Uploaded by Stefano Pignatelli

Diritto Amministrativo

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CAP.1: IL DIRITTO AMMINISTRATIVO DAL XVIII AL XXI SECOLO
La nascita del diritto amministrativo
Il diritto amministrativo vero e proprio emerge nel XVIII secolo e si consolida nel XIX secolo. Il punto geografico
nazionale di riferimento è la Francia, per la presenza di un sistema molto centralizzato che ha favorito la crescita di un
corpo di regole amministrative uniformi e una delle fonti conoscitive più ricche è costituita dalle opere di Tocqueville.
Nel suo libro sull’Ancien regime sottolinea con chiarezza e precisione i poteri degli intendenti e di altri funzionari
amministrativi. L’intendente è il funzionario che conta di più in provincia, un organo periferico dell’amministrazione
centrale che non rappresenta la collettività locale ma il controllo del centro sulla periferia. Questi intendenti erano
dotati di grandissimi privilegi e poteri autoritativi molto forti: può espropriare le grandi terre dei notabili, imporre
sanzioni e addirittura condannare a morte. Il rapporto tra l’indipendente e gli altri cittadini non è dunque paritario.
Con la Rivoluzione francese si apre la distinzione fra i poteri e il potere amministrativo si colloca nell’ambito del potere
esecutivo: l’amministrazione è quel corpo di funzionari inseriti nell’apparato esecutivo che adottano misure, atti e
provvedimenti in attuazione della legge e sono sotto il controllo dei giudici.
Agli inizi dell’Ottocento cominciano ad essere istituite le prime cattedre universitarie di diritto amministrativo e
proprio per questo motivo il diritto amministrativo nasce anche in Italia. In Francia nasce come strumento dell’ascesa
al potere della borghesia; quindi, ha una base sociale e politica molto importante: I poteri degli intendenti finiscono
per comprimere le posizioni sociali degli aristocratici locali. In Italia e in Germania invece il diritto amministrativo è
legato ad una radice ideologica: pesa molto l’influenza filosofica di Hegel, che aveva sottolineato l’idea di uno stato
forte. In Italia, infatti, i primi amministrativisti italiani seguivano il pensiero di Hegel.
I caratteri del diritto amministrativo
1) Un primo carattere iniziale è la connessione fra diritto amministrativo e stato-nazione: il diritto
amministrativo, infatti, è il diritto dello Stato, Il diritto del governo centrale.
2) Ogni stato ha il suo diritto amministrativo e diritti amministrativi nazionali non dialogano tra loro. È il diritto
che regola l’organizzazione e l’attività della pubblica amministrazione. E la pubblica amministrazione è una
parte dello stato: ogni Stato disciplina a modo suo i rapporti con i propri cittadini.
3) Questo fa la prima differenza tra diritto amministrativo diritto privato. Il diritto privato comunica fra Stati
diversi per via del diritto dei contratti, delle obbligazioni, della proprietà e delle successioni, i quali si sono
sedimentati in lunghissimi archi temporali. Inoltre, il diritto privato è il diritto dell’economia e del mercato: il
mercato è il luogo dello scambio e per definizione non tollera confini nazionali.
Gli sviluppi del diritto amministrativo
I caratteri iniziali, tradizionali del diritto amministrativo subiscono nel tempo rivolgimenti radicali:
1) si attenua il legame con lo Stato-nazione perché il diritto della comunità europea viene a condizionare
ampiamente i diritti amministrativi nazionali, Specialmente a seguito del riconoscimento del primato del
diritto comunitario sui diritti interni degli Stati membri affermatosi negli anni 80 del XX secolo;
2) emergono sempre maggiori convergenze fra i diritti amministrativi nazionali, indipendentemente
dall’influenza comunitaria e internazionale;
3) si avvicinano diritto amministrativo e diritto privato: con l’avvento del diritto amministrativo si ha la grande
pubblicizzazione di tutti i rapporti amministrativi, ma il contratto prende il posto del provvedimento
unilaterale e autoritativo: la pubblica amministrazione inizia ad utilizzare sempre di più i contratti al posto
degli atti unilaterali, non soltanto negli appalti pubblici, per la realizzazione di lavori o per l’affidamento di
servizi o forniture ma anche per la regolazione di varie operazioni economiche di grande entità;
4) il diritto amministrativo si occupa in modo sempre più rilevante della regolazione dei mercati: il nesso tra
diritto amministrativo e regolazione dei mercati si fa più forte con le norme sull’antitrust e soprattutto, con
gli anni 30, quando a seguito della crisi di Wall Street, vieni istituita la Securities and Exchange Commission
per la vigilanza sulla borsa e sui mercati finanziari.
CAP.2: I PRINCIPI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO
Le fonti. Chi pone i principi
I principi possono essere posti dalla legislazione. Può trattarsi delle costituzioni: nel nostro paese due principi
essenziali per l’amministratore pubblico sono l’imparzialità e il buon andamento stabiliti dall’articolo 97. Può anche
trattarsi del legislatore ordinario: la legge sul procedimento amministrativo (n.241/1990) prevede i principi di
economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza, e richiama i principi dell’ordinamento comunitario. Il codice civile
stabilisce i principi di buona fede e correttezza (art.1337 e art.1175).
I principi sono posti anche dalla legislazione ultranazionale: il trattato sul funzionamento dell’Unione Europea prevede
il principio di libera concorrenza e impone alle misure normative e amministrative statali e comunitarie di adeguarsi
ad esso. Lo stesso trattato richiama il principio di precauzione.
Oggi viviamo in un’età di principi legislativi: le leggi sono la fonte più diffusa di principi giuridici. Al tempo stesso, resta
fondamentale il ruolo giocato nella formazione dei principi dalla giurisprudenza. Ad esempio, i principi di
ragionevolezza e proporzionalità conoscono ancora poche esplicitazioni legislative e si fondano essenzialmente sugli
apporti giurisprudenziali.
Tipi di principi
Nel diritto amministrativo si possono distinguere principi tipici e propri dell’amministrazione pubblica da un lato e
principi generali del diritto applicabili anche alle pubbliche amministrazioni dall’altro.
Principi tipici e propri dell’amministrazione pubblica
Sono principi che trovano il loro significato essenziale nella regolazione dell’attività amministrativa, pur potendo
essere applicati anche all’attività di altri pubblici poteri (legislativo, giurisdizionale) e, in casi limitati e con ampi limiti,
all’attività di soggetti privati.
Il principio di legalità: L’attività amministrativa deve trovare una base nella legge. Non esiste un fondamento
costituzionale espresso e compiuto di questo principio ma vi sono norme della costituzione che si riferiscono ad esso.
Il legislatore ordinario ha previsto una versione delimitata del principio di legalità laddove ha stabilito che l’attività
amministrativa persegue i fini determinanti dalla legge. Qui il riferimento è soltanto ai fini, mentre il principio di
legalità vuole che tipi e presupposti degli atti amministrativi siano previsti dalla legge: I provvedimenti sono solo quelli
previsti dall’ordinamento, Il potere amministrativo deve trovare una base esplicita nelle norme di legge.
La pubblica amministrazione deve rispettare non solo le leggi, ma anche principi di diritto, come la ragionevolezza e
inoltre deve rispettare innanzitutto le regole comunitarie, che prevalgono su quelle interne.
Il principio di imparzialità: esso trova il suo fondamento normativo espresso nella costituzione: l’art.97 dispone che i
pubblici uffici sono organizzati in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Vi
è dunque un rapporto stretto tra imparzialità e potere discrezionale dell’amministrazione. L’imparzialità vale come
divieto di discriminazioni, di favoritismi: essa confina con l’eguaglianza. Da tale principio discende l’obbligo delle
pubbliche amministrazioni di determinare criteri e modalità prima di procedere. Inoltre determina l’obbligo di
compiere un’adeguata valutazione di tutti gli interessi in gioco prima di decidere. Infine l’obbligo di astensione del
funzionario amministrativo in caso di conflitto di interessi.
Il principio di buon andamento: È un concetto molto ampio: può trovare applicazione tanto all’attività pubblicistica e
autoritativa della pubblica amministrazione quanto all’attività contrattuale. La giurisprudenza ne ha offerto
esemplificazioni, riconducendo al buon andamento l’economicità, l’efficienza, l’efficacia e la tempestività dell’azione
amministrativa.
Il principio di ragionevolezza: il punto di riferimento della ragionevolezza è l’obbligo di motivazione dell’atto, della
decisione, del provvedimento amministrativo. Questi devono avere una motivazione ragionevole.
Il principio di proporzionalità: come il principio di ragionevolezza, il principio di proporzionalità ha trovato la sua
formazione e suoi sviluppi essenziali nell’opera della giurisprudenza. Affinché la decisione amministrativa sia
proporzionata devono sussistere essenzialmente tre profili: l’idoneità al perseguimento del fine che si intende
realizzare; la necessarietà, ossia il fatto che la misura non ecceda quel che è necessario per raggiungere il fine prefisso
e che non esistano altre misure, ugualmente idonee, ma meno restrittive nei confronti degli amministrati; la
proporzionalità, cioè l’equilibrata proporzione fra le utilità pubbliche alcuni perseguimento la decisione è finalizzata e i
sacrifici imposti.
Il principio di precauzione: esso consente ai poteri pubblici, in particolare alle pubbliche amministrazioni, di adottare
misure dirette a prevenire danni gravi e irreversibili all’ambiente, alla salute, alla sicurezza, ove emergano rischi di tali
danni, pur in assenza di una certezza scientifica assoluta. È indispensabile una preventiva analisi oggi attiva dei rischi
attuali o potenziali ed è necessario accertare che le misure precauzionali adottate siano proporzionate e non
eccessivamente restrittive. Infine, dopo l’adozione delle misure precauzionali, le amministrazioni sono tenute a
proseguire nell’analisi dei rischi per valutare possibili revisioni delle misure adottate. Vi è dunque un nesso tra
principio di precauzione e principio di proporzionalità.
Il principio di partecipazione: l’amministrato può esprimere la propria voce, oralmente o per iscritto, prima della
decisione amministrativa; può partecipare al procedimento che conduce al provvedimento finale. La partecipazione
riguarda la facoltà degli amministrati di manifestare propri interessi all’interno del procedimento amministrativo
preliminare all’adozione della decisione finale, ma esso vale solo per i procedimenti particolari, che si rivolgono a uno
o più destinatari determinati e non per quelli generali, il mancato rispetto del principio di partecipazione vizia il
provvedimento finale rendendolo annullabile.
L’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo: l’obbligo di motivazione dei provvedimenti
giurisdizionali è previsto dalla costituzione all’art.111. Progressivamente l’obbligo di motivazione si è esteso anche ai
provvedimenti amministrativi. La motivazione deve ricomprendere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che
hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria. Essa riguarda,
dunque, gli elementi di fatto di diritto sui quali si basa provvedimento. La mancanza di motivazione, una motivazione
insufficiente o irragionevole producono un vizio ascrivibile alla violazione di legge, all’eccesso di potere, che si può
tradurre in invalidità del provvedimento finale.
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi: affinché la voce del amministrato si possa esprimere con la
maggiore possibile efficacia, essa si deve fondare su una visione compiuta degli atti e dei documenti del procedimento
che conduce alla decisione amministrativa. Il diritto di accesso a tali documenti è stato riconosciuto solamente con la
legge 241/1990. Esso si esercita mi confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli
enti pubblici, dei gestori di pubblici servizi e nei confronti delle autorità di garanzia e vigilanza. Per pubbliche
amministrazioni si intendono sia soggetti di diritto pubblico sia soggetti di diritto privato limitatamente alla loro
attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario. Il principio dell’accesso ai documenti è
collegato con quello della trasparenza e ne favorisce la realizzazione.
Principi comuni a soggetti pubblici e privati
Il principio di buona fede: lo si ritrova nel codice civile a proposito dell’attività contrattuale e precontrattuale
(art.1337 e 1375). In diritto amministrativo, tale principio ha un ambito di applicazione generale: si applica tanto
all’attività privatistica, ad esempio all’esecuzione dei contratti pubblici, quanto all’attività pubblicistica, collegata o
meno con i contratti, come per le procedure ad evidenza pubblica che servono ad individuare il contraente della
pubblica amministrazione. Ma il principio di buona fede vale anche per l’attività procedimentale che si concreta
nell’adozione di misure sanzionatorie o di espropri. La buona fede è dunque canone generale dell’attività
amministrativa.
Il principio di correttezza: anche per la correttezza dobbiamo partire dal codice civile. L’art.1175 dispone che il
debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza. Visto però che le obbligazioni derivano
da contratto, fatto illecito, e ogni altro atto o fatto idoneo a produrle, esse possono derivare anche da procedimento e
provvedimento amministrativo. Su queste basi il principio di correttezza ha trovato applicazione generale del diritto
amministrativo. Si applica alla materia dei contratti delle pubbliche amministrazioni ma anche al procedimento e al
provvedimento. Vale un principio di correttezza nello svolgimento del procedimento amministrativo. La violazione
della correttezza comporta l’inversione dell’onere della prova, ponendolo a carico dell’amministrazione. La violazione
di norme civilistiche che impongono di agire secondo correttezza determina una responsabilità da comportamento
scorretto e il conseguente obbligo di risarcimento del danno, oltre che l’invalidità del provvedimento amministrativo.
Il principio del legittimo affidamento: esso ha trovato applicazione sia all’attività privatistica che all’attività
pubblicistica e autoritativa della pubblica amministrazione. Il terreno per l’applicazione del principio è quello dei
provvedimenti amministrativi di secondo grado. Viene tutelato l’affidamento del privato nella stabilità di vantaggi
conferiti dall’amministrazione con misure ampliative di primo grado come autorizzazioni e concessioni e l’affidamento
gioca come limite alla revoca o all’annullamento di tale misura. Nel caso di revoca, la tutela del legittimo affidamento
da un lato limita i presupposti giustificativi della revoca nell’ipotesi in cui questa incida su provvedimenti di
autorizzazione o attribuzione di vantaggi economici. In tal caso la revoca è ammessa per sopravvenute ragioni di
pubblico interesse cioè per mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del
provvedimento ma non è ammessa per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario: allo stesso soggetto non
possono essere sottratti quei benefici, sui quali ha confidato, in base ad una nuova valutazione dell’originario
interesse pubblico che aveva giustificato il conferimento dei vantaggi a suo favore. In ogni caso, se la revoca comporta
pregiudizi in danno dei soggetti interessati, la pubblica amministrazione deve corrispondere un indennizzo.
L’annullamento d’ufficio, da parte della pubblica amministrazione, di un provvedimento amministrativo illegittimo
non può essere adottato soltanto a causa dell’illegittimità: devono sussistere ragioni di interesse pubblico e
l’annullamento deve intervenire entro un termine ragionevole, comunque non superiore a 18 mesi dal momento
dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione attribuzione di vantaggi economici.
Il principio di libera concorrenza: esso si applica non soltanto alle imprese gestite dalla mano pubblica ma anche a
poteri pubblici quali il legislatore e le pubbliche amministrazioni. La costituzione stabilisce che i legislatori statali e
regionali devono rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, trai quali è da annoverare il principio di
libera concorrenza. Se le regioni, nella loro legislazione, penetrano nei territori di quella materia, vi è spazio per il
sindacato della corte costituzionale, che ha avviato sul punto un’interessante giurisprudenza. Il principio di libera
concorrenza inoltre vale per le amministrazioni pubbliche anche al di fuori della loro attività imprenditoriale. Si è
ritenuto che l’attività amministrativa che si concreta in provvedimenti di pianificazione e autorizzazione a favore dei
privati debba essere rispettosa della concorrenza: Anche la concorrenza quindi è divenuta canone generale delle
attività delle pubbliche amministrazioni sia di natura privatistica che di natura pubblicistica.
La trasparenza come principio generale: la giurisprudenza riconduce a questo principio giuridico vicende diverse,
quali l’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo, il diritto di accesso ai documenti, la pubblicità di
alcune frasi di concorso o di aggiudicazione di contratti pubblici. La legge in materia di prevenzione e repressione della
corruzione ha consolidato il canone della trasparenza dell’attività amministrativa. In particolare, il decreto legislativo
di attuazione della legge ha introdotto un’apposita disciplina della trasparenza, ponendo in capo alle amministrazioni
un obbligo di pubblicazione di determinate informazioni relative ad atti incidenti sulla spesa pubblica e ha riconosciuto
a chiunque un diritto di accesso civico all’informazioni non pubblicate dalle amministrazioni, in violazione del predetto
obbligo. Si tratta di uno strumento assai diverso dall’accesso ai documenti amministrativi: infatti, quest’ultimo istituto
si fonda sulla titolarità di un interesse concreto, diretto e attuale a prendere visione del documento, mentre l’accesso
civico è garantito a chiunque e deriva, in via automatica, dall’inadempimento dell’obbligo di pubblicare le informazioni
da parte delle amministrazioni.
Di recente, in materia di trasparenza, è stato modificato l’ambito delle informazioni che le pubbliche amministrazioni
sono obbligate a pubblicare, con l’obiettivo di ridurre i confini, al fine di diminuire gli oneri gravanti sulle
amministrazioni stesse ed è stato introdotto un nuovo strumento di accesso civico ai dati e ai documenti detenuti da
pubbliche amministrazioni. Così, il diritto di accesso diviene ancor più ampio, estendendosi a tre tipologie. Il primo ad
essere stato introdotto dal legislatore è quello previsto dalla legge sul procedimento amministrativo. Questo accesso è
consentito, come si è visto, solo a chi sia titolare di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una
situazione giuridicamente tutelata è collegata al documento al quale si è chiesto l’accesso: vi è, dunque, una limitata
legittimazione soggettiva; È sempre richiesta la motivazione dell’istanza di accesso. Il secondo tipo di accesso è quello
introdotto nel 2013, che consente a chiunque di accedere alle informazioni che le amministrazioni hanno l’obbligo di
pubblicare, nel caso in cui tale obbligo non sia rispettato. Infine, vi è l’accesso introdotto nel 2015 che permette a
chiunque di accedere alle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni, indipendentemente dall’obbligo di
pubblicazione. Per gli ultimi due tipi di accesso non occorre la motivazione della richiesta di accesso. Le
amministrazioni, tuttavia, possono negare l’accesso al fine di evitare un pregiudizio concreto alla tutela di alcuni
interessi pubblici o privati qualificati.
La diversa portata dei principi in diritto amministrativo
I principi propri dell’amministrazione pubblica tendenzialmente si applicano solo a quella parte dell’attività
amministrativa che ha natura autoritativa pubblicistica e trovano il loro fondamento nell’essere contrappesi a favore
dell’amministrato nei confronti dell’esercizio del potere amministrativo di natura pubblicistica. Fanno eccezione, come
si è visto, il buon andamento il diritto di accesso ai documenti amministrativi, che hanno invece portata generale,
Applicandosi anche alle attività amministrative privatistiche. I principi generali e comuni a soggetti privati e pubblici si
applicano a tutte le attività amministrative, sia privatistiche che pubblicistiche. Essi servono sia da contrappeso
all’autorità, al potere amministrativo di tipo pubblicistico, sia da criteri equilibratori dell’attività privatistica della
pubblica amministrazione. Può concludersi, dunque, che i principi comuni hanno in diritto amministrativo un ruolo
preminente: sono canoni generali dell’azione amministrativa.
Le funzioni dei principi
Tre sono le funzioni principali dei principi giuridici:
1) la funzione interpretativa: l’interprete legge le norme alla luce dei principi
2) la funzione integrativa: se vi sono lacune e queste non si possono colmare facendo ricorso all’analogia,
l’interprete e applicatore di norme fa ricorso ai principi
3) la funzione limitativa del potere: tutti i principi tipici e propri dell’amministrazione pubblica hanno esplicato
sempre più e continuano ad esplicare questa funzione di contrappeso al potere pubblicistico della pubblica
amministrazione. Anche i principi comuni a soggetti pubblici e privati tendono a limitare il potere
pubblicistico dell’amministrazione, oltre ad equilibrarne l’attività privatistica.
CAP.3 L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA
Pubblica amministrazione. Concetto e ambito
Pubblica amministrazione può significare tanto l’attività amministrativa, quanto l’insieme degli apparati che la
svolgono. Le pubbliche amministrazioni sono quelle strutture che svolgono un’attività caratterizzata dalla cura
concreta di interessi pubblici. Per inquadrare il concetto di pubblica amministrazione è necessario guardare alla
costituzione: l’art.97, con il quale inizia la sezione del testo costituzionale dedicata alla pubblica amministrazione,
stabilisce che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge. La legge provvede alla loro organizzazione
e spesso è la stessa legge che istituisce le pubbliche amministrazioni. L’art.97 prosegue disponendo che alle pubbliche
amministrazioni si accede mediante concorso, salve le eccezioni previste dalla legge. Il legislatore ordinario, dunque,
non offre una definizione generale di pubblica amministrazione, ma indica figure soggettive, che usualmente
denomina pubbliche amministrazioni, cui trovano applicazione di norme sull’organizzazione, sull’impiego, sui
procedimenti, sui contratti, sulla spesa, sulla responsabilità, sulla giurisdizione. L’art.1del d.lgs. 165/2001 dispone che
per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni
ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende e amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le
regioni, le province, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti
autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti
pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del servizio sanitario
nazionale, e l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni.
La legge 241/1990, la legge generale sul procedimento amministrativo menziona le pubbliche amministrazioni che
sono tenute ad applicare i principi e le regole procedurali da essa dettate. In particolare, le amministrazioni statali e gli
enti pubblici nazionali sono tenuti a conformarsi a tutte le norme della legge n.241, mentre le società con totale o
prevalente capitale pubblico sono tenute ad applicare la legge solo se svolgono funzioni amministrative. La stessa
legge stabilisce che per pubblica amministrazione si intendono tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto
privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.
L’organismo di diritto pubblico è qualsiasi organismo, anche in forma societaria, che è istituito per soddisfare
specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, dotato di personalità
giuridica e la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri
organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo di
amministrazione, direzione o vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, da enti
pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico. Può essere un soggetto di natura privatistica, purché posto
sotto il controllo di pubblici poteri.
A livello comunitario non sussiste una nozione condivisa di amministrazione pubblica. Tuttavia si considerano
pubbliche amministrazioni solo quelle strutture che svolgono funzioni pubbliche di particolare rilievo, per le quali
siano da garantire gli interessi nazionali e la loro impermeabilità rispetto all’ingresso di funzionari di altri stati.
Infine, il codice del processo amministrativo, include tra le pubbliche amministrazioni anche i soggetti ad esse
equiparati ottenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo. Vengono di nuovo affiancati a pubbliche
amministrazioni soggetti che possono avere natura sia pubblica che privata.
Pertanto è arduo pervenire ad una definizione unitaria di pubblica amministrazione. Il dato comune è che ci si riferisce
ad un complesso di strutture definite come pubbliche amministrazioni dalla legge e da essa organizzate, individuabili
invia residuale, in quanto estranee agli apparati legislativi e giurisdizionali, seppur dotate di poteri normativi secondari
ed i tipo giudiziale. Le pubbliche amministrazioni in senso proprio sono i ministeri, le agenzie amministrative, gli enti
pubblici, le autorità indipendenti e le società in partecipazione pubblica.
I rapporti tra politica e amministrazione
Dalle rivoluzioni borghesi, l’amministrazione pubblica è stata collocata nell’ambito dell’apparato e del potere
esecutivo. Ciò ha significato supremazia del governo, e dei ministri, sulla pubblica amministrazione. Nel tempo,
tuttavia, si è assistito ad una progressiva autonomizzazione del potere amministrativo rispetto quello esecutivogovernativo. Questo perché aumentano le funzioni svolte dalle pubbliche amministrazioni: non si tratta più soltanto
delle funzioni d’ordine attribuite alle amministrazioni dello Stato liberale come la sicurezza pubblica, la difesa, la
giustizia o le relazioni internazionali; ad esse si aggiungono le funzioni di welfare, di benessere sociale e quelle di
intervento nell’economia. Il governo dei ministri non riescono più a seguire tutti gli affari amministrativi. Assumono,
quindi, grande importanza il peso decisionale le strutture amministrative prima sottomesse ai ministri, e con esse
acquistano un ruolo rilevante i dirigenti amministrativi e i funzionari.
La costituzione fornisce contestualmente due immagini del rapporto fra politica e amministrazione. Da un lato, l’art.95
sottolinea il ruolo essenziale della politica nei confronti dell’amministrazione, laddove prevede che il presidente del
Consiglio dei Ministri mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei
ministri e laddove stabilisce che i ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri e
individualmente degli atti dei loro dicasteri. Dall’altro lato, la costituzione apre verso l’autonomia e la neutralità
dell’amministrazione pubblica: in tal senso è la norma sulla riserva di legge in materia di organizzazione dei pubblici
uffici e sul principio di imparzialità della pubblica amministrazione.
Tipologia delle figure soggettive
La pubblica amministrazione si articola in diverse figure soggettive. Accanto ai ministeri, vi sono agenzie
amministrative, enti pubblici, società in partecipazione pubblica, autorità indipendenti. Alcune figure soggettive sono
dotate di personalità giuridica, come talune agenzie amministrative o gli enti pubblici; altre sono prive di personalità,
come i ministeri o le autorità indipendenti. Ma sono tutte figure soggettive, cioè centri di imputazione di relazioni
giuridiche. Il ministero non è persona giuridica ma tramite i suoi organi adotta provvedimenti, conclude contratti.
I ministeri
Le leggi cavourriane configurarono il ministero come una struttura uniforme e gerarchico-piramidale. Tutti i poteri
spettavano al ministro, che stava al vertice del suo dicastero. La regola era che sotto il ministro stanno uffici
meramente serventi, che non divengono organi perché i rapporti con l’esterno passano esclusivamente per il ministro.
Dalla fine del 19º secolo, dal momento in cui lo Stato è divenuto dispensatore di servizi, imprenditore, regolatore
dell’economia, essendo impossibile che il ministro si occupasse direttamente di così tante funzioni, I funzionari più
elevati degli uffici ministeriali dello Stato hanno ricevuto deleghe sempre più numerose e hanno guadagnato nei fatti
autonomia decisionale. In seguito, negli anni 70 del 900 è stata varata una riforma della dirigenza amministrativa che,
per legge, ha attribuito ai dirigenti specifiche competenze proprie. In tali casi, le strutture amministrative da loro
dirette venivano a mutare natura, non essendo più meri uffici serventi del ministro, ma operando come organi,
chiamati ad adottare atti aventi rilevanza esterna.
Nella prima metà degli anni 90, una seconda riforma ha introdotto innovazioni sensibili. Al Ministro aspettano le sole
funzioni di indirizzo politico e di controllo della sua attuazione, mentre ai dirigenti vengono affidate tutte le funzioni di
gestione amministrativa: in particolare, l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che
impegnano l’amministrazione verso l’esterno. Gli uffici dirigenziali divengono così organi a legittimazione generale.
Alla fine degli anni 90 del XX secolo si viene a stabilire un numero contenuto di ministeri, cioè 12. Il numero è variato
in seguito, ma si è ormai affermato il principio secondo cui i ministeri non possono moltiplicarsi in funzione delle
esigenze politiche. Il numero dei ministeri deve riposare sulle esigenze della buona amministrazione, che richiedono
razionalizzazione e talora accorpamento delle funzioni.
Quanto all’organizzazione interna, gli uffici ministeriali di livello superiore cioè gli uffici dirigenziali generali e i relativi
compiti sono individuati con regolamento emanato da ciascun ministro. Gli uffici di livello immediatamente inferiore,
cioè gli uffici dirigenziali non generali e le rispettive funzioni sono individuati con decreto ministeriale di natura non
regolamentare. La norma di legge primaria, dunque, si limita a determinare il numero dei ministeri, a elencarli e a
definire le relative attribuzioni. Vi sono sostanzialmente due modelli ministeriali:
1) I ministeri con dipartimenti: sono strutture chiamate a svolgere funzioni concernenti grandi aree di materie
omogenee. Ai dipartimenti è preposto un capo dipartimento, che svolge compiti di coordinamento, direzione
e controllo degli uffici dirigenziali generali ed è responsabile dei risultati raggiunti in attuazione degli indirizzi
del ministro. In particolare, il capo Dipartimento determina i programmi per dare attuazione a tali indirizzi.
2) I ministeri con direzioni generali: le direzioni generali sono strutture cui vengono affidati ambiti di materie
più ridotti rispetto a quelli propri dei dipartimenti. Soltanto nei ministeri con direzioni generali è prevista la
figura del segretario generale: esso opera alle dirette dipendenze del ministro, assicura il coordinamento
delle direzioni generali e dell’azione amministrativa, provvede all’istruttoria per l’elaborazione degli indirizzi e
dei programmi di competenza del ministro.
Il ministro resta al vertice del suo dicastero, ma c’è una distinzione di funzioni fra ministri e uffici ministeriali. Ai primi
spetta l’indirizzo politico e la verifica della sua attuazione; agli uffici-organi, e ai dirigenti ad essi preposti, spetta la
gestione amministrativa e l’adozione di tutti gli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione
verso l’esterno. Se il Ministro interferisce nella gestione amministrativa, i relativi provvedimenti sono annullabili per
incompetenza.
Le agenzie amministrative
Sono le amministrazioni pubbliche dotate di funzioni tecnico-operative. Alla fine degli anni 90 è sopravvenuta la prima
normativa organica sulle agenzie amministrative (d.lgs. n.3000/1999). Vi si conferma che alle agenzie sono attribuite
funzioni tecnico-operative e la nuova disciplina si occupa solo delle agenzie di interesse nazionale. Si distinguono un
modello generale e un modello speciale di agenzie:
1) le agenzie del modello generale godono di autonomia, ma sono sottoposte ai poteri di indirizzo e vigilanza di
un ministro. Con regolamento sono adottati gli statuti delle agenzie, che devono a) definire le attribuzioni del
direttore generale, b) individuare i poteri ministeriali di vigilanza che devono comprendere l’approvazione dei
programmi di attività dell’agenzia, dei bilanci preventivi e dei rendiconti, l’emanazione di direttive, c) definire
gli obiettivi attribuiti all’agenzia tramite convenzioni tra la stessa agenzia e il ministro di riferimento, d)
determinare un’organizzazione rispondente alle esigenze di speditezza, efficacia ed efficienza. Manca una
piena autonomia statutaria, essendo tali atti proposti dal presidente del Consiglio dei Ministri e dai ministri
competenti e adottati con regolamento governativo. Le agenzie del modello generale appaiono più
autonomo dalla politica rispetto agli uffici dei ministeri.
2) Le agenzie del modello speciale ricevono una regolazione derogatoria rispetto a quella relativa al modello
generale. Vi rientrano le agenzie fiscali, cioè entrate, dogane e demanio. È previsto un atto di indirizzo del
ministro dell’economia e delle finanze sugli sviluppi della politica fiscale. Su questa base intervengono
convenzioni fra il ministro e ciascuna agenzia speciale che fissano: gli obiettivi da raggiungere, le direttive
generali, le strategie per il miglioramento e le modalità di vigilanza sull’operato dell’agenzia. Al Ministro
dell’economia e delle finanze spettano poteri di alta vigilanza. Gli atti generali delle agenzie sono sottoposti
alla sua approvazione. Gli atti di gestione sono sottratti al controllo ministeriale preventivo. Il direttore di
queste agenzie e di nomina governativa e dura in carica tre anni. A tali agenzia viene riconosciuta autonomia
regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria, Ma soprattutto
autonomia statutaria effettiva.
Gli enti pubblici
Fino al 900 gli enti pubblici erano quasi esclusivamente enti territoriali: stato, comuni e province. Dall’inizio del 900
prendono a svilupparsi enti pubblici non territoriali ma funzionali. La differenza È che i primi sono enti politici che
perseguono tutti gli interessi pubblici che si manifestino all’interno del loro territorio; mentre i secondi sono
monofunzionali: curano cioè un solo interesse pubblico, o un insieme limitato di interessi pubblici determinati, come
per esempio l’istituto nazionale delle assicurazioni (INA) per gestire le assicurazioni sulla vita o l’INPS, l’ISTAT.
L’art.114 stabilisce che la repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e
dallo stato. Gli enti pubblici territoriali diversi dallo Stato sono dunque a esso equiparati come elementi costitutivi
della Repubblica. Sono indipendenti e ciò si traduce in autonomia politica, di indirizzo politico. Le funzioni
amministrative sono, di regola, attribuite ai comuni. Possono, tuttavia, essere conferite, al fine di assicurarne
l’esercizio unitario, a province, città metropolitane, regioni e Stato in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione
ed adeguatezza. Gli enti territoriali divengono titolari di funzioni amministrative soltanto in virtù di leggi dello Stato o
delle regioni che conferiscono concretamente le relative competenze.
Oggetto proprio del diritto amministrativo sono gli enti pubblici funzionali. Si distinguono enti pubblici economici e
non economici.
1) Gli enti pubblici economici sono persone giuridiche e gestiscono imprese, in via esclusiva o principale. Lo
sono stati l’INA, l’ENEL, le ferrovie dello Stato e le poste italiane. Gli atti che adottano gli enti pubblici
economici non sono provvedimenti amministrativi, ma atti negoziali; gli atti di organizzazione sono
regolamenti di impresa, ad eccezione degli statuti, ai quali in genere si riconosce natura pubblicistica. Il
rapporto di lavoro è privatistico e le relative controversie rientrano nella competenza giurisdizionale del
giudice ordinario come giudice del lavoro. Tradizionalmente gli enti pubblici economici sono stati
caratterizzati da ampia autonomia rispetto al governo. La figura organizzativa dell’ente pubblico economico è
entrata in una profonda crisi a seguito della crescente importanza acquisita dal diritto comunitario.
Innanzitutto, le entrate degli enti pubblici economici si sono basate essenzialmente su finanziamenti pubblici.
Tale circostanza ha posto problemi di compatibilità con la normativa comunitaria che vieta gli aiuti di Stato
idonei ad alterare la concorrenza. Inoltre, i monopoli attribuiti ad enti pubblici economici come le ferrovie
dello Stato, le poste italiane sono entrati in rotta di collisione con l’articolo 86 del trattato istitutivo della
comunità europea, che sottopone alle regole di concorrenza anche le imprese che gestiscono servizi di
interesse economico generale. Infine le imprese gestite da enti pubblici economici hanno dato prova di
inefficienza. La crisi ha portato, negli anni 90 del novecento, ad una stagione di privatizzazioni. Si distinguono
privatizzazioni formali e sostanziali. Con il primo termine si indica la trasformazione dell’ente pubblico
economico in società per azioni, che può però rimanere integralmente in mano pubblica. Le privatizzazioni
sostanziali, invece, comportano il passaggio totale o parziale dell’impresa dalla mano pubblica alla mano
privata. L’approvazione della legge italiana sulla concorrenza, Sempre negli anni 90, ha contribuito a
rafforzare l’erosione dei monopoli già spettanti agli enti pubblici economici. Ora la figura dell’ente pubblico
economico è quasi in via di estinzione.
2) Gli enti pubblici non economici sono la specie di enti pubblici di maggior rilievo per il diritto amministrativo.
Essi sono persone giuridiche di diritto pubblico, disciplinate da norme derogatorie rispetto alle regole
civilistiche su associazioni, fondazioni e società. Il perseguimento di un fine pubblico non è sufficiente a
qualificare un’entità giuridica come ente pubblico. La giurisprudenza ha così elaborato una serie di indici di
riconoscimento dell’ente pubblico: perseguimento di fini pubblici, titolarità di poteri autoritativi come
riscossione di tributi, sanzioni, percezione di contributi pubblici, assoggettamento al controllo di pubblici
poteri. Un disegno organizzativo ricorrente si ritrova negli enti pubblici non economici: sono usualmente
previsti un consiglio di amministrazione, un comitato esecutivo, un presidente e un collegio di revisori. Il
governo ha il potere di nomina dei titolari degli organi di vertice degli enti. Dopo la nomina, però, vale una
larga autonomia funzionale dell’ente pubblico non economico, che ha un indirizzo proprio. Infine, diverse
normative hanno stabilito la trasformazione di enti pubblici non economici in persone giuridiche private, cioè
associazioni o fondazioni.
Le società in partecipazione pubblica
Esse, oltre che a livello nazionale, si sono diffuse a livello regionale e soprattutto comunale, per la gestione di servizi
pubblici locali: ne sono esempio le società per l’erogazione dell’elettricità e del gas. Il modello societario è stato
ampiamente utilizzato anche per lo svolgimento di funzioni strumentali alle attività istituzionali di pubbliche
amministrazioni centrali e locali. In questi casi di società svolgono servizi direttamente a favore delle rispettive
amministrazioni pubbliche e non degli utenti. Quanto alla natura giuridica, la società in partecipazione pubblica è
persona giuridica di diritto privato, regolata essenzialmente dalle norme del codice civile. Vi sono però diverse
deroghe al regime civilistico. Innanzitutto, nelle società che gestiscono pubblici servizi, lo statuto può prevedere la
cosiddetta golden share, un’azione che ha come titolare il ministro di riferimento, che spetta indipendentemente dalla
portata della partecipazione pubblica e comporta poteri rilevanti, come il diritto di veto del ministro su acquisizioni
azionarie considerate inopportune punto secondo la corte di giustizia la golden share consente un controllo pubblico
sproporzionato rispetto alla partecipazione azionaria del governo nella società. Gli Stati hanno reagito stabilendo
limitazioni all’operatività della golden share, che però non è scomparsa. Successivamente sono stati attribuiti allo
stato dei golden powers, esercitabili in caso di operazioni straordinarie riguardanti società che svolgono un’attività di
rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale nonché quelle che detengono le reti e impianti, I beni
e i rapporti di rilevanza strategica per il settore dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni.
Sono previsti, inoltre, altri tipi di controlli ministeriali sull’attività delle società in partecipazione pubblica. Spesso tali
controlli sono contrattualizzati: nel senso che vengono stipulati contratti di programma tra impresa e ministro, che
stabiliscono, fra l’altro, l’ambito e le modalità della vigilanza governativa.
Poi la giurisprudenza della corte costituzionale ha chiarito che, finché la partecipazione pubblica è prevalente, vale il
controllo della corte dei conti sulla gestione finanziaria. Infine esiste una giurisprudenza amministrativa e anche
costituzionale, che ha considerato commenti pubblici società a partecipazione pubblica integrale.
Ma vi sono anche vantaggi competitivi a favore di tali società. Ad esempio, in ambito locale la partecipazione pubblica
può contribuire a giustificare deroghe alle regole di libera concorrenza, ostacolando quindi l’ingresso nel mercato di
altre imprese.
L’espansione delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche ha raggiunto dimensioni consistenti: ne
sono derivati effetti di aggravio della spesa pubblica e non sono mancati casi di corruzione. Era necessario intervenire:
È stato delegato il governo a razionalizzare e ridurre tali partecipazioni secondo criteri di efficienza, efficacia e
economicità e anche a definire i limiti della costituzione di società, l’assunzione e il mantenimento di partecipazioni
societarie da parte di amministrazioni pubbliche entro il perimetro dei compiti istituzionali o di ambiti strategici per la
tutela di interessi pubblici rilevanti. È stato precisato il confine entro i quali le amministrazioni pubbliche possono, con
analitica motivazione, costituire società ovvero acquisire o mantenere partecipazioni in società. Deve trattarsi di
società per azioni a responsabilità limitata, che svolgono attività strettamente necessarie per il perseguimento di
finalità istituzionali delle amministrazioni.
Le autorità indipendenti
Due sono i principali tratti caratterizzanti delle amministrazioni pubbliche denominate autorità indipendenti: l’elevata
expertise tecnica e l’estraneità sostanziale rispetto all’indirizzo politico e al controllo dell’esecutivo. Per le autorità
indipendenti le conoscenze tecniche devono essere particolarmente elevate, perché non si tratta di compiti solo
operativi ma di complesse funzioni regolatorie o quasi-giudiziali. L’estraneità dall’indirizzo politico e dal controllo
dell’esecutivo è la caratteristica che maggiormente distingue questa figura soggettiva e che giustifica l’aggettivo
indipendenti: è essenzialmente indipendenza dal potere governativo. Queste amministrazioni pubbliche sono nate e si
sono sviluppate in modi diversi, a seconda delle esigenze e dei problemi concreti. L’Europa continentale ha conosciuto
tardi la figura delle autorità indipendenti. In Italia, la Consob è stata istituita negli anni 70. L’autorità garante della
concorrenza del mercato, l’autorità per l’energia elettrica e il gas e l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni sono
degli anni 90. Infine nel 2014 è nata l’autorità nazionale anticorruzione.
Indipendenti dei rispettivi governi sono anche le banche centrali nazionali. Da ultimo è stato previsto l’affidamento
alla Banca centrale europea di funzioni di vigilanza diretta sui grandi gruppi bancari e di una vigilanza condivisa con le
banche centrali nazionali sugli altri istituti di credito.
Non esiste un modello generale di autorità indipendenti. Esse si sono sviluppate laddove serviva: nei trasporti, nella
concorrenza, nel credito, nei mercati finanziari, nelle comunicazioni, nell’energia. E le loro funzioni e i loro poteri si
sono atteggiati in modo diverso. Anche all’interno dello stesso paese le differenze fra autorità indipendenti sono
notevoli. In Italia alcune hanno delicati poteri regolamentari come la Banca d’Italia e la Consob. Altre autorità
indipendenti come l’autorità garante della concorrenza del mercato non hanno in sostanza poteri regolamentari rivolti
all’esterno. Esistono, però, alcuni tratti comuni alle diverse autorità. Innanzitutto, la ragione di fondo del ricorso ad
autorità indipendenti starebbe nel fatto che esistono diritti fondamentali. in effetti, sono particolarmente sensibili la
tutela del risparmio, la garanzia della libera concorrenza e dunque della piena libertà di impresa e del mercato, la
tutela del pluralismo nei mezzi di comunicazione di massa.
Anche i poteri sanzionatori accomunano le diverse autorità indipendenti. Ma il tratto comune si può ritrovare anche
nello status di indipendenza, Cioè l’indipendenza dall’esecutivo, dal governo, dall’indirizzo politico, dalla vigilanza
governativa. L’indipendenza è garantita dalle procedure di nomina degli organi di vertice: in queste procedure il
governo non interviene, ho il suo intervento è posto sotto il controllo del Parlamento o di organismi tecnici. Gioca a
favore dell’indipendenza anche l’ampia durata del mandato dei titolari degli organi di vertice delle autorità
indipendenti. Ad esempio: sette anni non rinnovabili per il presidente e i componenti di AGCM, sei anni con la
possibilità di un solo rinnovo per il governatore della Banca d’Italia.
Inoltre, non sono previste direttive governative ne forme di vigilanza ministeriale che incidano sulle funzioni delle
autorità indipendenti.
Organi e uffici
Le figure soggettive di cui si è parlato si articolano, nel loro ambito, in uffici, che costituiscono le unità strutturali
elementari di ogni organizzazione, di tipo burocratico o imprenditoriale, pubblica o privata.
Gli uffici si distinguono in meri uffici e uffici-organi. I primi svolgono attività che hanno una rilevanza solo interna alle
figure soggettive. I secondi invece sono gli strumenti attraverso i quali agiscono le persone giuridiche. Infatti essi
imputano alla persona giuridica per la quale operano le intere fattispecie giuridiche, comprensive degli atti e degli
effetti. La conseguenza pratica di ciò è che gli stati soggettivi come l’errore, la colpa, il dolo si imputano non solo al
rappresentante, ma anche all’ente per il quale l’organo opera.
L’ordinamento giuridico può prevedere che il meccanismo dell’ufficio-organo sia utilizzato anche da figure soggettive
che sono prive di personalità giuridica, ma dotate di una soggettività, o legittimazione, propria.
Agli uffici-organi sono preposti titolari di diversa natura. Può trattarsi di singole persone fisiche, o di collegi; di titolari
professionali, od onorari. Se il preposto è una singola persona fisica, si è in presenza di un organo monocratico: è il
caso del presidente di un ente pubblico. Se il preposto è un collegio, si ha un organo collegiale: è il caso del consiglio di
amministrazione di un ente pubblico. Il titolare professionale presta un’opera retribuita e continuativa presso la figura
soggettiva di appartenenza, mentre il titolare onorario svolge le sue funzioni a titolo gratuito.
Il titolare dell’ufficio è legato alla figura soggettiva di appartenenza da due rapporti giuridici diversi: il rapporto di
servizio, che è un rapporto di tipo patrimoniale che riguarda essenzialmente la remunerazione per le prestazioni
fornite dal titolare dell’ufficio, e il rapporto di ufficio che concerne l’ordine delle imputazioni delle fattispecie
giuridiche, consentendo al titolare dell’organo di imputare atti e effetti in capo alla figura soggettiva di appartenenza.
Gli uffici-organi collegiali delle pubbliche amministrazioni sono gli organi consultivi, gli organi che formulano giudizi, le
commissioni giudicatrici dei concorsi di reclutamento del personale, gli organi chiamati ad esprimere valutazioni
tecniche complesse, gli organi che hanno la funzione di comporre interessi potenzialmente confliggenti.
Gli organi collegiali seguono procedimenti molto formalizzati per l’adozione delle loro decisioni. Le norme procedurali
riguardano la convocazione e la fissazione dell’ordine del giorno il numero legale necessario per la validità
dell’adunanza, le maggioranze richieste per la validità delle deliberazioni.
Rapporti organizzativi: gerarchia, direzione, controllo, coordinamento
Quanto ai rapporti organizzativi tra figure soggettive, gli enti pubblici non economici o le agenzie amministrative sono
sottoposti ai controlli esercitati da ministeri. Le autorità indipendenti sono usualmente sottratte a direttive e controlli
del governo e di singoli ministeri. Quanto ai rapporti organizzativi tra uffici, si possono distinguere alcuni tipi principali:
1) La gerarchia è un rapporto che corre tra un ufficio sovraordinato e un ufficio sotto ordinato e tra i rispettivi titolari.
È dunque una relazione organizzativa tra uffici e riguarda le persone fisiche solo in quanto titolari di quegli uffici. È un
potere d’ordine: l’ufficio sottordinato ha l’obbligo di conformarsi a quello sovraordinato. Se il titolare dell’ufficio
sottordinato ritiene palesemente illegittimo l’ordine impartito dal titolare dell’ufficio sovraordinato, Deve farne
rimostranza allo stesso superiore dichiarandone le ragioni.
2) Il rapporto organizzativo di direzione è caratterizzato da una sopraordinazione attenuata rispetto alla gerarchia.
L’ufficio sovraordinato e il suo titolare hanno un potere non di ordine, ma di direttiva nei confronti dell’ufficio
sottordinato e del suo titolare. La direttiva lascia sempre un margine di decisione all’ufficio sottordinato.
Quest’ultimo, usualmente, può discostarsi dalla direttiva, dandone adeguata motivazione. In altri casi, la direttiva
nasce da uno schema decisorio predisposto dalla struttura sottordinata, che lo invia alla struttura sovraordinata, la
quale lo recepisce o lo rielabora e lo rimanda la struttura sottordinata in forma di direttiva.
3) poteri di controllo sono attribuiti agli uffici sovraordinati nei confronti degli uffici subordinati, sia nella gerarchia
che nella direzione. L’organismo di controllo può essere esterno rispetto alla struttura controllata come nel caso della
corte dei conti nei confronti delle amministrazioni oppure può essere interno alla struttura controllata ed usualmente
è ad essa equiordinato, come nel caso degli uffici competenti a svolgere il controllo di gestione all’interno di un ente
pubblico ( COGE ).
I controlli amministrativi hanno subito modificazioni profonde negli ultimi anni, per quel che riguarda sia il giudizio che
l’oggetto. Il giudizio tradizionale è quello che viene formulato in base al parametro della conformità a legge; l’oggetto
tradizionale del controllo è l’atto adottato dalla struttura controllata. Tale disciplina distingue diversi tipi di controllo.
Il controllo di regolarità amministrativa e contabile è finalizzato a garantire la legittimità, regolarità e correttezza
dell’azione amministrativa ed è posto in essere dagli organi previsti dalla legge cioè il Dipartimento della ragioneria
generale dello Stato e i collegi di revisione e sindacali presso gli enti e organismi pubblici; il controllo di gestione tende
a verificare l’efficacia, efficienza e economicità dell’azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante
tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati; il controllo strategico valuta l’adeguatezza delle
scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi e altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, In
termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti.
4- Infine il coordinamento consiste nel realizzare forme di collegamento e armonizzazione delle attività svolte da
strutture diverse per il perseguimento di fini comuni. Il coordinamento può anche intervenire tra strutture
equiordinate.
CAP.4: IL PERSONALE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
Gli Impiegati: le trasformazioni del rapporto di lavoro
Il rapporto di lavoro degli impiegati delle pubbliche amministrazioni fino alla fine dell’ottocento era di natura
privatistica, regolato dal codice civile. L’atto costitutivo dell’apporto era qualificato come contratto, gli atti successivi,
come promozioni, trasferimenti o licenziamenti, erano considerati atti negoziali della pubblica amministrazione datore
di lavoro. Tutto è cambiato tra la fine del secolo e l’inizio del novecento. Vi è stata una progressiva pubblicizzazione
del rapporto di impiego presso le amministrazioni. La natura privatistica si è trasformata in pubblicistica: l’atto
costitutivo del rapporto inizia ad essere qualificato come provvedimento amministrativo unilaterale. Molte delle
situazioni giuridiche soggettive dell’impiegato sono state ricondotte alla categoria dell’interesse legittimo.
Dalla seconda metà degli anni 60 del XX secolo, però, si è aperta la via verso una graduale privatizzazione del rapporto
di impiego presso le pubbliche amministrazioni. Le organizzazioni sindacali si sono occupate con sempre maggior
impegno del lavoro dei pubblici dipendenti: il che ha portato allo sviluppo della contrattazione collettiva nei settori
pubblici. A questo si è poi aggiunto un percorso legislativo rilevante, Nel senso della privatizzazione e della
contrattualizzazione del rapporto di impiego pubblico. Negli anni 90 del novecento, la contrattazione collettiva è
divenuta la fonte principale di regolazione del rapporto di impiego presso le amministrazioni pubbliche; la gran parte
delle controversie è passata alla competenza giurisdizionale del giudice onorario, come giudice del lavoro, e non più
del giudice amministrativo.
La normativa attuale sugli impieghi
La natura giuridica del rapporto di impiego presso le pubbliche amministrazioni è chiaramente privatistica. Gli atti
principali nei quali il rapporto di impiego pubblico si articola hanno natura negoziale: dal contratto individuale iniziale,
alle promozioni, ai trasferimenti. Vi è soltanto la fase preliminare all’instaurazione del rapporto di impiego, quella del
concorso pubblico per il reclutamento, che conserva una natura pubblicistica. Ti mantengono natura pubblicistica
anche i rapporti di impiego di determinate categorie di personale, come i magistrati ordinari, amministrativi e
contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle forze di polizia di Stato, i professori
universitari. Per questi profili continua a dominare il diritto amministrativo. Queste eccezioni alla privatizzazione si
giustificano in ragione della peculiarità delle attività svolte dagli impiegati pubblici, In ragione del fatto che le risorse
finanziarie necessarie gravano sulla spesa pubblica.
La privatizzazione è però ormai una scelta definita. Il giudice ordinario può annullare o anche modificare gli atti
dell’amministrazione datore di lavoro, che sono equiparati ad atti privatistici, non aventi natura di provvedimenti
amministrativi. Il giudice ordinario si limita alla disapplicazione quando si tratta di provvedimenti amministrativi.
Avergli sono anche devolute le controversie relative ai comportamenti antisindacali dell’amministrazione.
Per quanto riguarda le innovazioni che riguardano la selezione degli aspiranti all’assunzione, innanzitutto può
ricordarsi la previsione di prove concorsuali per il reclutamento dei dipendenti finalizzate a privilegiare l’accertamento
della capacità dei candidati di applicare nozioni teoriche a casi concreti, oppure la previsione dell’accertamento della
conoscenza della lingua inglese e di altre lingue quale requisito di partecipazione al concorso. Altre innovazioni
riguardano il potenziamento dei sistemi di valutazione del personale e di misurazione dei risultati raggiunti l’di nuove
norme in materia di procedimenti disciplinari, volte a rendere concreto e certo nei tempi l’esercizio dell’azione
disciplinare.
I dirigenti. L’evoluzione delle formule normative
Ai tempi di Cavour, il rapporto organizzativo fra Ministro e dirigente era ristretta gerarchia. Fino all’età crispina i
dirigenti sono stati oscurati dai ministri. La seconda formula normativa è stata introdotta negli anni 70: alcune
competenze sono state per legge affidate ai dirigenti, per l’adozione di determinati provvedimenti ed entro certe
soglie di valore. Gli uffici dirigenziali divengono organi aventi rilevanza esterna: non sono più meri uffici serventi del
ministro. La seconda formula avuto una pozione difficile, è stata quasi un fallimento: i ministri non hanno adottato
direttive e gli enti pubblici si sono dati regole diverse sui dirigenti.
La terza formula è stata introdotta nel 1993: essa prosegue fino ad oggi e trova conferma nella legge 124/2015.
Tale formula si basa sulla distinzione fra indirizzo politico e controllo sulla sua attuazione, da un lato, e gestione
amministrativa, dall’altro. L’Indirizzo politico e la verifica della sua attuazione sono affidati all’organo di governo, la
gestione amministrativa al dirigente. Dunque, dalla gerarchia piena della prima formula, si passa alla gerarchia
attenuata della seconda formula, per giungere al rapporto di direzione della terza formula. E gli uffici dirigenziali
divengono organi a legittimazione generale, perché di regola adottano tutti i provvedimenti rilevanti all’esterno. Si
conferma la responsabilità dirigenziale per i risultati.
Rilevante la differenza delle qualifiche dirigenziali, che, dagli anni novanta, tre sono diventate: la qualifica iniziale di
dirigente di seconda fascia e la qualifica superiore di dirigente di prima fascia. L’accesso alla qualifica di dirigente di
seconda fascia nelle amministrazioni statali avviene per concorso per esami indetto dalle singole amministrazioni,
Ovvero per concorso selettivo di formazione bandito dalla scuola superiore della pubblica amministrazione. Quanto
invece all’accesso alla qualifica di dirigente di prima fascia, esso avviene, per una quota dei posti disponibili, tramite
concorso pubblico per titoli ed esami indetto dalle singole amministrazioni.
Cruciale è la formazione dei dirigenti pubblici. La scuola superiore della pubblica amministrazione prevede corsi di
preparazione al concorso e corsi per la formazione dei dirigenti amministrativi.
Si distinguono infine tre tipologie di funzioni dirigenziali, a seconda dell’importanza degli uffici cui gli incaricati
vengono proposti. In primo luogo, vanno menzionati gli incarichi di segretario generale e di direzione di strutture
articolate in più uffici dirigenziali generali come ad esempio il capo Dipartimento di un ministero. Sono gli incarichi
cosiddetti apicali, Conferiti nelle amministrazioni statali con decreto del presidente della Repubblica, previa
deliberazione del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro competente. In secondo luogo si hanno gli incarichi di
direzione di uffici di livello dirigenziale generale, come le direzioni generali di un ministero. Sono conferiti con decreto
del presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro competente. Infine vanno menzionati gli incarichi di
direzione di altri uffici dirigenziali, conferiti dal dirigente dell’ufficio di livello dirigenziale generale.
CAP.5: I BENI PUBBLICI
Beni pubblici e proprietà
Le amministrazioni pubbliche dispongono di beni che appartengono ad esse utilizzano tali beni come strumenti
materiali per il proprio funzionamento o a proprio uso esclusivo, oppure li destinano a fruizione di un’intera
collettività o alla gestione di un servizio pubblico. Tali beni sono i beni pubblici. Le amministrazioni inoltre possono
utilizzare per il proprio funzionamento beni privati, ad esempio prendendo in locazione immobili dei loro uffici.
La materia dei beni pubblici è stata ampiamente influenzata dal diritto privato: infatti la materia dei beni pubblici ha
trovato la propria disciplina nel codice civile. Prima il codice del 1865, modellato sul codice di Napoleone, poi il codice
del 1942. Quest’ultimo, partendo da una definizione fisica di beni, intesi come cose che possono formare oggetto di
diritti (Art.810), regola i beni appartenenti allo Stato, agli enti pubblici e agli enti ecclesiastici, li elenca, li distingue
impegni demaniali e patrimoniali, disponibili e indisponibili, ne detta la relativa disciplina.
La disciplina del codice civile
Il codice civile non definisce i beni pubblici: si limita a elencarmi alcune categorie e a dettarne il relativo regime
giuridico. Le due categorie maggiori sono quelle dei beni demaniali e dei beni patrimoniali. Questi ultimi si distinguono
in patrimoniali disponibili e indisponibili.
I beni demaniali sono esclusivamente in titolarità di enti territoriali. Appartengono comunque allo Stato e fanno parte
del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite
pubbliche dalla legge; le opere destinate alla difesa nazionale. Si parla di demanio pubblico necessario, in quanto essi
non possono non appartenere allo Stato. Vi sono poi beni che si qualificano come demaniali solo se appartengono allo
Stato o ad altri enti territoriali, lasciando intendere che la loro appartenenza potrebbe anche essere privata: è il
cosiddetto demanio eventuale. Vi rientrano le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti;
gli immobili riconosciuti dalla legge di interesse storico, archeologico e artistico; musei, pinacoteche, archivi,
biblioteche, cimiteri e mercati comunali.
Per quanto riguarda la disciplina giuridica, i beni demaniali sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a
favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge. I terzi possono acquisire diritti parziali su tali beni
usualmente mediante concessioni. Inoltre, l’autorità amministrativa e titolare di una potestà pubblicistica di
esecuzione coattiva nei confronti delle turbative o delle pretese dei terzi.
I beni patrimoniali sono categoria residuale, la quale comprende i beni appartenenti allo Stato o altri enti pubblici che
non sono riconducibili a beni demaniali. I beni patrimoniali indisponibili sono elencati nell’art.826. Vi rientrano le
foreste; le miniere; le cave e le torbiere se la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo; le cose di interesse
storico, archeologico, paleontologico, e artistico; le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra;
gli edifici destinati a sede di pubblici uffici e gli altri beni destinati a un pubblico servizio. Essi non possono essere
sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalla legge, la quale può prevedere procedimenti che
rimuovono il vincolo di destinazione. Questi beni sono soggetti alle regole civilistiche generali: seguono la disciplina
giuridica della proprietà privata. Il codice civile disciplina il passaggio dei beni dal demanio al patrimonio, stabilendo
che tale passaggio deve essere dichiarato dall’autorità amministrativa.
Regimi speciali rispetto al codice civile. I Beni Culturali e ambientali
Accanto alla disciplina codicistica sussistono discipline giuridiche speciali relative a taluni beni pubblici. La costituzione
ha affidato alla Repubblica la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione ( Art.9). negli anni
60 del 900, con l’istituzione di una commissione di indagine per la tutela e la valorizzazione delle cose di interesse
storico, si ribadiva il nesso tra cultura e paesaggio. La commissione definita come bene culturale il bene che costituisce
testimonianza materiale avente valore di civiltà. Secondo il codice, il patrimonio culturale è costituito dai beni
paesaggistici e dai beni culturali. Sono beni culturali le cose mobili e immobili che presentano interesse artistico,
storico, archeologico, archivistico e bibliografico. Essi possono appartenere a soggetti pubblici o a privati: nella prima
ipotesi si tratta di beni pubblici; Quando il titolare è un privato, il bene è da considerarsi culturale soltanto se è
intervenuta un’apposita dichiarazione ministeriale che ha accertato la sussistenza dell’interesse culturale.
Il regime applicabile ai beni culturali di appartenenza pubblica o privata è analogo: il valore culturale del bene porta
con sé una determinata disciplina, improntata alla tutela e alla valorizzazione del bene. La disciplina dei beni culturali
è premiata da rilevanti poteri finalizzati a garantire la protezione e la conservazione di questi beni, la loro vigilanza,
l’autorizzazione di interventi sui beni, del loro spostamento, dell’esecuzione di opere e lavori su di essi. Quanto alla
circolazione, I beni culturali ad appartenenza pubblica sono demaniali se rientrano alle tipologie indicate all’art.822.
dunque essi non possono essere alienati se non nei limiti e nei modi previsti dalle leggi speciali che li riguardano, cioè
dallo stesso codice dei beni culturali. L’autorizzazione ad alienare comporta la sdemanializzazione del bene, ma esso
resta comunque soggetto ai poteri amministrativi di vigilanza e autorizzazione. Per quanto riguarda la circolazione in
ambito internazionale è vietata l’uscita dal territorio della Repubblica dei beni culturali mobili, ad appartenenza
pubblica e privata, salvo I casi in cui l’uscita definitiva sia soggetta ad autorizzazione.
Sono invece beni paesaggistici, se dichiarati di notevole interesse pubblico, le cose immobili aventi caratteri di bellezza
naturale, singolarità geologica o memoria storica; le ville, i giardini e i parchi di non comune bellezza; i centri storici, le
bellezze panoramiche e i punti di belvedere dai quali essi siano visibili. Anch’essi possono essere pubblici o privati. I
piani paesaggistici sono volti alla ricognizione di tali beni e alla loro conservazione, oltre che alla loro riqualificazione
nel caso in cui appartenessero ad aree compromesse o degradate.
Le reti dei servizi pubblici
Le reti, o parti di reti, ad appartenenza pubblica sono beni pubblici. La legge che ha istituito le ferrovie dello stato ha
stabilito che I beni mobili e immobili trasferiti all’ente o comunque acquisiti nell’esercizio della propria attività
costituiscono patrimonio giuridicamente e amministrativamente distinto dai restanti beni delle amministrazioni
pubbliche. Per tali beni, dunque, è stato previsto un passaggio al patrimonio disponibile, salvi i limiti derivanti dalle
esigenze di difesa nazionale. La giurisprudenza successiva ha però ribadito, tornando alla logica del codice civile, che i
beni destinati all’esercizio dell’attività ferroviaria vanno comunque considerati demaniali.
Le alienazioni di beni pubblici
Per la cessione di beni pubblici sono previste procedure e modalità diverse, essenzialmente di due tipi. In primo luogo,
il trasferimento a titolo oneroso di beni pubblici a società in partecipazione pubblica chiamate a pagare un prezzo
iniziale per i beni avesse trasferiti, a realizzare operazioni di cartolarizzazione per finanziare il pagamento del prezzo, a
gestire i beni trasferiti, a valorizzarli e rivenderli a privati. In secondo luogo, si è previsto il conferimento dei beni
pubblici a fondi comuni di investimento immobiliare con l’utilizzo di società di gestione per la valorizzazione e
l’alienazione dei beni. Aldilà delle diverse procedure e modalità di trasferimento di cessione, quel che più interessa è
lo status dei beni soggetti ad alienazione. Tali beni, quando ne ha disposto il trasferimento, entrano far parte del
patrimonio indisponibile dello Stato, o delle regioni, o degli enti locali.
CAP.6: TIPOLOGIA DELLE ATTIVITA’ E SITUAZIONI SOGGETTIVE
Tipologia delle attività amministrative
L’attività pubblicistica e autoritativa è quella tradizionalmente tipica delle pubbliche amministrazioni. Questa attività si
esprime attraverso l’adozione di quel particolare strumento di nazioni che sono i provvedimenti amministrativi.
Giuridici di questi provvedimenti si producono indipendentemente dal consenso degli amministrati. L’attività
pubblicistica e autoritativa eretta ampiamente dal diritto amministrativo e in essa la pubblica amministrazione di
regola è titolare di potere discrezionale. Tale attività è soggetta anche a principi giuridici generali che trovano le loro
radici nel diritto privato comune: la buona fede, correttezza, la libera concorrenza, la trasparenza.
L’attività privatistica e consensuale delle pubbliche amministrazioni si pone in essere tramite l’adozione di strumenti
pattizi: attraverso la stipulazione di contratti, convenzioni, accordi e altri moduli consensuali. È un’attività regolata
ampiamente dal diritto privato, sia pure con deroghe rispetto al codice civile e con l’impiego di alcune misure di diritto
amministrativo. Utilizzando strumenti pubblicistici e autoritativi, o privatistici e consensuali, le pubbliche
amministrazioni perseguono fini diversi, ponendo in essere differenti tipi di azione amministrativa: l’attività di
funzione pubblica, l’attività di gestione e controllo di servizi pubblici, l’attività di impresa, l’attività di regolazione dei
mercati.
Funzioni pubbliche e servizi pubblici
Funzione indica un’attività che è giuridicamente rilevante nel suo complesso. Funzione amministrativa invece indica
l’insieme delle attività svolte dalle pubbliche amministrazioni avente carattere di funzioni nel senso prima esposto.
Funzione pubblica invece indica le attività della pubblica amministrazione finalizzate a dettare prescrizioni. Servizio
pubblico invece indica quell’attività, svolte o controllate da pubbliche amministrazioni, finalizzate a fornire prestazioni
ai cittadini. Chi esercita una pubblica funzione è un pubblico ufficiale, coperto da una particolare tutela penale e
sottoposto ad una particolare responsabilità penalistica.
Il servizio pubblico può essere di tipo amministrativo e allora è erogato da una pubblica amministrazione oppure può
essere di tipo economico e allora è gestito da un’impresa privata o pubblica, in partecipazione totale o parziale dello
Stato o di enti locali, in genere a seguito di affidamento da parte di poteri pubblici mediante delegazione, concessione
o convenzione e comunque sotto il controllo di poteri pubblici. Il servizio pubblico amministrativo è largamente
soggetto a norme pubblicistiche; il servizio pubblico economico a norme privatistiche. In ogni caso, tutti i tipi di servizi
pubblici sono sottoposti ad alcune regole e principi pubblicistici: principi di continuità, eguaglianza, adeguamento alle
esigenze degli utenti. È emerso, nel sistema giuridico europeo, il concetto di servizio universale, che trova
applicazione ad alcune attività economiche riconducibili alla sfera dei servizi pubblici imprenditoriali, dal quale
discendono una serie di obblighi e vincoli in capo all’operatore che svolge l’attività.
La definizione giuridica di servizio pubblico ha dato luogo a molti dibattiti. Si sono affiancate una nozione soggettiva e
una nozione oggettiva il servizio pubblico. In base alla prima, diviene servizio pubblico un’attività di prestazione nel
momento in cui essa è assunta in mano pubblica. Quello che conta è l’assunzione da parte di un soggetto pubblico, la
titolarità soggettiva, indipendentemente dalle caratteristiche oggettive dell’attività assunta, purché sia attività di
prestazione. ln base alla nozione oggettiva, invece, è servizio pubblico un’attività di prestazione che presenta
determinate caratteristiche oggettive, a prescindere dalla titolarità soggettiva: può essere gestita da soggetti privati o
pubblici, purché sia sottoposta ad una regolazione pubblica penetrante, che comporta per il gestore una sottrazione
della libera disponibilità dei fini operativi e l’imposizione di vincoli che vanno oltre l’ambito degli interessi individuati
dal gestore medesimo. La stessa concezione oggettiva ha trovato sostegno nelle norme che, In diversi paesi all’inizio
del novecento, hanno previsto forme di stabilizzazione o municipalizzazione di attività prima gestita da imprese
private. Infine, la concezione oggettiva ha trovato alimento in Italia sulla base dell’articolo 43 della costituzione,
secondo cui possono essere assunte in mano pubblica, per disposizione di legge, attività che si riferiscono a servizi
pubblici essenziali.
Attività di impresa pubblica
Le pubbliche amministrazioni possono svolgere direttamente attività di impresa. Si parla, in tali casi, di imprese
pubbliche. Diversi sono gli strumenti organizzativi utilizzati dalle amministrazioni per gestire imprese. Uno dei primi
strumenti impiegati è stato quello dell’amministrazione autonoma posta alle dipendenze di un ministro, ma dotata di
grandi poteri decisionali propri. Successivamente, le amministrazioni hanno utilizzato lo strumento dell’ente pubblico
economico. Oggi lo strumento più in uso è quello della società in partecipazione pubblica, totale o parziale.
Può trattarsi di attività di mera impresa, oppure di attività imprenditoriale che dà luogo ad un servizio pubblico di tipo
economico. Si ha, di regola, attività di mera impresa quando prevale l’aspetto della produzione e della vendita, come
avviene per le attività industriali. Si ha, usualmente, servizio pubblico di tipo economico quando prevale l’aspetto delle
prestazioni rese agli utenti: si pensi alla distribuzione dell’energia elettrica. Il diritto privato domina il regime
dell’impresa pubblica, soprattutto nella forma attuale della società in partecipazione di pubblici poteri. Restano
disciplinati da norme derogatorie o pubblicistiche soltanto alcuni aspetti: ad esempio quelli relativi al controllo sulle
società. In ogni caso, l’impresa pubblica è sottoposta alle regole di concorrenza che vietano le intese restrittive,
l’abuso di posizione dominante e le concentrazioni che limitano il gioco concorrenziale.
A partire dagli anni 80 del novecento si è avuta in diversi paesi una forte tendenza alla privatizzazione di imprese
pubbliche. In Europa la spinta è venuta dall’ordinamento britannico. In Italia, le privatizzazioni di imprese pubbliche
sono state oggetto di una disciplina apposita degli anni 90.
La privatizzazione formale indica la trasformazione della forma organizzativa che funge da strumento per la gestione
dell’attività d’impresa pubblica, cioè la trasformazione da ente pubblico economico a società in partecipazione
pubblica: il capitale resta integralmente in mano pubblica. La privatizzazione sostanziale, invece, indica il passaggio del
capotale da mani pubbliche a mani private, in tutto o in parte.
Regolazione pubblica dei mercati
L’attività di regolazione dei mercati, secondo le teorie economiche, include anche la gestione di imprese pubbliche.
Recentemente, però, la tendenza è stata quella di distinguere tra gestione di imprese pubbliche e regolazione
pubblica dei mercati. Il concetto di regolazione è molto ampio. L’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico definisce la regolazione come l’insieme degli strumenti con quali i pubblici poteri disciplinano imprese e
soggetti privati. Tutto quel che compone il diritto pubblico dell’economia di può rientrare.
Nell’ambito della regolazione pubblica dei mercati da un lato si parla di regolazione settoriale per indicare misure e
interventi diretti a disciplinare in modi differenti i diversi settori economici tramite procedimenti che prevedono
usualmente la partecipazione dei soggetti sottoposti alla regolazione. Dall’altro lato si hanno misure e interventi
antitrust, che applicano a tutti i settori economici la medesima disciplina comune a tutela della concorrenza.
Numerosissimi sono i soggetti pubblici che adottano e applicano misure di regolazione pubblica dei mercati. Alcuni
organismi internazionali svolgono attività regolatorie molto rilevanti, come per esempio il fondo monetario
internazionale della Banca mondiale. Vi sono poi entità che costituiscono insiemi regionali di Stati, come l’Unione
Europea e infine reti transnazionali formate da autorità pubbliche nazionali di regolazione, come avviene per i settori
dell’energia e delle telecomunicazioni.
La regolazione pubblica dei mercati è attività pubblicistica, ma vi sono parti privatistiche o consensuali. Quando
l’attività di regolazione dei mercati si esprime con misure autoritative, vi sono alcune differenze con l’attività
pubblicistica delle amministrazioni pubbliche: l’adozione di misure regolamentari o di provvedimenti amministrativi
generali va giustificata; la discrezionalità amministrativa è attenuata; via un forte impatto del principio e delle regole
di libera concorrenza che incidono sull’attività di impresa, private e pubbliche, ma condizionano anche la regolazione
dei mercati.
Situazioni giuridiche soggettive che spettano alle pubbliche amministrazioni
Fino agli anni 30 del XX secolo il potere discrezionale della pubblica amministrazione era stato definito dalla dottrina e
dalla giurisprudenza, come potere di adottare la scelta più opportuna, più idonea, nel perseguimento del pubblico
interesse con incidenza sulle situazioni giuridiche soggettive dei privati. Dagli anni 30 del novecento le cose sono
cambiate e si è affermata una definizione del potere discrezionale fondata su una concezione più realistica dei pubblici
poteri e dei loro rapporti con i cittadini e con i gruppi sociali. Le pubbliche amministrazioni non perseguono, di volta in
volta, un solo interesse pubblico. Hanno dinanzi a sé una pluralità di interessi pubblici, collettivi, diffusi, privati e, su
questa base, sono chiamate a prendere decisioni. Il controllo del giudice amministrativo sul provvedimento
amministrativo riguarda la legittimità, non il merito, della scelta discrezionale. Il giudice non può sostituirsi alle
valutazioni dell’amministrazione.
Nell’attività autoritativa la pubblica amministrazione può anche essere titolare di una diversa posizione giuridica, che
si concreta nell’esercizio di discrezionalità tecnica. Si è qui al di fuori del vero e proprio potere discrezionale della
pubblica amministrazione. Non vi è ponderazione di interessi diversi, pubblici, privati, collettivi, diffusi. La
discrezionalità tecnica comporta l’applicazione di regole tecniche ad una determinata fattispecie, Anche se talora non
meramente meccanica. La giurisprudenza ha elaborato una particolare categoria di discrezionalità tecnica,
introducendo il concetto di valutazione tecnica complessa. È il caso di materie di particolare complessità, in cui si
applicano regole di scienze non esatte, in attuazione di norme contenenti clausole generali o concetti indeterminati.
L’autonomia negoziale della pubblica amministrazione
Quando l’amministrazione contratta, o stipula convenzioni, sta su un piano di parità con il suo interlocutore, con il
privato, con l’amministrato. Non può, di regola, costituire, modificare, estinguere unilateralmente situazioni
soggettive dell’interlocutore. Tutto si basa sul consenso.
La vita del rapporto consensuale, in particolare la sua esecuzione, rientra nella logica del diritto privato. Si applica il
codice civile in modo completo per i contratti le convenzioni, in modo parziale per gli accordi integrativi o sostitutivi di
provvedimento, per i quali il legislatore stabilisce che valgono i soli principi del codice civile in materia di obbligazioni
contratti, cioè correttezza, buona fede e diligenza.
La competenza giurisdizionale sull’esercizio dell’autonomia negoziale della pubblica amministrazione è di regola del
giudice ordinario. Vi sono però diversi casi in cui vale la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: È così ad
esempio per le concessioni amministrative di beni e servizi pubblici.
L’interesse legittimo e il diritto soggettivo
Con la legge del 1865 la giurisprudenza sostenne, in contrasto con la lettera della legge, che quando l’amministrazione
emanava provvedimenti amministrativi non vi era spazio per i diritti soggettivi e per la giurisdizione del giudice
ordinario. Si venne a stabilire una sorta di incompatibilità tra potere amministrativo e diritto soggettivo. Quando la
pubblica amministrazione agisce come potere, come autorità, trova dinanzi a sé situazioni giuridiche private che non
sono diritti. I diritti soggettivi sussistono solo se la pubblica amministrazione agisce in una posizione di parità rispetto
agli amministrati.
Con la legge crispina del 1889 si viene a prevedere che di fronte al potere amministrativo, che si manifesta nei
provvedimenti della pubblica amministrazione, stanno situazioni soggettive del privato qualificate come interessi,
dotati di una tutela sostanzialmente simile a quella giurisdizionale. Si tratta di un cambiamento fondamentale.
Dall’antica soggezione dell’amministrato nei confronti del potere amministrativo si è passati ad una situazione
giuridica attiva di interesse, dotata di maggior tutela. È stato Oreste Ranelletti ad elaborare per primo, tra la fine
dell’Ottocento e inizio novecento, la teoria dell’interesse legittimo, chi ha influito sulla dottrina successiva e sulla
giurisprudenza. Di fronte ai poteri di imperium della pubblica amministrazione, l’amministrato e titolare di un
interesse privato che, per la sua realizzazione, è strettamente condizionato al perseguimento dell’interesse pubblico.
Se quindi un privato chiede una concessione amministrativa di beni o servizi pubblici non ha un diritto soggettivo ad
ottenerla, ma ha l’interesse a che l’azione amministrativa si svolga correttamente, nel rispetto della legge. in altri
termini, l’amministrato ha un interesse privato a che l’interesse pubblico venga perseguito secondo legalità.
La distinzione tra interesse legittimo e diritto soggettivo vale sul piano pratico come criterio di riparto tra giurisdizione
del giudice amministrativo e giurisdizione del giudice ordinario.
Vi è stata in seguito un’importante evoluzione, che si è consolidata nel secondo novecento e ha portato a qualificare
l’interesse legittimo non più solo come situazione soggettiva meramente processuale, ma come situazione sostanziale,
che riceve tutela ancora prima dell’adozione del provvedimento. La dottrina ha spiegato che preesiste alla decisione
amministrativa un rapporto fra amministrazione e amministrato. In definitiva, l’interesse legittimo ha consolidato i
suoi strumenti di tutela nei confronti della pubblica amministrazione. Resta una situazione giuridica soggettiva che ha
di regola di fronte a sé una potestà pubblicistica dell’amministrazione pubblica. Il diritto soggettivo, invece, ha di
fronte a sé una situazione passiva dell’amministrazione, di dovere o di obbligo, come accade all’attività privatistica
della pubblica amministrazione.
Il maggiore effetto concreto della distinzione è l’individuazione del giudice competente: il giudice amministrativo per
le controversie sui interessi legittimi e il giudice ordinario per le dispute sui diritti soggettivi. L’introduzione e l’utilizzo
sempre più ampio della giurisdizione amministrativa esclusiva, che consente al giudice amministrativo di conoscere
non solo gli interessi legittimi ma anche i diritti soggettivi, ha ridotto l’importanza pratica della distinzione tra interessi
e diritti. Recentemente, però, la corte costituzionale, al fine di circoscrivere l’ambito della giurisdizione amministrativa
esclusiva, ha stabilito che tale giurisdizione, nelle materie per le quali è prevista dalla legge, sussiste solamente se il
privato trova dinanzi a sé un’amministrazione che agisce in veste di autorità, se esercita un potere autoritativo.
dunque, affinché sussista la giurisdizione amministrativa esclusiva non basta più solo il criterio della materia attribuita
per legge a tale giurisdizione: occorre che l’amministrazione pubblica agisca in veste di autorità.
L’altro effetto concreto rilevante della distinzione tra interessi legittimi diritti soggettivi e quello del risarcimento del
danno ingiusto causato dalla pubblica amministrazione, tradizionalmente ammesso solo per la lesione di diritti
soggettivi e non di interessi legittimi. Il pieno riconoscimento della risarcibilità degli interessi legittimi si è avuto
quando la tutela risarcitoria è stata messa anche assenza di un diritto soggettivo.
Rimane un’unica differenza concreta tra risarcimento per violazione dei diritti soggettivi e risarcimento per lesioni
degli interessi legittimi: nelle ipotesi di risarcimento per lesione di interesse legittimo derivante da provvedimento
amministrativo illecito, l’azione di condanna dinanzi al giudice amministrativo può riproporsi nei termini di decadenza
e non di prescrizione, come per la lesione dei diritti soggettivi.
CAP.7: IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
La tradizione del procedimento amministrativo affonda le sue radici nel common law inglese. Il diritto amministrativo
francese era partito dalla sponda opposta: l’autorità è al centro dell’attività amministrativa. L’amministrazione adotta
la sua decisione senza necessità di sentire preventivamente gli amministrati. C’è soltanto il provvedimento, l’atto con
cui l’amministrazione adotta sua scelta.
Il secondo novecento conosce una larga diffusione del procedimento amministrativo, non solo in Europa. Viene
conferito agli amministrati il diritto di essere ascoltati cioè la possibilità di formulare le proprie osservazioni. Il
percorso della garanzia data alla voce degli amministrati prima che la decisione fosse presa era ormai compiuto.
Mancava soltanto un aspetto importante: la possibilità per l’amministrato di vedere i documenti amministrativi
rilevanti per la decisione. In altri termini, la garanzia della visione.
In Italia, la legge generale sul procedimento amministrativo, già più volte citata, è stata varata nel 1990. Ha recepito
dagli altri ordinamenti giuridici la finalità garantistica, basata sul riconoscimento all’amministrato del diritto di vedere i
documenti e di esprimersi prima che la decisione sia presa.
Definizione e principi generali del procedimento
Il procedimento amministrativo può definirsi come una sequenza di atti, Adottati da amministrazioni pubbliche e da
privati, che sfociano in un provvedimento amministrativo o una misura consensuale ascrivibile alla categoria degli
accordi amministrativi. Il procedimento si articola in diverse fasi. La fase dell’iniziativa da avvio al procedimento, che
può essere iniziato d’ufficio o su istanza del privato. La fase dell’istruttoria è destinata all’accertamento dei fatti e
all’acquisizione degli interessi rilevanti ai fini del decidere: vi intervengono atti amministrativi, come pareri, valutazioni
tecniche, certificazioni, e atti di privati, come memorie, osservazioni, richieste di accesso ai documenti amministrativi,
autocertificazioni. La fase decisionale è quella in cui si adotta il provvedimento amministrativo, o si conclude l’accordo
sostitutivo di provvedimento. La fase integrativa dell’efficacia si ha quando la misura decisoria è sottoposta a controlli
al cui esito positivo è subordinata all’operatività della misura medesima.
Il procedimento deve rispettare certi principi: i principi di legalità, economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e
trasparenza, oltre che i principi dell’ordinamento comunitario quali la proporzionalità, il legittimo affidamento, la
concorrenza. Oltre a questi principi, trovano applicazione all’attività amministrativa anche i principi elaborati grazie
all’opera della giurisprudenza, cioè I principi della ragionevolezza, buona fede e correttezza.
I principi non valgono solo per le pubbliche amministrazioni ma anche per privati incaricati di svolgere funzioni
pubbliche o servizi pubblici. Tra i principi generali dell’attività amministrativa è annoverato anche quello secondo cui
la pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte
dallo svolgimento dell’istruttoria.
Il termine di conclusione del procedimento e il silenzio
Le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di adottare un provvedimento espresso a conclusione del
procedimento, se quest’ultimo consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio.
Dunque, nei casi in cui l’avvio del procedimento è obbligatorio, sussiste un obbligo di concluderlo con provvedimento
espresso. Per quanto riguarda l’obbligo di comunicare l‘avvio del procedimento, Il suo inadempimento può dar luogo
a responsabilità sia civile che penale del funzionario. Per quanto riguarda la responsabilità civile, è prevista un’azione
di risarcimento previa diffida notificata all’impiegato dell’amministrazione, per quanto riguarda la responsabilità
penale, valgono le norme concernenti il rifiuto e omissione di atti d’ufficio.
Per quel che riguarda l’obbligo di concludere il procedimento, si prevedono diversi meccanismi della fissazione del
termine, che è finalizzata sia alle esigenze di efficacia dell’azione amministrativa che alla tutela delle garanzie degli
amministrati. Il termine decorre dall’inizio del procedimento di ufficio o dal ricevimento dell’istanza di parte.
I termini sono fissati, per le amministrazioni statali, con decreti di natura regolamentare del presidente del Consiglio
dei Ministri, e su proposta dei ministri competenti. In ogni caso il termine non può essere superiore a 90 giorni.
Termini che vanno aldilà dei 90 giorni, ma che comunque non possono essere superiore a 180 giorni, possono essere
stabiliti solo in presenza di determinati presupposti e con una procedura rafforzata. Per quanto riguarda i presupposti,
la legge prevede che termini superiori a 90 giorni possono essere previsti solo se indispensabili, invece per quanto
riguarda la procedura, Il decreto del presidente del consiglio richiedono anche la proposta dei ministri della pubblica
amministrazione e per la semplificazione normativa e la previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.
In assenza di fissazione del termine con i decreti menzionati, o con legge speciale, vale un termine residuale di 30
giorni. I termini possono essere sospesi per una sola volta, e per non più di 30 giorni, per l’acquisizione di informazioni
o certificazioni relative a vicende non attestate in documenti già in possesso della pubblica amministrazione
procedente. Le autorità indipendenti di vigilanza e di garanzia sono sottratte alle regole sui termini: esse disciplinano i
termini in conformità ai propri ordinamenti, fatto salvo quanto previsto da specifiche disposizioni normative.
Se l’amministrazione non adotta il provvedimento entro il termine di conclusione del procedimento amministrativo,
deve riattivare la procedura. In alcuni casi però vale il cosiddetto silenzio assenso: l’inerzia dell’amministratore che
perdura dopo la scadenza del termine di conclusione del procedimento equivale a provvedimento di accoglimento
della domanda. Un’eccezione sia se la legge qualifica espressamente l’inerzia della pubblica amministrazione come
rigetto dell’istanza, come per esempio quello relativo all’autorizzazione richiesta del dipendente pubblico per
l’espletamento di incarichi conferiti da soggetti diversi dalle pubbliche amministrazioni.
Per i casi di silenzio inadempimento è previsto il ricorso al giudice amministrativo. Ora, al rimedio giurisdizionale, si
aggiunge la facoltà del privato di chiedere, allo scadere del termine di conclusione del procedimento, l’intervento di
un altro funzionario previamente designato dall’amministrazione al fine di concludere il procedimento medesimo. La
mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce un elemento di valutazione della responsabilità del
dirigente amministrativo. Il termine di conclusione è comunque qualificato come acceleratorio e non perentorio: non
determina di per sé l’illegittimità del provvedimento adottato tardivamente.
Obbligo di motivazione del provvedimento
La legge generale sul procedimento prevede alcuni limiti all’obbligo di motivazione: questa non è richiesta per gli atti
normativi e per quelli a contenuto generale. I provvedimenti amministrativi puntuali invece vanno sempre motivati. Di
recente è stata introdotta la possibilità per l’amministrazione, nei casi di manifesta irricevibilità, Inammissibilità,
improcedibilità o infondatezza della domanda, di concludere il procedimento con un provvedimento espresso redatto
in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto
ritenuto risolutivo.
Gli altri istituti del procedimento amministrativo: metodo d’analisi
Per quanto riguarda l’analisi degli altri istituti giuridici riguardanti il procedimento amministrativo, bisogna trattare
due principali aspetti del procedimento: da un lato, le garanzie di partecipazione degli interessati al procedimento, che
si concretano essenzialmente nella facoltà della mia strato di far valere le proprie ragioni e di vedere i documenti
amministrativi prima che la decisione sia presa; dall’altro, I profili di semplificazione dell’azione amministrativa.
Questo metodo è da preferire perché nei principali ordinamenti giuridici oggi la partecipazione e la semplificazione
sono i due momenti essenziali della disciplina del procedimento: esse tagliano trasversalmente le fasi del
procedimento. Le garanzie di partecipazioni emergono soprattutto nell’istruttoria, Dove l’amministrato può prendere
visione dei documenti amministrativi e far valere sue ragioni, presentando osservazioni prima che la decisione sia
presa. Gli strumenti di semplificazione procedimentale in parte caratterizzano la fase istruttoria, si pensi per esempio
alle semplificazioni in materia di pareri e valutazioni tecniche; ma riguardano anche la fase delle decisioni: È così per la
conferenza di servizi decisorio, o per il silenzio assenso.
Il responsabile del procedimento
Le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro
competenza l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale. Di qui si
giunge all’identificazione del funzionario responsabile tramite un atto del dirigente dell’unità organizzativa
responsabile che può assegnare assai medesimo o ad un altro dipendente dell’unità la responsabilità dell’istruttoria, di
ogni altro adempimento ed, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale. Finché non vi sia l’identificazione
del funzionario responsabile, la responsabilità è in capo al preposto all’unità organizzativa.
Il responsabile adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. Accerta fatti, può esperire
ispezioni e ordinare esibizioni documentali. In particolare, l’accertamento dei fatti può essere semplice o complesso.
Può riguardare semplicemente dati quali l’età o il luogo di nascita di un privato, che si assumono o con richiesta
dell’apposita documentazione al privato o con acquisizioni di ufficio se i documenti sono in possesso di altri uffici
amministrativi. Per quanto riguarda le ispezioni, vi è sempre la necessità di un fondamento normativo espresso, che
preveda e giustifichi l’ispezione. L’ispezione non si conclude con un provvedimento amministrativo, ma con un
rapporto con un verbale ispettivo che dà conto dello svolgimento e degli esiti dell’operazione. Può ritenersi dunque,
che non si tratti di un apposito procedimento che si innesta nel procedimento principale, ma di una serie di atti reali
nell’ambito della fase istruttoria.
La comunicazione di avvio del procedimento
La legge specifica che la comunicazione deve essere personale al singolo destinatario: qualora ciò non sia possibile o
sia particolarmente gravoso, si può ricorrere a forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite
dall’amministrazione. Nella comunicazione devono essere presenti l’oggetto del procedimento, l’ufficio e la persona
responsabile del medesimo, il termine di conclusione, l’ufficio presso il quale si può prendere visione dei documenti.
La facoltà di presentare memorie e l’obbligo dell’amministrazione di valutarle
I destinatari della comunicazione di avvio e gli altri interventori possono prendere visione dei documenti e possono far
valere le proprie ragioni presentando memorie scritte e documenti. Nei confronti delle memorie scritte presentate
dagli interessati, la pubblica amministrazione ha l’obbligo di valutarle ove siano pertinenti all’oggetto del
procedimento. Se manca la comunicazione di avvio, all’interessato può essere preclusa la partecipazione al
procedimento, a meno che non venga a conoscenza in altri modi del procedimento avviato.
I limiti delle garanzie di partecipazione e gli atti amministrativi generali
Le garanzie di partecipazione al procedimento amministrativo non si applicano nei confronti dell’attività della pubblica
amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e
programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione. Questo è un limite
grave al procedimento: l’adozione di atti normativi o amministrativi generali avrebbe bisogno di solide garanzie di
partecipazione. Atti come le qualificazioni territoriali o le programmazioni economiche presentano una tale
complessità che necessiterebbero di un quadro normativo comune e certo per la disciplina della voce degli
amministrati. Il rinvio alle norme speciali sulle garanzie di partecipazione ai procedimenti che conducono all’adozione
via i normativi o amministrativi generali può condurre a esiti molto diversi. La giurisprudenza tentato di attenuare il
limite imposto dalla norma esaminata, ma sarebbe auspicabile una soluzione legislativa.
Le garanzie di partecipazione al procedimento: la visione e il diritto di accesso ai documenti amministrativi
La garanzia della voce nei procedimenti amministrativi risale al 17º secolo, La garanzia dell’accesso ai documenti è
riconosciuta solo alla fine degli anni 60 del novecento. Nel nostro ordinamento tali garanzie sono state introdotte con
la legge 241/1990. L’accesso è divenuto principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la
partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza. Tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad
eccezione di quelli indicati in modo tassativo ed esaustivo dalla legge.
Si possono avere due tipologie di accesso: un accesso extra-procedimentale cioè indipendente da un procedimento
avviato e un accesso procedimentale, nell’ambito dell’istruttoria amministrativa.
Il diritto di accesso può considerarsi come un vero e proprio diritto soggettivo, perché la pubblica amministrazione o il
gestore di pubblico servizio, a seguito di un’istanza di accesso, non esercitano un’autentica discrezionalità
amministrativa, dovendosi limitare ad accertare la sussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge. Si
deve trattare di un documento amministrativo: la legge né da una definizione molto ampia, che ricomprende non
soltanto i documenti cartacei, ma ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica, o di
qualunque altra specie, detenuta da una pubblica amministrazione e relativa ad attività di pubblico interesse. Inoltre,
il soggetto che chiede l’accesso deve avere un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso: si deve trattare di un soggetto che fa
valere una posizione differenziata, non del generico cittadino.
Le ipotesi di esclusione dell’accesso nella legge n.241
Tale legge esclude dall’accesso i documenti coperti da segreto di Stato, I casi di segreto o divieto di divulgazione
espressamente previsti dalla legge o dal regolamento. L’accesso è escluso anche nei procedimenti tributari e nei
confronti di attività amministrative dirette all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e
programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione.
L’esercizio e la tutela del diritto di accesso nella legge n.241
L’esercizio del diritto di accesso si concreta nell’esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi. La legge
241 disciplina il procedimento che inizia con la richiesta di accesso e termina con il suo accoglimento o non
accoglimento. Poiché non può essere sempre agevole individuare tale amministrazione, il regolamento ha stabilito
che la richiesta possa essere rivolta all’amministrazione competente a formare l’atto conclusivo. Se non vi sono dubbi
sulla legittimazione del richiedente, sulla sussistenza dell’interesse diretto, sull’accessibilità del documento
e se non vi sono contro interessati, Il procedimento per l’accesso può essere informale. È viceversa formale qualora vi
siano dubbi sulla legittimazione del richiedente, Sulla sua identità, sui poteri rappresentativi, sulla sussistenza
dell’interesse, sull’accessibilità del documento o sulla esistenza di contro interessati. In questi casi la pubblica
amministrazione invita l’interessato a presentare richiesta formale. Il procedimento formale deve terminare in 30
giorni e viene individuato un apposito responsabile. Il procedimento può concludersi con l’accoglimento o il non
accoglimento della richiesta. Il rifiuto potrà aversi se tutti i documenti richiesti sono esclusi dall’accesso e se l’istante
non è legittimato o se la richiesta non è motivata. La legge prevede che in caso di rifiuto o di differimento dell’accesso,
l’interessato possa proporre ricorso al tribunale amministrativo regionale. Al difensore civico interessato può chiedere
il riesame della decisione di non accoglimento: se non interviene alcuna pronuncia nei 30 giorni successivi all’istanza,
quest’ultima si intende respinta. Se la pronuncia del difensore civico ritiene illegittimo il non accoglimento della
richiesta di accesso, ne vengono informati l’istante e l’autorità che ha adottato la decisione negativa: quest’ultima può
confermare tale decisione entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione motivando adeguatamente; Altrimenti,
l’accesso è consentito.
Gli altri due tipi di accesso
Il primo accesso civico riguarda gli obblighi di pubblicazione previsti nel 2013: le pubbliche amministrazioni hanno
l’obbligo di pubblicare numerose informazioni concernenti l’organizzazione, il personale e l’attività svolta. Il secondo
tipo di accesso civico consiste nel diritto di chiunque ad accedere ai dati dei documenti detenuti dalle pubbliche
amministrazioni ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria. Si va così aldilà del precedente
accesso civico. Quest’ultimo resta confermato e l’accesso di chiunque è consentito anche alle informazioni non
soggette all’obbligo di pubblicazione. Il procedimento di accesso civico deve concludersi entro 30 giorni dalla
presentazione dell’istanza. In caso di accoglimento, ove si tratti di informazioni oggetto di pubblicazione obbligatoria,
l’amministrazione provvede a pubblicare sul sito i dati richiesti; ove si tratti di accesso che riguarda informazioni non
oggetto di pubblicazione obbligatoria, l’amministrazione provvede a trasmettere i dati al richiedente.
La semplificazione del procedimento
Diverse sono le forme di semplificazione delle attività di pubblici poteri. Le principali riguardano la semplificazione
normativa, realizzata mediante codificazioni o emanazione di testi unici, E la semplificazione del procedimento, che è
stata basata su strumenti diversi.
I pareri: I pareri sono atti strumentali del procedimento che intervengono nella fase dell’istruttoria. Sono dichiarazioni
di giudizio o di opinione delle quali l’amministrazione che adotta il provvedimento finale si avvale per raggiungere una
decisione. Il parere può essere obbligatorio o facoltativo, quanto alla richiesta: nel primo caso è la legge che prevede
l’obbligo di richiedere il parere; nel secondo caso è l’autorità competente ad adottare il provvedimento finale che può
chiedere il parere, se lo ritiene utile al fine di prendere una decisione più meditata. Il parere non vincola l’autorità
decidente, ha solo valore consultivo: ma l’autorità decidente deve motivare nel caso in cui la misura che adotta si
discosti dal parere ricevuto. Per quel che riguarda la semplificazione, il nostro legislatore ha introdotto forme di
accelerazione dell’attività consultiva. I pareri obbligatori vanno resi entro 20 giorni dal ricevimento della richiesta. Se il
parere non è reso nei termini previsti, l’autorità richiedente procede indipendentemente dall’espressione del parere.
Tali forme di semplificazione non si applicano sei pareri devono essere resi da amministrazioni pubbliche preposte alla
tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini.
Valutazioni tecniche: come i pareri sono atti strumentali del procedimento che intervengono nella fase istruttoria e
anch’esse sono dichiarazioni di giudizio. A differenza dei pareri però, si concretano di regola in accertamenti tecnici
complessi di fatti o situazioni materiali svolti da organismi dotati di elevata competenza specialistica. Mentre il parere
interviene su uno schema di decisione, la valutazione tecnica a che fare con un presupposto del decidere. Le
valutazioni tecniche sono di regola effettuate da organi o enti appositi, diversi dall’amministrazione precedente: ad
esempio l’Istituto superiore di sanità. Per tali casi, il legislatore italiano ha introdotto forme di semplificazione
procedimentale. Le disposizioni legislative che prevedono la valutazione tecnica rilasciata da un organismo apposito
possono stabilire un termine entro il quale l’accertamento deve essere effettuato: in mancanza, vale il termine di 90gg
dal ricevimento della richiesta di valutazione tecnica. Se l’organismo apposito non provvede alla valutazione entro i
termini, il responsabile del procedimento deve chiedere le suddette valutazioni tecniche ad altri organi
dell’amministrazione pubblica. Mentre se non viene rispettato il termine per il rilascio del parere, l’amministrazione
decidente può comunque procedere, alle valutazioni tecniche non si può rinunciare: Si ricorre all’aiuto di organismi
tecnici diversi da quelli che non hanno rispettato il termine.
Autocertificazioni: le certificazioni sono atti amministrativi dichiarativi di tramite i quali un pubblico ufficio attesta un
determinato fatto, un atto, uno stato, una qualità personale, attribuendo ad essi certezza. Le certificazioni dichiarano
la sussistenza di fatti e recano in proposito un formale ed esplicito apporto di certezza nell’ordinamento giuridico. Il
certificato è il documento che contiene la certificazione e ha funzioni di ricognizione, riproduzione o partecipazione a
terzi di stati, qualità personali e fatti. Per quanto riguarda le forme di semplificazione, è consentito all’interessato di
poter provare determinati fatti, atti, stati e qualità personali senza esibire i relativi certificati. È stata prevista
l’adozione da parte delle pubbliche amministrazioni di misure organizzative idonee a garantire l’applicazione delle
disposizioni in materia di autocertificazione.
La dichiarazione sostitutiva di certificazione è un atto privato sottoscritto dall’interessato, prodotto in sostituzione del
certificato come definito dalla legge. la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà è un documento sottoscritto
dall’interessato concernente stati, qualità personali e fatti che siano di sua diretta conoscenza, non compresi in
pubblici registri e dunque non suscettibili di essere comprovati con dichiarazione sostitutiva di certificazione. Le
dichiarazioni sostitutive non hanno piena funzione certificatoria, ma attenuano l’onere di documentazione del privato,
consentendogli di produrre affermazioni circa fatti o stati di cui è richiesta la dimostrazione.
Sono previste ulteriori semplificazioni in materia di documentazione: I documenti necessari per istruttoria del
procedimento sono acquisiti d’ufficio quando sono in possesso dell’amministrazione procedente o di altre
amministrazioni pubbliche. L’amministrazione procedente può richiedere agli interessati soli elementi necessari per la
ricerca dei documenti.
La conferenza di servizi: in questo caso la semplificazione si ottiene garantendo raccordi efficaci tra pubbliche
amministrazioni diverse che intervengono nel medesimo procedimento o in procedimenti amministrativi connessi. La
conferenza di servizi consente un esame contestuale di vari interessi pubblici, che usualmente sarebbero presi in
considerazione in un ordine sequenziale. Ciò permette un coordinamento fra le amministrazioni importatrici dei vari
interessi e un’accelerazione dell’azione amministrativa.
La conferenza di servizi può intervenire nella fase istruttoria del procedimento, o nella fase più propriamente
decisoria. La conferenza in fase istruttoria non è obbligatoria, mentre è obbligatoria nella fase decisoria. Norme
specifiche sono dettate sulla cosiddetta conferenza di servizi preliminare. Tale conferenza può essere convocata
dall’amministrazione procedente per progetti di particolare complessità e insediamenti produttivi di beni e servizi, Su
motivata richiesta dell’interessato.
La conferenza di servizi in forma semplificata prevede che le comunicazioni di documenti tra le pubbliche
amministrazioni avvengano mediante l’utilizzo della posta elettronica. La conferenza è indetta dall’amministrazione
procedente entro cinque giorni dall’inizio del procedimento di ufficio. A tal fine, la pubblica amministrazione
procedente comunica alle altre amministrazioni interessate l’oggetto della determinazione da assumere; il termine
tassativo, non superiore a 15 giorni, entro cui le amministrazioni coinvolte possono richiedere documentazioni o
chiarimenti; il termine perentorio, comunque non superiore a 45 giorni, entro il quale le stesse devono rendere le
proprie determinazioni. Scaduti i termini per l’acquisizione delle varie determinazioni entro cinque giorni
l’amministrazione procedente ha tre possibili vie da seguire:
-- adotta la determinazione motivata di conclusione positiva della conferenza ove abbia acquisito esclusivamente
assensi incondizionati o se ritiene che le condizioni indicate ai fini dell’assenso o del superamento del dissenso
possano essere accolte senza necessità di apportare modifiche sostanziali alla decisione oggetto della conferenza.
-- l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione negativa della conferenza qualora
abbia acquisito uno o più dissensi che non ritenga superabili.
-- infine, al di fuori dei casi precedenti ed essenzialmente se, per superare i dissensi espressi, si rendano necessarie
modifiche sostanziali della decisione oggetto della conferenza, l’amministrazione procedente avvia una conferenza in
forma simultanea e in modalità sincrona, Da tenersi non oltre i 10 giorni successivi alla scadenza del termine previsto
per la conclusione della conferenza semplificata. La caratteristica principale di tale conferenza è che vi è la
partecipazione dei rappresentanti delle amministrazioni coinvolte. Tre sono le ipotesi in cui si può utilizzare tale tipo di
conferenza. La prima è quella sopra citata, cioè quando al termine della conferenza semplificata emergano dissensi
superabili solo con modifiche sostanziali delle decisioni oggetto della conferenza. La seconda ipotesi sia quando la
determinazione da assumere si presenta di particolare complessità: in tal caso l’amministrazione procedente può
avviare direttamente la conferenza simultanea senza passare per la conferenza semplificata. La terza ipotesi ricorre
qualora vi sia richiesta motivata di conferenza simultanea rivolta all’amministrazione procedente da parte delle altre
amministrazioni del privato interessato.
Tele conferenza deve concludersi entro 45 giorni dalla prima riunione. Quanto alle modalità di partecipazione delle
amministrazioni statali e non statali convocate, ciascuna prende parte alla conferenza tramite un unico
rappresentante cui è attribuito il potere di esprimere definitivamente, in modo univoco e vincolante la volontà
dell’amministrazione. Per quanto riguarda il criterio decisionale, ultimati i lavori della conferenza o decorsi 45 o 90
giorni, L’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione della conferenza sulla base
delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza tramite i rispettivi
rappresentanti. In caso di approvazione unanime, la determinazione di conclusione della conferenza è
immediatamente efficace. Viceversa, in caso di approvazione sulla base delle posizioni prevalenti, l’efficacia della
determinazione è provvisoriamente sospesa ove siano espressi dissensi qualificati. La conferenza non dà luogo ad un
organo collegiale: si è piuttosto in presenza di un luogo per l’acquisizione di modalità di semplificazione dell’azione
amministrativa al fine di una più celere formazione di atti complessi, che necessitano del concorso di volontà di più
amministrazioni. Inoltre, nonostante la conferenza semplificata sia considerata dalle norme come la regola, la più
articolata conferenza simultanea viene ad avere un ambito di possibile applicazione molto esteso.
Accordi fra pubbliche amministrazioni: gli accordi fra pubbliche amministrazioni e privati intervengono nel
procedimento come strumenti di rafforzamento delle garanzie di partecipazione degli interessati. Gli accordi tra
pubbliche amministrazioni rientrano fra gli strumenti di semplificazione del procedimento: servono a disciplinare lo
svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. Si va oltre il coordinamento della conferenza di servizi: si
instaura fra le amministrazioni un vero e proprio rapporto pattizio, con diritti e obblighi contrapposti. Nell’ambito di
questo quadro, le amministrazioni pubbliche possono concludere fra se accordi di diverse tipologie.
Segnalazione certificata di inizio attività: essa si applica quando la possibilità di avviare un’attività privata sia
sottoposta all’adozione di particolari atti di tipo autorizzatorio da parte di amministrazioni pubbliche. Essa ha dunque
natura di atto del privato che sostituisce il procedimento autorizzatorio preliminare. L’atto di tipo autorizzatorio, per
poter essere sostituito dall’atto del privato, deve essere privo di discrezionalità amministrativa. Resta alla pubblica
amministrazione un potere di intervento ex post, finalizzato ad accertare la sussistenza o meno delle condizioni per
l’avvio dell’attività privata. Si tratta di un controllo successivo che può essere esercitato entro 60 giorni dal
ricevimento della segnalazione di inizio dell’attività. Ove si accerti che i requisiti e i presupposti stabiliti dalla
normativa applicabile non sussistano, l’amministrazione ha il potere-dovere di adottare motivati provvedimenti di
divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa. Ove sia possibile conformare
l’attività intrapresa alla normativa vigente, l’amministrazione, con atto motivato, invita il privato a provvedere
prescrivendo le misure necessarie e fissa un termine non inferiore a 30 giorni entro il quale il privato è tenuto ad
adottare le misure prescritte. Ove non siano stati adottati nei 60 giorni i provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell’attività privata, l’amministrazione può anche successivamente porre in essere misure interdittive, ma solo qualora
sussistano I requisiti previsti dalla legge. Tale potere interpretativo è l’unica podestà ex post che spetta
all’amministrazione: tale potere può essere esercitato oltre i 60 giorni solo in presenza delle condizioni previste dalla
legge: può esercitarsi solo se, oltre a ravvisare l’illegittimità del provvedimento da annullare, l’amministrazione ritenga
sussistano ragioni di interesse pubblico per procedere all’annullamento, che deve intervenire entro un termine non
superiore a 18 mesi dall’adozione del provvedimento di primo grado.
Per quanto riguarda la tutela del terzo che lamenti un pregiudizio derivante dall’inizio dell’attività oggetto di
segnalazione certificata di inizio attività, egli può sollecitare le verifiche di spettanza dell’amministrazione e, in caso di
inerzia, esperire esclusivamente l’azione avverso il silenzio, con la conseguenza che il giudice potrebbe ordinare
all’amministrazione di provvedere, senza poter predeterminare il contenuto del provvedimento da adottare.
Silenzio assenso: vi sono casi in cui le norme espressamente qualificano il silenzio protratto oltre il termine come
rigetto dell’istanza. Si parla in tal caso di silenzio diniego. Può esservi il silenzio inadempimento, quando non vi sono
qualificazioni normative esplicite. Si parla invece di silenzio assenso nel caso in cui l’inerzia medesima è da intendersi
come accoglimento dell’istanza. Tale figura valeva inizialmente solo per i procedimenti previsti da appositi
regolamenti; ora si è avuta una generalizzazione della figura, che può trovare applicazione a tutti i procedimenti a
istanza di parte, salve le eccezioni esplicite tassative. Nei casi di silenzio assenso, la legge prevede che
l’amministrazione possa assumere decisioni in via di autotutela, adottando provvedimenti di revoca o di annullamento
d’ufficio. Il silenzio assenso non opera nel caso di atti e procedimenti che intervengono in materie richiamate anche
dalle norme sulla segnalazione certificata di inizio attività. Una seconda sezione riguarda i casi in cui la normativa
comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, non taciti. Una terza eccezione si riferisce alle
ipotesi già menzionate in cui la legge qualifica espressamente il silenzio come rigetto dell’istanza. Infine, il silenzio
assenso non vale per gli atti e i procedimenti appositamente indicati in decreti del presidente del consiglio.
Silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni: ove sia prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta di
amministrazioni pubbliche o di gestori di beni e servizi pubblici per l’adozione di provvedimenti normativi o
amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche, le amministrazioni o i gestori comunicano il loro
assenso, o concerto, o nulla osta entro termine di 30 giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento. Il termine
si interrompe se i soggetti che devono rendere il loro assenso, concerto, nulla osta, richiedono integrazioni istruttorie.
Scaduti i termini senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto o il nulla osta, l’atto si intende acquisito.
Ambito di applicazione della legge 241/1990
Tale legge si applica integralmente alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali. Alcune sue norme valgono
per tutte le amministrazioni pubbliche: si tratta delle norme sul riconoscimento del danno per inosservanza dolosa o
colposa del termine di conclusione del procedimento, sugli accordi con i privati e tra amministrazioni, sulla tutela
giurisdizionale in materia di accesso e sul provvedimento. La legge si applica anche alle società a capitale pubblico
totale o prevalente quando esercitano funzioni pubbliche o servizi pubblici. Si applica anche, infine, ai soggetti privati
preposti all’esercizio di attività amministrative che svolgono funzioni pubbliche o servizi pubblici.
CAP.8: PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI
Provvedimenti amministrativi: nozione e tipologie
Il provvedimento amministrativo si distingue da tutti gli altri atti amministrativi che intervengono nel procedimento: È
l’atto più importante, l’atto conclusivo del procedimento, l’atto costitutivo in senso giuridico, poiché è l’unico
costituisce, modifica o estinguere situazioni soggettive degli amministrati. È l’unico atto del procedimento
impugnabile davanti al giudice. Si distinguono diversi tipi di provvedimenti amministrativi:
-- I provvedimenti amministrativi generali sono rivolti ad un insieme indeterminato di destinatari: si pensi per esempio
alle direttive emanate dall’autorità di regolazione per energia, reti e ambiente che riguardano tutte le imprese
operanti in questi settori. I provvedimenti amministrativi generali si distinguono dagli atti normativi secondari, che
possono essere adottati da figure soggettive dell’amministrazione pubblica, ma sono fonti del diritto
-- i provvedimenti particolari, o puntuali, incidono invece su un destinatario o su di un insieme determinato di
destinatari: è il caso della sanzione pecuniaria irrogata ad un’impresa. Come si è visto, ai procedimenti che conducono
all’adozione di provvedimenti amministrativi generali non si applicano le norme sulla partecipazione previste dalla
legge 241/1990, mentre valgono le norme speciali di settore. Ai provvedimenti generali non si applica neppure il
principio dell’obbligo di motivazione; alcune leggi speciali stabiliscono, in alcuni casi, che la motivazione è necessaria
anche per i provvedimenti generali: è così ad esempio per quelli emanati dalla Banca d’Italia. Nell’ambito dei
provvedimenti particolari ci sono:
-- i provvedimenti ampliativi, che sono le autorizzazioni e le concessioni amministrative. La concessione può
riguardare anche la realizzazione di opere pubbliche, attività non riservata e svolta usualmente da imprenditori privati.
-- tra i provvedimenti limitativi si distinguono i provvedimenti ablatori e i provvedimenti sanzionatori. I primi
modificano o estinguono diritti personali, diritti reali o rapporti obbligatori. Quelli sanzionatori sono finalizzati a
reprimere infrazioni alla legge o ad altri provvedimenti amministrativi, infrazioni che non assumono rilevanza penale,
ma integrano illeciti amministrativi. Le specie più note sono i provvedimenti che irrogano sanzioni pecuniarie
amministrative.
Efficacia ed esecuzione del provvedimento
L’efficacia è l’astratta idoneità a produrre effetti del provvedimento amministrativo. L’esecutività stabilisce che il
provvedimento efficace va immediatamente eseguito, salva diversa previsione di legge o dello stesso provvedimento.
L’esecutorietà consiste nel potere dell’amministrazione di procedere all’esecuzione coattiva del provvedimento ove
l’amministrato non ottemperi ad un obbligo posto a suo carico, ostacolando la realizzazione del risultato effettivo
dell’attività amministrativa. Il provvedimento può essere immediatamente idoneo a produrre effetti, ma vi sono casi
in cui sussistono dei limiti. Il provvedimento amministrativo può contenere clausole (condizione, un termine o modo)
che incidono sulla sua efficacia.
L’invalidità del provvedimento: i casi di annullabilità. Le ipotesi di illegittimità non invalidante
La legge Crispi del 1889, stabilì che la quarta sezione del Consiglio di Stato potesse annullare provvedimenti delle
pubbliche amministrazioni viziati da incompetenza, violazioni di legge eccesso di potere. La legge 1990, nella norma
dedicata all’annullabilità del provvedimento, ha nuovamente elencato i tre vizi di legittimità.
L’incompetenza è un difetto di competenza, è la misura dell’attribuzione. Essa è l’affidamento ad una pubblica
amministrazione della cura di una serie di interessi pubblici.
Un provvedimento adottato da un organo sprovvisto della competenza specifica è affetto dal vizio di incompetenza.
L’atto è annullabile e può essere convalidato tramite l’adozione del provvedimento da parte dell’organo competente:
ad esempio, i provvedimenti considerati illegittimi per incompetenza della giunta comunale possono essere
convalidati dal consiglio comunale.
Violazione di legge si ha in casi di non conformità del provvedimento rispetto ad una disposizione normativa specifica,
di legge o di regolamento. È in violazione di legge il provvedimento amministrativo privo di motivazione, essendo in
contrasto con l’obbligo di motivazione previsto dalla legge 241.
La stessa legge ha dettato regole apposite su ipotesi in sui il mancato rispetto di norme non comporta annullabilità del
provvedimento. Si distinguono due casi. In primo luogo, non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di
norme sul procedimento sulla forma degli atti se il provvedimento medesimo ha natura vincolata, dunque non
discrezionale, e sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
adottato. In secondo luogo, il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata
comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del
provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Per quanto riguarda la mancata comunicazione di avvio, l’amministrazione è tenuta ad un onere della prova: deve
dimostrare che il contenuto del provvedimento emanato in mancanza di comunicazione di avvio del procedimento
non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato.
Per quanto riguarda i casi di eccesso di potere, le figure più importanti che permangono ad oggi sono:
-- travisamento di fatto: relativo a casi in cui l’amministrazione fonda la sua decisione sulla premessa che sussista un
fatto che in realtà non esiste o presenta caratteristiche diverse. Vi può essere anche un errore di apprezzamento, di
valutazione, che dà luogo ad un eccesso di potere si è manifesto.
-- motivazione del provvedimento insufficiente: il giudice amministrativo ha iniziato con il censurare per eccesso di
potere provvedimenti con motivazione quantitativamente insufficiente. Tale controllo giudiziale era fragile: bastava
che l’amministrazione allungasse la motivazione per superare la censura. In seguito, il giudice ha esteso la sua verifica
alla qualità della motivazione, considerando motivazioni illogiche o contraddittorie come segnali di eccesso di potere.
Oggi l’obbligo di motivazione è previsto dalla legge 241. Vengono inoltre ricondotti all’eccesso di potere i casi di
motivazioni irragionevoli, illogica, contraddittoria e incongrua.
Possono menzionarsi inoltre altre due rilevanti ipotesi di eccesso di potere che si sono sviluppate nella giurisprudenza
nel secondo novecento: l’irragionevolezza e il difetto di proporzionalità.
-- la ragionevolezza costituisce un criterio al cui interno convergono altri principi generali dell’azione amministrativa,
cioè imparzialità, uguaglianza e buon andamento: l’amministrazione, in forza di tale principio, deve rispettare una
direttiva di razionalità operativa al fine di evitare decisioni arbitrarie o irrazionali.
-- per quanto riguarda il difetto di proporzionalità, il giudice valuta se il provvedimento sia indispensabile, se sia
adeguato al fine che l’amministrazione intende perseguire, se costituisca la misura meno restrittiva possibile nei
confronti della sfera giuridica del destinatario. E talora, effettua un bilanciamento tra i benefici ottenuti per il pubblico
interesse e i sacrifici imposti agli interessi dei privati: la cosiddetta proporzionalità in senso stretto.
L’invalidità del provvedimento: i casi di nullità
Per aversi nullità del provvedimento deve trattarsi di casi in cui vi siano vizi radicali. La cassazione alla fine degli anni
40 però ha introdotto la categoria della carenza di potere: si tratta di casi in cui il potere amministrativo manca del
tutto. Poiché il potere non esiste, il provvedimento è nullo dall’inizio e non spiega effetti, dunque non è imperativo e
lascia inalterata la sfera giuridica del destinatario. Ne segue che il giudice competente a conoscere della carenza di
potere del giudice ordinario, non il giudice amministrativo.
La giurisprudenza di cassazione ha sostenuto che la carenza di potere di fosse nei casi di difetto di attribuzione, cioè in
quelle ipotesi in cui non vi è incompetenza, ma sussiste il vizio più radicale di mancanza delle attribuzioni: O perché il
potere esercitato non rientra fra quelli spettanti ad una pubblica amministrazione; O perché spetta
all’amministrazione pubblica totalmente diversa da quella che ha adottato il provvedimento.
La corte suprema ha ricondotto alla carenza di potere anche altre ipotesi, caratterizzate non da difetto assoluto di
attribuzione del potere, ma dalla mancanza di un presupposto essenziale per l’emanazione del provvedimento.
Il legislatore, con la legge 241, è intervenuto in materia di nullità, dandole ora un fondamento normativo esplicito. La
norma stabilisce che vi è nullità del provvedimento amministrativo se ne mancano gli elementi essenziali, se vi è
difetto assoluto di attribuzione, o se il provvedimento medesimo è stato adottato in violazione o elusione del
giudicato, non che negli altri casi espressamente previsti dalla legge.
In assenza di una previsione normativa che identifichi gli elementi essenziali del provvedimento amministrativo, non è
agevole stabilire i confini della prima ipotesi di nullità indicata dal legislatore. Il giudice amministrativo considera
elementi essenziali del provvedimento il soggetto, l’oggetto, la volontà è la forma.
L’ipotesi di difetto assoluto di attribuzione viene sostanzialmente a coincidere con la carenza di potere in astratto, di
cui alla menzionata giurisprudenza di cassazione. Deve trattarsi di casi in cui è stato adottato un atto che, ad esempio,
esula dall’attribuzione della branca di amministrazione chiama provveduto.
L’ipotesi della violazione o illusioni del giudicato, che sussisté quando il provvedimento dell’amministrazione pubblica
non si conforma ad una sentenza passata in giudicato, è rilevante per le conseguenze in termini di competenza
giurisdizionale. La norma stabilisce che le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi in violazione
o elusione del giudicato sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Infine, la previsione legislativa secondo la quale, oltre alle tre ipotesi esaminate, può aversi nullità negli altri casi
espressamente previsti dalla legge mostra che questo tipo di patologia deve restare in un ambito circoscritto. Tra le
ipotesi di nullità espressamente previste dalla legge si possono ricordare i casi di assunzione all’impiego pubblico in
assenza di concorso, gli accordi procedimentali non stipulati in forma scritta e gli atti di straordinaria amministrazione
adottati da organi collegiali prorogati.
I provvedimenti amministrativi di secondo grado
Sono i provvedimenti mediante i quali l’amministrazione interviene su provvedimenti già adottati. Due figure
principali: l’annullamento di ufficio e la revoca. Entrambe sono state oggetto di una lunga elaborazione
giurisprudenziale e dottrinale. La legge 241 è poi intervenuta sulla base di tale elaborazione e ha chiarito alcuni aspetti
che erano rimasti incerti o controversi.
L’annullamento di ufficio è un provvedimento discrezionale che non si identifica nel mero ripristino della legalità
violata, a differenza dell’annullamento di atti amministrativi in sede giurisdizionale o di controllo.
L’illegittimità del provvedimento di primo grado può essere sanata con un atto di convalida, sempre che sussistano
ragioni di interesse pubblico e la convalida stessa intervenga entro un termine ragionevole.
La revoca è un provvedimento di secondo grado che rimuove in precedente provvedimento non già perché legittimo,
ma perché sono sopravvenuti nuovi motivi di pubblico interesse, ovvero è mutata la situazione di fatto ovviamente
Valutazione dell’interesse pubblico originario. Per quanto riguarda i presupposti della revoca, E si sono sopravvenuti
motivi di pubblico interesse, il mutamento della situazione di fatto e la nuova valutazione dell’interesse pubblico
originario. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Il legislatore ha
generalizzato la previsione di un indennizzo obbligatorio ove vi siano pregiudizi in danno dei soggetti interessati E ha
affidato alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie sulla determinazione corresponsione
dell’indennizzo.
La legge prevede che l’efficacia, ovvero l’esecuzione di un provvedimento amministrativo può essere sospesa per gravi
ragioni e per il tempo strettamente necessario. Il termine della sospensione è implicitamente indicato nell’atto che la
dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze. la legge ha
aggiunto una limitazione: la sospensione non può essere disposta o perdurare oltre 18 mesi ove si tratti di
provvedimenti autorizzatori o di attribuzione di vantaggi economici. In definitiva la sospensione è misura provvisoria,
di durata limitata, usualmente propedeutica rispetto ad un provvedimento di annullamento o revoca.
CAP.9: MODULI CONSENSUALI: CONTRATTI, CONVENZIONI, ACCORDI
I contratti delle pubbliche amministrazioni
I contratti di appalto pubblico, di opere, forniture e anche servizi, hanno assunto complessità ed estensioni sempre
maggiori. La fase preliminare alla conclusione del contratto, la cosiddetta procedura ad evidenza pubblica finalizzata
alla scelta del contraente privato, è stata oggetto di amplia disciplina comunitaria: si basa soprattutto sulle ragioni di
tutela della concorrenza nel mercato unico europeo.
Sempre nel settore delle opere pubbliche, la concessione di lavori pubblici è ormai qualificata come contratto, in
diritto interno e comunitario. La gestione di beni pubblici e, soprattutto, di servizi pubblici è sovente affidata a
concessioni di tipo contrattuale. Se c’è un provvedimento unilaterale, esso interviene nella fase preliminare
dell’evidenza pubblica o si limita a ripetere clausole già inserite nella cosiddetta convenzione di concessione.
L’impiego pubblico è oggi ampiamente contrattualizzato. Contratti collettivi e individuali di lavoro hanno tolto largo
spazio a regolamenti e a provvedimenti amministrativi unilaterali.
La materia della sanità conosce un largo uso di convenzioni sanitarie che sono riconducibili al modello contrattuale.
Analoghe osservazioni possono valere per i cosiddetti contratti di programma, che realizzano un’apertura importante
al diritto privato. Si tratta di rapporti tra imprese di gestione di pubblici servizi e ministeri vigilanti: è il caso dei
contratti di programma per le poste e per le ferrovie.
In tutti i casi menzionati si è in presenza di moduli contrattuali. Il fatto che siano contratti ad oggetto pubblico non
significa che però siano contratti di diritto pubblico. L’oggetto è pubblico poiché è indisponibile per i privati, ma la
disciplina del contratto è fatta delle regole privatistiche del codice civile, con alcune deroghe.
Le procedure ad evidenza pubblica
Con l’avvento del diritto comunitario si è assistito ad una trasformazione della ratio della disciplina dell’evidenza
pubblica: a partire dagli anni 80 del Novecento, ha iniziato a farsi strada l’idea che la normativa in materia di appalti
pubblici concernente la procedura di scelta del contraente dovesse essere diretta a tutelare anche la libera
concorrenza tra imprese aspiranti al contratto operanti all’interno dei paesi membri. Non più quindi una normativa
nazionale ma comune ai diversi stati membri della comunità finalizzata anche e soprattutto alla costruzione di un
mercato aperto e concorrenziale.
Nel 2014 sono state varate le direttive europee in tema di contratti di concessione e di appalti pubblici nei settori
ordinari e in quelli speciali. Rispetto all’impianto normativo del 2006 la nuova disciplina si caratterizza per:
- una riduzione del corpo delle norme da più di 600 articoli a poco più di 200;
- la finalità di potenziare ulteriormente la tutela della concorrenza;
- un’applicabilità a livello nazionale a tutte le gare per l’aggiudicazione di lavori, servizi e forniture bandite da
amministrazioni giudicatrici, ovvero da imprese pubbliche o da altre imprese che operano in virtù di diritti speciali o
esclusivi concessi dall’amministrazione, come le imprese concessionarie di servizi pubblici in monopolio. Rientrano in
tali soggetti gli organismi di diritto pubblico che sono inclusi tra le amministrazioni giudicatrici.
Per organismi di diritto pubblico si intende un soggetto, anche privato, dotato di personalità giuridica, istituito per
soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, finanziato in modo
maggioritario dallo stato, da enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.
Le fasi della procedura dell’evidenza pubblica sono scandite dal d.lgs.50/2016. Ad una prima fase di determinazione
ed esternazione della volontà di contrarre da parte dell’amministrazione, segue la fase della presentazione delle
offerte da parte degli operatori e, infine, la fase della valutazione delle stesse da parte di una commissione
giudicatrice. La migliore offerta viene precariamente individuata con la proposta di aggiudicazione che deve essere
approvata dall’organo competente di ciascuna stazione appaltante nel termine di questa stabilito o, in mancanza,
entro 30gg dal ricevimento della proposta. Solo a seguito di tale approvazione, il soggetto aggiudicatore emette il
provvedimento amministrativo di individuazione del contraente e della migliore offerta, che conclude tutta la
procedura pubblicistica dell’evidenza pubblica: si tratta del provvedimento di aggiudicazione. Esso non equivale ad
accettazione dell’offerta, ma diviene efficace solo dopo la verifica dei requisiti prescritti dalla legge o dal bando di gara
e in ogni caso è soggetto all’esercizio dei poteri di autotutela pubblicistici da parte dell’amministrazione.
Quest’ultima è tenuta a stipulare il contratto con l’operatore privato selezionato a seguito della gara, nel termine di
60gg dall’aggiudicazione divenuta efficace e comunque, non prima di 35 gg dalla comunicazione della stessa.
Il contratto è costitutivo di diritti e obblighi in capo ai soggetti contraenti: esso è sottoposto al sindacato
giurisdizionale del giudice ordinario per quanto attiene alle eventuali controversie che dovessero sorgere in relazione
alla stipulazione, all’interpretazione e alla esecuzione dello stesso.
L’evidenza pubblica, conoscibile solo dal giudice amministrativo, non fa sorgere alcun diritto soggettivo in capo alle
imprese offerenti, che sono invece titolari di soli interessi legittimi nei confronti del soggetto aggiudicatore.
Solo al momento della stipula del contratto si attivano, invece, situazioni giuridiche di diritto soggettivo delle parti, che
potranno essere fatte valere dinanzi al giudice ordinario. In relazione al rapporto contrattuale, il giudice
amministrativo è competente esclusivamente a conoscere delle questioni relative all’efficacia o inefficacia del
contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione definitiva.
Il presupposto necessario per l’avvio della procedura medesima è l’emanazione, da parte del soggetto aggiudicatore,
di un atto di determinazione a contrarre con cui si individuano gli elementi essenziali del contratto e i criteri di
selezione degli operatori economici e delle offerte. Solo a questo punto la volontà dell’amministrazione di ricorrere al
mercato per acquisire una determinata prestazione deve essere esternata e pubblicizzata agli operatori del settore
con un atto amministrativo di carattere generale: il cosiddetto bando di gara.
Il bando costituisce il presupposto indispensabile per garantire che la gara si svolga nel rispetto dei principi di
imparzialità, correttezza, trasparenza e concorrenzialità. Esso deve essere chiaro e idoneo a fornire agli operatori
economici tutte le informazioni utili per poter presentare l’offerta migliore e per poter concorrere ad armi pari
all’aggiudicazione del contratto.
Quanto alle singole procedure per la scelta del contraente, la nuova disciplina ne ha previsto differenti tipologie:
- la procedura aperta è quella in cui ogni operatore economico interessato può presentare un’offerta. Essa garantisce
il più ampio livello di partecipazione e di apertura del mercato e che corrisponde alla cosiddetta asta pubblica;
- la procedura ristretta è la procedura a cui ogni operatore economico può chiedere di partecipare e in cui possono
presentare un’offerta solo gli operatori economici invitati dalle stazioni appaltanti. Essa coincide con l’istituto della
licitazione privata e consente all’amministrazione di limitare il confronto concorrenziale alle sole imprese ritenute
idonee a fornire le prestazioni richieste;
- la procedura negoziata, quella in cui le stazioni appaltanti consultano gli operatori economici da loro scelti e
negoziano con uno o più di essi le condizioni dell’appalto;
- la procedura competitiva con negoziazione: le amministrazioni aggiudicatrici forniscono una descrizione delle loro
esigenze per le forniture; i lavori o i servizi da appaltare. Gli operatori economici invitati dall’amministrazione
aggiudicatrice possono presentare un’offerta iniziale, l’amministrazione negozia con gli operatori le offerte iniziali e le
successive da essi presentate, al fine di migliorarne il contenuto; valuta poi le offerte finali e aggiudica l’appalto alla
migliore offerta, in base ai criteri stabiliti nei documenti di gara;
- la procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara è limitata i casi in cui nessuna impresa ha preso
parte alla precedente procedura ristretta o negoziata, ovvero ricorrano ipotesi di estrema urgenza derivante da eventi
imprevedibili dall’amministrazione aggiudicatrice. Quest’ultima sceglie l’operatore economico che ha scelto le
condizioni più vantaggiose in base ai criteri predeterminati, previa verifica del possesso dei requisiti di partecipazione
previsti per l’affidamento di contratti mediante procedura aperta, ristretta o mediante procedura competitiva con
negoziazione;
- il dialogo competitivo costituisce quel particolare procedimento in cui la stazione appaltante avvia un dialogo con i
candidati ammessi a tale procedura, al fine di elaborare una o più soluzioni atte a soddisfare le sue necessità e sulla
base della quale o delle quali i candidati selezionati sono invitati a presentare le offerte. Esso richiede specifica
motivazione; non vi sono offerte iniziali che precedono il dialogo, ma le offerte sono successive;
- il partenariato per l’innovazione consente alle amministrazioni di istituire con uno o più operatori economici una
partnership di lungo termine finalizzata allo sviluppo ed al successivo acquisto di prodotti, servizi o lavori caratterizzati
da un elevato livello di innovatività rispetto a quel che è disponibile sul mercato.
Quanto, infine, ai criteri di aggiudicazione, il codice ne ha delineati due:
- il criterio del prezzo più basso: si tratta di individuare meccanicamente quale delle offerte presenti il massimo ribasso
rispetto all’importo base espresso nel bando di gara
- il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa: la commissione giudicatrice dovrà tenere conto non solo
della convenienza economica dell’offerta, ma anche di ulteriori criteri di valutazione di carattere qualitativo che siano
stati preventivamente esplicitati nel bando di gara.
Gli accordi integrativi e sostitutivi di provvedimento
Oltre ai contratti, un’altra categoria di strumenti consensuali è costituita dagli accordi. Nel corso dell’istruttoria gli
amministrati possono presentare osservazioni, memorie e proposte: in accoglimento di tali formulazioni,
l’amministratore procedente può concludere accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto
discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo. Essi sono gli accordi procedimentali.
Vi sono due tipi di accordi: quelli integrativi del provvedimento, che servono a definire alcune clausole e quelli
sostitutivi del provvedimento, che prendono il suo posto.
La legge prevede che la loro forma deve essere scritta, a pena di nullità, e che ad essi si applicano i principi del codice
civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. Se l’accordo è sostitutivo, esso è sottoposto agli
stessi controlli previsti per il provvedimento sostitutivo. In ogni caso, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse,
l’amministrazione può recedere unilateralmente dall’accordo, salvo l’obbligo dell’indennizzo se vi siano pregiudizi in
danno del privato. Infine, sono affidate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in
materia di accordi, relative sia alla formazione, sia alla conclusione, sia all’esecuzione. Recentemente è stato previsto
che gli accordi amministrativi debbano essere motivati.
Vi è poi un potere di recesso unilaterale dell’amministrazione nel pubblico interesse, previsto in via generale dalla
legge sul procedimento. Si tratta di una potestà pubblicistica. Inoltre, la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo si estende non solo alla formazione e alla conclusione degli accordi, ma anche alla loro esecuzione:
abbraccia, dunque, l’intero arco delle controversie relative all’accordo.
CAP.10: LA RESPONSABILITA’ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E DEI DIPENDENTI
In Italia è stato lungo il cammino verso il riconoscimento della responsabilità della pubblica amministrazione, che è
intervenuto non prima della metà degli anni 30 del 900 in decisioni giurisprudenziali della corte di cassazione. All’inizio
si trattò di vicende legate alle attività materiali, non provvedimentali, della pubblica amministrazione. La
giurisprudenza, dopo l’approvazione del codice civile, sottolineò che la pubblica amministrazione era soggetta
all’art.2043 e anche alle norme relative a fattispecie di responsabilità extracontrattuale, inclusa la responsabilità per
l’esercizio di attività pericolose, per la quale il codice prevede un’inversione dell’onere della prova: deve provare di
aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.
La costituzione dispone che i funzionari e i dipendenti dello stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili,
secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti. Quest’ultima espressione è
da intendersi che tra gli atti sono inclusi sia i provvedimenti amministrativi, sia le misure negoziali, sia i meri
comportamenti o le attività materiali della pubblica amministrazione.
La legge ordinaria ha poi chiarito il rapporto fra responsabilità dell’amministrazione e responsabilità dell’impiegato.
Esso risponde soltanto per dolo o colpa grave, l’amministrazione risponde anche per colpa lieve. Essa può inoltre
rivalersi nei confronti del dipendente o del funzionario, nei casi di dolo o colpa grave, e il giudizio si instaura davanti
alla corte dei conti.
Responsabilità per lesione di interessi legittimi
Per lunghi decenni la giurisprudenza ha ritenuto che non vi fosse spazio per la risarcibilità di lesione di interessi
legittimi poiché l’interpretazione tradizionale considerava danno ingiusto solamente la lesione di un diritto soggettivo.
Solamente nel 1999 la corte di cassazione ha compiuto il passo definitivo: ha affermato che è risarcibile ogni danno
che presenti il carattere dell’ingiustizia, e cioè il danno arrecato non iure, il danno privo di giustificazione giuridica che
si risolve nella lesione di un interesse rilevante e meritevole di tutela dell’ordinamento. La tutela risarcitoria trova il
suo presupposto nell’ingiustizia del danno, che si ricollega alla lesione di un interesse giuridicamente rilevante,
qualunque sia la sua qualificazione formale.
Affinché vi sia colpa dell’amministrazione è indispensabile è indispensabile che sussistano contemporaneamente
l’adozione e l ’esecuzione del provvedimento illegittimo lesivo dell’interesse da parte della pubblica amministrazione,
entrambe avvenute in violazione dei principi di imparzialità, correttezza e buona amministrazione.
La responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi è una responsabilità da contatto:
nell’ambito del procedimento amministrativo vi sarebbe infatti un contatto tra l’amministrazione e l’amministrato,
che darebbe vita ad un rapporto giuridico tale per cui il diritto al risarcimento del danno derivante dall’adozione del
provvedimento che include il procedimento presenterebbe caratteristiche simili a quelle proprie della responsabilità
contrattuale. Si applicherebbe quindi l’art.1218, secondo il quale la pubblica amministrazione è gravata dell’onere
della prova. Altra parte della giurisprudenza continua invece ad applicare l’art.2043, ponendo a carico del danneggiato
l’onere di provare l’illecito.
La responsabilità amministrativa
Il giudice competente sulle relative controversie è la corte dei conti. L’apertura del procedimento è disposta dal
procuratore regionale della medesima corte. Inoltre, la cosiddetta responsabilità amministrativa è limitata agli atti e
alle omissioni posti in essere dai funzionari e dagli amministratori con dolo o colpa grave. Affinché vi sia
responsabilità, è necessario che vi sia un danno ingiusto. La responsabilità amministrativa è individuale. Se vi è stato
un atto collegiale, sono esenti da responsabilità sia coloro che hanno votato contro, sì a coloro che non hanno
partecipato alla votazione, sia gli astenuti. I titolari degli organi politici o di indirizzo non rispondono degli atti che
rientrano nella competenza di appositi uffici tecnici, quando in buona fede li abbiano approvati.
La corte di cassazione ha precisato che, affinché vi sia responsabilità amministrativa, è necessario e sufficiente che
esista una relazione funzionale tra l’autore dell’illecito causativo del danno e l’amministrazione pubblica che l’ha
subito. La responsabilità amministrativa può valere anche per gli amministratori e i dipendenti di enti pubblici
economici e di società con partecipazione pubblica.
Recentemente, alcune pronunce della corte di cassazione sembrano aprire la via verso una restrizione dell’ambito di
applicazione della responsabilità amministrativa. Secondo tale giurisprudenza, vale in via generale l’azione civilistica di
responsabilità per danno recato al patrimonio sociale. La responsabilità amministrativa si imputa al soggetto che,
gestendo la partecipazione pubblica, non abbia esercitato i poteri spettanti al socio pubblico per indirizzare
correttamente l’azione degli amministratori o dei dipendenti della società.
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