VIDEOGIOCO E RACCONTO: DALL’INTERAZIONE ALLA NARRAZIONE Nel corso della sua ormai cinquantennale storia il medium videoludico ha maturato dei modi peculiari di espressione: se i primi videogiochi erano esercizi di destrezza che mettevano alla prova riflessi e abilità del fruitore, già nei primi anni Ottanta cominciarono a emergere stili grafici, forme d’immaginario, personaggi e icone che avrebbero fatto il loro ingresso nella cultura popolare, valicando i confini tra i diversi media e producendo contaminazioni e sinergie intermediali (si pensi ai tanti film tratti dai videogames, ma anche ai fumetti, ai gadget, ai cartoni animati). Ciò che si profilò ben presto fu un’accentuazione delle caratteristiche narrative dei giochi elettronici. Si pensi all’interactive fiction, che emerse sul finire degli anni Settanta e si affermò nei primi anni Ottanta come propaggine dei librigame, i quali con la loro struttura non lineare ben si adattavano a una trasposizione in forma di videogioco. Titoli come Zork diedero per la prima volta all’utente il senso di un mondo interattivo in cui si articolava una storia e abitavano personaggi, sebbene ancora solo nei modi resi possibili da una mera testualità. Furono poi le avventure grafiche a integrare queste forme di narrazione alle componenti visive tipiche del medium: Maniac Mansion, Flight of the Amazon Queen, The Secret of Monkey Island sviluppavano situazioni complesse, collocando gli usi linguistici obliqui dell’umorismo e dell’ironia all’interno di una figurazione vera e propria. Ma le narrazioni videoludiche primordiali non si limitarono al genere dell’avventura, come testimoniano i primi platform game. Giochi come Pitfall, con i loro rimandi all’immaginario del cinema, recavano nel proprio gameplay una sorta di sceneggiatura implicita, fatta di abbozzi di trama e personaggi stereotipici – l’avventuriero a caccia di tesori che esplora la giungla, nella fattispecie del caso. Anche i lasergame si inserivano nel solco di narrazioni precedenti, perlopiù di genere fantasy: Dragon’s Lair, Esh's Aurunmilla, Ninja Hayate introdussero una resa visuale più complessa, in cui le animazioni o i video pre-registrati sostituivano la grafica 2D, limitando gli elementi d’interattività a favore di una svolta in senso estetico e narrativo. Frattanto erano nati i videogiochi di ruolo, che da occidente a oriente avrebbero restituito l’articolazione interna delle loro controparti da tavolo o dal vivo, integrando a poco a poco scenografie immaginifiche e complesse – da Ultima alle saghe di Dragon Quest, Final Fantasy e allo sconfinato mondo dei J-RPG. L’evoluzione di tali generi narrativi si conformò a grandi linee alle tappe di avanzamento tecnologico delle piattaforme di gioco, con alcuni balzi in avanti che furono il risultato di grandi intuizioni di design: Resident Evil traspose l’immaginario horror dei film di George Romero in forma videoludica, Metal Gear Solid affinò le dinamiche stealth, cui corrispondeva una trama matura da film di spionaggio. Ciò che emerse a partire dalla fine degli anni Novanta e poi negli anni Duemila furono le coloriture emotive sempre più sottili, dalla vicenda umana di Shenmue a Heavy Rain, sino al sogno meccanicista di Limbo, con una narrazione silente nella quale il senso effondeva dalla pellicola granulosa, configurando un’espressività geroglifica di cui le parole non facevano parte.