Questo materiale didattico è fornito per l'esclusivo utilizzo da parte degli studenti della Scuola Superiore per Mediatori Linguistici “San Domenico” di Roma. IL DIRITTO INTERNAZIONALE COME ESPRESSIONE DI UNA SOCIETÀ DI STATI SOVRANI. Il diritto internazionale può definirsi come l’ordinamento giuridico della Comunità internazionale. Non si tratta, dunque, di una parte del diritto interno di uno Stato ma di un sistema giuridico distinto da quelli dei singoli Stati: esso è espressione di una società assai diversa dalle singole società nazionali che esprimono gli ordinamenti giuridici interni degli Stati. A differenza delle singole società nazionali, la società internazionale non è una società organizzata di individui, bensì una società composta, principalmente, da Stati sovrani, cioè da organizzazioni di governo di una comunità territoriale che non riconoscono sopra di se´ alcuna autorità. Il diritto internazionale viene talvolta denominato anche diritto internazionale pubblico, per distinguerlo dal c.d. diritto internazionale privato. Il diritto internazionale, denominato anche diritto internazionale pubblico, non va confuso col diritto internazionale privato, che costituisce un ramo del diritto interno in quanto è formato dal complesso delle norme giuridiche prodotte da uno Stato per regolare i rapporti privatistici collegati ad altri ordinamenti di Stati stranieri e stabilire i casi in cui vada applicato il diritto interno o quello straniero: ad esempio l’adozione di un cittadino straniero da parte di un italiano, la successione di uno straniero aperta in Italia o ancora un contratto concluso tra soggetti che risiedono in due Stati diversi. A differenza del diritto internazionale privato, il diritto internazionale non è parte del diritto interno di alcuno Stato. DIFFERENZE TRA ORDINAMENTO NAZIONALE E ORDINAMENTO INTERNAZIONALE L’ordinamento internazionale si differenzia da quelli nazionali in quanto l’ordinamento statale è organizzato in modo gerarchico poiché esiste un ente sovraordinato, lo statoapparato che stabilisce le regole applicabili alla comunità sottostante, il sistema internazionale presenta una struttura orizzontale in cui tutti i soggetti sono considerati “enti sovrani e sono posti, almeno sotto il profilo gerarchico formale, su un piano paritario. L’assenza di un ente superiore induce gli stessi soggetti dell’ordinamento a provvedere autonomamente alla produzione e alla esecuzione delle norme di diritto internazionale. In caso di violazione non esistono organi giurisdizionali che accertino le infrazioni commesse. Nonostante l’esistenza di meccanismi di risoluzione pacifica delle controversie in ambito ONU il rispetto delle norme nell’ordinamento statale è affidato all’istituto dell’autotutela: lo stato provvede da sé a tutelare e difendere i propri diritti all’interno della comunità internazionale. Diritto internazionale Il diritto internazionale è quel complesso di norme, scritte e consuetudinarie, che disciplinano i rapporti tra i soggetti della Comunità internazionale. È un ordinamento atipico i cui soggetti (Stati, organizzazioni internazionali etc.), in assenza di un ente superiore dotato di poteri coercitivi e sanzionatori, sono posti su un piano giuridico paritario e difendono da sé i propri interessi (attraverso l’istituto dell’autotutela). Peculiarità dell’ordinamento internazionale •Tutti i soggetti della comunità internazionale sono su un piano paritario • in assenza di un «governo mondiale» i suoi soggetti provvedono autonomamente alla produzione e all’esecuzione delle norme •non esistono organi dotati di poteri coercitivi e sanzionatori (i tribunali internazionali finora istituiti hanno carattere facoltativo) vige l’istituto dell’autotutela NASCITA DEL DIRITTO INTERNAZIONALE La prevalenza degli studiosi ritengono che la moderna società internazionale sia nata a seguito di quel processo storico graduale, verificatosi tra il XV e il XVII secolo, che portò all’affermazione in Europa degli Stati sovrani e all’instaurazione tra di essi di una normale vita di relazione. Convenzionalmente la nascita del diritto internazionale viene fatta risalire alla pace di Westfalia del 1648 al termine della sanguinosa Guerra dei Trent’anni: da quella data gli Stati affermarono la loro sovranità e indipendenza ponendo fine al dominio dell’Impero e del Papato e avvertirono la necessità di dare vita a una serie di norme condivise nel tentativo di autolimitarsi e garantire la pace all’interno del sistema internazionale. I firmatari di questo trattato di pace furono Francia e Svezia da un lato, Spagna e Sacro romano impero dall'altro. Nell'accordo dunque erano pienamente riconosciute la sovranità e l'indipendenza di tutti gli stati appartenenti all'impero. CENNI STORICI Durante la seconda guerra mondiale “Nazioni Unite” fu la denominazione indicante il complesso degli Stati in guerra contro le potenze del Tripartito. Sulla base ideologica della Carta Atlantica, il 1° gennaio 1942, 26 Stati sottoscrissero a Washington la Dichiarazione delle Nazioni Unite, impegnandosi a mettere in comune per le esigenze belliche le proprie risorse e a non concludere armistizio e pace separata con i nemici. Attraverso varie tappe l’azione diplomatica di Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna spinse l’iniziativa verso la costituzione di un’organizzazione internazionale per il mantenimento della pace, basata sul principio della sovrana uguaglianza degli Stati membri. Tale costituzione, che in parte riprese caratteri già propri della Società delle Nazioni, fu realizzata nella conferenza di San Francisco (25 aprile-26 giugno 1945), ove 50 nazioni sottoscrissero la Carta delle Nazioni Unite, entrata in vigore il 24 ottobre 1945. La Società delle Nazioni era un’organizzazione internazionale a carattere generale ed universale, il cui atto istitutivo (detto Covenant) fu inserito nei testi dei trattati di pace che definirono il nuovo assetto internazionale all’indomani della prima guerra mondiale (1919). La Società delle Nazioni estintasi il 18 aprile 1946, è considerata, malgrado il suo insuccesso, il predecessore dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che ne costituisce il perfezionamento e la continuazione ideale. O.N.U.: PAESI MEMBRI L'O.N.U. nacque ufficialmente il 24 Ottobre 1945, 2 mesi dopo la fine della seconda guerra mondiale e lo scopo principale di questa organizzazione fu proprio quello di evitare il ripetersi di altre guerre mondiali. Quel 24 Ottobre erano 50 le nazioni che si impegnavano nel progetto e che firmarono la carta delle nazioni unite, un documento che racchiude tutti i principi e tutte le regole dell'organizzazione. Oggi a distanza di quasi 70 anni le nazioni sono diventate 193. Per sapere quali sono queste nazioni ed in quale anno sono state ammesse all' O.N.U cliccare il seguente link : Stati Membri. STATI MEMBRI L’ Organizzazione delle Nazioni Unite è un ente internazionale composto da Stati e che il suo Statuto prevede unicamente la qualifica di “Stato membro” che è assunta dagli Stati invitati alla Conferenza di San Francisco, che hanno firmato e ratificato l'atto costitutivo (membri originari) e dagli Stati che sono stati progressivamente “ammessi” attraverso la procedura dell'art.4 dello Statuto che prevede, fra l'altro, una raccomandazione del Consiglio di sicurezza con voto a maggioranza qualificata, ivi compreso quello dei membri permanenti. Nessun'altra qualifica di “membro associato” o “osservatore” è prevista nello Statuto. L’ O.N.U. non poteva ignorare l'esistenza di uno Stato, storicamente tale, che non poteva partecipare all’Organizzazione in ragione della sua condizione di neutralità, la Svizzera. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite concepì così lo status di “osservatore” che fu attribuito alla Svizzera. Successivamente, il medesimo status nel 2004 venne attribuito ad un altro soggetto di diritto internazionale , la Santa Sede, che pur non essendo uno “Stato” svolgeva un ruolo particolarmente rilevante nelle relazioni internazionali. LO STATUS DI OSSERVATORE In epoca successiva, quando erano già state istituite diverse organizzazioni che avevano un ruolo attivo nella vita delle relazioni internazionali, la stessa Assemblea delle Nazioni Unite, ritenendo opportuno poter dialogare con queste ultime, attribuì lo status di osservatore a taluni enti internazionali, quali, ad esempio, la Lega araba, (Ris. 477/V del 1950), l'Unione africana (Ris. 57/48 del 21.11.2002), l’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, è la più grande organizzazione regionale per la sicurezza al mondo impegnata a garantire la pace, la democrazia e la stabilità a oltre un miliardo di persone) (Ris.48/5 del 13.11.1993), il Sovrano Militare Ordine di Malta, il Comitato internazionale della Croce Rossa, e da ultimo anche l'Unione Europea (che ha oggi uno status “rafforzato” in base alla Ris. 65/276 del 3.5.2011, in sostituzione di quello ordinario attribuito già con Ris.3208/XIX del 1974). Nel contesto dei principi sull'autodeterminazione dei popoli, formulati dalla stessa Organizzazione delle Nazioni Unite, e quindi della nascita dei Movimenti di liberazione nazionale, l'Assemblea generale, ritenendo opportuno dialogare anche con questi ultimi, si pose il problema di attribuire anche ai predetti movimenti lo Stato di “osservatore”. Nel 1974 ha riconosciuto tale status a tutti i movimenti riconosciuti dall’Unione Africana. Di conseguenza, con la Risoluzione 3237 del 22.11.1975, l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) ebbe riconosciuta tale qualifica. È noto per altro che la stessa OLP era stata riconosciuta da diversi paesi e che il suo capo storico (Arafat) era stato ricevuto e trattato come un capo di Stato anche dalla stessa Assemblea delle Nazioni Unite. Lo status venne reiterato con nuove facoltà di intervento in Assemblea dopo che Arafat aveva proclamato la nascita dello Stato di Palestina (Ris. 43/160 del 9.12.1988). L’ORDINAMENTO GIURIDICO INTERNAZIONALE SI È AFFERMA TO CO ME ESPRESSIONE D I U N A SOCIE TÀ COMPOST A , E S S E N Z I A L M E N T E , DA S T A T I S O V R A N I. U N A PRI M A CARATTERISTI CA CH E LO DISTING UE DAG LI ORDINAMENTI GIURIDICI INTERNI DEI SINGOL I STATI RIGUAR DA LA SOGGETTIVITÀ GIURIDICA . IN GENERALE, PER ‘‘SOGGETTI D I DIRITTO ’ ’ SI INTENDONO QUEG LI ENT I C UI FANN O CA PO LE SITUAZIONI GIURIDICH E (DIRITTI ED OBBLIGHI) C HE DISCENDON O DAL LE NOR ME DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO CONSIDERATO . G LI INDIVIDUI SON O I SOGGETTI PRIMARI DEGL I ORDINAMENTI G I U R I D I C I I N T E R N I D E I S I N G O L I S T A T I M E N T R E I S O G G E T T I P R I M AR I D EL DIRITTO INTERNAZIONALE SO NO PROPRIO GLI STATI SOVRANI . I SOGGETTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE. Per Soggetti della Comunità internazionale devono intendersi tutti gli enti che possiedono l’astratta attitudine a divenire titolari di diritti e obblighi previsti dalle norme del diritto internazionale. In origine, la Comunità internazionale si qualificava come «comunità di Stati», nel tempo la soggettività è stata riconosciuta anche alle organizzazioni internazionali e, più recentemente, agli individui. Gli Stati costituiscono i soggetti essenziali ed originari della comunità internazionale e rappresentano il punto di riferimento per lo sviluppo e l’attuazione delle normative internazionali. Le organizzazioni internazionali sono enti creati dagli Stati tramite accordi internazionali e dotati di un apparato istituzionale permanente al fine di realizzare scopi comuni attraverso lo svolgimento di attività unitarie. Tradizionalmente, agli individui si negava la qualifica di soggetti del diritto internazionale, proprio in quanto essi non partecipano alla vita di relazione internazionale su di un piano di parità con gli Stati, ma sono, al contrario, soggetti al potere di governo di questi. Oggi i termini del problema sono in parte mutati e la dottrina prevalente riconosce agli individui una limitata soggettività internazionale. SOGGETTIVITÀ GIURIDICA INTERNAZIONALE DEGLI INDIVIDUI Gli sviluppi recenti del diritto internazionale, in particolare in materia di protezione dei diritti umani, hanno fatto ritenere ad alcuni studiosi che si stia lentamente affermando una soggettività giuridica internazionale degli individui, in rottura con i dettami del diritto internazionale classico. Mentre tradizionalmente la responsabilità internazionale è collettiva (diretta contro lo Stato nel suo complesso), la fine della seconda guerra mondiale ha visto con il Processo di Norimberga per la prima volta individui che avevano ricoperto alti incarichi governativi venire chiamati a rispondere personalmente dei crimini commessi, in nome del loro Stato contro altri popoli davanti a un tribunale internazionale. Con tutti i suoi limiti, Norimberga creò un precedente importante in materia di tutela dei diritti umani a livello mondiale, con la creazione della nozione di crimine contro l'umanità: si afferma l'idea che esistono valori che gli Stati non possono violare. Lo Statuto della Corte penale internazionale, fa rientrare nella nozione di crimine internazionale il genocidio, i crimini contro l'umanità (nella definizione rientrano praticamente qualsiasi grave delitto commesso su larga scala e in modo sistematico e la pratica dell'apartheid), i crimini di guerra previsti dal Diritto internazionale umanitario e la guerra di aggressione. Alcuni trattati internazionali, come quello della Corte europea dei diritti dell'uomo, prevedono poi la possibilità degli individui di rivolgersi autonomamente a organismi internazionali per far rispettare i propri diritti, senza la mediazione degli Stati. ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI ✓ Le Organizzazioni Internazionali hanno il fondamento giuridico in un accordo internazionale concluso tra Stati (trattati) e sono dotati di un apparato istituzionale permanente (sono dotati di organi propri e di uno statuto) al fine di realizzare scopi comuni attraverso lo svolgimento di attività unitarie. Rappresentano un universo estremamente eterogeneo per finalità e settori d’intervento, ma anche uno dei principali strumenti, utilizzati per mettere in atto diverse attività di cooperazione. Si occupano : ▪ dei problemi economici dei paesi membri, ▪ della raccolta di aiuti internazionali, ▪ del coordinamento di attività economiche, ▪ dell’elaborazione di indirizzi generali, ▪ dell’attuazione di interventi di emergenza in caso di calamità o di crisi finanziarie. Una possibile ripartizione a grandi linee si basa sul criterio della “famiglia di appartenenza”, secondo cui si possono individuare diversi gruppi. Il primo riguarda il vasto sistema delle Nazioni Unite (Onu, Undp, Unicef, Fao, Unesco, ecc.); il secondo raggruppa le Istituzioni Finanziarie Internazionali, (Fmi, Banca Mondiale, Banche Regionali di Sviluppo). Il terzo riguarda tutti gli organismi dell’Unione europea (Commissione, Parlamento, Corte, Banca di Ricostruzione e Sviluppo, Banca degli Investimenti). Elenco Organizzazioni Internazionali ONU IN BREVE Organizzazione delle Nazioni Unite L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) è un’unione di Stati a competenza generale fondata nel 1945. I suoi obiettivi, elencati all’art. 1 della Carta delle Nazioni Unite, (trattato istitutivo di tale Organizzazione) sono: mantenere la pace e la sicurezza internazionale; sviluppare relazioni amichevoli fra le nazioni, sulla base del rispetto dell’eguaglianza dei diritti e dell’ autodeterminazione dei popoli; promuovere la cooperazione internazionale in materia economica, sociale e culturale, nonché il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali . Dell’ONU, operativa dal 1946 e con sede a New York, fanno parte 193 Stati. Nel 2001 è stato conferito all’ONU e al suo Segretario generale di allora K. Annan il premio Nobel per la pace. COMPOSIZIONE E ORGANI • • • • • • L’art. 7 della Carta dell’ONU distingue tra organi principali e organi sussidiari. I primi, stabiliti direttamente dalla Carta, che ne regola la composizione e le funzioni quali organi permanenti, sono: L’Assemblea generale delle Nazioni Unite Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite II Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite Il Consiglio di amministrazione fiduciaria Il Segretariato (avente a capo il Segretario generale delle Nazioni Unite), La Corte Internazionale di Giustizia. Gli organi sussidiari, istituiti dagli organi principali tramite una delibera ad hoc, non hanno carattere permanente e svolgono le funzioni loro attribuite dagli organi principali. 1. L'ASSEMBLEA GENERALE è composta da tutte le nazioni facenti parte dell'Organizzazione ed ha come scopo principale quello di discutere questioni rilevanti a livello mondiale quali: Disarmo e Sicurezza Economia e Finanza Problemi umanitari e sociali Politiche speciali Aspetti legali Aspetti amministrativi e di Budget 2. L‘ASSEMBLEA GENERALE Tutti gli Stati Membri dell’ONU sono rappresentati nell’Assemblea Generale, una specie di parlamento delle nazioni che si riunisce regolarmente in sessioni speciali per esaminare i problemi mondiali più pressanti. Ogni Stato Membro dispone di un voto. Le decisioni sugli "argomenti importanti", quali raccomandazioni sulle questioni relative alla pace e alla sicurezza internazionali, l’ammissione di nuovi membri, il bilancio dell’organizzazione, vengono prese con una maggioranza di due terzi. Altri argomenti richiedono invece una maggioranza semplice. Negli ultimi anni è stato fatto uno sforzo particolare per giungere alle decisioni per consenso, piuttosto che mediante un voto formale. L’Assemblea non può costringere uno Stato ad agire in un determinato modo, ma le sue raccomandazioni costituiscono una importante indicazione di quella che è l’opinione mondiale e rappresentano l’autorità morale della comunità delle nazioni. 1. CONSIGLIO DI SICUREZZA La funzione principale del Consiglio di Sicurezza è il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. A differenza dell'Assemblea Generale che si riunisce seguendo una periodicità stabilita, questo organo è sempre in funzione ed un rappresentante di ognuno dei suoi membri deve essere presente in ogni momento al Quartier Generale delle Nazioni Unite a New York. Esso è composto da 15 membri. Cinque di essi — Cina, Francia, Federazione Russa, Gran Bretagna e Stati Uniti , vincitori della seconda guerra mondiale — sono membri permanenti. Gli altri 10 vengono eletti dall'Assemblea con un mandato biennale. Lingue ufficiali Onu: arabo, cinese, francese, inglese, russo, spagnolo. Su argomenti importanti, le decisioni vengono prese se almeno 9 dei 15 sono in accordo. L'unica eccezione a questa regola è rappresentata dal diritto di veto, che ognuno dei 5 membri permanenti ha il diritto di chiedere per bloccare qualsiasi risoluzione si stia discutendo. 2. CONSIGLIO DI SICUREZZA Quando all'attenzione del Consiglio viene sottoposta una questione che minaccia la pace internazionale, in prima battuta si cerca il modo per risolvere pacificamente la controversia. In questi casi, il Consiglio può avviare una mediazione o illustrare delle ipotesi per giungere a un accordo. Nel caso di combattimenti il Consiglio cerca invece di ottenere un cessate il fuoco. Esso può inviare delle missioni per il mantenimento della pace per far rispettare la tregua e tenere separate le fazioni opposte. Nel tentativo di dare maggiore forza alle proprie decisioni, il Consiglio di Sicurezza può imporre sanzioni economiche ed ordinare un embargo sugli armamenti. In rare occasioni, peraltro il Consiglio di Sicurezza ha autorizzato gli Stati Membri a impiegare "tutti i mezzi necessari", comprese azioni militari collettive, per garantire che le sue decisioni venissero rispettate. Il Consiglio, infine, formula delle raccomandazioni all'Assemblea Generale in merito alla candidatura al ruolo di Segretario Generale e circa l'ammissione all'ONU di nuovi membri. I PEACEKEEPERS DELL'ONU I CASCHI BLU Peace-keeping È l’insieme delle operazioni, per il mantenimento della pace, anche di carattere non strettamente militare, condotte da forze armate multinazionali costituite da contingenti messi a disposizione dagli Stati membri di un’organizzazione internazionale. Le operazioni di peace-keeping non espressamente previste nella Carta dell’ONU, ma sviluppatesi attraverso le delibere del Consiglio di sicurezza, presentano alcuni caratteri comuni: il consenso dello Stato sul cui territorio sono dispiegate le truppe; la neutralità e l’imparzialità; l’uso della forza solo per legittima difesa. PEACEKEEPING DELLE NAZIONI UNITE La Carta delle Nazioni Unite conferisce al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il potere e la responsabilità di azioni collettive per mantenere la pace e la sicurezza internazionali. Per questo motivo, la comunità internazionale si rivolge di solito al Consiglio di sicurezza per autorizzare operazioni di peacekeeping, siccome tutte le missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite devono essere autorizzate dal Consiglio di sicurezza. Nell’ambito delle Nazioni Unite, si è soliti distinguere tra il peace-keeping di prima e di seconda generazione. Le operazioni di peace-keeping di prima generazione, che si sono svolte nel periodo compreso tra il 1948 e la fine degli anni 1980, furono caratterizzate da funzioni strettamente militari (controllo del rispetto del cessate il fuoco, creazione di zone cuscinetto tra le parti) affidate a forze armate. Il peace-keeping di seconda generazione si è sviluppato a partire dalla fine della guerra fredda, quando in seno al Consiglio di sicurezza, cui spetta adottare le delibere istitutive, è stato possibile raggiungere più facilmente il consenso tra i membri permanenti riguardo la creazione di tali forze. Questo tipo di peace-keeping si distingue per lo svolgimento di funzioni di carattere umanitario, ma anche di peace-building (‘costruzione della pace’), per aiutare i paesi distrutti da guerre civili a ricostruire le istituzioni politiche e il tessuto sociale. Dalle operazioni di peace-keeping si distinguono quelle basate sul capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, che si qualificano come operazioni di peace-enforcement (‘imposizione della pace’), in quanto il loro mandato è esteso all’uso della forza IN CONCLUSIONE In caso di guerre locali o qualora la pace sia minacciata in un'area della Terra, il Consiglio di sicurezza può decidere l'intervento di reparti militari, i Caschi blu, messi a disposizione da vari stati aderenti all'ONU, con l'obiettivo di interporsi fra i contendenti ed evitarne lo scontro. I Caschi blu hanno inoltre il compito di proteggere la popolazione civile e di garantire l'arrivo degli aiuti sanitari e alimentari; non possono mai prendere parte ad azioni di guerra. Con il loro invio, l'ONU mira soprattutto a impedire l'estendersi dei conflitti e a salvaguardare l'incolumità della popolazione. Se uno stato ne aggredisce un altro, provocando una guerra, il Consiglio di sicurezza dell'ONU può ricorrere a sanzioni economiche e diplomatiche contro lo stato aggressore. Ad esempio come già accennato in precedenza può essere imposto l'embargo, cioè il blocco di tutti i rapporti commerciali con lo stato ritenuto responsabile del conflitto. Non sempre questa misura è efficace, perché non tutti i paesi del mondo rispettano l'ordine d'embargo. Inoltre, la limitazione alla circolazione delle merci, compresi i beni di prima necessità, finisce per colpire la popolazione civile. IL CONSIGLIO ECONOMICO E SOCIALE DELLE NAZIONI UNITE Formato da 54 Stati membri, che vengono eletti ogni 3 anni dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha funzioni consultive e di coordinamento dell’attività dell’ONU in materia di cooperazione economica e sociale e di promozione e tutela dei diritti umani. Tramite commissioni specializzate nelle diverse aree geografiche, promuove lo sviluppo economico e l’assistenza ai paesi meno sviluppati e propone studi o relazioni su questioni economiche, sociali e sanitarie che di volta in volta emergono nelle diverse parti del mondo. Ha un ruolo importante nel coordinamento dei rapporti tra l’ONU e gli istituti specializzati delle Nazioni Unite. Il Consiglio ha inoltre consultazioni con le organizzazioni non governative (ONG), mantenendo così aperto un legame vitale tra le Nazioni Unite e la società civile. 1. IL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE FIDUCIARIA Nel 1945, quando sono state fondate le Nazioni Unite, undici territori (per lo più in Africa e nell’Oceano Pacifico) sono stati posti sotto mandato di amministrazione internazionale. Gli obiettivi principali del Sistema di Amministrazione Fiduciaria erano quelli di promuovere il progresso degli abitanti dei territori sotto mandato e il loro progressivo sviluppo verso l’autogoverno o l’indipendenza. Il Consiglio di Amministrazione Fiduciaria è composto dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Cina, Francia, Federazione Russa, Regno Unito e Stati Uniti). Ciascun membro dispone di un voto e le decisioni sono prese a maggioranza semplice. 2. IL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE FIDUCIARIA Da quando l’ultimo Territorio in Amministrazione Fiduciaria – Palau, precedentemente amministrato dagli Stati Uniti – ha raggiunto l’autogoverno nel 1994, il Consiglio ha formalmente sospeso le sue operazioni dopo quasi mezzo secolo. Si riunirà solo qualora se ne verificasse il bisogno. IL SEGRETARIATO Il Segretariato, guidato dal Segretario Generale, è costituito da uno staff internazionale che lavora al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite a New York e in tutto il mondo. Esso porta avanti il lavoro quotidiano dell’Organizzazione. I suoi compiti sono tanto vari quanto i problemi che l’ONU deve affrontare. Il Segretario Generale viene nominato dall’Assemblea Generale sulla base di una raccomandazione del Consiglio di Sicurezza, per un periodo di cinque anni. Da quando l’ONU è stato creato ci sono stati sette Segretari Generali. La Carta delle Nazioni Unite descrive il Segretario Generale come “il più alto funzionario amministrativo dell’Organizzazione, che deve agire in tale qualità e adempiere alle funzioni che gli sono affidate” dall’Assemblea Generale, dal Consiglio di Sicurezza, dal Consiglio Economico e Sociale e dagli altri organi delle Nazioni Unite. La Carta inoltre dà al Segretario Generale il potere di portare all’attenzione del Consiglio di Sicurezza qualsiasi questione che minacci la sicurezza e la pace internazionale. Queste alcune delle funzioni principali: •Proporre questioni da discutere in seno all’Assemblea Generale o ad ogni altro organo delle Nazioni Unite; •Portare all’attenzione del Consiglio di Sicurezza qualsiasi problema suscettibile, secondo il Segretario Generale, di minacciare la pace globale; • Agire da “arbitro” nelle dispute tra gli Stati membri; LA FUNZION E NORMATIVA : LE FONT I PRINCIPAL I DEL DIRITT O INTERNAZIONA LE SON O LA CONSUETUDINE, CH E SCATURISC E DALL A P R A S S I D E G L I STATI E L’ACCORDO , CHE È IL PRODOTT O D E L L ’ I N C O N T R O DELL A VOLON TÀ D I DU E O P I Ù STATI . Q U I N D I S O N O I MEMBRI DELL A COMUNI TÀ INTERNAZIONAL E CH E PRODUCON O LE NOR ME D EL DIRIT TO INTERNAZIONALE. P E R Q U A N T O R I G U A R D A L ’ A C C E R T A M E N T O D E L D I R I T T O, IN PRESENZA DI UNA CONTROVERSIA T RA DUE STATI, LA SOLUZIONE DELL A CONTROVERSI A È POSSIBILE SOL O MEDIANTE ACCORDO . L’ACCORDO OPPUR E PUÒ RISOLVER E DIRETTAMENTE LA CONTROVERSIA, DEMANDARNE LA SOLUZION E AD U N ’ I S TA N Z A ARBITRALE O GIUDIZIAL E : ANCH E LA GIURISDIZIONE I N T E R N A Z I O N A L E H A , D U N Q U E, UN FONDAMENTO CONSENSUALE . L ’A T T U A Z I O N E C O E R C I T I V A D E L D I R I T T O STATI , ATTRAVERSO L’AUTOTUTELA . È RIMESSA SEMPR E AGL I IL SISTEMA DELLE FONTI Caratteri generali: l’ordinamento giuridico internazionale è un sistema atipico in quanto le tre funzioni di produzione, accertamento e realizzazione coercitiva del diritto, come precedentemente detto, sono esercitate dagli stessi soggetti che compongono la Comunità internazionale, mentre negli ordinamenti interni queste sono delegate ad organi ad hoc. Di fatto non esiste un’assemblea legislativa preposta alla produzione normativa, manca un organo giudiziario avente carattere obbligatorio (essendo la funzione giurisdizionale internazionale di natura arbitrale), e i soggetti dell’ordinamento procedono in via diretta alla realizzazione coercitiva di un diritto (autotutela). 1. AUTOTUTELA Principio in base al quale lo Stato che ritiene di avere subito la lesione di un proprio diritto (Illecito internazionale) può legittimamente adottare misure di reazione, a titolo di sanzioni o contromisure (Sanzioni internazionali) nei confronti dello Stato offensore, onde ottenere la cessazione e la riparazione dell’illecito. Il principio è collegato all’assenza nella comunità internazionale di un’autorità centrale responsabile dell’attuazione coercitiva del diritto; ciò rende necessario il ‘farsi giustizia da sé’, che nelle collettività nazionali è invece generalmente vietato ai soggetti dell’ordinamento. 2. AUTOTUTELA Maggiori sviluppi del diritto consuetudinario sono derivati dalla Carta delle Nazioni Unite (1945), che pone agli Stati membri il divieto generale e assoluto della minaccia e dell’uso della forza (art. 2, par. 4) e affida al Consiglio di sicurezza l’adozione di sanzioni collettive sia economiche sia militari . Attualmente, il diritto internazionale continua a considerare legittime le contromisure unilaterali adottate dallo Stato leso e consistenti nella violazione di un diritto soggettivo dello Stato autore dell’illecito, purché dette misure rispettino certe condizioni (provvisorietà, proporzionalità) e non comportino minaccia o uso della forza, né la violazione di obblighi internazionali in materia di diritti umani. 3. AUTOTUTELA A partire dalla fine della seconda guerra mondiale si è fatta strada l’opinione, espressa anche dalla Corte Internazionale di Giustizia, secondo cui l’autotutela non possa consistere nella minaccia o nell’uso della forza, essendo vietati dall’art. 2, par. 4, della Carta ONU e dallo stesso diritto internazionale consuetudinario. Il principio che vieta il ricorso alla forza ha carattere cogente, ma trova un limite generale nella legittima difesa, intesa come risposta ad un attacco armato già sferrato. L’art. 51 della Carta, altra norma che la Corte Internazionale di Giustizia ha ritenuto corrispondente al diritto consuetudinario, riconosce infatti “il diritto naturale di legittima difesa individuale e collettiva nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite”. Attacco o aggressione si ha anche quando lo Stato agisce attraverso bande irregolari o di mercenari da esso assoldati. La Corte ha affermato che non costituisce aggressione armata la sola assistenza data a forze ribelli che agiscono sul territorio di uno Stato, sotto forma di fornitura di armi, assistenza logistica e simili. La legittima difesa ex art. 51 può essere esercitata anche con armi nucleari, purché nel rispetto del principio di proporzionalità della risposta rispetto all’attacco e del diritto umanitario di guerra. 4. AUTOTUTELA Vietata è la forza internazionale, ossia le operazioni militari di uno Stato contro un altro Stato. Ciò che il diritto internazionale non vieta, e non potrebbe vietare se non abolendo il diritto di sovranità territoriale, è l’uso della forza interna, ossia quella forza che rientra nel normale esercizio della potestà di governo dello Stato. La distinzione diviene difficile in certi casi limite e l’unico criterio utilizzabile è quello del luogo ove l’azione dello Stato è stata commessa: l’azione dello Stato nei limiti del suo territorio è sempre un’azione di polizia interna (sempre che non abbia come oggetto mezzi bellici che si trovino sul suo territorio con la sua autorizzazione); mentre l’impiego della forza da parte dello Stato contro comunità o mezzi di altri Stati fuori dal suo territorio è un’ipotesi dell’uso della forza internazionale. 5. AUTOTUTELA La specie più importante di autotutela è la rappresaglia (o contromisura), comportamento dello Stato leso, che in sé sarebbe illecito, ma che diviene lecito in quanto costituisce reazione ad un illecito altrui. Un limite importante, fra quelli di carattere generale, è costituito dalla proporzionalità tra la violazione subita e la violazione commessa per rappresaglia: si richiede, più che altro, che non vi sia eccessiva sproporzione fra le due violazioni; se sproporzione c’è, la contromisura diviene illecita per la parte eccedente. Altro limite è quello relativo all’impossibilità di ricorrere a violazioni del diritto internazionale cogente, anche nel caso in cui si tratti di reagire a violazioni dello stesso tipo (con l’eccezione consistente nella possibilità di usare la forza per respingere un attacco armato). Assorbito dal rispetto del diritto cogente è il limite del rispetto dei principi umanitari. Si ritiene poi che alla contromisura non possa farsi ricorso se non si sia prima tentato di giungere ad una soluzione concordata della controversia, anche se la prassi è molto incerta. 6. AUTOTUTELA Rientra nell’autotutela anche la ritorsione, che si distingue dalla rappresaglia in quanto non consiste nella violazione di norme internazionali ma soltanto in un comportamento non amichevole, come l’attenuazione o la rottura dei rapporti diplomatici (non vi è alcun obbligo internazionale di intrattenere tali rapporti), oppure l’attenuazione o la rottura della collaborazione economica e commerciale (quando non vi siano trattati che la impongano). Si dice che la ritorsione non sia una forma di autotutela, dato che lo Stato può sempre tenere un comportamento in amichevole verso un altro Stato anche senza aver subito un illecito. La ritorsione va inoltre tenuta distinta dalle misure che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU può deliberare in base all’art. 41 della Carta, in caso di minaccia o violazione della pace o di atto di aggressione, misure che, inquadrandosi nel sistema di difesa collettiva della Nazioni Unite, gli Stati possono essere obbligati ad attuare. IN CONCLUSIONE L’autotutela è un istituto del diritto internazionale consuetudinario. Naturalmente lo Stato può obbligarsi, mediante trattato, a non ricorrere a misure di autotutela o a ricorrervi a certe condizioni. È da ritenere implicito nel vincolo di solidarietà e di collaborazione fra gli Stati membri di qualsiasi organizzazione internazionale l’obbligo di non ricorrere all’autotutela, in particolare di non reagire con la propria inadempienza a quella altrui, se non come extrema ratio. LA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) è l’organo principale giudiziario dell’ONU. Ha iniziato a svolgere le proprie funzioni nel 1946 (allorquando ha sostituito la precedente Corte Permanente di Giustizia Internazionale, fondata nel 1921). Ha sede presso il Palazzo della Pace dell’Aja (Paesi bassi). La Corte ha due competenze principali: competenza contenziosa, relativa alla soluzione di controversie internazionali, e competenza consultiva, per la formulazione di pareri richiesti dagli organi a ciò autorizzati. Per quanto concerne la competenza contenziosa, solo gli Stati possono essere parti nei processi, essendo escluse dalla giurisdizione della Corte le organizzazioni internazionali. LA COMPETENZA CONTENZIOSA La competenza contenziosa della Corte è subordinata alla condizione che gli Stati parti di una controversia abbiano espressamente accettato la sua giurisdizione. In generale, la Corte può esercitare giurisdizione speciale (o facoltativa) e giurisdizione obbligatoria. La prima si ha quando la Corte risolve una controversia già sorta, che le viene sottoposta dalle parti attraverso un apposito accordo, detto compromesso. Si ha, invece, giurisdizione obbligatoria quando lo strumento che la stabilisce attribuisce a ciascuna delle parti il potere di instaurare unilateralmente il processo di fronte alla Corte. La base giuridica della giurisdizione obbligatoria (che ha pur sempre un fondamento consensuale) è duplice: può discendere da clausole giurisdizionali contenute nei trattati, con cui gli Stati hanno espresso il consenso a sottoporre alla Corte determinate controversie future, oppure sulle dichiarazioni ad hoc di accettazione della giurisdizione obbligatoria della Corte. IL PROCEDIMENT O CONTENZIOS O SI CONCLU D E CON L’EMANAZIONE DI UNA S E N T E N Z A D E F I N I T I V A E I N A P P E L L A B I L E. L A SENTENZ A DEL L A CORT E P R E S E N TA I LIM ITI OGGE T TI VI E SOGGETTIVI DELL A CO SA GIUDICATA : È OBBLIGATORI A PER LE PAR TI IN LIT E E RIGUAR D O ALL A CONTROVERSIA DECIS A . LA MANCATA ESECUZIONE DI UNA SENTENZA CONFERISCE ALLA PARTE ADEMPIENTE IL DIRITTO DI RICORRERE AL CONSIGLIO D I SICUREZZA DELLE NAZIONI UNITE, PER LE EVENTUALI MISURE DEL CASO. COMPETENZA CONSULTIVA La competenza consultiva della Corte internazionale di giustizia è disciplinata dall’art. 65 dello Statuto della Corte stessa e dall’art. 96 della Carta dell’ONU, che consentono all’Assemblea generale e al Consiglio di sicurezza di chiedere alla Corte un parere su qualsiasi questione giuridica, mentre gli altri organi delle Nazioni Unite e gli istituti specializzati delle Nazioni Unite possono chiedere pareri solo su questioni giuridiche che sorgono nell’ambito delle loro attività, previa autorizzazione dell’Assemblea generale. I pareri della Corte, pur autorevoli, non sono vincolanti per gli organi che li hanno chiesti. Statuto della Corte Internazionale di Giustizia PUNTO DI PARTENZA PER LO STUDIO DELLE FONTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE È L’ART. 38, PAR. 1, DELLO STATUTO DELLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA ART. 38 STATUTO DELLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA (CIG) L’articolo 38 è considerato come chiave di lettura del sistema internazionale delle fonti . Esso dispone che nella soluzione delle controversie la Corte applicherà: •convenzioni internazionali, sia generali che particolari, che stabiliscono norme espressamente riconosciute tra gli Stati in controversia •la consuetudine internazionale, come prova di una pratica generalmente accettata come diritto • i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili •le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più altamente qualificati delle varie nazioni, come strumenti sussidiari per la determinazione delle norme di diritto L’articolo opera una mera ricognizione delle fonti utilizzate dalla Corte senza fornire alcuna gerarchia delle stesse, si tratta di una norma operativa indicante i criteri adoperati dalla CIG nel procedimento di risoluzione delle controversie. “HARD LAW” E “SOFT LAW” E 'oggi molto in voga distinguere tra le vere e proprie fonti di diritto, che creano norme internazionali giuridicamente vincolanti (c.d. ‘‘hard law’’) e un insieme di fatti o procedimenti che creano regole non giuridicamente vincolanti (c.d. ‘‘soft law’’) ma che possono contribuire in vario modo allo sviluppo del diritto. ➢I termini “hard law” e “soft law” si riferiscono al tipo di strumento usato per stabilire regole nel diritto internazionale. ➢Il criterio comunemente usato per distinguere tra “hard” e “soft” law è che solo gli strumenti di “hard law” sono legalmente vincolanti: - hard law: include i trattati e il diritto consuetudinario - soft law: include le dichiarazioni di principio, i codici di comportamento, le raccomandazioni, le linee guida, le risoluzioni. CLASSIFICAZIONE DELLE FONTI INTERNAZIONALI Consuetudini: norme non scritte che formano il diritto internazionale generale, nel senso di vincolare tutti i soggetti della Comunità internazionale. Costituiscono fonti di primo grado. Le prime consuetudini ad essersi formate sono state Consuetudo est servanda (la consuetudine va rispettata) e Pacta sunt servanda (i patti vanno rispettati) Trattati: sono fonti secondarie che devono alla norma consuetudinaria pacta sunt servanda il fondamento della loro obbligatorietà, sono vincolanti solo per i soggetti che hanno concorso alla loro formazione e costituiscono per questo il diritto internazionale particolare. Atti vincolanti delle organizzazioni internazionali: sono fonti di terzo grado previste dagli accordi istitutivi delle organizzazioni internazionali e hanno efficacia per i soli Stati membri GERARCHIA DELLE FONTI La consuetudine è una regola non scritta avente carattere obbligatorio, che deriva dalla ripetizione di un comportamento da parte dei soggetti della Comunità internazionale accompagnata dalla convinzione che tale comportamento sia conforme a diritto. Le consuetudini costituiscono il diritto internazionale generale e, sul piano gerarchico, sono fonti di rango primario. La formazione di una norma consuetudinaria presuppone due elementi: (elemento oggettivo): la ripetizione costante nel tempo di un dato comportamento da parte della generalità dei soggetti (diuturnitas) (elemento soggettivo): convincimento che un dato comportamento sia giuridicamente dovuto (opinio iuris sive necessitatis) Le consuetudini si indirizzano a tutti i soggetti della comunità internazionale e il loro fine è di disciplinare la coesistenza tra gli Stati intesi come centri sovrani e indipendenti. Il diritto consuetudinario cogente (jus cogens) Complesso di norme consuetudinarie aventi rango gerarchico superiore rispetto alle altre consuetudini che, ex art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (1969), non sono derogabili, né modificabili, a meno che non si formi una nuova norma internazionale dal medesimo carattere cogente. Obblighi derivanti da una norma di jus cogens: dalle norme di jus cogens discendono obblighi erga omnes, nel senso che la violazione di tali norme da parte di uno Stato impone a tutti gli altri Stati di reagire per porre fine all’illecito. Principali norme di jus cogens 1. norme che attengono al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (es. divieto dell’uso della forza) ; 2. norme relative al rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo (es. divieti di genocidio, schiavitù, apartheid, trattamenti inumani e degradanti); 3. norme riguardanti il processo di decolonizzazione (es. diritto all’autodeterminazione dei popoli); 4. norme che disciplinano i rapporti economici internazionali (es. divieto di comportamenti che rechino pregiudizio all’economia di altri Stati); La contrarietà alle norme di jus cogens fu inserita tra le cause di nullità assoluta degli accordi internazionali nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 (art. 53 e 64). Tale Convenzione prevede la giurisdizione obbligatoria della Corte internazionale di giustizia in caso di controversie relative all’applicazione o all’interpretazione delle norme imperative (art. 66), ma non contiene un elenco esemplificativo di dette norme, limitandosi a stabilire che è una norma di ius cogens quella accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale nel suo insieme come norma alla quale non è permessa alcuna deroga e che può essere modificata solo da una nuova norma del diritto internazionale avente lo stesso carattere. fu inserita tra le cause di nullità assoluta degli accordi internazionali nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 (art. 53 e 64). I TRATTATI Il trattato è l’incontro delle manifestazioni di volontà di due o più soggetti di diritto internazionale dirette a creare, modificare o estinguere norme giuridiche internazionali. I termini trattato, accordo, patto, convenzione etc. possono essere utilizzati indistintamente, mentre con le espressioni Carta o Statuto si fa riferimento ai soli trattati istitutivi di organizzazioni internazionali. L’idoneità dell’accordo internazionale a creare norme giuridicamente vincolanti per le parti si fonda sulla norma consuetudinaria pacta sunt servanda. Le norme convenzionali (cioè gli accordi internazionali) possono essere distinte in formali e materiali a seconda che istituiscono ulteriori fonti di produzione di altre norme (come i trattati istitutivi di organizzazioni internazionali che prevedono la possibilità di produrre atti vincolanti per gli stati membri ) o regolino direttamente i rapporti giuridici fra gli stati contraenti . Il trattato è fonte di norme particolari, valide cioè solo per le parti contraenti. Haorigine volontaria In base al numero delle parti contraenti i trattati possonoessere: bilaterali: regolano i rapporti e gli interessi specifici intercorrenti tra due Stati multilaterali: regolano materie di interesse più generale e sono stipulati da una pluralità di Stati semicollettivi: considerano un insieme di Stati portatori di un interesse comune In base alla facoltà di adesione per gli Stati terzi (riguarda solo i trattati multilaterali semicollettivi) I trattati sono: chiusi: non ammettono l’adesione aperti: contengono una cd. clausola di adesione (o accessione) 1.LA PROCEDURA DI FORMAZIONE DEI TRATTATI Nel procedimento di formazione di un trattato vige il principio della libertà di forma, in virtù del quale qualsiasi manifestazione di volontà è valida, purché sia ritenuta tale da tutti i soggetti partecipanti all’accordo. Procedimento solenne. Si articola nelle seguenti fasi: il negoziato costituisce la fase delle trattative cui prendono parte i rappresentanti degli Stati al fine di concordare le regole da inserire nel testo del trattato •la firma ha una funzione di autenticazione del testo del trattato, che non potrà più essere modificato (trattati bilaterali) se non aprendo un nuovo ciclo di negoziati •la ratifica consiste nella dichiarazione di volontà dello Stato ad impegnarsi all’osservanza del testo sottoscritto. L’art. 14 Convenzione di Vienna equipara la ratifica all’accettazione e all’approvazione •lo scambio delle ratifiche per gli accordi bilaterali e il deposito delle stesse per i trattati multilaterali o per gli accordi conclusi in seno ad organizzazioni internazionali (il depositario può essere un governo statale o un’organizzazione internazionale) • la registrazione presso il Segretariato delle Nazioni Unite che ne cura la pubblicazione è prevista dalla prassi internazionale più recente. 2. LA PROCEDURA DI FORMAZIONE DEI TRATTATI Procedimento in forma semplificata La firma rappresenta l’atto attraverso cui il trattato si perfeziona ed entra in vigore;nel caso di trattato negoziato a distanza, la prestazione del consenso avviene mediante lo scambio di note diplomatiche la ratifica non è necessaria. Entrata in vigore dei trattati Nei trattati bilaterali viene specificata dalle parti e segue la fase di deposito e di scambio delle ratifiche (art. 24 Convenzione di Vienna). Nei trattati multilaterali è in genere subordinata al deposito di un determinato numero di ratifiche e al trascorrere di un certo lasso di tempo da quando esse sono state depositate. In mancanza di espresse disposizioni nel testo si richiede la manifestazione del consenso di tutti gli Stati che hanno partecipato al negoziato Uno Stato terzo può entrare a far parte di un accordo, precedentemente stipulato da altri Stati, se questi hanno inserito nel testo una cd. clausola di adesione Per i Trattati istitutivi di organizzazioni internazionali l’ammissione di un nuovo Stato è generalmente subordinata all’accettazione degli Stati membri o degli organi della organizzazione. ADATTAMENTO DEL DIRITTO INTERNO AL DIRITTO INTERNAZIONALE Le procedure attraverso le quali le fonti dell’ordinamento internazionale sono introdotte in quello nazionale sono: Procedimento speciale (o mediante rinvio) che opera un adattamento automatico alle norme internazionali generalmente riconosciute ossia le consuetudini (art.10 Cost.). La norma internazionale non viene riformulata all’interno dello Stato. Procedimento speciale che attua l’adattamento ai trattati internazionali mediante l’ordine di esecuzione Procedimento ordinario mediante il quale le norme internazionali (consuetudinarie e pattizie) sono riformulate in norme interne che ne riproducono o specificano il contenuto. Cir ca il mod o in cui il diritt o internazionale vien e nel cas o nazionalizzato, del procediment o ordinario l’adattamento avviene mediant e nor me statali (costituzionali, l e g i s l a t i v e, amministrative) c he riformulano quelle internazionali; nel cas o d el procedimento speciale (o procedimento mediante rinvio ) g l i orga ni preposti al l e funzioni normative si limitan o ad ordinare l’osservanz a della o dell e n o r m e internazional i m e d e s i m e ; e s e m p i s o n o l ’ a r t . 1 0 1 c o s t . , c he a d o t t a un procedimen to special e d i adattamento a tut te le norm e di dirit to internazionale generale e quindi all e norm e cons uet udi nar i e, e l’ordi n e d i esecuzione d i u n trattato , c h e di solit o vie n e da to co n legg e (l a stess a c h e autorizz a l a ratifica d el trattato) e rinvi a a lle norm e contenut e nel trattat o medesimo . 2. L’APPLICAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI ALL’INTERNO DELLO STATO Una volta introdotte nell’ordinamento interno, le norme internazionali sono fonti di diritti ed obblighi per gli organi statali e per tutti i soggetti pubblici e privati che operano all’interno dello Stato. La nozione di norma non self-executing va rigorosamente circoscritta a tre casi: al caso in cui la norma attribuisca semplici facoltà agli Stati; al caso in cui una norma, pur imponendo obblighi, non possa ricevere esecuzione in quanto non esistono gli organi e le procedure interne indispensabili alla sua applicazione; al caso in cui la sua applicazione comporti particolari adempimenti di carattere costituzionale (ad es. norme che comportano oneri finanziari straordinari o norme a contenuto penalistico). È da censurare il comportamento di molti Paesi che, per non applicare norme ‘indesiderate’, qualificano come non self-executing le norme di una convenzione. 3. L’APPLICAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI ALL’INTERNO DELLO STATO Non è da ritenersi un impedimento alla diretta applicabilità di un trattato, il fatto che questo contenga una clausola di esecuzione (clause of implementation), ossia preveda che gli Stati contraenti adotteranno tutte le misure di ordine legislativo o altro per dare effetto alle sue disposizioni. Il rango che assumono le norme internazionali introdotte nella gerarchia delle fonti interne tende a corrispondere alla forza che, nella gerarchia delle fonti, ha il procedimento, ordinario o speciale, di adattamento. Se a procedere all’adattamento è il Costituente (come avviene per il diritto internazionale generale ad opera dell’art. 101 Cost.), le norme internazionali così introdotte avranno rango costituzionale; se a procedere all’adattamento è il legislatore ordinario (come avviene per i trattati), le norme internazionali così introdotte avranno rango di legge ordinaria; e così via. LA RESPONSABILITÀ INTERNAZIONALE COME CONSEGUENZA DI UN COMPORTAMENTO IN CONTRASTO CON UN OBBLIGO INTERNAZIONALE La Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite approvò, in prima lettura, la prima parte di un progetto di articoli che si occupava dell’origine della responsabilità, ossia degli elementi dell’illecito internazionale. Il progetto definitivo (Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per atti illeciti internazionali) ha visto la luce nell’agosto 2001: esso si occupa, in 59 articoli, sia degli elementi sia delle conseguenze dell’illecito. Ogni fatto internazionalmente illecito dà luogo alla sua responsabilità internazionale. Si ha fatto internazionalmente illecito quando ricorrono i suoi due elementi costitutivi: un comportamento consistente in una azione o una omissione può essere attribuito allo stato alla stregua del diritto internazionale; tale comportamento costituisce una violazione di un obbligo internazionale dello stato. 1. LE CIRCOSTANZE CHE ESCLUDONO IL FATTO ILLECITO Vi sono alcune circostanze il cui verificarsi esclude la illiceità internazionale di un fatto che di per sé sarebbe idoneo a determinarla: il consenso dello stato leso la rappresaglia o contromisura: una regola generale consuetudinaria comporta la possibilità che lo stato leso infligga a sua volta una lesione ad un diritto soggettivo dello stato autore dell'illecito a titolo di rappresaglia, o come si preferisce ormai dire, come contromisura. Inoltre l'azione o l'omissione in cui si concreta la rappresaglia deve rispettare i principi fondamentali posti a tutela dell'individuo; ed è illecita la rappresaglia che consista nella violazione di una norma imperativa di diritto generale (jus cogens). La forza maggiore, l'estremo pericolo e il caso fortuito: rientrano in una serie di situazioni di necessità (in senso lato per distinguere lo stato di necessità in senso stretto, pure esso circostanza che esclude il fatto illecito) la cui valenza a far si che un atto che di per sé sarebbe considerato illecito non lo sia è assai controversa. 2. LE CIRCOSTANZE CHE ESCLUDONO IL FATTO ILLECITO La legittima difesa: un comportamento di per sé illecito implicante l'uso della forza armata, può essere invece lecito laddove sia realizzato per legittima difesa, ossia in funzione dello scopo con cui è eseguito: • evitare il compimento di un fatto illecito nei propri confronti; • impedire che un illecito già in atto venga portato ad ulteriori conseguenze. È importante notare che la legittima difesa può essere collettiva quando uno stato agisca in difesa di un altro stato che sia oggetto di un attacco armato da parte di uno stato terzo. Lo stato di necessità: esso si distingue dall'estremo pericolo perché in questo caso l'esigenza che viene in rilievo non è di salvare vite umane, bensì un interesse essenziale dello stato. Commissione del diritto internazionale è nel suo progetto particolarmente prudente, dandone una definizione in via negativa: lo stato di necessità non può essere invocato da uno stato per escludere la illiceità di un fatto da essa compiuto a meno che: 1. il fatto fosse il solo mezzo per salvaguardare un interesse essenziale dello stato di fronte ad un pericolo grave e imminente; 2. il fatto non compromettesse in modo serio un interesse essenziale dello stato rispetto al quale sussisteva un obbligo. LE CONSEGUENZE DEL FATTO ILLECITO INTERNAZIONALE. Le conseguenze dell’illecito consistono in una nuova relazione giuridica fra Stato offeso e Stato offensore, discendente da una norma apposita, la c.d. norma secondaria contrapposta alla norma primaria, ossia alla norma violata. Le conseguenze del fatto illecito consisterebbero unicamente nel diritto dello Stato offeso di pretendere, e nell’obbligo dello Stato offensore di fornire, un’adeguata riparazione: questa comprenderebbe sia il ripristino dello status quo antea (restitutio in integrum) sia il risarcimento del danno oppure, nel caso di danno immateriale, la ‘soddisfazione’ (presentazione ufficiale di scuse, omaggi alla bandiera dello Stato offeso, ecc.). 1.CONSIDERAZIONI FINALI In conclusione, i caratteri dell’ordinamento internazionale ed in particolare il suo carattere universale, originario e paritario, unito all’assenza di una struttura gerarchica trovano perfetto riscontro nella natura delle fonti del diritto internazionale. In effetti il nucleo fondamentale del diritto internazionale è rappresentato da consuetudini le quali sono fonti di diritto internazionale generale, che vincola cioè tutti i soggetti della comunità internazionale. Un aspetto da sottolineare è il fatto che la consuetudine – che nel diritto interno è fonte terziaria del diritto che opera in via sussidiaria in materie non disciplinate da altre fonti – nell’ambito del diritto internazionale rappresentano fonti di rango primario. Vi sono poi i trattati, che sono fonti di diritto internazionale particolare, in quanto norme pattizie che vincolano i soli soggetti contraenti. Infine, rientrano fra le fonti anche gli atti vincolanti delle organizzazioni internazionali, che vincolano i soli Stati appartenenti a dette organizzazioni. 2. CONSIDERAZIONI FINALI L'uguaglianza sovrana degli Stati resta il principio di fondo, anche se la società internazionale appare eterogenea per la forte disuguaglianza economica esistente fra taluni dei suoi membri (Stati industriali e Stati in sviluppo), cui si accompagna, altresì, una disuguaglianza politico-militare fra superpotenze, grandi potenze e gli altri Stati, e sussistono differenze fra gli Stati, quanto all'estensione del territorio, al numero degli abitanti ed alla disponibilità di risorse naturali. Il diritto internazionale, ancora oggi, vive grazie ai rapporti che tali enti istituiscono tra di loro. Ne consegue che un gran numero di norme internazionali, segnatamente quelle consuetudinarie, sono di origine spontanea, in quanto derivano dalla coscienza sociale e non dalla volontà di un legislatore gerarchicamente superiore. Si tenga presente che nella società internazionale non esiste un’autorità giudiziaria la cui competenza a dirimere le controversie sia obbligatoria. Infine, non esiste un corpo di polizia internazionale, capace di prevenire e sanzionare la violazione delle norme internazionali. 3. CONSIDERAZIONI FINALI In assenza di un legislatore internazionale, il modo in cui il giudice rileva una regola internazionale sulla quale fonda la propria decisione presenta una notevole importanza, il che spiega il rilievo delle decisioni arbitrali e giudiziarie, specie quando queste ultime sono riferibili ad una giurisdizione permanente, tanto internazionale quanto interna. La società internazionale, peraltro, è interdipendente, in quanto gli Stati, anche più grandi, non sono autosufficienti sotto il profilo della disponibilità di fonti d energia o di riserve alimentari. Questa interdipendenza, insieme al fenomeno della globalizzazione, comporta che la comunità internazionale sia esposta a rischi globali, quali sono quelli determinati dal terrorismo, da un lato, e dalle catastrofi ecologiche, dall'altro. Ciò ha fatto emergere, almeno dalla fine del secondo conflitto mondiale, nuovi valori, quali, in specie, la pace, i diritti umani, l'autodeterminazione dei popoli, la protezione dell'ambiente, che la comunità internazionale nel suo insieme ritiene degni di particolare tutela. Il diritto internazionale si è così arricchito di nuove norme che pongono obblighi solidali o erga omnes, nei confronti dell'intera comunità internazionale. BIBLIOGRAFIA E FONTI INTERNET DI RIFERIMENTO PER LO STUDIO PERSONALE BENEDET TO CONFORTI,DIRIT TO INTERNAZIONALE NATALINO RONZITTI, INTRODUZIO NE AL DIRIT TO INTERNAZIONALE ENCICLOPED IA TRECCANI SUL TE MA DEL LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI S U L CONTE NU T O DE L L A CAR TA DE L L E NA ZIO N I UNI T E S I RIMAN D A AL SI T O H T T P : / / W W W. O N U I TA L I A . I T/ N U / S TAT U T O / I N T R O D U Z I O N E . H T M L DOCUMEN TI ONU IN ITALIAN O H T T P : / / W W W. U N R I C . O R G / I T/ D O C U M E N T I - O N U - I N - I TA L I A N O