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Simmel Chicago

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“SIMMEL E LA SCUOLA DI CHICAGO”
PROF. ANTONIO MARTUSCIELLO
Università Telematica Pegaso
Simmel e la scuola di Chicago
Indice
1
SIMMEL E I SISTEMI DI INTERAZIONE ----------------------------------------------------------------------------- 3
2
SIMMEL E IL CITTADINO BLASÈ -------------------------------------------------------------------------------------- 7
3
COSMOPOLITISMO E INFLUENZA SULLA SCUOLA DI CHICAGO ---------------------------------------- 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 16
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Simmel e la scuola di Chicago
1 Simmel e i sistemi di interazione
Le principali opere di Simmel sono La differenziazione sociale (1890); La filosofia del
denaro (1900); la raccolta di saggi Sociologia (1908) e Problemi fondamentali della sociologia
(1918).
Tali opere sono state riscoperte e valorizzate soprattutto grazie allo sviluppo della microsociologia americana, interessata alla fenomenologia della vita quotidiana.
Nell’ambito della sociologia urbana l’opera di Simmel ha influito in modo diretto
attraverso il suo saggio sulla vita nelle metropoli e la sua specifica interpretazione della vita
quotidiana nelle città all’inizio del secolo scorso.
La città non viene più analizzata attraverso i suoi grandi mutamenti strutturali, bensì
attraverso i suoi modelli relazionali.
A Simmel non interessa studiare la complessità strutturale della città, per esempio la
diversificazione e differenziazione delle professioni.
Simmel è interessato a capire come il singolo soggetto si comporta quando è chiamato a
gestire questa crescente pluralità di ruoli e situazioni.
Egli ha interpretato e studiato soprattutto gli aspetti culturali della città industriale come
espressione dello spirito moderno e dei suoi valori fondamentali.
Simmel è estraneo a ogni pensiero dicotomico o sistemico; per lui tutti i fenomeni sociali
sono in reciproco rapporto di influenza.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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La «società» - in qualità di flusso - rappresenta una forma metaforica della cristallizzazione
di tutte le fasi d’interazione umana.
Da qui l’interesse di Simmel per le forme (astrazioni) temporanee situate, che le
interazioni sociali possono creare (diade, triade…) oppure i modelli classici di personaggi urbani: lo
straniero (dentro/fuori; vicinanza/lontananza) il povero, il mediatore, il mediocre che vuole scalare
la società, ecc.
Simmel ha interpretato e studiato soprattutto gli aspetti culturali della città industriale, come
espressione dello spirito moderno e dei suoi valori fondamentali.
Nella forma della metropoli si impongono delle convenzioni basate sull’oggettività, il
mantenimento della distanza e il non coinvolgimento emotivo. La città è uno spazio denso, dove si
incontrano molte, troppe persone e solo con poche di loro si possono creare forme di
interazione più intensa.
Le trasformazioni culturali in ambito urbano determinano delle ambivalenza tra
oggettività/soggettività.
Simmel ritiene che nella società moderna sia in atto un crescente sviluppo dei processi di
oggettivazione e di reificazione delle relazioni.
È la complessità della vita nella metropoli moderna che rende necessaria questa progressiva
oggettivizzazione.
Gli attori sociali tuttavia continuano a sentire il bisogno di interpretare in maniera
soggettiva e personale le situazioni e gli avvenimenti di cui sono testimoni.
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Si viene così a creare una sorta di ambivalenza tra impulsi all’oggettivazione e impulsi alla
soggettivazione.
Questa ambivalenza è vissuta dal soggetto moderno come scarto, come mancanza e come
nostalgia di una perduta unità.
Tali fattori rappresentano per Simmel la vera “tragedia della cultura”, che il cittadino
delle metropoli vive ogni giorno.
La vita urbana moderna non corrisponde affatto alla nozione di modernizzazione intesa
come progresso, razionalizzazione o come differenziazione sociale.
La modernità urbana è anche crisi: l’autocoscienza è sempre più sviluppata dal
moltiplicarsi delle forme e degli ambiti di socializzazione, ciascuno dei quali crea nuovi ruoli (una
valutazione che sarà ripresa e sviluppata da Goffman).
Secondo Tönnies (1855-1936) la comunità è una unità sociale organica basata su vincoli
e rapporti personali simili a quelli famigliari.
Sono dunque i gruppi residenti in villaggi rurali a formare “comunità”, caratterizzate da
legami come il senso di appartenenza e la solidarietà.
Ciò si contrappone all’impersonale “società” urbana, intesa come rete artificiale di rapporti
di scambio, dove gli individui restano isolati e si rapportano gli uni agli altri solo in relazione alle
prestazioni reciproche.
Simmel afferma che la contrapposizione suggerita da Tönnies sia infondata, poiché fra
ambiente rurale e urbano esistono differenze sociali e culturali, ma assai più sfumate,
diversificate e attenuate.
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Le trasformazioni culturali in ambito urbano determinano il dominio delle forme di
mediazione.
Secondo Simmel il denaro rappresenta la principale forma di mediazione della città
metropolitana, è adatto a una situazione di estrema complessità, ma genera a sua volta importanti
cambiamenti nello stile delle relazioni sociali.
Il denaro si pone come metro di misura neutro e universale capace di quantificare, di
permettere il calcolo e quindi di oggettivare qualunque tipo di azione.
Tuttavia anche il denaro ha un ruolo ambivalente:
la quantificazione ha permesso
all’uomo di “prendere distanza dalle cose”, appunto misurandole, valutandole in maniera più
oggettiva e neutrale; allo stesso tempo però ha reso l’uomo sempre più schiavo delle cose che aveva
misurato.
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2 Simmel e il cittadino blasè
Attraverso il denaro il cittadino moderno vive nell’ambivalenza: è prigioniero dei ruoli e del
“valore misurato”, ma allo stesso tempo è più libero.
La consapevolezza dello scambio gli permette di prendere le distanza da qualsiasi forma di
reificazione.
Il moltiplicarsi delle appartenenze (come reificazione) e dei ruoli obbliga il cittadino
moderno a costruire a poco a poco il nucleo del “vero sé”.
Lo stile di vita urbano contribuisce a tale processo attraverso una sua specificità: porta
l’uomo moderno verso una certa indifferenza, porta l’affievolirsi della sensibilità e degli stimoli
(troppi e troppo frequenti), producendo un atteggiamento distaccato (blasé), per certi aspetti cinico,
tipico di colui che crede di aver già visto tutto.
Il cittadino blasé moderno si concentra su sé, opponendo il soggettivismo
all’oggettivazione crescente del mondo.
Il cittadino blasé risponde ai continui stimoli e incontri offerti dalla metropoli,
preservando il suo anonimato, anestetizzando la sua attenzione. L’atteggiamento blasé è quindi una
forma di autodifesa indispensabile in un contesto in cui si rischierebbe di essere travolti dalle
sollecitazioni emotive.
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Queste le caratteristiche sociologiche principali messe in luce dall’analisi di Simmel:
1. l’autonomia individuale legata alla differenziazione dei ruoli;
2. l’intensificazione della vita nervosa;
3. lo spirito calcolatore e strategico (non solo razionale);
4. il cosmopolitismo.
Secondo Simmel il cittadino è sottoposto a vincoli nuovi: non più il controllo
comunitario e religioso, bensì il controllo della tecnica, il pericolo di essere confusi nella
massa, l’anonimato (questi temi saranno ripresi anche da Benjamin e Adorno).
Il cittadino è più aperto alle esperienze, il provinciale è più conservatore, attaccato alle
abitudini.
Se in condizione campagnola o provinciale il produttore conosce il suo cliente, nella
metropoli lo scambio si svolge nell’anonimato del mercato, dove entrambi misurano i loro interessi
attraverso il calcolo, il denaro e si trattano da sconosciuti.
In città tende a scomparire ogni economia di autoconsumo.
L’individuo di città è libero dall’oppressione delle cerchie comunitarie o famigliari, è
libero di muoversi e di frequentare gruppi diversi, questo è reso anche necessario dalla complessa
divisione sociale del lavoro (es. professione del Quatorzième a tavola) e dalla continua
specializzazione delle professioni.
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Simmel e la scuola di Chicago
La libertà cosmopolità è pagata con la difficoltà a emergere come persona, con la sua
unicità di caratteristiche, tutto si diversifica e tutto si uniforma.
Da qui la necessità di apparire e di mostrarsi per poter esistere, attrarre l’attenzione per
ottenere stima di sé.
Qui Simmel si ricollega alla moda e alle funzioni del vestito come pratiche di ostentazione.
Più è grande e cosmopolita la città, più è ampio il margine di libertà individuale, il
singolo è in continuo contatto con culture e abitudini diverse, lo spazio di contatto culturale
trascende le frontiere fisiche della città.
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3 Cosmopolitismo e influenza sulla scuola di
Chicago
La sociologia urbana di Simmel influenza i teorici americani della Scuola di Chicago.
Essi lavorarono a una rifondazione della sociologia come disciplina a sé, partendo dalla
pubblicazione, nel 1925, di The city di R.E. Park, E.W. Burgess e R.D. Mckenzie.
La Scuola di Chicago studia la città attraverso lo strumento metodologico dei social
surveys, accompagnando la lettura del dato con l’approccio ecologico.
L’Università di Chicago istituì il primo Dipartimento di Sociologia nel 1892; 50 anni dopo
divenne una delle forze dominanti nel pensiero sociologico americano. Il gruppo di studiosi che
lavorava all’interno fu definito come “Scuola di Chicago”.
Uno dei temi principali era lo sviluppo e il cambiamento del comportamento umano indotto
dall’ambiente sociale e fisico. Consideravano la comunità come il principale elemento di influenza
sul comportamento.
I metodi di cui la Scuola si avvalse costituirono importanti contributi. Attraverso lo sviluppo
della sociologia empirica andarono al di là della filosofia sociale per intraprendere lo studio degli
individui nel loro ambiente sociale.
La raccolta di storie di vita costituiva lo strumento di ricerca più adeguato.
La tecnica dello studio ecologico permetteva di trascendere le singole individualità e
studiare in gruppo le persone.
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Gli studiosi di scienze sociali vissuti all’inizio degli anni Venti del secolo scorso dovettero
confrontarsi con molti fenomeni sociali nuovi: sviluppo delle città, industrializzazione,
immigrazione ecc.
Gli esponenti della Scuola di Chicago considerano l’urbanizzazione degli USA una delle
cause maggiori per i problemi sociali.
Chicago si sviluppò rapidamente e quando l’industrializzazione giunse al limite i lavoratori
vennero resi superflui dall’innovazione tecnologica; così cadde la domanda di manodopera.
Molte persone dovettero spostarsi e lontano dai legami comunitari migliaia di disoccupati si
diedero al vagabondaggio.
Per alleviare questi problemi tra il 1920 e il 1940 sorsero molte organizzazioni sociali.
Benché l’attenzione vertesse sui poveri si considerava che la criminalità veniva perlopiù da ghetti e
dagli immigrati.
L’ultima ondata massiccia migratoria negli Stati Uniti era costituita da individui dell’Europa
meridionale e orientale. Il crogiolo del sogno americano divenne presto l’incubo dell’efficacia della
legge. Spesso le persone vedevano la legge come estranea e rifiutavano di osservarla.
Fino all’inizio degli anni Venti del secolo scorso la Criminologia americana era ispirata a
quella europea; un cambiamento si ebbe con l’ascesa delle teorie sul comportamento degli individui
e dei gruppi.
Cominciò a prevalere l’influenza tedesca, che era prevalentemente di tipo sociale e culturale.
Così, i sociologi americani cercarono di accreditare la scientificità dell’analisi del loro
campo per contrastare un immagine sociologica puramente filosofica.
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Gli studi della Scuola di Chicago, con la loro attenzione alle città e alle comunità sociali,
continuarono per tutti gli anni Quaranta, anche se oggi persistono ancora.
Alcune tematiche della criminologia ecologica ricomparvero negli anni Settanta, sotto la
denominazione di “design ambientale e criminologia geografica”.
Newman elaborò il concetto di spazio difendibile e la sua idea era che qualunque spazio
fisico è immune al crimine quando i suoi abitanti lo considerano come loro territorio.
Una delle nuove direzioni imboccate dalla teoria ecologica verte sul verificare la stabilità
dell’ambiente sociale nel tempo.
Reiss e altri hanno cominciato a compiere studi sulle carriere criminali di una comunità.
Si chiedono in che modo i cambiamenti avvengano all’interno e all’esterno delle aree urbane
e in che modo influenzino l’andamento dei rispettivi tassi di criminalità.
Molti criminologi hanno sostenuto che i quartieri degradati sono tali a causa del disinteresse
sociale dimostrato per l’area di residenza, che a sua volta crea un clima di paura e criminalità.
Stark presenta una teoria ecologica denominata dei luoghi devianti.
Riguardo le implicazioni politiche si può dire che la Scuola di Chicago abbia avuto un
importanza rilevante; per esempio, i dipartimenti di polizia usano ancora oggi la “spot map” ideata
dalla Scuola, una mappa della città su cui registrano strade criminali.
In seno alla Scuola di Chicago il fenomeno urbano come oggetto d’indagine è analizzato
attraverso le fasi di: nascita, sviluppo e l’organizzazione.
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La città diventa il modello in cui sperimentare e osservare le interazione fra gli individui e
l’ambiente fisico; praticare cioè l’analisi della
disposizione dei luoghi
che intrecciano
e
delimitano l’azione della popolazione.
Burgess afferma che lo spazio urbano si articola in zone concentriche: il centro degli
affari, una zona di transizione di unità produttive e di commercio, una zona residenziale operaia,
una zona residenziale e, all’esterno, una fascia abitata da lavoratori pendolari.
Ciò fa sì, secondo Burgess, che la distribuzione della popolazione sul territorio avvenga
per aree omogenee sia dal punto di vista sociale che culturale.
Sulla scorta di questo approccio, i sociologi di Chicago hanno rivolto la loro attenzione
all’organizzazione sociale e alla cultura di aggregati sociali (come gruppi etnici e bande) collocati in
aree specifiche della città.
Le «aree delinquenziali» in una città sono un caso di ricerca empirica in sociologia (1966).
Il metodo usato è quello di localizzare gli atti criminali segnando su una mappa di
Chicago il luogo di residenza del delinquente o, in qualche caso, il luogo dove è avvenuto il
crimine.
La carta a nube di punti che ne risulta è, quindi, corretta in relazione alla densità della
popolazione, in modo che l’incidenza dei delinquenti in ogni area risulti proporzionale al numero
dei giovani che rientrano nell’età presa in considerazione, diciamo dai dieci ai sedici anni.
Con questo metodo si può accertare che l’incidenza di delinquenza è notevolmente più alta
in certe aree, che vennero chiamate aree delinquenziali, mentre più basso nelle aree definite
residenziali, dove maggiore è la ricchezza pro-capite e minore il tasso di etnicizzazione.
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Inoltre si riesce a dimostrare che il tasso di delinquenza è inversamente proporzionale alla
distanza dal centro della città e che le aree ad alto tasso di delinquenza presentano altri sintomi di
disorganizzazione sociale: alto numero di assistiti, di trasferimenti e di suicidi.
L’urbanesimo come modo di vita, noto articolo di Louis Wirth del 1938 divenuto un
classico della sociologia, è un esempio di questa valorizzazione.
A partire da una definizione sociologica di città giocata su tre variabili (dimensione
dell'insediamento, densità ed eterogeneità della popolazione), Wirth approda a una psicologia
dell’abitante urbano vicina a quella di Simmel.
Superficialità, carattere anonimo e transitorio dei rapporti sociali, in grado di generare tanta
tolleranza quanta indifferenza, sono il debole e particolare collante che lega gli individui
metropolitani.
Wirth sottolinea come il passaggio dalla vita rurale a quella urbana comporti di per sé il
declino del significato sociale della famiglia, la scomparsa del vicinato e lo scalzamento della
base tradizionale della solidarietà sociale.
Per Wirth quindi l’urbanesimo apre varchi e derive come i suicidi e le forme delinquenziali.
Park, allievo di Wirth, è particolarmente attento alla condizione delle minoranze etniche
che popolano le città americane.
Elaborando la categoria di marginal man, assegna alle minoranze un ruolo ibrido per
cultura e razza, che tuttavia non possiede i connotati positivi dello straniero di Simmel.
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Malessere, instabilità psichica, ipertrofia delle coscienza di sé, scarsa reattività: di questi
elementi è composta l’identità del marginale, la figura di perdente che Park ritiene di aver
individuato come tipica della popolazione urbana in trasformazione.
Lo studio del contadino polacco, elaborato da Thomas e Znaniecki, è un manifesto
metodologico che certifica l’insostituibilità dell’esperienza diretta del ricercatore.
Tale conditio induce Park a creare una tradizione di studi che vede nella strada il proprio
luogo d’azione:
 per studiare il fenomeno delle Taxi-girl (ragazze che ballano a pagamento, nelle Taxi-dancehall) i ricercatori si mescolano al pubblico e si mimetizzano in quegli ambienti;
 Anderson vive da hobo (barbone) per anni.
 Whyte, autore dell’imprescindibile saggio Il ghetto (1928), diventa amico del capobanda
Doc e tiene contatti con vari "corner boys" per descrivere la vita della street corner society.
Il campo diventa lo spazio d’analisi della life history analysis.
La ricostruzione dei percorsi biografici, attraverso i resoconti in prima persona dei soggetti
considerati devianti o marginali, diventa fonte infinita di informazione.
Il campo è perfettamente complementare alla prassi osservativa perché permette di calarsi in
prima persona nei diversi microcosmi sociali.
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Bibliografia

Morcellini M., Comunicazione e media, EGEA, Roma 1993.

Smelser N. J., Manuale di sociologia, Il Mulino, Bologna 2011.
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