo che l’efficacia comunicativa è determinata da un’adeguata corrispondenza tra il contenuto del messaggio e il mezzo impiegato per comunicarlo. CompOrga.indb 334 11/01/2013 16.35.33 14 Comunicazione organizzativa nell’era digitale 335 I canali formali per la comunicazione verso l’alto, verso il basso, orizzontale ed esterna Canali di comunicazione formali: seguono la linea gerarchica o la struttura organizzativa I canali di comunicazione formali seguono la linea gerarchica o la struttura organizzativa. I messaggi comunicati attraverso i canali formali sono considerati ufficiali e vengono trasmessi lungo una o più delle tre direzioni seguenti: (1) verticale, verso l’alto o verso il basso, (2) orizzontale e (3) esterna. La comunicazione verticale verso l’alto e verso il basso La comunicazione verticale è il flusso di informazioni tra individui che occupano livelli organizzativi diversi. • La comunicazione verso l’alto consiste nel comunicare con qualcuno che occupa una posizione superiore nella scala gerarchica organizzativa. I collaboratori possono comunicare verso l’alto questioni che riguardano loro stessi, problemi con i colleghi, prassi e politiche organizzative che non comprendono o non condividono, successi e fallimenti. Una comunicazione verso l’alto dinamica favorisce l’equità organizzativa e la condotta etica, la motivazione intrinseca e l’empowerment (tema che approfondiremo nel capitolo successivo). La comunicazione verso l’alto assume inoltre particolare rilevanza nelle politiche organizzative mirate ad accrescere la produttività e migliorare il servizio ai clienti. I dipendenti che lavorano in prima linea spesso sanno per esperienza come è meglio agire per portare a termine un compito; purtroppo però sono in molti a non condividere le informazioni autocensurandosi. Secondo i risultati di recenti ricerche: Sorprendentem