Uploaded by Martina Pellegrinelli

RAPPORTO DI LAVORO

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RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO
Il diritto del lavoro, anche storicamente, si incardina sulla subordinazione. I diritti dei lavoratori
presuppongono che i lavoratori siano subordinati. Questo crea due problemi:
1. Aumentano in Italia, il numero dei lavoratori con contratto d’opera cioè come lavoratore autonomo.
2. Questi lavoratori chiedono un certo standard di tutele essendoci anche stato un impoverimento della
classe media e in generale nelle società occidentali e quindi, anche per chi svolge lavoro autonomo
o sia professionista, c’è un’esigenza di avere un certo quantum di tutele, che prima non avevano
bisogno perché rappresentavano il ceto privilegiato.
C’è stato un allargamento delle tutele, un’estensione di qualche tutela anche ai lavoratori autonomi, ma
solo di qualche tutela e solo a certi di loro. La situazione è ancora insoddisfacente. Come dimostrano le
vicende dei lavori su piattaformariders.
In conclusione, l’ambito applicativo del diritto del lavoro copre sostanzialmente solo il lavoro
subordinato:
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Una tutela sostanzialecontenuti nella legge o nei contratti collettivi di primo o secondo livello e
sono una serie di diritti economici (TEM o TEC) e diritti non economici (diritto alla malattia, diritto al
non essere licenziati in forza di una giustificazione)questi diritti coprono tutto il rapporto di lavoro
dalla nascita sino alla cessazione
Una tutela previdenzialeil lavoratore subordinato è coperto dal punto di vista contributivo ossia il
datore di lavoro deve anche versare ogni trimestre contributi sociali all’INPS (affinché possa erogare
le pensioni ai lavoratori in pensione)
Una tutela processuale i lavoratori subordinati godono di una possibilità quando vogliono far
valere un proprio diritto, dinanzi al giudice, possono rivolgersi al giudice (1° livello tribunale, 2 livello
Corte d’appello, 3° livello Corte di Cassazione) ordinario in funzione del lavoro. Il processo del lavoro
è regolato a parte, con delle norme a doc ed è un processo molto più rapido con lo scopo di arrivare
alla sentenza in termini più rapidi possibili.
Queste norme sul processo del lavoro sono state introdotte nel nostro Codice di procedura civile nel
1973/533 quella che ha anche rivisto l’art. 2113. Di queste tre tutele noi ci occuperemo della prima. Questi
diritti sono cresciuti nel tempo o comunque è cresciuta la legislazione che ha previsto quei diritti. Perché se
ritorniamo alle origini del diritto del lavoro le leggi erano fondamentalmente solo due: la legge sul lavoro dei
fanciulli e la legge sulla sicurezza ed infortunio sul lavoro.
Nella legislazione del lavoro possiamo individuare due fasi:
1. Le leggi sul lavoro hanno mirato ad accrescere i diritti dei lavoratoriha avuto il suo apice con lo
statuto dei lavoratori. Fino al 1973 o 75, le leggi emanate sono intervenute per rafforzare e ampliare
i diritti dei lavoratori subordinati.
2. A partire dalla metà degli anni 70, le cose cambiano. Le leggi non intervengono più in una logica
incrementale di diritti, ma per far fronte alla crisi dell’impresa e poi al bisogno di flessibilità delle
imprese, che sempre più in difficoltà nel gareggiare in un mercato globale, difficile e non stabile.
Mentre nella prima fase la legislazione del lavoro era nazionale, nella seconda fase il diritto del lavoro si
è sempre più internalizzato. La scena del mercato ormai è diventata internazionale e quindi anche la
legislazione sul lavoro è influenzata sulle fonti sovra convenzionali.
Alcuni dei provvedimenti normativi più importanti sono: Codice civile, la Costituzione, direttive europee,
lo statuto dei lavoratori, la legge Biagi, la legge Fornero, il Job act, il decreto dignità.
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1. La costituzione a partire dall’articolo 1 contiene tante norme sul lavoro
2. Il Codice civile contiene tante norme sul rapporto di lavoro subordinato: disciplinato all’articolo 2294
in contrapposizione al contratto d’opera articolo 2292.
3. Lo Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970)
4. Legge Biagi (D.Lg.s. n. 276 del 2003)questo rappresenta un provvedimento fondamentale in
direzione della flessibilità del lavoro e modifica e cambia il volto del diritto del lavoro italiano. governo
di destra
5. Legge Fornero (L. 92/2012)è intervenuta su due importanti aspetti: le tensioni e il secondo aspetto
che si ha modificato la norma che prevedeva forti sanzioni, prima della legge Fornero, sul
licenziamento ingiustificato, stabilendo come regola generale il diritto del lavoratore ad essere
reintegrato nel luogo di lavoro.
Jobs Actsi fa riferimento alla legge 183/2014, che ha delegato il governo ad emanare 8 decreti legislativi
che hanno rivisto tutto il diritto del lavoro sempre nel segno della flessibilità. Governo di sinistra Governo
Renzi
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D.lgs. 81 del 2015 in cui troviamo tutte le regole sui contratti in particolare sui contratti di
lavoro flessibili
d.lgs. 23 del 2015riforma la disciplina dei licenziamenti a tutto favore delle imprese. Questo è
stato smontato dalla Corte costituzionale, nei suoi principi fondamentali.
D.lgs. N.148 del 2015ha riformato sulla cassa integrazione guadagni
D.lgs. N.22 del 2015NASPI disoccupazione
Con il Jobs act abbiamo fatto il pieno di flessibilità e di precariato riduzione dei diritti del lavoro
Decreto Dignità D.L. n.87 con il Governo Conti, in particolare con il ministro Di Maioconvertito in L. 96 del
2018 e si tratta di un decreto che restringe la possibilità a termine i lavoratori subordinati, proprio allo scopo
di combattere il precariato (che nel nostro mercato del lavoro sono esplose e hanno continuato ad esplodere
nel post pandemia). I rapporti di lavoro accesi sono per l’80% di lavoro a termine.
Il lavoro mediante piattaforme digitali: D.L. n. 101 del 2019 conv. In L. n. 128 del 2019: Un altro intervento
è stato fatto con il nuovo governo Conte Bis che si è trovato a gestire la situazione pandemica Ha introdotto
particolari protezioni dei lavoratori autonomi che operano come ciclofattorini quindi rider su piattaforme
digitali.
La legislazione pandemica è stata gestita a colpi di DL e di DM e con dei protocolli fatti con i sindacati per
gestire la parte di sanificazione.
La situazione pandemica è stata gestita con dei strumenti:
o Blocco dei licenziamenti collettivi
o introduzione di una nuova causale covid-19 cassa integrazione
o smart working per tutte le prestazioni smartizzabili
o congedi e bonus per le famiglie
o c’è stata una leggera apertura per le assunzioni a termine; che ha consentito alle imprese di
assumere con facilità a contratti determinato.
La legislazione post-pandemica: fino al 31/12 di quest’anno si può ancora andare in smart working in maniera
semplificata ed è stato eliminato il blocco dei licenziamenti con la conseguenza che si sono aperte tante
vertenze: hanno attuato i decreti 104 e 105 in consonanza con gli obiettivi dell’Unione Europea e quini hanno
attuato delle direttive:
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direttiva genitorialità 2019/1152/UE (Decreto 105)che si riferisce a tutta la parte dei congedi e
anche ai caregiverscoloro i quali assistono parenti o coniugi non autosufficienti (anziani e disabili)
(no esame)
direttiva 2019/1158/UE Decreto 104attua una direttiva che garantisce condizioni di lavoro
trasparenti e prevedibili per i cittadini dell’unione europea. Questa direttiva è stata attutata con
decreto legislativo 104. L’obbiettivo è cercare di tutelare i lavoratori attraverso una legislazione che
scommette sulla trasparenza dei rapporti di lavoro e sulla loro prevedibilità: quando il lavoratore
viene assunto, deve essere messo a corrente, con una normativa scritta di tutti gli aspetti relativi al
suo rapporto di lavoro; inoltre deve avere una programmazione del lavoro più possibile prevedibile
allo scopo di contrastare il lavoro ultra-precario, in particolare di contratti a chiamata.
Legge 162/2021 coerente con l’obiettivo 5 del PNRR legge sulle donne. Questa legge ci da una
nozione di discriminazione diretta e indiretta più ampia del passato e introduce una certificazione di
genere (di cui le aziende si possono dotare con una procedura volontaria e incentivata dallo stato e
chi ha questa certificazione poi può accedere a determinati finanziamenti da parte dello stato).
NUOVO TITOLO V della Costituzione Art. 117:
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Competenza esclusiva dello statoordinamento civile (c.2, lett. l): disciplina intersoggettiva di
qualsiasi rapporto di lavoro
Competenza concorrente stato/regionitutela e sicurezza del lavoro (c.3): disciplina dei servizi per
l’impiego
Competenza esclusiva delle regioniresiduale: tutti gli aspetti che riguardano la formazione
professionale
Nel diritto del lavoro le leggi regionali sono pochissime perché c’è un’esigenza di mantenere un’informità di
diritti su tutta l’Italia e quindi di non creare un diritto di lavoro a macchia di leopardoart. 117 della
Costituzione. La legislazione italiana è dominata dalla legislazione nazionale.
Queste leggi, lo abbiamo visto prima parlando del tipo di efficacia del contratto collettivo, come il contratto
collettivo è efficace inderogabile in peggio anche tutti i diritti previsti dal diritto del lavoro, contenuti in quel
che noi chiamiamo diritto del lavoro, sono diritti inderogabili e quindi lo dice l’art. 2113 del codice civile,
come abbiamo visto stamani, che ai diritti derivati dalla legislazione sul lavoro si può derogare imperius
validamente solo dinanzi alle sedi protette: giudice, sindacato, ispettorato e commissioni di certificazioni.
LAVORATORE SUBORDINATO E LAVORO AUTONOMO
Dal momento della fase di assunzione, della costituzione del contratto individuale di lavoro sino alla
cessazione vedremo tutte le leggi in materia di lavoro.
Quando c’è un rapporto di lavoro subordinato? In cosa consiste la subordinazione?
Il lavoro è sottoposto a regimi giuridici diversi a seconda del come si lavora, perché il diritto del lavoro è nato
davanti alla figura del lavoratore subordinato. La nozione del lavoratore subordinato lo troviamo nell’art.
2094 del C.c. in contrapposizione alla figura del contratto del lavoro autonomo, chiamato contratto
d’opera e regolato dall’art. 2222.
Quando c’è lavoro subordinato scattano una serie di tutele di lavoro:
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una tutela che si gioca sul piano dei diritti economiciuna retribuzione non inferiore ad un certo
minimo, secondo l’art. 36altri diritti non economici (ferie, congedi…).
Il lavoratore ha anche una tutela previdenziale, perché il datore di lavoro deve accendere una
posizione previdenziale dove versa i contributi all’INPS, in modo da coprirlo e proteggerlo per il
periodo della vecchiaia, così da ricevere una pensione.
La differenza si gioca anche, sul versante fiscale del diritto tributario, perché i lavoratori dip. concorrono alla
tassazione secondo regole diverse da quelli autonomi.
La protezione sul versante processuale è diversa, nel senso che i lavoratori subordinati possono rivolgersi per
rivendicare la protezione dei propri diritti al giudice del lavoro:
1 grado tribunale
2 grado la corte d’appello
3 grado la cassazione civile sezione lavoro
Protezione particolare che il codice italiano ha delle regole speciale pensate per consentire una maggiore
rapidità del contenzioso. Dagli articoli 309 del Codice civile processuale e seguenti.
Non è sempre agevole nei casi pratici, distinguere tra lavoro subordinato e autonomo. La valutazione e il
procedimento di qualificazione del rapporto può essere difficile.
Art. 2094definisce il prestatore di lavoro; non definisce il contratto di lavoro subordinato, ma il soggetto
prestatore di lavoro; una scelta ideologica voluta perché ispirata ai principi della dottrina fascista che
inquadrava il rapporto di lavoro nell’impresa come un rapporto comunitario, in cui il lavoratore era un
collaboratore dell’imprenditore, affinché capitale e lavoro potessero cooperare al raggiungimento di un
interesse superiore (interesse al benessere dell’economia nazionale). In una ricostruzione di questo tipo, si
stempera la diversità e alterità degli interessi delle parti, si stemperi un contratto in cui ci sono diverse parti
che vogliono diversi interessiil fatto che non definisca, l’art. 2094 il contratto serve per
simulare/nascondere il fatto che tra e parti esiste un contratto e una rivalità di interessi. Nonostante,
nell’articolo 2094, viene definito che il prestatore di lavoro subordinato è obbligato a prestare lavoro, così
come è obbligato il datore di lavoro a pagare il corrispettivo al lavoratore. Quindi c’è un contratto a titolo
oneroso, un contratto di scambio in cui ci si scambia lavoro.
Un contratto di scambio oneroso, ce lo abbiamo anche quando una persona si obbliga a lavorare in forza di
un contratto d’opera: anche qui c’è un rapporto obbligatorio dove il lavoratore autonomo si impegna a
garantire un servizio/opera in cambio di corrispettivo.
La cosa che distingue il contratto di lavoro subordinato da quello di lavoro autonomo è il fatto che nel caso
del lavoro autonomo, c’è la possibilità che si faccia supportare, presti l’opera anche con il supporto di altri
soggetti purché il suo lavoro sia prevalente. Nel lavoro subordinato, si presta lavoro in maniera personale e
continuativa nel tempo, alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore (questo qualifica la
subordinazioneladdove l’attività lavorativa venga effettuata sotto la dipendente della controparte).
Nel caso di lavoro autonomo parliamo di committente e non c’è il vincolo di subordinazione. Il lavoro
autonomo presta sempre un’attività, guardata dal legislatore nel suo risultato, non una messa a disposizione
delle energie psicofisiche della persona nel tempo, ma l’opera e il servizio e quindi non deve essere
sottoposto a delle direttive. Può compiere l’opera e il servizio secondo modalità non eterodirette. C’è
subordinazione dove c’è l’etero organizzazione, dove ci sono delle direttive stringenti con obbligo di
obbedienza (art. 2104 del C.c.).
METODI QUALIFICATÒRI NELLA GIURISPRUDENZA
È lavoratore subordinato chi ha svolto la propria prestazione non in maniera autonoma ma dovendo
osservare direttive da parte della controparte. Il datore di lavoro ha un potere di dare direttive, dove c’è
subordinazione, e di vederle osservate e obbedite, da cui discendono altri due poteri: potere di controllare e
vigilare se le direttive sono state osservate e un potere di sanzionare il lavoratore qual ora si accorgesse che
non c’è stata un’obbedienza.
Dobbiamo verificare l’eterodirezione e in altri termini se il datore di lavoro ha esercitato i tre poteri
menzionati.
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Potere direttivo: espressione della subordinazione; potere di controllo: perché le direttive una volta
emanate bisogna controllare che vengano osservate, ci sia un dovere di adempienza delle direttive;
potere di controllo: è necessario che le direttive vengano osservate (adempimento del dovere di
obbedienza
potere punitivo, disciplinare per punire e sanzionare il lavoratore che vanno dalla minima
(rimprovero verbale) sino alla massima (licenziamento)
In casi non rari, ci sono ipotesi di simulazione: vengono stipulati di potere autonomo, il lavoratore si trova
davanti ad una proposta di assunzione dove il datore gli propone in realtà, un contratto di lavoro
autonomocontratto d’opera. Sulla carta il lavoratore è autonomo, poi nei fatti il lavoratore è subordinato
perché ha delle direttive e controlli stringenti sulla sua attività lavorativa. In questi casi il lavoratore può
andare dinanzi al giudice e dimostrare al giudice che il contrato d’opera nasconde un contratto subordinato.
Per dimostrarlo deve portare al giudice le prove della subordinazione ingiustificata. Se il lavoratore ha un
obbligo con un orario di lavoro stringente non può organizzare il suo lavoro liberamente, questo non è
compatibile con l’autonomia, è un sintomo che c’è una simulazione.
È importante capire che il diritto del lavoro è il diritto della effettività: il giudice di fronte ad un lavoratore
che pretende certi diritti contro la controversia, il giudice deve ripristinare la realtà dei fatti. Il giudice gli
riconoscerà una retribuzione minima (diritto al trattamento economico minimo desunto dall’art. 36 e quindi
dal contratto collettivo di categoria), poi gli assicurerà altri diritti non economici (tutte le ferie che ha
maturato ma non ha goduto, i riposi), riconoscerà il TFR e poi soprattutto se il rapporto se c’è chiuso questo
sarà configurato come un licenziamento se è l’imprenditore che chiede il licenziamento questo deve avere
giusta causa.
SMART WORKING – LAVORO AGILE
Il lavoratore subordinato può essere svolto in maniera agile legge 81 del 2017; il lavoro agile è stato utilizzato
in funzione anticontagio. La legge 81 al capo 2, articoli 18 e seguenti lo definisce come una modalità di lavoro
subordinato un po’ particolare, cioè agile. Il lavoro subordinato è agile, quando può essere prestato almeno
in parte senza vincoli di spazio e di tempo. Classificamene il lavoro subordinato prevede un orario di lavoro
rigido, prevede che il lavoratore lavori nei locali dell’impresa. il lavoro agile può essere prestato senza vincoli
di orario, salvo solo il rispetto della durata massima dell’attività giornaliera e settimanale a protezione della
salute del lavoratore). Decreto lgs 66 del 2003: stabilisce tetti massimi di lavoro a protezione dell’integrità
dei lavoratori. Il lavoratore subordinato nel lavoro agile può organizzare l’attività lavorativa in maniera libera
e in luoghi diversi dai locali dell’impresa.
Quali sono le regole che l’imprenditore deve osservare per porre un lavoratore dipendente in maniera
agile?
La legge 81 prevede un principio fondamentale: vi sia il consenso del lavoratore, deve esserci un accordo a
doc da cui derivi il consenso del lavoratore a svolgere l’attività smart working. Durante la pandemia si è
acconsentito all’imprenditore di porre i propri dipendenti in smart working senza il loro consenso, necessità
legata a tutelare il personale dal covid 19. Questa regola nonostante l’emergenza pandemica non ci sia,
resiste ancora fino al 31/12/2022 detto anche smart working semplificato.
L’accordo tra dipendente e imprenditore deve essere:
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forma vincolata dell’accordo e suo contenuto: redatto in forma scritta ad probationem, può essere a
tempo indeterminato
Priorità: per genitori di figli fino a 12 anni o disabili e ai caregivers
Contenuti dell’accordo: deve contenere come verrà svolta l’attività agile, deve specificare le
attrezzature utilizzate, le modalità verso cui il lavoratore sarà sottoposto alle direttive
dell’imprenditore, deve individuare le misure che vanno a tutelare la salute e sicurezza del lavoratore
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(il problema più grosso è come dirigere il lavoratore, non si possono dare direttive stringenti,
bisognerà organizzare delle fasce di disponibilità in cui il lavoratore può essere contattato). Il fatto
che il lavoro si sposti fuori dai locali dell’impresa determina dei contraccolpi sul potere direttivo e di
controllo. L’aspetto di salute e di sicurezza: c’è il rischio di un mix eccessivo, il lavoratore è vero che
è più libero però può essere anche uno svantaggio, non avendo dei paletti fissi, questa attività
lavorativa rischia di scivolare nell’over worksi è sempre contattabili, non si stacca mai, sempre
davanti al computer, c’è un iper-connessione tra lavoro e vita del lavoratore. Quindi la legge 81 ci
parla di un nuovo diritto che si chiama diritto alla disconnessione. L’accordo dovrà disciplinare questo
diritto: il lavoratore deve avere dei momenti in cui non dovrà essere contattato dall’imprenditore.
Recesso dall’accordo: se a tempo indeterminato c’è un preavviso di almeno 30 gg. (90 per il datore
di un disabile) salva la presenza di un giustificato motivo. In presenza di tal motivo è possibile altresì
recedere ante tempus quando l’accordo è a termine (art. 19)
Tutela economica e normativa: i lavoratori agibili hanno diritto ad un trattamento non inferiore
rispetto agli altri lavoratori. Durante la pandemia c’è stato un dibattito sul buono pasto che non
veniva riconosciuto ai lavoratori perché si trovavamo nei luoghi abitatiti.
Tutela della salute (art. 22), nonché contro gli infortuni e le malattie professionali INAIL (art. 23)
Nel 2021 è stato stipulato, un protocollo dalle grandi confederazioni: protocollo sul lavoro agileha
stabilito che il diritto alla disconnessione può essere regolato dai contratti collettivi. La disconnessione può
essere assicurata in maniera più certa se ad esempio il server dell’impresa ad un certo orario venga spento
(una disconnessione di tutta l’azienda). Ovviamente se il lavoro è tanto la disconnessione si può ritorcere
contro, bisogna stare attenti a calibrare la quantità di lavoro.
LAVORATORE AUTONOMO
ART. 2222 C.c. CONTRATTO D’OPERA
Quando invece un imprenditore stipuli un contratto di lavoro autonomo, esiste un committente (soggetto
che commissiona al lavoratore autonomo il compimento di un’opera o di un servizio art. 2222) che da un
corrispettivo. Il lavoratore autonomo acquisisce non la disponibilità personale dell’attività lavorativa, ma un
impegno a compiere un’opera o servizio in maniera prevalentemente personale (non del tutto),
diversamente dal lavoratore subordinato che presta del tutto la disponibilità personale.
Il lavoro autonomo è in mezzo tra l’impresa e il lavoro subordinato, non sono imprenditori né lavoratori
subordinati. Il rischio del mancato compimento dell’opera e il rischio di non essere riusciti a realizzare il
risultato ricadono sul lavoratore autonomo che se entro un determinato giorno non riesce a prestare il
servizio sarà inadempientec’è un focus sul risultato, diverso da quello del dipendente, ha l’obbligo di
derogare il servizio in cambio del corrispettivo senza vincolo di subordinazione. Il lavoratore autonomo autoorganizza gestisce le modalità per compiere il servizio. Il grado di autonomia di un lavoratore autonomo può
essere molto diverso, ci sono casi in cui c’è un’autonomia piena, del tutto libero di scegliere le modalità per
arrivare al compimento del servizio, oppure c’è un’autonomia non del tutto pieno, perché il committente ha
potere di ingerenza.
È frequente che questi lavoratori vengano chiamati “titolari di partita IVA”, con richiamo al regime fiscale
loro applicabile [a meno che non siano lavoratori autonomi occasionali (reddito annuo derivante da tali
attività fino a 5000 euro), perché in tal caso il lavoratore non deve emettere fattura, ma solo una ricevuta
esclusa da IVA e soggetta a ritenuta d’acconto IRPEF del 20%]
LAVORATORE PIENAMENTE AUTONOMO
Classicamente il diritto del lavoro è stato il diritto del lavoro subordinato; quindi, ha escluso il lavoratore
autonomo (chiamato a partita iva: per poter contribuire alla tassazione dello stato deve aprirlapartita iva
chiama in causa il diritto tributario non il diritto del lavoro). In questo ambito possiamo trovare anche
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lavoratori autonomi intellettuali: lavoratore che crea siti internet. In alcuni casi questi lavoratori autonomi,
professionisti intellettuali, possono appartenere alle professioni protette (dove è necessario iscriversi ad un
ordine professionale), ad esempio gli avvocati, dottori commercialisti, consulenti del lavoro, medici, dentisti.
Sia i lavoratori autonomi e sia le professioni intellettuali (cosiddette ordinistiche) trovano regolamentazione
nel Codice civile libro 5 titolo III, ma non nella logica del diritto del lavoro subordinato, dove la
regolamentazione è volta a tutelare il contraente debole (subordinato). Quindi possiamo dire che per lungo
tempo i lavoratori autonomi non hanno potuto ricevere una protezione simile al lavoratore subordinato.
Tuttavia, a causa dell’impoverimento di questa categoria di lavoratori autonomi, collegato alla crisi
economica dell’occidente, a partire del 2008, anche i lavoratori autonomi hanno iniziato a cercare una
protezione. La legge italiana per rispondere a queste lamentele cosa ha fatto? Nel 2017 con la stessa legge
che ha introdotto il lavoro agile (capo II), sono state introdotte alcune leggi, al capo I, per i lavoratori
autonomi: chiamato statuto del lavoro autonomo.
STATUTO DEL LAVORO AUTONOMO: (L. n. 81 del 2017) capo primo:
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Tutela nel mercato
a) Repressione dell’abuso dei committenti quando questi siano in una condizione predominante: è
una protezione che la legge vuole dare ai lavoratori autonomi nei confronti dei committenti che siano
in posizione economica forte e sfruttino questa posizione sul mercato per ottenere condizioni di
compimento dell’opera più favorevole a loro, per dilazionare i pagamenti. Tra le tutele del mercato
ce ne sono varie:
b) la legge 81 estende i lavoratori autonomi la disciplina sulle transazioni commerciali nell’impresa. il
lavoratore autonomo non è un imprenditore ma può avvalersi di questa disciplina che prevede per
l’imprenditore dei termini di pagamento che il committente non può superare: 30 giorni per il
pagamento dell’opera o servizio 60 gg se si tratta di una Pubblica Amministrazione. Nel 2008 con la
crisi, molti imprenditori fallivano perché avevano tanti crediti da riscuotere da parte delle pubbliche
amministrazioni. Con la crisi economica è stato imposto una riduzione del debito pubblico con la
conseguenza che le pubbliche amministrazioni sono state bloccate nei pagamenti e anche
nell’assunzione dei dipendenti. Alcuni imprenditori in quel periodo hanno tentato il suicidio, proprio
perché si sono trovati in una situazione di insofferenza: proprio per non riuscire a riscuotere i crediti
dai clienti.
c) diritto alla utilizzazione economica delle invenzioni
d) diritto alla informazione da parte dei CpI sulle procedure di avvio di attività autonome;
e) diritto alla informazione da parte delle P.A. in relazione alle gare pubbliche.
Tutela previdenziale assistenziale: in particolare vengono estese alcune protezioni tipiche del lavoratore
subordinatopossibilità di estendere la sospensione del rapporto di lavoro per infortunio, per
gravidanza (150 gg all’anno) e ha diritto ad una indennità di maternità a prescindere dall’effettiva
sospensione del lavoro (obbligatoria), c’è l’estensione dei congedi parentali (dati ai genitori di figli
piccoli), estensione all’indennità di disoccupazione alla cessazione del contratto d’operasi chiama dis
col. Diritto della lavoratrice in maternità di farsi sostituire da parte di altri lavoratori autonomi di fiducia,
nonché dei soci. Deducibilità delle spese per la formazione.
Agevolazioni fiscali: Nel 2017 è stata emanata per i professionisti il diritto a vedere compensata la propria
opera, non secondo prezzi del mercato, ma in forza del principio dell’equo compenso. Il compenso è
equo e proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto, proporzionato al contenuto e
caratteristiche della prestazione professionali e conforme a parametri stabiliti da alcuni decreti
ministeriali. Il governo con la nuova ministra del lavoro, Calderone, ha promesso di sbloccare questa
normativa per vederla pienamente applicata. È possibile svolgere l’attività di lavoro autonomo in maniera
occasionale, per questo è possibile non avere partita iva se non si superano i 5000 euro annui provenienti
dall’attività.
Tutela verso le clausole vessatorie: sono vessatorie le clausole volte a consentire al cliente di pretendere
prestazioni aggiuntive a titolo gratuito, nonché altre specifiche clausole elencate nella norma (es.
anticipazione delle spese a carico del professionista, se non concordate tra le parti).
LAVORATORE PARZIALMENTE AUTONOMO
Il lavoratore parasubordinato è quando il lavoratore autonomo sia sottoposto ad una attività continuativa
nel tempo ad un coordinamento da parte del committente. Le collaborazioni COCOCO (collaborazioni
coordinate continuative) sono lavori autonomi dove sia previsto il requisito della continuitàun contratto
d’opera continuativo nel tempo. Intanto, siamo di fronte ad un contratto di lavoro autonomo ma che
presuppone una continuità nel tempouna relazione di durata. In questo caso è compatibile che il
committente abbia un potere di ingerenza sulla prestazione del lavoratore autonomo dandogli delle direttive
generiche (non stringenti se no sarebbe dipendente): si deve indicare delle fasce orarie dove poter svolgere
l’opera. Questa figura non trova disciplina nel C.c. ma viene menzionata nel Codice di procedura civile, art.
409dove rientrano gli agenti e rappresentanti di commercio. La legge diche anche che le modalità di
coordinamento devono essere messe per iscritto, concordate ed esercitate nei limiti previsti dall’accordo. Il
diritto del lavoro riconosce alcune protezioni al lavoratore autonomo, poche e specialmente a partire
dall’abrogazione della legge Biagi che aveva previsto che le Cococo dovessero transitare in un contratto a
collaborazione a progetto (COCOPRO). Con il Jobs Act nel 2015 viene abrogato il contratto a collaborazione
a progetto, che era stato pensato per contrastare l’abuso di Cococo, in quanto l’aggancio della collaborazione
di un progetto ben preciso avrebbe dovuto garantire la genuinità, perché in diversi casi le collaborazioni
coordinate continuative sono fittizie. Per evitare questo la legge Biagi aveva stabilito che per stipulare un
contratto di cococo bisognava elaborare un progetto, solo che questa previsione non è riuscita a salvare
questa figura dagli abusi.
Nel 2012 era intervenuto la legge Fornero a introdurre una stretta per le COCOPRO perché richiedeva che
fosse un progetto particolarmente stringente e dopo la legge Fornero c’è stato un declino dei Cocopro. La
legge Biagi voleva che ci fosse un progetto per iscritto e prevedeva anche una serie di tutele stringenti per i
lavoratori:
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i lavoratori non potevano essere compensati con corrispettivi non proporzionati alla qualità e quantità
dell’opera svolta. Le Cococo possono essere stipulate senza che via sia un progetto scritto e specifico.
I COCOCO possono rivendicare i propri diritti dinanzi al giudice del lavoro come lavoratori subordinati,
differentemente da quelli di partita iva che vanno dal giudice civile. Le norme del processo del lavoro si
applicano non solo ai lavoratori subordinati ma anche ai COCOCO.
I diritti che spettano al COCOCO sono: l’applicazione di un’indennità giornaliera di malattia e di
un’indennità di indigenza ospedaliera, si applica il congedo di maternità, il congedo parentale e anche
l’indennità della DISCOL (disoccupazione)
I cococo devo essere iscritti all’INPS (fondo autonomo diverso dal dipendente, con gestione separata,
contributi bassi), per i contributi previdenziali e all’INAIL, per eventuali infortuni. Questi diritti sono
assistiti dalla 2113.
I COCOCO hanno una loro contrattazione collettiva hanno propri sindacati. Non c’è una previsione di
un salario minimo, non si può parlare di salario/retribuzione ma di un corrispettivo generico deciso dal
prezzo del mercato.
C’è una norma nel Jobs Act, cerca di far fronte agli abusi di COCOCO: stabilisce che quando le parti di un
contratto del cococo siano andate al di là del mero coordinamento, quando il lavoratore sia stato impiegato
in maniera etero organizzata (organizzata dal committente), egli può ricorrere al giudice e vedersi applicato
l’art. 2 del Jobs Act. Qualora un lavoratore autonomo non sia stato utilizzato in maniera autonoma, ma abbia
subito un’ingerenza economica da parte del committente può rivolgersi al giudice e invocare questa norma
che dice che ogni qual volta la collaborazione non sia solo coordinata ma organizzata dal committente, il
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lavoratore può farsi riconoscere al giudice l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato (art. 2094 e
seguenti). Dove c’è etero-organizzazione (lavoro autonomo non semplicemente coordinato), il giudice
applicherà al lavoratore le tutele del lavoratore dipendente.
L’assenza di tali requisiti può essere oggetto di CERTIFICAZIONE Restano in ogni caso salve: a) in caso di
discipline specifiche di accordi collettivi (stipulati dalle confederazioni comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale) per le particolari esigenze del settore; b) le collaborazioni nell'ambito di professioni
intellettuali (con albo); c) collaborazioni di amministratori e sindaci di società, di partecipanti a collegi e
commissioni; d) collaborazioni a favore di società e associazioni sportive dilettantistiche affiliate a federazioni
sportive nazionali.
TUTELE DEL LAVORO MEDIANTE PIATTAFORME ONLINE
La norma dice che questa previsione si applica anche quando il COCOCO sia previsto nelle piattaforme digitali
(ad esempio nel caso dei rider). I giudici del lavoro hanno applicato ai ciclofattorini l’articolo 2considerati
dei lavoratori etero organizzati. Applicando l’articolo 2 i giudici hanno sottoposto a piena protezione,
riconoscendogli la protezione del diritto del lavoro. Il ciclofattorino che sia assunto con un contratto
autonomo, se non ricorre al giudice rimane un contratto autonomo occasionale? No, grazie al fatto che in
questi anni hanno molto investito sul riconoscimento di alcuni dirittinel 2019 sono state introdotte alcune
norme a protezione dei ciclofattorini: Jobs Act art. 47 e seguenti del decreto 81. L’articolo 2 non si applica
nei casi alla Pubblica Amministrazione e per le professioni organistiche.
Nell’ambito di associazioni dilettantistiche e in ogni caso, l’assenza di etero-organizzazione può essere
oggetto di certificazione.
Nel 2019 il vecchio governo Conte Bis ha deciso di inserire nel Jobs Act, un pacchetto di misura a protezione
dei ciclofattorini, anche se sono dei lavoratori autonomi. I ciclofattorini oggi trovano una tutela speciale che
è stata una conquista. Art. 47 e seguenti dicono che qualora il lavoro del ciclofattorino sia svolto in maniera
autonoma questa attività, in quanto svolto attraverso piattaforme digitali, deve avere una protezione
particolare:



Forma vincolata: Il contratto di lavoro autonomo dei ciclofattorini deve essere scritto vincolo formale
per la trasparenza del rapporto
Le protezioni sostanzialiprotezione economia. La legge 47 afferma che questi lavoratori non possono
essere compensati con dei corrispettivi scelti liberamente dalle parti ma il compenso complessivo di cui
hanno diritto di godere deve essere individuato da specifici contratti collettivi nazionali stipulati per i
fattorini dai sindacati comparativamente rappresentativi. Compenso parametrato da appostiti CCNL. Se
questo CCNL non c’è, la legge dice che sarà vietato pagare questi lavoratori a consegnaè vietato il
cottimo e garanzia di un compenso minimo parametrato ai CCNL dei dipendenti del settore (trasporto e
logistica). Inoltre, in ogni caso sarà garantito un’indennità in caso di lavoro notturno, in caso di condizioni
meteo sfavorevoli, in caso di lavoro festivo.
Ci sono altri diritti: diritto a non essere discriminato, la tutela della privacy, tutela della propria salute
(assicurazione obbligatoria contro infortuni e quindi iscrizione all’INAIL).
C’è stato un problema pratico legato alla determinazione economicail CCNL è stato stipulato ma non
da sindacati comparativamente rappresentativi (associazione sindacale delle imprese in piattaforma 
GLOVO, UBER, DELIVEROO e NON JUST EAT). Just eat (azienda olandese) assume i lavoratori subordinati.
Questo CCNL è stato firmato non insieme ai sindacati comparativamente rappresentativi ma con UGL:
alcuni lavoratori sono ricorsi al giudice perché ritengono che questi contratti collettivi non soddisfi le
previsioni della legge.
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PRESTAZIONI OCCASIONALI
DEFINIZIONE: Sono tali quelle attività lavorative occasionali o saltuarie di ridotta entità che per ciascun
prestatore e per ciascun utilizzatore, non diano luogo, con riferimento, rispettivamente, alla totalità dei loro
utilizzatori e dei loro prestatori.
Non vanno confuse con il lavoro autonomo occasionale, in quanto sono quelle prestazioni che possono essere
compensate mediante i voucher. L’impiego di voucher per compensare il lavoratore è consentito da questa
legge del 2017, n. 96, che agli articoli 54 BIS disciplina il lavoro mediante voucher. È legittimo pagare il
lavoratore con voucher ma nei limiti previsti dalla legge e soprattutto a partire dal 2017. I voucher erano già
previsti e potevano essere applicati in maniera più estesala CGL voleva abrogare questa legge perché c’era
un abuso dei voucher.
È possibile voucher per pagare un lavoratore quando:



Solo per attività occasionali o saltuarie
Per attività che in ragione della propria saltuarietà e occasionalità diano luogo ad un compenso non
superiore a 5000 euro all’anno, o da uno stesso committente nei limiti di 2500 con lo stesso
utilizzatore
è vietato impiegare il lavoratore con voucher quando il lavoro diventa pericolo o rischioso per la
salute (miniere, edilizia, negli appalti). In agricoltura sono quasi del tutto vietati.
Può essere utilizzato da:


dalle famiglie che acquisterà, registrandosi presso la piattaforma INPS, un libretto famigliaad
esempio piccoli lavori domestici, come pulizie in casa, badandato, babysitteraggio, ripetizioni private.
Si cerca quindi di far uscire dal nero queste attività. Il voucher è pari a 10 euro, da corrispondere per
un’ora di lavoro
possono utilizzarlo anche i piccoli imprenditori fino a cinque imprenditori e il voucher è di 9 euro,
salvo che nel settore agricolo, dove peraltro queste prestazioni sono quasi sempre vietate e in cui
comunque vigono regole speciali per l’importo del compenso.
Sono vietate nell’ambito degli appalti, delle miniere, dell’edilizia Sono quasi del tutto vietate in agricoltura e
le PA entro limiti rigorosi.
Nella piattaforma INPS deve iscriversi anche il lavoratore in modo tale che possa riscuotere il voucher. Il
compenso è versato dall’INPS al lavoratore, il lavoratore non paga i contributi e né le tasse. I voucher da
quanto sono stati riformati, vengono utilizzati pochissimo proprio per l’estrema complicatezza della
piattaforma INPS. Si discute molto sulla figura subordinata dei lavoratori pagati con voucher. Sicuramente
non sono lavoratori subordinati ma anche lavori autonomi: i tirocini. Il tirocinante non è un lavoratore
RAPPORTI DI NON LAVORO
Esistono due rapporti di non lavoro:
Tirocini formativi e di orientamento:
La legge che disciplina i tirocini afferma che non sono lavoratori ma è un’attività formativa. Il diritto del
lavoro contiene una norma che dice che ai tirocinanti va garantita un’indennità non inferiore ai 300 e che
può essere innalzata dalle regioni. Questi sono i tirocini extra-curriculari: cioè quelli post-laurea svolti con i
disoccupati, che stanno godendo della cassa integrazione, disabili o con altri soggetti vulnerabili (rifugiati).
Possono durare massimo 12 mesi e con disabili fino a 24 mesi. Il tirocinante dovrà svolgere l’attività secondo
un piano formativo individuale e sarà seguito da un tutor. I centri per l’impiego possono proporre ai lavoratori
una costituzione di rapporto di tirocinio, ma anche l’università e le scuole: si stipula una convenzione. La
disciplina deriva dalla legge Fornero da un accordo stato-regioni del 2017. Tutti i tirocinanti sono assicurati
dall’INAIL. Le Linee guida prevedono un massimo di tirocinanti per azienda.
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Lavori socialmente utili:
Sono destinati ai lavoratori disoccupati perché sottoposti a procedure di mobilità oppure in CIG ed hanno lo
scopo di permettere loro il mantenimento e lo sviluppo delle proprie competenze professionali.
Rapporti di lavoro socialmente utili sono considerati rapporti di non lavoro. Sono attività svolte a beneficio
della PA e della collettività. Regioni a province autonome stipulano apposite convenzioni, che possono
prevedere l’adibizione, per massimo 20 ore settimanali, di lavoratori disoccupati ultrasessantenni che
avranno diritto in tal caso a un assegno sociale erogato dall’INPS.
I LSU hanno diritto all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni INAIL, hanno diritto a un periodo di
riposo, nonché alla sospensione della prestazione per malattia.
CERTIFICAZIONE
La certificazione è un istituto introdotto dalla legge Biagi che ha stabilito, di scegliere se certificare il contratto
di lavoro. Oggi è stata introdotta una certificazione per la parità di genere. Qui parliamo di una certificazione
che opera sui contratti di lavoro e di appalto. Grazie sia alla legge Biagi che agli articoli 705 e seguenti:
possono essere certificati tutti i contratti (rapporto di lavoro individuale) che vi sia dedotto direttamente o
indirettamente (degli appalti) una prestazione di lavoro. Una procedura volontariamente applicabile che si
rivolgono a delle commissioni di certificazione per vedere applicata la certificazione al contratto. La
certificazione serve per mettere il datore di lavoro a riparo dalle contestazioni del contratto di lavoro: per
avere un terzo imparziale che ci dice che quando le parti dichiarano il contratto, queste stanno veramente
stipulando contratto di lavoro autonomo.
Ci sono organi appositi per la certificazione: consigli provinciali dei consulenti del lavoro, ministero del lavoro
(in alcuni casi), ispettorato del lavoro, università.
PROCEDURA DI CERTIFICAZIONE
Bisogna presentare un’istanza scritta comune delle parti. L’inizio del procedimento va comunicato all’ITL. Le
Commissioni operano nell’osservanza di propri regolamenti in attesa dei codici di buone pratiche ministeriali
che individueranno anche le clausole indisponibili in sede di certificazione, recependo ove esistano le
indicazioni di accordi interconfederali dei sindacati rappresentativi. Il procedimento va concluso entro 30
giorni con un atto di certificazione motivato (è un provvedimento amministrativo). Con questo atto si certifica
che la qualificazione data dalle parti al contratto è corretta (ad es. che di tratta davvero di lavoro a progetto
oppure di un’associazione in partecipazione e non invece di lavoro subordinato).
Con questa certificazione se ad esempio l’impresa riceve una visita ispettiva da parte dell’ispettorato del
lavoratore, l’ispettore non può mettere in discussione il lavoratore autonomo proprio perché c’è la
certificazione. Con la certificazione, il lavoratore autonomo può andare
-
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impugnare dinanzi al giudice a contestare il rapporto, proprio perché la certificazione non può
bloccare che un lavoratore vada dinanzi al giudice del lavoro, previa conciliazione quando: erronea
qualificazione del contratto; difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva
attuazione; vizi del consenso di una delle parti del contratto. Poiché è sempre possibile impugnare un
contratto certificato gli imprenditori preferiscono non adottare questa certificazione.
Impugnare dinanzi al T.A.R. a contestare una violazione del procedimento o un eccesso di potere.
EFFICACIA GIURIDICA DELLA CERTIFICAZIONE
L’atto di certificazione vincola non solo le parti del contratto, ma anche i terzi (es. Inps) fino al momento in
cui sia stato accolto uno dei ricorsi giurisdizionali di cui sopra: non impedisce pertanto al lavoratore di
impugnare il contratto per provarne il carattere subordinato; impedisce invece all’INPS di emanare, ad es.,
una cartella esattoriale per pretesi crediti contributivi da lavoro subordinato dopo un’ispezione c/o l’impresa
dn cui l’inps abbia detto l’esistenza di lavoro subordinato dissimulato.
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Gli effetti dell’accertamento operano sin dal momento di inizio del contratto, se la Commissione appura che
la sua attuazione è stata sin dal principio corrispondente a quanto certificato (v. L. n. 183/2010).
Se c’è una controversia in tema di subordinazione, il giudice, nella qualificazione del contratto di lavoro e
nella interpretazione delle relative clausole, NON PUO’ DISCOSTARSI dalle VALUTAZIONI delle parti ESPRESSE
IN SEDE DI CERTIFICAZIONE, SALVO il caso di ERRONEA QUALIFICAZIONE DEL CONTRATTO, VIZI DEL
CONSENSO, DIFFORMITA’ tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione (art. 30, c. 3,
L. n. 183/2010).
FUNZIONI DEGLI ORGANI DI CERTIFICAZIONE (ART. 30-31 L. n. 183/2010)
1. Convalidano la qualificazione data dalle parti al contratto di lavoro (funzione di qualificazione rafforzata
del contratto di lavoro).
2. Assistono le parti nella stipulazione del contratto e nella definizione dei suoi contenuti: il contratto così
stipulato può anche contenere delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo, di cui il giudice
tiene conto nel valutare la legittimità del licenziamento (funzioni consulenziale e assistenziale al fine di
rafforzare, per quanto possibile, l’autonomia individuale, compressa dalla presenza di norme legislative
imperative e inderogabili e dal controllo giudiziale sul rispetto di quelle norme, con tendenza a concepire
la certificazione quale strumento di assistenza all’autonomia individuale a fini derogatori anche in peius
della disciplina legale).
3. Tutte le sedi sono anche competenti a certificare le rinunzie e le transazioni di cui all’art. 2113 c.c.
(funzione di c.d. disponibilità assistita, che si collega al potere di assistenza delle parti per quanto
concerne le modifiche dei contenuti contrattuali consensualmente intervenute durante l’esecuzione del
rapporto e comportanti disponibilità dei diritti, nonché al potere di conciliazione delle parti stesse).
4. Possono svolgere funzioni conciliative ed arbitrali nelle controversie di lavoro (art. 412- quater, commi
12 e 13).
5. Certificano la clausola compromissoria eventualmente inserita nel contratto di lavoro.
6. Sono sede protetta per l’inserimento di clausole elastiche nel part-time o per la conclusione di patti di
demansionamento
MODULO 5
IL CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO
REGOLE SULL’ASSUNSIONE DEL LAVORATORE SUBORDINATO
STIPULA DEL CONTRATTO INDIVIDUALE: questo contratto di lavorol’assunzione è libera, nel senso che
vige il principio dell’assunzione diretta. Il lavoratore non deve chiedere agli uffici di collocamento ma può
scegliere liberamente. Ci sono delle eccezioni nei casi dei lavoratori extracomunitari, devono avere un
permesso di soggiorno che si ottiene soltanto se si ha una richiesta da parte del datoresi rientri nel decreto
FLUSSI. Il lavoratore deve dimostrare di avere una richiesta di un datore. Ottenuto il permesso di soggiorno,
il datore deve ottenere un’autorizzazione per l’assunzione di quel lavoratore dal centro per l’impiegovige
il principio della richiesta nominativa. Non si è liberi di assumere ma è necessario un nulla Aosta.
Un’altra deroga è per i lavoratori disabilivige la legge 68 del 1999: perché è previsto un’assunzione
obbligatoria in quanto i disabili sono categorie protette e quindi stabilisce che tutti i datori di lavoro con un
minimo di 15 lavoratori devono avere nel proprio organico un tot. di lavoratori disabili (per supportarli nella
ricerca dei lavori). VEDI SLIDES 6 sul numero dei disabili.
L’assunzione di disabili è necessario fare una richiesta al centro per l’impiego e ottenere un’autorizzazione.
Anche nel caso di lavoratori italiani all’estero è richiesto una regola nominativa. Salvo questi casi i datori
assumano direttamente i lavoratori.
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ADEMPIMENTI A CARICO DEL DATORE
Affinché il rapporto di lavoro sia regolamento costituito occorre dare una comunicazione entro il giorno
antecedente alla stipula del contratto di lavoro, all’agenzia ANPAL. L’ANPAL poi darà comunicazione ad INSP
e INAIL, per far partire i processi assicurativi. Una volta effettuato questo adempimento il rapporto è regolare
e non in neroquei rapporti di lavoro che non sono stati comunicati, di cui le istituzioni preposte nulla sanno.
Il datore deve adempiere agli obblighi formativi: prima dell’inizio dell’attività di lavoro i lavoratori sono tenuti
a essere informati sugli elementi essenziali del rapporto di lavoro. Nel luglio 2022 è stato emanato il dlg 104
chiamato decreto trasparenza ha rafforzato l’obbligo informativo delle imprese nei confronti dei lavoratori e
ha prescritto che l’informazione da dare ai lavoratori debba arricchirsi di tutta una serie di altri elementi:
programmazione del lavorose non c’è un orario preciso va stabilita una programmazione del lavoro.
Questo decreto è stato emanato in attuazione di una direttiva europea del 2019 sulla prevedibilità e
trasparenza delle condizioni di lavoro nell’unione europea. Questo decreto ha riformato e rafforzato già
previsto il dgl 152 del 1997 (quello sulle informazioni del rapporto di lavoro)
Per rendere trasparenti le condizioni di lavoro: l’obbligo si intende assolto semplicemente con la consegna
del contratto scritto, oppure anche dando la copia della comunicazione all’ANPAL che ha effettuato.
Successivamente deve iscrivere i propri lavoratori nel libro unico del lavoro, tenuto presso il dottore
commercialista oppure consulente del lavoro. Questo libro deve essere tenuto dal datore, perché in caso di
ispezione è il primo documento che viene verificato dall’ispettore.
CONTRATTI DI LAVORO FLESSIBILI
TIPI DI CONTRATTI FLESSIBILI:
I contratti determinati e che quindi deviano dai contratti indeterminati: perché sono temporanei e non
assicurano la garanzia nel tempo del posto di lavoro (contratti a termine)
I contratti part-time e quindi contratti subordinati ma che non danno una garanzia di full-time ad orario
ridotto e senza garanzia di orario di lavoro (come ad es. contratti a chiamata o intermittenza).
I contratti i di apprendistato che si arricchiscono di formazioneil lavoratore deve svolgere alcune ore di
formazione al di fuori dell’orario di lavoro. È previsto che al termine del periodo formativo il lavoratore può
essere licenziato senza particolari motivazioni.
Infine, la flessibilità può essere data da lavoro tramite agenzia anche detto somministrazione di lavoro:
flessibilità data perché il lavoratore non è assunto direttamente dall’impresa ma da un’agenzia che fornirà il
lavoratore all’impresa che ha bisogno. Un’impresa può utilizzare il lavoratore senza assumerlo. Assunti a
tempo determinato o indeterminato dall’agenzia. Il vantaggio per il datore è che non deve assumere. Molte
volte il datore utilizza la somministrazione per agenzia come prova per il lavoratore, così poi terminato il
termine può assumerlo senza agenzia.
ASPETTI COMUNI ALLA REGOLAMENTAZIONE
ART. 1 DECRETO LEGISLATIVO 81 DEL 2015: testo unico sul contratto di lavoro. Un decreto che si compone il
Job Act
Il contratto di lavoro subordinato è a tempo pieno indeterminato Questi contratti fuoriescono dal contratto
collettivo subordinato perché sono flessibili Ci sono contratti di lavoro subordinato non standard ed ognuno
ha una propria disciplina
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Regolamentazione dei contratti flessibili.
LE CARATTERISTICHE DEI CONTRATTI FLESSIBILI: hanno una regolamentazione di contemperare e bilanciare
le esigenze dell’impresa alla flessibilità e le esigenze dei lavoratori alla protezione dei propri diritti, quindi
normative che pongono dei limiti alle imprese che si servono di questi contratti. Limiti:



formali: devono essere redatti per iscritto a protezione dell’esigenza del lavoratore di conoscere le
proprie condizioni di lavoroesigenza di trasparenza (che il contratto subordinato standard non ha,
può essere stipulato anche in forma orale).
La forma scritta può essere richiesta:
ai soli fini della prova, con la conseguenza che se il datore viene chiamato in giudizio dal lavoratore
e non ha il contratto per iscritto non riesce a provarne l’esistenza e quindi il lavoratore può richiedere
che gli venga applicato un contratto standard.
Oppure ab substantumper la validità del contratto, ad esempio nel contratto di apprendistato
(se non è scritto può essere richiesta la nullità)
sostanziali: vincoli di contenuto necessario del contratto (es. part time nel testo del contratto deve
essere indicata la durataqual è l’orario ridotto; la collocazione temporalequali giorni deve
lavorare)
divieti: ci sono alcuni contratti di cui è vietata l’utilizzo in certi casicontratto a termine non può
essere impiegato da quelle imprese che non fanno una valutazione del rischio.
anche laddove è ammesso ci sono dei limiti del possibile utilizzocontratto di apprendistato che può
essere stipulato solo in alcuni casi con giovani.
Ci sono anche delle protezioni del lavoratore flessibile che segue il principio di parità di trattamentoil testo
unico dice che i lavoratori flessibili devono ricevere un trattamento non diverso da quei lavoratori standard.
I lavoratori flessibili non possono essere discriminati.
Tuttavia, questa legislazione non è riuscita a permettere ai lavoratori flessibili piena protezione.
IL CONCETTO DI FLESSIBILITA’
La flessibilità di questi contratti si gioca sugli orari di lavoro:
lavoratore part time (flessibilità data dall’orario ridotto)
il contratto intermittente (la flessibilità più estrema, lui lavora solo se il lavoratore lo chiama, non ha
garanzia di lavorare né di reddito)
In altri casi la flessibilità è determinata dal fatto che il contratto è a termine, in cui non viene garantita la
natura di stabilità del contratto.
Se il lavoratore ha un contratto a termineallo scadere del termine il contratto cessa e quindi non è
necessaria una dimissione. Se si stipula il contratto a termine non è sempre è possibile chiedere le dimissioni,
ma solo per giusta causa: il lavoratore non è stato retribuito, per molestia. Altrimenti nel contratto a termine
bisogna portare a termine.
Lavoratore con somministrazione: l’impresa che utilizza il lavoratore non ha bisogno di assumerlo perché
se lo fa fornire dall’agenzianon si deve stipulare un contratto. Ci pensa l’Agenzia a mettere in regola il
lavoratore (lavoro indiretto). In questo modo il datore risparmia tempo, non risulta nell’organico
dell’impresa, sgravi sul licenziamento, gestione del rapporto.
Tuttavia, questo tipo di sistema è carol’agenzia chiederà qualcosa di più del costo del lavoratore.
Le agenzie traggono lucro dal fornire personestride il principio di Philadelphia tale per cui le imprese non
sono considerate una merce.
Il testo Unico prevede molti limiti alle agenzie di somministrazione. Prima degli anni Novanta non esistevano,
erano vietato. Poi nel 97’ si è deciso di dare ingresso a questo meccanismo perché in Europa tutti lo avevano
14
tranne l’Italia e la Grecia (molti di queste agenzie non sono italianesocietà che hanno sedi in tutta Europa)
LAVORO INTERINALE, chiamato prima.
Il contratto di apprendistatoindeterminato per come lo prevede il testo unico. La flessibilità dove si
vede.
1) Intanto il lavoratore non è un lavoratore formato e quindi può riceve una retribuzione inferiore.
2) Il lavoratore costa menoesistono degli sgravi, ad esempio, sulla pensione (si pagano meno
contributi)
3) Anche se l’apprendistato è indeterminato esiste un patto di reversibilità: periodo di formazione
dove al termine il lavorare può essere licenziato.
DECRETO TRASPARENZAEMANATO quest’estato in agosto, per attuare una direttiva del 2019,
concernente l’obbligo di assicurare condizioni di trasparenza e prevedibili nell’Unione Europea. Questa
norma stabilisce che ogni lavoratore che abbia 6 mesi di anzianità, possa richiedere di essere passato ad un
contratto standard.
ARTICOLO 4 E SEGUENTI: “CONTRATTO PART TIME”
Si intende un contratto che prevede un orario differente da quello full-time. La norma è molto generica e
dice: possiamo avere tanti tipi di contratti part time



Part time orizzontalequando l’orario ridotto si spalma in tutti i giorni lavorativi (da lunedì al
venerdì, 4 ore al giorno)
Part time verticalel’orario ridotto viene concentrato solo in alcuni giorni (8 ore al giorno); un
lavoratore anche che lavora tutte le settimane a 40 ore, ma solo in alcune, ad esempio nelle prime
due settimane (potrebbe sembrare un contratto al tempo determinatoquando si decide che per
tre mesi un lavoratore lavori 40 ore)
Part time mistoriduzione sia verticale che orizzontale
Il contratto part-time è stato concepito come un contratto flessibile attraverso il quale veicolare una
flessibilità buona, per aiutare il lavoratore:lavoratore studente, famigliare di un disabile, una madre che
deve conciliare la famiglia. Proprio perché è stato pensato per avvantaggiare i lavoratori per conciliare la vita
privata con il lavoro, non ci sono molti vincoliil datore non deve giustificare di stipulare questo contratto.
Esiste tutta via, un part-time involontario, imposto dalle impreseall’apparenza sembra part-time ma poi il
lavoratore lavora in più. Ad esempio, il TFR con un contratto part-time è basato sull’orario che fai, le ore in
più non vengono incluse nel TFR.
Le statistiche dell’INPS evidenzia che c’è un utilizzo ampio dei contratti part-time.


È necessaria la forma scritta
Il contenuto è previsto dalla leggeva precisata la durata (il preciso numero di ore) e la loro
articolazione
Il problema che si riscontra è che l’impresa assume il lavoratore part-time e poi lo utilizza come full-time.
Esistono due norme che aiutano i lavoratori a proteggersi da questa ipotesi, anche se comunque sono più
favorevoli per l’imprenditore, perché concedono a lui molta flessibilità (modificazione delle ore lavorative)
ed elasticità (a modificare i giorni lavorativi).
ART. 6: Le norme di interesse sono: le clausole del lavoro supplementare straordinario e quello sulle clausole
elastiche
LAVORO SUPPLEMENTAREsono le ore di lavoro in più del contratto di lavoro che comunque rimangano
dentro il pacchetto di ore full-time.
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Se il contratto collettivo lo prevede, il datore ha facoltà di richiedere al lavoratore part-time la prestazione di
lavoro supplementare, intendendosi per tale il lavoro svolto oltre l’orario part-time concordato ma dentro i
limiti dell’orario normale. Sarà il contratto collettivo, poi, a stabilire vincoli a tale facoltà ed eventuali
maggiorazioni retributive a favore del prestatore.
Se il contratto collettivo non lo prevede, il datore ha facoltà di richiedere al lavoratore part-time la
prestazione di lavoro supplementare in misura non superiore al 25% delle ore di lavoro settimanali
concordate e il lavoratore potrà rifiutare solo per comprovati motivi di tipo lavorativo, di salute, familiari e di
formazione. Ad ogni modo il lavoro supplementare darà diritto a una maggiorazione del 15% della
retribuzione oraria globale di fatto.
Nel caso di part-time verticale, si pone il problema, se è possibile chiedere il lavoro straordinario. Sopra le 40
ore sono considerate ore straordinarie. Le uniche regole relative
È possibile chiedere e obbligare a svolgere il lavoro supplementare, ma con limiti:


È consentito se il contratto collettivo lo prevedesarà il contratto collettivo a stabilire i possibili limiti
di impiego
Se non è previsto dal contratto collettivo è possibile ma nel limite delle regole previste dall’art. 6.
DECRETO LEGISLATIVO 66 DEL 2003il lavoratore part-time verticale: tempo pieno ma solo alcuni giorni
della settimana, del mese o dell’anno
CLAUSOLE ELASTICHE
Se il contratto collettivo lo prevede, è possibile pattuire (ma il mancato consenso del prestatore non
costituisce motivo giustificato di licenziamento) clausole elastiche, così da poter modificare la collocazione
temporale della prestazione oppure variare in aumento la sua durata, previo però preavviso di 2 gg. lavorativi,
salvo diverse intese tra le parti, e specifiche compensazioni nella misura prevista dal contratto collettivo. 
Se il contratto collettivo non lo prevede, si possono pattuire clausole elastiche solo davanti alle commissioni
di certificazione. In tal caso la variazione in aumento non potrà eccedere il 25% della normale prestazione
annua part-time e darà diritto a una maggiorazione del 15% della retribuzione oraria globale di fatto. Se il
contratto collettivo non prevede la possibilità di inserire delle clausole elastiche, sarà possibile solo con il
supporto e assistenza delle commissioni di certificazione.
PROTEZIONI: TRATTAMENTO DEL LAVORATORE PART TIME:
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

Parità di trattamento con il lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento
Medesimi diritti e ri-proporzionamento del trattamento economico e normativo in ragione della
ridotta entità della prestazione
È computo tra il personale dell’impresa, ai fini dell’applicazione di certe discipline in proporzione
all’orario svolto.
TUTELE IMPORTTANTI:



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Lavoratore full-time che passi a part-time: il datore può imporlo al lavoratore? In realtà no, perché il
lavoratore potrebbe rifiutarsi senza essere licenziato; se comunque accettata deve essere fatta con
atto scritto.
Ci sono dei casi in cui i lavoratori full-time hanno un diritto ad ottenere part-time (quando il
lavoratore è stato complito da malattie, tipo oncologiche)
Ci sono casi in cui ci sono delle priorità il lavoratore che abbia dei parenti, coniuge o conviventi in
una situazione di necessità di essere assistiti hanno le priorità nella trasformazione rispetto agli altri
lavoratori


Non ci sono delle priorità nelle trasformazioni part-time
Diritto di precedenza a tornare al tempo pieno si ha quando il lavoratore full-time sia passato a parttime.
CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTE
Si caratterizza per il fatto che il lavoratore lavorerà solo se riceverà la chiamata del datore di lavoro. Può esse
stipulato a tempo indeterminato oppure determinato. Proprio perché è flessibile la legge pone dei paletti:




Vincolo formale: forma scritta ai fini di prova
Contenuto necessariodecreto trasparenza: dare un minimo di certezza in più e stabilisce che va
indicato nel contratto un minimo di programmazione del lavoro (per quanto variabile), in realtà
bisogna indicare dei giorni predeterminati dove il lavoratore può essere chiamato o eventuali fasce
orarie.
Dei divietinon si può utilizzarlo quando: per sostituire i lavoratori di sciopero (violerebbe art. 40),
quando il datore abbia nei 6 mesi precedenti, abbia avviato delle procedure di licenziamento
collettivo oppure abbia inserito il lavoratore in cassa integrazione, quando l’impresa non abbia
rispettato la normativa sulla sicurezza del lavorovalutazione di rischi. Le statistiche dicono che i
lavoratori precari sono quelli più a rischio sul lavoropiù esposti ad incidenti.
Dei limitisi può assumere un lavoratore intermittente solo per le esigenze individuali dei contratti
collettivi, o in mancanza, di apposito decreto ministeriale. Non si può usare un lavoratore
intermittente per più di 400 giornate in un triennio salvo che nel turismo, nei pubblici esercizi e nello
spettacolo. La violazione del limite comporta la trasformazione in rapporto di lavoro a tempo pieno
e indeterminato.
Dirittiprincipio di parità di trattamento e di non discriminazione; compito del lavoratore
proporzionato alle ore lavoratore, diritto di indennità di disponibilità
Il contratto deve contenere i seguenti elementi:
A) la natura variabile della programmazione del lavoro, durata e ipotesi, oggettive o soggettive, che
consentono la stipulazione del contratto a norma dell'articolo 13
B) il luogo e le modalità della disponibilità eventualmente garantita dal lavoratore
C) il trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita, con
l'indicazione dell'ammontare delle eventuali ore retribuite garantite e della retribuzione dovuta per
il lavoro prestato in aggiunta nonché la relativa indennità di disponibilità, ove prevista;
D) le forme e le modalità con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l'esecuzione della
prestazione di lavoro e del relativo preavviso di chiamata del lavoratore, nonché' le modalità di
rilevazione della prestazione;
E) i tempi e le modalità di pagamento della retribuzione e dell'indennità di disponibilità;
F) le misure di sicurezza necessarie;
G) le eventuali fasce orarie e i giorni predeterminati in cui il lavoratore è tenuto a svolgere le prestazioni
lavorative.
PREAVVISO MINIMO
Il datore di lavoro può chiamare il lavoratore secondo le proprie esigenze, con il solo limite del rispetto delle
eventuali fasce orarie e dei giorni prestabiliti in cui svolgere la prestazione. Se il lavoratore viene chiamato
ha un obbligo di rispondere? No, il lavoratore può anche non rispondere a meno che nel contratto non sia
stato previsto un vincolo di disponibilità:
-
17
avrà diritto ad una precisa indennità di disponibilità
è obbligato a rispondere;
-
il rifiuto ingiustificato di rispondere può comportare la risoluzione del contratto, la restituzione della
quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo al rifiuto ingiustificato, nonché il
risarcimento del danno
Nel caso in cui non ci sia l’obbligo di risposta il lavoratore percepirà solamente il compenso per il lavoro
eventualmente prestato e ha piena facoltà di rispondere o no alla chiamata.
CONTRATTO DI APPRENDISTATO
ART. 41 e seguenti del decreto 81
È un contratto a tempo indeterminatocontratto speciale, per la sua causa, perché se quello standard è un
contratto di lavoro, qui il datore dovrà formare il lavoratore.
Il contratto ha forma scritta ai fini di prova e contiene, in forma sintetica, il piano formativo individuale
definito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali
OPPURE predisposto dall’istituzione formativa con il coinvolgimento dell’impresa nell’apprendistato di I e di
III tipo (v. di seguito). Si può essere assunti in via diretta, o anche da un’agenzia del lavoro, con una
somministrazione a tempo indeterminato.
Al termine del periodo di formazione il lavoratore può essere licenziato senza alcun particolare motivo. La
durata di formazione è fino ai 3 anni sia nel primo che nel secondo caso, anche se nel primo caso le ore di
formazione sono molto inferiore. Nel secondo caso nel contratto di mestiere le ore sono di più (massimo di
120 ore all’anno). Nel terzo caso non c’è una durata prevista di formazione: sono le regioni a deciderlo.
Contratto rivolto tendenzialmente ai giovani, per favorire la formazione
a) Apprendistato per la qualifica e il diploma professionale (ART. 43), per consentire ai ragazzi più giovani
di ottenere il diploma di scuola superiore, lavorando. I giovani interessati sono molto piccoli, rivolto a
ragazzi che vanno dai 15-25 anni.
Ha una durata di 3 anni ed è possibile prorogare di max 1 anno per consentire la conclusione del percorso
a chi non sia riuscito nei termini suddetti.
La disciplina è regionale nel rispetto di standard formativi nazionali, in mancanza la regolamentazione è
ministeriale.
Possono poi essere stipulati ulteriori contratti di questo I tipo, con DURATA max di 4 anni, per giovani a
partire dal II anno di scuola superiore, per l’acquisizione del diploma o di ulteriori competenze tecnicoprofessionali rispetto a quelle previsti dai vigenti regolamenti scolastici.
Per stipulare il contratto di I TIPO il datore sottoscrive un PROTOCOLLO con l’istituzione formativa del
giovane dove sono indicati gli obblighi formativi e l’orario massimo che può essere svolto in apprendistato
presso l’azienda.
Salvo diversa previsione dei contratti collettivi, il DATORE DI LAVORO RETRIBUISCE SOLO LE ORE FORMATIVE
SVOLTE PRESSO L’AZIENDA CON UN IMPORTO PARI AL 10% DELLA RETRIBUZIONE CHE SAREBBE DOVUTA AL
LAVORATORE.
Una volta ottenuta la qualifica o il diploma professionale il contratto si può trasformare in contratto di
mestiere e la durata max di entrambi è prevista dai contratti collettivi.
b) Apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere (ART. 44), quello più conosciuto che trovava
radici nel periodo medievale e nel Codice civile. Si rivolge ai maggiorenni 18-29. Può essere utilizzato in
via eccezionale anche per lavoratori disoccupati non giovani.
La durata max di 3 anni (5 anni per i profili professionali artigiani di cui ai CCNL).
Per i DATORI DI LAVORO CON ALMENO 50 DIPENDENTI il CONTRATTO può essere STIPULATO SOLO SE, nei
36 mesi precedenti, sia stato CONFERMATO IL 20% DEGLI APPRENDISTI. DIVERSAMENTE è consentita
l’assunzione di UN SOLO APPRENDISTA. La previsione è derogabile dai CCNL dei sindacati comparativamente
più rappresentativi.
18
LA FORMAZIONE PROFESSIONALIZZANTE di cui al piano formativo, contenuto nel contratto, va impartita
sotto la responsabilità del datore di lavoro secondo MODALITA’ individuate da Accordi interconfederali e
CCNL.
Questa formazione va poi INTEGRATA con LA FORMAZIONE, di solito esterna, ma talvolta anche interna
all’azienda, DELLA REGIONE nei limiti delle risorse disponibili per l’acquisizione di competenze di base e
trasversali per un MAX di 120 ORE NEL TRIENNIO.
c) Apprendistato di alta formazione e ricerca (ART. 45)giovane che voglia prende il titolo universitario,
dottorato di ricerca o anche per lo svolgimento di un partenariato (studio legale). Ha avuto scarso
riscontro applicativo.
Ha una REGOLAMENTAZIONE E UNA DURATA RIMESSE ALLE REGIONI IN ACCORDO CON LE OO.SS.
COMPARATIVAMENTE PIU’ RAPPRESENTATIVE SUL PIANO NAZIONALE e CON GLI ALTRI ENTI PUBBLICI
INTERESSATI (Università, ecc.). In assenza di un intervento regionale si può procedere con CONVENZIONI tra
le imprese e i suddetti enti interessati.
Per stipulare il contratto il datore sottoscrive un PROTOCOLLO con l’istituzione formativa o ente di ricerca
del giovane dove sono indicate DURATA, MODALITA’ DELLA FORMAZIONE nel rispetto degli standard
nazionali E I CREDITI FORMATIVI.
Salvo diversa previsione dei contratti collettivi, il DATORE DI LAVORO RETRIBUISCE SOLO LE ORE
FORMATIVE SVOLTE PRESSO L’AZIENDA CON UN IMPORTO PARI AL 10% DELLA RETRIBUZIONE CHE SAREBBE
DOVUTA AL LAVORATORE.
Può essere conveniente perché: l’apprendista non rientra nell’organico dell’impresa, si parla di meno
contributi all’INPS, sotto inquadrare e quindi garantire una retribuzione inferiore rispetto a quella normale.
Nel primo e terzo tipo la formazione può essere pagata al 10% di quella che dovrebbe essere percepita da un
lavoratore normale.
CONTRATTO A TERMINE
È l’alternativa del contratto indeterminato; appetibile per il datore perché temporaneonon si accolla una
risorsa (anche a causa del fatto che i mercati sono altalenanti e non riescono a programmare il lavoro futuro)
È un contratto che non dà la garanzia del posto di lavoro per sempre, sottopone il lavoratore in una sorta di
auto ricatto (non si comporta in maniera libera, ad esempio non partecipa ad uno sciopero, per non mettersi
di traverso con il datore di lavoro).
STORIA:
Nel corso degli anni, è stato fortemente limitato, ci sono stati 76 anni di riforme:
NELLA PRIMA FASEleggi che limitavano l’uso con l’obiettivo di spingere le imprese ad assumere a tempo
indeterminato.
Legge 230 del 1962vietava le assunzioni a termine a dei casi tassativi: sulla base del fatto che si consentiva
le assunzioni a termine solo se l’impresa ha un’esigenza a termine; quando l’esigenza produttiva del datore
è permanente deve assumere di conseguenza a tempo indeterminato.

Possibilità di assumere a termine nel caso degli stagionali, nel caso l’impresa abbia un’esigenza
straordinaria, per sostituire qualcuno (in malattia, o maternità).
NELLA SECONDA FASEleggi che hanno riformato il contratto in senso opposto (renderle più facili per le
imprese) nella metà degli anni Settanta a causa di una crisi economica.
Le leggi che vengono emanate smantellano i limiti stringenti che c’erano nella prima fase. Nel 2001 vengono
eliminate le causali dentro la legge 230 e si prevede che si possa assumere a termine ogni qual volta l’impresa
abbia esigenze non specificate di tipo organizzativo, produttivo o sostitutivo del lavoro (CAUSALONE)
19
I giudici hanno iniziato ad interpretare in maniera stringente questa eliminazione delle clausole.
Con il testo unico anche il causalone viene eliminato con il Jobs Act e le assunzioni a termine diventano libere
senza addurre a particolari motivazioni.
C’è solo un limite quantitativonon poter assumere lavoratori determinanti solo 20% dei suoi dipendenti
(clausola di contingentamento). Questo limite quantitativo non è stato sufficiente, con la conseguenza che le
statistiche hanno registrato un’impennata di assunzioni a termine dopo il 2015, soprattutto per i giovani.
Anche perché il decreto legislativo 81 prevedeva l’innalzamento dei contratti collettivi senza limiti con la
conseguenza che si è posto quasi sullo stesso piano dell’indeterminato e determinato. Con la conseguenza di
una forte precarizzazione.
Nel 2018 è intervenuto il nuovo governo Conte 1: con ministro del lavoro Di Maio. Di Maio voleva eliminare
la precarietà del lavoro. Nasce il Decreto Dignità che riforma il contratto a termine e reintroduce parzialmente
alcune delle vecchie causali. Alcune imprese, insieme ai sindacati (RSA) hanno stipulato dei contratti di
prossimità per evadere dalle clausole del contratto a termine.
Durante la pandemia, si è cercato di riformare in senso più liberalizzante, il contratto a termine (considerata
l’emergenza pandemica), almeno per il periodo dell’emergenza. Al termine della situazione pandemica le
cose sono tornate come prima.
D.LGS. 81 del 2015
Il contratto a termine è un contratto in cui si appone un termine di scadenza. Ci sono dei limiti:


ART. 19 e seguenti
Vincoli formalideve essere redatto per iscritto e il termine deve essere dato; se non c’è si considera
come a tempo indeterminato, salvo che l’assunzione a termine sia molto breve (inferiore a 12 gg)
o Clausola di contingentamento (all’interno dell’organico il numero dei dipendenti a tempo
determinato non può essere superiore al 20% del totale dei dipendenti). Tuttavia, la percentuale
resta innalzabile senza limiti da parte della contrattazione collettiva.
ART. 20
Vincoli sostanzialicasi in cui è vietato assumere con un contratto a termine (gli stessi del contratto
intermittente): (1) per sostituire lavoratori in sciopero, (2) quando l’impresa nei 6 mesi precedenti
abbia dato luogo a procedure di cassa integrazione guadagni di un licenziamento collettivo, (3) se
l’impresa non sia in regola con la sicurezza sul lavoro (non abbia fatto la valutazione sul rischio).
Se lo si stipula il lavoratore può andare dinanzi al giudice e chiedere la multa e il contratto si
convertirà in un contratto a tempo indeterminato.
LE NOVITÀ DEL DECRETO DIGNITÀ (NUOVI ART. 19) – RIPRISTINO DI ALCUNI
o
Limite massimoIl decreto dignità ha agito per evitare la trappola della precarietà. L’articolo 19 lascia
libera l’assunzione a termine se è la prima con quel determinato soggetto e che non sia superiore a 12
mesi. Quando un contratto è più lungo di un anno o non sia il primo contratto, per il decreto dignità
vengono richieste le causali (esigenze temporali che giustificano l’assunzione a termine):
1. ragioni sostitutive (maternità, malattia, infortunio) ed esigenze temporanee e oggettive estranee
all’ordinaria attività (straordinarie)
2. Incrementi temporanei non programmabili dell’attività (quando c’è un picco produttivo non
programmato)
o Riguardo la prorogaspostare il termine in avanti (un contratto che scade il 31 gennaio viene
prorogato). Le proroghe possono essere massime 4 proroghe.
Le proroghe per il primo anno non vanno giustificato, dopo l’anno vanno motivate anche per queste causali
sopra riportate.
20
o
o
o
Riguardo il rinnovoÈ possibile fare un contratto dietro l’altro? La risposta no, perché si crea di fatto un
contratto indeterminato per evitare questo mantiene la regola dello stop and go (devo garantire finestre
di 10 giorni o 20 giorni tra un contratto e l’altro a seconda che il contratto sia pari a 6 mesi o superiore ai
6 per potere rinnovare, non si possono incatenare dei contratti a termine uno dietro l’altro, bisogna
sempre garantire una finestra).
Limite massimo complessivo posso tenere a termine una persona è di durata massimo due anni, dopo
di che se io voglio assumere questa persona devo assumerla. Questo tetto è possibile superarlo fino ad
arrivare ad un massimo di 3 anni, solo se le parti si presentino davanti all’ispettorato del lavoro e quindi
stipulano un accordo di estensione della durata del termine ancora per un altro anno.
percentuale di contingentamento pari al 20% dei dipendenti stabili; i datori fino a 5 dipendenti possono
sempre stipulare 1 contratto di lavoro a termine. La percentuale resta innalzabile senza limiti da parte
della contrattazione collettiva.
SOMMINISTRAZIONE DEL LAVORO (D.LGS. N. 81/2015)
È il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata
ai sensi del D.lgs. n. 276/2003, mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i
quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il
controllo dell’utilizzatore.
Lavoro tramite agenzia, regolati agli articoli 30 e seguenti. Strumento di esternalizzazione della forza lavoro,
consente all’imprenditore di servirsi di lavoratori subordinati senza assumerli, tramite un’agenzia che deve
essere autorizzata dall’ANPAL, deve tenere un albo nazionale delle agenzie. Albo costituito da 5 sezioni: nella
prima sezione ci sono le agenzie autorizzate a svolgere mera ricerca e selezione del personale, nella seconda
sezione: agenzie che fanno collocamento dei lavoratori. Nella terza e nella quarta ci sono le agenzie di
somministrazione di lavoro generaliste (nella 3) e specializzate nello staff leasing (nella somministrazione a
tempo indeterminato presso le imprese – nella quarta). Nella 5: agenzie di outplacing si occupano di aiutare
e supportare le imprese quando effettuano licenziamenti collettivi così possono aiutare i lavoratori a trovare
un nuovo lavoro.
La somministrazione dà luogo ad una struttura del rapporto di lavoroconsiste in una triangolazione che
deriva dal fatto che la figura del datore si sdoppia:



Datore di lavoro formaleagenzia, colei che assume alle proprie dipendenze. Sarà il lavoratore sarà
assunto con un contratto di lavoro (determinato o indeterminato) e viene gestito dall’agenzia che
corrisponde al lavoratore la retribuzione, paga i contributi e lo assicura (INAIL)
Datore di lavoro sostanzialeè un cliente dell’agenzia, chiamato utilizzatore. Quello che di fatto da
direttive al lavoratore. Il potere di eterodirezione è nelle mani del datore sostanziale.
Lavoratore subordinato
REQUISITI DEL CONTRATTO COMMERCIALE STABILITI DAL DECRETO 81
Regolamentazione del contratto di servizio, con cui l’impresa chiede il servizio di somministrazione:


Forma scritta
Contenuto necessario: indicare gli estremi dell’autorizzazione a svolgere somministrazione che
l’agenzia ha ricevuto dall’ANPAL, il numero dei lavoratori da somministrare, indicazione della
presenza di eventuali rischi per la salute e la sicurezza, data d’inizio e durata prevista della
somministrazione, mansioni e inquadramento; luogo della prestazione, orario, trattamento
economico e normativo
In assenza di rispetto della forma e del contenuto necessario, il lavoratore può rivolgersi al giudice e chiedere
di essere considerato assunto dal datore in modo diretto.
21
TIPI DI SOMMINISTRAZIONE
 MissionePuò essere chiesto da un’impresa a termine
 Staff-leasinglavoratore a tempo indeterminato (lavoratori dentro la catena produttiva Amazon che
fanno consegne)
CARATTERISTICHE DEL CONTRATTO DI LAVORO CON L’AGENZIA


Tempo determinato
Tempo indeterminato
Se il contratto è Staff-leasing anche il lavoratore deve essere assunto dall’agenzia a tempo indeterminato (ci
deve essere una corrispondenza)
REGOLE DEI CONTRATTI DI SOMMINISTRAZIONE
Seguono le regole generali dei contratti indeterminati e a termine. Tuttavia, un’impresa può chiedere lavoro
somministrato a tempo determinato ad una agenzia senza limiti qualitativi (senza motivazioni) ma entro il
limite del 30% a cui concorrono i contratti di lavoro a termine assunti direttamente (somministrati + a
termine).
LIMITI:
Un’impresa può ricorrere alla somministrazione di lavoro a termine:
1) LIBERAMENTE, SENZA PIU’ BISOGNO DI RAGIONI TECNICHE, PRODUTTIVE, ORGANIZZATIVE E
SOSTITUTIVE.
2) 2) Nel LIMITE PERCENTUALE MASSIMO (a cui concorrono anche i lavoratori con contratto a termine) del
30% dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio di ogni anno, salvo
diversa previsione del contratto collettivo applicato dall’utilizzatore
Un’impresa può ricorrere alla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato: LIBERAMENTE, senza più
bisogno di specifiche causali; Nel LIMITE PERCENTUALE MASSIMO del 20% dei lavoratori a tempo
indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio di ogni anno, salvo diversa previsione del contratto
collettivo applicato dall’utilizzatore. È vietata per le p.a.
Possono essere somministrati a tempo indeterminato solo lavoratori assunti con contratto di
somministrazione di lavoro a tempo indeterminato (se l’utilizzatore vuole, insomma, somministrazione a
tempo indeterminato, il lavoratore inviato dall’agenzia presso detto utilizzatore deve essere stato assunto a
tempo indeterminato anche dall’agenzia) (nulla vieta, invece, che un lavoratore assunto a tempo
indeterminato dall’Agenzia venga poi mandato in missione a termine presso l’utilizzatore. In tal caso, queste
missioni a termine presso l’utilizzatore non entreranno nel calcolo dei 24 mesi, che è previsto come limite
massimo delle assunzioni a tempo determinato, dirette e indirette, in ciascuna azienda. Ciò è stato previsto
per agevolare l’occupazione, sia pur temporanea, a partire dall’esperienza dell’emergenza pandemica: art.
31, c. 1, d.lgs. n. 81/2015, come modificato dall’art. 8, c. 1bis, d.l. n. 104/2020 e poi dall’art. 11, c. 15, D.L. n.
146/2021: V. SIDE SUCCESSIVA)
DIVIETI:
La stipulazione di un contratto di somministrazione è sempre vietata: per sostituzione di lavoratori
scioperanti presso unità produttive che abbiano proceduto nel semestre precedente a licenziamenti collettivi
di lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione, a meno che il
contratto sia stipulato per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti o abbia una durata iniziale non
superiore a 3 mesi. Presso unità produttive ove sia in corso la CIG, con riferimento a lavoratori adibiti alle
stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione per i datori di lavoro che non abbiano
effettuato la valutazione dei rischi ex D.lgs. n. 81/2008.
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CONTRATTO DI LAVORO CON AGENZIAsegue le regole sul contratto a termine in generale. Esclusa la
regola della durata massima di 24 mesi, escluso il principio dello stop and go, esclusa la proroga (effettuate
e nella durata previste nei contratti collettivi delle somministrazioni di lavoro di agenzia)
Diritto ad avere una indennità di disponibilità qualora non venga mandato in missione (quando l’agenzia non
ha lavoro). In quel caso il lavoratore deve essere disponibile e di conseguenza ha diritto ha una indennità di
disponibilità.
POTERI E DOVERI
I poteri del datore di lavoro sono tre:



Direttivoil lavoratore prende gli ordini dall’utilizzatore
Controllosegue il potere direttivo
Disciplinarespetta al datore di lavoro formale: l’agenzia lo esercita su segnalazione dell’impresa.
I doveri del datore di lavoro:



Di retribuire e contribuirein capo all’agenzia
Di sicurezzain capo all’agenzia (formare e informare il lavoratore sui rischi) e all’utilizzatore (dovrà
rendere sicura la sua prestazione, obblighi di prevenzione e informazione sui rischi)
Computabilità del lavoratore somministrato nell’organico solo per quanto concerne la normativa
sulla sicurezza.
DIRITTI DEL PRESTATORE
 Parità di trattamento: condizioni economiche non inferiori a quelli assunti direttamente dal datore.
Il lavoratore somministrato ha nel complesso una parità di trattamento ma non proprio esattamente.
 Possibilità del lavoratore somministrato di chiedere il dovuto all’utilizzatore, vige principio di
responsabilità solidale tra agenzia e lavoratore per tutti i trattamenti contribuitivi e retributivi. Se
un’agenzia fallisce, i lavoratori possono andare a chiedere al datore di lavoro la retribuzione che gli
spetta.
 Diritto dei lavoratori essere informati in merito ai posti vacanti presso l’utilizzatorein modo da
fare richiesta alle dirette assunzioni di chi lo utilizza.
 Possono esercitare diritti sindacali (assemblea, referendum e locali) come i datori assunti
direttamente dall’impresa utilizzatrice.
 Nullità di ogni clausola volta a limitare l’assunzione presso l’utilizzatore del lavoratore
somministrato, salvo che al lavoratore stesso non sia corrisposta un’adeguata indennità sostitutiva,
secondo le previsioni del contratto collettivo applicabile all’agenzia
VANTAGGI E SVANTAGGI PER IL DATORE
o L’utilizzatore ha il vantaggio di scaricare sul somministratore rischi e vincoli inerenti al somministratore 
Possibilità di escludere alcune previsioni di tutela applicabili invece al lavoratore a termine (ad es. la
durata dei 36 mesi del contratto a termine)
o Non computabilità nell’organico dell’impresa, salvo che per l’applicabilità del D.lgs. n. 81/2008 (sicurezza)
o Possibilità di somministrazioni successive a termine e di proroghe più ampie del contratto di lavoro.
o Possibilità di sottrarsi al peso economico di eventuali sospensioni del rapporto di lavoro tramite richiesta
all’agenzia di sostituzione del lavoratore.
o Possibilità di ricerca e selezione di personale in tempi rapidi e già in possesso delle abilità necessarie.
o Possibilità di verificare le abilità del lavoratore ai fini di una futura assunzione.
o Costi superiori a quelli normalmente previsti per una normale assunzione
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VANTAGGI E SVANTAGGI PER IL LAVORATORE
Maggiori probabilità di assunzione, sia pur flessibile Possibilità di un ulteriore sostegno nella ricerca di un
lavoro stabile Eccessiva precarizzazione della sua posizione per quanto oggi con tutele maggiori rispetto ad
alcune altre tipologie di rapporto di lavoro
SANZIONI
Si stabilisce che qualora la somministrazione avvenga in violazione, il lavoratore può chiedere al giudice la
costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore, con effetto sin dall’inizio della
somministrazione. La norma non si applica alla PA. Il lavoratore ha diritto anche al risarcimento del danno
con un’indennità tra 2.5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione.
Diverse altre irregolarità sono punite con la sanzione amministrativa pecuniaria da 250 euro a 1.250 euro.
Sanzioni penali sono previste per l’esercizio non autorizzato dell’attività di somministrazione, per il ricorso a
detti soggetti non autorizzati da parte delle imprese bisognevoli di personale in somministrazione (art. 18
D.Lgs. n. 276/2003); una sanzione penale, corrispondente all’ammenda, è prevista anche per il caso di
somministrazione fraudolenta, cioè posta in essere, ad esempio, per eludere il divieto di appalto di
manodopera. Tuttavia, nel 2016 la legge n. 8 ha depenalizzato tutti i reati sanzionati con la sola pena
pecuniaria della multa o dell’ammenda, derubricando, così, anche il reato di somministrazione fraudolenta
in mero illecito amministrativo.
LAVORO INDIRETTO – APPALTO E SOMMINISTRAZIONE
Il lavoratore somministrato è un lavoratore indiretto.
Il lavoro indiretto può essere presente in azienda anche nelle forme dell’appalto: sono lavoratori diretti i
dipendenti delle imprese appaltartici dove l’impresa committente instaura rapporti di appalto. Le imprese
attraverso l’outsourcing possono svolgere alcune attività insieme ad altre imprese. I contratti di appalto sono
utilizzati sia nel privato che nella pubblica amministrazione.
Quando c’è un appalto di servizi diversamente dai lavoratori assunti direttamente dal datore di lavoro, i
lavoratori assunti dalla cooperativa mediante appalto non godono dei diritti alla parità di trattamento (le
retribuzioni possono variare). I lavoratori impiegati in un appalto sono svantaggiati, perché hanno
l’applicazione del contratto collettivo appaltatrice inferiore rispetto al contratto collettivo committente.
L’appalto molto diffuso ed è una delle cause del lavoro povero. I lavoratori in appalto come diritti di chiedere
i crediti retributivi non versati e accumulati entro i limiti dei due anni dalla cessazione dell’appalto. Quando
c’è un cambio appalto (perde l’appalto l’impresa), i lavoratori potrebbero perdere il posto di lavoro, salvo
che nel contratto collettivo sia prevista una clausola sociale che stabilisce che la nuova impresa appaltatrice
deve prevedere alle dipendenze i precedenti lavoratori dell’appaltatrice.
Come distinguere tra un appalto e una somministrazione di lavoro?
L’esternalizzazione di mera forza lavoro (somministrazione) è possibile solo nei limiti del contratto di lavoro
di somministrazione, solo agenzie autorizzate possono somministrare lavoro e solo agenzie che rispettano il
decreto 81 (CAPORALATOsi intende il caso in cui un soggetto recluti nella forza lavora del personale per
mandarle a lavorare presso un altro imprenditore) se il reclutatore non è un’agenzia autorizzata sarà un
caporale.
Caporalato nei casi di appalto fittiziosi stipula un contratto di appalto con un'altra impresa, in cui gli chiede
di conferirgli un servizio, poi in realtà, di fatto di appalta mera mano d’opera. La distinzione di queste due
situazioni rischia di scivolare ed essere incerta quando ci sono servizi ad alta intensità di forza lavoro. Un
servizio di portineria ero il servizio con il personale umano (non ha bisogno di investimenti di capitale). In
questo caso è difficile distinguere se è un appalto di servizi o un appalto di mera mano d’opera.
24
Una dipendente dell’impresa appaltatrice prende ordini dall’impresa appaltatrice se dovesse prendere ordini
dal datore di lavoro (sarebbe una somministrazione illecita).
ART. 29legge 277 del 2003: i fini dell’applicazione nelle norme contenute sull’amministrazione, i
ART. 1655contratto di appalto
2/12
Tra il momento dell’assunzione del lavoratore e fine del rapportoquesto rapporto può durare anni.
FASE DI SVOLGIMENTO DEL RAPPORTO DI LAVORO
In questa fase ci sono una serie di obblighi per le parti: per il lavoratoreobbligo di prestare il lavoro con
diligenza ed obbedienza (20104 del C.c.) e poi c’è un obbligo accessoriodi fedeltà
Obblighi dei datori di lavororetribuire in cambio di lavoro (2099), obbligazione accessoriagarantire uno
stato di salute per il lavoratore (2087 del C.c.). Quando parliamo di obblighi delle parti interviene il C.c.
Nel corso del rapporto vediamo le parti adempiere a questi obblighi: il periodo dello svolgimento del rapporto
il datore esercita una posizione di supremaziapotere direttivo, potere di controllo e disciplinare (l’essenza
della subordinazione). Dove c’è subordinazione ci sono questi poteri. Il diritto del lavoro italiano attraverso
lo statuto dei lavoratori (titolo 1) cerca di limitare questi poteri, a protezione della libertà e dignità della
riservatezza del lavoratore. Questi tre poteri consostanziali alla subordinazione trovano dei vincoli nello
statuto dei lavoratori. In più per il potere direttivo si aggiunge la legge antidiscriminatoria (l’imprenditore
deve esercitare il suo potere di gestire il personale in maniera non discriminatoriaart. 3 della Cost. principio
di uguaglianza).
OBBLIGHI DELLE PARTI
Che sia stipulato un contratto determinato oppure indeterminato oppure flessibile, se il lavoro subordinato
esiste nascono delle obbligazioni.
OBBLIGHI DEL DATORE
Obbligo di retribuire il lavoratoredal punto di vista della legislazione ordinaria il fondamento normativo è
l’articolo 2099 del C.c. c’è anche una norma importante proveniente dalla Costituzione che si occupa di
retribuzione è l’art. 36: molto importante perché dice nel rapporto di lavoro il prezzo di lavoro non lo fa il
mercato e non può scendere sotto un certo minimoci deve essere una retribuzione giusta. L’art. 36 dice
che la retribuzione deve essere proporzionata al lavoro svolto sia per quantità che per qualità; in più la
retribuzione è un elemento sociale; deve essere anche equa e giusta in grado di assicurare al lavoratore e alla
sua famiglia una esistenza libera e dignitosa. Questa norma non ha avuto una attuazionesi applica
immediatamente al singolo lavoratore (immediatamente precettiva- non ha bisogno di una norma ordinaria).
Il lavoratore potrà ricorrere al giudice per chiedere che gli venga adottata la retribuzione del CCNL. La
direttiva emanata in riferimento al salario minimo, non stabilisce che debba applicarsi per legge, l’importante
che ci sia una copertura elevata della contrattazione collettiva.
Obbligo di non discriminare i lavoratori. Art. 37i lavoratori non posso essere discriminati né per sesso né
per età
1) Modalità di retribuzione. Art. 2099 del C.c. il lavoratore subordinato può essere retribuito in tante
forme: a tempo, a cottimo, a provvigione, in natura, con partecipazioni a prodotto o agli utili.
 Retribuzione a tempo è la più importante (come lo dice l’articolo 36 che va pagato il lavoratore a tempo);
il lavoratore si impegna nel tempo a prestare la propria attività lavorativa. Il corrispettivo dell’attività
lavorativa è a tempova retribuito per le ore, settimane che ha prestato lavoro. Nella busta basa si può
prevedere oltre alla retribuzione di denaro anche altre forme di denaro come quelle elencate sopra
25










26
(cottimo, in natura) ma un importo declinato a tempo ci deve essere e non deve andare sotto al minimo
contrattuale del CCNL.
Retribuzione a cottimo è una forma di retribuzione che cerca di premiare il rendimento del lavoratore
(per un numero quantum in base a quanto produci). Ci sono dei casi in cui il cottimo è
vietatonell’apprendistato, dove il lavoratore si sta formando. È obbligatorio nel lavoro a domicilioil
lavoratore non può controllare il lavoratore e quindi deve utilizzare obbligatoriamente il cottimo. Quando
le lavorazioni svolte richiedono la tenuta di certi ritmi  la misurazione dei tempi di
lavorosottoposizione di una misurazione costanteè necessario il cottimo.
La retribuzione a provvigione il lavoratore viene remunerato in base agli affari/contratti conclusi
(commessi viaggiatori)persone che devo piazzare contratti per la fornitura di certi prodotti.
Retribuzione in naturafringe-benefit: il riconoscimento dell’auto aziendale, la consegna di uno
smartphone aziendale, prestazioni di welfare aziendali. Le aziende che hanno avuto convenienza a
stipulare con RSA o RSU degli accordi con cui l’azienda invece che riconoscere al lavoratore degli aumenti
retributivi riconosce il godimento di certi servizi e prestazioni: prestazioni previdenziali, prestazioni
sanitarie, prestazioni erogate sottoforma di voucher per abbonamenti in palestra, prestazioni in ambito
culturale, bonus per acquisto dei libri dei figli, bonus asili nidi, bonus per integrazione delle rette
scolastiche universitarie… oggi a partire dalla legge 108 del 2015, questi accordi sono molto incentivati e
si prevede che queste prestazioni siano accompagnate da agevolazioni contributive e fiscali. Le
prestazioni sono detassate (cuneo fiscale: differenza tra loro e netto della busta paga).
Partecipazione ai prodottiscarsamente utilizzata; si adotta nei settori dell’agricoltura e della pesca.
Partecipazione agli utilisi iscrive nei sistemi di democrazia finanziaria dei lavoratori agli utili (in S.p.A.);
forme di azionariato dei dipendenticategorie di lavoratori in alto come i dirigenti. Se si realizzano lo si
fa con uno stock option (un pacchetto di azioni che viene offerto ad un prezzo nominale che rimane
fermo e viene offerto ai dipendenti; i dipendenti che acquisterà queste azioni diventeranno azionisti della
società). il vantaggio è quello di acquistare ad un certo prezzo che rimane fermo e di vedere che le azioni
aumentano di valore che poi possono essere vendute nel mercato e quindi riguadagnarci un profitto.
Sono utilizzati poco: le spa sono poche, ci sono tante piccole e microimprese ci sono più S.r.l. secondo
perché in Italia ci è sempre stata una concezione conflittuale tra lavoratore e capitale. In America è tipico
utilizzare forme di azionariato dei dipendenti, addirittura operai.
Retribuzione tabellare (minimo sindacale art. 36) versata in proporzione al lavoro svolto e alla qualità
del lavoro svolto. Nel CCNL abbiamo diverse retribuzioni in proporzione alla qualifica professionale. Ci
sono vari livelli in una attività e ad ogni livello professionale/contrattuale corrisponde una certa paga
base.
Scatti delle anzianitàautomatismi retributivi; dopo avere trascorso un certo tempo di lavoro presso un
datore di lavoro la retribuzione prevede, in genere ogni due anni, degli scatti con un piccolo aumento
retributivo. Oggi sempre meno i CCNL danno importanza gli scatti di anzianità: diminuiscono l’importo
corrispondente allo scatto, i CCNL prediligono i premi di produttività oppure premi di performance
(collegate al merito) e vengono tarati in base alla singola azienda.
Gratifichegratifica natalizia, oppure tredicesima o quattordicesima
Indennitàindennità di turni, di festività, lavoro notturno, straordinario, collegata ad un evento protetto
(come maternità, infortunio, malattia). L’art. 2110 stabilisce che il lavoratore possa assentarsi con diritto
alla conservazione del posto e il ristoro della retribuzione perduta tramite una indennità. Indennità di
reperibilità (pubblica amministrazione dei dirigenti medici), indennità di maneggio danaro, indennità a
lavori pericolosi.
TFRART. 2120elemento di retribuzione differita, il lavoratore lo matura di anno ma gli viene versato
alla fine della sua carriera. Il lavoratore dal 2005 entro sei mesi, dalla sua assunzione deve espressamente
per iscritto dire di non voler versare il TFR nel fondo pensione (previdenza complementare). Se il
lavoratore non lo fa vige il silenzio assenso. Il TF è un accantonamento annuale che l’impresa deve fare
ogni mese per il lavoratore: si prende tutta la retribuzione globale annua (tutte le voci non occasionali)
diviso 13,5. Questo accantonamento che viene indicizzato sui criteri ISTAT (in base all’aumento del costo
della vita) viene poi versato con la busta finale di cessazione del rapporto di lavoro. Se l’impresa fallisce
il lavoratore non perde il TF perché esiste un fondo di garanzia presso l’INPS, che copre i lavoratori
quando l’impresa sia fallita o sottoposta ad altre procedure concorsuali. Il TFR può essere chiesto
anticipatamente, solo se ha lavorato più di 8 anni di servizio, solo una volta e per il 70%.
2) Proteggere la salute e la sicurezza del lavoratore: il lavoratore essendo un dipendente è un pezzo
dell’organizzazione aziendale e per questo gli va garantita la salute. È un obbligo
secondarioespressione delle clausole di correttezza e buona fede. Questo obbligo, secondario nel
senso che nasce dalle necessità di garantire l’interesse primario del lavoratore, viene sancito nel C.c.
all’art. 2087: l’imprenditore deve adottare qualsivoglia misura, secondo il tipo dell’attività professionale,
l’esperienza (il numero degli incidenti che si realizzano) e alla tecnica (progresso tecnologico del
momento) sia necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personale de
 Art. 32 del cost dove viene sancito il diritto alla salute del lavoratore;
 l’art. 2 della Cost La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei
doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
 Art. 41 comma 2libertà di impresa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, con la
sicurezza, con la dignità, con l’ambiente e con la salute.
 L’art. 2087 impone che il datore del lavoro deve rendere sicuro il posto del lavoro in base al progresso
tecnologico; il datore deve rivedere costantemente la sua organizzazione aziendale. Impone anche
misure che tutelino, non solo il lavoratore fisicamente, ma anche a livello della salute mentale. Anche
se scritta nel 1942, questa norma rimane moderna perché guardava lontano. Questa norma è
utilizzata per dare una tutela ai lavoratori in modo prevalentemente risarcitorio. Risarcisce
solamente quando il danno alla salute c’è già stato. La tutela invocata spesso è risarcitoria. Danno
non patrimoniale. Esistono delle norme che ci aiutano a prevenire i rischi?
Testo unico sulla sicurezza del lavoro: dice cosa deve fare il datore per adempiere all’articolo 2082.
Questo testo unico è contenuto nel DLG 81 del 2008.
TESTO UNICO SULLA SICUREZZA DEL LAVORO
Questo decreto è attuativo della direttrice madre 1989 e 391, dove troviamo i principi generali di un ambiente
di lavoro sicuro. Le successive direttive figlie applicano i principi generali della madre a specifici fattori di
rischio: ad esempio la direttiva sui cantieri, sulla sicurezza in caso di rischio biologico… Il testo Unico contiene
306 articolo. Quello più importante è il titolo I del testo Unico troviamo tutto quello che serve per organizzare
un ambiente in sicurezza. La filosofia è tipo europeo, costruito su maturi e moderni sistemi di sicurezza del
lavoro dei paesi più avanzanti (Nord-Europa). La filosofia di fondo di queste direttive sono quelle per cui che
il lavoro si deve adeguare all’uomo e non viceversa, organizzazione produttiva che protegge la salute di chi
ci lavora. Questo vuol die che per adeguare l’organizzazione aziendale all’uomo la sicurezza deve essere un
piano fondamentale e necessario. Il fatto che poi l’organizzazione aziendale debba prevedere come pezzo
fondamentale la sicurezza, vuol dire che l’ottica è quella di programmazione della sicurezza in un’ottica di
prevenzione del rischio. La filosofia del testo unico è prevenzionistica: mettere a punto un sistema di
prevenzione dei rischi e non un’ottica risarcitoria (come è stato utilizzato il 2087). Questo fa si che fermo
restando la centralità della posizione debitoria del datore di lavoro, nel momento in cui questa attività
diventa un pezzo dell’organizzazione dell’azienda debbono partecipare tutti i soggetti che si muovono
all’interno dell’impresa (dall’apice fino in fondo): dirigenti, preposti (capocantiere, capo negozio) che hanno
specifici obblighi, a fronte della legge , sono stati aggiunti maggiori compiti e obblighi e può interrompere
l’attività lavorativa quando non sono rispettati gli standard di sicurezza; i lavoratori che hanno sia un diritto
e un dovere di lavorare in sicurezza (rispettare le direttive di sicurezza, obbligo di partecipare alla formazione,
27
di avere cura della propria salute e sicurezza, obbligo di indossare i dispositivi di protezione individuale). Ci
sono dei soggetti a doc per la sicurezza:
1. Servizio di protezione e prevenzione dei rischi, costituito dal datore con un certo numero di addetti
e un responsabile del servizio. Questi soggetti costituiscono il braccio tecnico a servizio
dell’imprenditore (RSSPPil Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione; FIGURA
FONDAMENTALE)
2. Medico competente per la sicurezza (può essere assunto come dipendente, oppure viene assunto
tramite l’ASL). Laddove ci sia un’attività produttiva è previsto anche un obbligo di sorveglianza
sanitaria (visite periodiche)
3. Rappresentante dei lavoratori della sicurezza (RLS) Se nell’azienda c’è già una RSA o RSU è possibile
che si prenda uno dei loro componenti come rappresentante dei lavoratori della sicurezza. Se non
c’è la RSA o RSU invece i lavoratori nomineranno ad elezione tra i lavoratori un rappresentante della
sicurezza. Dovrà avere del tempo a disposizione da dedicare a questa attività; dovrà avere dei
permessi sindacali a doc, dovrà avere una formazione sulla sicurezza a doc rispetto gli altri. Nel caso
nessuno dei lavoratori voglia ricoprire questa figura, allora subentra il rappresentante dei lavoratori
della sicurezza territoriale (poiché tutte le imprese debbano avere un rappresentante dei lavoratori
della sicurezza). Questo soggetto territoriale è pagato dall’azienda (mediante un fondo) e svolge la
mansione per altre imprese del territorio.
L’obbligo fondamentale che grava sul datore di lavoro è la valutazione del rischio: per prevenire il rischio e
organizzare l’attività è valutare quali rischi sviluppa l’attività produttiva. Il datore si serve del braccio tecnico,
in collaborazione con il RSSPP (un ingegnere gestionale) e con il medico competente (le prime due figure)
previa consultazione del RLS. La valutazione del rischio include la valutazione dello stress correlato. Il datore
deve fare un documento della valutazione del rischio (DVR) dove va inserita la valutazione del rischio e un
programma di misure necessarie a eliminare tutti i rischi eliminabili, quelli non eliminabili vanno gestiti (ad
esempio il rischio della vista) e vanno ridotti al mimino con delle misure. Dentro il documento va indicato il
nome e cognome delle persone che si occuperanno di mettere a punto le misure previste.
Tutti questi obblighi sono seguiti da sanzioni penali; ad eccetto sulle RSL e sul RSSPP. Anche i lavoratori hanno
degli obblighi e possono essere sanzionati se non rispettano queste regole.
Ci sono dei soggetti equiparati ai lavoratori: studenti delle scuole e delle università qualora facciano uso di
strumenti informatici, laboratori e di attrezzature pericolose.
OBBLIGHI DEL LAVORATORE
1. Obbligo di prestare il lavoro con diligenza e obbedienza primario, quello del 2104 del C.c.,
 La diligenzaIl lavoratore si obbliga a svolgere la sua attività con diligenza: quella richiesta è una
diligenza superiore a quella media (del buon padre di famiglia) ma si richiede una diligenza
professionale (art. 1176 comma 2). La diligenza che deve usare il lavoratore va parametrata al tipo di
professionalitàla diligenza è diversa a seconda dell’attività lavorativa. Il 2104 dice che la diligenza va
anche rapportata all’interesse dell’impresa: il lavoratore dal punto di vista professionale deve saper
svolgere il suo lavoro e deve essere in grado di stare dentro l’organizzazione aziendale (sapersi
coordinare con gli altri colleghi). Il lavoratore si impegna a svolgere determinate mansioni in ragione
dei compiti che gli sono stati affidati dal contratto: acquisirà una qualifica e la sua retribuzione sarà
proporzionata a quale livello è inserita la sua qualifica professionale. Con la qualifica si distingue se il
lavoratore è: dirigente, quando, impiegato e operaio. Normalmente il dirigente ha una contrattazione
collettiva differente dagli altri.
Nel 2104 è citato un altro parametro, abrogato, sull’interesse della produzione nazionale (faceva parte
del periodo corporativo).
28

L’obbedienzail lavoratore deve seguire l’obbligo primario in modo anche obbediente. Il dovere di
obbedienza scaturisce dal 2 comma dell’articolo 2104. L’obbedienza implica l’osservanza di tutte le
esecuzioni e per la disciplina del lavoro, indirettamente anche la consacrazione del potere direttivo,
che spetta al datore.
2. Obbligo di fedeltà obbligo secondario e accessorio. Questo obbligo è espressione dei canoni di
correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto. Anche qui, è un dovere che consente al datore di
potere estrarre e realizzare il proprio interesse alla prestazione lavorativa. Dietro a questa rubrica ci sono
altri due obblighi sottintesi di non fare: Obbligo di non concorrenza al proprio imprenditore e l’obbligo
di non divulgare notizie dell’azienda (obbligo di riservatezza). anche il lavoratore deve preservare
l’azienda dal punto di vista della sua immagine e del suo patrimonio
 Obbligo di non concorrenza per l’imprenditore per tutti il rapporto di lavoro; non è corretto un
lavoratore che faccia concorrenza al proprio datore, neanche mediante altri soggettiil lavoratore
non può trarre profitto di aver conosciuto l’attività produttiva e ledendo il patrimonio dell’azienda. Il
datore può proporre di stipulare con il lavoro un patto di non concorrenza, con dei requisiti del 2125.
Per il patto è necessario il consenso del lavoratore, deve essere fatto in forma scritta a pena di
invalidità, preciso nell’oggetto del fatto, deve individuare precisamente l’attività, deve avere dei limiti
di tempo e di luogo. Per i dirigenti non può eccedere i 5 anni, per gli altri i 3 anni. Deve anche essere
circoscritto nel luogo geografico
 Obbligo di riservatezzaobbligo di non divulgazione sia di notizie esclusive dell’azienda (know-how,
elenco clienti) sia di notizie neutre (bilancio non pubblicato, l’organico dell’impresa). Questo obbligo
perduri anche oltre la cessazione del rapporto di lavoroper sempre, per tutelare l’azienda dal punto
di vista del suo patrimonio. Trova limite nell’art 1 dello statuto dei lavoratori, libertà di opinione di
critica. Quando il lavoratore faccia delle soffiate, perché ci sono dei diritti che vengono lesi, i giudici
affermano che devono essere tutelati.
Mansioni: tipo di attività oggetto dell’obbligazione di lavoro
Qualifiche: gruppi di mansioni risultanti dalla classificazione
Categorie: raggruppamenti di qualifiche
CATEGORIE
IMPIEGATI E OPERAI
Criteri definitori della categoria impiegatizia art. 1 R.D.L. n. 1825/1924 (c.d. legge sull’impiego privato)
Svolgimento di attività professionale con funzioni di collaborazione, tanto di concetto che di opera,
eccettuata ogni prestazione di mera manodopera. Tendenza al superamento della distinzione tra operai e
impiegati.
QUADRI
Sono quei lavoratori che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, svolgono funzioni con carattere
continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa.
DIRIGENTI
 Disciplina legale “negativa” (Inapplicabilità di una serie di tutele)
 Disciplina contrattuale “positiva” (migliorativa specie per preavviso, retribuzione, fringe benefits)
Criteri di identificazione: Per i giudici, è dirigente l’alter ego dell’imprenditore, preposto alla direzione
dell’intera impresa o ad un ramo importante e autonomo di questa e provvisto a tal fine di piena autonomia
nell’ambito delle direttive generali dell’imprenditore Allargamento della categoria: qualifica convenzionale e
crisi dell’unitarietà della categoria. Il dirigente apicale o top manager
POTERI DEL DATORE DI LAVORO
1. Limite sul potere direttivo: non si possono dare direttive eccessivamente stringenti.
29




Potere direttivo limitato dal divieto di discriminare i lavoratori art. 15 (di sesso, di lingua, di religione,
di etnia, di età, all’handicap e all’orientamento sessuale). Art. 15 è stato riformato da norme nazionali
e poi norme attuative di diritto europeo (ultime degli anni 2000)
Codice delle pari opportunitàcontenuto nel Dlg 198 del 2006, detto testo unico, perché ha
ordinato tutta la normativa discriminatoria. Comitato nazionale per l’attuazione della parità uomodomma (dentro ministero del lavoro). Consigliere di paritàquesto sistema si snoda come una rete
da livello nazionale fino al provinciale. Al livello nazionale c’è la consigliera nazionale di parità; poi ci
sono per ogni regione le consigliere nazionali, poi per provincia (aree metropolitane o aree vaste).
Queste consigliere possono agire in giudizio, possono intervenire nei processi in cui delle lavoratrici
per lamentare discriminazioni a loro danno. Possono agire su delega del singolo lavoratore, possono
intervenire in un giudizio già avvitato da una lavoratrice già in giudizio, possono agire
autonomamente in giudizio anche senza delega, perché sono venute a conoscenza di una
discriminazione di tipo collettivo (quando in una azienda c’è un numero inferiore di donne, oppure
le donne vengono pagate meno rispetto agli uomini). In questo caso anche la consigliera provinciale
può agire in giudizio autonomamente senza della delega dei lavoratori. I dati di carattere statistico
sono campanelli di allarme per dire che ci potrebbe essere una discriminazione. A fronte di certi dati
sarà poi l’imprenditore che sarà chiamato a discolparsi e a portare una motivazione non
discriminatoria in giudizio. Se il datore non riesce a discolparsi sarà condannato per discriminazione:
obbligo di predisporre un piano rimozione per le discriminazioni accertate, risarcimento del danno
alle singole persone. Cosa si intende per discriminazioni? La normativa ci da due nozioni, art. 25:
diretta: direttamente volte a discriminare (per il sesso). Es. si decide di non assumere lavoratrici
sposate, licenziamento in periodo di gravidanza, oppure in fase di selezione si chiede se si hanno figli
e in base a questa risposta si decide se assumere.
indiretta: attività che possono mettere la lavoratrice in una condizione di svantaggio e sono criteri,
comportamenti e prassi non essenziali per l’attività lavorativa (un bando che ci vuole una
determinata altezza per poter essere assunti)
Anche quando un’azienda non ponga in essere delle discriminazioni è possibile che abbia bisogno di
mettere a punto un piano per rimuovere gli ostacoli che di fatto si frappongono o ostacolo la
realizzazione delle pari opportunità (azioni positive obbligatorie nel pubblico impiego e facoltative
nel privato, ma incentivate). La certificazione di genere (art. 46 Bis) prevede che le imprese possono
ottenere una certificazione di genere quando adottano le politiche di pari opportunità. Alle
discriminazioni sono accumunate le molestie sessuali (art. 26) e possono essere perseguite con un
ricorso in giudizio facendosi rappresentare dalla consigliera di provinciale.
Testo unico sul rapporto di lavoro degli stranieri1998, numero 286
Dlg 215 (2003) per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e
dall'origine etnica
Dlg 216 (2003) Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di
occupazione e di condizioni di lavoro.
7/12
ART. 2103 del C.c.
L’articolo riguarda il potere direttivo, in cui si esprime nelle forme dello IUS VARIANDI e nelle forme del
potere di trasferimento in un luogo geografico ad un altro.
IL POTERE DI VARIARE DELLE MANSIONI DEL LAVORATORE
Il datore decide di assegnare il lavoratore a mansioni diverse da quelle previste dall’assunzione. Il lavoratore
che viene assunto per svolgere determinate mansioni può essere spostato ad altre mansioni, perché il
rapporto può essere indeterminato e quindi è normale che il datore ripensi alle posizioni professionali dei
30
suoi lavoratori. lo IUS VARIANDI è un’espressione del potere direttivo. Il lavoratore deve acconsentire di
svolgere la nuova mansione di assegnazione, entro però i limiti del dei limiti dell’art. 2103.
LIMITI
Lo IUS VARIANDI ha dei limiti: il bene del lavoratore protetto da questa norma è la sua professionalità (non
il salario): qualcosa di importante che ne costituisce l’identità, un bene rilevantissimo, perché qui il lavoratore
può spendere la propria professionalità (come i titoli acquisiti e le competenze). Il bagaglio professionale di
un lavoratore costruito nel tempo è molto importante nella ricerca del buon posto di lavorola
professionalità del lavoratore va preservata e non può essere pregiudicata dall’assegnazione del lavoratore
ad altre mansioni senza limiti.
La norma con il Jobs Act è stata riformata, ma è stata anche riformata in passatonel 1970, quando si
intervenne’ all’art. 13 dello statuto dei lavoratori, poi nel 2015 art. 3 del decreto legge 81/2015 la riforma
prende una direzione opposta, l’articolo 13 viene abrogato e il 2103 riscritto in senso favorevole alle ragioni
delle imprese, di rendere più facile lo spostamento del lavoratore ad altre mansioni; la conseguenza fu
maggiore mobilità delle figure professionali e ampliamento del potere organizzativo a scapito dei lavoratori.
Cosa cambia per la protezione della professionalità del lavoratore, riscritto nel 2015?
Due direttive di marcia: obiettivo della riforma è stata quella di accrescere i limiti al potere del datore di
datore così rafforzando la protezione del lavoratore; IUS VARIANDI rafforzando la protezione della
professionalità del potere del lavoratore. In un secondo momento è prevalsa una seconda esigenza
TESTO PREVIGENTE
Il vecchio articolo 13 fondava la protezione della professionalità del lavoratore sul principio dell’equivalenza:
il potere del datore di lavoro di cambiare le mansioni in senso superiore ed equivalente
-
era vietato assegnare al lavoratore mansioni inferiori di minor pregio professionale ma solo lo
spostamento a mansioni equivalenti o superiore.
Era vietata la mobilità verticale verso il basso (vigeva il divieto del demansionamento). In caso di
demansionamento si ricorreva al giudice che andava a mettere a confronto le mansioni e verificava
se la nuova mansione era in grado di garantire la messa in campo di tutta la sua professionalità.
Essendo un confronto difficile da svolgere, i giudici hanno fatto propri orientamenti diversi e questa
eccessiva discrezionalità del giudice ha portato il legislatore a riformare l’art. 2103 e il principio di
equivalenza venne eliminato. Oggi, infatti, nell’articolo 2103 non compare più il principio di
equivalenza; i limiti ci sono ma sono meno rigidi e rigorosi.
TESTO VIGENTE
Il 2103 sostituisce al vecchio limite della equivalenza con il limite del livello della categoria: il lavoratore può
essere spostato a tutte le mansioni del proprio livello di inquadramento contrattuale e della propria categoria
legale.
JUS VARIANDI IN PEIUS
Possibilità di JUS VARIANDI IN PEIUS per iscritto, nel limite della categoria legale e ferma l’irriducibilità della
retribuzione del livello e con diritto alla conservazione dello stesso, nel caso di modifica di assetti organizzativi
aziendali incidenti sulla posizione del lavoratore e in tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi dei
sindacati comparativamente. più rappresentativi.
In certi casi è possibile che lo spostamento necessiti di un obbligo formativo a carico del datore di lavoro. In
alcuni casi ci sono limiti del livello e della categoria (commi successivi al primo gli elencano):
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-
-
mansione inferiore nel caso di modifica degli assetti modificativi dell’azienda che citano sulla
posizione del lavoratore (comma 2) e poi in tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi. In queste
due ipotesi cade anche il limite del livello, e il lavoratore può essere adibito ad una mansione
inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale. Viene conservato il trattamento
retributivo.
livello di categoria inferiorenelle ipotesi previste dal comma 6 e altri casi ancora cade anche il
limite della categoriail lavoratore può essere spostato sia a mansioni livelli inferiori che a livello di
categoria inferiore. Il lavoratore e datore possono stipulare dinanzi alle commissioni di certificazione,
(sono sedi protette) accordi di modifica delle mansioni anche di categoria legale inferiore purché vi
siano delle ragioni a sostegno di questo demansionamento a categoria inferioresia fatto
nell’interesse del lavoratore, alla conservazione del posto di lavoro (se ad esempio rischia di
perderlo), nell’interesse del lavoratore all’acquisizione di una nuova professionalità, che sia dovuto
alla necessità di migliorare le condizioni di vita del lavoratore.
JUS VARIANDI IN MELIUS: adibizione del lavoratore a mansioni superiori
Il nuovo articolo 2103 non si discosta molto dalla formulazione previgente, viene sostanzialmente confermata
la protezione del lavoratore (già prevista nel vecchio articolo 13) anche se con qualche piccola modifica:
-
-
il nuovo articolo afferma espressamente che il lavoratore può rifiutare l’assegnazione a mansioni
superiori
Già l’art. 2103 prevedeva una protezione salariale (principio ribadito dal nuovo art. 2103) se la
mansione è superiore anche la retribuzione lo deve essereoggi come ieri il lavoratore ha diritto al
trattamento corrispondente alla mansione svolta
Il lavoratore che venga impiegato nella mansione superiore per un certo periodo di tempo in maniera
continuativa ha diritto all’avanzamento automatico e l’assegnazione definitiva a quella mansione
superiore. Se il lavoratore per lungo tempo svolge continuativamente quella mansione superiore
evidentemente è perché il lavoratore la sa fare, la sta acquisendo la professionalità collegata a quella
mansione. Quindi si ha diritto ad ottenere per sempre in maniera permanente quella mansione
superiore (salto di carriera automatico). Il 2103 specifica che il lavoratore può anche rifiutare
l’assegnazione definitiva della mansione e inoltre, nel vecchio articolo 13 bastavo 3 mesi oggi ce ne
vogliono 6 dell’esercizio continuativo delle mansioni superiori. La mansione superiore non può
diventare definitiva quando il lavoratore lo occupi per sostituire un altro lavoratore.
TRASFERIMENTO DEL LAVORATORE
Nelle forme del potere di trasferimento del lavoratore da un luogo geografico ad un altro, da un’unità
produttiva all’altra. Il nostro ordinamento è possibile trasferire il lavoratore da una sede ad un’altra della
stessa impresa è possibile (rientra nel potere direttivo) e il lavoratore non può rifiutare. Un trasferimento di
sede può comportare dei disagi al lavoratore; quindi, proprio a tutela dell’esigenza di vita del lavoratore di
rimanere ancorato alla sua sede originaria, si prevede un limite al potere di trasferimentodeve essere
motivato da ragioni oggettive e quindi dall’esigenze organizzative, produttive, economiche e tecniche
dell’impresa. Il trasferimento è diverso dal lavoratore trasfertista (mutamento temporaneo) e non vanno
date motivazioni al lavoratore.
Esistono delle eccezioni:
-
Per i lavoratori disabili o con familiari disabili è necessario il consenso
Per trasferimenti all’estero è necessario un’autorizzazione e consenso del lavoratore
Per i dipendenti con cariche pubbliche
Per dirigenti sindacali per cui è necessario un nulla osta
Mentre è vietato il trasferimento assoluto per ragioni: discriminatorie e disciplinari.
32
POTERE DI CONTROLLO
LIMITI AL POTERE DI CONTROLLO
Una volta date le direttive il datore deve poter vigilare che le direttive vengano osservatepotere autonomo
e funzionale al potere direttivo. Si tratta di un potere diverso da quello direttivo e anzi funzionale a
quest’ultimo. Il nostro ordinamento pone alcuni limiti al potere di controllo del datore, perché la vigilanza sul
lavoro può essere a rischio di trasformarsi in un controllo della persona di chi lavora, sottraendole la libertà,
mettendo a repentaglio la riservatezza. I limiti imposti servono per garantire che la vigilanza sia confinata
sull’attività lavorativa e che non sconfini in un controllo sul piano personale. Vede legittimo controllare
l’attività lavorativa (l’esatto adempimento delle obbligazioni contratte del prestatoregli obblighi degli
articoli 2104 e 2105 diligenza, obbedienza e fedeltà) ma non un controllo che vada al di là del controllo
dell’attività lavorativa. Anche questo controllo (quello legittimo) deve essere un controllo trasparente e
corretto, non invasivo, non poliziesco, non capzioso, non subdolo e che non ponga il lavoratore in una
condizione di timore.
Le fonti giuridiche di questi limiti sono il titolo 1 dello statuto dei lavoratori che contiene gli articoli 1 al 8
escluso il 7, volti a limitare il potere di controllo del datore di lavoro. Alle norme dello statuto si affiancano le
norme sulla privacy, DLG 196/2003 (norme che tutelano tutte le persone non solo i lavoratori), riscritto per
essere conforme al regolamento europeo sulla privacy, un atto di normazione che si applica immediatamente
a tutti gli stati membri (2016/1679)
-
-
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33
L’articolo 1 dello Statuto attribuisce al lavoratore la libertà di opinione nei luoghi di lavora, anche
qualora sia una critica, ma che va opportunatamente bilanciato all’obbligo di fedeltà. nel settore
privato nonostante ci sia una direttiva europea, ancora in recepimento, che prevede protezione a do
per lavoratori che denuncino fatti della vita dell’impesa (fatti che nascono una violazione dei
dirittiesempio falso in bilancio), in Italia proprio perché ancora non è stata recepita, esiste solo una
forma di tutela per i lavoratori delle pubbliche amministrazioni (per combattere la corruzione).
L’articolo 2 è dedicato alle guardie giurate. Limitare il potere di controllo per le guardie giurate,
perché nel 1970 era in uso controllare i lavoratori in determinati modi, ad esempio tenere le guardie
giurate nei luoghi lavorativi. L’impiego delle guardie giurate era in uso in diverse aziende italiane, per
controllare l’attività dei lavoratoriuna valenza intimidatoria e poliziesca. L’articolo 2 vieta l’utilizzo
delle guardie giurate per controllare i lavoratori. lo potrà fare ai sensi dell’art. 3
L’articolo 3 è possibile controllare i lavoratori con personale di vigilanza a doc che sia trasparente e
non intimidatorio, perché c’è l’obbligo di comunicazione dei nominativi e delle mansioni del
personale addetto alla vigilanza. Le guardie giurate non possono essere impiegate per controllare
l’attività lavorativa, ma possono essere impiegate per tutelare il patrimonio aziendale.
L’articolo 4impianti di videosorveglianza. Possono essere installate telecamere? L’articolo 4
esprime una netta diffidenza nei confronti del controllo tecnologico (a mezzo di telecamere)
propendendo per un controllo umano e fisico. Detto ciò, che questa norma sempre con il Jobs Act è
stata riformata dal DLG 151/2005 con la conseguenza che abbiamo un testo previgente e un testo
vigente (slide 19)
Il nuovo comma 1 ci dice che gli impianti audiovisivi e altri strumenti da cui può derivare un controllo
a distanza possono essere impiegati esclusivamente per certe esigenze organizzative produttive,
sicurezza del lavoro, per la tutela del patrimonio aziendale (senza che ci sia la finalità del controllo
dell’attività lavorativa). Non è possibile vigilare a distanza l’attività lavorativa (anche se non viene
detto espressamente). Se ci fossero queste esigenze occorrerebbe sempre avere e siglare un
contratto collettivo aziendale con le RSA. Se il sindacato nega il consenso il datore può rivolgersi
all’ispettorato territoriale del lavoro. Il nuovo articolo 4 non differisce dalla formulazione previgente
fino a qui; differisce nel proseguo
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Nel comma 2, oggi a differenza di ieri, se gli strumenti di controllo a distanza da cui possa derivare
un controllo a distanza sono necessari per l’esercizio dell’attività lavorativa oppure sono macchinare
per registrare le presenze in azienda (per timbrare badge) non occorre l’accordo collettivo. La
seconda novità, è che una volta installati gli strumenti di controllo per le esigenze precedentemente
dette, se per caso dovessero intercettare un comportamento illecito del lavoratore (ad esempio il
lavoratore che ruba) e casualmente in via pre-intenzionale la telecamera intercetta il
comportamento del lavoratore, questo comportamento una volta non poteva essere utilizzato per
iniziare un procedimento disciplinare. Questo problema oggi invece è stato risolto in positivo dal
comma 3tutte le informazioni raccolte anche casualmente da questi strumenti in azienda possono
essere utilizzate a fini connessi al rapporto di lavoro (anche fini disciplinari). Quindi resta il fatto che
gli impianti di videosorveglianza non possono essere utilizzati per vigilare l’attività lavorativa ma se
intercettano qualcosa di illecito possono essere utilizzati ai fini disciplinari.
L’articolo 4 è corredato da sanzioni penali, così come è di grande importanza l’articolo 8
Articolo 5pensato nel 1970 per eliminare la vecchia prassi del medico di fabbrica. Già le aziende
italiane nel 1960 erano solite ad assumere un medico per constatare se i dipendenti avessero
malattie. Oggi un medico non può essere assunto più direttamente dal datore, ma deve rivolgersi ai
medici pubblici (quelli dell’INPS in caso di malattia, INAIL in caso di infortunio). Una visita medica che
il datore deve garantire ai lavoratori ai sensi di sicurezzamedico sulla sicurezza (testo unico sulla
sicurezza del 2008) può essere assunto dal datore
Articolo 6riguarda le perquisizioni personali sul lavoratore. Per visite personali di controllo si
intende le perquisizioni sul corpo del lavoratore. Oggi l’articolo 6 non esclude che possano essere
effettuate ma saranno legittimi solo a scopo di tutela del patrimonio aziendale (quando c’è stato un
furto). Le perquisizioni vanno fatto solo all’uscita dal luogo di lavoro, devono essere fatte a campione
(per evitare discriminazioni), fatte per non ledere la dignità o la sicurezza. Per dar luogo alle
perquisizioni è necessario un accordo dal sindacato.
Articolo 8vieta le indagini sulle opinioni del lavoratore (divieto assoluto). La subordinazione può
arrivare sino a condizionare la vita privata del lavoratore. Sono vietate le indagini sulle opinioni
politiche, religiose e sindacali, mentre sono consentite tutte le indagini che attendono a fatti,
comportamenti e opinioni (vita privata) che possono avere una qualche attinenza, e quindi essere
rilevanti ai fini della valutazione dell’altitudine professionale del lavoratore. Il datore può assumere
un investigatore che vada ad indagare sul lavoratore per poter capire se tiene determinati
comportamenti rilevanti per la sua attitudine professionale. Questo perché il datore potrebbe
perdere la fiducia del lavoratorecassiera brava durante l’orario di lavoro, ma al di fuori va a rubare
in altri supermercati.
POTERE DISCIPLINARE
Il datore di lavoro quando verifica che ci sono delle inosservanze può erogare una sanzione disciplinare. Art.
2106 del C.c. e poi art. 7 dello Statuto dei lavoratori. Tutte le due norme confermano il potere per poter
gestire il personale, ma allo stesso tempo cercano di depurarlo da incrostazioni autoritarie, da un esercizio
abusivo.
REQUISITI
1) Sostanziali (art. 2106 C.c)quando il lavoratore viola i propri doveri (violazione dell’obbligo di
diligenza, obbedienza e fedeltà) derivanti dal contratto di lavoro (doveri indicati dagli articoli 2104 e
2105) è passibile di una sanzione disciplinare, che però deve essere proporzionata alla gravità
dell’infrazione commessa. Le sanzioni ammesse sono: rimprovero verbale; rimprovero scritto; multa
(max 4 ore); sospensione (max 10 gg.). Le sanzioni vietate sono: mutamenti definitivi del rapporto
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2) Procedimentali (Art. 7)circonda di limiti importanti e impenetranti allo scopo di democratizzarlo e
proceduralizzare il potere disciplinare, per dare una serie di garanzie al lavoratore (trasparenza,
garanzie di difesa).
Procedimento:
a. Se il datore di lavoro vuole aprire un procedimento disciplinare nei confronti del lavoratore deve
avere un codice disciplinareun documento in cui siano elencati i comportamenti vietati con le
relative sanzioni corrispondenti. Il datore di lavoro può scrivere questo documento
unilateralmente, ma può anche prender questo codice disciplinare dal CCNL. Questo codice
disciplinare non può essere nascosto, ma per un’esigenza di pubblicità e trasparenza deve essere
affisso in luoghi accessibili a tutti. Se non viene affisso, il datore sarà in errore se eroga la
violazione disciplinare, e potrà essere richiesta la nullità.
b. Per aprire questo provvedimento disciplinare, la prima cosa da fare, fare una contestazione
dell’addebito per iscritto. Si tratta di redigere una lettera in cui l’azienda contesta al lavoratore
il comportamento inadempiente che gli rimprovera (per iscritto)in modo puntuale così che il
lavoratore possa difendersi.
c. Il lavoratore può difendersi con l’assistenza di un rappresentante sindacale. Devono passare 5
giorni dall’addebito per erogare la sanzione. Ci sono 5 giorni dalla contestazione dall’addebito
per poter irrogare la sanzione. Questi cinque giorni non rappresenterebbero una pausa di
riflessione ma uno strumento per il lavoratore per difendersi.
L’articolo 7 fa una elencazione semplificativa delle sanzioni: rimprovero verbale (non occorre
rispettare il procedimento detto prima), il richiamo scritto, la multa (non superiore a 4 ore di
retribuzione), la sospensione dal lavoro (per un massimo di 10gg) e dalla retribuzione e infine il
licenziamento disciplinare. Una sanzione che comporta un trasferimento della sede lavorativa non è
ammessa.
d. Una volta che il lavoratore abbia ricevuto la notificazione della sanzione può o impugnare la
sanzione tradizionalmente (andando dal giudice) in via giudiziale oppure può scegliere la via
stragiudiziale, può chiedere il collegio di disciplina, costituito da un numero pari di
rappresentanti dell’impresa del lavoratore che possa decidere sulla sanzione (quindi finché il
collegio non si pronuncia la sanzione è sospesa).
L’ultimo comma dell’articolo 7 è dedicato alla recidiva: quando ha già commesso, ad esempio un
reato, e lo ricommetta. A garanzia del lavoratore della recidiva si può tener conto nei limiti di due
anni (dopo tre anni la recidiva non vale più).
IL LICENZIAMENTO
Il rapporto di lavoro può chiudersi per diverse ragioni (nel caso di contratto indeterminato)
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Per risoluzione consensuale (entrambe le parti sono d’accordo)
Per recesso unilaterale: Il C.c. attribuisce a ciascuna delle parti la possibilità di recedere
unilateralmente (no vincoli perpetui di una società medievale). Se il recesso è esercitato dal
lavoratore si parla di dimissioni, se il recesso è esercitato dal datore si parla di licenziamento.
Inoltre, il rapporto di lavoro a T.I. può chiudersi per altre ragioni previste dalla legge, ad esempio
quando: (1) il lavoratore dopo il periodo di comporto, che viene deciso dal CCNL (periodo di malattia
per conservare il posto di lavoro ai sensi dell’art. 2110 e 2111 per il servizio volontario civile) non si
presenta nel posto di lavoro (entro 30 gg), questo può essere una causa ella cessazione
(2) Il lavoratore che abbia ottenuto una sentenza favorevole di reintegrazione nel posto di lavoro e
non si presenta entro 30 gg può essere licenziato.
La morte del lavoratoregli eredi possono pretendere un indennizzo per morte del lavoratore (per
mancato preavviso)
TRASFERIMENTO D’AZIENDA
Il trasferimento è qualsiasi tipologia negoziale o provvedimento di cessione (vendita, usufrutto, affitto,
locazione, comodato, cessione di contratti, fusione, ma anche conferimento in società e scissione) (art. 2112,
c. 5, c.c.) che comporti il mutamento nella titolarità dell’azienda.
L’oggetto del trasferimento può essere:
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L’azienda (art. 2112 C.c.): qualsiasi attività economica organizzata (finalizzata alla produzione o allo
scambio di beni e servizi) preesistente al trasferimento che conserva … la propria identità
Il ramo d’azienda: qualsiasi articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica
organizzata (… finalizzata alla produzione o allo scambio di beni e servizi) identificata come tale dal
cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.
TUTELA INDIVIDUALE (ART. 2112 C.c.)
Se muta il datore di lavoro i lavoratori conservano i loro diritti che avevano acquisito con il primo datore di
lavoro:
1. Diritto alla stabilità del posto di lavoro (continuazione dei rapporti di lavoro con il cessionario e passaggio
automatico dei relativi contratti di lavoro, senza necessità di consenso del contraente ceduto);
2. diritto alla conservazione dei diritti maturati con il cedente;
3. diritto alla conservazione dei crediti maturati nei confronti del cedente
Nonostante queste protezioni, un trasferimento di un’azienda può determinare forti problemi ai
lavoratorila legge dice che se il nuovo datore ha un suo CCNL o contratti collettivi aziendali si ha subito un
effetto sostitutivo, tra contratti dello stesso livello, applicandoli ai nuovi lavoratori. Se il datore di lavoro
nuovo non ha propri contratti collettivi allora si applicheranno i vecchi, fino alla loro scadenza.
L’art. 2112 prevede che se i lavoratori assistano ad un peggioramento delle proprie condizioni di lavoro
possono dimettersi per giusta causa, che per legge prevede un indennizzo corrispondente all’indennità di
mancato preavviso.
TUTELA COLLETTIVA (ART. 47 L. n. 428/1990)
Se l’imprenditore cedente ha più di 15 dipendenti non può cedere l’azienda senza coinvolgere il sindacato.
Il sindacato potrà chiedergli un esame congiunto al termine del quale si può arrivare ad un accordo di
contratto collettivo aziendale; se il datore non riesce ad avere il consenso dal sindacato, trascorso il tempo
previsto dalla legge, potrà acquisire il potere nel trasferire l’azienda. Nel caso non di violazione della
procedura verrà applicato l’ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori:
IL RECESSO DAL CONTRATTO DI LAVORO (ART. 2118 e 2119 C.c.)
COSA DETERMINA L’ESTINZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO
In un primo momento dimissioni e licenziamento sono regolate dagli articoli 2118 e 2119 allo stesso modo,
tant’è che il termine utilizzato è recesso, per indicare indistintamente sia il recesso del datore che il lavoratore
un licenziamentolibertà assoluta di liberarsi da questo vincolo contrattuale, con un unico obbligo di dare il
preavviso. Questo obbligo cade ove il recesso sia sostenuto, dovuto ad una giusta causa (forzato), da un
comportamento che non consenta la persecuzione seppure provvisoria del rapporto di lavorole parti
possono esercitare un recesso in tronco che può venire dall’oggi al domani. A partire dal 1966, con la legge
604 le cose cominciano a mutare e la disciplina delle dimissioni e quelle del licenziamento prendono strade
diverse: le dimissioni restano libere ai sensi del C.c., salvo l’obbligo di preavviso, mentre il licenziamento viene
sottoposto a penetranti LIMITI. Dal 1966 il licenziamento non è più libero, per proteggere la stabilità del posto
di lavoro.
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DIMISISIONIrestano libere, non è necessario che ci siano motivi affinché siano valide, salvo l’obbligo di
preavviso. DIMISSIONI FORZATE=dovuta a molestie sul posto di lavoro, dal fatto che il datore non venga
retribuito da diversi mesi. Proprio perché il lavoratore è stato costretto a dimettersi ha diritto ad essere
indennizzato (con un importo equiparato all’indennità di mancato preavvisonella busta paga finale ci sarà
un quantum che il dator potrà trattenere perché non ha avvisato per tempo delle sue dimissioni. Quando
invece è dovuto per dimissione forzata gli verranno aggiunti in busta paga). Le dimissioni per il Jobs Act
devono essere formulate sulla piattaforma del ministero del lavoroper combattere le dimissioni in bianco
(simulazioni delle dimissioni).
LICENZIAMENTOsegue delle linee diverse, perché soffre di limiti penetranti che sono stati introdotti da
leggi successive (604 del 1966), Art 18 dello statuto dei lavoratori, Legge 1990 108, Legge 92 del 2012 E Jobs.
Act decreto 23 del 2015
Queste leggi hanno variamente disciplinato il licenziamento: in una prima fase le leggi (dal 1966 al 1990)
hanno cercato di limitare più possibile il potere di licenziare; in una seconda fase le leggi succedute (legge 92
del 2012 e il Jobs Act del 2015 decreto legislativo 23 delle tutele crescenti) hanno cercato di ampliare il
potere di licenziamento. Il licenziamento oggi è regolamentato in maniera articolata e complessa. Dopo
questo decreto è intervenuta la Corte costituzionale, sostanzialmente colpendo il 22/2015 in modo
irreversibile il cuore del decreto.
La regola generale è che il licenziamento deve essere giustificato se no l’atto di licenziamento non è
legittimo. Inoltre, deve essere erogato in forma scritta, nel rispetto di una certa procedura. Tuttavia, ci sono
tassative eccezionicasi in cui i licenziamenti rimangono liberi e collegati a particolari categorie di lavoratori
(slide 51 modulo 7): i lavoratori in prova, lavoratori domestici, lavoratori ultrasessantenni che abbiamo
raggiunto i requisiti della pensione, dirigenti (erogato in forma scritta), sportivi professionisti, lavoratori a
termine e gli apprendisti, una volta chiuso il periodo formativo il lavoratore può essere licenziato.
La legge 604 del 1966 articolo 6 dice che il licenziamento deve essere supportato da una giusta causa o da
un giustificato motivo.
GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO
Giustificato motivo oggettivo quando il licenziamento è motivato da ragioni economiche dell’impresa,
quindi non da un comportamento colposo del lavoratore, ma da una necessità dell’impresa stessa (necessità
economica). L’articolo 3 considera tutte le attività di licenziamento economico quelle che riguardano
l’organizzazione del lavoro e l’attività produttiva. Si intendono tutte quelle ragioni attinenti all’attività
produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Il datore licenzia perché ha una
ragione economica sua.
In un ordinamento come quello italiano dove la libertà di impresa trova posto e garanzia nella costituzione,
è legittimo licenziare il dipendente per motivi economici dell’impresa. Siccome l’imprenditore è libero per
l’articolo 41 primo comma di esercitare la libertà di impresa, il giudice non può mettere in discussione,
contestare nel merito, sindacare la scelta del datore di lavoro (una scelta manageriale che non può essere
messa in discussione); quello che può fare il giudice è verificare l’effettiva sussistenza di questa ragione, il
nesso di causalità tra il licenziamento e la scelta economia manageriale del datore infine la giurisprudenza
ritiene che sia ingiusto pretendere dal datore di lavoro l’onere di ripescaggioonere di verificare ai fini della
validità del licenziamento economico se il lavoratore al posto di essere licenziato può essere adibito ad altre
mansioni (è sempre meglio un demansionamento piuttosto che la perdita del posto di lavoro). Il giudice deve
verificare se nell’azienda esiste un posto di lavoro con mansione inferiore, che può essere assegnata al
lavoratore che rischia il posto. Al datore di lavoro fa carico un obbligo di apprestare gli accomodamenti
ragionevoli quando il licenziamento economico sia dovuto all’ipotesi in cui il lavoratore per motivi che
esulano dalla sua responsabilità non sia più impiegabile in quelle mansioni (nel licenziamento economico noi
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intendiamo anche quello dovuto all’inabilità del lavoratore che contragga una patologia cronica che non
gli permette di svolgere le mansioni a cui è destinato, in questo caso il licenziamento rientra nel motivo
oggettivo). Tuttavia, resta comunque il principio della estrema ratio, verificare quindi se il lavoratore sia
assegnabile ad altre mansioni e specialmente in questo caso deve operare quei ragionevoli accomodamenti:
gli è imposto di predisporre un accomodamento della sua organizzazione produttiva che gli consenta di
evitare il licenziamento.
GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO VS GIUSTA CAUSA
GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVOart. 3 legge 604: comportamenti sbagliati e colposi che il lavoratore
abbia commesso e che giustifica il licenziamentoun notevole inadempimento degli obblighi contrattuali.
Facciamo un riferimento ad un licenziamento legittimo perché costituisce una reazione giustamente
motivata ad un comportamento colposo del lavoratorelicenziamento valido, perché rappresenta una
reazione ad un comportamento indisciplinare del lavoratore. In questo caso è necessario un preavviso. Se il
datore non dà il preavviso, il lavoratore ha diritto ad una indennità di mancato preavviso, che gli verrà
liquidata nella ultima busta paga.
LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA (artt. 2119 c.c., 8 L. n. 604/1966 e 18 St. lav.)
La caratteristica essenziale del licenziamento per giusta causa è l’immediatezza della contestazione, che non
consente, infatti, di far trascorrere il periodo di preavviso previsto per gli altri licenziamenti (giustificato
motivo oggettivo e soggettivo). Il licenziamento per giusta causa ha dunque efficacia immediata dal
momento in cui il dipendente ne riceve comunicazione scritta.
Sono considerati motivi per il licenziamento per giusta causa: gravissimo inadempimento degli obblighi
contrattuali e fatti o comportamenti attinenti alla vita privata del lavoratore se mettono in dubbio la fiducia
nella puntualità dei successivi adempimenti.
 La simulazione di malattia e infortunio
 La violazione del patto di non concorrenza
 L’uso scorretto dei permessi legge 104/92
 La falsa timbratura del cartellino
 Il rifiuto ingiustificato e reiterato ad eseguire prestazioni lavorative
 L’abbandono ingiustificato del posto di lavoro
 Minacce rivolte al datore di lavoro o ai superiori
 Il furto di beni o denaro appartenenti all’azienda
Il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggetto sono dei provvedimenti disciplinariun
uso del licenziamento come sanzione disciplinare. Un licenziamento che è conseguenza di un
comportamento soggettivo (infrazione) del lavoratore. Il licenziamento non è libero ma deve essere
motivato. Il lavoratore ha commesso un fatto colposo che giustifica un licenziamento (giustificato motivo
soggettivo).
Che differenza c’è tra giusta causa e giustificato motivo soggettivo?
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14/12
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Differenza quantitativala giusta causa comprende comportamenti del lavoratore colposi più gravi
rispetto ad un giustificato motivo soggettivo (notevole inadempimento)
Differenza qualitativanell’art. 2119 si parla di giusta causa in modo molto generico, mentre nel
giustificato motivo soggettivo si è più specifici. La giusta causa sembrerebbe poter comprendere
anche comportamenti del lavoratore che non rappresentino un inadempimento gravissimo ma anche
comportamenti tenuti fuori dall’orario di lavoro (tenuti nella sua vita privata) quando questi possono
avere un riflesso negativo sul rapporto di lavoro (esempio cassiera). La giusta causa dipende dal tipo
di lavoro. Esempio: la cassiera che ruba nel supermercato vicino.
LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO
Licenziamento DISCRIMINATORIO è vietato e lo troviamo nell’art. 4 L. n 604/66. Nel caso in cui lavoratore
subisce questo licenziamento, avrà una tutela molto ampia. il problema è dimostrare la discriminatorietàè
difficile provare il motivo discriminatorio. Per questo i giudici per venire in contro al lavoratore fanno uso di
presunzioni e quindi alleggeriscono il caso probatorio del lavoratore: se il lavoratore adduce ad elementi gravi
e concordanti che possono far presumere l’esistenza elementi gravi, allora il datore dovrà dimostrare la
correttezza del suo atto e la sua non discriminatorietà.
FORMA E PROCEDURA DEL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE
Il licenziamento per essere valido deve rispettare una certa forma e procedura.
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La forma deve essere scritta, bisogna redigere una lettera di licenziamento così che può essere notificata ai
lavoratori (anche nei dirigenti la regola scritta). La forma scritta è una regola basilare e la mancanza della
forma scritta viene colpita con la massima sanzione. Nella lettera di licenziamento vanno elencati i motivi di
licenziamenti.
La proceduranon basta indicare i motivi ma occorre anche capire come procedere a questo
licenziamentola procedura differisce a seconda che siamo di fronte ad un licenziamento disciplinare o
economico.
Nel caso in cui il licenziamento disciplinare la procedura della sua erogazione sarà quella delle sanzioni
disciplinari (articolo 7 dello statuto dei lavoratori). La giurisprudenza ritiene che siano applicati i primi tre
commi:
(1) i datori di lavoro devono rendere disponibile la consultazione, da parte dei lavoratori, del codice
disciplinare aziendale mediante la sua affissione in luogo accessibile a tutti.
(2) Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza
avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa.
(3) Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce
mandato (consentire al lavoratore di esercitare il diritto di difesa).
La procedura più importante è indicare, in maniera precisa e dettagliata nella lettera qual è l’addebito che li
si contesta (cosa ha fatto di male) in modo tale che il lavoratore possa difendersi dalle accuse avanzate dal
datore di lavoro.
Nel caso di un licenziamento economico, la procedura è diversa: almeno quando il datore di lavoro che sia
un grande imprenditore cerca di far carico e responsabilizzare il datore di lavoro in ordine e alle conseguenze
del licenziamento esercita da lui.
La legge stabilisce che se il datore di lavoro non è piccolo per irrogare il licenziamento economico deve dare
una comunicazione all’ispettorato territoriale del lavoro: così che l’ispettorato possa intervenire per evitare
il licenziamento e mettere ordine tra le parti. L’ispettorato dopo questa comunicazione dovrà comunicare le
particerca di trovare delle soluzioni alternative al licenziamento. In genere si preferisce che si arrivi ad una
soluzione consensuale incentivata economicamente dal datore di lavoro. Questa procedura può durare
massimo 20 giorni.
Quando il datore è un piccolo imprenditore, questa procedura non vale.
IMPUGNAZIONE E RITO DEL LICENZIAMENTO
Una volta che il licenziamento è stato irrogato, il lavoratore riceve la lettera e decide di fare ricorso e
impugnarlo dinanzi al giudice. Per impugnare il licenziamento ha un termine di decadenza (60 gg) dall’azione
in giudizio. Trascorsi i due mesi non può più fare ricorso. Il termine può essere bloccato con un’impugnazione
stragiudizialeè sufficiente che il lavoratore mandi una lettera al datore che esprime la volontà di
impugnare l’atto e il decorso dei 60 gg saranno interrotti e il lavoratore avrà tempo 180 per depositare il
ricorso al giudice.
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Il lavoratore una volta impugnato dinanzi al giudice, questo valuterà se il licenziamento è legittimo. Se il
datore di lavoro non è piccolo, il giudice dovrà applicare una procedura “d’urgenza”: delle regole che
riescano ad arrivare più presto a sentenza. Questo rito d’urgenza è fatto sulla falsa riga dall’art. 28 dello
statuto dei lavoratori. È importante sapere subito l’esito del giudizio, perché il datore in alcuni casi se
perdesse la causa potrebbe essere condannato non solo a reintegrare il lavoratore ma anche a risarcire del
danno (che va commisurato alle retribuzioni che vanno dal giorno del licenziamento fino alla
reintegrazionepiù è lenta la procedura e più l’importo sarà elevato). Se il datore è piccolo questa regola
non si applica.
La sentenza può rigettare l’impugnazione del lavoratore oppure può dire che il datore ha sbagliato
licenziamento illegittimo perché non motivato…
LICENZIAMENTO INDVIDUALE ILLEGITTIMO
IL REGIME SANZIONATORIO (novità Fornero)
Le conseguenze di un licenziamento illegittimo: per il lavoratore, in termini di sanzioni e per il lavoratore in
termini di protezione e assoluta salvaguardia del suo posto di lavoro. Il regime sanzionatorio del
licenziamento illegittimo è che le conseguenze sono diverse a seconda della dimensione dell’imprenditore.
1. Tutela “forte” se l’imprenditore è grandela sanzione per il datore sarà più severa si applica nelle unità
produttive con più di 15 dipendenti, 5 nel settore agricolo o comunque di unità produttive che superano
questi limiti nella sessa posizione e si applica in ogni caso con imprese con 60 dipendenti. La tutela forte è
disegnata nell’art. 18 dello Statuto dei L. ed è stata rivisitata nel 2012 con la legge Fornero.
In passato l’articolo 18 garantiva una protezione massima perché stabiliva che il lavoratore aveva sempre
diritto di essere reintegrato nel posto di lavoro, insieme ad un diritto al risarcimento del danno, con la
conseguenza che se il datore non volesse reintegrare il datore avrebbe dovuto pagargli la retribuzione in ogni
caso (presunzione assoluta minima parti a 5 mensilità di retribuzioni). Ultima garanzia la possibilità di
scegliere se ritornare in servizio oppure di sostituire la reintegrazione con un’indennità pari a 15 mensilità di
retribuzione.
Oggi l’articolo 18 non prevede più questo, o per lo meno oggi la reintegrazione, la tutela risarcitoria piena e
anche l’indennità sostitutiva della reintegrazione non sono più la regola assolutaresta solo per i
licenziamenti illegittimi più riprovevoli, in particolare discriminatori e in forma orale (REINTEGRATORIA E
RISARCITORIA PIENA)
In alcuni casi le cose sono diverse la reintegrazione permane ancora, però accompagnata da una tutela
risarcitoria attenuata (indennità max 12 mensilità): (REINTEGRATORIA PIENA E RISARCITORIA RIDOTTA)
(1) quando il licenziamento sia illegittimo o disciplinare irrogato a fronte di un fatto che il lavoratore non ha
mai commesso;
(2) irrogato da un licenziamento illegittimo perché ha commesso il fatto, ma non era così grave da meritarlo
(3) licenziamento economico illegittimo e in giudizio si è verificato che la ragione economica non sussisteva.
In tutti gli altri casi la reintegrazione scompare e scatta il comma 5 dell’articolo 19, il lavoratore avrà diritto
ad una mera indennità economia da 12 a 24 mesi, a seconda della decisione del giudice, oppure ridotta
che va da 6 a 12 quando il licenziamento è illegittimo perché non sono stati indicati i motivi oppure non è
stata rispettata la procedura e la forma del licenziamento. (TUTELA ECONOMIA PIENA o RIDOTTA per i casi
VIZI)
2. Tutela “debole” se l’imprenditore è piccolo si applica in tutti gli altri casi
Legge 604 del 66: consiste nel fatto che il giudice condanna il datore di lavoro a scegliere o tra la riassunzione
il lavoratore (nel giro di tre giorni) oppure a scelta del datore una mera indennità economica (che va da 2,5
a 6 mensilità di retribuzione che può crescere fino a 10 o 14 a seconda dell’anzianità del lavoratore). Nei fatti,
il datore di lavoro sceglie quasi sempre nell’indennità.
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Le eccezioni sono nel caso del licenziamento discriminatorio, nel caso di licenziamento orale tutela forte
sempre e prescindere della dimensione. Il licenziamento illegittimo è sempre previsto con la tutela debole,
anche quando sia un’impresa di grandi dimensioni e abbia un’organizzazione di tendenza (slide 40). In questi
casi la tutela è sempre debole, perché si presuppone che in queste organizzazioni c’è un rapporto più di
fiducia.
JOBS ACT: IL CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI
Nel 2015 viene emanato il Jobs act che si occupò di riformare con il decreto legislativo 23 la disciplina del
licenziamento secondo le tutele crescenti. Le novità sono:
1. La reintegrazione assume un ruolo ancora di più eccezionale
2. La tutela economica non viene più decisa dal giudice ma deve essere calcolata automaticamente in base
all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro. Questa seconda novità comporta che il datore può
calcolare quanto gli costa il licenziamento illegittimo, perché l’indennità economica sarà parametrata agli
anni di servizio. La Corte costituzionale è intervenuta pesantemente su questa novità e l’ha dichiarata
incostituzionale e questo automatismo rapportato all’anzianità di servizio su cui calcolare l’indennità
economica è stato colpito dalla Corte costituzionale e ha ridato al giudice la sua discrezionalità nel calcolo
e nell’individuazione dell’importo dell’indennità economia.
3. Il decreto è stato emanato nel marzo del 2015 e queste regole valgono solo per gli assunti dopo l’entrata
in vigore del Jobs Act. Per sapere oggi a quale tutela un lavoratore sia coperto è importante capire quando
è stato assunto. I giovani sicuramente avranno una tutela meno forte.
PER I GRANDI IMPRENDITORI
Per i licenziamenti discriminatori, nulli, orali o legali alla disabilità del lavoratore
TUTELA REINTEGRATORIA PIENA E RISARCITORIA PIENATutto resta uguale
Per i licenziamenti disciplinari che illegittimi quando il lavoratore non ha mai commesso il fatto
REINTEGRAZIONE CON UN RISARCIMENTO RIDOTTO (12 mensilità)
Per i licenziamenti senza giusta causa o giustificato motivo
TUTELA MERAMENTE INDENNITORIA/ECONOMICA
Il decreto 23 diceva che al lavoratore spettavano 2 retribuzioni per anno di servizio con un minimo di 4
mensilità e un massimo di 24. Su questa norma è intervenuta la corte costituzione e prima ancora il decreto
dignità. Il Decreto Dignità ha alzato il minimo al massimo (6 e 36 mesi); la C.C ha cancellato l’automatismo,
per cui ha stabilito che sia il giudice a decidere a quanto deve ammontare questa indennità economica piena
e decidere tra le 6 e le 36 mensilità.
Solo in caso di insussistenza del fatto materiale contestato, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione
circa la sproporzione del licenziamento.
TUTELA REINTEGRATORIA PIENA E INDENNITARIA RIDOTTA (max 12 mensilità)
Per i licenziamenti con vizi formali e procedurali
TUTELA INDENNITORIA RIDOTTA
Si ha tutela solo economica ma ridotta quando ci sono vizi di procedura nel licenziamento, la norma
prevedeva 1 mensilità di retribuzione per anno di servizio con un minimo di 2 e con un massimo 12 di
mensilità secondo il decreto 23. Anche qui la corte, nel 2020 è intervenuta e ha detto che il giudice non può
avere l’obbligo di applicare l’automatismo ma che può innalzare il risarcimento tenendo conto di altri fattori.
OFFERTA DI CONCILIAZIONE: Al fine di evitare il giudizio il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i
termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, un importo che non costituisce reddito imponibile
ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettato a contribuzione previdenziale, di
ammontare pari a una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine
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rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto
mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. L'accettazione dell'assegno in tale sede
da parte del lavoratore comporta l'estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla
impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l'abbia già proposta.
PER I PICCOLI IMPRENDITORI
I datori più piccoli hanno anche loro il decreto 23 e quindi non c’è più una scelta di reintegrazione o indennità
ma solo un’indennità ancora più dimezzata rispetto alla tutela forte. Su questo punto è intervenuta anche
qui la corte ad agosto di questo annola corte ha invocato un intervento di riforma perché ritiene che il
massimo di 6 mesi sia troppo poco anche perché il fatto che il datore abbia pochi dipendenti non è detto che
non sia forte sul mercato. Quindi vedere il numero dei dipendenti per vedere se va applicata una tutela forte
o debole non va bene.
NELLE ORGANIZZAZIONI DI TENDENZA
Ai datori di lavoro non imprenditori, che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale,
culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto, si applica la disciplina di cui al presente decreto.
LICENZIAMENTI COLLETTIVI
Quando il licenziamento economico che colpisce non il singolo lavoratore ma più lavoratori e sia irrogato da
un’impresa con più di 15 dipendenti, le norme che si applicano solo quelle dei licenziamenti collettivi. I
licenziamenti collettivi sono regolamentati da una legge 223 del 1991 che disciplina in maniera diversa perché
quando i licenziamenti economici sono una pluralità determinano un allarme sociale notevole e allora
l’obbiettivo è quello di consentire al sindacato e all’ispettorato del lavoro di intervenire e poter dialogare con
il datore e al fine di evitarne le conseguenze più pesanti.
Due tipologie:
- Riduzione del personalequando l’impresa con più di 15 dipendenti effettua più di 5 licenziamenti
nell’arco di 120 giorni nella medesima provincia e siano causate da una riduzione, trasformazione o
cessazione di attività. È possibile avviare le procedure di licenziamento
- Per mezza mobilitàsi ha quando il datore non decida di effettuarlo subito, ma prima passa per la cassa
integrazione guadagni. Prima li sospende dal lavoro perché ritiene che affrontato il problema economica
li possa riassorbire in servizio. Purtroppo, può succedere che dopo la scadenza della cassa integrazione
guadagni, può essere che il datore si accorga che non può riassorbire i lavoratori e la legge dice che può
metterli in mobilità.
La procedura per entrambi i casi è la stessa deve dare la comunicazione di licenziare al sindacato e alle
rappresentanze sindacali. Dovrà dire il numero dei lavoratori, profili professionali, settore di riferimento e
quali misure verranno adottate per evitare l’allarme sociale.
Il sindacato può chiedere un esame congiuntoapertura di una negoziazione per cercare di limitare il più
possibile i licenziamenti. Le parti si incontrano e discutono nell’intento di negoziare e se si riescono ad
accordare le parti firmeranno un contratto collettivo aziendale con cui gestiranno i licenziamenti. Se non si
arriva ad un accordo l’ispettorato le convocherà per arrivare ancora una volta ad un accordo. La procedura
non può durare più di 75 gg. La legge dice che quando non ci sono criteri di scelta sindacali i criteri da applicare
sono: anzianità anagrafica del lavoratore (vanno a casa i più giovani) carichi di famiglia (vanno a casa i single)
e infine l’interesse dell’impresa (la collocazione dei dipendenti). A questo punto è possibile comunicare il
licenziamento collettivo secondo le normali regole del licenziamento individuale. Qualora volessero
impugnare i lavoratori lo possono fare se ad esempio non c’è la sigla di un accordo.
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Se il giudice ritiene che i licenziamenti collettivi siano illegittimi le sanzioni per i datori sono:
-
In caso di licenziamento orale (non succede mai) la tutela è massima, tutela ripristinatoria e risarcitoria
piena.
Violati i criteri di sceltilavoratore ha ancora diritto alla reintegrazione e ha diritto ad un massimo di 12
mesi di mensilità di risarcimento
In tutti gli altri casi i lavoratori hanno diritto dalle 12 alle 24 mensilità indennità risarcitoria piena
Qualora sia lavoratori assunti dopo il 2015 si applica il Jobs Act e quindi si applica solo l’indennità.
AMMORTIZZATORI SOCIALI
CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI
Al fine di attenuare le discontinuità occupazionale durante il secondo conflitto mondiale, viene istituita, con
contratto collettivo, la cassa integrazione guadagni per gli operai delle imprese industriali (CCNL 13.6.1941 e
19.6.1941). Funzione della CIG: garantire un reddito agli operai delle imprese industriali a seguito
dell’impossibilità di prestare attività a causa di eventi bellici. L’impossibilità sopravvenuta per motivi
oggettivi, non riconducibile alla volontà delle parti, liberava queste ultime dalle reciproche obbligazioni,
mentre una tutela assicurativa su base privatistica assicurava una parziale integrazione salariale ai lavoratori.
A fianco a questa, è nata anche un’altra cassa integrazione straordinaria.
Entrambe disciplinate dal Jobs Act. In tutte e due casi la cassa non comporta il licenziamento, perché chi
percepisce la CIG è un lavoratore sospeso. In tutte e due casi il lavoratore percepisce un’indennità, erogata
dall’INPS, pari all’80% della retribuzione. In tutte e due casi la cassa integrazione non compre i dirigenti; la
durata è di massimo 2 anni in un quinquennio mobile; infine viene finanziata dall’impresa stessa, che paga
un tot per alimentare il fondo della cassa che è istituito verso l’INPS. Sono strumenti diversi perché la CIGO è
uno strumento micro mentre la CIGS macro. Questa diversità ha un rilievo nella durata delle due tipologie e
nella procedura.
CIGO (ORDINARIA): nata nel 1945.
QUANDO SI PUÒ CHIEDERE: Si chiede la cassa ordinaria quando l’azienda sia in una situazione di:
-
-
difficoltà da ragioni difficoltà e temporanee che non dipendono da lei ed è prevista per tutte le
imprese sia piccole che grandi. Va chiesta all’INPS del territorio. Queste cause circoscritte
temporanee sono situazioni di forze maggiori (alluvione, terremoto) che non dipendono dal datore
di lavoro. Anche il covid 19 è stato gestito con la CIGO.
L’altra situazione è quando c’è una difficoltà del mercato (problemi sul reperimento delle materie
prime)
DURATA: Proprio perché deve servire per eventi circoscritti nel tempo dura poco13 settimane consecutive
prorogate ogni trimestre fino a 52 settimane.
CIGS (STRAORDINARIA)
La straordinaria presuppone un intervento strutturale dell’impresa che vuole effettuare una
riorganizzazione, situazione di crisi o vuole stipulare un contratto collettivo di solidarietà (=difensivi: contratti
con cui i lavoratori decidono di ridursi l’orario di lavoro per evitare il licenziamento di qualcuno; espansivi:
quando l’impresa si voglia industrializzare e aprire a nuove assunzioni). La CIGS diventa uno strumento di
politica economia e i lavoratori possono essere messi in CIGS per lungo tempopuò durare fino a due anni,
salvo il caso di crisi aziendale che può durare un anno.
COME OTTENERLA: va chiesta al MINISTERO DEL LAVORO, che autorizza la CIGS solo dopo aver validato il
programma di cassa integrazionel’azienda deve avere un programma aziendale dove specifica come vuole
risolvere la crisi. Questo programma va discusso con il sindacato.
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INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE
L’interventismo legislativo del governo Renzi ha portato al d.lgs. n. 22/2015, emanato in attuazione della
legge n. 183/2014. La nuova forma assicurativa introdotta è definita NASPI (Nuova ASPI).
Tale forma assicurativa ha la funzione di fornire una tutela di sostegno al reddito del lavoratore
involontariamente disoccupato, a decorrere dall’1.5.2015. La NASPI è riconosciuta ai lavoratori
involontariamente disoccupati, che: 1. abbiano compilato la DID (requisito della disoccupazione); 2. possano
fare valere, nei 4 anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, almeno 13 settimane di contribuzione
INPS (requisito contributivo); 3. possano far valere almeno 30 giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal
minimale contributivo, nei 12 mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione (requisito
dell’effettiva prestazione di lavoro nel periodo precedente: NON TROVA APPLICAZIONE DALL’ENTRATA IN
VIGORE DEL DECRETO SOSTEGNI – D.L. 22.03.21, n. 41 - E PER TUTTO IL 2021). La NASPI è riconosciuta anche
ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa. La NASPI copre un numero di settimane
pari alla metà delle settimane di contribuzione nel medesimo periodo (quindi la NASPI può avere una durata
massima di 2 anni). La misura dell’indennità è proporzionata alla contribuzione degli ultimi 4 anni (somma di
tutti gli importi relativi alle retribuzioni imponibili a fini previdenziali percepite negli ultimi 4 anni, diviso per
il numero delle settimane di contribuzione, moltiplicato per il coefficiente 4,33) E’ pari al 75% della
retribuzione mensile (così calcolata), se questa è inferiore a euro 1.226,32 (per il 2020). E’ pari al 75% di euro
1.226,32, maggiorato del 25% della differenza tra la retribuzione mensile (così calcolata) ed euro 1.226,32,
se il reddito medio mensile è superiore ad euro 1.226,32, con un tetto massimo di 1.334 euro per il 2020. A
partire dal 4° mese si riduce ogni mese del 3%.
REDDITO DI CITTADINANZA
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