Capitolo 1 Metabolismo del glucosio, introduzione Il metabolismo del glucosio è il processo attraverso il quale il nostro corpo prova a trasformare l’energia presente nei legami chimici delle molecole di zucchero in ATP. Tipi di processi metabolici del metabolismo del glucosio - - Glicolisi: è il processo attraverso il quale le molecole di glucosio presenti nel citoplasma vengono scisse a molecole di piruvato. Il risultato netto della glicolisi sono 2 ATP che possono essere utilizzati dalla cellula. La glicolisi è un processo anaerobico, ovvero non richiede ossigeno per avvenire. in condizioni anaerobiche il piruvato andrà incontro a fermentazione, alcune cellule in natura fanno fermentazione alcolica, che produce etanolo; altri organismi, per esempio le cellule del nostro corpo, vanno incontro alla fermentazione lattacida, che trasforma il piruvato nella base coniugata dell’acido lattico, il lattato. Respirazione cellulare aerobica: in condizioni aerobiche il piruvato migrerà nel mitocondrio della cellula e dentro il mitocondrio vi sono dei processi come decarbossilizzazione del piruvato, ciclo acido citrico e la catena di trasporto degli elettroni trovata sulla membrana mitocondriale, utilizzerà questi ossigeni per trasformare i piruvati in CO2 e ATP; infatti la maggioranza degli ATP fatti dalle nostre cellule sono prodotti da processi che hanno luogo all’interno del nostro mitocondrio. L’insieme di questi processi è chiamata respirazione cellulare aerobica, la respirazione cellulare aerobica non include solo i processi appena visti, ma anche la glicolisi stessa. Regolazione della produzione di ATP – gluconeogenesi Se la cellula ha già abbastanza ATP e non vuole produrne ulteriormente, la cellula non vuole più scindere molecole di glucosio, ma vuole conservarle in una forma dove non saranno distrutte. Per cui la cellula prenderà la singola molecola di glucosio e la trasformerà nella sua forma polisaccaridica chiamata glicogeno. Le molecole di piruvato e quelle di lattato, verranno ritrasformate di nuovo in glucosio e il glucosio verrà trasformato in glicogeno. Il processo attraverso il quale trasformiamo queste molecole di nuovo in glucosio è chiamato gluconeogenesi. La regolazione avviene in questo modo: la glicolisi e la gluconeogenesi possono essere considerati come due processi inversi, una forma piruvato a partire dal glucosio, l’altra forma glucosio a partire dal piruvato. Se la cellula ha bisogno di produrre piruvato/ATP, “spegne” la via di gluconeogenesi, se invece non ha bisogno di produrre ATP, “spegne” la glicolisi. La glicolisi e la gluconeogenesi non avvengono mai allo stesso momento nella stessa cellula. Glucosio e dieta Il glucosio arriva nel nostro corpo attraverso l’ingestione di cibo, per cui se noi mangiamo un pasto ricco di carboidrati, introduciamo glucosio nel nostro corpo. I carboidrati che introduciamo nel nostro corpo sono principalmente di due tipi: polisaccaridi provenienti dalle piante e polisaccaridi provenienti dagli animali. Contrariamente a quanto si pensa, anche la carne contiene carboidrati, sotto forma di glicogeno. Altri alimenti di origine animale, come per esempio la pasta, il pane o i cereali, contengono polisaccaridi vegetali, per cui ciò che stiamo ingerendo è amido. Vi sono due tipi di amido: amilosi e amilopectina; l’amilosi ha una struttura elicoidale di base e l’amilopectina, come il glicogeno per il glucosio, è una forma ramificata dell’amilosi. Degradazione dei polisaccaridi assunti dalla dieta Questi polisaccaridi sono troppo grandi per entrare nelle nostre cellule, muoversi, ed essere trasportati nel plasma. Quindi prima che questi polisaccaridi entrino nel plasma sanguigno e nelle nostre cellule, devono essere scissi in componenti più piccoli, ovvero in molecole di glucosio, affinché le cellule possano assimilare questo glucosio e utilizzarlo per i processi prima introdotti. Gli enzimi che degradano questi carboidrati nella loro forma individuale monomerica sono di diverso tipo, ne ricordiamo 7: Bocca: - Alfa-amilasi salivare: la saliva contiene un enzima digestivo proteasi speciale, chiamato alfa amilasi. L’alfa amilasi taglia i legami alfa 1-4 glicosidici che esistono nell’amido e nel glicogeno. Il cleavege (taglio) di questo legame alfa 1-4 glicosidico, scinde i polisaccaridi in polisaccaridi e oligosaccaridi più piccoli Stomaco: Nello stomaco non si rompe nessun legame glicosidico Piccolo intestino: qui è dove il resto della digestione ha effettivamente luogo - - - Alfa-amilasi pancreatica: prodotto dal pancreas, è un enzima molto più potente della alfa amilasi salivare. Anch’esso taglia i legami alfa 1-4 glicosidici, tuttavia questi tagliano il polisaccaride fino a disaccaride o trisaccaride; nel caso dell’amido e del glicogeno, noi tagliamo questi polisaccaridi in maltosio, un disaccaride che consiste di due glucosi o maltotriosio, un trisaccaride che consiste di tre glucosi. Maltasi, alfa glucosidasi, alfa destrinasi, saccarasi e lattasi: prodotti dalle vescicole secretorie delle cellule del piccolo intestino (eritrociti), tutti questi enzimi sono specifici per il tipo di molecole e il tipo di legame che vanno a tagliare: La maltasi, prodotte dalle cellule dell’epitelio a spazzola, rompono il maltosio in due glucosi; il maltosio a sua volta era stato scisso dalle alfa amilasi pancreatiche; Alfa glucosidasi: il maltotriosio viene invece scisso dalla alfa glucosidasi che scinde il maltotriosio in tre molecole di glucosio Alfa destrinasi: se noi ingeriamo la versione amilopectina dell’amido o il glicogeno, questi polisaccaridi non hanno solo i legami alfa 1-4 glicosidici, ma anche i legami alfa 1-6 glicosidici, le alfa amilasi salivari e pancreatiche, non possono rompere questi ultimi legami, per cui in seguito a queste fasi digestive, avremo un residuo chiamato limite-destrino, questo residuo presenterà il legame alfa 1-6 glicosidico e per scinderlo abbiamo bisogno appunto delle alfa destsrinasi. Altri monosaccaridi: il glucosio non è l’unico monosaccaride che possiamo trovare nel nostro corpo, ma possiamo avere anche altri monosaccaridi, per esempio il galattosio, il fruttosio… avremo altri tipi di enzimi per loro: - Saccarasi (o invertasi): rompe i legami glicosidici del saccarosio, ovvero un disaccaride formato dal legame tra il fruttosio e il glucosio. Il saccarosio è presente nelle piante Lattasi: la lattasi è un enzima digestivo che rompe il lattosio, il lattosio è un disaccaride che consiste in un galattosio e un glucosio legati tra di loro. Il lattosio proviene dai derivati del latte. Solo dopo che i vari tri/di-saccaridi sono scissi a glucosio possono essere captati dalle cellule, entrando nel loro citoplasma e dar luogo ai processi metabolici menzionati all’inizio. Questo avviene attraverso un particolare trasportatore di glucosio che vedremo nelle prossime lezioni Lezione 2 Stadio 1 della glicolisi La glicolisi, conosciuta anche col nome di “pathway glicolitico” o “via glicolitica”, è costituita da vari step e da tre stadi. In questa lezione ci occuperemo dello stadio 1, tuttavia prima di iniziare a parlare di questo, vediamo brevemente gli obiettivi dei tre stadi. Obiettivo stadio 1 Lo stage 1 mira a “intrappolare” il glucosio nel citoplasma affinché il glucosio non lasci la cellula e destabilizza la molecola di glucosio. Destabilizzandola, la molecola di glucosio aumenta la sua quantità totale di energia così da diventare più reattiva; ciò la prepara allo stadio 2. Obiettivo stadio 2 Nello stadio 2 degradiamo la molecola di glucosio destabilizzata proveniente dallo stadio 1 in due componenti. Obiettivo stadio 3 Nello stadio 3, ossidiamo queste due componenti provenienti dallo stadio 2, tale ossidazione ci permette di ricavare l’energia da queste due molecole sotto forma di ATP. Oltre all’ATP formiamo anche il piruvato e il NADH Stage 1 (Stadio 1) L’obiettivo di questo stadio è quello di trasformare la molecola di glucosio in fruttosio 1-6 bifosfato. Lo stage 1 può essere suddiviso in 3 steps: nel primo step fosforiliamo uno dei carboni del glucosio, nel secondo step trasformiamo il glucosio in un isomero chiamato fruttosio, nello step 3 aggiungiamo un gruppo fosfato al fruttosio Step 1 Una volta che il glucosio è entrato nel citoplasma della cellula, un enzima speciale di protein-chinasi che noi chiamiamo esochinasi, catalizza l’aggiunta di un gruppo fosfato da una molecola di ATP sul carbonio numero 6 di questo glucosio, per cui il carbonio numero 6 guadagna un gruppo fosforico grazie alla catalizzazione dell’esochinasi. Perché lo step 1? Prima di descrivere l’esochinasi nel dettaglio, vediamo il perché dello step 1; ci sono due ragioni specifiche per le quali dobbiamo aggiungere un gruppo fosfato al glucosio: 1) Vogliamo intrappolare il glucosio nel citoplasma della cellula, per cui aggiungendo il gruppo fosforico sul carbonio numero 6 noi cambiamo la struttura della molecola di glucosio trasformandola in glucosio 6 fosfato, rendendo la molecola molto più polare, in quanto contiene una carica negativa di 2 presso il carbonio 6. Grazie a questa polarità appena acquisita, i trasportatori di glucosio che erano in grado di trasportare il glucosio all’interno della cellula o all’esterno della cellula, ora non possono legarsi al glucosio 6 fosfato a causa di questa componente carica negativamente, per cui è intrappolato nella cellula. 2) La seconda ragione dello step 1 è che qui si inizia a destabilizzare la molecola di glucosio, ogni volta che si aggiunge una carica infatti, si destabilizza la struttura; ciò significa che il glucosio 6 fosfato è più reattivo e meno stabile del glucosio normale, per cui il G6F può reagire e scindersi in componenti più piccole. Come già detto, il glucosio una volta entrato nel citoplasma, subisce un processo di fosforilazione sul carbonio 6. L’esochinasi aggiunge un gruppo fosfato sul carbonio 6 prendendolo dall’ATP, per cui come prodotto finale avremo il G6F e l’ADP. Questo step dunque consuma una molecola di ATP. Esochinasi L’esochinasi è una protein-chinasi che catalizza l’addizione di un gruppo fosfato su uno zucchero esoso (per cui il prefisso “eso”), ovvero con 6 carboni. Come tutte le protein-chinasi, anche l’esochinasi ha bisogno di un atomo metallico divalente per funzionare in modo efficiente, come per esempio il magniesio 2+ (Mg 2+) o il manganese 2+ (Mn2+). Questi ioni divalenti interagiscono con la molecola di ATP , cambiandone la conformazione, rendendoli perfetti per entrare nel sito attivo dell’esochinasi e prendere parte a questa reazione Nell’immagine di sopra vediamo l’esochinasi. Prima che il legame col glucosio avvenga, l’esochinasi ha due domini e questi due domini sono relativamente distanti l’uno dall’altro. Quando il glucosio entra nel sito attivo dell’esochinasi, i suoi domini ruotano l’uno verso l’altro di circa 12° e mentre ruotano creano questo spazio perfetto per il glucosio, dove esso si incastonerà. Mentre l’esochinasi si “chiude”, essa “schiaccia” tutte le molecole d’acqua all’esterno del suo sito di legame col glucosio, rimuovendole tutte dal sito attivo, creando l’ambiente perfetto per catalizzare la reazione di fosforilazione. Perché bisogna rimuovere l’acqua dal sito attivo dell’esochinasi Ogni volta che abbiamo una molecola di ATP (in questo caso si trova anch’essa nel sito attivo dove avviene la reazione) e una molecola d’acqua nelle immediate prossimità dell’ATP, lo ATP risulta non molto stabile e la molecola d’acqua tenderà ad idrolizzarlo da ATP ad ADP. Creando questo ambiente senz’acqua previene le reazioni di idrolisi che sarebbero causate dall’acqua stessa, per cui l’ATP è libero di trasferire il suo gruppo fosfato sulla molecola di glucosio, producendo l’ADP. Ricapitolando, Il movimento del glucosio nel sito attivo dell’esochinasi fa si che i due domini di quest’ultima intraruotino di circa 12° gradi l’uno verso l’altro, muovendosi di circa 10 Ångström (Å), e il glucosio viene chiuso nel sito attivo, si viene a creare pertanto l’induced fit (la modifica della forma del sito attivo, perfetta per il glucosio). L’induced fit “sigilla” il glucosio e fa sì che venga rimossa tutta l’acqua dal sito attivo e posiziona il carbonio 6 proprio accanto all’ATP , prevenendo l’idrolisi prematura dell’ATP da parte della molecola d’acqua; infatti se l’ATP fosse idrolizzato dall’acqua prima del trasferimento del gruppo fosforico sul glucosio, avremmo un ADP al posto dell’ATP, e l’ADP non sarebbe in grado di trasferire il gruppo fosfato. Step 2 – isomerizzazione Una volta formato il glucosio 6 fosfato, il prossimo step sarà trasformare il glucosio 6F in fruttosio. Per trasformarsi in fruttosio il G6F deve aprirsi nella sua conformazione a catena aperta in quanto, quando le molecole di zucchero esistono nella loro conformazione ciclica (chiusa), tipicamente non reagiscono in quanto il gruppo aldeico o il gruppo chetonico non è esposto, per cui un enzima speciale chiamato fosfogluco-isomerasi, apre questa struttura ciclica, formando la conformazione a catena aperta. Questa conformazione espone il gruppo aldeico reattivo (gruppo aldeico = gruppo carbonilico). Il prossimo passaggio di questa reazione sarà, come vediamo in figura, la trasformazione di questo glucosio a catena aperta in fruttosio a catena aperta, trasformando il gruppo aldeico (carbossilico) in gruppo chetonico Infine, come ultimo step avremo la trasformazione di questo fruttosio con struttura a catena aperta nella sua struttura ciclica a catena chiusa Questo prodotto è chiamato fruttosio 6 fosfato (F6P), questo step ha quindi fatto sì che si trasformasse un aldoso in un chetoso Step 3 – seconda fosforilazione L’aggiunta del primo gruppo fosfato avvenuto nello step 1 non è abbastanza per destabilizzare abbastanza la nostra molecola, per cui lo si destabilizza ulteriormente attraverso un enzima chiamata fosfofruttochinasi (PFK) che catalizza l’aggiunta di un altro gruppo fosfato sul carbonio 1 del nostro F6P, per cui abbiamo 2 gruppi fosfato nel nostro fruttosio, che si chiamerà fruttosio 1,6 bifosfato. Proprio come la reazione dell’esochinasi, anche questa richiede ATP, producendo ADP. Lo step 3 è molto importante in quanto una volta che esso è stato attuato, il glucosio è destinato a continuare il pathway glicolitico. Infatti prima che lo step 3 avvenga, il nostro zucchero può ancora essere immagazzinato sotto forma di glicogeno, ma una volta avvenuto lo step 3, ciò non può più avvenire. Il fruttosio 1,6 fosfato sarà quindi estremamente reattivo e potrà essere tagliato nelle sue componenti nello stage 2 Lo stage 1 in definitiva consuma 2 ATP senza produrne alcuna. Lezione 3 – Stadio 2 della glicolisi (steps 4 e 5) Nello step 3 abbiamo formato il fruttosio 1,6 bifosfato, con i due gruppi fosfati esso è abbastanza reattivo da poter prendere parte allo stage 2. Obiettivo dello stage 2 L’obiettivo dello stage 2 è quello di scindere il fruttosio 1,6 bifosfato in 2 molecole carboniose identiche chiamate gliceraldeide 3 fosfato o GAP. In questo stage abbiamo due processi diversi, per cui utilizzeremo due enzimi diversi tra loro: uno è aldolasi e l’altro è trioso fosfato isomerasi Step 4 - Aldolasi L’aldolasi è l’enzima che catalizza la scissione del fruttosio 1,6 bifosfato (P16BF) in due molecole a tre atomi di carbonio diverse. Quindi, appena si forma il fruttosio 1,6 bifosfato alla fine dello stage 1, l’aldolasi si muove nell’area dove il P16BF è stato formato. Prima che l’aldolasi possa catalizzare la sua reazione, il P16BF dev’essere trasformato dalla sua forma ciclica alla sua forma a catena aperta; in questa forma l’aldolasi può tagliare il legame segnato in rosso in figura. Nell’immagine di sopra, vediamo che la molecola a catena aperta presenta diversi colori, la regione di sotto è viola, quella di sopra azzurrina; col taglio del legame in rosso da parte dell’aldolasi La parte viola diventerà la gliceraldeide-3-fosfato (GAP) La parte azzurrina diventerà il diidrossiacetone fosfato (DHAP) Il perché dell’isomerizzazione a fruttosio nello stage 1 La motivazione per la quale il glucosio viene isomerizzato a fruttosio nello step 2 dello stage 1, è perché nello step precedente appena visto, grazie, appunto, alla sua trasformazione a fruttosio, possiamo produrre 2 molecole a tre carboni. Infatti se il glucosio non fosse stato trasformato in fruttosio e fosse arrivato lui al posto del fruttosio nello step 4, avremmo formato due molecole, una a due atomi di carbonio e un’altra a 4 atomi di carbonio. Fino ad ora uno solo dei due prodotti formati dall’aldolasi, è il prodotto finale dello stage 2, cioè la gliceraldeide 3 fosfato; questo prodotto andrà direttamente nello stage 3, senza subire ulteriori modifiche. Il DHAP invece non è in grado di passare direttamente allo stage 3, per cui sarà necessario che esso subisca alcune modifiche; se infatti non venisse modificato, esso non verrebbe utilizzato per formare gli ATP Step 5 – isomerizzazione del DHAP in GAP Il DHAP e il GAP sono molecole isomeriche. L’enzima che catalizza l’isomerizzazione del DHAP in GAP è il triosio-fosfato-isomerasi (TPI) La reazione è rapida e reversibile. Una volta che l’equilibrio è stato raggiunto, il DHAP esiste come molecola predominante, infatti il 96% delle molecole saranno DHAP e solo il 4% saranno isomerizzate in GAP. Questo tuttavia non è un problema, in quanto, una volta che il GAP sarà trasferito nello stage 3, il gradiente si sposterà dal lato del prodotto e il DHAP restante continuerà ad essere trasformato in GAP (in pratica, noi togliamo il GAP isomerizzato dal DHAP dallo step 5 e lo buttiamo nello stage 3, sparito il GAP, il DHAP continua ad essere isomerizzato) Azione del TPI L’obiettivo di questa reazione è il trasferimento dell’H del carbonio 1 del DHAP sul carbonio 2, questa non è altro che una reazione di ossidoriduzione, il TPI praticamente trasforma un chetoso in un carbossilico attraverso il trasferimento dell’H dal carbonio 1 al carbonio 2. Vediamo però cosa accade nel sito attivo dell’enzima: Nel sito attivo vi sono in pratica due residui catalitici che catalizzano questa reazione, questi catalizzano attraverso una reazione acido-base. I due residui catalitici sono il Glu165 e His95. Il Glu 165 nel primo passaggio della reazione agisce come base e l’His95 agisce come acido: Passaggio 1: His95 dona un H al carbonio come vediamo in figura e allo stesso tempo il Glu165 prende un H. Quando il secondo H viene preso si forma un doppio legame tra il carbonio 1 e il carbonio 2 , formando un intermedio chiamato enediolo intermedio in quanto contiene due gruppi alcolici (due ossidrili legati allo stesso doppio legame) Nota bene, la molecola vista nella prima figura del diagramma sopra riportato, non è altro che il DHAP visto “sotto sopra” Passaggio 2: L’azoto (N) del His95, che ha appena perso un idrogeno, agisce da base, prendendo l’idrogeno dall’ossigeno del carbonio 1, formando un altro intermedio non molto stabile (in basso al destra nel diagramma in figura) Passaggio 3: l’itermedio appena formatosi non è molto stabile in quanto contiene una carica negativa sull’ossigeno e quindi la carica negativa vuole “andare via”. Passaggio 4: Quindi l’elettrone forma un doppio legame con l’ossigeno e allo stesso tempo si rompe il doppio legame tra il carbonio 1 e 2, e gli elettroni liberatisi dal doppio legame appena rotto, prendono l’idrogeno che prima era stato preso dal Glu165, questo era lo stesso idrogeno che prima era legato al carbonio 1, che ora si sarà legato al carbonio numero 2. Qui abbiamo formato il GAP e abbiamo anche riformato i due residui catalitici dell’enzima Effetti del TPI: L’azione del TPI fa sì che: Aumenta la velocità della reazione di isomerizzazione di circa 10 miliardi di volte (per questo diciamo che la reazione è molto rapida) Inoltre fa sì che alcune reazioni competitive non abbiano luogo, come quella in figura. Infatti se non avessimo l’enzima lì, il DHAP, invece di isomerizzarsi, subirebbe una reazione 100 volte più probabile dell’isomerizzazione, che è quella in figura Quindi a conclusione dello stage 2 avremo 2 gliceraldeide-3-fosfato Lezione 4 Stage 3 della glicolisi (step 6 e 7) Il terzo stadio è l’ultimo della glicolisi, esso è composto da 5 step ( 6,7,8,9 e 10), in questa lezione però ci focalizzeremo solo sugli step 6 e 7 Una volta formato il GAP, essa va nello stage 3, qui noi ricaviamo un po’ di energia immagazzinata nei legami chimici della GAP e utilizziamo tale energia per formare ATP, NADH e piruvato. Il motivo per cui formiamo NADH e piruvato è perché questi, in condizioni aerobiche, possono muoversi nel mitocondrio e, attraverso alcuni processi, formare molto più ATP; ci focalizzeremo su questi processi però nelle lezioni future. Step 6 – conversione del GAP in 1,3 Bifosfoglicerato (1,3BPG) Il primo step dello stage 3 è la conversione del GAP in 1,3 Bifosfoglicerato (BPG), l’enzima che catalizza questa reazione è la gliceraldeide-3-fosfato-deidrogenasi (GAPdeidrogenasi), questo enzima catalizza il trasferimento di un idruro (idrogeno con due elettroni) da una molecola ad un’altra, così che la molecola che perde l’idruro è ossidata, in quanto perde elettroni, e la molecola che guadagna l’idruro è ridotta, in quanto guadagna elettroni. Osserviamo la figura e nota bene, abbiamo due GAP in realtà, ne abbiamo mostrato uno per semplificare, ma per valutare il prodotto finale dovremmo moltiplicare per 2. In questa reazione abbiamo la GAP, che è la molecola substrato del nostro enzima GAPdeidrogenasi; Abbiamo poi il NAD+, la sigla NAD sta per nicotinammide adenina dinucleotide e il “+” sta a significare che si trova nella sua forma ossidata, che poi verrà ridotto in NADH. NAD+ è il coenzima della GAPdeidrogenasi. Abbiamo anche del fosfato inorganico (detto anche ortofosfato) Pi Quello che avviene nella reazione è che l’idrato è trasferito al NAD+, formando la versione ridotta NADH, il fosfato inorganico si lega al carbonio 1 formando l’1,3bifosfoglicerato Cosa accade nel sito attivo della GAPdeidrogenasi Ci sono due portanti residui catalitici nel sito attivo della GAPdeidrogenasi, la cisteina149 (Cys149) e l’istidina176 (His176): 1) La GAP si muove nel sito attivo dell’enzima insieme al NAD+; senza il NAD+ l’enzima non funzionerebbe. Come possiamo vedere in figura il NAD+ ha il suo gruppo R, il suo anello a sei atomi, e una carica positiva centrale delocalizzata tra atomi differenti 2) Il gruppo salino idrossile della Cys attacca il carbonio 1 del substrato, rompendo il doppio legame e gli elettroni liberati si legano all’H in viola, formando una molecola tetraedrica chiamata emitioacetale 3) I due elettroni sull’azoto dell’His176 a questo punto, agiscono come base, prendendo l’idrogeno sul carbonio 1 e allo stesso tempo l’idruro si slega dal substrato e viene attratto dalla carica positiva del NAD+, il quale diventa NADH, questa è la reazione di ossidoriduzione; NAD+ è ridotto in NADH, perdendo la carica positiva e il substrato diventa un intermedio tioestere 4) Abbiamo formato il NADH, il quale lascerà il sito attivo dell’enzima, lasciando il posto ad un altro NAD+, il quale non avrà il ruolo di prendere l’idruro, ma utilizzerà la sua carica positiva per depolarizzare e indebolire i legami dell’intermedio tioestere 5) Nell’ultimo step il fosfato inorganico (ortofosfato) entra nel sito attivo e attacca i legami indeboliti del tioestere da parte del NADH, legandosi e formando l’1-3bifosfoglicerato Se non avessimo l’enzima GAP deidrogenasi, la reazione non catalizzata potrebbe essere scissa in due reazioni, come in figura, la ossidoriduzione dove trasformeremmo la GAP in un acido carbossilico, utilizzando acqua, che donerebbe un gruppo idrossile che ridurrebbe il NAD+, formando il NADH, l’H+ che viene dall’acqua e l’acido carbossilico. Questa reazione è spontanea e in assenza di enzima, sarebbe preferenziale. Nella seconda l’acido carbossilico reagirebbe con il fosfato inorganico formando il prodotto finale 1,3BPG + una molecola d’acqua, sommando le due reazioni, le due molecole d’acqua si semplificano e otteniamo lo stesso risultato della reazione netta che avverrebbe con la GAPdeidrogenasi. Il problema della seconda reazione è che questa è endoergonica, non spontanea, quindi quando avviene utilizza circa 50Kj per mole di energia; questa seconda reazione non avviene se non catalizzata. Questo perché, una volta che il GAP si trasforma in un acido carbossilico, quest’ultimo è estremamente stabile ed ha un’energia estremamente bassa, per cui non andrà a formare quel prodotto finale 1,3BPG. Guardando il diagramma sottostante, ci rendiamo conto di quanto sia bassa l’energia dell’acido carbossilico Nel diagramma vediamo che (B), ovvero l’acido carbossilico richiede una quantità di energia altissima per diventare C, ovvero 1,3BPG, in quanto appunto, l’acido carbossilico è molto stabile. Nel diagramma a destra vediamo invece come la quantità di energia necessaria per il tioestere per arrivare a C è molto minore, in quanto quest’ultimo è molto meno stabile e ha un’energia molto più alta. Quindi per ora abbiamo formato 2 NADH+H+ e 2 1,3BPG (perché come abbiamo detto all’inizio, bisogna moltiplicare per 2) Step 7 – trasferimento del gruppo fosforico dal 1,3BPG all’ADP In questo step facciamo reagire una molecola di 1,3BPG in presenza di una molecola di ADP Lezione 5 – stage 3 della glicolisi (step 8,9,10) Step 8 Lo step 8 dello stadio 3 inizia con il 3fosfoglicerato Un enzima chiamato fosfoglicerato mutasi catalizza il trasferimento del gruppo fosforico dal carbonio 3 al carbonio 2 per cui passiamo dal 3fosfoglicerato al 2fosfoglicerato Per mutasi si intende un enzima che catalizza una reazione dove un gruppo si sposta da un tipo di molecola su un punto diverso di quella molecola. In questo caso specifico, la mutasi è una “fosfoglicerato” mutasi, muove quindi un gruppo fosfato nella stessa molecola di fosfoglicerato dal carbonio 3 al carbonio 2 della stessa. Questa appena vista è la reazione netta, tuttavia non è così semplice, perché abbiamo un’altra molecola molto importante coinvolta presente in quantità catalitiche (basse quantità) e questa molecola è il 2,3Bifosfoglicerato (2,3BPG). Questa molecola è un intermedio nel processo di glicolisi ha inoltre anche la capacità di modificare l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno. Funzione della 2,3BPG nella reazione della PGmutasi La reazione della PGmutasi non ha luogo con un singolo passaggio, ma richiede la presenza una quantità catalitica di 2,3BPG. Il suo compito è quello di mantenere l’aminoacido catalitico di istidina nella sua forma attiva fosforilata nel sito attivo della PGmutasi. In pratica se osserveremmo il sito attivo della PGmutasi, vedremmo un residuo catalitico di istidina e per essere in grado di catalizzare la reazione stessa della PGmutasi quella istidina dev’essere modificata con l’aggiunta di un gruppo fosfato. Guardiamo queste due reazioni Nello step 1) abbiamo abbiamo la PGmutasi e nel sito attivo dell’enzima l’istidina che è stata modificata con l’aggiunta di un gruppo fosforico, quindi in questo step quello che succede è che il 3PG si muove nel sito attivo e l’enzima trasferisce il gruppo fosforico dall’istidina sul secondo carbonio del 3PG, formando il 2,3BPG e l’enzima con l’istidina non modificata (senza gruppo fosforico). Il 2,3BPG è solo presente in piccolissime quantità perché nello step 2) reagisce con lo stesso complesso di istidina in una reazione leggermente diversa; dalla figura vediamo che nello step 2) abbiamo lo stesso enzima+istidina e lo stesso 2,3BPG del prodotto finale dello step 1, tuttavia ora, invece di rimuovere il gruppo fosforico dal carbonio 2, va a prendere il gruppo fosforico dal carbonio 3. Una volta preso questo gruppo fosforico noi rigeneriamo il complesso enzima-istidina col gruppo fosfato modificato e formiamo il prodotto finlae, il 2PG (2fosfoglicerato). Se sommiamo i 2 step di questa reazione otteniamo il prodotto finale prima menzionato. Il 2,3BPG quindi è un prodotto che esisterà solo per un breve periodo di tempo in quanto non è molto stabile poiché ha troppe cariche vicine l’una l’altra, quindi alta energia, per cui una volta formato ha due possibilità: o torna indietro e riforma il complesso enzima-istidina modificato col fosfato + 3PG, oppure forma l’ultima reazione appena vista, formando il 2PG Perché lo step 8? Il motivo per cui avviene lo step 8 è per rendere la molecola leggermente più reattiva, ma perché il 2PG è più reattivo del 3PG? La risposta è che nel caso del 3PG, la carica negativa del carbonio 3 è posizionata più lontana dalla carica negativa del carbonio 1 rispetto alla carica negativa del carbonio 2 del 2PG che è più vicina al carbonio 1 rispetto a quella del carbonio 3 del 3PG Step 9 L’obiettivo dello step 9 è aumentare il potenziale di trasferimento del gruppo fosforico del 2PG; quindi vogliamo trasformare il 2PG in una molecola che è più capace di trasferire il gruppo fosforico su un ADP per formare un ATP e infine il piruvato nello step 5 In questo step dunque abbiamo un enzima chiamato enolasi che converte il 2PG in un fosfoenolpiruvato (PEP) . Come possiamo vedere nell’immagine, i “bersagli” di questa reazione sono l’H legato al carbonio 2, il gruppo OH legato al carbonio 3, e anche il legame dell’H col carbonio numero 2. L’enolasi catalizza una reazione di deidratazione dove l’H e l’OH andranno a formare una molecola d’acqua e il legame che il carbonio 3 aveva con l’idrogeno si rompe e si forma un doppio legame tra il carbonio numero 2 e il carbonio numero 3. Questo enzima si chiama enolasi perché forma un enolo. Questa reazione di deidratazione aumenta il potenziale di trasferimento del gruppo fosfato, quindi il PEP ha più possibilità di trasferire un gruppo fosfato rispetto al 2PG Step 10 In quest’ultimo step della glicolisi l’obiettivo è formare una molecola di ATP e il piruvato. Come possiamo vedere dall’immagine di sopra, il “bersaglio” di quest’ultima reazione catalizzata dalla piruvato chinasi è il gruppo fosforico del carbonio 2 che verrà trasferito all’ADP per formare ATP. Il PEP in presenza dell’ADP tende a reagire molto. Ricordiamo dalla chimica organica che se compariamo la stabilità dei chetoni e delle molecole enoliche i chetoni sono molto più stabili degli enoli; questo significa che il PEP è poco stabile e vuole trasformarsi in un chetone più stabile ma non può trasformarsi in quanto l’ossigeno del carbonio 2 manca di un atomo di idrogeno; se rimpiazzassimo il gruppo fosforico con un atomo di idrogeno, esso sarebbe in grado di trasformarsi spontaneamente in una forma chetonica più stabile ed è esattamente ciò che accade in questa reazione. Quindi, dato che il PEP ha un potenziale di trasferimento del gruppo fosforico altissimo, persino più alto dell’ATP, in presenza dell’ADP il gruppo fosforico del PEP sarà trasferito all’ADP in presenza di un ione H+ che si andrà a legare all’ossigeno legato al carbonio 2, formando il piruvato in forma enolica e un ATP. Abbiamo detto poco fa che un enolo si trasformerà in chetone se ha la possibilità di farlo, in quanto il chetone è più stabile termodinamicamente e ha un’energia più bassa, per cui una volta formato il piruvato nella sua forma enolica, esso spontaneamente e rapidamente si trasformerà in piruvato in forma chetonica. Dato che parliamo sempre 2 due molecole che vanno nel pathway, il nostro prodotto finale dello stage 3 sarà 4 molecole di ATP e 2 molecole di piruvato; tuttavia poiché abbiamo utilizzato 2 ATP nello stage 1, noi abbiamo una quantità netta di 2 ATP prodotti per singola molecola di glucosio. Lezione 6 – etanolo e fermentazione dell’acido lattico La glicolisi non è un processo infinito; osserviamo lo step 6, all’inizio dello stage 3, quando ossidiamo la gliceraldeide 3 fosfato (GAP) in 3BPG con la GAP deidrogenasi. La GAP deidrogenasi per funzionare ha bisogno del NAD+; se il NAD+ non fosse disponibile nella cellula, questo processo, con l’intera glicolisi, si fermerebbe. Il problema con lo step 6 dunque è che una volta trasformato il NAD+ in NADH, il NAD+ non si rigenera, e poiché le nostre cellule hanno una fornitura limitata di NAD+ (e il NAD+ è un derivato della niacina, ovvero la vitamina B3) il processo di glicolisi si fermerebbe una volta esaurito il nicotinamide adenina dinucleotide (NAD+) . Affinché ciò non avvenga, c’è bisogno di un processo per rigenerare questo coenzima necessario per l’attività della GAB deidrogenasi che catalizza lo step 6 della glicolisi La cellula rigenera il NAD+ metabolizzando le molecole di piruvato prodotte alla fine della glicolisi. Ci sono due pathway per rigenerare il piruvato, un pathway aerobico e un pathway anaerobico Nel pathway aerobico, ovvero in presenza di ossigeno, il piruvato entrerà nel mitocondrio e sarà degradato ad acetil coenzima A, quest’ultima andrà nel ciclo dell’acido citrico e utilizzerà la catena di trasporto di elettroni per rigenerare i NAD+, ma ci occuperemo di questo in lezioni successive. In questa lezione ci focalizzeremo sul processo anaerobico, questo avviene in assenza di ossigeno e si chiama fermentazione Fermentazione Ci sono tantissimi tipi di fermentazione, tuttavia i più comuni sono quelli che producono lattato oppure etanolo a partire dal piruvato. Questi vengono chiamati rispettivamente fermentazione lattacida, nel caso della produzione di lattato (che è la base coniugata dell’acido lattico), e fermentazione alcolica (o etanolica) nel caso della produzione di etanolo Fermentazione alcolica I lieviti e le cellule batteriche utilizzano il processo di fermentazione alcolica per riformare i NAD+. Qui il piruvato si trasforma in etanolo e questo processo richiede due step: Step 1 della fermentazione alcolica, decarbossilazione Il primo step è la decarbossilazione e l’enzima che catalizza questa reazione è la piruvato decarbossilasi . Dunque abbiamo la molecola di piruvato in presenza di uno ione H+ e un coenzima chiamato tiamina pirofosfato; la tiamina non è altro che la vitamina b1, per cui la tiamina pirofosfato è un derivato della vitamina b1. Quello che succede in questa reazione è che si rompe il legame tra il carbonio 1 e il carbonio 2, lo ione idrogeno si lega al carbonio 2 e il diossido di carbonio (anidride carbonica, in azzurro) viene liberato nell’ambiente in forma gassosa. Il prodotto di questa reazione è acetilaldeide e il rilascio di CO2 Nel prossimo step produrremo l’etanolo Step 2 della fermentazione alcolica: produzione di etanolo Nello step 2 utilizziamo un enzima differente, l’alcol-deidrogenasi. Come ogni deidrogenasi, anche questa andrà a catalizzare il trasferimento di un idruro e lo farà a partire da un H+ e da un NADH. Nel sito attivo dell’alcol deidrogenasi abbiamo uno ione zinco, questo interagisce col sito attivo dell’enzima, oppure, se vogliamo essere più precisi, con due residui di cisteina e un residuo di istidina nel sito attivo. Una volta legatosi al sito attivo, interagisce con la molecola substrato, l’acetilaldeide, polarizza e indebolisce il doppio legame C=O, così che l’H del NADH si legherà al carbonio e l’H+ si legherà all’ossigeno, formando etanolo e rigenerando NAD+ Dato che alla fine della glicolisi formiamo due piruvati, per calcolare il prodotto totale dobbiamo moltiplicare per 2; l’equazione netta della fermentazione alcolica è la seguente Il NAD+ non appare in questa equazione in quanto viene “cancellato” perché lo troviamo da entrambi i lati dell’equazione Fermentazione lattacida La fermentazione lattacida è utilizzata da tante cellule procariotiche, ma anche dalle cellule eucariotiche, come le stesse cellule umane. In particolare nell’uomo, la fermentazione lattacida è utilizzata in particolari condizioni, per esempio quando ci alleniamo fino allo sfinimento, il muscolo scheletrico a un certo punto non sarà più in grado di utilizzare ossigeno e in quell’istante avranno bisogno di passare alla fermentazione lattacida in quanto questa consente loro di continuare a generare le molecole di ATP. Questo processo fa sì che si accumuli lattato (o acido lattico) nel nostro corpo e ciò produce la fatica. Questo processo ha un solo step che è catalizzato da un enzima chiamato lattato deidrogenasi. Proprio come l’alcol deidrogenasi e la deidrogenasi usata nello step 6 della glicolisi, la lattato deidrogenasi catalizzerà il trasferimento degli H dal NADH alla molecola di piruvato. Ciò che accade è molto simile alla situazione precedente: l’H del NADH attacca il carbonio 2 (penso rompendo il doppio legame??) e l’H+ è preso dall’ossigeno, formando il lattato. Se l’H viene preso dal gruppo COO- si formerebbe l’acido lattico, per cui l’acido lattico è la base coniugata del lattato L’equazione netta è leggermente diversa rispetto a quella della fermentazione etanolica in quanto qui non produciamo CO2. Come già menzionato prima, questo meccanismo si attiva quando le richieste di ossigeno sono troppo elevate, per cui l’organismo deve procedere in anaerobiosi (senza respirazione cellulare), tuttavia questo meccanismo fa sì che si accumuli lattato e quindi acido lattico e ciò causa la fatica. Oltre alle nostre cellule, anche tanti batteri utilizzano la fermentazione lattacida, come il clostridium tetani, il clostridum botulinum, e il clostridium perfigens. Lezione 7 – pathway del fruttosio e del galattosio I tre principali monosaccaridi che ingeriamo sono glucosio, fruttosio e galattosio. Quando arriva il glucosio nel nostro corpo, le cellule lo degradano col pathway glicolitico, formando ATP, piruvato e altre molecole. Per il fruttosio, derivante dalle piante, e il galattosio, derivante dal latte, a differenza del glucosio, non hanno il loro pathway individuale, per cui, una volta entrarti nell’organismo, fruttosio e galattosio devono essere trasformati in metaboliti che entreranno a far parte della stessa glicolisi. Pathway del fruttosio A seconda della cellula in cui si trova, il fruttosio può essere convertito in un metabolita glicolitico in 2 modi diversi: Prima modalità: pathway del fruttosio-1-fosfato (PF1P) Questo pathway si trova a livello delle cellule epatiche (fegato) del nostro corpo, in quanto la maggior parte delle molecole di fruttosio, finiscono proprio a livello epatico. Il pathway del fruttosio-1-fosfato, consiste di 3 step e l’obiettivo finale di questo pathway è trasformare il fruttosio in diidrossiacetone fosfato e gliceraldeide 3 fosfato in quanto queste sono due metaboliti glicolitici e quindi possiamo inserirli direttamente nella glicolisi. Step 1 del PF1P Nel primo step del PF1F abbiamo un enzima chiamato fruttochinasi. Dal nome comprendiamo la sua azione: “chinasi” sta a significare che fosforila un gruppo fosfato, per cui abbiamo la molecola di ATP, “frutto” significa la molecola substrato di questo enzima è il fruttosio stesso La fruttochinasi utilizza ATP per fosforilare il carbonio numero 1, formando fruttosio-1-fosfato (F1P), ADP e H+ Lo scopo di questo step è destabilizzare la molecola di fruttosio, aggiungendovi un gruppo fosfato e lo intrappola nella cellula Step 2 del PF1P Nel secondo step si procede col cleavage (taglio) attraverso un enzima chiamato fruttosio-1-fosfatoaldolasi, un aldolasi è un enzima che catalizza il cleavage di un gruppo aldeidico (=carbonilico). Per cui il F1P si interconverte nella sua conformazione a catena aperta e viene tagliato il legame (in arancione) tra il carbonio 3 e il carbonio 4, formando due molecole a tre carboni: il diidrossiacetone fosfato (DHAP) e la gliceraldeide. Il DHAP è un metabolita glicolitico, quindi viene portato direttamente nella glicolisi dove viene trasformato in GAP nello stage 2. La gliceraldeide non fa parte della glicolisi, ma è molto simile alla gliceraldeide 3 fosfato , dunque l’unica cosa che dobbiamo fare è aggiungere, nel prossimo step, un fosfato sul carbonio numero 3 Step 3 del PF1P In questo step usiamo un enzima chiamato triosio chinasi + un ATP per catalizzare l’aggiunta di un gruppo fosfato sul carbonio 3 della gliceraldeide. “triosio” ci fa capire che il substrato al quale si riferisce l’enzima è uno zucchero a tre carboni. La triosio chinasi fosforila l’aggiunta di un gruppo fosfato sul carbonio 3 della gliceraldeide, producendo GAP + ADP + H+. La GAP viene poi introdotta nel pathway metabolico. Questo è il pathway delle cellule epatiche. Negli altri tessuti del nostro corpo c’è un pathway più semplificato. Pathway del fruttosio 6 fosfato Se ricordiamo lo stage 1 della glicolisi, noi formiamo il fruttosio 6 fosfato nello step 2 e lo trasformiamo in fruttosio 1,6 bifosfato nello step 3 In questo pathway semplificato, prendiamo il fruttosio, utilizzando una molecola di ATP, attraverso l’enzima esochinasi (usato anche nello stage 1 della glicolisi), catalizziamo l’aggiunta di un gruppo fosfato sul carbonio 6, ottenendo il fruttosio 6 fosfato che può essere inviato direttamente nel pathway glicolitico. Ovviamente formiamo anche un ADP e un H+ Questi sono i due pathway attraverso cui il fruttosio viene introdotto nel pathway glicolitico. Pathway dell’interconversione galatto-fruttosio A differenza del fruttosio c’è un solo pathway seguito dal galattosio. Dunque, una volta che il galattosio riesce ad entrare nelle cellule del nostro corpo, esso è trasformato in 2 glucosio 6 fosfato attraverso la pathway dell’interconversione galatto-fruttosio (PIGF). Questo pathway è costituito da quattro step Prima di descrivere il primo step, è importante sapere che galattosio e glucosio sono epimeri, ovvero differiscono solo per la configurazione ad uno dei carboni chirali, nel caso specifico del glucosio e del galattosio, riguarda il carbonio numero 4, che punta verso l’alto nel galattosio e verso il basso nel glucosio. Sebbene si potrebbe pensare che l’unica cosa da fare è “girare sotto sopra” il carbonio numero 4, ciò non è quello che accade nella cellula. Step 1 PIGF La galattochinasi, essendo una chinasi, utilizza un ATP per catalizzare l’aggiunta di un gruppo fosfato, questo viene aggiunto sul carbonio 1 del galattosio e otteniamo il galattosio 1 fosfato + ADP + H+ Lo scopo di questo step è ancora una volta quello di destabilizzare la molecola e di intrappolarla nella cellula. Step 2 PIGF In questo step utilizziamo un enzima chiamato galatto-1-fosfato uridil trasferasi. In questo step oltre al galattosio 1 fosfato abbiamo un’altra molecola chiamata UDP glucosio, il quale non è altro che una molecola modificata di glucosio contenente uridina difosfato (UDP). Il nostro enzima trasferisce un gruppo fosforico e l’uridina sul carbonio numero 1, formando l’uridina difosfato galattosio (UDP galattosio), formando anche glucosio 1 fosfato, il quale è semplicemente il glucosio di prima a cui è stata tolta l’uridina e un gruppo fosfato Il glucosio 1 fosfato andrà allo step 4 di questo pathway, mentre l’uridina difosfato galattosio andrà allo step 3 Step 3 PIGF Lo step 3 è molto importante in quanto qui vogliamo riformare l’UDP glucosio, e questo viene fatto prendendo l’UDP galattosio ottenuta prima, e utilizzando un enzima speciale chiamato UDP galattosio 4 epimerasi , invertiamo il carbonio 4 dell’UDP galattosio (lo giriamo sottosopra) formando, un glucosio, per cui otteniamo un UDP glucosio. (ricorda che l’unica differenza tra galattosio e glucosio è l’orientamento del gruppo ossidrile sul carbonio 4) Se sommiamo i 3 step fatti fin’ora, la molecola UDP glucosio si cancellerebbe, in quanto è stata usata nello step 2 e riformata nello step 3 Step 4 Nell’ultimo step prendiamo il glucosio 1 fosfato dello step 2 e attraverso un enzima chiamato fosfoglucomutasi – e ricorda, una mutasi è un enzima che sposta un gruppo da una locazione ad un’altra sulla stessa molecola – spostiamo il gruppo fosfato dal carbonio 1 al carbonio 6, ottenendo il glucosio 6 fosfato , questo va nello stage 1 della glicolisi. Lezione 8 – intolleranza al lattosio Il lattosio è un disaccaride, ovvero consiste di due monosaccaridi, il galattosio e il glucosio, i quali sono collegati da uno speciale tipo di legame chiamato legame beta 1,4 glicosidico. Queste molecole di lattosio si ritrovano nel latte e nei suoi derivati; normalmente in seguito all’ingestione di lattosio, questo arriva al piccolo intestino del nostro corpo e una volta dentro, uno speciale enzima digestivo, chiamato lattasi, viene rilasciato ed utilizzato. La lattasi utilizza una molecola d’acqua per effettuare cataliticamente il cleavage del legame beta 1,4 glicosidico, formando i due monosaccaridi individuali, glucosio e galattosio. Una volta formati questi nel lume del piccolo intestino, solo allora le cellule possono effettuare l’uptake di questi monosaccaridi nel citoplasma, le cellule invece non possono far entrare nel loro citoplasma il lattosio, a causa delle grosse dimensioni di quest’ultimo Ipolattasia Alcuni individui sono intolleranti al lattosio e questa condizione si chiama ipolattasia. Questi individui hanno una deficienza nell’attività della lattasi, tale che quest’ultimo non può rompere il legame e quindi non si formeranno i due monosaccaridi individuali, i quali non andranno nel citoplasma delle nostre cellule. Ciò comporta che ci sia un accumulo di lattosio nel colon (o grosso intestino) e nel piccolo intestino, causando sintomi come disturbi gastrointestinali, flatulenza, diarrea e ritenzione idrica. Accumulo di lattosio - conseguenze Nel nostro intestino abbiamo una grande quantità di cellule batteriche, circa 100 trilioni di cellule batteriche. Come ogni altra cellula, anche le nostre cellule batteriche hanno bisogno di ATP per sopravvivere, e per produrlo utilizzano la fermentazione lattacida. Quando c’è un accumulo di lattosio nel nostro intestino, queste cellule utilizzeranno il lattosio per formare ATP, e questo processo formerà lattato, ovvero acido lattico, e se si accumula l’acido lattico nel nostro colon, ciò farà sì che l’acqua si muoverà al di fuori della cellula e dentro il lume del colon; ciò causerà ritenzione idrica e quindi diarrea. Inoltre le cellule batteriche, quando rompono il lattosio, producono gas idrogeno e metano, e ciò causa un aumento di pressione che si traduce in gonfiore, ciò causa flatulenza e disturbi gastrointestinali. I problemi digestivi sono quindi il risultato della somma tra l’accumulo di gas e l’accumulo d’acqua; ciò inoltre limita la capacità del nostro tratto gastrointestinale di assorbire prodotti come proteine e grassi Terapia Le persone intolleranti al lattosio possono evitare di andare incontro a queste problematiche in 2 modi: 1) Non mangiando i derivati del latte 2) Ingerendo enzimi lattasi attivi Galattosemia classica – intolleranza grave al lattosio Introduzione La galattosemia classica è una condizione di grave intolleranza al lattosio che causa agli individui l’inabilità di digerire il galattosio. Quindi gli individui con galattosemia, possono scindere il lattosio, ma non possono metabolizzare il galattosio, ciò causa un accumulo di galattosio, tale accumulo porterà una moltitudine di problemi. Definizione La galattosemia classica è una malattia autosomica recessiva, ovvero, gli individui affetti da galattosemia classica non hanno un gene funzionale che esprime l’enzima galattosio-1-fosfato-uridil-trasferasi., ovvero, i geni deputati per l’espressione della G1PUT sono mutati e non riescono a formare lo stesso enzima funzionante; se tale enzima non è formato o è disfunzionale, mancherà una funzione specifica. Sappiamo dalla lezione precedente che questo enzima viene utilizzato nel pathway dell’interconversione galattosio-glucosio; in particolare si rifà allo step 2, dove, con un UDP glucosio otteniamo, a partire dal galattosio 1 fosfato, un UDP galattosio e quest’ultimo diventerà un glucosio 1-fosfato che poi sarà trasformato in glucosio-6-fosfato, il quale verrà messo nel pathway glicolitico Dunque normalmente il galattosio è trasformato in glucosio 6 fosfato. Tuttavia se entrambi gli alleli che esprimono l’enzima galattosio-1-fosfato-uridil-trasnsferasi non funzionano, le nostre cellule potranno modificare il galattosio fino a farlo diventare galattosio-1-fosfato; per cui si accumulerà galattosio-1fosfato e galattosio, e tale accumulo è molto tossico per il nostro corpo. Perché l’accumulo di galattosio è tossico Se si accumula il galattosio nel nostro corpo un enzima chiamato aldosio riduttasi utilizzerà un NADéH+H+ per trasformare in un alcool chiamato galattitolo. L’accumulo di galattitolo nel nostro corpo può causare condizioni estremamente gravi, per esempio: ingrossamento del fegato che può progredire a cirrosi, formazioni catarattiche, sviluppo mentale ritardato, insufficienza ovarica e senso di stanchezza Formazioni catarattiche La cataratta è un “muro d’acqua” che si forma tra le lenti dei nostri occhi, questo muro riduce la trasparenza delle lenti e porta alla cecità. Nel nostro occhio abbiamo delle cellule, le quali, quando c’è un aumento della concentrazione di galattosio, convertono lentamente il loro galattosio in galattitolo come risultato dell’attività dell’aldosi riduttasi, per cui aumenta la concentrazione di galattitolo nelle stesse lenti. Un accumulo di questo metabolita nella cellula creerà un ambiente ipertonico, nel quale la concentrazione di soluto sarà molto elevata e ciò farà sì che ci sia un flusso dell’acqua nelle lenti dell’occhio, e questo causerà esattamente la cataratta. Lezione 9 – regolazione della glicolisi nel muscolo scheletrico In questa lezione ci focalizzeremo sul come la glicolisi è regolata nelle cellule muscolari scheletriche. Introduzione Le cellule muscolari scheletriche hanno come compito principale quello di contrarre il tessuto muscolare e per contrarre questi filamenti di actina e miosina è necessario avere ATP, per cui il ruolo predominante che la glicolisi ha nel muscolo scheletrico è quello di generare gli ATP. Ci sono tre punti di regolazione nella glicolisi e questi tre punti corrispondono con 3 enzimi: fosfofruttochinasi, esochinasi, piruvato chinasi Il motivo per cui solo questi tre tra i dieci enzimi della glicolisi sono i punti di regolazione di essa sta nel fatto che questi, a differenza degli altri enzimi, sono più importanti perché regolano processi irreversibili, ovvero che vanno solo in una direzione: Fosfofruttochinasi La fosfofruttochinasi catalizza lo step 3 della glicolisi, esso è tra tutti l’enzima più importante in quanto regola lo step d’obbligo alla glicolisi. Esso trasforma il fruttosio-6-fosfato in fruttosio-1,6-bifosfato e prima di diventare F16BP, il F6P ha una scelta: può decidere di andare nel sito attivo della fosfofruttochinasi per essere trasformato in F16BP, oppure può scegliere di formare glicogeno. Tuttavia una volta trasformatosi in F16BP, questo prodotto è obbligato a proseguire nella glicolisi. Se zoomiamo su questo enzima, troviamo delle regioni catalitiche e delle regioni regolatorie. Le regioni catalitiche contengono il sito attivo che lega il substrato F6P, mentre le regioni regolatorie contengono il sito al quale può legarsi una molecola allosterica; prima di parlare di queste molecole però, definiamo la carica energetica di una cellula Carica energetica di una cellula La carica energetica di una cellula corrisponde al rapporto tra le molecole di ATP e le molecole di AMP, per cui se la carica energetica delle cellule è alta, avremo un alto valore di ATP in rapporto con l’AMP della cellula, viceversa avremo un basso valore di ATP in rapporto con l’AMP. ATP e AMP sono i due regolatori allosterici della fosfofruttochinasi. Nella pratica, possiamo vedere cosa significa carica energetica utilizzando un esempio: supponiamo che stiamo riposando, quindi i nostri muscoli non si stanno contraendo, non richiederanno ATP, quindi ci sarà un accumulo di ATP nelle nostre cellule e ciò in ultima analisi significherà che la carica energetica delle cellule sarà alta. Questo molecole di ATP in eccesso si muoveranno e si legheranno ai siti regolatori della fosfofruttochinasi, e ciò che faranno sarà la riduzione dell’affinità della fosfofruttochinasi per la molecola substrato, ovvero la F6P, per cui lo step 3 si ferma, non si produce ATP e si “spegne” la glicolisi. Abbiamo visto il caso quindi di una carica energetica alta, nel caso in cui in vece la carica energetica della cellula è bassa, il rapporto tra ATP e AMP diminuisce per cui il corpo vorrà produrre ATP. In questo caso l’AMP andrà a legarsi al sito regolatorio della fosfofruttochinasi e stimolerà l’attività dell’enzima affinché quest’ultimo incrementi la sua attività e incrementi in ultima analisi la produzione di ATP ottenuta dalla glicolisi. AMP nella glicolisi Come sappiamo, nella glicolisi troviamo sia ATP, sia ADP, ma non troviamo AMP; verrebbe dunque spontaneo che il regolatore stimolatore della fosfofruttochinasi debba essere l’ADP e non l’AMP; tuttavia quando abbiamo una concentrazione molto bassa di ATP nella nostra cellula, invece di fare glicolisi, la nostra cellula fa qualcosa di diverso. In questa circostanza per produrre l’ATP necessario alla contrazione del muscolo scheletrico, abbiamo un processo catalizzato dalla adenilato chinasi, la quale, usando due molecole di ADP, trasferisce un gruppo fosfato da un ADP all’altro e ciò produce molto velocemente un ATP e un AMP, e gli ATP vengono velocemente presi dalla cellula per continuare a contrarre il muscolo scheletrico. Come abbiamo appena detto, si produce anche una molecola di AMP, ed è proprio questa molecola appena prodotta che aumentando di concentrazione, diminuisce la carica energetica della cellula e ciò causa il legame allosterico dell’AMP sulla fosfofruttochinasi, il quale stimola la cellula a produrre molto più ATP attraverso il processo della glicolisi. Ricapitolando quindi: in condizioni di scarso ATP, la cellula utilizza l’adenilato chinasi per produrre ATP da due ADP, si produce anche un AMP, il quale, legandosi alla fosfofruttochinasi, la attiva per produrre ancora più ATP e continuare quindi a contrarre i filamenti di actina-miosina. Viceversa, quando riposiamo, la produzione di ATP va ad inibire allostericamente la fosfofruttochinasi, affinché non si produca altro ATP Dunque, l’ATP è un inibitore allosterico della fosfofruttochinasi, l’AMP è un attivatore allosterico della stessa. pH del tessuto muscolare Un altro fattore influenza l’attività della fosfofruttochinasi, e ciò è il pH del tessuto muscolare. Se c’è un calo di pH, ciò si traduce in un aumento degli ioni H+. Il pH delle cellule muscolari aumenta durante l’esercizio fisico, e quindi aumenta anche la concentrazione di ioni H+. Il motivo per cui il pH intracellulare delle cellule muscolari aumenta, è dovuto al fatto che, quando i muscoli stanno facendo esercizio, a volte non c’è abbastanza ossigeno per continuare con la respirazione cellulare, e quindi per continuare a produrre i NAD+, le nostre cellule iniziano una fermentazione lattacida, formando dunque molecole di acido lattico che velocemente si dissociano , rilasciando gli ioni H+. Con l’avanzare del processo di fermentazione, aumenta la concentrazione di H+, diminuisce il pH, aumenta l’acidità e ciò può danneggiare il muscolo che sta lavorando, per cui, per prevenire il danno da acidità, la nostra cellula “spegne” la glicolisi per impedire che vengano prodotti ulteriori H+, per cui è possibile dire che un pH basso inibisce l’attività della fosfofruttochinasi Esochinasi L’esochinasi trasforma il glucosio in glucosio 6 fosfato nel primo step della glicolisi, questo processo è irreersibile. Abbiamo poi un processo reversibile catalizzato dalla fosfoglucoisomerasi, che trasforma il glucosio 6 fosfato nel suo isomero fruttosio 6 fosfato e poi, nello step 3, come abbiamo visto prima. Nello stato di riposo, durante il quale, come detto prima, avremo un’alta carica energetica e tante molecole di ATP disponibili e queste ultime inibiranno la fosfofruttochinasi. Se la fosfofruttochinasi è inibita il fruttosio 6-fosfato non può diventare fruttosio 1,6-bifosfato, quindi avremo un accumulo di fruttosio 6 fosfato nelle nostre cellule. Il fruttosio 6 fosfato è in equilibrio col glucosio 6 fosfato, per cui se aumenta la concentrazione di F6P, aumenta anche la concentrazione di G6P. L’aumento di glucosio 6 fosfato invierà quindi un feedback negativo all’esochinasi, legandosi ad essa, così che questa metta in pausa la sua funzione. Attraverso questo meccanismo quindi, la glicolisi viene fermata in fase di riposo quando abbiamo un’alta carica energetica. Ciò fa sì che la cellula smetta di prendere glucosio dal sangue. Piruvato chinasi La piruvato chinasi è l’enzima che catalizza l’ultimo processo nella glicolisi, questo processo è virtualmente irreversibile, in quanto va in una sola direzione Abbiamo dunque il fosfoenolpiruvato che viene trasformato in piruvato + ATP attraverso l’attività dell’enzima piruvato chinasi. Proprio come la fosfofruttochinasi è inibita dalle molecole di ATP, così vale anche la piruvato chinasi, ovvero: aumentando l’ATP, quindi aumentando la carica energetica cellulare, l’ATP funge da segnale inibitore dell’attività della piruvato chinasi generando un feedback negativo inibitorio La glicolisi non ha solo la funzione di produrre ATP, ma è utilizzata anche per produrre alcuni “mattoncini” del nostro corpo, come gli aminoacidi, per cui non solo l’ATP, ma anche l’alanina è un inibitore della piruvato chinasi, in quanto il piruvato è utilizzato anche per produrre alanina. Dunque se abbiamo troppa alanina, essa inibirà l’attività della piruvato chinasi Quando abbiamo poco ATP invece, l’AMP ottenuto attraverso l’adenina chinasi, si legherà alla fosfofruttochinasi, la quale, attivata, produrrà fruttosio 1,6 bifosfato; quest’ultimo si legherà alla piruvato chinasi dando un feedback positivo Lezione 10 – Regolazione della glicolisi nelle cellule epatiche Gli enzimi coinvolti nella regolazione del glucosio epatico sono gli stessi coinvolti nella regolazione del glucosio nel muscolo scheletrico e, proprio come abbiamo detto prima, la fosfofruttochinasi è l’enzima più importante della glicolisi in quanto catalizza uno step irreversibile e obbligante, ovvero uno step che destina il glucosio alla glicolisi Cellule epatiche e cellule scheletriche Prima di passare alla regolazione glicolitica, vediamo le caratteristiche delle cellule epatiche e di quelle scheletriche: Le cellule scheletriche hanno praticamente una sola funzione, ovvero quella di consentirci il movimento volontario, per cui ogni movimento volontario attiva tali cellule, le quali producono ATP via glicolisi per garantire il movimento. Le cellule epatiche hanno un ruolo biochimico decisamente più complesso, esse infatti non utilizzano la glicolisi solo per produrre ATP, ma anche per altre funzioni come: - Mantenere i livelli di glucosio nel nostro sangue Assorbire e trasformare il glucosio in glicogeno se i livelli di glucosio ematico sono troppo elevati Rompere il glicogeno e rilasciarlo come glucosio nel flusso sanguigno se i livelli di glucosio ematico sono troppo bassi, così che le altre cellule possano usarlo per formare ATP Utilizzo della glicolisi per sintetizzare acidi grassi e aminoacidi A fronte di ciò, non sorprende che il modo in cui le cellule epatiche regolano la glicolisi è più complesso rispetto a quello del muscolo scheletrico Fosfofruttochinasi Ricordiamo che le cellule muscolari scheletriche, per regolare questo enzima, utilizzano ATP e AMP, in particolare quando la carica è alta, utilizzano ATP, quando la carica è bassa, utilizzano AMP; ATP e AMP vengono utilizzati sempre come inibitori allosterici. ATP e AMP vengono utilizzate anche qui nel fegato rispettivamente per inibire e attivare la fosfofruttochinasi nel catalizzare lo step d’obbligo da fruttosio 6-fosfato a fruttosio 1,6-bifosfato, tuttavia vi sono delle differenze: 1. Nel muscolo scheletrico il pH influenza l’attività della fosfofruttochinasi, tale che un accumulo eccessivo di ioni H+, quindi una diminuzione del pH (aumento acidità), inibisca l’attività dell’enzima, questo perché nelle cellule scheletriche c’è un accumulo di acido lattico durante un esercizio molto vigoroso, tale accumulo invece non c’è nelle cellule epatiche, e ciò è dovuto in parte al fatto che le cellule epatiche hanno anche il compito di trasformare l’acido lattico in molecole di glucosio e questo è il motivo per il quale la fosfofruttochinasi non è influenzata dalle variazioni di pH nel fegato. 2. La seconda grande differenza è data dalla molecola citrato, questa, proprio come l’ATP, è un altro inibitore allosterico della fosfofruttochinasi. Supponiamo che nelle nostre cellule epatiche abbiamo tanto ossigeno ma poco ATP, se abbiamo poco ATP la glicolisi continuerà e formerà tante molecole di ATP e piruvato, e poiché siamo in condizioni aerobiche il piruvato andrà nel mitocondrio a proseguire il ciclo dell’acido citrico, uno dei primi intermedi del ciclo dell’acido citrico è proprio il citrato, il quale è formato a partire dalla molecola di piruvato che entra nel mitocondrio. Quando si formano tanti ATP e aumenta la carica energetica, si vorrà bloccare la produzione di ATP in quanto avere tanto ATP in condizioni aerobiche, significa anche avere tanto citrato per continuare la produzione di ATP; tanto ATP in aerobica significa dunque anche tanto piruvato e tanto citrato; per cui se abbiamo tanto citrato nel citoplasma, questo si legherà alla fosfofruttochinasi, aumentando l’attività dell’ATP circa l’inibizione della stessa fosfofruttochinasi; dunque la seconda grande differenza tra la regolazione della glicolisi del muscolo scheletrico e quella delle cellule epatiche è proprio questa, che in quest’ultima il citrato agisce come inibitore allosterico della fosfofruttochinasi attraverso un meccanismo di feedback negativo Riassumiamo il tutto in questo grafico Cellule epatiche e concentrazione di glucosio Un’altra funzione delle cellule epatiche che abbiamo già menzionato, è quella di mantenere una normale concentrazione di glucosio nel sangue, in quanto una concentrazione di glucosio troppo elevata può essere tossica per il nostro organismo. Quindi, supponiamo di assumere un pasto molto ricco in carboidrati, in questo caso abbiamo un grosso aumento di ATP e sarà compito delle cellule epatiche quello di prendere tutto quel glucosio e abbassare il livello ematico di glucosio, riportandolo a condizioni standard. Con il glucosio preso dal circolo ematico, le cellule epatiche possono formare ATP, i diversi tipi di “mattoncini”, oppure glicogeno; tuttavia per prendere il glucosio dal sangue, c’è bisogno di un’attivazione potente della fosfofruttochinasi, e questo attivatore che non troviamo nella cellula muscolare è un meccanismo chiamato stimolazione feed-foward Stimolazione feed-foward Osserviamo il seguente grafico Supponiamo di ingerire tanti carboidrati tale che nel nostro corpo avremo un elevato livello di glucosio; ciò farà sì che le nostre cellule epatiche inizino ad assorbire il glucosio che sarà poi trasformato in fruttosio 6 fosfato tale che alti livelli di glucosio equivarrà a dire alti livelli di fruttosio 6 fosfato. Quando abbiamo un’alta quantità di fruttosio 6 fosfato nel citoplasma, una parte di essi si trasformerà in una molecola chiamata fruttosio 2,6 bifosfato. La molecola fruttosio 2,6 bifosfato è un attivatore estremamente potente della fosfofruttochinasi, il quale, attivato quest’ultimo enzima, consente alla cellula di prendere le molecole di glucosio dal sangue, portare i livelli di glucosio a quelli normali, e convertire le molecole di glucosio in ATP oppure in altri tipi di molecole. Quindi abbiamo: - ATP e citrato che inibiscono la fosfofruttochinasi AMP e fruttosio 2,6 bifosfato che attivano la fosfofruttochinasi Esochinasi Supponiamo che abbiamo un’alta concentrazione di ATP nelle nostre cellule; l’alta quantità di ATP inizierebbe ad inibire la fosfofruttochinasi; l’inibizione della fosfofruttochinasi causerebbe un accumulo del suo substrato, ovvero di un accumulo di fruttosio 6 fosfato. Come abbiamo detto nella lezione precedente, il fruttosio 6 fosfato esiste in equilibrio col glucosio 6 fosfato, per cui se aumenta la concentrazione di fruttosio 6 fosfato, aumenta anche la concentrazione di glucosio 6 fosfato Il glucosio 6 fosfato è il prodotto della reazione dello step 1 catalizzato dalla esochinasi, la quale aggiunge un gruppo fosfato al glucosio; incrementando la concentrazione di glucosio 6-fosfato (a causa dell’inibizione della fosfofruttochinasi), si avrà l’inibizione della esochinasi e questo è esattamente il metodo che le cellule del muscolo scheletrico utilizza per regolare la glicolisi; il glucosio 6 fosfato è infatti un inibitore allosterico della esochinasi. Una volta “spento” il processo della esochinasi e quello della fosfofruttochinasi, ovvero due dei tre processi irreversibili della glicolisi, l’attività di quest’ultima è enormemente rallentata. Fino a questo punto, la regolazione della glicolisi nelle cellule epatiche per quanto riguarda l’esochinasi sembra uguale a quella nel muscolo scheletrico, tuttavia c’è un’importante differenza tra l’esochinasi scheletrica e l’esochinasi epatica: - Nelle cellule epatiche, nonostante l’esochinasi sia la stessa che abbiamo nelle cellule muscolari, nelle cellule epatiche abbiamo un importante isoenzima dell’esochinasi (un isoenzima è un enzima che catalizzano la stessa reazione, ma hanno una struttura chimica differente e diverse proprietà chimico-fisiche) chiamato glucochinasi. Abbiamo due importanti differenze tra glucochinasi e esochinasi: 1) La glucochinasi ha un’affinità molto minore per il glucosio rispetto alla esochinasi, infatti l’esochinasi ha 50 volte più probabilità di legarsi al glucosio rispetto alla glucochinasi. 2) La seconda importante differenza tra la glucochinasi e la esochinasi è che quest’ultima è inibita dall’alta concentrazione di glucosio 6-fosfato, mentre la glucochinasi non è inibita dal G6P. I motivi per cui abbiamo la glucochinasi nel fegato e non nel muscolo sono essenzialmente due: a) Supponiamo di avere un alto livello di glucosio nel nostro sangue, se questo restasse a tale livello elevato, sarebbe tossico per il nostro organismo , per cui le cellule epatiche devono prendere il glucosio per tenerlo a livelli ottimali, per cui è importante la presenza della glucochinasi, la quale lavorerà insieme all’esochinasi per prendere quanto più glucosio possibile, trasformarlo in glicogeno o altri mattoncini, e rimuovere quindi il glucosio dal sangue; per cui la presenza della glucochinasi nel fegato è per ragioni funzionali, ovvero il muscolo scheletrico ha la sola funzione di permettere il movimento volontario, per cui non ha bisogno della glucochinasi, il fegato ha più funzioni, per cui l’esochinasi può avere bisogno di “aiuto” da parte della glucochinasi b) Supponiamo di avere un basso livello di glucosio nel nostro sangue, per esempio supponiamo di essere a digiuno da una settimana, la presenza della glucochinasi nel fegato, che ricordiamo ha 50 volte meno probabilità di legarsi al glucosio rispetto all’esochinasi, assicura che i primi enzimi a “prendere” il glucosio siano l’esochinasi del muscolo scheletrico e del cervello, così che il nostro corpo in stato di fame possa “muoversi” verso il cibo; quindi in condizioni di digiuno, poiché in tale circostanza la funzione epatica è meno importante di quella muscolare e di quella cerebrale, la presenza della glucochinasi dà la possibilità al corpo di arrivare alla fonte di cibo ed ingerire i carboidrati. Piruvato chinasi La piruvato chinasi è l’enzima responsabile dell’ultimo step della glicolisi, ovvero la trasformazione del fosfoenolpiruvato in piruvato + ATP. In questo caso vale lo stesso identico discorso che abbiamo fatto circa il muscolo scheletrico, ovvero abbiamo le stesse molecole allosteriche, ovvero: - - Alte concentrazioni di ATP attivano un feedback negativo, esso si lega alla piruvato chinasi e ne diminuisce l’attività Dato che il piruvato forma anche mattoncini come gli aminoacidi, alcuni di questi come l’alanina, se sono in alta concentrazione, inibiscono allostericamente la piruvato chinasi , attraverso un meccanismo di feedback negativo Se invece abbiamo un basso livello di glucosio nelle nostre cellule, il fruttosio 1,6 bifosfato, attraverso un meccanismo di feedback positivo stimolerà l’attività della piruvato chinasi Sebbene questo meccanismo sia analogo a quello delle cellule muscolari scheletriche, anche qui abbiamo delle differenze molto importanti. Nelle cellule muscolari scheletriche abbiamo un isoenzima della piruvato chinasi chiamato isoenzima M, dove M sta ad indicare proprio “muscolo”, mentre nelle cellule epatiche abbiamo sia l’isoenzima M, sia un altro isoenzima chiamato isoenzima L , L sta per “liver” cioè fegato. Tra i due isoenzimi presenti nel fegato, quello predominante, come si può intuire, è l’isoenzima L. [Nota bene: non è che esiste una piruvato chinasi, un isoenzima L della piruvato chinasi e un isoenzima M della piruvato chinasi, ma quello presente (o meglio, predominante) nel fegato si chiama isoenzima L, quello predominante nel muscolo isoenzima M, ma sono entrambi delle piruvato chinasi] A differenza dell’isoenzima M, l’isoenzima L è controllato da un processo di fosforilazione, per capire meglio il tutto, guardiamo il grafico sottostante L’isoenzima L esiste in due forme differenti: una forma fosforilata e una forma non fosforilata: quando fosforiliamo l’isoenzima L, questa si disattiva e diminuisce la sua capacità di catalizzare la reazione. Il motivo per cui abbiamo questo isoenzima extra nelle cellule del fegato è sempre legato alla funzione del fegato, per cui in condizioni di digiuno, l’isoenzima L della piruvato chinasi verrà disabilitato e ci assicureremo che il glucosio vada ai muscoli, al cervello e al cuore. L’isoenzima L risponde agli stessi inibitori allosterici dell’isoenzima M Lezione 11 – trasportatori del glucosio Nel nostro corpo abbiamo tante cellule differenti, queste, sebbene compiano gli stessi processi, per esempio la glicolisi, i “requisiti” per questi stessi processi in cellule differenti possono a loro volta differire da cellula a cellula; ciò significa che le nostre cellule devono sintonizzare bene i vari pathway regolatori per rispondere alle specifiche domande delle specifiche cellule. Una delle modalità attraverso cui il nostro corpo è in grado di regolare tutto questo è attraverso l’utilizzo di molecole dette isoenzimi. Abbiamo già menzionato alcuni esempi di isoenzimi nelle lezioni precedenti. Gli isoenzimi sono proteine che compiono gli stessi processi biochimici, ma hanno strutture e sequenze aminoacidiche leggermente diverse, per cui hanno proprietà leggermente diverse tra di loro. Grazie agli isoenzimi, il nostro corpo può sintonizzare i vari pathway regolatori per soddisfare le richieste delle varie cellule del nostro corpo. In questa lezione ci focalizzeremo sul processo biochimico responsabile del trasporto delle molecole di glucosio nelle cellule del nostro corpo Le molecole di glucosio hanno molto gruppi idrossili polari, per cui sono molecole polari, ciò significa che anche se avessimo un gradiente di concentrazione attorno alla membrana cellulare, dato che questa è in predominanza non polare e idrofobica, le molecole di glucosio comunque non potrebbero attraversare la membrana cellulare. Per cui la cellula produce delle proteine transmembrana che contengono dodici alfaeliche transmembrana, chiamiamo queste proteine trasportatori di glucosio. I trasportatori di glucosio consentono il movimento e il trasporto delle molecole di glucosio attraverso la membrana cellulare. Quindi ciò che accade è che, quando la molecola di glucosio o un altro monosaccaride si lega al trasportatore di glucosio, avviene un cambiamento conformazionale, il quale consente l’ingresso e il movimento del glucosio o di un altro monosaccaride nella cellula. Dunque, la sintonizzazione dei processi regolatori del glucosio nel nostro corpo avviene attraverso gli isoenzimi trasportatori del glucosio, abbiamo più di 10 diversi isoenzimi di questo genere. In questa lezione ci focalizzeremo sui primi 5, in quanto sono i più importanti: Isoenzimi trasportatori del glucosio Abbiamo i seguenti isoenzimi: Glut-1, Glut-2, Glut-3, Glut-4 E Glut-5. La sigla “GLUT” sta per “glucose (glu) transporter (t)”, iniziamo con Glut 1 e Glut 3 Glut 1 e Glut 3 Glut 1 e Glut 3 sono responsabili del tasso basale di assorbimento del glucosio, ovvero il tasso col quale le molecole di glucosio vengono prese dalle cellule anche quando il nostro corpo è a riposo in quanto le nostre cellule richiedono sempre glucosio per creare ATP per continuare i loro processi, anche quando siamo a riposo. È possibile trovare le glut 1 in tutte le cellule del nostro corpo, tuttavia le glut 3 predominano nelle membrane dei neuroni del cervello, sia nei dendriti, sia negli assoni dei neuroni La concentrazione di glucosio nel sangue è normalmente mantenuta ad un livello di 5mM e il valore di KM di questi due trasportatori è attorno a 1mM Sia glut 1, sia glut 3, hanno un valore di KM relativamente basso, la KM non è altro che la costante di Michaelis, e ci dice la concentrazione alla quale esattamente la metà dei siti attivi di quel particolare enzima vengono occupati, ciò ci dà esattamente la metà del massimo valore di velocità Nel nostro caso, poiché il KM dei due glut (1mM) è molto minore della concentrazione normale di glucosio nel sangue (5mM), ciò significa che questi trasportatori sono molto efficaci nel legare le molecole di glucosio e nel trasportarle tra le cellule; il basso KM dei glut sta dunque a significare che questi trasportatori muovono continuamente, abbassando il gradiente di concentrazione Come il glut 1, anche il glut 3 è responsabile del tasso basale di assorbimento del glucosio, esse vengono trovate perlopiù nelle cellule nervose del cervello; il motivo per cui troviamo quest’alta concentrazione di glut 3 nel cervello è perché le cellule del cervello dipendono dal glucosio e tali cellule sono probabilmente le cellule più importanti del nostro corpo e hanno bisogno di glucosio prima di ogni altra cellula, e per questo hanno questo valore di glut 3 così elevato, in quanto quest’ultimo ha un valore di KM di 1, e ciò lo rende molto efficace nel legare il glucosio e nel trasportarlo nel citoplasma dei neuroni Glut 2, glut 4 e glut 5 Glut 2 Supponiamo di aver fatto un pasto con un alto livello di carboidrati, ciò significa che il livello di glucosio aumenterà, ciò che accadrà è che le cellule beta del nostro pancreas delle isole di langerhans, inizieranno a produrre insulina. Ciò che consente alle cellule beta del pancreas di “avvertire” l’aumento dei livelli ematici di glucosio sono proprio i trasportatori glut 2. I glut 2 si trovano nel pancreas, nel fegato e anche nella membrana basolaterale dei reni e dell’intestino. I glut 2 hanno un KM relativamente alto, circa 15 nm (nanometri), ciò significa che le cellule del fegato e del pancreas inizieranno a prendere glucosio solo quando la concentrazione di glucosio ematico aumenta e ciò accade dopo l’ingestione di un pasto ricco di carboidrati. Dunque i glut 2 non sono efficaci nel legare il glucosio quanto il glut 1 e il glut 3 Per cui il glut 2 ha una bassa affinità per la molecola substrato, quindi per il glucosio, e prenderà il glucosio solo se questo è presente in alta concentrazione nel torrente ematico, ovvero dopo un pasto ricco in carboidrati Glut 4 Troviamo il glut 4 nelle nostre cellule muscolari e nelle nostre cellule adipose, il KM di questi trasportatori è di 5 mM, per cui non è basso come glut 1 e glut 3, ma nemmeno è alto come glut 2. Le proteine di membrana glut 4 sono sensibili all’insulina, quest’ultima stimola le cellule adipose e le cellule muscolari ad esprimere maggiormente i glut 4 sulle membrane cellulari, una volta aumentata la loro espressione sulle membrane cellulari, questi sono in grado di prendere le molecole di glucosio dal sangue in seguito all’ingestione di un pasto ricco in carboidrati Dato che è il pancreas a secernere l’insulina, i glut 4 si attivano dopo l’attivazione del pancreas. Glut 5 Il glut 5 è responsabile dell’assorbimento del fruttosio. Essi sono presenti sullo strato apicale delle cellule intestinali. Lezione 12 – effetti dell’esercizio e del cancro sulla glicolisi Esercizio aerobico Supponiamo di iniziare a correre lentamente, inizialmente corriamo lentamente, per cui il muscolo scheletrico sarà in grado di utilizzare l’ossigeno ed utilizzarlo. Dunque per soddisfare la richiesta energetica di ATP, le cellule muscolari scheletriche inizieranno il processo di glicolisi, la quale produce ATP e piruvato. In condizioni aerobiche il piruvato andrà nel mitocondrio e darà inizio al ciclo dell’acido citrico, il quale non produrrà solo ATP, ma soprattutto produrrà i coenzimi NAD+ , i quali vengono utilizzati nello step 6 della glicolisi. Il processo della glicolisi infatti, da solo, non rigenera i NAD+ e se non rigenerassimo i coenzimi NAD+, poiché la scorta di questi coenzimi nelle nostre cellule è limitata, la glicolisi terminerebbe velocemente Esercizio anaerobico Supponiamo di passare dalla corsa lenta allo scatto, durante lo scatto le cellule andranno in ipossia, ovvero lo stadio in cui le cellule non hanno abbastanza ossigeno, e in questa condizione esse non possono rigenerare i NAD+ nel ciclo dell’acido citrico, per cui ci sarà uno switch per la fermentazione lattacida, la quale è in grado di produrre i NAD+ e far proseguire la glicolisi. Tuttavia la fermentazione lattacida è una soluzione temporanea, in quanto durante la fermentazione lattacida si produce acido lattico, l’acido lattico si dissocia in ioni H+ e ioni lattato, e ciò aumenterà l’acidità nell’ambiente extracellulare delle cellule muscolari e ciò può danneggiare le cellule del nostro corpo e come sappiamo dalle lezioni precedenti, l’aumento dell’acidità inibisce l’attività della fosfofruttochinasi, il terzo enzima della glicolisi che catalizza lo step d’obbligo alla glicolisi. L’inibizione della PFK poi inibisce l’esochinasi, e ciò fa fermare completamente la glicolisi. Per questa esatta ragione noi non siamo in grado di tenere uno scatto per troppo tempo. La fermentazione lattacida è più presente nelle cellule muscolari scheletriche che si trovano lontano dai vasi sanguigni, in quanto i vasi sanguigni sono i conduttori che portano glucosio alle stesse cellule, le quali prendono il glucosio utilizzando i trasportatori di glucosio, per poi scindere il glucosio stesso fino ad ottenere ATP e piruvato via glicolisi. Miglioramento della resistenza in anaerobiosi Sappiamo per esperienza che allenandoci tutti i giorni aumentiamo la nostra resistenza alla fatica, ciò accade perché a tali eventi affaticanti le nostre cellule rispondono producendo due importanti fattori: - HIF-1 (hypoxia-inducing transcription factor) VEGF (vascular endothelial growth factor) L’HIF-1 ha un effetto sulla trascrizione, ovvero sull’espressione di geni specifici. Tali geni sono quelli che codificano per proteine ed enzimi coinvolti nella degradazione e nell’assorbimento del glucosio nelle cellule, come i trasportatori di glucosio e gli enzimi della glicolisi. Degli enzimi glicolitici, 7 sono influenzati dall’HIF-1 Tali enzimi sono: - I 3 enzimi più importanti: esochinasi, fosfofruttochinasi, piruvato chinasi Aldolasi, GAP deidrogenasi, fosfoglicerato chinasi, enolasi L’HIF permette che tali enzimi funzionino ad un tasso molto superiore al normale e ciò permette alla glicolisi di essere molto più efficace Inoltre, come detto prima, anche l’espressione dei trasportatori di glucosio aumenta, in particolare il glut 1 e il glut 3, affinché le cellule che giacciono vicino ai vasi sanguigni siano in grado di prendere queste molecole di glucosio dal lume dei vasi sanguigni molto più velocemente e molto più efficacemente Per quanto riguarda le cellule muscolari che si trovano lontano dai vasi sanguigni, lo stesso HIF-1 stimola il VEGF prima citato il quale a sua volta stimola la crescita dei vasi sanguigni, affinché tali vasi possano permeare in queste zone altrimenti difficili da raggiungere. Capitolo 2 Lezione 13 – Introduzione alla gluconeogenesi La gluconeogenesi è il processo attraverso il quale alcuni tipi di cellule del nostro corpo sono in grado di sintetizzare molecole di glucosio attraverso l’utilizzo di molecole precursori non-carboidrati. Queste molecole precursori includono: - Piruvato Lattato Glicerolo Aminoacidi Questi appena citati sono i principali precursori non-carboidrati che usiamo nel nostro corpo per sintetizzare glucosio attraverso la gluconeogenesi. Solo alcune cellule specifiche nel nostro corpo sono in grado di fare gluconeogenesi, tra queste vi sono le cellule del fegato (epatociti) e, in misura minore, le cellule del rene, in quanto sono il fegato e il rene i responsabili della regolazione e del mantenimento degli appropriati livelli di glucosio nel nostro sangue. Altre cellule come le cardiache, quelle del muscolo scheletrico, e quelle del cervello, non possono fare gluconeogenesi, ma dipendono dal funzionamento delle cellule del fegato e le cellule del rene, le quali rilasciano il glucosio nel torrente circolatorio il quale le porta al cuore, ai muscoli, al cervello e via dicendo. I substrati della gluconeogenesi La gluconeogenesi è praticamente la trasformazione di un non-carboidrato in glucosio. Il lattato, viene trasformato prima in piruvato attraverso l’enzima lattato deidrogenasi, per poi essere trasformato in glucosio. Il glicerolo è un componente dei grassi, nello specifico è un componente dei trigliceridi, presente a livello dei nostri tessuti adiposi. Quando non riusciamo ad avere glucosio dal cibo, il nostro tessuto adiposo inizia a degradare questi trigliceridi per formare acidi grassi e glicerolo. Gli acidi grassi non possono essere usati per formare molecole di glucosio, mentre il glicerolo sì. Per cui, il glicerolo andrà nel torrente circolatorio, verso le cellule del fegato, e, una volta dentro gli epatociti, essi subiscono un processo a due step: 1) Il primo step è catalizzato dalla glicerolo-chinasi e noi usiamo una molecola di ATP per trasformare il glicerolo in glicerolo fosfato 2) Il secondo step è catalizzato dalla glicerolo-fosfato-deidrogenasi, qui utilizziamo una molecola di NAD+ per ossidare il glicerolo fosfato in DHAP (diossidriacetone fosfato)¸e questa molecola entra nel processo della gluconeogenesi e inizia il suo processo di trasformazione in glucosio. Gli aminoacidi, gli aminoacidi derivano dal cibo, per cui se ingeriamo proteine, noi rompiamo le proteine e otteniamo gli aminoacidi, tuttavia, in condizioni di digiuno, possiamo ottenere aminoacidi attraverso la distruzione delle nostre stesse proteine trovate nel tessuto muscolare scheletrico e in quel caso, anche se deterioriamo il nostro tessuto muscolare, siamo in grado di utilizzare gli aminoacidi ottenuti attraverso la rottura delle proteine, per formare molecole di glucosio. Alcuni aminoacidi vengono trasformati in piruvato, dunque entrano nella gluconeogenesi come molecole di piruvato Altri aminoacidi vengono trasformati in DHAP, dunque entrano nella gluconeogenesi come molecole di DHAP. Perché il nostro corpo richiede la gluconeogenesi Il motivo per cui il nostro corpo ha bisogno della gluconeogenesi e non può dipendere esclusivamente dagli zuccheri ingeriti, è che noi possiamo immagazzinare solo una quantità limitata di zuccheri nel nostro corpo, per esempio; nel sangue, nei fluidi cellulari e nei fluidi tissutali, possiamo immagazzinare un massimo di 20 grammi di glucosio. Nei nostri magazzini di glicogeno possiamo immagazzinare circa 190 grammi di zucchero utilizzabile, per cui in tutto, nel nostro corpo, noi immagazziniamo circa 210 grammi di zucchero. Quotidianamente, un individuo non atletico, ha bisogno di 160 grammi di glucosio per sopravvivere, e il 75%, ovvero 120 grammi dei 160, è utilizzato dalle cellule del cervello. Questi valori cambiano drasticamente per un atleta, i quali hanno bisogno di molti più grammi di zucchero, per esempio un nuotatore professionista ha bisogno di circa 500-600 grammi di zucchero. Da ciò capiamo che se non esistesse la gluconeogenesi, l’individuo non atletico sarebbe capace di sopravvivere senza zucchero per poco più di un giorno, in quanto, una volta esaurite le riserve di zucchero, le nostre cellule non avrebbero la capacità di crearne altro, e essenzialmente moriremmo. Per questa ragione la gluconeogenesi è così cruciale e importante per noi. Introduzione al processo della gluconeogenesi La gluconeogenesi non è l’inverso della glicolisi; la glicolisi, di fatto è un processo molto esoergonico, infatti la rottura di una mole di glucosio nel nostro corpo in condizioni fisiologiche rilascia 96,2 kJ per moli di energia. La glicolisi dunque è molto esoergonica, ha luogo spontaneamente e irreversibilmente. Tutto ciò significa che, se la gluconeogenesi fosse semplicemente l’inverso della glicolisi, ogni ciclo di gluconeogenesi richiederebbe un input di 96,2 kJ di energia, e sarebbe dunque un processo estremamente inefficiente e costoso. Per questa specifica ragione, la gluconeogenesi non può essere una glicolisi al contrario. La glicolisi ha luogo in 10 steps, e 7 di questi step non sono molto esoergonici, in questi step infatti siamo all’equilibrio o quasi all’equilibrio, e in questo tipo di reazioni, l’energia libera di Gibbs è uguale a zero o molto vicina allo zero. Lo step 1, lo step 3 e lo step 10 invece sono molto esoergonici, e concorrono a produrre la maggior parte dell’energia libera che viene rilasciata nel processo di glicolisi. Il primo step rilascia 33,5 kJ/mol, il terzo step 22,2 kJ/mol, il decimo step 16,7 kJ/mol; la somma di questi dà 72,4 kJ/mol. Dunque, questi tre step da soli rilasciano il 75% dell’energia libera prodotta dalla glicolisi. Per cui, affinché la gluconeogenesi possa avere luogo, è necessario bypassare questi 3 steps, e ciò è esattamente quanto accade. Nelle prossime lezioni vedremo come la gluconeogenesi e la glicolisi hanno 7 steps in comune e 3 step non in comune; al posto dei 3 step molto esoergonici, utilizza dei pathway completamente differenti I 3 step diversi della gluconeogenesi La gluconeogenesi bypassa lo step 10 attraverso un pathway di due step e due reazioni, il quale richiede come intermedio l’ossalacetato; se sommiamo questi due step, otteniamo la seguente reazione Questa reazione è esoergonica, a differenza della reazione inversa allo step 10 che è endoergonica (per fare la reazione inversa dello step 10 si dovrebbero usare 16,7 kJ/mol Anche gli step 3 e 1 sono bypassati da altri pathway Sia nello step 3, che nello step 6, utilizziamo una reazione di idrolisi, vedremo i dettagli nelle prossime lezioni. Lo step 3 è bypassato attraverso l’idrolisi esoergonica del fruttosio 1,6 bifosfato in fruttosio 6 fosfato + ortofosfato Lo step 1 è bypassato attraverso l’idrolisi del glucosio 6 fosfato in glucosio + ortofosfato Lezione 14 – step 1 e 2 della gluconeogenesi L’obiettivo dei primi due step è quello di bypassare l’ultimo step irreversibile della glicolisi Step 1 Nello step 1 vogliamo carbossilare una molecola di piruvato per formare un ossalacetato. Se aggiungessimo semplicemente CO2 al piruvato per formare l’ossalacetato, quella reazione sarebbe comunque endoergonica; tuttavia se accoppiamo questo processo con l’idrolisi dell’ATP a formare ADP e ortofosfato, dato che l’idrolisi dell’ATP è un processo molto esoergonico, noi usiamo quell’energia liberatasi per effettuare anche la reazione di carbossilazione del piruvato. Quindi attraverso questo processo, attacchiamo la molecola di CO2 al piruvato, formando l’ossalacetato, e otteniamo anche l’ADP, l’ortofosfato e due ioni H+ Piruvato carbossilasi: l’enzima che catalizza questa reazione è la piruvato carbossilasi, questo enzima consiste di quattro subunità identiche tra di loro e di due regioni. - - Regioni, sono appunto due: • Dominio di legame della biotina: contiene una molecola helper chiamata biotina, la quale lega la CO2 • Dominio dli legame dell’ATP: l’ATP che si trova in questa regione viene utilizzata per attivare la CO2, rendendola più reattiva, così da attaccarla al piruvato (senza l’ATP non avrebbe l’energia necessaria per legarsi) Subunità, sono quattro e sono identiche tra di loro: ogni subunità ha un domino di legame della biotina; quest’ultima è legata covalentemente alla subunità e il dominio che lega l’ATP Lo step 1 della gluconeogenesi consta di tre ministeps Ministep 1 Sappiamo che nei nostri fluidi non abbiamo delle molecole di CO2 dissolte, in quanto sono delle molecole molto poco polari, per cui non si dissolvono nel nostro sangue, per cui abbiamo un enzima chiamato carbonio anidrasi che trasforma la CO2 in ioni bicarbonato, e questo processo avviene nel citoplasma dei nostri globuli rossi; per cui troviamo ioni bicarbonato nel nostro citoplasma e nel nostro sangue. Nel primo step attiviamo la molecola di bicarbonato nel nostro fluido per formare un intermedio carbossilfosfato; questo step è necessario per legare la CO2 alla biotina, in quanto, senza questo step la CO2 non sarebbe in grado di legarsi. Ministep 2 Ora che abbiamo una molecola attiva di CO2, questa è pronta per legarsi al dominio di legame della biotina e ciò è esattamente quanto accade nel ministep 2, formando questo intermedio enzima-biotina-CO2. Questo legame tra biotina-CO2 è estremamente reattivo, il quale una volta rotto rilascia molta energia (20kJ) Il legame tra la biotina e la CO2 avviene solo se è alla piruvato carbossilasi è legato anche l’enzima acetil CoA (acetil coenzima A) Ministep 3 In questo step utilizziamo l’energia ottenuta dalla rottura del legame biotina-CO2 per formare finalmente l’ossalacetato, attaccando la CO2 al piruvato Tutto lo step 1 ha luogo nella matrice mitocondriale della nostra cellula Prima che lo step 2 della gluconeogenesi possa avvenire, l’ossalacetato dev’essere trasformato in malato e trasportato nella membrana mitocondriale e nel citoplasma per poi essere ritrasformato in ossalacetato. Lo step 2 non avviene nella matrice mitocondriale ma nel citoplasma, quindi, come possiamo immaginare, dobbiamo trasportare l’intermedio di ossalacetato nel citoplasma, tuttavia, prima di trasportare l’ossalacetato, dobbiamo ridurlo in una molecola di malato, come detto prima, quindi: La malato deidrogenasi, attraverso l’utilizzo di un NADH, a partire dall’ossalacetato, riduciamo l’ossalacetato in malato + NAD+, ora il malato si sposta attraverso le due membrane del mitocondrio, utilizzando proteine di trasporto specifiche, e dopo essere entrato nel citoplasma, attraverso l’utilizzo di uno stesso enzima malato deidrogenasi e un NAD+ (quindi non un NADH come prima), ossidiamo il malato in ossalacetato. Step 2 In questo step l’ossalacetato è trasformato in fosfoenolpiruvato, e durante il processo accadono due fenomeni diversi: - 1) Abbiamo un processo di decarbossilazione, dove rilasciamo un gruppo CO2 2) Abbiamo un processo di fosforilazione, col quale fosforiliamo l’ossalacetato in fosfoenolpiruvato La fosforilazione richiede energia, tuttavia grazie all’accoppiamento della reazione esoergonica di decarbossilazione con la reazione endoergonica di fosforilazione, la somma di questi processi genera una reazione favorevole Per cui, nel secondo step, abbiamo un enzima chiamato fosfoenolpiruvato carbossichinasi (PEPCK), il quale, accoppiando i processi di decarbossilazione e di fosforilazione, ci fa creare il fosfoenolpiruvato Come si può intuire, anche questo è un processo con due ministep Se sommiamo i due step, abbiamo questo come risultato netto Le CO2 si cancellano perché appaiono su entrambi i lati dell’equazione Lezione 15 – step 3 a 10 Tutti gli step dal 3 al 9 hanno luogo nel citoplasma, tranne lo step 10 . Step da 3 a 7 Una volta formato il fosfoenolpiruvato si va dallo step 3 allo step 7, tutti questi step non sono nient’altro che gli step inversi della glicolisi Tutti gli step da 3 a 7 non sono endoergonici, quindi non richiedono energia, ma sono all’equilibrio, per cui possiamo seguirli semplicemente come inversi della glicolisi Step 8 Lo step 8 non segue il percorso inverso della glicolisi in quanto in quest’ultima, il fruttosio 6 fosfato forma il fruttosio 1,6 bifosfato attraverso un processo irreversibile (parliamo dello step 3 della glicolisi), dunque nella glicolisi questo processo è altamente esoergonico, in questo caso invece è endoergonico, per cui richiederebbe molta energia Quindi per ottenere il fruttosio 6 fosfato a partire dal fruttosio 1,6 bifosfato, utilizziamo un pathway completamente diverso da quello usato nella glicolisi, ovvero l’idrolisi del legame estere tra il carbonio 1 e l’ossigeno nel fruttosio 1,6 bifosfato Questa reazione ci consente di convertire il fruttosio 1,6 bifosfato in fruttosio 6 fosfato attraverso una reazione esoergonica. Dunque, in presenza di acqua (e ricorda che siamo nel citoplasma, ambiente ricco d’acqua), questa è usata per idrolizzare il legame estere, attraverso l’azione dell’enzima fruttosio 1,6 bifosfatasi (ricorda, la fosfatasi “toglie” i gruppi fosfato, mentre la chinasi “mette” i gruppi fosfato); dunque rompiamo il legame e formiamo il fruttosio 6 fosfato e rilasciamo il fosfato inorganico (ortofosfatico) Fruttosio 1,6 bifosfato Questo enzima è un enzima allosterico, ovvero contiene dei siti regolatori allosterici, i quali sono usati per regolare la gluconeogenesi stessa. Formato il fruttosio 1,6 bifosfato, seguiamo lo step 9 come step inverso della glicolisi (step 2 della glicolisi), in quanto fruttosio 6 fosfato e glucosio 6 fosfato sono all’equilibrio. Avvenimenti post step 9 Dopo lo step 9, ciò che accade dipende dal tipo di cellula nella quale ci troviamo, nella maggior parte delle cellule del nostro corpo, come per esempio nelle cellule muscolare, la gluconeogenesi si ferma a glucosio 6 fosfato e non è ulteriormente trasformata a glucosio, in quanto nelle cellule muscolari possiamo prendere quel glucosio 6 fosfato e usarlo per formare ATP e piruvato oppure immagazzinarlo come glicogeno; ricorda infatti che il glucosio 6 fosfato è intrappolato nella cellula, mentre il glucosio è libero di “scappare”. Quindi le ragioni per cui nella maggior parte delle cellule la gluconeogenesi si ferma a glucosio 6 fosfato sono: 1) Il glucosio 6 fosfato non può uscire fuori dalla cellula, quindi abbiamo una “molecola sicura” 2) Il glucosio 6 fosfato è pronto per la glicolisi o per essere immagazzinato in glicogeno Step 10 negli epatociti e nelle cellule renali Il rene e il fegato sono responsabili per la regolazione del glucosio ematico, il fegato predomina in questa regolazione, mentre il rene regola ad un livello più basso. Proprio perché questi organi sono deputati alla regolazione del glucosio ematico, queste devono essere in grado di formare glucosio, perché solo gli zuccheri in forma di glucosio (senza gruppi fosfati attaccati) possono lasciare la cellula, e quindi regolare i livelli di glucosio ematico. Come avviene lo step 10 Come per gli altri step endoergonci visti precedentemente, anche lo step 10 della gluconeogenesi non corrisponde all’inverso dello step 1 della glicolisi, in quanto nella glicolisi questo processo è molto esoergonico, quindi l’inverso è uno step molto endergonico e richiederebbe molta energia. Dunque, nella gluconeogenesi, questo step segue un pathway molto diverso che utilizza ben cinque proteine diverse Lo step inizia nel citoplasma della cellula (dove vediamo scritto glucosio 6 fosfato), attraverso l’utilizzo di diverse proteine di membrana, operiamo alcune operazioni che schematizziamo in alcuni microsteps: - - - 1) il T1 o trasportatore di glucosio 6 fosfato è una proteina di membrana che ci permette di trasportare il glucosio 6 fosfato dal citoplasma al lume del reticolo endoplasmatico della cellula epatica/renale 2) una volta entrato nel lume, in presenza di una molecola d’acqua si trasforma in glucosio + fosfato inorganico, attraverso l’azione di un enzima legato alla membrana del reticolo endoplasmatico chiamato glucosio 6 fosfatasi. Su questo stesso enzima abbiamo un’altra proteina chiamata proteina stabilizzatrice legante il calcio, quest’ultima assiste la glucosio 6 fosfatasi nella sua azione. 3) una volta formato il glucosio, l’ortofosfato utilizza la sua stessa proteina di trasporto, il trasportatore del fosfato o T2, per andare nel citoplasma della cellula 4) il glucosio invece utilizza il trasportatore del glucosio o T3 per entrare nel citoplasma, e una volta nel citoplasma della cellula il glucosio può essere rilasciato nel plasma per regolare la concentrazione ematica. Lezione 16 – Introduzione al ciclo dell’acido citrico (o ciclo di Krebs) Anche se la glicolisi produce una quantità netta di ATP, questi sono solo una piccola porzione dell’energia utilizzabile nei legami chimici delle molecole di glucosio, per cui ricaviamo solo una piccola quantità di energia potenziale immagazzinata in questi legami. Per essere in grado di ricavare la restante energia presente nei legami di glucosio, dobbiamo entrare nella respirazione cellulare aerobica, e questa ha luogo solo in presenza di ossigeno e in presenza di mitocondri nella cellula, infatti alcune cellule non hanno mitocondri, come per esempio i globuli rossi, quindi non possono entrare in respirazione cellulare aerobica. Osserviamo questa immagine In questa immagine abbiamo considerato una sola molecola di piruvato, però dovremmo moltiplicare tutto per 2 per ottenere il risultato netto: Quando il glucosio viene degradato a piruvato, non otteniamo solo ATP ma otteniamo anche degli elettroni, 2 elettroni per ogni ATP. Questi elettroni non sono da soli ma sono raccolti da dei coenzimi speciali, i NAD+ Il NAD+ è una molecola che prende gli elettroni che estraiamo dal glucosio, in quanto il glucosio è ossidato in piruvato, perde elettroni, i quali vanno via non da soli, ma sotto forma di ioni idrogeno, e quando questi elettroni si legano al idrogeno formano un idruro :H- , quindi un H con 2 elettroni, quest’ultimo viene preso dal NAD+ (che ha una carica positiva, quindi può prenderli), per cui otteniamo per ogni ATP, anche un NADH (il NAD+ che prende i due elettroni) Alla fine della glicolisi, in condizioni aerobiche, il piruvato entra nel mitocondrio, e, una volta entrato, subisce una reazione di decarbossilazione, nella quale viene ossidato per formare acetil CoA , e oltre alla formazione di questo, rilascia CO2 e raccogliamo altri 2 elettroni sotto forma di un NADH. Quindi per ora abbiamo (considerando sempre un solo piruvato invece di 2), 2 NADH ottenuti dalla glicolisi e un NADH prodotto in questo step, in tutto 3 NADH. L’acetil CoA è una molecola relativamente grande, e solo una piccola porzione di essa verrà utilizzata nei processi a seguire Il ciclo dell’acido citrico consisterà in una serie di reazioni di ossido-riduzione Il ciclo dell’acido citrico è conosciuto anche come ciclo di Krebs o ciclo TCA, dove TCA sta per tri-carboxylicacid, in quanto l’acido tri-carbossilico è un intermedio del ciclo. Ogni volta che avviene un ciclo di Krebs, vengono prodotte due CO2, una GTP (guanosina tri fosfato, stessa funzione dell’ATP) e, soprattutto, sono raccolti 8 elettroni; 6 elettroni vengono presi da 3 NAD+ a formare 3 NADH, i restanti 2 sono presi da un altro importante carrier di elettroni chiamato flavin adenina dinucleotide o FAD, il quale, una volta raccolti due ioni H (quindi non un idruro :H- come prima) diventa FADH2 Dato che non abbiamo un piruvato ma due molecole di piruvato, dobbiamo moltiplicare tutto questo per 2, per cui il risultato netto del ciclo dell’acido citrico è: 2 molecole di CO2, 16 elettroni e 2 GTP Funzione del ciclo dell’acido citrico Il ciclo dell’acido citrico è il centro del metabolismo del glucosio, il luogo dove tutte queste molecole carburante (molecole contenenti carbonio, le quali possono essere ossidate per ottenere elettroni, i quali possono essere utilizzati per formare ATP) si incontrano per poi andare insieme a formare le molecole di ATP. Oltre all’ATP, il ciclo dell’acido citrico ci dà altre molecole importanti come l’ossalacetato e quindi anche molecole di glucosio in quanto l’ossalacetato va nella gluconeogenesi , basi azotate, aminoacidi, porforina (usata dall’emoglobina e dalla mioglobina). Riassunto degli step del ciclo dell’acido citrico L’acetil CoA, come detto prima, dona una sua piccola componente al ciclo dell’acido citrico, questa sua componente è il gruppo acetile, una molecola a due carboni. Una volta entrato nel ciclo dell’acido citrico, il gruppo acetile si combina con una molecola a 4 carboni, l’ossalacetato, lo stesso che si forma nella gluconeogenesi, per formare una molecola a 6 carboni, nota come acido citrico o acido tricarbossilico (da cui gli altri due nomi del ciclo di Krebs). Negli step successivi 2 e 3 si opera una decarbossilazione e una ossidoriduzione , per cui nello step 2, la molecola a 6 carboni, diventa una molecola a 5 carboni e estraiamo 2 elettroni dalla molecola a 6 carboni, i quali vengono presi dal NAD+ a formare il NADH, viene anche formata CO2 Nello step 3, la molecola a 5 carboni subisce un ulteriore ossidoriduzione, anche qui, come prima, abbiamo come prodotto finale una CO2 e NADH, si forma così una molecola intermedia a 4 carboni (non sarà ancora l’ossalacetato). Quest’ultima molecola intermedia, nei prossimi step trasformiamo questa molecola di carbonio di nuovo in ossalacetato, e durante questi processi produciamo una molecola ad alta energia, il GTP, un NADH e il FADH2 prima menzionato Come prima, ricordiamo che questo processo ha luogo 2 volte, in quanto abbiamo 2 piruvati, abbiamo come risultato netto: - 6 NADH 2 FADH2 2 GTP 4 CO2 È importante notare come il ciclo dell’acido citrico, generi si elettroni ad alta energia, ma non genera alcun ATP (anche se generiamo GTP, che ha una funzione simile all’ATP), questo perché tutti questi elettroni estratti durante il ciclo dell’acido citrico, migreranno nella membrana interna del mitocondrio, in quella che noi chiamiamo la catena di trasporto degli elettroni Questa serie di proteine rappresentate nell’immagine sovrastante, consente il movimento degli elettroni prima menzionati, secondo il loro gradiente di potenziale; mentre gli elettroni si spostano lungo questo gradiente potenziale e mentre gli elettroni si muovono lungo queste proteine di membrana, si genera un gradiente protonico tra i due lati della membrana, questo gradiente protonico viene infine utilizzato per produrre ATP Dunque, non è il ciclo dell’acido citrico a produrre ATP, ma la catena di trasporto degli elettroni con i suoi processi, ovvero la fosforilazione ossidativa. La catena di trasporto consta di 4 proteine e della pompa ATPasi, la quale genera ATP e, come si può osservare dalla figura, gli ioni H+ sono pompati dalla matrice (dove avviene il ciclo di Krebs), verso lo spazio intermembrana, a creare il gradiente protonico, il quale viene usato dall’ATPasi Lezione 16 bis – decarbossilazione del piruvato Lezione 17 – Step 1 del ciclo dell’acido citrico Da piruvato ad acetil-CoA Dopo la formazione di piruvato, in condizioni aerobiche, il piruvato si muoverà nella matrice del mitocondrio, e una volta nella matrice, prima che la molecola di piruvato entri nel ciclo dell’acido citrico questa dev’essere attivata. Per attivare la molecola di piruvato, noi rimuoviamo una CO2, e piazziamo le restanti due componenti del piruvato, note come gruppo acetile, su una molecola carrier chiamata coenzima A (CoA), per cui formiamo, nella matrice mitocondriale, questa molecola chiamata complesso Acetil-CoA. Questa molecola entrerà nel primo step del ciclo dell’acido citrico. Step 1 del ciclo dell’acido citrico L’obiettivo dello step 1 è quello di combinare il gruppo acetile del acetil-CoA, una molecola a 2 carboni, su una molecola a 4 carboni, l’ossalacetato , per formare una molecola a 6 molecole chiamata citrato che è la base coniugata dell’acido citrico, inoltre rigeneriamo il coenzima A, il quale può essere riutilizzato. Lo step 1 dunque consiste di due ministep, i quali sono entrambi catalizzati da un enzima chiamato citratosintasi, come suggerisce il nome di questo enzima, in questo step sintetizziamo la molecola di citrato a partire dai due reagenti ossalacetato e acetil-CoA, i quali fungono da substrato dell’enzima Il ministep 1 è una condensazione aldolica (vedremo dopo di cosa si tratta), durante la quale formeremo il citril-coenzima A, il quale ha un’energia molto alta in quanto possiede un legame tioestere che lega il carbonio e lo zolfo, il quale ha un’energia molto alta. Nel ministep 2 si ha una reazione di idrolisi in cui una molecola d’acqua sarà utilizzata nel sito attivo dell’enzima per effettuare il cleaving (taglio) del legame prima citato, formando i due prodotti finali dello step 1, il citrato e il coenzima A. Questo step è molto esoergonico, rilascia energia. In questa lezione ci focalizzeremo sul ministep 1 dello step 1, ovvero sulla condensazione aldeica, il quale è molto più complicato del ministep 2 che è una semplice idrolisi; prima però di passare a vedere questo step nel dettaglio, vediamo più da vicino l’enzima citrato sintasi Citrato sintasi La citrato sintasi è l’enzima che catalizza lo step 1 del ciclo dell’acido citrico, si tratta di un enzima dimero, ovvero consiste di due subunità identiche, nell’immagine sottostante mostriamo una di queste subunità Questa subunità contiene tre domini: I domini a destra e a sinistra (in verde e in rosso) sono identici, e differiscono dal dominio centrale (in giallo). Ai confini destro e sinistro del dominio centrale con gli altri due domini, troviamo i siti attivi dell’enzima. All’inizio, i substrati non si legano entrambi nel sito attivo della citrato sintasi, ma solo l’ossalacetato. Questo perché all’inizio, nella sua conformazione a catena aperta, la citrato sintasi contiene solo un sito attivo per il legame dell’ossalacetato e non contiene l’altro sito attivo per l’acetil-CoA Una volta legatasi nel sito attivo, la molecola di ossalacetato crea un cambiamento conformazionale, i due domini ruotano internamente e, a seguito di questa intrarotazione, vi sono diversi avvenimenti importanti: - Il sito attivo viene sigillato parzialmente, finché non arriva anche l’acetil-CoA, a quel punto il sito attivo verrà sigillato totalmente Dopo il legame dell’ossalacetato al suo sito attivo, si ha un cambiamento conformazionale nell’enzima tale che si viene a formare un ulteriore sito attivo che può legare l’acetil-CoA A seguito del legame dell’ossalacetato, i residui catalitici si orientano secondo in modo ottimale per dare inizio alla condensazione aldolica Quindi i siti attivi sono sigillati, ma non totalmente, in quanto ancora deve entrare l’acetil-CoA Residui catalitici della citrato sintasid Abbiamo tre tipi di residui catalitici in questo enzima: Istidina 274(His274), His320, aspartato 375 (Asp375) Nell’immagine vediamo in blu l’acetil-CoA e in viola l’ossalacetato Supponiamo che l’ossalacetato sia già entrato nel sito attivo, sia già avvenuto il cambiamento conformazionale e l’acetil-CoA sia già anch’esso nel sito attivo Suddividiamo i processi che avvengono nel sito attivo dell’enzima in 6 step… Da qui in poi è chimica, non so dove mettere mano. Lezione 18 – step 2-4 del ciclo dell’acido citrico Step 2 L’obiettivo dello step 2 è quello di prendere il citrato e di prepararlo per la decarbossilazione, negli step successivi produrremo CO2 e estrarremo gli elettroni ad alta energia che utilizzeremo infine nella catena di trasporto degli elettroni. Per preparare la molecola di citrato a tutti questi processi, vogliamo cambiare la posizione del gruppo idrossilico (=gruppo ossidrilico OH) e otterremo come prodotto finale l’isocitrato Citrato e isocitrato sono isomeri, hanno la stessa formula molecolare ma differiscono per la posizione del gruppo ossidrilico, il quale è attaccato al carbonio 3 nel citrato, e al carbonio 2 nell’isocitrato. Tuttavia per andare dal citrato (reagente) all’isocitrato (prodotto), dobbiamo passare per un intermedio; per cui lo step 1 consta di 2 ministep. Primo ministep dello step 2 Nel primo ministep abbiamo una reazione di disidratazione, con questa rimuoviamo il gruppo ossidrilico e l’idrogeno (in azzurro nel disegno), formiamo una molecola d’acqua e si forma un doppio legame tra il carbonio 2 e il carbonio 3 Secondo ministep dello step 2 Formatosi il doppio legame, entra una molecola d’acqua, e attraverso una reazione di idratazione, tuttavia invece di legarsi al carbonio 3, si legherà al carbonio 2, in quanto, se si legasse al carbonio 3, riformeremmo il citrato, invece attaccando il carbonio 2, il quale è anche più “libero” rispetto al carbonio 3, poiché contiene dei gruppi più piccoli attaccati a lui, forma l’isocitrato L’intermedio che si forma tra citrato e isocitrato si chiama cis-aconitato, e da questa molecola prende il nome l’enzima che catalizza lo step 2, l’enzima aconitasi Aconitasi Questo enzima catalizza lo step 2 del ciclo di Krebs, esso contiene una componente di ferro-zolfo, per cui l’aconitasi viene anche chiamata proteina ferro-zolfo. Questo complesso ferro-zolfo si trova nel sito attivo dell’enzima e si lega finché il gruppo carbossilico del citrato, il quale mantiene il citrato stesso nel sito attivo, finché non si effettua la catalisi. Step 3 – prima decarbossilazione Una volta formato l’isocitrato, questo è pronto per prendere parte la prima reazione ossidativa di decarbossilazione, questa reazione è catalizzata dall’isocitrato-deidrogenasi e ricorda, la deidrogenasi è un enzima che estrae gli elettroni attaccati agli ioni H e li usa per formare le molecole di NADH, anche in questo caso abbiamo 2 ministep Ministep 1 – riduzione del NAD+ in NADH La prima reazione riguarda l’estrazione di una coppia di elettroni ad alta energia per formare un intermedio anch’esso ad alta energia, chiamato ossalosuccinato. Dunque ossidiamo l’isocitrato per formare l’ossalosuccinato, formiamo anche un NADH + uno ione H+ L’ossalosuccinato è instabile in quanto è un beta chetoacido (I beta-chetoacidi sono acidi carbossilici che contengono il gruppo chetonico sul carbonio 3, sono generalmente instabili); il NADH verrà invece utilizzato in futuro nella catena di trasporto degli elettroni In questo ministep è dunque avvenuta una reazione di ossido-riduzione Ministep 2 – decarbossilazione dell’ossalosuccinato In questo step, utilizzando sempre l’isocitrato deidrogenasi, attraverso l’utilizzo di uno ione H+, operiamo una reazione di decarbossilazione a formare una molecola chiamata alfa-chetogluterato. Dunque, il molto instabile ossalosuccinato, prende parte a una reazione di decarbossilazione, questo step determina la frequenza a cui opererà lo stesso ciclo dell’acido citrico (vedremo in un’altra lezione), per cui questo step è molto importante La reazione netta dello step 3 del ciclo di Krebs sarà la seguente Nota bene che in questa equazione non sono presenti né l’ossalosuccinato, né gli ioni H+, in quanto, essendo presenti da entrambi i lati delle equazioni (se sommiamo entrambe le reazioni), si cancellano Step 4 – secondo step di decarbossilazione ossidativa In questo step andremo a rimuovere una ulteriore molecola di CO2 per estrarre un’altra coppia di elettroni e infine produrre il NADH, il quale verrà infine utilizzato dalla catena di trasporto degli elettroni In questo step inoltre utilizzeremo di nuovo il coenzima A In questo step, dunque vogliamo operare la conversione dell’alfa-chetogluterato in succinil-CoA. Dal lato dei reagenti abbiamo l’alfa-chetogluterato in presenza di un NAD+, il quale è necessario perché funge da carrier di estrazione degli elettroni che vogliamo estrarre, abbiamo inoltre anche il coenzima A Dal lato dei prodotti, vediamo che abbiamo rimosso la molecola in verde attaccata al carbonio 1 del reagente per formare la CO2 e attacchiamo al suo posto il coenzima A (in azzurro) L’enzima che catalizza lo step 4 è conosciuto come complesso alfachetogluterato deidrogenasi, questo complesso è molto simile a quello che catalizza lo step 1 del ciclo dell’acido citrico. Anche questo complesso infatti consiste infatti di 3 diversi enzimi e molti cofattori diversi; gli enzimi costituenti esso si distinguono in E1, E2 ed E3. E1 utilizza la tiamina fosfato, E2 utilizza l’acido lipoico, E3 utilizza il FAD Lezione 19 – Step 5-8 del ciclo dell’acido citrico Step 5 Nello step 4 abbiamo sintetizzato il succinil-CoA, questa molecola sarà il reagente dello step 5. In questa reazione. Lo step 5 è l’unico durante il quale generiamo una purina nucleoside trifosfato ad alta energia, il GTP. L’obiettivo finale di questo step è dunque quello di attaccare un gruppo fosfato al GDP per formare il GTP. Il problema di questo step è che si tratta di una reazione endoergonica, che richiede un input di energia; per cui, per superare questo ostacolo, accoppieremo alcuni processi esoergonici a questo processo endoergonico. Nel ciclo dell’acido citrico, ogni volta che vediamo un legame tioestere (in rosso in figura) tra un carbonio e uno zolfo, come nel caso del nostro succinil-CoA, quel legame è molto instabile e ad alta energia. Quando effettuiamo il cleavage di questo legame, otteniamo una certa quantità di energia libera, la quale è usata per far si che il fosfato inorganico si leghi al GDP per formare il GTP. Durante questo processo, rilasciamo anche il CoA e formiamo questa molecola di quattro carboni, chiamata succinato, la quale proseguirà verso lo step 6 del ciclo dell’acido citrico. Questa reazione è catalizzata dal succinil-CoA sintetasi Una volta formato il GTP, questo viene utilizzato principalmente per due scopi: - Può essere utilizzato dalle proteine G, per esempio nei pathway di trasduzione del segnale, le proteine G utilizzano il GTP per questo stesso scopo specifico Può essere trasformato in ATP attraverso l’attività di un enzima chiamato nucleoside-difosfato chinasi, il quale catalizza il trasferimento di un fosfato dal GTP all’ADP per formare l’ATP In ogni caso, il cleaving del legame tioestere del succinil-CoA genera abbastanza energia libera tale da far si che si possa operare la reazione endoergonica Meccanismo di reazione dello step 5 1) L’ortofosfato (in azzurro) va nel sito attivo dell’enzima col succinil-CoA (in viola), il GTP non si trova nel sito attivo, ma nelle vicinanze. L’ortofosfato agisce da nucleofilo, attacca il carbono del gruppo carbonilico, si spezza il legame tioestere, il quale rilascia il coenzima A, nonché l’energia necessaria per la reazione; si forma una molecola intermedia chiamata succinil fosfato 2) Qui agisce il residuo di istidina (in rosso), i due elettroni dell’azoto di questo residuo di istidina agiscono da nucleofili, attaccano l’atomo di fosforo, si rompe il legame sigma (P-O), e la molecola in viola a 4 atomi di carbonio si stacca, portando l’atomo di ossigeno con lui, formiamo quindi il succinato. Per ora abbiamo formato il CoA e il succinato, dobbiamo però ancora formare il GTP e rigenerare l’enzima. 3) L’istidina legata all’ortofosfato è detta fosfoistidina, questa si muove verso un altro sito dello stesso enzima, il quale contiene il GDP 4) In quest ultimo step, il GDP riceve l’ortofosfato dalla fosfoistidina, ciò da un lato forma il GTP, dall’altro lato rigenera la conformazione originale dell’enzima. Step 6-8 del ciclo dell’acido citrico Il ciclo dell’acido citrico è iniziato con un ossalacetato, dunque, essendo appunto il ciclo dell’acido citrico un ciclo, significa che se abbiamo iniziato con l’ossalacetato, termineremo anche con l’ossalacetato. In questi 3 step vogliamo trasformare la molecola a 4 carboni di succinato, in una molecola di 4 carboni di ossalacetato. L’unica differenza tra l’ossalacetato e il succinato, è che il succinato ha un gruppo metilenico (CH2) dove l’ossalacetato ha invece una componente carbonilica (si parla sempre della regione di sinistra della molecola) In questi tre processi dunque trasformeremo il gruppo metilene del succinato in un gruppo carbonilico dell’ossalacetato, e durante questo processo estrarremo elettroni ad alta energia attraverso i FAD e i NAD+. La differenza tra FAD e NAD+ sta nel fatto che il FAD può prendere due atomi di H, mentre il NAD+ può prendere uno ione idruro, ovvero un singolo ione di idrogeno che contiene due elettroni. Nello step 6 utilizziamo il FAD, nello step 8 utilizziamo il NAD+ Step 6 – ossido riduzione Nello step 6 abbiamo la succinato deidrogenasi che catalizza la reazione, i due H sono asportati dal succinato e i due elettroni rimanenti vanno a formare un doppio legame tra i due carboni, per cui si forma il fumarato che non è altro che la molecola di prima, senza i due H e con un doppio legame tra il carbonio 2 e il carbonio 3 I due atomi di H si legano al FAD che diventa FADH2 La succinato deidrogenasi, a differenza degli enzimi visti precedentemente, è un enzima che si trova nella matrice interna del mitocondrio, infatti è una proteina ferro-zolfo che fa anche parte della catena di trasporto degli elettroni. Il FAD è legato covalentemente alla succinato deidrogenasi, tuttavia una volta che la reazione di ossidazione ha luogo e una volta ridotto il FAD in FADH2, il FADH2 resta ancora attaccato covalentemente alla succinato deidrogenasi, ma dona i due elettroni a una speciale componente ferro-zolfo dell’enzima e questi due elettroni poi si muoveranno verso le altre proteine della catena di trasporto degli elettroni, ciò genererà poi il gradiente protonico che ci permetterà di produrre ATP Lo step 6 è dunque una reazione di ossidoriduzione, ossidiamo il succinato in fumarato e riduciamo il FAD in FADH2. Step 7 – reazione di idratazione Nello step 7 abbiamo una reazione di idratazione in cui il fumarato è trasformato in malato, attraverso una molecola d’acqua. Formiamo alla fine l’isomero L del malato, in quanto l’acqua attacca solo un lato della molecola L’enzima che catalizza questo step è la fumarasi, Step 8 – rigenerazione dell’ossalacetato Il malato è ossidato in ossalacetato attraverso l’attività della malato idrogenasi, durante il processo asportiamo uno ione idruro, il quale sarà captato da un NAD+ che diventerà NADH, il quale sarà utilizzato nella catena di trasporto degli elettroni Lo step 8 è molto endoergonico, quindi richiede molta energia, per cui molti processi esoergonici che accadono nella catena di trasporto degli elettroni vengono accoppiati allo step 8 per far sì che si abbia l’energia necessaria per portare avanti lo step 8, inoltre, l’energia liberata dallo step 1 del ciclo dell’acido citrico – il quale ha luogo immediatamente dopo lo step 8 – viene utilizzata anche per portare avanti lo step 8 Lezione 20 – regolazione del ciclo dell’acido citrico Ci sono diversi modi per regolare il ciclo dell’acido citrico, la prima modalità è attraverso la regolazione della decarbossilazione del piruvato Lezione 21 – introduzione alla fosforilazione ossidativa L’ultimo processo della respirazione aerobica cellulare è la fosforilazione ossidativa, un processo che ha luogo sulla catena di trasporto degli elettroni della membrana interna del mitocondrio. Dal citoplasma, dov’è avvenuta la glicolisi, ci siamo spostati verso la matrice mitocondriale, dove sono avvenuti la decarbossilazione del piruvato e il ciclo dell’acido citrico, e ora siamo nella membrana interna del mitocondrio. Nel ciclo dell’acido citrico abbiamo estratto elettroni ad alta energia, i quali verranno qui usati per effettuare una fosforilare ossidativamente le molecole di ADP in ATP lungo la stessa catena di trasporto degli elettroni. Per cui usiamo le molecole di NADH e di FADH2 per generare gli stessi ATP, infatti NADH e FADH2 sono in ultima analisi utilizzati per ridurre le molecole biatomiche (a due atomi) di ossigeno per formare acqua nel processo e generare ATP ad alta energia; questo processo è super sintetizzato nella seguente immagine: Nell’immagine sottostante è rappresentato un mitocondrio: In quest’immagine vediamo che il mitocondrio ha una membrana esterna, uno spazio intermembrana, una membrana interna dov’è la catena di trasporto degli elettroni e la matrice mitocondriale dove avviene il ciclo di krebs. In particolare, la catena di trasporto degli elettroni si trova sui ripiegamenti del mitocondrio, chiamati creste mitocondriali. Se dunque zoomiamo su una piccolissima sezione di cresta mitocondriale, troviamo quanto rappresentato nella prima immagine, ovvero la catena di trasporto degli elettroni. Composizione della catena di trasporto degli elettroni È formata da diversi complessi proteici: complesso proteico I, complesso proteico II, complesso proteico III, complesso proteico IV, e una proteina speciale finale chiamata ATPsintasi, vi sono anche altre proteine che discuteremo nelle prossime lezioni. Riproponiamo l’immagine di prima: Lungo la catena gli elettroni ad alta energia per portarli all’interno complessi proteici - Complesso proteico I: estrae gli elettroni dal NADH, e allo stesso tempo rigenera i NAD+ (rilascia un H+) Complesso proteico II: prende gli elettroni dal FADH2 e rigenera il FAD Il flusso di elettroni ci permette di avere una corrente elettrica, la quale viene utilizzata per attivare i complessi proteici, i quali fungeranno da pompe protoniche, pompando gli ioni H+ dalla matrice del mitocondrio allo spazio intermembrana; i complessi proteici che pompano ioni H+ nello spazio intermembrana sono l’ I, il III e il IV - Complesso proteico IV: una volta giunti a questo complesso, gli elettroni riducono le molecole di ossigeno biatomico, formando molecole d’acqua ATP sintasi: genera gli ATP In ultima analisi quindi, stabiliamo un gradiente protonico, dove abbiamo un’alta concentrazione di ioni H+ nello spazio intermembrana mitocondriale, e una bassa concentrazione protonica nella matrice mitocondriale; l’ATPsintasi usa questo gradiente elettrochimico degli H+, muove gli ioni H+ secondo il loro gradiente elettrochimico – dall’altra concentrazione intermembrana alla bassa concentrazione nella matrice – e ciò dà energia all’ATPsintasi per fosforilare l’ADP a ATP Ecco perché questo processo si chiama fosforilazione ossidativa, in quanto usiamo un ossigeno nella catena di trasporto degli elettroni. Nota bene, il ciclo dell’acido citrico non richiede ossigeno, la catena di trasporto degli elettroni, si, tuttavia il ciclo dell’acido citrico sarebbe poco utile se non vi fosse la fosforilazione ossidativa (e penso per questo lo consideriamo parte integrante della respirazione cellulare) Nella catena di trasporto degli elettroni quindi, l’ossigeno rappresenta l’accettore finale degli stessi elettroni Si può dunque sintetizzare il tutto in 4 step: Step 1: gli ioni ad alta energia sono estratti dal NADH e dal FADH2, gli elettroni si muovono lungo la catena di trasporto Step 2: il movimento degli elettroni stimola, grazie alla genesi di una corrente elettrica, il movimento degli ioni H+ al di fuori della matrice nello spazio intermembrana del mitocondrio, ciò stabilisce un gradente elettrico di differenza di potenziale tra lo spazio intemembrana, carico positivamente, e la matrice mitocondriale, carica negativamente Step 3: gli elettroni vengono catturati dall’ossigeno e formano acqua Step 4: la distribuzione inequa degli ioni H+ causa il movimento spontaneo degli stessi secondo il loro gradiente elettrochimico, e ritornano nella matrice, questo flusso avviene nell’ATP sintasi e genera gli ATP. L’obiettivo finale della catena di trasporto degli elettroni è quello di trasformare una forma di energia, l’energia elettrica degli elettroni, in un gradiente protonico (alta concentrazione H+ fuori, bassa dentro) e infine in ATP (energia chimica). Gli ATP, coi loro legami chimici ad alta energia, verranno utilizzati dalle nostre cellule per portare avanti una moltitudine di processi Creste mitocondriali Le creste mitocondriali sono dei ripiegamenti che ampliano moltissimo la superficie in cui si trova la catena di trasporto degli elettroni (un po’ come per i villi e i microvilli degli enterociti), e ciò aumenta la capacità della cellula di prendere parte alla fosforilazione ossidativa (c’è “più” catena di trasporto degli elettroni, quindi se ne può fare di più) Membrana mitocondriale esterna La membrana mitocondriale esterna contiene delle speciali porine di membrana conosciuti anche come VDAC (voltage dependent anionic complexes), le quali sono delle proteine di membrana che consentono il movimento di molecole anioniche, le quali sono piccole molecole, come gli ioni cloro, molecole di ATP… per cui queste possono entrare e uscire dal citoplasma nella membrana interna, superando la membrana esterna senza troppe difficoltà Membrana mitocondriale interna La membrana mitocondriale interna non contiene le porine mitocondriali, quindi è impermeabile a molecole cariche ed a molecole polari, per cui molecole come il citrato, il piruvato, o l’ATP non possono attraversarla liberamente, ma il loro ingresso attraverso di essa per entrare nella matrice mitocondriale dipende dalle proteine di trasporto Il lato della membrana mitocondriale interna che dà sullo spazio intermembrana è chiamato anche lato P, dove P sta per positivo, in quanto è carico positivamente a causa degli ioni H+. mentre il lato della membrana mitocondriale interna che dà sulla matrice mitocondriale è chiamato lato N, dove N sta per negativo. Lezione 22 – Introduzione alla catena di trasporto degli elettroni In questa lezione discuteremo dei complessi proteici che si trovano lungo la catena di trasporto degli elettroni: abbiamo 4 complessi proteici: complesso proteico I, II, III e IV. Oltre a questi abbiamo due carrier di elettroni molto importanti utilizzati dalla catena di trasporto degli elettroni: il coenzima Q, conosciuto anche come ubiquinone, e il citocromo C. Nota, l’immagine sopra rappresenta una singola catena di trasporto di elettroni, ma in un mitocondrio ci sono tantissime catene di trasporto Complesso proteico I Il complesso proteico I è conosciuto anche come NADH deidrogenasi o NADH ossidoriduttasi, è un grosso complesso proteico che consiste di 46 polipeptidi. Ha una forma ad L dove la componente orizzontale giace nella membrana interna, mentre la componente verticale penetra nella matrice (una L capovolta) Questo complesso funziona da accettore di elettroni ad alta energia dalle molecole di NADH, gli elettroni si muoveranno lungo uno speciale pathway dello stesso complesso e saranno presi dal coenzima Q, del quale parleremo dopo. Il passaggio di elettroni avviene nella componente verticale del complesso. Agisce come pompa protonica che usa il movimento degli elettroni, il quale genera una forma di energia, per pompare ioni idrogeno nello spazio intermembrana, e generare il gradente protonico elettrochimico giù menzionato che verrà infine utilizzato dall’ATP sintasi. La funzione del complesso è quella di ossidare il NADH in NAD+, accettare gli elettroni ad alta energia, muoverli lungo il pathway, generare una corrente elettrica tale da dare energia per pompare protoni dalla matrice all’intermembrana. Coenzima Q Il coenzima Q, conosciuto anche come ubiquinone, è una piccola molecola dissolta nella membrana del mitocondrio, e poiché contiene una regione idrofobica relativamente larga, può dissolversi facilmente nella membrana e muoversi lungo essa, il suo compito è quello di prendere gli elettroni ad alta energia ricevuti dalla molecola di NADH e portarli al complesso proteico III; oltre agli elettroni del coenzima I, prende anche quelli del coenzima II, il quale a sua volta ossida il FADH2 in FAD e prede gli elettroni dallo stesso FADH2 Complesso proteico II Si trova parzialmente nella matrice e parzialmente nella membrana interna, la funzione del complesso proteico 2 è quella di accettare ed estrarre gli elettroni ad alta energia dal FADH2. Ora nel ciclo dell’acido cirtico c’è uno step dove noi ossidiamo il succinato in fumarato e in quest’ultimo processo abbiamo un enzima chiamato succinato deidrogenasi che catalizza questa reazione e riduce il FAD in FADH2 I due H del succinato sono estratti e dati al FAD per formare il FADH2. Ora possiamo trovare la succinato deidrogenasi nel complesso proteico II. Una volta diventata FADH2, questa molecola resta attaccata dunque a questo complesso proteico; qui, come detto prima, il FADH2 è riossidato in FAD, e ciò permette al complesso di estrarre questi elettroni ad alta energia, i quali vengono presi dal coenzima Q e portati al complesso III. Una differenza importante tra il complesso proteico II e gli altri complessi, è che il complesso proteico II non è una pompa protonica, dunque, a differenza del I, III e IV, non pompa protoni nello spazio intermembrana. Complesso proteico III Questo complesso è conosciuto anche come citocromo c ossidoriduttasi, Q citocromo C ossidoriduttasi o anche semplicemente citocromo riduttasi. Questo complesso accetta gli elettroni dal coenzima Q, per poi ritrasportarli su un altro carrier, il citocromo C Proprio come il complesso proteico I, il III è una pompa protonica, e come risultato del movimento degli elettroni, ha l’energia per pompare protoni nello spazio intermembrana Complesso proteico IV È il luogo “finale” dove portiamo gli elettroni e li utilizziamo per ridurre le molecole di ossigeno a formare molecole d’acqua, per cui qui troviamo l’accettore finale di elettroni (l’ossigeno). Questo complesso utilizza anch’esso l’energia generata dal flusso degli elettroni per pompare protoni dalla matrice nello spazio intermembrana. È conosciuto anche come citocromo C ossidasi in quanto utilizza l’ossigeno come accettore finale di elettroni (penso anche perché ossida il citocromo C…) Diverse forme del coenzima Q Abbiamo detto che il coenzima Q trasporta gli elettroni del complesso I e II verso il complesso III, dunque esso presenta due forme: - - Nella forma ossidata, lo chiamiamo ubiquinone, o coenzima Q; quest’ultimo presenta una lunga coda idrofobica finale (dove c’è CH3). Una volta accettati i due elettroni e i due ioni H+ (vengono accettati dai due gruppi O che si trovano ai vertici 1 e 4 dell’esagono) a formare la forma ridotta del coenzima Q La forma ridotta del coenzima Q la chiamiamo ubiquinolo o coenzima QH2 Quindi il coenzima QH2 (ridotto), andrà al complesso III, cederà gli elettroni e questi ultimi saranno accettati dal citocromo C Citocromo C Il citocromo C è una piccola proteina idrosolubile (nota bene, il coenzima Q non è una proteina, il citocromo C sì) legata alla regione che affaccia sull’intermembrana del complesso proteico III. Una volta accettati gli elettroni si attacca al complesso proteico IV sullo stesso lato, ovvero sul lato che affaccia sull’intermembrana, per poi trasferire gli elettroni i quali saranno utilizzati per ridurre l’ossigeno e formare quindi la molecola d’acqua. Lezione 22 – Complesso I e II della catena di trasporto degli elettroni Come detto nella lezione precedente, il complesso I è una struttura molto grande, è un complesso di circa 46 polipetidi. Viene chiamato anche NADH deidrogenasi o NADH ossidoriduttasi, in quanto è il complesso che accetta gli elettroni ad alta energia dal NADH che generiamo nei processi precedenti. Il complesso I ha una forma di L capovolta, ha due componenti: la componente orizzontale che giace nella membrana del mitocondrio e la componente verticale che si estende nella matrice del mitocondrio. Il NADH si lega nella componente verticale che si estende nella matrice del mitocondrio, insieme al NADH viene usato anche un H+, tra un po’ vedremo il perché. Durante il processo ossidiamo il NADH in NAD+ e questi due elettroni sono estratti da un gruppo chiamato FMN, dove FMN sta per flavina mononucleotide Nell’immagine sottostante vediamo la FMN nella sua forma ossidata, ovvero prima di accettare gli elettroni. Essa possiede una struttura a tre anelli chiamata isoallossazina, questa struttura viene trovata anche nel FAD e il FAD è in grado di estrarre 2 elettroni nello stesso identico modo in cui il FMN usa l’anello di isoallossazina per estrarli. Tuttavia l’FMN non può legare gli elettroni così come sono, ma ha bisogno di due ioni H+ Ognuno dei due ioni H+ si lega all’azoto libero (quello “in cima” al secondo anello e quello “in valle” al terzo anello), a formare la forma ridotta della flavina mononucleotide, FMNH2; uno degli H viene dal NADH e un altro viene dall’H+, i due elettroni vengono entrambi dal NADH e in ultima analisi ossidiamo il NADH in NAD+ Riformato il NAD+, esso può essere utilizzato per fare il ciclo dell’acido citrico o la glicolisi Destino degli elettroni Una volta estratti dalla FMN, gli elettroni iniziano a muoversi lungo una serie di altri gruppi conosciuti come gruppi di ferro-zolfo. Mentre si muovono lungo questi gruppi, il flusso di elettroni genera una corrente elettrica, la quale può essere utilizzata per attivare un processo, in questo caso particolare il processo è la pompa di H+ nello spazio intermembrana. Dunque mentre questi elettroni si muovono fino ad arrivare al coenzima Q, 4 ioni H+ vengono pompati dal complesso 1 dalla matrice mitocondriale allo spazio intermembrana Elettroni al coenzima Q Gli elettroni vengono accettati dal coenzima Q o ubiquinone, oltre ad essi, il coenzima Q accetta anche due ioni H+, a formare la forma ridotta del dell’ubiquinone, l’ubiquinolo o il coenzima QH2 Complesso II Il complesso II, a differenza del complesso I, III e IV, non è una pompa protonica, quindi non pompa H+ fuori dalla membrana e a causa di questo il FADH2 formerà alla fine meno ATP rispetto a quanto ne formi il NADH. Il complesso II è infatti responsabile dell’estrazione degli elettroni dal FADH2. Nel ciclo dell’acido citrico abbiamo ossidato il succinato in fumarato e ridotto il FAD in FADH2 attraverso la catalisi dell’enzima succinato deidrogenasi Quindi in questa reazione i due H vengono presi dal FAD che si riduce in FADH2 e si forma un doppio e, rottosi quel legame tra i due idrogeni coi due carboni 2 e 3, si forma un doppio legame tra il carbonio 2 e 3 a formare il fumarato. La succinato deidrogenasi si trova nel complesso II, tale complesso è perciò chiamato anche succinato riduttasi, in quanto riduce il FAD in FADH2 dopo che l’enzima ha ossidato il succinato in fumarato. Formato il FADH2, questo resta legato al complesso II e nello stesso complesso i due elettroni sono estratti dal FADH2 e, muovendosi attraverso una serie di cluster ferro-zolfo arrivano al coenzima Q, lo stesso discusso prima, dove accade la stessa cosa di prima, il coenzima Q diventa coenzima QH2, si stacca e va verso il complesso III. Lezione 23 – Ciclo di Q e complesso III della catena di trasporto degli elettroni In questa lezione parleremo di cosa accade quando l’ubiquinolo (coenzima QH) si lega al complesso III. Il complesso III è conosciuto con molti nomi diversi come Q citocromo C ossidriduttasi e citocromo riduttasi. Esso è composto da 11 catene polipeptidiche; lo scopo principale del complesso III è di trasferire gli elettroni ad alta energia dal QH2 ad un altro carrier di elettroni, il citocromo C; in questa lezione discuteremo i dettagli di questo trasferimento. Componenti del complesso III – Citocromo C 1, Citocromo B, Proteine Rieske Prima di parlare del citocromo C1 è bene notare che il citocromo C1 e il citocromo C sono due cose diverse, nonostante siano due citocromi, ovvero due proteine che contengono un gruppo eme che può legare e trasferire elettroni. Il C1 contiene un singolo gruppo eme Nel complesso 3 abbiamo un altro citocromo, detto citocromo B, questo contiene due differenti gruppi eme, i quali sono in grado di legare elettroni Infine abbiamo le proteine Rieske (o gruppo Rieske), queste contengono il gruppo 2Fe-2S che può legare elettroni e trasferirli Il Ciclo di Q Il processo di trasferimento attraverso il quale gli elettroni vengono trasferiti dall’ubiquinolo al citocromo c è conosciuto come ciclo di Q il quale è composto da due mezzi cicli Prima di parlare del primo mezzo ciclo, è importante sapere che il citocromo c è una proteina idrosolubile, attaccata al complesso proteico 3 sul lato che dà sullo spazio intermembrana del complesso III; quando lega un elettrone, il citocromo C si stacca, e poiché è diffusibile in acqua, esso viaggia attraverso il fluido presente nello spazio intermembrana fino ad attaccarsi al complesso IV nello stesso lato Primo mezzo ciclo Nel primo mezzo ciclo, l’ubiquinolo si lega al complesso 3, nel legarsi i due protoni, gli ioni H+, sono pompati nello spazio intermembrana del mitocondrio. I due elettroni legati all’ubiquinolo invece seguono un pathway diverso l’uno dall’altro. Pathway dell’elettrone A: Uno dei due elettroni, che chiamiamo elettrone A, viene trasferito verso le proteine di Rieske, le quali hanno il gruppo 2Fe-2S, il quale poi si muoverà sul gruppo eme del citocromo C1; ora nel gruppo eme ossidato del citocromo C1 , il ferro esiste nella forma Fe3+, ma quando guadagna un elettrone, si riduce nella forma Fe2+, per cui da questo gruppo eme, viaggerà verso il gruppo eme del citocromo C, e solo uno dei due elettroni si lega al citocromo C. Questa è la grande differenza tra il citocromo C e il coenzima Q, che il Q può portare 2 elettroni, il C uno solo. Una volta legatosi al citocromo C, accade quando detto prima, ovvero il citocromo C si stacca, e poiché è diffusibile in acqua, esso viaggia attraverso il fluido presente nello spazio intermembrana fino ad attaccarsi al complesso IV nello stesso lato Pathway dell’elettrone B: l’elettrone B va verso il citocromo B, quest’ultimo, come detto prima, ha due gruppi eme, quindi questo elettrone si legherà prima a un gruppo eme del citocromo B, poi all’altro gruppo eme dello stesso e infine si legherà all’ubiquinone (coenzima Q ossidato) a formare una molecola parziale, lo ione radicale semiquinone (Q-) Secondo mezzo ciclo Nel secondo mezzo ciclo arriva un altro ubiquinolo a legarsi al coenzima III e una volta legatosi, avviene lo stesso pathway di prima per l’elettrone A e i due protoni: i due protoni vengono pompati fuori nello spazio intermembrana, l’elettrone A va verso il gruppo Rieske, si lega al 2Fe-2Se, va verso il gruppo eme del citocromo C1, riducendolo da Fe3+ a Fe2+, e infine migra verso un citocromo C; questo citocromo C non è lo stesso di prima, ma è un altro, infatti quando si stacca un citocromo C dal complesso III per migrare verso il IV, se ne attacca un altro L’elettrone B invece, va verso il citocromo B, si lega ai due gruppi eme, e viene poi preso dal prima formato ione radicale semiquinolo, quest’ultimo, il quale ora avrà due elettroni, andrà poi a prendere due protoni sotto forma di ioni H+ dalla matrice mitocondriale e diventerà di nuovo ubiquinolo, QH2, il quale si staccherà dal complesso 3 per entrare nell’intermembrana mitocondriale, per continuare il suo ciclo; questo step è conosciuto come step di riciclo Lezione 24 – Complesso IV della catena di trasporto degli elettroni Il complesso IV è anche conosciuto come citocromo C ossidasi, lungo il complesso IV gli elettroni trasferiti dal citocromo C, vengono a loro volta trasferiti all’ossigeno, e si va a stabilire un gradiente protonico elettrochimico che verrà infine utilizzato dall’ATP sintasi per generare questi ATP ad alta energia. Il complesso IV possiede due importanti gruppi, i gruppi eme e gli atomi di rame Cu; abbiamo due gruppi eme, eme a e eme a3, e tre atomi di rame, due atomi A, che formano il centro di rame A (CuA/CuA) e un atomo B che chiamiamo rame B , il quale si associa con l’eme a3 per formare il centro di eme a3/rame B (EmeA3/CuB), e qui ridurremo l’ossigeno per formare l’acqua come vedremo tra poco. Suddividiamo l’intero processo in 4 steps Step 1 Col complesso 3 abbiamo generato due citocromi C ridotti, i quali, dissociatisi dal complesso III, hanno viaggiato attraverso il fluido e si sono legati al complesso IV, una volta legati, trasferiscono un elettrone al centro CuA/CuA, il quale poi si muoverà verso il gruppo eme a, e poi verso il gruppo eme a3, infine sarà trasferito al CuB, riducendolo. Quindi, noi abbiamo il nostro rame nel suo stato Cu2+, guadagnando un elettrone esso viene ridotto in Cu+; questo accade sia al CuA che al CuB Questo processo avviene due volte, in quanto il citocromo C, una volta fatto ciò che deve fare, si dissocia dal complesso IV e arriva il secondo citocromo C ridotto che si è formato nel secondo mezzo step del ciclo di Q, si lega, e dà un altro elettrone, tuttavia il secondo elettrone si ferma al gruppo eme a3, riducendolo, e non al CuB Step 2 Una volta che sia eme a3, sia CuB si sono ridotti, possono finalmente legare l’ossigeno, quindi nello step 2 si utilizza l’ossigeno biatomico il quale viene utilizzato per formare un ponte di perossido tra il gruppo eme a3 e il CuB. Step 3 Una volta formato il ponte di perossido, dalla matrice del mitocondrio vengono estratti due protoni, i quali vengono utilizzati per rompere quel legame, ma prima che essi vengano utilizzati, sono già arrivati altri 2 citocromi C ridotti che sono già stati ossidati dal complesso IV. Questi due citocromi C quindi hanno già rilasciato altri due elettroni vanno verso il CuB e verso il gruppo eme a3, allo stesso tempo il complesso IV prende due protoni dalla matrice, i quali, come detto prima, rompono il ponte di perossido a formare l’idrossido di rame e il gruppo eme A3 idrossido. Step 4 Arrivano altri due protoni dalla matrice, i quali ossidano l’idrossido di rame e il gruppo eme A3 idrossido, rigenerandoli alla loro forma originale e formando due molecole d’acqua [i gruppi ossidrilici (o idrossilici) attaccati al gruppo eme e al rame, hanno bisogno solo di uno ione idrogeno per diventare rispettivamente due molecole d’acqua, ovvero H2O; dunque danno la carica positiva ai gruppi Eme a3 e CuB di prima, portandoli nel loro stato standard ossidato e i due H alle due molecole di ossigeno ) Sommario dei 4 step Sono stati utilizzate le seguenti molecole 4 citocromi C ridotti si legano ad 1 ad 1 sul complesso IV, due nello step 1 e due nello step 3, vengono riossidati e escono 1 singola molecola di ossigeno biatomico a formare due molecole d’acqua attraverso l’utilizzo di 4 protoni sotto forma di ioni H+ 4 protoni sono pompati nell’intermembrana in quanto anche il complesso IV agisce da pompa protonica a formare il gradiente protonico che verrà infine utilizzato per fare ATP. Lezione 25 – specie reattive dell’ossigeno Anche se la catena di trasporto di elettroni ha un effetto molto benefico per noi, in quanto ci consente di generare gli ATP, essa produce anche dei sottoprodotti, delle molecole, che possono causare dei danni alle nostre cellule. Questi sottoprodotti sono delle molecole derivanti dall’ossigeno, per cui le chiamiamo specie reattive dell’ossigeno Come ricordiamo dalla lezione precedente, l’accettore finale di elettroni è la molecola di ossigeno biatomico e nello step finale nel complesso IV della catena di trasporto degli elettroni, un totale di quattro elettroni e quattro protoni si associano ad un ossigeno biatomico, per ridurlo completamente in due molecole d’acqua Le molecole d’acqua sono innocue per le cellule e possono essere usate in tanti modi diversi. Tuttavia in alcune condizioni l’ossigeno è solo ridotto parzialmente, per esempio se guadagna un solo elettrone e nient’altro, forma una molecola radicale conosciuta come anione superossido , se ne accetta due forma il perossido, e ricordiamo, quando abbiamo parlato del complesso IV, abbiamo detto che si sono formati dei ponti di perossido tra il CuB e l’Eme a3. Questi due tipi di molecole sono molto reattivi, e, qualora il complesso IV rilasciasse queste molecole, queste possono causare danni alle nostre cellule. In condizioni normali, nel complesso IV, quando i quattro elettroni sono trasferiti all’ossigeno biatomico noi formiamo due molecole d’acqua, le quali sono innocue. Tuttavia se l’ossigeno riceve solo uno o solo due elettroni (senza ricevere gli H+), si ha la produzione dei radicali liberi, detti anche ROS (reactive oxygen species) Poiché il complesso IV non è perfetto, questi sottoprodotti si formeranno, tuttavia esistono degli enzimi speciali in grado di controllarli. Quando invece non vengono controllati, i ROS reagiscono con dei componenti delle nostre cellule, causando danni ossidativi e questi ultimi sono correlati al processo di invecchiamento; sostanzialmente una delle cause per le quali invecchiamo è il danno ossidativo. Inoltre il danno ossidativo è anche correlato con varie condizioni mediche patologiche o comunque anormali, per esempio come l’ischemia, il diabete, cancro cervicale, danni epatici e enfisema. Metodi di distruzione/conversione dei ROS Ci sono diversi metodi con i quali il nostro organismo può distruggere i ROS o convertirli in molecole più sicure. È importante menzionare che il complesso IV, che, come detto prima produce il perossido come intermedio (per fare i ponti di perossido prima citati), non le lascia andare così facilmente, ma li rilascia solo dopo la conversione di questi ultimi in molecole più sicure e queste, se tutto andasse alla perfezione, sarebbero le molecole d’acqua. Tuttavia i pochi ROS che invece vengono rilasciati accidentalmente dal complesso IV, vi sono degli speciali enzimi protettivi che localizzano i ROS e li convertono in prodotti più sicuri, questi sono: - Superossido dismutasi: Questo enzima localizza e converte le specie radicali superossidi, secondo questo processo: Essenzialmente, prendiamo due anioni superossido, usiamo 2 H+ e facendoli reagire formiamo una singola molecola di perossido di idrogeno, che di per sé è una molecola non sicura, e un ossigeno biatomico, che è invece una molecola sicura Nelle cellule eucariotiche abbiamo due forme di superossido dismutasi: la prima forma dipende dal manganese e l’altra forma dipende da rame e zinco. La forma manganese dipendente si trova nel mitocondrio, mentre la forma dipendente da rame e zinco si trova nel citoplasma del nostro corpo, entrambi questi enzimi catalizzano lo stesso processo a due step - Nel processo 1) abbiamo la versione ossidata di questo enzima dismutasi (ovvero senza H), che reagendo con un singolo ione superossido rilascia un ossigeno biatomico e tiene un solo elettrone, in modo da ridursi e rilasciare un ossigeno Nel processo 2) la dismutasi ridotta, reagisce con un altro anione superossido e altri due ioni H+, così da ossidarsi e produrre H2O2, ovvero il perossido di idrogeno. Il perossido di idrogeno è anch’esso molto reattivo e su di esso agisce il secondo enzima Catalasi: La catalasi è un enzima proteico che contiene un gruppo eme, esso prende due perossidi di idrogeni e li fa reagire producendo due molecole d’acqua e un ossigeno biatomico Queste due molecole sono sicure. Abbiamo anche molte vitamine che ci aiutano a controllare la quantità delle specie reattive dell’ossigeno che si formano nelle nostre cellule ROS ed esercizio fisico L’esercizio fisico quotidiano e prolungato è molto benefico per la gestione dei ROS, infatti l’esercizio aumenta i livelli di concentrazione degli enzimi protettivi speciali prima citati, la superossido dismutasi e la catalasi, e in ultima analisi incrementa la capacità delle nostre cellule di rimuovere i ROS prodotti dal complesso IV Lezione 26 – Struttura dell’ATP sintasi L’ATPsintasi, conosciuta anche come complesso V della catena di trasporto degli elettroni, utilizza il gradiente protonico formatosi, di cui abbiamo parlato nelle lezioni precedenti, per sintetizzare e rilasciare ATP nella matrice mitocondriale. Struttura del complesso V Come gli altri complessi anche il complesso V si trova nella membrana mitocondriale interna e ha una struttura molto complessa, per cui, per descriverla, la divideremo in regioni: la regione F0 e la regione F1, come possiamo vedere dall’immagine, la prima corrisponde alla sezione nella intermembrana mitocondriale, la seconda corrisponde alla sezione che entra nella matrice mitocondriale. Regione F1 La regione F1 consiste in catene polipeptidiche, le quali sono responsabili per legare l’ADP e l’ortofosfato per formare l’ATP e rilasciarlo nella matrice, per cui la regione F1 è l’unità catalitica di questo complesso. Questa regione giace nella matrice mitocondriale, e troviamo 5 differenti tipi di catene polipeptidiche in questa regione: alfa (azzurro), beta (verde), gamma (rosso), epsilon (blu), delta (viola). Unità alfa e beta Abbiamo tre unità alfa e tre unità beta che, alternandosi, costituiscono la struttura esamerica ad anello che vediamo in figura. La funzione di questo esamero è di legare l’ADP e l’ortofosfato per sintetizzare e rilasciare l’ATP e, sebbene l’unità alfa può legare l’ADP, solo l’unità beta ha la capacità di sintetizzare e rilasciare ATP. Unità gamma e epsilon Abbiamo una singola unità gamma e una singola unità epsilon, le quali si organizzano per formare una struttura chiamata gambo centrale, una struttura elongata che penetra nella cavità interna dell’anello esamerico e si connette con la struttura localizzata nella regione F0. Visto tutto ciò da una sezione trasversale (tagliato a metà e visto dall’alto), avremmo una composizione del genere Il gambo centrale gamma epsilon va a connettere la struttura in arancione in F0 alla struttura esamerica, e ruotando, il gambo centrale causerà la catalisi dell’ADP e dell’ortofosfato a formare l’ATP e rilasciarlo in matrice. Subunità delta La subunità delta aiuta a tenere l’intera struttura esamerica in sede, affinché essa non ruoti (è il gambo che passa all’interno a ruotare infatti, la struttura sta ferma). Regione F0 Mentre la regione F1 contiene la struttura catalitica, la regione F0 contiene la struttura che consente il movimento dei protoni e degli ioni idrogeno lungo il loro gradiente elettrochimico, dallo spazio intermembrana alla matrice mitocondriale Questa regione è idrofobica e giace nella membrana interna del mitocondrio, consiste in due tipi di unità: l’unità c e l’unità a, insieme queste interagiscono per formare il canale protonico che consente lo spostamento dei protoni lungo la membrana Abbiamo da 10 a 14 unità c (in arancione nel disegno), le quali si organizzano in una struttura ad anello che consente il movimento dei protoni dallo spazio intermembrana alla matrice, dunque fungono da canale protonico, lungo il loro gradiente elettrochimico Abbiamo poi 1 subunità a, situata nella porzione esterna dell’anello c. La subunità a ha anch’essa un ruolo nel movimento dei protoni lungo il loro gradiente, inoltre connette la regione F0 con la regione F1 attraverso il braccio laterale (in rosa nella figura) che consiste di due catene beta, il quale, attraversando la membrana interna, si connette alla subunità delta di F1 Collegamenti tra F0 e F1 F0 e F1 sono legate tra di loro in due punti da due strutture; dal gambo centrale gamma epsilon, e il braccio esterno composto dalla subunità a di F0, due catene beta e la subunità delta di F1 Regione rotazionale e regione stazionaria La regione rotazionale consiste nell’anello c e nel gambo gamma-epsilon centrale, è chiamata così proprio perché ruota, il resto delle subunità compone la regione stazionaria, la quale non ruota. Lezione 27 - Meccanismo dell’ATPsintasi In questa lezione ci focalizzeremo sulla regione F1 in quanto è quella che contiene la struttura catalitica, ovvero l’anello esamerico alfa 3-beta 3. Questo anello catalizza la formazione di ATP e lo fa in 3 step: nel primo step lega i reagenti adp e l’ortofosfato inorganico, nello step 2 catalizza la loro combinazione a formare il prodotto, l’ATP, nello step 3 l’ATP è rilasciato nel mitocondrio. È importante notare come gli step 1 e 2 possano avvenire senza il flusso protonico, quindi indipendenti dalla regione F0, tuttavia per lo step 3, ovvero il rilascio dell’ATP sintetizzato, è necessario il gradiente elettrochimico protonico, in quanto questo fa ruotare la struttuura c, la struttura gamma-epsilon e solo in questa condizione può avvenire il rilascio di ATP. In una sezione trasversale vedremmo questa struttura, le strutture alfa corrispondono a dove vi è la scritta ATP, le beta alla scritta ADP+Pi. Strutture alfa Sebbene facciano parte dell’anello catalitico, le subunità alfa non hanno un ruolo catalitico e anche se possono legare molecole di ATP (e infatti nel disegno vediamo che hanno legato l’ATP), non lo rilasceranno né porteranno avanti qualche reazione utile. Strutture beta Sono quelle con ruolo catalitico esse legano l’ADP e l’ortofosfato, catalizzano la sintesi dell’ATP e rilasciano lo stesso una volta che la rotazione ha luogo. Le subunità beta, come vediamo dal disegno, possono esistere in tre conformazioni diverse, rispettivamente a quale delle reazioni (step) dev’essere portata avanti. Quindi abbiamo lo stadio teso, lo stadio allentato, e lo stadio aperto (tense, loose, open). Solo nello stadio aperto o stadio O¸ l’ATP formato può essere rilasciato e solo in questo stadio la subunità beta può legare l’ADP e l’ortofosfato. Nello stadio allentato o stadio L, nonostante l’ADP e l’ortofosfato siano legati alla stessa subunità, i reagenti non sono abbastanza vicini l’uno l’altro, per cui non reagiranno per formare le molecole di ATP Nello stadio teso o stadio T, ADP e ortofosfato sono abbastanza vicini l’un l’altro per sintetizzare ATP Rienfatizziamo il fatto che solo nello stadio O l’ATP può essere rilasciato, non nello stadio L o T. Cosa determina lo stadio in cui si trova la subunità beta Guardando l’immagine di sopra, nel passaggio da (1) a (2), l’anello esamerico alfa 3 beta 3 non ruota, ma il gambo centrale, in particolare la struttura gamma, ruota insieme all’anello C, causando il cambiamento conformazionale della subunità beta (nota bene, le subunità alfa non partecipano a questa catalisi). Nell’immagine di sopra vediamo che lo stadio T è tale quando la subunità gamma “punta” verso una subunità beta, quando la subunità beta non è puntata dalla subunità gamma, la subunità beta non è più tesa. Nello stadio T vi è un equilibrio tra ATP e ADP+P Quindi ogni subunità, quando la subunità gamma effettua una rotazione di 120° gradi fa uno switch di conformazione, gli stadi T diventano stadi O, gli stadi L diventano stadi T e gli stadi O diventano stadi L. Una volta avvenuta questa rotazione, quando l’ATP finirà nella subunità beta con stadio O, esso verrà rilasciato e la subunità quindi verrà svuotata (open empty) (2)->(3) Una volta che l’ATP lascia l’open, l’ADP e l’ortofosfato rientrano nella subunità beta a stadio O e riparte il ciclo Questo meccanismo è chiamato binding-change-mechanism.