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Capitolo II -
La piramide delle abilità
Vi iscrivete in palestra, il primo esercizio che vi fanno provare o voi stessi proverete è la famosa quanto famigerata panca piana. Provate, sarete tremolanti, asimmetrici, rigidi ma 20, 30 ma anche 40 kg sul bilanciere non si negano a nessuno. È la caratteristica degli esercizi sul bilanciere: la
modularità del carico che permette, se non sono eccessivamente difficili, di poterli provare fin da
subito.
Certo, fra 30 kg e 120 kg c’è da vedere tutto un film, anzi, una trilogia se non una serie di film
e per molti carichi sopra i 100 kg saranno impossibili. Però è possibile iniziare fin da subito con
l’esercizio.
Un esercizio, altro non è che un gesto motorio, anzi: è un problema motorio a cui dobbiamo
trovare una soluzione, appunto, motoria.
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Possono esistere molti modi per risolvere un dato problema motorio, ma se il gesto è praticato
da molte persone, viene a definirsi una codifica dei modi più utilizzati, una prassi, uno standard per
la risoluzione: è la tecnica dell’esercizio. Possiamo perciò definire la tecnica di un esercizio come
la miglior soluzione a un problema motorio che l’esercizio pone, con l’uso più efficiente della forza muscolare del soggetto. Nel caso degli esercizi con bilanciere, più efficiente significa che a parità di “energia muscolare” sarà possibile eseguire quel gesto per più tempo, più ripetizioni, o con
più carico.
Nel caso della panca piana è possibile apprendere la tecnica esecutiva… praticando con certi
criteri, con certe attenzioni, proprio la panca piana stessa. Come si suol dire, “la pratica perfetta
rende perfetti” e la ripetizione del gesto, ripeto secondo i canoni tecnici dell’esercizio, nel tempo
farà migliorare. Sebbene gli esercizi a corpo libero condividano con gli esercizi con bilanciere alcuni elementi comuni (ad esempio le zavorre permettono di modulare il carico), vi sono anche importanti differenze. Prendiamo i piegamenti sulle braccia, le classiche “flessioni da caserma”: non
è detto che un soggetto riesca a farne una alla prima, perché deve riuscire a sostenere una frazione
considerevole del proprio peso corporeo!
Negli esercizi a corpo libero è necessario gestire il proprio peso corporeo, in blocco, senza modulazioni a meno di non segarsi una gamba o un braccio. Se per chiunque è possibile fare panca
alla prima, per chiunque non è in generale possibile fare un piegamento sulle braccia. Ma se non è
possibile questo… non è possibile nemmeno imparare praticando il movimento! Certo, a furia di
provare, e provare, e provare si riuscirà a fare dei piegamenti sulle braccia e da lì partire, ma sempre a furia di provare si potrebbe scoprire che è meglio partire con le ginocchia a terra per poi alzarne una, oppure con un movimento parziale per flettere sempre più le braccia.
Poiché l’esercizio target è difficile, è meglio arrivarci per gradi con una serie di esercizi propedeutici: “propedeutico”, dal dizionario “preparatorio allo studio di una disciplina”. Gli esercizi
propedeutici, o “le propedeutiche” sono tipiche dell’allenamento a corpo libero, una sequenza di
propedeutiche definisce il protocollo migliore per risolvere un dato problema motorio, un dato
esercizio a corpo libero, detto anche skill, abilità3.Per quanto sia possibile imparare un front lever
praticando il front lever, è sicuramente meglio dedicarsi a una serie di esercizi progressivamente
più difficili, propedeutici al front lever: questa è la modalità di apprendimento tipica del Calisthenics, dell’allenamento a corpo libero.
In questo capitolo sarà presentata la logica delle propedeutiche per praticare certi esercizi, logica che è… mia, ci tengo a precisarlo. Negli anni i risultati e i fallimenti conseguiti su di me e sulle
persone che alleno, atleti e non, mi hanno fatto sviluppare questo insieme di percorsi che reputo i
migliori per ottenere certi risultati. Questo non esclude che ve ne possano essere altri analogamente buoni, se non migliori di questi, semplicemente io vi presenterò ciò che per me funziona sulla
base della mia esperienza.
Semplificando un po’, è possibile suddividere i movimenti del Calisthenics in due grandi classi: i movimenti di tirata, dove il peso corporeo viene “tirato” per sollevarlo e i movimenti di spinta dove, invece, viene “spinto”. In questo capitolo proporrò una visione d’insieme di una parte degli esercizi che verranno trattati nel resto del libro, per permettere di comprendere le logiche delle
propedeutiche proposte. I disegni hanno uno scopo puramente indicativo, per dare la percezione
dei movimenti.
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Ovviamente le propedeutiche esistono anche negli esercizi con il bilanciere, e sono tipiche della pesistica olimpica,
meno del powerlifting, quasi assenti negli esercizi in palestra proprio perché è più efficiente concentrarsi fin da subito
sull’esercizio target a meno di situazioni particolari. Troviamo invece i complementari che sono una serie di esercizi che
rafforzano un esercizio target.
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Esercizi di tirata
Figura 2.1 – La piramide delle abilità per gli esercizi di tirata
In Figura 2.1 le piramidi4 degli esercizi degli esercizi di tirata che hanno all’apice il muscle up,
le trazioni a un braccio ed il front lever. Il comune denominatore di questi 3 esercizi è ovviamente
dato dalle trazioni prone, alla base di ogni piramide ho scelto le trazioni al petto perché la loro corretta esecuzione significa che si domina l’esercizio base, che si ha capacità di accelerazione verso
l’alto e che si è anche forti nei muscoli “collaterali” per gli esercizi di tirata (soprattutto il tricipite, che interviene molto quando arriviamo al petto ed anche in tutte le skill finali).
È doveroso poi specificare che le versioni quali L-Sit, gambe a squadra, con solo qualche dito
sulla sbarra e così via non le prendo in considerazione in questa piramide per via della difficoltà di
valutazione oggettiva.
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L’immagine della piramide, larga alla base e stretta alla sommità e la forma che va a stringere ha l’ovvio scopo di dare
l’immagine che ogni risultato si fonda su quello precedente che va consolidato prima di passare al successivo, lavorando
tanto più quanto l’esercizio è alla base del risultato finale.
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Trazioni prone
Figura 2.2 – Una schematizzazione di una trazione prona
Le trazioni prone alla sbarra, Figura 2.2, rappresentano uno degli esercizio principali di chi
pratica allenamenti a corpo libero. Nel capitolo 5 impareremo a farle mentre in Figura 2.3 alcune
delle propedeutiche proposte per le trazioni prone. Di seguito una loro breve descrizione.
Figura 2.3 – Alcune propedeutiche per le trazioni prone
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Trazioni orizzontali
Sono l’esercizio più semplice di trazione, e quello che presenta in pratica una scalabilità infinita; sovente, nei programmi TV tipo “in forma con pinco pallino, da ciccione a fisicato”, si vede
che i protagonisti, che partono da una condizione di grave sovrappeso, fanno questo esercizio praticamente da in piedi usando attrezzi in sospensione. La versione che ci interessa a noi è quella con
il corpo quasi orizzontale: arrivate a farne almeno 12 (la ripetizione è valida se si parte a braccia
distese e si conclude con la spalla supera il gomito) prima di passare all’esercizio successivo.
Trazioni verticali assistite
Le trazioni orizzontali non bastano da sole a costruire forza per le trazioni classiche; il motivo
è presto spiegato: esse sono un esercizio di trazione orizzontale, mentre quelle che rappresentano il
nostro obiettivo sono invece sul piano verticale. Ecco quindi che entra in gioco questo esercizio a
fare da connessione tra i due.
Le regole di validità riprendono quelle che sono le regole delle trazioni. La difficoltà cambia
molto in base all’assistenza; consideriamo, come livello standard, che i piedi posti sul rialzo siano
a livello dello stomaco quando siamo a braccia completamente distese (in modo quindi da potere
esercitare una buona pressione con le gambe per tutto l’arco del movimento) e arriviamo a fare 8
rep circa prima di passare al livello successivo.
Trazioni supine negative
Andiamo a “trasformare” la forza acquisita con gli esercizi precedenti nello schema motorio
che ci siamo prefissi di raggiungere; come standard, consideriamo negativa quando impieghiamo
almeno 6” da mento sopra la sbarra a braccia completamente distese, ovviamente a velocità costante. Quando riusciamo a fare 6/8 negative a questa velocità o una in circa 20”, passiamo
all’esercizio successivo. Si possono anche eseguire delle pause isometriche nei punti critici (al petto/mento sopra, a metà, poco sopra lo sblocco) come complementari.
Trazioni supine
Esercizio che non ha bisogno di presentazioni. Unica cosa che vado a sottolineare è che non è
richiesto arrivare ad eseguirle al petto per passare al livello successivo: la completa chiusura in supine non va a dare transfer rilevabili a quelle prone. Quando riuscite a fare almeno 5 ripetizioni
passate all’esercizio successivo. Durante questa fase consiglio anche pause isometriche prone
(specialmente con il mento sopra la sbarra) o negative come esercizi complementari per prendere
confidenza col movimento e con l’attivazione dei tricipiti.
Trazioni prone
Le trazioni per antonomasia: partite sempre da braccia distese e chiudete superando con il mento la sbarra sia sul piano verticale che su quello orizzontale. Prima di passare alla versione successiva, assicuratevi di averne 10/12, e soprattutto allenatevi anche ad accelerare il movimento, condizione indispensabile per arrivare allo stadio successivo.
Trazioni prone al petto
Come accennato in precedenza, per riuscire a eseguire questo esercizio dovete essere capaci di
accelerare per imprimere più velocità al movimento in fase di chiusura, quella dove intervengono
anche i tricipiti. Partirete arrivando a toccare la base del collo e via via arriverete sempre più in alto col corpo, sino ad arrivare a petto pieno o addirittura sotto.
Arrivate ad eseguirne 8 circa toccando la sbarra con il petto ad altezza capezzoli prima di passare alla fase successiva. Siamo all’apice della piramide delle trazioni; andiamo a vedere le 3 skill
che abbiamo fatto partire da qui.
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Capitolo III -
Ipertrofia a Corpo Libero
“Non voglio essere grosso come un culturista, voglio avere un fisico come quello lì…” o “come questo…” indicando una figura maschile con un fisico muscoloso ma asciutto e armonico, questo è ciò che mi sento spessissimo dire. Ragazzi che vogliono imparare le varie skill del Calisthenics per avere un fisico che possiamo definire “atletico”.
Entriamo perciò nel merito di quella che è la risposta ipertrofica dell’allenamento a corpo libero, ma rispondiamo subito a queste domande:
 L’allenamento a corpo libero fa diventare più muscolosi? Sì.
 L’allenamento a corpo libero fa diventare molto muscolosi? Dipende.
 L’allenamento a corpo libero è la cosa migliore per diventare muscolosi? No.
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Adattamento
“Allenarsi” è un sottoinsieme assolutamente ridotto dell’attività primaria dell’Uomo: la sopravvivenza. Il compito ultimo dell’organismo è sopravvivere all’ambiente esterno: la sopravvivenza all’ambiente per perpetrare la vita è il fine ultimo di ogni organismo del pianeta Terra.
Questa sopravvivenza si attua con un adattamento agli stimoli che l’ambiente impone: la messa
in atto di una soluzione che un individuo fornisce a un determinato problema postogli
dall’ambiente. Questa soluzione è tipicamente stabile nel tempo, altrimenti si definisce aggiustamento, come può essere l’aumento della sudorazione in un ambiente caldo, per fare un esempio.
Figura 3. – La classica curva della supercompensazione: l’organismo è in equilibrio con l’ambiente esterno, la linea prima
della barra, l’allenamento è uno stimolo che altera questo equilibrio. L’organismo si trova in difficoltà, è la fase di allarme,
ma poi cerca non solo di recuperare l’equilibrio iniziale compensando lo stimolo ma di spostarsi su livelli superiori, supercompensando il medesimo stimolo. Così facendo sarà più facile sopportare un ulteriore stimolo futuro. Se questo stimolo
non arriva, però, nel tempo si ha il ritorno alle condizioni iniziali
L’adattamento si manifesta con l’uso ottimizzato delle risorse minime per risolvere il problema, il principio dell’efficienza. Quelle risorse e null’altro, perché disperdere energie per uno scopo
che va oltre la richiesta imposta dall’ambiente, si risolverebbe con uno spreco e una carenza successiva per sopperire ad altri stimoli. L’adattamento è perciò specifico al problema.
È possibile essere, infatti, molto “forti” o molto “resistenti” ma non eccellere in entrambe le
qualità: le risorse sono sempre le stesse, solo si ripartiscono in maniera differente. Un allenamento,
pertanto, è l’esposizione del nostro organismo a uno stimolo predeterminato, e non casuale come
avviene in Natura, per ottenere un adattamento predeterminato e non casuale.
L’allenamento, la barra rossa in Figura 3., è uno stimolo che “fa andare giù le risorse
dell’organismo”, l’organismo reagisce per compensare questo stimolo, ma fa di più, dato che non
solo compensa lo stimolo, ma lo compensa… un po’ di più, cioè supercompensa. Supercompensare significa così “diventare più forte di prima”. Poi, se non c’è bisogno di mantenere questo stato,
torna ai livelli di origine.
L’allenamento a corpo libero è sempre una branca del resistance training, l’allenamento contro
resistenze (i “pesi”, in questo caso, il carico dato dal peso corporeo), perciò svilupperà gli stessi
adattamenti dell’allenamento in palestra con i bilancieri e i manubri, semplicemente in proporzioni
differenti.
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Dentro un muscolo
“Ipertrofia muscolare” è perciò il termine corretto per descrivere lo sviluppo in termini di volume e massa di un muscolo, è il modo scientifico per dire “divento grosso”: dietro questo termine
vi sono tutta una serie di reazioni metaboliche interne ai muscoli e causate dall’allenamento portano all’aumento degli elementi contrattili (che generano la forza muscolare) che di quelli non contrattili: non possiamo esimerci dal dare alcune nozioni di Fisiologia.
Figura 3.1 – Dal muscolo al sarcomero
La struttura di un muscolo al microscopio elettronico è simile a quella di una corda, Figura 3.1,
composta da tanti fascetti di cordicelle a loro volta formate da fili detti fibre muscolari. Le fibre
sono costituite da fasci di ulteriori strutture filamentose chiamate miofibrille, i fili di seta di cui si
compone un muscolo.
Ognuna di queste strutture è rivestita dalla sua brava guaina protettiva dove troviamo le sostanze nutritive, i vasi sanguigni, le terminazioni nervose e tutto il resto dell’armamentario che permette al muscolo di essere nutrito e coccolato per funzionare bene.
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Figura 3.2 – Un sarcomero con le varie bande
Un muscolo può presentarsi nelle forme più svariate, fusiforme come un bicipite o triangolare
come un dorsale. Alle estremità i muscoli si trasformano in tessuti robusti e fibrosi detti tendini. È
interessante notare come le miofibrille sottilissime si estendano per tutta la lunghezza di un dato
muscolo, anche per decine di centimetri.
Analizzando una miofibrilla si scopre che è costituita dalla ripetizione di celle elementari, tanti
mattoncini noti come sarcomeri, Figura 3.2, in cui è possibile evidenziare delle zone più chiare e
zone più scure che prendono il nome di dischi Z, banda A, banda I, banda H il cui significato sarà
chiaro fra poco.
Il sarcomero è detto unità contrattile del muscolo: accorciandosi, cioè riducendo la sua dimensione lineare, permette la contrazione muscolare. Ogni sarcomero è lungo circa due micron, due
millesimi di millimetro. Immaginatevi quanti ce ne sono in serie in ogni miofibrilla di un bicipite
omerale, lungo più di 20 cm: quando contraete i vostri possenti bicipiti in un curl con 50 kg state
facendo accorciare centinaia di milioni di piccolissimi sarcomeri.
Il meccanismo della contrazione muscolare prende il nome di “sliding filaments theory” o
“teoria dei filamenti scorrevoli” ed è relativamente recente, degli anni ‘50, quando il progresso
dei microscopi elettronici permise di osservare la struttura fine delle cellule muscolari.
Ogni sarcomero visto di profilo è costituito dalla sovrapposizione di filamenti di due proteine,
la miosina e l’actina, Figura 3.2 a destra. I filamenti di miosina sono, a loro volta, composti da molecole di miosina che hanno un corpo allungato e una “testa” piegata. Le molecole di miosina sono raggruppate in modo tale da creare una specie di bastoncino dove le teste formano un’elica.
I filamenti di actina, più piccoli, sono disposti intorno a quelli di miosina. In basso a sinistra in
Figura 3.2 una sezione di taglio: per ogni filamento di miosina ci sono intorno sei filamenti di actina, in modo da formare una struttura esagonale che permette di massimizzare gli elementi nello
spazio a disposizione, come per le celle di un alveare.
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Figura 3.3 – La contrazione di un sarcomero. Tutti i sarcomeri in serie accorciandosi determinano l’accorciamento
dell’intero muscolo
I filamenti di actina si ancorano ai lati del proprio sarcomero con quelli dei sarcomeri attigui
tramite dei legami con altre proteine e formano i dischi Z, visibili al microscopio come strisce più
scure. La banda H è invece una zona scura dove il bastoncino di miosina non ha teste e dove non
vi è presenza di filamenti di actina sovrapposti. La colorazione delle fibre muscolari identifica la
presenza delle varie strutture.
Ecco due sarcomeri vicini, con l’indicazione di tutte le bande visibili al microscopio elettronico: a seconda del grado di sovrapposizione dell’actina sulla miosina le strutture formano colori differenti.
Il meccanismo della contrazione di un sarcomero è illustrato in Figura 3.3: l’actina scivola sulla miosina: poiché il “bastoncino” di miosina, considerato inestensibile, ha le teste da entrambi i
lati, sono i filamenti di actina a muoversi mentre la miosina rimane ferma. Questo provoca un avvicinamento delle estremità dei dischi Z e così i sarcomeri complessivamente si accorciano:
l’intero muscolo si contrae e le ossa ad esso collegate ruotano intorno alla relativa articolazione.
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Capitolo IV -
Riscaldamento e stretching
Il riscaldamento
Il riscaldamento è sicuramente la parte più importante dell’allenamento, e per molti anche la
parte più noiosa. "È peggio non riscaldarsi prima dell'allenamento o non fare stretching alla fine?" È una domanda che per mancanza di tempo, o appunto per noia, spesso ci si pone. Mentre
allo stretching è meglio dedicare una seduta a parte (o anche più di una), e considerarlo un allenamento vero e proprio, il riscaldamento ci prepara agli sforzi che andremo a fare, sia a livello di
forza che di mobilità; quindi è il primo aiutante nella prevenzione degli infortuni.
Ogni riscaldamento va contestualizzato, soprattutto in base a ciò che si sta allenando, al tempo
a disposizione, al livello atletico, alle esigenze fisiche e ai vari problemi posturali.
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Per essere valido, a mio avviso, deve essere composto da 5 punti:
1.
Rotazione articolare.
2.
Lavoro aerobico.
3.
Elastici.
4.
Mobilità dinamica.
5.
Preparazione generale e specifica.
Rotazione articolare
A
A
B
A
C
B
A
B
B
A
B
Figura 4.1 – In alto a sinistra circonduzioni a pugno chiuso, in alto a destra circonduzioni mani unite, al centro Flessione ed
estensione ad "onde, in basso a sinistra estensione dei polsi, n basso a destra flessione dei polsi
Facendo riferimento alla Figura 4.1:
 Circonduzioni a pugno chiuso e circonduzioni mani unite: 5/10 ripetizioni a esercizio.
 Flessione ed estensione ad "onde" con coinvolgimento dei flessori delle dita. Molto utile
anche per la prevenzione di fastidi ai gomiti: 5/10 onde da una parte e 5/10 dall'altra.
 Estensione e flessione del polso a ripetizione: 5 ripetizioni per esercizio.
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A
B
A
B
A
A
B
B
Figura 4.2 – In alto a sinistra estensione frontale della testa, in alto a destra estensione e flessione sagittale della testa, in
basso circonduzioni della testa
Facendo riferimento alla Figura 4.2:
 Estensione e flessione della testa sul piano frontale e sagittale : 5 ripetizioni per parte.
 Circonduzioni della testa: 5 ripetizioni in un senso e 5 nell'altro.
Considerando la Figura 4.3:
 Circonduzioni a 1 braccio: 5 ripetizioni avanti e 5 indietro, sempre controllate e ricercando
il massimo arco di movimento.
 Circonduzioni a 2 braccia: 10 ripetizioni avanti e 10 indietro, sempre controllate con le
braccia che passano vicino alle orecchie.
Considerando la Figura 4.4 e utilizzando termini non chinesiologici ma volgarmente pratici:
 Aperture mani altezza spalle. 10 ripetizioni controllate, senza molleggi e sentendo lavorare
i muscoli adduttori delle scapole: per a scaldare e allungare i fasci clavicolari del pettorale.
 Aperture mani a 45° circa verso l'alto e il basso: 5 ripetizioni controllate per parte, alternate. Utile soprattutto per i fasci inferiori del pettorale.
 Flessione (mani sopra la testa) ed estensione dell'omero: 5 ripetizioni controllate per parte,
alternate. Utile soprattutto per il lavoro sulla verticale.
 Aperture e chiusure: 5/10 ripetizioni un po’ più molleggiate delle precedenti: per finire il
lavoro sul pettorale e per rilassare i deltoidi posteriori dai movimenti dinamici precedenti.
61
B
A
B
A
C
C
Figura 4.3 – In alto circonduzione ad un braccio, in basso circonduzione a due braccia
In Figura 4.5:
 Circonduzioni del busto: 5 ripetizioni per parte.
 Torsioni del busto: 5 ripetizioni per parte.
 Flessione laterale del busto a braccio teso: 5/10 ripetizioni per lato in base alla mobilità del
muscolo gran dorsale.
In Figura 4.6:
 Estensione e flessione a gambe unite: 5 ripetizioni per parte. Chi ha poca mobilità potrebbe
sentire marcato il lavoro sui femorali: va benissimo, riscaldiamo anche quelli facendo le
nostre solite ripetizioni controllate.
 Rotazione delle anche a gambe divaricate: 5/10 ripetizioni per parte, alternate. è un esercizio che mi piace molto, soprattutto per quando devo fare lavori in retroversione di bacino a
gambe divaricate. Concentrarsi a spingere il bacino avanti a ogni movimento.
 Estensione e flessione a gambe divaricate (non riportate in foto): 5 ripetizioni per parte. Si
finisce la parte sul tronco, soprattutto sulla zona lombare, e si riscaldano ulteriormente le
gambe. In estensione concentrarsi a spingere bene coi glutei e in flessione si scalderanno
ancora gli estensori dell'anca. Prima delle propedeutiche "straddle" non deve mai mancare.
 Squat: 10/15 ripetizioni.
 Archer squat assistito: 5 ripetizioni per gamba. Aiutarsi con la mano sul ginocchio, sia a
scalare peso che a tenerlo "aperto" verso la punta del piede.
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B
A
B
A
B
A
Figura 4.4 – In alto a sinistra aperture mani altezza spalle, a destra aperture mani a 45° circa verso l'alto e il basso, in basso a sinistra aperture e chiusure delle braccia, in basso a destra flessione (mani sopra la testa) ed estensione dell'omero
A
B
D
C
A
B
Figura 4.5 – In alto circonduzioni del busto, in basso a sinistra torsioni del busto, in basso al centro e a destra fessione laterale del busto allungando il braccio
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Capitolo V -
Esercizi base
Tecnica dei piegamenti a terra
I piegamenti sulle braccia (impropriamente chiamati anche flessioni, di militare memoria) sono
sicuramente il più famoso e conosciuto esercizio a corpo libero, perché a chiunque nella propria
vita sarà capitato di dover fare dei piegamenti a terra, magari per punizione durante l’ora di ginnastica a scuola, o per imitare un amico che li stava facendo, o per mille altri motivi.
Nei film poi si vedono veramente spesso, da tutti quelli ad ambientazione militare, dove le povere reclute sono costrette a macinarne a centinaia, o anche in film di super eroi: basti pensare
all’allenamento di Bruce Wayne in Dark Knight Rises, dove nella prigione di Bane, per rimettersi
in sesto e andare a salvare Gotham, si mette a fare trazioni e piegamenti (lo sapevo io che mi mancavano solo i soldi per essere come Batman...).
È un esercizio di “largo consumo” ed è pertanto doverosa una trattazione, anche se in un allenamento a corpo libero avanzato difficilmente trova spazio, se non come complementare del complementare, o al limite per allenamenti finalizzati all’endurance, per un grosso problema di fondo:
il carico.
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Nei piegamenti, infatti, il carico da noi sollevato sarà abbastanza inferiore al nostro peso corporeo (circa il 60/70%), e per un esercizio di spinta orizzontale è veramente un carico molto molto
limitato; basti pensare che un normopeso, per essere decente, deve avere come massimale alla
panca (la “cosa” più simile ai piegamenti coi pesi) 1,5 volte il suo peso corporeo.
Ipoteticamente una persona di 80 kg dovrebbe mettersi sulle spalle 72 kg per mimare la tensione muscolare che si raggiunge con una panca a 120 kg. Un soggetto mediamente allenato spacca
tranquillamente i 20/30 piegamenti, range oltre il quale il transfer a livello di forza praticamente
scompare.
Stessa cosa avviene, per esempio, nelle trazioni: un soggetto che riesce a zavorrarsi con il suo
peso corporeo ed ha tranquillamente qualche trazione ad un braccio, se messo alla sbarra a fare un
massimale di ripetizioni senza aver allenato la resistenza in modo specifico, arriverà in un range
tra le 25 e le 33 trazioni: il limite appunto in cui le trazioni danno anche transfer di forza. Per arrivare oltre bisogna allenarsi in maniera molto specifica, e questo poi non darà praticamente transfer
negli esercizi di forza pura.
Se questo limite, che appartiene a tutti gli esercizi base del corpo libero, può, in trazioni e dip,
essere bypassato dalle zavorre, nei piegamenti questo processo difficilmente potrà avvenire: perché? Be’, provate nel vostro garage a mettervi 40 kg sulla schiena, da soli. Ecco, appunto, e 40 kg
sono ancora un carico esterno molto limitato nei piegamenti.
L’unico modo per aggirare questo limite è cercando di incrementare il livello di difficoltà, eseguendoli per esempio su supporto instabile, usando più un braccio rispetto all’altro e via dicendo.
Queste varianti comunque le vedremo a fine capitolo; ora andiamo a scoprire come si eseguono
correttamente i piegamenti sulle braccia.
Differenze fra piegamenti e panca piana
I muscoli coinvolti nei piegamenti a terra sono tutti quelli della spinta delle braccia in avanti, e
si sovrappongono a quelli della panca piana: nel caso specifico abbiamo il gran pettorale, il deltoide anteriore e il coracobrachiale che sono coinvolti nella flessione trasversale della spalla, mentre
abbiamo il tricipite brachiale e l’anconeo che sono coinvolti nell’estensione del gomito. Abbiamo
poi l’utilizzo dei muscoli stabilizzatori per la spalla, la scapola ed il gomito.
Figura 5.1 – Un piegamento a terra con torace “imbarcato”
La panca piana presenta, come già detto, un vantaggio in più rispetto ai piegamenti a terra, cioè
la possibilità di modulare l’intensità dell’esercizio attraverso il carico: basta caricare sempre di più
sul bilanciere e prima o poi l’esercizio diventerà sempre più difficile! Vi è però una peculiarità dei
piegamenti a terra non presente nella panca piana: la necessità del controllo del tronco ed in particolar modo della cassa toracica. In Figura 5.1 un classico piegamento a torace “imbarcato” dove
tronco e gambe formano una linea spezzata, una posizione esteticamente davvero inguardabile.
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Figura 5.2 – Il dentato anteriore, un muscolo che origina dalle prime 10 coste e si inserisce sul margine mediale e vertebrale della scapola. Abduce e ruota esternamente la scapola, facendola aderire al torace. I fasci inferiori deprimono la scapola, quelli superiori la elevano.
Un ruolo determinante per il corretto allineamento del tronco con le gambe è svolto da tutti i
muscoli addominali, insieme allo psoas, al retto del femore e a tutti i flessori delle cosce rispetto
all’anca, cosa che di sicuro non accade nella panca piana: per questo motivo i piegamenti a terra
sono un esercizio interessante per il potenziamento del core.
Figura 5.3 – Per passare da una posizione imbarcata del tronco, A, a una in linea con le gambe, B, è necessaria la contrazione degli addominali e dei flessori dell’anca ma anche del dentato anteriore, che verrà fortemente sollecitato: contraendosi a omero fisso per protrarre in avanti (sul piano trasversale) e in basso (sul piano sagittale) la scapola, determinerà il
sollevamento e la rotazione del torace per ottenere il suo allineamento con gli arti inferiori.
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In Figura 5.2 il muscolo dentato anteriore che è fortemente sollecitato nei piegamenti a terra.
Muscolo tipicamente inspiratorio, origina dalle prime 10 coste e si inserisce sul margine mediale e
vertebrale della scapola. A costole fisse abduce e ruota esternamente la scapola (i fasci inferiori
deprimono la scapola, quelli superiori la elevano), a scapola o omero fisso eleva le costole che è
quanto serve nei piegamenti.
Come mostrato in Figura 5.3, per passare dalla posizione A imbarcata a quella B con tronco in
linea con le gambe è necessaria la contrazione coordinata di addominali, flessori dell’anca ma anche del dentato anteriore che, a omeri fissi, permette l’elevazione e la rotazione della cassa toracica
e al contempo la protrazione e la depressione delle scapole stesse.
Il mantenimento della linea rettilinea fra piedi e spalle è così una caratteristica unica
dell’esercizio non presente nella panca piana, ed è il motivo per cui chi è già capace in
quest’ultima, pertanto ha livelli di forza assolutamente sufficienti per i piegamenti a terra, quando
li prova ha dolori post allenamento sotto le ascelle! È il dentato anteriore che viene sollecitato, a
differenza della panca piana.
Esecuzione
La posizione delle mani a terra è poco più ampia della larghezza delle spalle. Mettetevi a terra
con le mani larghezza spalle e aumentate il passo di una decina di centimetri sia a destra che a sinistra; le mani vi consiglio di tenerle leggermente extraruotate, per ridurre il carico articolare a livello del polso rispetto a tenerle in linea con il corpo.
Nella posizione di partenza, le spalle sono alla stessa altezza rispetto alla posizione a terra delle
mani o al limite pochissimo più avanti; in questo modo, quando si andrà ad eseguire l’esercizio, si
arriverà a toccare con il petto a terra quando questo sarà ad altezza delle mani.
Figura 5.4 – Un errore tipico nei piegamenti a terra proposti nelle palestre commerciali
Un errore che si vede spesso fare negli obbrobriosi corsi funzionali proposti dalle “globo
gym”, Figura 5.4, è quello di partire con le spalle più indietro delle mani, scendere portando avanti la faccia e arrivare, nel punto più basso (in cui ovviamente non si arriva a toccare il petto a terra
neanche per sbaglio) con le mani ad altezza spalla, i gomiti larghissimi e l’omero in posizioni al
limite della sua articolarità: più che dei piegamenti, delle ghigliottine.
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A
B
C
Figura 5.5 – Una corretta esecuzione dei piegamenti a terra
Per la descrizione del movimento corretto farò riferimento sempre alla Figura 5.5. In posizione
di partenza, le spalle sono protratte e depresse: la protrazione iniziale non dovrà essere accentuata
come quando si svolgono esercizi per la hollow, ma vanno in ogni caso tenute in spinta.
Man mano che si scende, si vanno ad aprire le spalle (le scapole si avvicinano tra di loro) fino
ad arrivare con il petto a terra. Dopodiché si inverte il movimento e si torna in posizione di partenza.
93
Capitolo VI -
Esercizi avanzati
Muscle up
Il muscle up è il simbolo del calisthenics, ed in genere dell’ondata di allenamenti “funzionali”
(volutamente virgolettato) degli ultimi anni. Già di per sé le trazioni rappresentano una prova di
forza notevole, ma ancora di più salire di forza sopra la sbarra fa capire di essere di un livello superiore ai comuni mortali che ci circondano.
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E
C
D
B
A
Figura 6.1 – Le varie fasi di un muscle up
Io stesso, ai tempi della mia iniziazione agli allenamenti a corpo libero, ero rimasto enormemente affascinato da questo movimento, e sognavo di saperlo eseguire e metterlo in pratica per destare lo stupore di chi mi circondava. Dal primo allenamento al parco al primo muscle up (oddio,
quello che pensavo fosse un muscle up), passò circa un mese, in cui tutti i giorni mi recavo a
“grindare” trazioni al petto e trazioni con l’applauso, nella speranza di veder coronare il mio sogno.
Durante l’esecuzione del primo muscle up, dimenticandomi che ci siamo evoluti dalle scimmie
grazie al pollice opponibile, eseguii l’esercizio con il pollice sopra la sbarra, e il risultato fu che il
mio braccio partì in avanti e mi schiantai di petto contro la sbarra: non potevo accettarlo, ero ad un
passo dal sogno e lo avevo fallito per un motivo così stupido. Aspettai quindi qualche minuto e ci
riprovai, stavolta con la presa corretta, e mi ritrovai lì, a rimirare il cielo dall’alto di quella scomoda e tremolante sbarra di legno: avevo raggiunto un obiettivo, e fu davvero un momento stupendo,
ero carico a mille!
Continuai ad allenarmi con costanza: qualche settimana dopo mi ritrovai ad accompagnare mio
padre alla fiera dell’elettronica di Reggio Emilia, e prima di cena passai davanti ad un parco pubblico: vi entrai nella speranza che vi fosse un percorso vita o una zona di allenamento che comprendesse delle sbarre per trazioni, e con mia enorme fortuna riuscii a trovarle. Qualche trazione di
riscaldamento e poi via, a macinare qualche ripetizione salendo oltre la sbarra!
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Spero che si evinca l’entusiasmo che provavo in quel periodo; diciamo che il muscle up rappresentava lo scoglio che ti faceva passare dalla condizione di: “sto in forma, mi alleno con trazioni, dip e piegamenti” a quella di: “Faccio calisthenics!”; almeno, questo era ciò che succedeva
ai miei tempi, quando il movimento era meno inflazionato.
Saper fare il muscle up ti rendeva parte di un qualcosa di superiore, facevi parte di una stretta
cerchia di persone in Italia (sempre per quel periodo) che aveva la forza di issarsi sopra la sbarra
con un movimento esplosivo, senza arrancare.
Arrivò poi il momento di un contest su internet, nel quale dovevamo montare un video che
comprendesse il meglio dei nostri allenamenti con una musica figa e carica in sottofondo, imitando
gli atleti d’oltreoceano o dell’est Europa.
Era poco più di due mesi che facevo calisthenics, quindi non avevo alcuna velleità di vittoria,
vista anche la presenza di persone molto più esperte, alcune delle quali forti abbastanza da completare i mitici “barbarians requirement”, che per quel tempo erano una performance elitaria a livelli
mondiali. Tuttavia ero gasato e mi piaceva molto l’idea di fare un video per vedere a che punto
fossi; quindi presi un paio di jeans vecchi, li tagliai modello “Hannibal for King” e via al parco.
Come ho già detto più volte in questo testo, l’esperienza con i primi video fu assolutamente
negativa, visto che nella mia testa il movimento veniva eseguito in un modo, ed invece nella realtà
era una cacca colossale.
Dei muscle up invece fui abbastanza soddisfatto: sì, c’era un certo kip con le gambe che non
era il massimo da vedere, ma per gli standard del tempo trasmettevano sufficiente potenza. Vedendoli ora, ovviamente, penso che fossero una cosa immonda che non meritava di essere filmata, ma
questo è il bello della nostra personale “evoluzione”.
Continuai quindi ad allenarli e migliorarli, raggiungendo un alto numero di ripetizioni “kippate”, ed infine anche riuscendo ad eseguirle “pulite”. Man mano che passava il tempo, però, si facevano strada nella mia mente movimenti più complessi (come planche, front lever, trazioni ad un
braccio) e la magia che dava il muscle up piano piano scemò, diventando un esercizio da allenare
una volta ogni tanto, per non perdere eccessivamente la confidenza con il movimento.
Perché questa lunga introduzione? Perché, come ho detto in precedenza, il muscle up rappresenta lo spartiacque tra il neofita e l’intermedio, tra chi ha appena iniziato e chi invece già si può
dire che se la cavi con il corpo libero. Chiunque mi contatti per essere allenato mi dice che uno dei
suoi obiettivi, a breve o a lungo termine, è quello di eseguire il muscle up, persino chi si allena più
per l’estetica che per obiettivi sportivi.
Essendo un movimento molto gettonato e bramato, è estremamente facile vedere delle esecuzioni immonde, che fanno davvero rabbrividire: ah, nota bene, non sto parlando delle esecuzioni
che si vedono nel CrossFit.
Qui i campioni li eseguono tutti uguali l’uno all’altro, facendo quindi intendere una enorme
padronanza del gesto e di ore spese ad allenarlo e perfezionarlo. Semplicemente quello è uno
schema motorio diverso rispetto a quello eseguito nel calisthenics: nel CrossFit si tratta di salire
sopra il supporto (che può essere la sbarra o gli anelli), usando tutto il corpo in sinergia; nel calisthenics invece si deve salire sopra il supporto usando solamente la propria forza di trazione, senza
che entrino in gioco elementi esterni. Due cose molto diverse, nessuna migliore dell’altra, semplicemente appartenenti a sport e visioni diverse.
Tornando a noi, come dicevo è facile vedere esecuzioni orrende da chi dice di fare calisthenics:
kipping assurdo delle gambe, dondolio esasperato (e spessissimo con un timing di esecuzione errato), salita asimmetrica delle braccia, e via dicendo.
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Anche tra chi è molto forte, il muscle up rappresenta un movimento insidioso: nella gara svoltasi il week-end di pasqua del 2016 alla palestra Diamond di Milano, tantissimi “big” sono caduti
nella gara di resistenza sotto i colpi del muscle up, mentre altri iscritti, visto l’andazzo, addirittura
hanno rinunciato a parteciparvi, rendendo chiaro che non si tratta di un movimento banale; per
eseguirlo è richiesto molto allenamento, e se trascurato porta a non essere in grado di svolgerlo
nella maniera perfetta.
Fasi del muscle up
Idealmente, questo esercizio viene suddiviso in tre fasi, in Figura 6.1 una rappresentazione:
 Fase di trazione.
 Fase di transizione.
 Fase di spinta.
In poche parole con un unico esercizio andremo ad allenare tutto l’upper body (parte superiore
del nostro corpo). Anche se, a dire il vero, questa è più una favoletta che viene raccontata per decantare la potenza di questo esercizio: fondamentalmente è un esercizio di trazione, e la fase di
spinta ha un ruolo molto inferiore nell’economia del gesto. Tornando al nostro discorso, per quanto riguarda il muscle up alla sbarra esplosivo (quello che vedremo cioè in questa parte di libro),
anche la fase di transizione ha un ruolo molto marginale: la stessa viene cioè “saltata” grazie al
movimento esplosivo in fase di trazione.
Per quanto riguarda la corretta esecuzione, si parte da appesi alla sbarra con le braccia in blocco articolare, con un minimo di movimento del corpo (da immobili, volutamente sottolineato, è
impossibile senza passare dal false grip e quindi una fase di transizione attiva, per via dell’ostacolo
della sbarra). Si esegue una trazione alta che permetta di superare con il petto la sbarra, ci si butta
in avanti con le spalle portando le mani sopra la sbarra mediante una rotazione delle stesse e si finisce l’esercizio eseguendo il dip nella fase di spinta, arrivando con le braccia in blocco articolare
sopra la sbarra.
Andiamo ad analizzare le fasi del movimento: ovviamente, la fase di trazione sarà quella su cui
qui avremo maggiore focus, perché è da essa che dipende la riuscita o meno dell’esercizio.
Trazione
La cosa fondamentale per apprendere il muscle up, ed il requisito indispensabile per esso, è
sviluppare una buona forza di trazione: se faticate ad arrivare col mento alla sbarra, è inutile pensare di apprendere il muscle up perché la strada è ancora molto lunga e bisognerà passare da varie
fasi. Prendiamo ora un caso comune: siamo discretamente forti con le trazioni e riusciamo ad arrivare bene col mento sopra la sbarra per più di una decina di trazioni; come facciamo da questo
punto a continuare il nostro allenamento per sviluppare il muscle up? Andiamo a vedere gli esercizi propedeutici.
Trazioni al petto sotto la sbarra
Il primo passo sarà quello di eseguire una trazione sbattendo violentemente il petto contro la
sbarra. Perché violentemente? Perché vuol dire che la velocità di trazione è molto buona, e poi dare delle “pettate” da far tremare la sbarra è molto utile per far capire chi comanda a chi è vicino a
voi. Per arrivare ad eseguire le trazioni al petto, dovrete diventare man mano sempre più forti nelle
trazioni classiche al mento. Non dovete però pensare solo al numero di ripetizioni a filo mento da
eseguire, perché questo non vi porterà al muscle up. Un errore che fanno in molti, infatti, è quello
di pensare che basti arrivare ad eseguire un numero N predeterminato di trazioni al mento, arrivare
magari anche a zavorrarsi, e che ad un certo punto il muscle up arrivi da sé.
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Figura 6.2 – Gomiti indietro per arrivare con il petto alla sbarra
Nulla di più sbagliato. Fintanto che non si riesce ad imprimere la giusta velocità all’esercizio,
non saremo mai capaci di giungere sopra la sbarra.
Per arrivare quindi alle trazioni al petto, non dovremo semplicemente aumentare il nostro numero di trazioni al mento (cosa che, fino a 25/30, rimane comunque sempre molto utile per tutto
ciò che è il mondo del corpo libero), ma dovremo cercare di imprimere alle stesse maggiore velocità, non limitandoci ad arrivare al mento ma sempre più in alto.
Se prendiamo un manico di scopa, e da sopra la testa mimiamo con esso una trazione, noteremo che arriveremo circa sotto il collo, con le mani sopra le spalle, finché terremo gli avambracci
perpendicolari al terreno, Figura 6.2 a sinistra. Per arrivare invece in mezzo al petto, dovremo portare i gomiti all’indietro, Figura 6.2 al centro.
Stessa cosa avviene quando invece del manico di scopa eseguiamo le trazioni alla sbarra: per
arrivare a toccare con la sbarra in mezzo al petto dovremo portare, una volta superata con il mento
la sbarra, i gomiti all’indietro, Figura 6.2 a destra, mentre al contempo stiamo trazionando: in questo modo anche i tricipiti giocheranno un ruolo attivo (l’isolamento esiste?), anzi indispensabile,
per permetterci di applicare forza negli ultimi cm ed arrivare al petto.
Questo portare indietro i gomiti non è comunque una cosa che è estremamente visibile o troppo
complessa: vi verrà molto naturale e a video/foto si vedrà molto poco, soprattutto se frontali (cosa
che invece non accadrà con la versione successiva).
Tutto questo avverrà stando “perfettamente” sotto la sbarra (tra virgolette, perché perfettamente vuol dire fisso ed immutabile e non è mai così), aprendo la gabbia toracica e con le spalle retratte e depresse. Ricordatevi sempre di mantenere le scapole attive durante le trazioni, per non incorrere, soprattutto in negativa, in movimenti che mettono a rischio la spalla.
Trazioni al petto lontano dalla sbarra
Dette anche trazioni modello muscle up. Per quanto possiamo essere forti ed esplosivi, fintanto
che resteremo sotto la sbarra, non potremo mai arrivare sopra di essa (a meno che non la spaccate a
suon di pettate, ma fate prima a spaccarvi voi); questo perché, a differenza che con gli anelli, la
sbarra rappresenta un ostacolo che va aggirato.
171
Capitolo VII -
Esercizi isometrici
Front lever
Il front lever, nella foto di apertura del capitolo, è una posizione isometrica in cui il nostro corpo è appeso alla sbarra, parallelo al terreno ed in posizione supina. Rappresenta un esercizio di trazione orizzontale. È una delle isometrie, a corpo libero, più famosa e allo stesso tempo ricercata
(tantissimi ragazzi che seguo hanno come obiettivo il front lever).
Questo perché non è estremamente difficile come può essere la planche, né semplice come un
back lever (che fatto alla pene di segugio si raggiunge abbastanza in fretta), quindi questo stare a
metà tra il facile ed il difficile, che ci mette di fronte ad un progressione sì lunga ma con miglioramenti decisi e costanti, affascina molto l’utente che si approccia al calisthenics.
Come molti esercizi a corpo libero, è attorniato da leggende sulla sua esecuzione: “per eseguire il front lever devi essere in grado di fare una trazione con l’80% del peso corporeo”, “il front
lever è 70% schiena e 30% addominali”, per citare le più famose.
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Partiamo col dire che rispetto ad altre dicerie, queste sono abbastanza logiche, anche se ovviamente non precise al 100%. Andiamo ad analizzare quanto detto sopra: entrambe le affermazioni
sottolineano la necessità di avere muscoli dorsali estremamente forti, la seconda inoltre ribadisce il
ruolo predominante della schiena sull’addome (core); la posizione di orizzontale, infatti, può far
pensare che questo sia un movimento prevalentemente di addome, e ciò crea grossa disinformazione su questo esercizio.
Chi mastica molto poco di allenamento, vedendo atleti avere gli addominali in contrazione
estrema durante l’esecuzione del front lever, penserà: “ehhhh, ci vuole tantissima forza di addominali”; stessa disinformazione creata da atleti anche molto famosi e navigati, che nelle loro interviste riguardo al front lever (ma anche al calisthenics tutto), lo etichettavano come un “It’s all about
core, all core, do you feel me?” (per i non anglofoni: “dipende tutto dall’addome, mi capisci?”).
Anche celebri personal trainer nostrani vendevano il front lever (anzi, le sue propedeutiche soprattutto, visto che non sapevano farlo) come “esercizio per l’addome”. In realtà, il front lever è
un esercizio in cui sono coinvolti principalmente i muscoli di tirata, e non succederà mai che perdiate la posizione isometrica di front perché vi ha ceduto l’addome e non la schiena.
Le percentuali precise ovviamente hanno poco senso, ma un discorso articolato è in effetti meno efficace di dire “il front è 70% schiena e 30% addome”. Alla gente piacciono le cose sbrigative, è un mondo con troppa fretta per perdere tempo ad ascoltare le spiegazioni dettagliate.
In ogni caso, dopo questo discorso non pensiate che il ruolo del core sia trascurabile: un lavoro
poco attento e superficiale nelle propedeutiche e negli esercizi specifici vi porterà a non sviluppare
una buona tenuta in retroversione, causando un front lever dalla forma non perfetta.
Queste cose, però, le vedremo poi. Inoltre, anche allenando solo il front lever, avrete un addome infinitamente più forte ed efficace rispetto a chi si ammazza di crunch o anche di esercizi più
complessi: insomma, il ruolo preponderante è del dorso, ma anche il core ci mette del suo e sarà
molto stimolato.
Per quanto riguarda invece il sollevare l’80%, ovviamente dare percentuali sicure su esercizi
diversi non è mai una cosa saggia. Come già detto, avere molta forza di trazione è indispensabile,
ma sono due esercizi diversi, che lavorano su due linee di spinta diverse (verticali e orizzontali).
Il transfer c’è, ma non si può dare un valore fisso e certo: ho molti esempi di ragazzi che lo
hanno raggiunto ben prima, ed altri che lo hanno raggiunto dopo l’80% del peso corporeo come
zavorra in trazione. Anche la composizione corporea gioca un ruolo fondamentale in queste valutazioni.
Concludendo il discorso su questi numeri, possono essere utili per farsi un’idea generale, ma
non vanno spacciati come assoluti. Dalla mia esperienza personale, questo esercizio è un grande
costruttore di massa; sia l’isometria che i lavori dinamici (come pull up in front lever) modelleranno e aumenteranno la massa muscolare della vostra schiena.
Essendo, in generale, un esercizio di trazione orizzontale molto impegnativo, pone i muscoli in
tensione su angoli non abituali. La varietà di stimoli ed angolazioni permette di generare migliori
risposte per lo sviluppo della massa muscolare. Inoltre, come detto poc’anzi, anche il core sarà
estremamente stimolato e ne potrete vedere i benefici.
Da dove partire? Quando partire?
A differenza di altri esercizi a corpo libero come trazioni, dip, OAP ecc. la discriminante qui
non sarà solo il peso. Mentre nelle trazioni possiamo dire che il soggetto X di 90 kg faccia più fatica del soggetto Y di 60 kg, qui un'altra variabile entra in campo: l’altezza.
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Ora si può effettivamente disquisire sul fatto che non solo l’altezza ma anche la distribuzione
del peso influisce sulla reale difficoltà che presenta il front lever per un soggetto, ma cerchiamo di
semplificare le cose: se sei alto 160 cm, anche se hai le gambe per squattare 250 kg troverai il front
più semplice rispetto ad uno di 190 cm, che oltre ad essere più lungo probabilmente peserà anche
di più, e troverà l’esercizio più difficile anche con una minor ipertrofia degli arti inferiori.
Presupponendo una distribuzione corporea uguale (del resto siamo tutti esseri umani e, a parte
qualche caso estremo, siamo morfologicamente simili), all’aumentare dell’altezza, la leva diventa
più sfavorevole e la difficoltà aumenta. Del resto si sa, il corpo libero è a vantaggio dei più piccolini, ma bando alle ciance e non scoraggiamoci per queste piccolezze: magari non avete la struttura
per fare il record del mondo, ma potete benissimo imparare questa posizione.
Quando si può iniziare l’allenamento per il front lever? Generalmente, le prime propedeutiche
si potranno affrontare una volta che avrete raggiunto 10-12 trazioni prone complete, avendo però
allenato simultaneamente anche le trazioni orizzontali (qui non c’è un massimale, in genere basterà
allenarsi con serie sulla decina di ripetizioni, stile 3x10).
A livello di mobilità articolare, almeno inizialmente, il front lever non ha grandi richieste: man
mano che andrete avanti, però, dovrete avere una buona mobilità dei muscoli delle gambe, del gluteo e del bacino per riuscire ad avere una linea “dritta” mantenendo la retroversione.
In mancanza di ciò le vostre gambe non saranno parallele al terreno ma leggermente oblique, e
per ovviare a ciò dovrete usare dei compensi come iperestendere la zona lombare: da questo punto
di vista, è importante anche aver rinforzato l’addome con gli esercizi specifici (come la barchetta,
che alla fine è un front lever a terra, prima e dragon flag poi), questo per mantenere una corretta
retroversione ed evitare di “perdere” il bacino. Quindi, parallelamente alla fase di rinforzamento
della muscolatura dorsale, andate a lavorare sulla mobilità della parte bassa del corpo e sul rinforzo addominale.
Importante invece sarà il lavoro da svolgere dopo o durante le serie di front lever per quanto riguarda la mobilità toracica: infatti il front lever tenderà a “chiudervi”, ed è bene dedicare, anche
durante le pause tra le serie, del tempo per allungare il dorsale ed aprire la gabbia toracica. Per gli
esercizi specifici andate alla sezione stretching del libro.
Propedeutiche per il front lever
Vediamo come si può allenare il front lever. In maniera indiretta lo abbiamo già detto, ma ripetersi non fa male; esercizi di trazione (sia orizzontale che verticale) ed esercizi per l’addome saranno estremamente utili (per non dire indispensabili). Per quanto riguarda gli esercizi diretti, essi
si dividono in isometrie ed esercizi dinamici. Partiamo dagli esercizi isometrici.
Tuck front lever
Questa è la prima propedeutica in assoluto, Figura 7.1; andiamo a vedere come si esegue. Partiamo dai capisaldi di tutte le posizioni isometriche nel corpo libero: le braccia devono essere tese.
E per tese si intende in blocco articolare: quindi niente “ma, mi, mo”, niente “ma l’istruttore mi ha
detto che mi rovino i gomiti” ed altre stupidaggini del genere.
A meno che non abbiate particolari patologie, il blocco articolare non vi causerà alcun fastidio.
La cartilagine delle vostre articolazioni si nutre per diffusione, non avendo vasi sanguigni; la pressione disidrata la cartilagine ma appena finisce l’esercizio ha un effetto supercompensatorio permettendo così di nutrirla maggiormente. Per quanto riguarda la posizione delle scapole, si è dibattuto anni su come esse vadano tenute, passando da un estremo all’altro: potrei tagliarla corta e darvi la risposta, invece vi racconterò un po’ la storia e vi spiegherò le mie motivazioni alla posizione
finale (sì, perché a dire il vero la battaglia è ancora in corso).
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Figura 7.1 – Tuck Front lever, la prima propedeutica in assoluto del front lever
Quando iniziai a praticare gli allenamenti a corpo libero, la community del tempo era assai limitata e di livello estremamente basso (mi ci metto anche io nel livello basso, ovviamente), quindi
i pochi che si allenavano più che eseguire un front lever eseguivano un “cerco di stare a gambe
all’aria avendo un’idea di essere semi dritto”, in parole povere una schifezza!
C’erano però i fenomeni di oltreoceano, che si suddividevano in “praticoni”, gente cioè che si
allenava e basta, che se ne sbatteva il “razzo” del perché e percome gli esercizi andassero eseguiti
(non dico che sbagliavano la tecnica o cose simili, semplicemente facevano senza tante pippe, da
qui anche che il front lever era “all core”), e quelli invece che provavano a spiegare come andavano fatte le cose.
Bene, da questa più “colta” corrente nacque la prima teorizzazione del front lever: scapole retratte e iperestensione del bacino. Persino nel tutorial che feci ai tempi per il Project dicevo le stesse cose (tutorial da rivedere e che rifaremo in futuro).
Poi le cose cambiarono e si arrivò alla conclusione che la base tecnica del front lever è che esso
sia una specie di barchetta, con la differenza che invece di essere a terra si è appesi alla sbarra, ed
il corpo non fa una conca in modo così accentuato ma è più dritto. Ne consegue che la posizione
corretta del bacino è in retroversione, non in iperestensione.
E le scapole? Partiamo dal presupposto che la nostra spina dorsale è coerente con se stessa; ne
consegue quindi che se ci “apriamo” sopra (apertura data dalla retrazione), tenderemo ad aprirci
anche sotto, andando quindi a iperestendere. Per avere quindi una linea coerente anche con la retroversione, dovremo avere le spalle depresse e non in retrazione, ma neutre, Figura 7.2. Questa è
anche la posizione in cui ci si sente più “settati”, in cui si sente di riuscire ad esprimere più forza!
Dopo questa lunga divagazione, possiamo dire per riassumere che nel tuck front lever dovremmo avere le braccia tese, spalle depresse e non retratte e retroversione del bacino (questo dato
in automatico dalle gambe raccolte al petto) e corpo parallelo: imparate bene questo leitmotiv perché lo ripeterò fino alla nausea.
Inizialmente la posizione risulterà molto ostica anche se avrete dalla vostra una buona forza di
trazione (superiore a quanto richiesto nella propedeutica), ma in breve tempo vi abituerete e la riuscirete a tenere per un buon numero di secondi (si tratta del resto di uno degli esercizi più facili).
272
A
B
Figura 7.2 – In A spalle in posizione neutra, in B spalle depresse
Pensate di spingere sia la sbarra verso il basso a braccia tese (disegnatevi nella mente quindi
una traiettoria circolare) e di spingere in alto il bacino per tenerlo in posizione: ovviamente dovete
poi calibrare il tutto per rimanere in linea. Per attivare la depressione delle scapole, potete pensare
anche di voler piegare la sbarra.
Mettersi in posizione le prime volte risulterà davvero tragico: il metodo più semplice per andare in posizione è quello di raccogliere più che potete le gambe al petto, e contemporaneamente
spingersi col sedere in alto superando l’orizzontale. Da lì poi scendete lentamente fino ad arrivare
alla posizione parallela al terreno.
Le prime volte che approccerete questa propedeutica sarà difficile riuscire a rimanere in linea,
per mancanza di propriocezione: non siete abituati a muovere il vostro corpo nello spazio come
richiesto da questa skill e capiterà che abbiate il sedere o troppo in alto o troppo in basso (e tenendolo leggermente più alto che in linea, provocherà una riduzione della leva che renderà l’esercizio
più semplice).
Per ovviare a questi errori o vi fate aiutare da un compagno, o vi potete guardare allo specchio,
o infine vi dovrete fare un video col telefonino. Come approccio iniziale fate diversi tentativi tenendo la posizione per il massimo di secondi che riuscite, e solo quando avrete un discreto numero
di secondi in canna (>=10”) potrete studiarvi un metodo di allenamento più efficiente.
Una volta che riuscirete a tenere la posizione ininterrottamente e senza sbavature per circa 40”,
potrete passare all’isometria successiva.
Advanced tuck front lever
Passiamo alla seconda propedeutica che dovremo affrontare nel cammino per imparare
l’orizzontale supina in sospensione: la versione advanced (abbreviato spesso per comodità con il
termine adv ) tuck, Figura 7.3.
273
Capitolo VIII -
Zavorre
Il mondo dell’allenamento a corpo libero è in perenne evoluzione: spessissimo basta qualche
video di qualche atleta famoso e conosciuto per ispirare molti altri atleti che si andranno a cimentare negli stessi esercizi. Dopo un periodo di sole skill, sono tornati alla ribalta sia gli allenamenti e
i set di resistenza pura, sia i movimenti zavorrati, relegati sino a poco tempo fa a banali movimenti
secondari o di preparazione.
Nel calisthenics è praticamente tutto zavorrabile, e dove non arrivano i dischi possono arrivare
cavigliere e giubbini pesanti: gli esercizi principali, sono le trazioni e i dip.
Questo perché sono i più facili da poter essere zavorrati (basta infatti una cintura e dei dischi),
sia perché rappresentano i movimenti base di questa disciplina; sono un po’ il metro di valutazione
della forza bruta che abbiamo raggiunto durante i nostri allenamenti.
371
Recentemente, hanno preso molto piede anche i muscle up zavorrati, ma questi richiedono un
livello molto molto alto e le zavorre sono molto più limitate: per esempio, 30 kg nei muscle up è
un risultato super, mentre nelle trazioni è raggiungibile partendo da zero in pochi mesi. Per questo
motivo, qui tratteremo solamente delle trazioni e dei dip zavorrati; andiamo ad analizzarli.
Trazioni
Abbiamo già parlato delle trazioni abbondantemente nel capitolo ad esse dedicato, e cercherò
quindi di non ripetermi più di tanto. Per quanto riguarda il supporto, potete ovviamente utilizzare
quel che volete: dagli anelli, alla sbarra (sia prona che supina), alla presa neutra.
La mia versione preferita è sicuramente quella agli anelli, perché permette di effettuare la rotazione da prona in partenza a supina in chiusura: diciamo che è anche la versione “migliore” per
chi vuole diventare grosso brutto e cattivo, visto l’incredibile focus che si va a mettere sui bicipiti.
Anche la supina dal punto di vista muscolare è molto valida ma, come già detto, a livello articolare è stressante: se potete, quindi, usate la presa neutra o gli anelli. Per quanto riguarda la validità delle trazioni agli anelli (o supine), nulla vieta di fare il classico “chin over the bar”, mento
sopra la sbarra.
Nel caso delle trazioni supine la cosa ci può anche stare (effettivamente c’è la sbarra). Per quelle agli anelli, invece, la regola che preferisco è quella della completa chiusura dell’avambraccio
sull’omero, con le mani all’altezza delle spalle. Ovviamente questa è una regola mia, voi siete liberi di fare come preferite, e di tenere come criterio di validità il mento sopra la sbarra; ma anche a
livello muscolare c’è il completo reclutamento del bicipite in chiusura, cosa che avverrebbe solo in
modo parziale col mento su (ma non preoccupatevi, dovrebbe crescere lo stesso).
Per chi vuole usare il criterio del mento sopra la sbarra agli anelli, consiglio di collegare tra gli
anelli un elastico leggero, che non li chiuda ma che stia tirato, in modo da simulare una sbarra: con
questa soluzione non dovrete andare a sentimento per vedere quando siete andati con il mento oltre
il livello delle mani, ma avrete un riferimento visivo oggettivo.
Le più utilizzate, invece, sono quelle a presa prona, perché sono quelle da gara. Indipendentemente da quali siano le vostre trazioni preferite, e dagli obbiettivi che avete, vi consiglio di lavorare sempre con tutte le tipologie, tenendo un esercizio come principale ma senza trascura anche le
altre tipologie di prese.
Quali sono le problematiche delle trazioni zavorrate rispetto a quelle classiche? Nella versione
senza zavorra, non andiamo incontro ad un vero e proprio sticking point: noi maciniamo le nostre
ripetizioni, e solo quando siamo stanchi ed in prossimità di arrivare al cedimento e di non essere
più in grado di andare avanti, ecco che magari ci fermiamo a metà range facendo una gran fatica a
completarlo (vale ovviamente sia per gli anelli che per la sbarra).
Nella versione zavorrata, invece, all’avvicinarci del massimale ecco che incontriamo zone in
cui spingiamo con più naturalezza ed andiamo su facili, ed altre invece dove rallentiamo e quasi ci
blocchiamo: i cosiddetti sticking point.
Ora, dobbiamo qui distinguere tra anelli (o supine) e prone. Nella versione agli anelli (o supina), lo sticking point lo si incontra a circa metà/tre quarti del movimento: con la spinta iniziale arriveremo in maniera piuttosto rapida circa a metà o poco più del movimento e sarà da qui che rallenteremo: dovremo compiere un grosso sforzo muscolare per completare l’ultima parte del movimento e chiudere con le mani all’altezza delle spalle.
Quanto più saremo vicini al massimale, tanto più l’inerzia iniziale sarà minore e lo sforzo nello
sticking point aumenterà, sino al punto di rottura in cui ci fermeremo a metà.
372
Per quanto riguarda le trazioni prone, questo fatto è ancora più accentuato: mentre con le trazioni agli anelli, o supine, nel momento dello sticking point i bicipiti sono in una posizione in cui
vengono sfruttati al massimo e si riesce proprio a percepire la spinta, riuscendo a “grindare” di
più, nelle trazioni prone questo è molto più complicato.
Solitamente avviene questo: si traziona, si arriva quasi al mento quando finisce la spinta iniziale e dopodiché si cala di qualche centimetro, si lotta un po’ restando fermi e si supera il mento solo
grazie ad un kip con le gambe: ovviamente in questo ultimo caso l’esercizio non è considerato valido.
Questo avviene perché, ancora più che nelle trazioni agli anelli, la maggior parte della forza la
si genera all’inizio, e nella parte finale si spinge un corpo già in movimento: se siete riusciti ad arrivare abbastanza veloci oltre la metà, chiuderete anche il movimento, altrimenti sarà complicato.
Io stesso, se guardate i video, arrivo sino a 70/75 kg di zavorra ad eseguire la trazione al mento
quasi alla stessa velocità di quando ho venti kg attaccati, solo che oltre non andrei, perché si esaurisce la spinta e dovrei combattere con lo sticking point (che ovviamente non ho mai allenato molto, per pigrizia mia).
Ecco perché è molto importante con le zavorre, più che a corpo libero, allenare anche i movimenti parziali. I movimenti parziali possono essere dal basso sino a metà, e da metà sino a chiusura: ovviamente le varianti su come utilizzarle sono pressoché infinite, andiamo quindi semplicemente ad analizzarle.
Movimento parziale da dead hang e metà movimento
La cosiddetta “apertura”, la fase iniziale del movimento. Personalmente è una fase che non mi
crea problemi; riesco agevolmente ad arrivare a metà, con un movimento abbastanza fluido, anche
con carichi sopra il massimale.
Generalmente è la fase che crea meno problemi: a livello statistico sono più quelli che hanno
difficoltà nella seconda fase del movimento rispetto alla prima. Ciò è anche facilmente spiegabile
dal fatto che questa è una fase che nelle trazioni si fa sempre, mentre la chiusura, a livello muscolare, a volte può essere bypassata dalla forza di inerzia che mettiamo all’inizio del movimento.
Problematiche in questa fase possono dipendere da un problema ti attivazione scapolare, o da un
allungamento dei muscoli del dorso che costringono a fare più strada all’inizio; spesso è presente
nelle ragazze, ma ho riscontrato questo problema anche in qualche ragazzo che alleno, seppur in
misura minore rispetto ai problemi in chiusura. In ogni caso, per chi avesse problemi in apertura,
allenate i mezzi movimenti dal basso.
Movimento parziale da metà movimento a chiusura
La cosiddetta chiusura, la parte di movimento che crea generalmente più grattacapi. Come detto prima, quanto più riuscirete a generare forza all’inizio, tanto più arriverete in alto con un’inerzia
che renderà più facile la spinta finale.
Man mano che la forza generata all’inizio calerà, tanto più sarà difficile il lavoro in chiusura
sino a bloccarvi. Per aumentare la forza in questa fase ci vuole del lavoro specifico: partendo con
le braccia a 90°, si fa il movimento in chiusura, senza alcun tipo di inerzia generata dalla parte iniziale del movimento.
In questo modo riuscirete a superare sticking point che prima sembravano invalicabili, riuscendo a mettere forza in punti dell’alzata in cui prima non riuscivate, o riuscivate con carichi molto
inferiori al massimale. Allo stesso scopo, potete allenare semplicemente l’isometria zavorrata con
il mento sopra alla sbarra. Prestate comunque attenzione: soprattutto i movimenti proni in chiusura
sono molto stressanti a livello articolare, quindi ascoltate il vostro corpo e non esagerate.
373
L’essere forti o meno in chiusura dipende anche dalla propria morfologia: braccia più grosse
possono essere un ostacolo in fase di chiusura del movimento, ed è per questo che spesso hanno
problemi in chiusura più gli atleti pesanti che leggeri. Alcuni, per esempio, allargano la presa rispetto allo standard per riuscire ad essere più in linea di spinta e poter grindare anche in fase di
chiusura. In ogni caso, si parla di livelli avanzatissimi; nel vostro percorso di allenamento, curate
tutte le fasi del movimento senza farvi troppi problemi.
Dip
Anche i dip li abbiamo trattati sufficientemente nella parte ad essi dedicata; vediamo qui quali
sono le complicazioni ed i criteri di validità con l’uso di un peso esterno. I dip possono essere considerati degli squat con le braccia, quindi si può giudicare questo movimento valido quando si
rompe il parallelo.
Nella parte precedente della guida consigliavo di andare spesso a toccare anche il full ROM, in
quanto avrebbe anche condizionato e abituato le articolazioni al movimento del muscle up, nel
quale, all’inizio o sotto stanchezza, si arriva nella fase di dip molto “in basso”, il che richiede
quindi una spinta da una zona molto svantaggiosa.
Con le zavorre, questo principio perde di valore ed entra in campo un'altra valutazione da fare:
la sicurezza. A mano a mano che il carico sale, arrivare in estensione massima dell’omero ed in
massimo stiramento del pettorale, può portare ad infortuni anche spiacevoli: consiglio quindi di
effettuare i dip full rom magari con un carico più leggero, mentre concentrarsi a rompere solo il
parallelo con carichi più pesanti.
Questo, oltre ad avere una ragione di “sicurezza”, ha anche una ragione agonistica: andando
sempre full rom, si tende a non aver la giusta propriocezione del movimento, finendo quindi anche
in gara per fare più “strada” rispetto agli avversari ed avere quindi più difficoltà a star dietro loro
coi kg: meno range di movimento hai, più kg riesci a sollevare.
Per quanto riguarda lo sticking point, esso è presente nella fase di chiusura: ecco quindi che
anche qui, come per le trazioni, è importante curare questa parte di movimento, con allenamenti
specifici a mezzi rom, od isometrici. Generalmente se riuscite in salire a superare i 95/100°, dovreste riuscire a chiudere il movimento senza problemi: se avete problemi, allenate con ripetizioni
parziali gli ultimi cm dell’alzata.
Un’ altra problematica della versione zavorrata dei dip è la discesa: il carico tende a tirarci giù,
e può succedere in presenza di carichi massimali che il peso ci faccia scendere troppo rispetto al
parallelo, con il risultato di trovarci in difficoltà poi a risalire.
Gli esercizi che si possono utilizzare per andare a lavorare su tutte le problematiche dei dip sono i movimenti parziali in chiusura, cioè da braccia al parallelo a braccia tese, esercizi isometrici
nei vari angoli in cui sentiamo di avere difficoltà, discese con carichi vicino al massimale per imparare a controllare il peso e a non farci tirare eccessivamente giù.
Come utilizzare le zavorre
Dip e trazioni con zavorre rispondono molto bene ai vari programmi da powerlifting, essendo
comunque esercizi simili. Normalmente, un praticante di allenamenti a corpo libero non fa solo le
zavorre. Queste possono essere propedeutiche per qualche skill (tante trazioni zavorrate, per esempio, aiutano nelle OAP), servire come preparazione atletica generale oppure essere fatte in vista di
qualche gara specifica. In base al motivo per cui le fate, possono (non devono) cambiare alcune
cose sia a livello di volume di allenamento (la parte dedicata ad esse) che della disposizione.
374
Quando andiamo ad inserire gli esercizi zavorrati, difficilmente essi saranno i primi della lista
(a meno di non essere molto vicini ad una gara specifica o per altri motivi: stiamo sul generale,
non sul particolare).
In questa disciplina non abbiamo un bilanciere da caricare o scaricare, in modo da modulare il
peso in relazione anche al nostro stato di stanchezza: ne consegue che gli esercizi che faremo per
primi saranno quelli più difficili a corpo libero. Se dobbiamo allenare, per esempio, muscle up,
trazioni zavorrate, piegamenti in verticale e dip zavorrati, i primi che faremo saranno i muscle up
ed i piegamenti in verticale, poi faremo le trazioni e i dip zavorrati. Nei primi abbiamo bisogno di
tutte le energie disponibili, anche perché a meno di tagliarci un piede o una gamba non possiamo
andare a diminuire il peso che dobbiamo sollevare, cosa che invece può accadere con le zavorre, in
quanto sarà possibile modulare il peso sollevato anche in funzione della stanchezza.
Sconsiglio invece di fare esercizi di resistenza pura prima di andare a fare le zavorre: fare serie
da 20 trazioni e poi andare a farle zavorrate pregiudicherà completamente il risultato. Si va sempre
dallo schema motorio più complesso a quello più semplice: ne consegue che le trazioni con 30 kg
abbiano più complessità rispetto a quelle libere. Una scaletta finale può quindi essere, per esempio,
muscle up, trazioni zavorrate e resistenza su trazioni classiche.
Come dicevo all’inizio, non è uno schema fisso ed immutabile: mi è capitato di far fare prima
esercizi zavorrati pesanti e poi un lavoro su schemi più complessi, come muscle up od OAP. Lessi
una volta, mi pare da Broz, “Cosi stai stallando? Allenati sotto stanchezza”, e dopo averlo provato
devo dire che non mi dispiace come variazione di stimolo.
Altre volte addirittura lavori di resistenza su un esercizio, le trazioni, e poi i dip zavorrati: il
sangue affluito alle braccia mi impediva di scendere full ROM nei dip e mi faceva fermare appena
sotto al parallelo, senza doverci pensare, e vista la mia tendenza a scendere sempre troppo è stato
un modo per lavorare nel corretto angolo di movimento.
Come principianti ed intermedi vi consiglio di seguire schemi più rigidi e, man mano che diventate più forti, potete provare ad essere più fantasiosi e a “invertire i tabù”.
Come calcolare le percentuali
Nei programmi che ho inserito non sono presenti percentuali, ma ho scritto direttamente i kg da
utilizzare. Questo perché, nonostante abbia in testa le percentuali da utilizzare (grosso modo), ai
miei atleti evito l’onere del calcolo e dò i numeri precisi (li abituo bene, eh?).
Chi vorrebbe provare qualche programma di powerlifting applicato alle zavorre avrà però bisogno di questo numero percentuale. Io ai miei allievi non le faccio calcolare non perché li considero
degli inetti o voglio facilitare loro il lavoro, quanto perché le percentuali non sono così immediate
come con gli esercizi con il bilanciere, ed il motivo di ciò risiede nel fatto che noi non andiamo a
sollevare solamente la zavorra, ma soprattutto anche il nostro peso corporeo. Come fare quindi a
calcolare le percentuali quando entra in gioco anche questo fattore?
Partiamo dall’ovvio, ossia calcolare il massimale solamente sulla zavorra. Mi prendo come
esempio: ho 85 kg di zavorra nelle trazioni, quindi ne consegue che il 90% è 76,5 kg. Ora, stando
alla teoria, con il 90% dovrei eseguire circa 4 ripetizioni: ne ho 3 massimali con 70 kg, figuratevi
quante ne possa fare con quasi 7 kg in più.
Nella lega di trazioni finlandese, so che alcuni si allenano utilizzando le percentuali riferite solamente alle zavorre, ma sono tutte più basse rispetto a quelle che si usano con il bilanciere: per
esempio, un 5x5 lo fanno con il 50% della massima zavorra sollevata, cosa che invece col bilanciere si riesce a fare con il 75%.
La cosa più semplice da fare per avere un calcolo realistico è la seguente:
375
Capitolo IX -
Addominali
Partiamo con una considerazione generale: quando si pensa al calisthenics si pensa per prima
cosa ad un addome molto forte; i video dei primi americani, impegnati ad eseguire centinaia di addominali con il six pack in vista facendosi anche picchiare nel mentre, hanno acceso la fantasia
(sessuale? Spero di no) di molti, che hanno iniziato ad ammazzarsi letteralmente di ogni esercizio
per il core, anche i più strambi.
Abbiamo poi gli esercizi di leva, che richiedono di tenere le gambe sospese a mezz’aria, e la
prima cosa che si pensa è che serva un addome fortissimo per riuscire nell’impresa. E via allora ad
ammazzarsi ancora di più di questa tipologia di esercizi. Dov’è la verità? Per esempio io, che sto
scrivendo, saranno almeno quattro o cinque anni che non alleno direttamente l’addome.
401
Sono ovviamente un estremo, la mia è più mancanza di voglia che altro, ma spesso davvero si
esagera da questo punto di vista tralasciando le cose davvero importanti. Per dare un ordine di importanza (che non vuol dire che gli esercizi che vengono illustrati successivamente siano completamente inutili e che io sia impazzito ad aggiungerli, ma che in un allenamento lungo e strutturato
bisogna dare delle priorità), dobbiamo imparare bene e in maniera solida barchetta e hollow/plank
sui gomiti e sulle mani.
Bene non vuol dire 5x60” come predicano molti guru: quello è più un “non so fare niente dopo, diamo requisiti lunghissimi da raggiungere per allungare il brodo!” Dopodiché dobbiamo
passare ai leg raise e all’L-Sit, arrivando infine alla dragon flag. Quando sappiamo eseguire questi
esercizi, vuol dire che comunque abbiamo speso diverso tempo ad allenarci, e probabilmente abbiamo appreso diverse propedeutiche della planche e, soprattutto, del front lever. Queste vanno a
lavorare molto sull’addome, ma attenzione, il processo mentale è il contrario di quello che viene
da pensare all’inizio!
Non sto, cioè, in planche e front lever perché ho l’addome forte, sto in posizione grazie a, rispettivamente, spalle e dorsali; l’addome aiuta a tenere la posizione e a mantenere la linea corretta,
ma è in sinergia con i muscoli principali, non è il motore centrale. Per cui una volta che alleniamo
le skill, e aggiungiamo un paio di serie di L-Sit e dragon flag nella settimana, abbiamo fatto molto
più del necessario.
Tra il dedicarci la maggior parte dell’allenamento e il nulla come faccio io, scegliete la via di
mezzo (oddio, un po’ più spostata verso di me), lasciando questi esercizi a fine workout o in un
giorno off, e concentrando la maggior parte delle energie sul diventare più forti a livello globale.
Gli “addominali”
“Muscoli addominali” nel mondo del fitness è utilizzato spessissimo in maniera impropria
perché si intende con questo termine l’insieme dei muscoli che costituiscono la catena flessoria
anteriore, in Figura 9.1 i principali muscoli coinvolti.
Figura 9.1 – La catena flessoria anteriore, che tutti identificano negli “addominali”
402
Figura 9.2 – La catena flessoria in azione: la contrazione coordinata di tutti i muscoli della catena porta ad una flessione
delle vertebre lombari con conseguente retroversione del bacino, una flessione della coscia, e un avvicinamento del torace
al pube. La flessione delle vertebre, se protratta nel tempo, sposta indietro i nuclei polposi dei dischi intervertebrali coinvolti: in soggetti con ernie o con una predisposizione a queste movimenti di questo tipo possono creare problemi
La Figura 9.2 descrive in maniera molto semplificata quello che accade quando si ha la contrazione coordinata dei muscoli della catena flessoria anteriore:
 La coscia (il femore) si flette intorno all’anca per azione dell’adduttore lungo, del retto del
femore, del sartorio e del pettineo.
 Ovviamente si ha anche retroversione del bacino rispetto al femore.
 Le vertebre lombari flettono in avanti e la cassa toracica si avvicina al pube per la contrazione di tutti i muscoli della fascia addominale propriamente detta.
Nella flessione delle vertebre i nuclei polposi dei dischi intervertebrali coinvolti nel movimento
tendono a spostarsi posteriormente, se la flessione è mantenuta per tempi superiori al minuto: questo può essere un problema in chi ha problemi discali.
L’allenamento degli “addominali” con movimenti a corpo libero, pertanto, coinvolge molto di
più degli addominali stessi.
Il misterioso ileopsoas
Quando si parla di “addominali” sentirete parlare di un muscolo dal nome stranom psoas, ma
anche ileopsoas. In realtà i muscoli sono di fatto due, lo psoas e il muscolo iliaco perché le innervazioni sono differenti, Figura 9.3.
Lo psoas è veramente particolare all’interno dei muscoli che si inseriscono sulla spina dorsale,
origina dai processi trasversi della 12a vertebra toracica e delle vertebre lombari e si inserisce sul
piccolo trocantere del femore, insieme all’inserzione dell’iliaco che a sua vlta si origina sulla superficie interna dell’ileo, senza contatti con la spina.
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Figura 9.3 – Il muscolo ileopsoas
Figura 9.4 – Lo psoas agisce in maniera coordinata con l’iliaco per impedire che nella flessione del femore vi sia una indesiderata estensione delle vertebre lombari: lo psoas stabilizza la spina, rendendola più rigida
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Ma… a che serve l’ileopsoas? È ritenuto, a seconda della posizione del femore, sia un flessore
che un estensore della spina, oltre che flessore del femore. In realtà è uno stabilizzatore della spina, agendo sia nei movimenti bilaterali che monolaterali.
Nella parte in alto a sinistra della Figura 9.4 una schematizzazione di bacino e colonna vertebrale senza psoas, ma con il solo iliaco, con cui è possibile sicuramente flettere il femore. Il problema è che la contrazione dell’iliaco agisce anche sul bacino, “tirandolo in avanti”, facendolo
cioè antevertere: la flessione del femore modificherebbe la curvatura lombare, aumentandola.
A destra il dettaglio: il bacino ruota in avanti tirato dall’ileo, il disco intervertebrale fra la 5a
lombare e l’osso sacro diventa il centro di una rotazione in cui il bacino ruota in senso orario e la
5a lombare in senso antiorario. Ripetendo il ragionamento per ogni vertebra si ottiene il risultato
stilizzato in alto: il bacino ruota in avanti “trascinando” le vertebre lombari.
Nella parte in basso a sinistra della Figura 9.4 la stessa situazione ma con lo psoas che contribuisce a flettere il femore insieme all’iliaco. A destra la nuova situazione: il bacino viene fatto ruotare in avanti generando la precedente rotazione della 5a lombare in senso antiorario, ma lo psoas
crea una controrotazione in senso orario che annulla quella dell’iliaco.
Pertanto, lo psoas rende la spina più rigida, nel senso che non la fa estendere sotto l’azione
dell’iliaco. Perciò lo psoas è uno stabilizzatore della colonna, ma solo nei movimenti di flessione
del femore, ed è per questo che si attiva anche nei movimenti di flessione monolaterali: se sollevate la gamba destra, si contrae anche lo psoas sinistro!
Figura 9.5 – Un sit up a gambe tese, in alto, e a gambe piegate, in basso
Infine, una piccola nota sugli esercizi per gli addominali: in alto in Figura 9.5 un sit-up a gambe tese, in basso la versione a gambe piegate. Viene sempre consigliata questa seconda versione
per non avere problemi alla spina perché lo psoas è meno allungato e pertanto esercita una minor
trazione sulle vertebre.
In realtà l’analisi elettromiografica mostra come siano proprio il sit-up a gambe piegate che
creano una maggior compressione sulla spina: è vero che lo psoas è meno allungato, ma è anche
vero che l’accorciamento fa sì che generi meno forza (per la legge forza-lunghezza), pertanto il
suo livello di attivazione deve essere maggiore per ottenere lo stesso risultato finale.
405
Capitolo X -
Gambe
Il capitolo sulle gambe è sempre una parte un po’ controversa per chiunque pratichi calisthenics. Chi segue questa attività solo per fini prestazionali, generalmente vede le gambe come
un’appendice fastidiosa del proprio corpo, in quanto ogni centimetro o grammo in più rende la
maggior parte delle skill più difficili.
Va molto di moda il termine ipertrofia funzionale: ecco, per uno che punta solo alle skill,
l’ipertrofia nelle gambe è disfunzionale; si può dire anti-prestazionale. Ora, se questo approccio
estremo sia giusto o sbagliato non si può dire, tutto è sempre in funzione degli obiettivi che ci si
pone. In giro c’è gente che ruba e ammazza, e penso che non sia nel codice penale di alcun paese
non allenare le gambe per il raggiungimento di determinati traguardi.
433
Dall’altro lato, visto che va molto di moda dire che il calisthenics sia uno sport di forza, la forza deve riguardare il corpo a 360°, non solo metà. Anche per i fini estetici non è sicuramente gradevole avere busto e braccia ben sviluppati ma possedere gambe da merlo. Ricordiamoci che il
50% della nostra muscolatura è negli arti inferiori.
Dopo questa breve introduzione, andiamo a vedere quali sono gli esercizi principali a corpo libero. Prima, tuttavia, tengo a sottolineare che nel bodyweight sono comunque dei “surrogati”; a
parte gli esercizi atletici come salto in alto ed in lungo, pistol ed altre varianti, le skill delle gambe
sono sicuramente inferiori in tutto e per tutto allo squat con bilanciere ed agli esercizi che possono
sfruttare sovraccarichi esterni importanti.
Se siete quindi appassionati di corpo libero ma volete avere uno sviluppo soddisfacente degli
arti inferiori, che vada di pari passo con la parte superiore, usate pure il bilanciere per lo squat (ed
affini): non siamo estremisti del corpo libero, non è come tifare una squadra di calcio: se una o due
volte a settimana fate un po’ di pesi, nessun tribunale calistenico vi giudicherà colpevoli, anzi ne
guadagnerete in ipertrofia e forza nelle gambe.
Squat liberi
A
B
C
E
D
D
F
G
Figura 10.1 - Una sequenza di un movimento di squat, o accosciata, a carico naturale, esercizio di base per qualsiasi allenamento degli arti inferiori. E’ uno squat sotto il parallelo perché nel punto inferiore D l’anca è sotto al ginocchio
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Figura 10.2 – In alto uno squat con buona/ottima mobilità di caviglia: la possibilità di spostare le ginocchia in avanti permette di mantenere la proiezione al suolo del centro di massa del soggetto all’interno della base di appoggio. In basso uno
squat con pessima mobilità di caviglia: ad un certo punto le ginocchia non potranno più andare in avanti e così le anche
andranno molto indietro. Per mantenere la proiezione del centro all’interno della base di appoggio il soggetto deve così
“schienare” il movimento, flettendo molto il busto in avanti. La base di appoggio è compresa fra la caviglia, centro di rotazione della tibia, e le punte dei piedi
Il primo esercizio che andiamo a vedere è per la verità abbastanza banale, per quanto di base
per tutti gli allenamenti della parte inferiore del corpo: si tratta degli squat col solo peso corporeo,
o a carico naturale, Figura 10.1. Segue che si lavorerà su alte ripetizioni, da solo o in circuiti.
Lo squat è un gioco d’equilibri tra le anche che vanno indietro ed il busto che si flette in avanti.
Il peso deve rimanere bilanciato su tutta la pianta del piede. Lo squat è un esercizio che richiede
due requisiti:
 Il primo è una sufficiente mobilità di caviglia, Figura 10.2 in alto. Poter dorsiflettere molto
il piede permette di spostare le ginocchia in avanti durante la discesa in modo da mantenere la proiezione a terra del centro di massa all’interno della base di appoggio, che va dalla
caviglia alla punta dei piedi. Questo permette un movimento stabile.
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Figura 10.3 – Se la caviglia è poco mobile nella discesa la proiezione al suolo del centro di massa esce dalla base di appoggio, a sinistra, andando dietro la caviglia. Non è più possibile mantenere l’equilibrio perciò il soggetto si rimetterà frettolosamente in piedi. Per riportare la proiezione nell’area di appoggio è possibile curvare la schiena perdendo la lordosi lombare con stress sui dischi intervertebrali, o mettersi sulle punte dei piedi in modo da spostare le ginocchia in avanti con forte
sensazione di instabilità
Se avete poca mobilità mano a mano che scendete tenderete le vostre ginocchia non andranno in avanti mentre le anche vanno indietro, pertanto sarete costretti a “schienare” il
movimento (flettere molto il tronco in avanti), Figura 10.2 in basso. Potete aiutarvi con le
braccia, portandole avanti, per aiutarvi a ri-bilanciare il baricentro sulla base d’appoggio.
C’è un limite a questo, se volete continuare ad accosciarvi, Figura 10.3 a destra: la proiezione del centro di massa esce dalla base d’appoggio, dietro la caviglia. Perciò cascherete
indietro e così vi rialzerete frettolosamente, oppure se volete continuare a scendere inclinerete così tanto la schiena per riportare la proiezione nella base di appoggio che perderete la
lordosi lombare, con stress sulle vertebre, Figura 10.3 al centro.
Oppure, vi metterete sulle punte dei piedi in modo da spostare le ginocchia in avanti, così
da mettere la schiena più eretta. Peccato che così facendo lo squat risulterà davvero instabile e poco confortevole, Figura 10.3 a destra.
 Il secondo è uno schema motorio che faccia ricadere il vostro baricentro sul poligono
d’appoggio (in mezzo ai piedi). Se quando scendete vi viene da alzare i talloni, probabilmente avete uno schema sbagliato e state tenendo il busto troppo eretto, questo vi porta a
portare troppo in avanti le ginocchia fino a sollevare i talloni, sempre Figura 10.3 a destra.
Si nasce con la caviglia mobile, per quanto si possa migliorarne la mobilità ma principalmente
la capacità di sfruttare tutti i gradi di dorsiflessione. Poi, dovete sempre sforzarvi di mantenere la
curvatura lombare, estendendo la schiena (sarà un buon esercizio di stretching attivo).
Le varianti possono essere diverse, e vanno dall’overhead al prisoner (con le mani dietro la nuca), sulle punte dei piedi e via dicendo: a corpo libero come al solito si cerca di complicare lo
schema motorio e la difficoltà mediante le leve, ma nello squat questo è effettivamente difficile. Se
possedete un giubbotto zavorrato, potete usarlo per aumentare la difficoltà degli squat.
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Figura 10.4 – Il goblet squat, a destra, aggiunge massa “in avati” a quella del soggetto: questo sposta il centro di massa in
avanti e così per chi ha la caviglia poco mobile il movimento di squat risulta più semplice, dato che la sensazione di instabilità diminuisce fortemente.
In alternativa, se disponete di dischi di ghisa, o anche di casse d’acqua o di qualunque peso che
potete tenere “in braccio”, potete eseguire il goblet squat, una versione semplificata del front
squat, dove tenete in mano abbracciata a voi una zavorra. Questo esercizio aggiunge massa “davanti” rispetto a quella del soggetto, spostando di conseguenza in avanti il centro di massa: chi ha
poca mobilità di caviglia percepirà chiaramente che il goblet squat è più stabiledi uno squat a carico naturale perché il centro di massa va meno indietro nella discesa.
Potete usare il goblet squat per prendere confidenza con lo squat, imparando a gestire il movimento di discesa: avere la caviglia poco mobile crea infatti un circolo vizioso in cui la poca mobilità impedisce di scendere, e senza scendere non si apprezzano le sensazioni propriocettive della
profondità di accosciata, credendo di essere ancora meno mobili di quanto in realtà non lo si sia.
Spesso delle sedute di goblet squat possono fare miracoli, facendo capire alla persona le sue reali
possibilità, superiori a quanto in realtà essa percepisca.
A livello muscolare buttate in fuori le ginocchia e mai in dentro; questo vi permetterà sia di
non farvi male alle ginocchia, sia di attivare con più forza il gluteo. La zona lombare deve rimanere sempre neutra (con la sua fisiologica estensione).
Se avete inizialmente difficoltà nell’esecuzione provate anche coi box squat, cioè utilizzando
un supporto che vi permette di avere un riferimento per “sentire” il punto di arrivo e memorizzare
la profondità di discesa. Il box avrà altezze via via inferiori fino a che non avete imparato a gestire
correttamente la profondità di discesa che volete raggiungere.
Facendo sempre riferimento alla Figura 10.1, andiamo a rivedere punto per punto l’esecuzione
dell’esercizio. Per prima cosa partiamo dal punto di appoggio al terreno, i piedi: dovrete posizionarli alla larghezza delle spalle o poco più, e dovranno essere leggermente extraruotati (cioè girati
verso l’esterno).
Teniamo idealmente lo sguardo verso il battiscopa, in modo da tenere il collo neutro senza andare a forzare diversi tipi di posture, che ricadrebbero a cascata poi sul resto della schiena, in quanto la spina dorsale è coerente con se stessa. L’addome deve essere compatto, in modo da tenere la
naturale estensione della schiena, senza anche qui andare a forzare posizioni innaturali. Dovrete,
invece, andare a forzare l’iperestensione nel caso abbiate poca mobilità e perdiate la curva lombare
scendendo; in questo modo darete un input per imparare il movimento corretto.
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Capitolo XI -
La programmazione degli allenamenti
Il gergo della programmazione
Prima di parlare di programmazione degli allenamenti è necessario prendere confidenza con alcuni termini di utilizzo comune.
Volume di allenamento
Rappresenta il lavoro totale svolto durante la seduta di allenamento. È dato dal prodotto “serie
per ripetizioni”; al cambiare di uno di questi parametri varia anche il volume di allenamento. Si
può inoltre considerare il volume su più unità di tempo: ci si può riferire ad esso in termini di singolo esercizio, di seduta di allenamento o di mesociclo.
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Intensità di allenamento
Rappresenta il grado di impegno fisico necessario all’esecuzione di una determinata attività; la
difficoltà di un esercizio in base alla nostra forza massimale. Se in un esercizio con i pesi (o con le
zavorre) aumentiamo il carico, l’intensità aumenterà, viceversa diminuirà. Per esercizi solamente a
corpo libero, all’aumentare della difficoltà dell’esercizio aumenterà l’intensità e viceversa.
Densità dell’allenamento
Rappresenta il rapporto tra la durata reale e la durata totale dell'allenamento, dove la durata
reale dell'allenamento è a sua volta caratterizzata dal tempo della seduta dedicato all'effettiva esecuzione dell’esercizio al netto dei tempi di recupero, e la durata totale dal tempo intercorso tra l'inizio e la fine della sessione di allenamento. Si può definire anche all’interno di uno stesso esercizio: se nel giorno A facciamo 5x5 di trazioni con due minuti di recupero, ed il giorno B 5x5 di trazioni con 1 minuto di recupero, il parametro che varia è la densità.
Frequenza dell’allenamento
Rappresenta la cadenza con cui vengono svolti gli allenamenti; si può essere anche più specifici e parlare di frequenza con cui vengono eseguiti gli esercizi in un determinato lasso di tempo (per
convenzione si usa la settimana). Per esempio, se la frequenza delle trazioni è di due volte a settimana, significa che alleno quello specifico movimento due volte in sette giorni. Aumentare la frequenza significa aggiungere sessioni di allenamento dedicate al movimento, viceversa si va a diminuire.
Tempo sotto tensione (TUT – Time Under Tension)
Rappresenta il tempo di attività del muscolo e di durata dello sforzo all’interno di una serie.
Può variare in base al tempo di esecuzione della singola ripetizione (una trazione eseguita lentamente avrà un tempo sotto tensione maggiore rispetto ad una esplosiva), o, mantenendo invariata
la velocità di esecuzione della singola ripetizione, in base al numero di ripetizioni per serie: più
ripetizioni andremo ad eseguire, maggiore sarà il tempo sotto tensione.
Buffer
Rappresenta lo scarto di ripetizioni tra quelle eseguite in una determinata serie ed il massimale.
Per esempio, se ho 10 trazioni di massimale ed eseguo una serie da 5 ripetizioni, il buffer sarà di 5
ripetizioni; se eseguo una serie da 8 ripetizioni, il buffer sarà di 2 ripetizioni.
I principali metodi di allenamento
EDT
Il metodo EDT (escalating density training) è un programma di allenamento ideato da Charles
Staley. L'obiettivo dell'EDT è quello di eseguire un alto volume totale di allenamento entro un periodo di tempo stabilito. Nell'EDT vengono svolti 2 esercizi in maniera alternata con pause molto
brevi, fra i 15 e i 30 secondi, passando da uno all'altro fino a terminare il tempo totale dei 15-20
minuti previsti.
Per i soggetti poco allenati e poco resistenti alla fatica, consiglio di partire con 10 minuti ed incrementare man mano.
Per quanto riguarda la scelta del numero di ripetizioni, consiglio di iniziare a circa la metà del
massimale (5 trazioni se il massimale è 10), andando magari ad incrementare ogni volta che si
completa l’EDT mantenendo invariate le ripetizioni. Questo perché, se si arriva a tenere invariate
le rep, significa che il carico è troppo leggero e va aumentato.
458
Invece, per esempio, considerando 6 ripetizioni, se si fa 6 6 5 5 4 3 1 1 1 1 1 il carico è troppo
pesante mentre se si completano tutte da 6 è troppo leggero; l’ideale è arrivare al minuto 10 con le
reps di partenza, andando poi a calare di un paio entro la fine.
 Esempio: EDT 15’ Trazioni prone al mento 4 rep – Dip 5 rep
Faccio per 15 minuti, intervallati tra loro di 30”, 4 trazioni e 5 dip. Se dopo i primi 5 minuti già calo le ripetizioni, dalla volta successiva le abbasso; se calano dopo il decimo minuto
resterà invariato, e se arrivo alla fine senza che calino aumenterò.
Si può variare il tempo, usare 3 esercizi, mettere uno o più EDT nella stessa seduta: è un sistema per fare volume estremamente personalizzabile.
Piramidale
Il piramidale è un ottimo metodo per macinare molto volume ed è molto adattabile ai vari livelli. Se dite piramidale o digitate su internet vengono fuori una marea di cose diverse: il bello è che
sono tutte giuste, perché non è un metodo convenzionale.
Nel bodybuilding è il classico 12 10 8 6, per esempio; nel calisthenics si può intendere in tanti
modi, col comune denominatore della poca pausa. Qui di seguito come lo ho sviluppato.
Il 3x rappresenta il numero di serie, 1-2-3-2-1 le ripetizioni da effettuare. Tra le ripetizioni teniamo una pausa fissa che può andare dai 10 ai 20”; ovviamente potete strutturare le pause anche
in modo che siano minori quando le reps sono poche e più alte quando le ripetizioni aumentano.
Tra le serie il recupero può essere variabile, tra uno e due minuti.
Come possiamo regolarlo in base al nostro livello? Di base, cerco di prendere come punta della
piramide la metà delle ripetizioni massimali, o poco meno (Per esempio, numero dispari arrotondato per difetto). Il piramidale del nostro esempio si può adattare bene nel caso di un massimale di
6/7 trazioni (anche 8 volendo, per non partire troppo al limite).
Un'altra domanda che può saltare in mente è: si possono usare salti maggiori di una rep? Ovviamente sì. Personalmente tendo a tenere i salti di una rep con esercizi il cui massimale è di 13/15
rep, salti di due rep quando il massimale è tra 15 e 23/25, e salti di 3 rep (o anche 4) quando si superano le 25 rep. Nel caso di un principiante/intermedio con 10 trazioni, 15 dip e 25 piegamenti,
useremo un piramidale con scarto di una ripetizione per le trazioni, di due ripetizioni per i dip e di
tre ripetizioni per i piegamenti a terra.
Andiamo a vedere ora come può essere inserito questo metodo all’interno di un programma di
allenamento. Se lo usiamo semplicemente come “finisher” per determinati esercizi, per fare un po’
di volume alla fine ma senza che sia il perno della nostra progressione, calcoliamo la piramide in
base ai dati che ho fornito precedentemente e la lasciamo invariata per tutta la durata
dell’allenamento.
Se invece lo usiamo come metodo centrale, possiamo dargli una progressione. Solitamente, in
questo caso, uso 4 serie, e quando le riesco a completare, dalla volta successiva aumento di uno
tutti i membri della piramide. Per esempio da 1-2-3-2-1 a 2-3-4-3-2.
Questo è ovviamente un bel salto, e consiglio in questo caso quindi di partire sottostimando il
valore della piramide per adattarsi piano piano. Si può fare, come progressione, anche una piramide non perfetta: per esempio quando si chiude 1-2-3-2-1 si passa a 1-2-3-4-3, o anche 1-2-3-4-2-1.
Insomma, dovete giocare un po’ per capire come adattare al meglio il metodo su di voi.
459
Un'altra progressione di piramide, questa volta con un aumento meno repentino di rep, può essere iniziare con 3x 1-2-3-2-1 e quando si completa passare a 3x 3-2-1-2-3. Si passa da 9 rep totali
a 11, incrementando di due, e via così.
Un'altra variante di progressione (suggeritami da Mattia Palmiero), è quella di progredire con
la piramide quando al termine della stessa si fa un 1xMax e si raggiunge un risultato prestabilito (il
doppio dell’apice della piramide, il doppio più una rep, ecc.). Questo metodo può andare bene per
esercizi più complessi come i muscle up.
A proposito, vediamo a quali esercizi si sposa meglio questo metodo. In primis sicuramente a
quelli base: trazioni, dip e piegamenti, modificandolo come detto poc’anzi. Si può usare anche con
piccole zavorre, sempre in un’ottica di volume.
Può andare bene anche per i piegamenti in verticale contro il muro (lo sconsiglio invece per
quelli in verticale libera, poiché l’equilibrio sotto stanchezza tende a deteriorarsi inesorabilmente).
Per esercizi che richiedono esplosività ed accelerazione (muscle up o anche trazioni al petto) lo
consiglio nell’ultima variante citata, sempre stando molto attenti a errori tecnici e compensazioni
(che possono essere assai frequenti).
Per quanto riguarda le skill, invece, può andare bene per gli esercizi dinamici, specialmente
quelli del front lever; molto difficile invece da usare per la planche, se non con i push up nelle versioni più semplici.
AMRAP
Metodologia tipica del CrossFit, che però può essere usata con profitto anche nel calisthenics.
AMRAP è un acronimo che sta per as many reps as possible, nel caso di un esercizio solo; nel caso di due esercizi in superset, as many rounds as possible.
Partiamo dal primo caso. Un AMRAP con un esercizio è molto semplice: si setta un tempo limite (io faccio 12/15 minuti in genere, ma potete variare) e si cerca di fare più ripetizioni possibile
in quel lasso di tempo. Importantissimo usare la testa: quando li metto per esempio nelle trazioni,
vedo molti partire, dare tutto nella prima serie e poi essere spompati ed arrivare alla fine con poche
rep in saccoccia.
Esempio lampante nei diversi corsi che tengo in giro: spesso le ragazze, con meno trazioni
massimali degli uomini, fanno più ripetizioni nell’unità di tempo perché più intelligenti a suddividere il lavoro (si sa, le donne hanno una marcia in più).
Il mio consiglio è di andare spediti tenendo poche rep con poco recupero e di volta in volta
provare a modificare qualche parametro per migliorare il risultato. È un metodo a progressione automatica: sarete voi che cercherete di migliorare il risultato senza modifiche alla struttura.
Più interessante la versione con due o più esercizi insieme. Prendiamo ad esempio un AMRAP
di 12 minuti con trazioni e dip; qui dovremmo anche specificare il numero di rep che dobbiamo
fare a giro, se devono essere unbroken (cioè sempre di seguito, nel caso delle trazioni senza mai
scendere dalla sbarra) o se si possono spezzare.
Una volta decise queste variabili, il funzionamento è uguale alla versione precedente, con la
differenza che invece di fare il maggior numero di rep di un singolo esercizio dovremo fare più giri
possibile della super serie. I recuperi anche qui sono a discrezione del singolo atleta, ed anche la
progressione dipende da quanto più veloci fate i singoli giri.
Per quanto riguarda gli esercizi con cui si sposa meglio questo metodo, direi come prima tutti
gli esercizi base (trazioni, dip, piegamenti e piegamenti in verticale), le dinamiche del front lever e
le prime versioni dei push up in planche.
460
Per quanto riguarda esercizi più avanzati come muscle up, trazioni ad un braccio ecc., consiglio
questa metodologia (sia singola che raggruppata) solo ai più esperti che si sanno gestire molto bene: il rischio di fare casino e trovarsi impotenti con esercizi molto duri è dietro l’angolo. Attenzione anche per quanto riguarda le zavorre: consiglio un lavoro leggero di volume e non con carichi
elevati.
Per gli esercizi più complessi andiamo a vedere una variante di questo metodo: massimo numero di N rep nell’unità di tempo. Come anticipato, un metodo simile al precedente ma con qualche
vincolo in più, che lo rende più adatto a chi magari non possiede ancora le capacità di autoanalisi
richieste per generare il massimo numero di ripetizioni in una singola unità di tempo.
Qual è la differenza sostanziale? Che mentre nel precedente siete solo voi e l’unità di tempo, in
questa variante vi sarà detto anche il numero di ripetizioni da fare volta per volta, per esempio: trazioni prone, massimo numero di doppie in 12 minuti.
Vorrà dire che in 12 minuti dovrete macinare quante più trazioni che potete, avendo come vincolo di farne sempre due alla volta. Mettendo questa regola dovrete gestire solo i recuperi, non arriverete ad ammazzarvi in un paio di serie e questo per i non esperti è molto buono.
Trovo questa variante anche estremamente utile nei Muscle up, nelle trazioni ad un braccio e
negli esercizi più difficili perché avrete un target di tempo, quindi uno stimolo a migliorare, ma
anche un vincolo che non vi permetterà di arrivare al cedimento completo o a compensazioni eccessive, che in questi esercizi sono all’ordine del giorno.
Come facciamo a sapere come impostare il lavoro di partenza? Dipende dal numero totale di
rep massimali che abbiamo, dalla tipologia di esercizio e dall’obiettivo che vogliamo ottenere con
questo programma.
Se il nostro scopo è fare volume su un esercizio base, prendiamo per esempio le trazioni, teniamo come numero di riferimento un terzo o un quarto del massimale: la regola è che più è alto il
massimale, più lo dobbiamo scomporre (con 5 trazioni si reggono serie da 2, con 30 trazioni diventa impossibile tenere 15 trazioni sul lungo periodo).
Al contrario, se il nostro obiettivo è macinare diverse rep tecniche, staremo sempre bassi: per
esempio singole di trazioni ad un braccio (anche avendone 3/4 come massimale), doppie o triple
veloci di muscle up e via dicendo.
Per quanto riguarda la progressione, oltre che appunto avere come obiettivo macinare più rep
nell’unità di tempo, si può fare anche un incremento di questo tipo: tornando all’esempio delle trazioni, quando riesci ad eseguire 16 doppie nell’unità di tempo passa a farle triple, e via così.
Ripetizioni totali
Ecco un altro metodo per fare volume, per macinare tante rep, con similitudini coi programmi
precedenti. Mentre tuttavia negli altri avevamo fisso il tempo, qui abbiamo fisse le ripetizioni.
Come facciamo a calcolare un buon numero totale?
Si prende come riferimento il massimale dell’esercizio e lo si moltiplica per tre, quattro o cinque volte (dipende anche dal resto del programma). Per esempio, con una decina di trazioni come
massimale, si può cercare di completare 50 ripetizioni totali nel minor tempo possibile.
Questo metodo, oltre appunto ad avere come progressione il ridursi del tempo a mano a mano
che si migliora, può averlo anche come aumento delle ripetizioni in base ad un tempo target da
raggiungere. Tornando alle 50 ripetizioni totali di trazioni, quando si impiegano 10 minuti, si aggiungono al totale 5 o 10 ripetizioni, e via così. Se partiamo la prima settimana in cui impieghiamo
12 minuti a farne 50, e alla sesta settimana saremo a 11 minuti per completarne 70, avremo avuto
un gran miglioramento.
461
Capitolo XII -
L’allenamento al femminile
Da disciplina prevalentemente maschile, il corpo libero si sta tingendo sempre più di rosa. Uno
dei problemi che devono affrontare le ragazze è quello che o si allenano per bene o il loro potenziale sarà difficilmente raggiungibile. Perché dico questo? Forse non vale tutto come per i maschietti?
499
È un problema di aspettative: per un ragazzo giovane e robusto le aspettative sono altissime e
tutto quello che fa viene accolto con un “eh ma si può fare meglio; eh alla tua età saltavo i fossi
per il lungo; eh ma, eh ma…”, con la conseguenza di spingerlo sempre di più ad impegnarsi. Al
contrario, le ragazze vengono viste come delle incapaci motorie e qualunque accenno di attività
fisica viene accolto come una prodezza, generando complimenti a destra e a manca.
Ho avuto una discussione in questo senso: in un noto gruppo online di allenamento a corpo libero, una ragazza posta una disfunzione motoria arrotolandosi sulla sbarra, senza fare davvero nulla. Scroscio incessante di applausi, a cui ho dovuto mettere fine. “Eh, ma almeno non sta sul divano a guardare uomini e donne”.
Questa la giustificazione a tale comportamento, una grave mancanza di rispetto dal mio punto
di vista. Non sono dei gusci a cui va costantemente rinnovata la stima e l’ammirazione per ogni
cagata partorita, perché altrimenti mollano e tornano sul divano. No, lo sport non funziona così,
funziona tramite parametri, cose che ancora mancano al corpo libero.
Invece i risultati reali che le donne possono ottenere sono strabilianti: tralasciando il nostro stivalico paese, all’estero sono tante le ragazze forti, e non per forza hanno un passato da ginnaste.
Front Lever, muscle up zavorrati, trazioni ad un braccio, planche divaricate, piegamenti in verticale libera: tutti movimenti che ho visto eseguire da ragazze.
Ancora, ho visto ragazzine meno che maggiorenni fare 30 (sì, trenta) trazioni, dip zavorrati a
ripetizione con il loro peso corporeo: quello che si può ottenere è incredibile, il percorso come al
solito è lungo e pieno di difficoltà, e come in tutte le cose c’è chi è più portato e chi meno, ma credete nel vostro potenziale e potrete fare cose incredibili!
Torniamo a noi ed analizziamo i punti di forza e di debolezza di una ragazza, e le differenze a
livello di allenamento rispetto ai maschietti. Mediamente, le ragazze hanno un vantaggio: sono più
leggere delle proprie controparti maschili. Questo a corpo libero è un bel vantaggio, e va a ridurre
la differenza che c’è a livello di forza rispetto ad altri sport.
Soprattutto ciò è tangibile nelle trazioni, uno degli esercizi in assoluto dove c’è minore differenza tra uomo e donna (sì lo so, sembra incredibile). Hanno inoltre un consistente vantaggio nella
fase di chiusura di questo esercizio: questo è dovuto al fatto che, avendo meno massa sul bicipite e
più flessione del gomito, riescono a tenere la chiusura supina molto più facilmente degli uomini.
500
Occhio durante la stesura degli allenamenti: bisogna prestare attenzione e tenere conto di questa differenza, soprattutto quando si vanno ad insegnare le trazioni. Se per un uomo si passa ad una
propedeutica successiva quando si raggiungono determinati secondi in chiusura, per una donna bisogna aumentarli parecchio. Non sono rari gli esempi di ragazze che tengono l’isometria ad un
braccio in chiusura, ma che poi hanno più problemi durante le altre fasi della trazione.
Per fare un esempio pratico dando dei numeri: mentre un uomo che tiene l’isometria in chiusura delle trazioni supine per una trentina di secondi probabilmente ne ha qualcuna completa, alla
donna servirà un secondaggio maggiore per ottenere la stessa performance.
Più marcata la differenza negli esercizi di spinta, forse il vero punto debole delle ragazze, che
in dip, piegamenti e piegamenti in verticale non riescono ad esprimere la medesima forza di un
uomo. Questo è anche dovuto al fatto che, in media, hanno l’articolazione della spalla più instabile
rispetto a quella di un uomo: questo si nota soprattutto nei piegamenti, dove spesso elevano in modo innaturale la spalla per completare l’esercizio. Sicuramente un punto a cui prestare molta attenzione durante lo sviluppo delle capacità atletiche di una donna.
Altro punto debole è l’esplosività: per le ragazze è più difficile fare movimenti in accelerazione
come i muscle up, ma ciò non vuol dire che non ci possano riuscire.
Una ragazza, ancora più di un principiante uomo, deve badare al sodo, cioè agli esercizi importanti per costruire le fondamenta e mettere su forza. Niente tentativi di skill a caso, niente “eh ma
ci voglio provare”: lavoro duro sulle cose che contano. Non è divertente? Diventare forti deve essere un’ossessione, non solo un divertimento.
Il percorso che dovrebbe seguire una ragazza
Facendo una scaletta di abilità da acquisire, immaginando di partire da zero, dovremmo avere
come già detto un focus totale sulle basi, quindi andare a conquistare trazioni, dip e piegamenti,
macinandone tanti. Contemporaneamente a ciò, dobbiamo andare a potenziare anche la spinta verticale con i V-push up sino ad arrivare ai piegamenti in verticale al muro coi gomiti larghi.
501
Una volta che abbiamo queste basi solide, il primo esercizio avanzato che bisogna approcciare
sono i muscle up agli anelli, lavorando quindi sulle propedeutiche di questo esercizio.
Lascio molta meno alternativa rispetto agli uomini per il discorso fatto poc’anzi: la minor
esplosività rende proibitivo a questo livello approcciare quelli alla sbarra in accelerazione, mentre
quelli alla sbarra in false grip presentano più difficoltà di quelli agli anelli per via dell’ostacolo dato dalla sbarra stessa in transizione. Dovremmo quindi prima diventare forti agli anelli, e poi pensare al resto.
Da qui, avendo quindi una forza di trazione molto buona, potremo iniziare ad allenare skill
come front lever e back lever, sempre con un ruolo secondario rispetto agli esercizi base.
La planche per una ragazza nel primo anno e mezzo di allenamento la lascerei perdere: è un
movimento davvero difficilissimo e al mondo solo pochissime ragazze hanno una straddle solida, e
questo grazie al fatto di essere estremamente mobili e di avere quindi una divaricata molto ampia.
Per la bandiera invece vale lo stesso discorso fatto nell’apposita sezione: diventate prima forti
nei piegamenti in verticale al muro, e poi arrivare ad una bandiera almeno divaricata non sarà eccessivamente difficile.
Alcuni esempi di programma
Programma #1
Il primo programma, Tabella 12.1, è di un’allieva di Mattia, molto forte in Front Lever. La divisione nella settimana è: A, B, riposo, C, D.
Nel giorno A abbiamo i pull in one leg: le prime due settimane facciamo una ripetizione con la
destra, riposiamo un minuto, poi una con la sinistra, e questa è una serie. Nelle ultime due settimane, invece, facciamo una ripetizione con la destra e subito dopo una con la sinistra, e questa è una
serie. Saranno meno serie perché in questo modo, senza pausa tra una gamba e l’altra, l’esercizio
risulterà molto più pesante.
Nel giorno B abbiamo un “tipico” esercizio da ragazza, le isometrie con le braccia a 90°: come
detto prima, l’isometria in chiusura è sicuramente il punto forte delle ragazze. Anche quando si
eseguono le trazioni e non solo le isometrie, una volta che si supera l’angolo di 90°, si riesce a portare a casa la ripetizione.
Ecco quindi che mettere forza nel punto critico, cioè appunto il braccio a 90°, risulta molto utile per andare a sfruttare la forza in chiusura. Potenziare l’anello debole di un movimento è sempre
il segreto per diventare più forti in esso.
Nel giorno C è particolare l’inserimento di due tipi di trazioni in front lever: ma, a differenza di
quello che si può vedere di solito, cioè passare da una propedeutica ad una più facile, qui teniamo
fissa la posizione del corpo e andiamo a cambiare il range di movimento.
Questo per mantenere fissa la difficoltà nella prima porzione di movimento e non cambiare lo
schema motorio, imparando quindi a tirare nella stessa maniera, in quanto nelle trazioni in front
lever diversi angoli del corpo vanno a variare il modo in cui si tira. Nelle prime, tenendo il corpo
perfettamente orizzontale, andiamo a portare lo stomaco a contatto con la sbarra, mentre nel secondo ci preoccupiamo solo di rompere il parallelo.
Nel giorno D abbiamo le ripetizioni totali nei raise: quando eseguiamo le ripetizioni in 10 minuti, dalla volta successiva aumentiamo il totale di 3 ripetizioni. Qui l’allenatore fa un’ulteriore
richiesta: quella di non scendere mai sotto le doppie. Non potremo quindi completare le ripetizioni
andando avanti a singole.
502
All
Esercizio
Sett 1
Sett 1
Sett 2
Sett 3
4x1
x gamba
5x1
x gamba
3x1
alternate
4x1
alternate
Dip agli anelli
5x5
5x5
6x5
7x5
Trazioni ad un braccio assistite agli anelli
(anello del braccio di assistenza sotto l’anello
di trazione)
3x3
3x2
4x3
2x2
5x3
1x2
4x4
Archer pull up in isometria a 90°
4 x 5"
4 x 5"
4 x 5"
4 x 5"
5x5
5x5
6x5
6x5
3x3
4x3
4x3
5x3
Dragon flag
3x8
3x8
3x8
3x8
Rematore inverso (L-front lever pull up) full
ROM
4x1
4x1
4x1
4x1
Archer pull up agli anelli
3x1
3x1
4x1
5x1
5x5
6x5
7x5
4x7
5x5
5x5
5x5
5x5
5x1
fermo 2"
5x1
fermo 3"
5x1
fermo 3"
5x1
fermo 5"
5x5
5x5
5x5
5x5
15 RT (+3)
15 RT (+3)
15 RT (+3)
One leg front lever pull
A
B
C
Scivolamenti da hollow sulle mani a planche
lean (fermo di 1” ad ogni sbilanciamento)
Advanced tuck ice cream maker (fermo di 2”
in advanced tuck front Lever
V-push up con piedi su rialzo (mani su
paralleline)
Rematore inverso (L-front lever pull up)
rompendo il parallelo
Advanced tuck tront lever raise full ROM con
fermo in salita
Pseudo planche push up
D
Advanced Tuck Front lever raise (non andare
15 RT (+3)
mai a singole, minimo doppie
Dip agli anelli isometria full ROM
4 x 15"
4 x 15"
4 x 15"
4 x 15"
Transizione muscle up iedi a terra
3x6-8
3x6-8
3x6-8
3x6-8
Tabella 12.1 – Programma #1
Programma #2
Il secondo programma, Tabella 12.2, è di una mia allieva, il cui punto forte è la spinta, soprattutto dip e piegamenti in verticale al muro.
La divisione settimanale minima è di 3 giorni alla settimana, A-B-C, ma in caso di maggiore
tempo da dedicare agli allenamenti si può inserire un quarto giorno B, e volendo anche un quinto
giorno libero.
L’obiettivo, come si evince dalle trazioni in false grip nel giorno A, è quello di arrivare ai muscle up agli anelli. Se infatti questa ragazza è molto avanzata nella spinta (nei dip la seconda settimana mi ha detto che li faceva con 24 kg perché con 20 kg erano davvero leggerissimi), in trazione
siamo più indietro (siamo sulle 10/12 ripetizioni di massimale).
503
Capitolo XIII -
La Biomeccanica del Calisthenics
- di Paolo Evangelista 7
L’aspetto più affascinante del Calisthenics, dal mio punto di vista, è il controllo: gli atleti mantengono in maniera assolutamente stabile, senza tremolii o tentennamenti, posizioni isometriche
che sembrano sfidare le leggi della Fisica. Ma non è così: gli atleti non le sfidano, le dominano.
7
Autore del libro “DCSS – Powermechanics For Power Lifters (Ciccarelli Editore)”, definito da Boris Sheiko, l’allenatore russo padre del moderno Powerlifting come “il miglior libro di Biomeccanica del Powerlifting che abbia mai letto”.
507
Chi fa calisthenics sviluppa dei movimenti in cui utilizza le leve più vantaggiose… in maniera
del tutto empirica e inconscia, sfruttando nella pratica concetti di Fisica che a raccontarli sono solo
astrusi. Mi sembrava carino inserire un capitolo per mostrare il “dietro le quinte” di esercizi complicati.
Sapere queste cose non vi aiuterà a migliorare il vostro front lever, come conoscere la Fisica
degli urti non fa diventare dei giocatori di biliardo più bravi, però, pensate a questo: chi fa Calisthenics sa benissimo che avere le gambe lunghe è peggio che averle corte, così come le cosce
troppo grosse. Ok, è chiaro il motivo, no? È chiaro? Bene, provate a spiegarlo… è meno chiaro,
vero? In questo capitolo renderemo chiare cose che chi si allena a corpo libero prova con mano
tutte le volte che si allena ma, magari, non sa spiegare correttamente:
 Il concetto di leva, su cui si basa tutto il corpo libero (“è una leva molto svantaggiosa”,
“fai leva” e così via).
 Il concetto di Centro di Massa o CoM, Center of Mass, che determina se in una skill si
possa rimanere in equilibrio o meno.
Come diceva il mio prof di Analisi (Analisi Uno, non psicoanalisi…), “certe cose vanno viste
almeno una volta nella vita, se non altro per capire quanto in realtà sono difficili”: questa roba
non vi servirà per essere dei fortissimi atleti, ma sappiate che se vi servisse… è qui.
Aspetta un momento!
Figura 13.1 – In alto, una classica altalena da parco giochi: per essere in equilibrio i due “bambini” dalle parti devono avere circa lo stesso peso. In basso a sinistra non si ha equilibrio perché il peso a sinistra è maggiore di quello a destra. In basso a destra, invece, non si ha equilibrio perché pur essendo i pesi identici i bracci dell’altalena sono di lunghezze differenti
Chiunque da piccolo abbia giocato con un’altalena sa benissimo che questa è in equilibrio se i
due bambini alle estremità opposte sono circa dello stesso peso e posti alla stessa distanza, Figura
13.1 in alto. Pesi corporei differenti, Figura 13.1 in basso a sinistra, oppure stessi pesi corporei ma
lunghezze dei bracci dell’altalena differenti, Figura 13.1 in basso a sinistra, e un bambino andrà su,
l’altro giù per quanti sforzi possano fare.
508
Figura 13.2 – Una condizione di equilibrio con pesi differenti e bracci differenti
Giocando con le altalene i bambini capiscono che per ottenere un equilibrio che permette di
dondolare, è necessario che il bambino che pesa di più debba posizionarsi più vicino al centro di
rotazione dell’altalena stessa, come in Figura 13.2.
I bambini scoprono intuitivamente il concetto di momento meccanico. Per tenere in equilibrio
l’altalena non è necessario solamente applicare delle forze, in questo caso i pesi corporei, ma è anche necessario posizionarle ad una certa distanza dal punto di rotazione dell’altalena, cioè del
segmento che può ruotare intorno ad un centro ben preciso.
Figura 13.3 – I momenti meccanici dei due bambini sull’altalena
Facendo riferimento alla Figura 13.3, il bambino a sinistra, con il suo peso P1 alla distanza L1
dal centro di rotazione creerà intorno a questo punto un momento meccanico (si usa la lettera tau,
τ, da torque) pari al prodotto del peso per la distanza dal centro di rotazione.
Questo momento è la causa della rotazione dell’altalena in senso antiorario. Analogamente il
bambino di destra, con il suo peso P2 alla distanza L2 dal centro di rotazione creerà intorno a questo
punto un analogo momento che farà girare l’altalena in senso orario. I momenti meccanici sono
perciò le cause delle rotazioni degli oggetti: semplificando molto, per muovere un oggetto è necessaria una forza, per far ruotare un oggetto è necessario un momento.
Figura 13.4 – L’equilibrio dei momenti nell’altalena
509
L’altalena non ruota né in senso orario né in quello antiorario, Figura 13.4, perché i due momenti sono perfettamente uno l’opposto dell’altro: tanto farebbe ruotare uno in senso orario quanto
l’altro in senso antiorario.
Eh si… le leve
Affinché un corpo non ruoti, non è necessario che le forze siano in equilibrio, ma che siano in
equilibrio i momenti, che dipendono da un mix fra forze applicate e punto di applicazione delle
stesse.
Lo so che le formule non piacciono, però concedetemi questo: se 𝜏1 = 𝜏2 , sostituendo i rispettivi valori si ha: 𝑃1 𝐿1 = 𝑃2 𝐿2 , che può essere scritta così:
𝐿2
𝑃1 = 𝑃2
𝐿1
È così possibile così conoscere P1 conoscendo P2 e le lunghezze dei bracci dell’altalena, oppure così:
𝐿1
𝑃2 = 𝑃1
𝐿2
Cioè il contrario, conoscere P2 conoscendo P1. Queste sono le formule classiche di una leva,
L’altalena è, infatti, un esempio di leva, definita come “macchina meccanica semplice composta
da due bracci solidali, cioè uniti rigidamente, fra loro che possono ruotare intorno ad un punto
comune detto fulcro”, la base d’appoggio dell’altalena stessa. Poiché i bracci sono uniti in maniera
rigida, la velocità di rotazione è la stessa per entrambi.
Figura 13.5 – È sempre possibile schematizzare un’articolazione come una leva: l’articolazione è il fulcro, l’osso che ruota è
la leva, il carico esterno è una forza applicata ad un braccio, detto “della resistenza”, la forza muscolare dei muscoli in
gioco è applicata all’altro braccio, detto “della potenza”
In Figura 13.5, a sinistra l’articolazione del gomito e dei relativi muscoli flessori ed estensori. È
sempre possibile schematizzare il tutto con delle leve, come a sinistra: il gomito è il fulcro della
leva data da radio e ulna, un carico è applicato a un braccio della leva, detto “braccio della resistenza”, una forza muscolare è applicata all’altro braccio della leva, detto “braccio della potenza”.
510
Figura 13.6 – Una leva generalizzata utilizzata per modellare una forza muscolare F che impedisce ad un osso di ruotare
intorno ad una articolazione O sotto l’effetto di un carico esterno P
Nei modelli biomeccanici si utilizza sempre un modello di leva generalizzata, Figura 13.6:
 L’articolazione considerata è il fulcro della leva, l’osso che ruota è l’asta della leva.
 È sempre presente un carico, con la sua forza peso P, che tende a far ruotare l’osso intorno
all’articolazione.
 La rotazione del carico è contrastata dall’accorciamento di un muscolo, che ha una origine
e una inserzione che determinano una linea d’azione fra questi due estremi.
L’accorciamento del muscolo crea una tensione muscolare e così una forza F.
Nell’altalena parallela al terreno di Figura 13.4 i bracci di leva sono pari alla distanza delle forze dal fulcro, in una leva generalizzata è solo leggermente più complicato: il braccio di leva è pari
alla distanza che c’è fra la retta d’azione e il fulcro. Per il braccio di leva della forza F si consideri
la Figura 13.7:
 Si posiziona la squadra perpendicolarmente alla retta d’azione e si disegna la retta che passa per il fulcro.
 Si misuri la lunghezza del segmento che va dal fulcro alla retta d’azione, L1: questo è il
braccio di leva della forza F che, come si vede, è di lunghezza minore a LF.
Figura 13.7 – Il calcolo del braccio di leva della forza F
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