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Domande Esame economia industriale
Economia industriale (Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli)
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DOMANDE ECONOMIA INDUSTRIALE
1. Spiegare cosa si intende per mercato rilevante e come si
procede alla sua individuazione.
Quando parliamo di mercato rilevante facciamo riferimento
all’ambito specifico in cui si esercita la concorrenza, ovvero è
il più piccolo contesto in cui è possibile la creazione del
potere di mercato.Il mercato rilevante è definito sotto il
profilo del prodotto o sotto il profilo geografico per
individuare i concorrenti effettivi delle imprese . Sotto il
profilo del prodotto possiamo indentificare l’insieme di beni
e servizi che sono sostituibili dal consumatore. È utile
calcolare l’elasticità incrociata della domanda; maggiore è
l’elasticità maggiore è La sostituibilità. Sotto il profilo
geografico identifichiamo l’area in cui le imprese sono
sufficientemente concorrenti. Il limite geografico viene
determinato analizzando se l’aumento del prezzo in una
località comporta l’aumento del prezzo in un’altra località. Se
cosi fosse le località appartengono allo stesso profilo
geografico. Per determinare il profilo geografico bisogna
prima raccogliere determinate informazioni sull’entità dei
costi di trasporto , la disponibilità degli acquirenti a spostarsi
e se esistono eventuali barriere tariffarie.
2. Illustrare graficamente e descrivere il concetto di “economie
di scala” e indicare le eventuali differenze rispetto al concetto
di “economie di apprendimento”.
Le economie di scala indicano i vantaggi di costo che si
ottengono all’aumentare della dimensione della capacità
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produttiva e della produzione. Un’impresa realizza economie
di scala quando il costo medio unitario di produzione
diminuisce all’aumentare della produttività dei suoi impianti.
L’esistenza di economie di scala segna invece che una
maggiore dimensione dell’impianto consente un uso più
efficiente delle risorse coinvolte nel processo produttivo
Anche le economie di apprendimento (economie di scala
dinamiche) (indicano cioè le riduzioni dei costi medi unitari
generate dall’esperienza) hanno il medesimo effetto
dell’economie di scala ma l’aumento della produzione
avviene a seguito del miglioramento del know how e delle
procedure organizzative che avvengono passivamente per
semplice accumulo di esperienza nel fare qualcosa. (le
conoscenze sono: learning-by-doing/using/searching)
Tramite degli studi della BCG ( boston consulting group) si
osserva una regolarità nella riduzione dei costi e dei prezzi
associata all’incremento della produzione cumulata. Da
queste osservazioni è stata formulata la legge
dell’esperienza: il costo unitario del valore aggiunto di un
prodotto standardizzato si riduce secondo una percentuale
costante ogni volta che la produzione cumulata raddoppia.
Se l’impresa espande la produzione più dei concorrenti, può
‘scendere’ lungo la curva dell’esperienza più velocemente dei
rivali e può ampliare il differenziale di costo. Il principale
obiettivo strategico dell’impresa è quindi la quota di
mercato. L’impresa per trarre vantaggio dai risparmi di costo
dell’esperienza dovrebbe fissare il prezzo dei propri prodotti
sulla base dei costi previsti praticando una politica di pricing
di penetrazione.
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Grafico foglio
3. Illustrare e descrivere la curva di domanda ad angolo. O
modello sweezy
la teoria della curva di domanda spezzata consiste in un
modello utile per ‘analisi dei comportamenti di imprese che
fanno parte di un oligopolio (L'oligopolio è una forma
di mercato in cui ci sono poche imprese con uguale struttura
di costo e che producono un bene omogeneo.)
Originariamente volto a dimostrare la tesi che, in riferimento
ad un monopolio di grandi imprese, il movimento dei prezzi
non riveste più il ruolo fondamentale teorizzato da marshall,
ma l’equilibrio al contrario è assicurato dalle variazioni delle
quantità di merci offerta dalle grandi imprese. Viene
applicato in un mercato di oligopolio omogeneo non
collusivo. Le singole imprese sono portate ad immaginare di
avere due curve di domanda aventi differenti elasticità. La
prima avrà elasticità più elevata e rappresenta la curva di
domanda del prodotto della singola impresa nel casso voglia
aumentare il prezzo, la seconda rappresenta il caso in cui
l’impresa prospetti una diminuzione del prezzo.
La conclusione è che le imprese oligopoliste sono solite a
non variare il prezzo, ma ad utilizzare come leve competitive
la qualità e le caratteristiche del prodotto, la pubblicità ed i
servizi offerti alla clientela.
GRAFICO VEDI FOGLIO
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Descrizione grafico: (B=prezzo corrente) l’impresa in
oligopolio percepisce la propria curva di domanda
osservando il proprio prezzo e il livello di output ma deve
prevedere la reazione dei concorrenti a qualsiasi variazione
del prezzo. L’impresa dedurrà che se diminuisce i prezzi si
avrà una domanda inelastica (curva di domanda ripida per
prezzi < a po) perché tale azione sarà imitata dai concorrenti
( azione aggressiva) Ma i medesimi non reagiranno ad
eventuali aumenti del prezzo che determinano una domanda
elastica per prezzi >Po miglior strategia mantenere prezzo a
Po (perché l’impresa prevede che i ricavi si ridurranno nel
caso di riduzione o aumento del prezzo).
4. Spiegare le ragioni che determinano i processi di
integrazione verticale sulla base dell'analisi dell'impresa
proposta da Williamson.
L’economista Americano Williamson sostiene che ogni
organizzazione economica nasce dal tentativo di minimizzare
costi di transazione in contesti caratterizzati da contratti
incompleti, investimenti specifici, razionalità limitata e
opportunismo.
l’economista williamson ha sviluppato una teoria che
considera in modo dettagliato i fattori che influenzano i costi
di transizione e spiegano l’integrazione verticale. Redige
l’ipotesi che gli attori economici agiscono in condizioni di
razionalità limitata e di opportunismo, cioè traendo profitto
dalle opportunità vantaggiose che si presentano. Tra le
ragioni messe in evidenza da williamson ci sono:
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la specificità dei beni capitali: ex macchinario che viene
realizzato su misura per determinati acquirenti e non
potrebbe avere altre applicazioni per il ciclo produttivo di un
altro acquirente. Il fornitore dipende dal suo acquirente. È
conveniente in questi casi ricorrere all’integrazione verticale.
L’incertezza: all’interno del mercato ci sono tanti fattori di
incertezza e di rischio riguardanti ritardi o interruzioni,
quindi riguardanti le fasi concentrate a ‘valle’. Perciò per
fronteggiare tali incertezze, le imprese, aumentano il livello
di scorte pregiudicando l’equilibrio finanziario. È conveniente
una integrazione con i propri produttori di materie prime per
contenere i livello delle scorte.
Compressione informativa: esempio: quando un impresa
paga una quota fissa (ad un altra) per ricevere informazioni
sui mercati di recente sviluppo , quest’ultima non ha
incentivi ad essere tanto produttiva e l’acquirente non ha
modo di stabilire se il fornitore ha fornito informazioni
complete oppure no. È più efficace ed efficiente un
integrazione verticale per risolvere questi problemi
Cordinamento estensivo: l’integrazione verticale offre un
coordinamento più ampio come avviene per le industrie
dotati di rete (esterne) come le compagnie aeree o ferrovie.
5. Descrivere il modello di Akerlof.
l’economista Akerlof (nel ’70) , attraverso il mercato delle auto
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usate (articolo market for lemons) elabora un modello che tratta
di asimmetria informativa dimostrando che quando gli acquirenti
si affidano a valutazioni statistico-probabilistiche per superare le
incertezze delle informazioni sulle caratteristiche qualitative del
prodotto i venditori avranno l’incentivo ad offrire prodotti di
bassa qualità. Secondo il modello infatti l’acquirente tenderà a
scontare dal prezzo il valore delle informazioni di cui non è in
possesso, e questo provocherà l’uscita dal mercato di chi vende
auto di buona qualità.
Ad esempio nel mercato dell'usato sono presenti 50% di
auto di buona qualità e 50% di bidoni. Chi vende l'auto di
buona qualità richiede un prezzo di 1000, mentre chi vende
l'auto di cattiva qualità richiede un prezzo di 400.
chi compra non ha modo di sapere se l'auto è di buona o
cattiva qualità, e tenderà a scontare il prezzo per far fronte
al cattivo affare, dunque il prezzo medio delle auto usate è:
1000+400/2=700
ma chi vende un auto di buona qualità non ha interesse a
venderla al prezzo di 700 perché ci perderebbe, dunque sul
mercato rimangono progressivamente solo le auto di cattiva
qualità vendute a un prezzo superiore al loro valore.
Akerlof individua due istituti per contrastare l’incertezza e a
diminuire il costo ‘disonesto’: garanzia e reputazione del
brand
6. Illustrare graficamente e spiegare come il regolatore può
determinare la tariffa ottimale nel caso di monopolio
naturale.
Il monopolio naturale è quella forma di mercato che si
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verifica quando un'unica grande impresa è in grado di
produrre a costi inferiori rispetto ad un insieme di piccole
imprese.ɸ Il monopolio si caratterizza dalla presenza di prezzi più
alti e quantità offerte più basse rispetto alla concorrenza. Però La
massimizzazione del surplus del consumatore si verificherebbe
nel momento in cui il prezzo risulta pari al costo marginale. In
questo caso per l’impresa si genera una perdita in quanto i costi
fissi non saranno coperti dalle entrate, provocando per il
monopolista la probabile uscita dal mercato.
Vi è però la possibilità che Intervenga il regolatore (intervento
regolatore dei poteri) imponendo una regola di prezzo che
massimizza il benessere sociale con il vincolo di pareggio di
bilancio ( break even point) ponendo in definitiva il prezzo al di
sotto del prezzo del monopolio ma al di sopra dei costi marginali
(MC).
DIMOSTRAZIONE VEDI FOGLIO
c=costo marginale
partiamo pero dall’inizio analizzando il grafico. senza l’intervento
del regolatore l’impresa fissa il prezzo PM e la produzione del
bene sarà minore di quella ottimale (no efficienza allocativa). Pr
permette l’efficienza allocativa (marginal cost pricing) ma i profitti
netti sono pari a –F. l’alternativa è quella di fissare il prezzo +
basso del PM e al di sopra di Pr riscontrando dei profitti non
negativi almeno pari al costo medio. L’impresa ha incentivo a
ridurre i costi? Price-cap regulation: quando i prezzi vengono
fissati dal regolatore per un periodo lungo x ridurre i costi;
sarebbe questo un meccanismo in cui il risparmio dei costi si
traduce in un aumento del profitto
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deduzione finale: un impresa che voglia massimizzare i profitti
cercherà di ridurre i costi di produzione
(ɸUna tale situazione si verifica quando i costi medi calano
all'aumentare della produzione, ad esempio in presenza di
rendimenti crescenti: in questi casi, tanto maggiore è la
produzione, tanto meno costa produrre ciascuna singola unità.
Il monopolio naturale è riscontrabile nella produzione di servizi di
pubblica utilità come energia, trasporti e telecomunicazioni,
spesso gestite da imprese pubbliche. )
7. Spiegare la differenze tra indici di concentrazione assoluta e
relativa. Data la tabella riportata qui sotto, calcolare l’indice
HH e il coefficiente di variazione nel settore del tessile e della
chimica. Commentare.
Gli indici di concentrazione assoluta ( Reciproco del
numero delle imprese, Rapporto di concentrazione,
Indice di Hirschman-Herfindahl , Entropia ) sono quelli
legati sia al numero delle imprese che alla rispettive
quote di mercato relative; mentre gli indici di
concentrazione (Coefficiente di Gini , Coefficiente di
variazione , Varianza dei logaritmi della dimensione di
impresa)
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relativa misurano solamente la dispersione delle quote
di mercato. L’indice HH (Herfindahl Hirschman)
proposto è particolarmente usato negli studi sulla
concorrenza oligopolistica. La sua peculiarità è quella di
proporre una ponderazione proporzionale della quota di
mercato detenuta dalla singola impresa.
Il coefficienza di variazione C è il rapporto tra devazione
standard e media delle dimensioni delle imprese che
operano nell’industria. Rileva la dispersione delle
dimensioni relative delle imprese dal valore medio delle
stesse. Nel monopolio avrà valore massimo=1 mentre
nel caso di molte imprese di uguali dimensioni tenderà
a0
N
HH =∑ s i2❑
i=1
HH =
Dove c=
σ
x
con
x
¿
¿
¿
n
1
σ= ∑¿
n i
-
x
c2 +1
n
)
8. Indicare le principali differenze tra il capitalismo
“anglosassone” e il capitalismo “renano”.
Nel sistema anglosassone prevalgono le società
contendibili, fortemente dipendenti dal mercato
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azionario e dove non sono frequenti coalizioni fra
singoli azionisti per detenere stabilmente il controllo di
specifiche società. inoltre c’è separazione tra proprietà,
che spetta all’insieme degli azionisti, e controllo, cioè
l’esercizio del potere di comando sulla gestione
dell’impresa, che spetta ai manager. La conseguenza
principale che discende da tale separazione è che gli
obiettivi delle due categorie possono non essere
coincidenti. Una soluzione di equilibrio si potrebbe
verificare nel caso in cui il manager acquisti l’impresa,
cosa non sempre agevole per vincoli finanziari e
avversione al rischio. Altri connotati di questo sistema
sono la crescita della disuguaglianza tra le retribuzioni
dei manager e quelle dei lavoratori medi e la crescita
dell’influenza delle lobbies.
Il modello renano invece si differenzia principalmente
per la corporate governance e in particolare sul
controllo azionario, che nella maggior parte delle grandi
imprese è riconducibile ad un numero limitato di
soggetti, e perciò non ha la natura pubblica della public
company. Inoltre gli azionisti partecipano attivamente
alla gestione dell'impresa affiancandosi ai manager e ai
rappresentanti dei dipendenti dell'azienda, e la
massimizzazione del profitto è per tutti gli stakeholders
e non solo per gli azionisti (shareholders)
Altra caratteristica è un rapporto costante fra impresa e
istituzioni pubbliche, il che contribuisce a stabilizzare le
diverse forze che fanno capo all'impresa.
il modello renano gode infine di minori risorse
finanziarie e affronta maggiori difficoltà nella ricerca di
capitali per fusioni e acquisizioni.
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Sistema pensionistico (sistema di formazione del
risparmio): nei paesi anglosassoni tale sistema è a
capitalizzazione, registra forti avanzi finanziari che
riversandosi sui mercati di borsa ne fanno il principale
strumento di finanziamento esterno delle imprese.
Nei paesi continentali invece il sistema pensionistico è
a ripartizione : non produce cioè avanzi finanziari, e
quindi sarà il sistema bancario ad alimentare
prevalentemente il finanziamento delle imprese.
9. Illustrare graficamente e descrivere l’effetto di variazioni dei
costi marginali delle imprese nel caso in cui la curva di
domanda assuma forma ad angolo.
Alla curva MC che rappresenta l’andamento del costo marginale
vengono inserite le curve MC1/2/3 che mostrano l’effetto di
possibili variazioni del costo marginale ( conseguenza
dell’aumento o diminuzione del costo di lavoro o materie prime).
Se le variazioni dei costi sono contenute nell’ambito della
discontinuità della curva dei costi marginali, il prezzo l quale
l’impresa massimizza il profitto rimane (in)alterato. Se gli aumenti
dei costi di produzione determinassero la posizione della curva
dei costi marginali descritta dalla curva MC3 , l’impesa sarebbe
indotta a modificare il prezzo per ristabilire l’uguaglianza fra costi
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e ricavi marginali.
Le variazioni dei costi di produzione non comportano subito
variazioni dei prezzi. Ciò significa che un aumento dei costi di
produzione diretti delle materie prime o altro ha l’effetto nel
breve periodo di ridurre il profitto delle imprese che non possono
stabilire comportamenti collusivi fra loro.
Fino a quando i costi marginali incontrano il ricavo marginale nel
tratto verticale, il prezzo e la quantità
Rimarranno costanti…pero nel momento in cui i MC incontrano i
RM nel punto c (grafico) l’impresa è indotta a modificare il prezzo
e ristabilire l’equilibrio tra RM CM
B= prezzo corrente
VDDI FOGLIO PER DIMOSTRAZIONE
10.
Descrivere le componenti della domanda aggregata di
mercato nella teoria marrisiana e le tre fasi che la
caratterizzano.
La teoria Marrisiana si basa su tre presupposti, cioè che i bisogni
dei consumatori sono in continua trasformazione e che il
comportamento di questi ultimi dipende dalle esperienze di
consumo acquisite, dal messaggio pubblicitario e dai giudizi di
altri consumatori.
L’economista inglese Robin Marris ricorre ad una distinzione dei
consumatori in pionieri e pecore.
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I primi, ovvero i pionieri, si distinguono prevalentemente perché
decidono nuovi acquisti senza il bisogno di essere stimolati da
altri consumatori, al contrario di quanto accade ai secondi, ovvero
le pecore. Le variabili che incidono sul numero di consumatori
pionieri di un nuovo prodotto sono il prezzo, la qualità, e la spesa
pubblicitaria.
La domanda dei consumatori pionieri risulta elastica, opposta
quindi alla curva di domanda del consumatore pecora.
La domanda complessiva del mercato è data dalla somma delle
singole domande individuali, le quali differiscono tra loro a
seconda che si tratti di consumatori pionieri o di consumatori
pecore. In sintesi il pioniere incorpora il nuovo prodotto nel
proprio schema di preferenze, creando la propria curva di
domanda fino ad allora inesistente e ciò con un processo
irreversibile. Allo stesso modo, irreversibile è il cambiamento che
subisce il consumatore pecora tutte le volte che in seguito ad
attivazione per mano di altri consumatori è stimolato ad
acquistare un dato prodotto. L’insieme di tutti i consumatori
pionieri e pecore è definito popolazione del mercato. (la cui
dimensione è funzione sia del prezzo sia delle qualità del
prodotto).
Funzione della Domanda pionere qij=ɸp(XiXj)u ij
Funzione della domanda del la pecora: qij=ɸs(XiXj) vij
Domanda aggregata: Qj=Npɸp+Naɸs
Le tre fasi che caratterizzano la domanda sono Gestazione, in cui il
numero delle pecore attivate è nullo e quindi la domanda
complessiva è influenzata solo dai pionieri; saturazione, quando il
numero delle pecore attivate coincide con il numero totale delle
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pecore; ed infine esplosione, fase instabile ed intermedia tra le
precedenti. (grafico curva ad onda)
11.
Illustrare la differenza tra efficienze statica e dinamica.
Confrontare gli incentivi all’innovazione in concorrenza e
monopolio secondo il modello di Arrow.
L’efficienza dinamica consiste nella possibilità di introdurre nuovi
processi e prodotti da parte dell’impresa, mentre l‘efficienza
statica consiste nell’efficienza produttiva, ovvero nello
sfruttamento ottimale delle risorse, e nell’efficienza allocativa,
cioè la distribuzione delle risorse nel modo migliore possibile.
La concorrenza perfetta è assunta solitamente come modello di
efficienza allocativa e produttiva ma è un modello teorico che
nella realtà non esiste.
Il Monopolio è una forma di mercato in cui un'unica impresa
fronteggia l’intera curva di domanda. Questa forma di mercato
comporta una serie di problemi sia dal lato dell’efficienza
allocativa, sia dell’efficienza produttiva: in regime di monopolio
infatti il monopolista offrirà una quantità inferiore a quella
efficiente, mentre i consumatori pagheranno un prezzo più alto a
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quello avrebbero pagato in regime di concorrenza perfetta.
Il potere di mercato consente al monopolista di massimizzare i
profitti senza ridurre i costi, ovvero senza preoccuparsi di
produrre in maniera più efficiente possibile. Non avendo rivali il
monopolista è meno motivato ad innovare e ad adottare o a
sviluppare una tecnologia migliore, viene dunque a mancare quel
processo di selezione concorrenziale che elimina dal mercato le
imprese inefficienti.
Secondo Arrow entrambi i regimi, monopolio e concorrenza
perfetta, sono in realtà subottimali, ma tra i due il monopolio è
quello meno efficiente in quanto il monopolista considera solo il
profitto addizionale della nuova tecnologia, mentre l’impressa
concorrenziale lo considera tutto.
Perciò se un monopolista realizza elevati profitti non avrà
incentivo ad innovare perché rispetto all’impresa concorrenziale
l’adozione di tecnologie innovative darà un contributo minore ai
profitti. In concorrenza invece l’innovazione è l’unico elemento
con cui le imprese possono aumentare i profitti sopra il punto di
pareggio e si può dunque affermare che vi sia un forte incentivo
all’innovazione.
VISIONE PRO MONOPOLIO (SHUMPETER)
INNOVAZIONE FAVORITA IN MERCATI CARATTERIZZATI DA
ELEVATO GRADO DI CONCENTRAZIONE
Innovazioni tecnologiche richiedono investimenti ingenti in R&S
Solo in presenza di potere di mercato si potrà sfruttare il
vantaggio di costo derivante dall’innovazione
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12.
Definire cosa si intende per discriminazione del prezzo.
Date le curve di domanda……..calcolare il profitto del
monopolista nel caso di discriminazione e di non
discriminazione. Commentare.
??????????????
La discriminazione del prezzo
Consiste nella vendita di stessi prodotti, perfettamente
omogenei tra oro, a prezzi diversi. Essa può essere attuata
soltanto in un mercato monopolistico in quanto In
concorrenza, essendo in vigore la legge del prezzo unico, i
prezzi sono gli stessi perché sennò si creerebbe arbitraggio.
Condizioni: ci devono essere più soggetti con differenti
valutazioni per lo stesso bene; no mercato secondario di
rivendita; l’impresa che discrimina deve avere potere di
mercato.
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Questa variazione di prezzo è dovuta alla non perfetta
informazione oppure ai costi di transazione.
Primo tipo: ogni unita di prodotto è venduta ad un prezzo
diverso, questo tipo prevede informazione perfetta da parte
delle imprese riguardo la disponibilità a pagare dei diversi
consumatori. tutto il surplus sarebbe assorbito dal
produttore, ma nella realtà ciò è impossibile. Secondo tipo: il
prezzo pagato varia con la quantità che domandano i clienti.
Processo di autoselezione da parte del cliente es. il prezzo
varia a seconda della quantità, e tutti i clienti hanno lo stesso
sistema di prezzi.
terzo tipo: prezzo pagato dai compratori di uno stesso
GRUPPO di clientela e uguale. bundling e thing vedi dopo
(Come dovrebbe fissare il prezzo un monopolista? • Fino ad
ora abbiamo pensato al monopolio come ad un’impresa che
deve vendere il suo prodotto allo stesso prezzo per ogni
cliente.
• E’ possibile aumentare i profitti attraverso la
discriminazione dei prezzi? • Occorre classificare i clienti in
base alle informazioni che le imprese dispongono
relativamente alla loro disponibilità a pagare (WTP). •
Queste informazioni possono essere osservabili da parte del
venditore perché conosce le informazioni o può osservare le
caratteristiche del cliente (1° e 3° tipo), posso essere
segnalate attraverso un autoselezione del consumatore che
sceglie delle proposte in relazione a varie offerte sulla
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quantità/prezzo o sulla qualità/prezzo del venditore (2°
tipo).)
Alternativa: per verificare se siamo o meno in presenza di
una discriminazione bisogna controllare il rapporto tra
prezzi prevalenti in vari mercati sia diverso dal rapporto tra i
rispettivi MC
13.
Definire l’equilibrio di Nash e spiegare perché
l’equilibrio di Cournot è un equilibrio di Nash.
L’equilibrio di Nash è una condizione della teoria dei giochi che
sussiste quando, date alcune strategie poste in essere da due
concorrenti, nessuno può migliorare la propria posizione
adottando una strategia diversa, posta la condizione che l'altro
concorrente non cambi la sua strategia originaria. In sostanza se
un'impresa adottasse una diversa strategia otterrebbe come
risultato solamente un peggioramento della propria situazione,
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per cui è sempre preferibile mantenere la posizione iniziale. Tale
equilibrio è definito anche “non cooperativo” in quanto non è il
risultato di un accordo, ma nasce dalle strategie che gli agenti
economici ritengono più utili per loro stessi.
I giochi possono essere simultanei, quando si sceglie la strategia
contemporaneamente, oppure sequenziali, quando un giocatore
può scegliere e attuare la strategia per primo. L’equilibrio di
Cournot è un equilibrio di nash poiché non essendo possibile la
collisione,( essendo one shot, ) entrambi gli oligopolisti
effettueranno una scelta cercando di massimizzare l’utilità
indipendentemente dalla scelta altrui. Questo causerà un
equilibrio di nash che non è un equilibrio ottimale perché esisterà
un punto in cui le imprese si dividono le quantità di monopolio in
parti perfettamente uguali.
(ma per giungere a tale equilibrio è indispensabile l’elemento
aggiuntivo della cooperazione al fine di rendere le decisioni di
gioco razionali. )
14.
Illustrare le varie definizioni di barriere all’entrata.
Discutere il ruolo delle economie di scala come barriere
all’entrata
Distinzione tra barriere all’entrata come vincoli costituiti da fattori
di natura istituzionale (natura regolamentare e natura
istituzionale) e barriere all’entrata più propriamente economiche
(fattori della struttura o condotta mercati)
Principalmente vengono considerate tre definizioni:
Demstez 82: Le barriere all’entrata si limitano a vincoli di natura
istituzionale e coincidono con le restrizioni delle autorità di
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governo o di regolazione. In questa definizione una tariffa, dazio
doganale, è un ovvio esempio di barriera all’entrata in quanto
limita la capacità dei produttori esteri di operare nel mercato
interno.
Stiegler 68: definisce una barriera all’entrata come un costo di
produzione che deve essere sostenuto da un’impresa che cerca di
entrare in un’industria, e che non deve essere sostenuto dalle
imprese che sono già attive nell’industria. Secondo questa
definizione ogni vantaggio delle imprese già attive sulle potenziali
nuove imprese, viene usato come una barriera all’entrata e come
una fonte di profitti di lungo periodo.
Bain 56: È quella più usata in economia industriale e prevede che
le barriere all’entrata misurino quanto, nel lungo periodo, le
imprese già presenti sul mercato possono aumentare i loro prezzi
di vendita al di sopra dei costi medi minimi di produzione e
distribuzione (associati alla scala produttiva ottimale) senza
indurre l’entrata di imprese potenziali. Questa affermazione è più
ampia perché tiene conto del ruolo delle economie di scala come
causa di barriera all’entrata, in quanto possono condurre a prezzi
maggiori dei costi unitari minimi.
La definizione di bain è la più complessa e più ampia perché tiene
conto delle economie di scala come barriera d’entrata
Le economie di scala
sono una determinante rilevante della condizione di
entrata quando la dimensione ottima minima (Dom)
di produzione è elevata rispetto alla dimensione del
mercato. In questo caso un potenziale entrante
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potrebbe aggiungere all’offerta già esistente un
notevole volume di produzione e generare una
significativa diminuzione nel livello generale dei
prezzi e quindi dei profitti conseguibili.
Le imprese entranti possono decidere (o essere indotte ) di
entrare nel mercato con una scala produttiva ridotta rispetto a
quella ottimale per non aumentare eccessivamente l’offerta. In
questo modo sopporterebbero costi più elevati delle imprese
incumbents, e i prezzi di lungo periodo applicati delle imprese già
attive possono essere più elevati rispetto ai costo medio minimo,
senza portare nuovi ingressi:
in questo senso le economie di scala costituiscono un deterrente
all’entrata. Anche se l’impresa entrante potesse entrare alla Dom
(dimensione ottimale minima) , deve strappare alle imprese già
attive sul mercato una grossa fetta del loro mercato, ovvero
eliminarne una. Per ottenere ciò dovrebbe supportare in un
primo momento gravi perdite. Se, tuttavia, confida che il mercato
si espanderà, potrà strategicamente sopportare perdite iniziali da
recuperare una volta che il mercato si sarà ampliato. In alternativa
potrebbe entrare ad una dimensione inferiore a quella ottimale,
ma in questo modo sopporterebbe costi più elevati delle imprese
incombenti.
15.
Definire il prezzo di esclusione. Data la tabella seguente.
Calcolare il prezzo di monopolio, il prezzo limite, il prezzo in
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un mercato contendibile, il prezzo BSM e il prezzo con scala
minima di entrata.
Ipotesi di esercizio il prezzo di esclusione è il prezzo che
impedisce l’entrata di nuove imprese nel mercato e definisce
l’elevatezza della barriera all’entrata.
Prezzo di monopolio si calcola partendo da MR=MC
Il prezzo limite è dato dalla differenza fra costi di produzione delle
incumbents e quelli delle entranti + il sovrapprezzo può essere
praticato senza provocare l’entrata di nuovi concorrenti , prezzo
limite= Mci+(MCi-MCe)
Il prezzo di un mercato contendibile è uguale a P=MC
Il prezzo BSM è il prezzo che rende nullo il valore della decisione
di entrata
Prezzo con scala minima d entrata nella colonna dei MCe è il
primo prezzo che inizia ad essere uguale.
16.
Che cosa si intende per strategie di deterrenza
all’entrata? Portare degli esempi. Date le variabili prezzo e
investimento, mostrare le possibili strategie degli incumbents
e discuterne l’efficacia nell’impedire l’entrata.
Per scoraggiare l’entrata o per favorire l’uscita di altre imprese
(player) , le imprese incumbents possono sfruttare a loro
vantaggio delle barriere strategiche da realizzare con determinati
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comportamenti. A tal proposito vi sono appunto le strategie di
deterrenza all’entrata, le quali fanno perno sul prezzo o su altre
variabili.
Tra le strategie non di prezzo si includono l’espansione della
capacità produttiva, la proliferazione dei prodotti e i contratti di
lungo periodo.
Mentre quelle che fanno leva sui prezzi sono la strategia dei
prezzi predatori ( e di eliminazione) , dove in una prima fase viene
ridotto il proprio prezzo ad un livello molto basso per spingere i
concorrenti ad uscire dall’attività e per scoraggiare l’entrata da
parte di potenziali imprese, e in una seconda fase, quando i rivali
sono usciti dal mercato, aumenta nuovamente il prezzo; e le
strategie di prezzo di esclusione?? , ovvero quelle in cui si attua
un prezzo più alto possibile senza attirare l’entrata di altre
imprese.(impedisce entrata di nuovi concorrenti)
Se le imprese già attive pongono in essere strategie di deterrenza
all’entrata si dice che l’entrata è impedita. Se gli incombenti,
senza agire intenzionalmente contro gli entranti pongono in
essere strategie che rendono l’entrata poco profittevole, l’entrata
è bloccata. Se le imprese non fanno nulla per ostacolare
l’entrata= accomodata
Dati prezzi e investimento le imprese possono seguire 4 differenti
strade ( 2 accomodanti, 2 deterrenti)
1 puppy dog ( +accomodate) è quella più accomodante verso la
concorrenza potenziale, mantiene prezzi alti e investimenti bassi
2 fat cat: sfrutta in pieno il vantaggio competitivo, cercando di
ritardare l’entrata mantenendo prezzi e investimenti alti
3 lean and hungry: prezzi e inv bassi
4 top dog (+detterente verso i potenziali concorrenti ) prezzi
relativamente inferiori e inv alti
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17.
Spiegare da quali variabili dipende il livello ottimale
della spesa pubblicitaria dato dal rapporto tra spese
pubblicitaria e fatturato i) in un’impresa monopolistica; ii) nel
caso di imprese oligopolistiche
la spesa pubblicitaria è un potenziale fattore di differenziazione in
quanto contribuisce a definire il mix di info fornite al cliente e le
sue preferenze.
Due tipi i pubblicità: informativa e persuasiva
La pubblicità assume funzioni diverse a seconda della tipologia di
prodotto da promuovere, infatti se è possibile valutare il prodotto
prima dell’acquisto si avrà pubblicità informativa volta a
sponsorizzare le principali qualità del prodotto; quando invece si
hanno prodotti esperienza, cioè valutabili solo dopo averne
usufruito, si utilizza pubblicità persuasiva con l’obiettivo di
informare sull’esistenza del prodotto e di rafforzare o spostare
l’attenzione verso lo stesso.
Per entrambe le tipologie di beni inoltre l’intensità della
pubblicità e la sua persistenza può di per sé essere un segnale di
qualità.
Porter fa una differenza tra beni di convenienza e beni di spesa…. i
beni convenienza, caratterizzati da alta frequenza d’acquisto e
basso prezzo, saranno meno suscettibili alla pubblicità al contrario
dei beni spesa, che presentano frequenza di acquisto bassa e
prezzo alto.
Il modello di Dorfman-Steiner consente di trovare il livello
ottimale di pubblicità che un impresa può scegliere al fine di
massimizzare i profitti. le variabili strategiche che definiscono la
politica di marketing di un’impresa monopolistica sono il prezzo,
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la qualità e la pubblicità;. Il risultato del modello di Dorfman –
Steiner è che, in un’impresa monopolistica , il livello ottimale
della spesa pubblicitaria , dato dal rapporto tra spesa pubblicitaria
e fatturato , risulta essere uguale al rapporto tra l’elasticità della
domanda alla spesa pubblicitaria e l’elasticità della domanda al
prezzo.
L’intensità di pubblicità è maggiore quanto maggiore è l’elasticità
della domanda alla pubblicità e quanto minore è l’elasticità della
domanda al prezzo. Tale modello può essere utilizzato anche al
fine di comprendere gli oligopoli, infatti In tal caso la domanda
dipende dal prezzo, dalle politiche pubblicitarie e di prodotto
dell’impresa considerata e da quelle delle imprese rivali. Anche se
in mercati oligopolisti di N imprese, l’effetto di variazioni è
incerto.
18.
Definire cosa si intende per «integrazione verticale» e
illustrarne le principali determinanti
Per definire l’integrazione verticale bisogna comprendere il
concetto di filiera: insieme di attività che devono essere effettuate
a cascata per passare dai materiali grezzi al prodotto finito
ci sono diversi approcci: il primo afferma che l’int verticale indica
la misura in cui l’impresa realizza al suo interno fasi successive di
produzione e distribuzione di un prodotto, secondo approccio si
riferisce alla strategia di un impresa che decide di muoversi verso
un'altra fase del processo produttivo o distributivo sia con una
fusione verticale di attività a monte o a valle rispetto al core
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business, per accrescere il valore dell’impresa, sia avvicinando
nuove attività interne. L int vert può riguardare tutte o alcune fasi
di una filiera produttiva.
Un esempio di integrazione a monte: produzione o prima
trasformazione delle materie prime
Integ a valle: produ finale o processo di distribuzione
In una prospettiva statica si individuano almeno tre determinanti
principali dell’integrazione verticale: a) vincoli o economie
tecnologiche; b) economie di transazione; c) imperfezioni di
mercato. (comprendono tutti quei casi in cui i beni vengono
venduti a prezzi non competitivi o non vengono prodotti affatto)
In una prospettiva dinamica si distinguono due filoni: il primo
considera le scelte delle imprese in materia di integrazione
verticale come una modalità per acquisire potere di mercato. Un
secondo filone di natura evolutiva pone l’accento sugli aspetti
dinamici dell’integrazione verticale e sulle competenze e varietà
di comportamenti delle imprese.
19.
Mostrare le motivazioni per cui l’integrazione verticale
potrebbe essere alta nelle fasi di introduzione del prodotto,
bassa nelle fasi di maturità e nuovamente alta nelle fasi di
declino
In una prospettiva statica vi sono almeno tre determinanti
dell’integrazione verticale: vincoli tecnologici (alcuni processi
produttivi sono caratterizzati da forti interdipendenze
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tecnologiche) , economie di transazione, imperfezioni del
mercato. (comprendono quei casi in cui i beni vengono venduti a
prezzi non competitivi o non vengono prodotti affatto)
Invece in prospettiva dinamica si distinguono due filoni: a)
motivazioni strategiche e restrizioni della concorrenza b) modelli
dinamici : il grado d’integrazione può variare nel tempo in
funzione della fase del ciclo di vita del settore. Tale approccio è
definito di Stigler ed è basato sul teorema di Smith secondo cui la
divisione del lavoro è limitata dall’ampiezza del mercato. Nella
prima fase: le imprese svolgono internamente tutte le attività
intermedie e accessorie all’output finale, poiché non vi è un
mercato di sbocco per prodotti intermedi. Nella seconda fase:
quando l’industria si espande le imprese tendono a disintegrarsi
verticalmente specializzandosi nelle attività core essendoci spazio
per un mercato autonomo dei prodotti intermedi. Nella terza e
ultima fase della maturità di una industria, il settore torna a
ridursi di dimensioni, il mercato può essere troppo piccolo per
supportare produttori medi indipendenti, e quindi le imprese si
integrano di nuovo verticalmente. Perciò nelle fasi di
INTRODUZIONE e DECLINO l’integrazione può essere una scelta
forzata.
D,I
I
Grafico FOGLIO
T
: relazione tra integ verticale e dimensione del mercato
D
Intro maturità declino
20.
Illustrare i tratti salienti dell’approccio di Lancaster (o
approccio delle caratteristiche) alla differenziazione.
L ‘ approccio di Lancaster, nel definire la differenziazione, assume
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che la domanda dei consumatori riguardi non tanto i prodotti ma
le loro caratteristiche misurabili. Ogni individuo quindi domanda
un prodotto che contiene la combinazione di caratteristiche che
massimizza la sua funzione di utilità. La presenza di costi fissi e di
economie di scala nella produzione di ciascuna combinazione fa si
che ciascun consumatore non troverà il prodotto perfettamente
inerente alla sua combinazione ottimale, tant’è che la sua scelta
sarà determinata dai prezzi relativi delle combinazioni offerte. I
vantaggi di questo modello sono evidenziati dal fatto che si può
analizzare una distinzione tra differenziazione verticale e
orizzontale. La prima si ha quando il prodotto in concorrenza ha
delle caratteristiche non riscontrabili nei prodotti rivali; quella
orizzontale invece si ha nel momento in cui i prodotti in
concorrenza presentano caratteristiche che catturano tutti i
consumatori. Quest’ approccio ha anche degli svantaggi : richiede
una quantificazione delle caratteristiche dei prodotti ed è difficile
quantificare le utilità attribuite alle caratteristiche dei
consumatori
21.
Descrivere i principali indicatori utilizzati per misurare
l’innovazione
Principali indici di innovazione sono:
L’investimento in R&S è uno degli indicatori più usati per misurare
l’innovazione sia perché può essere calcolato in maniera più
accurata, sia perché è possibile eseguire agevolmente confronti
tra diverse imprese o paesi. Lo svantaggio principale di questo
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indicatore è che non misura l’innovazione in senso stretto poiché
non è detto che da investimenti in R&S derivino innovazioni in
quantità proporzionali, e Inoltre potrebbe non cogliere molti
input immateriali, come il capitale relazionale e altri fattori legati
al capitale umano.
brevetti: contengono informazioni sulle caratteristiche delle
singole innovazioni e sono volti alla protezione di tecnologie con
una rilevanza commerciale. I dati sui prodotti sono gratuiti e
facilmente reperibili.
Il commercio dei prodotti ad alta tecnologia
ICT: spese per informazioni e comunicazione
Indicatori bibliometrici: derivanti da analisi matematicostatistiche che valutano aspetti inerenti al capitale umano come
l’istruzione
Bilancia tecnologica dei pagamenti
Indagini campionarie per ottenere info qualitative come aspetti
tecnologici , organizzativi e finanziari sull’innovazione
22.
Descrivere le più importanti differenze tra l’approccio
neoclassico e l’approccio evolutivo all’innovazione
Passando dall’ approccio neoclassico in cui l’ innovazione è un
fattore marginale si arriva all’ approccio evolutivo
(Shumpeteriano) in cui, l’innovazione, diventa motore dello
sviluppo economico. Inoltre da variabile esogena diventa variabile
endogena ( dipende da fattori economici), da semplice
informazione a insieme di conoscenze tacite incorporate nelle
cose e negli individui, trasmettibili solo nel tempo attraverso
rapporto maestro-allievo. Passa, inoltre, da processo lineare
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basato su R&S a un processo più complesso di natura sistematica.
Approccio evolutivo (shumpeteriano) e critiche all’approccio
neoclassico.
Tratti salienti e critiche al modello neoclassico
• Innovazione e cambiamento strutturale sono fenomeni
dinamici incompatibili con modelli/comportamenti di
equilibrio statici
• processi competitivi basati sull’innovazione (generazione di
varietà) e non sul perseguimento dell’efficienza statica
• razionalità limitata e informazione incompleta sono i tratti
salienti del comportamento degli agenti economici
• il comportamento degli agenti economici non è descrivibile
attraverso funzioni obiettivo da massimizzare
(utilità/profitto)
• tecnologia e innovazione diverse dall’informazione
• innovazione e tecnologia non sono “beni pubblici”
• importanza processi di apprendimento e conoscenze
tacite/specifiche/contestualizzate
• innovazione come processo differenziato e complesso
• la natura sistemica dell’innovazione
• interazione tra soggetti e ruolo delle istituzioni
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tipologie di innovazioni shumpeter
Nuovi prodot (innovazione di prodotto)
Nuovi metodi produtvi (innov. di processo)
Nuove forme di organizzazione (in. org.)
Apertura nuovi mercat
Nuove font di approvvigionamento
23.
Discutere le determinanti del gap innovativo delle
imprese italiane
Il sistema economico italiano, a confronto con i paesi più
sviluppati d’Europa, è marcato da un notevole gap dal punto di
vista dell’innovazione. Alla base di ciò vi sono sia ragioni
intrinseche alle caratteristiche delle imprese, sia ragioni dovute
alle caratteristiche del sistema paese.
L’innovazione è strettamente collegata all’investimento in ricerca
e sviluppo, e in Italia il volume di investimenti in questo settore è
inferiore alla media europea.
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Inoltre il tessuto produttivo italiano è formato da numerose
piccole-medie imprese, mentre quelle di grandi dimensioni
scarseggiano, e non a caso sono proprio queste ultime che
investono per introdurre nuove tecnologie e innovazioni per via
soprattutto degli alti livelli di concorrenza e per la possibilità di
sfruttare la maggiore dimensione del mercato che garantisce un
assorbimento meno impegnativo dei costi fissi dell’attività
innovativa.
Si aggiungono anche carenze di capitale umano nelle funzioni
manageriali e di ricerca, e un'eccessiva flessibilità dei rapporti di
lavoro che riduce l'incentivo a investire in attività di formazione.
Un altro aspetto in merito al gap innovativo dell’Italia è di natura
finanziaria, infatti il capitale azionario è meno diffuso rispetto a
quanto avviene all’estero, e i progetti innovativi non sono semplici
da finanziare dato l’alto tasso di rischiosità, perciò In casi del
genere in cui si necessita un’affluenza di capitale, o si ricorre al
debito o al mercato - dimostratosi più adatto ad attività innovativa
delle imprese (Magri 2013).
Infine, un ulteriore fattore che grava sul ritardo innovativo italiano
risiede nello scarso sviluppo del venture capital, il quale svolge un
ruolo fondamentale per le imprese di nuova costituzione operanti
nei settori ad alto contenuto di innovazione, fornendo capitale
azionario e consulenza manageriale.
Per accrescere quindi la capacità di innovazione sono opportune
azioni che favoriscono la crescita dimensionale delle imprese ,
bisogna adottare forme di gestione più manageriali, sviluppare gli
intermediari di venture capital, aumentare il grado di
capitalizzazione e curare la gestione degli incentivi pubblici
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all’innovazione
24.
Discutere i fattori interni alla base della bassa crescita
italiana
Tra i fattori interni relativi alla bassa crescita dello sviluppo
italiano bisogna tenere in considerazione il sistema produttivo,
che difetta di un numero consistente di grandi imprese e si regge
su una larga base di piccole-medie imprese
Generalmente poi le imprese italiane, oltre al fattore dimensione,
presentano un basso tasso di investimenti in innovazione e
modelli di governance inadatti dove, soprattutto nelle grandi
aziende, i ruoli e la struttura di vertice vengono definiti spesso
sulla base di rapporti clientelari e non per rispondere a logiche di
dinamicità ed efficienza.
Le grandi aziende che operano a livello internazionale sono
comunque quelle col maggior grado di innovazione di prodotto, di
processo, organizzativa e di marketing sia perché riescono ad
ottenere una qualità del capitale umano superiore a quella delle
PMI( piccole medie imprese) , sia perché la competizione
internazionale contribuisce a stimolare innovazione e
investimenti per stare al passo dei concorrenti. Le imprese che
esportano maggiormente inoltre hanno più incentivi ad innovare
in quanto riescono a sopportare i costi fissi dell’attività innovativa
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più agevolmente.
Per quanto riguarda altre variabili che hanno influito sulla crescita
vi sono la regolamentazione e la burocrazia,
infatti l’Italia soffre le tempistiche e i costi di un sistema giuridico
complesso e poco chiaro, che tra le conseguenze ha anche quella
di non attrarre investimenti esteri.
Altro macigno della mancata crescita vi è l’inasprimento fiscale
che non è stato accompagnato a un contestuale aumento della
spesa in servizi pubblici e qualità delle infrastrutture. (debito
pubblico)
Infine vanno annoverati la scarsa attenzione verso il capitale
umano (minor numero di laureati in Europa) e la forte
concorrenza dei paesi cosiddetti low-wage, cioè che hanno un
costo del lavoro basso, al contrario di quanto avviene in Italia
dove per via dei sindacati vi è rigidità nel mercato e i salari sono
elevati.
25.
Nell’analisi di Arrow la concorrenza perfetta stimola
l’innovazione più del monopolio. Discutere.
La concorrenza perfetta è quella situazione che si verifica in un
mercato quando vi operano un numero elevato di piccole imprese
le quali non sono in grado di influenzare il prezzo , che producono
un bene omogeneo e che hanno informazione perfetta. Nel
mercato infine ci deve essere piena libertà di entrata e uscita.
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Tale forma di mercato è assunta solitamente come modello di
efficienza allocativa e produttiva ma è un modello teorico che
nella realtà non esiste, al contrario invece del monopolio.
Il Monopolio è una forma di mercato in cui un'unica impresa
fronteggia l’intera curva di domanda. Questa forma di mercato
comporta una serie di problemi sia dal lato dell’efficienza
allocativa, sia dell’efficienza produttiva: in regime di monopolio
infatti il monopolista offrirà una quantità inferiore a quella
efficiente, mentre i consumatori pagheranno un prezzo più alto a
quello avrebbero pagato in regime di concorrenza perfetta.
Il potere di mercato consente al monopolista di massimizzare i
profitti senza ridurre i costi, ovvero senza preoccuparsi di
produrre in maniera più efficiente possibile. Non avendo rivali il
monopolista è meno motivato ad innovare e ad adottare o a
sviluppare una tecnologia migliore, viene dunque a mancare quel
processo di selezione concorrenziale che elimina dal mercato le
imprese inefficienti. )
l’analisi condotta da Arrow , si contrappone a quella di
SCHUMPeter. Sch. sostiene che l’innovazione è favorita dai
mercati ad un levato grado di concentrazione perché
investimenti in R&s sono possibili dove vi è un ampio potere
di mercato. Al contrario ARROW studia monopolio e
concorrenza in riferimento all’incentivi che i modelli danno
all’innovazione. In particolare egli ritiene che il modello che
da maggiore incentivo ad innovare è la concorrenza. In
monopolio invece gli alti profitti senza innovazione sono un
disincentivo ad innovare. Infatti pur essendo entrambi in
regimi sub-ottimali il monopolista considera solo il profitto
addizionale della nuova tecno mentre l’impresa in
concorrenza considera l’intero profitto.
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26.
Il sistema della concorrenza monopolistica riesce a
raggiungere l'efficienza allocativa e produttiva? Spiegare il
motivo.
il sistema della concorrenza monopolistica si caratterizza da una
inefficienza allocativa e da una inefficienza produttiva.
L’inefficienza allocativa si ha perché il monopolista offre una
quantità inferiore a quella efficiente e il consumatore sopporta un
prezzo superiore a quello che potrebbe pagare ad un impresa in
concorrenza perfetta. Infatti, il surplus del consumatore in
monopolio è minore del surplus del consumatore in concorrenza
perfetta. Invece si parla di inefficienza produttiva quando il
monopolista, non avendo rivali, è meno invogliato ad innovare la
tecnologia. Non avviene nessuna selezione. In monopolio il
prezzo è maggiore del costo medio, mentre nella concorrenza il
prezzo è uguale al costo medio.
27.
Spiegare il dibattito tra efficienza dinamica e forme di
mercato (monopolio e concorrenza perfetta). ??
L’efficienza dinamica si riferisce al miglioramento nel tempo dei
prodotti e delle tecniche produttive da parte dell’impresa. Arrow
studia il monopolio e la concorrenza in riferimento agli incentivi
che i modelli danno all’innovazione. In particolare egli ritiene che
il modello che d maggiore incentivo ad innovare è la concorrenza.
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In monopolio infatti gli alti profitti (senza innovazione) sono un
disincentivo a innovare. Infatti pur essendo entrambi i regimi
subottimali, il monopolista considera solo il profitto addizionale
della nuova tecnologia mentre l’impresa in concorrenza considera
l’intero profitto.
L’efficienza dinamica assume un ruolo fondamentale all’interno
delle imprese proprio perché da dei risvolti in termini di crescita a
diversi fattori. Migliorare i prodotti, le tecniche produttive, i
sistemi produttivi e le risorse utilizzate aumenta le conoscenze
dell’impresa e determina uno sviluppo positivo ma bisogna anche
diversificare i vari mercati perché, ad esempio, nel mercato del
monopolio l’azienda principale ha pochi interessi a sviluppare i
propri processi di produzione e a rendere efficace nel tempo le
risorse e i prodotti; con ciò non significa che non ci siano sviluppi
ma sono comunque molto lenti nel tempo rispetto ad altri
mercati proprio perché l’obiettivo è quello di trarre profitto dai
beni venduti ad un prezzo superiore rispetto ai costi medi unitari
senza preoccuparti di aziende concorrenti nel settore. La
concorrenza perfetta ( modello teorico) cerca di attraversare uno
sviluppo sempre maggiore determinato dai grossi investimenti in
R&S e dalle diverse innovazioni in campo tencologico produttivo
ecc , per concorrere all’interno del mercato. Ma un altro fattore è
lo sviluppo di efficienza dinamica che si cerca di implementare
sotto i diversi aspetti dell’impresa proprio per crescere
maggiormente, produrre in maniera efficiente e più vantaggiosa.
Alternativa: L’efficienza
dinamica
consiste
nella
possibilità di introdurre nuovi processi e prodotti da
parte dell’impresa. Problematico è capire se le grandi
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imprese possono essere più efficienti delle pmi
nell’innovare, rendendo quindi la concorrenza perfetta
una causa di ostacolo a tale forma di efficienza
dinamica. Su tale questione si scontrano due opinioni
differenti: quella di Schumpeter (pro monopolio) e
quella di Arrow (contro il monopolio). Shumpeter
sostiene, nella suo saggio “Capitalismo, socialismo e
democrazia”, che l’innovazione sia favorita in mercati
caratterizzati da un elevato grado di concentrazione.
Poiché le innovazioni tecnologiche richiedono ingenti
investimenti in R&S (sia per l’incertezza nell’esito
delle ricerche, che per i rendimenti di scala crescenti
che si manifestano) allora solo in presenza di un
potere di mercato forte si potrà sfruttare il vantaggio
di costo derivante dall’innovazione. Secondo Arrow
entrambi i regimi, monopolio e concorrenza perfetta,
sono in realtà subottimali, ma tra i due il monopolio è
quello meno efficiente in quanto il monopolista
considera solo il profitto addizionale della nuova
tecnologia, mentre l’impresa concorrenziale lo
considera tutto. Perciò se un monopolista realizza
elevati profitti non avrà incentivo ad innovare perché
rispetto all’impresa concorrenziale l’adozione di
tecnologie innovative darà un contributo minore ai
profitti. In concorrenza invece l’innovazione è l’unico
elemento con cui le imprese possono aumentare i
profitti sopra il punto di pareggio e si può dunque
affermare che vi sia un forte incentivo all’innovazione
(comparato al tempo che l’impresa ha per godere di
tale vantaggio ossia finché le altre imprese non la
imitano).
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28.
Qual è la politica di prezzo ottimale in un mercato
contendibile.
Il mercato contendibile è un modello di concorrenza imperfetta.
Esso si caratterizza dalla presenza di una sola impresa
(incumbent) , dall’assenza di barriere all’entrata e all’uscita e
infine il prezzo è dato nel breve periodo.
Un’impresa esterna al mercato con capacità produttiva
disponibile può attuare la concorrenza “mordi e fuggi” (hit and
run): l’impresa entra nel mercato , pratica l’undercutting (prezzi a
ribasso),finché il prezzo dell’impresa incumbent è fisso, per poi
abbandonare il mercato quando l’incumbent adegua il prezzo.
Per evitare la concorrenza mordi e fuggi , l’incumbent deve
fissare in anticipo un prezzo limite, pari al costo medio del
potenziale entrante : p = Cu = Cm = c
Nei mercati contendibili i prezzi sono più bassi che in monopolio
(sono vicini o uguali a quelli della concorrenza) , le quantità
prodotte sono maggiori e i profitti più bassi.
(Forma di concorrenza caratteristica dei mercati contendibili (v.).
Essa consente alle imprese potenzialmente concorrenti, data
l'inesistenza di barriere all'entrata (v.) e all'uscita e grazie alla
possibilità di accedere alle stesse tecnologie delle imprese già
esistenti sul mercato, di conseguire risultati positivi. Ciò è
determinato dalla circostanza che sul mercato vige un prezzo
superiore al costo medio di produzione e che l'uscita da esso
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avviene senza costi e prima che le altre imprese possano
organizzare strategie reattive.
A differenza della concorrenza perfetta quella hit and
run consente di raggiungere l'equilibrio del settore anche se esso
è organizzato in forma monopolista (v. Monopolio) od oligopolista
(v. Oligopolio).
29.
Quali sono le condizioni affinché si possa avere
discriminazione di prezzo.
Sono essenzialmente le seguenti:
1) L’esistenza di consumatori che valutino soggettivamente uno
stesso bene e la capacità del venditore di identificare i singoli
clienti o i loro gruppi direttamente o indirettamente. ( inoltre
l’impresa deve conoscere i prezzi di riserva WTP dei
consumatori o di determinarli)
2) Potere di mercato da parte dell’impresa che vuole
discriminare. C’è da precisare però che nel contesto di
concorrenza perfetta vige la “legge del prezzo unico” poiché
data l’infinita disponibilità di prodotti identici, un
consumatore che attribuisse un elevato valore soggettivo al
bene non sarebbe comunque disposto a pagare un prezzo
più alto, potendo trovare sul mercato un’alternativa più
conveniente.
3) L’inesistenza di mercati secondari di rivendita in cui poter
effettuare gli arbitraggi.
Si consideri ad es. il caso degli sconti/quantità: in
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presenza di un mercato secondario il tentativo di
discriminazione quantitativa del venditore sarebbe
reso impossibile poiché un solo consumatore potrebbe
acquistare tutti i beni al prezzo uniforme più basso
possibile. In pratica però i mercati secondari sono
scarsamente sviluppati o assenti. L'attività di
arbitraggio richiede che i consumatori siano
perfettamente informati sulle differenze di prezzo o
comunque che i costi di transizione non siano
talmente elevati da rendere la pratica poco
conveniente. In altri casi la rivendita è addirittura
vietata dalla legge (si pensi all'energia elettrica
acquistata dagli enti pubblici), o il divieto è imposto al
compratore attraverso clausole contrattuali esplicite o
implicite. Infine la rivendita è praticamente
impossibile
quando
la
prestazione
è
molto
personalizzata (come quelle mediche).
Esistono tre tipi di discriminazione: 1 e 3 tipo sono definiti
‘discriminazione diretta’ in quanto il venditore può distinguere
direttamente i consumatori ; mentre quella di 2 tipo è definita
indiretta perché può avvenire con un autoselezione o con uno
screening personale.
30.
Spiegare la discriminazione di prezzo di I° tipo.
La discriminazione di prezzo di primo tipo consiste nel praticare
prezzi personalizzati ad ogni acquirente. Essa richiede che ogni
singolo potenziale cliente abbia domanda unitaria (ciascuno
consuma al massimo una singola unità del bene) e che il
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venditore conosca perfettamente la valutazione soggettiva di
ciascuno.
In questo caso il venditore può praticare a ciascun cliente un
prezzo pari alla massima disponibilità a pagare (valore
soggettivo).
Dal momento che ciascuno spende una somma uguale alla
propria disponibilità (massima) a pagare, il venditore si appropria
dell’intera rendita dei consumatori. Il benessere aggregato è così
massimizzato infatti che il bene è venduto a tutti i consumatori
che lo valutano più del costo di produzione, assicurando
l’efficienza allocativa.
Ovviamente la discriminazione perfetta è quasi un’astrazione data
l’improbabilità che il venditore possa conoscere perfettamente le
valutazioni soggettive di ciascun cliente. Un Pricing così
personalizzato sarebbe quindi poco pratico e molto oneroso, a
meno che i consumatori siano pochi e ben individuabili.
31.
Spiegare la discriminazione di prezzo di II° tipo.
Quando il venditore non può distinguere direttamente i
consumatori ( esclusione 1 tipo) , può comunque farlo
indirettamente offrendo differenti combinazioni e lasciando che
sia il consumatore stesso ad autoselezionare l’opzione a lui
indirizzata. Il consumatore potrà quindi scegliere tra diverse
combinazioni prezzo-qualità, prezzo-quantità. Un esempio è
quello delle tariffe aeree, dove il consumatore seleziona la
combinazione che più lo soddisfa auto-rivelando la propria classe
di appartenenza attraverso l’atto di acquisto.
Solitamente questa strategia prevede l’offerta di due versioni
dello stesso bene, di cui una volutamente “peggiorata” con
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l’intento di separare i consumatori con domanda meno elastica
(che preferiscono la versione migliore) da quelli con la domanda
più elastica.(combinazione prezzo-qualità).
La discriminazione può essere di tipo qualitativo o quantitativo
Mentre per quanto riguarda combinazione prezzo-quantità
sappiamo che L’intensità d’uso è infatti strettamente correlata con
il grado di elasticità e con la disponibilità a pagare di ciascuno. La
diversificazione del prezzo unitario in funzione della quantità
acquistata ha senso solo per quei beni o servizi per i quali il
compratore deve decidere non solo se acquistare ma anche
quanto consumare.
Un’altra modalità di discriminazione quantitativa altamente
diffusa è quella realizzata mediante la tariffa a due stadi, che
consiste nel richiedere una quota fissa d’accesso F e una quota
addizionale p per ogni unità consumata.
Il prezzo complessivo è P=F+pq. Essa prevede un prezzo unitario
uguale al costo marginale e u a tariffa d’accesso uguale alla
rendita del consumatore in corrispondenza del prezzo P=c.
32.
Spiegare la discriminazione di prezzo di III° tipo. Metodo
di discriminazione più diffuso
Nella discriminazione di terzo tipo il venditore segmenta il
mercato, sulla base di informazioni esogene, in gruppi omogenei,
ai quali viene applicato un prezzo diverso in funzione di una stima
della relativa sensibilità media al prezzo. Le condizioni praticate
sono differenti trai vari gruppi, ma sono uguali all’interno degli
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stessi. L’appartenenza è univocamente determinata da
caratteristiche verificabili come l’età o la professione o una
tessera (es. tessera trenitalia young).
Altra caratteristica è che il prezzo è più alto nel segmento di
domanda con elasticità più bassa e viceversa. I prezzi ottimali nei
singoli segmenti di mercato sono inversamente proporzionali al
grado di elasticità della domanda dei vari gruppi di consumatori.
La regola dell’elasticità inversa giustifica infatti pratiche
commerciali comuni come gli sconti ai nuovi clienti per invogliare
l’acquisto. In merito all’effetto sul benessere aggregato, la
discriminazione di terzo tipo ha un effetto ambiguo infatti è
certamente indesiderabile da un punto di vista sociale quando
non comporta alcuna crescita delle vendite rispetto al monopolio
con prezzo uniforme ma è socialmente desiderabile quando si
evita la totale chiusura di segmenti di mercato meno profittevoli
per i venditore
33.
Cosa si intende per bundling puro e misto.
(x selezionare i consumatori e realizzare una discriminazione di
prezzo)
Bundling puro riguarda 2 beni che sono disponibili sull mercato
(solo insieme) in proporzioni fisse(bundling) o variabili (tying).
consumatore deve decidere se acquistare l’intero pacchetto o non
acquistare affatto
Bundling misto: 2 beni che sono disponibili sia insieme sia in
maniera distinta, ma nel caso di vendita dei due beni insieme il
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prezzo del bundling è minore della somma dei prezzi dei due beni
distinti P(1+2)<P1+P2
(o compri intero pacchetto (o parte di esso) o solo alcune delle
sue componenti.
Se vi sono economie di scala la motivazione è chiara: il costo
unitario è decrescente per cui dalla pratica di prezzi più bassi si
avvantaggiano i consumatori e i produttori.
Beneficiano i mercati ad alta elasticità della domanda
Se non esistono economie di scala la strategia è di trarre
vantaggio dalla discriminazione d prezzo (bundling misto)
Condizione necessaria x fare bundling è che le preferenze relative
tra i clienti siano ‘inverse’ all’interno dei gruppi.
Le strategia di bundling possono essere realizzate attraverso
vincoli contrattuali.
( Costi bassi e prezzi bassi per consumatore )
Bundling legate all’efficienza
• Bundling: vendendo tutto in una soluzione (si pensi alle cucine,
o alle macchine con pneumatici) permette di risparmiare sul costo
in termini di specializzazione del lavoro e apporta diversi vantaggi
per il produttore e venditore.
Vendendo tutto in una soluzione serve anche per preservare la
reputazione del proprio prodotto qualora il giudizio del
consumatore sulla qualità e affidabilità della prodotto (es.
Macchina) sia condizionato negativamente dall’acquisto singolo di
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una parte del prodotto ex: (ex post) pneumatici scadenti.
• Al produttore conviene vendere il prodotto preconfezionato
montando la qualità ottimale dato il prodotto principale.
34.
Cosa si intende per tying e quale discriminazione di
prezzo viene spesso collegata al tying?
Il tying sales è una tecnica che consiste nella vendita di un bene
cui è condizionato l’acquisto di un altro bene. Detto in maniera
specifica Acquistando il prodotto primario (trainante) il cliente
si impegna, per vincolo contrattuale o tecnologico, ad
acquistare dallo stesso venditore quantità variabili, in funzione
dell’uso, di un secondo bene (trainato) . (ex fotocopiatrice
con toner)
Il venditore discrimina i clienti in base alle caratteristiche di
utilizzazione appropriandosi di una proporzione maggiore di
rendita da coloro che utilizzano più intensamente il prodotto
trainante e pertanto hanno una domanda meno elastica al
prezzo. Come nelle tariffe a due stadi, i venditori modulano la
componente fissa (il prezzo del prodotto trainante) e la
componente variabile (il prezzo dei prodotti trainati)
discriminando tra i differenti consumatori con diversa intensità
all’uso (discriminazione di 2° tipo). Il bene trainante può esser
venduto ad un prezzo più basso per invogliare l’acquisto dei
clienti che ne fanno un uso meno frequente
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L'effetto complessivo delle pratiche di tying sul
benessere aggregato è positivo quando consentono di
accrescere la domanda, stimolando l'acquisto di quelli
che altrimenti si sarebbero astenuti. Al contrario è
indesiderabile quando non si risolve in una crescita
delle vendite poiché il venditore serve sempre e
comunque un unico segmento di mercato.
Discriminazione 2 tipo: Quando il venditore non può
distinguere direttamente i consumatori ( esclusione 1 tipo) ,
può comunque farlo indirettamente offrendo differenti
combinazioni e lasciando che sia il consumatore stesso ad auto
selezionare l’opzione a lui indirizzata. Il consumatore potrà
quindi scegliere tra diverse combinazioni prezzo-qualità,
prezzo-quantità. Solitamente questa strategia prevede l’offerta
di due versioni dello stesso bene, di cui una volutamente
“peggiorata” con l’intento di separare i consumatori con
domanda meno elastica (che preferiscono la versione migliore)
da quelli con la domanda più elastica.(combinazione prezzoqualità).
35.
Illustrare la politica industriale nello schema “Vanoni”.
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La linea Vanoni è uno schema politico (documento) introdotto
nel 1955 che identificava come obiettivi lo sviluppo annuo del
reddito nazionale del 5%, la creazione di quattro milioni di posti di
lavoro aggiuntivi e la riduzione degli squilibri territoriali fra nord e
sud.
Lo schema, che appariva particolarmente debole sotto il profilo
della strumentazione, fu sorretto da un “comitato per lo sviluppo
dell’occupazione e del reddito” presieduto da Pasquale Saraceno
composto da 26 membri , inclusi i rappresentanti degli industriali
e dei sindacati. Il comitato produsse in tutto 6 memorie, due delle
quali avevano diretto rilievo per la politica industriale. Il primo di
questi studi riguardava l’energia elettrica, ma un effettivo
contributo dello Schema sul piano industriale avvenne nella
siderurgia con la monografia dedicata allo sviluppo della
siderurgia. Nacque il centro siderurgico di Taranto, che fu tra
l’altro il primo e unico esempio di realizzazione diretta di
programmazione settoriale nel quadro dello “ Schema Vanoni”.
Con queste eccezioni, le politiche di settore prendono dunque
forma all’interno dei maggiori gruppi: così è per la siderurgia e la
meccanica, per l’energia, per la chimica. Tuttavia la legge coglierà
l’obiettivo di favorire l’allargamento della base industriale dalle
aree di industrializzazione tradizionale a nuove aree del CentroNord. Il cui sviluppo si fondava appunto sulle imprese di
dimensioni piccole e medie imprese.
La legge apre in realtà la strada a interventi assistenziali
totalmente in contrasto con le regole della concorrenza che
avevano fino ad allora ispirato la politica industriale,
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introducendo elementi di rigidità nel sistema che troveranno
applicazione sempre più frequente negli anni successivi.
36.
Discutere la politica dei piani di settore che ha
caratterizzato la politica industriale in Italia.
All’inizio degli anni ’70 il primo shock petrolifero aveva generato il
fenomeno della stagflazione, ovvero una combinazione di
un’elevata inflazione e il ristagno del sistema produttivo. Tale
situazione rese necessario un aumento dei trasferimenti dallo
Stato alle imprese. I trasferimenti che già venivano effettuati
presentavano però alcune criticità tra cui un metodo di gestione
dell’erogazione poco chiaro.
Per riordinare i meccanismi di credito industriale venne attuata
una politica di piani di settore a partire dalla seconda metà degli
anni 70, con l’intento di colmare il gap informativo tra governo e
industria, per aiutare il policy maker ad effettuare scelte più
efficienti e massimizzando i risultati e riducendo i costi
Precisamente nel 76 venne istituito un fondo nazionale per il
credito agevolato con un provvedimento che vietava i contributi a
investimenti espansivi in settori con eccedenza di capacità
produttiva. Nello stesso anno fu presentato anche un disegno di
legge volto all’istituzione di un comitato interministeriale che
coordinasse la politica industriale (CIPI), che definisse le direttive
per l’organizzazione e lo sviluppo del sistema industriale, e che
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individuasse i settori più bisognosi di interventi pubblici. La
delibera individuò 7 settori (carta, chimica, siderurgico, sistema
della moda, meccanica strumentale, elettronico-informatico) e 3
linee orizzontali (commercializzazione all’estero, energia e
ambiente)
Un’altra novità fu il passaggio da un sistema di incentivi regolato
dall’automaticità ad un regime discrezionale, dove la validità
dell’iniziativa da agevolare veniva valutata dal CIPI alla luce degli
indirizzi delineati dai programmi di settore.
Il contenuto dei programmi, che recepivano le direttive elaborate
dal CIPE, viene diviso in due momenti principali: il primo analiticoconoscitivo, mirava ad identificare le caratteristiche strutturali dei
settori e le aree problematiche comuni ai vari settori;
e il secondo momento, di natura politico-propositiva, volto alla
soluzione di problemi specifici dell’industria, fornendo criteri
operativi per le decisioni del CIPI. Inizialmente la fisionomia
dell’industria italiana mostrò dei cambiamenti (positivi) però
Tutto sommato questa politica ebbe fine negli anni 80
principalmente per risultati deludenti, per la crisi delle grandi
imprese e per la riduzione delle barriere tariffarie.
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37.
Confrontare il metodo del rate of return (Ror) e il
metodo del price cap per Il controllo della dinamica dei
prezzi.
Il ROR e il price cap sono metodi di risoluzione delle asimmetrie
informative tra regolatore e impresa regolata. ( per indurre
l’impresa a raggiungere gli obiettivi che il regolatore stesso si
propone)
Il Rate Of Return (ROR) (metodo di regolazione) prevede che le
decisioni fondamentali per il regolatore siano la scelta del tasso di
rendimento massimo sul capitale investito che l’impresa dovrà
rispettare e la definizione di base su cui si calcola il rendimento e
scelta dei prezzi, che una volta definiti restano immutati fino al
successivo processo di revisione. Tutti i guadagni di efficienza in
questo periodo sono trattenuti dall’impresa come extraprofitti.
Il vincolo in termini contabili è cosi definito: r= profitto/capitale
investito<X%
Se profitto e r sono alti il regolatore impone una riduzione
tariffaria. E viceversa
Questo metodo è stato criticato da Averch-Johson in quanto
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comporta effetti distorcenti. nel caso di monopolio con
produzione di un solo servizio, la fissazione di un dato vincolo
porterà l’impresa ad aumentare il denominatore della funzione
(cap inv) realizzando inv non necessari per ottenere un maggior
volume di affari senza che venga imposta una riduzione tariffaria.
Il Price Cap invece consiste nell’applicazione di un tetto alla
crescita dei prezzi dei servizi prodotti di un impresa: i prezzi
vengono fissati dal regolatore per un periodo lungo al fine di
ridurre i costi. Il prezzo massimo è inferiore a quello praticato in
un monopolio non regolamentato.
varP=RPI(indice dei prezzi al consumo) –X
x assume diversi
valori percentuali in base alle valutazioni del regolatore sulla
capacità d’impresa di conseguire efficienze
esso consiste quindi in un meccanismo in cui il risparmio di costi
si traduce in un aumento del profitto .
38.
Illustrare la differenza e i vantaggi e gli svantaggi dei
prezzi pubblici e dei prezzi politici??
Il prezzo politico e pubblico sono due misure di
regolamentazione per fare fronte al monopolio naturale. Il
monopolio naturale è dovuto alle tecnologie usate da
un’impresa o alla proprietà esclusiva di un determinato
fattore (tabacco). Solitamente il monopolio si caratterizza
dalla presenza di prezzi più alti e quantità offerta più bassa,
rispetto a quelli della concorrenza.
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Interviene quindi il regolatore il quale impone prezzi pubblici
o politici
Si hanno prezzi pubblici quando il corrispettivo richiesto è
inferiore al prezzo di mercato ed è offerto da un ente pubblico o
da un’impresa pubblica in condizioni di monopolio legale.
Solitamente è praticato per beni e servizi che si vogliono rendere
accessibili alla generalità dei cittadini.
Si è invece in presenza di prezzo politico nel caso in cui il
corrispettivo richiesto è inferiore al costo di produzione ed è
praticato nei casi in cui lo stato o altri enti pubblici ritengono utile
favorire la produzione di alcuni beni e servizi che vengono offerti
sottocosto per un interesse collettivo. Infine i costi non coperti
dagli utenti vengono posti a carico della collettività mediante il
bilancio pubblico.
Facoltativo:
((L’ottimalità si ha quando il prezzo è pari al costo marginale
(prezzo politico). Si avrà però una perdita in quanto i costi fissi
non saranno coperti dalle entrate. Il monopolista o esce dal
mercato o deve essere sussidiato dal governo. Ma il fatto è che
tale regola di prezzo richiede dei sussidi pubblici per essere
sostenuta ed è un aspetto negativo in quanto questi sussidi
devono essere finanziati con tasse dirette o indirette che
generano distorsioni e inefficienze in altri mercati.
Lo stato per evitare ciò ricorre ad una scelta: prezzo pubblico ,
P=AC. Il questo caso il monopolista non realizzerà nessuno
profitto anche se i consumatori beneficeranno di tale
regolamentazione perché acquistano una maggiore quantità a un
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prezzo più basso))
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