Uploaded by Marco “HDMoustache” Perrone

Metabolismo del Glucosio: Glicolisi e Gluconeogenesi

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Capitolo 1
Metabolismo del glucosio, introduzione
Il metabolismo del glucosio è il processo attraverso il quale il nostro corpo prova a trasformare l’energia
presente nei legami chimici delle molecole di zucchero in ATP.
Tipi di processi metabolici del metabolismo del glucosio
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Glicolisi: è il processo attraverso il quale le molecole di glucosio presenti nel citoplasma vengono
scisse a molecole di piruvato. Il risultato netto della glicolisi sono 2 ATP che possono essere utilizzati
dalla cellula. La glicolisi è un processo anaerobico, ovvero non richiede ossigeno per avvenire.
in condizioni anaerobiche il piruvato andrà incontro a fermentazione, alcune cellule in natura fanno
fermentazione alcolica, che produce etanolo; altri organismi, per esempio le cellule del nostro
corpo, vanno incontro alla fermentazione lattacida, che trasforma il piruvato nella base coniugata
dell’acido lattico, il lattato.
Respirazione cellulare aerobica: in condizioni aerobiche il piruvato migrerà nel mitocondrio della
cellula e dentro il mitocondrio vi sono dei processi come decarbossilizzazione del piruvato, ciclo
acido citrico e la catena di trasporto degli elettroni trovata sulla membrana mitocondriale,
utilizzerà questi ossigeni per trasformare i piruvati in CO2 e ATP; infatti la maggioranza degli ATP
fatti dalle nostre cellule sono prodotti da processi che hanno luogo all’interno del nostro
mitocondrio. L’insieme di questi processi è chiamata respirazione cellulare aerobica, la
respirazione cellulare aerobica non include solo i processi appena visti, ma anche la glicolisi stessa.
Regolazione della produzione di ATP – gluconeogenesi
Se la cellula ha già abbastanza ATP e non vuole produrne ulteriormente, la cellula non vuole più scindere
molecole di glucosio, ma vuole conservarle in una forma dove non saranno distrutte. Per cui la cellula
prenderà la singola molecola di glucosio e la trasformerà nella sua forma polisaccaridica chiamata
glicogeno.
Le molecole di piruvato e quelle di lattato, verranno ritrasformate di nuovo in glucosio e il glucosio verrà
trasformato in glicogeno. Il processo attraverso il quale trasformiamo queste molecole di nuovo in glucosio
è chiamato gluconeogenesi.
La regolazione avviene in questo modo: la glicolisi e la gluconeogenesi possono essere considerati come
due processi inversi, una forma piruvato a partire dal glucosio, l’altra forma glucosio a partire dal piruvato.
Se la cellula ha bisogno di produrre piruvato/ATP, “spegne” la via di gluconeogenesi, se invece non ha
bisogno di produrre ATP, “spegne” la glicolisi. La glicolisi e la gluconeogenesi non avvengono mai allo stesso
momento nella stessa cellula.
Glucosio e dieta
Il glucosio arriva nel nostro corpo attraverso l’ingestione di cibo, per cui se noi mangiamo un pasto ricco di
carboidrati, introduciamo glucosio nel nostro corpo.
I carboidrati che introduciamo nel nostro corpo sono principalmente di due tipi: polisaccaridi provenienti
dalle piante e polisaccaridi provenienti dagli animali.
Contrariamente a quanto si pensa, anche la carne contiene carboidrati, sotto forma di glicogeno.
Altri alimenti di origine animale, come per esempio la pasta, il pane o i cereali, contengono polisaccaridi
vegetali, per cui ciò che stiamo ingerendo è amido. Vi sono due tipi di amido: amilosi e amilopectina;
l’amilosi ha una struttura elicoidale di base e l’amilopectina, come il glicogeno per il glucosio, è una forma
ramificata dell’amilosi.
Degradazione dei polisaccaridi assunti dalla dieta
Questi polisaccaridi sono troppo grandi per entrare nelle nostre cellule, muoversi, ed essere trasportati nel
plasma. Quindi prima che questi polisaccaridi entrino nel plasma sanguigno e nelle nostre cellule, devono
essere scissi in componenti più piccoli, ovvero in molecole di glucosio, affinché le cellule possano assimilare
questo glucosio e utilizzarlo per i processi prima introdotti.
Gli enzimi che degradano questi carboidrati nella loro forma individuale monomerica sono di diverso tipo,
ne ricordiamo 7:
Bocca:
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Alfa-amilasi salivare: la saliva contiene un enzima digestivo proteasi speciale, chiamato alfa amilasi.
L’alfa amilasi taglia i legami alfa 1-4 glicosidici che esistono nell’amido e nel glicogeno. Il cleavege
(taglio) di questo legame alfa 1-4 glicosidico, scinde i polisaccaridi in polisaccaridi e oligosaccaridi
più piccoli
Stomaco: Nello stomaco non si rompe nessun legame glicosidico
Piccolo intestino: qui è dove il resto della digestione ha effettivamente luogo
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Alfa-amilasi pancreatica: prodotto dal pancreas, è un enzima molto più potente della alfa amilasi
salivare. Anch’esso taglia i legami alfa 1-4 glicosidici, tuttavia questi tagliano il polisaccaride fino a
disaccaride o trisaccaride; nel caso dell’amido e del glicogeno, noi tagliamo questi polisaccaridi in
maltosio, un disaccaride che consiste di due glucosi o maltotriosio, un trisaccaride che consiste di
tre glucosi.
Maltasi, alfa glucosidasi, alfa destrinasi, saccarasi e lattasi: prodotti dalle vescicole secretorie delle
cellule del piccolo intestino (eritrociti), tutti questi enzimi sono specifici per il tipo di molecole e il
tipo di legame che vanno a tagliare:
La maltasi, prodotte dalle cellule dell’epitelio a spazzola, rompono il maltosio in due glucosi; il
maltosio a sua volta era stato scisso dalle alfa amilasi pancreatiche;
Alfa glucosidasi: il maltotriosio viene invece scisso dalla alfa glucosidasi che scinde il maltotriosio in
tre molecole di glucosio
Alfa destrinasi: se noi ingeriamo la versione amilopectina dell’amido o il glicogeno, questi
polisaccaridi non hanno solo i legami alfa 1-4 glicosidici, ma anche i legami alfa 1-6 glicosidici, le
alfa amilasi salivari e pancreatiche, non possono rompere questi ultimi legami, per cui in seguito a
queste fasi digestive, avremo un residuo chiamato limite-destrino, questo residuo presenterà il
legame alfa 1-6 glicosidico e per scinderlo abbiamo bisogno appunto delle alfa destsrinasi.
Altri monosaccaridi: il glucosio non è l’unico monosaccaride che possiamo trovare nel nostro corpo, ma
possiamo avere anche altri monosaccaridi, per esempio il galattosio, il fruttosio… avremo altri tipi di enzimi
per loro:
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Saccarasi (o invertasi): rompe i legami glicosidici del saccarosio, ovvero un disaccaride formato dal
legame tra il fruttosio e il glucosio. Il saccarosio è presente nelle piante
Lattasi: la lattasi è un enzima digestivo che rompe il lattosio, il lattosio è un disaccaride che consiste
in un galattosio e un glucosio legati tra di loro. Il lattosio proviene dai derivati del latte.
Solo dopo che i vari tri/di-saccaridi sono scissi a glucosio possono essere captati dalle cellule, entrando
nel loro citoplasma e dar luogo ai processi metabolici menzionati all’inizio. Questo avviene attraverso
un particolare trasportatore di glucosio che vedremo nelle prossime lezioni
Lezione 2
Stadio 1 della glicolisi
La glicolisi, conosciuta anche col nome di “pathway glicolitico” o “via glicolitica”, è costituita da vari step e
da tre stadi.
In questa lezione ci occuperemo dello stadio 1, tuttavia prima di iniziare a parlare di questo, vediamo
brevemente gli obiettivi dei tre stadi.
Obiettivo stadio 1
Lo stage 1 mira a “intrappolare” il glucosio nel citoplasma affinché il glucosio non lasci la cellula e
destabilizza la molecola di glucosio. Destabilizzandola, la molecola di glucosio aumenta la sua quantità
totale di energia così da diventare più reattiva; ciò la prepara allo stadio 2.
Obiettivo stadio 2
Nello stadio 2 degradiamo la molecola di glucosio destabilizzata proveniente dallo stadio 1 in due
componenti.
Obiettivo stadio 3
Nello stadio 3, ossidiamo queste due componenti provenienti dallo stadio 2, tale ossidazione ci permette di
ricavare l’energia da queste due molecole sotto forma di ATP. Oltre all’ATP formiamo anche il piruvato e il
NADH
Stage 1 (Stadio 1)
L’obiettivo di questo stadio è quello di trasformare la molecola di glucosio in fruttosio 1-6 bifosfato.
Lo stage 1 può essere suddiviso in 3 steps: nel primo step fosforiliamo uno dei carboni del glucosio, nel
secondo step trasformiamo il glucosio in un isomero chiamato fruttosio, nello step 3 aggiungiamo un
gruppo fosfato al fruttosio
Step 1
Una volta che il glucosio è entrato nel citoplasma della cellula, un enzima speciale di protein-chinasi che noi
chiamiamo esochinasi, catalizza l’aggiunta di un gruppo fosfato da una molecola di ATP sul carbonio
numero 6 di questo glucosio, per cui il carbonio numero 6 guadagna un gruppo fosforico grazie alla
catalizzazione dell’esochinasi.
Perché lo step 1?
Prima di descrivere l’esochinasi nel dettaglio, vediamo il perché dello step 1; ci sono due ragioni specifiche
per le quali dobbiamo aggiungere un gruppo fosfato al glucosio:
1) Vogliamo intrappolare il glucosio nel citoplasma della cellula, per cui aggiungendo il gruppo
fosforico sul carbonio numero 6 noi cambiamo la struttura della molecola di glucosio
trasformandola in glucosio 6 fosfato, rendendo la molecola molto più polare, in quanto contiene
una carica negativa di 2 presso il carbonio 6. Grazie a questa polarità appena acquisita, i
trasportatori di glucosio che erano in grado di trasportare il glucosio all’interno della cellula o
all’esterno della cellula, ora non possono legarsi al glucosio 6 fosfato a causa di questa
componente carica negativamente, per cui è intrappolato nella cellula.
2) La seconda ragione dello step 1 è che qui si inizia a destabilizzare la molecola di glucosio, ogni volta
che si aggiunge una carica infatti, si destabilizza la struttura; ciò significa che il glucosio 6 fosfato è
più reattivo e meno stabile del glucosio normale, per cui il G6F può reagire e scindersi in
componenti più piccole.
Come già detto, il glucosio una volta entrato nel citoplasma, subisce un processo di fosforilazione sul
carbonio 6. L’esochinasi aggiunge un gruppo fosfato sul carbonio 6 prendendolo dall’ATP, per cui come
prodotto finale avremo il G6F e l’ADP.
Questo step dunque consuma una molecola di ATP.
Esochinasi
L’esochinasi è una protein-chinasi che catalizza l’addizione di un gruppo fosfato su uno zucchero esoso (per
cui il prefisso “eso”), ovvero con 6 carboni. Come tutte le protein-chinasi, anche l’esochinasi ha bisogno di
un atomo metallico divalente per funzionare in modo efficiente, come per esempio il magniesio 2+ (Mg 2+)
o il manganese 2+ (Mn2+).
Questi ioni divalenti interagiscono con la molecola di ATP , cambiandone la conformazione, rendendoli
perfetti per entrare nel sito attivo dell’esochinasi e prendere parte a questa reazione
Nell’immagine di sopra vediamo l’esochinasi. Prima che il legame col glucosio avvenga, l’esochinasi ha due
domini e questi due domini sono relativamente distanti l’uno dall’altro. Quando il glucosio entra nel sito
attivo dell’esochinasi, i suoi domini ruotano l’uno verso l’altro di circa 12° e mentre ruotano creano questo
spazio perfetto per il glucosio, dove esso si incastonerà.
Mentre l’esochinasi si “chiude”, essa “schiaccia” tutte le molecole d’acqua all’esterno del suo sito di legame
col glucosio, rimuovendole tutte dal sito attivo, creando l’ambiente perfetto per catalizzare la reazione di
fosforilazione.
Perché bisogna rimuovere l’acqua dal sito attivo dell’esochinasi
Ogni volta che abbiamo una molecola di ATP (in questo caso si trova anch’essa nel sito attivo dove avviene
la reazione) e una molecola d’acqua nelle immediate prossimità dell’ATP, lo ATP risulta non molto stabile e
la molecola d’acqua tenderà ad idrolizzarlo da ATP ad ADP. Creando questo ambiente senz’acqua previene
le reazioni di idrolisi che sarebbero causate dall’acqua stessa, per cui l’ATP è libero di trasferire il suo
gruppo fosfato sulla molecola di glucosio, producendo l’ADP.
Ricapitolando, Il movimento del glucosio nel sito attivo dell’esochinasi fa si che i due domini di quest’ultima
intraruotino di circa 12° gradi l’uno verso l’altro, muovendosi di circa 10 Ångström (Å), e il glucosio viene
chiuso nel sito attivo, si viene a creare pertanto l’induced fit (la modifica della forma del sito attivo,
perfetta per il glucosio). L’induced fit “sigilla” il glucosio e fa sì che venga rimossa tutta l’acqua dal sito
attivo e posiziona il carbonio 6 proprio accanto all’ATP , prevenendo l’idrolisi prematura dell’ATP da parte
della molecola d’acqua; infatti se l’ATP fosse idrolizzato dall’acqua prima del trasferimento del gruppo
fosforico sul glucosio, avremmo un ADP al posto dell’ATP, e l’ADP non sarebbe in grado di trasferire il
gruppo fosfato.
Step 2 – isomerizzazione
Una volta formato il glucosio 6 fosfato, il prossimo step sarà trasformare il glucosio 6F in fruttosio. Per
trasformarsi in fruttosio il G6F deve aprirsi nella sua conformazione a catena aperta in quanto, quando le
molecole di zucchero esistono nella loro conformazione ciclica (chiusa), tipicamente non reagiscono in
quanto il gruppo aldeico o il gruppo chetonico non è esposto, per cui un enzima speciale chiamato
fosfogluco-isomerasi, apre questa struttura ciclica, formando la conformazione a catena aperta. Questa
conformazione espone il gruppo aldeico reattivo (gruppo aldeico = gruppo carbonilico).
Il prossimo passaggio di questa reazione sarà, come vediamo in figura, la trasformazione di questo glucosio
a catena aperta in fruttosio a catena aperta, trasformando il gruppo aldeico (carbossilico) in gruppo
chetonico
Infine, come ultimo step avremo la trasformazione di questo fruttosio con struttura a catena aperta nella
sua struttura ciclica a catena chiusa
Questo prodotto è chiamato fruttosio 6 fosfato (F6P), questo step ha quindi fatto sì che si trasformasse un
aldoso in un chetoso
Step 3 – seconda fosforilazione
L’aggiunta del primo gruppo fosfato avvenuto nello step 1 non è abbastanza per destabilizzare abbastanza
la nostra molecola, per cui lo si destabilizza ulteriormente attraverso un enzima chiamata
fosfofruttochinasi (PFK) che catalizza l’aggiunta di un altro gruppo fosfato sul carbonio 1 del nostro F6P,
per cui abbiamo 2 gruppi fosfato nel nostro fruttosio, che si chiamerà fruttosio 1,6 bifosfato. Proprio come
la reazione dell’esochinasi, anche questa richiede ATP, producendo ADP.
Lo step 3 è molto importante in quanto una volta che esso è stato attuato, il glucosio è destinato a
continuare il pathway glicolitico. Infatti prima che lo step 3 avvenga, il nostro zucchero può ancora essere
immagazzinato sotto forma di glicogeno, ma una volta avvenuto lo step 3, ciò non può più avvenire.
Il fruttosio 1,6 fosfato sarà quindi estremamente reattivo e potrà essere tagliato nelle sue componenti nello
stage 2
Lo stage 1 in definitiva consuma 2 ATP senza produrne alcuna.
Lezione 3 – Stadio 2 della glicolisi (steps 4 e 5)
Nello step 3 abbiamo formato il fruttosio 1,6 bifosfato, con i due gruppi fosfati esso è abbastanza reattivo
da poter prendere parte allo stage 2.
Obiettivo dello stage 2
L’obiettivo dello stage 2 è quello di scindere il fruttosio 1,6 bifosfato in 2 molecole carboniose identiche
chiamate gliceraldeide 3 fosfato o GAP. In questo stage abbiamo due processi diversi, per cui utilizzeremo
due enzimi diversi tra loro: uno è aldolasi e l’altro è trioso fosfato isomerasi
Step 4 - Aldolasi
L’aldolasi è l’enzima che catalizza la scissione del fruttosio 1,6 bifosfato (P16BF) in due molecole a tre atomi
di carbonio diverse.
Quindi, appena si forma il fruttosio 1,6 bifosfato alla fine dello stage 1, l’aldolasi si muove nell’area dove il
P16BF è stato formato.
Prima che l’aldolasi possa catalizzare la sua reazione, il P16BF dev’essere trasformato dalla sua forma ciclica
alla sua forma a catena aperta; in questa forma l’aldolasi può tagliare il legame segnato in rosso in figura.
Nell’immagine di sopra, vediamo che la molecola a catena aperta presenta diversi colori, la regione di sotto
è viola, quella di sopra azzurrina; col taglio del legame in rosso da parte dell’aldolasi
La parte viola diventerà la gliceraldeide-3-fosfato (GAP)
La parte azzurrina diventerà il diidrossiacetone fosfato (DHAP)
Il perché dell’isomerizzazione a fruttosio nello stage 1
La motivazione per la quale il glucosio viene isomerizzato a fruttosio nello step 2 dello stage 1, è perché
nello step precedente appena visto, grazie, appunto, alla sua trasformazione a fruttosio, possiamo produrre
2 molecole a tre carboni. Infatti se il glucosio non fosse stato trasformato in fruttosio e fosse arrivato lui al
posto del fruttosio nello step 4, avremmo formato due molecole, una a due atomi di carbonio e un’altra a 4
atomi di carbonio.
Fino ad ora uno solo dei due prodotti formati dall’aldolasi, è il prodotto finale dello stage 2, cioè la
gliceraldeide 3 fosfato; questo prodotto andrà direttamente nello stage 3, senza subire ulteriori modifiche.
Il DHAP invece non è in grado di passare direttamente allo stage 3, per cui sarà necessario che esso subisca
alcune modifiche; se infatti non venisse modificato, esso non verrebbe utilizzato per formare gli ATP
Step 5 – isomerizzazione del DHAP in GAP
Il DHAP e il GAP sono molecole isomeriche. L’enzima che catalizza l’isomerizzazione del DHAP in GAP è il
triosio-fosfato-isomerasi (TPI)
La reazione è rapida e reversibile.
Una volta che l’equilibrio è stato raggiunto, il DHAP esiste come molecola predominante, infatti il 96% delle
molecole saranno DHAP e solo il 4% saranno isomerizzate in GAP. Questo tuttavia non è un problema, in
quanto, una volta che il GAP sarà trasferito nello stage 3, il gradiente si sposterà dal lato del prodotto e il
DHAP restante continuerà ad essere trasformato in GAP (in pratica, noi togliamo il GAP isomerizzato dal
DHAP dallo step 5 e lo buttiamo nello stage 3, sparito il GAP, il DHAP continua ad essere isomerizzato)
Azione del TPI
L’obiettivo di questa reazione è il
trasferimento dell’H del carbonio 1 del DHAP
sul carbonio 2, questa non è altro che una
reazione di ossidoriduzione, il TPI
praticamente trasforma un chetoso in un
carbossilico attraverso il trasferimento dell’H dal carbonio 1 al carbonio 2.
Vediamo però cosa accade nel sito attivo dell’enzima: Nel sito attivo vi sono in pratica due residui catalitici
che catalizzano questa reazione, questi catalizzano attraverso una reazione acido-base. I due residui
catalitici sono il Glu165 e His95. Il Glu 165 nel primo passaggio della reazione agisce come base e l’His95
agisce come acido:
Passaggio 1: His95 dona un H al carbonio come vediamo in figura e allo stesso tempo il Glu165 prende un H.
Quando il secondo H viene preso si forma un doppio legame tra il carbonio 1 e il carbonio 2 , formando un
intermedio chiamato enediolo intermedio in quanto contiene due gruppi alcolici (due ossidrili legati allo
stesso doppio legame)
Nota bene, la molecola vista nella prima figura del diagramma sopra riportato, non è altro che il DHAP visto
“sotto sopra”
Passaggio 2: L’azoto (N) del His95, che ha appena perso un idrogeno, agisce da base, prendendo l’idrogeno
dall’ossigeno del carbonio 1, formando un altro intermedio non molto stabile (in basso al destra nel
diagramma in figura)
Passaggio 3: l’itermedio appena formatosi non è molto stabile in quanto contiene una carica negativa
sull’ossigeno e quindi la carica negativa vuole “andare via”.
Passaggio 4: Quindi l’elettrone forma un doppio legame con l’ossigeno e allo stesso tempo si rompe il
doppio legame tra il carbonio 1 e 2, e gli elettroni liberatisi dal doppio legame appena rotto, prendono
l’idrogeno che prima era stato preso dal Glu165, questo era lo stesso idrogeno che prima era legato al
carbonio 1, che ora si sarà legato al carbonio numero 2. Qui abbiamo formato il GAP e abbiamo anche
riformato i due residui catalitici dell’enzima
Effetti del TPI: L’azione del TPI fa sì che:
Aumenta la velocità della reazione di isomerizzazione di circa 10 miliardi di volte (per questo diciamo che la
reazione è molto rapida)
Inoltre fa sì che alcune reazioni
competitive non abbiano luogo,
come quella in figura. Infatti se
non avessimo l’enzima lì, il
DHAP, invece di isomerizzarsi,
subirebbe una reazione 100 volte più probabile dell’isomerizzazione, che è quella in figura
Quindi a conclusione dello stage 2 avremo 2 gliceraldeide-3-fosfato
Lezione 4
Stage 3 della glicolisi (step 6 e 7)
Il terzo stadio è l’ultimo della glicolisi, esso è composto da 5 step ( 6,7,8,9 e 10), in questa lezione però ci
focalizzeremo solo sugli step 6 e 7
Una volta formato il GAP, essa va nello stage 3, qui noi ricaviamo un po’ di energia immagazzinata nei legami
chimici della GAP e utilizziamo tale energia per formare ATP, NADH e piruvato.
Il motivo per cui formiamo NADH e piruvato è perché questi, in condizioni aerobiche, possono muoversi nel
mitocondrio e, attraverso alcuni processi, formare molto più ATP; ci focalizzeremo su questi processi però
nelle lezioni future.
Step 6 – conversione del GAP in 1,3 Bifosfoglicerato (1,3BPG)
Il primo step dello stage 3 è la conversione del GAP in 1,3 Bifosfoglicerato (BPG), l’enzima che catalizza questa
reazione è la gliceraldeide-3-fosfato-deidrogenasi (GAPdeidrogenasi), questo enzima catalizza il
trasferimento di un idruro (idrogeno con due elettroni) da una molecola ad un’altra, così che la molecola che
perde l’idruro è ossidata, in quanto perde elettroni, e la molecola che guadagna l’idruro è ridotta, in quanto
guadagna elettroni.
Osserviamo la figura e nota bene, abbiamo due GAP in realtà, ne abbiamo mostrato uno per semplificare, ma
per valutare il prodotto finale dovremmo moltiplicare per 2.
In questa reazione abbiamo la GAP, che è la molecola substrato del nostro enzima GAPdeidrogenasi;
Abbiamo poi il NAD+, la sigla NAD sta per nicotinammide adenina dinucleotide e il “+” sta a significare che
si trova nella sua forma ossidata, che poi verrà ridotto in NADH. NAD+ è il coenzima della GAPdeidrogenasi.
Abbiamo anche del fosfato inorganico (detto anche ortofosfato) Pi
Quello che avviene nella reazione è che l’idrato è trasferito al NAD+, formando la versione ridotta NADH, il
fosfato inorganico si lega al carbonio 1 formando l’1,3bifosfoglicerato
Cosa accade nel sito attivo della GAPdeidrogenasi
Ci sono due portanti residui catalitici nel sito attivo della GAPdeidrogenasi, la cisteina149 (Cys149) e
l’istidina176 (His176):
1) La GAP si muove nel sito attivo dell’enzima insieme al NAD+; senza il NAD+ l’enzima non
funzionerebbe. Come possiamo vedere in figura il NAD+ ha il suo gruppo R, il suo anello a sei atomi,
e una carica positiva centrale delocalizzata tra atomi differenti
2) Il gruppo salino idrossile della Cys attacca il carbonio 1 del substrato, rompendo il doppio legame e
gli elettroni liberati si legano all’H in viola, formando una molecola tetraedrica chiamata
emitioacetale
3) I due elettroni sull’azoto dell’His176 a questo punto, agiscono come base, prendendo l’idrogeno sul
carbonio 1 e allo stesso tempo l’idruro si slega dal substrato e viene attratto dalla carica positiva del
NAD+, il quale diventa NADH, questa è la reazione di ossidoriduzione; NAD+ è ridotto in NADH,
perdendo la carica positiva e il substrato diventa un intermedio tioestere
4) Abbiamo formato il NADH, il quale lascerà il sito attivo dell’enzima, lasciando il posto ad un altro
NAD+, il quale non avrà il ruolo di prendere l’idruro, ma utilizzerà la sua carica positiva per
depolarizzare e indebolire i legami dell’intermedio tioestere
5) Nell’ultimo step il fosfato inorganico (ortofosfato) entra nel sito attivo e attacca i legami indeboliti
del tioestere da parte del NADH, legandosi e formando l’1-3bifosfoglicerato
Se non avessimo l’enzima GAP
deidrogenasi, la reazione non
catalizzata potrebbe essere scissa
in due reazioni, come in figura, la
ossidoriduzione
dove
trasformeremmo la GAP in un acido carbossilico, utilizzando acqua, che donerebbe un gruppo idrossile che
ridurrebbe il NAD+, formando il NADH, l’H+ che viene dall’acqua e l’acido carbossilico. Questa reazione è
spontanea e in assenza di enzima, sarebbe preferenziale.
Nella seconda l’acido carbossilico
reagirebbe
con
il
fosfato
inorganico formando il prodotto
finale 1,3BPG + una molecola
d’acqua, sommando le due
reazioni, le due molecole d’acqua
si semplificano e otteniamo lo stesso risultato della reazione netta che avverrebbe con la GAPdeidrogenasi.
Il problema della seconda reazione è che questa è endoergonica, non spontanea, quindi quando avviene
utilizza circa 50Kj per mole di energia; questa seconda reazione non avviene se non catalizzata. Questo
perché, una volta che il GAP si trasforma in un acido carbossilico, quest’ultimo è estremamente stabile ed ha
un’energia estremamente bassa, per cui non andrà a formare quel prodotto finale 1,3BPG. Guardando il
diagramma sottostante, ci rendiamo conto di quanto sia bassa l’energia dell’acido carbossilico
Nel diagramma vediamo che (B), ovvero
l’acido carbossilico richiede una
quantità di energia altissima per
diventare C, ovvero 1,3BPG, in quanto
appunto, l’acido carbossilico è molto
stabile. Nel diagramma a destra
vediamo invece come la quantità di
energia necessaria per il tioestere per
arrivare a C è molto minore, in quanto
quest’ultimo è molto meno stabile e ha un’energia molto più alta.
Quindi per ora abbiamo formato 2 NADH+H+ e 2 1,3BPG (perché come abbiamo detto all’inizio, bisogna
moltiplicare per 2)
Step 7 – trasferimento del gruppo fosforico dal 1,3BPG all’ADP
In questo step facciamo reagire una molecola di 1,3BPG in presenza di una molecola di ADP
Lezione 5 – stage 3 della glicolisi (step 8,9,10)
Step 8
Lo step 8 dello stadio 3 inizia con il 3fosfoglicerato
Un enzima chiamato fosfoglicerato mutasi catalizza il trasferimento del gruppo fosforico dal carbonio 3 al
carbonio 2 per cui passiamo dal 3fosfoglicerato al 2fosfoglicerato
Per mutasi si intende un enzima che catalizza una reazione dove un gruppo si sposta da un tipo di molecola
su un punto diverso di quella molecola. In questo caso specifico, la mutasi è una “fosfoglicerato” mutasi,
muove quindi un gruppo fosfato nella stessa molecola di fosfoglicerato dal carbonio 3 al carbonio 2 della
stessa.
Questa appena vista è la reazione netta, tuttavia non è così semplice, perché abbiamo un’altra molecola
molto importante coinvolta presente in quantità catalitiche (basse quantità) e questa molecola è il
2,3Bifosfoglicerato (2,3BPG). Questa molecola è un intermedio nel processo di glicolisi ha inoltre anche la
capacità di modificare l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno.
Funzione della 2,3BPG nella reazione della PGmutasi
La reazione della PGmutasi non ha luogo con un singolo passaggio, ma richiede la presenza una quantità
catalitica di 2,3BPG. Il suo compito è quello di mantenere l’aminoacido catalitico di istidina nella sua forma
attiva fosforilata nel sito attivo della PGmutasi.
In pratica se osserveremmo il sito attivo della PGmutasi, vedremmo un residuo catalitico di istidina e per
essere in grado di catalizzare la reazione stessa della PGmutasi quella istidina dev’essere modificata con
l’aggiunta di un gruppo fosfato. Guardiamo queste due reazioni
Nello step 1) abbiamo abbiamo la PGmutasi e nel sito attivo dell’enzima l’istidina che è stata modificata con
l’aggiunta di un gruppo fosforico, quindi in questo step quello che succede è che il 3PG si muove nel sito
attivo e l’enzima trasferisce il gruppo fosforico dall’istidina sul secondo carbonio del 3PG, formando il 2,3BPG
e l’enzima con l’istidina non modificata (senza gruppo fosforico).
Il 2,3BPG è solo presente in piccolissime quantità perché nello step 2) reagisce con lo stesso complesso di
istidina in una reazione leggermente diversa; dalla figura vediamo che nello step 2) abbiamo lo stesso
enzima+istidina e lo stesso 2,3BPG del prodotto finale dello step 1, tuttavia ora, invece di rimuovere il gruppo
fosforico dal carbonio 2, va a prendere il gruppo fosforico dal carbonio 3. Una volta preso questo gruppo
fosforico noi rigeneriamo il complesso enzima-istidina col gruppo fosfato modificato e formiamo il prodotto
finlae, il 2PG (2fosfoglicerato). Se sommiamo i 2 step di questa reazione otteniamo il prodotto finale prima
menzionato.
Il 2,3BPG quindi è un prodotto che esisterà solo per un breve periodo di tempo in quanto non è molto stabile
poiché ha troppe cariche vicine l’una l’altra, quindi alta energia, per cui una volta formato ha due possibilità:
o torna indietro e riforma il complesso enzima-istidina modificato col fosfato + 3PG, oppure forma l’ultima
reazione appena vista, formando il 2PG
Perché lo step 8?
Il motivo per cui avviene lo step 8 è per rendere la molecola leggermente più reattiva, ma perché il 2PG è
più reattivo del 3PG? La risposta è che nel caso del 3PG, la carica negativa del carbonio 3 è posizionata più
lontana dalla carica negativa del carbonio 1 rispetto alla carica negativa del carbonio 2 del 2PG che è più
vicina al carbonio 1 rispetto a quella del carbonio 3 del 3PG
Step 9
L’obiettivo dello step 9 è aumentare il potenziale di trasferimento del gruppo fosforico del 2PG; quindi
vogliamo trasformare il 2PG in una molecola che è più capace di trasferire il gruppo fosforico su un ADP per
formare un ATP e infine il piruvato nello step 5
In questo step dunque abbiamo un enzima chiamato enolasi che converte il 2PG in un fosfoenolpiruvato
(PEP) .
Come possiamo vedere nell’immagine, i “bersagli” di questa reazione sono l’H legato al carbonio 2, il gruppo
OH legato al carbonio 3, e anche il legame dell’H col carbonio numero 2. L’enolasi catalizza una reazione di
deidratazione dove l’H e l’OH andranno a formare una molecola d’acqua e il legame che il carbonio 3 aveva
con l’idrogeno si rompe e si forma un doppio legame tra il carbonio numero 2 e il carbonio numero 3.
Questo enzima si chiama enolasi perché forma un enolo.
Questa reazione di deidratazione aumenta il potenziale di trasferimento del gruppo fosfato, quindi il PEP ha
più possibilità di trasferire un gruppo fosfato rispetto al 2PG
Step 10
In quest’ultimo step della glicolisi l’obiettivo è formare una molecola di ATP e il piruvato.
Come possiamo vedere dall’immagine di sopra, il “bersaglio” di quest’ultima reazione catalizzata dalla
piruvato chinasi è il gruppo fosforico del carbonio 2 che verrà trasferito all’ADP per formare ATP.
Il PEP in presenza dell’ADP tende a reagire molto.
Ricordiamo dalla chimica organica che se compariamo la stabilità dei chetoni e delle molecole enoliche i
chetoni sono molto più stabili degli enoli; questo significa che il PEP è poco stabile e vuole trasformarsi in un
chetone più stabile ma non può trasformarsi in quanto l’ossigeno del carbonio 2 manca di un atomo di
idrogeno; se rimpiazzassimo il gruppo fosforico con un atomo di idrogeno, esso sarebbe in grado di
trasformarsi spontaneamente in una forma chetonica più stabile ed è esattamente ciò che accade in questa
reazione.
Quindi, dato che il PEP ha un potenziale di trasferimento del gruppo fosforico altissimo, persino più alto
dell’ATP, in presenza dell’ADP il gruppo fosforico del PEP sarà trasferito all’ADP in presenza di un ione H+ che
si andrà a legare all’ossigeno legato al carbonio 2, formando il piruvato in forma enolica e un ATP.
Abbiamo detto poco fa che un enolo si trasformerà in chetone se ha la possibilità di farlo, in quanto il chetone
è più stabile termodinamicamente e ha un’energia più bassa, per cui una volta formato il piruvato nella sua
forma enolica, esso spontaneamente e rapidamente si trasformerà in piruvato in forma chetonica.
Dato che parliamo sempre 2 due molecole che vanno nel pathway, il nostro prodotto finale dello stage 3 sarà
4 molecole di ATP e 2 molecole di piruvato; tuttavia poiché abbiamo utilizzato 2 ATP nello stage 1, noi
abbiamo una quantità netta di 2 ATP prodotti per singola molecola di glucosio.
Lezione 6 – etanolo e fermentazione dell’acido lattico
La glicolisi non è un processo infinito; osserviamo lo step 6, all’inizio dello stage 3, quando ossidiamo la
gliceraldeide 3 fosfato (GAP) in 3BPG con la GAP deidrogenasi.
La GAP deidrogenasi per funzionare ha bisogno del NAD+; se il NAD+ non fosse disponibile nella cellula,
questo processo, con l’intera glicolisi, si fermerebbe. Il problema con lo step 6 dunque è che una volta
trasformato il NAD+ in NADH, il NAD+ non si rigenera, e poiché le nostre cellule hanno una fornitura limitata
di NAD+ (e il NAD+ è un derivato della niacina, ovvero la vitamina B3) il processo di glicolisi si fermerebbe
una volta esaurito il nicotinamide adenina dinucleotide (NAD+) .
Affinché ciò non avvenga, c’è bisogno di un processo per rigenerare questo coenzima necessario per l’attività
della GAB deidrogenasi che catalizza lo step 6 della glicolisi
La cellula rigenera il NAD+ metabolizzando le molecole di piruvato prodotte alla fine della glicolisi.
Ci sono due pathway per rigenerare il piruvato, un pathway aerobico e un pathway anaerobico
Nel pathway aerobico, ovvero in presenza di ossigeno, il piruvato entrerà nel mitocondrio e sarà degradato
ad acetil coenzima A, quest’ultima andrà nel ciclo dell’acido citrico e utilizzerà la catena di trasporto di
elettroni per rigenerare i NAD+, ma ci occuperemo di questo in lezioni successive.
In questa lezione ci focalizzeremo sul processo anaerobico, questo avviene in assenza di ossigeno e si
chiama fermentazione
Fermentazione
Ci sono tantissimi tipi di fermentazione, tuttavia i più comuni sono quelli che producono lattato oppure
etanolo a partire dal piruvato. Questi vengono chiamati rispettivamente fermentazione lattacida, nel caso
della produzione di lattato (che è la base coniugata dell’acido lattico), e fermentazione alcolica (o
etanolica) nel caso della produzione di etanolo
Fermentazione alcolica
I lieviti e le cellule batteriche utilizzano il processo di fermentazione alcolica per riformare i NAD+. Qui il
piruvato si trasforma in etanolo e questo processo richiede due step:
Step 1 della fermentazione alcolica, decarbossilazione
Il primo step è la
decarbossilazione e l’enzima
che catalizza questa reazione
è la piruvato decarbossilasi .
Dunque abbiamo la molecola
di piruvato in presenza di
uno ione H+ e un coenzima chiamato tiamina pirofosfato; la tiamina non è altro che la vitamina b1, per cui
la tiamina pirofosfato è un derivato della vitamina b1.
Quello che succede in questa reazione è che si rompe il legame tra il carbonio 1 e il carbonio 2, lo ione
idrogeno si lega al carbonio 2 e il diossido di carbonio (anidride carbonica, in azzurro) viene liberato
nell’ambiente in forma gassosa.
Il prodotto di questa reazione è acetilaldeide e il rilascio di CO2
Nel prossimo step produrremo l’etanolo
Step 2 della fermentazione alcolica: produzione di etanolo
Nello step 2 utilizziamo un enzima differente, l’alcol-deidrogenasi. Come ogni deidrogenasi, anche questa
andrà a catalizzare il trasferimento di un idruro e lo farà a partire da un H+ e da un NADH.
Nel sito attivo dell’alcol deidrogenasi abbiamo uno ione zinco, questo interagisce col sito attivo dell’enzima,
oppure, se vogliamo essere più precisi, con due residui di cisteina e un residuo di istidina nel sito attivo.
Una volta legatosi al sito attivo, interagisce con la molecola substrato, l’acetilaldeide, polarizza e
indebolisce il doppio legame C=O, così che l’H del NADH si legherà al carbonio e l’H+ si legherà
all’ossigeno, formando etanolo e rigenerando NAD+
Dato che alla fine della glicolisi formiamo due piruvati, per calcolare il prodotto totale dobbiamo
moltiplicare per 2; l’equazione netta della fermentazione alcolica è la seguente
Il NAD+ non appare in questa equazione in quanto viene “cancellato” perché lo troviamo da entrambi i lati
dell’equazione
Fermentazione lattacida
La fermentazione lattacida è utilizzata da tante cellule procariotiche, ma anche dalle cellule eucariotiche,
come le stesse cellule umane.
In particolare nell’uomo, la fermentazione lattacida è utilizzata in particolari condizioni, per esempio
quando ci alleniamo fino allo sfinimento, il muscolo scheletrico a un certo punto non sarà più in grado di
utilizzare ossigeno e in quell’istante avranno bisogno di passare alla fermentazione lattacida in quanto
questa consente loro di continuare a generare le molecole di ATP. Questo processo fa sì che si accumuli
lattato (o acido lattico) nel nostro
corpo e ciò produce la fatica.
Questo processo ha un solo step
che è catalizzato da un enzima
chiamato lattato deidrogenasi.
Proprio come l’alcol deidrogenasi e la deidrogenasi usata nello step 6 della glicolisi, la lattato deidrogenasi
catalizzerà il trasferimento degli H dal NADH alla molecola di piruvato.
Ciò che accade è molto simile alla situazione precedente: l’H del NADH attacca il carbonio 2 (penso
rompendo il doppio legame??) e l’H+ è preso dall’ossigeno, formando il lattato. Se l’H viene preso dal
gruppo COO- si formerebbe l’acido lattico, per cui l’acido lattico è la base coniugata del lattato
L’equazione netta è leggermente diversa rispetto a quella della fermentazione etanolica in quanto qui non
produciamo CO2.
Come già menzionato prima, questo meccanismo si attiva quando le richieste di ossigeno sono troppo
elevate, per cui l’organismo deve procedere in anaerobiosi (senza respirazione cellulare), tuttavia questo
meccanismo fa sì che si accumuli lattato e quindi acido lattico e ciò causa la fatica.
Oltre alle nostre cellule, anche tanti batteri utilizzano la fermentazione lattacida, come il clostridium tetani,
il clostridum botulinum, e il clostridium perfigens.
Lezione 7 – pathway del fruttosio e del galattosio
I tre principali monosaccaridi che ingeriamo sono glucosio, fruttosio e galattosio. Quando arriva il glucosio
nel nostro corpo, le cellule lo degradano col pathway glicolitico, formando ATP, piruvato e altre molecole.
Per il fruttosio, derivante dalle piante, e il galattosio, derivante dal latte, a differenza del glucosio, non
hanno il loro pathway individuale, per cui, una volta entrarti nell’organismo, fruttosio e galattosio devono
essere trasformati in metaboliti che entreranno a far parte della stessa glicolisi.
Pathway del fruttosio
A seconda della cellula in cui si trova, il fruttosio può essere convertito in un metabolita glicolitico in 2 modi
diversi:
Prima modalità: pathway del fruttosio-1-fosfato (PF1P)
Questo pathway si trova a livello delle cellule epatiche (fegato) del nostro corpo, in quanto la maggior parte
delle molecole di fruttosio, finiscono proprio a livello epatico. Il pathway del fruttosio-1-fosfato, consiste di
3 step e l’obiettivo finale di questo pathway è trasformare il fruttosio in diidrossiacetone fosfato e
gliceraldeide 3 fosfato in quanto queste sono due metaboliti glicolitici e quindi possiamo inserirli
direttamente nella glicolisi.
Step 1 del PF1P
Nel primo step del PF1F abbiamo un enzima chiamato fruttochinasi. Dal nome comprendiamo la sua
azione: “chinasi” sta a significare che fosforila un gruppo fosfato, per cui abbiamo la molecola di ATP,
“frutto” significa la molecola substrato di questo enzima è il fruttosio stesso
La fruttochinasi utilizza ATP per fosforilare il carbonio numero 1, formando fruttosio-1-fosfato (F1P), ADP e
H+
Lo scopo di questo step è destabilizzare la molecola di fruttosio, aggiungendovi un gruppo fosfato e lo
intrappola nella cellula
Step 2 del PF1P
Nel secondo step si procede col cleavage (taglio) attraverso un enzima chiamato fruttosio-1-fosfatoaldolasi, un aldolasi è un enzima che catalizza il cleavage di un gruppo aldeidico (=carbonilico).
Per cui il F1P si interconverte nella sua conformazione a catena aperta e viene tagliato il legame (in
arancione) tra il carbonio 3 e il carbonio 4, formando due molecole a tre carboni: il diidrossiacetone
fosfato (DHAP) e la gliceraldeide. Il DHAP è un metabolita glicolitico, quindi viene portato direttamente
nella glicolisi dove viene trasformato in GAP nello stage 2.
La gliceraldeide non fa parte della glicolisi, ma è molto simile alla gliceraldeide 3 fosfato , dunque l’unica
cosa che dobbiamo fare è aggiungere, nel prossimo step, un fosfato sul carbonio numero 3
Step 3 del PF1P
In questo step usiamo un enzima chiamato triosio chinasi + un ATP per catalizzare l’aggiunta di un gruppo
fosfato sul carbonio 3 della gliceraldeide. “triosio” ci fa capire che il substrato al quale si riferisce l’enzima è
uno zucchero a tre carboni.
La triosio chinasi fosforila l’aggiunta di un gruppo fosfato sul carbonio 3 della gliceraldeide, producendo
GAP + ADP + H+. La GAP viene poi introdotta nel pathway metabolico.
Questo è il pathway delle cellule epatiche.
Negli altri tessuti del nostro corpo c’è un pathway più semplificato.
Pathway del fruttosio 6 fosfato
Se ricordiamo lo stage 1 della glicolisi, noi formiamo il fruttosio 6 fosfato nello step 2 e lo trasformiamo in
fruttosio 1,6 bifosfato nello step 3
In questo pathway semplificato, prendiamo il fruttosio, utilizzando una molecola di ATP, attraverso l’enzima
esochinasi (usato anche nello stage 1 della glicolisi), catalizziamo l’aggiunta di un gruppo fosfato sul
carbonio 6, ottenendo il fruttosio 6 fosfato che può essere inviato direttamente nel pathway glicolitico.
Ovviamente formiamo anche un ADP e un H+
Questi sono i due pathway attraverso cui il fruttosio viene introdotto nel pathway glicolitico.
Pathway dell’interconversione galatto-fruttosio
A differenza del fruttosio c’è un solo pathway seguito dal galattosio. Dunque, una volta che il galattosio
riesce ad entrare nelle cellule del nostro corpo, esso è trasformato in 2 glucosio 6 fosfato attraverso la
pathway dell’interconversione galatto-fruttosio (PIGF).
Questo pathway è costituito da quattro step
Prima di descrivere il primo step, è importante sapere che galattosio e glucosio sono epimeri, ovvero
differiscono solo per la configurazione ad uno dei carboni chirali, nel caso specifico del glucosio e del
galattosio, riguarda il carbonio numero 4, che punta verso l’alto nel galattosio e verso il basso nel glucosio.
Sebbene si potrebbe pensare che l’unica cosa da fare è “girare sotto sopra” il carbonio numero 4, ciò non è
quello che accade nella cellula.
Step 1 PIGF
La galattochinasi, essendo una chinasi, utilizza un ATP per catalizzare l’aggiunta di un gruppo fosfato,
questo viene aggiunto sul carbonio 1 del galattosio e otteniamo il galattosio 1 fosfato + ADP + H+
Lo scopo di questo step è ancora una volta quello di destabilizzare la molecola e di intrappolarla nella
cellula.
Step 2 PIGF
In questo step utilizziamo un enzima chiamato galatto-1-fosfato uridil trasferasi. In questo step oltre al
galattosio 1 fosfato abbiamo un’altra molecola chiamata UDP glucosio, il quale non è altro che una
molecola modificata di glucosio contenente uridina difosfato (UDP).
Il nostro enzima trasferisce un gruppo fosforico e l’uridina sul carbonio numero 1, formando l’uridina
difosfato galattosio (UDP galattosio), formando anche glucosio 1 fosfato, il quale è semplicemente il
glucosio di prima a cui è stata tolta l’uridina e un gruppo fosfato
Il glucosio 1 fosfato andrà allo step 4 di questo pathway, mentre l’uridina difosfato galattosio andrà allo
step 3
Step 3 PIGF
Lo step 3 è molto importante in quanto qui vogliamo riformare l’UDP glucosio, e questo viene fatto
prendendo l’UDP galattosio ottenuta prima, e utilizzando un enzima speciale chiamato UDP galattosio 4
epimerasi , invertiamo il carbonio 4 dell’UDP galattosio (lo giriamo sottosopra) formando, un glucosio, per
cui otteniamo un UDP glucosio. (ricorda che l’unica differenza tra galattosio e glucosio è l’orientamento del
gruppo ossidrile sul carbonio 4)
Se sommiamo i 3 step fatti fin’ora, la molecola UDP glucosio si cancellerebbe, in quanto è stata usata nello
step 2 e riformata nello step 3
Step 4
Nell’ultimo step prendiamo il glucosio 1 fosfato dello step 2 e attraverso un enzima chiamato
fosfoglucomutasi – e ricorda, una mutasi è un enzima che sposta un gruppo da una locazione ad un’altra
sulla stessa molecola – spostiamo il gruppo fosfato dal carbonio 1 al carbonio 6, ottenendo il glucosio 6
fosfato , questo va nello stage 1 della glicolisi.
Lezione 8 – intolleranza al lattosio
Il lattosio è un disaccaride, ovvero consiste di due monosaccaridi, il galattosio e il glucosio, i quali sono
collegati da uno speciale tipo di legame chiamato legame beta 1,4 glicosidico.
Queste molecole di lattosio si ritrovano nel latte e nei suoi derivati; normalmente in seguito all’ingestione
di lattosio, questo arriva al piccolo intestino del nostro corpo e una volta dentro, uno speciale enzima
digestivo, chiamato lattasi, viene rilasciato ed utilizzato.
La lattasi utilizza una molecola d’acqua per effettuare cataliticamente il cleavage del legame beta 1,4
glicosidico, formando i due monosaccaridi individuali, glucosio e galattosio. Una volta formati questi nel
lume del piccolo intestino, solo allora le cellule possono effettuare l’uptake di questi monosaccaridi nel
citoplasma, le cellule invece non possono far entrare nel loro citoplasma il lattosio, a causa delle grosse
dimensioni di quest’ultimo
Ipolattasia
Alcuni individui sono intolleranti al lattosio e questa condizione si chiama ipolattasia. Questi individui hanno
una deficienza nell’attività della lattasi, tale che quest’ultimo non può rompere il legame e quindi non si
formeranno i due monosaccaridi individuali, i quali non andranno nel citoplasma delle nostre cellule.
Ciò comporta che ci sia un accumulo di lattosio nel colon (o grosso intestino) e nel piccolo intestino,
causando sintomi come disturbi gastrointestinali, flatulenza, diarrea e ritenzione idrica.
Accumulo di lattosio - conseguenze
Nel nostro intestino abbiamo una grande quantità di cellule batteriche, circa 100 trilioni di cellule
batteriche. Come ogni altra cellula, anche le nostre cellule batteriche hanno bisogno di ATP per
sopravvivere, e per produrlo utilizzano la fermentazione lattacida. Quando c’è un accumulo di lattosio nel
nostro intestino, queste cellule utilizzeranno il lattosio per formare ATP, e questo processo formerà
lattato, ovvero acido lattico, e se si accumula l’acido lattico nel nostro colon, ciò farà sì che l’acqua si
muoverà al di fuori della cellula e dentro il lume del colon; ciò causerà ritenzione idrica e quindi diarrea.
Inoltre le cellule batteriche, quando rompono il lattosio, producono gas idrogeno e metano, e ciò causa un
aumento di pressione che si traduce in gonfiore, ciò causa flatulenza e disturbi gastrointestinali.
I problemi digestivi sono quindi il risultato della somma tra l’accumulo di gas e l’accumulo d’acqua; ciò
inoltre limita la capacità del nostro tratto gastrointestinale di assorbire prodotti come proteine e grassi
Terapia
Le persone intolleranti al lattosio possono evitare di andare incontro a queste problematiche in 2 modi:
1) Non mangiando i derivati del latte
2) Ingerendo enzimi lattasi attivi
Galattosemia classica – intolleranza grave al lattosio
Introduzione
La galattosemia classica è una condizione di grave intolleranza al lattosio che causa agli individui l’inabilità
di digerire il galattosio. Quindi gli individui con galattosemia, possono scindere il lattosio, ma non possono
metabolizzare il galattosio, ciò causa un accumulo di galattosio, tale accumulo porterà una moltitudine di
problemi.
Definizione
La galattosemia classica è una malattia autosomica
recessiva, ovvero, gli individui affetti da galattosemia
classica non hanno un gene funzionale che esprime
l’enzima galattosio-1-fosfato-uridil-trasferasi., ovvero, i
geni deputati per l’espressione della G1PUT sono mutati
e non riescono a formare lo stesso enzima funzionante;
se tale enzima non è formato o è disfunzionale,
mancherà una funzione specifica.
Sappiamo dalla lezione precedente che questo enzima viene utilizzato nel pathway dell’interconversione
galattosio-glucosio; in particolare si rifà allo step 2, dove, con un UDP glucosio otteniamo, a partire dal
galattosio 1 fosfato, un UDP galattosio e quest’ultimo diventerà un glucosio 1-fosfato che poi sarà
trasformato in glucosio-6-fosfato, il quale verrà messo nel pathway glicolitico
Dunque normalmente il galattosio è trasformato in glucosio 6 fosfato. Tuttavia se entrambi gli alleli che
esprimono l’enzima galattosio-1-fosfato-uridil-trasnsferasi non funzionano, le nostre cellule potranno
modificare il galattosio fino a farlo diventare galattosio-1-fosfato; per cui si accumulerà galattosio-1fosfato e galattosio, e tale accumulo è molto tossico per il nostro corpo.
Perché l’accumulo di galattosio è tossico
Se si accumula il galattosio nel nostro corpo un enzima chiamato aldosio riduttasi utilizzerà un NADéH+H+
per trasformare in un alcool chiamato galattitolo.
L’accumulo di galattitolo nel nostro corpo può causare condizioni estremamente gravi, per esempio:
ingrossamento del fegato che può progredire a cirrosi, formazioni catarattiche, sviluppo mentale ritardato,
insufficienza ovarica e senso di stanchezza
Formazioni catarattiche
La cataratta è un “muro d’acqua” che si forma tra le lenti dei nostri occhi, questo muro riduce la
trasparenza delle lenti e porta alla cecità.
Nel nostro occhio abbiamo delle cellule, le quali, quando c’è un aumento della concentrazione di galattosio,
convertono lentamente il loro galattosio in galattitolo come risultato dell’attività dell’aldosi riduttasi, per
cui aumenta la concentrazione di galattitolo nelle stesse lenti.
Un accumulo di questo metabolita nella cellula creerà un ambiente ipertonico, nel quale la concentrazione
di soluto sarà molto elevata e ciò farà sì che ci sia un flusso dell’acqua nelle lenti dell’occhio, e questo
causerà esattamente la cataratta.
Lezione 9 – regolazione della glicolisi nel muscolo scheletrico
In questa lezione ci focalizzeremo sul come la glicolisi è regolata nelle cellule muscolari scheletriche.
Introduzione
Le cellule muscolari scheletriche hanno come compito principale quello di contrarre il tessuto muscolare e
per contrarre questi filamenti di actina e miosina è necessario avere ATP, per cui il ruolo predominante che
la glicolisi ha nel muscolo scheletrico è quello di generare gli ATP.
Ci sono tre punti di regolazione nella glicolisi e questi tre punti corrispondono con 3 enzimi:
fosfofruttochinasi, esochinasi, piruvato chinasi
Il motivo per cui solo questi tre tra i dieci enzimi della glicolisi sono i punti di regolazione di essa sta nel
fatto che questi, a differenza degli altri enzimi, sono più importanti perché regolano processi irreversibili,
ovvero che vanno solo in una direzione:
Fosfofruttochinasi
La fosfofruttochinasi catalizza lo step 3 della glicolisi, esso è tra tutti l’enzima più importante in quanto
regola lo step d’obbligo alla glicolisi. Esso trasforma il fruttosio-6-fosfato in fruttosio-1,6-bifosfato e prima
di diventare F16BP, il F6P ha una scelta: può decidere di andare nel sito attivo della fosfofruttochinasi per
essere trasformato in F16BP, oppure può scegliere di formare glicogeno. Tuttavia una volta trasformatosi in
F16BP, questo prodotto è obbligato a proseguire nella glicolisi.
Se zoomiamo su questo enzima, troviamo delle regioni catalitiche e delle regioni regolatorie. Le regioni
catalitiche contengono il sito attivo che lega il substrato F6P, mentre le regioni regolatorie contengono il
sito al quale può legarsi una molecola allosterica; prima di parlare di queste molecole però, definiamo la
carica energetica di una cellula
Carica energetica di una cellula
La carica energetica di una cellula corrisponde al rapporto tra le molecole di ATP e le molecole di AMP, per
cui se la carica energetica delle cellule è alta, avremo un alto valore di ATP in rapporto con l’AMP della
cellula, viceversa avremo un basso valore di ATP in rapporto con l’AMP. ATP e AMP sono i due regolatori
allosterici della fosfofruttochinasi.
Nella pratica, possiamo vedere cosa significa carica energetica utilizzando un esempio: supponiamo che
stiamo riposando, quindi i nostri muscoli non si stanno contraendo, non richiederanno ATP, quindi ci sarà
un accumulo di ATP nelle nostre cellule e ciò in ultima analisi significherà che la carica energetica delle
cellule sarà alta. Questo molecole di ATP in eccesso si muoveranno e si legheranno ai siti regolatori della
fosfofruttochinasi, e ciò che faranno sarà la riduzione dell’affinità della fosfofruttochinasi per la molecola
substrato, ovvero la F6P, per cui lo step 3 si ferma, non si produce ATP e si “spegne” la glicolisi.
Abbiamo visto il caso quindi di una carica energetica alta, nel caso in cui in vece la carica energetica della
cellula è bassa, il rapporto tra ATP e AMP diminuisce per cui il corpo vorrà produrre ATP. In questo caso
l’AMP andrà a legarsi al sito regolatorio della fosfofruttochinasi e stimolerà l’attività dell’enzima affinché
quest’ultimo incrementi la sua attività e incrementi in ultima analisi la produzione di ATP ottenuta dalla
glicolisi.
AMP nella glicolisi
Come sappiamo, nella glicolisi troviamo sia ATP, sia ADP, ma non troviamo AMP; verrebbe dunque
spontaneo che il regolatore stimolatore della fosfofruttochinasi debba essere l’ADP e non l’AMP; tuttavia
quando abbiamo una concentrazione molto bassa di ATP nella nostra cellula, invece di fare glicolisi, la
nostra cellula fa qualcosa di diverso. In questa circostanza per produrre l’ATP necessario alla contrazione
del muscolo scheletrico, abbiamo un processo catalizzato dalla adenilato chinasi, la quale, usando due
molecole di ADP, trasferisce un gruppo fosfato da un ADP all’altro e ciò produce molto velocemente un ATP
e un AMP, e gli ATP vengono velocemente presi dalla cellula per continuare a contrarre il muscolo
scheletrico. Come abbiamo appena detto, si produce anche una molecola di AMP, ed è proprio questa
molecola appena prodotta che aumentando di concentrazione, diminuisce la carica energetica della cellula
e ciò causa il legame allosterico dell’AMP sulla fosfofruttochinasi, il quale stimola la cellula a produrre
molto più ATP attraverso il processo della glicolisi.
Ricapitolando quindi: in condizioni di scarso ATP, la cellula utilizza l’adenilato chinasi per produrre ATP da
due ADP, si produce anche un AMP, il quale, legandosi alla fosfofruttochinasi, la attiva per produrre ancora
più ATP e continuare quindi a contrarre i filamenti di actina-miosina.
Viceversa, quando riposiamo, la produzione di ATP va ad inibire allostericamente la fosfofruttochinasi,
affinché non si produca altro ATP
Dunque, l’ATP è un inibitore allosterico della fosfofruttochinasi, l’AMP è un attivatore allosterico della
stessa.
pH del tessuto muscolare
Un altro fattore influenza l’attività della fosfofruttochinasi, e ciò è il pH del tessuto muscolare. Se c’è un
calo di pH, ciò si traduce in un aumento degli ioni H+.
Il pH delle cellule muscolari aumenta durante l’esercizio fisico, e quindi aumenta anche la concentrazione di
ioni H+. Il motivo per cui il pH intracellulare delle cellule muscolari aumenta, è dovuto al fatto che, quando i
muscoli stanno facendo esercizio, a volte non c’è abbastanza ossigeno per continuare con la respirazione
cellulare, e quindi per continuare a produrre i NAD+, le nostre cellule iniziano una fermentazione lattacida,
formando dunque molecole di acido lattico che velocemente si dissociano , rilasciando gli ioni H+. Con
l’avanzare del processo di fermentazione, aumenta la concentrazione di H+, diminuisce il pH, aumenta
l’acidità e ciò può danneggiare il muscolo che sta lavorando, per cui, per prevenire il danno da acidità, la
nostra cellula “spegne” la glicolisi per impedire che vengano prodotti ulteriori H+, per cui è possibile dire
che un pH basso inibisce l’attività della fosfofruttochinasi
Esochinasi
L’esochinasi trasforma il glucosio in glucosio 6 fosfato nel primo step della glicolisi, questo processo è
irreersibile. Abbiamo poi un processo reversibile catalizzato dalla fosfoglucoisomerasi, che trasforma il
glucosio 6 fosfato nel suo isomero fruttosio 6 fosfato e poi, nello step 3, come abbiamo visto prima.
Nello stato di riposo, durante il quale, come detto prima, avremo un’alta carica energetica e tante molecole
di ATP disponibili e queste ultime inibiranno la fosfofruttochinasi. Se la fosfofruttochinasi è inibita il
fruttosio 6-fosfato non può diventare fruttosio 1,6-bifosfato, quindi avremo un accumulo di fruttosio 6
fosfato nelle nostre cellule.
Il fruttosio 6 fosfato è in equilibrio col glucosio 6 fosfato, per cui se aumenta la concentrazione di F6P,
aumenta anche la concentrazione di G6P.
L’aumento di glucosio 6 fosfato invierà quindi un feedback negativo all’esochinasi, legandosi ad essa, così
che questa metta in pausa la sua funzione.
Attraverso questo meccanismo quindi, la glicolisi viene fermata in fase di riposo quando abbiamo un’alta
carica energetica. Ciò fa sì che la cellula smetta di prendere glucosio dal sangue.
Piruvato chinasi
La piruvato chinasi è l’enzima che catalizza l’ultimo processo nella glicolisi, questo processo è virtualmente
irreversibile, in quanto va in una sola direzione
Abbiamo dunque il fosfoenolpiruvato che viene trasformato in piruvato + ATP attraverso l’attività
dell’enzima piruvato chinasi. Proprio come la fosfofruttochinasi è inibita dalle molecole di ATP, così vale
anche la piruvato chinasi, ovvero: aumentando l’ATP, quindi aumentando la carica energetica cellulare,
l’ATP funge da segnale inibitore dell’attività della piruvato chinasi generando un feedback negativo
inibitorio
La glicolisi non ha solo la funzione di produrre ATP, ma è utilizzata anche per produrre alcuni “mattoncini”
del nostro corpo, come gli aminoacidi, per cui non solo l’ATP, ma anche l’alanina è un inibitore della
piruvato chinasi, in quanto il piruvato è utilizzato anche per produrre alanina. Dunque se abbiamo troppa
alanina, essa inibirà l’attività della piruvato chinasi
Quando abbiamo poco ATP invece, l’AMP ottenuto attraverso l’adenina chinasi, si legherà alla
fosfofruttochinasi, la quale, attivata, produrrà fruttosio 1,6 bifosfato; quest’ultimo si legherà alla piruvato
chinasi dando un feedback positivo
Lezione 10 – Regolazione della glicolisi nelle cellule epatiche
Gli enzimi coinvolti nella regolazione del glucosio epatico sono gli stessi coinvolti nella regolazione del
glucosio nel muscolo scheletrico e, proprio come abbiamo detto prima, la fosfofruttochinasi è l’enzima più
importante della glicolisi in quanto catalizza uno step irreversibile e obbligante, ovvero uno step che
destina il glucosio alla glicolisi
Cellule epatiche e cellule scheletriche
Prima di passare alla regolazione glicolitica, vediamo le caratteristiche delle cellule epatiche e di quelle
scheletriche:
Le cellule scheletriche hanno praticamente una sola funzione, ovvero quella di consentirci il movimento
volontario, per cui ogni movimento volontario attiva tali cellule, le quali producono ATP via glicolisi per
garantire il movimento.
Le cellule epatiche hanno un ruolo biochimico decisamente più complesso, esse infatti non utilizzano la
glicolisi solo per produrre ATP, ma anche per altre funzioni come:
-
Mantenere i livelli di glucosio nel nostro sangue
Assorbire e trasformare il glucosio in glicogeno se i livelli di glucosio ematico sono troppo elevati
Rompere il glicogeno e rilasciarlo come glucosio nel flusso sanguigno se i livelli di glucosio ematico
sono troppo bassi, così che le altre cellule possano usarlo per formare ATP
Utilizzo della glicolisi per sintetizzare acidi grassi e aminoacidi
A fronte di ciò, non sorprende che il modo in cui le cellule epatiche regolano la glicolisi è più complesso
rispetto a quello del muscolo scheletrico
Fosfofruttochinasi
Ricordiamo che le cellule muscolari scheletriche, per regolare questo enzima, utilizzano ATP e AMP, in
particolare quando la carica è alta, utilizzano ATP, quando la carica è bassa, utilizzano AMP; ATP e AMP
vengono utilizzati sempre come inibitori allosterici.
ATP e AMP vengono utilizzate anche qui nel fegato rispettivamente per inibire e attivare la
fosfofruttochinasi nel catalizzare lo step d’obbligo da fruttosio 6-fosfato a fruttosio 1,6-bifosfato, tuttavia vi
sono delle differenze:
1. Nel muscolo scheletrico il pH influenza l’attività della fosfofruttochinasi, tale che un accumulo
eccessivo di ioni H+, quindi una diminuzione del pH (aumento acidità), inibisca l’attività dell’enzima,
questo perché nelle cellule scheletriche c’è un accumulo di acido lattico durante un esercizio molto
vigoroso, tale accumulo invece non c’è nelle cellule epatiche, e ciò è dovuto in parte al fatto che le
cellule epatiche hanno anche il compito di trasformare l’acido lattico in molecole di glucosio e
questo è il motivo per il quale la fosfofruttochinasi non è influenzata dalle variazioni di pH nel
fegato.
2. La seconda grande differenza è data dalla molecola citrato, questa, proprio come l’ATP, è un altro
inibitore allosterico della fosfofruttochinasi.
Supponiamo che nelle nostre cellule epatiche abbiamo tanto ossigeno ma poco ATP, se abbiamo
poco ATP la glicolisi continuerà e formerà tante molecole di ATP e piruvato, e poiché siamo in
condizioni aerobiche il piruvato andrà nel mitocondrio a proseguire il ciclo dell’acido citrico, uno dei
primi intermedi del ciclo dell’acido citrico è proprio il citrato, il quale è formato a partire dalla
molecola di piruvato che entra nel mitocondrio.
Quando si formano tanti ATP e aumenta la carica energetica, si vorrà bloccare la produzione di ATP
in quanto avere tanto ATP in condizioni aerobiche, significa anche avere tanto citrato per
continuare la produzione di ATP; tanto ATP in aerobica significa dunque anche tanto piruvato e
tanto citrato; per cui se abbiamo tanto citrato nel citoplasma, questo si legherà alla
fosfofruttochinasi, aumentando l’attività dell’ATP circa l’inibizione della stessa fosfofruttochinasi;
dunque la seconda grande differenza tra la regolazione della glicolisi del muscolo scheletrico e
quella delle cellule epatiche è proprio questa, che in quest’ultima il citrato agisce come inibitore
allosterico della fosfofruttochinasi attraverso un meccanismo di feedback negativo
Riassumiamo il tutto in questo grafico
Cellule epatiche e concentrazione di glucosio
Un’altra funzione delle cellule epatiche che abbiamo già menzionato, è quella di mantenere una normale
concentrazione di glucosio nel sangue, in quanto una concentrazione di glucosio troppo elevata può essere
tossica per il nostro organismo.
Quindi, supponiamo di assumere un pasto molto ricco in carboidrati, in questo caso abbiamo un grosso
aumento di ATP e sarà compito delle cellule epatiche quello di prendere tutto quel glucosio e abbassare il
livello ematico di glucosio, riportandolo a condizioni standard.
Con il glucosio preso dal circolo ematico, le cellule epatiche possono formare ATP, i diversi tipi di
“mattoncini”, oppure glicogeno; tuttavia per prendere il glucosio dal sangue, c’è bisogno di un’attivazione
potente della fosfofruttochinasi, e questo attivatore che non troviamo nella cellula muscolare è un
meccanismo chiamato stimolazione feed-foward
Stimolazione feed-foward
Osserviamo il seguente grafico
Supponiamo di ingerire tanti carboidrati tale che nel nostro corpo avremo un elevato livello di glucosio; ciò
farà sì che le nostre cellule epatiche inizino ad assorbire il glucosio che sarà poi trasformato in fruttosio 6
fosfato tale che alti livelli di glucosio equivarrà a dire alti livelli di fruttosio 6 fosfato. Quando abbiamo
un’alta quantità di fruttosio 6 fosfato nel citoplasma, una parte di essi si trasformerà in una molecola
chiamata fruttosio 2,6 bifosfato.
La molecola fruttosio 2,6 bifosfato è un attivatore estremamente potente della fosfofruttochinasi, il quale,
attivato quest’ultimo enzima, consente alla cellula di prendere le molecole di glucosio dal sangue, portare i
livelli di glucosio a quelli normali, e convertire le molecole di glucosio in ATP oppure in altri tipi di molecole.
Quindi abbiamo:
-
ATP e citrato che inibiscono la fosfofruttochinasi
AMP e fruttosio 2,6 bifosfato che attivano la fosfofruttochinasi
Esochinasi
Supponiamo che abbiamo un’alta concentrazione di ATP nelle nostre cellule; l’alta quantità di ATP
inizierebbe ad inibire la fosfofruttochinasi; l’inibizione della fosfofruttochinasi causerebbe un accumulo del
suo substrato, ovvero di un accumulo di fruttosio 6 fosfato.
Come abbiamo detto nella lezione precedente, il fruttosio 6 fosfato esiste in equilibrio col glucosio 6
fosfato, per cui se aumenta la concentrazione di fruttosio 6 fosfato, aumenta anche la concentrazione di
glucosio 6 fosfato
Il glucosio 6 fosfato è il prodotto della reazione dello step 1 catalizzato dalla esochinasi, la quale aggiunge
un gruppo fosfato al glucosio; incrementando la concentrazione di glucosio 6-fosfato (a causa dell’inibizione
della fosfofruttochinasi), si avrà l’inibizione della esochinasi e questo è esattamente il metodo che le cellule
del muscolo scheletrico utilizza per regolare la glicolisi; il glucosio 6 fosfato è infatti un inibitore allosterico
della esochinasi.
Una volta “spento” il processo della esochinasi e quello della fosfofruttochinasi, ovvero due dei tre processi
irreversibili della glicolisi, l’attività di quest’ultima è enormemente rallentata.
Fino a questo punto, la regolazione della glicolisi nelle cellule epatiche per quanto riguarda l’esochinasi
sembra uguale a quella nel muscolo scheletrico, tuttavia c’è un’importante differenza tra l’esochinasi
scheletrica e l’esochinasi epatica:
-
Nelle cellule epatiche, nonostante l’esochinasi sia la stessa che abbiamo nelle cellule muscolari,
nelle cellule epatiche abbiamo un importante isoenzima dell’esochinasi (un isoenzima è un enzima
che catalizzano la stessa reazione, ma hanno una struttura chimica differente e diverse proprietà
chimico-fisiche) chiamato glucochinasi.
Abbiamo due importanti differenze tra glucochinasi e esochinasi:
1) La glucochinasi ha un’affinità molto minore per il glucosio rispetto alla esochinasi, infatti
l’esochinasi ha 50 volte più probabilità di legarsi al glucosio rispetto alla glucochinasi.
2) La seconda importante differenza tra la glucochinasi e la esochinasi è che quest’ultima è inibita
dall’alta concentrazione di glucosio 6-fosfato, mentre la glucochinasi non è inibita dal G6P. I
motivi per cui abbiamo la glucochinasi nel fegato e non nel muscolo sono essenzialmente due:
a) Supponiamo di avere un alto livello di glucosio nel nostro sangue, se questo restasse a tale
livello elevato, sarebbe tossico per il nostro organismo , per cui le cellule epatiche devono
prendere il glucosio per tenerlo a livelli ottimali, per cui è importante la presenza della
glucochinasi, la quale lavorerà insieme all’esochinasi per prendere quanto più glucosio
possibile, trasformarlo in glicogeno o altri mattoncini, e rimuovere quindi il glucosio dal
sangue; per cui la presenza della glucochinasi nel fegato è per ragioni funzionali, ovvero il
muscolo scheletrico ha la sola funzione di permettere il movimento volontario, per cui non
ha bisogno della glucochinasi, il fegato ha più funzioni, per cui l’esochinasi può avere
bisogno di “aiuto” da parte della glucochinasi
b) Supponiamo di avere un basso livello di glucosio nel nostro sangue, per esempio
supponiamo di essere a digiuno da una settimana, la presenza della glucochinasi nel fegato,
che ricordiamo ha 50 volte meno probabilità di legarsi al glucosio rispetto all’esochinasi,
assicura che i primi enzimi a “prendere” il glucosio siano l’esochinasi del muscolo
scheletrico e del cervello, così che il nostro corpo in stato di fame possa “muoversi” verso il
cibo; quindi in condizioni di digiuno, poiché in tale circostanza la funzione epatica è meno
importante di quella muscolare e di quella cerebrale, la presenza della glucochinasi dà la
possibilità al corpo di arrivare alla fonte di cibo ed ingerire i carboidrati.
Piruvato chinasi
La piruvato chinasi è l’enzima responsabile dell’ultimo step della glicolisi, ovvero la trasformazione del
fosfoenolpiruvato in piruvato + ATP.
In questo caso vale lo stesso identico discorso che abbiamo fatto circa il muscolo scheletrico, ovvero
abbiamo le stesse molecole allosteriche, ovvero:
-
-
Alte concentrazioni di ATP attivano un feedback negativo, esso si lega alla piruvato chinasi e ne
diminuisce l’attività
Dato che il piruvato forma anche mattoncini come gli aminoacidi, alcuni di questi come l’alanina, se
sono in alta concentrazione, inibiscono allostericamente la piruvato chinasi , attraverso un
meccanismo di feedback negativo
Se invece abbiamo un basso livello di glucosio nelle nostre cellule, il fruttosio 1,6 bifosfato,
attraverso un meccanismo di feedback positivo stimolerà l’attività della piruvato chinasi
Sebbene questo meccanismo sia analogo a quello delle cellule muscolari scheletriche, anche qui abbiamo
delle differenze molto importanti.
Nelle cellule muscolari scheletriche abbiamo un isoenzima della piruvato chinasi chiamato isoenzima M,
dove M sta ad indicare proprio “muscolo”, mentre nelle cellule epatiche abbiamo sia l’isoenzima M, sia un
altro isoenzima chiamato isoenzima L , L sta per “liver” cioè fegato. Tra i due isoenzimi presenti nel fegato,
quello predominante, come si può intuire, è l’isoenzima L.
[Nota bene: non è che esiste una piruvato chinasi, un isoenzima L della piruvato chinasi e un isoenzima M
della piruvato chinasi, ma quello presente (o meglio, predominante) nel fegato si chiama isoenzima L,
quello predominante nel muscolo isoenzima M, ma sono entrambi delle piruvato chinasi]
A differenza dell’isoenzima M, l’isoenzima L è controllato da un processo di fosforilazione, per capire meglio
il tutto, guardiamo il grafico sottostante
L’isoenzima L esiste in due forme differenti: una forma fosforilata e una forma non fosforilata: quando
fosforiliamo l’isoenzima L, questa si disattiva e diminuisce la sua capacità di catalizzare la reazione.
Il motivo per cui abbiamo questo isoenzima extra nelle cellule del fegato è sempre legato alla funzione del
fegato, per cui in condizioni di digiuno, l’isoenzima L della piruvato chinasi verrà disabilitato e ci
assicureremo che il glucosio vada ai muscoli, al cervello e al cuore.
L’isoenzima L risponde agli stessi inibitori allosterici dell’isoenzima M
Lezione 11 – trasportatori del glucosio
Nel nostro corpo abbiamo tante cellule differenti, queste, sebbene compiano gli stessi processi, per
esempio la glicolisi, i “requisiti” per questi stessi processi in cellule differenti possono a loro volta differire
da cellula a cellula; ciò significa che le nostre cellule devono sintonizzare bene i vari pathway regolatori per
rispondere alle specifiche domande delle specifiche cellule.
Una delle modalità attraverso cui il nostro corpo è in grado di regolare tutto questo è attraverso l’utilizzo di
molecole dette isoenzimi. Abbiamo già menzionato alcuni esempi di isoenzimi nelle lezioni precedenti.
Gli isoenzimi sono proteine che compiono gli stessi processi biochimici, ma hanno strutture e sequenze
aminoacidiche leggermente diverse, per cui hanno proprietà leggermente diverse tra di loro. Grazie agli
isoenzimi, il nostro corpo può sintonizzare i vari pathway regolatori per soddisfare le richieste delle varie
cellule del nostro corpo.
In questa lezione ci focalizzeremo sul processo biochimico responsabile del trasporto delle molecole di
glucosio nelle cellule del nostro corpo
Le molecole di glucosio hanno molto gruppi idrossili polari, per cui sono molecole polari, ciò significa che
anche se avessimo un gradiente di concentrazione attorno alla membrana cellulare, dato che questa è in
predominanza non polare e idrofobica, le molecole di glucosio comunque non potrebbero attraversare la
membrana cellulare. Per cui la cellula produce delle proteine transmembrana che contengono dodici
alfaeliche transmembrana, chiamiamo queste proteine trasportatori di glucosio.
I trasportatori di glucosio consentono il movimento e il trasporto delle molecole di glucosio attraverso la
membrana cellulare.
Quindi ciò che accade è che, quando la molecola di glucosio o un altro monosaccaride si lega al
trasportatore di glucosio, avviene un cambiamento conformazionale, il quale consente l’ingresso e il
movimento del glucosio o di un altro monosaccaride nella cellula.
Dunque, la sintonizzazione dei processi regolatori del glucosio nel nostro corpo avviene attraverso gli
isoenzimi trasportatori del glucosio, abbiamo più di 10 diversi isoenzimi di questo genere. In questa lezione
ci focalizzeremo sui primi 5, in quanto sono i più importanti:
Isoenzimi trasportatori del glucosio
Abbiamo i seguenti isoenzimi: Glut-1, Glut-2, Glut-3, Glut-4 E Glut-5. La sigla “GLUT” sta per “glucose (glu)
transporter (t)”, iniziamo con Glut 1 e Glut 3
Glut 1 e Glut 3
Glut 1 e Glut 3 sono responsabili del tasso basale di assorbimento del glucosio, ovvero il tasso col quale le
molecole di glucosio vengono prese dalle cellule anche quando il nostro corpo è a riposo in quanto le
nostre cellule richiedono sempre glucosio per creare ATP per continuare i loro processi, anche quando
siamo a riposo.
È possibile trovare le glut 1 in tutte le cellule del nostro corpo, tuttavia le glut 3 predominano nelle
membrane dei neuroni del cervello, sia nei dendriti, sia negli assoni dei neuroni
La concentrazione di glucosio nel sangue è normalmente mantenuta ad un livello di 5mM e il valore di KM di
questi due trasportatori è attorno a 1mM
Sia glut 1, sia glut 3, hanno un valore di KM relativamente basso, la KM non è altro che la costante di
Michaelis, e ci dice la concentrazione alla quale esattamente la metà dei siti attivi di quel particolare enzima
vengono occupati, ciò ci dà esattamente la metà del massimo valore di velocità
Nel nostro caso, poiché il KM dei due glut (1mM) è molto minore della concentrazione normale di glucosio
nel sangue (5mM), ciò significa che questi trasportatori sono molto efficaci nel legare le molecole di
glucosio e nel trasportarle tra le cellule; il basso KM dei glut sta dunque a significare che questi
trasportatori muovono continuamente, abbassando il gradiente di concentrazione
Come il glut 1, anche il glut 3 è responsabile del tasso basale di assorbimento del glucosio, esse vengono
trovate perlopiù nelle cellule nervose del cervello; il motivo per cui troviamo quest’alta concentrazione di
glut 3 nel cervello è perché le cellule del cervello dipendono dal glucosio e tali cellule sono probabilmente
le cellule più importanti del nostro corpo e hanno bisogno di glucosio prima di ogni altra cellula, e per
questo hanno questo valore di glut 3 così elevato, in quanto quest’ultimo ha un valore di KM di 1, e ciò lo
rende molto efficace nel legare il glucosio e nel trasportarlo nel citoplasma dei neuroni
Glut 2, glut 4 e glut 5
Glut 2
Supponiamo di aver fatto un pasto con un alto livello di carboidrati, ciò significa che il livello di glucosio
aumenterà, ciò che accadrà è che le cellule beta del nostro pancreas delle isole di langerhans, inizieranno a
produrre insulina. Ciò che consente alle cellule beta del pancreas di “avvertire” l’aumento dei livelli ematici
di glucosio sono proprio i trasportatori glut 2. I glut 2 si trovano nel pancreas, nel fegato e anche nella
membrana basolaterale dei reni e dell’intestino. I glut 2 hanno un KM relativamente alto, circa 15 nm
(nanometri), ciò significa che le cellule del fegato e del pancreas inizieranno a prendere glucosio solo
quando la concentrazione di glucosio ematico aumenta e ciò accade dopo l’ingestione di un pasto ricco di
carboidrati. Dunque i glut 2 non sono efficaci nel legare il glucosio quanto il glut 1 e il glut 3
Per cui il glut 2 ha una bassa affinità per la molecola substrato, quindi per il glucosio, e prenderà il glucosio
solo se questo è presente in alta concentrazione nel torrente ematico, ovvero dopo un pasto ricco in
carboidrati
Glut 4
Troviamo il glut 4 nelle nostre cellule muscolari e nelle nostre cellule adipose, il KM di questi trasportatori
è di 5 mM, per cui non è basso come glut 1 e glut 3, ma nemmeno è alto come glut 2. Le proteine di
membrana glut 4 sono sensibili all’insulina, quest’ultima stimola le cellule adipose e le cellule muscolari ad
esprimere maggiormente i glut 4 sulle membrane cellulari, una volta aumentata la loro espressione sulle
membrane cellulari, questi sono in grado di prendere le molecole di glucosio dal sangue in seguito
all’ingestione di un pasto ricco in carboidrati
Dato che è il pancreas a secernere l’insulina, i glut 4 si attivano dopo l’attivazione del pancreas.
Glut 5
Il glut 5 è responsabile dell’assorbimento del fruttosio. Essi sono presenti sullo strato apicale delle cellule
intestinali.
Lezione 12 – effetti dell’esercizio e del cancro sulla glicolisi
Esercizio aerobico
Supponiamo di iniziare a correre lentamente, inizialmente corriamo lentamente, per cui il muscolo
scheletrico sarà in grado di utilizzare l’ossigeno ed utilizzarlo.
Dunque per soddisfare la richiesta energetica di ATP, le cellule muscolari scheletriche inizieranno il
processo di glicolisi, la quale produce ATP e piruvato.
In condizioni aerobiche il piruvato andrà nel mitocondrio e darà inizio al ciclo dell’acido citrico, il quale non
produrrà solo ATP, ma soprattutto produrrà i coenzimi NAD+ , i quali vengono utilizzati nello step 6 della
glicolisi. Il processo della glicolisi infatti, da solo, non rigenera i NAD+ e se non rigenerassimo i coenzimi
NAD+, poiché la scorta di questi coenzimi nelle nostre cellule è limitata, la glicolisi terminerebbe
velocemente
Esercizio anaerobico
Supponiamo di passare dalla corsa lenta allo scatto, durante lo scatto le cellule andranno in ipossia, ovvero
lo stadio in cui le cellule non hanno abbastanza ossigeno, e in questa condizione esse non possono
rigenerare i NAD+ nel ciclo dell’acido citrico, per cui ci sarà uno switch per la fermentazione lattacida, la
quale è in grado di produrre i NAD+ e far proseguire la glicolisi. Tuttavia la fermentazione lattacida è una
soluzione temporanea, in quanto durante la fermentazione lattacida si produce acido lattico, l’acido lattico
si dissocia in ioni H+ e ioni lattato, e ciò aumenterà l’acidità nell’ambiente extracellulare delle cellule
muscolari e ciò può danneggiare le cellule del nostro corpo e come sappiamo dalle lezioni precedenti,
l’aumento dell’acidità inibisce l’attività della fosfofruttochinasi, il terzo enzima della glicolisi che catalizza
lo step d’obbligo alla glicolisi. L’inibizione della PFK poi inibisce l’esochinasi, e ciò fa fermare
completamente la glicolisi. Per questa esatta ragione noi non siamo in grado di tenere uno scatto per
troppo tempo.
La fermentazione lattacida è più presente nelle cellule muscolari scheletriche che si trovano lontano dai
vasi sanguigni, in quanto i vasi sanguigni sono i conduttori che portano glucosio alle stesse cellule, le quali
prendono il glucosio utilizzando i trasportatori di glucosio, per poi scindere il glucosio stesso fino ad
ottenere ATP e piruvato via glicolisi.
Miglioramento della resistenza in anaerobiosi
Sappiamo per esperienza che allenandoci tutti i giorni aumentiamo la nostra resistenza alla fatica, ciò
accade perché a tali eventi affaticanti le nostre cellule rispondono producendo due importanti fattori:
-
HIF-1 (hypoxia-inducing transcription factor)
VEGF (vascular endothelial growth factor)
L’HIF-1 ha un effetto sulla trascrizione, ovvero sull’espressione di geni specifici. Tali geni sono quelli che
codificano per proteine ed enzimi coinvolti nella degradazione e nell’assorbimento del glucosio nelle
cellule, come i trasportatori di glucosio e gli enzimi della glicolisi. Degli enzimi glicolitici, 7 sono influenzati
dall’HIF-1
Tali enzimi sono:
-
I 3 enzimi più importanti: esochinasi, fosfofruttochinasi, piruvato chinasi
Aldolasi, GAP deidrogenasi, fosfoglicerato chinasi, enolasi
L’HIF permette che tali enzimi funzionino ad un tasso molto superiore al normale e ciò permette alla
glicolisi di essere molto più efficace
Inoltre, come detto prima, anche l’espressione dei trasportatori di glucosio aumenta, in particolare il glut 1
e il glut 3, affinché le cellule che giacciono vicino ai vasi sanguigni siano in grado di prendere queste
molecole di glucosio dal lume dei vasi sanguigni molto più velocemente e molto più efficacemente
Per quanto riguarda le cellule muscolari che si trovano lontano dai vasi sanguigni, lo stesso HIF-1 stimola il
VEGF prima citato il quale a sua volta stimola la crescita dei vasi sanguigni, affinché tali vasi possano
permeare in queste zone altrimenti difficili da raggiungere.
Capitolo 2
Lezione 13 – Introduzione alla gluconeogenesi
La gluconeogenesi è il processo attraverso il quale alcuni tipi di cellule del nostro corpo sono in grado di
sintetizzare molecole di glucosio attraverso l’utilizzo di molecole precursori non-carboidrati.
Queste molecole precursori includono:
-
Piruvato
Lattato
Glicerolo
Aminoacidi
Questi appena citati sono i principali precursori non-carboidrati che usiamo nel nostro corpo per
sintetizzare glucosio attraverso la gluconeogenesi.
Solo alcune cellule specifiche nel nostro corpo sono in grado di fare gluconeogenesi, tra queste vi sono le
cellule del fegato (epatociti) e, in misura minore, le cellule del rene, in quanto sono il fegato e il rene i
responsabili della regolazione e del mantenimento degli appropriati livelli di glucosio nel nostro sangue.
Altre cellule come le cardiache, quelle del muscolo scheletrico, e quelle del cervello, non possono fare
gluconeogenesi, ma dipendono dal funzionamento delle cellule del fegato e le cellule del rene, le quali
rilasciano il glucosio nel torrente circolatorio il quale le porta al cuore, ai muscoli, al cervello e via dicendo.
I substrati della gluconeogenesi
La gluconeogenesi è praticamente la trasformazione di un non-carboidrato in glucosio.
Il lattato, viene trasformato prima in piruvato attraverso l’enzima lattato deidrogenasi, per poi essere
trasformato in glucosio.
Il glicerolo è un componente dei grassi, nello specifico è un componente dei trigliceridi, presente a livello
dei nostri tessuti adiposi. Quando non riusciamo ad avere glucosio dal cibo, il nostro tessuto adiposo inizia a
degradare questi trigliceridi per formare acidi grassi e glicerolo. Gli acidi grassi non possono essere usati
per formare molecole di glucosio, mentre il glicerolo sì. Per cui, il glicerolo andrà nel torrente circolatorio,
verso le cellule del fegato, e, una volta dentro gli epatociti, essi subiscono un processo a due step:
1) Il primo step è catalizzato dalla glicerolo-chinasi e noi usiamo una molecola di ATP per trasformare
il glicerolo in glicerolo fosfato
2) Il secondo step è catalizzato dalla glicerolo-fosfato-deidrogenasi, qui utilizziamo una molecola di
NAD+ per ossidare il glicerolo fosfato in DHAP (diossidriacetone fosfato)¸e questa molecola entra
nel processo della gluconeogenesi e inizia il suo processo di trasformazione in glucosio.
Gli aminoacidi, gli aminoacidi derivano dal cibo, per cui se ingeriamo proteine, noi rompiamo le proteine e
otteniamo gli aminoacidi, tuttavia, in condizioni di digiuno, possiamo ottenere aminoacidi attraverso la
distruzione delle nostre stesse proteine trovate nel tessuto muscolare scheletrico e in quel caso, anche se
deterioriamo il nostro tessuto muscolare, siamo in grado di utilizzare gli aminoacidi ottenuti attraverso la
rottura delle proteine, per formare molecole di glucosio.
Alcuni aminoacidi vengono trasformati in piruvato, dunque entrano nella gluconeogenesi come molecole
di piruvato
Altri aminoacidi vengono trasformati in DHAP, dunque entrano nella gluconeogenesi come molecole di
DHAP.
Perché il nostro corpo richiede la gluconeogenesi
Il motivo per cui il nostro corpo ha bisogno della gluconeogenesi e non può dipendere esclusivamente dagli
zuccheri ingeriti, è che noi possiamo immagazzinare solo una quantità limitata di zuccheri nel nostro
corpo, per esempio; nel sangue, nei fluidi cellulari e nei fluidi tissutali, possiamo immagazzinare un
massimo di 20 grammi di glucosio. Nei nostri magazzini di glicogeno possiamo immagazzinare circa 190
grammi di zucchero utilizzabile, per cui in tutto, nel nostro corpo, noi immagazziniamo circa 210 grammi di
zucchero.
Quotidianamente, un individuo non atletico, ha bisogno di 160 grammi di glucosio per sopravvivere, e il
75%, ovvero 120 grammi dei 160, è utilizzato dalle cellule del cervello. Questi valori cambiano
drasticamente per un atleta, i quali hanno bisogno di molti più grammi di zucchero, per esempio un
nuotatore professionista ha bisogno di circa 500-600 grammi di zucchero.
Da ciò capiamo che se non esistesse la gluconeogenesi, l’individuo non atletico sarebbe capace di
sopravvivere senza zucchero per poco più di un giorno, in quanto, una volta esaurite le riserve di zucchero,
le nostre cellule non avrebbero la capacità di crearne altro, e essenzialmente moriremmo.
Per questa ragione la gluconeogenesi è così cruciale e importante per noi.
Introduzione al processo della gluconeogenesi
La gluconeogenesi non è l’inverso della glicolisi; la glicolisi, di fatto è un processo molto esoergonico,
infatti la rottura di una mole di glucosio nel nostro corpo in condizioni fisiologiche rilascia 96,2 kJ per moli di
energia. La glicolisi dunque è molto esoergonica, ha luogo spontaneamente e irreversibilmente.
Tutto ciò significa che, se la gluconeogenesi fosse semplicemente l’inverso della glicolisi, ogni ciclo di
gluconeogenesi richiederebbe un input di 96,2 kJ di energia, e sarebbe dunque un processo estremamente
inefficiente e costoso. Per questa specifica ragione, la gluconeogenesi non può essere una glicolisi al
contrario.
La glicolisi ha luogo in 10 steps, e 7 di questi step non sono molto esoergonici, in questi step infatti siamo
all’equilibrio o quasi all’equilibrio, e in questo tipo di reazioni, l’energia libera di Gibbs è uguale a zero o
molto vicina allo zero.
Lo step 1, lo step 3 e lo step 10 invece sono molto esoergonici, e concorrono a produrre la maggior parte
dell’energia libera che viene rilasciata nel processo di glicolisi.
Il primo step rilascia 33,5 kJ/mol, il terzo step 22,2 kJ/mol, il decimo step 16,7 kJ/mol; la somma di questi dà
72,4 kJ/mol. Dunque, questi tre step da soli rilasciano il 75% dell’energia libera prodotta dalla glicolisi.
Per cui, affinché la gluconeogenesi possa avere luogo, è necessario bypassare questi 3 steps, e ciò è
esattamente quanto accade.
Nelle prossime lezioni vedremo come la gluconeogenesi e la glicolisi hanno 7 steps in comune e 3 step non
in comune; al posto dei 3 step molto esoergonici, utilizza dei pathway completamente differenti
I 3 step diversi della gluconeogenesi
La gluconeogenesi bypassa lo step 10 attraverso un pathway di due step e due reazioni, il quale richiede
come intermedio l’ossalacetato; se sommiamo questi due step, otteniamo la seguente reazione
Questa reazione è esoergonica, a differenza della reazione inversa allo step 10 che è endoergonica (per fare
la reazione inversa dello step 10 si dovrebbero usare 16,7 kJ/mol
Anche gli step 3 e 1 sono bypassati da altri pathway
Sia nello step 3, che nello step 6, utilizziamo una reazione di idrolisi, vedremo i dettagli nelle prossime
lezioni.
Lo step 3 è bypassato attraverso l’idrolisi esoergonica del fruttosio 1,6 bifosfato in fruttosio 6 fosfato +
ortofosfato
Lo step 1 è bypassato attraverso l’idrolisi del glucosio 6 fosfato in glucosio + ortofosfato
Lezione 14 – step 1 e 2 della gluconeogenesi
L’obiettivo dei primi due step è quello di bypassare l’ultimo step irreversibile della glicolisi
Step 1
Nello step 1 vogliamo carbossilare una molecola di piruvato per formare un ossalacetato. Se aggiungessimo
semplicemente CO2 al piruvato per formare l’ossalacetato, quella reazione sarebbe comunque
endoergonica; tuttavia se accoppiamo questo processo con l’idrolisi dell’ATP a formare ADP e ortofosfato,
dato che l’idrolisi dell’ATP è un processo molto esoergonico, noi usiamo quell’energia liberatasi per
effettuare anche la reazione di carbossilazione del piruvato.
Quindi attraverso questo processo, attacchiamo la molecola di CO2 al piruvato, formando l’ossalacetato, e
otteniamo anche l’ADP, l’ortofosfato e due ioni H+
Piruvato carbossilasi: l’enzima che catalizza questa reazione è la piruvato carbossilasi, questo enzima
consiste di quattro subunità identiche tra di loro e di due regioni.
-
-
Regioni, sono appunto due:
• Dominio di legame della biotina: contiene una molecola helper chiamata biotina, la quale lega
la CO2
• Dominio dli legame dell’ATP: l’ATP che si trova in questa regione viene utilizzata per attivare la
CO2, rendendola più reattiva, così da attaccarla al piruvato (senza l’ATP non avrebbe l’energia
necessaria per legarsi)
Subunità, sono quattro e sono identiche tra di loro: ogni subunità ha un domino di legame della
biotina; quest’ultima è legata covalentemente alla subunità e il dominio che lega l’ATP
Lo step 1 della gluconeogenesi consta di tre ministeps
Ministep 1
Sappiamo che nei nostri fluidi non abbiamo delle molecole di CO2 dissolte, in quanto sono delle molecole
molto poco polari, per cui non si dissolvono nel nostro sangue, per cui abbiamo un enzima chiamato
carbonio anidrasi che trasforma la CO2 in ioni bicarbonato, e questo processo avviene nel citoplasma dei
nostri globuli rossi; per cui troviamo ioni bicarbonato nel nostro citoplasma e nel nostro sangue.
Nel primo step attiviamo la molecola di bicarbonato nel nostro fluido per formare un intermedio carbossilfosfato; questo step è necessario per legare la CO2 alla biotina, in quanto, senza questo step la CO2 non
sarebbe in grado di legarsi.
Ministep 2
Ora che abbiamo una molecola attiva di CO2, questa è pronta per legarsi al dominio di legame della biotina
e ciò è esattamente quanto accade nel ministep 2, formando questo intermedio enzima-biotina-CO2.
Questo legame tra biotina-CO2 è estremamente reattivo, il quale una volta rotto rilascia molta energia
(20kJ)
Il legame tra la biotina e la CO2 avviene solo se è alla piruvato carbossilasi è legato anche l’enzima acetil
CoA (acetil coenzima A)
Ministep 3
In questo step utilizziamo l’energia ottenuta dalla rottura del legame biotina-CO2 per formare finalmente
l’ossalacetato, attaccando la CO2 al piruvato
Tutto lo step 1 ha luogo nella matrice mitocondriale della nostra cellula
Prima che lo step 2 della gluconeogenesi possa avvenire, l’ossalacetato dev’essere trasformato in malato e
trasportato nella membrana mitocondriale e nel citoplasma per poi essere ritrasformato in ossalacetato.
Lo step 2 non avviene nella matrice mitocondriale ma nel citoplasma, quindi, come possiamo immaginare,
dobbiamo trasportare l’intermedio di ossalacetato nel citoplasma, tuttavia, prima di trasportare
l’ossalacetato, dobbiamo ridurlo in una molecola di malato, come detto prima, quindi:
La malato deidrogenasi, attraverso l’utilizzo di un NADH, a partire dall’ossalacetato, riduciamo
l’ossalacetato in malato + NAD+, ora il malato si sposta attraverso le due membrane del mitocondrio,
utilizzando proteine di trasporto specifiche, e dopo essere entrato nel citoplasma, attraverso l’utilizzo di
uno stesso enzima malato deidrogenasi e un NAD+ (quindi non un NADH come prima), ossidiamo il malato
in ossalacetato.
Step 2
In questo step l’ossalacetato è trasformato in fosfoenolpiruvato, e durante il processo accadono due
fenomeni diversi:
-
1) Abbiamo un processo di decarbossilazione, dove rilasciamo un gruppo CO2
2) Abbiamo un processo di fosforilazione, col quale fosforiliamo l’ossalacetato in fosfoenolpiruvato
La fosforilazione richiede energia, tuttavia grazie all’accoppiamento della reazione esoergonica di
decarbossilazione con la reazione endoergonica di fosforilazione, la somma di questi processi genera una
reazione favorevole
Per cui, nel secondo step, abbiamo un enzima chiamato fosfoenolpiruvato carbossichinasi (PEPCK), il
quale, accoppiando i processi di decarbossilazione e di fosforilazione, ci fa creare il fosfoenolpiruvato
Come si può intuire, anche questo è un processo con due ministep
Se sommiamo i due step, abbiamo questo come risultato netto
Le CO2 si cancellano perché appaiono su entrambi i lati dell’equazione
Lezione 15 – step 3 a 10
Tutti gli step dal 3 al 9 hanno luogo nel citoplasma, tranne lo step 10 .
Step da 3 a 7
Una volta formato il fosfoenolpiruvato si va dallo step 3 allo step 7, tutti questi step non sono nient’altro
che gli step inversi della glicolisi
Tutti gli step da 3 a 7 non sono endoergonici, quindi non richiedono energia, ma sono all’equilibrio, per cui
possiamo seguirli semplicemente come inversi della glicolisi
Step 8
Lo step 8 non segue il percorso inverso della glicolisi in quanto in quest’ultima, il fruttosio 6 fosfato forma il
fruttosio 1,6 bifosfato attraverso un processo irreversibile (parliamo dello step 3 della glicolisi), dunque
nella glicolisi questo processo è altamente esoergonico, in questo caso invece è endoergonico, per cui
richiederebbe molta energia
Quindi per ottenere il fruttosio 6 fosfato a partire dal fruttosio 1,6 bifosfato, utilizziamo un pathway
completamente diverso da quello usato nella glicolisi, ovvero l’idrolisi del legame estere tra il carbonio 1 e
l’ossigeno nel fruttosio 1,6 bifosfato
Questa reazione ci consente di convertire il fruttosio 1,6 bifosfato in fruttosio 6 fosfato attraverso una
reazione esoergonica.
Dunque, in presenza di acqua (e ricorda che siamo nel citoplasma, ambiente ricco d’acqua), questa è usata
per idrolizzare il legame estere, attraverso l’azione dell’enzima fruttosio 1,6 bifosfatasi (ricorda, la fosfatasi
“toglie” i gruppi fosfato, mentre la chinasi “mette” i gruppi fosfato); dunque rompiamo il legame e
formiamo il fruttosio 6 fosfato e rilasciamo il fosfato inorganico (ortofosfatico)
Fruttosio 1,6 bifosfato
Questo enzima è un enzima allosterico, ovvero contiene dei siti regolatori allosterici, i quali sono usati per
regolare la gluconeogenesi stessa.
Formato il fruttosio 1,6 bifosfato, seguiamo lo step 9 come step inverso della glicolisi (step 2 della glicolisi),
in quanto fruttosio 6 fosfato e glucosio 6 fosfato sono all’equilibrio.
Avvenimenti post step 9
Dopo lo step 9, ciò che accade dipende dal tipo di cellula nella quale ci troviamo, nella maggior parte delle
cellule del nostro corpo, come per esempio nelle cellule muscolare, la gluconeogenesi si ferma a glucosio 6
fosfato e non è ulteriormente trasformata a glucosio, in quanto nelle cellule muscolari possiamo prendere
quel glucosio 6 fosfato e usarlo per formare ATP e piruvato oppure immagazzinarlo come glicogeno; ricorda
infatti che il glucosio 6 fosfato è intrappolato nella cellula, mentre il glucosio è libero di “scappare”.
Quindi le ragioni per cui nella maggior parte delle cellule la gluconeogenesi si ferma a glucosio 6 fosfato
sono:
1) Il glucosio 6 fosfato non può uscire fuori dalla cellula, quindi abbiamo una “molecola sicura”
2) Il glucosio 6 fosfato è pronto per la glicolisi o per essere immagazzinato in glicogeno
Step 10 negli epatociti e nelle cellule renali
Il rene e il fegato sono responsabili per la regolazione del glucosio ematico, il fegato predomina in questa
regolazione, mentre il rene regola ad un livello più basso.
Proprio perché questi organi sono deputati alla regolazione del glucosio ematico, queste devono essere in
grado di formare glucosio, perché solo gli zuccheri in forma di glucosio (senza gruppi fosfati attaccati)
possono lasciare la cellula, e quindi regolare i livelli di glucosio ematico.
Come avviene lo step 10
Come per gli altri step endoergonci visti precedentemente, anche lo step 10 della gluconeogenesi non
corrisponde all’inverso dello step 1 della glicolisi, in quanto nella glicolisi questo processo è molto
esoergonico, quindi l’inverso è uno step molto endergonico e richiederebbe molta energia.
Dunque, nella gluconeogenesi, questo step segue un pathway molto diverso che utilizza ben cinque
proteine diverse
Lo step inizia nel citoplasma della cellula (dove vediamo scritto glucosio 6 fosfato), attraverso l’utilizzo di
diverse proteine di membrana, operiamo alcune operazioni che schematizziamo in alcuni microsteps:
-
-
-
1) il T1 o trasportatore di glucosio 6 fosfato è una proteina di membrana che ci permette di
trasportare il glucosio 6 fosfato dal citoplasma al lume del reticolo endoplasmatico della cellula
epatica/renale
2) una volta entrato nel lume, in presenza di una molecola d’acqua si trasforma in glucosio + fosfato
inorganico, attraverso l’azione di un enzima legato alla membrana del reticolo endoplasmatico
chiamato glucosio 6 fosfatasi. Su questo stesso enzima abbiamo un’altra proteina chiamata
proteina stabilizzatrice legante il calcio, quest’ultima assiste la glucosio 6 fosfatasi nella sua azione.
3) una volta formato il glucosio, l’ortofosfato utilizza la sua stessa proteina di trasporto, il
trasportatore del fosfato o T2, per andare nel citoplasma della cellula
4) il glucosio invece utilizza il trasportatore del glucosio o T3 per entrare nel citoplasma, e una
volta nel citoplasma della cellula il glucosio può essere rilasciato nel plasma per regolare la
concentrazione ematica.
Lezione 16 – Introduzione al ciclo dell’acido citrico (o ciclo di Krebs)
Anche se la glicolisi produce una quantità netta di ATP, questi sono solo una piccola porzione dell’energia
utilizzabile nei legami chimici delle molecole di glucosio, per cui ricaviamo solo una piccola quantità di
energia potenziale immagazzinata in questi legami.
Per essere in grado di ricavare la restante energia presente nei legami di glucosio, dobbiamo entrare nella
respirazione cellulare aerobica, e questa ha luogo solo in presenza di ossigeno e in presenza di mitocondri
nella cellula, infatti alcune cellule non hanno mitocondri, come per esempio i globuli rossi, quindi non
possono entrare in respirazione cellulare aerobica.
Osserviamo questa immagine
In questa immagine abbiamo considerato una
sola molecola di piruvato, però dovremmo
moltiplicare tutto per 2 per ottenere il risultato
netto:
Quando il glucosio viene degradato a piruvato,
non otteniamo solo ATP ma otteniamo anche
degli elettroni, 2 elettroni per ogni ATP.
Questi elettroni non sono da soli ma sono
raccolti da dei coenzimi speciali, i NAD+
Il NAD+ è una molecola che prende gli elettroni
che estraiamo dal glucosio, in quanto il glucosio
è ossidato in piruvato, perde elettroni, i quali
vanno via non da soli, ma sotto forma di ioni
idrogeno, e quando questi elettroni si legano al
idrogeno formano un idruro :H- , quindi un H
con 2 elettroni, quest’ultimo viene preso dal
NAD+ (che ha una carica positiva, quindi può prenderli), per cui otteniamo per ogni ATP, anche un NADH (il
NAD+ che prende i due elettroni)
Alla fine della glicolisi, in condizioni aerobiche, il piruvato entra nel mitocondrio, e, una volta entrato,
subisce una reazione di decarbossilazione, nella quale viene ossidato per formare acetil CoA , e oltre alla
formazione di questo, rilascia CO2 e raccogliamo altri 2 elettroni sotto forma di un NADH.
Quindi per ora abbiamo (considerando sempre un solo piruvato invece di 2), 2 NADH ottenuti dalla glicolisi
e un NADH prodotto in questo step, in tutto 3 NADH.
L’acetil CoA è una molecola relativamente grande, e solo una piccola porzione di essa verrà utilizzata nei
processi a seguire
Il ciclo dell’acido citrico consisterà in una serie di reazioni di ossido-riduzione
Il ciclo dell’acido citrico è conosciuto anche come ciclo di Krebs o ciclo TCA, dove TCA sta per tri-carboxylicacid, in quanto l’acido tri-carbossilico è un intermedio del ciclo.
Ogni volta che avviene un ciclo di Krebs, vengono prodotte due CO2, una GTP (guanosina tri fosfato, stessa
funzione dell’ATP) e, soprattutto, sono raccolti 8 elettroni; 6 elettroni vengono presi da 3 NAD+ a formare
3 NADH, i restanti 2 sono presi da un altro importante carrier di elettroni chiamato flavin adenina
dinucleotide o FAD, il quale, una volta raccolti due ioni H (quindi non un idruro :H- come prima) diventa
FADH2
Dato che non abbiamo un piruvato ma due molecole di piruvato, dobbiamo moltiplicare tutto questo per 2,
per cui il risultato netto del ciclo dell’acido citrico è: 2 molecole di CO2, 16 elettroni e 2 GTP
Funzione del ciclo dell’acido citrico
Il ciclo dell’acido citrico è il centro del metabolismo del glucosio, il luogo dove tutte queste molecole
carburante (molecole contenenti carbonio, le quali possono essere ossidate per ottenere elettroni, i quali
possono essere utilizzati per formare ATP) si incontrano per poi andare insieme a formare le molecole di
ATP. Oltre all’ATP, il ciclo dell’acido citrico ci dà altre molecole importanti come l’ossalacetato e quindi
anche molecole di glucosio in quanto l’ossalacetato va nella gluconeogenesi , basi azotate, aminoacidi,
porforina (usata dall’emoglobina e dalla mioglobina).
Riassunto degli step del ciclo dell’acido citrico
L’acetil CoA, come detto prima, dona una sua piccola componente al ciclo dell’acido citrico, questa sua
componente è il gruppo acetile, una molecola a due carboni.
Una volta entrato nel ciclo dell’acido citrico, il gruppo acetile si combina con una molecola a 4 carboni,
l’ossalacetato, lo stesso che si forma nella gluconeogenesi, per formare una molecola a 6 carboni, nota
come acido citrico o acido tricarbossilico (da cui gli altri due nomi del ciclo di Krebs).
Negli step successivi 2 e 3 si opera una decarbossilazione e una ossidoriduzione , per cui nello step 2, la
molecola a 6 carboni, diventa una molecola a 5 carboni e estraiamo 2 elettroni dalla molecola a 6 carboni, i
quali vengono presi dal NAD+ a formare il NADH, viene anche formata CO2
Nello step 3, la molecola a 5 carboni subisce un ulteriore ossidoriduzione, anche qui, come prima, abbiamo
come prodotto finale una CO2 e NADH, si forma così una molecola intermedia a 4 carboni (non sarà ancora
l’ossalacetato). Quest’ultima molecola intermedia, nei prossimi step trasformiamo questa molecola di
carbonio di nuovo in ossalacetato, e durante questi processi produciamo una molecola ad alta energia, il
GTP, un NADH e il FADH2 prima menzionato
Come prima, ricordiamo che questo processo ha luogo 2
volte, in quanto abbiamo 2 piruvati, abbiamo come
risultato netto:
-
6 NADH
2 FADH2
2 GTP
4 CO2
È importante notare come il ciclo dell’acido citrico, generi si elettroni ad alta energia, ma non genera alcun
ATP (anche se generiamo GTP, che ha una funzione simile all’ATP), questo perché tutti questi elettroni
estratti durante il ciclo dell’acido citrico, migreranno nella membrana interna del mitocondrio, in quella che
noi chiamiamo la catena di trasporto degli elettroni
Questa serie di proteine rappresentate nell’immagine sovrastante, consente il movimento degli elettroni
prima menzionati, secondo il loro gradiente di potenziale; mentre gli elettroni si spostano lungo questo
gradiente potenziale e mentre gli elettroni si muovono lungo queste proteine di membrana, si genera un
gradiente protonico tra i due lati della membrana, questo gradiente protonico viene infine utilizzato per
produrre ATP
Dunque, non è il ciclo dell’acido citrico a produrre ATP, ma la catena di trasporto degli elettroni con i suoi
processi, ovvero la fosforilazione ossidativa.
La catena di trasporto consta di 4 proteine e della pompa ATPasi, la quale genera ATP e, come si può
osservare dalla figura, gli ioni H+ sono pompati dalla matrice (dove avviene il ciclo di Krebs), verso lo spazio
intermembrana, a creare il gradiente protonico, il quale viene usato dall’ATPasi
Lezione 16 bis – decarbossilazione del piruvato
Lezione 17 – Step 1 del ciclo dell’acido citrico
Da piruvato ad acetil-CoA
Dopo la formazione di piruvato, in condizioni aerobiche, il piruvato si muoverà nella matrice del
mitocondrio, e una volta nella matrice, prima che la molecola di piruvato entri nel ciclo dell’acido citrico
questa dev’essere attivata.
Per attivare la molecola di piruvato, noi rimuoviamo una CO2, e piazziamo le restanti due componenti del
piruvato, note come gruppo acetile, su una molecola carrier chiamata coenzima A (CoA), per cui formiamo,
nella matrice mitocondriale, questa molecola chiamata complesso Acetil-CoA.
Questa molecola entrerà nel primo step del ciclo dell’acido citrico.
Step 1 del ciclo dell’acido citrico
L’obiettivo dello step 1 è quello di combinare il gruppo acetile del acetil-CoA, una molecola a 2 carboni, su
una molecola a 4 carboni, l’ossalacetato , per formare una molecola a 6 molecole chiamata citrato che è la
base coniugata dell’acido citrico, inoltre rigeneriamo il coenzima A, il quale può essere riutilizzato.
Lo step 1 dunque consiste di due ministep, i quali sono entrambi catalizzati da un enzima chiamato citratosintasi, come suggerisce il nome di questo enzima, in questo step sintetizziamo la molecola di citrato a
partire dai due reagenti ossalacetato e acetil-CoA, i quali fungono da substrato dell’enzima
Il ministep 1 è una condensazione aldolica (vedremo dopo di cosa si tratta), durante la quale formeremo il
citril-coenzima A, il quale ha un’energia molto alta in quanto possiede un legame tioestere che lega il
carbonio e lo zolfo, il quale ha un’energia molto alta.
Nel ministep 2 si ha una reazione di idrolisi in cui una molecola d’acqua sarà utilizzata nel sito attivo
dell’enzima per effettuare il cleaving (taglio) del legame prima citato, formando i due prodotti finali dello
step 1, il citrato e il coenzima A. Questo step è molto esoergonico, rilascia energia.
In questa lezione ci focalizzeremo sul ministep 1 dello step 1, ovvero sulla condensazione aldeica, il quale è
molto più complicato del ministep 2 che è una semplice idrolisi; prima però di passare a vedere questo step
nel dettaglio, vediamo più da vicino l’enzima citrato sintasi
Citrato sintasi
La citrato sintasi è l’enzima che catalizza lo step 1 del ciclo dell’acido citrico, si tratta di un enzima dimero,
ovvero consiste di due subunità identiche, nell’immagine sottostante mostriamo una di queste subunità
Questa subunità contiene tre domini:
I domini a destra e a sinistra (in verde e in rosso) sono identici, e
differiscono dal dominio centrale (in giallo). Ai confini destro e sinistro del
dominio centrale con gli altri due domini, troviamo i siti attivi dell’enzima.
All’inizio, i substrati non si legano entrambi nel sito attivo della citrato
sintasi, ma solo l’ossalacetato. Questo perché all’inizio, nella sua
conformazione a catena aperta, la citrato sintasi contiene solo un sito
attivo per il legame dell’ossalacetato e non contiene l’altro sito attivo per
l’acetil-CoA
Una volta legatasi nel sito attivo, la molecola di ossalacetato crea un
cambiamento conformazionale, i due domini ruotano internamente e, a seguito di questa intrarotazione, vi
sono diversi avvenimenti importanti:
-
Il sito attivo viene sigillato parzialmente, finché non arriva anche l’acetil-CoA, a quel punto il sito
attivo verrà sigillato totalmente
Dopo il legame dell’ossalacetato al suo sito attivo, si ha un cambiamento conformazionale
nell’enzima tale che si viene a formare un ulteriore sito attivo che può legare l’acetil-CoA
A seguito del legame dell’ossalacetato, i residui catalitici si orientano secondo in modo ottimale per
dare inizio alla condensazione aldolica
Quindi i siti attivi sono sigillati, ma non totalmente, in quanto ancora deve entrare l’acetil-CoA
Residui catalitici della citrato sintasid
Abbiamo tre tipi di residui catalitici
in questo enzima: Istidina
274(His274), His320, aspartato 375
(Asp375)
Nell’immagine vediamo in blu
l’acetil-CoA e in viola l’ossalacetato
Supponiamo che l’ossalacetato sia
già entrato nel sito attivo, sia già
avvenuto il cambiamento
conformazionale e l’acetil-CoA sia
già anch’esso nel sito attivo
Suddividiamo i processi che
avvengono nel sito attivo
dell’enzima in 6 step…
Da qui in poi è chimica, non so dove
mettere mano.
Lezione 18 – step 2-4 del ciclo dell’acido citrico
Step 2
L’obiettivo dello step 2 è quello di prendere il citrato e di prepararlo per la decarbossilazione, negli step
successivi produrremo CO2 e estrarremo gli elettroni ad alta energia che utilizzeremo infine nella catena di
trasporto degli elettroni.
Per preparare la molecola di citrato a tutti questi processi, vogliamo cambiare la posizione del gruppo
idrossilico (=gruppo ossidrilico OH) e otterremo come prodotto finale l’isocitrato
Citrato e isocitrato sono isomeri, hanno la stessa formula molecolare ma differiscono per la posizione del
gruppo ossidrilico, il quale è attaccato al carbonio 3 nel citrato, e al carbonio 2 nell’isocitrato. Tuttavia per
andare dal citrato (reagente) all’isocitrato (prodotto), dobbiamo passare per un intermedio; per cui lo step
1 consta di 2 ministep.
Primo ministep dello step 2
Nel primo ministep abbiamo una reazione di disidratazione, con questa rimuoviamo il gruppo ossidrilico e
l’idrogeno (in azzurro nel disegno), formiamo una molecola d’acqua e si forma un doppio legame tra il
carbonio 2 e il carbonio 3
Secondo ministep dello step 2
Formatosi il doppio legame, entra una molecola d’acqua, e attraverso una reazione di idratazione, tuttavia
invece di legarsi al carbonio 3, si legherà al carbonio 2, in quanto, se si legasse al carbonio 3, riformeremmo
il citrato, invece attaccando il carbonio 2, il quale è anche più “libero” rispetto al carbonio 3, poiché
contiene dei gruppi più piccoli attaccati a lui, forma l’isocitrato
L’intermedio che si forma tra citrato e isocitrato si chiama cis-aconitato, e da questa molecola prende il
nome l’enzima che catalizza lo step 2, l’enzima aconitasi
Aconitasi
Questo enzima catalizza lo step 2 del ciclo di Krebs, esso contiene una componente di ferro-zolfo, per cui
l’aconitasi viene anche chiamata proteina ferro-zolfo. Questo complesso ferro-zolfo si trova nel sito attivo
dell’enzima e si lega finché il gruppo carbossilico del citrato, il quale mantiene il citrato stesso nel sito
attivo, finché non si effettua la catalisi.
Step 3 – prima decarbossilazione
Una volta formato l’isocitrato, questo è pronto per prendere parte la prima reazione ossidativa di
decarbossilazione, questa reazione è catalizzata dall’isocitrato-deidrogenasi e ricorda, la deidrogenasi è un
enzima che estrae gli elettroni attaccati agli ioni H e li usa per formare le molecole di NADH, anche in
questo caso abbiamo 2 ministep
Ministep 1 – riduzione del NAD+ in NADH
La prima reazione riguarda l’estrazione di una coppia di elettroni ad alta energia per formare un intermedio
anch’esso ad alta energia, chiamato ossalosuccinato. Dunque ossidiamo l’isocitrato per formare
l’ossalosuccinato, formiamo anche un NADH + uno ione H+
L’ossalosuccinato è instabile in quanto è un beta chetoacido (I beta-chetoacidi sono acidi carbossilici che
contengono il gruppo chetonico sul carbonio 3, sono generalmente instabili); il NADH verrà invece utilizzato
in futuro nella catena di trasporto degli elettroni
In questo ministep è dunque avvenuta una reazione di ossido-riduzione
Ministep 2 – decarbossilazione dell’ossalosuccinato
In questo step, utilizzando sempre l’isocitrato deidrogenasi, attraverso l’utilizzo di uno ione H+, operiamo
una reazione di decarbossilazione a formare una molecola chiamata alfa-chetogluterato.
Dunque, il molto instabile ossalosuccinato, prende parte a una reazione di decarbossilazione, questo step
determina la frequenza a cui opererà lo stesso ciclo dell’acido citrico (vedremo in un’altra lezione), per cui
questo step è molto importante
La reazione netta dello step 3 del ciclo di Krebs sarà la seguente
Nota bene che in questa equazione non sono presenti né l’ossalosuccinato, né gli ioni H+, in quanto,
essendo presenti da entrambi i lati delle equazioni (se sommiamo entrambe le reazioni), si cancellano
Step 4 – secondo step di decarbossilazione ossidativa
In questo step andremo a rimuovere una ulteriore molecola di CO2 per estrarre un’altra coppia di elettroni
e infine produrre il NADH, il quale verrà infine utilizzato dalla catena di trasporto degli elettroni
In questo step inoltre utilizzeremo di nuovo il coenzima A
In questo step, dunque vogliamo operare la conversione dell’alfa-chetogluterato in succinil-CoA.
Dal lato dei reagenti abbiamo l’alfa-chetogluterato in presenza di un NAD+, il quale è necessario perché
funge da carrier di estrazione degli elettroni che vogliamo estrarre, abbiamo inoltre anche il coenzima A
Dal lato dei prodotti, vediamo che abbiamo rimosso la molecola in verde attaccata al carbonio 1 del
reagente per formare la CO2 e attacchiamo al suo posto il coenzima A (in azzurro)
L’enzima che catalizza lo step 4 è conosciuto come complesso alfachetogluterato deidrogenasi, questo
complesso è molto simile a quello che catalizza lo step 1 del ciclo dell’acido citrico. Anche questo complesso
infatti consiste infatti di 3 diversi enzimi e molti cofattori diversi; gli enzimi costituenti esso si distinguono in
E1, E2 ed E3.
E1 utilizza la tiamina fosfato, E2 utilizza l’acido lipoico, E3 utilizza il FAD
Lezione 19 – Step 5-8 del ciclo dell’acido citrico
Step 5
Nello step 4 abbiamo sintetizzato il succinil-CoA, questa molecola sarà il reagente dello step 5. In questa
reazione.
Lo step 5 è l’unico durante il quale generiamo una purina nucleoside trifosfato ad alta energia, il GTP.
L’obiettivo finale di questo step è dunque quello di attaccare un gruppo fosfato al GDP per formare il GTP.
Il problema di questo step è che si tratta di una reazione endoergonica, che richiede un input di energia;
per cui, per superare questo ostacolo, accoppieremo alcuni processi esoergonici a questo processo
endoergonico.
Nel ciclo dell’acido citrico, ogni volta che vediamo un legame tioestere (in rosso in figura) tra un carbonio e
uno zolfo, come nel caso del nostro succinil-CoA, quel legame è molto instabile e ad alta energia. Quando
effettuiamo il cleavage di questo legame, otteniamo una certa quantità di energia libera, la quale è usata
per far si che il fosfato inorganico si leghi al GDP per formare il GTP. Durante questo processo, rilasciamo
anche il CoA e formiamo questa molecola di quattro carboni, chiamata succinato, la quale proseguirà verso
lo step 6 del ciclo dell’acido citrico. Questa reazione è catalizzata dal succinil-CoA sintetasi
Una volta formato il GTP, questo viene utilizzato principalmente per due scopi:
-
Può essere utilizzato dalle proteine G, per esempio nei pathway di trasduzione del segnale, le
proteine G utilizzano il GTP per questo stesso scopo specifico
Può essere trasformato in ATP attraverso l’attività di un enzima chiamato nucleoside-difosfato
chinasi, il quale catalizza il trasferimento di un fosfato dal GTP all’ADP per formare l’ATP
In ogni caso, il cleaving del legame tioestere del succinil-CoA genera abbastanza energia libera tale da far si
che si possa operare la reazione endoergonica
Meccanismo di reazione dello step 5
1) L’ortofosfato (in azzurro) va nel sito attivo dell’enzima col succinil-CoA (in viola), il GTP non si trova
nel sito attivo, ma nelle vicinanze. L’ortofosfato agisce da nucleofilo, attacca il carbono del gruppo
carbonilico, si spezza il legame tioestere, il quale rilascia il coenzima A, nonché l’energia necessaria
per la reazione; si forma una molecola intermedia chiamata succinil fosfato
2) Qui agisce il residuo di istidina (in rosso), i due elettroni dell’azoto di questo residuo di istidina
agiscono da nucleofili, attaccano l’atomo di fosforo, si rompe il legame sigma (P-O), e la molecola in
viola a 4 atomi di carbonio si stacca, portando l’atomo di ossigeno con lui, formiamo quindi il
succinato. Per ora abbiamo formato il CoA e il succinato, dobbiamo però ancora formare il GTP e
rigenerare l’enzima.
3)
L’istidina legata all’ortofosfato è detta fosfoistidina, questa si muove verso un altro sito dello
stesso enzima, il quale contiene il GDP
4) In quest ultimo step, il GDP riceve l’ortofosfato dalla fosfoistidina, ciò da un lato forma il GTP,
dall’altro lato rigenera la conformazione originale dell’enzima.
Step 6-8 del ciclo dell’acido citrico
Il ciclo dell’acido citrico è iniziato con un ossalacetato, dunque, essendo appunto il ciclo dell’acido citrico un
ciclo, significa che se abbiamo iniziato con l’ossalacetato, termineremo anche con l’ossalacetato.
In questi 3 step vogliamo trasformare la molecola a 4 carboni di succinato, in una molecola di 4 carboni di
ossalacetato. L’unica differenza tra l’ossalacetato e il succinato, è che il succinato ha un gruppo metilenico
(CH2) dove l’ossalacetato ha invece una componente carbonilica (si parla sempre della regione di sinistra
della molecola)
In questi tre processi dunque trasformeremo il gruppo metilene del succinato in un gruppo carbonilico
dell’ossalacetato, e durante questo processo estrarremo elettroni ad alta energia attraverso i FAD e i NAD+.
La differenza tra FAD e NAD+ sta nel fatto che il FAD può prendere due atomi di H, mentre il NAD+ può
prendere uno ione idruro, ovvero un singolo ione di idrogeno che contiene due elettroni.
Nello step 6 utilizziamo il FAD, nello step 8 utilizziamo il NAD+
Step 6 – ossido riduzione
Nello step 6 abbiamo la succinato deidrogenasi che
catalizza la reazione, i due H sono asportati dal succinato e i
due elettroni rimanenti vanno a formare un doppio legame
tra i due carboni, per cui si forma il fumarato che non è
altro che la molecola di prima, senza i due H e con un
doppio legame tra il carbonio 2 e il carbonio 3
I due atomi di H si legano al FAD che diventa FADH2
La succinato deidrogenasi, a differenza degli enzimi visti precedentemente, è un enzima che si trova nella
matrice interna del mitocondrio, infatti è una proteina ferro-zolfo che fa anche parte della catena di
trasporto degli elettroni.
Il FAD è legato covalentemente alla succinato deidrogenasi, tuttavia una volta che la reazione di ossidazione
ha luogo e una volta ridotto il FAD in FADH2, il FADH2 resta ancora attaccato covalentemente alla succinato
deidrogenasi, ma dona i due elettroni a una speciale componente ferro-zolfo dell’enzima e questi due
elettroni poi si muoveranno verso le altre proteine della catena di trasporto degli elettroni, ciò genererà poi
il gradiente protonico che ci permetterà di produrre ATP
Lo step 6 è dunque una reazione di ossidoriduzione, ossidiamo il succinato in fumarato e riduciamo il FAD in
FADH2.
Step 7 – reazione di idratazione
Nello step 7 abbiamo una reazione di idratazione in cui il fumarato è trasformato in malato, attraverso una
molecola d’acqua. Formiamo alla fine l’isomero L del malato, in quanto l’acqua attacca solo un lato della
molecola
L’enzima che catalizza questo step è la fumarasi,
Step 8 – rigenerazione dell’ossalacetato
Il malato è ossidato in ossalacetato attraverso l’attività della malato idrogenasi, durante il processo
asportiamo uno ione idruro, il quale sarà captato da un NAD+ che diventerà NADH, il quale sarà utilizzato
nella catena di trasporto degli elettroni
Lo step 8 è molto endoergonico, quindi richiede molta energia, per cui molti processi esoergonici che
accadono nella catena di trasporto degli elettroni vengono accoppiati allo step 8 per far sì che si abbia
l’energia necessaria per portare avanti lo step 8, inoltre, l’energia liberata dallo step 1 del ciclo dell’acido
citrico – il quale ha luogo immediatamente dopo lo step 8 – viene utilizzata anche per portare avanti lo
step 8
Lezione 20 – regolazione del ciclo dell’acido citrico
Ci sono diversi modi per regolare il ciclo dell’acido citrico, la prima modalità è attraverso la regolazione
della decarbossilazione del piruvato
Lezione 21 – introduzione alla fosforilazione ossidativa
L’ultimo processo della respirazione aerobica cellulare è la fosforilazione ossidativa, un processo che ha
luogo sulla catena di trasporto degli elettroni della membrana interna del mitocondrio.
Dal citoplasma, dov’è avvenuta la glicolisi, ci siamo spostati verso la matrice mitocondriale, dove sono
avvenuti la decarbossilazione del piruvato e il ciclo dell’acido citrico, e ora siamo nella membrana interna
del mitocondrio.
Nel ciclo dell’acido citrico abbiamo estratto elettroni ad alta energia, i quali verranno qui usati per
effettuare una fosforilare ossidativamente le molecole di ADP in ATP lungo la stessa catena di trasporto
degli elettroni.
Per cui usiamo le molecole di NADH e di FADH2 per generare gli stessi ATP, infatti NADH e FADH2 sono in
ultima analisi utilizzati per ridurre le molecole biatomiche (a due atomi) di ossigeno per formare acqua nel
processo e generare ATP ad alta energia; questo processo è super sintetizzato nella seguente immagine:
Nell’immagine sottostante è rappresentato un mitocondrio:
In quest’immagine vediamo che il mitocondrio ha una membrana esterna, uno spazio intermembrana, una
membrana interna dov’è la catena di trasporto degli elettroni e la matrice mitocondriale dove avviene il
ciclo di krebs.
In particolare, la catena di trasporto degli elettroni si trova sui ripiegamenti del mitocondrio, chiamati
creste mitocondriali.
Se dunque zoomiamo su una piccolissima sezione di cresta mitocondriale, troviamo quanto rappresentato
nella prima immagine, ovvero la catena di trasporto degli elettroni.
Composizione della catena di trasporto degli elettroni
È formata da diversi complessi proteici: complesso proteico I, complesso proteico II, complesso proteico III,
complesso proteico IV, e una proteina speciale finale chiamata ATPsintasi, vi sono anche altre proteine che
discuteremo nelle prossime lezioni.
Riproponiamo l’immagine di prima:
Lungo la catena gli elettroni ad alta energia per portarli all’interno complessi proteici
-
Complesso proteico I: estrae gli elettroni dal NADH, e allo stesso tempo rigenera i NAD+ (rilascia un
H+)
Complesso proteico II: prende gli elettroni dal FADH2 e rigenera il FAD
Il flusso di elettroni ci permette di avere una corrente elettrica, la quale viene utilizzata per attivare i
complessi proteici, i quali fungeranno da pompe protoniche, pompando gli ioni H+ dalla matrice del
mitocondrio allo spazio intermembrana; i complessi proteici che pompano ioni H+ nello spazio
intermembrana sono l’ I, il III e il IV
-
Complesso proteico IV: una volta giunti a questo complesso, gli elettroni riducono le molecole di
ossigeno biatomico, formando molecole d’acqua
ATP sintasi: genera gli ATP
In ultima analisi quindi, stabiliamo un gradiente protonico, dove abbiamo un’alta concentrazione di ioni H+
nello spazio intermembrana mitocondriale, e una bassa concentrazione protonica nella matrice
mitocondriale; l’ATPsintasi usa questo gradiente elettrochimico degli H+, muove gli ioni H+ secondo il loro
gradiente elettrochimico – dall’altra concentrazione intermembrana alla bassa concentrazione nella
matrice – e ciò dà energia all’ATPsintasi per fosforilare l’ADP a ATP
Ecco perché questo processo si chiama fosforilazione ossidativa, in quanto usiamo un ossigeno nella catena
di trasporto degli elettroni.
Nota bene, il ciclo dell’acido citrico non richiede ossigeno, la catena di trasporto degli elettroni, si, tuttavia
il ciclo dell’acido citrico sarebbe poco utile se non vi fosse la fosforilazione ossidativa (e penso per questo lo
consideriamo parte integrante della respirazione cellulare)
Nella catena di trasporto degli elettroni quindi, l’ossigeno rappresenta l’accettore finale degli stessi
elettroni
Si può dunque sintetizzare il tutto in 4 step:
Step 1: gli ioni ad alta energia sono estratti dal NADH e dal FADH2, gli elettroni si muovono lungo la catena
di trasporto
Step 2: il movimento degli elettroni stimola, grazie alla genesi di una corrente elettrica, il movimento degli
ioni H+ al di fuori della matrice nello spazio intermembrana del mitocondrio, ciò stabilisce un gradente
elettrico di differenza di potenziale tra lo spazio intemembrana, carico positivamente, e la matrice
mitocondriale, carica negativamente
Step 3: gli elettroni vengono catturati dall’ossigeno e formano acqua
Step 4: la distribuzione inequa degli ioni H+ causa il movimento spontaneo degli stessi secondo il loro
gradiente elettrochimico, e ritornano nella matrice, questo flusso avviene nell’ATP sintasi e genera gli ATP.
L’obiettivo finale della catena di trasporto degli elettroni è quello di trasformare una forma di energia,
l’energia elettrica degli elettroni, in un gradiente protonico (alta concentrazione H+ fuori, bassa dentro) e
infine in ATP (energia chimica).
Gli ATP, coi loro legami chimici ad alta energia, verranno utilizzati dalle nostre cellule per portare avanti una
moltitudine di processi
Creste mitocondriali
Le creste mitocondriali sono dei ripiegamenti che ampliano moltissimo la superficie in cui si trova la catena
di trasporto degli elettroni (un po’ come per i villi e i microvilli degli enterociti), e ciò aumenta la capacità
della cellula di prendere parte alla fosforilazione ossidativa (c’è “più” catena di trasporto degli elettroni,
quindi se ne può fare di più)
Membrana mitocondriale esterna
La membrana mitocondriale esterna contiene delle speciali porine di membrana conosciuti anche come
VDAC (voltage dependent anionic complexes), le quali sono delle proteine di membrana che consentono il
movimento di molecole anioniche, le quali sono piccole molecole, come gli ioni cloro, molecole di ATP… per
cui queste possono entrare e uscire dal citoplasma nella membrana interna, superando la membrana
esterna senza troppe difficoltà
Membrana mitocondriale interna
La membrana mitocondriale interna non contiene le porine mitocondriali, quindi è impermeabile a
molecole cariche ed a molecole polari, per cui molecole come il citrato, il piruvato, o l’ATP non possono
attraversarla liberamente, ma il loro ingresso attraverso di essa per entrare nella matrice mitocondriale
dipende dalle proteine di trasporto
Il lato della membrana mitocondriale interna che dà sullo spazio
intermembrana è chiamato anche lato P, dove P sta per positivo, in
quanto è carico positivamente a causa degli ioni H+. mentre il lato
della membrana mitocondriale interna che dà sulla matrice
mitocondriale è chiamato lato N, dove N sta per negativo.
Lezione 22 – Introduzione alla catena di trasporto degli elettroni
In questa lezione discuteremo dei complessi proteici che si trovano lungo la catena di trasporto degli
elettroni: abbiamo 4 complessi proteici: complesso proteico I, II, III e IV. Oltre a questi abbiamo due carrier
di elettroni molto importanti utilizzati dalla catena di trasporto degli elettroni: il coenzima Q, conosciuto
anche come ubiquinone, e il citocromo C.
Nota, l’immagine sopra rappresenta una singola catena di trasporto di elettroni, ma in un mitocondrio ci
sono tantissime catene di trasporto
Complesso proteico I
Il complesso proteico I è conosciuto anche come NADH deidrogenasi o NADH ossidoriduttasi, è un grosso
complesso proteico che consiste di 46 polipeptidi. Ha una forma ad L dove la componente orizzontale giace
nella membrana interna, mentre la componente verticale penetra nella matrice (una L capovolta)
Questo complesso funziona da accettore di elettroni ad alta energia dalle molecole di NADH, gli elettroni si
muoveranno lungo uno speciale pathway dello stesso complesso e saranno presi dal coenzima Q, del quale
parleremo dopo. Il passaggio di elettroni avviene nella componente verticale del complesso.
Agisce come pompa protonica che usa il movimento degli elettroni, il quale genera una forma di energia,
per pompare ioni idrogeno nello spazio intermembrana, e generare il gradente protonico elettrochimico giù
menzionato che verrà infine utilizzato dall’ATP sintasi.
La funzione del complesso è quella di ossidare il NADH in NAD+, accettare gli elettroni ad alta energia,
muoverli lungo il pathway, generare una corrente elettrica tale da dare energia per pompare protoni dalla
matrice all’intermembrana.
Coenzima Q
Il coenzima Q, conosciuto anche come ubiquinone, è una piccola molecola dissolta nella membrana del
mitocondrio, e poiché contiene una regione idrofobica relativamente larga, può dissolversi facilmente nella
membrana e muoversi lungo essa, il suo compito è quello di prendere gli elettroni ad alta energia ricevuti
dalla molecola di NADH e portarli al complesso proteico III; oltre agli elettroni del coenzima I, prende anche
quelli del coenzima II, il quale a sua volta ossida il FADH2 in FAD e prede gli elettroni dallo stesso FADH2
Complesso proteico II
Si trova parzialmente nella matrice e parzialmente nella membrana interna, la funzione del complesso
proteico 2 è quella di accettare ed estrarre gli elettroni ad alta energia dal FADH2. Ora nel ciclo dell’acido
cirtico c’è uno step dove noi ossidiamo il succinato in fumarato e in quest’ultimo processo abbiamo un
enzima chiamato succinato deidrogenasi che catalizza questa reazione e riduce il FAD in FADH2
I due H del succinato sono estratti e dati al FAD per formare il FADH2.
Ora possiamo trovare la succinato deidrogenasi nel complesso proteico II. Una volta diventata FADH2,
questa molecola resta attaccata dunque a questo complesso proteico; qui, come detto prima, il FADH2 è
riossidato in FAD, e ciò permette al complesso di estrarre questi elettroni ad alta energia, i quali vengono
presi dal coenzima Q e portati al complesso III.
Una differenza importante tra il complesso proteico II e gli altri complessi, è che il complesso proteico II
non è una pompa protonica, dunque, a differenza del I, III e IV, non pompa protoni nello spazio
intermembrana.
Complesso proteico III
Questo complesso è conosciuto anche come citocromo c ossidoriduttasi, Q citocromo C ossidoriduttasi o
anche semplicemente citocromo riduttasi.
Questo complesso accetta gli elettroni dal coenzima Q, per poi ritrasportarli su un altro carrier, il citocromo
C
Proprio come il complesso proteico I, il III è una pompa protonica, e come risultato del movimento degli
elettroni, ha l’energia per pompare protoni nello spazio intermembrana
Complesso proteico IV
È il luogo “finale” dove portiamo gli elettroni e li utilizziamo per ridurre le molecole di ossigeno a formare
molecole d’acqua, per cui qui troviamo l’accettore finale di elettroni (l’ossigeno). Questo complesso utilizza
anch’esso l’energia generata dal flusso degli elettroni per pompare protoni dalla matrice nello spazio
intermembrana. È conosciuto anche come citocromo C ossidasi in quanto utilizza l’ossigeno come
accettore finale di elettroni (penso anche perché ossida il citocromo C…)
Diverse forme del coenzima Q
Abbiamo detto che il coenzima Q trasporta gli elettroni del complesso I e II verso il complesso III, dunque
esso presenta due forme:
-
-
Nella forma ossidata, lo chiamiamo ubiquinone, o coenzima Q; quest’ultimo presenta una lunga
coda idrofobica finale (dove c’è CH3). Una volta accettati i due elettroni e i due ioni H+ (vengono
accettati dai due gruppi O che si trovano ai vertici 1 e 4 dell’esagono) a formare la forma ridotta del
coenzima Q
La forma ridotta del coenzima Q la chiamiamo ubiquinolo o coenzima QH2
Quindi il coenzima QH2 (ridotto), andrà al complesso III, cederà gli elettroni e questi ultimi saranno
accettati dal citocromo C
Citocromo C
Il citocromo C è una piccola proteina idrosolubile (nota bene, il coenzima Q non è una proteina, il citocromo
C sì) legata alla regione che affaccia sull’intermembrana del complesso proteico III. Una volta accettati gli
elettroni si attacca al complesso proteico IV sullo stesso lato, ovvero sul lato che affaccia
sull’intermembrana, per poi trasferire gli elettroni i quali saranno utilizzati per ridurre l’ossigeno e formare
quindi la molecola d’acqua.
Lezione 22 – Complesso I e II della catena di trasporto degli elettroni
Come detto nella lezione precedente, il complesso I è una struttura molto grande, è un complesso di circa
46 polipetidi. Viene chiamato anche NADH deidrogenasi o NADH ossidoriduttasi, in quanto è il complesso
che accetta gli elettroni ad alta energia dal NADH che generiamo nei processi precedenti.
Il complesso I ha una forma di L capovolta, ha due componenti: la componente orizzontale che giace nella
membrana del mitocondrio e la componente verticale che si estende nella matrice del mitocondrio. Il
NADH si lega nella componente verticale che si estende nella matrice del mitocondrio, insieme al NADH
viene usato anche un H+, tra un po’ vedremo il perché.
Durante il processo ossidiamo il NADH in NAD+ e questi due elettroni sono estratti da un gruppo chiamato
FMN, dove FMN sta per flavina mononucleotide
Nell’immagine sottostante vediamo la FMN nella sua forma ossidata, ovvero prima di accettare gli elettroni.
Essa possiede una struttura a tre anelli chiamata isoallossazina, questa struttura viene trovata anche nel
FAD e il FAD è in grado di estrarre 2 elettroni nello stesso identico modo in cui il FMN usa l’anello di
isoallossazina per estrarli. Tuttavia l’FMN non può legare gli elettroni così come sono, ma ha bisogno di due
ioni H+
Ognuno dei due ioni H+ si lega all’azoto libero (quello “in cima” al secondo anello e quello “in valle” al terzo
anello), a formare la forma ridotta della flavina mononucleotide, FMNH2; uno degli H viene dal NADH e un
altro viene dall’H+, i due elettroni vengono entrambi dal NADH e in ultima analisi ossidiamo il NADH in
NAD+
Riformato il NAD+, esso può essere utilizzato per fare il ciclo dell’acido citrico o la glicolisi
Destino degli elettroni
Una volta estratti dalla FMN, gli elettroni iniziano a muoversi lungo una serie di altri gruppi conosciuti come
gruppi di ferro-zolfo. Mentre si muovono lungo questi gruppi, il flusso di elettroni genera una corrente
elettrica, la quale può essere utilizzata per attivare un processo, in questo caso particolare il processo è la
pompa di H+ nello spazio intermembrana.
Dunque mentre questi elettroni si muovono fino ad arrivare al coenzima Q, 4 ioni H+ vengono pompati dal
complesso 1 dalla matrice mitocondriale allo spazio intermembrana
Elettroni al coenzima Q
Gli elettroni vengono accettati dal coenzima Q o ubiquinone, oltre ad essi, il coenzima Q accetta anche due
ioni H+, a formare la forma ridotta del dell’ubiquinone, l’ubiquinolo o il coenzima QH2
Complesso II
Il complesso II, a differenza del complesso I, III e IV, non è una pompa protonica, quindi non pompa H+
fuori dalla membrana e a causa di questo il FADH2 formerà alla fine meno ATP rispetto a quanto ne formi il
NADH.
Il complesso II è infatti responsabile dell’estrazione degli elettroni dal FADH2.
Nel ciclo dell’acido citrico abbiamo ossidato il succinato in fumarato e ridotto il FAD in FADH2 attraverso la
catalisi dell’enzima succinato deidrogenasi
Quindi in questa reazione i due H vengono presi dal FAD che si riduce in FADH2 e si forma un doppio e,
rottosi quel legame tra i due idrogeni coi due carboni 2 e 3, si forma un doppio legame tra il carbonio 2 e 3
a formare il fumarato.
La succinato deidrogenasi si trova nel complesso II, tale complesso è perciò chiamato anche succinato
riduttasi, in quanto riduce il FAD in FADH2 dopo che l’enzima ha ossidato il succinato in fumarato.
Formato il FADH2, questo resta legato al complesso II e nello stesso complesso i due elettroni sono estratti
dal FADH2 e, muovendosi attraverso una serie di cluster ferro-zolfo arrivano al coenzima Q, lo stesso
discusso prima, dove accade la stessa cosa di prima, il coenzima Q diventa coenzima QH2, si stacca e va
verso il complesso III.
Lezione 23 – Ciclo di Q e complesso III della catena di trasporto degli elettroni
In questa lezione parleremo di cosa accade quando l’ubiquinolo (coenzima QH) si lega al complesso III.
Il complesso III è conosciuto con molti nomi diversi come Q citocromo C ossidriduttasi e citocromo riduttasi.
Esso è composto da 11 catene polipeptidiche; lo scopo principale del complesso III è di trasferire gli
elettroni ad alta energia dal QH2 ad un altro carrier di elettroni, il citocromo C; in questa lezione
discuteremo i dettagli di questo trasferimento.
Componenti del complesso III – Citocromo C 1, Citocromo B, Proteine Rieske
Prima di parlare del citocromo C1 è bene notare che il citocromo C1 e il citocromo C sono due cose diverse,
nonostante siano due citocromi, ovvero due proteine che contengono un gruppo eme che può legare e
trasferire elettroni.
Il C1 contiene un singolo gruppo eme
Nel complesso 3 abbiamo un altro citocromo, detto citocromo B, questo contiene due differenti gruppi
eme, i quali sono in grado di legare elettroni
Infine abbiamo le proteine Rieske (o gruppo Rieske), queste contengono il gruppo 2Fe-2S che può legare
elettroni e trasferirli
Il Ciclo di Q
Il processo di trasferimento attraverso il quale gli elettroni vengono trasferiti dall’ubiquinolo al citocromo c
è conosciuto come ciclo di Q il quale è composto da due mezzi cicli
Prima di parlare del primo mezzo ciclo, è importante sapere che il citocromo c è una proteina idrosolubile,
attaccata al complesso proteico 3 sul lato che dà sullo spazio intermembrana del complesso III; quando lega
un elettrone, il citocromo C si stacca, e poiché è diffusibile in acqua, esso viaggia attraverso il fluido
presente nello spazio intermembrana fino ad attaccarsi al complesso IV nello stesso lato
Primo mezzo ciclo
Nel primo mezzo ciclo, l’ubiquinolo si lega al complesso 3, nel legarsi i due protoni, gli ioni H+, sono
pompati nello spazio intermembrana del mitocondrio. I due elettroni legati all’ubiquinolo invece seguono
un pathway diverso l’uno dall’altro.
Pathway dell’elettrone A: Uno dei due elettroni, che chiamiamo elettrone A, viene trasferito verso le
proteine di Rieske, le quali hanno il gruppo 2Fe-2S, il quale poi si muoverà sul gruppo eme del citocromo
C1; ora nel gruppo eme ossidato del citocromo C1 , il ferro esiste nella forma Fe3+, ma quando guadagna
un elettrone, si riduce nella forma Fe2+, per cui da questo gruppo eme, viaggerà verso il gruppo eme del
citocromo C, e solo uno dei due elettroni si lega al citocromo C.
Questa è la grande differenza tra il citocromo C e il coenzima Q, che il Q può portare 2 elettroni, il C uno
solo.
Una volta legatosi al citocromo C, accade quando detto prima, ovvero il citocromo C si stacca, e poiché è
diffusibile in acqua, esso viaggia attraverso il fluido presente nello spazio intermembrana fino ad attaccarsi
al complesso IV nello stesso lato
Pathway dell’elettrone B: l’elettrone B va verso il citocromo B, quest’ultimo, come detto prima, ha due
gruppi eme, quindi questo elettrone si legherà prima a un gruppo eme del citocromo B, poi all’altro gruppo
eme dello stesso e infine si legherà all’ubiquinone (coenzima Q ossidato) a formare una molecola parziale,
lo ione radicale semiquinone (Q-)
Secondo mezzo ciclo
Nel secondo mezzo ciclo arriva un altro ubiquinolo a legarsi al coenzima III e una volta legatosi, avviene lo
stesso pathway di prima per l’elettrone A e i due protoni: i due protoni vengono pompati fuori nello spazio
intermembrana, l’elettrone A va verso il gruppo Rieske, si lega al 2Fe-2Se, va verso il gruppo eme del
citocromo C1, riducendolo da Fe3+ a Fe2+, e infine migra verso un citocromo C; questo citocromo C non è
lo stesso di prima, ma è un altro, infatti quando si stacca un citocromo C dal complesso III per migrare verso
il IV, se ne attacca un altro
L’elettrone B invece, va verso il citocromo B, si lega ai due gruppi eme, e viene poi preso dal prima formato
ione radicale semiquinolo, quest’ultimo, il quale ora avrà due elettroni, andrà poi a prendere due protoni
sotto forma di ioni H+ dalla matrice mitocondriale e diventerà di nuovo ubiquinolo, QH2, il quale si
staccherà dal complesso 3 per entrare nell’intermembrana mitocondriale, per continuare il suo ciclo;
questo step è conosciuto come step di riciclo
Lezione 24 – Complesso IV della catena di trasporto degli elettroni
Il complesso IV è anche conosciuto come citocromo C ossidasi, lungo il complesso IV gli elettroni trasferiti
dal citocromo C, vengono a loro volta trasferiti all’ossigeno, e si va a stabilire un gradiente protonico
elettrochimico che verrà infine utilizzato dall’ATP sintasi per generare questi ATP ad alta energia.
Il complesso IV possiede due importanti gruppi, i gruppi eme e gli atomi di rame Cu; abbiamo due gruppi
eme, eme a e eme a3, e tre atomi di rame, due atomi A, che formano il centro di rame A (CuA/CuA) e un
atomo B che chiamiamo rame B , il quale si associa con l’eme a3 per formare il centro di eme a3/rame B
(EmeA3/CuB), e qui ridurremo l’ossigeno per formare l’acqua come vedremo tra poco.
Suddividiamo l’intero processo in 4 steps
Step 1
Col complesso 3 abbiamo generato due citocromi C ridotti, i quali, dissociatisi dal complesso III, hanno
viaggiato attraverso il fluido e si sono legati al complesso IV, una volta legati, trasferiscono un elettrone al
centro CuA/CuA, il quale poi si muoverà verso il gruppo eme a, e poi verso il gruppo eme a3, infine sarà
trasferito al CuB, riducendolo.
Quindi, noi abbiamo il nostro rame nel suo stato Cu2+, guadagnando un elettrone esso viene ridotto in Cu+;
questo accade sia al CuA che al CuB
Questo processo avviene due volte, in quanto il citocromo C, una volta fatto ciò che deve fare, si dissocia
dal complesso IV e arriva il secondo citocromo C ridotto che si è formato nel secondo mezzo step del ciclo
di Q, si lega, e dà un altro elettrone, tuttavia il secondo elettrone si ferma al gruppo eme a3, riducendolo, e
non al CuB
Step 2
Una volta che sia eme a3, sia CuB si sono ridotti, possono finalmente legare l’ossigeno, quindi nello step 2 si
utilizza l’ossigeno biatomico il quale viene utilizzato per formare un ponte di perossido tra il gruppo eme
a3 e il CuB.
Step 3
Una volta formato il ponte di perossido, dalla matrice del mitocondrio vengono estratti due protoni, i quali
vengono utilizzati per rompere quel legame, ma prima che essi vengano utilizzati, sono già arrivati altri 2
citocromi C ridotti che sono già stati ossidati dal complesso IV. Questi due citocromi C quindi hanno già
rilasciato altri due elettroni vanno verso il CuB e verso il gruppo eme a3, allo stesso tempo il complesso IV
prende due protoni dalla matrice, i quali, come detto prima, rompono il ponte di perossido a formare
l’idrossido di rame e il gruppo eme A3 idrossido.
Step 4
Arrivano altri due protoni dalla matrice, i quali ossidano l’idrossido di rame e il gruppo eme A3 idrossido,
rigenerandoli alla loro forma originale e formando due molecole d’acqua [i gruppi ossidrilici (o idrossilici)
attaccati al gruppo eme e al rame, hanno bisogno solo di uno ione idrogeno per diventare rispettivamente
due molecole d’acqua, ovvero H2O; dunque danno la carica positiva ai gruppi Eme a3 e CuB di prima,
portandoli nel loro stato standard ossidato e i due H alle due molecole di ossigeno )
Sommario dei 4 step
Sono stati utilizzate le seguenti molecole
4 citocromi C ridotti si legano ad 1 ad 1 sul complesso IV, due nello step 1 e due nello step 3, vengono
riossidati e escono
1 singola molecola di ossigeno biatomico a formare due molecole d’acqua attraverso l’utilizzo di 4 protoni
sotto forma di ioni H+
4 protoni sono pompati nell’intermembrana in quanto anche il complesso IV agisce da pompa protonica a
formare il gradiente protonico che verrà infine utilizzato per fare ATP.
Lezione 25 – specie reattive dell’ossigeno
Anche se la catena di trasporto di elettroni ha un effetto molto benefico per noi, in quanto ci consente di
generare gli ATP, essa produce anche dei sottoprodotti, delle molecole, che possono causare dei danni alle
nostre cellule.
Questi sottoprodotti sono delle molecole derivanti dall’ossigeno, per cui le chiamiamo specie reattive
dell’ossigeno
Come ricordiamo dalla lezione precedente, l’accettore finale di elettroni è la molecola di ossigeno
biatomico e nello step finale nel complesso IV della catena di trasporto degli elettroni, un totale di quattro
elettroni e quattro protoni si associano ad un ossigeno biatomico, per ridurlo completamente in due
molecole d’acqua
Le molecole d’acqua sono innocue per le cellule e possono essere usate in tanti modi diversi.
Tuttavia in alcune condizioni l’ossigeno è solo ridotto parzialmente, per esempio se guadagna un solo
elettrone e nient’altro, forma una molecola radicale conosciuta come anione superossido , se ne accetta
due forma il perossido, e ricordiamo, quando abbiamo parlato del complesso IV, abbiamo detto che si sono
formati dei ponti di perossido tra il CuB e l’Eme a3.
Questi due tipi di molecole sono molto reattivi, e, qualora il complesso IV rilasciasse queste molecole,
queste possono causare danni alle nostre cellule.
In condizioni normali, nel complesso IV, quando i quattro elettroni sono trasferiti all’ossigeno biatomico noi
formiamo due molecole d’acqua, le quali sono innocue. Tuttavia se l’ossigeno riceve solo uno o solo due
elettroni (senza ricevere gli H+), si ha la produzione dei radicali liberi, detti anche ROS (reactive oxygen
species)
Poiché il complesso IV non è perfetto, questi sottoprodotti si formeranno, tuttavia esistono degli enzimi
speciali in grado di controllarli. Quando invece non vengono controllati, i ROS reagiscono con dei
componenti delle nostre cellule, causando danni ossidativi e questi ultimi sono correlati al processo di
invecchiamento; sostanzialmente una delle cause per le quali invecchiamo è il danno ossidativo. Inoltre il
danno ossidativo è anche correlato con varie condizioni mediche patologiche o comunque anormali, per
esempio come l’ischemia, il diabete, cancro cervicale, danni epatici e enfisema.
Metodi di distruzione/conversione dei ROS
Ci sono diversi metodi con i quali il nostro organismo può distruggere i ROS o convertirli in molecole più
sicure.
È importante menzionare che il complesso IV, che, come detto prima produce il perossido come intermedio
(per fare i ponti di perossido prima citati), non le lascia andare così facilmente, ma li rilascia solo dopo la
conversione di questi ultimi in molecole più sicure e queste, se tutto andasse alla perfezione, sarebbero le
molecole d’acqua.
Tuttavia i pochi ROS che invece vengono rilasciati accidentalmente dal complesso IV, vi sono degli speciali
enzimi protettivi che localizzano i ROS e li convertono in prodotti più sicuri, questi sono:
-
Superossido dismutasi: Questo enzima localizza e converte le specie radicali superossidi, secondo
questo processo:
Essenzialmente, prendiamo due anioni superossido, usiamo 2 H+ e facendoli reagire formiamo una
singola molecola di perossido di idrogeno, che di per sé è una molecola non sicura, e un ossigeno
biatomico, che è invece una molecola sicura
Nelle cellule eucariotiche abbiamo due forme di superossido dismutasi: la prima forma dipende dal
manganese e l’altra forma dipende da rame e zinco. La forma manganese dipendente si trova nel
mitocondrio, mentre la forma dipendente da rame e zinco si trova nel citoplasma del nostro corpo,
entrambi questi enzimi catalizzano lo stesso processo a due step
-
Nel processo 1) abbiamo la versione ossidata di questo enzima dismutasi (ovvero senza H), che
reagendo con un singolo ione superossido rilascia un ossigeno biatomico e tiene un solo elettrone,
in modo da ridursi e rilasciare un ossigeno
Nel processo 2) la dismutasi ridotta, reagisce con un altro anione superossido e altri due ioni H+,
così da ossidarsi e produrre H2O2, ovvero il perossido di idrogeno.
Il perossido di idrogeno è anch’esso molto reattivo e su di esso agisce il secondo enzima
Catalasi: La catalasi è un enzima proteico che contiene un gruppo eme, esso prende due perossidi
di idrogeni e li fa reagire producendo due molecole d’acqua e un ossigeno biatomico
Queste due molecole sono sicure.
Abbiamo anche molte vitamine che ci aiutano a controllare la quantità delle specie reattive dell’ossigeno
che si formano nelle nostre cellule
ROS ed esercizio fisico
L’esercizio fisico quotidiano e prolungato è molto benefico per la gestione dei ROS, infatti l’esercizio
aumenta i livelli di concentrazione degli enzimi protettivi speciali prima citati, la superossido dismutasi e
la catalasi, e in ultima analisi incrementa la capacità delle nostre cellule di rimuovere i ROS prodotti dal
complesso IV
Lezione 26 – Struttura dell’ATP sintasi
L’ATPsintasi, conosciuta anche come complesso V della catena di trasporto degli elettroni, utilizza il
gradiente protonico formatosi, di cui abbiamo parlato nelle lezioni precedenti, per sintetizzare e rilasciare
ATP nella matrice mitocondriale.
Struttura del complesso V
Come gli altri complessi anche il complesso
V si trova nella membrana mitocondriale
interna e ha una struttura molto complessa,
per cui, per descriverla, la divideremo in
regioni: la regione F0 e la regione F1, come
possiamo vedere dall’immagine, la prima
corrisponde alla sezione nella
intermembrana mitocondriale, la seconda
corrisponde alla sezione che entra nella
matrice mitocondriale.
Regione F1
La regione F1 consiste in catene polipeptidiche, le quali sono responsabili per legare l’ADP e l’ortofosfato
per formare l’ATP e rilasciarlo nella matrice, per cui la regione F1 è l’unità catalitica di questo complesso.
Questa regione giace nella matrice mitocondriale, e troviamo 5 differenti tipi di catene polipeptidiche in
questa regione: alfa (azzurro), beta (verde), gamma (rosso), epsilon (blu), delta (viola).
Unità alfa e beta
Abbiamo tre unità alfa e tre unità beta che, alternandosi, costituiscono la struttura esamerica ad anello che
vediamo in figura.
La funzione di questo esamero è di legare l’ADP e l’ortofosfato per sintetizzare e rilasciare l’ATP e,
sebbene l’unità alfa può legare l’ADP, solo l’unità beta ha la capacità di sintetizzare e rilasciare ATP.
Unità gamma e epsilon
Abbiamo una singola unità gamma e una singola unità epsilon, le quali si organizzano per formare una
struttura chiamata gambo centrale, una struttura elongata che penetra nella cavità interna dell’anello
esamerico e si connette con la struttura localizzata nella regione F0.
Visto tutto ciò da una sezione trasversale (tagliato a metà e visto dall’alto), avremmo una composizione del
genere
Il gambo centrale gamma epsilon va a connettere la struttura in arancione in F0 alla struttura esamerica, e
ruotando, il gambo centrale causerà la catalisi dell’ADP e dell’ortofosfato a formare l’ATP e rilasciarlo in
matrice.
Subunità delta
La subunità delta aiuta a tenere l’intera struttura esamerica in sede, affinché essa non ruoti (è il gambo che
passa all’interno a ruotare infatti, la struttura sta ferma).
Regione F0
Mentre la regione F1 contiene la struttura catalitica, la regione F0 contiene la struttura che consente il
movimento dei protoni e degli ioni idrogeno lungo il loro gradiente elettrochimico, dallo spazio
intermembrana alla matrice mitocondriale
Questa regione è idrofobica e giace nella membrana interna del mitocondrio, consiste in due tipi di unità:
l’unità c e l’unità a, insieme queste interagiscono per formare il canale protonico che consente lo
spostamento dei protoni lungo la membrana
Abbiamo da 10 a 14 unità c (in arancione nel disegno), le quali si organizzano in una struttura ad anello che
consente il movimento dei protoni dallo spazio intermembrana alla matrice, dunque fungono da canale
protonico, lungo il loro gradiente elettrochimico
Abbiamo poi 1 subunità a, situata nella porzione esterna dell’anello c. La subunità a ha anch’essa un ruolo
nel movimento dei protoni lungo il loro gradiente, inoltre connette la regione F0 con la regione F1
attraverso il braccio laterale (in rosa nella figura) che consiste di due catene beta, il quale, attraversando la
membrana interna, si connette alla subunità delta di F1
Collegamenti tra F0 e F1
F0 e F1 sono legate tra di loro in due punti da due strutture; dal gambo centrale gamma epsilon, e il braccio
esterno composto dalla subunità a di F0, due catene beta e la subunità delta di F1
Regione rotazionale e regione stazionaria
La regione rotazionale consiste nell’anello c e nel gambo gamma-epsilon centrale, è chiamata così proprio
perché ruota, il resto delle subunità compone la regione stazionaria, la quale non ruota.
Lezione 27 - Meccanismo dell’ATPsintasi
In questa lezione ci focalizzeremo sulla regione F1 in
quanto è quella che contiene la struttura catalitica,
ovvero l’anello esamerico alfa 3-beta 3. Questo
anello catalizza la formazione di ATP e lo fa in 3 step:
nel primo step lega i reagenti adp e l’ortofosfato
inorganico, nello step 2 catalizza la loro
combinazione a formare il prodotto, l’ATP, nello step
3 l’ATP è rilasciato nel mitocondrio.
È importante notare come gli step 1 e 2 possano
avvenire senza il flusso protonico, quindi
indipendenti dalla regione F0, tuttavia per lo step 3,
ovvero il rilascio dell’ATP sintetizzato, è necessario il gradiente elettrochimico protonico, in quanto questo
fa ruotare la struttuura c, la struttura gamma-epsilon e solo in questa condizione può avvenire il rilascio di
ATP.
In una sezione trasversale vedremmo questa struttura,
le strutture alfa corrispondono a dove vi è la scritta ATP,
le beta alla scritta ADP+Pi.
Strutture alfa
Sebbene facciano parte dell’anello catalitico, le subunità
alfa non hanno un ruolo catalitico e anche se possono
legare molecole di ATP (e infatti nel disegno vediamo
che hanno legato l’ATP), non lo rilasceranno né
porteranno avanti qualche reazione utile.
Strutture beta
Sono quelle con ruolo catalitico esse legano l’ADP e
l’ortofosfato, catalizzano la sintesi dell’ATP e rilasciano lo stesso una volta che la rotazione ha luogo.
Le subunità beta, come vediamo dal disegno, possono esistere in tre conformazioni diverse,
rispettivamente a quale delle reazioni (step) dev’essere portata avanti. Quindi abbiamo lo stadio teso, lo
stadio allentato, e lo stadio aperto (tense, loose, open).
Solo nello stadio aperto o stadio O¸ l’ATP formato può essere rilasciato e solo in questo stadio la subunità
beta può legare l’ADP e l’ortofosfato.
Nello stadio allentato o stadio L, nonostante l’ADP e l’ortofosfato siano legati alla stessa subunità, i reagenti
non sono abbastanza vicini l’uno l’altro, per cui non reagiranno per formare le molecole di ATP
Nello stadio teso o stadio T, ADP e ortofosfato sono abbastanza vicini l’un l’altro per sintetizzare ATP
Rienfatizziamo il fatto che solo nello stadio O l’ATP può essere rilasciato, non nello stadio L o T.
Cosa determina lo stadio in cui si trova la subunità beta
Guardando l’immagine di sopra, nel passaggio da (1) a (2), l’anello esamerico alfa 3 beta 3 non ruota, ma il
gambo centrale, in particolare la struttura gamma, ruota insieme all’anello C, causando il cambiamento
conformazionale della subunità beta (nota bene, le subunità alfa non partecipano a questa catalisi).
Nell’immagine di sopra vediamo che lo stadio T è tale quando la subunità gamma “punta” verso una
subunità beta, quando la subunità beta non è puntata dalla subunità gamma, la subunità beta non è più
tesa.
Nello stadio T vi è un equilibrio tra ATP e ADP+P
Quindi ogni subunità, quando la subunità gamma effettua una rotazione di 120° gradi fa uno switch di
conformazione, gli stadi T diventano stadi O, gli stadi L diventano stadi T e gli stadi O diventano stadi L.
Una volta avvenuta questa rotazione, quando l’ATP finirà nella subunità beta con stadio O, esso verrà
rilasciato e la subunità quindi verrà svuotata (open empty) (2)->(3)
Una volta che l’ATP lascia l’open, l’ADP e l’ortofosfato rientrano nella subunità beta a stadio O e riparte il
ciclo
Questo meccanismo è chiamato binding-change-mechanism.
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