Uploaded by Filippo Morelli

videogioco e racconto - dall'interazione alla narrazione

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VIDEOGIOCO E RACCONTO: DALL’INTERAZIONE ALLA NARRAZIONE
Nel corso della sua ormai cinquantennale storia il medium videoludico ha maturato dei modi
peculiari di espressione: se i primi videogiochi erano esercizi di destrezza che mettevano alla prova
riflessi e abilità del fruitore, già nei primi anni Ottanta cominciarono a emergere stili grafici, forme
d’immaginario, personaggi e icone che avrebbero fatto il loro ingresso nella cultura popolare,
valicando i confini tra i diversi media e producendo contaminazioni e sinergie intermediali (si pensi
ai tanti film tratti dai videogames, ma anche ai fumetti, ai gadget, ai cartoni animati).
Ciò che si profilò ben presto fu un’accentuazione delle caratteristiche narrative dei giochi
elettronici. Si pensi all’interactive fiction, che emerse sul finire degli anni Settanta e si affermò nei
primi anni Ottanta come propaggine dei librigame, i quali con la loro struttura non lineare ben si
adattavano a una trasposizione in forma di videogioco. Titoli come Zork diedero per la prima volta
all’utente il senso di un mondo interattivo in cui si articolava una storia e abitavano personaggi,
sebbene ancora solo nei modi resi possibili da una mera testualità. Furono poi le avventure grafiche
a integrare queste forme di narrazione alle componenti visive tipiche del medium: Maniac Mansion,
Flight of the Amazon Queen, The Secret of Monkey Island sviluppavano situazioni complesse,
collocando gli usi linguistici obliqui dell’umorismo e dell’ironia all’interno di una figurazione vera
e propria.
Ma le narrazioni videoludiche primordiali non si limitarono al genere dell’avventura, come
testimoniano i primi platform game. Giochi come Pitfall, con i loro rimandi all’immaginario del
cinema, recavano nel proprio gameplay una sorta di sceneggiatura implicita, fatta di abbozzi di
trama e personaggi stereotipici – l’avventuriero a caccia di tesori che esplora la giungla, nella
fattispecie del caso. Anche i lasergame si inserivano nel solco di narrazioni precedenti, perlopiù di
genere fantasy: Dragon’s Lair, Esh's Aurunmilla, Ninja Hayate introdussero una resa visuale più
complessa, in cui le animazioni o i video pre-registrati sostituivano la grafica 2D, limitando gli
elementi d’interattività a favore di una svolta in senso estetico e narrativo.
Frattanto erano nati i videogiochi di ruolo, che da occidente a oriente avrebbero restituito
l’articolazione interna delle loro controparti da tavolo o dal vivo, integrando a poco a poco
scenografie immaginifiche e complesse – da Ultima alle saghe di Dragon Quest, Final Fantasy e
allo sconfinato mondo dei J-RPG. L’evoluzione di tali generi narrativi si conformò a grandi linee
alle tappe di avanzamento tecnologico delle piattaforme di gioco, con alcuni balzi in avanti che
furono il risultato di grandi intuizioni di design: Resident Evil traspose l’immaginario horror dei
film di George Romero in forma videoludica, Metal Gear Solid affinò le dinamiche stealth, cui
corrispondeva una trama matura da film di spionaggio.
Ciò che emerse a partire dalla fine degli anni Novanta e poi negli anni Duemila furono le coloriture
emotive sempre più sottili, dalla vicenda umana di Shenmue a Heavy Rain, sino al sogno
meccanicista di Limbo, con una narrazione silente nella quale il senso effondeva dalla pellicola
granulosa, configurando un’espressività geroglifica di cui le parole non facevano parte.
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