1 MEDICINA DELLO SPORT L’IDONEITA’ SPORTIVA L’Italia è stata una delle prime nazioni ad adottare una norma sulla tutela sanitaria delle attività sportive, nel 1982 è entrata in vigore le norme per la tutela sanitaria dell’attività agonistica, prevedendo una visita periodica per il controllo dell’idoneità specifica dello sport che intendono svolgere. Mentre nel 1983 sono entrate in vigore le norme per la tutela sanitaria dell’attività non agonistica modificate poi nel 2013. Nel 1987 è stata introdotta una norma per gli atleti agonistici per gli atleti diabetici. Nel 1993 è stata emanata la prima norma dell’idoneità sportiva per soggetti diversamente abili. L’obiettivo primario della visita è quella di escludere la presenza di patologie o malformazioni che controindichino l’attività agonistica. Attività sportiva agonistica: Il criterio che definisce l’attività sportiva agonistica dipende da federazione a federazione e riguarda chi accede alle fasi nazionali dei giochi studenteschi (giochi della gioventù), inoltre vengono qualificate agonistiche dalle varie federazioni, dal Coni e dagli enti sportivi riconosciuti. Il criterio che definisce la qualifica di agonistica è anagrafico ed è specifico di ogni sport, federazione o ente sportivo. Certificato agonistico: Il rilascio dei certificati agonistici (pratica sportiva agonistica) vengono rilasciati esclusivamente dal medico dello sport, specialista nella medicina dello sport, operante nelle strutture pubbliche o in quelle private autorizzate. Il certificato è specifico, deve essere indicato per lo sport per cui è stata concessa l’idoneità e quindi può essere utilizzato solo per quello specifico sport. La legge del 1982 ha diviso gli sport in due fasce: fascia a con basso impegno vascolare (tuffi, bocce, golf, automobilismo) necessitano di esame delle urine, visita medica (compresa misurazione pressione arteriosa) e ECG a riposo refertato. Gli sport di fascia hanno validità di un anno, con alcuni come bocce, golf e arco con validità di 2 anni. Gli sport della fascia B sono con alto impegno vascolare, gli accertamenti previsti sono: visita medica, esame completo urine, ECG a riposo e dopo dello sforzo ed infine la spirometria. Per alcuni tipi di sport sono richiesti degli esami integrativi come ad esempio per sport subacquei è richiesta la visita dall’otorino. La spirometria è una misurazione dei volumi polmonari, esame che deriva già dai primi secoli, si utilizzano degli spirometri a turbina, si vanno a misurare i parametri come la capacità vitale forzata. La capacità vitale forzata (FVC) è il volume di aria che può essere espirato con uno sforzo massimale, dopo che il paziente ha eseguito una piena inspirazione, misurata in litri. La FVC è una manovra fondamentale nei test di spirometria. 2 La capacità polmonare totale (in inglese total lung capacity - TLC) equivale alla quantità (volume) massima d'aria presente nei polmoni. L’atleta può risultare idoneo con validità nella maggior parte degli sport di 1 anno, o di tempi anche più brevi se necessita di ulteriori esami. Se il medico dello sport risulti non idoneo, si può ricorre alla commissione regionale d’appello, che può confermare la non idoneità o concedere l’idoneità. La non idoneità può essere temporanea o assoluta. Nella regione marche esiste un database pubblico, dove si può verificare se l’atleta risulta idoneo all’attività sportiva. Attività sportive non agonistiche: Le attività sportive non agonistiche sono tutte le attività sportive che la singola federazione, gli enti sportivi riconosciuti e il coni non considera agonistica, ad esempio prima di una certa età (12 anni nel calcio), o anche per i giochi studenteschi che non siano nazionali. Il certificato sportivo non agonistico non è specifico per un certo sport, nella regione marche è richiesto anche per l’attività in palestra, quindi è generico può essere utilizzato in tutti gli sport, ma può indicare delle limitazioni per alcune attività. In alcuni casi dove lo sforzo cardiovascolare sia più elevato, le attività pur essendo non agonistiche venivano paragonate ad attività sportive agonistiche come idoneità. Il certificato non agonistico può essere rilasciato da: -medico di medicina generale o pediatra per i propri assistiti -medici specialisti in medicina dello sport -medici della federazione sportiva… La visita di idoneità sportiva può essere salvavita, infatti lo screening di massa permette di prevenire. Criteri di Wilson e Jungner per requisiti generali per screening di massa 1968, sono dei criteri per gli screening di massa, per la popolazione ritenuta sana per rilevare precocemente determinate patologie: 1. La condizione patologica deve essere un problema importante di salute. 2. Deve esistere una terapia per la condizione. 3. Devono esistere strutture per la diagnosi e trattamento. 4. Deve esistere uno stadio latente della malattia. 5. Deve esistere un test o esame per accertare la patologia nella fase latente. 6. Il test deve essere bene accetto dalla popolazione. 7. La storia naturale della malattia dovrebbe essere adeguatamente compresa. 8. Deve esistere un accordo sui protocolli terapeutici di terapia e su chi sottoporre a trattamento. 9. Il costo totale della scoperta di un caso dovrebbe essere bilanciato economicamente in relazione alla spesa medica nel suo complesso. 10. Il processo di rilevamento dei casi dovrebbe essere continuo, non semplicemente giusto un progetto "una volta e per tutti". 3 L’incidenza di morte improvvisa cardiovascolare è diminuita in maniera significativa dall’emanazione della normativa del 1982, dovuta ad un’individuazione precoce di malattie cardiovascolari che possono portare a morte improvvisa. In questo momento l’incidenza di morte negli atleti è più bassa delle persone non atlete. Quindi grazie alla normativa del 1982 con l’obbligo della visita di idoneità sportiva, la mortalità per morte improvvisa è diminuita molto. Questi dati dimostrano il beneficio scaturito dall’obbligo della visita medica, come screening preventivo per la popolazione, con il rischio relativo di morte improvvisa che è diminuito molto. In America dove non è previsto lo screening di massa, alcuni cardiologi hanno dichiarato che non esiste un guadagno essenziale riguardo la riduzione di morti improvvise rispetto all’elevato costo. Il maggior numero di morti improvvisa negli USA è causata dalla cardiomiopatia ipertrofica, che è possibile rilevare con lo screening di massa grazie all’elettrocardiogramma, quindi viene prevenuta in Italia con lo screening. Gli sport in base agli adattamenti cardiaci di volume e massa cardiaca, in base alla richiesta energetica possono essere suddivisi in: -sport di destrezza: attività cardiovascolare è relativamente bassa, adattamenti cardiaci caratterizzati da scarso incremento di volume e massa cardiaca si basano su gesti neuromuscolari fini. -sport di potenza: metabolismo anaerobico -sport misti: andamento cardiovascolare variabile, fasi alternate di potenza e altre con meccanismi aerobici, -sport aerobici: sport di endurance/resistenza. -Sport anaerobici-aerobici massimali: dove lo sforzo è massimale di entrambi i tipi. Dal punto di vista cardiovascolare nell’atleta nei soggetti giovani il rischio è più presente per patologie aritmiche che possono portare a morte improvvisa. Queste patologie possono essere: -bradicardie: -aritmie sopraventricolari -pre-eccitazione ventricolare -aritmie ventricolari -malattie da canali ionici Esistono situazioni che vanno valutate nel corso del rilascio dell’idoneità agonistica che sono ad esempio cardiopatie congenite e valvolari acquisite: -pervietà del dotto arterioso: da problemi ad esempio negli sport con respiratori esterni (sub) -difetti interatriali: -difetti interventricolari: -malattia di ebstein: 4 -Ostruzioni all’afflusso ventricolare sinistro: Ostruzioni isolate delle vene polmonari, sopravalvolari (cor triatriatum e membrana sopra-valvolare mitralica) e stenosi mitralica congenita. -Stenosi polmonare valvolare, sotto-valvolare, dell’arteria polmonare e dei suoi rami -Coartazione aortica -Ostruzioni all’efflusso ventricolare sinistro: -tetralogia di fallot -anomalie coronariche -malattia di kawasaki -trasposizione dei grandi vasi Cardiomiopatia ipertrofica La cardiomiopatia ipertrofica è una delle maggiori cause di morte improvvisa, anche in soggetti molto giovani, soprattutto in persone che non hanno svolto la visita di idoneità sportiva, senza quindi uno screening di prevenzione, in quanto il primo sintomo è proprio la morte. La Cardiomiopatia Ipertrofica (CMPI) è una cardiopatia caratterizzata dalla presenza di ipertrofia del ventricolo sinistro (VS) localizzata ad uno o più segmenti, o diffusa, definita da uno spessore parietale ≥15 mm, con cavita non dilatata, in assenza d’altre cause cardiache o sistemiche potenzialmente responsabili di tale ipertrofia. L’atleta spesso va incontro ad una ipertrofia cardiaca fisiologica e funzionale, che permette di ottenere le migliori performance. L’ipertrofia fisiologica spesso però è indistinguibile da quella patologica, quindi quando si ha questo dubbio per prima cosa va fermato l’atleta, per vedere se queste modificazioni sono reversibili, nel giro di qualche mese si ha una regressione se l’ipertrofia sia fisiologica, in casi estremi si può fare una biopsia per avere la certezza. Cardiomiopatia dilatativa La cardiomiopatia dilatativa è una patologia dove il cuore tende a dilatarsi, avendo una differente capacità ci contrarsi, la quantità di sangue che rimane dopo una contrazione tende ad aumentare col tempo (postsistolica). L’efficienza cardiaca diminuisce, nella maggior parte dei casi serve il trapianto cardiaco. La diagnosi è difficile da distinguere in un primo momento da quella fisiologica dovuta a sport soprattutto di endurance, che ha bisogno di avere delle gittate cardiache (volumi di sangue per minuto) estremamente alte, che permette al muscolo un’adeguata quantità di ossigeno. Cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro (CMAVD) o semplicemente la cardiomiopatia aritmogena (CMA) è una malattia del miocardio ventricolare provocata spesso da mutazione dei geni che codificano per le proteine desmosomiali (gene CDH2 che regola la produzione di Caderina 2 o NCaderina, una proteina che media l’adesione tra le cellule miocardiche). 5 La malattia è caratterizzata istologicamente da sostituzione fibro-adiposa del miocardio ventricolare destro e/o che diventa un trigger per la comparsa di aritmie ventricolari, spesso indotte dall’esercizio e talora minacciose per la vita. Tale patologia riveste particolare importanza in ambito medicosportivo in quanto è tra le cause più frequenti di morte improvvisa tra i giovani atleti in Italia. la diagnosi è molto difficile da individuare, neanche con la risonanza cardiaca magnetica, e spesso è post morte la diagnosi. Ventricolo sinistro non compatto Il Ventricolo sinistro non compatto (VSNC) è una cardiomiopatia caratterizzata morfologicamente dalla presenza di uno strato di miocardio trabecolato “non compatto” e di uno strato “compatto” di spessore inferiore alla norma. Inizialmente non è distinguibile, poi in seguito con ecografia e risonanza magnetica è possibile individuare. Può causare aritmie, spesso anche mortali. I soggetti affetti da VSNC hanno un rischio aumentato di sviluppare embolie sistemiche, disfunzione ventricolare ed aritmie sopraventricolari e ventricolari. Idoneità con diabete Alcune patologie sono compatibili con l’idoneità sportiva come il diabete. La malattia diabetica priva di complicanze invalidanti non costituisce motivo ostativo al rilascio del certificato di idoneità fisica per la iscrizione nelle scuole di ogni ordine e grado, per lo svolgimento di attività sportive a carattere non agonistico e per l'accesso ai posti di lavoro pubblico e privato, salvo i casi per i quali si richiedano specifici, particolari requisiti attitudinali. Con una normativa del 1987 il certificato di idoneità fisica per lo svolgimento di attività sportive agonistiche viene rilasciato previa presentazione di una certificazione del medico diabetologo curante attestante lo stato di malattia diabetica compensata nonché' la condizione ottimale di autocontrollo e di terapia in grado di controllarlo da parte del soggetto diabetico. Alcuni sport sono riconosciuti come attività sportive a rischio per un’ipotetica crisi ipoglicemica come sport di contatto, automobilismo ecc.. Gli sport raccomandati sono gli sport aerobici, con alto impegno cardiocircolatorio, o anche sport di squadra con fasi alternate di lavoro. Le raccomandazioni sono: -glicemia sotto a 90: assumere zuccheri prima dell’esercizio, ed iniziare esercizio con glicemia sopra a 90. -da 90 a 144: assumere zucchero e si può iniziare subito l’esercizio -da 144 a 270: esercizio a blanda intensità. -sopra a 270: controllare la chetonemia, se non vi è pratica di esercizio a bassa intensità e pratica una lieve dose si insulina. 6 Possiamo affermare che il modello italiano di screening degli atleti è da considerarsi una strategia sanitaria efficiente per la prevenzione della morte improvvisa negli atleti soddisfacendo i principali criteri di Wilson e Jungner: 1. La sicurezza dell’attività sportiva (agonistica) rappresenta un importante problema di salute pubblica, 2. Gli atleti ancora asintomatici con un rischio di patologie cardiache sono identificabili con alta probabilità di successo, 3. In questi soggetti una restrizione mirata dell’attività fisica ed un trattamento farmacologico dove indicato permettono una importante riduzione del rischio, 4. L'identificazione precoce e la gestione della malattia modifica favorevolmente la prognosi e porta a sostanziale riduzione della mortalità con un accettabile costo/beneficio. ATTIVITA’ FISICA E SEDENTARIETA’ L’uomo nella preistoria (homo sapiens) per caratteristiche fisiche non era un velocista, ma dotato di grande resistenza adatto a percorrere lunghe distanze nell’Africa preistorica per procurarsi il cibo con la raccolta e la caccia. Nel muscolo del polpaccio le fibre a contrazione lenta sono mediamente il 60% nell’uomo mentre solo il 15-20% nel caso di macachi o scimpanzé. Con l’evoluzione della specie e della tecnologia, le persone sono sempre meno attive, portando ad un aumento della massa corporea, soprattutto quella grassa, aumentando il rischio di malattie che possono portare anche alla morte. Il nostro organismo che è nato per correre, per muoversi e per fare attività fisica ha anche la caratteristica di immagazzinare il cibo, sotto forma di grassi, questo perché si doveva far fronte al poco cibo a disposizione. Con l’evoluzione la ridotta attività fisica effettuata (non si deve più cacciare) e l’elevato cibo a disposizione ha portato ad un aumento del peso corporeo, che può portare a malattie metaboliche. La sedentarietà aumenta il rischio di malattie, vi è un aumento della mortalità fino al 40 %, malattie per lo più croniche degenerative e metaboliche. Le malattie croniche non trasmissibili sono manifestazioni patologiche non legate alla presenza di agenti infettivi come virus o batteri, e sono caratterizzate da lunga durata e lenta progressione. L’OMS (o WHO) ha definito quattro principali tipi di malattie non trasmissibili: -le malattie cardiovascolari (CVD nella letteratura inglese), -le patologie oncologiche, -le malattie respiratorie croniche (come la bronco pneumopatia cronica ostruttiva) -il diabete. Le malattie cronico degenerative costituiscono la principale causa di morte nel mondo rappresentando il 63% di tutte le morti annuali con percentuali di incidenza in netto aumento soprattutto nei paesi in via di sviluppo. 7 I quattro principali tipi di malattie non trasmissibili definiti dall’OMS (cancro, diabete, malattie respiratorie e cardiovascolari), dopo un lungo periodo, si concludono spesso con un esito fatale gravando sui costi della sanità pubblica e incidendo drasticamente sulla qualità della vita. Queste malattie hanno origine da uno stato infiammatorio cronico, per questo possono comprendere per questo anche malattie stile di vita dipendenti (esercizio dipendenti) come asma, celiachia, malattie autoimmuni, sindrome metaboliche, allergie e malattie Neurodegenerative (Alzheimer, Parkinson). Il rischio di contrarre malattie croniche aumenta notevolmente con uno stile di vita scorretti (fumo e alimentazione) e con una scarsa attività fisica costante. Alcuni studi hanno dimostrato come soggetti con stile di vita scorretto vanno incontro a malattie croniche degenerative circa 10 anni prima dei soggetti che seguono un corretto stile di vita. Le morti annuali attribuite alla sedentarietà sono a livello delle morti attribuite al fumo, possiamo quindi comparare il fumo alla sedentarietà. Bisogna chiarire il concetto che non è solo l’attività fisica ad essere salutare, ma è anche la sedentarietà ad essere dannosa. L’attività fisica da sola non basta per vivere una vita salutare, ma deve essere supportata da una bassa sedentarietà giornaliera. Anche chi fa tanta attività fisica, ma per molte ore rimane seduto nell’arco del giorno aumenta il rischio di malattie cronico degenerative. L’OMS ha stabilito che l’attività fisica settimanale di una persona adulta deve essere di almeno 150 minuti ad una intensità media. Stando in piedi di media 6 ore al giorno è stato dimostrato che fa dimagrire circa 2,5 kg ogni anno. La riduzione del rischio di mortalità associata con un’attività fisica medio-intensa è indipendente da come l’attività viene accumulata, quindi non deve essere per forza svolta tutta assieme, ma anche attività di pochi minuti ripetuti più volte durante il giorno. La giusta indicazione da dare è muoversi di più e stare meno seduti. Attività fisica vs esercizio fisico Si intende per attività fisica ogni movimento corporeo prodotto dai muscoli scheletrici che comporti un dispendio energetico, incluse per esempio le attività effettuate: lavorando, giocando, viaggiando e impegnandosi in attività ricreative (definizione OMS 2014). L’esercizio fisico comprende i movimenti dell’attività fisica caratterizzata dall’essere pianificata, strutturata, ripetitiva e volta a migliorare o a mantenere uno o più aspetti della forma fisica e della salute, attività strutturata ed organizzata. Lo sport è un’attività fisica strutturata praticata secondo precise regole con altre persone. 8 Per classificare l’intensità dell’attività sportiva si possono utilizzare i met (multipli del consumo metabolico a riposo, 1 met=consumo metabolico a riposo): -Sotto ai 3 met l’attività è molto bassa, quasi sedentarietà, -dai 3 ai 6 met l’attività motoria è moderata, -sopra ai 6 met l’attività è intensa. La misura oggettiva dell’intensità dell’attività sportiva viene effettuata grazie ai cardiofrequenzimetri, smartwatch, o altri accessori. Molto accurata è anche la misura soggettiva dell’intensità, grazie a delle scale soggettive della fatica come la scala di borg: -forma da 6 a 20: attività efficace da 12/13 -forma da 0 a 10: attività efficace da 4/6 L’attività efficace è quella che produce qualcosa di efficace e relativamente sicura, fra un’attività leggere ed una molto faticosa. Un’altra indice per misurare soggettivamente l’attività sportiva è il talk test, ovvero quanto è difficile parlare durante un’attività sportiva, l’attività efficace è quando si riesce a parlare, ma non con estrema semplicità. Questa attività efficace corrisponde all’incirca al 65/75% della frequenza cardiaca massima, corrisponde ad un’attività aerobica. Quanta attività bisogna fare? Per quanto riguarda i bambini e adolescenti (6-18) devono raggiugere circa 60 minuti al giorno di attività fisica, soprattutto attività aerobica, includendo attività intensa e almeno 3 volte a settimana includere attività che rafforzano i muscoli e la salute delle ossa, questo perché fino ai 25 anni circa si può incrementare il nostro patrimonio di calcio, che poi con l’avanzare dell’età si perderà inevitabilmente. L’attività fisica nei bambini include lo sport, il gioco, attività ricreative, l’attività fisica a scuola ecc… Negli adulti (18-64) almeno attività fisica moderata di 150 minuti a settimana oppure 75 minuti di intensità alta, o periodi di circa 10 minuti combinati tra i due tipi. Negli adulti senior over 65 si hanno le stesse raccomandazioni degli adulti, devono praticare attività fisica in quanto possiede diverse raccomandazioni specifiche: -per migliorare l’equilibrio e prevenire le cadute con almeno 3 sedute a settimana -fare attività fisica per rafforzamento muscolare almeno 2 volte a settimane per contrastare la sarcopenia. -essere fisicamente attivi in base alle proprie capacità e condizioni Anche i bambini sotto ai 6 anni devono svolgere attività fisica: -bambini sotto ad 1 anno: stare seduti il meno possibile, occorre avere un adeguato sonno di almeno 14 ore. -bambini da 1 a 2 anni: 3 ore di attività a settimana, e un sonno di circa 11 ore -bambini 3-4 anni: almeno 3 ore di attività a settimana, con almeno 1 ora di attività moderata-alta. 9 Tra i vari benefici che può portare l’attività fisica sono diminuire il rischio di cancro, aumentare la funzione cognitiva, diminuire depressione e stress, diminuire il rischio di cadute negli adulti, migliorare la qualità della vita e molte altre. Nel 2017 il ministero della salute ha dato delle linee guida in linea con l’Oms, per l’attività fisica per le differenti fasce di età, con riferimento anche a malattie patologiche, quindi anche il contesto della famiglia, scuola e società. Vantaggi attività fisica Uno studio durante le olimpiadi di Tokyo del 1964 ha individuato la media di passi giornaliera è di circa 3000-5000 passi, ed hanno individuato come obiettivo da raggiungere 10000 passi giornalieri come attività fisica consigliata, infatti ci sarebbe stato un sensibile guadagno di salute ed un aumento del 20% del consumo calorico giornaliero. Diversi studi hanno dimostrato che anche fare 5000 passi al giorno, riduce di molto il rischio di mortalità. Quindi il concetto è quello di aumentare l’attività fisica giornaliera, così da avere benefici sulla qualità della vita e diminuire il rischio di mortalità. Per avere una camminata con un’intensità moderata (almeno 3 met) serve un passo frequente e svelto circa 110 passi al minuto. L’attività fisica nei bambini per la gran parte della popolazione è sovrastimata (sia per quantità che per intensità), quando invece in realtà è insufficiente. Uno studio ha dimostrato che oltre al 50% delle madri di bambini poco attivi ritengono invece che il bambino svolge molta attività fisica. Questo anche perché in molti sport soprattutto di squadra, in un’ora di attività sportiva, oltre 45 minuti sono di pausa, mentre solo 15 minuti sono effettivamente di attività sportiva, questo causa una sovrastima dell’attività sportiva. Negli adolescenti l’attività fisica ha un ruolo benefico nelle funzioni cognitive (salute mentale) e qualità della vita. Gli italiani purtroppo sono tra i meno sportivi in Europa: solo il 3% degli italiani fa sport regolarmente ed il 60% degli italiani è completamente sedentario (rispetto al 42% della media europea). Negli adulti tra 18 e 69 anni solo un terzo raggiunge almeno i livelli minimi consigliati dall’Oms, un 33% è parzialmente attiva e un altro 33% è sedentaria. La sedentarietà è più diffusa negli anziani, nei cittadini stranieri, nelle donne e nelle persone con difficoltà economiche. I maggiori guadagni prendendo in considerazione la salute si ottengono con il passaggio dalla sedentarietà ad una attività fisica sotto livello consigliato, per questo l’obiettivo primario sarà ridurre il numero di sedentari, in quanto anche con un’attività minima di attività fisica la probabilità di contrarre delle malattie croniche diminuisce drasticamente. Esiste anche una piramide dell’attività sportiva, ovvero sulle attività fisiche consigliate per avere dei benefici: 10 Fra i benefici maggiori nel fare attività fisica in età adulta, riguarda la diminuzione del rischio di malattie cardiovascolari, infatti uno dei maggiori precursori di malattie cardiovascolari è la sedentarietà. Un indice importante per quanto riguarda gli adulti, ci dice che chi riesce ad effettuare almeno 40 piegamenti ha molte meno probabilità di contrarre malattie cardiovascolari rispetto a chi ne riesce a fare solo 10. È stato dimostrato che dietro ad ogni malattia, c’è un grosso costo che quindi indirettamente potrebbe essere correlato alla sedentarietà. Quindi possiamo definire un costo dell’inattività fisica indiretto, causato dal costo della malattia, questo possiamo definirlo circa 70 miliardi di euro ogni anno. I costi indiretti sono stimati valutando il capitale umano perso con la morbilità e la mortalità prematura causata dalla inattività fisica, utilizzando il DALYS (Disability Adjusted Life Years) che è un indicatore composito, usato negli studi epidemiologici, che combina la somma degli anni di vita potenziale persi a causa di mortalità prematura e degli anni di vita produttiva persi a causa di disabilità. In Italia come costi assoluti siamo al 3° posto, mentre i costi causati dalla 11 inattività fisica, calcolati in proporzione rispetto alla spesa sanitaria nazionale nel 2012 collocano purtroppo l’Italia al primo posto nella Unione Europea con quasi il 9%. Ovvero quasi il 9% di quello che spendiamo per spese sanitarie, potrebbe essere risparmiato se idealmente tutta la popolazione italiana raggiungesse i livelli minimi di attività fisica. Questo per far capire come una attività fisica adeguata andrebbe anche ad influire positivamente dal punto di vista economico. È stato dimostrato che l’attività fa bene anche nell’ambito lavorativo ed in particolare ai dipendenti che migliorano la produttività e motivazione, nei giorni in cui si allenavano infatti i dipendenti aumentavano in concentrazione, puntualità, motivazione e produttività con un allenamento a basso impatto, come una camminata a ritmo regolare o 20 minuti di pedalata costante. Ad esempio negli stati uniti molte assicurazioni private delle aziende mettono come costi da detrarre sulle spese sanitaria che ha per i propri assistiti le spese della palestra, in quanto conviene dal punto di vista economico (aumento produttività, meno spese sanitarie). Una soluzione quindi sarebbe quella di incrementare il trasporto attivo, ad esempio preferendo la bici o andare a piedi, alla macchina e ai mezzi pubblici. Dal punto di visto collettivo sarebbero da preferire piste ciclabili, pedibus. Uno studio svolto a Copenaghen ha dimostrato come ogni km percorso con la bicicletta faceva guadagnare 0,25 dollari per la comunità, mentre ogni km percorso in macchina equivaleva ad una perdita di 0,16 dollari per la comunità, quindi per un totale per ogni km pedalato da un abitante faceva guadagnare alla comunità 0,41 dollari. Altre soluzioni sono ad esempio con una retribuzione lavorativa anche per chi utilizza la biciletta come mezzo di trasporto per andare al lavoro. Dal 2016 in Italia venne considerato come infortunio sul lavoro in itinere anche gli infortuni riscontrati mentre si va o si torna dal lavoro. Anche il cammino oltre alla bici ha dei vantaggi: - è a disposizione di tutti (equità), non richiede particolari abilità, equipaggiamento, strutture o presenza di insegnanti. -Potenziale maggior coinvolgimento degli uomini (a rischio vascolare più elevato) -Bacino d’utenza potenziale illimitato -Possibilità di parziale autogestione, ad es. addestramento di “walking leaders” non professionisti (riduzione dei costi, aumento della spinta motivazionale dei partecipanti). -Vantaggi psicologici (contatto con la natura; socializzazione; autostima e self-empowerment) -Inserimento in un contesto più ampio di medicina preventiva -Basso rischio di incidenti e di traumi muscoloscheletrici. 12 È stato detto che per un’adeguata attività fisica (>3 met) la camminata doveva avere una cadenza di 100/110 passi al minuto, degli studi hanno dimostrato che la velocità di cammino che dà i maggiori benefici: -riduzione del 23% di rischio di morte per chi camminava tra 3 e 5 km/h -nessun morto per chi andava a 5 km/h Quindi la velocità di marcia doveva essere almeno 3km/h. La soluzione in conclusione è semplice, basta muoversi di più. Salute, cambi comportamentali La salute non è sola l’assenza di malattie o infermità, ma è uno stato completo di benessere fisico, mentale e sociale. Una nuova definizione di salute del 2011 afferma che la salute è intesa come capacità di adattarsi e autogestirsi. Ci sono molti determinanti di salute: età, sesso, fattori costituzionali, stili di vita individuali, reti sociali e di comunità, condizioni di vita e di lavoro ed infine condizioni ambientali, socio economiche e culturali generali. Come per la salute anche per l’attività fisica si hanno molti determinanti, non solo individuali ma anche collettivi e ambientali. Non è semplici indurre un cambiamento dello stile di vita delle persone, indurre a fare attività fisica a chi non è abituato non è semplice. Ci sono dei fattori che possono influenzare la modifica del comportamento: -Intrapersonali -Interpersonali -Organizzativi -Socio culturali -Legislativi Il modello prescrittivo per l’attività fisica non è adeguato, mentre è più efficace il modello educativo. Gli individui, anche se adulti, mantengono un comportamento dannoso per la salute perché non hanno ricevuto l’educazione necessaria per conoscere i rischi. Quindi la finalità della educazione alla salute: favorire un cambiamento di comportamento, rilevante per la salute, attraverso un’influenza sulla sfera delle conoscenze, delle abilità e degli atteggiamenti. Educazione alla salute: è processo di trasmissione e/o acquisizione di conoscenze e abilità necessarie per la sopravvivenza e per il miglioramento della salute e qualità di vita. (interviene sull’individuo) Purtroppo il rischio è di che vengano raggiunte solo le persone già informate sull’argomento. I rischi del modello educativo sono: relazione autoritaria con modalità persuasiva da parte dell’“esperto” (medico), colpevolizzazione della vittima e trasmissione di messaggi che prevedono soluzioni individuali. 13 Per migliorare i profili di attività motoria, bisogna quindi agire sulla collettività, con un’educazione alla salute che miri ad affrontare i determinanti ambientali, sociali ed individuali dell’inattività fisica, aumentando le azioni sostenibili attraverso una collaborazione tra più settori a livello nazionale, regionale e locale (sistema sportivo, educativo, ambiente e infrastrutture, luogo di lavoro, sanità pubblica e servizio sanitario). LA PRESCRIZIONE DELL’ATTIVITA’ FISICA Dopo aver trattato le abitudini motorie dei soggetti, quali sono i benefici individuali e collettivi, quali sono i fattori che la determinano, quali sono i rischi della sedentarietà, quali sono i miglioramenti che ne derivano, passiamo alla prescrizione vera e propria dell’attività fisica. Con il dottor Gutmann che è stato il primo fondatore dei giochi paralimpici, ovvero dei giochi olimpici per disabili e da allora si parla di attività fisica adattata (AFA o APA). Attività fisica ed esercizio fisico adattato intesi come attività a migliorare la situazione medica già generalmente stabilizzata, è una fase in genere non medicalizzata, dove i principali promotori sono i laureati in scienze motorie che promuovono l’attività motoria adattata Molte regioni hanno deliberato in materia di attività ed esercizio fisico, stabilendo protocolli e metodi della pratica di attività motoria adattata attuati considerando le esigenze derivanti dalle specifiche patologie. La toscana ad esempio ha deliberato delle leggi nel 2005, ad oggi è la regione che ha più sviluppato l’afa, ha diviso in 3 diverse tipologie di afa in base ai livelli di capacità funzionali, viene svolta in palestre, piscine o altre sedi, l’accesso avviene tramite medici medicina generali, medici specialisti o servizi di riabilitazione, vengono svolte tramite laureti scienze motorie, isef o fisioterapisti. Nelle marche nel 2015 vengono approvati diversi progetti secondo le linee guida nazionali tra cui attività fisica adatta per pazienti over 65, con l’obiettivo di prevenzione primaria e secondaria. In emilia romagna viene definita attività motoria adattata tutta l’attività prescritta da un medico specialista o medicina generale che viene somministrata da uno specialista (laureato in scienze motorie), ed ha diviso l’attività motoria adattata in due diverse tipologie: -attività fisica adattata (afa): per persone affetta da patologie muscolo-scheletriche e neuromuscolari, al termine del percorso riabilitativo classico e finalizzata al mantenimento delle funzionalità recuperate, hanno condizioni stabilizzate. -esercizio fisico adattato (efa): per persone affette da altre patologie croniche (cardiovascolari, dismetaboliche, oncologiche e respiratorie), finalizzate al miglioramento delle capacità funzionali e della qualità della vita. Si rivolgono a due gruppi di soggetti con patologie differenti. 14 Attività fisica adattata Si intendono programmi di esercizio non sanitari (non c’è un fisioterapista ma effettuati da laureati in scienze motorie) svolti in gruppo appositamente predisposti per cittadini con malattie croniche muscolo-scheletriche e neuromuscolari, indirizzati al mantenimento delle abilità motorie residue (patologie stabili) e finalizzati alla modificazione dello stile di vita. Si tratta pertanto di una strategia di intervento finalizzata alla promozione di un’attività fisica regolare e non di cura della malattia. Viene prescritta dal Medico (MMG, Medici specialisti). I Destinatari sono soggetti con esiti stabilizzati di patologie neurologiche, del sistema muscolo scheletrico e osteoarticolare (lombalgia cronica, artrosi, Morbo di Parkinson, fibromialgia che viene trattata solo in acqua calda termale). La sua somministrazione avviene prevalentemente in ambiente chiuso non sanitario, in gruppi selezionati per patologia, gruppi massimo di 15 soggetti. I programmi di esercizio sono seguiti da laureati in scienze motorie (con laurea magistrale LM-67 in emilia romagna) e con la supervisione di un fisioterapista del Ssr per verificare l’adesione ai programmi precedentemente concordati e monitorare l’attività. Esercizio fisico adattato Prescrizione medica di esercizio fisico (MMG, Medici dello sport, Cardiologi, Diabetologi, e altre patologie che traggono vantaggio dall’esercizio fisico adattato) viene descritto modo, intensità, frequenza e durata delle sedute, effettuata sulla base di una specifica valutazione delle condizioni di salute della persona interessata. La somministrazione degli esercizi prescritti, si svolge, in forma individuale o in piccoli gruppi (più piccoli dell’afa), in ambito extra-sanitario presso palestre selezionate in modo controllato e tutorato da personale laureato in scienze motorie opportunamente formato. Per le persone con un quadro clinico più complesso, che necessitano di un breve periodo di attività controllata e tutorata presso la palestra del Centro di Medicina dello sport, seguita da un laureato in scienze motorie e dal medico sportivo. I destinatari sono: post-sindrome coronarica acuta clinicamente stabile, con o senza infarto, con eventuale rivascolarizzazione meccanica o chirurgica (La stabilità clinica è definita dall’assenza di ischemia residua e di instabilità elettrica e da funzione ventricolare sinistra a riposo con FE ≥ 40%), diabete di tipo 2 diagnosticato da non più di 5 anni (non in terapia insulinica e con BMI compreso tra 27 e 40 di età tra i 30 ed i 75 anni, glicemia a digiuno non superiore a 250 mg/dl), Obesità con BMI 30-40 e/o sindrome metabolica, trapiantati (Rene, Cuore, Polmone, Fegato). L’attività fisica viene svolta: 1-Attività presso le palestre aderenti alla rete delle Palestre per la Promozione della Salute in cui operano i Laureati SM con laurea magistrale LM-67 (Palestre che Promuovono Salute per l’Attività Motoria Adattata) 2. Attività in spazi pubblici (Mappa delle opportunità presenti nel territorio) 15 3. In una fase di avvio, per alcune specifiche condizioni, può essere prevista dai protocolli operativi regionali un’attività supervisionata in ambito regionale I requisiti che devono avere le palestre e associazioni sportive che promuovono la salute sono: -aderire al codice etico -per le palestre la presenza di un laureato in scienze motorie -per le associazioni sportive: la presenza di personale in possesso dei requisiti regionali o nazionali in materia. Il codice etico delle palestre prevede che l’attività si svolga per la promozione della salute, deve prevedere l’inclusione di tutti i cittadini, vendere prodotti contro la salute (promozione alimentazione sana), non incoraggiare l’uso di farmaci dopanti ecc.. Quindi riassumendo l’attività motoria adattata può essere prescritta nelle seguenti modalità: 1) AFA, per persone affette da patologie muscolo-scheletriche e neuromuscolari, al termine del percorso riabilitativo classico e finalizzata al mantenimento delle funzionalità recuperate, destinatari: lombalgia, artrosi, fibromialgia, morbo di parkinson, ecc.. 2) EFA, per persone affette da altre patologie croniche (per esempio cardiovascolari, dismetaboliche, oncologiche e respiratorie), finalizzato al miglioramento della capacità funzionale e della qualità di vita 3) Sulla base di specifici protocolli regionali, i medici possono prescrivere l’Attività Motoria Adattata agli assistiti che, per la presenza di fattori di rischio o patologie croniche definite, possono trarre giovamento dall’adozione di uno stile di vita attivo. I protocolli operativi regionali orientano la prescrizione e definiscono i criteri di invio ad un eventuale “secondo livello” presso i centri di Medicina dello Sport o presso i servizi di Riabilitazione. Trapiantati e sport L’esercizio fisico adattata rivolto a soggetti trapiantati come a soggetti affetti da diabete o malattie cardiovascolari, hanno una risposta molto significativa dall’attività sportiva. I trapiantati presentano un aumento del peso corporeo principalmente dovuto a: 16 1. Terapia immunosoppressiva che altera il metabolismo, interferisce con il metabolismo lipidico tendendo ad aumentare l’obesità. 2. Aumento dell’appetito dovuto al miglioramento delle condizioni fisiche. I trapiantati di organo solido presentano un aumentato rischio di malattie metaboliche e cardiovascolari che incidono sulla probabilità di mortalità e morbilità. La terapia immunosoppressiva può comportare effetti collaterali come osteoporosi, sarcopenia e aumento di peso. I pazienti che giungono al trapianto solitamente sono fisicamente inattivi o con livelli molto bassi di esercizio fisico, infatti è necessario degli interventi prima dell’intervento chirurgico, in quanto in soggetti attivi minore sarà il tempo di recupero, minore la presenza di effetti collaterali dell’intervento, minore saranno rischi operatori. Quindi molto importante è preparare all’intervento chirurgico con l’attività fisica. L’esercizio fisico migliora quindi la qualità della vita delle persone trapiantate, gli obiettivi da ricercare con l’attività fisica sono: -diminuzione massa grassa -miglioramento forza muscolare arti inferiori -miglioramento del metabolismo aerobio e dell’efficacia del sistema cardiovascolare -stabilità della creatina -miglioramento della qualità della vita. Il protocollo di ricerca definisce un modello di assistenza sanitaria post trapianto applicabile in Italia, dove l’esercizio fisico mira a diventare una prescrizione medica per tutti i pazienti trapiantati. Si hanno vantaggi economici in quanto il follow up post trapianto è più veloce, i pazienti tornano al lavoro prima, quindi anche un importante impatto economico. Il centro trapianti invia i soggetti che possono fare attività fisica al centro di medicina sportiva che effettua dei protocolli specifici per la valutazione. Esistono dei protocolli specifici per l’esercizio fisico adattato per i soggetti trapiantati: -inizialmente valutazione composizione corporea: plicometria, si valutano peso, altezza, circonferenza addominale, uso di plicometria. -valutazione della funzionalità aerobica con test incrementali: test del lattato al cicloergometro (aumento costante della potenza, con la cadenza che deve rimanere costante e si misura il lattato). Protocollo balke ware (si aumenta prima la velocità del tapiroulant e poi la pendenza). -valutazione della funzionalità aerobica con test costante a carico costante sub massimale: 6 minuti walking test, test su tappeto rotante. -valutazione della forza muscolare: handgrip, valutazione forza segmentaria Nella valutazione della prescrizione dell’attività fisica la FC non deve mai superare la frequenza indicata per l’allenamento, sempre test submassimali, usando la scala di 17 borg tenersi tra i 12-14° della scala di borg, fatica presente ma non importante, quindi circa al 70% di FCmax. Test 1km su tappeto rotante Un test di valutazione dopo un certo periodo di allenamento è un test del cammino a carico sostante sul nastro trasportatore, dove si aumenta la velocità fino ad arrivare alla velocità pari ad un livello di 11-13 della scala di borg, a questo punto si cronometra il tempo di percorrenza per percorrere 1km, misurando sempre la velocità, la fc e anche la scala di borg del soggetto, il test deve essere fatto con velocità variabile, ma con sensazioni soggettive costanti, lo sforzo soggettivo deve essere costante Il test permette di stimare anche il vo2max, per valutare la massima capacità aerobica, 6 minuti walking test il 6 minuti walking test è più semplice da effettuare, si invita il soggetto a percorrere il più possibile per 6 minuti (il soggetto può correre, camminare, fermarsi) e vedere la distanza percorsa in 6 minuti, infine è possibile calcolare anche la velocità media del test per valutare il grado di performance del soggetto. SBBP Un altro test importante soprattutto per soggetti più anziani è il sppb (short phisical performance battery), dove ci sono molti parametri da rilevare (test equilibrio statico, dinamico, test della marcia, test della sedia) dove si assegnano dei punteggi che permettono di valutare le varie capacità del soggetto. Questo test ci da alcune informazioni sulle capacità di equilibrio, autosufficienza della persona. Il punteggio totale va da 0 a 12, dove da 4 a 9 i soggetti sono autonomi con performance fisica ridotta quindi fragili e a rischio, sopra a 10 soggetti con buona performance fisica. Handgrip test L’handgrip test valuta la forza isometrica della mano che rappresenta un risultato piuttosto attendibile della forza generale dell’individuo. Si svolgono più prove e si prende il risultato medio. Test di forza Test di forza in palestra dove si calcola il massimale del soggetto indirettamente, con l’esecuzione da 5 a 9 ripetizioni, e seguendo poi la formula di brzinsky o tabella. Con un lavoro sub massimale, si riesce a trovare la forza massimale, indirettamente, con macchinari da palestra come leg press, chest press. Questi test quindi ci permettono di trovare il massimale indiretto, con un lavoro sub massimale, in modo poi da poter basare i protocolli di allenamento sul livello massimale teorizzato. 18 Per alcune specifiche patologie, in determinate condizioni del soggetto è richiesto in avvio un periodo nella palestra nel centro di medicina dello sport con un laureato in scienze motorie, dove vengono registrati tutti i dati (dati dell’attività, FC, glicemia). L’intervento motorio deve essere modulato sui livelli di partenza dei soggetti, sul grado di fitness (prendendo in considerazione ad esempio la velocità di cammino), e verificare dopo un certo periodo di tempo l’evoluzione. Protocolli esercizio fisico per miglioramento funzione cardiocircolatoria L’esercizio fisico per il miglioramento della funzionalità cardiocircolatoria: -attività che coinvolgono grandi masse muscolari, in modo continuo e ciclico, con ad esempio camminata, corsa, ciclismo; mentre con un possesso di maggiore tecnica sono nuoto, ballo, pattinaggio. -la frequenza deve essere quotidiana se possibile, almeno 4 volte a settimana, varia a seconda del soggetto, in fase di avvio con soggetti sedentari anche 2 volte a settimana. -l’intensità deve essere intorno a 12-14 della scala di borg (intensità che allena il soggetto senza grossi rischi), corrispondente a 70-80% della frequenza cardiaca massima, in soggetti sedentari che non riescono nella fase iniziale si può tenere un’intensità minore. -la durata deve essere circa 30-60 min per seduta, si possono anche fare sedute più corte e ripetibili durante la giornata (10 minuti), non è fondamentale che l’attività fisica deve essere fatta tutta di continuo, ma anche piccole sedute ripetute durante la giornata. -il volume deve essere di circa 20 met l’ora a settimana, varia dai soggetti. -l’intensità deve essere aumentata progressivamente in relazione all’attività svolta, aumentare in maniera progressiva intensità, durata e frequenza. L’attività può essere svolta con supervisione nella palestra, o anche svolta senza supervisione, in autonomia in casa o all’aperto, registrando il lavoro per tenere conto dei progressi. Molto importante è anche la qualità della vita che si può valutare ad esempio con il test sf36, è un’importante indice che permette valutare anche l’impatto dell’attività fisica sulla qualità della vita. Trapianto e sport professionistico Anche il fatto di essere stati sottoposti a trapianto solido, non ha impedito il continuo dell’attività agonistica professionistica, ci sono diversi esempi di sportivi professionistici che dopo un trapianto sono riusciti a continuare la loro attività ad un livello molto vicino a quello precedente. Per quanto riguarda le attività aerobiche i risultati sono molto simili a quelli pre-trapianto, comunque migliorabili con l’allenamento. Protocollo Hiit-prescrizione esercizio fisico adattato 19 Per la prescrizione dell’esercizio fisico un’alternativa ad il lavoro aerobico (intensità media) è stato proposto il protocollo hiit (high intensity interval training) che è un protocollo più intensivo. Il protocollo HIIT è stato introdotto nel 1996 dal dottor Tabata, strutturato in maniera più specifica di quello che già esisteva sull’attività ad intervalli. Di metodi ad intervalli ne esistono di diversi tipi in base all’intensità, della durata, del recupero e della frequenza, che agiscono in maniera differente poi sul muscolo, sull’apparato cardiovascolare e sull’aspetto metabolico. Il metodo HIIT interviene sia sul muscolo (aumento del numero di mitocondri), sul sistema cardiovascolare e sul metabolismo, aumentando quindi l’efficienza sportiva. Il metodo HIIT favorisce il recupero del calcio nel muscolo (contrazione muscolare più rapida, aumenta la capacità di lavoro), migliora le attività del mitocondrio (ossidative), migliora l’attività del glut 4 (collegato al trasporto del glucosio), diminuisce la tensione a cui il cuore è sottoposto e l’irroramento muscolare. Deve essere verificato che il protocollo HIIT nei soggetti con patologie cardiometaboliche sia tollerabile ed abbia un effetto efficacie, rispetto ai tradizionali protocolli di prescrizione dell’esercizio fisico. Il protocollo HIIT su soggetti che hanno difficoltà a svolgere un’attività fisica prolungata, può essere una valida alternativa in quanto permette di raggiungere livelli simili in breve tempo se l’attività è tollerabile. Anche nei soggetti cardiopatici il protocollo HIIT aerobico è molto efficace aumentando il picco massimo di Vo2 max. HIIT e l’allenamento a moderata intensità inducono modifiche cardiache metaboliche e funzionali simili, sebbene la risposta vascolare iperemica risulta diminuita nell’hiit e questo dato deve essere preso in considerazione nella prescrizione di un HIIT estremamente intenso in soggetti ancora non ben allenati, quindi è un esercizio proponibile in partenza, ma solo dopo un periodo di attività. In soggetti con scompensi cardiaci, un’alta intensità può essere un fattore importante per invertire il rimodellamento cardiaco (il rimodellamento cardiaco è un dato collegato al progredire della patologia), quindi una maggiore intensità corrisponde ad un minore rimodellamento cardiaco, questo fa si che aumenti la capacità aerobica ed aumenta la qualità della vita in soggetti post infarto, con risultati migliori rispetto a quelli basati su una bassa o moderata intensità dell’esercizio. Ha un effetto di aumentare la capacità sub massimale dell’esercizio. Quindi in conclusione l’intervento HIIT può essere parte integrante della riabilitazione cardiaca, perché è stata evidenziata una sicurezza a lungo termine e della sua efficacia nella riabilitazione cardiaca. Anche in soggetti diabetici (diabete 2), il protocollo HIIT può migliorare il controllo del glucosio e migliorare gli adattamenti muscolari che sono collegati ad un miglioramento della salute metabolica di soggetti affetti da diabete di tipo 2. 20 Un allenamento ad intervalli ad alta intensità permette di avere dei risultati in meno tempo, sempre se siano tollerabili dai soggetti, ha grossi benefici per soggetti affetti da patologie cardiache, migliora il controllo metabolico, si ha un miglioramento più importante della capacità aerobica rispetto al metodo a lungo periodo, aumenta il picco di vo2max. È stato proposto anche a bambini effetti da obesità, con un periodo di 12 settimane con protocollo HIIT, hanno causato un miglioramento della capacità aerobica e diminuita la massa grassa. La letteratura scientifica ha dimostrato che l’HIIT (con protocolli specifici adattati all’età ed alla eventuale condizione patologica) hanno, per la maggior parte degli outcam e quindi risultati di funzione cardiovascolare e metabolica efficacia almeno simile o superiori agli altri protocolli con il vantaggio di richiedere minori periodi di allenamento alla settimana, sempre se è sopportato dai soggetti, anche a con tempo di ¼ rispetto a quello a lungo termine. L’HIIT (sempre con protocolli specifici adattati all’età ed alla eventuale condizione patologica) sembra non avere una maggiore incidenza di eventi avversi, soprattutto se rivolto a gruppi selezionati. Diversi lavori dimostrano che è ben accetto dai pazienti (anche per il minor tempo necessario a raggiungere analoghi risultati). Rimane senza dubbio l’attuale difficoltà, anche per aspetti medico-legali (aumentando l’intensità si alza il rischio di alcune patologie avverse), di proporlo come protocollo standard di prescrizione dell’esercizio fisico. L’attività fisica potrebbe anche essere paragonato ad un vaccino ovvero come oggetto di prevenzione primaria, diminuendo il rischio di contrarre malattie cardiovascolari, metaboliche e oncologiche. L’attività fisica è anche utile come prevenzione secondaria, come un farmaco quando le patologie sono già accadute (deve essere adattato ad ogni singolo individuo), con lo scopo di ridurre gli effetti negativi e migliorare e potenziare la funzione residua dell’organo che è stato colpito dalla patologia per cercare di ritornare ad una situazione fisiologico prima della patologia. ASPETTI MEDICO SPORTIVI DELL’EFFICIENZA FISIOLOGICA DEGLI ANZIANI I gruppi maggiormente interessati alla prescrizione dell’esercizio fisico sostanzialmente hanno un’età media-avanzata, in quanto sono patologie croniche come cardiovascolari e metaboliche che anche se la comparsa è diventata più precoce, una grande parte di questi soggetti è in età avanzata. In Italia infatti è uno dei paesi con maggiore aspettativa di vita, questo rende la popolazione molto più vecchia (età media molto alta), con la piramide dell’età che ci dimostra che la popolazione anziana sembra essere la più presente. Questo perché migliorano le qualità della vita, migliorano le cure mediche. Dal punto di vista anagrafico gli anziani possono essere suddivisi in: -anziani giovani: 65-74 anni 21 -anziani medi: 75-84 anni -anziani vecchi: più di 85 anni Possiamo suddividere gli anziani in base alle capacità funzionali, indipendentemente dall’età: -anziani giovani: vivono in modo indipendente senza alcuna limitazione. -anziani medi: necessitano di alcuni aiuti nell’attività quotidiane. -anziani vecchi: sono completamenti dipendenti da altri per tutte le attività quotidiane o necessitano di ricovero in residenze assistite. Nelle fasi finali della vita si ha una tipica aspettativa di 8-10 anni di parziale disabilità ed almeno uno di totale dipendenza, questo è dovuto all’innalzamento dell’aspettativa di vita media, aumento del numero di soggetti anziani. In Medicina dello Sport si può definire anziano sano, il soggetto che non ha patologie che impediscano la partecipazione ad un programma di allenamento o patologie che possono essere in qualche modo aggravate dalla attività fisica. Qualche patologia è fisiologico che ci sia, ma un anziano sale non ha patologie che posso impedire l’attività fisica. Gli effetti fisiologici legati all’invecchiamento sul nostro organismo sono: -la fc a risposo diminuisce leggermente -diminuisce fortemente la fc max -diminuisce la gittata cardiaca massima -aumenta la pressione a riposo e durante l’attività -diminuisce vo2max -diminuiscono parametri respiratori -tempi di reazione più lenti -diminuisce forza muscolare -diminuisce la flessibilità -aumenta massa grassa -aumenta il volume residuo -diminuisce la massa ossea Gli effetti fisiologici dell’invecchiamento possono essere rallentati da una corretta attività fisica che permette anche di prevenire la comparsa di malattie o di comorbilità. Gli effetti positivi che può avere una corretta attività fisica sono: -prevenzione malattie croniche degenerative e riduzione del rischio di riscontrarle, e quando presenti della diminuzione della morbilità e mortalità che queste patologie comportino. -benefici dello stato funzionale: mantenimento forza muscolare, miglioramento funzioni cognitive, miglioramento qualità della vita, incremento densità ossea. -benefici psicologici: minore ansia, depressione e stress. -benefici sociali: coinvolgimento sociale, un anziano sano può portare benefici economici alla società. 22 In seguito ad una diminuzione di molti parametri funzionali dell’organismo è correlata anche una normale diminuzione della performance sportiva. In un’attività anaerobica alattacida come i 100m dove l’unico substrato utilizzato sono i fosfageni muscolari, vediamo una diminuzione della performance con l’invecchiamento, come per tutti gli altri sport c’è un calo drastico della performance. Nella maratona fino a 45 anni vediamo che i tempi di percorrenza sono costanti per tutte le fasce di età, dopodiché la prestazione cala drasticamente; nelle grandi maratone con l’andare nel tempo è aumentato di molto il numero di atleti dopo una certa età. I cambiamenti legati all’età negli atleti runner master che causano una diminuzione della performance sono: sostanzialmente il rendimento per km (economia di corsa, il consumo per km è costante) è molto simile aumentando l’età, parametri cardiovascolari (fcmax minore, vo2max minore, mentre il vo2 aumenta nello sforzo submassimale), la falcata è più corta (diminuzione escursione ginocchio e anca), fattori biomeccanici (diminuisce elasticità tendinea, diminuisce il polpaccio, diminuisce la propulsione). La popolazione sportiva master può essere di diversi tipi: -atleti da sempre praticanti a buon o alto livello che continuano a praticare lo stesso sport a livello simile o poco inferiore. -atleti da sempre completamente o semi sedentari che ad una certa età (40 anni in poi) iniziano a praticare con estrema dedizione uno sport a forte caratterizzazione agonistica (soprattutto sport di resistenza come ciclismo e podismo) -sportivi non agonistici che praticano attività di fitness per migliorare il benessere fisico, senza fattori agonistici di competizione. La Vo2max ha il picco massimo intorno ai 20 anni, dopodiché ha una diminuzione normale, questa diminuzione del Vo2max è minore in caso di soggetti che hanno continuato ad allenarsi in maniera assidua rispetto a chi hanno diminuito la loro attività e chi ha smesso del tutto (sedentari), nei quali cala drasticamente il livello di vo2max. Anche negli agonisti vi sono principalmente due gruppi: l’“agonista anziano” e l’ “anziano agonista” cioè atleti che continuano ad alti livelli dopo una lunga carriera ed altri che hanno iniziato l’attività agonistica tardivamente. Adattamenti cardiovascolari atleti master: Negli atleti master da sempre praticanti attività di resistenza ad alti livelli si verificano abitualmente gli stessi adattamenti cardiocircolatori riscontrabili negli atleti più giovani. Gli adattamenti fisiologici dell’apparato cardiovascolare negli atleti master (principalmente sport di resistenza) sono: -bradicardia a riposo e relativa sotto sforzo (fc max diminuisce) -fc max superiore a quella prevedibile per quella età (rispetto a quella teorica) -aumento del volume cardiaco (aumento dimensioni ventricoli, atri e spessore pareti) 23 -aumento soglia anaerobica -aumento utilizzo tissutale dell’ossigeno La Cardiopatia ischemica è una delle patologie più frequenti negli atleti master, è una delle cause più frequenti di problemi collegata all’attività fisica e che può portare alla morte, è una delle patologie più frequenti con l’avanzare dell’età. L’esercizio fisico in media e tarda età pur essendo un potente fattore preventivo non cancella un passato di vita sedentaria e di cattive abitudini alimentari o di fumo di sigaretta, tenendo altresì presente che la componente genetica gioca spesso un ruolo fondamentale. Soprattutto negli atleti che hanno intrapreso tardivamente, anche se con estremo impegno, l’attività sportiva, l’euforia del ritrovato benessere fisico può frequentemente determinare quello stato mentale definito come “sindrome di highlander o dell’immortalità”, ovvero si creano sia la convinzione che l’esercizio fisico possa preservare da qualsiasi stato patologico, sia la tendenza a minimizzare sintomi e fattori di rischio pregressi o attuali, quindi soggetti che tendono a sovrastimare gli effetti benefici dell’attività fisica, e invece a sottostimare eventuali segnali del fisico. In ultimo si è evidenziato che con l’età aumenta la sensibilità e il numero dei recettori per gli oppioidi endogeni (endorfine) con una conseguente elevazione della soglia del dolore in genere e quello ischemico nello specifico. Tale fenomeno è amplificato dal fatto che l’esercizio fisico prolungato comporta un sensibile aumento della secrezione endorfinica, si tende ad esagerare con l’intensità, la qualità e la frequenza dell’esercizio fisico. Parametri di efficienza fisica coinvolti con l’invecchiamento I parametri di efficienza fisica coinvolti nell’invecchiamento: -massa e forza muscolare -invecchiamento tessuto osseo -flessibilità ed equilibrio -capacità e potenza aerobica -funzione cardiovascolare e polmonare -tessuto nervoso -composizione corporea. -funzioni cerebrali 24 Massa e forza muscolare Principalmente con l’invecchiamento possiamo notare: -modifiche della massa muscolare con l’età: -modifiche della performance con l’età Una diminuzione della forza muscolare è in diretta relazione alla diminuzione della potenza anerobica del muscolo ed è principalmente di 2 tipi: -qualitativa: perdita efficienza dei meccanismi neuromuscolari, bioenergetici, ormonali ed enzimatici, della composizione e del reclutamento delle fibre muscolari. -quantitativa: perdita della massa muscolare Il picco di massa muscolare massimo tra i 30 e 40 anni, e con l’avanzare dell’età si andrà incontro alla sarcopenia, ovvero della perdita della massa muscolare, diminuisce il numero di fibre, soprattutto le fibre veloci (il calo di performance è maggiore negli sport anaerobici); inoltre diminuisce la capacità neuromuscolare di reclutamento e di sincronizzazione delle fibre muscolari. La perdita di massa muscolare viene sostituita da massa grassa (tessuto adiposo). La sarcopenia è causata da diversi fattori negativi come fattori ormonali, dallo stile di vita sedentario e da stati infiammatori, di malattie e gli infortuni. Mentre i fattori che rallentano il processo di sarcopenia sono: l’efficacia degli ormoni come insulina e ormone della crescita, un giusto apporto di proteine e vitamina D, infine con un’adeguata attività fisica. La sarcopenia quindi è la perdita fisiologica della massa muscolare e di forza dovuta all’invecchiamento, la fibra muscolare viene sostituita in gran parte da tessuto adiposo. Si perde all’incirca il 40-50% della massa muscolare dai 20 ai 90 anni. La massa muscolare e la forza vengono anche influenzate dallo stile adottato in età precoce, quindi è importante fare attività fisica precocemente e costantemente. L’attività fisica iniziata in età precoce e mantenuta costante con l’avanzare dell’età limita la perdita di massa muscolare, diminuendo il processo di sarcopenia. Le modifiche della fibra muscolare che possiamo osservare con l’invecchiamento sono: 25 -dimensione del volume delle fibre (atrofia) -numero delle fibre muscolari Atrofia: diminuzione del volume delle fibre, soprattutto di fibre veloci dovute all’invecchiamento, mentre le fibre di tipo 1 (lente) subiscono delle piccole modifiche. Anche il numero delle fibre diminuisce con l’invecchiamento, soprattutto il numero di fibre veloci diminuiscono molto dopo i 40 anni, mentre aumenta il numero di fibre lente che sostituiscono quelle veloci. Una diminuzione della massa muscolare si traduce anche in una riduzione della forza muscolare. La perdita di massa e la minore efficacia degli enzimi muscolari si traducono in un calo del picco di forza isocinetica, della massima velocità di estensione e del massimo sforzo isometrico che, ancora conservato a 45 anni, decresce del 25% a 65 anni, del 35% a 70 anni, mentre nelle decadi successive la perdita di forza risulta ancora più marcata ed accelerata. Questo si ripercuote soprattutto nella vita quotidiana. Anche per la forza muscolare in soggetti allenati la forza tende a mantenere le capacità stesse, mentre in soggetti non allenati cala drasticamente. La potenza (forza x velocità) con l’invecchiamento si riduce molto più della forza, questo perché mentre la forza è legata principalmente alla massa muscolare, la potenza è collegata non solo alla massa muscolare, ma anche al reclutamento delle fibre e alla velocità di reclutamento che sono fattori che si perdono più precocemente della massa muscolare. I fattori responsabili delle modifiche della massa e funzione muscolare collegate all’invecchiamento sono: -età collegati come: lo status ormonale, fattori neurali e status infiammatorio. -fattori comportamentali: atrofia da sedentarietà, introduzione proteico e calorico. Il metabolismo muscolare con l’invecchiamento porta ad una diminuzione dell’attività enzimatica ossidativa e dei valori del calcio che porta ad una minore efficienza della contrazione muscolare. Apparato cardiovascolare anche il cuore è formato dal muscolo, dal miocardio che è un muscolo specifico, quindi inevitabilmente andrà incontro a problemi di tessuto. Per quanto riguarda la struttura del cuore, possiamo osservare: -aumento dimensioni dell’atrio sinistro e dello spesso ventricolare sinistro, questo perché aumenta la pressione e aumenta la resistenza dei vasi al flusso sanguigno, quindi il cuore è costretto ad un sovraccarico per una corretta portata cardiaca, causando un’ipertrofia. -Diminuisce il numero di miociti (Cellule cardiache): si ha un aumento delle dimensioni di quelle che rimangano. -aumenta il tessuto adiposo 26 -produzione alterata di proteine contrattile e regolatrici sia quantitativamente sia qualitativamente -fibrosi dei tessuti di connessione causando problemi di aritmie (bradicardia) Per quanto riguarda la funzione del cuore: -diminuisce la distensibilità del ventricolo sinistro • ↑ contributo atriale riempimento VS • ↓ efficienza formazione e conduzione impulso • ↓ risposta agli stimoli β-adrenergici - ↓ contrattilità - ↓ frequenza cardiaca massima sotto sforzo • ↓ la gittata cardiaca massimale mentre gittata cardiaca a riposo rimane invariata Per quanto riguarda i grandi vasi aumentano la dimensione, si ha una dilatazione dei grandi vasi, mentre i piccoli vasi diminuiscono il lume (aumenta il rischio ischemico) e aumenta il tessuto spessore delle pareti. Inoltre aumenta i depositi di calcio nelle pareti e la loro rigidità, portando ad un aumento della resistenza periferica, sono meno efficaci i sensori di regolazione arteriosa. Questo porta ad un aumento della pressione sistolica (Arteriosa), maggiore possibilità di andare incontro a sincope ortostatica, e maggiore facilità ischemia d'organo. Apparato respiratorio Anche per quanto riguarda l’apparato respiratorio troviamo dei cambiamenti con l’invecchiamento, che influenzano la performance sportiva: aumenta la rigidità delle coste (alterazione cartilagine costali) che porta ad una diminuzione della funzione respiratoria, diminuiscono il numero di alveoli. Quindi per quanto riguarda la funzione dell’apparato respiratorio: diminuisce l’efficienza dei muscoli respiratori, diminuisce l’elasticità polmonare, aumenta il volume residuo (volume che non può essere mobilizzato con un atto respiratorio), efficienza scambi gassosi, diminuiscono i parametri rilevabili con la spirometria. Apparato osteoarticolare Vi è un progressivo impoverimento del contenuto di calcio e della matrice organica delle ossa con l’età, questo è una patologia chiamata osteoporosi. Comunque il confine tra normalità e patologia non è ben chiaro, ma è certo che la sedentarietà è uno dei principali fattori responsabili. Questa situazione di “osteoporosi” ha una maggiore incidenza e gravità nel sesso femminile soprattutto per i diversi profili ormonali ed ha una brusca accelerazione nel periodo della menopausa, a cui segue un periodo lento e prolungato: a 16 anni dalla menopausa si ha una perdita media del 20-25% della massa ossea. Tutto questo si traduce in un alto rischio di fratture anche per traumi banali che portano a prematura perdita dell’autosufficienza o addirittura a morte per le complicanze. Questo processo viene chiamato osteoporosi, che può essere limitato con un’attività costante accumulando riserve di calcio che può essere immagazzinato fino a circa 20 27 anni, dopodiché è fisiologico non poter più accumulare calcio e avviene il processo di osteoporosi. Quindi i cambiamenti strutturali sono: perdita massa trabecolare e corticale (alterazione qualitativamente e quantitativamente della matrice ossea causata anche dalla diminuzione della attività osteoblastica), diminuisce il contenuto di acqua nella cartilagine e l’elastina. Diminuisce la resistenza ossea e la capacità biomeccanica delle cartilagini e dei tendini, aumentando così il rischio di fratture. L’attività di forza incide nell’invecchiamento dell’apparato, quella più efficace è l’attività di forza in quanto l’osso deve essere stressato per essere stimolato, ma questo tipo di attività non è sempre facilmente eseguibile in persone con una certa età, per questo anche l’attività aerobica se effettuata costantemente e intenso porta a valori importanti. L’attività di forza induce, nelle donne anziane in post-menopausa, un incremento della densità ossea o, almeno, una diminuzione della velocità di perdita della massa ossea. Con minore efficacia anche l’allenamento aerobico, se sufficientemente intenso e frequente, porta a valori di densità ossea superiori rispetto alle donne sedentarie. In effetti si è evidenziato un effetto positivo per cicli di allenamento costanti (3/settimana) per almeno 12 mesi e per “passeggiate” veloci (80% della massima capacità aerobica) effettuate almeno tre volte la settimana per più di un anno. Nelle persone attive si ha un aumento della densità ossea. Flessibilità La flessibilità indica la capacità di muscoli, tendini e legamenti peri-articolari di sostenere le articolazioni e consentirne il movimento, maggiore sarà la funzione di questi elementi maggiore sarà la flessibilità. La diminuzione della flessibilità riduce il raggio di movimento articolare e si sviluppa in modo lento e progressivo sino ai 65 anni per poi peggiorare rapidamente in relazione al deterioramento della qualità del collagene peri-articolare, complicando la vita di tutti i giorni. Gli effetti dell’allenamento sulla flessibilità sono scarsamente documentati, anche se un regolare esercizio fisico, migliorando l’efficacia muscolare e tendinea, rallenta il degrado di tale funzione. Composizione corporea Con l’età si ha un riarrangiamento della composizione corporea, sino ai 50 anni di età si osserva generalmente un incremento ponderale, cui segue, a partire dalla settima decade un progressivo declino del peso corporeo con diminuzione della massa magra ed un aumento della percentuale di grasso corporeo che tende ad accumularsi selettivamente nelle regioni centrali del tronco e, in modo particolare, nel compartimento intra-addominale. 28 Questo tipo di distribuzione “centrale” si è dimostrata indice di previsione di numerosi dismetabolismi e patologie (intolleranza glucidica, iperinsulinismo, diabete, iperlipidemia, aterosclerosi, ipertensione, malattia coronarica). I motivi di questo quasi del tutto inevitabile aumento del grasso corporeo sono probabilmente: • desensibilizzazione recettori lipolitici del tessuto adiposo • minore secrezione ormonale (testosterone, GH, estrogeni) • aumento lipoproteinlipasi • minore capacità ossidativa dei tessuti per i grassi da limitata attività fisica. Prescrizioni attività fisica e invecchiamento conferenza Copenaghen 2019 Capacità funzionali e attività fisica Essere fisicamente attivi è un fattore chiave nel mantenimento della salute e nel normale funzionamento dei sistemi fisiologici lungo tutto l'arco della vita. Gli anziani fisicamente attivi, rispetto a quelli inattivi, mostrano benefici in termini di funzione fisica e cognitiva, capacità intrinseca, mobilità, diminuzione del dolore muscoloscheletrico, del rischio di cadute e fratture, depressione, qualità della vita e contenimento della disabilità, quindi hanno una riduzione del rischio di contrarre patologie e molti benefici psichici e fisici. L'inattività fisica negli anziani è associata ad un più alto rischio verso la malattia e ad un aumentato rischio di mortalità prematura per tutte le cause. Le condizioni e le malattie (e i loro principali fattori di rischio) includono disfunzione metabolica, malattie cardiovascolari, alcuni tipi di cancro e sarcopenia, ciò si traduce in un aumento degli anni di cattiva salute. Negli anziani che non sono stati precedentemente attivi, ovvero che dopo una certa età incominciano a fare attività fisica, l'evidenza mostra che l’efficienza di più sistemi fisiologici può essere migliorata aumentando l'attività fisica ed intraprendendo programmi di allenamento fisico (con effetto minore a chi ha sempre fatto attività fisica). Inoltre, l'esercizio fisico può essere utilizzato per migliorare la capacità funzionale, come trattamento aggiuntivo per molte malattie e per la riabilitazione. Rispetto agli anziani inattivi, gli anziani fisicamente attivi per tutta la vita hanno livelli più elevati di «fitness» fisiologico, ciò include il sistema metabolico, scheletrico, cardiovascolare e immunitario. Prove emergenti suggeriscono che i benefici per gli anziani (ad esempio, una migliore funzione fisica e una ridotta mortalità prematura) possono essere realizzati con un volume e intensità inferiore rispetto alle linee guida (150 minuti di attività fisica da moderata a vigorosa a settimana). Naturalmente più si fa attività fisica nel corso della settimana (raggiungendo almeno 150 minuti a settimana), più si hanno dei miglioramenti della salute. L'eterogeneità tra le persone anziane significa che è probabile che siano necessarie strategie personalizzate per l'attività fisica e/o l'esercizio fisico per ottenere i massimi benefici fisiologici, la prescrizione dell’attività fisica deve essere quindi personalizzata, seguendo anche le linee guida. 29 Non è del tutto chiaro se le persone anziane precedentemente inattive che intraprendono programmi di attività/esercizio fisico saranno in grado di raggiungere e mantenere a lungo adeguati livelli di capacità fisica rispetto a quelli già allenati. Nell’evidenza di una eterogeneità della popolazione adulta più anziana, sono necessarie ulteriori ricerche per determinare l'esatta modalità di esercizio, ad esempio di resistenza, equilibrio, flessibilità, aerobico o di una combinazione di varie modalità, e quali durate a intensità dell'esercizio debba essere richiesta per ottenere benefici ottimali. Motivazione, abitudini e modifiche del comportamento L'autoefficacia, la motivazione, la depressione, la salute oggettiva e riferita sono costantemente associate all'attività fisica negli anziani. Gli interventi di cambiamento delle abitudini rispetto all'attività fisica negli adulti più anziani hanno come risultato un modesto aumento del comportamento motorio a breve termine (fino a 6 mesi), non è difficile iniziare un corretto comportamento dello stile di vita, ma è più difficile mantenere a lungo questo corretto stile di vita, quindi sono necessari dei rinforzi positivi frequenti ed efficaci. La sostenibilità a lungo termine di questi cambiamenti nella pratica dell’attività fisica deve ancora essere stabilita. Negli adulti più anziani gli interventi che si basano su una teoria consolidata e strutturata del cambiamento dei comportamenti producono effetti più coerenti. Nessuna teoria del cambiamento di comportamento si comunque dimostrata più efficace delle altre nel promuovere l'attività fisica negli anziani. Negli anziani gli interventi che combinano sia tecniche di cambiamento comportamentale che cognitivo sono più efficaci degli interventi che ne utilizzano solo uno. Prove emergenti suggeriscono che le emozioni e le abitudini sono anche importanti correlazioni per promuovere la regolare attività fisica negli adulti più anziani. La ricerca futura deve esaminare come utilizzare questi fattori nella promozione dell'attività fisica. L'efficacia degli interventi di modifica del comportamento dell'attività fisica negli adulti più anziani dipende dalle modalità di esecuzione, impostazione e background professionale della persona che effettua l'intervento. La pratica dell'attività fisica è un comportamento individuale che è influenzato da fattori interpersonali, ambientali e sociali. Prospettive sociologiche Le disuguaglianze sociali e strutturali influenzano i livelli di attività fisica tra gli adulti più anziani (situazione economica, sociale, culturale). Quando l'attività fisica è considerata un valore, è più probabile che gli adulti più anziani continuino a praticarla (attività di gruppo). Gli anziani possono rimanere o diventare attivi laddove vi siano caratteristiche ambientali fisiche, sociali e culturali di supporto. 30 Quartieri sicuri, percorribili ed esteticamente gradevoli possono maggiormente offrire agli anziani l'opportunità di partecipare alle occasioni di pratica dell'attività fisica. Quando l'attività fisica è significativa per loro, è più probabile che gli adulti più anziani continuino a partecipare. Salute mentale e funzione cognitiva L'attività fisica ha dimostrato benefici per la salute cognitiva e cerebrale negli anziani, ma anche nelle altre fasce di età, migliorando le capacità di apprendimento. Gli studi osservazionali forniscono prove che il declino cognitivo e la neuro-degenerazione (osservati anche ad esempio nella malattia di Alzheimer e Parkinson) possono essere rallentati o ritardati negli adulti fisicamente attivi. L'attività fisica di intensità moderata per gli adulti più anziani (ad esempio, della durata di 10 minuti) porta a benefici a breve termine per le prestazioni cognitive e le risposte cerebrali funzionali. Dagli studi randomizzati con adulti più anziani che in genere coinvolgono circa 3 ore di allenamento/attività fisica a settimana per periodi che vanno da pochi mesi a un anno, emergono prove crescenti di miglioramenti nella struttura e nella funzione cognitive e percettive del cervello e delle capacità motorie. Gli studi randomizzati di controllo sugli animali più vecchi, hanno chiarito i meccanismi molecolari e cellulari del cervello alla base dei benefici dell'attività fisica: questi coinvolgono la plasticità cerebrale funzionale e strutturale. Gli interventi con gli adulti più anziani si basano più frequentemente su attività di tipo aerobico, quindi sono necessarie ulteriori prove su altri tipi di attività fisica tra cui allenamento di resistenza, equilibrio, controllo posturale, giochi attivi e una combinazione di questi. Gli studi hanno dimostrato come l’attività fisica limita il declino della capacità cognitive, soprattutto con un’attività fisica aerobica. Insieme ad una dieta salutare, l’attività aerobica aumenta le capacità funzionali (come anche la memoria) e diminuisce il rischio di contrarre patologie neurologiche (demenza). Allenamento di forza Alcune linee guida forniscono prove a sostegno delle raccomandazioni per un allenamento di forza di successo negli anziani: variabili di progettazione del programma, adattamenti fisiologici, benefici funzionali, considerazioni su fragilità, sarcopenia e altre condizioni croniche. L'obiettivo di queste linee guida è di: a) favorire un approccio più unificato e olistico all'allenamento di forza negli anziani, b) promuovere i benefici funzionali e per la salute dell'allenamento di forza negli anziani, c) prevenire o minimizzare le paure e altre barriere all'attuazione di programmi di allenamento di forza negli anziani. È molto più comune prescrivere attività fisica aerobica per soggetti anziani, mentre è meno frequente e più difficile prescrivere un allenamento di forza a soggetti anziani. 31 Quando si va a proporre un esercizio di forza devo essere considerate tutte le variabili: stato di fitness, la presenza di morbilità o comorbilità (fragilità, osteoporosi, diabete, limitazioni articolari). Le indicazioni per la prescrizione fisico negli anziani (acsm) Lezione 6 All'inizio l'intensità e la durata dell'attività fisica dovrebbero essere leggere (RPE 9-11 Borg 6– 20), in particolare per gli anziani che sono completamente sedentari, funzionalmente limitati o con condizioni croniche che influiscano sulla loro capacità di svolgere attività fisiche. Questa bassa intensità può essere portata avanti per 6 mesi fino a quando è in grado di allenarsi in sicurezza per 30 minuti per sessione. La progressione del training dovrebbe essere personalizzata e adattata a capacità e tolleranza e preferenza; per tutti è raccomandato un approccio conservativo negli anziani che sono decondizionati e fisicamente limitati per ridurre il rischio di eventi avversi. L'esercizio dovrebbe essere interrotto immediatamente con controllo medico in caso di comparsa di questi segni/sintomi: vertigini, dolore toracico, dispnea prima dello sforzo, dispnea da sforzo inspiegabile (mancanza di respiro non coerente con l'intensità di esercizio relativa), emorragia retinica, insorgenza di edema degli arti inferiori, risposta vasovagale, pre-esercizio o durante, valori glicemici in esercizio 220 mm Hg, PA diastolica> 105 mm Hg. Le sessioni iniziali di allenamento alla forza devono essere supervisionate e monitorate da parte di personale esperto nell'istruire all’uso di pesi liberi o macchine per ottimizzare i risultati e minimizzare gli eventi avversi. Oltre all'allenamento alla forza, i più anziani possono trarre particolare beneficio dall'allenamento di potenza perché questa diminuisce più rapidamente con l'invecchiamento ed una insufficiente potenza muscolare è stata associata ad un maggior rischio di cadute accidentali. 32 L’aumento di potenza muscolare negli anziani sani dovrebbe essere ricercato includendo esercizi che coinvolgano si una che più articolazioni, composti da una a tre serie usando un carico da leggero a moderato (30% –60% di 1-RM) per 6-10 ripetizioni ad alta velocità. La programmazione degli esercizi deve essere basata sulla forza attuale, equilibrio, esperienza nell'allenamento di forza e potenziale rischio di infortuni. In individui con sarcopenia, indicatore di fragilità, o in quelli che sono stati in precedenza completamente sedentari, è necessario aumentare la forza muscolare prima di poter essere in grado di impegnarsi in un allenamento aerobico. Se le condizioni croniche impediscono di raggiungere il minimo di attività raccomandata, gli anziani dovrebbero comunque svolgere attività fisiche al massimo livello tollerato per evitare di essere sedentari. Gli anziani dovrebbero superare gradualmente le indicazioni minime raccomandate di livello di attività fisica se desiderano migliorare e/o mantenere la propria forma fisica. Gli anziani dovrebbero considerare di superare il minimo raccomandato di quantità di attività fisica per migliorare la gestione delle malattie croniche e le proprie condizioni di salute, per le quali la pratica di un livello superiore (se tollerato) di attività fisica è riconosciuta valida per un ulteriore beneficio terapeutico. Le sessioni di attività fisica strutturata dovrebbero terminare con un appropriato periodo di recupero, in particolare nei soggetti con patologie cardiovascolari. Il «raffreddamento» dovrebbe includere una graduale riduzione dell'intensità dello sforzo attraverso esercizi dinamici. Una distinzione importante dovrebbe essere fatta tra gli anziani e i corrispettivi più giovani in relazione all'intensità dell’esercizio prescritto. Per adulti apparentemente sani, le attività fisiche sono definite rispetto agli equivalenti metabolici (MET) di intensità moderata con intervallo 3–5,9 MET e di intensità vigorosa ≥6 MET. Al contrario, per gli anziani, le attività dovrebbero essere definite in relazione alla sua forma fisica all'interno del contesto di una scala RPE da 6 a 20 punti con 6 che indica nessuno sforzo e 20 che indicano uno sforzo massimo. Un'attività fisica di intensità moderata dovrebbe produrre un notevole aumento della frequenza cardiaca e della ventilazione, mentre l'attività fisica intensa ne dovrebbe causare un forte aumento. Una relazione dose-risposta per il fitness cardiorespiratorio è stata dimostrata negli anziani sedentari. Il massimo miglioramento del VO2 max si raggiunge con un'intensità compresa tra il 66% e il 73% della frequenza cardiaca massimale. Intensità di esercizio più elevate (75%-80% FCmax) non aumentavano il VO2 max in maniera tale da giustificarne la difficoltà e i potenziali rischi. Circa quattro persone su cinque di quelli di età compresa tra 57 e 85 anni assume regolarmente almeno un farmaco e poco meno di una su tre assume cinque o più farmaci contemporaneamente. Tra i 65 e 74 anni i farmaci soggetti più usati sono diuretici, statine, β-bloccanti e inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina (ACE). I farmaci di prescrizione medica ed anche quelli «da banco» possono alterare 33 la risposta fisiologica all'esercizio fisico e richiedono conoscenze approfondite di farmacocinetica, farmacodinamica e potenziale capacità del farmaco a provocare reazioni avverse associate all'esercizio fisico. Il dolore è un meccanismo endogeno sensoriale protettivo che, se presente, richiede che l'azione che lo ha causato sia interrotta o modificata al fine di evitare una significativa risposta infiammatoria che può poi impedire la prosecuzione del programma di allenamento. È indicato monitorare il programma di allenamento aerobico e di forza per ridurre l'incidenza di lesioni muscoloscheletriche. Gli anziani possono ottenere miglioramenti dello stato di salute con un aumento dei livelli di attività fisica indipendentemente dai miglioramenti della forma aerobica. Molte attività della vita quotidiana non richiedono una grande capacità aerobica, ma dipendono da altri componenti della forma fisica, come la forza muscolare e la flessibilità. Come professionisti dell'esercizio fisico, dobbiamo concentrare l'attenzione sulla capacità funzionale, non sulle prestazioni dell’anziano: cioè, invece del solito invito a "fare una passeggiata per rimanere attivi” (che rimane comunque sempre valido), va posta una maggiore enfasi sulla forza funzionale e sulla mobilità che può essere altrettanto o più vantaggiosa per la qualità della vita di un individuo. La prescrizione degli esercizi per gli anziani dovrebbe essere orientata verso la funzione, non sulle prestazioni, tenendo in considerazione principalmente gli esercizi a catena cinetica aperti e chiusi. Uno degli indicatori legati all’invecchiamento è il comportamento dei telomeri (parte distale dei cromosomi), che con l’invecchiamento tendono a ridursi (riducono basi nucleotidiche) causando l’accorciamento dei cromosomi. Uno corretto stile di vita, che consideri anche una buona attività fisica, tenderà a diminuire questo processo di accorciamento dei cromosomi. ACCRESCIMENTO E ATTIVITA’ FISICA SPORTIVA L’attività fisica può influire sull’accrescimento fisico? Mentre per l’adulto per i vari parametri possiamo parlare di parametri medi, per i soggetti in età evolutiva non esistono parametri medi perché variano con l’età. Per un qualsiasi valore biologico e nello specifico per i parametri auxologici, grazie ad ampi studi su un elevato numero di soggetti in buona salute, si sono stabiliti, per ciascuna fascia di età, gli standard di riferimento della popolazione normale. Non si tratta di riferimenti rigidi e limitativi dal momento che esiste una variabilità individuale elevata, ma la elaborazione statistica dei dati fornisce un ampio intervallo all'interno del quale vi è una elevata probabilità di riscontrare un valore “normale” di quel parametro. Al contrario, un valore al di sopra o al di sotto dei limiti del range di normalità avrà una elevata probabilità di essere patologico, in eccesso o in difetto. Quindi il parametro deve essere elaborato in maniera statistica ed elaborato con i parametri riscontrati in quella fascia di età, ottenuti con lo studio della popolazione. 34 Per considerare i valori biologici dei bambini si utilizzano i percentili relativi a ciascun parametro che ne riportano la distribuzione all'interno della popolazione, ad esempio per la statura o altri parametri, andando a confrontare i parametri con gli altri parametri riscontrati nella stessa fascia di età. Vengono espressi su base di 100 soggetti, andando a collocare il parametro preso in considerazione confrontandolo con altre 100 soggetti della stessa fascia di età. I percentili sono valori da 0 a 100 prendendo in considerazione la popolazione, ad esempio un bambino con statura di 40 percentile, significa che su 100 coetanei virtuali ne avrà 40 più basse e 60 più alte. Con valori tra il 25 e 75 percentile si parla di normalità; con valori da 3°-10° e 90°-97° si avrà sospetto di patologie, mentre con valori al di sotto di 3 o al di sopra di 97 indicano un sospetto di alterazione, ad esempio con disturbi di accrescimento o ad una pubertà precoce, non vi è la certezza ma una situazione di alta probabilità. Con i percentili si vanno a collocare i bambini su un gruppo di 100 coetanei virtuali, con lo studio del grafico dei percentili si potrebbe vedere la crescita probabile del bambino, con le curve di accrescimento. L’incremento staturale annuo è massimo nel primo anno di crescita, poi tende a diminuire negli anni fino a che si raggiunge di nuovo un’età con un decollo nella statura (nelle femmine intorno ai 10 anni, nei maschi verso i 12) fino a raggiungere il picco di velocità di accrescimento staturale (12 anni femmine e 14 anni maschi), per poi diminuire nuovamente fino a valori molto vicini allo zero. Mediamente la statura adulta si raggiunge a 16 anni nelle ragazze e 18 per i ragazzi. Per il percentile si prende in considerazione un gruppo di coetanei per età anagrafica. Il limite è che l’età anagrafica è solo un dato, infatti non tutti i soggetti maturano con la stessa velocità. Molto più reale è l’età biologica (reale età in cui si trova l’accrescimento) che si può misurare con l’età ossea, che è più omogenea per tutti. L'età ossea (EO) è la valutazione del grado di sviluppo del sistema scheletrico: i soggetti adulti, pur presentando molte differenze dal punto di vista morfologico, hanno tutti quanti lo stesso livello di maturazione dell'osso (cosa che non può dirsi della statura, del peso e di molte altre variabili). Quindi l’età ossea indica lo stato di maturazione delle ossa, che non prende in considerazione variabili come peso, statura, composizione corporea, per questo in soggetti adulti questo stato di maturazione osseo è uguale per tutti. Per misurare l’età ossea si va a prendere in considerazione le ossa della mano, esaminando la situazione di sviluppo di queste ossa possiamo risalire all’età biologica, in base allo stato di maturazione delle ossa. Alla nascita le strutture scheletriche sono prevalentemente costituite da tessuto cartilagineo, successivamente, e in tempi diversi per ciascun segmento scheletrico, compaiono, in ciascun osso, uno o più nuclei di ossificazione. 35 Questi nuclei di ossificazione via via si ingrandiscono sino a sostituire completamente il tessuto cartilagineo, conferendo all'osso in questione il tipico aspetto dell'osso adulto. Questo processo nelle varie ossa delle mani si verifica con tempi differenti, quindi analizzando le ossa delle mani possiamo individuare l’età biologica del soggetto. Si comprende quindi la sua importanza in auxologia in quanto consente di valutare con buona approssimazione, da sola prima e con l'ausilio del grado di sviluppo dei caratteri sessuali poi, il grado di maturazione biologica dell'individuo. L'età ossea di un soggetto corrisponde all'età cronologica che quel soggetto avrebbe avuto se il suo grado di maturazione scheletrica fosse stato nella media. Quindi se un bambino ha un'EO corrispondente a quella cronologica la sua maturazione scheletrica è nella norma, se al contrario l'EO è inferiore o superiore a quella cronologica avrà un grado di maturazione scheletrica rispettivamente in ritardo o in anticipo L’uso dell’età ossea è molto più importante per utilizzare i percentili, andando a considerare i suoi coetanei biologici (in base all’età ossea). Andando a prendere in considerazione i percentili bisogna prendere i coetanei biologici, e non i coetanei virtuali dati dall’età anagrafica, in quanto potrebbe falsare il risultato. Disturbi dell’accrescimento I disturbi dell’accrescimento, che poi possono portare interazione con l’attività fisica sono: -ritardo o anticipo della crescita: iposomia (bassa statura), ritardo menarca o pubertà precoce. -collegati allo stato nutrizionale: obesità o magrezza, che possono portare a patologie come bulimia o anoressia. -disturbi dell’apparato muscolo scheletrico: paramorfismi e osteocondrosi giovanile. La previsione della statura adulta è possibile prendendo in considerazione vari parametri come il patrimonio genetico (statura dei genitori). La previsione della statura adulta si può effettuare con il metodo Tanner: si prende la statura del padre + la statura della madre si aggiunge 13 se il figlio è maschio o si toglie 13 se è femmina, il tutto diviso 2. Si ottiene un dato abbastanza attendibile con un range di 5cm, può essere più corretta conoscendo la statura anche dei nonni. 36 Un altro esempio per prevedere la statura adulta nelle femmine è quello di prendere la statura immediatamente post menarca e di aggiungere 6cm, ma non sono dati del tutto attendibili. Cause di iposomia (bassa statura): -varianti normali: ritardo puberale; età biologica < età anagrafica -carenza GH (ormone della crescita) e gonadotropine (lh e fsh) -sindrome genetiche: turner, klinefelter ecc.. -patologie croniche: diabete, morbo di crhon, morbo celiaco, malnutrizione e anoressia ecc… Attività fisica e caratteristiche fisiche Nello sport si ha una vera e propria selezione darwiniana nel senso che la condizione di partenza per eccellere in uno sport è la predisposizione genetica (caratteristiche fisiche). Non è lo sport che fa crescere come ad esempio nel basket, ma l’altezza è un fattore determinante per eccellere nel basket ed è più probabile che le squadre siano composte da giocatori alti, la composizione delle squadre d’elitè ha una statura superiore alla media, in quanto una statura alta dà un maggiore vantaggio rispetto a quelli di bassa statura. Alcuni studi hanno dimostrato che giovani atleti sottoposti ad intensi e frequenti carichi di allenamenti hanno mostrato un rallentamento nella crescita nel periodo peri-puberale, in situazioni di sport d’elite con alta intensità, alta frequenza e alto volume di allenamento. Una prova indiretta deriva dal fatto che quando l’atleta smette di praticare questo sport, in età ancora evolutiva avrà un accrescimento veloce per recuperare (recupero della crescita). Numerosi studi scientifici suggeriscono una relazione causa-effetto tra disturbi della crescita e intensi carichi di allenamento, soprattutto nelle atlete. È stato notato che nelle atlete la comparsa del menarca compare ad un’età più avanzata rispetto alle non atlete, gli studi suggeriscono che l’associazione tra questo ritardo ed allenamento non sia casuale. Altri studi hanno evidenziato una significativa correlazione tra ritardo menarcale in ginnaste, ballerine e pattinatrici artistiche dovuta, in parte, a intenso allenamento 37 fisico, basso peso o percentuale di massa grassa corporea, insufficiente apporto calorico-nutrizionale e “stress” psico-fisico. In sport dove la caratteristica fisica è estremizzata come la ginnastica artistica dove la bassa statura e basso peso corporeo portano dei vantaggi significativi, portando quindi anche ad atteggiamenti alimentari esasperati con insufficiente apporto calorico e nutrizionale. Questi fattori sono tra i più importanti fattori a causare ritardi nella maturazione e nello sviluppo di queste atlete, con un ritardo del primo menarca o addirittura la scomparsa. In conclusione non ci sono dati sicuri che un allenamento molto intenso possa avere effetti negativi sulla crescita, sul processo di maturazione, la crescita ossea e la qualità del processo di maturazione, ma essendo un’età molto sensibile questa età dello sviluppo è molto importante una corretta programmazione del lavoro sportivo. Per quanto riguarda l’età fisica e sportiva da sottoporre ai bambini bisogna prendere in considerazione la quantità e la qualità dell’attività, non esiste un limite della quantità dell’allenamento che un bambino deve effettuare, ma molto importante è la qualità dell’allenamento, fondamentale per definire anche la quantità dell’allenamento. Una specializzazione precoce può portare a dei rischi come: -trasformazione e specializzazione degli organi e apparati più utilizzati -facilità di traumi all’apparato locomotore che presenta dei squilibri dei vari settori del corpo. -in discipline asimmetriche possono sorgere degli atteggiamenti viziati che portano a squilibri posturali. -perdita di interesse del bambino causata dalla ripetitività delle esercitazioni, che porta all’abbandono precoce Alterazioni muscolo-scheletriche Le principali alterazioni dell’apparato muscolo-scheletrico che possono derivare dalla specializzazione precoce o dalla sedentarietà sono: -scoliosi: deviazione in senso laterale e rotatorio della colonna. -cifosi: aumento della curvatura dorsale fisiologica della colonna. -lordosi: aumento della curva lombare fisiologica della colonna. -dorso piatto: diminuzione delle curve lordotica e cifotica fisiologiche. -scapole alate: abnorme sporgenza del margine vertebrale delle scapole. -ginocchio valgo / varo: deviazione verso l’esterno/interno dell’asse verticale della gamba. -ginocchio ricurvato: iperestensione del ginocchio oltre i 180°. -piede piatto: appiattimento della concavità mediale della pianta del piede. -piede valgo / varo: posizione viziata del piede in pronazione / supinazione. 38 Sono alterazioni del muscolo scheletrico dovute a due situazioni opposte, da un’ipotonia muscolare causata dalla sedentarietà o da un’intensità elevata con tipologia di allenamento scorretta. Una dei gruppi di patologie più comuni che colpiscono i giovani atleti sono: -osteocondrosi: gruppo di patologie a carico dei nuclei di ossificazione, colpisce durante la fase di accrescimento in quanto questi gruppi di ossificazioni sono sottoposti ad un elevato stress meccanico e metabolico dovuto ad un’intensità importante dell’allenamento porta ad un’infiammazione di questi nuclei che portano ad un mancato arrivo di nutrizione al nucleo che porta alla necrosi causando deformazione. Questa patologia ha decorso lento, benigno con regressione della necrosi, riparazione e definitiva ossificazione (con o senza alterazioni anatomiche). Questi nuclei di ossificazione sono quelli che garantiscono alla crescita dell’osso e quindi alla crescita staturale. Sono coinvolte soprattutto le ossa brevi in accrescimento, nuclei epifisari e nuclei apofisari. Tra le più importanti sono: -epifisi prossimale del femore: morbo di perthes •apofisi tibiale anteriore: m. di osgood-schlatter •apofisi posteriore del calcagno: morbo di haglund •scafoide tarsale: morbo di kohler 1 •epifisi del 2 metatarsale: morbo di kohler 2 •semilunare: morbo di kienbock •corpo vertebrale: morbo di scheuermann Morbo di osgood schlatter (ginocchio) Il morbo di Osgood Schlatter colpisce l’apofisi tibiale anteriore, molto comune nei maschi tra i 10 e 13 anni, i dolori esacerbati dallo sport, è caratterizzato da bilateralità degli arti dove si ha una tuberosità sporgente causando dolore alla pressione e dolore all’estensione forzata. Il trattamento è l’interruzione momentanea della pratica sportiva, nei casi più gravi (rari) è necessario l’utilizzo di un gesso per 4-6 settimane, in quanto la guarigione è più rapida con l’immobilizzazione. Bisogna proibire gli sport violenti per 3-4 mesi, così come i salti ed i tiri, è necessario contro-indicare formalmente le infiltrazioni locali di corticosteroidi Sono indicati allungamenti sotto pelvici, importante è sorvegliare regolarmente questi bambini fino alla guarigione. Morbo di sever (calcagno) 39 Il morbo di Sever colpisce i bambini tra i 8-13 anni, soprattutto calciatori maschi, con l’evoluzione di circa 2 anni, causando dolore al calcagno, si ha un distaccamento dell’apofisi del calcagno, può portare alla frattura. Sovraccarico Tutte queste situazioni sono mediate dal sovraccarico funzionale, ovvero la ripetizione esasperata e continua nel tempo di alcuni gesti sportivi può comportare la comparsa di una specifica patologia definita appunto da "sovraccarico funzionale" o da "microtraumatismo" per sottolineare la patogenesi dovuta al sommarsi di una serie pressoché infinita di traumi di minima entità. Possono essere interessate quasi tutte le varie strutture dell'apparato locomotore, ma quelle più frequentemente colpite sono quelle tendinee soprattutto nel loro punto di collegamento con il tessuto osseo, delle cartilagini articolari e dell'osso, in quanto l’inserzione tendinea nell’osso è un punto molto fragile. Un'altra caratteristica tipica è che la maggior parte dei quadri patologici, derivando appunto dalla ripetizione di un gesto specifico, hanno sedi e manifestazioni tipiche per ogni sport (gomito del tennista, spalla del lanciatore, ecc.) Nel soggetto in età evolutiva sono frequentemente causate da una muscolatura che, per allenamenti intensi e prolungati, può già raggiungere una potenza relativamente elevata che agisce su strutture articolari e tendinee che ancora non hanno un sufficiente grado di maturazione e quindi di resistenza. Questo perché la muscolatura ha tempo di maturazione molto più breve delle strutture articolari e tendinee che hanno tempo di maturazione più alta. Queste patologie da sovraccarico sono classificate (in base alle strutture interessate): -tendinopatie: peritendiniti, tendinosi, tensinoviti ipertrofiche, tendinopatie inserzionali e rotture sottocutanee -patologia cartilaginea: erosione cartilagini articolari -patologia ossea: fratture da "stress Queste situazioni patologiche avvengono in presenza di 2 cause efficaci correlate al gesto tecnico dell’esercizio svolto: -intensità: pur essendo un microtrauma il carico atletico deve essere sufficientemente intenso per innescare il fenomeno infiammatorio locale. -frequenza: dal momento che si tratta di un meccanismo di sommazione di microtraumi, il gesto atletico che li causa deve essere ripetuto numerose volte sia all’interno della singola seduta di allenamento che nel ciclo dei vari allenamenti. La concomitanza di questi due fattori fanno sì che si abbia una situazione da sovraccarico funzionale, con intensità e frequenza elevata. Una delle cause collegata all’insorgenza di patologie in soggetti sportivi in età evolutiva è la specializzazione precoce. Uno studio sulla precocità dell’attività fisica nel 1997 nel nuoto il 92% di quelli che vincono nelle categorie giovanili non consegue poi risultati da adulto ad esempio a campionati assoluti o addirittura smette prima. 40 Questo può essere spiegato con 2 motivazioni: la prima è l’abbandono precoce della pratica sportiva dovuto alla precocità agonistica, il secondo motivo è il blocco prestativo, non riesce più ad essere competitivo. Le cause di abbandono precoce possono essere diverse: -modificazioni morfologiche sfavorevoli: non più compatibili per quello sport. -cattivo allenamento: -cause psicologiche: -cause esterne: Modificazioni morfologiche sfavorevoli Le modificazioni morfologiche sfavorevoli possono essere: -precocità maturativa: maturano precocemente, sono più avanti con lo sviluppo dei pari categoria, quando il loro sviluppo diminuisce e gli altri sviluppano, diminuiscono le vittorie e possono causare abbandono precoce, questo non varrebbe sempre perché anche i precoci potrebbero comunque emergere se non venga trascurata la formazione coordinativa che non è più recuperabile. -trasformazioni adolescenziali: perdita di capacità funzionale, diminuendo la competitività, si perde ad esempio la destrezza quando si diventa adolescenti. -parametri antropometrici sfavorevoli: esempio non abbastanza alto. Cattivo allenamento il cattivo allenamento può essere causato da: -specializzazione precoce: problemi causati da successo precoce, lavoro eccessivo che causa lo stress da allenamento, psicologici e fisici; un lavoro eccessivo causa anche problemi di tecnica. -carico di lavoro eccessivo: non adeguato alle caratteristiche biologiche dell’individuo. -competizioni inadeguate: eccesso di selettività, non adatte per quell’età. -eccesso dell’importanza della quantità rispetto alla qualità di allenamento: il troppo non vuol dire fare bene l’allenamento. Aspetti psicologici Gli aspetti psicologici sono: -mancanza di successo -mancanza di gioco e divertimento -lavoro e sacrificio al posto di sfida e piacere -pressioni ed aspettative eccessive, soprattutto dei genitori, o anche dei tecnici. -frustrazioni: cambi di categoria, dove la competitività aumenta. Cause esterne: -occasionali: cambi di residenza. -problemi scolastici: “allora non fai sport”, sport vietato per punizione. -problemi di salute -problemi logistici -tentazioni ambientali ed affettive: altri interessi. 41 Rimedi all’abbandono precoce I rimedi all’abbandono precoce possono essere: -cultura dello sport da bambini: non sono adulti-atleti piccoli. -multilateralità degli allenamenti -ritardo specializzazione -impostazione pluriennale dell’attività sportiva In pratica bisogna formare una base multilaterale, ampia gamma di esperienze motorie, progressività dei carichi, recuperi ampi e adeguati carichi di forza rapida, impostazione ludica con frequenti rinforzi positivi, ampia gamma di esercizi di coordinazione. La carta dei diritti dei bambini nello sport Venne emanata una carta dei diritti del bambino nello sport, dove si afferma che i bambini hanno diritto di: -fare sport -divertirsi e giocare: fase ludica -beneficiare di un ambiente sano: strutture adeguate. -essere trattato con dignità -essere accompagnato ed allenato da persone competenti -misurarsi con giovani di pari forza -partecipare a competizioni adatte -praticare sport in sicurezza -disporre del sufficiente tempo di riposo -non essere un campione: non deve essere per forza un campione in quello sport In conclusione sarebbe da ricordare ai genitori soprattutto, ai tecnici e ai bambini stessi che il risultato negli sport giovanili non deve essere ricercato. TERMOREGOLAZIONE, IDRATAZIONE E ATTIVITA’ FISICA SPORTIVA Temperatura corporea La temperatura corporea dipende dall’intensità dello sforzo che è proporzionale alla produzione di calore, oltre 3/4 di energia chimica viene persa sotto forma di calore, quindi effettuare attività fisica comporta una grande produzione di calore. Ogni litro di ossigeno consumato si perdono 4-5 calorie, quindi a riposo c’è una spesa di circa 1,2-1,8 calorie al minuto in quanto a riposo si consumano 1 litro di O al minuto circa. Durante un lavoro sportivo c’è una spesa di circa 18-22 calorie al minuto, in base all’intensità e ai livelli di ossigeno consumato. Quindi durante un lavoro sportivo con 20 calorie al minuto, si dovrebbe aumentare di 1° ogni 5-7 minuti, questo con un’attività costante che si prolunga nel tempo potrebbe portare ad un aumento pericoloso della temperatura corporea. È molto importante avere dei meccanismi di termoregolazione per mantenere una temperatura corporea adeguata, infatti fino a circa 37/38° la termoregolazione 42 funziona correttamente, mentre a temperature più elevate questi meccanismi vengono a mancare. I metodi di termoregolazione utilizzati dal corpo sono diversi: -evaporazione del sudore (sudorazione): non è sufficiente sudare, ma bisogna che il sudore evapori, durante l’esercizio fisico la maggior parte di calore viene disperso con l’evaporazione di sudore. Questo meccanismo potrebbe essere ostacolato in ambienti con alto grado di umidità. -conduzione: con il passaggio di colore con contatto diretto tra due corpi a temperatura diversa, poco efficace nell’attività sportiva -convenzione: passaggio di calore fra un corpo e un fluido in movimento intorno al corpo (vento o acqua), dispersione del calore che avviene soprattutto in sport acquatici o in ambienti esterni. -irraggiamento: perdita di calore sotto forma di onde elettromagnetiche, non molto efficace nell’attività sportiva, tanto che si può anche acquistare calore con questo metodo. Il calore corporeo, la cessione di calore dipende da: -gradiente termico tessuti/sangue: il sangue aiuta la termodispersione, portando il sangue da dove si produce calore (muscoli) a tessuti dove il calore si disperde (cute), la differenza tra queste due temperature maggiore è il gradiente maggiore sarà la dispersione. -irrorazione sanguigna dei tessuti: maggiore sarà la portata di sangue ai tessuti, maggiore sarà la dispersione di calore (Aumenta il gradiente) -gradiente termico sangue-cute: portando il sangue caldo vicino alla superficie corporea questo potrà essere raffreddato per perdere calore. Raffreddamento corporeo: ogni 1 ml di sudore si perde circa 0,6 calorie, il tasso massimo di produzione di sudore è di 30 ml al minuto quindi circa 18 calorie al minuto, quindi circa 2l di sudore all’ora. La massima produzione di calore al massimo sforzo può essere di 22 calorie al minuto in condizioni di massimo sforzo. Quindi solo l’80% del calore può essere disperso, causando inevitabilmente un aumento della temperatura corporea (calore corporeo). Il carico complessivo provocato dal calore dipende da: -intensità dello sforzo -possibilità di evaporazione (azione del clima, abbigliamento): con clima ventilato si può avere maggiore raffreddamento. -condizioni ambientali (temperatura, clima). 43 La portata cardiaca: in condizioni di riposo il volume di sangue che viene pompato dal cuore ai vari tessuti è di circa 5 l, mentre durante l’attività sportiva la portata cardiaca è di circa 25-30l al minuto. Si ha anche una redistribuzione della portata cardiaca, durante l’attività sportiva l’80% del sangue arriva al muscolo (Dal 20% a riposo), sia per portare ossigeno ai substrati energetici, rimuovendo acido lattico e co2, anche il sangue che arriva alla pelle aumenta per favorire la termo dispersione (eliminare il calore) per poter continuare l’attività fisica. Raffreddamento corporeo Eliminazione del calore corporeo in eccesso dipende da: -dalla superficie corporea: maggiore è la superficie corporea che partecipa agli scambi termici con l’ambiente, maggiore sarà la dispersione del calore. -stato di idratazione: con la giusta idratazione viene favorita la termoregolazione. -allenamento e acclimatazione: ha un ruolo importante nei processi di raffreddamento, il corpo deve adattarsi all’ambiente. La disidratazione ostacola i processi di raffreddamento corporeo in quanto: -diminuisce l’irrorazione sanguigna cute e arti -diminuisce la produzione di sudore -diminuisce la cessione di calore, causando un aumento della temperatura corporea L’allenamento aumenta la sensitività delle ghiandole sudoripare (ipertrofia ghiandolare) e forse anche del numero di ghiandole, aumenta il volume sanguigno (aumenta la portata cardiaca), aumenta gittata sistolica e portata cardiaca, questi fattori fanno si che aumenti l’irrorazione sanguigna e di conseguenza la cessione di calore. Il raffreddamento corporeo è mediato anche dall’abbigliamento in quanto un abbigliamento protettivo, a più strati e impermeabile rallenta o impedisce le capacità di irraggiamento, evaporazione e convenzione andando a diminuire la capacità di raffreddamento corporeo, aumenatndo il rischio di disturbi da calore. I soggetti più a rischio, più suscettibili a disturbi provocati dal calore sono quelli: -soggetti non allenati -non acclimatati -ipoidratati -con eccesso ponderale -cardiopatici -con vestiario inadatto Disidratazione I segni della disidratazione sono: urine scure (concentrazione più alta), sudorazione ridotta, volume urinario ridotto, crampi muscolari, sensazione di freddo (shock vascolare), cefalea, nausea, elevato battito cardiaco. Le urine se sono chiare sono segno di un corretto stato di idratazione, ovvero fino al 3° grado di colorazione. 44 Bisogna anche tener conto della temperatura ambientale e dell’umidità relativa per prevenire situazioni di ipertermia, infatti il sudore nell’aria molto umida evapora con molta difficoltà, causando un intoppo nella dispersione di calore. In ambiente umido è maggiore la quantità di vapore acqueo presente, ed è più difficile che il sudore evapori, diminuendo il processo di raffreddamento. Quindi si possono individuare zone di sicurezza, zona di pericolo e zona esclusa (rischioso fare attività fisica, si rischia di andare incontro a disturbi da calore) per attività fisica di lunga durata, ad esempio un’aria molto secca permette di svolgere attività fisica anche a temperature molto alte, mentre anche a temperature basse, ma con umidità molto alta si ha il rischio di svolgere attività fisica di lunga durata. La concentrazione di Sali nel sudore è molto minore rispetto al plasma, quindi il sudore è molto più diluito (più alto contenuto di acqua), quindi con sforzi relativamente bassi non serve il reintegro di Sali minerali. L’introduzione di acqua permette di regolare la temperatura corporea, eliminare le tossine, va a comporre il sangue e il sudore ecc… L’acqua può essere assunta tramite l’assunzione di fluidi, di cibi e tramite il metabolismo energetico, mentre può essere espulsa con le feci, l’urina, l’aria polmonare e sudorazione. La gran parte dell’acqua è contenuta nei liquidi intracellulari (dentro le cellule), meno negli spazi extracellulari e nel plasma. Disidratazione ipertonica (perdita di acqua intracellulare) L’attività fisica porta alla disidratazione ipertonica, con l’attività fisica si ha una perdita maggiore di liquidi soprattutto a carico intracellulare, si perdono molti liquidi che Sali minerali. La perdita di Sali minerali sono soprattutto a carico di sodio e cloro è sensibile solo per prestazioni di ultra resistenza, le perdite di potassio sono trascurabili. Si può notare una differente perdita di Sali minerali in base alla velocità di produzione di calore (intensità dell’attività sportiva): sodio e cloro aumenta con la velocità di produzione di calore, il magnesio diminuisce e il potassio rimane costante. Quindi con un’attività di ultra endurance non ripetuto immediatamente dopo, non vi è necessità di introdurre Sali, ma di reintrodurre acqua. Mentre se l’attività fisica viene ripetuta nel tempo (sudorazione ripetuta) si va incontro alla diminuzione di elettroliti, quindi è necessario il reintegro di Sali minerali oltre ai liquidi. In caso di corretto reintagrazione liquida, ma senza l’apporto di Sali minerali si andrà incontro ad una diminuzione del patrimonio elettrolitico (ipoelettrolitico). Il rapporto della disidratazione e la performance: si incomincia ad avere l’interferenza della disidratazione sulla performance con la perdita di 1/2 % rispetto al peso corporeo dei liquidi (con riduzione performance importante), mentre la vo2 max diminuisce con la perdita di 3/4 % dei liquidi rispetto al peso corporea. 45 L’allenamento (soprattutto se eseguito in ambiente caldo) e l’acclimatazione sono dei forti stimoli a rendere più efficienti i meccanismi della termodispersione tramite un inizio precoce della produzione di sudore che è più abbondante ed a minore concentrazione salina. Nell’atleta si ha un riassorbimento di sodio e cloro, salvando un po’ gli elettroliti che si perdono con la sudorazione, quindi il sudore di un soggetto allenato è più ricco di potassio e acqua. Durante l’esercizio, tali perdite non sono significative e non hanno effetti sulla prestazione, ma se l’attività è frequente e non supportata da un corretto apporto alimentare, vi è il rischio di un progressivo impoverimento del patrimonio corporeo di potassio. Sostanzialmente la produzione di energia tramite i meccanismi aerobici e quindi la massima potenza aerobica (vo2max) è molto simile in soggetti normoidratati e disidratati, ma l’atleta normo idratato ha la capacità di protrarre nel tempo la prestazione ad alti livelli rispetto ai soggetti disidratati, mentre il disidratato ha perdita precoce delle proprie capacità. La curva di performance cala con l’aumentare del livello di disidratazione, già a livelli di 1% (sensazione di sete) del peso corporeo di disidratazione si ha un calo della performance, questo cala aumenta con l’aumentare della disidratazione. Nel corso del tempo si sono modificati i regolamenti in molti sport riguardanti i rifornimenti di acqua. Nutrizione e performance sportiva I livelli di idratazione giornaliera in età adulta è simile, di circa 2-2,5 l al giorno (secondo i LARN), vengono divisi per fasce di età. Il fabbisogno di acqua giornaliero per adulti ed anziani deve essere di 1ml per ogni chilocaloria alimentare introdotta, deve essere assunta acqua frequentemente e a piccole quantità, mentre per i bambini si arriva ad 1,5ml per kcal. L’apporto di liquidi deve essere aumentato in caso si effettui attività fisica, soprattutto se viene svolto in clima abbastanza caldo, o in situazioni di alta intensità. Il recupero dei liquidi devono essere personalizzati ad ogni atleta, in base ai vari parametri. Dopo l’esercizio fisico possiamo definire il grado di idratazione del corpo andando a considerare il peso corporeo: -diminuzione del 1%: normo idratato -diminuzione del 3%: disidratazione significativa -diminuzione sopra del 5%: disidratazione pericolosa. Il recupero idrico deve essere del 150% della perdita del peso corporeo perso durante l’attività fisica (perdita di 2 chili, bisogna assumere 3l di acqua). Per una corretta reidratazione durante l’attività fisica bisogna tener conto principalmente di 2 variabili: 46 -velocità di svuotamento gastrico: lo svuotamento gastrico diminuisce più rapidamente per alcuni fattori: contenuto calorico e osmolarità, intensità dell’esercizio, temperatura amientale, temperature bevande e altri fattori. -velocità assorbimento intestinale: dipende dalle caratteristiche fisico chimiche dei liquidi, l’assorbimento di acqua avviene per via passiva, mentre in presenza di carboidrati e di sodio abbiamo un trascinamento attivo per il trasporto all’interno della cellula, facendo si che aumenta l’assorbimento (con quantità di 4-8% di carbo e sodio). Queste due condizioni influenzano il giusto livello di idratazione dell’atleta durante l’attività sportiva. Velocità svuotamento gastrico La velocità di svuotamento gastrico dipende da diversi fattori: -il contenuto calorico e osmolarità: influenza lo svuotamento dello stomaco, che è più lento in caso di bevande energetiche (maggior concentrazione calorico), con quantità di zuccheri e Sali minerali relativamente bassi (da 4-8%) non influisce sullo svuotamento gastrico, anzi si comporta come bevanda ottimale. -intensità di esercizio: per sforzi di alta intensità è lento lo svuotamento gastrico, con intensità dell’esercizio compreso tra il 65-80% del massimo rendimento non incide nello svuotamento gastrico. -temperatura ambientale: temperature alte interferiscono con lo svuotamento gastrico (probabilmente perché vi riduce il flusso di sangue ed anche per una maggiore secrezione di sostanze ormonali, come le “endorfine”). -temperature bevande: più sono calde più lo svuotamento è lento, mentre per uno svuotamento gastrico ottimale la bevanda deve essere circa di 10°. -altri fattori: il ph, il contenuto di grassi, l’orario della gara, lo stato emotivo ecc… Bevande con apporto di zuccheri minore al 2% hanno una velocità di svuotamento gastrico molto veloce; con valori di zuccheri tra il 4-8% pur rallentando leggermente la velocità di svuotamento gastrico garantiscono un assorbimento successivo intestinale migliore, con valori più alti di zuccheri la velocità di svuotamento diminuisce molto. Velocità di assorbimento intestinale La velocità di assorbimento intestinale dipende da caratteristiche chimicofisiche dei liquidi: l’assorbimento dell’acqua avviene per via passiva (diffusione), ma la presenza di sodio e carboidrati che sono assorbiti con un meccanismo di trasporto attivo, causa un “trascinamento” dell’acqua e ne aumenta quindi l’assorbimento. Con bevande con 4% di zucchero l’assorbimento è ottimale. Bevande ideale La bevanda ideale quindi è: -rifornire rapidamente liquidi ai tessuti -fornire quantità adeguate di carboidrati come fonti di energia -contenere piccole quantità di Sali minerali 47 -non deve provocare disturbi gastrointestinali anche se assunte in grandi quantità -essere di gusto gradevole. L’alimentazione post gara è fondamentale per l’atleta, soprattutto se l’atleta dovrà ripetere a breve l’attività fisica. Con impegno sopra all’ora e con condizioni di umidità importanti è consigliabile assumere anche Sali minerali oltre all’acqua. Bisogna idratarsi costantemente e piccole quantità anche al di fuori dell’allenamento e post allenamento, costantemente durante il giorno. Il recupero idrico deve essere del 150% della perdita del peso corporeo perso durante l’attività fisica (perdita di 2 chili, bisogna assumere 3l di acqua). I fattori che influenzano una giusta idratazione, quindi un giusto equilibrio tra iperidratazione e disidratazione, i fattori che influenzano il bilancio idrico sono: -durata dell’attività -condizioni atmosferiche -intensità dell’attività -genere -peso corporeo -stato di idratazione Il rischio del colpo di calore che viene causato quando la produzione di calore è maggiore di quanto l’atleta riesce a dissipare nell’ambiente, aumenta quando: -intensità molto alta ma con esercizi più brevi -negli atleti con maggior massa corporea che generano maggiore quantità di calore rispetto ad atleti più leggeri -temperatura ambientale e umidità alta -raffreddamento ambientale è basso come scarsa ventilazione o nelle condizioni di test da laboratorio. Il rischio di iperidratazione è comunque alto per evitare il più famoso concetto di disidratazione durante l’attività sportiva, soprattutto in determinati sport questo rischio è molto alto (lunga durata). Per evitare l’iperidratazione non vi è un protocollo di idratazione corretto per tutti i soggetti ma dipende da molti fattori individuali, ambientali e non uguali per tutti. Per i runner le indicazioni di idratazione è di assumere circa 400-800ml di liquidi ogni ora, per maratoneti veloci e più pesanti i volumi devono essere maggiori di runner lenti e magri. Iponatremia In caso di eccessiva assunzione di acqua durante l’attività fisica si va incontro all’ iponatremia (iperidratazione, intossicazione d’acqua) ovvero la diminuzione del sodio nel sangue, anche se il sudore contiene una percentuale bassa di Sali minerali. Infatti si potrebbe andare a diminuire la concentrazione del sodio in acqua a causa della diluizione (grande quantità di acqua assunta) o anche per la perdita di sodio per l’eccessiva sudorazione (non viene reintegrato correttamente). 48 Le indicazioni per evitare l’iponatremia sono: non bisogna superare a 1-1,5 l di acqua assunti per ogni ora di attività sportiva per evitare che si riducano le concentrazioni plasmatiche si sodio, queste in condizioni durante la prestazione fisica. Un’eccessiva assunzione di liquidi può comportare importanti squilibri elettrolitici, in particolare si può determinare iponatremia (bassa concentrazione di sodio nel sangue), questo può portare anche alla morte per encefalopemia iponatremica. La sintomatologia da iperidratazione sono: nausea, vomito, diarrea, coma, morte. Per prevenire bisogna assumere una giusta quantità di liquidi e di Sali minerali durante e dopo l’attività sportiva. BIOCHIMICA E METABOLISMO DELL’ATTIVITA’ SPORTIVA Il corpo per funzionare ha bisogno di energia che ricava con l’assunzione degli alimenti, che poi converte tramite dei processi metabolici, in forma chimica agevolmente utilizzabile. Nell'uomo, e nella maggior parte degli esseri viventi, la molecola comune alle varie tipologie d’utilizzo dell'energia è l'ATP che è in grado di liberare energia sotto una forma facilmente impiegabile nei vari processi biochimici, questo grazie alla sua fosforilazione, con liberazione di un gruppo fosfato. L’energia può essere trasformata in: -sintesi chimiche -lavoro meccanico -lavoro elettrico -lavoro osmotico -produzione di calore -luce La produzione di energia può avvenire in maniera: -aerobica -anaerobica: può seguire due vie metaboliche: lattacido o alattacido. La quantità di energia richiesta è caratterizzata dalla capacità (Durata) e dalla intensità (potenza). POTENZA (intensità): È la quantità massima d’energia sviluppata al minuto (unità convenzionale di tempo), è massima nel sistema energetico alattacido. CAPACITÀ (durata): È la quantità totale d’energia sviluppabile: circa 0.6 moli d’atp per l'alattacido, 1.2 moli d’atp per il lattacido e pressoché infinita quella del sistema aerobico. Il sistema aerobico possiamo paragonarlo ad un grande serbatoio con un piccolo rubinetto, mentre il sistema anaerobico è un serbatoio molto piccolo con un grande rubinetto, dove il rubinetto è la potenza e il serbatoio è la capacità. Sistema anaerobico alattacido Il sistema anaerobico alattacido è basato sull'utilizzo dei fosfageni muscolari: fosfocreatina (PC) e ATP. 49 La fosfocreatina è idrolizzata liberando energia che è utilizzata per la risintesi dell'ATP consumato durante la contrazione muscolare. I meccanismi sono rapidissimi, con energia elevata quindi potenza molto elevata in brevissimo tempo, ma con capacità limitata data la scarsa quantità di substrati presenti. Sistema anaerobico lattacido Il sistema anaerobico lattacido è l'idrolisi parziale del glucosio, che, in assenza d’ossigeno, si arresta ad acido lattico: quando l'utilizzo di tale sistema è protratto abbastanza a lungo, l'acido lattico tende ad accumularsi e può causare fatica muscolare (modificazione ph). L’acido lattico in buone quantità ha diversi effetti che permettono di raggiungere intensità elevate: - aumento del rilascio di o2 da parte della emoglobina -emoconcentrazione (Aumento concentrazione ossigeno) da aumento dell ‟osmolarita‟ -vasodilatazione locale da acidosi Questi fattori fanno si che ci sia una maggiore disponibilità di ossigeno locale, quindi ci sia un aumento della produzione di energia. Questo sistema ha un basso rendimento (solo 3 mol di atp per molecola di glicogeno utilizzata), è massimo per i primi 90 secondi e può durare al massimo 3/4 minuti. Una volta esaurito la riserva di fosfageni muscolari utilizzabile, il recupero di questi substrati è abbastanza breve, in 2 minuti si ha già il recupero del 90% del fosfageno muscolare. La rimozione di acido lattico è più veloce se in seguito all’esercizio che ha prodotto acido lattico si esegue un esercizio fisico blando, molto più lenta è la rimozione se invece dopo l’esercizio facciamo una fase di completo recupero. Un blando esercizio fisico dopo uno sforzo molto intenso permette un più rapido smaltimento dell’acido lattico prodotto per diversi motivi: •Evita una brusca diminuzione della portata cardiaca permettendo un adeguato flusso sanguigno muscolare ed evitando il “ristagno” dell’acido lattico. •L’acido lattico può essere così convertito nel fegato a piruvato • Mantiene attivi i meccanismi aerobici che riescono a consumare il piruvato derivato dal lattato. Sistema aerobico Il sistema aerobico si basa sull'utilizzo dei substrati alimentari (carboidrati, lipidi e proteine) metabolizzati in presenza d’ossigeno; è un sistema a relativa bassa potenza, ma a grandissima capacità e ottimo rendimento: vengono, infatti, prodotte ben 39 moli d’ATP per mole di glicogeno consumato. Il tempo con cui il sistema arriva alla massima potenza (VO2 max) è di circa 2-3 minuti: carichi di lavoro intorno al 70% di tale intensità possono essere sostenuti anche per diverse ore. 50 Il più elevato consumo di O2 che il soggetto è in grado di raggiungere durante un lavoro fisico strenuo, o massimo consumo di ossigeno (°VO2max), è l‟ espressione della massima potenza aerobica. Confrontando popolazioni non omogenee (sedentari, velocisti, fondisti) il valore di VO2 max è direttamente proporzionale al livello delle prestazioni fornite in prove di resistenza; questa correlazione si perde confrontando un gruppo omogeneo di fondisti. Questo significa che un elevato VO2 max è una condizione indispensabile per una buona performance di alto livello, ma questo da solo non è che la base per costruire prestazioni di valore assoluto. CLASSIFICAZIONE BIOENERGETICA DEGLI SPORT: -sport di potenza (alattacidi) 10"- 15" -sport prevalentemente anaerobici 15"- 45" -sport anaerobici - aerobici massivi 45"- 180" -sport prevalentemente aerobici superiore a 180" -sport anaerobici - aerobici alternati -sport di destrezza -sport combinati ALIMENTAZIONE E SPORT La dieta influenza significativamente la performance sportiva, sia prima, durante e dopo l’attività sportiva influenza sulle prestazioni sportive. L’alimentazione deve garantire la massima prestazione sportiva raggiungibile, ottimizza la performance sportiva, ma non esiste una dieta miracolosa per l’atleta, ma solo buone o cattive abitudini alimentari. L’alimentazione ideale deve anzitutto garantire il benessere, poi nello specifico per l’atleta deve garantire l’apporto nutrizionale per esaltare la sua capacità atletica e fare si che la sua performance sportiva sia quella massima che il suo patrimonio generico, il suo allenamento può generare. È necessaria una ripartizione fisiologicamente corretta dei nutrienti adattata alle particolare esigenze individuali, in base alle varie caratteristiche fisiologiche, del tipo di attività, del periodo e altre variabili da considerare per impostare una dieta corretta. Una dieta corretta non fa diventare un atleta in un campione, ma una dieta scorretta invece può trasformare un campione in un atleta di basso livello. Una nutrizione corretta abbinata ad un buono stato di salute fanno si che un’atleta abbia un migliore adattamento al programma di allenamento ed un migliore rendimento tecnico e atletico, sfruttando così al massimo le sue capacità. L’alimentazione dello sportivo deve garantire i fabbisogni plastici, idro minerali e vitaminici, ad esempio negli atleti giovani oltre a compensare quello che si consuma, deve anche introdurre nutrienti per la funzione plastica per la crescita, ma ovviamente deve anche coprire i fabbisogni energetici. 51 Questo permette di avere un buon equilibrio metabolico per l’atleta sportivo, quello che introduce garantisce un apporto nutrizionale comprendente alimenti non calorici (vitamine e Sali minerali) che calorici, sia per garantire i fabbisogni energetici sia quelli plastici. La dieta per lo sportivo deve essere adeguata al dispendio energetico, ben distribuita nella giornata, variata nella scelta degli alimenti, per far si che sia equilibrata tra i nutrienti. La dieta può essere divisa in: -di tutti i giorni, alimentazione di base: una dieta per l’allenamento e per i giorni di riposo e di recupero. -per un evento particolare, alimentazione di gara (Ad esempio partita): è condizionata in base al pre (giorni precedenti), durante (Acqua, bevande e snack energetici) e post partita (recupero acqua e nutrienti). -integrazione nutrizionale: Alimentazione di base La dieta di base, ovvero quella di tutti i giorni per allenamento e giorni di riposo, è caratterizzata soprattutto dalla % di carboidrati introdotta con la dieta. Diete a media-alta % di carboidrati sono ad esempio la dieta mediterranea o piramidale, mentre delle diete a bassa % sono la dieta a zona, dieta Atkins dove vi è un aumento dell’apporto calorico da parte di proteine e grassi. Poi ci sono altre diete, come quelle date da intolleranza, da gruppi sanguigni, cronodieta. Quella che è il patrimonio comune della nostra nazione è la dieta mediterranea che venne attuata da Ancel Keys, nutrizionista americano che si è accorto nelle nazioni che si affacciavano nel mediterraneo, la frequenza di malattie cardiovascolari e malattie croniche degenerative era molto più bassa rispetto alle altre nazioni come quella anglosassone. La ragione venne data allo stile di vita, soprattutto al tipo di alimentazione che si attuava definito come dieta mediterranea. La dieta mediterranea si basa sulla piramide alimentare con alla base i carboidrati complessi, poi salendo frutta e verdura di stagione coltivate in loco, ancora carne, uova e latticini, ed infine zuccheri semplici e grassi animali (infatti nel mediterraneo l’apporto di grassi era soprattutto con l’olio di oliva). Alla base vi sono i cibi che vanno assunti più frequentemente, mentre salendo arrivando al vertice i cibi andrebbero assunti con minore frequenza. In seguito la piramide alimentare mediterranea venne leggermente modificata: è stata aggiunta alla base l’attività fisica giornaliera, una corretta idratazione e controllo del peso corporeo. Nella nuova piramide troviamo alla base poi cereali integrali (carboidrati integrali ricchi di fibre) e grassi vegetali (olio d’oliva) che devono essere assunti ad ogni pasto, 52 con vegetali e frutta in abbondanza con 2/3 porzioni al giorno, specialmente prodotti locali del territorio e di stagione. La frutta secca e legumi da 1 a 3 porzioni al giorno. Salendo nella piramide troviamo pesce, pollame, uova ed alimenti ricchi di calcio da 0 a 2 porzioni al giorno. In cima alla piramide troviamo carni rosse, burro (grassi di origine, cereali raffinati (riso, pane, dolci), patate, dolci che andrebbero assunti con mena frequenza, in quanto i cereali raffinati hanno un alto indice glicemico, hanno un impatto importante sulla produzione di insulina. La “nuova piramide” alimentare Si continua a proporre un adeguato uso di carboidrati complessi, ma nella forma integrale, utile sia a fornire un ottimale apporto di fibre che a ridurre lo stimolo alla secrezione di insulina. L'utilizzo di cereali raffinati, patate, zuccheri semplici va dosato con parsimonia. Anche per garantire la dieta più variata possibile, consigliamo inoltre di non limitarsi all'utilizzo del solo frumento, consumando anche prodotti a base di farro, avena, segale, orzo. Va giustamente preferito l'apporto di grassi vegetali il più possibile: olio extravergine d'oliva (ricco di acidi grassi mono-insaturi), oli di semi di mais, soia, sesamo, girasole, ricchi di acidi poliinsaturi (evitando invece i grassi "tropicali"), in minore misura frutta secca oleosa. I grassi saturi come quelli contenuti nei grassi tropicali hanno una forte capacità di favorire la deposizione di placche aterosclerotiche sui vasi sanguigni. Sono da usare con moderazione i grassi animali, ma in abbondanza quelli derivati dal pesce (in particolare quello azzurro). Indispensabili ampie quantità di vegetali e di frutta, preziose fonti di antiossidanti naturali. L'apporto proteico deve essere garantito in pari misura dai legumi e da carni (preferibilmente bianche), uova, latte e derivati che assicurano un adeguato apporto di calcio. Se non vi sono specifiche controindicazioni, negli adulti è consentito un consumo molto moderato di vino ai pasti. Alla base, in posizione prioritaria, la prescrizione di costante attività fisica, indispensabile per mantenere un ottimale controllo del peso corporeo: ci sembra doveroso aggiungere a questa ultima indicazione, la raccomandazione di assicurare un corretto apporto idro-salino, ancora più necessario nella pratica di attività sportiva in ambienti caldi. La nuova piramide sta alla base della dieta mediterranea, è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dell’Unesco, quindi riconosciuto come patrimonio di tutte le nazioni. Nella dieta mediterranea deve essere anche considerata la modalità di cottura: tecniche di cottura rapide e semplici; inoltre un largo impiego di spezie, aromi ed odori (quali menta, origano, rosmarino, salvia, ecc.) generalmente mescolati ad aglio, 53 cipolla, pomodori maturi e olio di oliva extra vergine, questi creano un cocktail antiossidanti, un grado di neutralizzare i radicali liberi (prodotti nel metabolismo energetico cellulare) e proteggere l'organismo dalla loro azione negativa. Prodotti come frutta e vegetali freschi, cereali integrali, legumi, frutta secca in guscio e semi contengono elementi minerali (magnesio, potassio, rame), vitamine (E, C, acido folico, B6, B12), provitamine, polifenoli e grassi saturi (monoinsaturi e polinsaturi). Molto importante è il fatto che frutta e verdura deve essere di stagione ed è consigliata la varietà dei cibi. La piramide alimentare riguardante l’impatto ambientale è l’opposto di quella mediterranea, infatti i cibi che vanno assunti più spesso sono quelli a basso impatto ambientale, mentre quelli che vanno assunti meno sono quelli a più impatto ambientale. Quindi la piramide alimentare oltre ad essere una dieta corretta dal punto di alimentare, ma anche corretta dal punto di vista ambientale (meccanismi di produzione del cibo, il consumo di acqua e la produzione di co2). Mettendo a confronto la dieta mediterranea con una dieta nordamericana si può notare una grande differenza per quanto riguarda l’impatto ambientale tra le 2. Fabbisogno giornaliero Nella dieta giornaliera bisognerebbe assumere un 50% di carboidrati complessi, un 10% carboidrati semplici, 8% di proteine vegetali, 8% proteine animali, 12% grassi vegetali (insaturi) e 12% grassi animali. L’alimentazione per gli eventi sportivi devono prevedere: -idratazione ottimale -riserve ottimali di glicogeno (muscoli e fegato) -prevenire ipoglicemia -minimizzare ogni condizione di disagio gastrointestinale -minimo apporto di lipidi ad alta digeribilità Ripartizione percentuale dell’energia totale giornaliera: Con la corsa si consuma 1 caloria per kg per km di corsa, più o meno il doppio delle calorie consumate nella passeggiata. Nella marcia/camminata si consumano 0,5 calorie per chilogrammi per ogni chilometro di corsa. 54 Quindi per consumare le calorie in eccesso, bisogna prendere in considerazione diverse variabili come il peso corporeo e la velocità di corsa da tenere. Proteine Negli sport di forza l’ipertrofia muscolare è il mezzo per l’attività (la quantità di fosfageni muscolari è in rapporto diretto con la massa muscolare), mentre ad esempio nel body builder l’ipertrofia muscolare è il fine da ricercare con l’allenamento. Il fabbisogno proteico negli adulti: i livelli giornalieri consigliati di assunzione di energia e nutrienti (LARN) è di 1,1 grammi di proteine per kg corporeo, prendendo in riferimento una persona adulta non atleta. L’apporto proteico giornaliero è molto variabile, in base anche al tipo di attività che si pratica, dall’età, dal sesso e da altre variabili. Il fabbisogno giornaliero di proteine per supportare l’adattamento metabolico, la riparazione, il rimodellamento e il ricambio proteico muscolare varia da 1,2 a 2g per kg corporeo per quanto riguarda gli atleti. Un apporto calorico maggiore può essere applicato per un breve periodo di allenamento intenso, o ad esempio in situazioni di recupero da infortunio in quanto bisogna tutelarsi il più possibile dalla perdita di massa magra determinata dalla situazione. È fondamentale un adeguato apporto di energia, in particolare da carboidrati, per coprire il dispendio energetico, in modo che gli aminoacidi siano utilizzati per la sintesi proteica e non ossidati. La tipologia di sport condiziona l’apporto proteico, ma anche l’adattamento ottimale a sessioni specifiche (periodo, tipo attività, grado di forma), dalla disponibilità energetica dell’atleta, quindi il fabbisogno proteico va personalizzato ad ogni singolo atleta. Le linee guida europee individuano l’apporto proteico giornaliero per atleti di endurance da 1,2-1,4 g per kg corrispondente quindi al 10-11% del fabbisogno giornaliero. Negli atleti che praticano sport di potenza, l’apporto proteico deve essere di 1-1,2g per kg negli atleti esperti mentre 1,3-1,5g per kg negli atleti principianti che si sottopongono ad un allenamento di forza. In questo caso se l’apporto calorico non è adeguato nonostante si attui una dieta ben bilanciata, potrebbe non contenere una sufficiente quantità di proteine per far fronte a questo temporaneo aumento del fabbisogno utilizzando degli integratori proteici. Comunque non vi è evidenza scientifica che siano efficaci (e sicuri) aumenti dell'apporto proteico tramite integratori sino a 3-6 g/kg come è abitudine in molti body builder. Ci sono stati numerosi studi sul fabbisogno proteico giornaliero, alcuni affermano che alti apporti proteici sopra ai 3g per kg possono avere un effetto positivo per atleti che svolgono attività di resistenza, quindi di forza, anche per diminuire la massa grassa, 55 non solo tramite la dieta ma anche con l’utilizzo di integratori proteici che è altamente consigliato per l’apporto ottimale proteico sia quantitativo sia qualitativo. Integratori proteici La normativa italiana proibisce l’apporto di integratori proteici contenenti creatina al di sotto dei 14 anni, questo perché potrebbe essere dannoso. Per un grande apporto di proteine, senza assumere una grande quantità di grassi, cosa che avviene normalmente con la dieta, bisogna far riferimento a integratori proteici. Negli integratori proteici troviamo soprattutto proteine del latte (del siero), poi anche proteine dell’uovo, soia e grano. Le proteine del siero costituiscono il 20% delle proteine del latte, hanno valore biologico più alto, possono essere del siero idrolizzate ( o del siero concentrate e isolate. Le proteine del siero hanno un picco di biodisponibilità più alto di quelle della soia, poi la biodisponibilità decresce con il tempo. Le Caseine costituiscono circa l’80% della frazione proteica del latte, hanno un picco di biodispnibilità più basso di quelle del siero, ma che dura più a lungo nel tempo. Abitualmente i body-builder utilizzano le proteine del siero del latte, vista la loro rapidità di assimilazione, in funzione anabolica, ad esempio al mattino dopo il digiuno notturno o come già visto nell’immediato recupero. Le caseine, che hanno un rilascio più graduale, vengono assunte la sera prima di coricarsi per sfruttarne l’effetto anticatabolico che contrasta la degradazione proteica causata appunto dal digiuno notturno. La difficoltà di parametrizzare l’efficacia, degli integratori in genere e di quelli proteici in specifico, è in relazione alla complessa realtà della prestazione sportiva, dove ad esempio in sport dove la differenza prestativa è molto piccola e non ci sono strumenti di valutazione attendibili. Diversi studi hanno dimostrato un aumento dell’uptake amino-acidico e della sintesi proteica muscolare o un più rapido reintegro post-esercizio del glicogeno muscolare. Una dieta con eccesso di proteine possono portare a danni come alterazioni della funzionalità renale, un’aumentata escrezione di calcio e la disidratazione (l’urea trascina via anche molecole di acqua). Quindi a causa della diminuzione dei livelli di calcio nelle ossa si può andare incontro a patologie come l’osteoporosi. Diete Nel 2020 venne fatta uno studio delle varie diete prendendo in considerazione diversi parametri per verificare gli effetti della dieta stessa: perdita di peso a breve e lungo termine, in presenza di patologie come diabete, cardiovascolari, facile da seguire, completa dal punto di vista nutrizionale. Prendendo in considerazione questi parametri venne fatta una classifica delle migliori diete da attuare: tra le migliori sono state individuate weight watcher, dash diet, the dieta flexitariana, ed al primo posto viene collocata la dieta mediterranea. 56 Dieta mediterranea Secondo questo studio la dieta mediterranea è la migliore dieta globale, prendendo in considerazione tutti i parametri. La dieta mediterranea è considerata come dieta normale ed equilibrata che prevede l’apporto di 50-60% di carboidrati, 30-35% lipidi e 10-15% di proteine. La dieta mediterranea è al primo posto delle diete vegetali, per chi è affetta da diabete, come dieta salutare e per semplicità da seguire. Non è tra i primi posti per la perdita di tempo a breve e lungo termine, mentre è al secondo posto per chi ha malattie cardiovascolari. La migliore dieta per la perdita di peso è la weight watcher diet. Dieta a zona La dieta a zona è molto seguita da sortivi, prevede il 40% di carboidrati, 30% proteine e 30% lipidi per un totale di 1200-1500 calorie, quindi una dieta iperproteica e ipocalorica a confronto della dieta mediterranea; prevede anche l’assunzione di integratori specifici. Le regole della zona sono: -In ogni pasto si devono assumere le giuste proporzioni di carboidrati, proteine e grassi e il rapporto in calorie deve essere: 40%-30%-30% -tra un pasto e l’altro non deve intercorre più di 5 ore, se serve effettuare uno spuntino, quindi si potrebbe definire il 3+2 per una corretta alimentazione giornaliera. -è necessario ridurre il consumo di dolci (zuccheri semplici), pane, pasta, riso e cereali raffinati ad alto indice glicemico. -mangiare molta frutta e verdura a basso indice glicemico La dieta a zona quindi si basa di integratori specifici soprattutto sull’omega 3, è una dieta proteinocentrica, si basa sull’apporto proteico, prima si va a stabilire la necessità proteica dopodiché si struttura l’apporto di carboidrati e grassi. Il rapporto tra proteine e carboidrati varia da 0,75 a 0,60, per 3kcal di proteine si assumono 4-5kcal di carboidrati a basso indice glicemico. L’apporto di proteine in relazione al livello di attività fisica varia da 1,1kcal per kg di massa magra per persone sedentarie, al 2,2kcal per kg di massa magra per un’atleta al top, con allenamenti pesanti, varia con il tipo, la frequenza e l’intensità degli allenamenti. L’unità di misura del cibo nella dieta a zona è il blocco, che esprime una miscela di macronutrienti in rapporto (40-30-30) che comprende i miniblocchi o blocchetti: 1 blocchetto di proteine (7g), 1 di carboidrati (9g) e 1 di lipidi (3g) per un apporto calorico di 88,75ckal. Una casalinga-impIegata deve assumere 10-11 blocchi al giorno per 1065kcal, fino a 18-20 blocchi per uno sportivo che corrisponde a 1775kcal, quindi si tratta di una dieta ipocalorica, forse vanno bene se si deve avere un importante perdita di massa grassa, ma per un’atleta con una buona attività giornaliera è troppo bassa. 57 La dieta a zona per l’atleta potrebbe essere ipocalorica o iperproteica, soprattutto per l’atleta di endurance che non sembra garantire il giusto livello di glicogeno muscolare, o iperproteica perché per aumentare l’apporto calorico bisogna aumentare il fabbisogno di proteine. Esempio pratico un soggetto di 100kg, con 10% di grasso corporeo, quindi 90kg di massa magra, con allenamento da 4-6 ore al giorno. Con la dieta a zona dobbiamo basarci sull’apporto proteico: 2,2*90= 198g (792kcal), quindi per l’apporto calorico giornaliero possiamo fare: 792*100/30= 2640kcal (792kcal di grassi e 1056 di carboidrati), che è un apporto calorico troppo basso per un’atleta del genere. Il rapporto proteine/carboidrati come detto può scendere dal 0,75 a 0,60: quindi con 792kcal di proteine, possiamo introdurre 1320kcal di carboidrati per un fabbisogno giornaliero di 2904kcal che è ancora troppo basso per un’atleta di alto livello, insufficienti per un’atleta che si allena così intensamente. Quindi utilizzando una dieta che prevede l’apporto calorico di 5000kcal più corretta per un’atleta del genere, con la dieta a zona sono 1500kcal di proteine (quindi 375g al giorno), quindi addirittura 4,16g di proteine per kg di massa magra, altamente sopra ai livelli massimi che individuavano come 2,2g, si rischia quindi di avere una dieta iperproteica. Per non avere quindi una dieta iperproteica o ipocalorica, tenendo quindi proteine e carboidrati nei giusti livelli quindi 792kcal di proteine e 1320 di carboidrati, tenendo bloccato il rapporto di 3/4 proteine/carboidrati, dobbiamo alzare per forza i livelli di grassi fino a 2800kcal per raggiungere il fabbisogno giornaliero di 5000kcal, quindi con un apporto di grassi del 58% del fabbisogno giornaliero, quindi con una dieta iperlipidica, 320g di grassi al giorno, che è una cifra assurda di grassi. La dieta quindi rischia di essere iperproteica, ipercalorico o iperlipidica, seguendo le regole, per ovviare a questo problema è stata prevista la finestra dei carboidrati dai seguaci della zona italiana. Dopo l’attività di sport di endurance con consumo di glicogeno muscolare importante, la finestra che si apre nelle prime 2 ore dopo l’attività intensa è quella in cui risulta più efficace per l’assunzione dei carboidrati. La “zona italiana” ha previsto questa finestra dei carboidrati post esercizio di 2 ore circa, dove introducendo carboidrati non vada a modificare i parametri del 40-30-30 della dieta a zona, zona franca dove si può avere un apporto di carboidrati importante senza andare a variare i parametri. Questa non sembra essere una soluzione al problema della zona, in quanto si andrebbe ad arrivare quasi al 60% dei carboidrati e quindi assomiglia molto alla dieta mediterranea. In conclusione la dieta a zona può essere usata per perdere peso, in soggetti non troppo attivi, mentre non è consigliata per chi fa sport ad alto livello. Dieta chetogenica 58 È una dieta a bassissimo apporto di carboidrati, non essendoci una disponibilità di carboidrati l’organismo si adatta e deve utilizzare i depositi: o la parte proteica del muscolo (tende a non essere utilizzate) o il deposito di grasso. Nella dieta chetogenica si tende a mantenere uno stato cronico di chetosi, cioè una condizione metabolica nella quale vengono utilizzati i corpi chetogeni per ricavare energia come acido acetico e acetone e acido betaidrossibutirrico. Questo stato di chetosi, è molto simile alla situazione di digiuno, in cui in carenza di glucosio, le cellule epatiche producono i corpi chetogeni come substrati energetici. Il glucosio introdotto con la dieta ha 3 vie: -utilizzato immediatamente come fonte energetica -viene immagazzinato nel muscolo e fegato come glicogeno muscolare -viene trasformato in depositi adiposi quando è in eccedenza rispetto al fabbisogno. Se nel circolo sanguigno c’è abbondanza di glucosio, a riposo questo viene utilizzato come fonte di energia primaria. Per indurre la chetosi bisogna diminuire l’apporto di carboidrati, quindi una dieta ipoglucidica e quindi iperlipidica, con una dieta ipocalorica i corpi chetogeni vengono prodotti utilizzando i grassi di deposito, con una dieta normocalorica i corpi chetogeni vengono prodotti utilizzando i grassi contenuti negli alimenti. Una dieta con scarso contenuto di carboidrati, c’è poca insulina in circolo, mentre aumenta il glucagone in circolo (gluconeogenesi e glicogenlisi) Per mantenere la glicemia inizialmente l’avvio della glicogenolisi attraverso il glicogeno muscolare nel fegato, successivamente avviene il processo di gluconeogenesi a partire dagli amminoacidi, poi avviene la lipolisi del tessuto adiposo. Le vie metaboliche di proteine, carboidrati e grassi convogliano tutte con la produzione di acetil coa per poi avvenire il ciclo di krebs. Per far si che si abbia un utilizzo dei grassi con l’attività fisica, bisogna che avvenga anche il metabolismo degli zuccheri necessario perché venga prodotto l’ossalacetato necessario per far avvenire il ciclo di krebs. La dieta chetogenica non è da confondere con la chetoacidosi (diabete) che è uno status patologico. Nella dieta chetogenica l’apporto giornaliero di carboidrati è minore a 50g, quasi il 90% di lipidi. La dieta chetogenica è indicata per soggetti obesi, mentre è controindicata per donne in gravidanza. La dieta chetogenica aumenta l’ossidazione dei grassi, ma riduce gli sprint ad alta intensità (sport di forza e potenza), ma sembra non essere idonea nemmeno per sport di resistenza in quanto prevedono soprattutto lavoro aerobico, quindi con l’ossidazione di zuccheri, questo causerebbe la diminuzione della performance. La dieta chetogenica tende a diminuire la massa grassa e può essere utile per sport che trovano giovamento dalla perdita di massa grassa. 59 È una dieta adottato da un centinaio di anni, che ha avuto successo in soggetti con problemi epilettici farmaco resistenti. Dieta paleolitica È una delle prime diete adottate dall’uomo che si evoluta con l’evoluzione dell’uomo, infatti decine e decine di migliaia di anni fa l’alimentazione dell’uomo si basava sulla caccia delle prede che riusciva a cacciare e raccoglieva frutti e cereali spontanei. Fra i 10 e 15 mila anni fa è avvenuta la graduale trasformazione da cacciatori nomadi ad agricoltori stabili, quindi si ha l’apporto di alimenti coltivati, soprattutto di cereali. Questo passaggio sembra aver indotto delle malattie metaboliche in quanto il nostro metabolismo non è stato in grado di adattarsi. Infatti le popolazioni che hanno mantenuto le origini di cacciatori e raccoglitori hanno una bassissima probabilità di riscontrare malattie metaboliche e cardiovascolari. La vera dieta paleolitica si basava sulla caccia, per questo si mangiava tutti i tipi di animali, ma non cereali e legumi che non erano coltivati. I grassi erano esclusivamente di origine animale. In conclusione è una dieta complicata da seguire, e non è detto che apporti solo dei benefici, infatti c’è da considerare che le persone antenate aveva un peso medio più basso e svolgeva molta più attività fisica per cacciare. Non vi è dubbio che gli alimenti disponibili e consumati da i nostri antenati paleolitici erano molto diversi da quelli consumati oggi. Tuttavia, l'idea che queste differenze dietetiche siano le sole responsabili delle malattie croniche che affliggono l'uomo moderno è una semplificazione evolutiva e manca di evidenza scientifica. Allo stesso modo, con poche eccezioni, la logica per includere o escludere determinati alimenti dalla moderna Paleo-dieta non è nutrizionalmente e scientificamente valida. Quindi, gli individui cercando di migliorare la salute, minimizzare il rischio di malattia e ottimizzare le prestazioni atletiche dovrebbero concentrarsi sul consumo di una dieta che fornisca una varietà di alimenti ricchi di nutrienti all'interno e tra i diversi gruppi alimentari soddisfacendo al contempo le esigenze individuali di calorie. Potrebbe anche essere che fosse lo stile di vita adottato dai nostri antenati ad essere salutare, ovvero più attività fisica giornaliera, ma soprattutto molta meno sedentarietà rispetto alla società di oggi, infatti una relativamente bassa incidenza di patologie dismetaboliche è presente anche in popolazioni rurali che basano la loro alimentazione su una agricoltura “non avanzata tecnologicamente”. In ultima analisi, la composizione della dieta, purché il più possibile varia e salvo situazioni estreme in un senso o nell’altro, è probabilmente meno importante della fatica che si fa per procurarsi il cibo. Se il rapporto: Calorie consumate per procurarsi il cibo/Calorie ottenute è troppo basso, in quella società, inevitabilmente l’incidenza di patologie metaboliche aumenterà. Carboidrati e lipidi 60 L’apporto energetico % da parte dei vari substrati durante un’attività sub massimale è il seguente: -44% glicogeno muscolare -32% trigliceridi muscolari -13% glucosio ematico -11% acidi grassi circolanti nel sangue Quindi in un’attività submassimale oltre il 75% di produzione di energia è derivante da substrati depositati, mentre meno del 25% da nutrienti circolanti. In attività con bassa intensità e lunga durata l’apporto energetico è basato soprattutto sui grassi, mentre con attività ad alta intensità e durata breve abbiamo l’apporto di energia con l’utilizzo di zuccheri. Le proteine tranne in alcune situazioni hanno tendenzialmente un basso apporto energetico nell’attività fisica. L’ossidazione generale degli acidi grassi aumenta in risposta all’esercizio e raggiunge il suo picco massimo a circa il 60% della VO2 max. Inoltre, l’ossidazione lipidica aumenta con la durata dell’esercizio caratterizzato da moderata intensità. L’esercizio incrementa lipolisi sia nel tessuto adiposo sia nei muscoli coinvolti nella contrazione. Il punto di intensità di sforzo dove è massimo il consumo di grassi è di 11km/h ma può variare in base alle caratteristiche genetiche ed al livello di allenamento dei soggetti, più un soggetto è allenato alla resistenza più i sistemi di produzione di energia tendono ad utilizzare i grassi, in quanto anche nei soggetti più magri ce né una % di deposito più alta rispetto a quella degli zuccheri. Gli zuccheri e le proteine producono 4kcal per g, mentre i lipidi addirittura 9kcal per g, il paradosso è come mai i carboidrati sono quindi preferiti ai lipidi quando vi è la necessità di avere un rapido e importante apporto energetico, pur avendo un potere calorico (4 cal/g) inferiore alla metà di quello dei grassi (9 cal/g). Questo perché i grassi, per produrre energia, necessitano di molto più ossigeno rispetto agli zuccheri (in quanto il glucosio è una molecola già ossidata): quindi l’equivalente energetico per volume d’ossigeno consumato, cioè il reale indice d’efficienza energetica, è più alto nei carboidrati rispetto ai grassi. Il fattore limitante quindi è l’ossigeno che viene consumato, ovvero la disponibilità di ossigeno per produrre energia. 61 Quindi il rapporto tra energia prodotta ed ossigeno utilizzato è molto più alto negli zuccheri rispetto ai grassi, per questo quando abbiamo bisogno di energia in breve tempo ad alta intensità si vanno a consumare gli zuccheri, mentre a minore intensità si consumano i grassi risparmiando gli zuccheri. Il quoziente respiratorio massimo è uguale a 1 quando si consumano gli zuccheri in quanto tanto ossigeno viene prodotto quanta co2 viene espulsa. Con una forte produzione di acido lattico, questo viene espulso in parte sotto forma di co2, con un quoziente respiratorio addirittura sopra ad 1. Negli sport di lunga durata la fatica insorge a causa dell’esaurimento delle scorte di glicogeno muscolare, superata la soglia di concentrazione del glicogeno muscolare la performance cala drasticamente, questo avviene negli sport di resistenza e negli sport di squadra. Quindi superata una certa soglia di glicogeno lineare la diminuzione della performance non è più lineare, ma cala drasticamente. Il glicogeno muscolare rappresenta la forma sotto il quale i carboidrati vengono immagazzinati nell’organismo, esso si trova in quantità limitata nei muscoli e nel fegato, per questo in caso di sforzi prolungati, esso possa esaurirsi, mentre ciò non accade ai lipidi, i cui depositi sono virtualmente illimitati. Per esercizi che sono molto lievi (<60% Vo2max) o molto intensi (>90% Vo2max), non si assiste ad una riduzione di glicogeno muscolare, questo perché con attività lievi si vanno ad utilizzare quasi esclusivamente i grassi per produrre energia e l'interruzione dello sforzo per fatica acuta è causata, da altri motivi come ipoglicemia, iperammoniemia, alterazione dei neurotrasmettitori cerebrali, discomfort, dolore muscolare, aumento della temperatura corporea, disidratazione. Mentre con intensità molto elevate trattandosi di sforzi molto intensi (di tipo lattacido), il glicogeno rappresenta l'unico substrato utilizzabile per la produzione glicolitica di ATP, ma l’attività è talmente breve che non c’è l’esaurimento del glicogeno, essenzialmente per l'accumulo d'acido lattico nei tessuti (acidosi metabolica). L’utilizzo di glicogeno muscolare avviene in maniera percentualmente differente nei diversi tipi di fibra muscolare (fibre lente e rapide) in relazione all’intensità dell’attività e al tipo di sport. In sport come ciclismo le riserve di glicogeno si esauriscono solo in muscoli specifici utilizzati nello sport. Ci sono delle strategie per aumentare il serbatoio di glicogeno muscolare, come l’apporto maggiore di carboidrati complessi i giorni precedenti alla gara. Infatti al di sotto di una certa soglia di livello di glicogeno muscolare si ha una diminuzione drastica della prestazione sportiva, mentre in un primo momento non si hanno grosse differenze di prestazione fisica. Bisogna quindi aumentare il serbatoio di glicogeno muscolare, per accumulare glicogeno nei giorni precedenti alla gara, andando ad aumentare la % di carboidrati a 62 partire dalla dieta mista, fino ad arrivare ad esempio al 70-80% i giorni precedenti alla gara, per andare ad accumulare carboidrati e quindi glicogeno muscolare. Per aumentare ancora di più il serbatoio di glicogeno muscolare a partire dalla dieta mista si fa attività fisica (cala quindi il livello di glicogeno muscolare), dopo l’attività non si fa un carico di carboidrati (glicogeno) immediato, ma si passa ad una dieta ipoglucidica per un breve periodo (apporto di grassi e proteine), per arrivare ad una deplezione estrema di glicogeno muscolare, a questo punto si somministra una dieta molto ricca di carboidrati per avere un aumento notevole di riserva di glicogeno muscolare. Attuando queste soluzioni ci possono essere anche delle conseguenze, infatti non è molto sopportabile da molti atleti (soprattutto a livello mentale), inoltre l’accumulo di glicogeno essendo molto idratato porta con sé molta acqua, che può essere un vantaggio avere una riserva di acqua metabolica, ma dall’altra è un muscolo ricco di acqua che potrebbe penalizzare la performance sportiva. Questo tipo di procedura per questo non è seguita da molti atleti, per questo senza arrivare a regimi dietetici estremi, che possono causare degli effetti sfavorevoli in alcuni atleti (malessere generale, disturbi digestivi, ansia, insonnia, pesantezza muscolare), per ottenere un sensibile aumento del glicogeno muscolare è sufficiente aumentare la percentuale di carboidrati (principalmente quelli complessi) sino al 70-75% della energia totale giornaliera nei tre giorni precedenti la gara prevedendo contemporaneamente dei carichi di lavoro brevi e a bassa intensità (40‟-45‟ al 35-40 % del VO2 max) I giorni precedenti alla gara, l’apporto calorico deve essere variato in base agli orari degli allenamenti e della gara, la suddivisione dell’apporto energetico va attuato valutando queste variabili. Linee guida apporto glucidico per atleti Le indicazioni per fornire un'elevata disponibilità di CHO, in riferimento alle necessità quotidiane di apporto e per il recupero, sono diverse in base al tipo di allenamento, qualità e intensità dell’allenamento, sono raccomandazioni generali che dovrebbero essere messe a punto considerando le esigenze individuali di fabbisogno energetico totale, condizioni di allenamento specifiche e feedback dalle prestazioni di allenamento. In altre occasioni, quando la qualità o l'intensità dell'esercizio è meno importante, è meno importante raggiungere tali obiettivi di assunzione di CHO o meglio organizzarli durante il giorno per ottimizzarne la disponibilità per sessioni specifiche. In questi casi, l'assunzione di carboidrati può essere scelta per soddisfare obiettivi energetici, preferenze alimentari o disponibilità di cibo. In alcune situazioni, quando l'attenzione è rivolta al miglioramento dello stimolo allenante o alla risposta adattativa, è possibile ottenere deliberatamente una bassa disponibilità di CHO riducendone l'assunzione totale o manipolandola in correlazione alle sessioni di allenamento (ad esempio, allenarsi a digiuno o intraprendere una 63 seconda sessione di esercizio senza adeguate opportunità di rifornimento dopo la prima sessione), per poi avere una quantità maggiore di sintesi del glicogeno. Quindi le linee guida per il fabbisogno glucidico giornaliero variano in base all’intensità dell’allenamento: -basso carico d’intensità (o destrezza): 3-5g al kg al giorno, -moderato carico (intensità moderata 1h al giorno): 5-7g per kg al giorno, -alto carico (endurance da 1-3h): 6-10g per kg al giorno -molto alto (impegno estremo sopra le 4-5 ore): 8-12g per kg, necessario un apporto di alimenti ricchi di carboidrati. La situazione cambia quando è necessario un apporto glucidico immediato, ovvero durante l’esercizio per garantire in tempi brevi il giusto apporto: -attività di breve durata sotto i 45 minuti: non serve l’apporto glucidico e in teoria nemmeno di idratazione. -attività ad alta intensità tra i 45’ e 75’: piccole quantità di CHO compreso lo sciacquarsi la bocca; il frequente contatto di soluzioni acquose ricche di zuccheri (di CHO) con la bocca e la cavità orale può stimolare parti del cervello e del sistema nervoso centrale per migliorare la percezione di benessere durante l’esercizio e aumentare la performance. -attività di endurance, compresi gli sport stop and go (1 h-2h30’): si assumono circa 30-60 g/h -sport di ultraendurance (>2h30‟-3h): Fino a 90 g/h, Assunzioni più elevate di CHO sono associate a migliori prestazioni. I prodotti che forniscono CHO più assimilabili (glucosio con miscele di fruttosio) sono quelli che, durante l'esercizio, raggiungono i più alti tassi di ossidazione. Lipidi Una parte dei lipidi di deposito (trigliceridi) che si accumulano nel tessuto adiposo sono necessari, quindi essenziali per la salute, la cosiddetta massa grassa essenziale. 64 Il metabolismo lipidico: avviene la lipolisi nel tessuto adiposo (Cellule adipose), vengono rilasciati gli acidi grassi liberi nel sangue ed arrivano nel muscolo dove avviene il metabolismo muscolare (con la beta ossidazione a livello mitocondriale e poi il ciclo di krebs). A stimolare il metabolismo lipidico ci sono degli ormoni come il testosterone, il cortisolo e l’ormone della crescita, mentre i fattori che inibiscono la lipolisi sono l’insulina, le prostaglandine contrastano la lipolisi, aumentando la liposintesi. I substrati energetici utilizzati nelle varie intensità di esercizio: -a bassa intensità (25% Vo2max): con buona possibilità di utilizzare ossigeno si vanno ad utilizzare gli acidi grassi liberi nel plasma risparmiando gli zuccheri -media intensità (circa 65%): si inizia ad utilizzare il glicogeno muscolare e aumentano molto i trigliceridi muscolari utilizzati. -alta intensità (85% vo2max) si aumenta ancora il glicogeno muscolare (gran parte dell’energia), ma una buona parte deriva anche da acidi grassi liberi e trigliceridi muscolari (che però diminuiscono dall’intensità media). Con l’aumento del carico aumenta soprattutto l’utilizzo di glicogeno muscolare. Per quanto riguarda i lipidi: a bassa intensità si consumano solo gli acidi grassi liberi circolanti nel plasma, a media intensità (65%) si ha il 50% di trigliceridi di deposito e 50% di acidi grassi circolanti, mentre ad alta intensità (85%) diminuisce la quota di energia ricavata dall’utilizzo dei grassi, con la quota di acidi grassi rimane pressoché invariata, mentre diminuisce di molto la quota di trigliceridi di deposito. Confrontando soggetti allenati e soggetti non allenati: l’atleta allenato ha la capacità di utilizzare una grande quantità di apporto calorico energetico da parte dei grassi in attività di alta intensità. Questo perché ha la capacità di utilizzare meccanismi energetici con piccole quantità di ossigeno permettendo di risparmiare il glicogeno che sarà utile nelle fasi finali. Alimentazione di gara Si divide in: periodo pregara (carico glicogeno ◊ razione d‟attesa), Gara (apporto calorico, idratazione) e recupero. Il pasto pregara serva a: prevenire la fame prima e durante l'esercizio, mantiene i livelli ottimali di energia per l’esercizio, il pasto pre-competizione dovrebbe essere ricco in carboidrati a basso IG, povero di grasso, e facilmente digeribile e limitare l’assunzione di fibre. L’importanza del pasto a basso ig sta nel fatto che ritarda l’insorgenza della fatica, abbassa i livelli di insulina, aumenta l’ossidazione degli acidi grassi, migliora l’omeostasi glicemica. Tra il pasto pregara e la competizione vera e propria dovrebbero passare circa 3 ore, che rischiano di essere troppe per l’atleta, questo periodo è chiamato razione d’attesa dove è opportuno fornire all’atleta una razione d’attesa idrico-glucidica, a circa 30-40 minuti dalla gara. 65 Questa previene il possibile rischio ipoglicemico e di eccessiva glicogenolisi nei primi 30-45 minuti di gara con effetto quindi di risparmio del glicogeno muscolare precedentemente accumulato, e combatte anche gli effetti dello stress pregara che potrebbe causare il rilascio di ormoni dello stress, che hanno effetto ipoglicemizzante. Si sono ormai abbandonate da molti anni le bevande a base di glucosio o saccarosio (glucosio+fruttoso) per l’effetto iperinsulinemico e quindi ipoglicemizzante che segue alla loro ingestione. Anche le composizioni a base di fruttosio, che ha assorbimento insulino-indipendente e quindi non causa come il glucosio effetti sfavorevoli sul metabolismo glucidico, sono state abbandonate sia perché hanno una ossidazione lenta e non sembrano quindi avere un effetto di risparmio sul glicogeno muscolare, sia perché in molti atleti causavano disturbi intestinali. Prima della gara infatti se assumiamo zuccheri semplici concentrati, si andrebbe incontro al fenomeno del rimbalzo ipoglicemico, ovvero si ha un rapido assorbimento di questi zuccheri con un repentino aumento della glicemia, con la conseguenza di iperproduzione di insulina (molto maggiore rispetto a quella che servireebe in base alla quantità di zuccheri introdotti) a causa della concentrazione e non della quantità con il risultato di andare incontro all’ipoglicemia. Con l’apporto di bevande miste tra zuccheri semplici (10-15%) e maltodestrine sia durante la gara sia per la razione d’attesa, si ha un miglioramento della performance: permette di avere una durata più lunga dell’attività fisica. Razione di gara L’apporto durante la competizione è indicata solo in quelle competizioni la cui durata, uguale o superiore ai 60‟, nelle quali è consigliato un apporto non solo idrico ma anche energetico con CHO (l’aggiunta di proteine in rapporto di 1:4 rispetto ai CHO sembra poter migliorare ulteriormente la prestazione). Inoltre si rende necessaria in quelle attività quali sport di combattimento, scherma, sport di squadra, ecc. in cui pur non essendoci un lavoro continuo e prolungato, gli atleti sono impegnati per diverse ore o per l’intera giornata, con necessità di combattere la disidratazione e l’insorgenza della fame, in questo caso la razione di gara può essere di tipo solido o liquido. La razione di gara solida è proponibile quasi esclusivamente nel ciclismo su strada (negli sport di endurance): deve essere suddivisa in piccole porzioni (50 grammi) a prevalente contenuto di carboidrati complessi, un piccolo apporto di quelli semplici ed anche di proteine e lipidi. La razione liquida da gara è di composizione sovrapponibile alla razione d’attesa: a base di zuccheri semplici (maltodestrine) ed eventualmente sali minerali. Si dovrebbe assumere ogni ora dai 30 ai 60 grammi di carboidrati semplici: è comunque da ricordare che l’assunzione di bevande a contenuto calorico durante l’attività fisica non induce la risintesi del glicogeno muscolare già consumato, ma ne favorisce il 66 risparmio e mette a disposizione dell’atleta un pool energetico da utilizzare nelle fasi finali o a più alta intensità della competizione. Alimentazione post gara L’alimentazione dopo la gara è fondamentale soprattutto se l’atleta deve ripetere a breve termine la prestazione (es. corsa a tappe) in quanto la velocità con cui il glicogeno muscolare si riforma è massima nelle primissime ore dopo lo sforzo fisico ed aumenta in proporzione alla quantità di zuccheri introdotti. Gli zuccheri ingeriti nelle prime 2 ore post gara (finestra post esercizio, finestra più sensibile per il reintegro energetico), portano ad una sintesi del glicogeno molto maggiore rispetto a quello che succedesse dopo 2 ore dalla fine dove la sintesi di glicogeno è minore. Si consiglia perciò di assumere (sempre sotto forma di bevanda) 50-100 g di zuccheri entro i primi 30 minuti, con ulteriori supplementi ogni due ore fino ad un totale di 500-600 g nelle prime 20 ore (8-10 g di carboidrati per kg di peso corporeo). La velocità di risintesi del glicogeno varia dal 7% nei primi 30 minuti, fino al 2% dopo due ore. La presenza di AA ramificati nella bevanda sembra influenzare positivamente l’assorbimento degli zuccheri. Timing assunzione Preesercizio Le riserve di glicogeno sono limitate e dipendono soprattutto dallo stato nutrizionale (serbatoio di glicogeno), dall’intensità e livello d’allenamento dell’atleta (buon allenamento permette di consumare più grassi). Tali riserve durante una attività da moderata ad intensa (65 – 85% VO2max) possono essere sufficienti solo da 90‟ ad un massimo di 3 ore, senza garantire un apporto superata questa soglia la performance diminuisce. L’intensità dell’esercizio, la frequenza e il lavoro effettuato diminuiscono con la caduta dei livelli di glicogeno che è associata ad un aumento del catabolismo proteico muscolare. In caso di allenamento con dieta ipoglucidica, con basso contenuto di glicogeno muscolare, tende ad aumentare il catabolismo proteico muscolare. Le massime riserve endogene di glicogeno sono raggiunte seguendo una dieta ad alto contenuto di CHO (600–1000 g o ~8–10 g/kg/d) ad alto indice glicemico. Il contenuto ottimale di CHO e PRO del pasto precompetitivo dipende da un vario numero di fattori quali la qualità, durata e intensità dell’esercizio, il livello prestativo dell’atleta, ma le linee guida raccomandano l’assunzione di 1 – 2 g CHO/kg e 0.15–0.25 g PRO/kg circa 3–4 ore prima della competizione. 67 Negli sport di potenza l’assunzione prima dell’esercizio di PRO (e AA essenziali) da soli o associati con CHO, sembra produrre un aumento dei livelli di sintesi proteica Timing Durante l’esercizio Durante l’attività la disponibilità di CHO e i livelli di glicogeno muscolare sono i fattori maggiormente determinanti nella prestazione di durata. L‟ assunzione di CHO diventa sempre più importante quando il glicogeno muscolare diminuisce con il progredire dell’esercizio. Se la durata dell’esercizio supera i 60‟ le fonti esogene di CHO diventano importanti per mantenere costante la glicemia e rallentare ulteriore caduta del glicogeno muscolare. L’assunzione può avvenire con 30-60g/h in una soluzione al 6-8% in CHO assunta, quando possibile ogni 10-15‟. Una miscela di differenti tipi di CHO ha dimostrato essere in grado di aumentare l’ossidazione muscolare di CHO da 1.0 g CHO/min a 1.2 g–1.75 g CHO/min fatto associato ad un aumento dei tempi di esecuzione dell’esercizio. Può essere utilizzata una miscela di glucosio, fruttosio, saccarosio e maltodestrine, ma non sono raccomandabili eccessive quantità di fruttosio (>10%) per la facilità di causare disturbi gastrointestinali. L’aggiunta di PRO ai CHO in rapporto di 1:3-4 ha può aumentare le prestazioni di endurance, e promuovere al massimo la glicogeno-sintesi tra successive sequenze di lavori di endurance. Timing Post esercizio L’assunzione nei primi 30 minuti di alti dosaggi di CHO (50-100g), con ulteriori supplementi ogni due ore fino ad un totale di 500-600g nelle prime 20-24 ore (8-10g CHO/ kg p.c. al giorno) può consistentemente aumentare la resintesi di glicogeno, che può essere ulteriormente migliorata dall’associazione con PRO (0.2–0.5g PRO / kg p.c. al giorno). L’ingestione entro tre ore dalla fine di allenamenti alla forza di AA (specialmente essenziali) è in grado di stimolare efficacemente la sintesi proteica che risulta ulteriormente potenziata dalla coingestione di CHO. Durante i periodi prolungati di carico di allenamento alla potenza l’assunzione di associazioni CHO-PRO a svariati dosaggi sembrerebbe efficace a stimolare miglioramenti della forza e composizione corporea. Regole alimentazione dell’atleta in età evolutiva Nell’alimentazione dell’atleta in età evolutiva è molto importante: -la varietà: delle fonti proteiche (pesce, carni, uova e latticini), dei cereali (integrali e di vario tipo) e della frutta e verdura (locale e di stagione). -il tempo: pasti frequenti (almeno 5 al giorno, soprattutto la colazione), evitare fuori pasti inutili (spizzicare di continuo sia dolci e salati) e non saltare i pranzi (soprattutto la colazione, che spesso è trascurata). -sport: non sopravvalutare il consumo calorico (soprattutto se le ore di sport sono le uniche di attività fisica, in quanto i momenti di pausa sono più lunghi delle attività 68 stesse), preferire alimenti freschi (prima e dopo lo sport meglio la frutta che le barrette) e idratarsi correttamente (ma non servono gli integratori idrosalini). Le 10 regole di un ragazzo sportivo (energia ed equilibrio a tavola) sono: -varietà dei cibi per crescere nel modo giusto -5 pasti al giorno: 3 principali + 2 -a tavola si mangia con calma, mastica bene e rilassati -bevi tutto il giorno acqua a volontà, molti liquidi. -per un pieno di energia, la prima colazione deve essere ricca. -a pranzo prima di un allenamento, bisogna fare un pasto leggere ricco di verdure e frutta, pasta con sughi leggeri. -a cena alterna carne, uova, formaggi e pesce -varia anche le merende e gli spuntini, con prodotti più leggeri. -prima di fare sport evita cibi grassi e troppo elaborati -consumare i pasti in modo regolare Da ricordare anche che la colazione deve avvenire almeno 2 ore prima dell’attività sportiva, ma non bisogna nemmeno superare le 4 ore di digiuno prima di fare attività; inoltre dopo il sonno che deve essere di 8/9 ore è necessario fare una colazione ricca e abbondante. Non servono gli integratori ma bastano aggiungere alimenti ricchi di proteine almeno 3 ore prima dell’attività sportiva. DIETA VEGANA nello sport Ci sono molti tipi di diversi di dieta vegetariana e vegana. La dieta vegana prevede di evitare il consumo di tutti i prodotti animali e i cibi derivati dagli animali. La dieta vegana è compatibile anche per atleti professionistici, non ci sono problemi di diminuzione sulla performance sportiva sul lungo periodo. Ci potrebbero essere criticità sull’apporto di vitamina B12, proteine, omega 3, ferro, zinco, calcio aumento il rischio di fratture da stress (densità ossea alterata). Richiedono quindi un apporto programmato grazie all’aiuto di nutrizionisti sportivi. Non esistono studi scientifici che affermino che la dieta vegana dia effetti benefici sulla performance sportiva di qualsiasi tipo di sport, ma prestazioni sovrapponibili ad altre diete. Quindi i nutrienti e l’energia necessaria all’atleta possono essere garantiti da una dieta vegana o vegetariana, anche se si potrebbe avere un minore apporto di ferro (i cibi vegetali hanno minore biodisponibilità di ferro). Si ha un grande apporto di antiossidanti, ma basso apporto di proteine (bassa biodisponibilità), quindi è molto importante la varietà. In conclusione sostanzialmente la dieta vegana e vegetariana non da problemi per gli sportivi, ha maggiore effetto antiossidante rispetto alla dieta onnivora, è salutare per il cuore diminuendo problemi alle coronarie, ma potrebbe essere limitata dal punto di vista di Sali minerali e vitamine, causata dalla loro bassa diodisponibilità. 69 Per quanto riguarda la performance sportiva, la dieta vegana e vegetariana è molto simile alla dieta onnivora. I cereali e legumi singolarmente contengono proteine vegetali di valore biologico medio basso la loro associazione, “complementazione proteica”, permette di ottenere un piatto ricco di proteine con valore biologico medio-alto (contiene tutti gli aminoacidi essenziali) con il vantaggio di un ridotto apporto di colesterolo e sodio LA GESTIONE DEL PESO CORPOREO La gestione del peso varia da sport a sport, in base alle caratteristiche che lo sport possiede, possiamo trovare sport dove il peso influisce per la performance ed altri dove non influisce. Esistono sport dove la massa grassa (e corporea) costituisce un ostacolo importante alla prestazione, in particolare negli sport contro gravità (salto in alto, corsa, sci di fondo). Ci sono anche sport dove la massa grassa (e corporea) potrebbe costituire un ostacolo nella prestazione, nella maggior parte dei casi costituisce un ostacolo alla prestazione, come negli sport a giudizio estetico (tuffi, pattinaggio artistico). In altri sport la massa grassa (e corporea) determina la categoria d’appartenenza, come gli sport di combattimento (pugilato, judo, karate). In altri sport la percentuale di massa grassa ha meno rilevanza sulla prestazione sportiva, dove è possibile trovare atleti professionistici con massa corporea più alta, sport di destrezza (tiro con l’arco, tiro al piattello). In altri sport ancora una elevata massa corporea, indipendentemente dalle sue componenti risulta una caratteristica vincente (sumo, alcuni ruoli football americano). Esistono diversi motivi per cui l’atleta è indotto a perdere peso: -per entrare in categorie di peso inferiori (sport di combattimento). -per motivazioni estetiche (sport da giudizio) -perché si presume che una riduzione del peso incrementi la prestazione sportiva come ad esempio negli sport contro forza di gravità. Da ricordare però è che non si può scendere sotto una certa % di massa grassa corporea, 4% nei maschi e 10% donne circa, perché è il cosiddetto grasso essenziale (costituisce le membrane e i tessuti), necessario per il buon funzionamento e sopravvivenza dell’individuo. La % di massa grassa media degli atleti è correlata al tipo di sport (6-8% maschi sport di resistenza). Perdite di peso rapido (fare il peso) È una tecnica molto diffusa negli sport dove ci sono le categorie di peso come negli sport di combattimento. Una delle prime attività per perdere peso, negli sport dove bisogna fare il peso per scendere di classe di appartenenza in maniera molto rapida, è disidratarsi, perdere i 70 liquidi, causando una maggiore densità delle urine, infatti in questi sport viene effettuata la pesata prima del primo incontro. Per questo in alcuni casi viene valutato anche lo stato di idratazione dell’atleta. Le procedure della pesata, diverse in base ai diversi sport, influenzano e condizionano molto il concetto di peso corporeo: se la misura del peso avviene molto vicino alla competizione questo può scoraggiare metodiche spinte di calo del peso ma può porre a rischio la salute degli atleti. Se si devono pesarsi molto vicini alla gara tendono ad evitare di fare delle procedure estreme di perdita del peso, in quanto queste potrebbero ritorcersi contro la prestazione sportiva, ma se queste procedure avvengono potrebbero essere dannose per la salute in quanto l’atleta potrebbe gareggiare in condizioni non ottimali (disidratazione, bilancio energetico negativo). Se invece la procedura del peso avviene relativamente lontano, tutela maggiormente la salute ma può incoraggiare procedure spinte di perdita del peso, in quanto poi ci c’è il tempo per reidratarsi e per tornare in condizioni fisiche ottimali. La riduzione del peso può essere classificata in base alle tempistiche delle metodiche: -rapida: entro 24-72 ore -moderata: da 72 ore a diverse settimane. -graduale: da diverse settimane a mesi. Queste diverse tempistiche avranno un impatto diverso poi nella salute, comunque dannose per la salute se la riduzione del peso è molto rapida. In sport dove ci sono le categorie di peso, l’età di inizio delle pratiche di perdita di peso rapida è abbastanza basso, in soggetti in età evolutiva (judo 12 anni, lotta 15 anni), quindi in soggetti in età evolutiva dove viene un accrescimento molto importante dove andrebbe garantito un apporto corretto, per questo queste procedure rischiano di essere dannose per la salute soprattutto a lungo termine dei soggetti. Alcuni studi hanno dimostrato che nel judo oltre il 90% degli atleti di 16-17 anni adotta metodi di perdita del peso rapide, ma già a 12 anni sono oltre il 50%. Per cercare di prevenire l’uso di queste metodiche sono state adottate diverse misure: pesata molto ravvicinata alla gara (per impedire problematiche legate a queste metodiche), o allontanare la pesata dalla competizione (diminuire il rischio alla salute causata da queste metodiche). Ci furono diverse proposte per prevenire l’uso di queste procedure, come ad esempio negli sport da combattimento senza presa come il karate, nelle classi più giovani la proposta era di non fare le categorie in base al peso, ma in base alla statura. Una decisione molto corretta fu presa nel salto con gli sci, dove si è notato che con il passare degli anni le misure raggiunte dall’atleta erano sempre più lunghe fino ai 250 metri (10 volte tanto i primi salti) C’è stato un aumento enorme nella prestazione nel salto, questo è dovuto all’abbassamento dell’indice di massa corporea degli atleti, che da una media di 23 si è arrivati ad una media di 19,4 negli anni 2000, sempre più magri e quindi più a 71 rischio di andare incontro a problemi della salute, andando incontro a disturbi alimentari. Per questo la federazione ha proporzionato la lunghezza dello sci (sci lungo permette di volare di più) con l’indice di massa corporea dell’atleta (più è magro, più si accorcia lo scii), in quanto la lunghezza dello sci è direttamente proporzionale alla lunghezza del salto. Questo cambiamento del regolamento ha riportato l’indice di massa corporeo a valori più alti, andando a prevenire l’uso di procedure di perdita del peso rischiose per la salute. Procedure di perdita del peso rapide La maggior parte delle procedure per la perdita del peso rapida, sono procedure potenzialmente pericolose per la salute, condizionate da un’alimentazione disturbata (saltare i pasti, digiunare, vomito, disidratazione, pillole dimagranti, lassativi, tute non traspiranti). Tutte queste pratiche possono essere dannose sia per la salute (anoressia, malesseri), ma rischia anche di diminuire la propria capacità prestativa. Ad esempio le pillole dimagranti e i lassativi sono farmaci che possono essere dopanti, possono causare anoressia, malesseri come tachicardia e convulsioni. Molti studi hanno dimostrato perplessità riguardo queste metodiche, paragonandole al doping, in quanto sostanze dopanti hanno le seguenti caratteristiche seconda la WADA: metodi o sostanze che possono mettere a rischio la salute, migliorare la propria prestazione e violare lo spirito etico dello sport. Queste procedure di perdita del peso rapido in effetti corrispondo a tutti e 3 i criteri. Questi tentativi di riduzione rapide del peso, portano ad un’alimentazione disturbata: apporto di cibo e di liquidi limitati, portano a disidratazione, diminuiscono le riserve di glicogeno muscolare e la capacità dei sistemi tampone (rimozione acido lattico). Tutte queste situazione fisiologiche ridotte quindi portano ad una diminuzione della prestazione sportiva. I disturbi del comportamento alimentare sono definiti da specifici fattori fisici e mentali, vengono divisi in 4 categorie: -anoressia nervosa: causa vari effetti fisici, come bradicardia, ipotensione ecc.. -bulimia nervosa -disturbo da alimentazione incontrollata -altri disturbi alimentari I potenziali fattori di rischio per questi disturbi alimentari sono l’età, il genere soprattutto le femmine, dieta, l’adolescenza, ed altri. Per quanto riguarda gli atleti soprattutto maschi, può andare incontro ad una situazione di deficit di energia, una bassa disponibilità di energia, causato da un apporto calorico troppo basso, per il dispendio energetico. 72 Questa situazione causa una riduzione della secrezione del testosterone, riduzione della salute ossea, problemi di performance e recupero (negli sport di endurance), depressione, diminuzione della coordinazione, ecc… Nelle donne un deficit energetico comporta la triade, inoltre aumenta il rischio di malattie ed infortuni. I possibili effetti sulla prestazione sportiva come già detto sono: -peggioramento assoluto: disidratazione, alterata termoregolazione, riduzione del volume plasmatico con aumento della viscosità ematica, disturbi della regolazione ormonale. -miglioramento relativo: vantaggio di competere in una classe di peso inferiore con avversari potenzialmente più piccoli, leggeri e meno potenti. La maggior parte degli esperti afferma che una rapida perdita di peso corrisponde ad una diminuzione della prestazione sportiva sia per sport aerobici che anaerobici, ma ci sono pochi studi certi che lo accertano. Quindi è molto probabile ma non del tutto certo che la rapida perdita di peso possa indurre ad una diminuzione della performance dell’atleta. Uno studio ha dimostrato come una perdita rapida di peso diminuisce l’eritropoiesi (produzione dei globuli rossi) ed aumenta l’emolisi (distruzione globuli rossi), ma senza significativi impatti sulla performance aerobica. Ci sono molte opinioni differenti sugli effetti che queste procedure hanno sulla performance sportiva, mentre sono abbastanza certe per gli effetti sulla salute. Gli effetti sulla salute possono essere disidratazione, che se eccesiva (perdite di peso del 5%) causa gravi danni alla salute, come perdite elettrolitiche, aumento della frequenza cardiaca, comunque fattori che possono essere risolti entro un’ora con una giusta idratazione. Altri effetti possibili sono disturbi della crescita, diminuzione formazione ossea, diminuzione metabolismo basale e la perdita di massa magra con bilancio proteico negativo, anche queste a carattere transitorio. Altrettanto transitorie e che tendono a normalizzarsi fuori dalla stagione agonistica perturbazioni nell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e del fattore di crescita insulino-simile sono stati trovati in lottatori ed alterata secrezione di progesterone associata a perdita di peso e turbe del ciclo mestruale in atlete leggere di canottaggio femminile. Estesi studi epidemiologici hanno dimostrato che soggetti che hanno attuato spesso procedure di perdita di peso rapide hanno un maggiore aumento negli anni del BMI (rispetto ad atleti che non hanno praticato queste procedure) ed al rischio di sviluppo di diabete di tipo 2 e patologie cardiovascolari. In ultima analisi vi sono delle indicazioni per evitare possibili danni alla salute: -Preparazione stagione agonistica: Sviluppare un piano a lungo termine per il peso in alta e bassa stagione agonistica, se necessario, consumare una dieta a basso consumo energetico mirata ad un massimo di 0.5 Kg di perdita di peso a settimana. 73 -Poco prima della competizione /pesata: Evitare cibi ad alto contenuto di sale che possono causare ritenzione idrica (ad esempio, alimenti trasformati come salumi, zuppe / cibi in scatola, piatti surgelati, patatine fritte, salsa di soia, sottaceti, fast food), puntare a una dieta a basso residuo e povera di fibre (ad esempio, consumare pane bianco invece di quello integrale, sbucciare frutta e verdura prima cucinare/mangiare, evitare cibi a base di semi e noci), consumare quantità adeguate di liquidi, assicurandosi che la perdita di fluidi non superi la perdita del 2% del peso corporeo e venga sostituita prima della competizione. -Strategie di rifornimento (se per aumentare di peso è stata utilizzata la restrizione di liquidi e/o energia): Laddove possibile, attendere abbastanza tempo per reidratarsi (2-4 giorni), consumare il 150% della perdita di liquidi (ad esempio, bere 1,5 litri di liquido per ogni chilogrammo di peso perso), utilizzare bevande contenenti elettroliti e carboidrati per massimizzare l’idratazione, consumare carboidrati per massimizzare le riserve di glicogeno. Triade dell’atleta femmina La triade della femmina atleta comprende 3 situazioni: -deficit energetico: introduce meno energia di quella che introduce. -diminuzione massa ossea: può portare l’osteoporosi. -disturbo del ciclo mestruale: esiste una % di massa grassa critica al di sotto del quale vi è la menorrea. Queste condizioni sono strettamente collegate tra loro. Questi fenomeni possono essere dovuti ad un disturbo dell’alimentazione, l’atleta in salute infatti ha una disponibilità energetica ottimale, salute ossea ottimale e eumenorrea; ma se viene a mancare una di queste condizioni di salute, può scatenare una reazione a catena ed andare incontro alla famosa situazione della triade. I fattori di rischio sono sport di resistenza, sport di estetica, sport con categorie di peso, sport che enfatizzano e ricompensano la magrezza, precoce specializzazione precoce nello sport e disturbi del comportamento alimentare. Bastano 5 giorni di deficit energetico per bloccare la produzione dell’ormone della crescita, anche in presenza di mestruazione il ridotto apporto di energia porta ad una riduzione della massa ossea e con maggiore rischio di fratture ossee e osteoporosi. Ci sono state anche atlete professionistiche che in seguito a questi comportamenti estremi, hanno avuto patologie come l’osteoporosi. I livelli di stress nelle ossa nell’atleta amenorroica è molto simile al livello di stress osseo nelle non atlete. Il recupero dal deficit energetico è di pochi giorni, per il recupero del normale ciclo mestruale è nel giro di qualche mese (Avviene solo se si ha avuto il recupero dal deficit energetico), mentre per il recupero della densità ossea ci vogliono addirittura degli anni. DOPING 74 In Italia la legge 376 del 2000 definisce il doping, questa legge “Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping". L’articolo 1 al comma 1 definisce che l’attività sportiva non può essere svolta l’ausilio di tecniche, metodologie o sostanze di qualsiasi natura che possano mettere in pericolo l’integrità psicofisica degli atleti. Il comma 2 afferma che costituiscono doping la somministrazione o l’assunzione di farmaci o sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche, ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche sportive. Non solo l’assunzione quindi, ma anche la somministrazione di sostanze e pratiche indicate dal comma 2 sono considerate doping. Inoltre con il comma 3 vengono equiparate alle sostanze dopanti anche le sostanze o metodiche che servono per mascherare l’utilizzo di determinate sostanze dopanti. Il comma 4 afferma che: in presenza di condizioni patologiche dell’atleta documentate e certificate dal medico, all’atleta stesso può essere prescritto uno specifico trattamento attuato secondo specifiche modalità indicate ed i dosaggi previsti dalle specifiche esigenze terapeutiche, permettendo quindi di poter partecipare alle competizioni. Storia del doping La storia del doping inizia direttamente con la nascita dello sport, quindi già in antichità si faceva uso di sostanze dopanti, come ad esempio milone da crotone, che assumeva moltissima carne e alcool. Nella storia moderna il primo morto ufficiale per doping fu Artur Linton nel 1986, per l’uso di stimolanti in dosi eccessive, quando ancora il limite fra sostanze dopanti e non dopanti ancora non era ben stabilito. Per molto tempo anche l’alcool era stato usato come sostanza dopante. Altri atleti che morirono per colpa dell’eccessivo uso di doping furono Thomas Hicks e Dorando Pietri, che svennero anche più volte durante la gara. Dal 1960 si incominciò a parlare di antidoping, contro l’uso di queste sostanze dopanti pericolose per la salute. Nel 1960 ci fu una delibera contro l’uso di sostanze dopanti nello sport attuata dal consiglio d’Europa, mentre nel 1963 prima normativa antidoping in Francia L’opinione pubblica fu molto scossa dalla morte di Thomas Simpson del 1967, che faceva il costante uso di anfetamina, che morì per arresto cardiaco durante il tour de france. In seguito alla morte di Simpson il Comitato Internazionale Olimpico decise di regolamentare e sanzionare l’eventuale utilizzo di sostanze in ambito sportivo agonistico. Nasce quindi la prima commissione medica per i test antidoping, venne quindi definito correttamente il termine doping, venne emanata una lista di sostanze dopanti 75 vietete (narcotici e stimolanti), ed iniziarono i controlli antidoping nelle olimpiadi del 1968. Nel 1972 ci fu la prima definizione di doping per consiglio d’Europa, nel 1974 ci furono i primi controlli contro gli steroidi, poi in seguito anche diuretici, ormone GH e eritropoietina. Dopo lo scandalo festina al tour de France del 1998, il CIO crea la WADA nel 1999 (world antidoping agency) che regolamenta le norme antidoping, mentre nel 2000 in Italia venne creato il comitato tecnico sanitario che comprende all’interno “la commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping del ministero della sanità” (CVD) con la legge 376 del 2000. Nel 2004 la Wada pubblica la sua prima lista proibita di sostanze dopanti proibite, e nel 2005 ci fu la prima convenzione antidoping. Nel 2012 venne emanata una legge per le procedure dell’effettuazione di controlli anti doping. Nel 2015 nacque la NADO-Italia, un’agenzia subito al di sotto della WADA rende operativa la giurisprudenza della WADA, tramite un accordo tra governa, Coni e Nas. Nel 2018 venne ricostituita e riformata la cvd che diventa svd (Sezione per la vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive). Lo scandalo Festina non fu il primo caso di doping di squadra, infatti già precedentemente esisteva il fenomeno di doping di stato, attuate da URSS e USA che costringevano i propri atleti ad assumere sostanze dopanti. Struttura sistema doping La gerarchia del sistema antidoping è: -WADA: organo internazionale, agenzia internazionale antidoping. -NADO-Italia: subito al di sotto della wada, è il braccio operativo nazione della wada. -Coni, NAS e governo: insieme alla Nado svolgono i controlli antidoping. Sito NADO La NADO è l’organo operativo in Italia. Nel sito NADO troviamo le norme sportive antidoping che sono la giurisprudenza operativa di tutto quello che è l’antidoping in Italia, all’interno delle quali troviamo il codice sportivo antidoping, il disciplinare dei controlli e dell’investigazione e per l’esenzione a fini terapeutici, infine la tabella economica. Un’altra parte del sito è quello che riguarda la lista WADA, lista delle sostanze proibite che viene pubblicata ogni anno, dove c’è scritto tutte le sostanze considerate doping, pubblicata a fine anno che entrano in vigore dal 1° gennaio. In Italia viene ripubblicata la lista nella gazzetta ufficiale tradotta in italiano, con stessa valenza. Questa lista di sostanze dopanti comprendono le sostanze e le metodiche proibite durante (Dalle 12h ore prima, fino alla fine della competizione, compresa la parte del controllo antidoping) e al di fuori della competizione. 76 Inoltre ci sono anche sostanze proibite solo in alcuni particolari sport. Un’altra sezione del sito è la procedura TUE (Esenzione a fini terapeutici), ovvero per le sostanze che devono essere assunte per condizioni patologiche specifiche, che devono essere compilate dall’atleta stesso e dal medico curante in maniera molto specifica, compresa la metodica, dopodiché viene mandata alla NADO e quindi al Coni dove viene valutata e può essere autorizzato l’uso di queste sostanze a fine terapeutico, ed in caso di controllo antidoping si è esentati. Un’altra sezione ancora è la whereabouts, che serve per tenere sotto controllo gli atleti, ovvero ci accedono determinati atleti (presenti nell’elenco RTP), che devono inserire il luogo dove si trovano ogni giorno dell’anno per poter effettuare i controlli antidoping a sorpresa, quindi devono comunicare ogni spostamento specificando anche l’orario di disponibilità di almeno un’ora durante la quale deve farsi trovare in caso di controlli antidoping. Gli atleti presenti in questo specifico elenco devono specificare quindi i loro spostamenti e gli orari nel manuale Adams. Se non si viene trovati dal controllo antidoping nel luogo indicato e nell’ora indicata per le prime due volte si ha un’ammonizione dopodiché alla terza volta si viene considerati dopanti, infatti chi si rifiuta di fare un controllo antidoping si viene considerati come positivi. Nell’elenco rtp vengono inseriti solo determinati atleti, secondo specifici criteri di inclusione che sono: -valutazione del rischio di doping. -atleti appartenenti a squadre nazionali si sport olimpici o di altri sport a livello nazionale. -Atleti che si allenano autonomamente, ma che praticano attività a livello Olimpico, Paralimpico, o di Campionato del Mondo e che possono partecipare a tali manifestazioni. -atleti che scontano un periodo di squalifica. -Atleti che erano presenti nell’elenco RTP, ritiratisi dall’attività agonistica, che hanno intenzione di tornare a competere. -Atleti inclusi nel programma dei controlli del Passaporto Biologico -Atleti non rispondenti ai criteri sopra elencati, sui quali NADO Italia ha giurisdizione e che intende sottoporre a specifici controlli antidoping anche sulla base dell’attività di intelligence. Il passaporto biologico è un altro strumento messo in atto dalla WADA che è un registro integrato al manuale adams, dove vengono registrati i parametri ematici degli atleti, registrati con determinata frequenza, e qualora vi sia una variazione anomala non fisiologica di un parametro ematico, si è sotto sorveglianza in quanto vi è una variazione sospetta di alcuni parametri, indipendentemente se si sono stati fatti controlli antidoping. 77 Un’ultima parte del sito è dedicata all’educazione, dove si trova un libro sul doping, come forma di prevenzione al doping, formazione su atleti. Sostanze proibite 2020 Lista di sostanze entrate in vigore il 1° gennaio, dove vi sono tutte le sostanze e le metodiche considerate proibite. La WADA collabora con il CIO, per emanare una lista di farmaci, sostanze e metodi proibiti che viene periodicamente aggiornata e modificata in base al progresso della ricerca scientifica ed all’introduzione sul mercato del doping di nuove sostanze di sintesi. Bisogna ricordare sempre che si gioca una partita molto impegnativa tra la volontà di sgominare il fenomeno del doping con la ricerca di metodi sempre più sofisticati per l’identificazione dell’uso delle sostanze vietate e l’illecito ricorso alla creazione di nuove molecole tanto nocive per la salute quanto difficili da rilevare ai controlli. La lista comprende: -sostanze vietate sempre (in competizione e fuori competizione) sono: le sostanze non approvate ufficialmente (farmaci in fase di sperimentazione, o quelli non presenti nella lista), in fase di sperimentazione, agenti anabolizzanti (steroidi), ormoni anabolizzanti, ormoni peptidici, ormoni di crescita, beta 2 agonisti, modulatori ormonali e metabolici, diuretici e agenti mascheranti. -metodi vietati sempre: manipolazione del sangue e dei componenti del sangue, manipolazione chimica e fisica (trasfusioni), doping genetico e cellulare. -sostanze e metodi proibiti in competizioni: stimolanti, narcotici, cannabinoidi e glucortistoidei. -sostanze dopanti in alcuni sport: beta bloccanti. Agenti anabolizzanti: sono ad esempio gli steroidi androgeni anabolizzanti, steroidi che regolano gli ormoni sessuali maschili che stimolano l’anabolismo, trasformando una molecola semplice in molecole complesse, esempio il testosterone per aumentare la massa muscolare e la crescita del tessuto osseo. Il testosterone può essere indicato per deficit della crescita ed illegalmente come agente dopante, che se assunto in quantità eccessive ha delle controindicazioni importanti: cancerogeno, modificano i caratteri sessuali (più donne gli uomini e più uomini le donne), nelle donne ha effetto virilizzante (crescita dei peli e abbassamento del tono della voce). Gli steroidi anabolizzanti sono vietati anche al di fuori delle competizioni, utilizzati soprattutto per la crescita della dimensione dei muscoli, come anche l’uso di oli da iniettare nel muscolo per aumentare la massa muscolare. Ormoni peptidici e fattori di crescita: la più famosa è l’eritropoietina (epo), che è un ormone prodotto per il 90% dal rene che stimola l’ematopoiesi che produce i globuli rossi, quindi aumentando il numero di globuli rossi, aumenta i livelli di ossigeno nei muscoli e dei tessuti aumentando i livelli dir esistenza; utilizzato come farmaco per anemie croniche. 78 L’eritropoietina aumenta anche la viscosità del sangue, impedendo un flusso scorrevole, questo può causare infarti, ipertensione, ictus, shock emolitici, quindi è molto rischioso l’utilizzo di epo per la salute. Quella più famosa negli ultimi tempi è la CERA (epo di 3° categoria) che ha un effetto molto più duraturo dell’eritropoietina, emivita più lunga. Gli ormoni della crescita (GH, somatotropina) secreto dall’adenoipofisi e promuove la sintesi proteica, l’utilizzo spropositato può produrre alterazioni importanti come malformazioni scheletriche, aumenta il rischio di malttie cardiocircolatorio, diabete. Stimolanti: sostanze a scopo di stimolare provocando euforia, diminuendo la sensazione di fatica, permettono il protrarsi dello sforzo oltre i limiti fisiologici, continuando l’attività fisica più di quanto il nostro organismo potrebbe fare. Presi in eccesso provocano gravi rischi per la salute come infarti, patologie cardiache, emorragie cerebrali, l’abuso di stimolanti causa aumento della temperatura corporea, aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa. Questi stimolanti sono ad esempio cocaina, metanfetamina. Anche la caffeina, in misura molto minore ma ugualmente efficace, è uno stimolante, è stata per alcuni anni inserita nella categoria degli stimolanti e delle sostanze dopanti. Un grave abuso di caffeina produce effetti molto simili a quelli degli stimolanti più usati. Betabloccanti: sono sostanze proibite in alcune sostanze, come in quelli di precisione, riduce la frequenza cardiaca. Queste sostanze possono provocare insufficienza cardiaca fino al blocco, broncospasmo, morte, e anche depressione, allucinazioni, convulsioni. Anche alcool e cannabis sono proibiti in determinati sport, come in quelli motoristici, in quanto distorcono la percezione e non consentono la corretta valutazione dei rischi, infatti l’atleta compie azioni che non farebbe in condizioni normali. Doping genetico: è la nuova frontiera del doping, in quanto permette di modificare direttamente il gene per stimolare ad esempio la produzione di proteine o alterazione muscolare, si modifica il dna o l’rna, si utilizza un vettore come virus (coronavirus) per modificare il codice genetico cellulare, in quanto deve alterare il dna cellulare. Cause del doping Ci sono motivazioni individuali, familiari, allenatori, società come ad esempio l’eccessiva voglia di successo, l’eccessiva valorizzazione della prestazione, influenze esterne, frequenza ed intensità gare troppe elevate, minimizzare i problemi legati alla salute. Controllo antidoping I controlli antidoping si effettuano molto spesso durante la competizione, è uguale per tutti quanti gli sport, con le stesse procedure, indipendentemente dal livello. L’ispettore antidoping vengono incaricati per fare i controlli antidoping, gli atleti vengono sorteggiati o vengono fatti controlli specifici a determinati atleti, specificati 79 da una commissione che sceglie quali competizione e a volte quali atleti da controllare. Nelle varie competizione deve essere presente una stanza con determinate caratteristiche per svolgere i controlli: un bagno, deve essere rispettata la privacy, ecc.. L’ispettore riceve una busta qualche giorno prima che deve essere sigillata ed aperta solo nel momento del controllo antidoping, dove nella busta vi è un elenco degli atleti che deve essere sorteggiato. A fine gara viene notificato che deve sottoporsi al controllo antidoping e l’ispettore non deve mai perdere di vista l’atleta ed una volta arrivato nella sala, l’atleta può selezionare il kit che preferisce, che deve essere controllato accuratamente. Vengono compilati dei moduli: uno va mandato al Coni con i dati anagrafici, mentre quello mandato al laboratorio i dati anagrafici devono essere oscurati. Si effettua il prelevamento dell’urina, che deve essere raccolta in un’unica boccetta che poi deve essere divisa in due boccette: uno controllato in un primo momento, l‘altra in caso di controanalisi. ATTIVITA’ SPORTIVA NEGLI ATLETI DIVERSAMENTE ABILI Storia dei termini/evoluzione del concetto di disabilità La parola handicap è stata una delle prime parole utilizzate per identificare le persone con disabilità, l’origine sembra essere inglese (mano nel cappello). Il termine handicap è stata sostituita in parte dal termine disabilità (disabile) che è stata criticata in quanto mette l’accento sulla disabilità invece sulla persona. Successivamente si è arrivati all’espressione diversamente abile, ma anche questa non sembra del tutto corretta. Infine si è arrivati all’espressione persone con disabilità, è stata coniata come espressione più appropriata. Per persone con disabilità si intendono persone che presentano menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possano ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri. Questa definizione è stata enunciata dalla convenzione delle nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità del 2006. Questa definizione sembra più appropriato in quanto è ampliato non solo alla singola persona, ma anche al contesto sociale ed ambientale in cui ci si torva L’organizzazione mondiale della sanità nel corso degli anni, ha istituito due classificazioni di disabilità. inizialmente l’ICIDH poi successivamente venne emanata una nuova classificazione: l’ICF. ICIDH: classificazione del 1980, ha definito alcuni termini: -menomazione: perdita o anormalità di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica. 80 -disabilità: qualsiasi limitazione o perdita della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano. -handicap: condizione di svantaggio che limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per un soggetto in relazione a sesso, età e fattori socio-culturali. Un unico tipo di menomazione può determinare più disabilità e dare luogo a diversi handicap. La disabilità dipende dall’attività da esercitare e l’handicap esprime lo svantaggio verso i normodotati. Lo stato di un individuo non è associato solo a strutture del corpo ma anche alle attività ed alla partecipazione alla vita sociale Successivamente venne rielaborato questo catalogo e venne istituito una nuova classificazione l’ICF nel 2001. Con l’ICF sono stati cambiati alcuni concetti, il quadro di riferimento e linguaggio unici per descrivere lo stato di una persona e ogni disturbo viene rapportato ad uno “stato di salute”. Inoltre sono stati sostituiti i vecchi termini con dei nuovi: -funzioni corporee: funzioni fisiologiche e psicologiche. -strutture corporee: parti anatomiche del corpo. -attività e partecipazione: l’attività è l’esecuzione di un compito o di un’azione, mentre la partecipazione è il coinvolgimento nelle situazioni di vita -fattori ambientali: sono gli elementi sociali ed ambientali che influiscono nella vita di un individuo. Vengono inclusi nel’ICF tutti gli aspetti della vita umana: -health demain (attività normali finalizzate a se stesso): vedere, udire, camminare, imparare e ricordare. -health related demain (attività attaccate alla funzione di relazione): mobilità, istruzione, partecipazione sociale I disabili vengono considerati all’interno della partecipazione e della vita sociale della società, questa è la conclusione dell’evoluzione del concetto di disabilità, dapprima vista come una persona da escludere, pero poi arrivare alla compartecipazione della persona nella società. Storia dello sport per disabili Lo sport nei disabili inizia già nel 1922 con prime esperienze di sport per alcune discipline olimpiche, ma il padre fondatore dello sport per disabili è il dottor Ludwig Gutman nel 1944, direttore di unità spinale di un ospedale inglese che ospitava i reduci di guerra in sedie a rotelle (lesioni spinali), con le prime attività strutturate documentate sui reduci della seconda guerra mondiale. Si pensò che su persone disabili l’attività sportiva ha valore più importante della riabilitazione stessa, come fosse una terapia migliore. Ci fu molto interesse riguardo questo fenomeno ed ebbe subito un gran successo. 81 Nel 1948 si fece la prima competizione, lo Stoke Mandeville games (campionato di tiro con l’arco), che venne poi seguita da altre competizioni sparse nel mondo, in altri ospedali e con altri sport. Nel 1952 gli Stoke Mandeville Games divennero internazionali, furono la prima competizione internazionale per persone con disabilità. Nel 1956 ci fu il riconoscimento del CIO con la messa in palio di una coppa. L’espansione crebbe sempre di più, sia in termini di sport, sia di diffusione, aumentarono gli sport e i partecipanti. Nel 1960 ci fu le prime para-limpiadi a Roma, in contemporanea con le olimpiadi. Successivamente nacquero ulteriori associazioni includendo più categorie di disabilità (ciechi, amputati ecc..), e crebbe anche l’interesse mediatico. Dal 1976 (prime paralimpiadi invernali) cominciarono a disputarsi le paralimpiadi in concomitanza delle olimpiadi sia invernali sia estive, mentre dal 1988 si disputano nella stessa città. Crebbero sempre di più il numero di partecipanti e di nazioni partecipanti. In alcuni casi ci sono state delle performance molto simili a normodotati, tanto che si disputano anche alcune competizioni in compresenza di soggetti normodotati. Strutture organizzative dello sport per disabili Il comitato italiano paralimpico nasce nel 2005, nasce derivando da 3 diverse federazioni. Le 3 federazioni iniziali erano: la Federazione Italiana Sport Silenziosi (FISS), la Federazione Italiana Ciechi Sportivi (FICS) e la federazione Italaina Sport Handicappati (FISHa). Queste 3 federazioni vennero poi unite in un’unica federazione: la Federazione Italiana Sport Disabili (FISD) che nel 2005 divenne comitato olimpico paralimpico. Dal 2017 venne data autonomia al CIP (comitato italiano paralimpico), ovvero venne staccato dal Coni, venne quindi istituito un ente di diritto pubblico. Il termine corretto è para-limpico: sport/discipline che viaggiano parallelamente alle discipline olimpiche. Ad oggi il comitato olimpico paralimpico riconosce 21 federazioni sportive paralimpiche, 13 discipline sportive paralimpiche, 12 enti di promozione sportive e 5 associazioni benemerite. Una delle più importanti associazioni benemerite è il movimento delle “special olympic”. Le strutture paralimpiche internazionali comprendono tutte le varie federazioni. Il ruolo dello sport nella disabilità I ruoli benefici che lo sport ha nelle persone con disabilità sono pressochè gli stessi di quelli nelle persone normodotate, amplificate molto. Tra i ruoli più importanti dello sport che può avere nelle persone con disabilità ritroviamo: -costruzione e ricostruzione dell’immagine personale del disabile 82 -inserimento e recupero della vita sociale -introduzione e reinserimento nell’ambito sportivo. Lo sport infatti ha il vantaggio di facilitare a superare quegli ostacoli sociali che per persone sedentarie sembrano impossibili da superare. Il ruolo quindi è sia da un punto di vista personale ma anche da un punto di vista sociale. I benefici dell’esercizio fisico nel singolo individuo disabile: -controllo ponderale: controllo migliore del peso-forma. -prevenzione malattie dismetaboliche e cardiovascolari -controllo patologie degenerative articolari e osteoporosi -riduzione depressione -prevenzione declino cognitivo -migliora autostima. -incremento di autonomia nelle attività quotidiane Bambini e sport Il ruolo dello sport in soggetti con disabilità divisa in fasce di età: -tra i 2 e 5 anni ha il ruolo di introdurre allo sport, e al gioco, utilizzo di ausili per la mobilità e ricercare il controllo motorio. -Tra i 6 e 9 anni è importante la conoscenza generale dello sport di base, comprensione delle regole, per i disabili gli obiettivi sono l’aumento della mobilità adattata, delle regole adattate e della resistenza. -Tra i 10 e 12 anni nel disabile l’obiettivo è lo sviluppo delle competenze generali, la comprensione delle regole del gioco, raffinare le abilità motorie e l’aumento della resistenza. -tra i 13 e 15 anni: aumenta la competizione, l’obiettivo è la scelta della attività gradita secondo le competizioni individuali. Classificazione Per quanto riguarda lo sport, le persone con disabilità vengono classificate le disabilità per far in modo che le persone possono competere in un gruppo omogeneo con disabilità simile, in modo da garantire delle competizioni equilibrate. La classificazione viene definita dal comitato paralimpico internazionale che definisce le regole della classificazione Le varie disabilità sono state classificate in 7 categorie dal CIO, con la conferenza di Seul del 2007: -amputazioni: -paresi cerebrali: definisce 8 classi con il prefisso CP, anche in base allo sport. -difficoltà visive: si dividono in B1 (totale assenza di vista), B2, B3 (meno grave) -difficoltà uditive -lesioni spinali: -handicap intellettuali -les autres: le altre disabilità non incluse nelle categorie precedenti. 83 Per le difficoltà visive insieme al CIP vi è l’associazione internazionale degli sport per ciechi che stabiliscono le classi per i non vedenti. Viene messo un prefisso, una lettera in questo caso la B e poi un dato numerico ad indicare il grado di disabilità: -B1: totale assenza di percezione della luce in entrambi gli occhi. -B2: residuo visivo non superiore a 2/60 -B3: residuo visivo tra i 2/60 e 6/60 Per quanto riguarda le paralisi cerebrali vengono suddivise in 8 classi dall’ Associazione internazionale dello sport e del divertimento per paralisi cerebrale con il prefisso CP: -CP1: tetraplegici gravi, con spasticità a tutti e 4 gli arti, costretti ad utilizzare sedia a rotelle elettriche. -CP2: 2 sottoclassi, la Classe CP 2 upper (superiore) e la Classe CP 2 lower (inferiore), a seconda di quali arti presentino il residuo funzionale più significativo. Nella Classe CP2 Upper si collocano tetraplegici gravi in cui sussista una residua funzionalità motoria degli arti superiori sufficiente a sospingere la sedia a ruote con le proprie braccia, sia pme con difficoltà; è anche possibile afferrare e lanciare un attrezzo, sia pme con visibili difficoltà nel rilascio del medesimo. Nella Classe CP 2 lower si collocano atleti tetraplegici con un residuo funzionale degli arti inferiori sufficiente a Attività sportiva negli atleti diversamente abili sospingere la sedia a ruote facendo uso degli stessi, in genere all'indietro; una dimostrazione di funzionalità di uno o entrambi gli arti inferiori sufficiente alla propulsione della sedia a ruote, pone automaticamente un atleta della classe CP2 nella CP2 lower. -CP3 -CP4 -CP5: Diplegici simmetrici o asimmetrici di media gravità, che possono necessitare di sostegni nella deambulazione, ma non necessariamente per stare semplicemente in piedi o per i lanci. -CP6: -CP7 -CP8: Diplegici, emiplegici, monoplegici e atetosici in forme lievissime; possono correre e saltare liberamente e dimostrano solo lievi difetti di coordinazione motoria. La classificazione può essere effettuata non solo sul tipo di disabilità, ma può essere effettuata la classificazione anche in sale al tipo di sport. Ad esempio la classificazione dell’atletica leggera oltre ad essere per tipologia, è anche in base al tipo di attività. Viene messo un prefisso in base al tipo di sport: -F = prove effettuate su campo (field, campo) -T = prove effettuate su pista (track, pista) -P = pentathlon 84 Viene messo anche un numero in base alla disabilità, il tipo di tipologia: -11-13: atleti ipovedenti e non vedenti; 11 e 12 gareggiano con una guida. -20: atleti con disabilità intellettiva. Atleti gareggianti su sedia a rotelle: -31-34 atleti con paralisi cerebrale o con altre condizioni che limitano la coordinazione degli arti e/o l'uso dei muscoli -51-58 atleti con lesioni alla spina dorsale, amputazioni, handicap muscolo-scheletrici, malformazioni congenite, lesioni nervose Atleti deambulanti gareggianti in posizione eretta: -35-38 atleti con paralisi cerebrale o con altre condizioni che limitano la coordinazione degli arti e/o l'uso dei muscoli -40-46: atleti con amputazioni, lesioni spinali, handicap muscolo-scheletrici, malformazioni congenite, lesioni nervose Classificazione nelle Bocce: -BC1: grave limitazione dei movimenti (arti superiori, inferiori e tronco) -BC2: limitazione intermedia dei movimenti (arti superiori, inferiori e tronco) -BC3: limitato controllo degli arti e un scarso controllo del tronco. -BC4: sclerosi multipla o spina bifida (sono in grado di prendere e lanciare la palla) La classificazione nel Ciclismo avviene anche in base al tipo di strumento utilizzato come handbike, tricicli e biciclette, si suddividono nel seguente modo: -H1/H3 (Handbike) reclinati H4 seduti -T1/T2 (Triciclo) problemi di coordinazione -C1/C5 bicicletta normale/amputati -TB (tandem) non vedenti o ipovedenti che gareggiano con guida. La difficoltà sta nel collocare gli atleti in una categoria piuttosto che in un’altra in modo che le loro abilità non portino ad un vantaggio sugli altri. Ad esempio nell’atleta amputato di arti inferiori può competere con atleti deambulanti (se usa protesi) oppure con atleti in carrozzina (se non usa protesi). Per svolgere questo compito ci sono delle commissioni di tecnici sia da medici che sono i classificatori stabilendo il grado di severità della patologia sia lo strumento che deve utilizzare per fare l’attività. Oltre alla classificazione ufficiale del CIP, i medici dello sport fanno una classificazione che è dettata dai protocolli per l’idoneità dell’attività agonistica, per la classificazione degli sport finalizzata alla valutazione medico sportiva, una classificazione di sport per i medici di sport. Questa classificazione è chiamata COCIS, divide in sei diverse classi: -amputazioniipertono e/o atassia e/o atetosi -danno neurosensoriale ( visivo,uditivo) -mielolesioni trumatica o iatrogena -danno intellettivo e relazionale (Down) 85 -les autres (le altre) Gli sport vengono suddivisi in 2 categorie: sport paralimpici e sport non paralimpici Principali quadri di disabilità, condizioni associate e raccomandazioni: Legislazione italiana / la tutela dei disabili nella pratica sportiva Nel 1993 venne emanato un decreto ministeriale pubblicato nella gazzetta ufficiale della repubblica italiana, il quale enuncia: "Determinazione dei protocolli per la concessione dell'idoneità alla pratica sportiva agonistica alle persone handicappate”. All’articolo 1 viene affermato: “Ai fini della tutela della salute, i soggetti portatori di un handicap fisico e/o psichico e/o neurosensoriale, che praticano attività sportiva agonistica, devono sottoporsi previamente al controllo della idoneità specifica allo sport che intendono svolgere o svolgono. Tale controllo deve essere ripetuto con periodicità annuale o inferiore quando ritenuto necessario dai sanitari. La qualificazione di agonista per i portatori di handicaps che praticano attività sportiva è demandata alla Federazione Italiana Sport Disabili (FISD) o agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI”. L’accertamento dell’idoneità sportiva deve essere effettuata dai medici dello sport, che può richiedere ulteriori esami, l’atleta deve presentarsi muniti di certificazione della patologia attestante l’handicap. Ai soggetti riconosciuti idonei viene rilasciato il relativo certificato di idoneità, la validità del quale permane fino alla successiva visita periodica. Il possesso di tale certificato è condizione indispensabile per il tesseramento alla FISD o agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI. Anche la guida che accompagna durante l’attività sportiva deve sottoporsi agli accertamenti. 86 Tutta una serie di normative che indicano le particolarità degli accertamenti per l’idoneità sportiva per atleti con disabilità. Le attività sportive per persone handicappate vengono suddivise in due grandi gruppi in base all'impegno muscolare e cardiorespiratorio: -Lieve-moderato (TABELLA A): visita medica con periodicità di un anno, alla quale deve aggiungersi, per i non vedenti o ipovedenti una visita specialistica oculistica con determinazione dell'acuità visiva e del campo visivo; l’elettrocardiogramma (ECG) a riposo e l’esame delle urine, ed altri esami più specifici per il singolo sport. -Elevato (TABELLA B): accertamenti con periodicità di un anno, sono: visita medica, alla quale deve aggiungersi, per i non vedenti vedenti o ipovedenti ipovedenti una visita specialistica visita specialistica oculistica con determinazione dell'acuità visiva e del campo visivo; ECG a riposo e da sforzo; spirografia; esame delle urine completo, RX dei segmenti scheletrici vicarianti negli amputati con periodicità biennale e solo se i segmenti sono direttamente coinvolti nel gesto sportivo. Nei soggetti con lesioni midollari (tetraplegici, paraplegici, con spina bifida ed altre patologie comportanti vescica neurologica), l'esame delle urine deve essere necessariamente integrato dall'esame del sedimento e dall' effettuazione di azotemia e creatininemia. Vi è una legislazione ben precisa anche per la visita di idoneità agonistica per l’attività sportiva per persone con disabilità proprio come per persone normodotate.