ESAME ECONOMIA DEI CONSUMI 1. Cos’è l’economia dei consumi? Perché si studia? Il termine economia deriva dal greco, letteralmente significa amministrazione delle cose della casa e della famiglia e, per estensione, amministrazione della grande famiglia, quindi dello stato. L’economia è una scienza sociale che può essere definita anche come l'organizzazione dell'uso di risorse scarse (limitate o finite) implementate per soddisfare meglio le esigenze individuali o collettive e come un sistema di interazioni che garantisce tale organizzazione, detto anche sistema economico. Il consumo è l'attività di utilizzazione dei beni e servizi da parte di famiglie e imprese per il soddisfacimento dei bisogni umani. 2.Economia dei consumi, fa parte della macro o della microeconomia? Utilizza approcci teorici macroeconomici e microeconomici. Microeconomia: tiene in considerazione mercati, famiglie, Stato e si compone di una serie di ipotesi teoriche come la teoria del mercato, teoria della domanda, la teoria del consumatore, la teoria delle strutture dei mercati, che cercano di spiegare come i singoli mercati operano. Macroeconomia: si riferisce alla serie di costrutti teorici come la teoria del ciclo, la teoria della finanza pubblica, la teoria della moneta e del credito e la teoria dell'economia internazionale che mirano a spiegare come operano le economie nazionali e globali del lavoro. Tutte dimensioni che influenzano il consumo. 3.Differenze tra macro e microeconomia La microeconomia è lo studio dell’economia su scala molto piccola, studia il comportamento dei singoli agenti economici a livello individuale o di gruppo o aziendale. Questo potrebbe significare studiare l'offerta e la domanda di un prodotto specifico, la produzione di cui un individuo o un'impresa è capace, o gli effetti delle normative su un'impresa. La macroeconomia è lo studio di economia su larga scala. Si occupa delle grandezze economiche aggregate quali, ad esempio, i tassi di interesse, i tassi di disoccupazione, il PIL e gli effetti delle esportazioni e delle importazioni. Coincide con lo studio dell’economia nazionale nel suo complesso. Principali metodi di studio dell'economia Metodo induttivo Chiamato anche empirico: stabilisce proposizioni, teorie o analisi generali ottenute osservando e sperimentando casi individuali isolati. L'obiettivo è studiare lo specifico per raggiungere una conclusione generale. Un esempio di questo metodo può essere specificato dalla legge della domanda e dell’offerta: i prezzi diminuiscono a causa di una generalità, cioè l'esistenza di maggiore offerta. Questo metodo si basa sull'idea che per raggiungere le leggi che governano l'economia, è necessario partire dallo studio di casi particolari. [Dal particolare al generale] Metodo ipotetico deduttivo Stabilisce proposizioni, teorie e analisi sulla base di un principio generale, vale a dire un'ipotesi, al fine di analizzare e spiegare casi particolari. Allo stesso modo, la legge della domanda e dell'offerta può essere presa come esempio. Si può sostenere che l'esistenza di una vasta gamma di prodotti causerà una diminuzione della domanda, così come l’abbassamento dei prezzi è un'azione ragionevole da prendere. [Dal generale al particolare] 4.Attori economici Gli attori economici sono i compratori e i venditori, questi due soggetti interagiscono formando il mercato. I compratori sono composti dai consumatori finali e dalle imprese, che acquistano materie prime, lavoro e capitali. Essi generano la domanda. I venditori comprendono le imprese, che vendono beni e servizi, i lavoratori, che vendono i loro servizi alle imprese, i proprietari di risorse che vendono o cedono in affitto quest’ultime. Questi generano l’offerta. Tutti sono quindi sia compratori che venditori, ma vengono considerati diversamente nel momento in cui acquistano o vendono. 5.Curva della domanda La quantità domandata è la quantità di un bene che i compratori sono disposti a (e in grado di) acquistare in un determinato momento a un determinato prezzo. Legge della domanda: a parità di altre condizioni, la quantità domandata di un bene diminuisce all'aumentare del prezzo e aumenta al diminuire del prezzo. La domanda può essere rappresentata su diagramma cartesiano ponendo le quantità sull'asse dell'ascisse (x) e il prezzo sull'asse delle ordinate (y). Le combinazioni tra quantità e prezzo compongono la scheda di domanda o curva della domanda. La domanda (q) è, quindi, una funzione matematica dipendente dal prezzo (p). Sul diagramma cartesiano la curva di domanda si presenta come una funzione decrescente ed è caratterizzata da una inclinazione negativa in ogni suo punto Indica quanto di quel bene viene domandato ad un certo livello di prezzo. La curva di domanda non è statica: come abbiamo visto subisce una serie di variazioni. Ad esempio, variazioni del prezzo provocano spostamenti lungo la curva di domanda (da Q1 a Q2) Variazioni di reddito, gusti, prezzi dei beni sostitutivi e complementari e delle aspettative determinano spostamenti della curva di domanda (da D1 a D2) Per meglio comprendere facciamo adesso alcuni esempi: con il cambiare dell’età, cambiano i gusti alimentari, per cui cambia la domanda di determinati cibi. Pensando invece al reddito: chi ha un livello di reddito reale inferiore è più povero, per cui è necessario rivedere i propri acquisti anche in ambito alimentari; Si pensi anche al ruolo importante giocato dalle aspettative: personali rispetto al futuro 6.Legge della domanda e legge dell’offerta La quantità domandata (la domanda) è la quantità di un bene che i compratori sono disposti ad acquistare in un determinato momento ad un determinato prezzo. La legge della domanda: a parità di altre condizioni, la quantità domandata di un bene diminuisce all’aumentare del prezzo e aumenta al diminuire del prezzo. Si distinguono 3 tipologie di domanda: 1) domanda individuale ossia la quantità domandata di un bene da parte del singolo soggetto economico (consumatore), in relazione al prezzo; 2) domanda di mercato ossia la somma delle quantità domandate di un bene da parte di tutti gli operatori, in relazione al prezzo del bene; 3) domanda aggregata ossia la somma di tutte le quantità domandate dei beni economici da parte di una categoria di soggetti economici (es. famiglie, imprese, etc.) in un sistema economico. L’offerta è la quantità di un bene o di un servizio che i produttori mettono in vendita sul mercato ad un determinato prezzo. Legge dell’offerta a parità di altre condizioni la quantità offerta di un bene è correlata positivamente al prezzo di vendita quindi quanto è maggiore il prezzo di un bene, tanto più alta sarà la quantità offerta e viceversa. Si distinguono 3 tipologie di offerta economica: 1) offerta individuale ossia la relazione tra la quantità della produzione di un bene e il suo prezzo da parte di una singola impresa (è un concetto di microeconomia) 2) offerta di mercato ossia la somma delle quantità della produzione di un bene da parte di tutte le imprese che operano nel mercato (concetto di microeconomia); 3) offerta aggregata ossia la somma delle quantità della produzione di tutti i beni economici, prodotti in un sistema economico da parte di tutte le imprese (concetto di macroeconomia e di politica economica). Tuttavia, in alcuni casi l'offerta riguarda le famiglie. La classificazione dell'offerta per soggetto economico è la seguente: §OFFERTA DELLE IMPRESE: La funzione di offerta delle imprese si basa sulla massimizzazione del profitto dell'impresa compatibile con le condizioni del mercato e con le caratteristiche dalla funzione di produzione che descrive la trasformazione degli input (fattori, semilavorati) in output (prodotti). § OFFERTA DELLE FAMIGLIE: La funzione di offerta delle famiglie si basa sulla massimizzazione di una funzione di utilità netta, al vincolo delle condizioni del mercato, delle dotazioni e delle preferenze della persona. (L’offerta di lavoro è una tipica funzione di offerta delle famiglie). L'offerta può essere classificata anche in base all'orizzonte temporale: § OFFERTA DI BREVE PERIODO: è costruita su una funzione di produzione in cui possono variare soltanto i costi variabili (fattori produttivi, materie prime, lavoro e inputs). I costi fissi sono considerati costanti ( es. capitale, capacità dell'impianto produttivo, efficienza, tecnologia, ecc. ). § OFFERTA DI LUNGO PERIODO: è costruita considerando variabili sia i costi variabili che i costi fissi. In questo caso l'offerta è descritta con una curva di offerta di lungo periodo. (Nel lungo periodo un'impresa può investire per ampliare la capacità produttiva dell'impianti, ampliare il magazzino, chiudere o aprire un nuovo stabilimento, cambiare la tecnologia dei macchinari, e così via). CURVA DELL’OFFERTA La scheda di offerta è rappresentata graficamente su un diagramma cartesiano. Sull'asse delle ordinate si misura il prezzo (p) e sull'asse delle ascisse la quantità offerta (q). La teoria dell'offerta è la teoria microeconomica che spiega la relazione tra le variazioni dell'offerta di un bene economico e le variazioni del prezzo del bene economico stesso tramite una funzione matematica. La funzione di offerta può essere scritta: Y=f(P). La QUANTITÀ DELLA PRODUZIONE (Y) di un bene è in funzione diretta e crescente del suo prezzo di mercato (p).Nella funzione di offerta la produzione (Y) è la variabile dipendente mentre il prezzo (p) è la variabile indipendente. 7. Cos’è il consumo? Quali fattori lo influenzano? Il consumo È l'attività di utilizzazione dei beni e servizi da parte di famiglie e imprese per il soddisfacimento dei propri bisogni. I fattori che influenzano il consumo sono: 1) reddito ossia il denaro che il soggetto ha a disposizione per fare i propri acquisti; 2) prezzo sia dei beni sostitutivi che complementari; 3) gusti del consumatore che sono influenzati dall’ambiente in cui vive, dipendono dal background socio-culturale del soggetto, dalle mode e tendenze del gruppo di riferimento; 4) aspettative del soggetto ossia cosa si aspetta dal bene ma anche cosa si aspetta dal futuro. Se il soggetto ha aspettative negative sul futuro (es. lavoro, reddito, etc.) questo influenzerà la sua domanda di beni e servizi. I fattori che influenzano il comportamento d’acquisto sono: culturali, sociali, personali, psicologici. §CULTURA ci riferiamo a una serie di valori fondamentali che sono appresi e vissuti da una persona che vive in una determinata società. Ovviamente influisce la nazionalità, la religione e l’appartenenza a un determinato gruppo etnico. §Le CLASSI SOCIALI hanno una suddivisione al loro interno che rendono simile l’insieme di valori, interessi o comportamenti. Vi sono poi i FATTORI SOCIALI, ovvero i gruppi di appartenenza e di riferimento, quali famiglia, amici, etc. Anche il ruolo e lo status sono fattori sociali che influenzano l’acquisto. Il ruolo e lo status identificano l’insieme delle attività che le persone che circondano l’individuo si aspettano da lui (ruolo) e il livello di stima generale attribuito a tale ruolo (status). §Vi sono poi i FATTORI PERSONALI: l’età influenza i consumi, ma anche le condizioni economiche e l’occupazione. In generale il consumatore è legato al proprio stile di vita, ma è influenzato anche dalla personalità e dall’immagine di sé, ovvero la percezione che si ha di se stessi. §I FATTORI PSICOLOGICI sono parimenti importanti. Il comportamento del soggetto è influenzato dai bisogni e da come essi sono percepiti. La percezione è definita come un processo attraverso cui un soggetto opera azioni di selezione, organizzazione e interpretazione delle informazioni al fine di crearsi un’immagine della realtà o del contesto in cui vive. L’esperienza che l’individuo fa, poi genera un cambiamento nel suo comportamento (attraverso appunto il processo di apprendimento). Le convinzioni e gli atteggiamenti, non ultimi, influiscono sulle scelte di consumo. La convinzione può essere definita come la posizione o ciò che si ha in mente, rispetto a un determinato argomento o oggetto. Del consumo, quindi può essere fatta un’analisi sociologica. Il consumatore dipende più dalla struttura sociale che dall’insieme di bisogni individuali che lo definiscono. Emulazione, consumo ostentato o al suo opposto sotto consumo riflettono il contesto sociale in cui il consumatore è inserito, vive e si muove. Deusemberry elabora la teoria dei gruppi di riferimento: secondo questo approccio, il comportamento di consumo viene fortemente influenzato da gruppi sociali che sono il riferimento del consumatore. L’approccio sociologico al consumo, quindi va ad esaminare l’influenza del contesto sociale sulle scelte del consumatore. Il consumo, quindi diventa espressione di una serie di valori e affermazione di uno stile di vita; il consumatore quindi, specialmente se attivo e coinvolto in un rapporto critico e consapevole con la scelta di consumo, non è soggetto che subisce l’influenza dell’azienda attraverso il marketing; al contrario diventa protagonista. Differenze tra consumo intermedio e finale Il consumo si divide in 2 categorie: 1) CONSUMO INTERMEDIO che sono il valore dei beni e servizi consumati o trasformati dai produttori durante il processo produttivo; 2) CONSUMO FINALE che rappresentano la quota del reddito destinata all’acquisto di beni e servizi per il soddisfacimento dei bisogni della collettività. I consumi finali si dividono in: Consumi Individuali detti anche consumi finali delle famiglie (sono costituiti dalle spese sostenute dalle famiglie per l’acquisto di beni e servizi esclusi però fabbricati, gioielli e oggetti di valore che rientrano tra gli investimenti) e Consumi Collettivi (ossia le spese per i servizi che vanno a beneficio dell’intera collettività nel suo complesso come ad esempio: difesa, ordine pubblico, giustizia, etc.). Cos’è la propensione al consumo? Come cambia? La propensione al consumo è la relazione tra la scelta del consumo e il reddito disponibile. Esistono due tipologie di propensione al consumo: 1) propensione media al consumo che è determinata dal rapporto tra il consumo totale delle famiglie e il reddito disponibile delle famiglie. Questo è un indicatore costante. 2) propensione marginale al consumo che è determinata dal rapporto tra le variazioni del consumo e le variazioni del reddito disponibile. Misura quanto varia la quantità consumate di un bene o servizio al variare del reddito. È caratterizzata da un andamento decrescente del reddito: a bassi livelli di reddito la propensione marginale al consumo è molto alta, poiché l'individuo deve soddisfare i bisogni di base della propria esistenza. Man mano che cresce il reddito, la propensione marginale al consumo si riduce. Al crescere del reddito l'individuo destinerà al consumo una proporzione inferiore dell'incremento di reddito, a favore del risparmio. Secondo la teoria classica la spesa per l’acquisto di beni di consumo varia in funzione inversa al tasso di interesse [rappresenta la percentuale dell'interesse su un prestito e l'importo della remunerazione spettante al prestatore, in parole povere è il “prezzo del noleggio del denaro”]. Quando il tasso di interesse è alto, le famiglie risparmiano di più e consumano di meno; quando invece il tasso di interesse è basso, le famiglie risparmiano di meno e consumano di più. Perché l’occupazione genera consumo? Perché l’occupazione fa aumentare il reddito del consumatore e lo spinge a consumare di più. Oltre alle famiglie chi consuma? Gli individui, le organizzazioni attive sul territorio e che hanno relazioni anche al di fuori del territorio. 8. Effetto reddito Misura la variazione della domanda rispetto alla variazione del reddito reale di un consumatore nel momento in cui si verifica un aumento di prezzo. Esiste un forte legame tra la domanda e la quota di reddito che viene destinata dal consumatore all’acquisto di quel determinato bene, quindi l’effetto reddito è legato anche alla composizione del budget del consumatore. Cos’è il reddito? -> In primo luogo vi è il REDDITO PERSONALE, che è quello ascrivibile al patrimonio del singolo, al lordo delle tasse; esso è il risultato della somma di tutti i redditi (es. reddito da lavoro, redditi patrimoniali, ecc.) Vi è poi il REDDITO DISPONIBILE, che è il reddito personale al netto delle imposte e tasse. Il REDDITO MONETARIO è quello costituito dal valore nominale dei redditi percepiti dal consumatore. Il REDDITO REALE infine, cui abbiamo precedentemente accennato, è il reddito monetario al netto dell’inflazione. Occorre guardare a quest’ultimo per individuare quale sia il reale potere d’acquisto del consumatore: infatti è necessario tenere conto dei meccanismi dell’inflazione nella stima delle dinamiche di acquisto. 9.Effetto sostituzione Consiste nella sostituzione del bene a cui si rinuncia a causa dell’aumento del prezzo, a vantaggio di altri beni che possono essere considerati come sostituti. Ma tale decisione può essere presa anche in virtù di considerazioni personali o etiche che non riguardano il potere d’acquisto: l’acquirente può decidere che il bene in oggetto ha raggiunto prezzi talmente elevati da indurre a una sostituzione, anche se potrebbe acquistarlo. L’entità dell’effetto sostituzione dipende dal numero di beni che possono essere considerati come sostituti e dal grado di sostituibilità del bene. 10. Cos’è il prezzo di mercato? Da cos’è composto? Il prezzo di mercato è determinato dall'incontro tra la domanda e l'offerta di un bene sul mercato. È anche detto prezzo di equilibrio perché eguaglia la quantità offerta e domandata del bene. È composto dal prezzo di domanda e di offerta: il prezzo di domanda è il prezzo che l'acquirente è disposto a pagare per comprare un bene o servizio, il prezzo di offerta è il prezzo che il venditore richiede per vendere il bene o servizio. In condizioni di equilibrio il prezzo di domanda e il prezzo di offerta sono uguali. Al prezzo di equilibrio si verifica l'equilibrio di mercato. L'equilibrio è stabile poiché non esiste alcun incentivo per gli acquirenti o per i venditori di modificare le proprie quantità di domanda o di offerta del bene. In condizioni di non equilibrio, invece, le forze di mercato spingono il prezzo verso la sua condizione di equilibrio. Ad esempio, quando la domanda è superiore all'offerta ( D'>S' ), il prezzo di mercato del bene tende a crescere fino al livello di equilibrio. L'incremento del prezzo riduce la domanda degli acquirenti e incentiva i venditori ad aumentare l'offerta. Il processo di aggiustamento dinamico della quantità domandata e offerta termina quando il mercato raggiunge il nuovo prezzo di equilibrio. Quando l'offerta è superiore alla domanda ( S'>D' ), il prezzo di mercato del bene tende a diminuire fino al livello di equilibrio. La riduzione del prezzo consente di aumentare la quantità domandata del bene e, pertanto, permette ai venditori di aumentare la quantità venduta dello stesso. Il processo dinamico di aggiustamento termina quando il prezzo raggiunge il suo nuovo livello di equilibrio in cui domanda e offerta si eguagliano. Se aumenta la domanda di un tale bene, il produttore di quel bene cosa farebbe? Aumenterebbe l’offerta e cercherebbe di stabilire un nuovo prezzo di equilibrio. 11. Cos’è il prezzo? Come lo si determina? È la quantità di denaro che serve per l’acquisto di un bene o servizio. Nelle prime forme di economia basate sul baratto, il prezzo di una merce è determinato dal rapporto tra le quantità di scambio di un bene e quelle di un altro bene. Esempio. Una persona A scambia 5 litri di latte per 1 chilo di carne con la persona B. È un esempio di ragione di scambio basata sulle quantità. Lo scambio si verifica soltanto se le persone possiedono ciò di cui necessita all'altro. Per semplificare gli scambi è preferibile scegliere un bene come numerario, ossia unità di misura. In questo modo si può misurare il prezzo di tutti gli altri (oro,moneta). Nasce così la moneta e il prezzo monetario ( o prezzo nominale ). • • Il PREZZO MONETARIO/NOMINALE è la quantità di moneta necessaria per acquistare un bene. E' anche detto prezzo nominale per distinguersi dal prezzo relativo. La scelta del bene numerario non influisce sul rapporto di scambio tra due merci. Può trattarsi di un metallo prezioso ( es. oro, argento ) oppure di una banconota emessa da un'autorità monetaria riconosciuta da tutti. Il PREZZO RELATIVO è il rapporto tra il prezzo nominale di un bene (PA) e il prezzo nominale di un altro bene (PB). P = PA / PB. Consente di misurare il prezzo di una merce in termini di un'altra merce. Il prezzo relativo fornisce la quantità del bene B scambiabile con un'unità del bene A. È anche detto valore di scambio. Il prezzo relativo tra un bene e il bene numerario ( moneta ) è uguale al prezzo nominale del bene stesso, perché il prezzo nominale del bene numerario è pari a 1 per definizione. Pertanto, il rapporto PA/1 è sempre uguale a PA. Gli economisti indagano sulla natura del prezzo fin dagli albori del pensiero economico. Nel XVII secolo i mercantilisti intuiscono il legame tra il prezzo, la scarsità del bene e bisogni dell'uomo. Nel XVIII e XIX secolo gli economisti classici, invece, considerano il prezzo come un prezzo naturale determinato dal valore-lavoro incorporato nel bene (costo di produzione). I classici pongono l'attenzione soprattutto sugli aspetti oggettivi dell'origine del prezzo. Ricardo sviluppa la teoria del valore sul lavoro contenuto. Altri economisti classici, invece, elaborano una teoria sul lavoro comandato. Adam Smith prova a formulare anche una teoria additiva del prezzo basata su tutti i fattori di produzione. Alla fine del XIX si giunge a una sintesi con la scuola neoclassica. In particolar modo con gli studi di Alfred Marshall. Secondo i neoclassici il prezzo è determinato unicamente dall'interazione tra la domanda e l'offerta di mercato. Secondo i neoclassici le forze di mercato integrano tutte le varie cause del prezzo, sia soggettive (scarsità, bisogno) che oggettive (costi di produzione). La teoria neoclassica del prezzo descrive un procedimento di calcolo scientifico del prezzo ottimale. Tuttavia, nessuna impresa ha tutte le informazioni per calcolare il prezzo ottimale, né tempo e risorse sufficienti per farlo. Nel XX secolo si afferma anche la teoria del costo pieno ( o teoria del mark-up ). Secondo la teoria del mark-up, un'impresa fissa il prezzo aggiungendo semplicemente un margine di profitto (m) al costo medio (CU). P = CU + m·CU Si tratta di un comportamento non ottimizzante ma più realistico rispetto al calcolo marginalista dei neoclassici. La teoria del costo pieno descrive una regola pratica seguita dalle imprese per determinare il prezzo. 12. Indici legati al prezzo: Indice dei prezzi al consumo: la variazione dei prezzi che si formano nel tempo nelle transazioni relative a beni e servizi scambiati tra gli operatori economici e i consumatori privati finali. Paniere: Il paniere è una combinazione di beni o servizi che possono essere acquistati da un consumatore. l’insieme dei prodotti presi in considerazione e messi sotto osservazione statistica ai fini del calcolo di ciascuno degli indici dei prezzi. Ad ognuno dei prodotti inseriti nel paniere è assegnato un peso proporzionale al grado di importanza che la voce stessa rappresenta nell’ambito dell’aggregato economico di riferimento. Indice dei prezzi alla produzione dei prodotti venduti dagli agricoltori: misura la variazione nel tempo dei prezzi praticati dagli agricoltori per la vendita dei prodotti agricoli. Indice dei prezzi dei prodotti acquistati dagli agricoltori: misura la variazione nel tempo dei prezzi dei principali mezzi di produzione correnti e strumentali acquistati dagli agricoltori. CPI - Consumer Price Index (L'INDICE DEI PREZZI AL CONSUMO) è una misura statistica ottenuta attraverso la media dei prezzi di un insieme di beni e servizi (ponderati naturalmente per l’incidenza di ciascuno di questi beni sul complesso). Questo insieme viene definito paniere ed ha come riferimento le abitudini di acquisto di un consumatore medio. L'indice dei prezzi al consumo (CPI) misura le variazioni di prezzo di un prodotto in un dato periodo e viene usato come indicatore sia del costo della vita sia della crescita economica. Si calcola prendendo in considerazione i prezzi dei beni e dei servizi di uso comune che formano un paniere. (Quest'ultimo viene definito in base alle abitudini del consumatore medio). Come calcolarlo? üTrovare la registrazione dei prezzi del periodo precedente che si vuole considerare üSommare tutti i prezzi dei beni (panieri) comprati üRegistrare i prezzi attuali üSommare tutti i prezzi attuali üDividere i prezzi attuali per quelli del periodo precedente considerato üMoltiplicare il risultato per 100. Il valore standard per il CPI è 100 – ciò significa che il punto di riferimento iniziale, quando paragonato a se stesso, è pari al 100% – e garantisce che i dati sono confrontabili. üSottrarre 100 dal nuovo risultato, per trovare le variazioni. In questo modo, si sottrae la base di riferimento – rappresentata dal numero 100 – per valutare il cambiamento nel tempo. La microeconomia e la macroeconomia hanno molto in comune, e gli indicatori e le competenze utilizzate per risolvere problemi economici su piccola scala sono spesso identiche a quelle utilizzate per trovare soluzioni a problemi economici su larga scala. Il LIVELLO DEI PREZZI è la media dei prezzi correnti dell'intero spettro di beni e servizi prodotti nell'economia. In termini più generali, il livello dei prezzi si riferisce al prezzo o al costo di un bene/di un servizio nell'economia di un paese. I livelli di prezzo possono essere espressi in piccoli intervalli di tempo o lunghi. In economia, i livelli dei prezzi sono un indicatore chiave e sono seguiti con attenzione dagli economisti. Essi svolgono un ruolo importante nel potere d'acquisto dei consumatori e nella vendita di beni e servizi. Svolgono anche un ruolo importante nella catena della domanda e dell’offerta. Il paniere di beni e servizi selezionati comprende alimenti e bevande di base come cereali, latte e caffè. Comprende anche le spese per l'alloggio, i mobili delle camere da letto, l'abbigliamento, le spese di trasporto, le spese mediche, le spese ricreative, i giocattoli e il costo degli ingressi ai musei. Le spese per l'istruzione e la comunicazione sono incluse nel contenuto del paniere, e il governo normalmente include anche altri articoli casuali come tabacco, tagli di capelli e funerali. [Sebbene il CPI sia spesso analogo all'inflazione, esso misura solo l'inflazione come la vivono i consumatori. Tuttavia, non è l'unico indicatore del livello di inflazione]. L'INDICE DEI PREZZI ALLA PRODUZIONE (PPI) misura l'inflazione nel processo di produzione, mentre l'INDICE DEL COSTO DEL LAVORO misura l'inflazione nel mercato del lavoro. Il PPI, è un gruppo di indici che calcola e rappresenta la variazione media dei prezzi di vendita della produzione interna nel tempo. Il PPI misura i movimenti dei prezzi dal punto di vista del venditore. In altre parole, questo indice traccia le variazioni dei costi di produzione. Al contrario, l'indice dei prezzi al consumo (CPI) misura le variazioni dei costi dal punto di vista del consumatore. L'INFLAZIONE è una misura quantitativa del tasso al quale il livello medio dei prezzi di un paniere di beni e servizi selezionati in un'economia aumenta nel corso di un periodo di tempo. È l'aumento costante del livello generale dei prezzi quando un'unità di valuta acquista meno di quanto non facesse nei periodi precedenti. Spesso espressa in percentuale, l'inflazione indica una diminuzione del potere d'acquisto della moneta di una nazione. 13. Forme di mercato e come il prezzo si diversifica nelle varie forme di mercato Le forme di mercato sono: 1) CONCORRENZA in questo mercato operano molte imprese dal lato dell'offerta, in grado di soddisfare la medesima domanda di mercato, e una moltitudine di acquirenti dal lato della domanda. Il mercato di concorrenza è caratterizzato dalla libertà di ingresso e di uscita delle imprese (non ci sono barriere). 2) CONCORRENZA PERFETTA operano un numero infinito di piccole imprese offerenti, ognuna dei quali può soddisfare la domanda di mercato, e un numero infinito di piccoli acquirenti (es. consumatori). In tali circostanze le imprese non decidono il prezzo di vendita dei prodotti, bensì assumono il prezzo di mercato (price taker). È quindi caratterizzato da un solo prezzo e da un solo prodotto, è un modello di mercato ipotetico. Non presenta barriere ne in entrata ne in uscita. 3) MONOPOLIO è caratterizzato da una sola impresa, detta monopolistica e da una moltitudine di acquirenti. Non esiste alcuna concorrenza. L'impresa monopolista può decidere sia la quantità di produzione che il prezzo di vendita del prodotto/servizio, al fine di massimizzare il profitto d’impresa. L'ingresso sul mercato è ostacolato dalle barriere tecnologiche, finanziarie, normative (monopolio legale) o naturali (monopolio naturale). 4) MONOPSONIO operano una moltitudine di imprese dal lato dell'offerta e un unico soggetto acquirente dal lato della domanda. L'acquirente gode di maggiore forza contrattuale rispetto agli offerenti e può influenzare al ribasso il prezzo di mercato del bene economico. 5) OLIGOPOLIO nel mercato c’è presenza di poche imprese operanti dal lato dell'offerta, ognuna delle quali soddisfa una quota di mercato rilevante, e da una moltitudine di acquirenti dal lato della domanda. L'ingresso sul mercato è ostacolato dalle barriere tecnologiche, finanziarie, normative o naturali. In oligopolio le imprese non competono tra loro secondo le regole della concorrenza, ma adottano strategie e, talvolta, giungono ad accordi ingannevoli. §Il comportamento delle imprese oligopolistiche è interpretato dalla teoria dei giochi. La teoria dei giochi è la disciplina scientifica che studia il comportamento e le decisioni dei soggetti razionali in un contesto di interdipendenza strategica. Cosa studia la teoria dei giochi? Il principale oggetto di studio della teoria dei giochi sono quelle situazioni di conflitto in cui gli individui sono costretti a intraprendere una strategia di competizione o di cooperazione. Questa situazione è denominata gioco (gioco strategico) e gli individui sono detti giocatori. Sulla base delle premesse e delle regole del gioco, viene costruito un modello matematico di gioco in cui ogni giocatore effettua le proprie mosse (decisioni) seguendo una strategia finalizzata ad aumentare il proprio vantaggio netto. Nella teoria dei giochi, le scelte positive sono premiate (payoff) mentre quelle negative sono punite. La teoria dei giochi è applicabile ai casi con due o più agenti decisionali che operano in competizione (interessi contrastanti) o in cooperazione tra loro ( interesse comune). La teoria dei giochi nasce negli anni '40 Novecento con gli studi di John von Neumann e Oskar Morgenstern. Si afferma nella metà del XX secolo grazie al successo dei nuovi modelli matematico-strategici che riescono a spiegare, interpretare e prevedere il comportamento e l'interazione umana, in modo più efficace rispetto ai precedenti modelli. Uno dei principali studiosi nel campo della teoria dei giochi è il matematico John Forbes Nash jr. 6) OLIGOPSONIO è la situazione opposta all’oligopolio quindi la domanda è composta da pochi soggetti acquirenti mentre l'offerta è frazionata tra una moltitudine di soggetti offerenti. 7) CONCORRENZA MONOPOLISTICA detta anche concorrenza imperfetta: è una forma di mercato molto frequente nella realtà in cui operano una moltitudine di offerenti e di acquirenti. A differenza del mercato di concorrenza perfetto, nella concorrenza monopolistica le singole imprese sono in grado di attuare la differenziazione dei prodotti, rendendoli non perfettamente sostituibili tra loro. Le imprese offrono prodotti simili ma non identici. 8) MONOPOLIO BILATERALE il mercato presenta un solo soggetto acquirente (monopsonista) dal lato della domanda e da un solo soggetto offerente (monopolista) dal lato dell'offerta. L'equilibrio di mercato è determinato esclusivamente dalla forza contrattuale e dal potere negoziale delle parti Differenze tra monopolio legale e naturale Si ha monopolio legale quando l’ingresso sul mercato è ostacolato dalle barriere tecnologiche, finanziarie e normative mentre si ha monopolio naturale quando l’ingresso del mercato è ostacolato da barriere naturali. Monopolio può aumentare il prezzo all’infinito? No, il monopolista può aumentare il prezzo del bene o servizio al fine di massimizzare il profitto d’impresa. Se aumenta troppo il prezzo c’è il rischio che i consumatori non se lo possano permettere. Bisogna appunto considerare il vincolo di bilancio quindi la relazione tra beni e reddito dei consumatori. 14. Vincolo di bilancio. Come si rappresenta graficamente? Come trasla questa retta? Come varia in caso di prezzi non lineari? Il vincolo di bilancio è la rappresentazione dei panieri di beni e servizi che il consumatore è in grado di acquistare in relazione al suo reddito e ai prezzi dei beni e servizi che esauriscono completamente il suo budget. È rappresentato graficamente con una retta. Se il reddito del consumatore aumenta la retta del vincolo di bilancio si sposta verso destra quindi i panieri accessibili saranno maggiori. Se il reddito diminuisce allora la retta si sposterà verso sinistra e i panieri accessibili diminuiranno. Il vincolo di bilancio può cambiare anche al variare del prezzo: se il prezzo di un bene diminuisce il soggetto potrà acquistare una quantità maggiore di quel bene (ponendo gli acquisti di altri beni pari a zero) quindi cambierà l’inclinazione della retta. La spesa totale del consumatore per i beni o servizi deve essere uguale o inferiore al reddito a disposizione. Al prezzo di un bene o sevizio in realtà vengono applicate delle tasse e questo fa cambiare il prezzo quindi incidono sul vincolo di bilancio, ne modificano l’inclinazione perché cambia il prezzo finale che il consumatore deve pagare. Ci sono due tipi di tasse: sulla quantità o sul valore. Se la tassa si applica sulla quantità avremo il prezzo finale dato da: prezzo bene + tassa. Se invece si tratta di una tassa sul valore, si avrà una % che viene applicata al prezzo (es. IVA) quindi il prezzo finale sarà dato da: (1+tassa) X il prezzo del bene. Al prezzo del bene o servizio si possono anche applicare dei sussidi (o aiuti) e questi agiscono all’opposto delle tasse. Anche i sussidi vanno a modificare l’inclinazione del vincolo di bilancio e anch’essi possono essere applicati sulla quantità acquistata (il prezzo finale diventa prezzo del bene – sussidio) oppure sul valore quindi il prezzo finale diventa(1-sussidio) X prezzo del bene. Il consumatore, però si trova spesso davanti a una serie di situazioni che rendono i prezzi non lineari; in molti casi il valore del prezzo di un bene non aumenta proporzionalmente all’aumento della quantità acquistata. È il caso degli sconti o delle offerte (ad esempio il 3x2). In questi casi il prezzo del bene diminuisce all’aumentare della quantità acquistata. Dal punto di vista “grafico” la retta del vincolo di bilancio non avrà più un andamento lineare. L’opposto dello sconto è il razionamento (es. numero limitato di pezzi con la carta socio). Ciò che sta al di sotto della linea retta (che è il VINCOLO DI BILANCIO) determina quello che viene definito come INSIEME DI BILANCIO. Il vincolo di bilancio può essere espresso tramite una equazione, ovvero: p1 x1 +p2x2 =m Quanto detto significa che il REDDITO (m) è speso per acquistare la QUANTITÀ X1 del bene 1 al PREZZO P1 e la QUANTITÀ X2 del bene 2 al PREZZO P2. In questo caso il paniere dei beni è costituito solo da due beni, ovvero 1 e 2. 15.Che differenza c’è tra quando la retta di bilancio trasla e quando invece si modifica una delle due intercette? Quando la retta di bilancio trasla vuol dire che si è modificato il reddito del consumatore mentre quando si modificano le intercette vuol dire che varia il prezzo di uno dei due beni. 16.Quando noi scegliamo un bene piuttosto che un altro, cosa misuriamo? L’utilità. Differenza tra utilità ordinale ed utilità cardinale. Quando l’utilità diventa negativa? Ci sono due tipi di utilità: utilità ordinale ossia i panieri dei beni sono disposti su scala ordinale, senza essere associati ad una grandezza assoluta, conta soltanto l’ordine delle scelte; utilità cardinale ossia una misurazione assoluta ci indica una quantità misurabile, il consumatore sceglie il paniere in base alla maggior utilità per sé. L’utilità di un bene soddisfa un bisogno. Se tra due beni il consumatore non ha preferenza vuol dire che quei due beni hanno la stessa utilità. L’utilità è un concetto soggettivo e si riduce man mano che il bisogno viene soddisfatto e scompare del tutto nel momento in cui il bisogno viene completamente soddisfatto. L’utilità è relativa perché varia in base alla scarsità e alla quantità già consumata di tale bene dall’individuo. L’utilità inziale è l’utilità ottenuta dall’utilizzo della prima unità del bene. L’utilità marginale è l’incremento di utilità ottenuto tramite l’aumento di una piccola quantità marginale del bene consumato. L’utilità marginale però decresce con il consumo, ad un certo punto infatti si annulla del tutto quando il bisogno economico viene completamente soddisfatto, fino a diventare utilità negativa (fastidio) se viene ugualmente consumata dopo aver raggiunto la piena soddisfazione. L’utilità totale è la somma delle utilità ottenute dal consumo di tutte le unità del bene. Se otteniamo qualcosa che non abbiamo, normalmente siamo più soddisfatti di quando aumentiamo semplicemente la quantità di qualcosa che già possediamo. Ecco perché la domanda, in condizioni normali, prevede una relazione negativa fra quantità e prezzo: per spingere un consumatore ad acquistare quantità crescenti di uno stesso bene, il prezzo delle nuove unità deve scendere (domanda legata ad utilità). 17. Curve di indifferenza. Come la si rappresenta? Il consumatore è molto complesso, avrà dei gusti e delle preferenze, delle convinzioni, etc. ed è fortemente influenzato dalla rete di relazioni in cui i soggetti sono inseriti. Il consumatore sceglie un paniere di beni sulla base delle proprie preferenze. Nel caso in cui nessuno dei panieri è preferito all’altro, tra questi panieri sussiste una relazione di indifferenza. Le preferenze soddisfano gli ASSIOMI, ossia: 1) completezza (le preferenze sono complete, cioè dati due panieri il consumatore è in grado di esprimere la sua preferenza); 2) transitività (ci consente di stabilire che le preferenze hanno un ordine, se A è preferito a B e B è preferito a C allora A è preferito a C); 3) non sazietà (equivale al concetto di più è meglio anche se per alcuni prodotti alimentari non è così). Il livello di soddisfazione di un consumatore può essere dato da varie combinazioni di beni ad esempio il consumatore è ugualmente soddisfatto se acquista 10 unità di A e 2 unità di B e se acquista 3 unità di A e 5 unità di B (stato di indifferenza). Sulla curva di indifferenza si trovano tutti quei panieri per i quali il consumatore è indifferente, spostandoci sulla curva infatti cambia la quantità dei beni ma non cambia il grado di soddisfazione (livello di utilità costante). Tutto ciò che sta al di sopra della curva è preferito, tutto ciò che sta al di sotto è inferiore in termini di preferenza. Possiamo rappresentare sul piano diverse curve di indifferenza, ognuna delle quali è associata ad un livello di utilità differente. Le curve di indifferenza più esterne forniscono un livello di utilità maggiore in quanto consentono il consumo di una maggiore quantità dei beni. Quindi, sulla base dell'assioma di non sazietà il consumatore ha sempre una preferenza per la curva di indifferenza più esterna in quanto gli consente di raggiungere un livello di utilità maggiore. Le principali caratteristiche della curva di indifferenza sono: 1) inclinazione negativa in quanto il maggior consumo di un bene implica sempre il minor consumo di un altro; 2) assioma di convessità, ossia la scelta di panieri con quantità equivalenti di entrambi i beni fornisce un livello di utilità superiore rispetto alla scelta dei panieri estremi, in cui prevale la scelta di un solo dei due beni; 3) non si possono intersecare due curve perché sono associate a livelli di utilità diversi. Se due curve si intersecassero verrebbe violato uno degli assiomi delle preferenze. MISURARE LA SODDISFAZIONE: curva utilità / indifferenza È chiaro quindi che quei panieri che garantiscono lo stesso livello di soddisfazione creino una situazione in cui il soggetto non ha preferenza. Sostanzialmente è indifferente. Il livello di soddisfazione di un consumatore può essere dato da varie combinazioni di beni. Ad esempio un consumatore può avere lo stesso grado di soddisfazione sia che consumi 10 unità del bene x1 e 2 di x2 che 5 unità di x2 e 3 di x1. Nelle due situazioni sarà in uno stato di indifferenza: per lui sarà lo stesso scegliere tra la prima e la seconda opzione. Graficamente si esprime così: CURVA DI INDIFFERENZA. Per il punto A passa una curva di indifferenza, su cui si trovano tutti quei panieri per i quali il consumatore è indifferente (ovvero è indifferente la combinazione scelta perché il grado di soddisfazione è il medesimo). Infatti spostandoci da A a B la soddisfazione non cambia, cambia la quantità di bene. La curva di indifferenza è la rappresentazione sul piano cartesiano delle scelte di consumo che danno al consumatore la medesima utilità. Dati due beni x e y, le quantità di questi ultimi in grado di fornire la stessa utilità: U = U (qx, qy), sono rappresentate sul piano cartesiano sotto forma di coordinate (x, y). L'unione di questi punti delinea una curva lungo il quale il livello di utilità è costante. Usiamo un esempio, nella seguente curva di indifferenza poniamo il bene "pane" sull'asse delle ordinate e il bene "carne" sull'asse delle ascisse. I due punti A e B sono associati a due combinazioni differenti dei due beni, detti panieri, ed entrambi restituiscono nella funzione di utilità il medesimo livello di utilità UA=UB. Essendo due punti in cui il consumatore beneficia della medesima utilità, quest'ultimo è "indifferente" nella scelta del primo o del secondo. Per questa ragione la curva prende il nome di curva di indifferenza. Tutto ciò che sta al di sopra della curva di indifferenza è preferito; quello che sta al di sotto, ovviamente, è inferiore in termini di preferenze. Esistono molte curve di indifferenza. L’insieme di esse offre l’insieme delle preferenze del consumatore (o la mappa dell’indifferenza, che dir si voglia) Seguendo il medesimo ragionamento possiamo rappresentare sul piano diverse curve di indifferenza, ognuna delle quali è associata ad un livello di utilità differente. Le curve di indifferenza più esterne forniscono un livello di utilità maggiore in quanto consentono il consumo di una maggiore quantità dei beni. Nell’esempio del diagramma la curva di indifferenza più esterna è associata al consumo del paniere C (15,10) composto da 10 unità di pane A e 15 unità di carne. Il paniere C è associato ad una quantità di consumo maggiore rispetto al paniere A (5,10) e al paniere B (10,10). Possiamo quindi affermare che sulla base dell'assioma di non sazietà il consumatore ha sempre una preferenza per la curva di indifferenza più esterna in quanto gli consente di raggiungere un livello di utilità maggiore. 18. Cos’è il saggio marginale di sostituzione? Perché ha segno negativo? Il saggio marginale di sostituzione (SMS) tra due beni è il rapporto tra la riduzione della quantità di un bene e l’incremento della quantità di un altro bene sempre presente sulla stessa curva di indifferenza. Il saggio marginale di sostituzione ha sempre valore negativo perché la curva di indifferenza è decrescente. Essendo sempre negativo, è prassi indicare il saggio marginale di sostituzione come valore assoluto. Dal punto di vista grafico il saggio marginale di sostituzione è uguale all'inclinazione di una retta tangente in un punto della curva di indifferenza. È, quindi, una misura della pendenza della curva di indifferenza. Due beni sono sostituti perfetti quando il valore del SMS di uno verso l’altro è costante. Due beni invece sono complementari perfetti quando le curve di indifferenza sono ad angolo retto. Attenzione: il SMS deve essere costante, ma non per forza uguale ad uno. Il suo valore deve essere costante lungo tutte le curve di indifferenza. Saggio marginale = 2 cosa vuol dire? Risposta: a fronte della cessione del bene x2 guadagno 1 unità di x1. Abbiamo detto che le combinazioni di beni possono essere sostituite e lasciare il grado di soddisfazione inalterato, se ci troviamo, appunto, lungo una curva di indifferenza. Ma a quanto del bene A devo rinunciare per avere una quantità in più del bene B? Come è possibile dedurre dal grafico della singola curva di indifferenza, basta mettere in rapporto la variazione della quantità di x2 con quella di x1. Dal punto di vista grafico e analitico ci troviamo di fronte alla pendenza della curva. Questo rapporto si chiama saggio marginale di sostituzione ed è indicato con –Δx2/Δx1 misura la quantità del bene A cui si rinuncia per ottenere una quantità in più del bene B. Lungo la curva di indifferenza il rapporto tra la riduzione delle quantità di un bene e l'incremento della quantità dell'altra bene determinano il saggio marginale di sostituzione (SMS) tra i due beni. Lungo la curva di indifferenza il SMS diminuisce, ovvero, aumentando la quantità di x1 la quantità necessaria per una rinuncia di X2 via via diminuisce. Il saggio marginale di sostituzione ha sempre valore negativo poiché la curva di indifferenza è decrescente. Essendo sempre negativo, è prassi indicare il saggio marginale di sostituzione come valore assoluto. Poiché tutti i punti della curva di indifferenza sono associati a un medesimo livello di utilità (U), l'incremento di utilità ottenuto dall'incremento del bene x2 eguaglia la perdita di utilità derivante dalla riduzione delle quantità di consumo del bene x1. Il saggio marginale di sostituzione è, pertanto, uguale al rapporto inverso delle utilità marginali dei due beni. Il saggio marginale di sostituzione è una grandezza puntale, a parità di utilità complessiva (U) varia in ciascun punto della curva di indifferenza. Dal punto di vista grafico il saggio marginale di sostituzione è uguale all'inclinazione di una retta tangente in un punto della curva di indifferenza. E', quindi, una misura della pendenza della curva di indifferenza. § Due beni sono sostituti perfetti quando il valore del SMS di uno verso l’altro è costante. § Due beni invece sono complementari perfetti quando le curve di indifferenza sono ad angolo retto. ATTENZIONE: quando si dice che il SMS deve essere costante, non significa che debba essere per forza uguale ad uno (altrimenti avremmo detto unitario). Il suo valore deve essere costante lungo tutte le curve di indifferenza. 19. Produzione e fattori di produzione La produzione in economia è l'insieme delle operazioni attraverso cui beni e risorse primarie vengono trasformate o modificate, con l'impiego di risorse materiali (es. macchine) e immateriali (ad es. energia e lavoro umano), in beni e prodotti finali a valore aggiunto, in modo da renderli idonei a soddisfare la domanda e il consumo da parte dei consumatori finali. L'obiettivo della produzione è creare un prodotto che diventi un bene o un servizio per il mercato del consumo. I fattori della produzione sono suddivisi in quattro categorie: 1) risorse naturali cioè l’insieme di beni disponibili come tali in natura. Alcuni di questi beni si riproducono ciclicamente senza l’intervento dell’uomo e possono esaurirsi solo se il loro utilizzo non tiene conto di questi cicli naturali, altre non sono riproducibili e quindi sono esauribili. 2) lavoro è l’attività umana, fisica ed intellettuale, svolta ai fini produttivi. 3) capitale è l’insieme dei beni che vengono impiegati nella produzione. Il capitale circolante sono quelli che vengono usati una sola volta mente il capitale fisso sono i beni utilizzati in modo durevole. 4) energia può essere a carattere naturale o prodotta dall’uomo. Viene utilizzata per il funzionamento dei macchinari. 20.Costo di produzione è la somma del costo dei fattori impiegati nella produzione di un bene. 21.Valore aggiunto è la misura dell’incremento di valore che si verifica nella produzione e distribuzione di beni e servizi finali, intervenendo sulle risorse iniziali (materie prime) con fattori produttivi come capitale e lavoro. 22. Inflazione. Cosa succede se diminuisce? L’inflazione è una misura quantitativa del tasso al quale il livello medio dei prezzi di un paniere di beni e servizi aumenta nel corso di un periodo di tempo. È l'aumento costante del livello generale dei prezzi, quando un'unità di valuta acquista meno di quanto non facesse nei periodi precedenti. Spesso espressa in percentuale, indica una diminuzione del potere d'acquisto della moneta di una nazione. Se l’inflazione diminuisce si ha la deflazione ossia un calo generale dei prezzi dei beni e dei servizi e si ha quando il tasso d’inflazione scende sotto lo zero %. Il tasso d’inflazione è un indicatore che indica la variazione del potere d’acquisto di una moneta nel tempo. L'inflazione è causata da una varietà di fattori, che vanno dai bassi tassi di interesse all'espansione della massa monetaria. Anche se questo potrebbe sembrare un campo di studio puramente macroeconomico, in realtà è un campo molto importante in microeconomia. Poiché l'inflazione fa aumentare il prezzo di beni, servizi e materie prime, ha gravi effetti per i privati e le imprese. A livello microeconomico, questo ha diversi effetti: le imprese sono costrette ad aumentare i prezzi in risposta all'aumento dei costi dei materiali. Inoltre, devono pagare di più i loro dipendenti a lungo termine per tenere conto dell'aumento del costo della vita. Questo è solo un esempio di un fenomeno macroeconomico - in questo caso l'inflazione e l'aumento del costo della vita - che interessa un fenomeno microeconomico. Altre decisioni macroeconomiche, come ad esempio la creazione di un salario minimo o di tariffe per determinati beni e materiali, hanno effetti microeconomici significativi. rappresenta l’aumento generale del livello dei prezzi. Il livello generale dei prezzi, nel lungo periodo si adegua in modo che sia garantita l’uguaglianza tra quantità domandata e quantità offerta di moneta. Il livello di inflazione dipende dalla quantità offerta e domandata di moneta che è presente sul mercato. Va detto che l’offerta di moneta è controllata dalla Banca Centrale, mentre la domanda di moneta, ovvero la quantità richiesta, dipende dal tasso di interesse dei titoli di credito e dai prezzi medi: più sono alti i prezzi medi e maggiore sarà la quantità di moneta che deve essere utilizzata per effettuare le transazioni. Il livello dei prezzi è il prezzo di un paniere di beni e servizi, o quantità di moneta che serve per acquistare quei dati beni e servizi. Quindi, come abbiamo detto, se aumenta il livello dei prezzi, sarà necessaria una maggiore quantità di moneta per acquistare quei determinati beni e servizi. Di conseguenza il valore della moneta diminuirà. l'inflazione è classificata in tre tipi: 1. DEMAND-PULL EFFECT: l'inflazione DEMAND-PULL si verifica quando la domanda complessiva di beni e servizi aumenta più rapidamente della capacità produttiva. Si crea un divario tra domanda e offerta, con una domanda più alta e un'offerta più bassa, che si traduce in prezzi più alti. Ad esempio, quando le nazioni produttrici di petrolio decidono di ridurne la produzione, l'offerta diminuisce. Questo porta ad un aumento della domanda, che si traduce in un aumento dei prezzi e contribuisce all'inflazione. Inoltre, un aumento della massa monetaria porta all'inflazione. Quando i consumatori hanno più denaro a disposizione, aumentano le spese, quindi aumenta la domanda che porta ad un aumento dei prezzi. L'offerta di moneta può essere aumentata dalle autorità monetarie sia stampando e dando più denaro ai singoli, sia svalutando la moneta. In tutti questi casi di aumento della domanda, il denaro perde il suo potere d'acquisto. 2. COST-PUSH EFFECT: si verifica in seguito all'aumento dei prezzi dei fattori di produzione. Ne sono un esempio l'aumento del costo del lavoro o l'aumento del costo delle materie prime. Questo determina un aumento del costo del prodotto o servizio e contribuiscono all'inflazione. 3. BUILT-IN INFLATION: si collega alle aspettative di adattamento. Con l'aumento del prezzo dei beni, il lavoro si aspetta e richiede più indennizzi per mantenere il costo della vita. L'aumento dei salari si traduce in un aumento del costo di beni e servizi, e questa spirale salari-prezzo continua, poiché un fattore induce l'altro e viceversa. 27. Chi è che negli anni 50 ha messo in relazione il tasso di inflazione con il tasso di disoccupazione? Un economista inglese Philips che creò la curva di Philips che mette in relazione inversa il tasso d’inflazione dei prezzi e dei salari nominali con il tasso di disoccupazione. Quanto più è basso il tasso di disoccupazione (piena occupazione) tanto più è alto il tasso di crescita dei prezzi e dei salari. Il tasso di disoccupazione è determinato dal rapporto tra la differenza della forza lavoro e il numero degli occupati con la forza lavoro Tasso disoccupazione(u)=FL-L / FL La crescita dei salari si riflette indirettamente sulla crescita dei prezzi. Il prezzo è determinato dal costo del lavoro o salario monetario, dalla produttività del lavoro e da una percentuale di ricarico sui costi medi variabili, che consente al produttore di ottenere un guadagno dalla vendita del bene/servizio. Secondo questa teoria, inoltre, il tasso di variazione dei salari monetari è in relazione diretta con il tasso di inflazione dei prezzi, la curva di Philips quindi esprime anche la relazione inversa tra il tasso di inflazione dei prezzi e il tasso di disoccupazione. Infatti la piena occupazione delle risorse spinge il rialzo dei prezzi. Il rincaro dei costi di produzione si riflette sul prezzo dei prodotti e dei servizi finali, generando così l’inflazione dei prezzi. Al contrario la sottoccupazione spinge il ribasso dei salari riducendo indirettamente il prezzo finale dei prodotti e servizi. Tuttavia però si è visto che nella realtà la curva di Philips non sempre si è verificata. In diversi periodi si sono verificati contemporaneamente elevati valori del tasso di disoccupazione e del tasso di inflazione. Nel lungo periodo le aspettative sono adeguate al tasso di inflazione e non sussiste alcun legame tra il tasso di disoccupazione e il tasso di inflazione dei prezzi e dei salari. Nel lungo periodo la curva di Phillips sarebbe quindi una retta verticale, parallela all'asse delle ordinate, che interseca l'asse dell'ascisse in corrispondenza del tasso naturale di disoccupazione. Anche nel breve periodo la curva di Philips non è sempre corretta nella previsione della situazione economica. Il tasso naturale di disoccupazione è determinato dalla tecnologia e non può essere eliminato. SE C’è Più OCCUPAZIONE, IL COSTO DEL LAVORO? Secondo gli studi dell'economista Phillips tra il tasso di inflazione dei prezzi e dei salari nominali (ordinate Y) e il tasso di disoccupazione (ascisse X) ha luogo una relazione inversa (trade-off inflazione-disoccupazione ). Quando il tasso di disoccupazione è basso (u), il tasso di inflazione dei prezzi (p) e dei salari (w) è elevato. Viceversa, quando il tasso di disoccupazione (u) è elevato il tasso di inflazione è basso. Nella seguente rappresentazione algebrica il tasso di disoccupazione (u) è determinato dal rapporto tra la differenza della forza lavoro (FL) e il numero degli occupati (L) con la forza lavoro (FL). La crescita dei salari si riflette, indirettamente, sulla crescita dei prezzi dei beni e dei servizi, essendo il lavoro uno dei principali fattori produttivi delle funzioni di produzione. In base al principio del costo pieno il prezzo (p) è determinato dal costo del lavoro o salario monetario (w), dalla produttività del lavoro (pL) e da una percentuale di ricarico sui costi medi variabili, o mark-up (mk), che consente al produttore di ottenere un guadagno dalla vendita del bene/servizio. Assumendo il markup (mk) e la produttività del lavoro (pL) come costanti, il prezzo (p) è in funzione del salario monetario (w). • Un aumento del salario (Δw/w) aumenta il prezzo (Δp/ p) e viceversa. Il TASSO DI VARIAZIONE DEI SALARI MONETARI è, quindi, in correlazione diretta con il TASSO DI INFLAZIONE DEI PREZZI. Possiamo, quindi, utilizzare la curva di Phillips anche per esprimere la relazione inversa tra il tasso di inflazione dei prezzi (p) e il tasso di disoccupazione (u). La piena occupazione delle risorse spinge al rialzo i prezzi dei fattori produttivi e del prezzo del lavoro (salario). Il rincaro dei costi di produzione viene successivamente traslato in avanti sul prezzo dei prodotti e dei servizi finali, generando così l’inflazione dei prezzi. Al contrario, una situazione di sottoccupazione (disoccupazione elevata) spinge al ribasso il salario (w) riducendo indirettamente il prezzo finale dei prodotti e dei servizi (p). 28.Teoria keynesiana risale agli anni ‘30 e mette in relazione il consumo con il livello di reddito, Il consumo è una funzione crescente del reddito, cioè cresce all’aumentare del reddito. Secondo Keynes, per spiegare le variazioni cicliche dell’attività economica si devono considerare in primo luogo le variazioni dell’attività di investimento. L’ aumento degli investimenti, infatti, genera un incremento della domanda di beni capitali impiegati e, quindi, anche dei loro prezzi; inoltre, l’aumento della produzione globale, indotto dalla crescita degli investimenti fa peggiorare le aspettative di profitti futuri da parte degli imprenditori, i quali prospettano una saturazione del mercato e una caduta dei prezzi. È inevitabile a questo punto la caduta dell’occupazione degli investimenti che dà il via ad una fase di recessione. Linearità keynesiana: Si presuppone una linearità nella funzione di consumo. Osservando la realtà, però, sono emersi vari spunti. Alcuni teorici, quindi si sono accorti dell’importanza del fattore tempo nelle dinamiche dei consumi; il reddito non va solo analizzato in un momento storico, ma va anche visto quale sia il livello massimo di reddito sperimentato fino a quel momento. Spesso infatti le famiglie si abituano a un livello di consumi che difficilmente possono essere modificati anche se il reddito diminuisce. Siamo insomma nella classica situazione che molte famiglie sperimentano nella crisi: prima della crisi economico-finanziario le famiglie avevano un reddito più elevato; eppure pur non potendosi permettere più quel livello di consumi precedente alla crisi, continuano a comportarsi come prima. Ma le famiglie desiderano che il livello dei consumi sia assicurato nel tempo, per questo, spesso risparmiano. I soggetti del mercato monetario sono: - lo Stato, che regola l’offerta di moneta per adeguarla al raggiungimento degli obiettivi di politica economica. - l’istituto di emissione, che emette banconote a corso forzoso ed esercita funzioni di controllo monetario e creditizio. - il sistema bancario, che mediante l’esercizio del credito, trasferisce risorse monetarie dai soggetti che ne dispongono (es. le famiglie di risparmiatori) a quelli che le possono utilizzare ai fini produttivi (le imprese). - le imprese, che per finanziare i loro investimenti possono ricorrere al sistema bancario oppure emettere titoli obbligazionari e collocarli presso i risparmiatori - le famiglie Keynes analizzò tutti i fondamentali moventi che inducono i soggetti a detenere parte del loro reddito sotto forma di moneta liquida: il movente transazionale, quello precauzionale ed il movente speculativo. Motivo delle transazioni. 1. I consumatori come le imprese domandano moneta liquida per poter effettuare gli acquisti che sono indispensabili all’esercizio delle loro attività. La domanda di liquidità dei consumatori dipenderà dal reddito e dalla periodicità delle loro entrate. La quantità di moneta richiesta, per gli imprenditori dipenderà dall’entrata della loro attività. In generale si può affermare che la domanda di moneta per le transazioni dipenda dall’entità del reddito (e in ragione inversa, del tasso di interesse). 2. Motivo precauzionale. Anche la domanda di moneta per motivi precauzionali è determinata principalmente dall’entità del reddito ma il loro ammontare può dipendere anche da fattori psicologici e caratteriali. 3. Motivo speculativo. I soggetti possiedono mezzi di liquidità anche per il compimento di operazioni speculative, e i due possibili impieghi della ricchezza sono la detenzione di moneta legale e l’acquisto di titoli obbligazionari. La quantità di moneta tenuta a scopo speculativo (L) varia inversamente al variare del saggio di interesse (I). Infatti se i tassi sono elevati, saranno massicci gli investimenti obbligazionari (e scarsa la liquidità); se i tassi sono bassi, i soggetti preferiranno tenere la moneta in forma liquida. Poiché il rendimento delle obbligazioni è fisso, quando il loro valore di borsa aumenta, il loro tasso di interesse effettivo diminuisce e viceversa. Se è basso il saggio di rendimento delle obbligazioni (cioè il tasso di interesse), i soggetti deterranno molta liquidità ed acquisteranno pochi titoli. Se invece il tasso di interesse effettivo dei titoli è alto, i soggetti acquisteranno molti titoli e la loro domanda di moneta sarà scarsa. L’interesse è dunque il prezzo della detenzione di moneta. Secondo Keynes, la domanda di moneta dovuta a motivi transazionali e precauzionali varia direttamente al variare del reddito (ed inversamente al variare del tasso di interesse); quella dovuta a motivi speculativi varia inversamente al variare del tasso di interesse. 29. Modello IS LM (Investment-Saving Liquidity-Money-Investimento-Risparmio liquiditàDenaro) è un modello che rappresenta il pensiero keynesiano formulato da Jhon Richard nel 1937, ha lo scopo di rappresentare insieme il settore reale (IS) e quello monetario (LM). L'equilibrio generale macroeconomico si ha quando i due mercati sono simultaneamente in equilibrio, vale a dire sia nel settore reale che nel settore monetario la domanda di moneta è uguale all’offerta di moneta. Inoltre mette in relazione il tasso di interesse con il reddito sia dal punto di vista del mercato monetario che dal punto di vista del mercato di beni. Le principali curve del modello ISLM sono: Curva IS che indica tutti i punti di equilibrio nel mercato dei beni in relazione alle variazioni del tasso di interesse e del reddito; la Curva LM che indica tutti i punti di equilibrio nel mercato monetario in relazione alla variazione del tasso di interesse e del reddito. La rappresentazione grafica del modello IS-LM consiste in due linee rette e consente di verificare quali combinazioni del tasso di interesse e del reddito consentono di porre in equilibrio entrambi i mercati. L'intersezione tra le curve IS e LM individua il punto di equilibrio IS-LM in cui sia il mercato dei beni che quello monetario sono in equilibrio. 30. Cosa significa “qualità della vita”? La qualità della vita (QOL) è il benessere generale degli individui e delle società. Consiste nelle aspettative di un individuo o di una società per una buona vita. Queste aspettative sono guidate dai valori, dagli obiettivi e dal contesto socio-culturale in cui un individuo vive. La condizione in cui la propria vita coincide con un livello standard desiderato, è chiamata soddisfazione. La qualità della vita comprende la salute fisica, la famiglia, l'istruzione, l'occupazione, il benessere, la sicurezza, e l'ambiente. Non va confusa con il concetto di tenore di vita, che si basa principalmente sul reddito. Il TENORE DI VITA è il livello di comfort, i beni materiali e altri immateriali a disposizione di una persona o di un gruppo. 31. Cicli economici L’economia di qualsiasi paese è caratterizzata da fasi alterne di espansione e di rallentamento. Da qui l’uso dell’espressione ciclo economico che indica la regolarità con cui si alternano diverse fasi: la fase di espansione (caratterizzata da un aumento continuo del volume della produzione, dell’occupazione dei fattori produttivi, del livello generale dei prezzi, del reddito globale e dei consumi. L’espansione globale dell’attività produttiva è provocata dalle attese di un nuovo e maggior profitto); la fase di crisi (momento nel quale si interrompe il movimento di crescita e ha inizio il regresso). La fase di crisi può innestarsi per diverse ragioni, quali, ad esempio, l’eccessivo indebitamento di alcune imprese che sono costrette ad uscire dal mercato, causando una riduzione della domanda di beni strumentali, dell’occupazione e quindi della domanda globale; la decisone delle autorità monetarie di attuare una politica che riduce la quantità di moneta in circolazione e che comprime la domanda globale, allo scopo di contenere il tasso di inflazione cresciuto nella precedente fase di espansione. La fase di contrazione o recessione (è caratterizzata da una sempre più accentuata diminuzione del volume della produzione, dell’occupazione, dei consumi, del livello generale dei prezzi e del reddito globale); la fase di ripresa (è contraddistinta da una nuova espansione, in quanto il volume di produzione, sotto la spinta di un maggiore profitto, tende a riprendere un andamento ascensionale). Alcuni economisti attribuiscono la ciclicità economica a fattori esogeni, cioè estranei al sistema economico, come le variazioni del clima, le epidemie, le calamità e le guerre che provocano la caduta del prodotto nazionale. Altri economisti invece hanno evidenziato come alcuni fattori endogeni, cioè connessi alla natura e all’evoluzione del sistema economico, determinino un andamento ciclico dell’economia. 32. Legge di Say Legge di Say degli sbocchi afferma che l'offerta dei beni crea la propria domanda, quindi nel lungo periodo non si crea sovrapproduzione. Nel sistema economico sussiste una situazione di equilibrio economico permanente tra domanda globale e la relativa offerta. Say sostiene che se su alcuni mercati si verifica una insufficienza di domanda, su qualche altro mercato vi sarà un'insufficienza dell'offerta, rispetto alla domanda. Questi squilibri parziali possono sempre essere corretti da opportuni movimenti dei relativi prezzi. Secondo la legge degli sbocchi, tutto ciò che viene prodotto sarà comunque venduto, qualunque sia il livello globale della produzione. Ogni imprenditore avrà, quindi, interesse a produrre al massimo della capacità del sistema economico. L'unico limite che l'imprenditore potrebbe trovare è dato dalla forza lavoro disponibile. La produzione globale sarà quindi data dalla funzione del numero di lavoratori occupati. La produzione globale (o reddito) sarà, quindi, data da: Y = f(N) che indica, appunto, che il reddito prodotto (Y) è una funzione (f) del numero dei lavoratori occupati (N). 33. Modello acceleratore moltiplicatore Il modello elaborato dall’economista statunitense Samuelson, si basa sull’interazione fra il moltiplicatore e l’acceleratore. Moltiplicatore misura la percentuale di incremento del reddito nazionale in rapporto all'incremento di una o più variabili macroeconomiche che compongono la domanda aggregata: consumi, investimenti e spesa pubblica. Gli investimenti possono aumentare, in misura proporzionale, non solo in dipendenza del tasso di interesse, ma anche a seguito di un aumento stabile dei consumi. Questo perché di fronte ad una aumento duraturo del reddito e dei consumi, le imprese ritengono che in futuro potranno vendere più facilmente i loro beni prodotti e quindi aumenteranno gli investimenti. Questa variazione proporzionale degli investimenti a seguito di variazioni del reddito è definita principio dell’acceleratore. Questo modello afferma che una crescita esogena della domanda aggregata determina, per effetto del moltiplicatore, un aumento proporzionalmente di prodotto e reddito; conseguentemente, anche i consumi aumentano, ma una volta raggiunto il pieno impiego, l’unico modo per espandere ulteriormente la produzione è quello di incrementare la capacità produttiva del sistema economico, attraverso un incremento degli investimenti da parte delle imprese. Questa sequenza di eventi, caratterizza la fase espansiva del ciclo che però non può durare infatti raggiunto un certo livello, si genera la sequenza opposta che determina l’avvio di una fase recessiva. 34. Cos’è il PIL? Il PIL è il Prodotto Interno Lordo e misura la ricchezza prodotta nel paese. Più precisamente il PIL misura l’ammontare di beni e servizi realizzati durante un periodo di tempo (un anno) dal processo produttivo dai soggetti che operano all’interno di un determinato territorio, sia residenti che non residenti. Il PIL però è una misura grossolana del benessere di un paese. Il PIL però non tiene in considerazione tutta una serie di altre variabili, tra cui: ciò che non è legato alle transazioni in denaro, come il lavoro domestico, volontariato, no profit, relazioni sociali; Il PIL tiene conto solamente delle transazioni in denaro, e trascura tutte quelle a titolo gratuito; la distribuzione delle variabili, primo fra tutte la ricchezza, all’interno della popolazione; non vengono separati i costi dai benefici delle attività produttive, non si tiene conto delle esternalità negative delle attività produttive, quindi il loro l’impatto sociale e ambientale. Il PIL è la misura della quantità dei beni e servizi prodotti, ma non della loro qualità: il denaro speso in prodotti nocivi per il benessere (come alcol e gioco d’azzardo) è valutato sullo stesso piano del denaro speso per la cultura o l’istruzione. Il PIL non riesce a fornire informazioni sulla distribuzione del reddito. Più il PIL è alto, più l’economia di un paese è avanzata, più il PIL cresce più l’economia di un paese cresce. Viceversa, un PIL in calo indica una recessione, quindi indica il peggioramento dell’economia di un paese. È una grandezza aggregata. Il prodotto è detto "interno" in quanto computa i beni/servizi prodotti all'interno di un paese, indipendentemente dalla nazionalità di chi li produce (es. se un azienda francese apre in Italia farà parte del PIL italiano, non francese). In ambito internazionale il prodotto interno lordo è conosciuto con la sigla GDP (Gross Domestic Product). Nella costruzione del PIL sono presi in considerazione esclusivamente i beni e servizi finali, quelli destinati a soddisfare il consumo, per evitare di contare più volte gli stessi beni/servizi. Se si tenesse conto dei beni intermedi, questi ultimi sarebbero contabilizzati sia come bene intermedio e sia come parte del valore incorporato del bene/ servizio finale che hanno prodotto. Il valore aggiunto è la differenza tra il valore finale di un bene/ servizio e il valore dei beni/servizi intermedi utilizzati per la sua produzione. La somma di tutti i valori aggiunti di tutte le attività del paese, consente di misurare il PIL del paese. 35. Definisci il PIL nominale e il PIL reale Il prodotto interno lordo è misurato tramite i seguenti indicatori economici: PIL nominale che misura la ricchezza prodotta in un paese a prezzi correnti dell'anno della misurazione, il PIL reale che misura la ricchezza prodotta in un paese a prezzi costanti, prendendo come riferimento un determinato anno base. Il PIL è una grandezza nominale composta dalle quantità di beni prodotti moltiplicati per i loro prezzi, ciò rende difficoltoso confrontare i PIL relativi ad anni diversi. La differenza tra il PIL tra un anno e l’altro potrebbe essere generata dalla variazione delle quantità prodotte o dalla variazione dei prezzi. Per evitare questo problema, nella costruzione del PIL tutti i beni e servizi economici prodotti in un paese, in un determinato periodo di tempo (es. anno solare), sono valutati ai prezzi costanti, al fine di consentire un confronto omogeneo nel corso del tempo. L'uso dei prezzi costanti consente di calcolare il PIL reale del paese. 36. Come sono cambiati i consumi in Italia dal dopo guerra ad oggi? Nel dopoguerra c’era una situazione critica di crisi e povertà. Il problema principale era la mancanza di sistemi di comunicazione come strade e ferrovie e di sistemi di trasporto in quanto navi ed autocarri erano stati per la maggior parte distrutti. Questa crisi colpiva in particolar modo il Sud Italia. Sulla tavola degli italiani la carne era praticamente assente, a differenza del periodo prebellico era calato il consumo di frumento, granoturco, riso e legumi. Questi vennero in parte compensati dall’aumento degli ortaggi e della frutta, ma in generale le calorie medie dell’Italia appena uscita dalla guerra era di molto inferiore rispetto a 7-8 anni prima. Il biennio 1945-46 fu quello di massima sofferenza. Nel 1950 venne istituita la Cassa per il Mezzogiorno con fondi statali: operò nel settore agricolo e delle infrastrutture, con l’obiettivo di colmare il gap tra Nord e Sud e iniziare un processo di industrializzazione sulla base del modello americano del New Deal. L’obiettivo era anche la creazione di una riforma agraria che prevedeva la ripartizione delle terre dai grandi ai piccoli proprietari, in modo da ridistribuire i redditi e migliorare la produttività della terra. Fu all’inizio degli anni ‘50 che si avverte un cambiamento nei consumi degli italiani. L’obiettivo non era più la sopravvivenza ma il benessere. La crescita fu pressoché costante anche per il decennio successivo e tale da portare al termine “miracolo economico”. La dieta degli italiani, prima dominata da cereali, frutta e ortaggi, passò a forte aumento del consumo di carni bovine e suine, latte e derivati, frutta, ortaggi e vino. Ci fu invece un vero tracollo sia del consumo di granoturco (sostituito con il frumento, un cereale più pregiato) che del risone. È interessante osservare come l’introduzione di questi nuovi cibi trasformò la dieta mediterranea tipica degli italiani con l’apporto di numerosi grassi e proteine di origine animale tipici delle diete europee, creando un mix unico che fece arrivare le calorie medie a livelli mai visti prima, superiori alle 3000 calorie. Come dimostrato con la curva di Engel, l’incidenza dei consumi alimentari sui consumi totali decresce con l’aumentare del reddito. Poter aumentare i consumi alimentari senza esaurire le proprie risorse, consentiva di risparmiare e questo generava un circolo virtuoso in cui la ricchezza generava altra ricchezza. Nel 1963 le prime rivendicazioni salariali, unite al forte aumento dei prezzi, segnarono una battuta d’arresto, tuttavia il PIL continuò a crescere. Questa situazione durò per tutto il decennio successivo, anni di vicende importanti sul piano sociale e su quello economico (rivolte giovanili del Sessantotto, il cosiddetto “autunno caldo” del Sessantanove con le sue rivendicazioni sull’adeguamento delle condizioni di lavoro e altre rivendicazioni sociali, Brigate Rosse, attentati terroristici ecc.), inoltre la crisi petrolifera del 1973 fu determinante. Una delle conseguenze della crisi fu l’aumento dell’inflazione, questo portò a una riduzione del reddito degli italiani. Si è assistito ad un aumento dei servizi e del turismo e riduzione dell’agricoltura sul PIL. Anche l’importanza dell’assistenza pubblica e del welfare è andata via via rafforzandosi e la spesa pubblica è aumentata di molto. Quella italiana era ormai diventata una società sazia, istruita e ricca. La caduta della curva di Engel aveva determinato un definitivo miglioramento delle condizioni di vita e permettevano alla popolazione di dedicarsi ad attività diverse da quelle di sussistenza di base. Persino il significato di povertà cambiò: da ‘assoluta’, e quindi legata al mancato accesso ai prodotti primari, era diventata ‘relativa’, cioè la povertà non significa più ‘sopravvivenza’, in senso fisico ma si riferisce a inclusione, partecipazione, assumendo un carattere sociale, inteso come mancanza delle condizioni che assicurano un’esistenza dignitosa, in quanto alcuni usi e costumi erano diventati ormai indispensabili. Durante il boom economico l’agricoltura non venne mai adeguatamente rafforzata, a differenza delle industrie e dell’industria alimentare in particolare. Quello alimentare fu infatti il settore di alcune tra le più importanti imprese italiane, che riuscirono a superare le barriere nazionali e ad espandersi anche all’estero. Il miglioramento della produzione e lo sviluppo di imprese di successo consentirono in Italia l’affermazione di un nuovo modello alimentare (quello attuale) basato su tipologie standardizzate e la diffusione della grande distribuzione. Tra il 1951 e il 1970 i consumi alimentari crebbero di due volte e mezzo. Nonostante le condizioni di vita e i salari medi aumentarono per ogni ceto sociale e settore economico, sempre più spesso solamente le classi più ricche riuscivano a beneficiare pienamente dei vantaggi economici derivanti dalla globalizzazione e dall’industrializzazione. La grande maggioranza della popolazione restante invece ha visto negli anni aumentare sempre di più questo divario e le conseguenti disuguaglianze nei consumi. Tra il 1970 e il 2009 si è assistito ad un aumento del reddito procapite in termini reali con l’inizio degli anni ‘90 si è arrestato quel ritmo di crescita sostenuto e anche il reddito procapite si è stabilizzato. La spesa alimentare è in genere caratterizzata da una bassa elasticità rispetto al reddito, ma nella crisi attuale dei consumi, calano anche i consumi alimentari. Le motivazioni che hanno spinto all’arresto dei consumi alimentari dal 2007 ad oggi dipendono da fattori economici (legati alla disponibilità ridotta di reddito) ma anche al cambiamento dei comportamenti di acquisto. Inoltre si sta assistendo, infatti ad un progressivo invecchiamento degli Italiani, oltre alla trasformazione nel panorama delle abitudini alimentari alla presenza di immigrati. Negli ultimi trent’anni è cambiato il tasso di partecipazione al mondo del lavoro con un incremento dell’occupazione femminile e la conseguente modifica del ruolo della donna nella società per questo nasce il fenomeno di destrutturazione del pasto perché si passa meno tempo in cucina, abbandonando gli schemi tradizionali. Ne deriva un aumentato ricorso allo spuntino, dato che il pasto principale soddisfa meno; pertanto si consumano snack e si riempie il carrello di prodotti più economici e che riempiono di più. Spesso il pranzo viene consumato fuori casa di conseguenza la cena diventa il pasto principale. Tuttavia la crisi ha avuto l’effetto anche di ridurre le uscite per pranzi e cene nei ristoranti. Un altro dato interessante è la diffusione delle intolleranze alimentari e di nuove diete, che determina la diffusione di prodotti specifici per queste categorie di consumatori. Altro dato interessante riguarda la crescita del numero di persone che seguono una dieta vegana o vegetariana. Il problema principale della crisi economica attuale è rappresentato dalla caduta del potere di acquisto e dei consumi delle famiglie: diminuendo il reddito disponibile, i consumi diminuiscono e contemporaneamente si assiste anche ad una riduzione della propensione al risparmio. Dagli anni ’70 ad oggi è cambiata la composizione dei consumi alimentari: questo perché si sono affermate delle tendenze più salutistiche, che hanno portato ad una diminuzione dei consumi di carne in particolare delle carni rosse a favore delle carni bianche, all’introduzione di una maggiore quantità di pesce all’interno della dieta e una riduzione del consumo di oli e grassi. Inoltre l’affermarsi della GDO ha omologato i comportamenti d’acquisto a discapito della differenziazione regionale. Cresce la quantità di prodotti confezionati destinati alla prima colazione: questo perché si taglia sulla colazione al bar, preferendo consumare il primo pasto della giornata a casa. Crescono anche i prodotti benessere e si acquistano più uova, in alternativa alla carne. Dal 2013 si nota un boom dei prodotti dietetici, dei cibi a base di soia, alimenti senza glutine, che sono ormai reperibili ovunque, anche nei discount. Un altro ambito di interesse è quello dei prodotti biologici, aumentati dal 2012. Gli italiani oggi possono scegliere tra varie tipologie di negozio in cui effettuare i propri acquisti. L’entità e la frequenza della spesa: in genere gli Italiani affiancano ad una spesa più consistente, il cui valore medio supera i 100 euro, da effettuare una volta al mese, altre piccole spese. Le spese si moltiplicano, perché il consumatore perfeziona i propri acquisti in punti di vendita diversi a seconda del tipo di prodotto da acquistare, ma anche per frazionare l’effetto dell’incidenza della spesa sul budget familiare. Non c’è più una fedeltà ad un unico punto vendita, ma si sfruttano le offerte: la promozione è un mezzo per sostenere le vendite. Si diffonde anche l’e-commerce e la crescita della distribuzione a rete. Anche la vendita diretta è in continua crescita —> il rapporto diretto con il produttore è percepito come un valore aggiunto. Va sottolineato anche il ruolo giocato dalla filiera corta e dai prodotti a km0. Inoltre negli ultimi anni si sono sempre più affermate le marche private, o private label, ovvero quell’insieme di prodotti venduti con il marchio del distributore. C’è stata anche una sempre maggiore affermazione del discount da quindici anni a questa parte. Il problema dello spreco alimentare è caratteristico delle economie sviluppate però la crisi ha sicuramente ridotto lo spreco e il volume di rifiuti prodotti, questo anche a fronte della necessaria riduzione dei consumi. L’introduzione di abitudini come il controllo della data di scadenza sulle confezioni o fare una spesa mirata aiuta le famiglie a ridurre gli sprechi e ad ottimizzare la gestione della propria dispensa. In questa crisi gioca un ruolo fondamentale l’informazione, che è anche ciò che contraddistingue il consumo attuale da quello passato: l’informazione circa le promozioni permette di fare scorte; l’informazione circa la modalità di preparazione e conservazione dei cibi offre la possibilità di ridurre gli sprechi; l’informazione circa la provenienza e la stagionalità dei prodotti rende più conveniente l’acquisto; infine, l’informazione circa modi alternativi di acquisto alla GDO e il potenziamento di network relazionali tra i consumatori sta contribuendo a cambiare la modalità di fare acquisti. Pertanto, questo periodo di crisi segna un passaggio cruciale nelle abitudini di acquisto e consumo alimentare 37. Cos’è il marketing? Il marketing studia il comportamento d’acquisto dei consumatori. Il comportamento d’acquisto è motivato da diversi fattori: culturali (in base a religione o culture), sociali (famiglia, amici, status sociale, etc.), personali (età, sesso, personalità, stile di vita, etc.) e psicologici (apprendimento, motivazioni, convinzioni, etc.). 38. Leggi del consumo alimentare nella società in crescita. La legge del consumo energetico, mette in relazione il consumo di calorie con il reddito, il consumo di calorie finali aumenta con il reddito. La legge delle sostituzioni evidenzia i cambiamenti nella composizione del paniere di beni acquistati in base ai cambiamenti di reddito. Si verifica una sostituzione anche tra gruppi di alimenti e all’interno della stessa categoria di alimenti. Si assiste ad una progressiva sostituzione dei prodotti agricoli con quelli industriali. La legge della spesa mette in relazione reddito e spesa. All’aumentare del reddito aumenta il valore assoluto della spesa alimentare più del volume del consumo, dato che il prezzo medio della caloria è crescente. Con la crescita cambiano quindi le metodologie di produzione e cambiano da un punto di vista qualitativo. L’etichetta assume una rilevanza notevole perché il consumatore è più attento. Esistono 3 modelli di consumo alimentare: 1) modello tradizionale che è caratterizzato da una produzione realizzata da piccole imprese familiari. La distribuzione dei prodotti avviene attraverso i mercati locali e la preparazione degli alimenti avviene a casa, i prodotti realizzati industrialmente sono poco diffusi. I consumi seguono la stagionalità e la disponibilità del bene. 2) modello agroindustriale che caratterizza l’età moderna, è caratterizzato da una forte industrializzazione. Gli occupati in agricoltura diminuiscono, la distribuzione cambia in quanto le marci raggiungono i mercati internazionali e prende sempre più piede la GDO. I prodotti aumentano di disponibilità e sono sempre più accessibili, non si segue più la stagionalità dei prodotti. 3) modello della sazietà la grande distribuzione organizzata (GDO) assume un ruolo sempre più determinante nel processo di acquisto dei prodotti da parte del consumatore. I prodotti aumentano di disponibilità e sono più accessibili, c’è molta innovazione, la stagionalità dei prodotti svanisce quasi del tutto. Contemporaneamente però nascono movimenti atti a valorizzare il legame tra alimento, cultura e territorio e una sensibilizzazione verso gli aspetti salutistici. 39. Differenza tra commodity e speciality food I Commodities sono tutti i beni o servizi scambiabili sul mercato, non hanno differenze qualitative e non c’è una domanda e un offerta. Il produttore può definire il prezzo in maniera molto limitata, solo il prezzo può attirare il consumatore. I beni differenziabili, invece hanno dinamiche totalmente opposte. Un esempio è costituito dagli speciality food .Gli Speciality Food invece sono beni alimentari che hanno un elevato grado di differenziazione un quanto sono percepiti come specialità. Il produttore può decidere il prezzo. Hanno un elasticità elevata rispetto al prezzo e al reddito. 40. Curva di Engel Secondo la curva di Engel quando aumenta il reddito il consumatore riduce la propria quota di spesa nei beni di prima necessità ed espande la quota di spesa nei beni di lusso o la quota di risparmio. Se all’aumentare del reddito il consumatore acquista una QUANTITÀ MAGGIORE DEL BENE x, allora x è un BENE NORMALE e la curva di Engel è crescente. Se all’aumentare del reddito il consumatore acquista una QUANTITÀ MINORE DEL BENE x, allora x è un BENE INFERIORE e la curva di Engel è decrescente. La classificazione dei consumi individuali In base alla relazione tra domanda individuale e reddito, i beni di consumo possono essere classificati in: 1. beni inferiori/primari: relazione inversa = la domanda si riduce all’aumentare del reddito. L’elasticità della domanda rispetto al reddito è inferiore a zero. 2. beni di prima necessità: relazione diretta = la domanda cresce meno che proporzionalmente al reddito. L'elasticità della domanda rispetto al reddito è compresa tra zero e 1. 3. beni di lusso: relazione diretta = la domanda cresce più che proporzionalmente al reddito. L'elasticità della domanda rispetto al reddito è maggiore di 1. Esiste anche una relazione tra reddito e qualità del bene. Se aumenta il reddito, il consumatore potrebbe acquistare la stessa quantità di un bene ma di qualità superiore. La quantità di beni primari acquistati aumenta di meno all’aumentare di R (il reddito) mentre la quantità di beni di lusso acquistati aumenta molto più rapidamente. Quindi, al crescere del reddito, la quantità di denaro destinata al soddisfacimento dei bisogni essenziali (cibo ecc.) diminuisce, mentre aumenterà quella destinata all’acquisto di beni di lusso e semilusso. Elasticità Il concetto di elasticità è molto utilizzato nello studio del comportamento di acquisto dei beni dal momento che offre un’idea del grado di variazione che la domanda può subire al variare dei fattori presi in considerazione. (rispetto al prezzo o rispetto al reddito) In MICROECONOMIA, con il concetto di elasticità della domanda rispetto al prezzo di mercato – definibile come la reattività o sensibilità della quantità domandata di un bene in seguito ad una variazione del prezzo di tale bene – si indica quella misura che mette in relazione la variazione percentuale della quantità domandata con la variazione percentuale del prezzo, data una certa funzione di domanda a parità di altre condizioni come beni correlati, reddito, preferenze del consumatore. In generale una variazione del prezzo determina una variazione della quantità domandata: se il prezzo aumenta la quantità domandata diminuisce, e viceversa (relazione inversa, pendenza negativa della curva di domanda). E’ però importante sapere non solo come varia la quantità domandata (aumento o diminuzione), ma anche di quanto. Nel grafico riportato possiamo misurare la reattività al prezzo della domanda di un certo bene da parte di un consumatore, semplicemente confrontando la variazione della quantità domandata. Per confrontare agevolmente la reattività della domanda di diversi consumatori per diversi tipi di prodotto, è utile avere una misura che sia indipendente dal bene considerato: un numero puro. L’elasticità della domanda risponde a questo requisito: è la variazione percentuale della quantità domandata per una variazione percentuale del prezzo -> Questo valore non si riferisce più all’unità di misura del singolo prodotto (metri di stoffa, quintali di grano, numero di automobili) ma è un numero puro (una percentuale). L'ELASTICITÀ della domanda rispetto al prezzo si ottiene DIVIDENDO la VARIAZIONE PERCENTUALE DELLA DOMANDA per la VARIAZIONE PERCENTUALE DEL PREZZO. Determinanti dell’elasticità della domanda • • • DISPONIBILITÀ DI SOSTITUTI: quanto più il bene è sostituibile, tanto più elastica sarà la sua domanda (se il prezzo aumenta, sarà possibile utilizzare un bene sostituto il cui prezzo non è aumentato, o è aumentato in misura inferiore). Se invece il bene non è facilmente sostituibile, la domanda sarà rigida: benzina. BENI NECESSARI O DI LUSSO: più elastica per beni di lusso, meno per beni necessari. PERIODO: più è lungo il periodo considerato, maggiore è l’elasticità, in quanto è maggiore la possibilità di trovare sostituti, o cambiare abitudini di consumo: ad esempio se il prezzo della benzina rimane alto per un lungo periodo, si può decidere di utilizzare altre modalità di trasporto (mezzi pubblici, bicicletta). Se la domanda è INELASTICA/RIGIDA, la variazione percentuale della quantità domandata è inferiore della variazione percentuale dell’altro fattore considerato. Se invece la domanda è ELASTICA, la variazione percentuale della quantità domandata è maggiore rispetto alla variazione percentuale dell’altro fattore considerato. Il grado di elasticità/rigidità dipende da una serie di fattori:In primo luogo, l’ELASTICITÀ è ELEVATA se ci sono molti beni sostituti o se l’acquisto del bene impiega una larga parte del reddito del consumatore. Ci troveremo invece di fronte a una RIGIDITÀ nella domanda, se non sono disponibili beni sostituti e se all’acquisto del bene viene riservata una larga parte del budget del consumatore. Beni sostituti EFFETTO SOSTITUZIONE (beni sostitutivi se aumenta il prezzo) L’effetto sostituzione consiste nella sostituzione del bene cui si rinuncia a causa dell’aumento del prezzo a vantaggio di altri beni che possono essere considerati come sostituti del bene in oggetto. In pratica, non avendo abbastanza denaro per acquistare quel determinato bene, si decide per acquistare un altro bene. Ma tale decisione può essere presa anche in virtù di una serie di considerazioni personali: l’acquirente può decidere che il bene in oggetto ha raggiunto prezzi talmente elevati da indurre a una sostituzione, anche se il soggetto potrebbe acquistarlo. Possono esserci alla base dei motivi etici, piuttosto che delle convinzioni personali, oppure una avversione nei confronti del produttore, ecc. L’entità dell’effetto sostituzione dipende da: • • Numero di beni che possono essere considerati come sostituti; Grado di sostituibilità del bene. In pratica le domande chiave che pesano sul fatto che un bene sia sostituito sono: - ho alternative? - quali e quante sono le alternative? Un esempio classico è quello del the: caffè e the possono essere considerati come beni sostituti. Come varia la curva della domanda? La curva della domanda pone in relazione la quantità domandata con il livello di prezzo, mantenendo gli altri fattori costanti. Indica quanto di quel bene viene domandato ad un certo livello di prezzo. La curva di domanda non è statica: come abbiamo visto subisce una serie di variazioni. Ad esempio, variazioni del prezzo provocano spostamenti lungo la curva di domanda (da Q1 a Q2) Variazioni di reddito, gusti, prezzi dei beni sostitutivi e complementari e delle aspettative determinano spostamenti della curva di domanda (da D1 a D2) Per meglio comprendere facciamo adesso alcuni esempi: con il cambiare dell’età, cambiano i gusti alimentari, per cui cambia la domanda di determinati cibi. Pensando invece al reddito: chi ha un livello di reddito reale inferiore è più povero, per cui è necessario rivedere i propri acquisti anche in ambito alimentari. Si pensi inoltre ai già citati esempi dei beni sostituti e al ruolo importante giocato dalle aspettative: personali rispetto al futuro. 41.Elasticità ed anaelasticità della domanda. Il tempo può cambiare qualcosa rispetto all'elasticità del prezzo? Sono più elastici i beni di lusso o di consumo rispetto al prezzo? L’elasticità è la reattività della quantità domandata in seguito ad una variazione del prezzo o del reddito, quindi in sostanza l’elasticità va ad analizzare il comportamento d’acquisto di un consumatore; fornisce informazioni sul grado di variazione che la domanda può subire al variare del prezzo o del reddito, infatti una variazione del prezzo determina una variazione della quantità domandata: se il prezzo aumenta la quantità domandata diminuisce, e viceversa (relazione inversa, pendenza negativa della curva di domanda). Quindi l'elasticità della domanda rispetto al prezzo si ottiene dividendo la variazione percentuale della domanda per la variazione percentuale del prezzo. Inoltre quanto più il bene è sostituibile, tanto più elastica sarà la sua domanda perché il consumatore può scegliere di acquistare un bene sostitutivo che non ha avuto aumento di prezzo. Se invece il bene non è facilmente sostituibile, la domanda sarà rigida, come nel caso della benzina. L’elasticità è maggiore per beni di lusso, minore per beni necessari. Più è lungo il periodo considerato, maggiore è l’elasticità, in quanto aumenta la possibilità di trovare sostituti, o cambiare abitudini di consumo. L’elasticità della domanda è sempre negativa, perché, per la legge della domanda, la relazione tra prezzo e quantità è negativa. Il segno negativo spesso viene omesso, in quanto viene considerato implicitamente, quindi si può utilizzare il valore assoluto, ricordandoci però che se il prezzo aumenta avremo una diminuzione della quantità domandata e viceversa. L’elasticità può quindi assumere diversi valori: nel caso in cui l’elasticità sia uguale a infinito l’elasticità sarà perfettamente elastica; se il valore è compreso tra 1 e infinito l’elasticità è relativamente elastica; se è uguale a 1 è unitaria; se è compresa tra zero e 1 è relativamente rigida; se è uguale a zero è perfettamente rigida. Nel caso di elasticità relativa, un cambiamento relativamente piccolo del fattore considerato (prezzo) determina un cambiamento relativamente grande della quantità acquistata. La curva della domanda ha una pendenza molto ridotta. Nel caso di domanda rigida a fronte di un piccolo cambiamento della quantità domandata, si ha una variazione consistente del fattore considerato (prezzo) e la curva ha un’inclinazione molto elevata. Nella elasticità unitaria ci troviamo di fronte a una corrispondenza perfetta tra la variazione % del fattore (prezzo) e la variazione percentuale della quantità acquistata ed è rappresentata da una iperbole equilatera. La formula che ci indica quanto varia la quantità domandata al variare % del prezzo=variazione dei consumi fratto la variazione dei prezzi. L’elasticità della domanda rispetto al prezzo venne elaborata da Marshall e indica l’attesa variazione % della domanda di un dato prodotto o servizio rispetto alla variazione % del prezzo dello stesso prodotto o di altri prodotti (elasticità incrociata). - quando una variazione del prezzo dell'1% genera una variazione della quantità domandata superiore all'1% ha luogo una domanda elastica rispetto al prezzo. L’elasticità al prezzo è maggiore di uno - quando una variazione del prezzo dell'1% genera una variazione della quantità domandata inferiore all'1% ha luogo una domanda rigida rispetto al prezzo. L’elasticità al prezzo è minore di uno. - quando una variazione del prezzo dell'1% genera una variazione della domanda dell'1% ha luogo una domanda a elasticità unitaria. L’elasticità al prezzo è uguale ad uno. L’elasticità della domanda rispetto al reddito misura quanto la quantità domandata varia al variare del reddito del consumatore. Un bene può essere normale per bassi livelli di reddito, inferiore per livelli di reddito più elevati. Tra i beni normali possiamo comunque distinguere i beni la cui domanda varia nella stessa direzione, ma meno che proporzionalmente al variare del reddito (sono anelastici al reddito). Per esempio tutti i beni necessari: cibo, benzina, riscaldamento, abbigliamento di base, servizi medici. La domanda per i beni superiori o di lusso, è elastica al reddito. Per esempio i beni di lusso come abbigliamento di alta moda, automobili sportive, vini di pregio, ecc. La formula che esprime l’elasticità rispetto al reddito è: la variazione del consumo fratto la variazione del reddito. I beni di lusso hanno un elasticità maggiore di 1; l’elasticità compresa tra zero e 1 si tratta di beni normali; elasticità inferiore a zero si tratta di beni di base o inferiori. Per calcolare il coefficiente di elasticità della domanda, si utilizza la seguente formula: e(d)= (dQ/Q )/(dP/P) Elasticità dell’offerta Per elasticità dell’offerta si intende il rapporto tra variazione percentuale della quantità offerta e la variazione percentuale del prezzo. Il coefficiente di elasticità è la misura numerica della risposta relativa della quantità offerta al cambiamento del prezzo. L’elasticità dell’offerta è positiva perché all’aumentare del prezzo aumenta la quantità offerta. L’elasticità in funzione dell’offerta si calcola dividendo la variazione della domanda fratto la variazione del prezzo. Elasticità incrociata e i valori dell’elasticità rispetto al reddito che contraddistingue i beni L’elasticità della domanda rispetto al prezzo venne elaborata dall'economista Alfred Marshall e indica l'attesa variazione percentuale della domanda di un dato prodotto/servizio (quantità venduta Q) rispetto ad una variazione percentuale del prezzo dello stesso prodotto o di altri prodotti (elasticità incrociata). Ogni bene differisce dall'altro per quanto riguarda l'elasticità, ossia la sensibilità alle variazioni del prezzo. L'elasticità della domanda dipende da numerosi fattori economici, anche se tende ad essere più elevata per i beni di lusso, per i quali sono disponibili beni sostitutivi. Sappiamo che la funzione di domanda è decrescente rispetto al prezzo. Studiare l’elasticità della domanda ci permette di individuare la relazione tra domanda e prezzo del bene e la reazione dei consumi rispetto a un aumento dei prezzi. La formula infatti ci indica quanto varia la quantità domandata al variare % del prezzo. In particolare l’elasticità della domanda rispetto al prezzo è espressa dalla seguente formula: 𝒆(𝑷) = D𝑪/𝑪 / D𝑷/𝑷 Vi sono diverse categorie di elasticità: - Quando una variazione del prezzo dell'1% genera una variazione della quantità domandata superiore all'1% ha luogo una DOMANDA ELASTICA rispetto al prezzo. - Quando una variazione del prezzo dell'1% genera una variazione della quantità domandata inferiore all'1% ha luogo una DOMANDA RIGIDA rispetto al prezzo. - Quando una variazione del prezzo dell'1% genera una variazione della domanda dell'1% ha luogo una DOMANDA A ELASTICITÀ UNITARIA. - Elasticità rispetto al prezzo: • • • • • DOMANDA ANELASTICA/RIGIDA: la quantità domandata varia meno che proporzionalmente rispetto alla variazione del prezzo. L’elasticità al prezzo è minore di uno. DOMANDA ELASTICA: la quantità domandata varia più che proporzionalmente rispetto alla variazione del prezzo. L’elasticità al prezzo è maggiore di uno. DOMANDA AD ELASTICITÀ UNITARIA: la quantità domandata varia proporzionalmente rispetto alla variazione del prezzo. L’elasticità al prezzo è uguale ad uno. Due casi estremi: DOMANDA PERFETTAMENTE ELASTICA: varia infinitamente al variare del prezzo. DOMANDA PERFETTAMENTE ANELASTICA: non risponde per niente ad una variazione di prezzo. Dal punto di vista dei produttori, ma anche dello Stato che vuole incassare un gettito fiscale dall’imposta sulle transazioni, è importante sapere se la domanda è rigida o elastica. Se la DOMANDA È RIGIDA, l’aumento del prezzo determinerà un incremento nel ricavo, mentre la diminuzione del prezzo comporterà una diminuzione del ricavo. Se la DOMANDA È ELASTICA, l’aumento del prezzo determinerà una diminuzione del ricavo, mentre una diminuzione del prezzo comporterà un incremento nel ricavo. Elasticità della domanda rispetto al reddito L’elasticità della domanda rispetto al reddito misura quanto la quantità domandata di un bene varia al variare del reddito del consumatore consiste nella variazione della domanda di un bene rispetto alla variazione del reddito disponibile da parte del consumatore. L'elasticità della domanda rispetto al reddito si calcola come variazione percentuale della quantità domandata diviso la variazione percentuale del reddito -> relazione esistente fra variazioni di reddito e variazioni delle quantità acquistate. Su tale relazione si basa, tra l’altro, la FUNZIONE DEL CONSUMO KEYNESIANA, secondo la quale, a livello aggregato la spesa per consumi varia al variare del reddito. Se all’aumentare del reddito il consumatore acquista una QUANTITÀ MAGGIORE DEL BENE x, allora x è un BENE NORMALE e la curva di Engel è crescente. Se all’aumentare del reddito il consumatore acquista una QUANTITÀ MINORE DEL BENE x, allora x è un BENE INFERIORE e la curva di Engel è decrescente. Un bene può essere normale per bassi livelli di reddito, inferiore per livelli di reddito più elevati. Variazioni della domanda in seguito a variazioni di reddito. Tipi di beni con diversa risposta alla variazione del reddito: beni normali e beni inferiori. Al crescere del reddito aumenta la domanda dei beni normali, ma diminuisce quella dei beni inferiori. Tra i beni normali possiamo comunque distinguere i beni la cui domanda varia nella stessa direzione, ma meno che proporzionalmente al variare del reddito (sono anelastici al reddito). Per esempio tutti i beni necessari: cibo, benzina, riscaldamento, abbigliamento di base, servizi medici. La domanda per i beni superiori o di lusso, è elastica al reddito. Per esempio i beni di lusso come abbigliamento di alta moda, automobili sportive, vini di pregio, ecc. La formula che esprime l’elasticità rispetto al reddito è la seguente: Nella formula in oggetto, se noi ponessimo: 𝒆(𝑹) = 𝑪/𝑪 : 𝑹/𝑹 C= spese per l’acquisto di generi alimentari R = reddito, otterremmo la misura dell’elasticità dei consumi alimentari a fronte di una variazione del reddito. Il grado di elasticità della domanda rispetto al reddito contribuisce a determinare il tipo di bene. Pertanto per i beni superiori o di lusso, l’elasticità è superiore a uno, mentre per i beni normali è compresa tra zero e uno. Per i beni di base o inferiori è inferiore allo zero. Elasticità dell’offerta Per elasticità dell’offerta si intende il rapporto tra variazione percentuale della quantità offerta e la variazione percentuale del prezzo. Il coefficiente di elasticità è la misura numerica della risposta relativa della quantità offerta al cambiamento del prezzo. L’elasticità dell’offerta è positiva. L’elasticità dell’offerta di un determinato bene al prezzo è una misura di quanto la quantità offerta varia al variare del prezzo del bene. E’ la variazione percentuale della quantità offerta in seguito alla variazione di un punto percentuale del prezzo. L’elasticità dell’offerta si calcola come variazione percentuale della quantità offerta in rapporto alla variazione percentuale del prezzo: 𝒆(𝑷) = DQ/Q / DP/P L’elasticità dell’offerta rispetto al prezzo può essere elastica o anelastica. • • È ELASTICA, se la quantità offerta reagisce più che proporzionalmente a variazioni di prezzo; è ANELASTICA, se la reazione è meno che proporzionale. Il tutto dipende da una serie di fattori, quali, ad esempio, la possibilità di adattamento in quantità del bene, il costo fattori produttivi e l’orizzonte temporale considerato. Determinanti dell’elasticità dell’offerta . L’elasticità dell’offerta al prezzo è influenzata dalla capacità dei venditori di variare la quantità di beni che offrono sul mercato. Ad esempio: L’offerta di terreni edificabili in aree di prestigio è anelastica al prezzo mentre l’offerta di prodotti manufatti è elastica al prezzo La durata del periodo considerato è rilevante: nel breve periodo l’offerta è sempre più rigida che nel lungo periodo. Per quanto riguarda il fattore “tempo”, va sottolineato che nella maggior parte dei mercati l’offerta risulta più elastica nel lungo periodo che nel breve. In genere i consumatori acquistano dei panieri di beni, pertanto è ragionevole considerare il problema della variazione della domanda rispetto al prezzo di un bene e al reddito disponibile in un’ottica più ampia, che comprenda quindi vari beni. L’ELASTICITÀ INCROCIATA misura il grado di complementarietà dei beni. In genere la domanda dipende dal prezzo del bene 1, dal prezzo del bene 2 e dal reddito disponibile. Se l’elasticità incrociata è POSITIVA i beni sono sostituibili; se invece è NEGATIVA i beni sono complementari. - Beni sostituibili (o succedanei o sostitutivi): beni che possono sostituirne un altro per soddisfare un bisogno o un impiego (ad esempio l'orzo rispetto al caffè); - Beni complementari: beni che possono essere utilizzati contemporaneamente per soddisfare un bisogno (ad esempio la benzina e l'automobile). In un periodo di tempo X all’aumentare dei prezzi dal livello p1 a p2, diminuisce il consumo di carne rossa e aumenta quella di carne bianca. Analizzando l’elasticità incrociata metto in relazione due fenomeni relativi a due diversi beni e comprendo che l’aumento di consumo di un determinato bene può essere imputabile all’aumento dei prezzi di un altro. Dobbiamo però fare una riflessione: tutto quello che è stato detto non può essere pensato in modo indipendente dalle caratteristiche del bene in oggetto. I beni che sono differenziabili hanno dinamiche totalmente diverse da quelli che non lo sono. - Un bene è differenziabile se entrano in gioco dei meccanismi (ad esempio connessi alla qualità o all’immagine o alle caratteristiche intrinseche del bene stesso) che lo rendono differente agli occhi dell’acquirente se confrontato con un medesimo bene prodotto da un concorrente. - I beni indifferenziabili, invece, sono quei beni per i quali non viene percepita differenza: l’acquirente non vede alcuna differenza tra due beni simili prodotti da due produttori. (prezzo). 44. Cos’è la moneta? Qual è la sua funzione? La moneta è: 1) mezzo di scambio, perché viene accettata come pagamento e agevola gli scambi commerciali superando tutti i limiti del baratto; 2) misura dei valori, poiché permette di misurare ed esprimere in modo oggettivo il valore dei beni e dei servizi. Se mancasse la moneta, a ogni bene si potrebbero attribuire infiniti valori. 3) serbatoio di valori perché, non essendo deperibile, consente di conservare nel tempo la ricchezza. La moneta inoltre, consente di conservare la ricchezza nello spazio, permettendone il trasferimento da un luogo all'altro senza che si abbia una perdita di valore; 4) mezzo di pagamento, in quanto la moneta permette di estinguere tutti i debiti, non solo quelli sorti in relazione ad operazioni di scambio. Per poter assolvere a tutte queste funzioni, la moneta deve essere accettata da tutti e deve poter essere facilmente convertita in altri beni: questa caratteristica della moneta prende il nome di liquidità. Le origini della moneta Nelle economie primitive le famiglie erano in gran parte autosufficienti e producevano autonomamente la maggior parte dei beni di cui avevano bisogno. Col passare del tempo iniziò la divisione e la specializzazione del lavoro. Questo diede inizio agli scambi commerciali, basati sul baratto. Principali limiti e difficoltà del baratto: I bisogni del venditore dovevano coincidere con quelli del compratore e anche le quantità da scambiare dovevano coincidere, soprattutto nel caso dei beni indivisibili. Inoltre, se la merce da scambiare era deperibile, bisognava riuscire a scambiarla in tempi brevi; ogni volta che si voleva effettuare uno scambio era necessario stabilire il valore di entrambi i beni scambiati. L'agricoltura portò a una crescita dei prodotti agricoli e degli scambi. Date le difficoltà che si avevano con il baratto, si iniziarono ad utilizzate dei beni come intermediari degli scambi: si trattava di beni esistenti in natura, stimati da tutti, che venivano accettati come strumenti di pagamento. Prendono il nome di moneta naturale, o di moneta-merce. In base alle proprie risorse, ciascun popolo sceglieva la propria moneta naturale. Furono usati i capi di bestiame (non a caso il termine pecunia viene dal latino pecus, ovvero “gregge") il sale, gli utensili, il grano, le pelli, il bronzo. La moneta-merce doveva avere alcune caratteristiche: - la conservabilità nel tempo; - la larga diffusione, in modo da garantirne una ampia accettazione; - la trasferibilità nello spazio; - la stabilità di valore nel tempo e da un luogo all'altro; la divisibilità, cioè la possibilità di essere suddivisa senza perdita di valore. Esempio: un grammo d'oro può essere diviso in due parti uguali ciascuna con lo stesso valore. La stessa regola, invece, non vale per una pecora, un cavallo, un diamante. Con la fondazione delle colonie greche nel VII secolo a.C. gli scambi si intensificarono e la moneta- merce fu sostituita dai metalli nobili, in particolare oro e argento, che avevano tutti i requisiti della moneta-merce e in più potevano essere fusi e coniati. In questo modo, la moneta poteva essere accettata anche nei paesi stranieri, dove il metallo poteva essere fuso e usato per coniare le proprie monete. Intorno al 600 a.C. fu emessa la prima moneta statale con il simbolo della città. Nell'arco di un secolo la moneta statale si diffuse in tutto il Mediterraneo. Con l’aumento degli scambi, aumentò anche la domanda di moneta, ma l'offerta dei metalli preziosi non era facilmente controllabile. Inoltre il trasporto di grandi quantità di denaro comportava costi elevati e rischi di furto, quindi iniziò a diffondersi la moneta cartacea (dapprima in Cina, poi in Europa nel XVII secolo). Ad introdurre le banconote furono i banchieri che rilasciavano, a coloro che depositavano monete metalliche e metalli preziosi, dei biglietti convertibili in oro. Successivamente alle banconote venne riconosciuto valore legale: per legge, dovevano essere accettate in pagamento, ma potevano anche essere convertite in oro presso la banca di emissione. Nelle economie moderne, esistono varie tipologie di moneta, tutte in grado di assolvere la sua funzione tipica, ovvero quella di mezzo di pagamento: •la moneta metallica; sono monete in metallo, di piccolo taglio, usate per pagamenti di modesta entità. Un tempo, quando queste monete erano costituite da metalli preziosi, il valore della moneta era pari al valore del metallo usato per coniare la moneta, detto valore intrinseco. Durante il Medioevo, gli Stati iniziano a mischiare all'oro e all'argento, anche metalli non preziosi per coniare le monete. È in questo periodo che il valore nominale delle monete metalliche, cioè il valore attribuito alla moneta, non è più pari al suo valore intrinseco, ma diventa superiore. •la moneta cartacea: banconote che non hanno alcun valore reale, semplici fogli di carta privi di un valore intrinseco. Hanno, però, un valore estrinseco, detto valore nominale: tale valore è stampato sul biglietto da parte dello Stato. Fino ai primi del '900 le monete cartacee potevano essere convertite in oro presso gli istituti bancari. Questa possibilità oggi non esiste più: per questa ragione la moneta cartacea è detta moneta fiduciaria, in quanto la sua circolazione si fonda sulla fiducia dei cittadini nello Stato e nel valore che esso ha assegnato alla moneta. •la moneta bancaria: assegni bancari, carte di credito e alcuni tipi di moneta elettronica costituiscono la cosiddetta moneta bancaria. Con questa espressione si intendono dei mezzi di pagamento che traggono origine dalle banche •la moneta elettronica: fa riferimento a quelle forme di moneta collegate a reti telematiche che consentono il prelevamento di denaro o il pagamento di somme, addebitando tali importi sul proprio conto corrente. Rientrano in questa categoria i bancomat, le tessere autostradali, ecc. •la moneta commerciale: le cambiali emesse dai privati e dalle imprese. Non sono strumenti di pagamento, ma strumenti di credito dato che consentono lo scambio tra beni disponibili nel presente e altri disponibili nel futuro. •la moneta scritturale: è una moneta che non esiste realmente, ma esiste solamente nelle registrazioni contabili. Esempio: tra il 1° gennaio del 1999 e il 31 dicembre del 2001, l'euro era una moneta scritturale in quanto era possibile aprire dei conti in euro presso le banche ed effettuare trasferimenti di denaro in euro da un conto all'altro, ma l'euro non era ancora in circolazione e non poteva essere usato come mezzo di pagamento in contanti Quando si parla di valore della moneta si può intendere: •il valore intrinseco della moneta: sistema nel quale le monete sono coniate con metalli preziosi (oro o argento). In questo caso, il valore intrinseco, rappresenta il valore del metallo contenuto nella moneta. Attualmente le monete o sono cartacee o sono monete metalliche coniate con metalli non pregiati (bronzo, nichel), quindi assume rilievo solo il valore nominale della moneta •il valore nominale della moneta: il valore impresso sulla moneta che viene, convenzionalmente, attribuito ad essa. •il valore esterno della moneta: è il suo cambio, cioè la quantità di moneta estera che possiamo comprare con una unità di moneta nazionale. •il potere di acquisto della moneta: quando si usa il termine valore della moneta, il più delle volte ci si riferisce al suo potere di acquisto cioè alla quantità di beni e servizi che si possono acquistare con essa —> valore reale. Maggiori sono i prezzi e minore é la quantità di beni e servizi che si possono acquistare con una data somma di denaro —> minore è il potere d’acquisto. La relazione tra il potere di acquisto della moneta e il livello dei prezzi può essere espresso dalla relazione: potere di acquisto della moneta Vm(potere di acquisto) = 1/(livello dei prezzi )P. Se il livello dei prezzi raddoppia il potere di acquisto si dimezza. Se, invece, il livello dei prezzi si dimezza il potere di acquisto raddoppia. Quindi possiamo dire che il potere di acquisto della moneta è inversamente proporzionale al livello dei prezzi. Indichiamo con: M la quantità di moneta esistente; V la velocità di circolazione della moneta; Q la quantità di beni e servizi scambiati; P il livello generale dei prezzi. Quindi: MV —> quantità totale di moneta disponibile PQ —> valore dei beni e dei servizi scambiati. L'equazione degli scambi può essere scritta: MV = PQ Da qui possiamo ottenere il valore di P: MV = PQ —> PQ = MV. PQ/Q = MV/Q P = MV/Q L'equazione di Cambridge fu elaborata, tra gli altri, da Marshall e Keynes. È una diversa formulazione della teoria quantitativa della moneta. M = k·P·Q dove M è la quantità di moneta esistente; Q è la quantità di beni e servizi scambiati; P è il livello generale dei prezzi; k rappresenta la percentuale di reddito reale che gli individui tengono a propria disposizione sotto forma di contante e di depositi bancari a vista. Potere d’acquisto Quando si usa il termine valore della moneta, il più delle volte ci si riferisce al suo potere di acquisto ovvero alla quantità di beni e servizi che si possono acquistare con essa -> valore reale. Maggiori sono i prezzi e minore é la quantità di beni e servizi che si possono acquistare con una data somma di denaro -> minore è il potere d’acquisto. Esempio: un lavoratore dipendente guadagna ogni mese 1.000 euro. In un certo mese il prezzo dei beni e dei servizi raddoppia. Egli, con lo stesso salario, potrà acquistare la metà dei beni e servizi che poteva acquistare il mese precedente. 45. Differenze tra politica fiscale e monetaria La POLITICA FISCALE è l'insieme degli interventi di politica economica che permettono al governo di influenzare la domanda aggregata e di ottenere effetti sul reddito di equilibrio tramite le variazioni della spesa pubblica (es. realizzazione di opere pubbliche, strade, etc.), dell’imposizione fiscale (tributi, tasse, imposte) e dei trasferimenti (reddito di cittadinanza, sussidio di disoccupazione, sussidi alle imprese, etc.). È decisa dal governo (policy maker) con la legge finanziaria annuale in base ai vincoli di bilancio e agli obiettivi politici da raggiungere. Gli obiettivi di una politica fiscale espansiva sono la crescita economica, la distribuzione della ricchezza e l'equità. La POLITICA MONETARIA, viceversa, agisce direttamente sul mercato della moneta e indirettamente sul mercato reale. La politica fiscale e la politica monetaria utilizzano strumenti diversi per raggiungere l’equilibrio economico. La POLITICA FISCALE si occupa di interventi tramite la spesa pubblica, i trasferimenti e il prelievo fiscale. Spesso le politiche fiscali sono affidate al governo (in Europa è gestita dai singoli paese membri). La POLITICA MONETARIA si occupa di interventi tramite l'offerta monetaria e il tasso di interesse. Le politiche monetarie spesso sono affidate alla banca centrale del paese (in Europa è gestita dalla banca centrale europea). Politica fiscale (spesa pubblica, trasferimenti e imposizione fiscale vs politica economica: differenze. - Equilibrio economico - moneta e tasso d’interesse La POLITICA FISCALE è l'insieme degli interventi di politica economica che permettono al policy maker di influenzare la domanda aggregata e di ottenere effetti sul reddito di equilibrio tramite le variazioni della spesa pubblica, dell'imposizione fiscale e dei trasferimenti. La politica fiscale è una delle principali leve della politica economica. La politica fiscale è decisa dal governo ( policy maker ) con la legge finanziaria annuale in base ai vincoli di bilancio e agli obiettivi politici da raggiungere. Gli effetti della politica fiscale e della sua copertura finanziaria determinano la crescita economica e il bilancio pubblico di un paese. I principali strumenti e leve della politica fiscale sono: - La spesa pubblica il governo interviene sull'economia tramite la spesa pubblica. es. realizzazione opere pubbliche, strade, infrastrutture, porti, scuole, ospedali, ecc. - L'imposizione fiscale il governo può aumentare o ridurre indirettamente il reddito nazionale tramite la riduzione o l'incremento della pressione fiscale. Es. tributi, tasse e imposte. - I trasferimenti il governo può aumentare o ridurre direttamente il reddito nazionale tramite i trasferimenti diretti ai soggetti privati. es. sussidi alle imprese, sussidio di disoccupazione, reddito di cittadinanza, ecc. Gli effetti della politica fiscale possono essere ESPANSIVI, determinano un aumento della spesa pubblica, o RECESSIVI, determinano una riduzione della spesa pubblica. o La POLITICA FISCALE ESPANSIVA è ottenuta tramite un aumento della spesa pubblica, una riduzione del prelievo fiscale e/o un aumento dei trasferimenti. L'effetto di una politica fiscale espansiva dovrebbe consistere in un incremento della domanda aggregata e del reddito di equilibrio. Nel modello ISLM la politica fiscale espansiva sposta verso destra la curva IS. In genere gli obiettivi di una politica fiscale espansiva sono la crescita economica, la distribuzione della ricchezza e l’equità. oLa POLITICA FISCALE RESTRITTIVA è ottenuta tramite una riduzione della spesa pubblica (tagli), un aumento del prelievo fiscale (pressione fiscale) e/o una riduzione dei trasferimenti. La SPESA PUBBLICA è generalmente finanziata dalle entrate pubbliche derivanti da: • PRELIEVO FISCALE a famiglie e imprese. La copertura finanziaria della politica fiscale è ottenuta tramite le entrate pubbliche derivanti dall'imposizione fiscale a carico di famiglie e imprese (tributi, tasse e imposte). • • DEBITO PUBBLICO. Lo Stato emette e vende i titoli pubblici sul mercato per finanziare la politica fiscale in deficit tramite l'indebitamento pubblico. POLITICA MONETARIA ACCOMODANTE. La banca centrale attua una politica monetaria espansiva per consentire al governo di effettuare una politica fiscale in deficit. Sia la politica fiscale che la politica monetaria sono politiche economiche, ossia interventi pubblici dello Stato sull'economia del paese. Pertanto, generalmente la politica fiscale e la politica monetaria hanno gli stessi obiettivi quando sono decisi dalla stessa autorità pubblica. Ad esempio, entrambe possono influenzare l'equilibrio economico e la crescita economica del PIL di un paese nel medio - breve periodo. Possono essere politiche economiche espansive o restrittive. Tuttavia, in molti casi la politica monetaria viene assegnata a un'autorità diversa da quella della politica fiscale, al fine di perseguire obiettivi di stabilità finanziaria e monetaria del sistema economico. Ciò accade, ad esempio, nell'Unione europea dove la politica monetaria è gestita da un'autorità sovrannazionale (BCE) e indipendente dai singoli governi nazionali, mentre le politiche fiscali e di bilancio dai singoli paesi membri. La BCE persegue l'obiettivo della stabilità monetaria e dei prezzi mentre i singoli governi perseguono la crescita economica reale della loro economia. L'efficacia della politica fiscale e della politica monetaria dipende dalla congiuntura economica del paese. In alcuni casi è più efficace la politica fiscale, in altri è più efficace la politica monetaria. Il TASSO D’INTERESSE è, a tutti gli effetti, il costo del denaro nel tempo, e infatti viene determinato dall’interazione fra domanda di denaro espressa dal pubblico, riassumibile in famiglie, imprese e Stato, e offerta di denaro, fissata dalla banca centrale. Il TASSO D’INTERESSE, infine, è a tutti gli effetti il prezzo della moneta. Esso è infatti individuato dall’incontro fra domanda di moneta da parte del pubblico e la quantità di moneta offerta dalla banca centrale: in equilibrio la banca centrale offre una certa quantità di moneta che soddisfa la domanda del pubblico, disposto a ottenerla ad un certo tasso d’interesse. Riassumendo, la banca centrale controlla la quantità di moneta offerta e modificandola influenza il tasso d’interesse, che è il principale strumento della politica monetaria. 46. Cosa significa la svalutazione della moneta? Come acquista valore la moneta? La svalutazione della moneta è la perdita del valore di una moneta nei confronti di beni e servizi, comprese altre monete. La svalutazione rende più costose le merci e le materie prime importate (cosiddetta inflazione importata). Inoltre, rende più convenienti, sui mercati esteri, i prodotti del paese che svaluta, da cui l'attributo competitiva all’inflazione. La ragione per la quale queste monete vengono accettate in pagamento risiede nella fiducia di chi le riceve che altri faranno altrettanto, accettando in pagamento monete, banconote, depositi bancari o titoli di stato. Senza tale fiducia la moneta non sarebbe accettata in pagamento. Inoltre il meccanismo fiduciario viene integrato dall'obbligo legale di accettare in pagamento la moneta legale del proprio paese e dalla regola, contenuta nel codice civile, che afferma che una volta effettuato il pagamento l'obbligazione si estingue, liberando per sempre il debitore. Quindi le monete hanno valore in quanto mezzo di pagamento stabile riconosciuto nell'economia di un certo paese. Il livello generale dei prezzi è calcolato dall’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica) che è un ente di ricerca pubblico italiano che effettua indagini socio-economiche. 49. Modelli agroalimentari I modelli alimentari sono il risultato di realtà sociali ed economiche, di tradizioni e culture, condizionate dalle scelte e dagli indirizzi imposti dall’industria alimentare mondiale. 50. Cos’è il tasso di interesse Il tasso di interesse nel mercato della moneta è il punto d’incontro tra la quantità domandata di moneta (da parte degli operatori economici) e l’offerta di moneta (stabilita dalla banca centrale). Il tasso di interesse sarà quindi inversamente proporzionale alla quantità di moneta domandata. 51. Indicatori economici Un indicatore economico è un dato economico, solitamente di scala macroeconomica, che viene utilizzato dagli analisti per interpretare l’andamento dei consumi e le possibilità di investimento attuali e future. Questi indicatori aiutano anche a giudicare lo stato di salute generale di un'economia. Gli indicatori economici più utilizzati provengono da dati rilasciati dal governo e da organizzazioni non profit o università e centri di ricerca e danno indicazioni sull’andamento dell’economia del paese. Se questi indicatori sono positivi o migliorano, vuol dire che la salute di un’economia è buona o migliora. Viceversa, se questi indicatori peggiorano, vuol dire che la salute di un’economia sta peggiorando. Questi indicatori economici sono: 1) PIL (Prodotto Interno Lordo) misura la ricchezza prodotta nel paese, ossia misura l’ammontare di beni e servizi realizzati durante un periodo di tempo (un anno) dal processo produttivo dai soggetti che operano all’interno di un determinato territorio, sia residenti che non residenti quindi tutte le aziende del territorio italiano anche quelle di proprietari non italiani; 2) PNL (Prodotto Nazionale Lordo) o RNL (reddito nazionale lordo) è il valore monetario di tutti i beni e servizi finali prodotti da fattori posseduti da cittadini di una determinata nazione in un determinato periodo di tempo. Si ottiene dal PIL aggiungendovi il reddito percepito da soggetti residenti nel paese per investimenti all'estero e sottraendovi il reddito percepito nel paese da soggetti non residenti. Si differenzia dal PIL solo su un punto in quanto sono prese in considerazione le attività delle imprese nazionali che operano fuori dal paese mentre non è contabilizzata l'attività delle imprese straniere che operano sul territorio interno; 3) PIL PRO CAPITE indica il PIL per singolo cittadino. Più questo indicatore è alto, più i cittadini del paese sono benestanti. Più questo indicatore è basso, più i cittadini del paese sono poveri. Si ottiene dividendo il PIL per la popolazione, fornisce una misura del benessere medio dei cittadini. Chiaramente però il PIL pro capite va interpretato a seconda del paese. Perché paesi molto piccoli come il Lussemburgo o il Qatar è ovvio abbiano un PIL pro capite molto alto, anche se ciò non indica uno sviluppo economico complessivo maggiore di paesi come gli USA o la Germania. 4) CPI (Indice dei Prezzi al Consumo) è una misura statistica ottenuta attraverso la media dei prezzi di un insieme di beni e servizi. Questo insieme viene definito paniere ed ha come riferimento le abitudini di acquisto di un consumatore medio. Misura le variazioni di prezzo di un prodotto in un dato periodo e viene usato come indicatore sia del costo della vita sia della crescita economica. L'indice dei prezzi al consumo (CPI) misura le variazioni dei costi dal punto di vista del consumatore. 5) PPI (Indice dei Prezzi alla Produzione) misura l'inflazione nel processo di produzione, mentre l'indice del costo del lavoro misura l'inflazione nel mercato del lavoro. Misura i movimenti dei prezzi dal punto di vista del venditore. Questo indice traccia le variazioni dei costi di produzione. 6) l’Inflazione è una misura quantitativa del tasso al quale il livello medio dei prezzi di un paniere di beni e servizi aumenta nel corso di un periodo di tempo. 52. Beni di Giffen È un particolare tipo di bene per il quale un aumento del prezzo (o una diminuzione del reddito del consumatore) causa un aumento della domanda, e viceversa. Si tratta nella teoria microeconomica di un "bene inferiore" il cui effetto reddito è superiore all'effetto sostituzione, per cui la curva di domanda ha un'inclinazione positiva nonostante l’aumento del prezzo. Es. sul consumo del pane: un aumento del prezzo del pane aveva un effetto così pesante sulle risorse dei lavoratori più poveri, che essi erano costretti a rinunciare alla carne e ad altri cereali più costosi; ne risultava quindi un aumento del consumo di pane nonostante l'aumento del prezzo. Sembra, in realtà, che Giffen si riferisse alle patate, a causa di una carestia i prezzi erano aumentati notevolmente e i poveri non potevano comprare nulla all’infuori delle patate che erano comunque care. Questo risulta essere l'unico caso reale di bene di Giffen. Tale fenomeno divenne in seguito noto come paradosso di Giffen. 53. Cos’è il risparmio? Il risparmio è la quota del reddito di persone, imprese o istituzioni che non viene spesa nel periodo in cui il reddito è percepito, ma è accantonato per essere speso in un momento futuro. È dunque un sacrificio del consumo presente, in vista di un maggiore consumo futuro. Il risparmio può essere finalizzato a far fronte a spese impreviste, nel caso di un risparmio di tipo precauzionale, per garantirsi un reddito futuro oltre a quello offerto dal sistema pensionistico, per lasciare un'eredità o per compiere un investimento futuro di rilevanti dimensioni, come l'acquisto di un bene durevole. Secondo Modigliani il risparmio è legato positivamente al tasso di sviluppo di un paese piuttosto che al suo reddito nazionale (meno incertezza). Ne consegue che il risparmio nei paesi con un tasso di sviluppo molto alto è maggiore di quello presente in paesi con problemi di sottosviluppo che a malapena hanno un reddito, consumano buona parte delle risorse e difficilmente risparmiano. Un progressivo aumento dell’età media della popolazione fa in modo che a livello di sistema aumenti la parte di reddito destinata al consumo. La differenza del tasso di risparmio tra le famiglie viene spiegata facendo riferimento alle caratteristiche demografiche quali l’età e il numero dei figli, il livello di istruzione e la condizione professionale. Ad esempio una famiglia composta da cinque persone in cui solo il capofamiglia lavora, con un livello di istruzione e una condizione professionale bassi, il livello di risparmio, se esistente, è molto esiguo. Al contrario una famiglia composta da tre persone in cui il capofamiglia è professionista con un titolo di studio alto, il risparmio può essere consistente. 54. Differenza tra crescita economica e sviluppo economico. NON sono sinonimi. La crescita è l'aumento di beni e servizi prodotti dal sistema economico in un dato periodo di tempo. Misura grandezze aggregate, indicatori quantitativi di ricchezza quali il tasso d'aumento nel tempo del PIL per abitante. Lo sviluppo è un processo che implica la modifica di alcune caratteristiche del sistema economico. È il processo di cambiamento quantitativo e qualitativo dell’economia in più settori strategici, quali il capitale umano, le infrastrutture critiche, la competitività, la sicurezza, la salute ecc. È solitamente associato all'aumento dei redditi e al relativo aumento dei consumi, dei risparmi e degli investimenti. Lo sviluppo economico ha un peso maggiore dell’aumento del reddito perché se questo non è distribuito in modo uniforme, non vengono perseguiti gli obiettivi di sviluppo economico. Lo sviluppo economico e sociale è il processo attraverso il quale il benessere economico e la qualità della vita vengono migliorati in base a finalità e obiettivi specifici. 56. Densità della popolazione e gli altri indicatori Esistono però degli indicatori (anche non solamente economici che ci aiutano ad osservare e interpretare la realtà). Il primo indicatore è il TASSO DI NATALITÀ: esso è il rapporto tra numero dei nati vivi dell'anno e l'ammontare medio della popolazione residente, moltiplicato per 1.000. Il tasso di natalità ci indica quale sia lo stato di sviluppo di una certa popolazione. Alla determinazione del tasso di natalità concorrono vari fattori. In primis il grado di sviluppo economico e il grado di modernizzazione di un territorio. In secondo luogo vi sono fattori politici e sociali. Vi sono poi elementi culturali che incidono. Altro indicatore che impatta sui consumi è la DENSITÀ DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE, data dal rapporto tra popolazione residente e superficie (in Km2). Se aumenta la densità dovrò comprendere ad esempio se il livello di servizi è adeguato e se vengono garantiti tutti i servizi primari. La densità della popolazione varia da paese a paese; il Bangladesh, per dare un’idea ha un territorio ridotto rispetto a quello Italiano, ma con una popolazione 3 volte più elevata. Ovviamente vi sono spazi poco popolati. Ulteriore indicatore per lo studio dei consumi è il SALDO MIGRATORIO, che indica la differenza tra iscrizioni e cancellazioni anagrafiche registrate in un determinato anno (immigrati – emigrati). Vi è poi l’INDICE DI VECCHIAIA, che ci offre un’indicazione del grado di invecchiamento della popolazione e una rappresentazione della struttura della popolazione per età (consumo/ risparmio). Nel dettaglio si ottiene mettendo in rapporto il totale della popolazione anziana con un’età minima pari a 65 anni e la popolazione con meno di 15 anni. Questo indicatore da una parte evidenzia meglio il livello di invecchiamento rispetto all’età media della popolazione, ma si presta ad alcune critiche, prima fra tutti il fatto che in un paese che invecchia base della popolazione con età compresa tra 0 e 14 anni sarà naturalmente ridotta, mentre aumenterà il numero di anziani. Un altro indicatore utile è l’ETÀ MEDIA DELLA POPOLAZIONE, ovvero il rapporto tra la somma delle età di tutti gli individui e il numero degli abitanti; si calcola sommando i singoli prodotti ottenuti da ogni età per il numero di residenti della medesima età e dividendo il totale così ottenuto per il numero complessivo di residenti. Ovviamente si comprende che si tratta di un indicatore che è influenzato da valori estremi della distribuzione. Gli indicatori sono di vario tipo -> I dati che abbiamo in merito alla popolazione ci forniscono anche la base per fare delle previsioni in merito al suo sviluppo. La popolazione che avremo in un determinato anno dipende dalla popolazione che abbiamo oggi, dal tasso medio annuale di crescita della popolazione e dalla struttura della popolazione, che determinerà anche la tendenza a ridursi della popolazione stessa e i consumi. Per tutti questi motivi è importante sapere quanto è vecchia (o giovane) la popolazione di un determinato paese, come è distribuita ecc. 60. Importanza risparmio del soggetto (Friedman) e in quale dei fattori che influenzano la domanda incide (aspettative sul futuro e quindi il tempo) e correlarlo a criteri culturali, psicologici, sociali e personali nelle dinamiche del consumo. Secondo alcuni studiosi (in primis Friedman), il risparmio del soggetto dipende dal reddito permanente e non da quello corrente; se l’aumento di reddito corrente oggi è percepito come temporaneo, il consumo corrente aumenta poco o nulla. Solo se l’aumento di reddito è percepito come permanente allora il consumo salirà in modo percepibile. Va poi considerato il fatto che non tutti i consumatori sono uguali; la distribuzione del reddito tra salari e profitti influenza il consumo. In altre parole, abbiamo da una parte gli imprenditori (che percepiscono un reddito d’impresa) e i lavoratori (il cui reddito deriva dal salario percepito); ecco che gli imprenditori hanno una propensione al risparmio più elevata, secondo alcuni teorici (Kaldor), dei lavoratori. In una popolazione, quindi, la propensione media al consumo dipende anche da come il reddito viene distribuito tra lavoratori e capitalisti. Le teorie economiche si sono succedute negli anni e sono in alcuni casi estremamente complesse. Quello che ci interessa però sottolineare è che quello del consumo è un fenomeno estremamente complesso che può essere analizzato da più prospettive e ambiti. È evidente che l’approccio al tema è determinato anche dal contesto di riferimento: certe teorie si sviluppano perché nella società si respira un determinato clima culturale che inevitabilmente influenza il pensiero e l’approccio dei teorici. La propensione al consumo è la relazione economica tra la scelta di consumo delle famiglie e il reddito disponibile.È possibile distinguere le seguenti tipologie di propensioni al consumo: § PROPENSIONE MEDIA AL CONSUMO: è determinata dal rapporto tra il consumo totale delle famiglie e il reddito disponibile delle famiglie. La propensione media al consumo è un indicatore costante. Ad esempio, dato un reddito pari a 100 e un livello di consumi pari a 70, la propensione media al consumo è pari allo 0,7 ( 70% ). § PROPENSIONE MARGINALE AL CONSUMO: è determinata dal rapporto tra le variazioni del consumo e le variazioni del reddito disponibile. Consente di misurare quanto variano le quantità consumate di bene/servizio al variare del reddito. La propensione marginale al consumo è caratterizzata da un andamento decrescente al reddito. A bassi livelli di reddito la propensione marginale al consumo è molto alta, poiché l'individuo deve soddisfare i bisogni di base della propria esistenza. Man mano che cresce il reddito, la propensione marginale al consumo si riduce. Al crescere del reddito l'individuo destinerà al consumo una proporzione inferiore dell'incremento di reddito, a favore del risparmio. Secondo la teoria classica la spesa per l’acquisto di beni di consumo varia in funzione inversa al TASSO DI INTERESSE [rappresenta la percentuale dell'interesse su un prestito e l'importo della remunerazione spettante al prestatore, in parole povere è il “prezzo del noleggio del denaro”]. Ciò perché quando il TASSO DI INTERESSE È ALTO, le famiglie risparmiano di più e consumano di meno; quando invece il TASSO DI INTERESSE È BASSO, le famiglie risparmiano di meno e consumano di più. In economia, il RISPARMIO è la quota del reddito di persone, imprese o istituzioni che non viene spesa nel periodo in cui il reddito è percepito, ma è accantonato per essere speso in un momento futuro. Il risparmio è dunque un sacrificio del consumo presente, in vista di un maggiore consumo futuro. Si noti la differenza tra risparmio ed investimento in cui invece è necessariamente presente un elemento di rischio. In generale lo scopo del risparmio è quello di poter disporre in un secondo momento delle risorse non spese Risparmio (motivazione): può avvenire per far fronte a spese impreviste, nel caso di un risparmio di tipo precauzionale, per garantirsi un reddito futuro oltre a quello offerto dal sistema pensionistico, per lasciare un'eredità o per compiere, in futuro, un investimento di rilevanti dimensioni, come l'acquisto di un bene durevole. 61. Cambiali o moneta commerciale le cambiali emesse dai privati e dalle imprese. Esse non sono strumenti di pagamento, ma strumenti di credito dato che consentono lo scambio tra beni disponibili nel presente e altri disponibili nel futuro. Esempio: il signor Rossi, titolare di una piccola industria, non dispone del denaro necessario per l'acquisto delle materie prime necessarie per dar seguito ad una commessa, ma prevede di incassare presto una somma consistente. Egli può rilasciare ai fornitori delle cambiali, con le quali si impegna a pagare la merce in un momento successivo. Cos’è un titolo di credito? Risposta: cambiale 62. Cosa vuol dire BCE? Banca centrale europea . Banche centrali come la BCE, la Bank of England e la Bank of Japan hanno un solo obiettivo da perseguire nel loro mandato: il livello di inflazione. La BCE, per esempio, nel suo statuto ha espressamente solo l’obiettivo di mantenere la stabilità dei prezzi, attraverso un’inflazione target di medio periodo “vicina ma al di sotto del 2%”. Gli obiettivi di crescita del PIL e raggiungimento della piena occupazione sono, nelle intenzioni della BCE, favoriti in modo naturale dal perseguimento del target di inflazione. Banche centrali quali la Federal Reserve (comunemente FED, la banca centrale americana), devono perseguire per statuto un obiettivo di politica monetaria più ampio: mantenere stabile l’inflazione, ma anche la crescita del PIL e dell’occupazione. 63. Principio precauzionale MOTIVO PRECAUZIONALE. Anche la domanda di moneta per motivi precauzionali è determinata principalmente dall’entità del reddito (ed inversamente al variare del tasso di interesse) ma il loro ammontare può dipendere anche da fattori psicologici e caratteriali. 64. Teoria di Galbraith Galbraith (1959) sosteneva che con lo sviluppo delle grandi società il consumatore perde potere e questo porta a un rafforzamento dell’apparato tecnico produttivo dell’industria. Quando una società diventa opulenta possono crearsi nuovi bisogni; in tal senso i bisogni sono indotti dalla produzione. Bisogna però sempre ricordare che il consumo è la principale delle attività economiche. Consumare, in economia, significa utilizzare risorse per soddisfare uno o più bisogni. Nell’atto del consumo, quindi, l’uomo che possiede delle risorse (beni e servizi) le utilizza per i suoi bisogni. In economia, il consumo ha il ruolo di motore dell’economia. 65. Nel momento in cui nel processo di acquisto si valutano le alternative quali sono i problemi riscontrabili? Ci troviamo in una situazione di asimmetria informativa, quando una delle due parti coinvolte in un contratto (in questo caso nell’acquisto di un bene) dispone di maggiori informazioni rispetto alla controparte riguardo alle caratteristiche del bene scambiato. Ad esempio, il produttore conosce perfettamente la qualità di un bene, il consumatore no. Anche in ambito alimentare questo è possibile: il consumatore non può avere tutte le informazioni che ha il produttore. Spesso l’etichettatura o l’adozione di processi che aumentino la trasparenza dell’informazione aiutano ad attenuare il problema dell’asimmetria informativa, all’interno del processo di scelta di consumo. Una volta reperite le informazioni, il soggetto è posto in condizione di valutare le alternative. Il consumatore deve prendere in considerazione gli attributi rilevanti del prodotto/servizio che sono correlati al bisogno emergente. Una volta individuati gli attributi il consumatore assegna un livello di importanza a ognuno di essi; la funzione di utilità associata al bene in oggetto, varierà in base agli attributi del prodotto/servizio. Comprendete a questo punto che la percezione del livello di utilità della singola caratteristica individuata è molto complesso: interagiscono fattori personali/individuali con altri più o meno oggettivi. 66. Come cambia il grafico quando ci sono gli sconti Il consumatore, però si trova spesso davanti a una serie di situazioni che rendono i prezzi non lineari; ovvero in molti casi il valore del prezzo di un bene non aumenta proporzionalmente all’aumento della quantità acquistata.È il caso degli sconti o delle offerte. Nel caso per esempio del 3X2, se si acquistano 3 prodotti, se ne pagano solo 2, per cui il prezzo del bene diminuisce all’aumentare della quantità acquistata. Questo significa, dal punto di vista “grafico” che la retta del vincolo di bilancio non avrà più l’aspetto che abbiamo visto precedentemente, ma cambierà. Consideriamo il caso in cui il soggetto abbia a disposizione un reddito pari a 10 e il prezzo del bene 2 sia fisso e pari a 1. Il prezzo del bene 1, invece varia come indicato: In pratica, x1 costa 2 se acquisto meno fino a 3 unità del bene; se invece acquisto più di 3 unità diventa 1/2. Quindi l’intercetta sull’asse x è 11, ma la pendenza è diversa perché nel primo tratto (fino a 3) avrà pendenza -2 mentre dopo si riduce a -1/2. 68. Scala di Maslow Il consumatore compie una serie di azioni in sequenza che definiscono il processo di acquisto di un bene. 0. RICONOSCIMENTO DEL BISOGNO: il consumatore riconosce di avere un bisogno, ovvero percepisce una differenza tra lo stato attuale in cui verte e quello da lui desiderato. I bisogni sono di vario tipo -> possono essere ordinati in modo gerarchico. La scala che genericamente si utilizza è quella di Maslow (scala dei bisogni dell’individuo). 1. RICHIESTA DI INFORMAZIONI 2. VALUTAZIONE DELLE ALTERNATIVE 4. DECISIONE DI ACQUISTO, 5. COMPORTAMENTO POST-ACQUISTO. Ciò che avviene successivamente rientra nella sfera del comportamento post-acquisto. La ricerca delle informazioni è una fase particolarmente delicata: il consumatore deve reperire informazioni da una serie di fonti. La famiglia, gli amici e conoscenti possono costituire fonti personali; il rapporto con il consumatore è su base personale. Le fonti commerciali sono rappresentate dalla pubblicità e da coloro che sono impegnati in un rapporto di tipo propriamente commerciale con il consumatore; i venditori sono un esempio di quanto appena detto. Vi sono poi le fonti pubbliche e il web (anche informazioni per un consumo critico). 70. Utilità L'utilità è il piacere procurato a un soggetto dal consumo di un bene o servizio che gli consente di appagare un determinato bisogno. In senso prettamente economico l'utilità è l'idoneità del bene economico o del servizio economico a soddisfare un bisogno economico dell’uomo. L'utilità non è una proprietà intrinseca del bene economico, l'utilità è un concetto soggettivo (utilità soggettiva). L'utilità economica è l'attitudine reale o presunta di un bene economico e soddisfare un bisogno economico. La presenza dell'utilità economica è, quindi, strettamente collegata all'esistenza di un bisogno economico. L'utilità si riduce man mano che il bisogno viene soddisfatto e scompare del tutto nel momento in cui il bisogno viene completamente soddisfatto. E', inoltre, un concetto relativo al bene/servizio in questione, alla scarsità e alle quantità già consumate dello stesso da parte dell'individuo (utilità relativa). Quanto più un bene è scarso ( scarsità ) rispetto a un bisogno tanto maggiore è la sua utilità. È possibile distinguere i seguenti concetti di utilità: UTILITÀ INIZIALE: è l'utilità ottenuta dall'utilizzo (consumo) della prima unità del bene economico. UTILITÀ MARGINALE: è l'incremento di utilità ottenuto tramite l'aumento di una piccola quantità infinitesimale, ossia marginale, del bene consumato. È l'utilità ottenuta dall'ultima unità consumata del bene economico. L'utilità marginale tende a decrescere con il consumo. È molto alta nella prima unità di consumo e decresce progressivamente con il consumo delle successive unità di consumo (utilità marginale decrescente). L'utilità marginale si annulla del tutto dopo il consumo dell'ultima unità di consumo, quando il bisogno economico viene completamente soddisfatto. UTILITÀ TOTALE: è l'utilità complessiva derivante dal consumo di una determinata quantità di un bene/servizio. È la somma delle utilità ottenute dal consumo di tutte le unità del bene. Esempio. Immaginiamo un gruppo di bambini che si divertono all’aperto in un assolato pomeriggio d’estate. Dopo aver giocato e corso, hanno caldo e molta sete. Qualcuno, fra gli adulti presenti, offre loro un bicchiere d’acqua, che i piccoli accettano molto volentieri: li disseta e dà una sensazione di sollievo e refrigerio. Finito il primo bicchiere, ne chiedono subito un altro: non provano più l’arsura di qualche momento prima, ma hanno ancora sete e bere fa ancora piacere. Terminato anche il secondo bicchiere, ne chiedono un terzo, ma smettono quasi subito di avere sete: sentono la pancia piena e fanno fatica a finirlo. Se qualcuno offrisse loro un quarto bicchiere d’acqua, lo rifiuterebbero. A qualche bambino, magari, l’idea di bere darebbe addirittura fastidio. Questa scena comune e ordinaria illustra il concetto di utilità marginale decrescente. L’utilità che ci procura un’unità in più di un bene, cioè la sua utilità marginale, non è sempre uguale. Riprendiamo l’esempio dei quattro bicchieri d’acqua, per esprimere il concetto nei termini più semplici possibili. Riuscire a ottenere quantità maggiori di qualcosa che già possediamo (bere un bicchiere d’acqua in più dopo che abbiamo già placato la nostra sete) non è come ottenere qualcosa che vorremmo avere, ma non abbiamo ancora. Se otteniamo qualcosa che non abbiamo, normalmente siamo più soddisfatti di quando aumentiamo semplicemente la quantità di qualcosa che già possediamo. Se siamo scalzi, acquistare il nostro primo paio di scarpe ha un’utilità molto maggiore, cioè ci rende molto più soddisfatti, del terzo, del quinto o del decimo. Ecco perché la domanda, in condizioni normali, prevede una relazione negativa fra quantità e prezzo: per spingere un consumatore ad acquistare quantità crescenti di uno stesso bene, il prezzo delle nuove unità deve scendere (domanda legata ad utilità). La prima unità di consumo (A) consente alla persona di beneficiare di un'utilità iniziale molto alta (U1). La seconda unità di consumo (B) offre un livello di utilità inferiore (U2) rispetto alla prima, e così via. Secondo la legge dei bisogni saziabili [intensità di un bisogno economico si riduce progressivamente con il suo soddisfacimento] un bisogno si riduce di intensità man mano che viene soddisfatto. Alla sesta unità di consumo (F) il bisogno è completamente soddisfatto e l'utilità marginale del bene si annulla. Ogni ulteriore unità consumata del bene dopo il punto F causa alla persona utilità negativa (fastidio). UTILITA è SEMPRE UGUALE? Assume mai segno negativo? NO ARRIVA A ZERO. Lancaster Secondo l’approccio di Lancaster (1966), l’utilità non si esprime in termini di quantità di prodotto, bensì in termini di quantità di caratteristiche del prodotto. Il consumatore per massimizzare la sua utilità non valuta i beni, ma le singole caratteristiche degli stessi, scegliendo quel prodotto che presenta la combinazione di attributi che gli fornisce la maggiore soddisfazione. Teoria di Lancaster: l'utilità goduta dai consumatori deriva dalle caratteristiche possedute dai beni consumati piuttosto che dai beni stessi; ciò garantisce un maggiore realismo. Nella teoria del consumo di Lancaster (proposta inizialmente nel 1966) ogni bene possiede una o più caratteristiche combinate fra loro in proporzioni fisse; ogni singolo bene, o un insieme di beni, costituisce un'attività di consumo che può essere svolta a diversi livelli; l'utilità che i consumatori massimizzano è funzione delle caratteristiche dei beni. Il problema di massimizzazione posto in questi termini può essere trattato in modo analogo a un tipico problema di activity analysis applicato alla produzione. L'originaria analisi di L. è stata poi sviluppata da altri autori; ma questo approccio non è riuscito ad assumere una posizione dominante rispetto alle teorie del consumo più tradizionali. Lancaster ha sviluppato il suo impianto teorico applicandolo anche ad altri campi, come la teoria dei mercati, l'economia del benessere, la teoria del commercio internazionale. Lancaster ha altresì rivolto la sua attenzione ad altri aspetti della disciplina economica. Arrivati a questo punto (valutazione delle alternative), il consumatore è in grado di prendere la propria decisione di acquisto. Deciderà sia in base a una serie di elementi personali, che elementi esterni. In primo luogo il soggetto è influenzato dall’atteggiamento degli altri. Poi vi sono una serie di elementi di contesto prevedibili o meno, che possono influire. Per esempio il reddito percepito, piuttosto che i cambiamenti nei prezzi, il beneficio atteso. Infine, da non sottovalutare è la qualità percepita dell’esperienza avuta con il PERSONALE DI VENDITA. Se l’interazione con il personale addetto alla vendita è positiva, allora è più probabile che si perfezioni l’acquisto. Vi è poi il post acquisto, ovvero tutto ciò che avviene dopo l’acquisto. È in questo momento che il consumatore può percepire una discrepanza tra quelle che erano le sue aspettative e le prestazioni del bene/servizio. Si parla in questo caso, di DISSONANZA COGNITIVA. Entrano qui in gioco gli operatori di marketing e il marketing. I soggetti che fanno parte del marketing devono operarsi per massimizzare la soddisfazione e ridurre l’insoddisfazione post-acquisto. Un esempio che ci può aiutare a capire meglio la situazione è relativo al cibo bio. Il consumatore nel caso dell’acquisto di prodotti organici ha informazioni limitate, ovvero: - Ha una limitata capacità di riconoscere i prodotti green - Contemporaneamente la presenza di etichette non induce necessariamente la fiducia. - La disciplina sul bio è eterogenea e gli standard di certificazione possono variare. Inoltre c’è un problema di fiducia generale nel confronto del produttore; la domanda del consumatore è “ma il produttore sarà realmente bio?”. Per il consumatore Green, che il prodotto sia “bio” è un plus, una caratteristica determinante sia perché si sposa una certa filosofia, sia perché è difficile capire quali siano le caratteristiche dei prodotti Green. E infine le informazioni contenute in etichetta sono veritiere? Che ruolo hanno? Comprare un prodotto bio per il consumatore significa essere in qualche modo attenti alla propria salute. Poiché le competenze specifiche mancano, ecco che il consumatore si affiderà alla propria percezione. Entra in gioco un meccanismo basato su quelle che vengono chiamate caratteristiche di fiducia. In particolare le caratteristiche di fiducia sono caratteristiche, che, come suggerisce il nome, sono difficili da verificare, ma sono estremamente importanti all’interno del processo di scelta del consumatore. Il PRODOTTO DI FIDUCIA, quindi, sarà un prodotto in cui il consumatore è impegnato in una valutazione determinata dalle percezioni individuali. [I lavori di Nelson (1970) e Kami (1973) sono i principali punti di riferimento a livello teorico]. 59.Utilità neoclassica La teoria neoclassica, (teoria economica che nasce nel XIX secolo (anni 7090) e si afferma nel XX secolo) è caratterizzata da un approccio utilitarista nell’analisi delle decisioni: in particolare il soggetto considera benefici e sacrifici correlati a una scelta e di conseguenza si vanno ad adottare quelle scelte che hanno un insieme di conseguenze più piacevoli rispetto ad altre. Gli assunti teorici neoclassici trasposti alle imprese, portano a una rappresentazione ideale della realtà (il decisore aziendale è perfettamente razionale; la diffusione dell’informazione nel mercato è perfetta; le imprese sono in una posizione di eguaglianza tra loro; vi è un unico soggetto decisore interno all’azienda; il profitto di equilibrio è tendente a zero). La realtà è più complessa, ma le semplificazioni costituiscono il modello di partenza. Il consumo riflette una strategia di vita del consumatore: il consumatore, infatti, attraverso il mix di consumi tenta di costruire il proprio progetto di vita. Semplicisticamente parlando molti possono obiettare che questo è dovuto al consumismo, sottolineando l'accezione negativa del termine. Ma queste scelte possono essere condotte anche in positivo: si pensi al fairtrade, piuttosto che ai trend vegan, o agli acquisti in qualche modo solidali. 71. Consumi di vario tipo (aggregati = macroeconomica ; microeconomia = del singolo) Il consumo può essere classificato anche: §CONSUMO INDIVIDUALE: è la decisione di spesa in beni e servizi di un singolo agente economico. È studiato nella microeconomia. Secondo la teoria neoclassica, un consumatore decide la quantità di consumo che massimizza la propria funzione di utilità, in base alle sue preferenze, al prezzo del bene e al suo reddito (vincolo di bilancio ). §CONSUMO AGGREGATO: è la somma della spesa in beni e servizi di tutti gli agenti economici in un sistema. È studiato nella macroeconomia. MICROECONOMIA è lo studio dell'economia a livello individuale, di gruppo o aziendale. La MICROECONOMIA si concentra su questioni che riguardano gli individui e le aziende. Questo potrebbe significare studiare l'offerta e la domanda di un prodotto specifico, la produzione di cui un individuo o un'impresa è capace, o gli effetti delle normative su un'impresa. La MACROECONOMIA, invece, è lo studio di un'economia nazionale nel suo complesso. La MACROECONOMIA si concentra su questioni che riguardano l'economia nel suo complesso. Alcuni dei focus più comuni della macroeconomia sono i tassi di disoccupazione, il prodotto interno lordo di un'economia e gli effetti delle esportazioni e delle importazioni. Mentre entrambi i campi dell'economia utilizzano spesso gli stessi principi e le stesse formule per risolvere i problemi: La MICROECONOMIA è lo studio dell'economia su scala molto più piccola. La MACROECONOMIA è lo studio delle questioni economiche su larga scala. CONSUMI INDIVIDUALI: detti anche consumi finali delle famiglie, sono costituiti dalle spese sostenute dalla famiglia per l’acquisto di beni (esclusi fabbricati, gioielli e oggetti di valore, che rientrano tra gli investimenti) e servizi. l’insieme dei consumi individuali offre una prospettiva dei consumi di una collettività. In economia il consumo o domanda rappresenta una variabile macroeconomica di grande importanza in quanto correlata alle altre grandezze macroeconomiche e in grado di determinare, come una delle cause prime dal basso, le tendenze di crescita, stagnazione o recessione all'interno del sistema economico. Consumo e produzione tendono all'equilibrio in risposta all'equilibrio tra domanda e offerta. In particolare sempre a livello macroeconomico si può distinguere tra CONSUMI INTERNI alla nazione e CONSUMI ESTERNI ovvero la quota parte di produzione destinata all’export. 72. Quando si sceglie un bene al posto di un altro, cosa si misura? PROPENSIONE MARGINALE AL CONSUMO: è determinata dal rapporto tra le variazioni del consumo e le variazioni del reddito disponibile. Consente di misurare quanto variano le quantità consumate di bene/servizio al variare del reddito. La propensione marginale al consumo è caratterizzata da un andamento decrescente al reddito. A bassi livelli di reddito la propensione marginale al consumo è molto alta, poiché l'individuo deve soddisfare i bisogni di base della propria esistenza. Man mano che cresce il reddito, la propensione marginale al consumo si riduce. Al crescere del reddito l'individuo destinerà al consumo una proporzione inferiore dell'incremento di reddito, a favore del risparmio. 73. Come sono cambiati i consumi alimentari nei paesi sviluppati Il marketing si adegua ad i cambiamenti di abitudini alimentari nei paesi sviluppati.oIl SALUTISMO è entrato ormai a pieno titolo tra i nuovi stili alimentari, sempre più attenti alla provenienza, alla stagionalità e alla qualità dei prodotti acquistati e consumati. Secondo i dati è in aumento la consapevolezza dei consumatori circa lo stretto rapporto tra cibo, salute e benessere. (FIPE, 2018) Ad esempio in Italia, il 97,1% degli intervistati ha dichiarato di essere consapevole del fatto che la propria salute dipende da ciò che si mangia, consapevolezza che si riflette nelle scelte quotidiane di acquisto e di consumo. Il 71,8% dei consumatori, infatti, si informa regolarmente sulla provenienza e sulla qualità dei prodotti acquistati, mentre l’89,1% ritiene che anche ristoranti ed esercizi commerciali siano più attenti ad offrire alla clientela alternative di piatti salutistici. o Altro trend in ascesa è la crescente richiesta di cibi prodotti in modo ETICO. Il 41,6% degli intervistati, infatti, ha dichiarato di aver acquistato nel corso dello scorso anno prodotti alimentari per motivazioni di carattere etico e sociale. Percentuale che sarebbe disposta a pagare un prezzo superiore alla media per acquistare prodotti del genere. In conclusione, il cambiamento degli stili di vita, dei ritmi quotidiani e delle abitudini di acquisto e di consumo sta modificando sensibilmente la relazione con il cibo, determinando così la nascita di nuovi stili alimentari che impongono alle imprese un supplemento di responsabilità, necessario per garantire qualità, sicurezza e salute -> marketing offre delle risposte. Disuguaglianze - Il clima e il divario Nord-Sud La gran parte dei Paesi sottosviluppati sono situati nel Sud del mondo, dove vi sono temperature elevate, spesso lunghi periodi di siccità e gravi difficoltà di approvvigionamento idrico. L’incremento demografico Un fattore che è in stretto rapporto con lo sviluppo economico è l’incremento demografico della popolazione. Si osserva, infatti, che: 1) aumentando il reddito medio pro capite in misura superiore al tasso di incremento demografico, si ha una fase di sviluppo economico; 2) aumentando il reddito medio pro capite in misura inferiore al tasso di incremento demografico, si ha una fase di regressione. Situazione politica In molti Paesi del Sud del mondo non si è ancora affermato alcun principio di democrazia. L’intolleranza tra le varie etnie e i motivi religiosi sono spesso la causa di gravi conflitti. Per tali motivi, in questi Paesi si spendono notevoli risorse per l’acquisto di armi, con conseguente crescita dell’indebitamento verso l’estero. L’emigrazione In presenza di grave sottosviluppo numerose persone emigrano verso i Paesi più ricchi nella speranza di trovare lavoro e benessere. Il fenomeno emigratorio si acuisce ulteriormente in presenza di conflitti o di governi totalitari, per cui vi sono anche profughi che chiedono asilo politico nei Paesi democratici. Questo fenomeno, in larga espansione, da una parte fa sì che la nostra società diventi multietnica e, dall’altra, metta a dura prova, nei fatti, i principi della tolleranza e della solidarietà nei Paesi ospitanti. Il circolo vizioso della povertà In molti Paesi sottosviluppati, non vi è alcuna possibilità di avviare attività produttive autonome. I redditi estremamente bassi consentono al massimo la sopravvivenza, per cui non è possibile dedicarne parte al risparmio (e quindi agli investimenti). Questi Paesi pertanto cercano finanziamenti all’estero, che dovranno essere restituiti con gli interessi e che assorbono pressoché tutte le entrate relative alle esportazioni. Di conseguenza, essi richiedono ulteriori finanziamenti, aumentando l’indebitamento verso i Paesi ricchi, e così di seguito, in un circolo vizioso dal quale non riescono ad uscire, con un conseguente costante impoverimento. Squilibrio Attraverso secoli di accaparramento e sfruttamento delle risorse, il Nord ha concentrato tutta la struttura produttiva nella sua parte di mondo. Il risultato è stato di controllo economico mondiale e di poter disporre dei beni vitali: acqua e cibo. Il Nord ospita il 23% della popolazione planetaria e consuma 84% del prodotto lordo mondiale, mentre il Sud ospita il 77% della popolazione planetaria e consuma 16% del prodotto lordo mondiale. Percentuale media delle calorie consumate rispetto a quelle richieste: Italia 150% Nigeria 83% Etiopia 75% India 91% Paesi che hanno a disposizione un solo tipo di alimento La prevalenza di un solo elemento base nell’alimentazione (generalmente un cereale) dà luogo a diete prive di quella varietà e di quei nutritivi che sono necessari per un’alimentazione equilibrata che genera malnutrizione. Nei Paesi poveri, in media, i cereali forniscono il 61% delle calorie e nei Paesi ricchi solo il 24%. Anche la mancanza di acqua è un problema. Disponibilità procapite di cereali Paesi ricchi —> più di 2,5 Kg al giorno Paesi poveri —> meno di 500 g al giorno Consumo di cereali —> 5 volte maggiore rispetto ai paesi poveri. Solo una piccola quantità viene consumata direttamente sotto forma di pasta, pane. La maggior parte viene consumata in forma indiretta (carne, latte e uova) perché utilizzata per l’alimentazione degli animali. La malnutrizione, secondo la definizione dell'OMS, è uno sbilanciamento fra l'introito di energia e nutrienti e il fabbisogno per la crescita e il mantenimento di specifiche funzioni dell'organismo. Rientrano nella categoria della malnutrizione sia l'iponutrizione o malnutrizione per difetto (difetto di peso) sia la ipernutrizione o malnutrizione per eccesso (eccesso di peso). Consumi e mutamenti economici e sociodemografici L’alimentazione varia a seconda del luogo di stanziamento e quindi delle ricchezze del territorio. Un ambiente poco produttivo (per clima, terreno arido, scarsità di animali e di vegetazione) è stato sempre immediatamente scartato. I modelli alimentari sono il risultato di realtà sociali ed economiche, di tradizioni e culture, condizionate dalle scelte e dagli indirizzi imposti dall’industria alimentare mondiale.