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MEDICINA DELLO SPORT pdf

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MEDICINA DELLO SPORT
L’IDONEITA’ SPORTIVA
L’Italia è stata una delle prime nazioni ad adottare una norma sulla tutela sanitaria
delle attività sportive, nel 1982 è entrata in vigore le norme per la tutela sanitaria
dell’attività agonistica, prevedendo una visita periodica per il controllo dell’idoneità
specifica dello sport che intendono svolgere.
Mentre nel 1983 sono entrate in vigore le norme per la tutela sanitaria dell’attività
non agonistica modificate poi nel 2013.
Nel 1987 è stata introdotta una norma per gli atleti agonistici per gli atleti diabetici.
Nel 1993 è stata emanata la prima norma dell’idoneità sportiva per soggetti
diversamente abili.
L’obiettivo primario della visita è quella di escludere la presenza di patologie o
malformazioni che controindichino l’attività agonistica.
Attività sportiva agonistica: ​Il criterio che definisce l’attività sportiva agonistica
dipende da federazione a federazione e riguarda chi accede alle fasi nazionali dei
giochi studenteschi (giochi della gioventù), inoltre vengono qualificate agonistiche
dalle varie federazioni, dal Coni e dagli enti sportivi riconosciuti.
Il criterio che definisce la qualifica di agonistica è anagrafico ed è specifico di ogni
sport, federazione o ente sportivo.
Certificato agonistico: ​Il rilascio dei certificati agonistici (pratica sportiva
agonistica) vengono rilasciati esclusivamente dal medico dello sport, specialista nella
medicina dello sport, operante nelle strutture pubbliche o in quelle private
autorizzate.
Il certificato è specifico, deve essere indicato per lo sport per cui è stata concessa
l’idoneità e quindi può essere utilizzato solo per quello specifico sport.
La legge del 1982 ha diviso gli sport in due fasce: fascia a con basso impegno
vascolare (tuffi, bocce, golf, automobilismo) necessitano di esame delle urine, visita
medica (compresa misurazione pressione arteriosa) e ECG a riposo refertato.
Gli sport di fascia hanno validità di un anno, con alcuni come bocce, golf e arco con
validità di 2 anni.
Gli sport della fascia B sono con alto impegno vascolare, gli accertamenti previsti
sono: visita medica, esame completo urine, ECG a riposo e dopo dello sforzo ed
infine la spirometria.
Per alcuni tipi di sport sono richiesti degli esami integrativi come ad esempio per
sport subacquei è richiesta la visita dall’otorino.
La spirometria è una misurazione dei volumi polmonari, esame che deriva già dai
primi secoli, si utilizzano degli spirometri a turbina, si vanno a misurare i parametri
come la capacità vitale forzata.
La capacità vitale forzata (FVC) è il volume di aria che può essere espirato con uno
sforzo massimale, dopo che il paziente ha eseguito una piena inspirazione, misurata
in litri. La FVC è una manovra fondamentale nei test di spirometria.
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La capacità polmonare totale (in inglese total lung capacity - TLC) equivale
alla quantità (volume) massima d'aria presente nei polmoni.
L’atleta può risultare idoneo con validità nella maggior parte degli sport di 1 anno, o
di tempi anche più brevi se necessita di ulteriori esami.
Se il medico dello sport risulti non idoneo, si può ricorre alla commissione regionale
d’appello, che può confermare la non idoneità o concedere l’idoneità.
La non idoneità può essere temporanea o assoluta.
Nella regione marche esiste un database pubblico, dove si può verificare se l’atleta
risulta idoneo all’attività sportiva.
Attività sportive non agonistiche: ​Le attività sportive non agonistiche sono tutte le
attività sportive che la singola federazione, gli enti sportivi riconosciuti e il coni non
considera agonistica, ad esempio prima di una certa età (12 anni nel calcio), o anche
per i giochi studenteschi che non siano nazionali.
Il certificato sportivo non agonistico non è specifico per un certo sport, nella regione
marche è richiesto anche per l’attività in palestra, quindi è generico può essere
utilizzato in tutti gli sport, ma può indicare delle limitazioni per alcune attività.
In alcuni casi dove lo sforzo cardiovascolare sia più elevato, le attività pur essendo
non agonistiche venivano paragonate ad attività sportive agonistiche come idoneità.
Il certificato non agonistico può essere rilasciato da:
-medico di medicina generale o pediatra per i propri assistiti
-medici specialisti in medicina dello sport
-medici della federazione sportiva…
La visita di idoneità sportiva può essere salvavita, infatti lo screening di massa
permette di prevenire.
Criteri di Wilson e Jungner per requisiti generali per screening di massa 1968, sono
dei criteri per gli screening di massa, per la popolazione ritenuta sana per rilevare
precocemente determinate patologie:
1. La condizione patologica deve essere un problema importante di salute.
2. Deve esistere una terapia per la condizione.
3. Devono esistere strutture per la diagnosi e trattamento.
4. Deve esistere uno stadio latente della malattia.
5. Deve esistere un test o esame per accertare la patologia nella fase latente.
6. Il test deve essere bene accetto dalla popolazione.
7. La storia naturale della malattia dovrebbe essere adeguatamente compresa.
8. Deve esistere un accordo sui protocolli terapeutici di terapia e su chi sottoporre a
trattamento.
9. Il costo totale della scoperta di un caso dovrebbe essere bilanciato economicamente
in relazione alla spesa medica nel suo
complesso.
10. Il processo di rilevamento dei casi dovrebbe essere continuo, non semplicemente
giusto un progetto "una volta e per tutti".
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L’incidenza di morte improvvisa cardiovascolare è diminuita in maniera significativa
dall’emanazione della normativa del 1982, dovuta ad un’individuazione precoce di
malattie cardiovascolari che possono portare a morte improvvisa.
In questo momento l’incidenza di morte negli atleti è più bassa delle persone non
atlete.
Quindi grazie alla normativa del 1982 con l’obbligo della visita di idoneità sportiva,
la mortalità per morte improvvisa è diminuita molto.
Questi dati dimostrano il beneficio scaturito dall’obbligo della visita medica, come
screening preventivo per la popolazione, con il rischio relativo di morte improvvisa
che è diminuito molto.
In America dove non è previsto lo screening di massa, alcuni cardiologi hanno
dichiarato che non esiste un guadagno essenziale riguardo la riduzione di morti
improvvise rispetto all’elevato costo.
Il maggior numero di morti improvvisa negli USA è causata dalla cardiomiopatia
ipertrofica, che è possibile rilevare con lo screening di massa grazie
all’elettrocardiogramma, quindi viene prevenuta in Italia con lo screening.
Gli sport in base agli adattamenti cardiaci di volume e massa cardiaca, in base alla
richiesta energetica possono essere suddivisi in:
-sport di destrezza: attività cardiovascolare è relativamente bassa, adattamenti
cardiaci caratterizzati da scarso incremento di volume e massa cardiaca si basano su
gesti neuromuscolari fini.
-sport di potenza: metabolismo anaerobico
-sport misti: andamento cardiovascolare variabile, fasi alternate di potenza e altre con
meccanismi aerobici,
-sport aerobici: sport di endurance/resistenza.
-Sport anaerobici-aerobici massimali: dove lo sforzo è massimale di entrambi i tipi.
Dal punto di vista cardiovascolare nell’atleta nei soggetti giovani il rischio è più
presente per patologie aritmiche che possono portare a morte improvvisa.
Queste patologie possono essere:
-bradicardie:
-aritmie sopraventricolari
-pre-eccitazione ventricolare
-aritmie ventricolari
-malattie da canali ionici
Esistono situazioni che vanno valutate nel corso del rilascio dell’idoneità agonistica
che sono ad esempio cardiopatie congenite e valvolari acquisite:
-pervietà del dotto arterioso: da problemi ad esempio negli sport con respiratori
esterni (sub)
-difetti interatriali:
-difetti interventricolari:
-malattia di ebstein:
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-Ostruzioni all’afflusso ventricolare sinistro: Ostruzioni isolate delle vene polmonari,
sopravalvolari (cor triatriatum e membrana sopra-valvolare mitralica) e stenosi
mitralica congenita.
-Stenosi polmonare valvolare, sotto-valvolare, dell’arteria polmonare e dei suoi rami
-Coartazione aortica
-Ostruzioni all’efflusso ventricolare sinistro:
-tetralogia di fallot
-anomalie coronariche
-malattia di kawasaki
-trasposizione dei grandi vasi
Cardiomiopatia ipertrofica
La cardiomiopatia ipertrofica è una delle maggiori cause di morte improvvisa, anche
in soggetti molto giovani, soprattutto in persone che non hanno svolto la visita di
idoneità sportiva, senza quindi uno screening di prevenzione, in quanto il primo
sintomo è proprio la morte.
La Cardiomiopatia Ipertrofica (CMPI) è una cardiopatia caratterizzata dalla presenza
di ipertrofia del ventricolo sinistro (VS) localizzata ad uno o più segmenti, o diffusa,
definita da uno spessore parietale ≥15 mm, con cavita non dilatata, in assenza d’altre
cause cardiache o sistemiche potenzialmente responsabili di tale ipertrofia.
L’atleta spesso va incontro ad una ipertrofia cardiaca fisiologica e funzionale, che
permette di ottenere le migliori performance.
L’ipertrofia fisiologica spesso però è indistinguibile da quella patologica, quindi
quando si ha questo dubbio per prima cosa va fermato l’atleta, per vedere se queste
modificazioni sono reversibili, nel giro di qualche mese si ha una regressione se
l’ipertrofia sia fisiologica, in casi estremi si può fare una biopsia per avere la certezza.
Cardiomiopatia dilatativa
La cardiomiopatia dilatativa è una patologia dove il cuore tende a dilatarsi, avendo
una differente capacità ci contrarsi, la quantità di sangue che rimane dopo una
contrazione tende ad aumentare col tempo (postsistolica).
L’efficienza cardiaca diminuisce, nella maggior parte dei casi serve il trapianto
cardiaco.
La diagnosi è difficile da distinguere in un primo momento da quella fisiologica
dovuta a sport soprattutto di endurance, che ha bisogno di avere delle gittate
cardiache (volumi di sangue per minuto) estremamente alte, che permette al muscolo
un’adeguata quantità di ossigeno.
Cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro
La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro (CMAVD) o semplicemente la
cardiomiopatia aritmogena (CMA) è una malattia del miocardio ventricolare
provocata spesso da mutazione dei geni che codificano per le proteine desmosomiali
(gene CDH2 che regola la produzione di Caderina 2 o NCaderina, una proteina che
media l’adesione tra le cellule miocardiche).
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La malattia è caratterizzata istologicamente da sostituzione fibro-adiposa del
miocardio ventricolare destro e/o che diventa un trigger per la comparsa di aritmie
ventricolari, spesso indotte dall’esercizio e talora minacciose per la vita.
Tale patologia riveste particolare importanza in ambito medicosportivo in quanto è
tra le cause più frequenti di morte improvvisa tra i giovani atleti in Italia.
la diagnosi è molto difficile da individuare, neanche con la risonanza cardiaca
magnetica, e spesso è post morte la diagnosi.
Ventricolo sinistro non compatto
Il Ventricolo sinistro non compatto (VSNC) è una cardiomiopatia caratterizzata
morfologicamente dalla presenza di uno strato di miocardio trabecolato “non
compatto” e di uno strato “compatto” di spessore inferiore alla norma.
Inizialmente non è distinguibile, poi in seguito con ecografia e risonanza magnetica è
possibile individuare.
Può causare aritmie, spesso anche mortali.
I soggetti affetti da VSNC hanno un rischio aumentato di sviluppare embolie
sistemiche, disfunzione ventricolare ed aritmie sopraventricolari e ventricolari.
Idoneità con diabete
Alcune patologie sono compatibili con l’idoneità sportiva come il diabete.
La malattia diabetica priva di complicanze invalidanti non costituisce motivo ostativo
al rilascio del certificato di idoneità fisica per la iscrizione nelle scuole di ogni ordine
e grado, per lo svolgimento di attività sportive a carattere non agonistico e per
l'accesso ai posti di lavoro pubblico e privato, salvo i casi per i quali si richiedano
specifici, particolari requisiti attitudinali.
Con una normativa del 1987 il certificato di idoneità fisica per lo svolgimento di
attività sportive agonistiche viene rilasciato previa presentazione di una certificazione
del medico diabetologo curante attestante lo stato di malattia diabetica compensata
nonché' la condizione ottimale di autocontrollo e di terapia in grado di controllarlo da
parte del soggetto diabetico.
Alcuni sport sono riconosciuti come attività sportive a rischio per un’ipotetica crisi
ipoglicemica come sport di contatto, automobilismo ecc..
Gli sport raccomandati sono gli sport aerobici, con alto impegno cardiocircolatorio, o
anche sport di squadra con fasi alternate di lavoro.
Le raccomandazioni sono:
-glicemia sotto a 90: assumere zuccheri prima dell’esercizio, ed iniziare esercizio con
glicemia sopra a 90.
-da 90 a 144: assumere zucchero e si può iniziare subito l’esercizio
-da 144 a 270: esercizio a blanda intensità.
-sopra a 270: controllare la chetonemia, se non vi è pratica di esercizio a bassa
intensità e pratica una lieve dose si insulina.
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Possiamo affermare che il modello italiano di screening degli atleti è da considerarsi
una strategia sanitaria efficiente per la prevenzione della morte improvvisa negli atleti
soddisfacendo i principali criteri di Wilson e Jungner:
1. La sicurezza dell’attività sportiva (agonistica) rappresenta un importante problema
di salute pubblica,
2. Gli atleti ancora asintomatici con un rischio di patologie cardiache sono
identificabili con alta probabilità di successo,
3. In questi soggetti una restrizione mirata dell’attività fisica ed un trattamento
farmacologico dove indicato permettono una importante riduzione del rischio,
4. L'identificazione precoce e la gestione della malattia modifica favorevolmente la
prognosi e porta a sostanziale riduzione della mortalità con un accettabile
costo/beneficio.
ATTIVITA’ FISICA E SEDENTARIETA’
L’uomo nella preistoria (homo sapiens) per caratteristiche fisiche non era un
velocista, ma dotato di grande resistenza adatto a percorrere lunghe distanze
nell’Africa preistorica per procurarsi il cibo con la raccolta e la caccia.
Nel muscolo del polpaccio le fibre a contrazione lenta sono mediamente il 60%
nell’uomo mentre solo il 15-20% nel caso di macachi o scimpanzé.
Con l’evoluzione della specie e della tecnologia, le persone sono sempre meno attive,
portando ad un aumento della massa corporea, soprattutto quella grassa, aumentando
il rischio di malattie che possono portare anche alla morte.
Il nostro organismo che è nato per correre, per muoversi e per fare attività fisica ha
anche la caratteristica di immagazzinare il cibo, sotto forma di grassi, questo perché
si doveva far fronte al poco cibo a disposizione.
Con l’evoluzione la ridotta attività fisica effettuata (non si deve più cacciare) e
l’elevato cibo a disposizione ha portato ad un aumento del peso corporeo, che può
portare a malattie metaboliche.
La sedentarietà aumenta il rischio di malattie, vi è un aumento della mortalità fino al
40 %, malattie per lo più croniche degenerative e metaboliche.
Le malattie croniche non trasmissibili sono manifestazioni patologiche non legate alla
presenza di agenti infettivi come virus o batteri, e sono caratterizzate da lunga durata
e lenta progressione. L’OMS (o WHO) ha definito quattro principali tipi di malattie
non trasmissibili:
-le malattie cardiovascolari (CVD nella letteratura inglese),
-le patologie oncologiche,
-le malattie respiratorie croniche (come la bronco pneumopatia cronica ostruttiva)
-il diabete.
Le malattie cronico degenerative costituiscono la principale causa di morte nel
mondo rappresentando il 63% di tutte le morti annuali con percentuali di incidenza in
netto aumento soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
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I quattro principali tipi di malattie non trasmissibili definiti dall’OMS (cancro,
diabete, malattie respiratorie e cardiovascolari), dopo un lungo periodo, si
concludono spesso con un esito fatale gravando sui costi della sanità pubblica e
incidendo drasticamente sulla qualità della vita.
Queste malattie hanno origine da uno stato infiammatorio cronico, per questo
possono comprendere per questo anche malattie stile di vita dipendenti (esercizio
dipendenti) come asma, celiachia, malattie autoimmuni, sindrome metaboliche,
allergie e malattie Neurodegenerative (Alzheimer, Parkinson).
Il rischio di contrarre malattie croniche aumenta notevolmente con uno stile di vita
scorretti (fumo e alimentazione) e con una scarsa attività fisica costante.
Alcuni studi hanno dimostrato come soggetti con stile di vita scorretto vanno incontro
a malattie croniche degenerative circa 10 anni prima dei soggetti che seguono un
corretto stile di vita.
Le morti annuali attribuite alla sedentarietà sono a livello delle morti attribuite al
fumo, possiamo quindi comparare il fumo alla sedentarietà.
Bisogna chiarire il concetto che non è solo l’attività fisica ad essere salutare, ma è
anche la sedentarietà ad essere dannosa.
L’attività fisica da sola non basta per vivere una vita salutare, ma deve essere
supportata da una bassa sedentarietà giornaliera.
Anche chi fa tanta attività fisica, ma per molte ore rimane seduto nell’arco del giorno
aumenta il rischio di malattie cronico degenerative.
L’OMS ha stabilito che l’attività fisica settimanale di una persona adulta deve essere
di almeno 150 minuti ad una intensità media.
Stando in piedi di media 6 ore al giorno è stato dimostrato che fa dimagrire circa 2,5
kg ogni anno.
La riduzione del rischio di mortalità associata con un’attività fisica medio-intensa è
indipendente da come l’attività viene accumulata, quindi non deve essere per forza
svolta tutta assieme, ma anche attività di pochi minuti ripetuti più volte durante il
giorno.
La giusta indicazione da dare è muoversi di più e stare meno seduti.
Attività fisica vs esercizio fisico
Si intende per attività fisica ogni movimento corporeo prodotto dai muscoli
scheletrici che comporti un dispendio energetico, incluse per esempio le attività
effettuate: lavorando, giocando, viaggiando e impegnandosi in attività ricreative
(definizione OMS 2014).
L’esercizio fisico comprende i movimenti dell’attività fisica caratterizzata dall’essere
pianificata, strutturata, ripetitiva e volta a migliorare o a mantenere uno o più aspetti
della forma fisica e della salute, attività strutturata ed organizzata.
Lo sport è un’attività fisica strutturata praticata secondo precise regole con altre
persone.
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Per classificare l’intensità dell’attività sportiva si possono utilizzare i met (multipli
del consumo metabolico a riposo, 1 met=consumo metabolico a riposo):
-Sotto ai 3 met l’attività è molto bassa, quasi sedentarietà,
-dai 3 ai 6 met l’attività motoria è moderata,
-sopra ai 6 met l’attività è intensa.
La misura oggettiva dell’intensità dell’attività sportiva viene effettuata grazie ai
cardiofrequenzimetri, smartwatch, o altri accessori.
Molto accurata è anche la misura soggettiva dell’intensità, grazie a delle scale
soggettive della fatica come la scala di borg:
-forma da 6 a 20: attività efficace da 12/13
-forma da 0 a 10: attività efficace da 4/6
L’attività efficace è quella che produce qualcosa di efficace e relativamente sicura,
fra un’attività leggere ed una molto faticosa.
Un’altra indice per misurare soggettivamente l’attività sportiva è il talk test, ovvero
quanto è difficile parlare durante un’attività sportiva, l’attività efficace è quando si
riesce a parlare, ma non con estrema semplicità.
Questa attività efficace corrisponde all’incirca al 65/75% della frequenza cardiaca
massima, corrisponde ad un’attività aerobica.
Quanta attività bisogna fare?
Per quanto riguarda i bambini e adolescenti (6-18) devono raggiugere circa 60 minuti
al giorno di attività fisica, soprattutto attività aerobica, includendo attività intensa e
almeno 3 volte a settimana includere attività che rafforzano i muscoli e la salute delle
ossa, questo perché fino ai 25 anni circa si può incrementare il nostro patrimonio di
calcio, che poi con l’avanzare dell’età si perderà inevitabilmente.
L’attività fisica nei bambini include lo sport, il gioco, attività ricreative, l’attività
fisica a scuola ecc…
Negli adulti (18-64) almeno attività fisica moderata di 150 minuti a settimana oppure
75 minuti di intensità alta, o periodi di circa 10 minuti combinati tra i due tipi.
Negli adulti senior over 65 si hanno le stesse raccomandazioni degli adulti, devono
praticare attività fisica in quanto possiede diverse raccomandazioni specifiche:
-per migliorare l’equilibrio e prevenire le cadute con almeno 3 sedute a settimana
-fare attività fisica per rafforzamento muscolare almeno 2 volte a settimane per
contrastare la sarcopenia.
-essere fisicamente attivi in base alle proprie capacità e condizioni
Anche i bambini sotto ai 6 anni devono svolgere attività fisica:
-bambini sotto ad 1 anno: stare seduti il meno possibile, occorre avere un adeguato
sonno di almeno 14 ore.
-bambini da 1 a 2 anni: 3 ore di attività a settimana, e un sonno di circa 11 ore
-bambini 3-4 anni: almeno 3 ore di attività a settimana, con almeno 1 ora di attività
moderata-alta.
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Tra i vari benefici che può portare l’attività fisica sono diminuire il rischio di cancro,
aumentare la funzione cognitiva, diminuire depressione e stress, diminuire il rischio
di cadute negli adulti, migliorare la qualità della vita e molte altre.
Nel 2017 il ministero della salute ha dato delle linee guida in linea con l’Oms, per
l’attività fisica per le differenti fasce di età, con riferimento anche a malattie
patologiche, quindi anche il contesto della famiglia, scuola e società.
Vantaggi attività fisica
Uno studio durante le olimpiadi di Tokyo del 1964 ha individuato la media di passi
giornaliera è di circa 3000-5000 passi, ed hanno individuato come obiettivo da
raggiungere 10000 passi giornalieri come attività fisica consigliata, infatti ci sarebbe
stato un sensibile guadagno di salute ed un aumento del 20% del consumo calorico
giornaliero.
Diversi studi hanno dimostrato che anche fare 5000 passi al giorno, riduce di molto il
rischio di mortalità.
Quindi il concetto è quello di aumentare l’attività fisica giornaliera, così da avere
benefici sulla qualità della vita e diminuire il rischio di mortalità.
Per avere una camminata con un’intensità moderata (almeno 3 met) serve un passo
frequente e svelto circa 110 passi al minuto.
L’attività fisica nei bambini per la gran parte della popolazione è sovrastimata (sia
per quantità che per intensità), quando invece in realtà è insufficiente.
Uno studio ha dimostrato che oltre al 50% delle madri di bambini poco attivi
ritengono invece che il bambino svolge molta attività fisica.
Questo anche perché in molti sport soprattutto di squadra, in un’ora di attività
sportiva, oltre 45 minuti sono di pausa, mentre solo 15 minuti sono effettivamente di
attività sportiva, questo causa una sovrastima dell’attività sportiva.
Negli adolescenti l’attività fisica ha un ruolo benefico nelle funzioni cognitive (salute
mentale) e qualità della vita.
Gli italiani purtroppo sono tra i meno sportivi in Europa: solo il 3% degli italiani fa
sport regolarmente ed il 60% degli italiani è completamente sedentario (rispetto al
42% della media europea).
Negli adulti tra 18 e 69 anni solo un terzo raggiunge almeno i livelli minimi
consigliati dall’Oms, un 33% è parzialmente attiva e un altro 33% è sedentaria.
La sedentarietà è più diffusa negli anziani, nei cittadini stranieri, nelle donne e nelle
persone con difficoltà economiche.
I maggiori guadagni prendendo in considerazione la salute si ottengono con il
passaggio dalla sedentarietà ad una attività fisica sotto livello consigliato, per questo
l’obiettivo primario sarà ridurre il numero di sedentari, in quanto anche con
un’attività minima di attività fisica la probabilità di contrarre delle malattie croniche
diminuisce drasticamente.
Esiste anche una piramide dell’attività sportiva, ovvero sulle attività fisiche
consigliate per avere dei benefici:
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Fra i benefici maggiori nel fare attività fisica in età adulta, riguarda la diminuzione
del rischio di malattie cardiovascolari, infatti uno dei maggiori precursori di malattie
cardiovascolari è la sedentarietà.
Un indice importante per quanto riguarda gli adulti, ci dice che chi riesce ad
effettuare almeno 40 piegamenti ha molte meno probabilità di contrarre malattie
cardiovascolari rispetto a chi ne riesce a fare solo 10.
È stato dimostrato che dietro ad ogni malattia, c’è un grosso costo che quindi
indirettamente potrebbe essere correlato alla sedentarietà.
Quindi possiamo definire un costo dell’inattività fisica indiretto, causato dal costo
della malattia, questo possiamo definirlo circa 70 miliardi di euro ogni anno.
I costi indiretti sono stimati valutando il capitale umano perso con la morbilità e la
mortalità prematura causata dalla inattività fisica, utilizzando il DALYS (Disability
Adjusted Life Years) che è un indicatore composito, usato negli studi epidemiologici,
che combina la somma degli anni di vita potenziale persi a causa di mortalità
prematura e degli anni di vita produttiva persi a causa di disabilità.
In Italia come costi assoluti siamo al 3° posto, mentre i costi causati dalla
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inattività fisica, calcolati in proporzione rispetto alla spesa sanitaria nazionale nel
2012 collocano purtroppo l’Italia al primo posto nella Unione Europea con quasi il
9%.
Ovvero quasi il 9% di quello che spendiamo per spese sanitarie, potrebbe essere
risparmiato se idealmente tutta la popolazione italiana raggiungesse i livelli minimi di
attività fisica.
Questo per far capire come una attività fisica adeguata andrebbe anche ad influire
positivamente dal punto di vista economico.
È stato dimostrato che l’attività fa bene anche nell’ambito lavorativo ed in particolare
ai dipendenti che migliorano la produttività e motivazione, nei giorni in cui si
allenavano infatti i dipendenti aumentavano in concentrazione, puntualità,
motivazione e produttività con un allenamento a basso impatto, come una camminata
a ritmo regolare o 20 minuti di pedalata costante.
Ad esempio negli stati uniti molte assicurazioni private delle aziende mettono come
costi da detrarre sulle spese sanitaria che ha per i propri assistiti le spese della
palestra, in quanto conviene dal punto di vista economico (aumento produttività,
meno spese sanitarie).
Una soluzione quindi sarebbe quella di incrementare il trasporto attivo, ad esempio
preferendo la bici o andare a piedi, alla macchina e ai mezzi pubblici.
Dal punto di visto collettivo sarebbero da preferire piste ciclabili, pedibus.
Uno studio svolto a Copenaghen ha dimostrato come ogni km percorso con la
bicicletta faceva guadagnare 0,25 dollari per la comunità, mentre ogni km percorso in
macchina equivaleva ad una perdita di 0,16 dollari per la comunità, quindi per un
totale per ogni km pedalato da un abitante faceva guadagnare alla comunità 0,41
dollari.
Altre soluzioni sono ad esempio con una retribuzione lavorativa anche per chi utilizza
la biciletta come mezzo di trasporto per andare al lavoro.
Dal 2016 in Italia venne considerato come infortunio sul lavoro in itinere anche gli
infortuni riscontrati mentre si va o si torna dal lavoro.
Anche il cammino oltre alla bici ha dei vantaggi:
-​ ​è a disposizione di tutti (equità), non richiede particolari abilità, equipaggiamento,
strutture o presenza di insegnanti.
-Potenziale maggior coinvolgimento degli uomini (a rischio vascolare più elevato)
-Bacino d’utenza potenziale illimitato
-Possibilità di parziale autogestione, ad es. addestramento di “walking leaders” non
professionisti (riduzione dei costi, aumento della spinta motivazionale dei
partecipanti).
-Vantaggi psicologici (contatto con la natura; socializzazione; autostima e
self-empowerment)
-Inserimento in un contesto più ampio di medicina preventiva
-Basso rischio di incidenti e di traumi muscoloscheletrici.
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È stato detto che per un’adeguata attività fisica (>3 met) la camminata doveva avere
una cadenza di 100/110 passi al minuto, degli studi hanno dimostrato che la velocità
di cammino che dà i maggiori benefici:
-riduzione del 23% di rischio di morte per chi camminava tra 3 e 5 km/h
-nessun morto per chi andava a 5 km/h
Quindi la velocità di marcia doveva essere almeno 3km/h.
La soluzione in conclusione è semplice, basta muoversi di più.
Salute, cambi comportamentali
La salute non è sola l’assenza di malattie o infermità, ma è uno stato completo di
benessere fisico, mentale e sociale.
Una nuova definizione di salute del 2011 afferma che la salute è intesa come capacità
di adattarsi e autogestirsi.
Ci sono molti determinanti di salute: età, sesso, fattori costituzionali, stili di vita
individuali, reti sociali e di comunità, condizioni di vita e di lavoro ed infine
condizioni ambientali, socio economiche e culturali generali.
Come per la salute anche per l’attività fisica si hanno molti determinanti, non solo
individuali ma anche collettivi e ambientali.
Non è semplici indurre un cambiamento dello stile di vita delle persone, indurre a
fare attività fisica a chi non è abituato non è semplice.
Ci sono dei fattori che possono influenzare la modifica del comportamento:
-Intrapersonali
-Interpersonali
-Organizzativi
-Socio culturali
-Legislativi
Il modello prescrittivo per l’attività fisica non è adeguato, mentre è più efficace il
modello educativo.
Gli individui, anche se adulti, mantengono un comportamento dannoso per la salute
perché non hanno ricevuto l’educazione necessaria per conoscere i rischi.
Quindi la finalità della educazione alla salute: favorire un cambiamento di
comportamento, rilevante per la salute, attraverso un’influenza sulla sfera delle
conoscenze, delle abilità e degli atteggiamenti.
Educazione alla salute: è processo di trasmissione e/o acquisizione di conoscenze e
abilità necessarie per la sopravvivenza e per il miglioramento della salute e qualità di
vita. (interviene sull’individuo)
Purtroppo il rischio è di che vengano raggiunte solo le persone già informate
sull’argomento.
I rischi del modello educativo sono: relazione autoritaria con modalità persuasiva da
parte dell’“esperto” (medico), colpevolizzazione della vittima e trasmissione di
messaggi che prevedono soluzioni individuali.
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Per migliorare i profili di attività motoria, bisogna quindi agire sulla collettività, con
un’educazione alla salute che miri ad affrontare i determinanti ambientali, sociali ed
individuali dell’inattività fisica, aumentando le azioni sostenibili attraverso una
collaborazione tra più settori a livello nazionale, regionale e locale (sistema sportivo,
educativo, ambiente e infrastrutture, luogo di lavoro, sanità pubblica e servizio
sanitario).
LA PRESCRIZIONE DELL’ATTIVITA’ FISICA
Dopo aver trattato le abitudini motorie dei soggetti, quali sono i benefici individuali e
collettivi, quali sono i fattori che la determinano, quali sono i rischi della sedentarietà,
quali sono i miglioramenti che ne derivano, passiamo alla prescrizione vera e propria
dell’attività fisica.
Con il dottor Gutmann che è stato il primo fondatore dei giochi paralimpici, ovvero
dei giochi olimpici per disabili e da allora si parla di attività fisica adattata (AFA o
APA).
Attività fisica ed esercizio fisico adattato intesi come attività a migliorare la
situazione medica già generalmente stabilizzata, è una fase in genere non
medicalizzata, dove i principali promotori sono i laureati in scienze motorie che
promuovono l’attività motoria adattata
Molte regioni hanno deliberato in materia di attività ed esercizio fisico, stabilendo
protocolli e metodi della pratica di attività motoria adattata attuati considerando le
esigenze derivanti dalle specifiche patologie.
La toscana ad esempio ha deliberato delle leggi nel 2005, ad oggi è la regione che ha
più sviluppato l’afa, ha diviso in 3 diverse tipologie di afa in base ai livelli di capacità
funzionali, viene svolta in palestre, piscine o altre sedi, l’accesso avviene tramite
medici medicina generali, medici specialisti o servizi di riabilitazione, vengono svolte
tramite laureti scienze motorie, isef o fisioterapisti.
Nelle marche nel 2015 vengono approvati diversi progetti secondo le linee guida
nazionali tra cui attività fisica adatta per pazienti over 65, con l’obiettivo di
prevenzione primaria e secondaria.
In emilia romagna viene definita attività motoria adattata tutta l’attività prescritta da
un medico specialista o medicina generale che viene somministrata da uno specialista
(laureato in scienze motorie), ed ha diviso l’attività motoria adattata in due diverse
tipologie:
-attività fisica adattata (afa): per persone affetta da patologie muscolo-scheletriche e
neuromuscolari, al termine del percorso riabilitativo classico e finalizzata al
mantenimento delle funzionalità recuperate, hanno condizioni stabilizzate.
-esercizio fisico adattato (efa): per persone affette da altre patologie croniche
(cardiovascolari, dismetaboliche, oncologiche e respiratorie), finalizzate al
miglioramento delle capacità funzionali e della qualità della vita.
Si rivolgono a due gruppi di soggetti con patologie differenti.
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Attività fisica adattata
Si intendono programmi di esercizio non sanitari (non c’è un fisioterapista ma
effettuati da laureati in scienze motorie) svolti in gruppo appositamente predisposti
per cittadini con malattie croniche muscolo-scheletriche e neuromuscolari, indirizzati
al mantenimento delle abilità motorie residue (patologie stabili) e finalizzati alla
modificazione dello stile di vita. Si tratta pertanto di una strategia di intervento
finalizzata alla promozione di un’attività fisica regolare e non di cura della malattia.
Viene prescritta dal Medico (MMG, Medici specialisti).
I Destinatari sono soggetti con esiti stabilizzati di patologie neurologiche, del sistema
muscolo scheletrico e osteoarticolare (lombalgia cronica, artrosi, Morbo di Parkinson,
fibromialgia che viene trattata solo in acqua calda termale).
La sua somministrazione avviene prevalentemente in ambiente chiuso non sanitario,
in gruppi selezionati per patologia, gruppi massimo di 15 soggetti.
I programmi di esercizio sono seguiti da laureati in scienze motorie (con laurea
magistrale LM-67 in emilia romagna) e con la supervisione di un fisioterapista del
Ssr per verificare l’adesione ai programmi precedentemente concordati e monitorare
l’attività.
Esercizio fisico adattato
Prescrizione medica di esercizio fisico (MMG, Medici dello sport, Cardiologi,
Diabetologi, e altre patologie che traggono vantaggio dall’esercizio fisico adattato)
viene descritto modo, intensità, frequenza e durata delle sedute, effettuata sulla base
di una specifica valutazione delle condizioni di salute della persona interessata.
La somministrazione degli esercizi prescritti, si svolge, in forma individuale o in
piccoli gruppi (più piccoli dell’afa), in ambito extra-sanitario presso palestre
selezionate in modo controllato e tutorato da personale laureato in scienze motorie
opportunamente formato.
Per le persone con un quadro clinico più complesso, che necessitano di un breve
periodo di attività controllata e tutorata presso la palestra del Centro di Medicina
dello sport, seguita da un laureato in scienze motorie e dal medico sportivo.
I destinatari sono: post-sindrome coronarica acuta clinicamente stabile, con o senza
infarto, con eventuale rivascolarizzazione meccanica o chirurgica (La stabilità clinica
è definita dall’assenza di ischemia residua e di instabilità elettrica e da funzione
ventricolare sinistra a riposo con FE ≥ 40%), diabete di tipo 2 diagnosticato da non
più di 5 anni (non in terapia insulinica e con BMI compreso tra 27 e 40 di età tra i 30
ed i 75 anni, glicemia a digiuno non superiore a 250 mg/dl), Obesità con BMI 30-40
e/o sindrome metabolica, trapiantati (Rene, Cuore, Polmone, Fegato).
L’attività fisica viene svolta:
1-Attività presso le palestre aderenti alla rete delle Palestre per la Promozione della
Salute in cui operano i Laureati SM con laurea magistrale LM-67 (Palestre che
Promuovono Salute per l’Attività Motoria Adattata)
2. Attività in spazi pubblici (Mappa delle opportunità presenti nel territorio)
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3. In una fase di avvio, per alcune specifiche condizioni, può essere prevista dai
protocolli operativi regionali un’attività supervisionata in ambito regionale
I requisiti che devono avere le palestre e associazioni sportive che promuovono la
salute sono:
-aderire al codice etico
-per le palestre la presenza di un laureato in scienze motorie
-per le associazioni sportive: la presenza di personale in possesso dei requisiti
regionali o nazionali in materia.
Il codice etico delle palestre prevede che l’attività si svolga per la promozione della
salute, deve prevedere l’inclusione di tutti i cittadini, vendere prodotti contro la salute
(promozione alimentazione sana), non incoraggiare l’uso di farmaci dopanti ecc..
Quindi riassumendo l’attività motoria adattata può essere prescritta nelle seguenti
modalità:
1) AFA, per persone affette da patologie muscolo-scheletriche e neuromuscolari, al
termine del percorso riabilitativo classico e finalizzata al mantenimento delle
funzionalità recuperate, destinatari: lombalgia, artrosi, fibromialgia, morbo di
parkinson, ecc..
2) EFA, per persone affette da altre patologie croniche (per esempio cardiovascolari,
dismetaboliche, oncologiche e respiratorie), finalizzato al miglioramento della
capacità funzionale e della qualità di vita
3) Sulla base di specifici protocolli regionali, i medici possono prescrivere l’Attività
Motoria Adattata agli assistiti che, per la presenza di fattori di rischio o patologie
croniche definite, possono trarre giovamento dall’adozione di uno stile di vita attivo. I
protocolli operativi regionali orientano la prescrizione e definiscono i criteri di invio
ad un eventuale “secondo livello” presso i centri di Medicina dello Sport o presso i
servizi di Riabilitazione.
Trapiantati e sport
L’esercizio fisico adattata rivolto a soggetti trapiantati come a soggetti affetti da
diabete o malattie cardiovascolari, hanno una risposta molto significativa dall’attività
sportiva.
I trapiantati presentano un aumento del peso corporeo principalmente dovuto a:
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1. Terapia immunosoppressiva che altera il metabolismo, interferisce con il
metabolismo lipidico tendendo ad aumentare l’obesità.
2. Aumento dell’appetito dovuto al miglioramento delle condizioni fisiche.
I trapiantati di organo solido presentano un aumentato rischio di malattie metaboliche
e cardiovascolari che incidono sulla probabilità di mortalità e morbilità.
La terapia immunosoppressiva può comportare effetti collaterali come osteoporosi,
sarcopenia e aumento di peso.
I pazienti che giungono al trapianto solitamente sono fisicamente inattivi o con livelli
molto bassi di esercizio fisico, infatti è necessario degli interventi prima
dell’intervento chirurgico, in quanto in soggetti attivi minore sarà il tempo di
recupero, minore la presenza di effetti collaterali dell’intervento, minore saranno
rischi operatori.
Quindi molto importante è preparare all’intervento chirurgico con l’attività fisica.
L’esercizio fisico migliora quindi la qualità della vita delle persone trapiantate, gli
obiettivi da ricercare con l’attività fisica sono:
-diminuzione massa grassa
-miglioramento forza muscolare arti inferiori
-miglioramento del metabolismo aerobio e dell’efficacia del sistema cardiovascolare
-stabilità della creatina
-miglioramento della qualità della vita.
Il protocollo di ricerca definisce un modello di assistenza sanitaria post trapianto
applicabile in Italia, dove l’esercizio fisico mira a diventare una prescrizione medica
per tutti i pazienti trapiantati.
Si hanno vantaggi economici in quanto il follow up post trapianto è più veloce, i
pazienti tornano al lavoro prima, quindi anche un importante impatto economico.
Il centro trapianti invia i soggetti che possono fare attività fisica al centro di medicina
sportiva che effettua dei protocolli specifici per la valutazione.
Esistono dei protocolli specifici per l’esercizio fisico adattato per i soggetti
trapiantati:
-inizialmente valutazione composizione corporea: plicometria, si valutano peso,
altezza, circonferenza addominale, uso di plicometria.
-valutazione della funzionalità aerobica con test incrementali: test del lattato al
cicloergometro (aumento costante della potenza, con la cadenza che deve rimanere
costante e si misura il lattato). Protocollo balke ware (si aumenta prima la velocità del
tapiroulant e poi la pendenza).
-valutazione della funzionalità aerobica con test costante a carico costante sub
massimale: 6 minuti walking test, test su tappeto rotante.
-valutazione della forza muscolare: handgrip, valutazione forza segmentaria
Nella valutazione della prescrizione dell’attività fisica la FC non deve mai superare la
frequenza indicata per l’allenamento, sempre test submassimali, usando la scala di
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borg tenersi tra i 12-14° della scala di borg, fatica presente ma non importante, quindi
circa al 70% di FCmax.
Test 1km su tappeto rotante
Un test di valutazione dopo un certo periodo di allenamento è un test del cammino a
carico sostante sul nastro trasportatore, dove si aumenta la velocità fino ad arrivare
alla velocità pari ad un livello di 11-13 della scala di borg, a questo punto si
cronometra il tempo di percorrenza per percorrere 1km, misurando sempre la
velocità, la fc e anche la scala di borg del soggetto, il test deve essere fatto con
velocità variabile, ma con sensazioni soggettive costanti, lo sforzo soggettivo deve
essere costante
Il test permette di stimare anche il vo2max, per valutare la massima capacità
aerobica,
6 minuti walking test
il 6 minuti walking test è più semplice da effettuare, si invita il soggetto a percorrere
il più possibile per 6 minuti (il soggetto può correre, camminare, fermarsi) e vedere la
distanza percorsa in 6 minuti, infine è possibile calcolare anche la velocità media del
test per valutare il grado di performance del soggetto.
SBBP
Un altro test importante soprattutto per soggetti più anziani è il sppb (short phisical
performance battery), dove ci sono molti parametri da rilevare (test equilibrio statico,
dinamico, test della marcia, test della sedia) dove si assegnano dei punteggi che
permettono di valutare le varie capacità del soggetto.
Questo test ci da alcune informazioni sulle capacità di equilibrio, autosufficienza
della persona.
Il punteggio totale va da 0 a 12, dove da 4 a 9 i soggetti sono autonomi con
performance fisica ridotta quindi fragili e a rischio, sopra a 10 soggetti con buona
performance fisica.
Handgrip test
L’handgrip test valuta la forza isometrica della mano che rappresenta un risultato
piuttosto attendibile della forza generale dell’individuo.
Si svolgono più prove e si prende il risultato medio.
Test di forza
Test di forza in palestra dove si calcola il massimale del soggetto indirettamente, con
l’esecuzione da 5 a 9 ripetizioni, e seguendo poi la formula di brzinsky o tabella.
Con un lavoro sub massimale, si riesce a trovare la forza massimale, indirettamente,
con macchinari da palestra come leg press, chest press.
Questi test quindi ci permettono di trovare il massimale indiretto, con un lavoro sub
massimale, in modo poi da poter basare i protocolli di allenamento sul livello
massimale teorizzato.
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Per alcune specifiche patologie, in determinate condizioni del soggetto è richiesto in
avvio un periodo nella palestra nel centro di medicina dello sport con un laureato in
scienze motorie, dove vengono registrati tutti i dati (dati dell’attività, FC, glicemia).
L’intervento motorio deve essere modulato sui livelli di partenza dei soggetti, sul
grado di fitness (prendendo in considerazione ad esempio la velocità di cammino), e
verificare dopo un certo periodo di tempo l’evoluzione.
Protocolli esercizio fisico per miglioramento funzione cardiocircolatoria
L’esercizio fisico per il miglioramento della funzionalità cardiocircolatoria:
-attività che coinvolgono grandi masse muscolari, in modo continuo e ciclico, con ad
esempio camminata, corsa, ciclismo; mentre con un possesso di maggiore tecnica
sono nuoto, ballo, pattinaggio.
-la frequenza deve essere quotidiana se possibile, almeno 4 volte a settimana, varia a
seconda del soggetto, in fase di avvio con soggetti sedentari anche 2 volte a
settimana.
-l’intensità deve essere intorno a 12-14 della scala di borg (intensità che allena il
soggetto senza grossi rischi), corrispondente a 70-80% della frequenza cardiaca
massima, in soggetti sedentari che non riescono nella fase iniziale si può tenere
un’intensità minore.
-la durata deve essere circa 30-60 min per seduta, si possono anche fare sedute più
corte e ripetibili durante la giornata (10 minuti), non è fondamentale che l’attività
fisica deve essere fatta tutta di continuo, ma anche piccole sedute ripetute durante la
giornata.
-il volume deve essere di circa 20 met l’ora a settimana, varia dai soggetti.
-l’intensità deve essere aumentata progressivamente in relazione all’attività svolta,
aumentare in maniera progressiva intensità, durata e frequenza.
L’attività può essere svolta con supervisione nella palestra, o anche svolta senza
supervisione, in autonomia in casa o all’aperto, registrando il lavoro per tenere conto
dei progressi.
Molto importante è anche la qualità della vita che si può valutare ad esempio con il
test sf36, è un’importante indice che permette valutare anche l’impatto dell’attività
fisica sulla qualità della vita.
Trapianto e sport professionistico
Anche il fatto di essere stati sottoposti a trapianto solido, non ha impedito il continuo
dell’attività agonistica professionistica, ci sono diversi esempi di sportivi
professionistici che dopo un trapianto sono riusciti a continuare la loro attività ad un
livello molto vicino a quello precedente.
Per quanto riguarda le attività aerobiche i risultati sono molto simili a quelli
pre-trapianto, comunque migliorabili con l’allenamento.
Protocollo Hiit-prescrizione esercizio fisico adattato
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Per la prescrizione dell’esercizio fisico un’alternativa ad il lavoro aerobico (intensità
media) è stato proposto il protocollo hiit (high intensity interval training) che è un
protocollo più intensivo.
Il protocollo HIIT è stato introdotto nel 1996 dal dottor Tabata, strutturato in maniera
più specifica di quello che già esisteva sull’attività ad intervalli.
Di metodi ad intervalli ne esistono di diversi tipi in base all’intensità, della durata, del
recupero e della frequenza, che agiscono in maniera differente poi sul muscolo,
sull’apparato cardiovascolare e sull’aspetto metabolico.
Il metodo HIIT interviene sia sul muscolo (aumento del numero di mitocondri), sul
sistema cardiovascolare e sul metabolismo, aumentando quindi l’efficienza sportiva.
Il metodo HIIT favorisce il recupero del calcio nel muscolo (contrazione muscolare
più rapida, aumenta la capacità di lavoro), migliora le attività del mitocondrio
(ossidative), migliora l’attività del glut 4 (collegato al trasporto del glucosio),
diminuisce la tensione a cui il cuore è sottoposto e l’irroramento muscolare.
Deve essere verificato che il protocollo HIIT nei soggetti con patologie
cardiometaboliche sia tollerabile ed abbia un effetto efficacie, rispetto ai tradizionali
protocolli di prescrizione dell’esercizio fisico.
Il protocollo HIIT su soggetti che hanno difficoltà a svolgere un’attività fisica
prolungata, può essere una valida alternativa in quanto permette di raggiungere livelli
simili in breve tempo se l’attività è tollerabile.
Anche nei soggetti cardiopatici il protocollo HIIT aerobico è molto efficace
aumentando il picco massimo di Vo2 max.
HIIT e l’allenamento a moderata intensità inducono modifiche cardiache metaboliche
e funzionali simili, sebbene la risposta vascolare iperemica risulta diminuita nell’hiit
e questo dato deve essere preso in considerazione nella prescrizione di un HIIT
estremamente intenso in soggetti ancora non ben allenati, quindi è un esercizio
proponibile in partenza, ma solo dopo un periodo di attività.
In soggetti con scompensi cardiaci, un’alta intensità può essere un fattore importante
per invertire il rimodellamento cardiaco (il rimodellamento cardiaco è un dato
collegato al progredire della patologia), quindi una maggiore intensità corrisponde ad
un minore rimodellamento cardiaco, questo fa si che aumenti la capacità aerobica ed
aumenta la qualità della vita in soggetti post infarto, con risultati migliori rispetto a
quelli basati su una bassa o moderata intensità dell’esercizio.
Ha un effetto di aumentare la capacità sub massimale dell’esercizio.
Quindi in conclusione l’intervento HIIT può essere parte integrante della
riabilitazione cardiaca, perché è stata evidenziata una sicurezza a lungo termine e
della sua efficacia nella riabilitazione cardiaca.
Anche in soggetti diabetici (diabete 2), il protocollo HIIT può migliorare il controllo
del glucosio e migliorare gli adattamenti muscolari che sono collegati ad un
miglioramento della salute metabolica di soggetti affetti da diabete di tipo 2.
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Un allenamento ad intervalli ad alta intensità permette di avere dei risultati in meno
tempo, sempre se siano tollerabili dai soggetti, ha grossi benefici per soggetti affetti
da patologie cardiache, migliora il controllo metabolico, si ha un miglioramento più
importante della capacità aerobica rispetto al metodo a lungo periodo, aumenta il
picco di vo2max.
È stato proposto anche a bambini effetti da obesità, con un periodo di 12 settimane
con protocollo HIIT, hanno causato un miglioramento della capacità aerobica e
diminuita la massa grassa.
La letteratura scientifica ha dimostrato che l’HIIT (con protocolli specifici adattati
all’età ed alla eventuale condizione patologica) hanno, per la maggior parte degli
outcam e quindi risultati di funzione cardiovascolare e metabolica efficacia almeno
simile o superiori agli altri protocolli con il vantaggio di richiedere minori periodi di
allenamento alla settimana, sempre se è sopportato dai soggetti, anche a con tempo di
¼ rispetto a quello a lungo termine.
L’HIIT (sempre con protocolli specifici adattati all’età ed alla eventuale condizione
patologica) sembra non avere una maggiore incidenza di eventi avversi, soprattutto se
rivolto a gruppi selezionati. Diversi lavori dimostrano che è ben accetto dai pazienti
(anche per il minor tempo necessario a raggiungere analoghi risultati). Rimane senza
dubbio l’attuale difficoltà, anche per aspetti medico-legali (aumentando l’intensità si
alza il rischio di alcune patologie avverse), di proporlo come protocollo standard di
prescrizione dell’esercizio fisico.
L’attività fisica potrebbe anche essere paragonato ad un vaccino ovvero come oggetto
di prevenzione primaria, diminuendo il rischio di contrarre malattie cardiovascolari,
metaboliche e oncologiche.
L’attività fisica è anche utile come prevenzione secondaria, come un farmaco quando
le patologie sono già accadute (deve essere adattato ad ogni singolo individuo), con lo
scopo di ridurre gli effetti negativi e migliorare e potenziare la funzione residua
dell’organo che è stato colpito dalla patologia per cercare di ritornare ad una
situazione fisiologico prima della patologia.
ASPETTI MEDICO SPORTIVI DELL’EFFICIENZA FISIOLOGICA DEGLI ANZIANI
I gruppi maggiormente interessati alla prescrizione dell’esercizio fisico
sostanzialmente hanno un’età media-avanzata, in quanto sono patologie croniche
come cardiovascolari e metaboliche che anche se la comparsa è diventata più
precoce, una grande parte di questi soggetti è in età avanzata.
In Italia infatti è uno dei paesi con maggiore aspettativa di vita, questo rende la
popolazione molto più vecchia (età media molto alta), con la piramide dell’età che ci
dimostra che la popolazione anziana sembra essere la più presente.
Questo perché migliorano le qualità della vita, migliorano le cure mediche.
Dal punto di vista anagrafico gli anziani possono essere suddivisi in:
-anziani giovani: 65-74 anni
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-anziani medi: 75-84 anni
-anziani vecchi: più di 85 anni
Possiamo suddividere gli anziani in base alle capacità funzionali, indipendentemente
dall’età:
-anziani giovani: vivono in modo indipendente senza alcuna limitazione.
-anziani medi: necessitano di alcuni aiuti nell’attività quotidiane.
-anziani vecchi: sono completamenti dipendenti da altri per tutte le attività quotidiane
o necessitano di ricovero in residenze assistite.
Nelle fasi finali della vita si ha una tipica aspettativa di 8-10 anni di parziale disabilità
ed almeno uno di totale dipendenza, questo è dovuto all’innalzamento dell’aspettativa
di vita media, aumento del numero di soggetti anziani.
In Medicina dello Sport si può definire anziano sano, il soggetto che non ha patologie
che impediscano la partecipazione ad un programma di allenamento o patologie che
possono essere in qualche modo aggravate dalla attività fisica.
Qualche patologia è fisiologico che ci sia, ma un anziano sale non ha patologie che
posso impedire l’attività fisica.
Gli effetti fisiologici legati all’invecchiamento sul nostro organismo sono:
-la fc a risposo diminuisce leggermente
-diminuisce fortemente la fc max
-diminuisce la gittata cardiaca massima
-aumenta la pressione a riposo e durante l’attività
-diminuisce vo2max
-diminuiscono parametri respiratori
-tempi di reazione più lenti
-diminuisce forza muscolare
-diminuisce la flessibilità
-aumenta massa grassa
-aumenta il volume residuo
-diminuisce la massa ossea
Gli effetti fisiologici dell’invecchiamento possono essere rallentati da una corretta
attività fisica che permette anche di prevenire la comparsa di malattie o di
comorbilità.
Gli effetti positivi che può avere una corretta attività fisica sono:
-prevenzione malattie croniche degenerative e riduzione del rischio di riscontrarle, e
quando presenti della diminuzione della morbilità e mortalità che queste patologie
comportino.
-benefici dello stato funzionale: mantenimento forza muscolare, miglioramento
funzioni cognitive, miglioramento qualità della vita, incremento densità ossea.
-benefici psicologici: minore ansia, depressione e stress.
-benefici sociali: coinvolgimento sociale, un anziano sano può portare benefici
economici alla società.
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In seguito ad una diminuzione di molti parametri funzionali dell’organismo è
correlata anche una normale diminuzione della performance sportiva.
In un’attività anaerobica alattacida come i 100m dove l’unico substrato utilizzato
sono i fosfageni muscolari, vediamo una diminuzione della performance con
l’invecchiamento, come per tutti gli altri sport c’è un calo drastico della performance.
Nella maratona fino a 45 anni vediamo che i tempi di percorrenza sono costanti per
tutte le fasce di età, dopodiché la prestazione cala drasticamente; nelle grandi
maratone con l’andare nel tempo è aumentato di molto il numero di atleti dopo una
certa età.
I cambiamenti legati all’età negli atleti runner master che causano una diminuzione
della performance sono: sostanzialmente il rendimento per km (economia di corsa, il
consumo per km è costante) è molto simile aumentando l’età, parametri
cardiovascolari (fcmax minore, vo2max minore, mentre il vo2 aumenta nello sforzo
submassimale), la falcata è più corta (diminuzione escursione ginocchio e anca),
fattori biomeccanici (diminuisce elasticità tendinea, diminuisce il polpaccio,
diminuisce la propulsione).
La popolazione sportiva master può essere di diversi tipi:
-atleti da sempre praticanti a buon o alto livello che continuano a praticare lo stesso
sport a livello simile o poco inferiore.
-atleti da sempre completamente o semi sedentari che ad una certa età (40 anni in poi)
iniziano a praticare con estrema dedizione uno sport a forte caratterizzazione
agonistica (soprattutto sport di resistenza come ciclismo e podismo)
-sportivi non agonistici che praticano attività di fitness per migliorare il benessere
fisico, senza fattori agonistici di competizione.
La Vo2max ha il picco massimo intorno ai 20 anni, dopodiché ha una diminuzione
normale, questa diminuzione del Vo2max è minore in caso di soggetti che hanno
continuato ad allenarsi in maniera assidua rispetto a chi hanno diminuito la loro
attività e chi ha smesso del tutto (sedentari), nei quali cala drasticamente il livello di
vo2max.
Anche negli agonisti vi sono principalmente due gruppi: l’“agonista anziano” e l’
“anziano agonista” cioè atleti che continuano ad alti livelli dopo una lunga carriera ed
altri che hanno iniziato l’attività agonistica tardivamente.
Adattamenti cardiovascolari atleti master:
Negli atleti master da sempre praticanti attività di resistenza ad alti livelli si
verificano abitualmente gli stessi adattamenti cardiocircolatori riscontrabili negli
atleti più giovani.
Gli adattamenti fisiologici dell’apparato cardiovascolare negli atleti master
(principalmente sport di resistenza) sono:
-​bradicardia a riposo e relativa sotto sforzo (fc max diminuisce)
-fc max superiore a quella prevedibile per quella età (rispetto a quella teorica)
-aumento del volume cardiaco (aumento dimensioni ventricoli, atri e spessore pareti)
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-aumento soglia anaerobica
-aumento utilizzo tissutale dell’ossigeno
La Cardiopatia ischemica è una delle patologie più frequenti negli atleti master, è una
delle cause più frequenti di problemi collegata all’attività fisica e che può portare alla
morte, è una delle patologie più frequenti con l’avanzare dell’età.
L’esercizio fisico in media e tarda età pur essendo un potente fattore preventivo non
cancella un passato di vita sedentaria e di cattive abitudini alimentari o di fumo di
sigaretta, tenendo altresì presente che la componente genetica gioca spesso un ruolo
fondamentale.
Soprattutto negli atleti che hanno intrapreso tardivamente, anche se con estremo
impegno, l’attività sportiva, l’euforia del ritrovato benessere fisico può
frequentemente determinare quello stato mentale definito come “sindrome di
highlander o dell’immortalità”, ovvero si creano sia la convinzione che l’esercizio
fisico possa preservare da qualsiasi stato patologico, sia la tendenza a minimizzare
sintomi e fattori di rischio pregressi o attuali, quindi soggetti che tendono a
sovrastimare gli effetti benefici dell’attività fisica, e invece a sottostimare eventuali
segnali del fisico.
In ultimo si è evidenziato che con l’età aumenta la sensibilità e il numero dei recettori
per gli oppioidi endogeni (endorfine) con una conseguente elevazione della soglia del
dolore in genere e quello ischemico nello specifico. Tale fenomeno è amplificato dal
fatto che l’esercizio fisico prolungato comporta un sensibile aumento della secrezione
endorfinica, si tende ad esagerare con l’intensità, la qualità e la frequenza
dell’esercizio fisico.
Parametri di efficienza fisica coinvolti con l’invecchiamento
I parametri di efficienza fisica coinvolti nell’invecchiamento:
-massa e forza muscolare
-invecchiamento tessuto osseo
-flessibilità ed equilibrio
-capacità e potenza aerobica
-funzione cardiovascolare e polmonare
-tessuto nervoso
-composizione corporea.
-funzioni cerebrali
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Massa e forza muscolare
Principalmente con l’invecchiamento possiamo notare:
-modifiche della massa muscolare con l’età:
-modifiche della performance con l’età
Una diminuzione della forza muscolare è in diretta relazione alla diminuzione della
potenza anerobica del muscolo ed è principalmente di 2 tipi:
-​qualitativa: perdita efficienza dei meccanismi neuromuscolari, bioenergetici,
ormonali ed enzimatici, della composizione e del reclutamento delle fibre muscolari.
-quantitativa: perdita della massa muscolare
Il picco di massa muscolare massimo tra i 30 e 40 anni, e con l’avanzare dell’età si
andrà incontro alla sarcopenia, ovvero della perdita della massa muscolare,
diminuisce il numero di fibre, soprattutto le fibre veloci (il calo di performance è
maggiore negli sport anaerobici); inoltre diminuisce la capacità neuromuscolare di
reclutamento e di sincronizzazione delle fibre muscolari.
La perdita di massa muscolare viene sostituita da massa grassa (tessuto adiposo).
La sarcopenia è causata da diversi fattori negativi come fattori ormonali, dallo stile di
vita sedentario e da stati infiammatori, di malattie e gli infortuni.
Mentre i fattori che rallentano il processo di sarcopenia sono: l’efficacia degli ormoni
come insulina e ormone della crescita, un giusto apporto di proteine e vitamina D,
infine con un’adeguata attività fisica.
La sarcopenia quindi è la perdita fisiologica della massa muscolare e di forza dovuta
all’invecchiamento, la fibra muscolare viene sostituita in gran parte da tessuto
adiposo.
Si perde all’incirca il 40-50% della massa muscolare dai 20 ai 90 anni.
La massa muscolare e la forza vengono anche influenzate dallo stile adottato in età
precoce, quindi è importante fare attività fisica precocemente e costantemente.
L’attività fisica iniziata in età precoce e mantenuta costante con l’avanzare dell’età
limita la perdita di massa muscolare, diminuendo il processo di sarcopenia.
Le modifiche della fibra muscolare che possiamo osservare con l’invecchiamento
sono:
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-dimensione del volume delle fibre (atrofia)
-numero delle fibre muscolari
Atrofia: ​diminuzione del volume delle fibre, soprattutto di fibre veloci dovute
all’invecchiamento, mentre le fibre di tipo 1 (lente) subiscono delle piccole
modifiche.
Anche il numero delle fibre diminuisce con l’invecchiamento, soprattutto il numero
di fibre veloci diminuiscono molto dopo i 40 anni, mentre aumenta il numero di fibre
lente che sostituiscono quelle veloci.
Una diminuzione della massa muscolare si traduce anche in una riduzione della forza
muscolare.
La perdita di massa e la minore efficacia degli enzimi muscolari si traducono in un
calo del picco di forza isocinetica, della massima velocità di estensione e del massimo
sforzo isometrico che, ancora conservato a 45 anni, decresce del 25% a 65 anni, del
35% a 70 anni, mentre nelle decadi successive la perdita di forza risulta ancora più
marcata ed accelerata.
Questo si ripercuote soprattutto nella vita quotidiana.
Anche per la forza muscolare in soggetti allenati la forza tende a mantenere le
capacità stesse, mentre in soggetti non allenati cala drasticamente.
La potenza (forza x velocità) con l’invecchiamento si riduce molto più della forza,
questo perché mentre la forza è legata principalmente alla massa muscolare, la
potenza è collegata non solo alla massa muscolare, ma anche al reclutamento delle
fibre e alla velocità di reclutamento che sono fattori che si perdono più precocemente
della massa muscolare.
I fattori responsabili delle modifiche della massa e funzione muscolare collegate
all’invecchiamento sono:
-età collegati come: lo status ormonale, fattori neurali e status infiammatorio.
-fattori comportamentali: atrofia da sedentarietà, introduzione proteico e calorico.
Il metabolismo muscolare con l’invecchiamento porta ad una diminuzione
dell’attività enzimatica ossidativa e dei valori del calcio che porta ad una minore
efficienza della contrazione muscolare.
Apparato cardiovascolare
anche il cuore è formato dal muscolo, dal miocardio che è un muscolo specifico,
quindi inevitabilmente andrà incontro a problemi di tessuto.
Per quanto riguarda la struttura del cuore, possiamo osservare:
-aumento dimensioni dell’atrio sinistro e dello spesso ventricolare sinistro, questo
perché aumenta la pressione e aumenta la resistenza dei vasi al flusso sanguigno,
quindi il cuore è costretto ad un sovraccarico per una corretta portata cardiaca,
causando un’ipertrofia.
-Diminuisce il numero di miociti (Cellule cardiache): si ha un aumento delle
dimensioni di quelle che rimangano.
-aumenta il tessuto adiposo
26
-produzione alterata di proteine contrattile e regolatrici sia quantitativamente sia
qualitativamente
-fibrosi dei tessuti di connessione causando problemi di aritmie (bradicardia)
Per quanto riguarda la funzione del cuore:
-diminuisce la distensibilità del ventricolo sinistro
• ↑ contributo atriale riempimento VS
• ↓ efficienza formazione e conduzione impulso
• ↓ risposta agli stimoli β-adrenergici
- ↓ contrattilità
- ↓ frequenza cardiaca massima sotto sforzo
• ↓ la gittata cardiaca massimale mentre gittata cardiaca a riposo rimane invariata
Per quanto riguarda i grandi vasi aumentano la dimensione, si ha una dilatazione dei
grandi vasi, mentre i piccoli vasi diminuiscono il lume (aumenta il rischio ischemico)
e aumenta il tessuto spessore delle pareti.
Inoltre aumenta i depositi di calcio nelle pareti e la loro rigidità, portando ad un
aumento della resistenza periferica, sono meno efficaci i sensori di regolazione
arteriosa.
Questo porta ad un aumento della pressione sistolica (Arteriosa), maggiore possibilità
di andare incontro a sincope ortostatica, e maggiore facilità ischemia d'organo.
Apparato respiratorio
Anche per quanto riguarda l’apparato respiratorio troviamo dei cambiamenti con
l’invecchiamento, che influenzano la performance sportiva: aumenta la rigidità delle
coste (alterazione cartilagine costali) che porta ad una diminuzione della funzione
respiratoria, diminuiscono il numero di alveoli.
Quindi per quanto riguarda la funzione dell’apparato respiratorio: diminuisce
l’efficienza dei muscoli respiratori, diminuisce l’elasticità polmonare, aumenta il
volume residuo (volume che non può essere mobilizzato con un atto respiratorio),
efficienza scambi gassosi, diminuiscono i parametri rilevabili con la spirometria.
Apparato osteoarticolare
Vi è un progressivo impoverimento del contenuto di calcio e della matrice organica
delle ossa con l’età, questo è una patologia chiamata osteoporosi.
Comunque il confine tra normalità e patologia non è ben chiaro, ma è certo che la
sedentarietà è uno dei principali fattori responsabili. Questa situazione di
“osteoporosi” ha una maggiore incidenza e gravità nel sesso femminile soprattutto
per i diversi profili ormonali ed ha una brusca accelerazione nel periodo della
menopausa, a cui segue un periodo lento e prolungato: a 16 anni dalla menopausa si
ha una perdita media del 20-25% della massa ossea. Tutto questo si traduce in un alto
rischio di fratture anche per traumi banali che portano a prematura perdita
dell’autosufficienza o addirittura a morte per le complicanze.
Questo processo viene chiamato osteoporosi, che può essere limitato con un’attività
costante accumulando riserve di calcio che può essere immagazzinato fino a circa 20
27
anni, dopodiché è fisiologico non poter più accumulare calcio e avviene il processo di
osteoporosi.
Quindi i cambiamenti strutturali sono: perdita massa trabecolare e corticale
(alterazione qualitativamente e quantitativamente della matrice ossea causata anche
dalla diminuzione della attività osteoblastica), diminuisce il contenuto di acqua nella
cartilagine e l’elastina.
Diminuisce la resistenza ossea e la capacità biomeccanica delle cartilagini e dei
tendini, aumentando così il rischio di fratture.
L’attività di forza incide nell’invecchiamento dell’apparato, quella più efficace è
l’attività di forza in quanto l’osso deve essere stressato per essere stimolato, ma
questo tipo di attività non è sempre facilmente eseguibile in persone con una certa
età, per questo anche l’attività aerobica se effettuata costantemente e intenso porta a
valori importanti.
L’attività di forza induce, nelle donne anziane in post-menopausa, un incremento
della densità ossea o, almeno, una diminuzione della velocità di perdita della massa
ossea.
Con minore efficacia anche l’allenamento aerobico, se sufficientemente intenso e
frequente, porta a valori di densità ossea superiori rispetto alle donne sedentarie. In
effetti si è evidenziato un effetto positivo per cicli di allenamento costanti
(3/settimana) per almeno 12 mesi e per “passeggiate” veloci (80% della massima
capacità aerobica) effettuate almeno tre volte la settimana per più di un anno.
Nelle persone attive si ha un aumento della densità ossea.
Flessibilità
La flessibilità indica la capacità di muscoli, tendini e legamenti peri-articolari di
sostenere le articolazioni e consentirne il movimento, maggiore sarà la funzione di
questi elementi maggiore sarà la flessibilità.
La diminuzione della flessibilità riduce il raggio di movimento articolare e si sviluppa
in modo lento e progressivo sino ai 65 anni per poi peggiorare rapidamente in
relazione al deterioramento della qualità del collagene peri-articolare, complicando la
vita di tutti i giorni.
Gli effetti dell’allenamento sulla flessibilità sono scarsamente documentati, anche se
un regolare esercizio fisico, migliorando l’efficacia muscolare e tendinea, rallenta il
degrado di tale funzione.
Composizione corporea
Con l’età si ha un riarrangiamento della composizione corporea, sino ai 50 anni di età
si osserva generalmente un incremento ponderale, cui segue, a partire dalla settima
decade un progressivo declino del peso corporeo con diminuzione della massa magra
ed un aumento della percentuale di grasso corporeo che tende ad accumularsi
selettivamente nelle regioni centrali del tronco e, in modo particolare, nel
compartimento intra-addominale.
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Questo tipo di distribuzione “centrale” si è dimostrata indice di previsione di
numerosi dismetabolismi e patologie (intolleranza glucidica, iperinsulinismo, diabete,
iperlipidemia, aterosclerosi, ipertensione, malattia coronarica).
I motivi di questo quasi del tutto inevitabile aumento del grasso corporeo sono
probabilmente: • desensibilizzazione recettori lipolitici del tessuto adiposo • minore
secrezione ormonale (testosterone, GH, estrogeni) • aumento lipoproteinlipasi •
minore capacità ossidativa dei tessuti per i grassi da limitata attività fisica.
Prescrizioni attività fisica e invecchiamento conferenza Copenaghen 2019
Capacità funzionali e attività fisica
Essere fisicamente attivi è un fattore chiave nel mantenimento della salute e nel
normale funzionamento dei sistemi fisiologici lungo tutto l'arco della vita.
Gli anziani fisicamente attivi, rispetto a quelli inattivi, mostrano benefici in termini di
funzione fisica e cognitiva, capacità intrinseca, mobilità, diminuzione del dolore
muscoloscheletrico, del rischio di cadute e fratture, depressione, qualità della vita e
contenimento della disabilità, quindi hanno una riduzione del rischio di contrarre
patologie e molti benefici psichici e fisici.
L'inattività fisica negli anziani è associata ad un più alto rischio verso la malattia e ad
un aumentato rischio di mortalità prematura per tutte le cause.
Le condizioni e le malattie (e i loro principali fattori di rischio) includono disfunzione
metabolica, malattie cardiovascolari, alcuni tipi di cancro e sarcopenia, ciò si traduce
in un aumento degli anni di cattiva salute.
Negli anziani che non sono stati precedentemente attivi, ovvero che dopo una certa
età incominciano a fare attività fisica, l'evidenza mostra che l’efficienza di più sistemi
fisiologici può essere migliorata aumentando l'attività fisica ed intraprendendo
programmi di allenamento fisico (con effetto minore a chi ha sempre fatto attività
fisica). Inoltre, l'esercizio fisico può essere utilizzato per migliorare la capacità
funzionale, come trattamento aggiuntivo per molte malattie e per la riabilitazione.
Rispetto agli anziani inattivi, gli anziani fisicamente attivi per tutta la vita hanno
livelli più elevati di «fitness» fisiologico, ciò include il sistema metabolico,
scheletrico, cardiovascolare e immunitario.
Prove emergenti suggeriscono che i benefici per gli anziani (ad esempio, una migliore
funzione fisica e una ridotta mortalità prematura) possono essere realizzati con un
volume e intensità inferiore rispetto alle linee guida (150 minuti di attività fisica da
moderata a vigorosa a settimana).
Naturalmente più si fa attività fisica nel corso della settimana (raggiungendo almeno
150 minuti a settimana), più si hanno dei miglioramenti della salute.
L'eterogeneità tra le persone anziane significa che è probabile che siano necessarie
strategie personalizzate per l'attività fisica e/o l'esercizio fisico per ottenere i massimi
benefici fisiologici, la prescrizione dell’attività fisica deve essere quindi
personalizzata, seguendo anche le linee guida.
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Non è del tutto chiaro se le persone anziane precedentemente inattive che
intraprendono programmi di attività/esercizio fisico saranno in grado di raggiungere e
mantenere a lungo adeguati livelli di capacità fisica rispetto a quelli già allenati.
Nell’evidenza di una eterogeneità della popolazione adulta più anziana, sono
necessarie ulteriori ricerche per determinare l'esatta modalità di esercizio, ad esempio
di resistenza, equilibrio, flessibilità, aerobico o di una combinazione di varie
modalità, e quali durate a intensità dell'esercizio debba essere richiesta per ottenere
benefici ottimali.
Motivazione, abitudini e modifiche del comportamento
L'autoefficacia, la motivazione, la depressione, la salute oggettiva e riferita sono
costantemente associate all'attività fisica negli anziani.
Gli interventi di cambiamento delle abitudini rispetto all'attività fisica negli adulti più
anziani hanno come risultato un modesto aumento del comportamento motorio a
breve termine (fino a 6 mesi), non è difficile iniziare un corretto comportamento dello
stile di vita, ma è più difficile mantenere a lungo questo corretto stile di vita, quindi
sono necessari dei rinforzi positivi frequenti ed efficaci.
La sostenibilità a lungo termine di questi cambiamenti nella pratica dell’attività fisica
deve ancora essere stabilita.
Negli adulti più anziani gli interventi che si basano su una teoria consolidata e
strutturata del cambiamento dei comportamenti producono effetti più coerenti.
Nessuna teoria del cambiamento di comportamento si comunque dimostrata più
efficace delle altre nel promuovere l'attività fisica negli anziani.
Negli anziani gli interventi che combinano sia tecniche di cambiamento
comportamentale che cognitivo sono più efficaci degli interventi che ne utilizzano
solo uno.
Prove emergenti suggeriscono che le emozioni e le abitudini sono anche importanti
correlazioni per promuovere la regolare attività fisica negli adulti più anziani. La
ricerca futura deve esaminare come utilizzare questi fattori nella promozione
dell'attività fisica.
L'efficacia degli interventi di modifica del comportamento dell'attività fisica negli
adulti più anziani dipende dalle modalità di esecuzione, impostazione e background
professionale della persona che effettua l'intervento.
La pratica dell'attività fisica è un comportamento individuale che è influenzato da
fattori interpersonali, ambientali e sociali.
Prospettive sociologiche
Le disuguaglianze sociali e strutturali influenzano i livelli di attività fisica tra gli
adulti più anziani (situazione economica, sociale, culturale).
Quando l'attività fisica è considerata un valore, è più probabile che gli adulti più
anziani continuino a praticarla (attività di gruppo).
Gli anziani possono rimanere o diventare attivi laddove vi siano caratteristiche
ambientali fisiche, sociali e culturali di supporto.
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Quartieri sicuri, percorribili ed esteticamente gradevoli possono maggiormente offrire
agli anziani l'opportunità di partecipare alle occasioni di pratica dell'attività fisica.
Quando l'attività fisica è significativa per loro, è più probabile che gli adulti più
anziani continuino a partecipare.
Salute mentale e funzione cognitiva
L'attività fisica ha dimostrato benefici per la salute cognitiva e cerebrale negli
anziani, ma anche nelle altre fasce di età, migliorando le capacità di apprendimento.
Gli studi osservazionali forniscono prove che il declino cognitivo e la
neuro-degenerazione (osservati anche ad esempio nella malattia di Alzheimer e
Parkinson) possono essere rallentati o ritardati negli adulti fisicamente attivi.
L'attività fisica di intensità moderata per gli adulti più anziani (ad esempio, della
durata di 10 minuti) porta a benefici a breve termine per le prestazioni cognitive e le
risposte cerebrali funzionali.
Dagli studi randomizzati con adulti più anziani che in genere coinvolgono circa 3 ore
di allenamento/attività fisica a settimana per periodi che vanno da pochi mesi a un
anno, emergono prove crescenti di miglioramenti nella struttura e nella funzione
cognitive e percettive del cervello e delle capacità motorie.
Gli studi randomizzati di controllo sugli animali più vecchi, hanno chiarito i
meccanismi molecolari e cellulari del cervello alla base dei benefici dell'attività
fisica: questi coinvolgono la plasticità cerebrale funzionale e strutturale.
Gli interventi con gli adulti più anziani si basano più frequentemente su attività di
tipo aerobico, quindi sono necessarie ulteriori prove su altri tipi di attività fisica tra
cui allenamento di resistenza, equilibrio, controllo posturale, giochi attivi e una
combinazione di questi.
Gli studi hanno dimostrato come l’attività fisica limita il declino della capacità
cognitive, soprattutto con un’attività fisica aerobica.
Insieme ad una dieta salutare, l’attività aerobica aumenta le capacità funzionali (come
anche la memoria) e diminuisce il rischio di contrarre patologie neurologiche
(demenza).
Allenamento di forza
Alcune linee guida forniscono prove a sostegno delle raccomandazioni per un
allenamento di forza di successo negli anziani: variabili di progettazione del
programma, adattamenti fisiologici, benefici funzionali, considerazioni su fragilità,
sarcopenia e altre condizioni croniche.
L'obiettivo di queste linee guida è di: a) favorire un approccio più unificato e olistico
all'allenamento di forza negli anziani, b) promuovere i benefici funzionali e per la
salute dell'allenamento di forza negli anziani, c) prevenire o minimizzare le paure e
altre barriere all'attuazione di programmi di allenamento di forza negli anziani.
È molto più comune prescrivere attività fisica aerobica per soggetti anziani, mentre è
meno frequente e più difficile prescrivere un allenamento di forza a soggetti anziani.
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Quando si va a proporre un esercizio di forza devo essere considerate tutte le
variabili: stato di fitness, la presenza di morbilità o comorbilità (fragilità, osteoporosi,
diabete, limitazioni articolari).
Le indicazioni per la prescrizione fisico negli anziani (acsm)
Lezione 6
All'inizio l'intensità e la durata dell'attività fisica dovrebbero essere leggere (RPE
9-11 Borg 6– 20), in particolare per gli anziani che sono completamente sedentari,
funzionalmente limitati o con condizioni croniche che influiscano sulla loro capacità
di svolgere attività fisiche.
Questa bassa intensità può essere portata avanti per 6 mesi fino a quando è in grado di
allenarsi in sicurezza per 30 minuti per sessione.
La progressione del training dovrebbe essere personalizzata e adattata a capacità e
tolleranza e preferenza; per tutti è raccomandato un approccio conservativo negli
anziani che sono decondizionati e fisicamente limitati per ridurre il rischio di eventi
avversi.
L'esercizio dovrebbe essere interrotto immediatamente con controllo medico in caso
di comparsa di questi segni/sintomi: vertigini, dolore toracico, dispnea prima dello
sforzo, dispnea da sforzo inspiegabile (mancanza di respiro non coerente con
l'intensità di esercizio relativa), emorragia retinica, insorgenza di edema degli arti
inferiori, risposta vasovagale, pre-esercizio o durante, valori glicemici in esercizio
220 mm Hg, PA diastolica> 105 mm Hg.
Le sessioni iniziali di allenamento alla forza devono essere supervisionate e
monitorate da parte di personale esperto nell'istruire all’uso di pesi liberi o macchine
per ottimizzare i risultati e minimizzare gli eventi avversi.
Oltre all'allenamento alla forza, i più anziani possono trarre particolare beneficio
dall'allenamento di potenza perché questa diminuisce più rapidamente con
l'invecchiamento ed una insufficiente potenza muscolare è stata associata ad un
maggior rischio di cadute accidentali.
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L’aumento di potenza muscolare negli anziani sani dovrebbe essere ricercato
includendo esercizi che coinvolgano si una che più articolazioni, composti da una a
tre serie usando un carico da leggero a moderato (30% –60% di 1-RM) per 6-10
ripetizioni ad alta velocità. La programmazione degli esercizi deve essere basata sulla
forza attuale, equilibrio, esperienza nell'allenamento di forza e potenziale rischio di
infortuni.
In individui con sarcopenia, indicatore di fragilità, o in quelli che sono stati in
precedenza completamente sedentari, è necessario aumentare la forza muscolare
prima di poter essere in grado di impegnarsi in un allenamento aerobico. Se le
condizioni croniche impediscono di raggiungere il minimo di attività raccomandata,
gli anziani dovrebbero comunque svolgere attività fisiche al massimo livello tollerato
per evitare di essere sedentari. Gli anziani dovrebbero superare gradualmente le
indicazioni minime raccomandate di livello di attività fisica se desiderano migliorare
e/o mantenere la propria forma fisica.
Gli anziani dovrebbero considerare di superare il minimo raccomandato di quantità di
attività fisica per migliorare la gestione delle malattie croniche e le proprie condizioni
di salute, per le quali la pratica di un livello superiore (se tollerato) di attività fisica è
riconosciuta valida per un ulteriore beneficio terapeutico.
Le sessioni di attività fisica strutturata dovrebbero terminare con un appropriato
periodo di recupero, in particolare nei soggetti con patologie cardiovascolari. Il
«raffreddamento» dovrebbe includere una graduale riduzione dell'intensità dello
sforzo attraverso esercizi dinamici.
Una distinzione importante dovrebbe essere fatta tra gli anziani e i corrispettivi più
giovani in relazione all'intensità dell’esercizio prescritto. Per adulti apparentemente
sani, le attività fisiche sono definite rispetto agli equivalenti metabolici (MET) di
intensità moderata con intervallo 3–5,9 MET e di intensità vigorosa ≥6 MET. Al
contrario, per gli anziani, le attività dovrebbero essere definite in relazione alla sua
forma fisica all'interno del contesto di una scala RPE da 6 a 20 punti con 6 che indica
nessuno sforzo e 20 che indicano uno sforzo massimo. Un'attività fisica di intensità
moderata dovrebbe produrre un notevole aumento della frequenza cardiaca e della
ventilazione, mentre l'attività fisica intensa ne dovrebbe causare un forte aumento.
Una relazione dose-risposta per il fitness cardiorespiratorio è stata dimostrata negli
anziani sedentari. Il massimo miglioramento del VO2 max si raggiunge con
un'intensità compresa tra il 66% e il 73% della frequenza cardiaca massimale.
Intensità di esercizio più elevate (75%-80% FCmax) non aumentavano il VO2 max in
maniera tale da giustificarne la difficoltà e i potenziali rischi.
Circa quattro persone su cinque di quelli di età compresa tra 57 e 85 anni assume
regolarmente almeno un farmaco e poco meno di una su tre assume cinque o più
farmaci contemporaneamente. Tra i 65 e 74 anni i farmaci soggetti più usati sono
diuretici, statine, β-bloccanti e inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina
(ACE). I farmaci di prescrizione medica ed anche quelli «da banco» possono alterare
33
la risposta fisiologica all'esercizio fisico e richiedono conoscenze approfondite di
farmacocinetica, farmacodinamica e potenziale capacità del farmaco a provocare
reazioni avverse associate all'esercizio fisico.
Il dolore è un meccanismo endogeno sensoriale protettivo che, se presente, richiede
che l'azione che lo ha causato sia interrotta o modificata al fine di evitare una
significativa risposta infiammatoria che può poi impedire la prosecuzione del
programma di allenamento.
È indicato monitorare il programma di allenamento aerobico e di forza per ridurre
l'incidenza di lesioni muscoloscheletriche. Gli anziani possono ottenere
miglioramenti dello stato di salute con un aumento dei livelli di attività fisica
indipendentemente dai miglioramenti della forma aerobica. Molte attività della vita
quotidiana non richiedono una grande capacità aerobica, ma dipendono da altri
componenti della forma fisica, come la forza muscolare e la flessibilità. Come
professionisti dell'esercizio fisico, dobbiamo concentrare l'attenzione sulla capacità
funzionale, non sulle prestazioni dell’anziano: cioè, invece del solito invito a "fare
una passeggiata per rimanere attivi” (che rimane comunque sempre valido), va posta
una maggiore enfasi sulla forza funzionale e sulla mobilità che può essere altrettanto
o più vantaggiosa per la qualità della vita di un individuo. La prescrizione degli
esercizi per gli anziani dovrebbe essere orientata verso la funzione, non sulle
prestazioni, tenendo in considerazione principalmente gli esercizi a catena cinetica
aperti e chiusi.
Uno degli indicatori legati all’invecchiamento è il comportamento dei telomeri (parte
distale dei cromosomi), che con l’invecchiamento tendono a ridursi (riducono basi
nucleotidiche) causando l’accorciamento dei cromosomi.
Uno corretto stile di vita, che consideri anche una buona attività fisica, tenderà a
diminuire questo processo di accorciamento dei cromosomi.
ACCRESCIMENTO E ATTIVITA’ FISICA SPORTIVA
L’attività fisica può influire sull’accrescimento fisico?
Mentre per l’adulto per i vari parametri possiamo parlare di parametri medi, per i
soggetti in età evolutiva non esistono parametri medi perché variano con l’età.
Per un qualsiasi valore biologico e nello specifico per i parametri auxologici, grazie
ad ampi studi su un elevato numero di soggetti in buona salute, si sono stabiliti, per
ciascuna fascia di età, gli standard di riferimento della popolazione normale.
Non si tratta di riferimenti rigidi e limitativi dal momento che esiste una variabilità
individuale elevata, ma la elaborazione statistica dei dati fornisce un ampio intervallo
all'interno del quale vi è una elevata probabilità di riscontrare un valore “normale” di
quel parametro. Al contrario, un valore al di sopra o al di sotto dei limiti del range di
normalità avrà una elevata probabilità di essere patologico, in eccesso o in difetto.
Quindi il parametro deve essere elaborato in maniera statistica ed elaborato con i
parametri riscontrati in quella fascia di età, ottenuti con lo studio della popolazione.
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Per considerare i valori biologici dei bambini si utilizzano i percentili relativi a
ciascun parametro che ne riportano la distribuzione all'interno della popolazione, ad
esempio per la statura o altri parametri, andando a confrontare i parametri con gli altri
parametri riscontrati nella stessa fascia di età.
Vengono espressi su base di 100 soggetti, andando a collocare il parametro preso in
considerazione confrontandolo con altre 100 soggetti della stessa fascia di età.
I percentili sono valori da 0 a 100 prendendo in considerazione la popolazione, ad
esempio un bambino con statura di 40 percentile, significa che su 100 coetanei
virtuali ne avrà 40 più basse e 60 più alte.
Con valori tra il 25 e 75 percentile si parla di normalità; con valori da 3°-10° e
90°-97° si avrà sospetto di patologie, mentre con valori al di sotto di 3 o al di sopra di
97 indicano un sospetto di alterazione, ad esempio con disturbi di accrescimento o ad
una pubertà precoce, non vi è la certezza ma una situazione di alta probabilità.
Con i percentili si vanno a collocare i bambini su un gruppo di 100 coetanei virtuali,
con lo studio del grafico dei percentili si potrebbe vedere la crescita probabile del
bambino, con le curve di accrescimento.
L’incremento staturale annuo è massimo nel primo anno di crescita, poi tende a
diminuire negli anni fino a che si raggiunge di nuovo un’età con un decollo nella
statura (nelle femmine intorno ai 10 anni, nei maschi verso i 12) fino a raggiungere il
picco di velocità di accrescimento staturale (12 anni femmine e 14 anni maschi), per
poi diminuire nuovamente fino a valori molto vicini allo zero.
Mediamente la statura adulta si raggiunge a 16 anni nelle ragazze e 18 per i ragazzi.
Per il percentile si prende in considerazione un gruppo di coetanei per età anagrafica.
Il limite è che l’età anagrafica è solo un dato, infatti non tutti i soggetti maturano con
la stessa velocità.
Molto più reale è l’età biologica (reale età in cui si trova l’accrescimento) che si può
misurare con l’età ossea, che è più omogenea per tutti.
L'età ossea (EO) è la valutazione del grado di sviluppo del sistema scheletrico: i
soggetti adulti, pur presentando molte differenze dal punto di vista morfologico,
hanno tutti quanti lo stesso livello di maturazione dell'osso (cosa che non può dirsi
della statura, del peso e di molte altre variabili).
Quindi l’età ossea indica lo stato di maturazione delle ossa, che non prende in
considerazione variabili come peso, statura, composizione corporea, per questo in
soggetti adulti questo stato di maturazione osseo è uguale per tutti.
Per misurare l’età ossea si va a prendere in considerazione le ossa della mano,
esaminando la situazione di sviluppo di queste ossa possiamo risalire all’età
biologica, in base allo stato di maturazione delle ossa.
Alla nascita le strutture scheletriche sono prevalentemente costituite da tessuto
cartilagineo, successivamente, e in tempi diversi per ciascun segmento scheletrico,
compaiono, in ciascun osso, uno o più nuclei di ossificazione.
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Questi nuclei di ossificazione via via si ingrandiscono sino a sostituire
completamente il tessuto cartilagineo, conferendo all'osso in questione il tipico
aspetto dell'osso adulto.
Questo processo nelle varie ossa delle mani si verifica con tempi differenti, quindi
analizzando le ossa delle mani possiamo individuare l’età biologica del soggetto.
Si comprende quindi la sua importanza in auxologia in quanto consente di valutare
con buona approssimazione, da sola prima e con l'ausilio del grado di sviluppo dei
caratteri sessuali poi, il grado di maturazione biologica dell'individuo.
L'età ossea di un soggetto corrisponde all'età cronologica che quel soggetto avrebbe
avuto se il suo grado di maturazione scheletrica fosse stato nella media. Quindi se un
bambino ha un'EO corrispondente a quella cronologica la sua maturazione scheletrica
è nella norma, se al contrario l'EO è inferiore o superiore a quella cronologica avrà un
grado di maturazione scheletrica rispettivamente in ritardo o in anticipo
L’uso dell’età ossea è molto più importante per utilizzare i percentili, andando a
considerare i suoi coetanei biologici (in base all’età ossea).
Andando a prendere in considerazione i percentili bisogna prendere i coetanei
biologici, e non i coetanei virtuali dati dall’età anagrafica, in quanto potrebbe falsare
il risultato.
Disturbi dell’accrescimento
I disturbi dell’accrescimento, che poi possono portare interazione con l’attività fisica
sono:
-​ritardo o anticipo della crescita: iposomia (bassa statura), ritardo menarca o pubertà
precoce.
-collegati allo stato nutrizionale: obesità o magrezza, che possono portare a patologie
come bulimia o anoressia.
-disturbi dell’apparato muscolo scheletrico: paramorfismi e osteocondrosi giovanile.
La previsione della statura adulta è possibile prendendo in considerazione vari
parametri come il patrimonio genetico (statura dei genitori).
La previsione della statura adulta si può effettuare con il metodo Tanner: si prende la
statura del padre + la statura della madre si aggiunge 13 se il figlio è maschio o si
toglie 13 se è femmina, il tutto diviso 2.
Si ottiene un dato abbastanza attendibile con un range di 5cm, può essere più corretta
conoscendo la statura anche dei nonni.
36
Un altro esempio per prevedere la statura adulta nelle femmine è quello di prendere la
statura immediatamente post menarca e di aggiungere 6cm, ma non sono dati del tutto
attendibili.
Cause di iposomia (bassa statura):
-varianti normali: ritardo puberale; età biologica < età anagrafica
-carenza GH (ormone della crescita) e gonadotropine (lh e fsh)
-sindrome genetiche: turner, klinefelter ecc..
-patologie croniche: diabete, morbo di crhon, morbo celiaco, malnutrizione e
anoressia ecc…
Attività fisica e caratteristiche fisiche
Nello sport si ha una vera e propria selezione darwiniana nel senso che la condizione
di partenza per eccellere in uno sport è la predisposizione genetica (caratteristiche
fisiche).
Non è lo sport che fa crescere come ad esempio nel basket, ma l’altezza è un fattore
determinante per eccellere nel basket ed è più probabile che le squadre siano
composte da giocatori alti, la composizione delle squadre d’elitè ha una statura
superiore alla media, in quanto una statura alta dà un maggiore vantaggio rispetto a
quelli di bassa statura.
Alcuni studi hanno dimostrato che giovani atleti sottoposti ad intensi e frequenti
carichi di allenamenti hanno mostrato un rallentamento nella crescita nel periodo
peri-puberale, in situazioni di sport d’elite con alta intensità, alta frequenza e alto
volume di allenamento.
Una prova indiretta deriva dal fatto che quando l’atleta smette di praticare questo
sport, in età ancora evolutiva avrà un accrescimento veloce per recuperare (recupero
della crescita).
Numerosi studi scientifici suggeriscono una relazione causa-effetto tra disturbi della
crescita e intensi carichi di allenamento, soprattutto nelle atlete.
È stato notato che nelle atlete la comparsa del menarca compare ad un’età più
avanzata rispetto alle non atlete, gli studi suggeriscono che l’associazione tra questo
ritardo ed allenamento non sia casuale.
Altri studi hanno evidenziato una significativa correlazione tra ritardo menarcale in
ginnaste, ballerine e pattinatrici artistiche dovuta, in parte, a intenso allenamento
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fisico, basso peso o percentuale di massa grassa corporea, insufficiente apporto
calorico-nutrizionale e “stress” psico-fisico.
In sport dove la caratteristica fisica è estremizzata come la ginnastica artistica dove la
bassa statura e basso peso corporeo portano dei vantaggi significativi, portando
quindi anche ad atteggiamenti alimentari esasperati con insufficiente apporto calorico
e nutrizionale.
Questi fattori sono tra i più importanti fattori a causare ritardi nella maturazione e
nello sviluppo di queste atlete, con un ritardo del primo menarca o addirittura la
scomparsa.
In conclusione non ci sono dati sicuri che un allenamento molto intenso possa avere
effetti negativi sulla crescita, sul processo di maturazione, la crescita ossea e la
qualità del processo di maturazione, ma essendo un’età molto sensibile questa età
dello sviluppo è molto importante una corretta programmazione del lavoro sportivo.
Per quanto riguarda l’età fisica e sportiva da sottoporre ai bambini bisogna prendere
in considerazione la quantità e la qualità dell’attività, non esiste un limite della
quantità dell’allenamento che un bambino deve effettuare, ma molto importante è la
qualità dell’allenamento, fondamentale per definire anche la quantità
dell’allenamento.
Una specializzazione precoce può portare a dei rischi come:
-trasformazione e specializzazione degli organi e apparati più utilizzati
-facilità di traumi all’apparato locomotore che presenta dei squilibri dei vari settori
del corpo.
-in discipline asimmetriche possono sorgere degli atteggiamenti viziati che portano a
squilibri posturali.
-perdita di interesse del bambino causata dalla ripetitività delle esercitazioni, che
porta all’abbandono precoce
Alterazioni muscolo-scheletriche
Le principali alterazioni dell’apparato muscolo-scheletrico che possono derivare dalla
specializzazione precoce o dalla sedentarietà sono:
-scoliosi: deviazione in senso laterale e rotatorio della colonna.
-cifosi: aumento della curvatura dorsale fisiologica della colonna.
-lordosi: aumento della curva lombare fisiologica della colonna.
-dorso piatto: diminuzione delle curve lordotica e cifotica fisiologiche.
-scapole alate: abnorme sporgenza del margine vertebrale delle scapole.
-ginocchio valgo / varo: deviazione verso l’esterno/interno dell’asse verticale della
gamba.
-ginocchio ricurvato: iperestensione del ginocchio oltre i 180°.
-piede piatto: appiattimento della concavità mediale della pianta del piede.
-piede valgo / varo: posizione viziata del piede in pronazione / supinazione.
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Sono alterazioni del muscolo scheletrico dovute a due situazioni opposte, da
un’ipotonia muscolare causata dalla sedentarietà o da un’intensità elevata con
tipologia di allenamento scorretta.
Una dei gruppi di patologie più comuni che colpiscono i giovani atleti sono:
-osteocondrosi: gruppo di patologie a carico dei nuclei di ossificazione, colpisce
durante la fase di accrescimento in quanto questi gruppi di ossificazioni sono
sottoposti ad un elevato stress meccanico e metabolico dovuto ad un’intensità
importante dell’allenamento porta ad un’infiammazione di questi nuclei che portano
ad un mancato arrivo di nutrizione al nucleo che porta alla necrosi causando
deformazione.
Questa patologia ha decorso lento, benigno con regressione della necrosi, riparazione
e definitiva ossificazione (con o senza alterazioni anatomiche).
Questi nuclei di ossificazione sono quelli che garantiscono alla crescita dell’osso e
quindi alla crescita staturale.
Sono coinvolte soprattutto le ossa brevi in accrescimento, nuclei epifisari e nuclei
apofisari.
Tra le più importanti sono:
-epifisi prossimale del femore: morbo di perthes
•apofisi tibiale anteriore: m. di osgood-schlatter
•apofisi posteriore del calcagno: morbo di haglund
•scafoide tarsale: morbo di kohler 1
•epifisi del 2 metatarsale: morbo di kohler 2
•semilunare: morbo di kienbock
•corpo vertebrale: morbo di scheuermann
Morbo di osgood schlatter (ginocchio)
Il morbo di Osgood Schlatter colpisce l’apofisi tibiale anteriore, molto comune nei
maschi tra i 10 e 13 anni, i dolori esacerbati dallo sport, è caratterizzato da bilateralità
degli arti dove si ha una tuberosità sporgente causando dolore alla pressione e dolore
all’estensione forzata.
Il trattamento è l’interruzione momentanea della pratica sportiva, nei casi più gravi
(rari) è necessario l’utilizzo di un gesso per 4-6 settimane, in quanto la guarigione è
più rapida con l’immobilizzazione.
Bisogna proibire gli sport violenti per 3-4 mesi, così come i salti ed i tiri, è necessario
contro-indicare formalmente le infiltrazioni locali di corticosteroidi
Sono indicati allungamenti sotto pelvici, importante è sorvegliare regolarmente questi
bambini fino alla guarigione.
Morbo di sever (calcagno)
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Il morbo di Sever colpisce i bambini tra i 8-13 anni, soprattutto calciatori maschi, con
l’evoluzione di circa 2 anni, causando dolore al calcagno, si ha un distaccamento
dell’apofisi del calcagno, può portare alla frattura.
Sovraccarico
Tutte queste situazioni sono mediate dal sovraccarico funzionale, ovvero la
ripetizione esasperata e continua nel tempo di alcuni gesti sportivi può comportare la
comparsa di una specifica patologia definita appunto da "sovraccarico funzionale" o
da "microtraumatismo" per sottolineare la patogenesi dovuta al sommarsi di una serie
pressoché infinita di traumi di minima entità.
Possono essere interessate quasi tutte le varie strutture dell'apparato locomotore, ma
quelle più frequentemente colpite sono quelle tendinee soprattutto nel loro punto di
collegamento con il tessuto osseo, delle cartilagini articolari e dell'osso, in quanto
l’inserzione tendinea nell’osso è un punto molto fragile.
Un'altra caratteristica tipica è che la maggior parte dei quadri patologici, derivando
appunto dalla ripetizione di un gesto specifico, hanno sedi e manifestazioni tipiche
per ogni sport (gomito del tennista, spalla del lanciatore, ecc.)
Nel soggetto in età evolutiva sono frequentemente causate da una muscolatura che,
per allenamenti intensi e prolungati, può già raggiungere una potenza relativamente
elevata che agisce su strutture articolari e tendinee che ancora non hanno un
sufficiente grado di maturazione e quindi di resistenza.
Questo perché la muscolatura ha tempo di maturazione molto più breve delle strutture
articolari e tendinee che hanno tempo di maturazione più alta.
Queste patologie da sovraccarico sono classificate (in base alle strutture interessate):
-tendinopatie: peritendiniti, tendinosi, tensinoviti ipertrofiche, tendinopatie
inserzionali e rotture sottocutanee
-patologia cartilaginea: erosione cartilagini articolari
-patologia ossea: fratture da "stress
Queste situazioni patologiche avvengono in presenza di 2 cause efficaci correlate al
gesto tecnico dell’esercizio svolto:
-intensità: pur essendo un microtrauma il carico atletico deve essere sufficientemente
intenso per innescare il fenomeno infiammatorio locale.
-frequenza: dal momento che si tratta di un meccanismo di sommazione di
microtraumi, il gesto atletico che li causa deve essere ripetuto numerose volte sia
all’interno della singola seduta di allenamento che nel ciclo dei vari allenamenti.
La concomitanza di questi due fattori fanno sì che si abbia una situazione da
sovraccarico funzionale, con intensità e frequenza elevata.
Una delle cause collegata all’insorgenza di patologie in soggetti sportivi in età
evolutiva è la specializzazione precoce.
Uno studio sulla precocità dell’attività fisica nel 1997 nel nuoto il 92% di quelli che
vincono nelle categorie giovanili non consegue poi risultati da adulto ad esempio a
campionati assoluti o addirittura smette prima.
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Questo può essere spiegato con 2 motivazioni: la prima è l’abbandono precoce della
pratica sportiva dovuto alla precocità agonistica, il secondo motivo è il blocco
prestativo, non riesce più ad essere competitivo.
Le cause di abbandono precoce possono essere diverse:
-modificazioni morfologiche sfavorevoli: non più compatibili per quello sport.
-cattivo allenamento:
-cause psicologiche:
-cause esterne:
Modificazioni morfologiche sfavorevoli
Le modificazioni morfologiche sfavorevoli possono essere:
-precocità maturativa: maturano precocemente, sono più avanti con lo sviluppo dei
pari categoria, quando il loro sviluppo diminuisce e gli altri sviluppano, diminuiscono
le vittorie e possono causare abbandono precoce, questo non varrebbe sempre perché
anche i precoci potrebbero comunque emergere se non venga trascurata la formazione
coordinativa che non è più recuperabile.
-trasformazioni adolescenziali: perdita di capacità funzionale, diminuendo la
competitività, si perde ad esempio la destrezza quando si diventa adolescenti.
-parametri antropometrici sfavorevoli: esempio non abbastanza alto.
Cattivo allenamento
il cattivo allenamento può essere causato da:
-specializzazione precoce: problemi causati da successo precoce, lavoro eccessivo
che causa lo stress da allenamento, psicologici e fisici; un lavoro eccessivo causa
anche problemi di tecnica.
-carico di lavoro eccessivo: non adeguato alle caratteristiche biologiche
dell’individuo.
-competizioni inadeguate: eccesso di selettività, non adatte per quell’età.
-eccesso dell’importanza della quantità rispetto alla qualità di allenamento: il troppo
non vuol dire fare bene l’allenamento.
Aspetti psicologici
Gli aspetti psicologici sono:
-mancanza di successo
-mancanza di gioco e divertimento
-lavoro e sacrificio al posto di sfida e piacere
-pressioni ed aspettative eccessive, soprattutto dei genitori, o anche dei tecnici.
-frustrazioni: cambi di categoria, dove la competitività aumenta.
Cause esterne:
-occasionali: cambi di residenza.
-problemi scolastici: “allora non fai sport”, sport vietato per punizione.
-problemi di salute
-problemi logistici
-tentazioni ambientali ed affettive: altri interessi.
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Rimedi all’abbandono precoce
I rimedi all’abbandono precoce possono essere:
-cultura dello sport da bambini: non sono adulti-atleti piccoli.
-multilateralità degli allenamenti
-ritardo specializzazione
-impostazione pluriennale dell’attività sportiva
In pratica bisogna formare una base multilaterale, ampia gamma di esperienze
motorie, progressività dei carichi, recuperi ampi e adeguati carichi di forza rapida,
impostazione ludica con frequenti rinforzi positivi, ampia gamma di esercizi di
coordinazione.
La carta dei diritti dei bambini nello sport
Venne emanata una carta dei diritti del bambino nello sport, dove si afferma che i
bambini hanno diritto di:
-fare sport
-divertirsi e giocare: fase ludica
-beneficiare di un ambiente sano: strutture adeguate.
-essere trattato con dignità
-essere accompagnato ed allenato da persone competenti
-misurarsi con giovani di pari forza
-partecipare a competizioni adatte
-praticare sport in sicurezza
-disporre del sufficiente tempo di riposo
-non essere un campione: non deve essere per forza un campione in quello sport
In conclusione sarebbe da ricordare ai genitori soprattutto, ai tecnici e ai bambini
stessi che il risultato negli sport giovanili non deve essere ricercato.
TERMOREGOLAZIONE, IDRATAZIONE E ATTIVITA’ FISICA SPORTIVA
Temperatura corporea
La temperatura corporea dipende dall’intensità dello sforzo che è proporzionale alla
produzione di calore, oltre 3/4 di energia chimica viene persa sotto forma di calore,
quindi effettuare attività fisica comporta una grande produzione di calore.
Ogni litro di ossigeno consumato si perdono 4-5 calorie, quindi a riposo c’è una spesa
di circa 1,2-1,8 calorie al minuto in quanto a riposo si consumano 1 litro di O al
minuto circa.
Durante un lavoro sportivo c’è una spesa di circa 18-22 calorie al minuto, in base
all’intensità e ai livelli di ossigeno consumato.
Quindi durante un lavoro sportivo con 20 calorie al minuto, si dovrebbe aumentare di
1° ogni 5-7 minuti, questo con un’attività costante che si prolunga nel tempo potrebbe
portare ad un aumento pericoloso della temperatura corporea.
È molto importante avere dei meccanismi di termoregolazione per mantenere una
temperatura corporea adeguata, infatti fino a circa 37/38° la termoregolazione
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funziona correttamente, mentre a temperature più elevate questi meccanismi vengono
a mancare.
I metodi di termoregolazione utilizzati dal corpo sono diversi:
-evaporazione del sudore (sudorazione): non è sufficiente sudare, ma bisogna che il
sudore evapori, durante l’esercizio fisico la maggior parte di calore viene disperso
con l’evaporazione di sudore. Questo meccanismo potrebbe essere ostacolato in
ambienti con alto grado di umidità.
-conduzione: con il passaggio di colore con contatto diretto tra due corpi a
temperatura diversa, poco efficace nell’attività sportiva
-convenzione: passaggio di calore fra un corpo e un fluido in movimento intorno al
corpo (vento o acqua), dispersione del calore che avviene soprattutto in sport
acquatici o in ambienti esterni.
-irraggiamento: perdita di calore sotto forma di onde elettromagnetiche, non molto
efficace nell’attività sportiva, tanto che si può anche acquistare calore con questo
metodo.
Il calore corporeo, la cessione di calore dipende da:
-gradiente termico tessuti/sangue: il sangue aiuta la termodispersione, portando il
sangue da dove si produce calore (muscoli) a tessuti dove il calore si disperde (cute),
la differenza tra queste due temperature maggiore è il gradiente maggiore sarà la
dispersione.
-irrorazione sanguigna dei tessuti: maggiore sarà la portata di sangue ai tessuti,
maggiore sarà la dispersione di calore (Aumenta il gradiente)
-gradiente termico sangue-cute: portando il sangue caldo vicino alla superficie
corporea questo potrà essere raffreddato per perdere calore.
Raffreddamento corporeo:
ogni 1 ml di sudore si perde circa 0,6 calorie, il tasso massimo di produzione di
sudore è di 30 ml al minuto quindi circa 18 calorie al minuto, quindi circa 2l di
sudore all’ora.
La massima produzione di calore al massimo sforzo può essere di 22 calorie al
minuto in condizioni di massimo sforzo.
Quindi solo l’80% del calore può essere disperso, causando inevitabilmente un
aumento della temperatura corporea (calore corporeo).
Il carico complessivo provocato dal calore dipende da:
-intensità dello sforzo
-possibilità di evaporazione (azione del clima, abbigliamento): con clima ventilato si
può avere maggiore raffreddamento.
-condizioni ambientali (temperatura, clima).
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La portata cardiaca: in condizioni di riposo il volume di sangue che viene pompato
dal cuore ai vari tessuti è di circa 5 l, mentre durante l’attività sportiva la portata
cardiaca è di circa 25-30l al minuto.
Si ha anche una redistribuzione della portata cardiaca, durante l’attività sportiva
l’80% del sangue arriva al muscolo (Dal 20% a riposo), sia per portare ossigeno ai
substrati energetici, rimuovendo acido lattico e co2, anche il sangue che arriva alla
pelle aumenta per favorire la termo dispersione (eliminare il calore) per poter
continuare l’attività fisica.
Raffreddamento corporeo
Eliminazione del calore corporeo in eccesso dipende da:
-dalla superficie corporea: maggiore è la superficie corporea che partecipa agli
scambi termici con l’ambiente, maggiore sarà la dispersione del calore.
-stato di idratazione: con la giusta idratazione viene favorita la termoregolazione.
-allenamento e acclimatazione: ha un ruolo importante nei processi di
raffreddamento, il corpo deve adattarsi all’ambiente.
La disidratazione ostacola i processi di raffreddamento corporeo in quanto:
-diminuisce l’irrorazione sanguigna cute e arti
-diminuisce la produzione di sudore
-diminuisce la cessione di calore, causando un aumento della temperatura corporea
L’allenamento aumenta la sensitività delle ghiandole sudoripare (ipertrofia
ghiandolare) e forse anche del numero di ghiandole, aumenta il volume sanguigno
(aumenta la portata cardiaca), aumenta gittata sistolica e portata cardiaca, questi
fattori fanno si che aumenti l’irrorazione sanguigna e di conseguenza la cessione di
calore.
Il raffreddamento corporeo è mediato anche dall’abbigliamento in quanto un
abbigliamento protettivo, a più strati e impermeabile rallenta o impedisce le capacità
di irraggiamento, evaporazione e convenzione andando a diminuire la capacità di
raffreddamento corporeo, aumenatndo il rischio di disturbi da calore.
I soggetti più a rischio, più suscettibili a disturbi provocati dal calore sono quelli:
-soggetti non allenati
-non acclimatati
-ipoidratati
-con eccesso ponderale
-cardiopatici
-con vestiario inadatto
Disidratazione
I segni della disidratazione sono: urine scure (concentrazione più alta), sudorazione
ridotta, volume urinario ridotto, crampi muscolari, sensazione di freddo (shock
vascolare), cefalea, nausea, elevato battito cardiaco.
Le urine se sono chiare sono segno di un corretto stato di idratazione, ovvero fino al
3° grado di colorazione.
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Bisogna anche tener conto della temperatura ambientale e dell’umidità relativa per
prevenire situazioni di ipertermia, infatti il sudore nell’aria molto umida evapora con
molta difficoltà, causando un intoppo nella dispersione di calore.
In ambiente umido è maggiore la quantità di vapore acqueo presente, ed è più
difficile che il sudore evapori, diminuendo il processo di raffreddamento.
Quindi si possono individuare zone di sicurezza, zona di pericolo e zona esclusa
(rischioso fare attività fisica, si rischia di andare incontro a disturbi da calore) per
attività fisica di lunga durata, ad esempio un’aria molto secca permette di svolgere
attività fisica anche a temperature molto alte, mentre anche a temperature basse, ma
con umidità molto alta si ha il rischio di svolgere attività fisica di lunga durata.
La concentrazione di Sali nel sudore è molto minore rispetto al plasma, quindi il
sudore è molto più diluito (più alto contenuto di acqua), quindi con sforzi
relativamente bassi non serve il reintegro di Sali minerali.
L’introduzione di acqua permette di regolare la temperatura corporea, eliminare le
tossine, va a comporre il sangue e il sudore ecc…
L’acqua può essere assunta tramite l’assunzione di fluidi, di cibi e tramite il
metabolismo energetico, mentre può essere espulsa con le feci, l’urina, l’aria
polmonare e sudorazione.
La gran parte dell’acqua è contenuta nei liquidi intracellulari (dentro le cellule), meno
negli spazi extracellulari e nel plasma.
Disidratazione ipertonica (perdita di acqua intracellulare)
L’attività fisica porta alla disidratazione ipertonica, con l’attività fisica si ha una
perdita maggiore di liquidi soprattutto a carico intracellulare, si perdono molti liquidi
che Sali minerali.
La perdita di Sali minerali sono soprattutto a carico di sodio e cloro è sensibile solo
per prestazioni di ultra resistenza, le perdite di potassio sono trascurabili.
Si può notare una differente perdita di Sali minerali in base alla velocità di
produzione di calore (intensità dell’attività sportiva): sodio e cloro aumenta con la
velocità di produzione di calore, il magnesio diminuisce e il potassio rimane costante.
Quindi con un’attività di ultra endurance non ripetuto immediatamente dopo, non vi è
necessità di introdurre Sali, ma di reintrodurre acqua.
Mentre se l’attività fisica viene ripetuta nel tempo (sudorazione ripetuta) si va
incontro alla diminuzione di elettroliti, quindi è necessario il reintegro di Sali
minerali oltre ai liquidi.
In caso di corretto reintagrazione liquida, ma senza l’apporto di Sali minerali si andrà
incontro ad una diminuzione del patrimonio elettrolitico (ipoelettrolitico).
Il rapporto della disidratazione e la performance: si incomincia ad avere l’interferenza
della disidratazione sulla performance con la perdita di 1/2 % rispetto al peso
corporeo dei liquidi (con riduzione performance importante), mentre la vo2 max
diminuisce con la perdita di 3/4 % dei liquidi rispetto al peso corporea.
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L’allenamento (soprattutto se eseguito in ambiente caldo) e l’acclimatazione sono dei
forti stimoli a rendere più efficienti i meccanismi della termodispersione tramite un
inizio precoce della produzione di sudore che è più abbondante ed a minore
concentrazione salina.
Nell’atleta si ha un riassorbimento di sodio e cloro, salvando un po’ gli elettroliti che
si perdono con la sudorazione, quindi il sudore di un soggetto allenato è più ricco di
potassio e acqua.
Durante l’esercizio, tali perdite non sono significative e non hanno effetti sulla
prestazione, ma se l’attività è frequente e non supportata da un corretto apporto
alimentare, vi è il rischio di un progressivo impoverimento del patrimonio corporeo
di potassio.
Sostanzialmente la produzione di energia tramite i meccanismi aerobici e quindi la
massima potenza aerobica (vo2max) è molto simile in soggetti normoidratati e
disidratati, ma l’atleta normo idratato ha la capacità di protrarre nel tempo la
prestazione ad alti livelli rispetto ai soggetti disidratati, mentre il disidratato ha
perdita precoce delle proprie capacità.
La curva di performance cala con l’aumentare del livello di disidratazione, già a
livelli di 1% (sensazione di sete) del peso corporeo di disidratazione si ha un calo
della performance, questo cala aumenta con l’aumentare della disidratazione.
Nel corso del tempo si sono modificati i regolamenti in molti sport riguardanti i
rifornimenti di acqua.
Nutrizione e performance sportiva
I livelli di idratazione giornaliera in età adulta è simile, di circa 2-2,5 l al giorno
(secondo i LARN), vengono divisi per fasce di età.
Il fabbisogno di acqua giornaliero per adulti ed anziani deve essere di 1ml per ogni
chilocaloria alimentare introdotta, deve essere assunta acqua frequentemente e a
piccole quantità, mentre per i bambini si arriva ad 1,5ml per kcal.
L’apporto di liquidi deve essere aumentato in caso si effettui attività fisica,
soprattutto se viene svolto in clima abbastanza caldo, o in situazioni di alta intensità.
Il recupero dei liquidi devono essere personalizzati ad ogni atleta, in base ai vari
parametri.
Dopo l’esercizio fisico possiamo definire il grado di idratazione del corpo andando a
considerare il peso corporeo:
-diminuzione del 1%: normo idratato
-diminuzione del 3%: disidratazione significativa
-diminuzione sopra del 5%: disidratazione pericolosa.
Il recupero idrico deve essere del 150% della perdita del peso corporeo perso durante
l’attività fisica (perdita di 2 chili, bisogna assumere 3l di acqua).
Per una corretta reidratazione durante l’attività fisica bisogna tener conto
principalmente di 2 variabili:
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-velocità di svuotamento gastrico: lo svuotamento gastrico diminuisce più
rapidamente per alcuni fattori: contenuto calorico e osmolarità, intensità
dell’esercizio, temperatura amientale, temperature bevande e altri fattori.
-velocità assorbimento intestinale: dipende dalle caratteristiche fisico chimiche dei
liquidi, l’assorbimento di acqua avviene per via passiva, mentre in presenza di
carboidrati e di sodio abbiamo un trascinamento attivo per il trasporto all’interno
della cellula, facendo si che aumenta l’assorbimento (con quantità di 4-8% di carbo e
sodio).
Queste due condizioni influenzano il giusto livello di idratazione dell’atleta durante
l’attività sportiva.
Velocità svuotamento gastrico
La velocità di svuotamento gastrico dipende da diversi fattori:
-il contenuto calorico e osmolarità: influenza lo svuotamento dello stomaco, che è più
lento in caso di bevande energetiche (maggior concentrazione calorico), con quantità
di zuccheri e Sali minerali relativamente bassi (da 4-8%) non influisce sullo
svuotamento gastrico, anzi si comporta come bevanda ottimale.
-intensità di esercizio: per sforzi di alta intensità è lento lo svuotamento gastrico, con
intensità dell’esercizio compreso tra il 65-80% del massimo rendimento non incide
nello svuotamento gastrico.
-temperatura ambientale: temperature alte interferiscono con lo svuotamento gastrico
(probabilmente perché vi riduce il flusso di sangue ed anche per una maggiore
secrezione di sostanze ormonali, come le “endorfine”).
-temperature bevande: più sono calde più lo svuotamento è lento, mentre per uno
svuotamento gastrico ottimale la bevanda deve essere circa di 10°.
-altri fattori: il ph, il contenuto di grassi, l’orario della gara, lo stato emotivo ecc…
Bevande con apporto di zuccheri minore al 2% hanno una velocità di svuotamento
gastrico molto veloce; con valori di zuccheri tra il 4-8% pur rallentando leggermente
la velocità di svuotamento gastrico garantiscono un assorbimento successivo
intestinale migliore, con valori più alti di zuccheri la velocità di svuotamento
diminuisce molto.
Velocità di assorbimento intestinale
La velocità di assorbimento intestinale dipende da caratteristiche chimicofisiche dei
liquidi: l’assorbimento dell’acqua avviene per via passiva (diffusione), ma la
presenza di sodio e carboidrati che sono assorbiti con un meccanismo di trasporto
attivo, causa un “trascinamento” dell’acqua e ne aumenta quindi l’assorbimento.
Con bevande con 4% di zucchero l’assorbimento è ottimale.
Bevande ideale
La bevanda ideale quindi è:
-rifornire rapidamente liquidi ai tessuti
-fornire quantità adeguate di carboidrati come fonti di energia
-contenere piccole quantità di Sali minerali
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-non deve provocare disturbi gastrointestinali anche se assunte in grandi quantità
-essere di gusto gradevole.
L’alimentazione post gara è fondamentale per l’atleta, soprattutto se l’atleta dovrà
ripetere a breve l’attività fisica.
Con impegno sopra all’ora e con condizioni di umidità importanti è consigliabile
assumere anche Sali minerali oltre all’acqua.
Bisogna idratarsi costantemente e piccole quantità anche al di fuori dell’allenamento
e post allenamento, costantemente durante il giorno.
Il recupero idrico deve essere del 150% della perdita del peso corporeo perso durante
l’attività fisica (perdita di 2 chili, bisogna assumere 3l di acqua).
I fattori che influenzano una giusta idratazione, quindi un giusto equilibrio tra
iperidratazione e disidratazione, i fattori che influenzano il bilancio idrico sono:
-durata dell’attività
-condizioni atmosferiche
-intensità dell’attività
-genere
-peso corporeo
-stato di idratazione
Il rischio del colpo di calore che viene causato quando la produzione di calore è
maggiore di quanto l’atleta riesce a dissipare nell’ambiente, aumenta quando:
-intensità molto alta ma con esercizi più brevi
-negli atleti con maggior massa corporea che generano maggiore quantità di calore
rispetto ad atleti più leggeri
-temperatura ambientale e umidità alta
-raffreddamento ambientale è basso come scarsa ventilazione o nelle condizioni di
test da laboratorio.
Il rischio di iperidratazione è comunque alto per evitare il più famoso concetto di
disidratazione durante l’attività sportiva, soprattutto in determinati sport questo
rischio è molto alto (lunga durata).
Per evitare l’iperidratazione non vi è un protocollo di idratazione corretto per tutti i
soggetti ma dipende da molti fattori individuali, ambientali e non uguali per tutti.
Per i runner le indicazioni di idratazione è di assumere circa 400-800ml di liquidi
ogni ora, per maratoneti veloci e più pesanti i volumi devono essere maggiori di
runner lenti e magri.
Iponatremia
In caso di eccessiva assunzione di acqua durante l’attività fisica si va incontro all’
iponatremia (iperidratazione, intossicazione d’acqua) ovvero la diminuzione del sodio
nel sangue, anche se il sudore contiene una percentuale bassa di Sali minerali.
Infatti si potrebbe andare a diminuire la concentrazione del sodio in acqua a causa
della diluizione (grande quantità di acqua assunta) o anche per la perdita di sodio per
l’eccessiva sudorazione (non viene reintegrato correttamente).
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Le indicazioni per evitare l’iponatremia sono: non bisogna superare a 1-1,5 l di acqua
assunti per ogni ora di attività sportiva per evitare che si riducano le concentrazioni
plasmatiche si sodio, queste in condizioni durante la prestazione fisica.
Un’eccessiva assunzione di liquidi può comportare importanti squilibri elettrolitici, in
particolare si può determinare iponatremia (bassa concentrazione di sodio nel
sangue), questo può portare anche alla morte per encefalopemia iponatremica.
La sintomatologia da iperidratazione sono: nausea, vomito, diarrea, coma, morte.
Per prevenire bisogna assumere una giusta quantità di liquidi e di Sali minerali
durante e dopo l’attività sportiva.
BIOCHIMICA E METABOLISMO DELL’ATTIVITA’ SPORTIVA
Il corpo per funzionare ha bisogno di energia che ricava con l’assunzione degli
alimenti, che poi converte tramite dei processi metabolici, in forma chimica
agevolmente utilizzabile.
Nell'uomo, e nella maggior parte degli esseri viventi, la molecola comune alle varie
tipologie d’utilizzo dell'energia è l'ATP che è in grado di liberare energia sotto una
forma facilmente impiegabile nei vari processi biochimici, questo grazie alla sua
fosforilazione, con liberazione di un gruppo fosfato.
L’energia può essere trasformata in:
-sintesi chimiche
-lavoro meccanico
-lavoro elettrico
-lavoro osmotico
-produzione di calore
-luce
La produzione di energia può avvenire in maniera:
-aerobica
-anaerobica: può seguire due vie metaboliche: lattacido o alattacido.
La quantità di energia richiesta è caratterizzata dalla capacità (Durata) e dalla
intensità (potenza).
POTENZA (intensità): È la quantità massima d’energia sviluppata al minuto (unità
convenzionale di tempo), è massima nel sistema energetico alattacido.
CAPACITÀ (durata): È la quantità totale d’energia sviluppabile: circa 0.6 moli d’atp
per l'alattacido, 1.2 moli d’atp per il lattacido e pressoché infinita quella del sistema
aerobico.
Il sistema aerobico possiamo paragonarlo ad un grande serbatoio con un piccolo
rubinetto, mentre il sistema anaerobico è un serbatoio molto piccolo con un grande
rubinetto, dove il rubinetto è la potenza e il serbatoio è la capacità.
Sistema anaerobico alattacido
Il sistema anaerobico alattacido è basato sull'utilizzo dei fosfageni muscolari:
fosfocreatina (PC) e ATP.
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La fosfocreatina è idrolizzata liberando energia che è utilizzata per la risintesi
dell'ATP consumato durante la contrazione muscolare.
I meccanismi sono rapidissimi, con energia elevata quindi potenza molto elevata in
brevissimo tempo, ma con capacità limitata data la scarsa quantità di substrati
presenti.
Sistema anaerobico lattacido
Il sistema anaerobico lattacido è l'idrolisi parziale del glucosio, che, in assenza
d’ossigeno, si arresta ad acido lattico: quando l'utilizzo di tale sistema è protratto
abbastanza a lungo, l'acido lattico tende ad accumularsi e può causare fatica
muscolare (modificazione ph).
L’acido lattico in buone quantità ha diversi effetti che permettono di raggiungere
intensità elevate:
-​ ​aumento del rilascio di o2 da parte della emoglobina
-emoconcentrazione (Aumento concentrazione ossigeno) da aumento dell
‟osmolarita‟
-vasodilatazione locale da acidosi
Questi fattori fanno si che ci sia una maggiore disponibilità di ossigeno locale, quindi
ci sia un aumento della produzione di energia.
Questo sistema ha un basso rendimento (solo 3 mol di atp per molecola di glicogeno
utilizzata), è massimo per i primi 90 secondi e può durare al massimo 3/4 minuti.
Una volta esaurito la riserva di fosfageni muscolari utilizzabile, il recupero di questi
substrati è abbastanza breve, in 2 minuti si ha già il recupero del 90% del fosfageno
muscolare.
La rimozione di acido lattico è più veloce se in seguito all’esercizio che ha prodotto
acido lattico si esegue un esercizio fisico blando, molto più lenta è la rimozione se
invece dopo l’esercizio facciamo una fase di completo recupero.
Un blando esercizio fisico dopo uno sforzo molto intenso permette un più rapido
smaltimento dell’acido lattico prodotto per diversi motivi: •Evita una brusca
diminuzione della portata cardiaca permettendo un adeguato flusso sanguigno
muscolare ed evitando il “ristagno” dell’acido lattico. •L’acido lattico può essere così
convertito nel fegato a piruvato • Mantiene attivi i meccanismi aerobici che riescono
a consumare il piruvato derivato dal lattato.
Sistema aerobico
Il sistema aerobico si basa sull'utilizzo dei substrati alimentari (carboidrati, lipidi e
proteine) metabolizzati in presenza d’ossigeno; è un sistema a relativa bassa potenza,
ma a grandissima capacità e ottimo rendimento: vengono, infatti, prodotte ben 39
moli d’ATP per mole di glicogeno consumato.
Il tempo con cui il sistema arriva alla massima potenza (VO2 max) è di circa 2-3
minuti: carichi di lavoro intorno al 70% di tale intensità possono essere sostenuti
anche per diverse ore.
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Il più elevato consumo di O2 che il soggetto è in grado di raggiungere durante un
lavoro fisico strenuo, o massimo consumo di ossigeno (°VO2max), è l‟ espressione
della massima potenza aerobica.
Confrontando popolazioni non omogenee (sedentari, velocisti, fondisti) il valore di
VO2 max è direttamente proporzionale al livello delle prestazioni fornite in prove di
resistenza; questa correlazione si perde confrontando un gruppo omogeneo di
fondisti.
Questo significa che un elevato VO2 max è una condizione indispensabile per una
buona performance di alto livello, ma questo da solo non è che la base per costruire
prestazioni di valore assoluto.
CLASSIFICAZIONE BIOENERGETICA DEGLI SPORT:
-sport di potenza (alattacidi) 10"- 15"
-sport prevalentemente anaerobici 15"- 45"
-sport anaerobici - aerobici massivi 45"- 180"
-sport prevalentemente aerobici superiore a 180"
-sport anaerobici - aerobici alternati
-sport di destrezza
-sport combinati
ALIMENTAZIONE E SPORT
La dieta influenza significativamente la performance sportiva, sia prima, durante e
dopo l’attività sportiva influenza sulle prestazioni sportive.
L’alimentazione deve garantire la massima prestazione sportiva raggiungibile,
ottimizza la performance sportiva, ma non esiste una dieta miracolosa per l’atleta, ma
solo buone o cattive abitudini alimentari.
L’alimentazione ideale deve anzitutto garantire il benessere, poi nello specifico per
l’atleta deve garantire l’apporto nutrizionale per esaltare la sua capacità atletica e fare
si che la sua performance sportiva sia quella massima che il suo patrimonio generico,
il suo allenamento può generare.
È necessaria una ripartizione fisiologicamente corretta dei nutrienti adattata alle
particolare esigenze individuali, in base alle varie caratteristiche fisiologiche, del tipo
di attività, del periodo e altre variabili da considerare per impostare una dieta corretta.
Una dieta corretta non fa diventare un atleta in un campione, ma una dieta scorretta
invece può trasformare un campione in un atleta di basso livello.
Una nutrizione corretta abbinata ad un buono stato di salute fanno si che un’atleta
abbia un migliore adattamento al programma di allenamento ed un migliore
rendimento tecnico e atletico, sfruttando così al massimo le sue capacità.
L’alimentazione dello sportivo deve garantire i fabbisogni plastici, idro minerali e
vitaminici, ad esempio negli atleti giovani oltre a compensare quello che si consuma,
deve anche introdurre nutrienti per la funzione plastica per la crescita, ma ovviamente
deve anche coprire i fabbisogni energetici.
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Questo permette di avere un buon equilibrio metabolico per l’atleta sportivo, quello
che introduce garantisce un apporto nutrizionale comprendente alimenti non calorici
(vitamine e Sali minerali) che calorici, sia per garantire i fabbisogni energetici sia
quelli plastici.
La dieta per lo sportivo deve essere adeguata al dispendio energetico, ben distribuita
nella giornata, variata nella scelta degli alimenti, per far si che sia equilibrata tra i
nutrienti.
La dieta può essere divisa in:
-di tutti i giorni, alimentazione di base: una dieta per l’allenamento e per i giorni di
riposo e di recupero.
-per un evento particolare, alimentazione di gara (Ad esempio partita): è condizionata
in base al pre (giorni precedenti), durante (Acqua, bevande e snack energetici) e post
partita (recupero acqua e nutrienti).
-integrazione nutrizionale:
Alimentazione di base
La dieta di base, ovvero quella di tutti i giorni per allenamento e giorni di riposo, è
caratterizzata soprattutto dalla % di carboidrati introdotta con la dieta.
Diete a media-alta % di carboidrati sono ad esempio la dieta mediterranea o
piramidale, mentre delle diete a bassa % sono la dieta a zona, dieta Atkins dove vi è
un aumento dell’apporto calorico da parte di proteine e grassi.
Poi ci sono altre diete, come quelle date da intolleranza, da gruppi sanguigni,
cronodieta.
Quella che è il patrimonio comune della nostra nazione è la dieta mediterranea che
venne attuata da Ancel Keys, nutrizionista americano che si è accorto nelle nazioni
che si affacciavano nel mediterraneo, la frequenza di malattie cardiovascolari e
malattie croniche degenerative era molto più bassa rispetto alle altre nazioni come
quella anglosassone.
La ragione venne data allo stile di vita, soprattutto al tipo di alimentazione che si
attuava definito come dieta mediterranea.
La dieta mediterranea si basa sulla piramide alimentare con alla base i carboidrati
complessi, poi salendo frutta e verdura di stagione coltivate in loco, ancora carne,
uova e latticini, ed infine zuccheri semplici e grassi animali (infatti nel mediterraneo
l’apporto di grassi era soprattutto con l’olio di oliva).
Alla base vi sono i cibi che vanno assunti più frequentemente, mentre salendo
arrivando al vertice i cibi andrebbero assunti con minore frequenza.
In seguito la piramide alimentare mediterranea venne leggermente modificata: è stata
aggiunta alla base l’attività fisica giornaliera, una corretta idratazione e controllo del
peso corporeo.
Nella nuova piramide troviamo alla base poi cereali integrali (carboidrati integrali
ricchi di fibre) e grassi vegetali (olio d’oliva) che devono essere assunti ad ogni pasto,
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con vegetali e frutta in abbondanza con 2/3 porzioni al giorno, specialmente prodotti
locali del territorio e di stagione.
La frutta secca e legumi da 1 a 3 porzioni al giorno.
Salendo nella piramide troviamo pesce, pollame, uova ed alimenti ricchi di calcio da
0 a 2 porzioni al giorno.
In cima alla piramide troviamo carni rosse, burro (grassi di origine, cereali raffinati
(riso, pane, dolci), patate, dolci che andrebbero assunti con mena frequenza, in quanto
i cereali raffinati hanno un alto indice glicemico, hanno un impatto importante sulla
produzione di insulina.
La “nuova piramide” alimentare
Si continua a proporre un adeguato uso di carboidrati complessi, ma nella forma
integrale, utile sia a fornire un ottimale apporto di fibre che a ridurre lo stimolo alla
secrezione di insulina.
L'utilizzo di cereali raffinati, patate, zuccheri semplici va dosato con parsimonia.
Anche per garantire la dieta più variata possibile, consigliamo inoltre di non limitarsi
all'utilizzo del solo frumento, consumando anche prodotti a base di farro, avena,
segale, orzo.
Va giustamente preferito l'apporto di grassi vegetali il più possibile: olio extravergine
d'oliva (ricco di acidi grassi mono-insaturi), oli di semi di mais, soia, sesamo,
girasole, ricchi di acidi poliinsaturi (evitando invece i grassi "tropicali"), in minore
misura frutta secca oleosa.
I grassi saturi come quelli contenuti nei grassi tropicali hanno una forte capacità di
favorire la deposizione di placche aterosclerotiche sui vasi sanguigni.
Sono da usare con moderazione i grassi animali, ma in abbondanza quelli derivati dal
pesce (in particolare quello azzurro). Indispensabili ampie quantità di vegetali e di
frutta, preziose fonti di antiossidanti naturali.
L'apporto proteico deve essere garantito in pari misura dai legumi e da carni
(preferibilmente bianche), uova, latte e derivati che assicurano un adeguato apporto di
calcio.
Se non vi sono specifiche controindicazioni, negli adulti è consentito un consumo
molto moderato di vino ai pasti.
Alla base, in posizione prioritaria, la prescrizione di costante attività fisica,
indispensabile per mantenere un ottimale controllo del peso corporeo: ci sembra
doveroso aggiungere a questa ultima indicazione, la raccomandazione di assicurare
un corretto apporto idro-salino, ancora più necessario nella pratica di attività sportiva
in ambienti caldi.
La nuova piramide sta alla base della dieta mediterranea, è stata dichiarata patrimonio
dell’umanità dell’Unesco, quindi riconosciuto come patrimonio di tutte le nazioni.
Nella dieta mediterranea deve essere anche considerata la modalità di cottura:
tecniche di cottura rapide e semplici; inoltre un largo impiego di spezie, aromi ed
odori (quali menta, origano, rosmarino, salvia, ecc.) generalmente mescolati ad aglio,
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cipolla, pomodori maturi e olio di oliva extra vergine, questi creano un cocktail
antiossidanti, un grado di neutralizzare i radicali liberi (prodotti nel metabolismo
energetico cellulare) e proteggere l'organismo dalla loro azione negativa.
Prodotti come frutta e vegetali freschi, cereali integrali, legumi, frutta secca in guscio
e semi contengono elementi minerali (magnesio, potassio, rame), vitamine (E, C,
acido folico, B6, B12), provitamine, polifenoli e grassi saturi (monoinsaturi e
polinsaturi).
Molto importante è il fatto che frutta e verdura deve essere di stagione ed è
consigliata la varietà dei cibi.
La piramide alimentare riguardante l’impatto ambientale è l’opposto di quella
mediterranea, infatti i cibi che vanno assunti più spesso sono quelli a basso impatto
ambientale, mentre quelli che vanno assunti meno sono quelli a più impatto
ambientale.
Quindi la piramide alimentare oltre ad essere una dieta corretta dal punto di
alimentare, ma anche corretta dal punto di vista ambientale (meccanismi di
produzione del cibo, il consumo di acqua e la produzione di co2).
Mettendo a confronto la dieta mediterranea con una dieta nordamericana si può
notare una grande differenza per quanto riguarda l’impatto ambientale tra le 2.
Fabbisogno giornaliero
Nella dieta giornaliera bisognerebbe assumere un 50% di carboidrati complessi, un
10% carboidrati semplici, 8% di proteine vegetali, 8% proteine animali, 12% grassi
vegetali (insaturi) e 12% grassi animali.
L’alimentazione per gli eventi sportivi devono prevedere:
-idratazione ottimale
-riserve ottimali di glicogeno (muscoli e fegato)
-prevenire ipoglicemia
-minimizzare ogni condizione di disagio gastrointestinale
-minimo apporto di lipidi ad alta digeribilità
Ripartizione percentuale dell’energia totale giornaliera:
Con la corsa si consuma 1 caloria per kg per km di corsa, più o meno il doppio delle
calorie consumate nella passeggiata.
Nella marcia/camminata si consumano 0,5 calorie per chilogrammi per ogni
chilometro di corsa.
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Quindi per consumare le calorie in eccesso, bisogna prendere in considerazione
diverse variabili come il peso corporeo e la velocità di corsa da tenere.
Proteine
Negli sport di forza l’ipertrofia muscolare è il mezzo per l’attività (la quantità di
fosfageni muscolari è in rapporto diretto con la massa muscolare), mentre ad esempio
nel body builder l’ipertrofia muscolare è il fine da ricercare con l’allenamento.
Il fabbisogno proteico negli adulti: i livelli giornalieri consigliati di assunzione di
energia e nutrienti (LARN) è di 1,1 grammi di proteine per kg corporeo, prendendo in
riferimento una persona adulta non atleta.
L’apporto proteico giornaliero è molto variabile, in base anche al tipo di attività che
si pratica, dall’età, dal sesso e da altre variabili.
Il fabbisogno giornaliero di proteine per supportare l’adattamento metabolico, la
riparazione, il rimodellamento e il ricambio proteico muscolare varia da 1,2 a 2g per
kg corporeo per quanto riguarda gli atleti.
Un apporto calorico maggiore può essere applicato per un breve periodo di
allenamento intenso, o ad esempio in situazioni di recupero da infortunio in quanto
bisogna tutelarsi il più possibile dalla perdita di massa magra determinata dalla
situazione.
È fondamentale un adeguato apporto di energia, in particolare da carboidrati, per
coprire il dispendio energetico, in modo che gli aminoacidi siano utilizzati per la
sintesi proteica e non ossidati.
La tipologia di sport condiziona l’apporto proteico, ma anche l’adattamento ottimale
a sessioni specifiche (periodo, tipo attività, grado di forma), dalla disponibilità
energetica dell’atleta, quindi il fabbisogno proteico va personalizzato ad ogni singolo
atleta.
Le linee guida europee individuano l’apporto proteico giornaliero per atleti di
endurance da 1,2-1,4 g per kg corrispondente quindi al 10-11% del fabbisogno
giornaliero.
Negli atleti che praticano sport di potenza, l’apporto proteico deve essere di 1-1,2g
per kg negli atleti esperti mentre 1,3-1,5g per kg negli atleti principianti che si
sottopongono ad un allenamento di forza.
In questo caso se l’apporto calorico non è adeguato nonostante si attui una dieta ben
bilanciata, potrebbe non contenere una sufficiente quantità di proteine per far fronte a
questo temporaneo aumento del fabbisogno utilizzando degli integratori proteici.
Comunque non vi è evidenza scientifica che siano efficaci (e sicuri) aumenti
dell'apporto proteico tramite integratori sino a 3-6 g/kg come è abitudine in molti
body builder.
Ci sono stati numerosi studi sul fabbisogno proteico giornaliero, alcuni affermano che
alti apporti proteici sopra ai 3g per kg possono avere un effetto positivo per atleti che
svolgono attività di resistenza, quindi di forza, anche per diminuire la massa grassa,
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non solo tramite la dieta ma anche con l’utilizzo di integratori proteici che è
altamente consigliato per l’apporto ottimale proteico sia quantitativo sia qualitativo.
Integratori proteici
La normativa italiana proibisce l’apporto di integratori proteici contenenti creatina al
di sotto dei 14 anni, questo perché potrebbe essere dannoso.
Per un grande apporto di proteine, senza assumere una grande quantità di grassi, cosa
che avviene normalmente con la dieta, bisogna far riferimento a integratori proteici.
Negli integratori proteici troviamo soprattutto proteine del latte (del siero), poi anche
proteine dell’uovo, soia e grano.
Le proteine del siero costituiscono il 20% delle proteine del latte, hanno valore
biologico più alto, possono essere del siero idrolizzate ( o del siero concentrate e
isolate.
Le proteine del siero hanno un picco di biodisponibilità più alto di quelle della soia,
poi la biodisponibilità decresce con il tempo.
Le Caseine costituiscono circa l’80% della frazione proteica del latte, hanno un picco
di biodispnibilità più basso di quelle del siero, ma che dura più a lungo nel tempo.
Abitualmente i body-builder utilizzano le proteine del siero del latte, vista la loro
rapidità di assimilazione, in funzione anabolica, ad esempio al mattino dopo il
digiuno notturno o come già visto nell’immediato recupero.
Le caseine, che hanno un rilascio più graduale, vengono assunte la sera prima di
coricarsi per sfruttarne l’effetto anticatabolico che contrasta la degradazione proteica
causata appunto dal digiuno notturno.
La difficoltà di parametrizzare l’efficacia, degli integratori in genere e di quelli
proteici in specifico, è in relazione alla complessa realtà della prestazione sportiva,
dove ad esempio in sport dove la differenza prestativa è molto piccola e non ci sono
strumenti di valutazione attendibili.
Diversi studi hanno dimostrato un aumento dell’uptake amino-acidico e della sintesi
proteica muscolare o un più rapido reintegro post-esercizio del glicogeno muscolare.
Una dieta con eccesso di proteine possono portare a danni come alterazioni della
funzionalità renale, un’aumentata escrezione di calcio e la disidratazione (l’urea
trascina via anche molecole di acqua).
Quindi a causa della diminuzione dei livelli di calcio nelle ossa si può andare incontro
a patologie come l’osteoporosi.
Diete
Nel 2020 venne fatta uno studio delle varie diete prendendo in considerazione diversi
parametri per verificare gli effetti della dieta stessa: perdita di peso a breve e lungo
termine, in presenza di patologie come diabete, cardiovascolari, facile da seguire,
completa dal punto di vista nutrizionale.
Prendendo in considerazione questi parametri venne fatta una classifica delle migliori
diete da attuare: tra le migliori sono state individuate weight watcher, dash diet, the
dieta flexitariana, ed al primo posto viene collocata la dieta mediterranea.
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Dieta mediterranea
Secondo questo studio la dieta mediterranea è la migliore dieta globale, prendendo in
considerazione tutti i parametri.
La dieta mediterranea è considerata come dieta normale ed equilibrata che prevede
l’apporto di 50-60% di carboidrati, 30-35% lipidi e 10-15% di proteine.
La dieta mediterranea è al primo posto delle diete vegetali, per chi è affetta da
diabete, come dieta salutare e per semplicità da seguire.
Non è tra i primi posti per la perdita di tempo a breve e lungo termine, mentre è al
secondo posto per chi ha malattie cardiovascolari.
La migliore dieta per la perdita di peso è la weight watcher diet.
Dieta a zona
La dieta a zona è molto seguita da sortivi, prevede il 40% di carboidrati, 30%
proteine e 30% lipidi per un totale di 1200-1500 calorie, quindi una dieta iperproteica
e ipocalorica a confronto della dieta mediterranea; prevede anche l’assunzione di
integratori specifici.
Le regole della zona sono:
-In ogni pasto si devono assumere le giuste proporzioni di carboidrati, proteine e
grassi e il rapporto in calorie deve essere: 40%-30%-30%
-tra un pasto e l’altro non deve intercorre più di 5 ore, se serve effettuare uno
spuntino, quindi si potrebbe definire il 3+2 per una corretta alimentazione giornaliera.
-è necessario ridurre il consumo di dolci (zuccheri semplici), pane, pasta, riso e
cereali raffinati ad alto indice glicemico.
-mangiare molta frutta e verdura a basso indice glicemico
La dieta a zona quindi si basa di integratori specifici soprattutto sull’omega 3, è una
dieta proteinocentrica, si basa sull’apporto proteico, prima si va a stabilire la necessità
proteica dopodiché si struttura l’apporto di carboidrati e grassi.
Il rapporto tra proteine e carboidrati varia da 0,75 a 0,60, per 3kcal di proteine si
assumono 4-5kcal di carboidrati a basso indice glicemico.
L’apporto di proteine in relazione al livello di attività fisica varia da 1,1kcal per kg di
massa magra per persone sedentarie, al 2,2kcal per kg di massa magra per un’atleta al
top, con allenamenti pesanti, varia con il tipo, la frequenza e l’intensità degli
allenamenti.
L’unità di misura del cibo nella dieta a zona è il blocco, che esprime una miscela di
macronutrienti in rapporto (40-30-30) che comprende i miniblocchi o blocchetti: 1
blocchetto di proteine (7g), 1 di carboidrati (9g) e 1 di lipidi (3g) per un apporto
calorico di 88,75ckal.
Una casalinga-impIegata deve assumere 10-11 blocchi al giorno per 1065kcal, fino a
18-20 blocchi per uno sportivo che corrisponde a 1775kcal, quindi si tratta di una
dieta ipocalorica, forse vanno bene se si deve avere un importante perdita di massa
grassa, ma per un’atleta con una buona attività giornaliera è troppo bassa.
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La dieta a zona per l’atleta potrebbe essere ipocalorica o iperproteica, soprattutto per
l’atleta di endurance che non sembra garantire il giusto livello di glicogeno
muscolare, o iperproteica perché per aumentare l’apporto calorico bisogna aumentare
il fabbisogno di proteine.
Esempio pratico un soggetto di 100kg, con 10% di grasso corporeo, quindi 90kg di
massa magra, con allenamento da 4-6 ore al giorno.
Con la dieta a zona dobbiamo basarci sull’apporto proteico: 2,2*90= 198g (792kcal),
quindi per l’apporto calorico giornaliero possiamo fare: 792*100/30= 2640kcal
(792kcal di grassi e 1056 di carboidrati), che è un apporto calorico troppo basso per
un’atleta del genere.
Il rapporto proteine/carboidrati come detto può scendere dal 0,75 a 0,60: quindi con
792kcal di proteine, possiamo introdurre 1320kcal di carboidrati per un fabbisogno
giornaliero di 2904kcal che è ancora troppo basso per un’atleta di alto livello,
insufficienti per un’atleta che si allena così intensamente.
Quindi utilizzando una dieta che prevede l’apporto calorico di 5000kcal più corretta
per un’atleta del genere, con la dieta a zona sono 1500kcal di proteine (quindi 375g al
giorno), quindi addirittura 4,16g di proteine per kg di massa magra, altamente sopra
ai livelli massimi che individuavano come 2,2g, si rischia quindi di avere una dieta
iperproteica.
Per non avere quindi una dieta iperproteica o ipocalorica, tenendo quindi proteine e
carboidrati nei giusti livelli quindi 792kcal di proteine e 1320 di carboidrati, tenendo
bloccato il rapporto di 3/4 proteine/carboidrati, dobbiamo alzare per forza i livelli di
grassi fino a 2800kcal per raggiungere il fabbisogno giornaliero di 5000kcal, quindi
con un apporto di grassi del 58% del fabbisogno giornaliero, quindi con una dieta
iperlipidica, 320g di grassi al giorno, che è una cifra assurda di grassi.
La dieta quindi rischia di essere iperproteica, ipercalorico o iperlipidica, seguendo le
regole, per ovviare a questo problema è stata prevista la finestra dei carboidrati dai
seguaci della zona italiana.
Dopo l’attività di sport di endurance con consumo di glicogeno muscolare
importante, la finestra che si apre nelle prime 2 ore dopo l’attività intensa è quella in
cui risulta più efficace per l’assunzione dei carboidrati.
La “zona italiana” ha previsto questa finestra dei carboidrati post esercizio di 2 ore
circa, dove introducendo carboidrati non vada a modificare i parametri del 40-30-30
della dieta a zona, zona franca dove si può avere un apporto di carboidrati importante
senza andare a variare i parametri.
Questa non sembra essere una soluzione al problema della zona, in quanto si
andrebbe ad arrivare quasi al 60% dei carboidrati e quindi assomiglia molto alla dieta
mediterranea.
In conclusione la dieta a zona può essere usata per perdere peso, in soggetti non
troppo attivi, mentre non è consigliata per chi fa sport ad alto livello.
Dieta chetogenica
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È una dieta a bassissimo apporto di carboidrati, non essendoci una disponibilità di
carboidrati l’organismo si adatta e deve utilizzare i depositi: o la parte proteica del
muscolo (tende a non essere utilizzate) o il deposito di grasso.
Nella dieta chetogenica si tende a mantenere uno stato cronico di chetosi, cioè una
condizione metabolica nella quale vengono utilizzati i corpi chetogeni per ricavare
energia come acido acetico e acetone e acido betaidrossibutirrico.
Questo stato di chetosi, è molto simile alla situazione di digiuno, in cui in carenza di
glucosio, le cellule epatiche producono i corpi chetogeni come substrati energetici.
Il glucosio introdotto con la dieta ha 3 vie:
-utilizzato immediatamente come fonte energetica
-viene immagazzinato nel muscolo e fegato come glicogeno muscolare
-viene trasformato in depositi adiposi quando è in eccedenza rispetto al fabbisogno.
Se nel circolo sanguigno c’è abbondanza di glucosio, a riposo questo viene utilizzato
come fonte di energia primaria.
Per indurre la chetosi bisogna diminuire l’apporto di carboidrati, quindi una dieta
ipoglucidica e quindi iperlipidica, con una dieta ipocalorica i corpi chetogeni vengono
prodotti utilizzando i grassi di deposito, con una dieta normocalorica i corpi
chetogeni vengono prodotti utilizzando i grassi contenuti negli alimenti.
Una dieta con scarso contenuto di carboidrati, c’è poca insulina in circolo, mentre
aumenta il glucagone in circolo (gluconeogenesi e glicogenlisi)
Per mantenere la glicemia inizialmente l’avvio della glicogenolisi attraverso il
glicogeno muscolare nel fegato, successivamente avviene il processo di
gluconeogenesi a partire dagli amminoacidi, poi avviene la lipolisi del tessuto
adiposo.
Le vie metaboliche di proteine, carboidrati e grassi convogliano tutte con la
produzione di acetil coa per poi avvenire il ciclo di krebs.
Per far si che si abbia un utilizzo dei grassi con l’attività fisica, bisogna che avvenga
anche il metabolismo degli zuccheri necessario perché venga prodotto l’ossalacetato
necessario per far avvenire il ciclo di krebs.
La dieta chetogenica non è da confondere con la chetoacidosi (diabete) che è uno
status patologico.
Nella dieta chetogenica l’apporto giornaliero di carboidrati è minore a 50g, quasi il
90% di lipidi.
La dieta chetogenica è indicata per soggetti obesi, mentre è controindicata per donne
in gravidanza.
La dieta chetogenica aumenta l’ossidazione dei grassi, ma riduce gli sprint ad alta
intensità (sport di forza e potenza), ma sembra non essere idonea nemmeno per sport
di resistenza in quanto prevedono soprattutto lavoro aerobico, quindi con
l’ossidazione di zuccheri, questo causerebbe la diminuzione della performance.
La dieta chetogenica tende a diminuire la massa grassa e può essere utile per sport
che trovano giovamento dalla perdita di massa grassa.
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È una dieta adottato da un centinaio di anni, che ha avuto successo in soggetti con
problemi epilettici farmaco resistenti.
Dieta paleolitica
È una delle prime diete adottate dall’uomo che si evoluta con l’evoluzione dell’uomo,
infatti decine e decine di migliaia di anni fa l’alimentazione dell’uomo si basava sulla
caccia delle prede che riusciva a cacciare e raccoglieva frutti e cereali spontanei.
Fra i 10 e 15 mila anni fa è avvenuta la graduale trasformazione da cacciatori nomadi
ad agricoltori stabili, quindi si ha l’apporto di alimenti coltivati, soprattutto di cereali.
Questo passaggio sembra aver indotto delle malattie metaboliche in quanto il nostro
metabolismo non è stato in grado di adattarsi.
Infatti le popolazioni che hanno mantenuto le origini di cacciatori e raccoglitori
hanno una bassissima probabilità di riscontrare malattie metaboliche e
cardiovascolari.
La vera dieta paleolitica si basava sulla caccia, per questo si mangiava tutti i tipi di
animali, ma non cereali e legumi che non erano coltivati.
I grassi erano esclusivamente di origine animale.
In conclusione è una dieta complicata da seguire, e non è detto che apporti solo dei
benefici, infatti c’è da considerare che le persone antenate aveva un peso medio più
basso e svolgeva molta più attività fisica per cacciare.
Non vi è dubbio che gli alimenti disponibili e consumati da i nostri antenati paleolitici
erano molto diversi da quelli consumati oggi. Tuttavia, l'idea che queste differenze
dietetiche siano le sole responsabili delle malattie croniche che affliggono l'uomo
moderno è una semplificazione evolutiva e manca di evidenza scientifica. Allo stesso
modo, con poche eccezioni, la logica per includere o escludere determinati alimenti
dalla moderna Paleo-dieta non è nutrizionalmente e scientificamente valida. Quindi,
gli individui cercando di migliorare la salute, minimizzare il rischio di malattia e
ottimizzare le prestazioni atletiche dovrebbero concentrarsi sul consumo di una dieta
che fornisca una varietà di alimenti ricchi di nutrienti all'interno e tra i diversi gruppi
alimentari soddisfacendo al contempo le esigenze individuali di calorie.
Potrebbe anche essere che fosse lo stile di vita adottato dai nostri antenati ad essere
salutare, ovvero più attività fisica giornaliera, ma soprattutto molta meno sedentarietà
rispetto alla società di oggi, infatti una relativamente bassa incidenza di patologie
dismetaboliche è presente anche in popolazioni rurali che basano la loro
alimentazione su una agricoltura “non avanzata tecnologicamente”.
In ultima analisi, la composizione della dieta, purché il più possibile varia e salvo
situazioni estreme in un senso o nell’altro, è probabilmente meno importante della
fatica che si fa per procurarsi il cibo.
Se il rapporto: Calorie consumate per procurarsi il cibo/Calorie ottenute è troppo
basso, in quella società, inevitabilmente l’incidenza di patologie metaboliche
aumenterà.
Carboidrati e lipidi
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L’apporto energetico % da parte dei vari substrati durante un’attività sub massimale è
il seguente:
-44% glicogeno muscolare
-32% trigliceridi muscolari
-13% glucosio ematico
-11% acidi grassi circolanti nel sangue
Quindi in un’attività submassimale oltre il 75% di produzione di energia è derivante
da substrati depositati, mentre meno del 25% da nutrienti circolanti.
In attività con bassa intensità e lunga durata l’apporto energetico è basato soprattutto
sui grassi, mentre con attività ad alta intensità e durata breve abbiamo l’apporto di
energia con l’utilizzo di zuccheri.
Le proteine tranne in alcune situazioni hanno tendenzialmente un basso apporto
energetico nell’attività fisica.
L’ossidazione generale degli acidi grassi aumenta in risposta all’esercizio e raggiunge
il suo picco massimo a circa il 60% della VO2 max. Inoltre, l’ossidazione lipidica
aumenta con la durata dell’esercizio caratterizzato da moderata intensità. L’esercizio
incrementa lipolisi sia nel tessuto adiposo sia nei muscoli coinvolti nella contrazione.
Il punto di intensità di sforzo dove è massimo il consumo di grassi è di 11km/h ma
può variare in base alle caratteristiche genetiche ed al livello di allenamento dei
soggetti, più un soggetto è allenato alla resistenza più i sistemi di produzione di
energia tendono ad utilizzare i grassi, in quanto anche nei soggetti più magri ce né
una % di deposito più alta rispetto a quella degli zuccheri.
Gli zuccheri e le proteine producono 4kcal per g, mentre i lipidi addirittura 9kcal per
g, il paradosso è come mai i carboidrati sono quindi preferiti ai lipidi quando vi è la
necessità di avere un rapido e importante apporto energetico, pur avendo un
potere calorico (4 cal/g) inferiore alla metà di quello dei grassi (9 cal/g).
Questo perché i grassi, per produrre energia, necessitano di molto più ossigeno
rispetto agli zuccheri (in quanto il glucosio è una molecola già ossidata): quindi
l’equivalente energetico per volume d’ossigeno consumato, cioè il reale indice
d’efficienza energetica, è più alto nei carboidrati rispetto ai grassi.
Il fattore limitante quindi è l’ossigeno che viene consumato, ovvero la disponibilità di
ossigeno per produrre energia.
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Quindi il rapporto tra energia prodotta ed ossigeno utilizzato è molto più alto negli
zuccheri rispetto ai grassi, per questo quando abbiamo bisogno di energia in breve
tempo ad alta intensità si vanno a consumare gli zuccheri, mentre a minore intensità
si consumano i grassi risparmiando gli zuccheri.
Il quoziente respiratorio massimo è uguale a 1 quando si consumano gli zuccheri in
quanto tanto ossigeno viene prodotto quanta co2 viene espulsa.
Con una forte produzione di acido lattico, questo viene espulso in parte sotto forma di
co2, con un quoziente respiratorio addirittura sopra ad 1.
Negli sport di lunga durata la fatica insorge a causa dell’esaurimento delle scorte di
glicogeno muscolare, superata la soglia di concentrazione del glicogeno muscolare la
performance cala drasticamente, questo avviene negli sport di resistenza e negli sport
di squadra.
Quindi superata una certa soglia di glicogeno lineare la diminuzione della
performance non è più lineare, ma cala drasticamente.
Il glicogeno muscolare rappresenta la forma sotto il quale i carboidrati vengono
immagazzinati nell’organismo, esso si trova in quantità limitata nei muscoli e nel
fegato, per questo in caso di sforzi prolungati, esso possa esaurirsi, mentre ciò non
accade ai lipidi, i cui depositi sono virtualmente illimitati.
Per esercizi che sono molto lievi (<60% Vo2max) o molto intensi (>90% Vo2max),
non si assiste ad una riduzione di glicogeno muscolare, questo perché con attività
lievi si vanno ad utilizzare quasi esclusivamente i grassi per produrre energia e
l'interruzione dello sforzo per fatica acuta è causata, da altri motivi come ipoglicemia,
iperammoniemia, alterazione dei neurotrasmettitori cerebrali, discomfort, dolore
muscolare, aumento della temperatura corporea, disidratazione.
Mentre con intensità molto elevate trattandosi di sforzi molto intensi (di tipo
lattacido), il glicogeno rappresenta l'unico substrato utilizzabile per la produzione
glicolitica di ATP, ma l’attività è talmente breve che non c’è l’esaurimento del
glicogeno, essenzialmente per l'accumulo d'acido lattico nei tessuti (acidosi
metabolica).
L’utilizzo di glicogeno muscolare avviene in maniera percentualmente differente nei
diversi tipi di fibra muscolare (fibre lente e rapide) in relazione all’intensità
dell’attività e al tipo di sport.
In sport come ciclismo le riserve di glicogeno si esauriscono solo in muscoli specifici
utilizzati nello sport.
Ci sono delle strategie per aumentare il serbatoio di glicogeno muscolare, come
l’apporto maggiore di carboidrati complessi i giorni precedenti alla gara.
Infatti al di sotto di una certa soglia di livello di glicogeno muscolare si ha una
diminuzione drastica della prestazione sportiva, mentre in un primo momento non si
hanno grosse differenze di prestazione fisica.
Bisogna quindi aumentare il serbatoio di glicogeno muscolare, per accumulare
glicogeno nei giorni precedenti alla gara, andando ad aumentare la % di carboidrati a
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partire dalla dieta mista, fino ad arrivare ad esempio al 70-80% i giorni precedenti
alla gara, per andare ad accumulare carboidrati e quindi glicogeno muscolare.
Per aumentare ancora di più il serbatoio di glicogeno muscolare a partire dalla dieta
mista si fa attività fisica (cala quindi il livello di glicogeno muscolare), dopo l’attività
non si fa un carico di carboidrati (glicogeno) immediato, ma si passa ad una dieta
ipoglucidica per un breve periodo (apporto di grassi e proteine), per arrivare ad una
deplezione estrema di glicogeno muscolare, a questo punto si somministra una dieta
molto ricca di carboidrati per avere un aumento notevole di riserva di glicogeno
muscolare.
Attuando queste soluzioni ci possono essere anche delle conseguenze, infatti non è
molto sopportabile da molti atleti (soprattutto a livello mentale), inoltre l’accumulo di
glicogeno essendo molto idratato porta con sé molta acqua, che può essere un
vantaggio avere una riserva di acqua metabolica, ma dall’altra è un muscolo ricco di
acqua che potrebbe penalizzare la performance sportiva.
Questo tipo di procedura per questo non è seguita da molti atleti, per questo senza
arrivare a regimi dietetici estremi, che possono causare degli effetti sfavorevoli in
alcuni atleti (malessere generale, disturbi digestivi, ansia, insonnia, pesantezza
muscolare), per ottenere un sensibile aumento del glicogeno muscolare è sufficiente
aumentare la percentuale di carboidrati (principalmente quelli complessi) sino al
70-75% della energia totale giornaliera nei tre giorni precedenti la gara prevedendo
contemporaneamente dei carichi di lavoro brevi e a bassa intensità (40‟-45‟ al 35-40
% del VO2 max)
I giorni precedenti alla gara, l’apporto calorico deve essere variato in base agli orari
degli allenamenti e della gara, la suddivisione dell’apporto energetico va attuato
valutando queste variabili.
Linee guida apporto glucidico per atleti
Le indicazioni per fornire un'elevata disponibilità di CHO, in riferimento alle
necessità quotidiane di apporto e per il recupero, sono diverse in base al tipo di
allenamento, qualità e intensità dell’allenamento, sono raccomandazioni generali che
dovrebbero essere messe a punto considerando le esigenze individuali di fabbisogno
energetico totale, condizioni di allenamento specifiche e feedback dalle prestazioni di
allenamento.
In altre occasioni, quando la qualità o l'intensità dell'esercizio è meno importante, è
meno importante raggiungere tali obiettivi di assunzione di CHO o meglio
organizzarli durante il giorno per ottimizzarne la disponibilità per sessioni specifiche.
In questi casi, l'assunzione di carboidrati può essere scelta per soddisfare obiettivi
energetici, preferenze alimentari o disponibilità di cibo.
In alcune situazioni, quando l'attenzione è rivolta al miglioramento dello stimolo
allenante o alla risposta adattativa, è possibile ottenere deliberatamente una bassa
disponibilità di CHO riducendone l'assunzione totale o manipolandola in correlazione
alle sessioni di allenamento (ad esempio, allenarsi a digiuno o intraprendere una
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seconda sessione di esercizio senza adeguate opportunità di rifornimento dopo la
prima sessione), per poi avere una quantità maggiore di sintesi del glicogeno.
Quindi le linee guida per il fabbisogno glucidico giornaliero variano in base
all’intensità dell’allenamento:
-basso carico d’intensità (o destrezza): 3-5g al kg al giorno,
-moderato carico (intensità moderata 1h al giorno): 5-7g per kg al giorno,
-alto carico (endurance da 1-3h): 6-10g per kg al giorno
-molto alto (impegno estremo sopra le 4-5 ore): 8-12g per kg, necessario un apporto
di alimenti ricchi di carboidrati.
La situazione cambia quando è necessario un apporto glucidico immediato, ovvero
durante l’esercizio per garantire in tempi brevi il giusto apporto:
-attività di breve durata sotto i 45 minuti: non serve l’apporto glucidico e in teoria
nemmeno di idratazione.
-attività ad alta intensità tra i 45’ e 75’: piccole quantità di CHO compreso lo
sciacquarsi la bocca; il frequente contatto di soluzioni acquose ricche di zuccheri (di
CHO) con la bocca e la cavità orale può stimolare parti del cervello e del sistema
nervoso centrale per migliorare la percezione di benessere durante l’esercizio e
aumentare la performance.
-attività di endurance, compresi gli sport stop and go (1 h-2h30’): si assumono circa
30-60 g/h
-sport di ultraendurance (>2h30‟-3h): Fino a 90 g/h, Assunzioni più elevate di CHO
sono associate a migliori prestazioni. I prodotti che forniscono CHO più assimilabili
(glucosio con miscele di fruttosio) sono quelli che, durante l'esercizio, raggiungono i
più alti tassi di ossidazione.
Lipidi
Una parte dei lipidi di deposito (trigliceridi) che si accumulano nel tessuto adiposo
sono necessari, quindi essenziali per la salute, la cosiddetta massa grassa essenziale.
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Il metabolismo lipidico: avviene la lipolisi nel tessuto adiposo (Cellule adipose),
vengono rilasciati gli acidi grassi liberi nel sangue ed arrivano nel muscolo dove
avviene il metabolismo muscolare (con la beta ossidazione a livello mitocondriale e
poi il ciclo di krebs).
A stimolare il metabolismo lipidico ci sono degli ormoni come il testosterone, il
cortisolo e l’ormone della crescita, mentre i fattori che inibiscono la lipolisi sono
l’insulina, le prostaglandine contrastano la lipolisi, aumentando la liposintesi.
I substrati energetici utilizzati nelle varie intensità di esercizio:
-a bassa intensità (25% Vo2max): con buona possibilità di utilizzare ossigeno si
vanno ad utilizzare gli acidi grassi liberi nel plasma risparmiando gli zuccheri
-media intensità (circa 65%): si inizia ad utilizzare il glicogeno muscolare e
aumentano molto i trigliceridi muscolari utilizzati.
-alta intensità (85% vo2max) si aumenta ancora il glicogeno muscolare (gran parte
dell’energia), ma una buona parte deriva anche da acidi grassi liberi e trigliceridi
muscolari (che però diminuiscono dall’intensità media).
Con l’aumento del carico aumenta soprattutto l’utilizzo di glicogeno muscolare.
Per quanto riguarda i lipidi: a bassa intensità si consumano solo gli acidi grassi liberi
circolanti nel plasma, a media intensità (65%) si ha il 50% di trigliceridi di deposito e
50% di acidi grassi circolanti, mentre ad alta intensità (85%) diminuisce la quota di
energia ricavata dall’utilizzo dei grassi, con la quota di acidi grassi rimane pressoché
invariata, mentre diminuisce di molto la quota di trigliceridi di deposito.
Confrontando soggetti allenati e soggetti non allenati: l’atleta allenato ha la capacità
di utilizzare una grande quantità di apporto calorico energetico da parte dei grassi in
attività di alta intensità.
Questo perché ha la capacità di utilizzare meccanismi energetici con piccole quantità
di ossigeno permettendo di risparmiare il glicogeno che sarà utile nelle fasi finali.
Alimentazione di gara
Si divide in: periodo pregara (carico glicogeno ​◊​ razione d‟attesa), Gara (apporto
calorico, idratazione) e recupero.
Il pasto pregara serva a: prevenire la fame prima e durante l'esercizio, mantiene i
livelli ottimali di energia per l’esercizio, il pasto pre-competizione dovrebbe essere
ricco in carboidrati a basso IG, povero di grasso, e facilmente digeribile e limitare
l’assunzione di fibre.
L’importanza del pasto a basso ig sta nel fatto che ritarda l’insorgenza della fatica,
abbassa i livelli di insulina, aumenta l’ossidazione degli acidi grassi, migliora
l’omeostasi glicemica.
Tra il pasto pregara e la competizione vera e propria dovrebbero passare circa 3 ore,
che rischiano di essere troppe per l’atleta, questo periodo è chiamato razione d’attesa
dove è opportuno fornire all’atleta una razione d’attesa idrico-glucidica, a circa 30-40
minuti dalla gara.
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Questa previene il possibile rischio ipoglicemico e di eccessiva glicogenolisi nei
primi 30-45 minuti di gara con effetto quindi di risparmio del glicogeno muscolare
precedentemente accumulato, e combatte anche gli effetti dello stress pregara che
potrebbe causare il rilascio di ormoni dello stress, che hanno effetto ipoglicemizzante.
Si sono ormai abbandonate da molti anni le bevande a base di glucosio o saccarosio
(glucosio+fruttoso) per l’effetto iperinsulinemico e quindi ipoglicemizzante che
segue alla loro ingestione.
Anche le composizioni a base di fruttosio, che ha assorbimento insulino-indipendente
e quindi non causa come il glucosio effetti sfavorevoli sul metabolismo glucidico,
sono state abbandonate sia perché hanno una ossidazione lenta e non sembrano quindi
avere un effetto di risparmio sul glicogeno muscolare, sia perché in molti atleti
causavano disturbi intestinali.
Prima della gara infatti se assumiamo zuccheri semplici concentrati, si andrebbe
incontro al fenomeno del rimbalzo ipoglicemico, ovvero si ha un rapido assorbimento
di questi zuccheri con un repentino aumento della glicemia, con la conseguenza di
iperproduzione di insulina (molto maggiore rispetto a quella che servireebe in base
alla quantità di zuccheri introdotti) a causa della concentrazione e non della quantità
con il risultato di andare incontro all’ipoglicemia.
Con l’apporto di bevande miste tra zuccheri semplici (10-15%) e maltodestrine sia
durante la gara sia per la razione d’attesa, si ha un miglioramento della performance:
permette di avere una durata più lunga dell’attività fisica.
Razione di gara
L’apporto durante la competizione è indicata solo in quelle competizioni la cui
durata, uguale o superiore ai 60‟, nelle quali è consigliato un apporto non solo idrico
ma anche energetico con CHO (l’aggiunta di proteine in rapporto di 1:4 rispetto ai
CHO sembra poter migliorare ulteriormente la prestazione).
Inoltre si rende necessaria in quelle attività quali sport di combattimento, scherma,
sport di squadra, ecc. in cui pur non essendoci un lavoro continuo e prolungato, gli
atleti sono impegnati per diverse ore o per l’intera giornata, con necessità di
combattere la disidratazione e l’insorgenza della fame, in questo caso la razione di
gara può essere di tipo solido o liquido.
La razione di gara solida è proponibile quasi esclusivamente nel ciclismo su strada
(negli sport di endurance): deve essere suddivisa in piccole porzioni (50 grammi) a
prevalente contenuto di carboidrati complessi, un piccolo apporto di quelli semplici
ed anche di proteine e lipidi.
La razione liquida da gara è di composizione sovrapponibile alla razione d’attesa: a
base di zuccheri semplici (maltodestrine) ed eventualmente sali minerali. Si dovrebbe
assumere ogni ora dai 30 ai 60 grammi di carboidrati semplici: è comunque da
ricordare che l’assunzione di bevande a contenuto calorico durante l’attività fisica
non induce la risintesi del glicogeno muscolare già consumato, ma ne favorisce il
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risparmio e mette a disposizione dell’atleta un pool energetico da utilizzare nelle fasi
finali o a più alta intensità della competizione.
Alimentazione post gara
L’alimentazione dopo la gara è fondamentale soprattutto se l’atleta deve ripetere a
breve termine la prestazione (es. corsa a tappe) in quanto la velocità con cui il
glicogeno muscolare si riforma è massima nelle primissime ore dopo lo sforzo fisico
ed aumenta in proporzione alla quantità di zuccheri introdotti.
Gli zuccheri ingeriti nelle prime 2 ore post gara (finestra post esercizio, finestra più
sensibile per il reintegro energetico), portano ad una sintesi del glicogeno molto
maggiore rispetto a quello che succedesse dopo 2 ore dalla fine dove la sintesi di
glicogeno è minore.
Si consiglia perciò di assumere (sempre sotto forma di bevanda) 50-100 g di zuccheri
entro i primi 30 minuti, con ulteriori supplementi ogni due ore fino ad un totale di
500-600 g nelle prime 20 ore (8-10 g di carboidrati per kg di peso corporeo).
La velocità di risintesi del glicogeno varia dal 7% nei primi 30 minuti, fino al 2%
dopo due ore.
La presenza di AA ramificati nella bevanda sembra influenzare positivamente
l’assorbimento degli zuccheri.
Timing assunzione Preesercizio
Le riserve di glicogeno sono limitate e dipendono soprattutto dallo stato nutrizionale
(serbatoio di glicogeno), dall’intensità e livello d’allenamento dell’atleta (buon
allenamento permette di consumare più grassi).
Tali riserve durante una attività da moderata ad intensa (65 – 85% VO2max) possono
essere sufficienti solo da 90‟ ad un massimo di 3 ore, senza garantire un apporto
superata questa soglia la performance diminuisce.
L’intensità dell’esercizio, la frequenza e il lavoro effettuato diminuiscono con la
caduta dei livelli di glicogeno che è associata ad un aumento del catabolismo proteico
muscolare.
In caso di allenamento con dieta ipoglucidica, con basso contenuto di glicogeno
muscolare, tende ad aumentare il catabolismo proteico muscolare.
Le massime riserve endogene di glicogeno sono raggiunte seguendo una dieta ad alto
contenuto di CHO (600–1000 g o ~8–10 g/kg/d) ad alto indice glicemico.
Il contenuto ottimale di CHO e PRO del pasto precompetitivo dipende da un vario
numero di fattori quali la qualità, durata e intensità dell’esercizio, il livello prestativo
dell’atleta, ma le linee guida raccomandano l’assunzione di 1 – 2 g CHO/kg e
0.15–0.25 g PRO/kg circa 3–4 ore prima della competizione.
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Negli sport di potenza l’assunzione prima dell’esercizio di PRO (e AA essenziali) da
soli o associati con CHO, sembra produrre un aumento dei livelli di sintesi proteica
Timing Durante l’esercizio
Durante l’attività la disponibilità di CHO e i livelli di glicogeno muscolare sono i
fattori maggiormente determinanti nella prestazione di durata. L‟ assunzione di CHO
diventa sempre più importante quando il glicogeno muscolare diminuisce con il
progredire dell’esercizio.
Se la durata dell’esercizio supera i 60‟ le fonti esogene di CHO diventano importanti
per mantenere costante la glicemia e rallentare ulteriore caduta del glicogeno
muscolare. L’assunzione può avvenire con 30-60g/h in una soluzione al 6-8% in
CHO assunta, quando possibile ogni 10-15‟.
Una miscela di differenti tipi di CHO ha dimostrato essere in grado di aumentare
l’ossidazione muscolare di CHO da 1.0 g CHO/min a 1.2 g–1.75 g CHO/min fatto
associato ad un aumento dei tempi di esecuzione dell’esercizio.
Può essere utilizzata una miscela di glucosio, fruttosio, saccarosio e maltodestrine,
ma non sono raccomandabili eccessive quantità di fruttosio (>10%) per la facilità di
causare disturbi gastrointestinali.
L’aggiunta di PRO ai CHO in rapporto di 1:3-4 ha può aumentare le prestazioni di
endurance, e promuovere al massimo la glicogeno-sintesi tra successive sequenze di
lavori di endurance.
Timing Post esercizio
L’assunzione nei primi 30 minuti di alti dosaggi di CHO (50-100g), con ulteriori
supplementi ogni due ore fino ad un totale di 500-600g nelle prime 20-24 ore (8-10g
CHO/ kg p.c. al giorno) può consistentemente aumentare la resintesi di glicogeno,
che può essere ulteriormente migliorata dall’associazione con PRO (0.2–0.5g PRO /
kg p.c. al giorno).
L’ingestione entro tre ore dalla fine di allenamenti alla forza di AA (specialmente
essenziali) è in grado di stimolare efficacemente la sintesi proteica che risulta
ulteriormente potenziata dalla coingestione di CHO.
Durante i periodi prolungati di carico di allenamento alla potenza l’assunzione di
associazioni CHO-PRO a svariati dosaggi sembrerebbe efficace a stimolare
miglioramenti della forza e composizione corporea.
Regole alimentazione dell’atleta in età evolutiva
Nell’alimentazione dell’atleta in età evolutiva è molto importante:
-la varietà: delle fonti proteiche (pesce, carni, uova e latticini), dei cereali (integrali e
di vario tipo) e della frutta e verdura (locale e di stagione).
-il tempo: pasti frequenti (almeno 5 al giorno, soprattutto la colazione), evitare fuori
pasti inutili (spizzicare di continuo sia dolci e salati) e non saltare i pranzi (soprattutto
la colazione, che spesso è trascurata).
-sport: non sopravvalutare il consumo calorico (soprattutto se le ore di sport sono le
uniche di attività fisica, in quanto i momenti di pausa sono più lunghi delle attività
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stesse), preferire alimenti freschi (prima e dopo lo sport meglio la frutta che le
barrette) e idratarsi correttamente (ma non servono gli integratori idrosalini).
Le 10 regole di un ragazzo sportivo (energia ed equilibrio a tavola) sono:
-varietà dei cibi per crescere nel modo giusto
-5 pasti al giorno: 3 principali + 2
-a tavola si mangia con calma, mastica bene e rilassati
-bevi tutto il giorno acqua a volontà, molti liquidi.
-per un pieno di energia, la prima colazione deve essere ricca.
-a pranzo prima di un allenamento, bisogna fare un pasto leggere ricco di verdure e
frutta, pasta con sughi leggeri.
-a cena alterna carne, uova, formaggi e pesce
-varia anche le merende e gli spuntini, con prodotti più leggeri.
-prima di fare sport evita cibi grassi e troppo elaborati
-consumare i pasti in modo regolare
Da ricordare anche che la colazione deve avvenire almeno 2 ore prima dell’attività
sportiva, ma non bisogna nemmeno superare le 4 ore di digiuno prima di fare attività;
inoltre dopo il sonno che deve essere di 8/9 ore è necessario fare una colazione ricca e
abbondante.
Non servono gli integratori ma bastano aggiungere alimenti ricchi di proteine almeno
3 ore prima dell’attività sportiva.
DIETA VEGANA nello sport
Ci sono molti tipi di diversi di dieta vegetariana e vegana.
La dieta vegana prevede di evitare il consumo di tutti i prodotti animali e i cibi
derivati dagli animali.
La dieta vegana è compatibile anche per atleti professionistici, non ci sono problemi
di diminuzione sulla performance sportiva sul lungo periodo.
Ci potrebbero essere criticità sull’apporto di vitamina B12, proteine, omega 3, ferro,
zinco, calcio aumento il rischio di fratture da stress (densità ossea alterata).
Richiedono quindi un apporto programmato grazie all’aiuto di nutrizionisti sportivi.
Non esistono studi scientifici che affermino che la dieta vegana dia effetti benefici
sulla performance sportiva di qualsiasi tipo di sport, ma prestazioni sovrapponibili ad
altre diete.
Quindi i nutrienti e l’energia necessaria all’atleta possono essere garantiti da una dieta
vegana o vegetariana, anche se si potrebbe avere un minore apporto di ferro (i cibi
vegetali hanno minore biodisponibilità di ferro).
Si ha un grande apporto di antiossidanti, ma basso apporto di proteine (bassa
biodisponibilità), quindi è molto importante la varietà.
In conclusione sostanzialmente la dieta vegana e vegetariana non da problemi per gli
sportivi, ha maggiore effetto antiossidante rispetto alla dieta onnivora, è salutare per il
cuore diminuendo problemi alle coronarie, ma potrebbe essere limitata dal punto di
vista di Sali minerali e vitamine, causata dalla loro bassa diodisponibilità.
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Per quanto riguarda la performance sportiva, la dieta vegana e vegetariana è molto
simile alla dieta onnivora.
I cereali e legumi singolarmente contengono proteine vegetali di valore biologico
medio basso la loro associazione, “complementazione proteica”, permette di ottenere
un piatto ricco di proteine con valore biologico medio-alto (contiene tutti gli
aminoacidi essenziali) con il vantaggio di un ridotto apporto di colesterolo e sodio
LA GESTIONE DEL PESO CORPOREO
La gestione del peso varia da sport a sport, in base alle caratteristiche che lo sport
possiede, possiamo trovare sport dove il peso influisce per la performance ed altri
dove non influisce.
Esistono sport dove la massa grassa (e corporea) costituisce un ostacolo importante
alla prestazione, in particolare negli sport contro gravità (salto in alto, corsa, sci di
fondo).
Ci sono anche sport dove la massa grassa (e corporea) potrebbe costituire un ostacolo
nella prestazione, nella maggior parte dei casi costituisce un ostacolo alla prestazione,
come negli sport a giudizio estetico (tuffi, pattinaggio artistico).
In altri sport la massa grassa (e corporea) determina la categoria d’appartenenza,
come gli sport di combattimento (pugilato, judo, karate).
In altri sport la percentuale di massa grassa ha meno rilevanza sulla prestazione
sportiva, dove è possibile trovare atleti professionistici con massa corporea più alta,
sport di destrezza (tiro con l’arco, tiro al piattello).
In altri sport ancora una elevata massa corporea, indipendentemente dalle sue
componenti risulta una caratteristica vincente (sumo, alcuni ruoli football americano).
Esistono diversi motivi per cui l’atleta è indotto a perdere peso:
-per entrare in categorie di peso inferiori (sport di combattimento).
-per motivazioni estetiche (sport da giudizio)
-perché si presume che una riduzione del peso incrementi la prestazione sportiva
come ad esempio negli sport contro forza di gravità.
Da ricordare però è che non si può scendere sotto una certa % di massa grassa
corporea, 4% nei maschi e 10% donne circa, perché è il cosiddetto grasso essenziale
(costituisce le membrane e i tessuti), necessario per il buon funzionamento e
sopravvivenza dell’individuo.
La % di massa grassa media degli atleti è correlata al tipo di sport (6-8% maschi sport
di resistenza).
Perdite di peso rapido (fare il peso)
È una tecnica molto diffusa negli sport dove ci sono le categorie di peso come negli
sport di combattimento.
Una delle prime attività per perdere peso, negli sport dove bisogna fare il peso per
scendere di classe di appartenenza in maniera molto rapida, è disidratarsi, perdere i
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liquidi, causando una maggiore densità delle urine, infatti in questi sport viene
effettuata la pesata prima del primo incontro.
Per questo in alcuni casi viene valutato anche lo stato di idratazione dell’atleta.
Le procedure della pesata, diverse in base ai diversi sport, influenzano e condizionano
molto il concetto di peso corporeo: se la misura del peso avviene molto vicino alla
competizione questo può scoraggiare metodiche spinte di calo del peso ma può porre
a rischio la salute degli atleti.
Se si devono pesarsi molto vicini alla gara tendono ad evitare di fare delle procedure
estreme di perdita del peso, in quanto queste potrebbero ritorcersi contro la
prestazione sportiva, ma se queste procedure avvengono potrebbero essere dannose
per la salute in quanto l’atleta potrebbe gareggiare in condizioni non ottimali
(disidratazione, bilancio energetico negativo).
Se invece la procedura del peso avviene relativamente lontano, tutela maggiormente
la salute ma può incoraggiare procedure spinte di perdita del peso, in quanto poi ci
c’è il tempo per reidratarsi e per tornare in condizioni fisiche ottimali.
La riduzione del peso può essere classificata in base alle tempistiche delle metodiche:
-rapida: entro 24-72 ore
-moderata: da 72 ore a diverse settimane.
-graduale: da diverse settimane a mesi.
Queste diverse tempistiche avranno un impatto diverso poi nella salute, comunque
dannose per la salute se la riduzione del peso è molto rapida.
In sport dove ci sono le categorie di peso, l’età di inizio delle pratiche di perdita di
peso rapida è abbastanza basso, in soggetti in età evolutiva (judo 12 anni, lotta 15
anni), quindi in soggetti in età evolutiva dove viene un accrescimento molto
importante dove andrebbe garantito un apporto corretto, per questo queste procedure
rischiano di essere dannose per la salute soprattutto a lungo termine dei soggetti.
Alcuni studi hanno dimostrato che nel judo oltre il 90% degli atleti di 16-17 anni
adotta metodi di perdita del peso rapide, ma già a 12 anni sono oltre il 50%.
Per cercare di prevenire l’uso di queste metodiche sono state adottate diverse misure:
pesata molto ravvicinata alla gara (per impedire problematiche legate a queste
metodiche), o allontanare la pesata dalla competizione (diminuire il rischio alla salute
causata da queste metodiche).
Ci furono diverse proposte per prevenire l’uso di queste procedure, come ad esempio
negli sport da combattimento senza presa come il karate, nelle classi più giovani la
proposta era di non fare le categorie in base al peso, ma in base alla statura.
Una decisione molto corretta fu presa nel salto con gli sci, dove si è notato che con il
passare degli anni le misure raggiunte dall’atleta erano sempre più lunghe fino ai 250
metri (10 volte tanto i primi salti)
C’è stato un aumento enorme nella prestazione nel salto, questo è dovuto
all’abbassamento dell’indice di massa corporea degli atleti, che da una media di 23 si
è arrivati ad una media di 19,4 negli anni 2000, sempre più magri e quindi più a
71
rischio di andare incontro a problemi della salute, andando incontro a disturbi
alimentari.
Per questo la federazione ha proporzionato la lunghezza dello sci (sci lungo permette
di volare di più) con l’indice di massa corporea dell’atleta (più è magro, più si
accorcia lo scii), in quanto la lunghezza dello sci è direttamente proporzionale alla
lunghezza del salto.
Questo cambiamento del regolamento ha riportato l’indice di massa corporeo a valori
più alti, andando a prevenire l’uso di procedure di perdita del peso rischiose per la
salute.
Procedure di perdita del peso rapide
La maggior parte delle procedure per la perdita del peso rapida, sono procedure
potenzialmente pericolose per la salute, condizionate da un’alimentazione disturbata
(saltare i pasti, digiunare, vomito, disidratazione, pillole dimagranti, lassativi, tute
non traspiranti).
Tutte queste pratiche possono essere dannose sia per la salute (anoressia, malesseri),
ma rischia anche di diminuire la propria capacità prestativa.
Ad esempio le pillole dimagranti e i lassativi sono farmaci che possono essere
dopanti, possono causare anoressia, malesseri come tachicardia e convulsioni.
Molti studi hanno dimostrato perplessità riguardo queste metodiche, paragonandole al
doping, in quanto sostanze dopanti hanno le seguenti caratteristiche seconda la
WADA: metodi o sostanze che possono mettere a rischio la salute, migliorare la
propria prestazione e violare lo spirito etico dello sport.
Queste procedure di perdita del peso rapido in effetti corrispondo a tutti e 3 i criteri.
Questi tentativi di riduzione rapide del peso, portano ad un’alimentazione disturbata:
apporto di cibo e di liquidi limitati, portano a disidratazione, diminuiscono le riserve
di glicogeno muscolare e la capacità dei sistemi tampone (rimozione acido lattico).
Tutte queste situazione fisiologiche ridotte quindi portano ad una diminuzione della
prestazione sportiva.
I disturbi del comportamento alimentare sono definiti da specifici fattori fisici e
mentali, vengono divisi in 4 categorie:
-anoressia nervosa: causa vari effetti fisici, come bradicardia, ipotensione ecc..
-bulimia nervosa
-disturbo da alimentazione incontrollata
-altri disturbi alimentari
I potenziali fattori di rischio per questi disturbi alimentari sono l’età, il genere
soprattutto le femmine, dieta, l’adolescenza, ed altri.
Per quanto riguarda gli atleti soprattutto maschi, può andare incontro ad una
situazione di deficit di energia, una bassa disponibilità di energia, causato da un
apporto calorico troppo basso, per il dispendio energetico.
72
Questa situazione causa una riduzione della secrezione del testosterone, riduzione
della salute ossea, problemi di performance e recupero (negli sport di endurance),
depressione, diminuzione della coordinazione, ecc…
Nelle donne un deficit energetico comporta la triade, inoltre aumenta il rischio di
malattie ed infortuni.
I possibili effetti sulla prestazione sportiva come già detto sono:
-peggioramento assoluto: disidratazione, alterata termoregolazione, riduzione del
volume plasmatico con aumento della viscosità ematica, disturbi della regolazione
ormonale.
-miglioramento relativo: vantaggio di competere in una classe di peso inferiore con
avversari potenzialmente più piccoli, leggeri e meno potenti.
La maggior parte degli esperti afferma che una rapida perdita di peso corrisponde ad
una diminuzione della prestazione sportiva sia per sport aerobici che anaerobici, ma
ci sono pochi studi certi che lo accertano.
Quindi è molto probabile ma non del tutto certo che la rapida perdita di peso possa
indurre ad una diminuzione della performance dell’atleta.
Uno studio ha dimostrato come una perdita rapida di peso diminuisce l’eritropoiesi
(produzione dei globuli rossi) ed aumenta l’emolisi (distruzione globuli rossi), ma
senza significativi impatti sulla performance aerobica.
Ci sono molte opinioni differenti sugli effetti che queste procedure hanno sulla
performance sportiva, mentre sono abbastanza certe per gli effetti sulla salute.
Gli effetti sulla salute possono essere disidratazione, che se eccesiva (perdite di peso
del 5%) causa gravi danni alla salute, come perdite elettrolitiche, aumento della
frequenza cardiaca, comunque fattori che possono essere risolti entro un’ora con una
giusta idratazione.
Altri effetti possibili sono disturbi della crescita, diminuzione formazione ossea,
diminuzione metabolismo basale e la perdita di massa magra con bilancio proteico
negativo, anche queste a carattere transitorio.
Altrettanto transitorie e che tendono a normalizzarsi fuori dalla stagione agonistica
perturbazioni nell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e del fattore di crescita
insulino-simile sono stati trovati in lottatori ed alterata secrezione di progesterone
associata a perdita di peso e turbe del ciclo mestruale in atlete leggere di canottaggio
femminile.
Estesi studi epidemiologici hanno dimostrato che soggetti che hanno attuato spesso
procedure di perdita di peso rapide hanno un maggiore aumento negli anni del BMI
(rispetto ad atleti che non hanno praticato queste procedure) ed al rischio di sviluppo
di diabete di tipo 2 e patologie cardiovascolari.
In ultima analisi vi sono delle indicazioni per evitare possibili danni alla salute:
-Preparazione stagione agonistica: Sviluppare un piano a lungo termine per il peso in
alta e bassa stagione agonistica, se necessario, consumare una dieta a basso consumo
energetico mirata ad un massimo di 0.5 Kg di perdita di peso a settimana.
73
-Poco prima della competizione /pesata: Evitare cibi ad alto contenuto di sale che
possono causare ritenzione idrica (ad esempio, alimenti trasformati come salumi,
zuppe / cibi in scatola, piatti surgelati, patatine fritte, salsa di soia, sottaceti, fast
food), puntare a una dieta a basso residuo e povera di fibre (ad esempio, consumare
pane bianco invece di quello integrale, sbucciare frutta e verdura prima
cucinare/mangiare, evitare cibi a base di semi e noci), consumare quantità adeguate di
liquidi, assicurandosi che la perdita di fluidi non superi la perdita del 2% del peso
corporeo e venga sostituita prima della competizione.
-Strategie di rifornimento (se per aumentare di peso è stata utilizzata la restrizione di
liquidi e/o energia): Laddove possibile, attendere abbastanza tempo per reidratarsi
(2-4 giorni), consumare il 150% della perdita di liquidi (ad esempio, bere 1,5 litri di
liquido per ogni chilogrammo di peso perso), utilizzare bevande contenenti elettroliti
e carboidrati per massimizzare l’idratazione, consumare carboidrati per massimizzare
le riserve di glicogeno.
Triade dell’atleta femmina
La triade della femmina atleta comprende 3 situazioni:
-deficit energetico: introduce meno energia di quella che introduce.
-diminuzione massa ossea: può portare l’osteoporosi.
-disturbo del ciclo mestruale: esiste una % di massa grassa critica al di sotto del quale
vi è la menorrea.
Queste condizioni sono strettamente collegate tra loro.
Questi fenomeni possono essere dovuti ad un disturbo dell’alimentazione, l’atleta in
salute infatti ha una disponibilità energetica ottimale, salute ossea ottimale e
eumenorrea; ma se viene a mancare una di queste condizioni di salute, può scatenare
una reazione a catena ed andare incontro alla famosa situazione della triade.
I fattori di rischio sono sport di resistenza, sport di estetica, sport con categorie di
peso, sport che enfatizzano e ricompensano la magrezza, precoce specializzazione
precoce nello sport e disturbi del comportamento alimentare.
Bastano 5 giorni di deficit energetico per bloccare la produzione dell’ormone della
crescita, anche in presenza di mestruazione il ridotto apporto di energia porta ad una
riduzione della massa ossea e con maggiore rischio di fratture ossee e osteoporosi.
Ci sono state anche atlete professionistiche che in seguito a questi comportamenti
estremi, hanno avuto patologie come l’osteoporosi.
I livelli di stress nelle ossa nell’atleta amenorroica è molto simile al livello di stress
osseo nelle non atlete.
Il recupero dal deficit energetico è di pochi giorni, per il recupero del normale ciclo
mestruale è nel giro di qualche mese (Avviene solo se si ha avuto il recupero dal
deficit energetico), mentre per il recupero della densità ossea ci vogliono addirittura
degli anni.
DOPING
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In Italia la legge 376 del 2000 definisce il doping, questa legge “Disciplina della
tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping".
L’articolo 1 al comma 1 definisce che l’attività sportiva non può essere svolta
l’ausilio di tecniche, metodologie o sostanze di qualsiasi natura che possano mettere
in pericolo l’integrità psicofisica degli atleti.
Il comma 2 afferma che costituiscono doping la somministrazione o l’assunzione di
farmaci o sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la
sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche, ed
idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di
alterare le prestazioni agonistiche sportive.
Non solo l’assunzione quindi, ma anche la somministrazione di sostanze e pratiche
indicate dal comma 2 sono considerate doping.
Inoltre con il comma 3 vengono equiparate alle sostanze dopanti anche le sostanze o
metodiche che servono per mascherare l’utilizzo di determinate sostanze dopanti.
Il comma 4 afferma che: in presenza di condizioni patologiche dell’atleta
documentate e certificate dal medico, all’atleta stesso può essere prescritto uno
specifico trattamento attuato secondo specifiche modalità indicate ed i
dosaggi previsti dalle specifiche esigenze terapeutiche, permettendo quindi di poter
partecipare alle competizioni.
Storia del doping
La storia del doping inizia direttamente con la nascita dello sport, quindi già in
antichità si faceva uso di sostanze dopanti, come ad esempio milone da crotone, che
assumeva moltissima carne e alcool.
Nella storia moderna il primo morto ufficiale per doping fu Artur Linton nel 1986,
per l’uso di stimolanti in dosi eccessive, quando ancora il limite fra sostanze dopanti
e non dopanti ancora non era ben stabilito.
Per molto tempo anche l’alcool era stato usato come sostanza dopante.
Altri atleti che morirono per colpa dell’eccessivo uso di doping furono Thomas Hicks
e Dorando Pietri, che svennero anche più volte durante la gara.
Dal 1960 si incominciò a parlare di antidoping, contro l’uso di queste sostanze
dopanti pericolose per la salute.
Nel 1960 ci fu una delibera contro l’uso di sostanze dopanti nello sport attuata dal
consiglio d’Europa, mentre nel 1963 prima normativa antidoping in Francia
L’opinione pubblica fu molto scossa dalla morte di Thomas Simpson del 1967, che
faceva il costante uso di anfetamina, che morì per arresto cardiaco durante il tour de
france.
In seguito alla morte di Simpson il Comitato Internazionale Olimpico decise di
regolamentare e sanzionare l’eventuale utilizzo di sostanze in ambito sportivo
agonistico.
Nasce quindi la prima commissione medica per i test antidoping, venne quindi
definito correttamente il termine doping, venne emanata una lista di sostanze dopanti
75
vietete (narcotici e stimolanti), ed iniziarono i controlli antidoping nelle olimpiadi del
1968.
Nel 1972 ci fu la prima definizione di doping per consiglio d’Europa, nel 1974 ci
furono i primi controlli contro gli steroidi, poi in seguito anche diuretici, ormone GH
e eritropoietina.
Dopo lo scandalo festina al tour de France del 1998, il CIO crea la WADA nel 1999
(world antidoping agency) che regolamenta le norme antidoping, mentre nel 2000 in
Italia venne creato il comitato tecnico sanitario che comprende all’interno “la
commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping del ministero della sanità”
(CVD) con la legge 376 del 2000.
Nel 2004 la Wada pubblica la sua prima lista proibita di sostanze dopanti proibite, e
nel 2005 ci fu la prima convenzione antidoping.
Nel 2012 venne emanata una legge per le procedure dell’effettuazione di controlli
anti doping.
Nel 2015 nacque la NADO-Italia, un’agenzia subito al di sotto della WADA rende
operativa la giurisprudenza della WADA, tramite un accordo tra governa, Coni e Nas.
Nel 2018 venne ricostituita e riformata la cvd che diventa svd (Sezione per la
vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive).
Lo scandalo Festina non fu il primo caso di doping di squadra, infatti già
precedentemente esisteva il fenomeno di doping di stato, attuate da URSS e USA che
costringevano i propri atleti ad assumere sostanze dopanti.
Struttura sistema doping
La gerarchia del sistema antidoping è:
-WADA: organo internazionale, agenzia internazionale antidoping.
-NADO-Italia: subito al di sotto della wada, è il braccio operativo nazione della
wada.
-Coni, NAS e governo: insieme alla Nado svolgono i controlli antidoping.
Sito NADO
La NADO è l’organo operativo in Italia.
Nel sito NADO troviamo le norme sportive antidoping che sono la giurisprudenza
operativa di tutto quello che è l’antidoping in Italia, all’interno delle quali troviamo il
codice sportivo antidoping, il disciplinare dei controlli e dell’investigazione e per
l’esenzione a fini terapeutici, infine la tabella economica.
Un’altra parte del sito è quello che riguarda la lista WADA, lista delle sostanze
proibite che viene pubblicata ogni anno, dove c’è scritto tutte le sostanze considerate
doping, pubblicata a fine anno che entrano in vigore dal 1° gennaio.
In Italia viene ripubblicata la lista nella gazzetta ufficiale tradotta in italiano, con
stessa valenza.
Questa lista di sostanze dopanti comprendono le sostanze e le metodiche proibite
durante (Dalle 12h ore prima, fino alla fine della competizione, compresa la parte del
controllo antidoping) e al di fuori della competizione.
76
Inoltre ci sono anche sostanze proibite solo in alcuni particolari sport.
Un’altra sezione del sito è la procedura TUE (Esenzione a fini terapeutici), ovvero
per le sostanze che devono essere assunte per condizioni patologiche specifiche, che
devono essere compilate dall’atleta stesso e dal medico curante in maniera molto
specifica, compresa la metodica, dopodiché viene mandata alla NADO e quindi al
Coni dove viene valutata e può essere autorizzato l’uso di queste sostanze a fine
terapeutico, ed in caso di controllo antidoping si è esentati.
Un’altra sezione ancora è la whereabouts, che serve per tenere sotto controllo gli
atleti, ovvero ci accedono determinati atleti (presenti nell’elenco RTP), che devono
inserire il luogo dove si trovano ogni giorno dell’anno per poter effettuare i controlli
antidoping a sorpresa, quindi devono comunicare ogni spostamento specificando
anche l’orario di disponibilità di almeno un’ora durante la quale deve farsi trovare in
caso di controlli antidoping.
Gli atleti presenti in questo specifico elenco devono specificare quindi i loro
spostamenti e gli orari nel manuale Adams.
Se non si viene trovati dal controllo antidoping nel luogo indicato e nell’ora indicata
per le prime due volte si ha un’ammonizione dopodiché alla terza volta si viene
considerati dopanti, infatti chi si rifiuta di fare un controllo antidoping si viene
considerati come positivi.
Nell’elenco rtp vengono inseriti solo determinati atleti, secondo specifici criteri di
inclusione che sono:
-valutazione del rischio di doping.
-atleti appartenenti a squadre nazionali si sport olimpici o di altri sport a livello
nazionale.
-Atleti che si allenano autonomamente, ma che praticano attività a livello Olimpico,
Paralimpico, o di Campionato del Mondo e che possono partecipare a tali
manifestazioni.
-atleti che scontano un periodo di squalifica.
-Atleti che erano presenti nell’elenco RTP, ritiratisi dall’attività agonistica, che hanno
intenzione di tornare a competere.
-Atleti inclusi nel programma dei controlli del Passaporto Biologico
-Atleti non rispondenti ai criteri sopra elencati, sui quali NADO Italia ha
giurisdizione e che intende sottoporre a specifici controlli antidoping anche sulla base
dell’attività di intelligence.
Il passaporto biologico è un altro strumento messo in atto dalla WADA che è un
registro integrato al manuale adams, dove vengono registrati i parametri ematici degli
atleti, registrati con determinata frequenza, e qualora vi sia una variazione anomala
non fisiologica di un parametro ematico, si è sotto sorveglianza in quanto vi è una
variazione sospetta di alcuni parametri, indipendentemente se si sono stati fatti
controlli antidoping.
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Un’ultima parte del sito è dedicata all’educazione, dove si trova un libro sul doping,
come forma di prevenzione al doping, formazione su atleti.
Sostanze proibite 2020
Lista di sostanze entrate in vigore il 1° gennaio, dove vi sono tutte le sostanze e le
metodiche considerate proibite.
La WADA collabora con il CIO, per emanare una lista di farmaci, sostanze e metodi
proibiti che viene periodicamente aggiornata e modificata in base al progresso della
ricerca scientifica ed all’introduzione sul mercato del doping di nuove sostanze di
sintesi. Bisogna ricordare sempre che si gioca una partita molto impegnativa tra la
volontà di sgominare il fenomeno del doping con la ricerca di metodi sempre più
sofisticati per l’identificazione dell’uso delle sostanze vietate e l’illecito ricorso alla
creazione di nuove molecole tanto nocive per la salute quanto difficili da rilevare ai
controlli.
La lista comprende:
-sostanze vietate sempre (in competizione e fuori competizione) sono: le sostanze non
approvate ufficialmente (farmaci in fase di sperimentazione, o quelli non presenti
nella lista), in fase di sperimentazione, agenti anabolizzanti (steroidi), ormoni
anabolizzanti, ormoni peptidici, ormoni di crescita, beta 2 agonisti, modulatori
ormonali e metabolici, diuretici e agenti mascheranti.
-metodi vietati sempre: manipolazione del sangue e dei componenti del sangue,
manipolazione chimica e fisica (trasfusioni), doping genetico e cellulare.
-sostanze e metodi proibiti in competizioni: stimolanti, narcotici, cannabinoidi e
glucortistoidei.
-sostanze dopanti in alcuni sport: beta bloccanti.
Agenti anabolizzanti:​ sono ad esempio gli steroidi androgeni anabolizzanti, steroidi
che regolano gli ormoni sessuali maschili che stimolano l’anabolismo, trasformando
una molecola semplice in molecole complesse, esempio il testosterone per aumentare
la massa muscolare e la crescita del tessuto osseo.
Il testosterone può essere indicato per deficit della crescita ed illegalmente come
agente dopante, che se assunto in quantità eccessive ha delle controindicazioni
importanti: cancerogeno, modificano i caratteri sessuali (più donne gli uomini e più
uomini le donne), nelle donne ha effetto virilizzante (crescita dei peli e abbassamento
del tono della voce).
Gli steroidi anabolizzanti sono vietati anche al di fuori delle competizioni, utilizzati
soprattutto per la crescita della dimensione dei muscoli, come anche l’uso di oli da
iniettare nel muscolo per aumentare la massa muscolare.
Ormoni peptidici e fattori di crescita: ​la più famosa è l’eritropoietina (epo), che è
un ormone prodotto per il 90% dal rene che stimola l’ematopoiesi che produce i
globuli rossi, quindi aumentando il numero di globuli rossi, aumenta i livelli di
ossigeno nei muscoli e dei tessuti aumentando i livelli dir esistenza; utilizzato come
farmaco per anemie croniche.
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L’eritropoietina aumenta anche la viscosità del sangue, impedendo un flusso
scorrevole, questo può causare infarti, ipertensione, ictus, shock emolitici, quindi è
molto rischioso l’utilizzo di epo per la salute.
Quella più famosa negli ultimi tempi è la CERA (epo di 3° categoria) che ha un
effetto molto più duraturo dell’eritropoietina, emivita più lunga.
Gli ormoni della crescita (GH, somatotropina) secreto dall’adenoipofisi e promuove
la sintesi proteica, l’utilizzo spropositato può produrre alterazioni importanti come
malformazioni scheletriche, aumenta il rischio di malttie cardiocircolatorio, diabete.
Stimolanti: ​sostanze a scopo di stimolare provocando euforia, diminuendo la
sensazione di fatica, permettono il protrarsi dello sforzo oltre i limiti fisiologici,
continuando l’attività fisica più di quanto il nostro organismo potrebbe fare.
Presi in eccesso provocano gravi rischi per la salute come infarti, patologie cardiache,
emorragie cerebrali, l’abuso di stimolanti causa aumento della temperatura corporea,
aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa.
Questi stimolanti sono ad esempio cocaina, metanfetamina.
Anche la caffeina, in misura molto minore ma ugualmente efficace, è uno stimolante,
è stata per alcuni anni inserita nella categoria degli stimolanti e delle sostanze
dopanti. Un grave abuso di caffeina produce effetti molto simili a quelli degli
stimolanti più usati.
Betabloccanti: ​sono sostanze proibite in alcune sostanze, come in quelli di
precisione, riduce la frequenza cardiaca.
Queste sostanze possono provocare insufficienza cardiaca fino al blocco,
broncospasmo, morte, e anche depressione, allucinazioni, convulsioni.
Anche alcool e cannabis sono proibiti in determinati sport, come in quelli motoristici,
in quanto distorcono la percezione e non consentono la corretta valutazione dei rischi,
infatti l’atleta compie azioni che non farebbe in condizioni normali.
Doping genetico: ​è la nuova frontiera del doping, in quanto permette di modificare
direttamente il gene per stimolare ad esempio la produzione di proteine o alterazione
muscolare, si modifica il dna o l’rna, si utilizza un vettore come virus (coronavirus)
per modificare il codice genetico cellulare, in quanto deve alterare il dna cellulare.
Cause del doping
Ci sono motivazioni individuali, familiari, allenatori, società come ad esempio
l’eccessiva voglia di successo, l’eccessiva valorizzazione della prestazione, influenze
esterne, frequenza ed intensità gare troppe elevate, minimizzare i problemi legati alla
salute.
Controllo antidoping
I controlli antidoping si effettuano molto spesso durante la competizione, è uguale per
tutti quanti gli sport, con le stesse procedure, indipendentemente dal livello.
L’ispettore antidoping vengono incaricati per fare i controlli antidoping, gli atleti
vengono sorteggiati o vengono fatti controlli specifici a determinati atleti, specificati
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da una commissione che sceglie quali competizione e a volte quali atleti da
controllare.
Nelle varie competizione deve essere presente una stanza con determinate
caratteristiche per svolgere i controlli: un bagno, deve essere rispettata la privacy,
ecc..
L’ispettore riceve una busta qualche giorno prima che deve essere sigillata ed aperta
solo nel momento del controllo antidoping, dove nella busta vi è un elenco degli atleti
che deve essere sorteggiato.
A fine gara viene notificato che deve sottoporsi al controllo antidoping e l’ispettore
non deve mai perdere di vista l’atleta ed una volta arrivato nella sala, l’atleta può
selezionare il kit che preferisce, che deve essere controllato accuratamente.
Vengono compilati dei moduli: uno va mandato al Coni con i dati anagrafici, mentre
quello mandato al laboratorio i dati anagrafici devono essere oscurati.
Si effettua il prelevamento dell’urina, che deve essere raccolta in un’unica boccetta
che poi deve essere divisa in due boccette: uno controllato in un primo momento,
l‘altra in caso di controanalisi.
ATTIVITA’ SPORTIVA NEGLI ATLETI DIVERSAMENTE ABILI
Storia dei termini/evoluzione del concetto di disabilità
La parola handicap è stata una delle prime parole utilizzate per identificare le persone
con disabilità, l’origine sembra essere inglese (mano nel cappello).
Il termine handicap è stata sostituita in parte dal termine disabilità (disabile) che è
stata criticata in quanto mette l’accento sulla disabilità invece sulla persona.
Successivamente si è arrivati all’espressione diversamente abile, ma anche questa non
sembra del tutto corretta.
Infine si è arrivati all’espressione persone con disabilità, è stata coniata come
espressione più appropriata.
Per persone con disabilità si intendono persone che presentano menomazioni fisiche,
mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura
possano ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di
uguaglianza con gli altri.
Questa definizione è stata enunciata dalla convenzione delle nazioni unite sui diritti
delle persone con disabilità del 2006.
Questa definizione sembra più appropriato in quanto è ampliato non solo alla singola
persona, ma anche al contesto sociale ed ambientale in cui ci si torva
L’organizzazione mondiale della sanità nel corso degli anni, ha istituito due
classificazioni di disabilità. inizialmente l’ICIDH poi successivamente venne emanata
una nuova classificazione: l’ICF.
ICIDH: classificazione del 1980, ha definito alcuni termini:
-menomazione: perdita o anormalità di una struttura o di una funzione psicologica,
fisiologica o anatomica.
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-disabilità: qualsiasi limitazione o perdita della capacità di compiere un’attività nel
modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano.
-handicap: condizione di svantaggio che limita o impedisce l’adempimento del ruolo
normale per un soggetto in relazione a sesso, età e fattori socio-culturali.
Un unico tipo di menomazione può determinare più disabilità e dare luogo a diversi
handicap.
La disabilità dipende dall’attività da esercitare e l’handicap esprime lo svantaggio
verso i normodotati.
Lo stato di un individuo non è associato solo a strutture del corpo ma anche alle
attività ed alla partecipazione alla vita sociale
Successivamente venne rielaborato questo catalogo e venne istituito una nuova
classificazione l’ICF nel 2001.
Con l’ICF sono stati cambiati alcuni concetti, il quadro di riferimento e linguaggio
unici per descrivere lo stato di una persona e ogni disturbo viene rapportato ad uno
“stato di salute”.
Inoltre sono stati sostituiti i vecchi termini con dei nuovi:
-funzioni corporee: funzioni fisiologiche e psicologiche.
-strutture corporee: parti anatomiche del corpo.
-attività e partecipazione: l’attività è l’esecuzione di un compito o di un’azione,
mentre la partecipazione è il coinvolgimento nelle situazioni di vita
-fattori ambientali: sono gli elementi sociali ed ambientali che influiscono nella vita
di un individuo.
Vengono inclusi nel’ICF tutti gli aspetti della vita umana:
-health demain (attività normali finalizzate a se stesso): vedere, udire, camminare,
imparare e ricordare.
-health related demain (attività attaccate alla funzione di relazione): mobilità,
istruzione, partecipazione sociale
I disabili vengono considerati all’interno della partecipazione e della vita sociale della
società, questa è la conclusione dell’evoluzione del concetto di disabilità, dapprima
vista come una persona da escludere, pero poi arrivare alla compartecipazione della
persona nella società.
Storia dello sport per disabili
Lo sport nei disabili inizia già nel 1922 con prime esperienze di sport per alcune
discipline olimpiche, ma il padre fondatore dello sport per disabili è il dottor Ludwig
Gutman nel 1944, direttore di unità spinale di un ospedale inglese che ospitava i
reduci di guerra in sedie a rotelle (lesioni spinali), con le prime attività strutturate
documentate sui reduci della seconda guerra mondiale.
Si pensò che su persone disabili l’attività sportiva ha valore più importante della
riabilitazione stessa, come fosse una terapia migliore.
Ci fu molto interesse riguardo questo fenomeno ed ebbe subito un gran successo.
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Nel 1948 si fece la prima competizione, lo Stoke Mandeville games (campionato di
tiro con l’arco), che venne poi seguita da altre competizioni sparse nel mondo, in altri
ospedali e con altri sport.
Nel 1952 gli Stoke Mandeville Games divennero internazionali, furono la prima
competizione internazionale per persone con disabilità.
Nel 1956 ci fu il riconoscimento del CIO con la messa in palio di una coppa.
L’espansione crebbe sempre di più, sia in termini di sport, sia di diffusione,
aumentarono gli sport e i partecipanti.
Nel 1960 ci fu le prime para-limpiadi a Roma, in contemporanea con le olimpiadi.
Successivamente nacquero ulteriori associazioni includendo più categorie di disabilità
(ciechi, amputati ecc..), e crebbe anche l’interesse mediatico.
Dal 1976 (prime paralimpiadi invernali) cominciarono a disputarsi le paralimpiadi in
concomitanza delle olimpiadi sia invernali sia estive, mentre dal 1988 si disputano
nella stessa città.
Crebbero sempre di più il numero di partecipanti e di nazioni partecipanti.
In alcuni casi ci sono state delle performance molto simili a normodotati, tanto che si
disputano anche alcune competizioni in compresenza di soggetti normodotati.
Strutture organizzative dello sport per disabili
Il comitato italiano paralimpico nasce nel 2005, nasce derivando da 3 diverse
federazioni.
Le 3 federazioni iniziali erano: la Federazione Italiana Sport Silenziosi (FISS), la
Federazione Italiana Ciechi Sportivi (FICS) e la federazione Italaina Sport
Handicappati (FISHa).
Queste 3 federazioni vennero poi unite in un’unica federazione: la Federazione
Italiana Sport Disabili (FISD) che nel 2005 divenne comitato olimpico paralimpico.
Dal 2017 venne data autonomia al CIP (comitato italiano paralimpico), ovvero venne
staccato dal Coni, venne quindi istituito un ente di diritto pubblico.
Il termine corretto è para-limpico: sport/discipline che viaggiano parallelamente alle
discipline olimpiche.
Ad oggi il comitato olimpico paralimpico riconosce 21 federazioni sportive
paralimpiche, 13 discipline sportive paralimpiche, 12 enti di promozione sportive e 5
associazioni benemerite.
Una delle più importanti associazioni benemerite è il movimento delle “special
olympic”.
Le strutture paralimpiche internazionali comprendono tutte le varie federazioni.
Il ruolo dello sport nella disabilità
I ruoli benefici che lo sport ha nelle persone con disabilità sono pressochè gli stessi di
quelli nelle persone normodotate, amplificate molto.
Tra i ruoli più importanti dello sport che può avere nelle persone con disabilità
ritroviamo:
-costruzione e ricostruzione dell’immagine personale del disabile
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-inserimento e recupero della vita sociale
-introduzione e reinserimento nell’ambito sportivo.
Lo sport infatti ha il vantaggio di facilitare a superare quegli ostacoli sociali che per
persone sedentarie sembrano impossibili da superare.
Il ruolo quindi è sia da un punto di vista personale ma anche da un punto di vista
sociale.
I benefici dell’esercizio fisico nel singolo individuo disabile:
-controllo ponderale: controllo migliore del peso-forma.
-prevenzione malattie dismetaboliche e cardiovascolari
-controllo patologie degenerative articolari e osteoporosi
-riduzione depressione
-prevenzione declino cognitivo
-migliora autostima.
-​incremento di autonomia nelle attività quotidiane
Bambini e sport
Il ruolo dello sport in soggetti con disabilità divisa in fasce di età:
-tra i 2 e 5 anni ha il ruolo di introdurre allo sport, e al gioco, utilizzo di ausili per la
mobilità e ricercare il controllo motorio.
-Tra i 6 e 9 anni è importante la conoscenza generale dello sport di base,
comprensione delle regole, per i disabili gli obiettivi sono l’aumento della mobilità
adattata, delle regole adattate e della resistenza.
-Tra i 10 e 12 anni nel disabile l’obiettivo è lo sviluppo delle competenze generali, la
comprensione delle regole del gioco, raffinare le abilità motorie e l’aumento della
resistenza.
-tra i 13 e 15 anni: aumenta la competizione, l’obiettivo è la​ ​scelta della attività
gradita secondo le competizioni individuali.
Classificazione
Per quanto riguarda lo sport, le persone con disabilità vengono classificate le
disabilità per far in modo che le persone possono competere in un gruppo omogeneo
con disabilità simile, in modo da garantire delle competizioni equilibrate.
La classificazione viene definita dal comitato paralimpico internazionale che
definisce le regole della classificazione
Le varie disabilità sono state classificate in 7 categorie dal CIO, con la conferenza di
Seul del 2007:
-amputazioni:
-paresi cerebrali: definisce 8 classi con il prefisso CP, anche in base allo sport.
-difficoltà visive: si dividono in B1 (totale assenza di vista), B2, B3 (meno grave)
-difficoltà uditive
-lesioni spinali:
-handicap intellettuali
-les autres: le altre disabilità non incluse nelle categorie precedenti.
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Per le difficoltà visive insieme al CIP vi è l’associazione internazionale degli sport
per ciechi che stabiliscono le classi per i non vedenti.
Viene messo un prefisso, una lettera in questo caso la B e poi un dato numerico ad
indicare il grado di disabilità:
-B1: totale assenza di percezione della luce in entrambi gli occhi.
-B2: residuo visivo non superiore a 2/60
-B3: residuo visivo tra i 2/60 e 6/60
Per quanto riguarda le paralisi cerebrali vengono suddivise in 8 classi dall’
Associazione internazionale dello sport e del divertimento per paralisi cerebrale con il
prefisso CP:
-CP1: tetraplegici gravi, con spasticità a tutti e 4 gli arti, costretti ad utilizzare sedia a
rotelle elettriche.
-CP2: 2 sottoclassi, la Classe CP 2 upper (superiore) e la Classe CP 2 lower
(inferiore), a seconda di quali arti presentino il residuo funzionale più significativo.
Nella Classe CP2 Upper si collocano tetraplegici gravi in cui sussista una residua
funzionalità motoria degli arti superiori sufficiente a sospingere la sedia a ruote con le
proprie braccia, sia pme con difficoltà; è anche possibile afferrare e lanciare un
attrezzo, sia pme con visibili difficoltà nel rilascio del medesimo.
Nella Classe CP 2 lower si collocano atleti tetraplegici con un residuo funzionale
degli arti inferiori sufficiente a Attività sportiva negli atleti diversamente abili
sospingere la sedia a ruote facendo uso degli stessi, in genere all'indietro; una
dimostrazione di funzionalità di uno o entrambi gli arti inferiori sufficiente alla
propulsione della sedia a ruote, pone automaticamente un atleta della classe CP2 nella
CP2 lower.
-CP3
-CP4
-CP5:​ ​Diplegici simmetrici o asimmetrici di media gravità, che possono necessitare di
sostegni nella deambulazione, ma non necessariamente per stare semplicemente in
piedi o per i lanci.
-CP6:
-CP7
-CP8:​ ​Diplegici, emiplegici, monoplegici e atetosici in forme lievissime; possono
correre e saltare liberamente e dimostrano solo lievi difetti di coordinazione motoria.
La classificazione può essere effettuata non solo sul tipo di disabilità, ma può essere
effettuata la classificazione anche in sale al tipo di sport.
Ad esempio la classificazione dell’atletica leggera oltre ad essere per tipologia, è
anche in base al tipo di attività.
Viene messo un prefisso in base al tipo di sport:
-F = prove effettuate su campo (field, campo)
-T = prove effettuate su pista (track, pista)
-P = pentathlon
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Viene messo anche un numero in base alla disabilità, il tipo di tipologia:
-11-13: atleti ipovedenti e non vedenti; 11 e 12 gareggiano con una guida.
-20: atleti con disabilità intellettiva.
Atleti gareggianti su sedia a rotelle:
-31-34 atleti con paralisi cerebrale o con altre condizioni che limitano la
coordinazione degli arti e/o l'uso dei muscoli
-51-58 atleti con lesioni alla spina dorsale, amputazioni, handicap
muscolo-scheletrici, malformazioni congenite, lesioni nervose
Atleti deambulanti gareggianti in posizione eretta:
-35-38 atleti con paralisi cerebrale o con altre condizioni che limitano la
coordinazione degli arti e/o l'uso dei muscoli
-40-46: atleti con amputazioni, lesioni spinali, handicap muscolo-scheletrici,
malformazioni congenite, lesioni nervose
Classificazione nelle Bocce:
-BC1: grave limitazione dei movimenti (arti superiori, inferiori e tronco)
-BC2: limitazione intermedia dei movimenti (arti superiori, inferiori e tronco)
-BC3: limitato controllo degli arti e un scarso controllo del tronco.
-BC4: sclerosi multipla o spina bifida (sono in grado di prendere e lanciare la palla)
La classificazione nel Ciclismo avviene anche in base al tipo di strumento utilizzato
come handbike, tricicli e biciclette, si suddividono nel seguente modo:
-H1/H3 (Handbike) reclinati H4 seduti
-T1/T2 (Triciclo) problemi di coordinazione
-C1/C5 bicicletta normale/amputati
-TB (tandem) non vedenti o ipovedenti che gareggiano con guida.
La difficoltà sta nel collocare gli atleti in una categoria piuttosto che in un’altra in
modo che le loro abilità non portino ad un vantaggio sugli altri.
Ad esempio nell’atleta amputato di arti inferiori può competere con atleti
deambulanti (se usa protesi) oppure con atleti in carrozzina (se non usa protesi).
Per svolgere questo compito ci sono delle commissioni di tecnici sia da medici che
sono i classificatori stabilendo il grado di severità della patologia sia lo strumento che
deve utilizzare per fare l’attività.
Oltre alla classificazione ufficiale del CIP, i medici dello sport fanno una
classificazione che è dettata dai protocolli per l’idoneità dell’attività agonistica, per la
classificazione degli sport finalizzata alla valutazione medico sportiva, una
classificazione di sport per i medici di sport.
Questa classificazione è chiamata COCIS, divide in sei diverse classi:
-amputazioniipertono e/o atassia e/o atetosi
-danno neurosensoriale ( visivo,uditivo)
-mielolesioni trumatica o iatrogena
-danno intellettivo e relazionale (Down)
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-les autres (le altre)
Gli sport vengono suddivisi in 2 categorie: sport paralimpici e sport non paralimpici
Principali quadri di disabilità, condizioni associate e raccomandazioni:
Legislazione italiana / la tutela dei disabili nella pratica sportiva
Nel 1993 venne emanato un decreto ministeriale pubblicato nella gazzetta ufficiale
della repubblica italiana, il quale enuncia:​ ​"Determinazione dei protocolli per la
concessione dell'idoneità alla pratica sportiva agonistica alle persone handicappate”.
All’articolo 1 viene affermato: “Ai fini della tutela della salute, i soggetti portatori di
un handicap fisico e/o psichico e/o neurosensoriale, che praticano attività sportiva
agonistica, devono sottoporsi previamente al controllo della idoneità specifica allo
sport che intendono svolgere o svolgono. Tale controllo deve essere ripetuto con
periodicità annuale o inferiore quando ritenuto necessario dai sanitari. La
qualificazione di agonista per i portatori di handicaps che praticano attività sportiva è
demandata alla Federazione Italiana Sport Disabili (FISD) o agli enti di promozione
sportiva riconosciuti dal CONI”.
L’accertamento dell’idoneità sportiva deve essere effettuata dai medici dello sport,
che può richiedere ulteriori esami, l’atleta deve presentarsi muniti di certificazione
della patologia attestante l’handicap.
Ai soggetti riconosciuti idonei viene rilasciato il relativo certificato di idoneità, la
validità del quale permane fino alla successiva visita periodica. Il possesso di tale
certificato è condizione indispensabile per il tesseramento alla FISD o agli enti di
promozione sportiva riconosciuti dal CONI.
Anche la guida che accompagna durante l’attività sportiva deve sottoporsi agli
accertamenti.
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Tutta una serie di normative che indicano le particolarità degli accertamenti per
l’idoneità sportiva per atleti con disabilità.
Le attività sportive per persone handicappate vengono suddivise in due grandi gruppi
in base all'impegno muscolare e cardiorespiratorio:
-Lieve-moderato (TABELLA A): visita medica con periodicità di un anno, alla quale
deve aggiungersi, per i non vedenti o ipovedenti una visita specialistica oculistica con
determinazione dell'acuità visiva e del campo visivo; l’elettrocardiogramma (ECG) a
riposo e l’esame delle urine, ed altri esami più specifici per il singolo sport.
-Elevato (TABELLA B): accertamenti con periodicità di un anno, sono: visita
medica, alla quale deve aggiungersi, per i non vedenti vedenti o ipovedenti ipovedenti
una visita specialistica visita specialistica oculistica con determinazione dell'acuità
visiva e del campo visivo; ECG a riposo e da sforzo; spirografia; esame delle urine
completo, RX dei segmenti scheletrici vicarianti negli amputati con periodicità
biennale e solo se i segmenti sono direttamente coinvolti nel gesto sportivo.
Nei soggetti con lesioni midollari (tetraplegici, paraplegici, con spina bifida ed altre
patologie comportanti vescica neurologica), l'esame delle urine deve essere
necessariamente integrato dall'esame del sedimento e dall' effettuazione di azotemia e
creatininemia.
Vi è una legislazione ben precisa anche per la visita di idoneità agonistica per
l’attività sportiva per persone con disabilità proprio come per persone normodotate.
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