Sociologia del turismo Maria Cristina Martinengo ESOMAS- Unito Il turista. “Tourism comprises the activities of persons travelling to and staying in places outside their usual environment for not more than one consecutive year for leisure, business and other purposes not related to the exercise of an activity remunerated from within the place visited.” Questa definizione dell’Associazione Mondiale del Turismo può essere utilizzata per individuare la figura del turista, ovvero della persona che viaggia spostandosi da un luogo all’altro oppure che è stanziale in una certa località e che, durante il tempo del viaggio o del soggiorno, che non deve durare più di un anno, è mosso da scopi diversi e svolge differenti attività non collegate ad una remunerazione. L’ISTAT fornisce una definizione molto simile del turismo: “Le attività delle persone che viaggiano e alloggiano in luoghi diversi dall'ambiente abituale, per non più di un anno consecutivo e per motivi di vacanze, affari ed altro. I tre fattori fondamentali del turismo sono: - lo spostamento sul territorio deve avvenire verso luoghi diversi da quelli abitualmente frequentati (vengono esclusi pertanto gli itinerari percorsi verso i luoghi di residenza tra domicilio e luogo di lavoro e di studio, per recarsi a fare acquisti, per obblighi di famiglia...); - la durata dello spostamento non deve superare un certo limite oltre il quale il visitatore diventerebbe un residente del luogo: dal punto di vista statistico tale limite è fissato in sede Onu in un anno. - il motivo principale dello spostamento deve essere diverso dal trasferimento di residenza (definitivo o temporaneo) e dall'esercizio di un'attività lavorativa retribuita a carico dei fattori residenti nel luogo visitato. Ciò esclude dal turismo i movimenti migratori, anche stagionali, legati al lavoro nonché i trasferimenti dei diplomatici e dei militari (e delle loro famiglie) in un paese diverso dal proprio, nonché i rifugiati, i nomadi ecc. Il turista è dunque, per l’ISTAT, “chi si reca in un luogo diverso da quelli solitamente frequentati (ambiente abituale) e trascorre almeno una notte nel luogo visitato”. In questo modo la figura del turista si distingue da quella dell’escursionista che si sposta con motivazioni simili a quelle del turista stesso ma che riduce la permanenza nel luogo visitato all’arco di una giornata, senza pernottamenti. Le definizioni di tipo statistico risultano insoddisfacenti in quanto si basano su criteri quantitativi che misurano la distanza tra luogo abituale di abitazione e destinazione turistica oppure il tempo trascorso fuori casa: in questo modo si creano ampie aree di sovrapposizione tra la figura turistica ed altre figure in movimento. La sociologia del turismo ha concentrato l’attenzione sul ruolo turistico, ovvero sui comportamenti che gli individui attuano in quanto turisti e che sono il risultato sia delle aspettative degli altri individui sia sull’interiorizzazione delle stesse nel momento in cui si diventa turisti. In questo modo, più che misurare tempo e distanza, si prendono in considerazione le motivazioni e gli scopi dei turisti ed i loro comportamenti. Ogilvie è stato uno dei primi studiosi a utilizzare questo tipo di approccio, definendo il turista come colui che trascorre un periodo lontano da casa relativamente breve e che, in questo periodo, spende denaro proveniente da casa e non acquisito durante le vacanze: in questo senso il turista è un individuo che viaggia per piacere e che, dal punto di vista economico, è un consumatore e non un produttore. Cohen aggiunge un elemento importante alla definizione del ruolo turistico con la componente della «visita» ( visitor componenti che consente di inglobare nello studio del turista quegli aspetti interattivi che risultano dal rapporto tra il turista stesso e le comunità coinvolte nella pratica turistica3. L’individuazione della «visitor» component accanto alla «traveller» component è un passaggio concettuale importante per distinguere il ruolo turistico all’interno di quella vasta e variegata attività umana rappresentata dallo spostamento. Per Cohen il turista è colui che viaggia volontariamente e per un tempo limitato, in base ad aspettative di piacere derivanti dalla novità e dal cambiamento e seguendo un percorso circolare (di andata e ritorno) relativamente lungo e non ricorrente4. A partire da questa definizione, Cohen distingue sei dimensioni principali del ruolo turistico: • la temporaneità, che distingue il turista da altri tipi di viaggiatori e dai vagabondi in quanto presuppone l’esistenza e il mantenimento di una dimora fissa e di un recapito permanente; • la volontarietà, che distingue il turista in base alla possibilità di partire e tornare secondo i propri desideri e non secondo l’arbitrio degli eventi, come nel caso dei prigionieri e dei rifugiati politici; • la circolarità dello spostamento in cui il punto di partenza coincide con quello di arrivo; ciò distingue i turisti dagli emigranti in quanto il turismo può essere considerato come migrazione «non permanente»; • la dimensione temporale dello spostamento che non si risolve nel- l’arco di una sola giornata, come per i gitanti o gli escursionisti; l’estemporaneità del percorso che si realizza poche volte e che distingue il turista dal pendolare e dal proprietario della seconda casa;la non strumentalità degli obiettivi dello spostamento, che distingue il turista da chi viaggia per lavoro, dai missionari e dai diplomatici. Questa ultima dimensione è dubbia in quanto è evidente che anche viaggi a scopo strumentale possono contenere momenti e spazi di tipo indiscutibilmente turistico. Che dire del congressista che unisce al viaggio di studio la visita a monumenti o il relax? Oppure dell’uomo d’affari che approfitta del viaggio a scopo strumentale per farsi raggiungere dalla famiglia e trascorrere alcuni giorni di vacanza? Cohen risolve il problema della sovrapposizione tra obiettivi strumentali e non strumentali ricorrendo al criterio soggettivo delle aspettative di novità e di cambiamento. Questo criterio permette, secondo Cohen, di distinguere tra il turista vero e proprio e altre figure di viaggiatori non strumentali quali gli studenti, i frequentatori delle terme e coloro che si spostano per visitare i parenti. L’utilizzo del criterio soggettivo delle aspettative sposta l’attenzione sul piano psicologico del turista: si può dunque giungere a dire che il turista è chi si sente tale perché le sue aspettative sono rivolte al piacere e al cambiamento. Uno dei risultati cui giunge Cohen attraverso l’introduzione della dimensione soggettiva data dalle aspettative di novità e di cambiamento consiste nella possibilità di distinguere due categorie di ruolo di viaggiatori sicuramente turisti: il sightseere il vacationer. Il sightseer è mosso sostanzialmente dal desiderio di novità: egli compie prevalentemente viaggi non ordinari e non ripetitivi ed è turista nel vero senso del termine in quanto visita molte località in una sola vacanza. Lo scopo dei suoi viaggi è quello di visitare attrazioni di vario genere (ambientali, culturali ecc.) mentre non presta soverchia attenzione agli aspetti di comodità della sua esperienza turistica. Viceversa il vacationer è mosso dal desiderio di cambiamento e privilegia il soggiorno sul viaggio. In questo senso i suoi spostamenti sono tendenzialmente ricorrenti, come nel caso emblematico degli habitués che ogni volta scelgono la stessa località. Il vacationer sceglie prevalentemente la medesima destinazione e il suo scopo è quello di fruire di buone strutture di accoglienza e delle amenità dei luoghi (la spiaggia, i sentieri di montagna, il cibo ecc.). Anche in questo caso i due tipi delineati sono gli estremi di un continuum e non due poli contrapposti, tanto che il turista può trasformarsi da sightseer a vacationer sia durante la singola vacanza (colui che va a visitare una città e, dopo averne visto i musei, trascorre gli ultimi giorni scoprendone i ristoranti, i negozi e i locali per il divertimento) sia durante la carriera turistica nel suo complesso. Diversi tipi di turisti Ponendo l’accento sulle motivazioni del turista e, più in generale, sui suoi connotati soggettivi (le aspettative e gli atteggiamenti), la letteratura sociologica è giunta a distinguere due figure polari di turista: il turista di massa, eterodiretto, che si adegua ai meccanismi del mercato turistico e ricopre il suo ruolo in modo rigido e preordinato dall’offerta prevalente su tale mercato, e il turista autodiretto, che tenta di sfuggire ai condizionamenti e mostra la sua autonomia nel ritagliarsi spazi di scoperta e di avventura al di fuori della standardizzazione della gran parte dei prodotti turistici. La sight seeing theory, secondo la quale il turista si muove verso il sight, ovvero verso le immagini più che verso le cose, illustra i meccanismi che riguardano i turisti eterodiretti. Secondo questa teoria, l’oggetto turistico diviene la cosa da vedere, codificata e classificata in base al suo valore (ad esempio utilizzando il criterio del numero di stelle attribuite alle varie attrazioni dalle guide turistiche), il che trasforma la realtà togliendole i suoi caratteri di veridicità e riducendola a mera immagine rispondente alle aspettative del turista. In questa ottica Morin parla del turismo come di un viaggio-spettacolo in cui l’attore non si interessa alla vita reale del luogo che visita se non nelle sue forme più pittoresche e fruisce soltanto degli oggetti che rappresentano attrazioni turistiche e che possono essere tradotte in immagine. Lo stereotipo del turista con la macchina fotografica, la videocamera o il cellulare illustra l’impossessarsi dei luoghi e delle attrazioni visitate attraverso immagini fisse che trasformano la realtà in curiosità da vedere. La vacanza si risolve dunque in una «caccia» a immagini già troppo viste proprio perché oggetto di copia incessante. Morin sostiene, in modo molto convincente, che la fruizione di oggetti ed eventi da parte dell’attore avviene soltanto quando essi possono essere ritratti e quindi ridotti a immagini, assimilando il turismo allo spettacolo e in particolare al prodotto cinematografico che fornisce un ininterrotto piacere visivo ma pone una barriera invalicabile tra le immagini stesse e gli spettatori. Il turista si appropria del luogo visitato attraverso il contatto fisico che nello spettacolo è negato e percepisce tale appropriazione come arricchimento personale, contribuendo al raggiungimento della felicità individuale che, secondo Morin, è l’unico fine dell’uomo moderno in una società in cui viene meno il potere di orientamento delle grandi trascendenze. Nell’ottica dell’analisi dei condizionamenti del turista si collocano anche i contributi di Tumer e Ash, i quali sostengono che il turista si muove in un mondo circoscritto in cui surrogati dei genitori (ad esempio gli agenti di viaggio, il personale alberghiero, gli autisti e le guide) lo sollevano da ogni responsabilità e lo proteggono dagli eventi reali. La loro azione limita le possibilità del turista confinandolo in una “bolla ambientale” in cui esso fruisce soltanto delle opportunità previste e approvate dal sistema turistico. Nella prospettiva fenomenologica, si può affermare che il turista acquisisce un’identità, anche se effimera e limitata nel tempo, differente da quella che assume negli altri tempi della vita quotidiana. L’individuo fa dunque la spola tra il mondo dominante della vita quotidiana e gli altri mondi più limitati in cui è possibile divertirsi e giocare a essere diversi non soltanto attraverso attività «problematiche» - diverse da quelle di routine - ma anche attraverso un’assunzione di ruoli che il quotidiano non prevede o addirittura nega. Il mondo delle vacanze permette infatti di variare la struttura spaziotemporale del quotidiano e di produrre sfere di significato circoscritte che distolgono l’attenzione dalla realtà di tutti i giorni. Inoltre il turismo, rispetto agli altri consumi connessi al tempo libero, ha la peculiarità di essere una pratica che si svolge al di fuori del tempo e dello spazio quotidiani e ciò permette a chi lo desidera di mettere in atto delle strategie di falsificazione impossibili durante gli altri tempi sociali. Alla logica del condizionamento si contrappone la visione secondo la quale il turista non è sempre passivo e può uscire dal sight seeing. Questa visione mette in dubbio l’assunto che la società di massa coinvolga tutti gli individui allo stesso modo e presuppone che, pur all’interno dell’istituzionalizzazione della pratica turistica nelle sue varie tipologie, sia possibile ricavare spazi per esperienze autentiche e non confinate alla dimensione fantastica dello spettacolo. Ad esempio, Burgelin definisce il turismo come un fenomeno ambivalente e oscillante tra sight seeing e scoperta e afferma che il passaggio tra le due dimensioni si attua attraverso un processo definito come «impregnazione» in quanto rimanda a una relazione simbiotica con l’oggetto della fruizione turistica. L’impregnazione non consente di superare le connotazioni fittizie degli oggetti turistici ma piuttosto di instaurare con questi una relazione vera, anche se i contenuti dell’esperienza turistica continuano a rimanere quelli del sight seeing. Il passo successivo è rappresentato dalla scoperta, che consiste nell’entrare in contatto con la realtà sociale del luogo - e non con specifici oggetti turistici - e nel reperire cose da vedere al di fuori di quelle prescritte per la vacanza. Si tratta in definitiva dello scoprire qualcosa di non standardizzato, spesso non connotato da caratteristiche di pregio turistico ma frutto della propria intraprendenza e della propria volontà di superare i limiti del preordinato. Da questo punto di vista l’interesse del turista si sposta progressivamente dai monumenti - e in generale dai beni culturali - verso la vita della gente, spingendolo a rifuggire le rotte e i percorsi più battuti e, in ultima analisi, gli altri turisti. Infine Burgelin sostiene che, ancora oggi, è possibile sfuggire ai riti del sight seeing attraverso l’avventura, che si realizza allontanandosi dai turisti di massa e rinunciando alla protezione della bolla ambientale, ovvero alle condizioni che rendono sicuro e confortevole il turismo istituzionalizzato. Tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta si sviluppano alcuni filoni della sociologia del turismo che si distaccano e si contrappongono alla teoria del sight seeing spostando l’attenzione sulle motivazioni dei turisti e distinguendo nettamente tra oggetto turistico e atteggiamenti e valori di chi il turismo pratica. La diffusione di forme differenziate di turismo derivanti anche dalla diversificazione dell’offerta da parte dell’industria turistica spinge ad analizzare più in profondità le specificazioni del turismo di massa e a distinguere in modo più attento tra comportamenti del tutto passivi e comportamenti che sottendono una certa dose di autonomia e di originalità. Gli autori più significativi che si collocano in questo filone di studio sono Cohen e McCannell. McCannell considera la pratica turistica una forma moderna del pellegrinaggio religioso, alla ricerca del sacro da parte dei membri delle moderne società. Il turismo è uno dei settori che consentono maggiormente la ricerca del sacro e il suo miracolo consiste nel fatto che, attraverso il viaggio, si innesca un processo di sacralizzazione dei luoghi che corrisponde a un vero e proprio rituale da parte dei turisti che li visitano. Tutti vedono le stesse cose con le stesse modalità: recarsi in una località significa innescare riti in cui sono coinvolte quantità sempre maggiori di turisti provenienti da società e culture diverse: visitare «quel» museo, fotografare «quello» scorcio o «quella» attrazione, acquistare «quei» souvenirs ecc. McCannell fa riferimento all’approccio fenomenologico per affermare che la ricerca dell’autenticità come elemento che determina il senso delle azioni si manifesta anche nella pratica turistica e che il turista vuole sfuggire alla routine interagendo con la popolazione e la cultura locali. A sua volta, la popolazione del luogo turistico è abituata a considerare i visitatori come pane del contesto ambientale e organizza di conseguenza la sua vita oscillando tra una front region che è il palcoscenico dove si svolgono gli incontri tra ospiti e ospitanti e una back region dove gli ospitanti conducono la loro esistenza «non turistica». Il grado di conoscenza e di rapporto con la back region determina il livello di autenticità dell’esperienza turistica; per questo McCannell prevede una serie di situazioni intermedie tra la front region e la back region che rappresentano altrettante tappe di un percorso che comprende tutte le possibilità di esperienza turistica, da quella più eterodi- retta e massificata a quella più originale. Lo schema di McCannell prevede sei stages successivi della possibile traiettoria che il turista può percorrere in modo da penetrare fino in fondo alla situazione sociale e culturale del luogo di vacanza. Lo stage 1 coincide con la front region di Goffman ed è lo spazio sociale riservato ai turisti in cui i rapporti tra questi e la popolazione locale avvengono secondo le modalità dell’organizzazione turistica. Lo stage 2 è lo spazio della front region decorato in modo tale da apparire, in alcune circostanze, come back region. Si tratta dello spazio in cui vengono create «atmosfere» del luogo che richiamano le attività della back region senza peraltro curarsi di riprodurle fedelmente. Lo stage 3 è quello della front region organizzata in modo tale da sembrare a tutti gli effetti back region, il che comporta che vi siano ampie aree di sovrapposizione con lo stage successivo. Lo stage 4 è lo spazio della back region aperto ai turisti che vogliono essere alternativi anche se i turisti stessi non vi si possono muovere liberamente ma devono seguire percorsi predisposti e limitati. Lo stage 5 è quello della back región ripulita e modificata in modo che i turisti, occasionalmente, possano accedervi. Lo stage 6 è infine quello della back región di Goffman, ovvero lo spazio sociale che stimola la coscienza turistica. Alla base del modello di McCannell si colloca la pulsione del turista a compiere il percorso di penetrazione nella back región alla ricerca dell’autenticità, percorso che appare come manifestazione moderna della universale ricerca del sacro. Il turista risulta dunque essere una specie di pellegrino contemporaneo che ricerca l’autentico - e quindi la vera essenza dei luoghi che pratica nella vacanza attraverso la conoscenza della vita reale dei locali. A loro volta questi pongono delle barriere all’ingresso dei turisti nella loro vita intima e predispongono degli spazi di incontro di tipo formale e preordinato che sono organizzati al fine di soddisfare l’estraneo e di distoglierlo dal proseguire il cammino della conoscenza della back región. Da questo punto di vista il turista è tanto più alternativo quanto più riesce a introdursi nella back región e a superare i primi stages del percorso verso l’autenticità. Il contributo di McCannell appare particolarmente interessante non solo per lo studio delle aspettative e delle esperienze turistiche ma anche per l’analisi dell’offerta turistica all’intemo della quale l’autenticità assume una rilevanza cruciale; tuttavia esso è anche assai problematico sia per i dubbi concettuali che pone sia per l’uso operativo che ne può essere fatto. La capacità da parte di un luogo turistico (e della sua comunità) di offrire attrazioni connesse all’autenticità rappresenta oggi un plus per lo sviluppo turistico e il posizionamento di quello stesso luogo. L’autenticità, tanto ricercata dal turista blasé che vuole sfuggire al turismo di massa ma anche dal turista eterodiretto che aspira, pur nella dimensione passiva, a qualche legame con la tradizione del luogo, può evidentemente assumere modalità diverse che vanno dall’offerta di partecipazione del turista ad attività della comunità locale alla mera citazione di elementi della back región, di fatto completamente avulsi dal contesto. L’interesse per la back region turistica non è che una manifestazione dell’orientamento all’autenticità che coinvolge tutta una serie di attività umane: l’attenzione per la natura, per l’artigianalità o per la tradizione è una manifestazione evidente di questo fenomeno e può concretizzarsi in una ricerca autentica di ciò che è naturale, artigianale e tradizionale, oppure nell’accettazione di oggetti che si limitano a richiamare questi aspetti. Allo stesso modo, l’attenzione del turista per la back region può manifestarsi attraverso comportamenti «da antropologo» che vuole conoscere la cultura locale ma anche attraverso l’acquisto di un bene «tipico» che richiama un elemento della cultura del luogo e che sempre più sovente viene prodotto o addirittura importato a scopo puramente commerciale, come nel caso degli artigianati «locali». Il dibattito sulla possibilità da parte del turista di conoscere la back region di un luogo e di penetrarvi fino ai recessi più profondi appare, alla luce delle considerazioni appena espresse, come fittizio e poco produttivo al fine di comprendere le interazioni reciproche tra turisti e comunità locali. Tali interazioni si collocano nella prospettiva più ampia del rapporto tra culture e dunque possono implicare tutti i processi che tale rapporto induce. La presenza costante e continua di un gran numero di turisti in uno stesso luogo innesca meccanismi di acculturazione, e tali meccanismi possono condurre all’aggiunta di nuovi tratti culturali per gli ospiti e per gli ospitanti oppure alla deculturazione per la comunità locale. Anche se il contatto culturale è importante per i turisti, tuttavia il rapporto tra turisti e locali è generalmente asimmetrico e spesso provoca la trasformazione della cultura locale e il suo impoverimento attraverso un processo di deculturazione che spoglia degli elementi esotici e tradizionali le manifestazioni di tale cultura proprio attraverso la loro fissazione a fini turistici. L’asimmetria del rapporto è ben testimoniata dal bilinguismo diffuso nelle località turistiche più esposte ai flussi intemazionali; esso può portare a un processo di acculturazione aggiuntivo che fornisce ai locali strumenti di mobilità economica e sociale, mentre il turista generalmente non acquisisce nuove conoscenze linguistiche se non quelle strettamente legate alla sopravvivenza. Gli aspetti relativi al contatto culturale dovuto al turismo sono stati analizzati soprattutto dall’antropologia culturale che ha prestato un’attenzione particolare a quelli deculturanti. Il turismo è stato interpretato come una forma di imperialismo culturale che stravolge la cultura tradizionale imponendole modificazioni funzionali alle esigenze dell’in- dustria turistica e determinando perdite irreversibili sia di conoscenze sia di significati. Così come il conquistatore, il missionario o il mercante, anche il turista può essere considerato come strumento del contatto culturale e, direttamente o indirettamente, come agente del mutamento culturale, soprattutto nei Paesi o nelle località in via di sviluppo, attraverso l’imposizione di esigenze che devono essere soddisfatte perché i flussi turistici si mantengano o aumentino. Sulla base di queste considerazioni emerge chiaramente l’indeterminatezza concettuale del termine «autenticità» applicato alla cultura della comunità locale. Se per autenticità si intendono i caratteri tradizionali di tale cultura, essa viene considerata come qualcosa di statico e di archeologico, il che non si addice a una cultura viva, e quindi in trasformazione, capace di offrire attrazioni turistiche. Se invece si assume che il fenomeno turistico sia uno strumento del mutamento, allora acquistano i caratteri dell’autenticità anche gli elementi culturali che vengono modificati e talora stravolti dall’acculturazione. In questa prospettiva la distinzione tra front region e back region (e aH’intemo di questa tra i diversi stages), pur essendo utile per capire le motivazioni dei turisti, appare fittizia se il criterio su cui si fonda è quel lo del grado di autenticità. Inoltre, l’uso di questo criterio è a sua volta improntato a uno spirito imperialistico in quanto la tradizione è l’ideale cui la comunità locale deve ispirarsi secondo il giudizio del turista che aspira a conoscere una «realtà» a volte penalizzante per gli autoctoni. Ciò appare chiaro se si analizzano i contributi dell’antropologia culturale allo studio del fenomeno turistico, all’interno dei quali è possibile individuare due filoni: quello che ha sottolineato gli effetti perversi del turismo sulla cultura locale e quello che invece ha segnalato le potenzialità di sviluppo e di conservazione (seppure in forme sclerotizzate) della cultura locale derivanti dai flussi turistici. Almeno una parte di queste considerazioni sono state raccolte dai critici di MoCannell i quali ritengono che la sua teoria soffra di eccessiva rigidità nel distinguere i turisti in base alla ricerca dell’autentico che da un canto viene considerata come pulsione umana mentre dall’altro genera differenze sostanziali nei comportamenti turistici. Pearce e Moscardo cercano di ovviare ai limiti della teoria di McCannell sostenendo che l’autenticità consta di due versanti: quello del contesto (cultura locale) e quello dei comportamenti delle persone che in tale contesto operano (tra cui i turisti). Tale distinzione consente di concludere che la penetrazione nella back region varia al variare degli elementi che il turista ritiene essenziali per arrivare all’autenticità. Da questo punto di vista rautenticità stessa può essere raggiunta anche in stages precedenti al sesto o addirittura a livello della front region, se si considera che il carico turistico modifica l’organizzazione della vita e della cultura locali attraverso processi di acculturazione che danno luogo a risultati differenti, tutti «autentici». Se la cultura è una costruzione umana, anche la cultura locale «inquinata» dal turismo deve essere considerata autentica o, quantomeno, ci si deve porre la domanda sul perché il «fittizio» delle situazioni turistiche deve essere distinto dal «fittizio» di ogni altra situazione, dato che, per coloro che vi abitano, il contesto «turistico» rappresenta la realtà quotidiana. Lo sguardo turistico: soggettività ed esperienza La scenografia all’interno della quale avviene la rappresentazione turistica è anche l’oggetto dello «sguardo» turistico. Secondo Urry infatti il turismo è sostanzialmente un consumo visivo che ha poco a che fare con l’oggettività dei luoghi e delle attrazioni turistiche. In questa chiave di lettura l’oggetto di analisi diviene lo sguardo turistico che è sottoposto a trasformazioni storiche ed è legato alle caratteristiche sociali e culturali del turista: non esiste un unico modo di vedere l’attrazione turistica ma piuttosto i diversi occhi turistici creano differenze nella pratica turistica così come nelle attrazioni. Urry propone tre dicotomie all’interno delle quali è possibile classificare i luoghi turistici. Esse riguardano le dimensioni romantica/collettiva, storica/moderna e autentica/fittizia che determinano i diversi sguardi con cui il turista vede le località che visita. La prima dicotomia può essere utilizzata per distinguere due tipi di percezioni turistiche. La dimensione collettiva è quella che attiene a luoghi in cui la presenza della folla e di infrastrutture turistiche sono necessarie per determinare lo sguardo collettivo. Il luogo trova significato grazie alla presenza di un gran numero di persone, come nel caso delle stazioni balneari di massa o dei parchi a tema. La forma romantica dello sguardo turistico è invece quella che enfatizza la solitudine, la privacy, e una relazione «privata» con l’attrazione turistica. La contemplazione del paesaggio o del monumento, lo stupore davanti allo spettacolo della natura sono esempi di sguardo turistico di tipo romantico. Evidentemente, in questo caso, la presenza di un numero elevato di persone rappresenta un elemento turbativo. La dicotomia tra dimensione storica e dimensione moderna distingue tra lo sguardo turistico che privilegia l’eredità storico-culturale di un territorio e quello che invece privilegia le strutture ad hoc per il turismo. Se i musei sono le strutture dove viene appagato maggiormente lo sguardo storico, le strutture per il divertimento turistico sono quelle cui presta maggiore attenzione lo sguardo moderno. Come è stato rilevato, tuttavia, da sempre l’industria turistica ha operato in modo da fornire adeguata soddisfazione alle esigenze dell’«occhio» storico ma ciò ha significato anche una manipolazione dell’eredità storica che ha reso artefatti i suoi prodotti (monumenti, eventi, reperti) quasi allo stesso modo dei prodotti che soddisfano lo sguardo turistico moderno. In quest’ottica il castello medievale offerto per la visita dei turisti è un prodotto moderno come un parco di divertimenti. Infine la dicotomia tra autentico e non autentico rimanda alle diverse motivazioni di Cohen e agli stages di McCannell, per cui lo sguardo autentico è quello che penetra nella realtà del luogo turistico e quello non autentico è quello che si ferma alla visione della front región. Questa dicotomia è, secondo Urry, la più imprecisa ma mostra la sua utilità nel distinguere tra i diversi luoghi turistici, soprattutto se usata in combinazione con le dimensioni delle altre dicotomie. È dunque possibile individuare diversi tipi di fruizione turistica, da quella di tipo romantico-storico-autentico a quella collettivomodemo- non autentico che caratterizza il turismo di massa nella sua forma più stereotipata in senso negativo. Anche in questo caso la fruizione turistica assume innumerevoli forme intermedie difficilmente etichettabili con precisione e, conseguentemente, difficilmente analizzabili a livello empirico. Anche Cohen presuppone la possibilità che il turismo possa avere una dimensione autentica e centra la sua analisi sull’esperienza turistica, distinguendone cinque tipi in base all’interesse per la cultura, l’ambiente e la vita sociale dei luoghi visitati. Un primo modo di fare turismo è quello «ricreativo». Il viaggio è una forma di intrattenimento allo stesso modo in cui lo sono il cinema, il teatro e la televisione e il turista ne trae beneficio dal punto di vista fisico e psichico, raggiungendo un certo livello di benessere che deriva dal cambiamento di clima e di ambiente e dalle attività ludiche che pratica. Il turista ricreativo è mosso principalmente dalla spinta a «uscire» dalla sua routine piuttosto che a «entrare» in un nuovo mondo e per questo il turismo di intrattenimento si configura come vero e proprio turismo di evasione. La grande diffusione di questo modo di fare turismo è dovuta alle caratteristiche della società urbana che pone sotto pressione i suoi membri costringendoli a cercare sollievo dalle tensioni attraverso momenti di evasione, seppur temporanei. Il tempo libero non deve obbedire alle stesse logiche del tempo di lavoro: è il tempo che, anzi, permette di prendere le distanze dalle dinamiche del quotidiano e di riappropriarsi della propria libertà di agire in modo disgiunto da scopi strumentali. L’evasione durante il tempo libero, e dunque anche durante il tempo turistico, è un’evasione che può avere molteplici significati; tuttavia, anche se si tratta di una sorta di oblio momentaneo in cui vengono meno le aspirazioni alla realizzazione di sé e delle proprie capacità che non trovano spazio negli ambiti lavorativo e familiare, essa si carica di connotazioni simboliche e si orienta a una serie di miti che rendono poetiche attività che tali non sarebbero se svolte in un altro contesto. È nel mondo del Ioisir che i miti connessi al turismo si reincarnano per dare a molte pratiche affettive del fine settimana, della vacanza o semplicemente della notte una carica poetica che è forte solo in quanto tali pratiche si collocano in un intervallo di tempo di loisir tra tempi sociali necessitati. Il secondo modo di fare turismo è quello «diversivo» e rappresenta una sorta di specificazione del turismo ricreativo. Il turismo diversivo nasce dall’alienazione degli individui nelle società moderne e può essere considerato come terapeutico. Turismo ricreativo e turismo diversivo sono molto simili, tranne che per quanto riguarda il perseguimento del piacere personale: il turismo ricreativo è edonistico mentre quello diversivo è una cura necessaria per i malesseri dell’uomo moderno. Il terzo modo di fare turismo è definito da Cohen come «esperienziale» in quanto si distacca dalle esigenze dettate dall’alienazione ed è la risposta alla crisi di valori fondanti la vita quotidiana delle società industriali. Il turismo esperienziale si fonda sulla ricerca di significati, così come emerge dalla teoria di McCannell per cui il turismo è la ricerca di autenticità attraverso la conoscenza della back region. Per Cohen questo tipo di turismo si sviluppa quando, aH’intemo delle società, cresce il numero di individui e di gruppi anomici, non più in grado di realizzarsi nella vita quotidiana riconoscendone l’autenticità e dunque spinti alla ricerca di un’autenticità vicaria nella vita di altri. Un ulteriore modo di fare turismo è quello «sperimentale», tipico degli individui che non aderiscono alle norme e ai valori dominanti delle loro società e che, in quanto deviami, intraprendono una ricerca multidirezionale diretta a scoprire e sperimentare diversi modi di vita. Mentre il turista esperienziale può essere considerato un osservatore esterno della back region in quanto trae la sua soddisfazione dal fatto che esistano individui che vivono autenticamente ma non partecipa alla loro vita, il turista sperimentale, invece, vi partecipa, seppure in modo temporaneo, come nel caso dei giovani che trascorrono del tempo in comunità agricole oppure nelle comuni hippies o ancora nei kibbutz israeliani. Cohen definisce questi turisti come drifters, che portano alle estreme conseguenze la ricerca della novità aderendo, anche se parzialmente, a modelli differenti di esistenza. Infine un ultimo modo di fare turismo è quello «esistenziale», che presuppone l’adesione totale a un nuovo universo di valori e di regole. Tale accettazione può essere considerata come una «conversione», in quanto i nuovi valori e il nuovo modello di vita permangono come orientamento anche nella vita ordinaria della propria società e cultura in cui colui che è stato turista esistenziale si sente in esilio anche se non può - o non vuole - scegliere il mondo elettivo. Per Cohen i cinque modelli turistici appena considerati sono idealtipi che non escludono la possibilità di esistenza di esperienze turistiche intermedie; inoltre, nel percorso turistico individuale, i diversi tipi possono presentarsi di volta in volta e caratterizzare l’uno o l’altro momento di fruizione turistica. Una breve storia del turismo Il turismo è nato come fenomeno elitario e confinato all’interno delle fasce sociali più elevate sul piano sociale e culturale. Il Grand Tour e i viaggi di filosofi, scrittori e artisti tra il XVII e il XVIII secolo sono emblematici di pratiche inscrivibili tra quelle che connotano 1’«agiatezza vistosa». La pratica turistica consistente nella visita alle località più prestigiose, sia per il loro patrimonio artistico e culturale sia per la presenza di élites dallo stile di vita raffinato e dalla vita mondana intensa e vivace sia ancora per la concentrazione di luoghi di piacere, assumeva il duplice significato di segnalazione della ricchezza e della posizione sociale da un canto e della cultura e dell’educazione per apprezzare le risorse turistiche dall’altro. Inoltre la frequentazione di città come Londra, Parigi, Firenze, Nizza, Roma, Napoli (per citare solo le più famose) presupponeva stili di vita fastosi e consentiva comportamenti di «consumo vistoso», ovvero lo «spreco» di beni che nel loro insieme connotano lo status acquisito. I concetti di agiatezza vistosa e di consumo vistoso sono in grado di spiegare efficacemente le prime forme di turismo praticate da nobili e borghesi in un momento storico in cui la società industriale nasce e si consolida. La classe agiata è l’élite di riferimento che ostenta agli altri gruppi sociali il suo status attraverso la ricchezza che rappresenta la base della reputazione e della stima sociale. Questo rapporto di ostentazione è reso possibile dalle piccole dimensioni e dalla visibilità della classe agiata che funziona da unico gruppo di riferimento per lo stile di vita delle altre classi e che elabora modelli di consumo via via imitati dai gruppi inferiori. Se è possibile utilizzare questi concetti in prospettiva storica, occorre tuttavia sottolineare che il significato del turismo come segnalatore dello status sociale e culturale permane tutt’ora almeno per certi gruppi sociali, e in particolare presso quei ceti che elaborano le loro strategie distintive sulla base del gusto e della cultura. A questo proposito è utile fare ricorso alla riflessione di Bourdieu sulla costruzione sociale del gusto, che viene posto in relazione alla quantità di «capitale culturale» posseduto dall’individuo. II capitale culturale è la somma del capitale scolastico (ovvero le conoscenze apprese attraverso i percorsi di istruzione formale) e del capitale culturale familiare (ovvero quell’insieme di nozioni, esperienze, percorsi di socializzazione) che formano la personalità individuale e che ne determinano i gusti e le propensioni. Mentre il capitale scolastico può essere acquisito attraverso l’accesso all’istituzione scolastica (accesso che, nelle nostre società, è relativamente democratico), il capitale culturale familiare deriva dalla famiglia di origine e dunque può essere trasmesso solo se è posseduto. Il capitale scolastico fissa all’inteo di quadri istituzionali l’insieme delle conoscenze provenienti dalla famiglia e fornisce le altre necessarie a integrarle; inoltre esso legittima la cultura di un individuo che trova un riscontro oggettivo nel titolo di studio. La prevalenza della cultura scolastica senza un adeguato background di capitale culturale familiare trasforma la persona dotta in pedante, mentre quella del capitale culturale familiare produce il connaisseur, l’individuo mondano che è giudice del savoir vivre e del savoir faire. L’habitus di questo individuo è frutto di una eredità familiare che, pur legittimata dal titolo di studio, consiste in una stretta dimestichezza con oggetti ed esperienze di gusto condivise all’interno di un gruppo sociale e determinanti il livello di apprezzamento estetico di una classe. Ciò si traduce, a livello personale, in un’immediata adesione e condivisione dei giudizi su ciò che è bello e ciò che non lo è, delle simpatie, delle antipatie e delle fobie che distinguono un gruppo dal resto della società. Utilizzando questi concetti per l’analisi delle scelte turistiche sia per quanto concerne le destinazioni sia per quanto riguarda le attività espletate nel tempo turistico e le attrazioni visitate, si può comprendere il significato che assume la ricerca di mete fuori mano o poco frequentate, la vacanza dedicata all’arte piuttosto che alla gastronomia o al folklore, il rifiuto delle località più massificate ecc. In questo senso il processo di distinzione sociale ingloba la pratica turistica negli strumenti distintivi e la utilizza come manifestazione del- l’habitus individuale e dei gusti personali, fino a determinare alcune forme di turismo «alternativo» che sono tali in quanto vengono praticate da gruppi ristretti ed elitari della popolazione. Se si assumono questi gruppi come innovatori che mirano a distinguersi dal resto della popolazione attraverso scelte di destinazioni e di attività turistiche all’insegna di un elevato capitale culturale, allora si può affermare che tali forme di turismo sono alternative in quanto ricevono questo stigma da parte di una classe che elabora i criteri della distinzione delle pratiche turistiche così come delle pratiche culturali in generale. In questa prospettiva il gusto, che è frutto del capitale culturale, sta alla base delle abitudini e delle scelte turistiche che, insieme ad altri beni, culturali e della vita quotidiana, determinano gli stili di vita dei diversi gruppi sociali e permettono di ordinarli gerarchicamente. Alle prime forme di turismo moderno già citate in precedenza sono da aggiungere quelle che iniziano a diffondersi a partire dalla fine del xrx secolo tra l’aristocrazia e l’alta borghesia europea quali il turismo termale, quello balneare e quello alpino. Si tratta di forme che, pur essendo capostipiti di comportamenti attualmente di massa, presentano caratteristiche peculiari: ad esempio la vita di spiaggia è pressoché assente dal turismo marino, di cui invece viene apprezzato il valore terapeutico connesso alla balneazione oppure la dolcezza del clima durante la stagione invernale. La balneazione nasce prima del turismo marino e ha una connotazione esclusivamente medico-salutistica: l’atto formale che sancisce la sua funzione risale al 1776, quando a Dieppe nasce la prima Maison de Santé pour la pratique du bain d’eau de mer autorizzata dal governo e affidata al controllo di un medico. Il bagno di mare non ha alcuna connotazione ludica né è previsto un rapporto di confidenza con l’acqua: il corpo non galleggia ma si immerge per godere delle virtù terapeutiche del mare. All’inizio del 1800 incominciano a diffondersi le infrastrutture che trasformeranno la pratica marina da cura ad attività ludica e le spiagge diventano attrezzate: sorgono gli spogliatoi e le cabine da utilizzare come riparo dal vento e dal sole e appare la figura del bagnino che accompagna e sostiene i bagnanti nell’acqua. Intorno all’industria marina della salute crescono le attività ludiche che consentono al bagnante di intrattenersi sulla spiaggia per tutta la giornata e si sviluppano le strutture alberghiere della costa. Il cittadino aristocratico che passa un lungo periodo di tempo nelle località marine in voga trova sul luogo tutti i tipi di intrattenimento che ha lasciato nella grande città e, soprattutto, vi ritrova la vita mondana che gli consente di continuare a coltivare le relazioni sociali all’interno del suo gruppo e di ostentare la sua posizione sociale e la sua differenza rispetto alle classi lavoratrici. Da questo punto di vista gli aristocratici, che hanno perso il controllo economico della società, rappresentano dei veri e propri innovatori (nel senso simmeliano del termine) in quanto «mettono in circolazione l’attenzione per il corpo. Il savoir vivre della classe agiata si arricchisce dunque di una nuova dimensione: quella del rapporto con il mare e con le sue attrattive. Alla fine del XIX secolo questo modello turistico si diffonde, mantenendo per lungo tempo i suoi tratti distintivi, anche tra la fascia più alta della borghesia la quale comincia ad accedere, insieme all’aristocrazia e imitandone i comportamenti, alle località marine più prestigiose del tempo. Allo stesso modo del turismo balneare, il turismo alpino, praticato da pochi inglesi, antesignani dei gitanti estivi e dei flussi di sciatori, escursionisti e addirittura alpinisti della domenica, è molto diverso da quello attuale, configurandosi prevalentemente come attività di esplorazione e di scoperta. La permanenza in un luogo e la conoscenza delle sue attrattive non ha che un ruolo residuale a fronte dell’ansia di conquista di nuovi paesaggi. Se il turismo marino è sostanzialmente orientato alla rigenerazione fisica attraverso il relax., il turismo alpino mira alla rigenerazione fisica attraverso la fatica Il turismo alpino può far risalire la sua nascita al 1741, anno in cui i due turisti inglesi Windham e Pococke raggiunsero i ghiacciai di Chamonix aprendo la via ai viaggi in montagna. Il significato delle escursioni in montagna, alle origini, è manifesto nell’ampia documentazione dell’epoca sotto forma di lettere, memorie, bollettini, relazioni e testimonianze. L’elemento caratterizzante del turismo alpino è lo stupore e la meraviglia risvegliati dallo spettacolo della natura e dall’orrore che i contrasti delle alte vette suscitano nell’escursionista. Questo tipo di turismo è dunque una pratica inedita e la scala dei valori che esso sottende è insolita per la cultura del tempo ed emerge, anche in questo caso, tra le élites innovatrici. La scoperta della montagna lega la sensibilità dell’uomo al paesaggio e, attraverso questo legame, al territorio che viene percorso. Nello stesso tempo il viaggio alpino libera lo spirito, allontana i pregiudizi e apre la strada alla conoscenza del mondo. Avventura e scoperta di sé e dei propri limiti attraverso la scoperta di nuovi luoghi sono significati tutt’ora presenti nelle forme di turismo che presuppongono l’abbandono del noto, sia come località sia come abitudini, per ricercare e conoscere l’ignoto. L’ampliamento della fascia sociale dei turisti che avviene a partire dalla fine del 1800 può essere spiegato sulla base del comportamento imitativo degli strati sociali intermedi della società nei confronti dei gruppi superiori. Seguendo il modello di Simmel, gli innovatori determinano nel resto della società un sentimento di emulazione che spinge verso comportamenti imitativi al fine di appropriarsi dei beni posseduti dai gruppi superiori e invidiati da quelli subalterni. In questo modo si genera un processo incessante che spinge i gruppi superiori a differenziarsi non appena quelli inferiori sono riusciti a uniformare i propri comportamenti a quelli delle élites. Insieme a Veblen, Simmel apre la strada alla teoria del trickle effect ripresa da Duesenberry nella sua analisi del demonstration effect. Secondo Duesenberry uno dei fattori che determinano i consumi è l’esistenza di un gruppo di riferimento da imitare: tale gruppo di riferimento, che per Veblen era la classe agiata e per Simmel le élites innovatrici, orienta i comportamenti degli individui che non vi appartengono ma aspirano a fame parte, condizionandone le scelte di acquisto dei diversi beni. Si crea in questo modo un effetto di «gocciolamento» dai gruppi superiori a quelli inferiori, che coinvolge tutta una serie di comportamenti e di valori e che, in particolare, riguarda i modelli di consumo, che vengono mutuati da coloro che si collocano sui livelli più elevati della scala sociale. L’aumento dei fruitori del turismo che accompagna l’affermazione e lo sviluppo della società borghese e industriale trova la sua principale espressione nella diffusione della «villeggiatura» come pratica consolidata presso ormai ampi strati della popolazione: non soltanto l’alta borghesia ma anche gruppi sociali emergenti come quelli dei funzionari e dei dirigenti. Per imitare la villeggiatura, che implica un periodo di tempo lungo da trascorrere al di fuori dell’ambiente ordinario e in luoghi ameni, anche i ceti medio-bassi che non possono ancora permettersela (gli artigiani, i piccoli commercianti e i funzionari di basso livello) si mettono in moto verso l’appropriazione della pratica turistica, rendendo comune l’istituto della «gita fuori porta» che consente, seppure in un tempo limitato, di interrompere il flusso della vita quotidiana fruendo delle varie attrazioni paesaggistiche. Anche il turismo marino e quello montano acquisiscono in questo periodo connotazioni più democratiche e divengono pratica comune presso i ceti medio-alti; si affievoliscono le connotazioni terapeutiche della vacanza marina e quelle connesse all’avventura e alla scoperta della vacanza montana ed entrambe cominciano ad assumere i tratti che hanno ancora oggi e che prefigurano, per molti versi, le connotazioni del turismo di massa. Il turismo marino e quello montano appaiono più orientati all’edonismo e alla cura di sé e questi tratti si affermano progressivamente fino a giungere ad alcune forme di turismo moderno che trasformano la cura medica in vacanza (è il caso delle beauty farms) o che prevedono delle strutture per mantenere la forma all’intemo degli alberghi o dei résidences (è il caso della diffusione delle saune, delle palestre e delle piscine presso le strutture alberghiere). La trasformazione del turismo da bene elitario a bene di cittadinanza avviene in concomitanza ad alcune acquisizioni delle classi lavoratrici e alla crescita della società del benessere. L’acquisizione del diritto alle ferie pagate da parte dei lavoratori è la causa principale che permette l’ingresso di questo gruppo sociale nel mondo del turismo: la possibilità di assentarsi dal lavoro senza perdere il reddito che ne deriva apre la strada a una fruizione turistica generalizzata. La diffusione del tempo libero tra tutte le classi sociali rappresenta dunque la premessa necessaria per la diffusione della pratica turistica che ha rappresentato, fino alla fine del secolo scorso, un’attività tipicamente elitaria ed esclusiva dei gruppi sociali più elevati. Solo per questi infatti aveva senso parlare di tempo libero inteso come tempo disponibile da dedicare esclusivamente a sé, scegliendo le attività da intraprendere in modo svincolato dagli obblighi lavorativi, familiari o sociali. Nei Paesi europei più sviluppati il periodo che segna il passaggio dal turismo di élite al turismo delle classi lavoratrici è quello tra le due guerre, in cui nasce anche un’ideologia che associa al lavoro elementi di stress e che prevede la necessità di un’interruzione dell’attività lavorativa dedicata al riposo e alla ricostituzione psicofisica del lavoratore. Il riposo non è più soltanto un desiderio ma viene rivendicato come diritto e assume il rango di bisogno irrinunciabile; nel momento in cui le ferie pagate diventano universali, i lavoratori sanno già come impiegarle in quanto i modelli turistici degli anni precedenti e delle classi superiori si sono ormai diffusi e costituiscono un orientamento preciso per tutta la società. La maggior parte dei lavoratori desidera visitare i luoghi «sacri» del turismo della belle époque le cui caratteristiche sono entrate nell’immaginario collettivo, anche se non tutti possono permetterselo e ricorrono ad altri modi di impiegare il tempo della vacanza. Quelli che imitano alla lettera i comportamenti delle élites riproducono, in forma più economica, le pratiche turistiche delle classi agiate del secolo precedente, scegliendo le stesse destinazioni e le stesse modalità di vacanza. La diffusione di queste pratiche imitative fa sì che i luoghi canonici del turismo marino ottocentesco divengano immensi spazi di vacanza e che tra le stazioni balneari più prestigiose nascano dal nulla altre cittadine che offrono, in forma più modesta, le stesse attrazioni turistiche. Un classico esempio di questo processo è costituito dall’edificazione della Costa Azzurra che, da Mentone a Saint Tropez, diviene progressivamente una lunghissima e continua «striscia» di stazioni marine che attrae tutti i ceti sociali. Infine quelli che si propongono come innovatori a una più attenta analisi risultano anch’essi imitatori. L’imitazione tuttavia non riguarda le mete o le forme canoniche di vacanza dell’Ottocento ma piuttosto lo spirito di scoperta che aveva mosso , i primi turisti. Le destinazioni si allontanano progressivamente dal luogo di partenza e incorporano luoghi esotici che vengono scelti a mano a mano che si saturano quelli del turismo tradizionale anche in base a mode che si succedono rapidamente e che via via inglobano tra le mete turistiche anche zone precedentemente non turistiche. La diffusione delle diverse modalità di utilizzo del periodo di ferie pagate determina la progressiva massificazione del turismo e inscrive il turismo stesso tra i beni di cittadinanza sia per coloro che lo praticano sia per coloro che non hanno ancora ottenuto di accedervi ma che lo considerano come bene desiderabile in quanto segno di appartenenza alla società moderna. I segni turistici La componente più immediatamente percepibile dell’oggetto turistico è data dalla destinazione ovvero dal luogo scelto per la vacanza. Le caratteristiche della destinazione rappresentano i fattori di attrazione che muovono il turista verso un particolare luogo definendone quindi la valenza turistica. Si tratta di una valenza turistica che non sempre si fonda sulle caratteristiche «oggettive» del luogo stesso (caratteristiche naturali, sociali e culturali, struttura dell’accoglienza, accessibilità ecc.), ma piuttosto sui suoi segni distintivi e sulla loro capacità di colpire e perdurare nell’immaginario collettivo. Esempi immediati di segni turistici possono essere offerti dagli stereotipi culturali legati a una nazione: l’ordine e l’organizzazione tedesca, la socialità italiana, il romanticismo francese, la mancanza di formalità americana, il misticismo indiano. Vedere le staccionate bavaresi perfettamente imbiancate e i balconi ornati dai gerani, essere coinvolti in una calorosa conversazione in un caffè napoletano, guardare due innamorati che si baciano sul lungosenna, stupirsi dell’abbigliamento dei newyorkesi, fermarsi davanti a un capannello di persone in contemplazione davanti a un tempio induista non sono altro che segni che confermano lo stereotipo preesistente e, in buona parte, le ragioni che hanno mosso verso quel particolare luogo turistico. Un altro esempio, più proprio della pratica turistica, può consistere nei segni relativi alla tradizione dei diversi luoghi: l’architettura delle case, la tipologia dei luoghi pubblici - caffè, pubs, bistrots, bodegas-, le feste caratteristiche, gli orari che ritmano la vita quotidiana, la lingua, il cibo, l’abbigliamento ecc. In questo modo un villaggio rurale inglese viene percepito come un segno della «vecchia Inghilterra», un pot-au- feu gustato in un bistrot come segno della cucina «familiare» francese, un sari indossato dalle assistenti di volo della Air India come segno della tradizione indiana. Nella logica dei segni rientrano anche aspetti particolari del luogo che ne sanciscono la capacità di attrarre i turisti: il grattacielo più alto del mondo, la torre pendente, la cascata più alta, il mostro nel lago, la chiesa più antica ecc. I segni che caratterizzano una meta turistica rispetto alle altre mete possono essere interpretati come attrazioni turistiche che sono in grado, in larga misura, di determinare le scelte individuali e di trasformare un singolo luogo in «destinazione». Questo processo vale sia per gli aspetti culturali di un luogo sia per i suoi aspetti naturali. Anche le risorse naturali, per diventare attrazioni turistiche, hanno bisogno di segni; non si capirebbe altrimenti perché i confini amministrativi di un parco determinino flussi turistici che ignorano invece il territorio vicino con le stesse caratteristiche oppure perché i pochi metri in più di una cima alpina la rendano meta di un turismo di massa che si disinteressa delle montagne vicine. Ciò significa che nessun luogo è turistico in sé; la trasformazione di un luogo in destinazione turistica è un fatto culturale in quanto si basa su criteri che si fondano sulle rappresentazioni e sui modelli di valore che orientano i comportamenti concreti. II processo di formazione e di fissazione dei segni nell’immaginario collettivo è assai complesso e si avvale di molteplici strumenti provenienti dalla cultura, dotta e di massa, dall’industria turistica e, non ultimo, dalla rielaborazione delle esperienze turistiche che si trasmette attraverso un rapporto bocca-orecchio all’intemo dei diversi gruppi. La rappresentazione dei luoghi turistici è costruita e supportata da una serie di attività non-turistiche: la letteratura, l’arte, il cinema, la Tv, le riviste, i giornali, il web, hanno un ruolo assai importante nel determinare i segni che connotano le diverse destinazioni. Ciò è assai evidente se si pensa a una forma particolare di turismo che si può definire «di ricerca» di luoghi e situazioni conosciute attraverso i romanzi, i film, i dischi o le trasmissioni televisive: il viaggio in Irlanda sulle orme di Joyce, il giro della Normandia per scoprire i luoghi proustiani, il coast to coast negli Stati Uniti, la visita a Memphis alla casa di Elvis Presley o a Beverly Hills per cercare di vedere le dimore dei divi holliwoodiani. Tuttavia, seppure in forme più recondite, le immagini e le rappresentazioni elaborate all’intemo della cultura dotta o dai mezzi della cultura di massa accompagnano tutte le forme di turismo e si traducono in segni il cui riconoscimento consente al turista di uscire dalla vita ordinaria per partecipare o appropriarsi della dimensione fantastica che è tipica del turismo. A sua volta l’industria turistica svolge una attività propria di costruzione, identificazione e riproduzione dei segni che permettono la creazione o il consolidamento delle diverse destinazioni turistiche. Si tratta di un’attività che poggia su strumenti quali le guide turistiche, i cataloghi dei tour operators, il materiale di promozione, l’industria degli oggetti ricordo, le manifestazioni di settore, l’associazione della località con eventi (sportivi o culturali) non strettamente turistici. L’industria turistica marchia i segni rendendoli riconoscibili ai turisti i quali, attraverso il marker, possono scegliere di vedere la «vera» attrazione distinguendola da un analogo oggetto che attrazione non è. Su queste basi una definizione di attrazione turistica è quella proposta da McCannell secondo la quale la relazione empirica tra un turista, un segno e un marker dà luogo all’attrazione stessa. Alcuni esempi di come l’industria turistica imprime dei markers rendendo possibile la creazione delle attrazioni possono essere offerti dalla classificazione delle «cose da vedere» sulla base del numero di stelle, dalla segnalazione delle strade panoramiche, dalle direttive sulle cose da fare o da vedere (lo shopping, i mercatini, i locali tipici ecc.). In maniera più o meno integrata con l’industria turistica agisce anche, nella creazione e nella diffusione dei segni, la comunità locale che ha un ruolo decisivo sia nel maquillage del territorio sia nel soddisfare le attese del turista in termini di offerta di «tipicità» e di «autenticità». In definitiva, quanto più la comunità locale accetta di divenire segno e di ricevere dei markers per le sue attività, tanto più la destinazione turistica appare attraente sotto l’aspetto culturale. Da questo punto di vista la «tradizionale» accoglienza romagnola o la cordialità cubana sono esempi significativi di come i tratti di una collettività possano trasformarsi in fattore di richiamo per i turisti, così come la disponibilità a lasciar vedere, o intravedere, alcune «tipiche» attività (la donna che lavora al tombolo sulla soglia di casa, le porte aperte delle case del sud del Mediterraneo, il ballo popolare sulla piazza la sera ecc.). Una buona parte dei segni turistici attengono al dominio dell’autenticità, della tradizione e della tipicità, vale a dire a quella che McCannelI chiama back region in cui il turista aspira a penetrare. Utilizzando invece lo schema di Urry, si può dire che la prevalenza dello sguardo romantico-storico enfatizza il ruolo turistico delle eredità socioculturali di un luogo. L’immagine di un luogo dipende dalla sua storia e i segni che richiamano questa storia sono il cuore dell’attrazione turistica di quel luogo. Ciò fa sì che il turismo non sia riducibile a mero insieme di attività commerciali ma che sia connotato da una fitta trama di storia, di cultura e di tradizione che, al contempo, attrae i turisti e soddisfa i loro bisogni di cultura e di istruzione. Se è vero, come affermano alcuni autori, tra cui appunto McCannelI e Cohen, che l’aspirazione verso l’autenticità è il valore che orienta in modo atemporale l’esperienza turistica, occorre tuttavia sottolineare che, oggi, questa ricerca viene ulteriormente sostenuta da una delle tendenze che maggiormente connotano i consumi in tutta una serie di settori. A partire dagli anni Ottanta infatti, nella nostra società si inverte la tendenza del rifiuto della tradizione in nome di una nuova cittadinanza, tendenza che aveva caratterizzato gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. La ricerca della tradizione all’intemo del consumo turistico è particolarmente facilitata dal fatto che la tradizione stessa, intesa come eredità di un territorio, è l’ambito da cui proviene la gran parte dei segni che richiamano al turista la prospettiva della storia e dell’autenticità dei luoghi. Il prodotto turistico Le componenti del prodotto turistico. Le componenti del prodotto turistico corrispondono a tre categorie: quella dell’heritage, quella della back region e quella delle attrazioni artificiali. L’heritage è l’insieme dei beni culturali ed artistici che rappresentano il frutto della storia di un territorio. Esso comprende i monumenti, i musei ed il loro contenuto, i palazzi, le chiese e gli edifici religiosi e civili, i manufatti urbani quali i ponti, i passaggi coperti, i portici, i giardini ed i parchi cittadini e le strutture urbanistiche sedimentate nel tempo. L’heritage così inteso ha rappresentato una delle principali attrazioni per i primi turisti ed in particolare per i grandtouristi che hanno cercato, a partire dal Seicento, le tracce della cultura del passato nelle città d’Italia ed i segni della cultura europea loro contemporanea nelle grandi capitali dell’Europa centrale e settentrionale. Tuttavia l’heritage non può essere considerato come un dato acquisito ma piuttosto come un patrimonio da gestire ai fini turistici, operando in modo tale da non limitarsi alla sua conservazione e manutenzione ma piuttosto vivificandolo e popolandolo di attività quotidiane e turistiche, anche se ciò comporta un impegno notevole in termini di ricerca di equilibrio tra le esigenze dei turisti e quelle dello stesso heritage. La categoria della back region raccoglie invece gli elementi di attrazione che fanno riferimento alla tradizione ed alla vita quotidiana della popolazione di un territorio ed ai suoi aspetti e prodotti tipici. Il passaggio della back region sul piano turistico, tuttavia, implica il riconoscimento del fatto che tutti i suoi elementi, tradizionali e moderni, vengono percepiti in modo diverso dai differenti tipi di turisti e che alcuni di questi possono essere interessati all’autenticità della cultura e della comunità locale mentre altri possono limitarsi all’interesse per la citazione della back region stessa ed alle sue forme più manipolate che corrispondono ai primi stages del modello di MacCannell e che che non implicano per il turista alcun onere esistenziale. La categoria delle attrazioni artificiali raccoglie le strutture e gli eventi che sono programmati e realizzati per il leisure, indipendentemente dal fatto che vengano fruiti dai residenti o dai turisti. Questo insieme di strutture e di eventi rappresenta un’attrazione turistica per due motivi. Il primo consiste nel fatto che la pratica turistica comprende una componente di leisure e che la possibilità di soddisfare tale componente costituisce un fattore di attrazione indipendente e un elemento che contribuisce a determinare sia la durata della visita sia la soddisfazione del turista. La presenza e la rilevanza delle attrazioni artificiali rappresentano un completamento del prodotto turistico che ormai appare indispensabile a fronte dell’ampiezza dell’offerta e dell’eterogeneneità della domanda. Il secondo motivo consiste nel fatto che la presenza e la qualità delle attrazioni artificiali permette ad un territorio di offrirsi a segmenti più variegati di turisti e di raggiungere anche targets poco o per nulla interessati all’heritage ed alla back region. Ciò spiega la capacità da parte delle attrazioni artificiali di rappresentare, allo stesso stesso modo dell’heritage e della back region, un’attrazione indipendente, capace da sola di attirare flussi turistici ma ciò spiega anche la rincorsa alla grande attrazione artificiale (ad esempio il megaevento o il parco a tema) da parte di luoghi che sono già mete turistiche consolidate. All’interno della categoria delle attrazioni artificiali si collocano le strutture per le attività culturali, le strutture per le attività di intrattenimento, le mostre, le fiere e le manifestazioni che, nel loro insieme, rappresentano una parte cospicua dell’activity place, vale a dire del complesso di possibilità di spendere il tempo libero nel contesto del territorio turistico. Il carattere artificiale delle strutture e degli eventi prima citati è parte integrante delle società industriali avanzate ed elemento costitutivo della postmodernità; in quanto tale è anche caratteristica essenziale del turismo di massa che estrinseca la sua variegatura proprio nei contesti postmoderni in cui possono dispiegarsi la sua connotazione consumistica e le sue aspettative estetiche. In questo senso il turismo, che è un’attività di consumo, enfatizza la sua essenza consumistica proprio in relazione alle attrazioni artificiali che offrono al turista le maggiori possibilità di spendere tempo e denaro. L’attenzione in termini di policies da parte degli attori publici e in termini di investimenti da parte degli operatori privati nelle attrazioni artificiali e nelle facilities, ovvero nei servizi che sono a disposizione dei turisti e che contribuiscono a definire la qualità del loro soggiorno, trova una ragione nella cultura del postmodernismo e della ludicità ed è sostenuta dal fatto che l’insieme delle attrazioni artificiali è il più governabile dalle logiche di mercato. Come si è affermato in apertura di questo paragrafo, heritage, back region ed attrazioni artificiali sono le componenti del prodotto turistico; la quantità degli elementi riconducibili a tali componenti e la loro qualità sono fattori essenziali per il successo del prodotto turistico sia in termini di dimensioni dei flussi di visitatori sia in termini di loro permanenza. All’inverso, le carenze di una delle componenti determina una debolezza del prodotto turistico che si riflette sulla sua capacità di attrazione e sulla sua fruibilità. Come afferma MacCannell, l’attrazione turistica può essere definita come “una relazione empirica tra un turista, un elemento da osservare [sight] ed un marker, vale a dire una informazione intorno a quell’elemento”. Senza questa relazione il sight non è un’attrazione perché i turisti non lo riconoscono ed il loro sguardo turistico non è in grado di decifrarlo. Sulla base di questa definizione, il marker assume un peso sostanziale nell’offerta turistica di un luogo in quanto rappresenta il catalizzatore della trasformazione del sight in attrazione turistica. Lo stesso MacCannell definisce i markers come elementi informativi sul sight, logicamente distinti dal medium e classificabili in off-sight markers e on-sight markers. Gli off-sight markers sono quelli che raggiungono il turista fuori dal luogo turistico mentre gli on-sight markers sono quelli elaborati sul luogo turistico. A partire da questa definizione, Leiper giunge ad una classificazione più complessa dei markers distinguendoli in detached markers e contiguous markers. I primi fanno riferimento a tutte le informazioni distanti spazialmente dal sight e possono essere ulteriormente distinti in generating markers e transit markers. I generating markers comprendono le informazioni che permettono al turista di formarsi un’immagine di un sight prima di averlo visitato: ad esempio i materiali informativi delle agenzie di viaggio, gli articoli sulle riviste, i siti web le immagini televisive o cinematografiche, i racconti di altri turisti, le cartoline. I transit markers sono invece le informazioni che raggiungono i turista nell’itinerario che lo conduce verso il sight: ad esempio la cartellonistica stradale che illustra le caratteristiche turistiche di un sight che si trova nelle vicinanze. I contiguous markers fanno riferimento alle informazioni che si trovano direttamente presso il sight e possono essere di vario tipo: i cartelli o i materiali informativi relativi ai monumenti, alle opere d’arte, i dépliant e le locandine relativi ad un evento, le parole delle guide turistiche durante le visite, le informazioni che giungono via web. Le guide turistiche, che svogono un ruolo determinante nell’attività turistica e contengono markers di tutti i tipi in quanto sono un medium portabile: nel momento dell’acquisto forniscono generating markers, durante il viaggio forniscono transit markers e, presso il sight, forniscono contiguous markers. Nel loro insieme, i markers svolgono diverse funzioni: motivano al viaggio, determinano la selezione del luogo o dei luoghi da visitare, influenzano le decisioni sulle attività turistiche da praticare durante il soggiorno, permettono di reperire il sight, lo connotano con un’etichetta indelebile ed infine permettono di ricordare l’esperienza turistica, come nel caso delle fotografie o del souvenirs i quali, da contiguous markers si trasformano in detached markers per l’esperienza turistica successiva. Le tre componenti del prodotto turistico ed i differenti elementi che vi confluiscono necessitano di markers per trasformarsi in attrazioni e, come tali, per competere con le attrazioni di altri luoghi in modo da conquistare maggiori o più pregiati segmenti di visitatori. Le tre componenti del prodotto turistico che rappresentano le attrazioni per i visitatori possono essere fruite in modo più o meno agevole e soddisfacente in base ad alcuni fattori definibili, con Katona, come condizioni permissive16. Esse influenzano in primo luogo l’accessibilità alle diverse componenti del prodotto turistico urbano e in secondo luogo ne determinano la fruibilità per i turisti. Tali condizioni attengono sia alla collocazione del territorio all’interno di un contesto sociopolitico nazionale sia alla qualità della vita, sia ancora agli elementi che concretamente facilitano la visita e la fruizione del territorio stesso. A livello generale, la situazione sociopolitica nazionale influisce anche pesantemente sulle scelte turistiche determinando la forza, la debolezza o addirittura la scomparsa di una destinazione dal mercato turistico. A livello più micro, le condizioni della vita quotidiana, che comprendono la presenza/assenza e l’intensità del traffico, dell’inquinamento, del disagio, della criminalità e del degrado, sono anch’esse in grado di influire sulla scelta di una destinazione nonché sulla soddisfazione di coloro che hanno deciso di visitarla. A questo livello si colloca anche la manutenzione del territorio, che comprende la pulizia delle strade, degli spazi e dei giardini pubblici e l’arredo urbano che rende più o meno gradevole un lugo sia sul piano estetico sia sul piano della vivibilità. Ancora a questo livello si trova ciò che la letteratura turistica definisce come l’apparato di turisticizzazione di una destinazione, ovvero i punti informativi, la segnaletica ed i materiali informativi di vario genere. Sempre a livello micro, fanno parte delle condizioni che facilitano o inibiscono la fruibilità turistica tutti gli elementi che attengono all’accessibilità ed alla mobilità, come le vie di accesso, il sistema di trasporti, i parcheggi, ecc. Infine anche la capacità di accoglienza da parte della popolazione locale è una condizione che può determinare sia la scelta della destinazione sia la soddisfazione dei turisti. Se si considera la capacità di accoglienza come condizione permissiva, è evidente che essa consente una maggiore fruibilità ed accessibilità quando la propensione da parte dei locali a rapportarsi con gli estranei è elevata. Tuttavia questo elemento, pur riconducibile all’insieme delle condizioni precedenti, è certamente da considerare anche come parte della back region e dunque come costitutivo della cultura locale indipendentemente dalla sua intensità. Infatti la disponibilità verso l’esterno ed il grado di apertura della popolazione verso l’”altro” sono frutto della sua storia e rappresentano una caratteristica “oggettiva” della back region. Nonostante questo, la capacità di accoglienza della popolazione è classificabile tra le condizioni permissive in quanto rappresenta la porta d’accesso al territorio per il turista e soprattutto per colui che ama allontanarsi dai percorsi prestabiliti. Nello studio del consumo turistico uno dei problemi fondamentali è dato dalla difficoltà di definire che cosa sia esattamente il prodotto turistico. Innanzitutto il termine «prodotto turistico» è eccessivamente ampio e abbraccia beni e strutture del tutto differenti tra loro: dal ristorante al villaggio-vacanza, da una città a un’intera nazione, da un giardino pubblico a un parco a tema, da una gita su un sentiero di montagna a un viaggio «tutto compreso». All’intemo del prodotto turistico coesistono elementi tangibili quali le caratteristiche ambientali e paesaggistiche delle varie località, le infrastrutture specifiche per il turismo (hotel, ristoranti, complessi sportivi, ricreativi ecc.) con elementi intangibili. Questi ultimi sono a loro volta distinguibili in due categorie: quella dei servizi (ristorazione, commercio, attività, animazione ecc.) e quella degli elementi psicologici legati alla pratica turistica (status, esotismo, lusso, comfort ecc.). Inoltre all’interno del termine «prodotto turistico» si collocano tre tipi di prodotti talvolta sovrapposti e talvolta disgiunti ma non sempre coincidenti per il consumatore: il prodotto essenziale (il cuore dell’offerta turistica e il contenitore degli altri prodotti per i turisti: una stazione sciistica, una crociera, un centro balneare ecc.), il prodotto formale (l’insieme di beni e servizi prodotti e resi disponibili dall’industria turistica: alberghi, attrezzature per il divertimento ecc.) e infine il prodotto elargito (l’insieme dell’esperienza derivante dalla fruizione turistica, che incorpora gli elementi tangibili e intangibili della stessa). In questo senso il turismo è un bene-servizio molto particolare che assomma caratteristiche oggettive e soggettive e insieme elementi controllati dall’industria turistica con altri che invece provengono da altri settori, industriali e non. Come tale, il prodotto turistico è la risultante della composizione di elementi propri del territorio (mare, costa, montagna, lago, paesaggio ecc.), di elementi storico-culturali e sociali che sono già stati definiti come eredità di un ecumene, dei servizi turistici e dei servizi pubblici in senso lato che permettono al turista di godere del patrimonio ambientale e culturale esistente (infrastrutture, trasporti, servizi informativi ecc.). Scendendo nello specifico, si può affermare che gli elementi necessari e sufficienti per definire un prodotto turistico sono quelli costitutivi di base (le condizioni climatiche, le caratteristiche naturali e il paesaggio, le peculiarità degli insediamenti umani sul territorio e l’eredità storica), l’ambiente in cui esso si colloca, la comunità locale, l’animazione e l’«ambiente» turistico, le infrastrutture collettive di leisure., le infrastrutture per l’alloggiamento, la ristorazione, i commerci, le infrastrutture di trasporto, e infine l’immagine del prodotto turistico stesso. Ovviamente non è rilevante soltanto la presenza/assenza degli elementi e dei servizi appena ricordati ma anche (e forse soprattutto) la loro qualità: il grado di preservazione dell’ambiente, il livello di accessibilità e di fruibilità dei beni storico-culturali e ambientali, le possibilità di accesso alla vita della comunità locale, la presenza di strutture e di iniziative per il tempo libero, le caratteristiche del sistema commerciale e distributivo in genere, l’efficienza dei servizi che determinano non solo la qualità della vita del turista ma anche quella ordinaria del cittadino. In questa prospettiva il prodotto turistico non è soltanto il mare con il suo tratto di costa attrezzata e il suo insieme di strutture ricettive e di intrattenimento, ma anche la comunità locale e la sua cultura, il suo patrimonio di monumenti, usi e costumi, la possibilità di conoscerli e di visitarli, il sistema viario e di mobilità in generale, la cultura professionale degli operatori turistici, l’efficienza dei servizi pubblici di cui può aver bisogno un cittadino-turista (dal pronto soccorso alla posta, dalla stazione di polizia all’agenzia di informazioni turistiche). Gli elementi riconducibili alle strutture e ai servizi della vita ordinaria incidono, sulla percezione dell’esperienza turistica, allo stesso modo di quelli che invece provengono dall’industria turistica nel suo insieme; inoltre altri fattori, ancora più sofi, sono in grado di condizionare tale esperienza. Che dire della cortesia che il turista vuole trovare sia presso la popolazione locale sia presso il personale turistico? E ancora, che dire del fatto che colui che va in vacanza vuole incontrare altri turisti a lui graditi dal punto di vista personale e sociale? Si tratta di elementi estremamente soggettivi, scarsamente razionalizzabili a livello di aspettative e molto difficilmente controllabili da parte del sistema turistico ma anche da parte della comunità locale e degli operatori pubblici. Tuttavia questi elementi risultano a tutti gli effetti rilevanti nella scelta e nella valutazione della vacanza e dunque decisivi nel determinare le caratteristiche del prodotto turistico. Generalmente il complesso dei prodotti turistici che viene offerto sul mercato non comprende che una parte del prodotto turistico nel suo insieme, composto da tutti gli elementi precedentemente citati. Anche se l’industria turistica si sta muovendo per «appropriarsi» e controllare tutti gli elementi che compongono il prodotto turistico, la distanza attualmente esistente tra il bene-servizio venduto, quello percepito dal consumatore e quello individuato a livello concettuale è dovuta a molteplici ragioni. La prima è riconducibile al fatto che l’industria turistica agisce sul mercato parallelamente alle aziende che offrono i beni culturali e ambientali e a quelle che invece offrono i servizi al cittadino. Le difficoltà di integrazione e le differenze negli obiettivi delle politiche tra industria turistica e altre aziende pubbliche e private rendono ragione della distanza sopra accennata. È attuale, ad esempio, il già ricordato dibattito sul «numero chiuso» in zone o centri turistici di particolare importanza culturale (centri storici, parchi ecc.) che indica chiaramente il contrapporsi di obiettivi diversi: l’accessibilità di massa da un canto e la salvaguardia dell’ambiente e della qualità della vita dall’altra. Allo stesso modo gli interessi dell’industria turistica possono essere contrastanti con quelli di altri settori economici (agricoltura, industria manifatturiera, chimica ecc.) con obiettivi di utilizzo del territorio diversi da quello turistico. La seconda ragione consiste nel fatto che se il consumo presuppone l’atto dell’acquisto, nel caso del turismo tutti gli aspetti che compongono il prodotto turistico vengono consumati ma solo pochi di essi vengono acquistati o, in altri termini, sono oggettivamente presi in considerazione al momento dell’acquisto della vacanza. Ciò significa che il turista non può razionalizzare la relazione esistente tra beneservizio acquistato ed esperienza turistica nel suo complesso, e deve impiegare le sue capacità di valutazione e di scelta solo su alcuni aspetti del prodotto turistico. Il turista acquista all’agenzia di viaggio una destinazione o una vacanza organizzata e li consuma ma, insieme a essi, consuma anche i musei e i monumenti di cui i luoghi che visita dispongono, i prodotti tipici, le relazioni con i locali e con gli altri turisti, i servizi pubblici ecc. anche se non li ha esplicitamente acquistati. La terza ragione è data dal fatto che il turismo è un consumo collettivo che non può prescindere dalla presenza di altri turisti- consumatori. Da questo punto di vista parte di ciò che il turista acquista è il «consumo» di altre persone e questo fatto crea molte difficoltà agli operatori turistici che, per vendere i loro prodotti, promettono ambienti e atmosfere che non riescono a controllare del tutto. Il turista che cena lautamente in un ristorante di lusso ma lo trova vuoto trae dall’assenza di commensali motivo di insoddisfazione, così come il turista che vuole passare la serata in un night club celebre per la sua clientela e vede che gli altri tavoli sono deserti. Utilizzando il concetto di «sguardo turistico», si può affermare che il consumatore è attirato dagli «sguardi» turistici altrui e che il suo «occhio» viene stimolato dalla presenza di altri «occhi». Questa caratteristica del prodotto turistico e, soprattutto, la sua valenza nel determinarne il pregio e dunque il valore sul mercato e la funzione di prestigio, appare contraddittoria con il fatto che la gran parte delle componenti del prodotto turistico stesso sono riconducibili alla categoria di bene posizionale. Come è noto, il concetto di bene posizionale è dovuto a Hirsch il quale lo distingue da quello materiale. I beni materiali sono quelli il cui godimento non implica uno scadimento qualitativo e la cui fruizione può dunque aumentare progressivamente. I beni posizionali invece sono quei beni fisicamente o socialmente scarsi sia perché la loro offerta è limitata sia perché il loro godimento allargato implica un deterioramento degli stessi. L’esistenza di questi due tipi di beni implica, all’interno dell’economia di mercato che caratterizza la gran parte delle società più sviluppate, un paradosso che contrappone la possibilità della crescita illimitata del benessere e dell’acquisizione, per l’individuo, di posizioni sociali superiori e ai limiti posti a tale possibilità dall’economia posizionale. Le ricompense che l’individuo merita attraverso la sua azione economica possono provenire infatti soltanto dall’economia materiale, che è in grado di aumentare la quantità e la qualità dei beni prodotti, ma non possono giungere dall’economia posizionale in quanto l’allargamento della fruizione dei beni posizionali rappresenta un livellamento verso il basso e non un movimento ascensionale lungo la scala della stratificazione sociale. L’importanza del concetto di bene posizionale per il turismo è evidente, in quanto le attrazioni turistiche riconducibili all’ambiente fisico e a quello culturale possono essere inquadrate in questa categoria. Applicando lo schema di Hirsch al settore turistico, si può distinguere tra un turismo materiale e un turismo posizionale. Il turismo materiale è quello che in altri punti di questo lavoro è stato definito «di massa» o «standardizzato» e implica la presenza massiccia di strutture per il leisure sulle quali l’intervento dell’industria turistica non può che comportare dei miglioramenti in termini di funzionalità, di efficienza e di prezzo. Viceversa, il turismo posizionale è quello il cui valore non deriva dalla presenza di attrezzature turistiche di tipo industriale ma piuttosto da elementi (fisici, sociali e culturali) il cui affollamento genera processi di degrado e di pauperizzazione tali che l’attrazione turistica in breve non è più tale. Allo stesso modo, a mano a mano che l’industria turistica innesca processi di deculturazione nei confronti della comunità locale, viene meno l’attrazione che la cultura del luogo esercita nei confronti di certi gruppi della popolazione, anche se aumenta l’efficienza dell’economia materiale. In definitiva si può giungere a dire che il carattere posizionale dei beni turistici fa sì che tali beni, o almeno quelli di rango, non debbano essere offerti indiscriminatamente sul mercato, dato che il loro accesso indifferenziato ne determina il riposizionamento e li priva della capacità di segnalare lo status degli individui che li praticano. Da un canto dunque le attrazioni devono rendersi accessibili ed essere frequentate per rassicurare i turisti sulla loro identità turistica; dall’altro, per molte di esse, l’uso eccessivo ne fa scadere il valore. Da questo punto di vista si configura un difficile equilibrio tra affollamento e vuoto delle destinazioni, dei luoghi e degli itinerari turistici. La crescita della fruizione collettiva del prodotto turistico non implica soltanto una discussione sulle dimensioni della collettività che ne fa uso ma anche sul fatto che, come esistono limiti sociali al consumo turistico che si fondano sulla quantità e sulla concentrazione dei consumatori, così esistono dei limiti, altrettanto sociali, consistenti nell’horror vacui che rende indispensabile la compresenza di un certo numero di consumatori dello stesso prodotto turistico.