LEZIONE 30 APPARATO CARDIOVASCOLARE I VASI (PARTE 1) L’apparato cardiovascolare è costituito da un insieme di organi che hanno la funzione di garantire il costante rifornimento a tutte le cellule e a tutti i tessuti del nostro organismo di ossigeno e sostanze nutritizie. L’apparato cardiovascolare è costituito da tre parti: - Una pompa contrattile centrale, costituita dal cuore. - Un sistema di vasi (canali di diametro diverso che distribuiscono a tutte le cellule a tutti i tessuti il sangue). - Sangue: tessuto particolare che consente di nutrire i nostri organi. All’interno del sangue, in particolare nei capillari (organi più piccoli deputati allo scambio), scorrono nutrienti/globuli rossi con ossigeno e queste sostanze diffondono attraverso la parete o attraverso aperture che sono presenti tra le cellule che costituiscono la parete di questi vasi. Le sostanze diffondono nello spazio che circonda le cellule (liquido interstiziale) e poi viene assunto dalle cellule. Nello stesso modo le cellule, in seguito alle loro attività metaboliche, producono prodotti scarto e co2 che, per diffusione, passeranno ancora nel liquido interstiziale a livello dei capillari e poi verranno eliminati attraverso opportuni organi. I vasi ematici rappresentano dei canali che hanno la funzione di trasportare e distribuire sangue ai diversi tessuti del nostro corpo. Nel nostro organismo esistono tre diverse tipologie di vasi: - Arterie: quei vasi che trasportano il sangue dal cuore alla periferia. Essi progressivamente diminuiscono di calibro e originano le arteriole. - Vene: quei vasi che trasportano il sangue dalla periferia al cuore. Le vene originano da vasi di calibro più piccolo, le venule, che a loro volta confluiscono in vene di calibro progressivamente maggiore fino ad arrivare alle due grandi vene, le vene cave, che trasportano il sangue al cuore. - Capillari: vasi microscopici che costituiscono la microcircolazione e che collegano le arteriole alle venule. Sono vasi che hanno pareti molto sottili e la loro funzione è quella di consentire gli scambi metabolici tra il sangue e le cellule di tutti i tessuti. Esistono due tipi di sangue: 1) SANGUE ARTERIOSO= sangue ricco di ossigeno e di nutrienti, ma povero di anidride carbonica. 2) SANGUE VENOSO= sangue povero di ossigeno ma ricco di sostanze di scarto e anidride carbonica. NON è vero che le arterie trasportano sempre sangue arterioso, perché nella piccola circolazione, l’arteria polmonare trasporta sangue venoso che dovrà arrivare ai polmoni per ossigenarsi. Nonostante all’interno di questa arteria ci sia un sangue ricco di co2, viene ugualmente definita arteria perché la direzione è quella di portare il sangue ai polmoni, lontano dal cuore. Dal punto di vista dell’organizzazione strutturale, un vaso ematico si caratterizza generalmente per la presenza di tonache/strati che vanno a definire la parete dell’organo (i vasi sono organi cavi). La tonaca più interna che si affaccia al lume prende il nome di tonaca intima; lo strato intermedio si chiama tonaca media; lo strato più esterno prende il nome di tonaca avventizia. - Tonaca intima: rivestita da un epitelio di rivestimento (l’endotelio) pavimentoso semplice che poggia su uno strato di tessuto connettivo sotto endoteliale. La tonaca intima e le cellule endoteliali svolgono un ruolo importante nell’ambito dell’omeostasi del vaso nei confronti del sangue. Un tempo si pensava che la tonaca intima fosse solo una normale tappezzeria della parete dei vasi, in realtà queste cellule partecipano molto attivamente alle attività del vaso stesso. I processi principali in cui le cellule endoteliali sono coinvolte, sono la coagulazione e i processi infiammatori. Durante l’infiammazione vengono rilasciati dei mediatori, come ad esempio le istamine, che vanno a modificare la permeabilità vascolare; l’endotelio viene attivato e viene ad esprimere delle particolari molecole chiamate integrine. In seguito all’espressione delle integrine, le cellule che circolano normalmente all’interno dei vasi aderiscono alle cellule endoteliali e possono attraversarle, uscendo dai vasi e andare a colonizzare i tessuti dove devono svolgere la loro funzione di difesa. - - Tonaca media: ha una costituzione prevalentemente muscolare, a cui si associa una componente, più o meno consistente, di tessuto connettivo propriamente detto, tessuto connettivo elastico. È la tonaca che caratterizza funzionalmente e strutturalmente ciascun tipo di vaso. La tonaca media è molto più spessa in un’arteria rispetto ad una vena. La tonaca media è costituita da fasci concentrici di tessuto muscolare liscio disposti circolarmente al vaso e anche da tessuto connettivo. Questa muscolatura è fondamentale perché la contrazione/rilassamento di questa muscolatura determinano i meccanismi di vaso costrizione e vaso dilatazione, che possono variare la quantità di sangue che può essere trasportato ai tessuti e anche la pressione all’interno dei vasi. La tonaca media può presentare dei particolari vasi: all’interno dello strato muscolo-connettivale si trovano i vasa vasorum (i vasi dei vasi). Nei capillari e nei vasi molto piccoli, la tonaca media è assente perché i capillari sono costituiti da un unico strato di cellule endoteliali. In questi vasi però la tonaca media è sostituita da cellule particolari, i periciti, che hanno una grande capacità di differenziarsi sia in cellule muscolari lisce sia in fibroblasti e inoltre queste cellule possono regolare, attraverso la contrazione delle cellule muscolari, il flusso ematico nei vari distretti corporei Tonaca avventizia: è costituita da tessuto connettivo fibroelastico e ha la funzione di delimitare il vaso e dargli stabilità rispetto ai tessuti circostanti. DIFFERENZE TRA ARTERIE E VENE: spessore parete e composizione parete. Osservando due vasi adiacenti, un’arteria e una vena, si nota come la parete dell’arteria è molto più spessa ed è costituita da un maggior numero di cellule muscolari e fibre elastiche. Questo perché nelle arterie vi è una pressione maggiore rispetto alle vene e quindi devono essere in grado di resistere ad una maggiore pressione. Oltre ad un diverso spessore della parete, si nota anche una diversa forma del vaso stesso perché quando le vene non sono sottoposte alla pressione del sangue tendono a collassare e quindi nei preparati istologici le vene appaiono schiacciate perché hanno una parete molto sottile. CARATTERISTICHE DELLE ARTERIE: - Detti anche vasi di resistenza in seguito al loro particolare spessore della parete che è molto resistente per poter sopportare una pressione molto alta. - La loro funzione è quella di trasportare e distribuire il sangue a tutti gli organi del nostro corpo. - Decorrono in profondità protette al di sotto di muscoli. (le vene invece possono essere anche superficiali). - Hanno un decorso rettilineo, fatta eccezione per l’arco dell’aorta che compie una curva. Le arterie originano a loro volta delle arterie più piccole: • arterie TERMINALI: sono quelle che si biforcano cessando di esistere, originando due nuove arterie. Ad esempio, l’arteria bracchiale/omerale (che decorre nel braccio) origina due rami che sono l’arteria radiale e l’arteria ulnare. • arterie COLLATERALI: originano arterie collaterali, cioè si dipartono dall’arteria principale, la quale non cessa di esistere ma continua il suo percorso. Ad esempio, l’aorta toracica emette tanti rami più piccoli che vanno ad irrorare diversi organi, ma l’aorta toracica non perde la propria individualità. È possibile classificare le arterie in 3 tipologie (caratterizzate da diverse dimensioni e composizione della tonaca media): 1) Arterie elastiche o di conduzione o di grosso calibro: presentano il diametro maggiore (2,5-1 cm). Queste arterie trasportano il sangue lontano dal cuore e sono caratterizzati da una grande quantità di fibre elastiche, infatti sono le arterie più vicine al cuore, quelle arterie in cui il sangue scorre ad una pressione maggiore. La zona media di queste arterie ha una grandissima quantità di lamine elastiche fenestrate che sono connesse fra loro da fascetti elastici e formano una sorta di rete; tra le lamine elastiche sono presenti le cellule muscolari lisce e queste membrane possono essere anche 50. La loro caratteristica è quella di attenuare le variazioni di pressione che si determinano in seguito al ciclo cardiaco e mantengono costante il flusso del sangue all’interno del vaso, nonostante il cuore è caratterizzato da cicli alternati di contrazione e rilassamento. Sostanzialmente quando il cuore si contrae, durante la sistole ventricolare, queste arterie si dilatano, la loro pressione al loro interno è massimo; se non si dilatassero da un lato potrebbero scoppiare e la pressione del sangue al loro interno potrebbe arrivare anche a 200-300 mm di mercurio (si dilatano e mantengono costante la pressione). D’altra parte, quando il cuore termina la contrazione e inizia il rilassamento, questa pressione non va a 0 poiché, grazie all’elasticità della parete, si restituisce l’energia sotto forma di energia elastica (l’arteria dilatata ritorna alla condizione iniziale). Esempi: aorta, arteria polmonare, arteria carotide… 2) Arterie muscolari o di distribuzione o di medio e piccolo calibro: il loro calibro varia da 1 cm-3mm. Vengono dette di distribuzione poiché la loro funzione è quella di distribuire il sangue ai muscoli scheletrici o agli organi interni. La caratteristica di queste arterie è quella di possedere una minor quantità di fibre elastiche rispetto alla muscolatura liscia che raggiunge uno spessore molto elevato. In questo caso il tessuto elastico è limitato alla lamina elastica interna ed esterna (non ci sono più le lamine elastiche disposte a rete che occupano tutta la tonaca media). È importante la presenza di questa muscolatura, che può essere controllata dal sistema nervoso autonomo o viscerale; infatti, attraverso la costrizione o rilassamento della muscolatura si può regolare il flusso sanguigno a ciascun organo e in questo modo si regola anche la pressione di queste arterie. Esempi: arterie brachiali, arterie femorali, arterie mesenteriche. 3) Arteriole: originano dalle arterie muscolari e presentano un diametro che è inferiore a 3 mm. La loro tonaca media è molto spessa, in quanto è costituita da uno a due strati di cellule muscolari lisce; addirittura in alcuni casi la tonaca media non è completa, ma è formata da cellule muscolari lisce isolate. La funzione delle arteriole è quella di controllare il flusso di sangue tra le arterie e i capillari, infatti si interpongono tra queste due tipologie di vasi e sono anche un dispositivo che consente di regolare la quantità di sangue ad un organo. CAPILLARI: (diametro 8-10 micron) - Sono vasi non più deputati al trasporto e la distribuzione del sangue, bensì allo scambio di sostanze nutritizie e di gas attraverso la parete del vaso stesso. - La parete di un capillare è assente di tonaca media e avventizia, ma è presente uno strato sottile costituito unicamente da endotelio, al di sotto del quale si trova un sottile strato di tessuto connettivo sotto-endoteliale. - Il sangue scorre molto lentamente all’interno del capillare e questa bassa velocità favorisce ulteriormente il passaggio delle sostanze attraverso la parete del capillare stesso. - La superficie complessiva occupata dai capillari è molto grande, è stata stimata essere di circa 6300 m2. - Questi vasi non sono unità indipendenti, ma si organizzano a gruppi di circa 10-100 capillari, fra loro uniti formando una sorta di rete. Ciascuno di questi “letti di capillari” viene fornito di sangue da una meta-arteriola, la quale rappresenta la diramazione delle arteriole. - Nel nostro organismo non c’è abbastanza sangue per rifornire l’intero sistema vascolare e quindi, in condizioni di riposo, i ¾ dei capillari non sono riempiti di sangue ma sono chiusi. Esistono 3 tipologie diverse di capillari, a seconda della funzione e degli organi che essi servono: 1) CAPILLARI CONTINUI: sono i più numerosi. Sono costituiti da cellule endoteliali molto appiattite, l’unica sporgenza che si ritrova all’interno del lume è costituita dal nucleo della cellula endoteliale. Queste cellule endoteliali sono strettamente adese le une alle altre, non presentano fenestrature ed esternamente presentano una lamina basale continua. In questo caso il passaggio di sostanze tra il capillare e il tessuto è limitato, infatti passano solo ossigeno, glucosio e piccole molecole. È molto importante la presenza di questi capillari nei tessuti dove è necessario regolare strettamente il passaggio. 2) CAPILLARI FENESTRATI: sono formati da cellule endoteliali fortemente adese le une alle altre, ma con la presenza di pori e fenestrature all’interno delle cellule endoteliali. 3) CAPILLARI SINUSOIDI: presentano caratteristiche particolari, si trovano nel fegato, nella milza e nel midollo osseo. Sono caratterizzati da un’ampia permeabilità (quindi un ampio passaggio di sostanze viene favorito da questi vasi) perché le cellule endoteliali presentano delle aperture molto ampie e anche la membrana basale è discontinua. In questo caso non si ha il passaggio solo di molecole come proteine, ma si ha anche il passaggio di cellule. La caratteristica principale è che hanno un calibro estremamente variabile. COME ORIGINANO I CAPILLARI? Originano dalle meta-arteriole, le quali sono dei piccoli vasi arteriosi pre-capillari che a loro volta originano dalle arteriole. In corrispondenza delle meta-arteriole, quindi in corrispondenza dei capillari, si trovano degli anelli di muscolatura liscia chiamati sfinteri pre-capillari, i quali hanno la funzione di regolare l’afflusso di sangue a livello del letto capillare; infatti, quando lo sfintere è rilassato il sangue può scorrere liberamente nei capillari, mentre quando lo sfintere è chiuso e contratto il sangue fa più fatica a passare e quindi si hanno meno scambio di sostanze con i tessuti. Un altro dispositivo per regolare il trasporto di sangue ai tessuti prende il nome di anastomosi-arterovenosa. Anastomosi significa collegamento e infatti è un collegamento diretto fra un’arteria e una vena. Le anastomosi arterovenose non sono gli unici collegamento tra vasi che abbiamo nel nostro organismo. Un altro collegamento sono le anastomosi arteriose, due arteriole che riforniscono la stessa regione del corpo si uniscono e si creano delle vie alternative (collaterali) di apporto di sangue ad un tessuto. Le anastomosi arteriose sono particolarmente abbondanti a livello delle articolazioni, dove il movimento può comprimere temporaneamente un’arteria e quindi ostruire il percorso di sangue, ma essendoci un’altra arteriola che si unisce e porta comunque sangue allo stesso distretto, il problema viene risolto. Nelle anastomosi venose, due vene si uniscono in un’unica vena e anche qui in caso di ostruzione, viene favorito un percorso alternativo per il flusso del sangue. La presenza di questi dispositivi vascolari è importante per regolare molti processi fondamentali del nostro organismo. Ne è un esempio la termoregolazione che si attua attraverso una circolazione a livello cutaneo, quindi si può modificare la circolazione cutanea per regolare la temperatura corporea. Freddo e caldo eccessivo: quando c’è molto freddo, il nostro corpo ha la necessità di trattenere calore all’interno del corpo e di conseguenza è importante, a livello cutaneo, impedire la circolazione ed è così che si chiudono gli sfinteri pre-capillari evitando la circolazione superficiale e il sangue scorre prevalentemente presso le anastomosi arterovenose. Nella situazione opposta, quando la temperatura esterna è molto elevata, per evitare un aumento della temperatura corporea, il sangue deve scorrere a livello superficiale per poter disperdere calore attraverso la cute; in questa situazione abbiamo un’apertura degli sfinteri precapillari, mentre le anastomosi arterovenose sono chiuse. LEZIONE 31 LEZIONE VASI (PARTE 2) VENE: - Le vene raccolgono il sangue dai tessuti periferici e lo riportano al cuore. - Sono considerati vasi di capacità perché possono dilatarsi ed ospitare un maggiore volume di sangue. - La pressione, a livello delle vene, comincia a diminuire, pertanto la parete è più sottile di quella di un’arteria. - Sono più numerose delle arterie. - Sono sia superficiali sia profonde. - Vene satelliti: arteria associata a delle vene satelliti. Vengono chiamate così perché seguono lo stesso decorso delle arterie stesse. Le vene satelliti sono più numerose, sono 3 vene unite da delle anastomosi venose che consentono ugualmente il percorso del sangue all’interno del vaso stesso, anche se una vena è occlusa. - Avendo una parete più sottile, presenteranno un lume più ampio rispetto alle arterie. - Vengono suddivise in: venule, vene di medio calibro, vene di grosso calibro. La tonaca intima è costituita da endotelio e tessuto connettivo sotto endoteliale. L’avventizia è spessa poiché, avendo una minor pressione al loro interni, le vene tendono a collassare e quindi necessitano di un maggior sostegno. La tonaca media è sempre formata da fibre muscolari associate a fibre elastiche, ma ci sono variazioni nello spessore, poiché nelle venule la tonaca media risulta molto sottile e costituita da pochi strati di cellule muscolari lisce, per poi aumentare invece nelle vene di medio calibro e infine per diventare più spesse nelle vene di grosso calibro. (osserva tabella minuto 4.19). Il sangue scorre nelle vene ad una pressione molto bassa, pertanto è necessaria la presenza di meccanismi, utili a favorire la circolazione del sangue all’interno delle vene e a favorire il ritorno del sangue al cuore. Questi meccanismi sono: - Meccanismo dovuto alla contrazione della muscolatura liscia del vaso: a livello della tonaca media delle vene ci sono fasci di muscolatura liscia, i quale contraendosi possono favorire il ritorno venoso. - Per impedire il reflusso del sangue è necessaria la presenza di valvole semilunari a livello della parete delle vene, soprattutto a livello della parete degli arti. Qui, il sangue deve scorrere contro forza di gravità queste valvole sono dette valvole a “nido di rondine” e sono delle pieghe della tonaca intima delle cuspidi, a forma di semilune. Queste sono anche rinforzate da fibre elastiche e sono generalmente due. Il ruolo di queste valvole, nel favorire il flusso del sangue e impedirne il reflusso: quando la pressione a livello del sangue che scorre nella vena è alta (fase di contrazione del cuore), la pressione è tale da far aprire i lembi che vengono spinti contro la parete del vaso e quindi il sangue può normalmente fluire verso l’alto. Però quando la pressione scende (fase di rilassamento del cuore), il sangue tende a tornare indietro ma il reflusso viene impedito perché il sangue inizia a riempire le tasche e non torna verso il basso. - Meccanismo dovuto alla contrazione della muscolatura scheletrica: la contrazione muscolare schiaccia le vene profonde e forza il sangue attraverso la valvola seguente in direzione del cuore. Le valvole al di sotto del punto di compressione prevengono il reflusso. Quando i muscoli si rilassano, il sangue fluisce indietro, sotto la spinta della gravità ma può fluire soltanto fino alla valvola successiva. - Meccanismo dovuto alla muscolatura respiratoria: pompa toraco-addominale. Fa riferimento a variazioni pressorie che si instaurano, a livello della cavità toracica-addominale, in seguito all’attività respiratoria. PATOLOGIE VASI EMATCI: - Vene varicose: vene superficiali, estremamente dilatate e tortuose, che si formano in seguito ad insufficienza valvolare. Queste vene sono molto evidenti in superficie perché le valvole delle vene non funzionano più e quindi non impediscono più il reflusso, di conseguenza il sangue tende a tornare indietro e la vena si dilata eccessivamente. Si formano queste vene a persone che sono costrette a stare molto tempo in piedi, ma anche in seguito a condizioni come gravidanza, obesità. Il trattamento può consistere nella scleroterapia, cioè nell’iniezione di sostanze irritanti che provocano la cicatrizzazione o l’obliterazione del vaso; oppure si può procedere anche per stripping, cioè asportazione delle vene o intervento chirurgico. - Trombosi venosa profonda: caratterizzata dalla formazione di un trombo che può occludere una vena. Questo trombo si può formare il seguito al ristagno del sangue dovuto alle vene varicose, in persone affette da malattie cardiache o che sono costrette a rimanere inattive o immobili per molto tempo. Nel momento in cui si occlude una vena, il ritorno del sangue può essere ugualmente garantito; la complicazione più grave è la formazione di un embolo, cioè un coagulo che si può staccare e migrare, attraverso la circolazione, in altri organi. In questo caso può arrivare ad organi vitali e se arriva ai polmoni e ostruisce l’arteria polmonare, il sangue non si ossigena più e di conseguenza si può arrivare anche all’insufficienza respiratoria. - Aneurisma = dilatazione di un’arteria in un determinato punto. Si formano delle sacche dove la parete è molto molto sottile e di conseguenza il vaso si può rompere, provocando delle emorragie consistenti che possono portare alla morte. Queste emorragie sono fatali se si verificano del tessuto cerebrale. - Aterosclerosi: ispessimenti a livello della tonaca intima del vaso, che derivano dal deposito di lipidi o da un’eccessiva proliferazione delle cellule muscolari della tonaca media che si spostano verso la tonaca intima. Quindi derivano a strutture che possono formare un tappo un tappo che va ad occludere completamente la parete del vaso. Questi tappi possono portare a fenomeni di ischemia, quindi insufficiente ossigenazione di un tessuto, ma questi tappi possono anche staccarsi e formare dei trombi che vanno a chiudere i vasi in altre sedi. In caso di aterosclerosi con ischemia, viene fatto un intervento chiamato “angioplastica con palloncino” e si tratta di inserire un catetere, a cui è associato un palloncino, all’interno dell’arteria. Il palloncino viene gonfiato e consente di dilatare nuovamente il vaso, mediante un allontanamento delle pareti. Molto spesso a questo palloncino viene associata sia ad una griglia metallica (stent) che serve a mantenere l’arteria dilatata, sia a farmaci dilatatori. Un altro intervento che viene effettuato in caso di ischemia cardiaca è “intervento by pass”; by pass significa collegamento, cioè si instaura un collegamento fra l’aorta e la porzione della coronaria che si trova a valle dell’ostruzione. - SISTEMI CIRCOLATORI: Sistema circolatorio ematico (ne abbiamo parlato sopra: principale mezzo di trasporto di ossigeno e anidride carbonica, dei nutrienti e prodotti catabolici, delle cellule dei sistemi di difesa, di ormoni e altre sostanze (es: fattori della coagulazione). Sistema circolatorio linfatico: costituito dai vasi linfatici. Ha la funzione di drenare l’eccesso di liquido interstiziale che si forma nei tessuti e riportarlo al sangue. È deputato al trasporto della linfa che passerà tramite i linfonodi, che funzionano da filtri e che sono deputati alla purificazione della linfa stessa. FUNZIONE DEL SISTEMA LINFATICO: 1) Drenaggio dell’eccesso di liquido interstiziale: il plasma che scorre nei capillari passa, attraverso la parete dei capillari stessi, negli spazi interstiziali nei quali avvengono gli scambi di nutrienti, di gas e di prodotti di rifiuto con le cellule del tessuto. Una parte di questo liquido che filtra e che non viene utilizzato nelle cellule, riesce a rientrare nei capillari ematici, ma tuttavia c’è una percentuale del 20% che non riesce a rientrare e quindi tende a ristagnare a livello dei tessuti. In questo caso intervengono i vasi linfatici che, avendo una maggiore permeabilità rispetto ai vasi ematici, riescono ad assorbire il liquido in eccesso e a riportarlo al sangue. Se l’eccesso di liquido che si forma nei tessuti si accumulasse, si creerebbe gonfiore e quindi edema dei tessuti ed inoltre potrebbe portare ad un precipitoso calo dei livelli del sangue e di conseguenza la funzione del sistema linfatico è di impedire che i livelli del liquido interstiziale aumentino troppo e quindi aiuta a regolare il volume ematico. Questo liquido che si forma a livello dei tessuti prende il nome di linfa, la quale scorre all’interno dei vasi linfatici e ha una composizione simile a quella del plasma ma ha una minor percentuale di proteine perché quest’ultime non passano a livello dei capillari e quindi non si accumulano a livello dei tessuti. 2) Assorbimento dei lipidi: i vasi linfatici assorbono e trasportano i lipidi che vengono introdotti e poi assorbiti con l’alimentazione. La maggior parte dei nutrienti (proteine, carboidrati) vengono assorbiti dai capillari ematici, passano nel flusso sanguigno e vengono trasportati attraverso esso. Le sostanze di grandi dimensioni (lipidi, vitamine) non sono in grado di attraversare la parete dei vasi ematici perché sono molecole troppo grandi, di conseguenza queste riescono a passare attraverso la parete dei vasi linfatici che sono dotati di una maggiore permeabilità e quindi sono trasportati dal flusso linfatico. Queste molecole poi entreranno nella circolazione sanguigna. 3) Processi immunitari: i vasi linfatici trasportano le cellule del sistema immunitario e a livello degli organi linfatici verrà innescata una risposta immunitaria. CARATTERTISTICHE E DIFFERENZE DELLA CIRCOLAZIONE EMATICA E LINFATICA: 1) Circolazione ematica: Il sistema circolatorio è un sistema chiuso che origina dal cuore e termina al cuore. 2) Circolazione linfatica: - Sistema aperto, cioè i capillari linfatici, presenti nei tessuti periferici, originano a “fondo cieco”. - I capillari linfatici sono presenti nella maggior parte dei tessuti del nostro organismo (tranne midollo osseo rosso, sistema nervoso e alcuni tessuti avascolari). - I capillari linfatici si trovano intercalati nelle reti di capillari ematici. Hanno un diametro maggiore die capillari ematici e sono situati più in profondità. La loro parete è costituita da un unico strato di cellule endoteliali che risultano, in alcuni punti, parzialmente sovrapposte. In presenza di queste cellule endoteliali sovrapposte, si trovano filamenti di ancoraggio, cioè delle fibre della matrice extracellulare che si ancorano ai lembi delle cellule endoteliali, fissando il capillare al tessuto circostante. Quando si verifica un aumento del liquido interstiziale nei tessuti circostanti, si provoca una distensione di questi filamenti e favorendo l’apertura degli spazi presenti tra una cellula e l’altra, permettendo l’ingresso della linfa. Invece quando la pressione è maggiore all’interno del capillare linfatico, le cellule endoteliali aderiscono in modo più stretto l’una all’altra e quindi la linfa non può entrare all’interno del capillare stesso. - I capillari linfatici confluiscono a formare strutture di calibro progressivamente maggiore, i vasi linfatici. Essi hanno una tonaca intima, una tonaca media, una tonaca avventizia, con una parete relativamente sottile e numerose valvole. - I vasi linfatici confluiscono nei tronchi linfatici, che hanno calibro ancora maggiore e, infine, questi confluiscono nei due dotti linfatici che circondano la linfa nel circolo venoso (dotto linfatico destro e dotto toracico). Il dotto toracico destro si localizza in corrispondenza della clavicola e raccoglie tutta la linfa che proviene dal quadrante superiore destro del corpo; questo dotto poi confluisce nell’angolo venoso destro, cioè nel punto di convergenza tra la vena succlavia destra e la vena giugulare interna destra, portando nuovamente la linfa alla circolazione venosa. Il dotto toracico, invece, rappresenta il vaso linfatico di maggiori dimensioni del nostro corpo; origina a livello addominale da una dilatazione linfatica chiamata “cisterna del chilo” che raccoglie tutta la linfa proveniente dall’intestino tenue. Partendo dalla cisterna del chilo, il dotto attraversa il diaframma e confluisce nell’angolo venoso di sinistro. La condizione di accumulo di linfa a livello degli arti inferiori, per mancato funzionamento del sistema linfatico e dell’occlusione dei vasi linfatici, prende il nome di LINFEDEMA ed è una condizione che, se protratta nel tempo, può avere conseguenze importanti sul sistema circolatorio e sulla salute generale dell’organismo stesso. Componenti del sistema linfatico: - Fluido in movimento che proviene dal sangue-plasma (LINFA) - Una rete di VASI linfatici - ORGANI linfatici: strutture anatomiche entro cui i linfociti si moltiplicano/attivano/differenziano per andare a svolgere la funzione immunitaria. Essi si suddividono in: 1) Organi linfatici centrali (primari): sono costituiti dal timo e dal midollo osseo e rappresentano quegli organi in cui si ha la maturazione dei linfociti, diventano immunocompetenti. Non c’è incontro con l’antigene, quindi non viene innescata la risposta immunitaria. 2) Organi linfatici periferici (secondari): a livello di questi organi viene innescata la risposta immunitaria, i linfociti maturi (T e B) si attivano in seguito all’incontro con l’antigene, si moltiplicano. Gli organi linfatici secondari sono costituiti dai linfonodi, la milza e inoltre a livello del nostro organismo abbiamo degli aggregati dei sistemi linfatici che non definiamo veri e propri organi perché non presentano le caratteristiche specifiche di un organo pieno, ma hanno la stessa funzione degli organi linfatici secondari (tonsille, tessuto linfatico associato alle mucose). LEZIONE 32 IL SISTEMA CARDIOVASCOLARE: IL CUORE (PARTE 1) Nell’uomo, il sangue circola attraverso due percorsi principali, che comprendono due diversi reti di vasi ma che iniziano e terminano al cuore: • circolazione polmonare (piccola): deputata alla ossigenazione del sangue, con liberazione di CO2. Dal momento che la distanza fra cuore e polmoni è breve, viene definita “piccola”; • circolazione sistemica (grande): deputata a trasportare e distribuire il sangue ossigenato e ricco di nutrienti a tutti i tessuti e organi, polmoni e cuore inclusi. Inoltre, raccoglie da questi ultimi CO2 e prodotti catabolitici. In quanto il tratto che il sangue percorre è maggiore, si parla di grande circolazione. Il cuore, per funzionare da pompa nei confronti delle due circolazioni, è suddiviso in due metà destra e sinistra, separate fra loro da un setto di natura muscolare. La parte destra, colorata in blu, riceve e pompa sangue venoso ricco di CO2 e prodotti di scarto; viceversa, la parte sinistra colorata di rosso, riceve e pompa sangue arterioso. Quando il cuore batte, contemporaneamente si contraggono i due atri e, successivamente, si contraggono i due ventricoli, pompando uguale quantità di sangue nella circolazione sistemica e in quella polmonare. Queste si originano in porzioni diverse del cuore: • La circolazione polmonare origina in corrispondenza del ventricolo destro e trasporta il sangue ossigenato all’atrio sinistro; • La circolazione sistemica origina dal ventricolo sinistro e, attraverso l’aorta, giunge all’atrio destro. L’atrio destro riceve sangue proveniente da tutto il corpo, il quale ha rilasciato ossigeno a livello dei tessuti periferici e assunto anidride carbonica. Dal ventricolo destro si origina il TRONCO POLMONARE, una grossa arteria da cui parte la circolazione polmonare. A questo punto, si divide in due arterie, l’arteria polmonare destra e sinistra, che entrano nei rispettivi polmoni e si ramificano ripetutamente, dando origine ad arterie più piccole, arteriole e capillari, i quali andranno a circondare gli alveoli polmonari. Questi sono piccoli sacchetti di pieni di aria, le cui pareti consentono lo scambio gassoso tra il sangue nei capillari e l’aria inspirata. In questo modo, il sangue viene ossigenato, immesso in venule sempre di carico maggiore fino alle vene polmonari (due del polmone destro e due del sinistro). Queste confluiscono nell’atrio sinistro e nel ventricolo sinistro, il quale pompa il sangue ossigenato a tutto il corpo attraverso l’aorta. Occorre fare caso al fatto che • le arterie del circolo polmonare differiscono da quelle del circolo sistemico poiché trasportano sangue deossigenato (blu), viceversa le vene polmonari trasportano sangue ossigenato (rosso); • il ventricolo sinistro pompa il sangue con una pressione sei volte maggiore rispetto a quella che ha il sangue a quando è pompato dal ventricolo destro poiché, dal ventricolo sinistro, il sangue deve raggiungere tutte le parti del corpo. Ciò è visibile dalla maggiore ampiezza e dallo spessore del ventricolo sinistro. IL CUORE È un organo poco più grande di un pugno, il quale funzione la pompa aspirante e premente. Con più di 100.000 battiti al giorno, spinge il sangue in tutto il nostro corpo e veicola ossigeno e sostanze nutritizie che vengono scambiate con il liquido intracellulare. In questo modo, il cuore mantiene l’omeostasi dell’ambiente che circonda le cellule, relativamente a ossigeno, CO2, sostanze nutritizie e metaboliti. Questo viene costantemente tenuto in movimento senza interruzione. La grandezza del cuore varia in base all’età, al sesso e alla condizione del soggetto: pesa • 280-340 grammi nel maschio; • 230-280 grammi nella femmina; • 20 grammi alla nascita (0.7% del peso corporeo). LA POSIZIONE DEL CUORE Il cuore è un organo cavo, impari (unico) e mediano (in posizione centrale), con prevalente struttura muscolare. In particolare, è situato tra i due polmoni in posizione retrosternale, dietro lo sterno, davanti alle vertebre toraciche che vanno dalla 5 alla 8 e occupa il mediastino medio all’interno della cavità toracica. Sezionando trasversalmente la cavità toracica, si possono individuare tre compartimenti: • loggia pleuropomonare destra; • loggia pleuropolmonare sinistra; • mediastino, una regione ricca di tessuto connettivo che contiene tutti i visceri del torace ad eccezione dei polmoni. Il mediastino anteriore connette il pericardio (che riveste il cuore) allo sterno attraverso i legamenti sterno-pericardici mentre, il mediastino posteriore, possiede gli organi fondamentali. La posizione del cuore è fondamentale nel momento della rianimazione cardiovascolare: esercitando una pressione nella parte bassa dello sterno si mantiene attivo il flusso ematico anche in caso di arresto cardiaco. Tuttavia, rispetto al piano sagittale mediano, il cuore è spostato per i due terzi a sinistra e per un terzo a destra. Per questo motivo, l’impronta lasciata dal cuore sulla superficie mediale del polmone sinistro è più ampia rispetto a quella sul polmone destro. Inoltre, il cuore è leggermente ruotato verso sinistra: osservandolo anteriormente infatti, si vede principalmente la parte destra, viceversa la parte sinistra si vede posteriormente. Il cuore è racchiuso in una membrana fibro-sierosa: il PERICARDIO. Questo gli conferisce fissità, lo protegge e lo isola dagli organi vicini. È inoltre formato da due parti • il pericardio fibroso: è la parte esterna di natura connettivale che avvolge il cuore. Questo è vincolato al diaframma attraverso legamenti. Infatti, la sua funzione è di ancorare il cuore al diaframma, alla superficie posteriore dello sterno (attraverso i legamenti sterno-pericardici) e alla colonna colonna vertebrale (attraverso i legamenti pericardio-vertebrali). In questo modo, mentre il diaframma scende di 2,5 cm, il cuore si abbassa solo di mezzo cm. Infine, il pericardio protegge il cuore da improvvisi sovrariempimenti, in modo tale che non possa deformarsi; • il pericardio sieroso: è la parte interna, composta da due foglietti: il foglietto viscerale aderisce alla parte esterna del cuore (EPICARDIO) mentre, il foglietto parietale, aderisce alla superficie interna del pericardio fibroso. Questi si congiungono in corrispondenza della parte bassa del cuore mentre, nel resto dello spazio, si forma una cavità pericardica. Questa contiene una piccola quantità di liquido (10/20 ml) che consente lo scorrimento della parete cardiaca sul pericardio, evitando attriti. L’infiammazione cronica del pericardio prende il nome di PERICARDITE, la quale può aumentare la pressione del liquido nella cavità pericardica e determinare un versamento pericardico. In questa situazione, il cuore viene compresso e non è più possibile una normale espansione del cuore e, di conseguenza, vi è una minor gittata cardiaca o addirittura un’insufficienza cardiaca (tamponamento cardiaco). Si agisce quindi con la pericardiocentesi, ossia il prelevamento di liquido attraverso un ago inserito fra il quinto e il sesto spazio intercostale (area nuda del pericardio). LA FORMA DEL CUORE La proiezione del cuore nella parte anteriore del torace prende il nome di AIA CARDIACA, di forma trapezoidale. In particolare, • il margine destro è convesso, verticale e occupato dall’atrio destro e dalle vene cave superiore e inferiore; • il margine inferiore o acuto è occupato principalmente dal ventricolo destro, solo nella porzione sinistra è occupato dal ventricolo sinistro, che va a costituire la punta del cuore; • il margine sinistro o ottuso è obliquo e formato perlopiù dal ventricolo sinistro. Vi è solo una parte di atrio sinistro che prende il nome di AURICOLA SINISTRA; • Il margine superiore è occupato dall’atrio destro e sinistro. Inoltre, di qui emergono l’aorta ascendente e il tronco polmonare e la vena cava superiore. Il cuore ha la forma di un cono appiattito in senso antero-posteriore, quindi leggermente schiacciato. La base del cono è rivolta in alto a destra, in corrispondenza della terza cartilagine costale mentre, l’apice, è spostato in basso a sinistra, in corrispondenza del quinto spazio intercostale, al di sotto della mammella sinistra. L’asse del cuore è pertanto obliquo, diretto dall’alto in basso; da destra a sinistra e da dietro in avanti. In corrispondenza dell’apice è possibile sentire il battito cardiaco attraverso l’ITTO, il quale può variare di intensità a seconda di alcune patologie: se il cuore fa più fatica pulsare, l’itto diventa più evidente sul torace. LEZIONE 33 IL SISTEMA CARDIOVASCOLARE: IL CUORE (PARTE DUE) Il cuore entra in contatto • anteriormente con lo sterno e le cartilagini costali; • inferiormente con il diaframma, in particolare sul centro tendineo del diaframma che prende il nome di centro frenico. Questi si legano attraverso il legamento pericardio frenico; • lateralmente con i polmoni; • posteriormente con l’aorta toracica, l’esofago e la colonna vertebrale. In caso di aritmie o di alterazione del ritmo cardiaco, che si possono verificare in seguito ad ischemia del tessuto nervoso del cuore, il quale ne determina l’autoritmicità, è possibile intervenire attraverso la stimolazione cardiaca transesofagea: si stimola il cuore con un elettrodo che passa attraverso l’esofago. L’ANATOMIA DI SUPERFICIE DEL CUORE In funzione della forma dell’organo e dei rapporti che contrae, si distinguono • La faccia anteriore o sternocostale: è leggermente convessa, rivolta in avanti, in alto e a sinistra. È costituita dai 2/3 del ventricolo destro, dall’AURUCOLA DESTRA (una piccola porzione dell’atrio destro) e 1/3 del ventricolo sinistro. Per effetti di una rotazione verso sinistra, nella parte anteriore si vede prevalentemente il ventricolo destro; • La faccia postero inferiore o diaframmatica: è formata principalmente dal ventricolo sinistro e da una piccola parte del ventricolo destro. La faccia si presenta pianeggiante e poggia sul centro tendineo del diaframma; • La base o faccia posteriore: ha una forma pressoché quadrilatera, diretta posteriormente. È costituita dagli atrii e dalle parti prossimali delle vene cave e delle vene polmonari. Queste ultime entrano più o meno orizzontalmente mentre, le vene cave, entrano nel cuore in senso verticale. A destra della vena cava superiore vi è il SOLCO TERMINALE, che prosegue inferiormente fino al contorno della vena cava inferiore. Questo è importante poiché segna esternamente il limite tra le due porzioni in cui si suddivide l’atrio destro. In particolare, nel lato destro vi è una porzione mediale o seno delle vene cave, la quale ha un andamento prevalentemente verticale ed è liscia. Più lateralmente invece, si sviluppa la porzione conica che circonda il margine destro dell’aorta, ossia l’auricola destra. Infine, l’auricola sinistra circonda l’origine del tronco polmonare. Il solco terminale rappresenta inoltre un punto di repere per localizzare il nodo senoatriale o pacemaker cardiaco, dove insorge lo stimolo della contrazione del cuore e che fa parte del miocardio specifico o tessuto di conduzione del cuore. • L’apice o punta del cuore: è formata principalmente dal ventricolo sinistro e corrisponde al quinto spazio intercostale sinistro. Qui si percepisce l’itto, ossia il sollevamento della parete toracica che è sincrono con la pulsazione cardiaca. • I margini destro e sinistro. A livello della superficie esterna del cuore si notano solchi che segnano i limiti fra le cavità interne che lo costituiscono. Questi sono visibili sulla superficie esterna del cuore e appaiono di colore giallo poiché sono pieni di grasso. Questi sono 1. Il solco coronario o atrioventricolare: ha un decorso trasversale circolare sia sulla superficie anteriore che su quella posteriore. Tale solco separa la porzione postero superiore (gli atrii) da quella inferoanteriore (i ventricoli); 2. Il solco interventricolare anteriore e posteriore: hanno entrambi un decorso longitudinale ma, se il primo è visibile sulla faccia sternocostale, l’altro è visibile sulla faccia diaframmatica. Entrambi partono dal solco coronario e si spingono all’apice per separare i due ventricoli. A livello di tutti questi solchi, vi sono importanti rami dei vasi coronarici, per questo motivo, un accumulo di grasso in questi punti potrebbe provocare patologie cardiovascolari. CONFORMAZIONE INTERNA DEL CUORE Il cuore è suddiviso in due cavità: due atri e due ventricoli. Ciascun atrio è collegato al sottostante ventricolo mediante un ORIFIZIO ATRIO-VENTRICOLARE, munito di valvola atrioventricolare. Le cavità sono collegate tra loro attraverso un setto interatriale o interventricolare di natura muscolare. Gli atrii hanno una forma a cuboide, sono situati postero superiormente e sono definiteli “cave di recezione” poiché sono deputate all’accoglienza del sangue refluo per convogliarlo nei rispettivi ventricoli. Questi ultimi hanno una forma a conoide, sono situati antero inferiormente e sono “camere di eiezione” poiché convogliano il sangue nella circolazione. • L’atrio destro: ha il compito di ricevere il sangue deossigenato e povero di nutrienti che proviene dalla circolazione sistemica. Questo riceve la vena cava superiore, inferiore e il seno coronario, una grossa vena che raccoglie il sangue refluo dalla circolazione del cuore e che decorre nel corso coronario. Il suo orifizio si trova vicino a quello della vena cava inferiore e possiede una valvola chiamata VALVOLA DI TEBESIO, la quale ha il compito di impedire il reflusso del sangue nel seno coronario durante la sistole atriale. L’altro destro è in comunicazione con il ventricolo destro attraverso l’orifizio atrio-ventricolare destro, il quale possiede una valvola dotata di tre lembi, da cui deriva il nome di valvola TRICUSPIDE. Internamente, è suddiviso in due aree, che esternamente sono evidenziate dal solco terminale. Tali aree sono divise dalla cresta terminale, un rilievo muscolare che inizia in corrispondenza del tetto dell’atrio • • • destro e termina in corrispondenza della vena cava inferiore. La prima porzione è posteriore, liscia e sottile, chiamata seno delle vene cave poiché qui si aprono le vene cave superiore e inferiore. La seconda invece è anteriore, con rilievi muscolari pettinati, i quali si estendono a ventaglio a partire dalla cresta. Questa porzione comprende l’auricola destra o atrio propriamente detta. In corrispondenza della vena cava inferiore vi è la VALVOLA DI EUSTACHIO o della vena cava inferiore, la quale indirizza il sangue che proviene dalla vena cava inferiore direttamente nell’altro sinistro. Infatti, nel feto i polmoni non sono attivi poiché il sangue riceve nutrienti e ossigeno direttamente dalla placenta. Il sangue arriva quindi già ossigenato all’atrio destro e passa all’atrio sinistro per essere poi convogliato nella circolazione sistemica attraverso un foro nel setto interatriale ossia il FORO OVALE o di botallo. In corrispondenza del setto interatriale infatti, è presente la fossa ovale, che corrisponde al foro nell’embrione. Normalmente, tale foro si chiude dopo la nascita ma, quando la chiusura è incompleta può essere o asintomatica o può lasciare passate coaguli di sangue provenienti dagli arti che vanno a ostruire arterie cerebrali e a conseguenti ischemie. In condizioni normali invece, tali coaguli passano al ventricolo destro e vengono disciolti nella circolazione polmonare. Il ventricolo destro: ha una forma più o meno triangolare e costituisce la maggior parte della faccia anteriore del cuore. Questo presenta una parete muscolare più spessa rispetto a quella dell’atrio destro, il che riflette una differenza funzionale: il ventricolo destro infatti al compito di pompare il sangue nella circolazione polmonare e per questo è definito “camera di eiezione”. Internamente, è suddiviso in due porzioni. La prima è una porzione di afflusso, che è posteriore e si affaccia all’orifizio atrio ventricolare per ricevere il sangue dall’atrio; la seconda è una “camera di efflusso”, anteriore e liscia, la quale spinge il sangue nel tronco polmonare. Internamente, la parete del ventricolo appare rugosa a causa di rilievi muscolari o TRABECOLE CARNEE, in particolare a causa dei tre MUSCOLI PAPILLARI. Questi si ancorano alla parete ventricolare e si proiettano all’interno della cavità, originando CORDE TENDINEE, le quali si impiantano sui lembi delle valvole atrio ventricolari, impedendo il reflusso di sangue. Inoltre, il punto di emergenza del ventricolo destro del tronco polmonare è caratterizzato da un orifizio polmonare dotato di valvola SEMILUNARE POLMONARE. L’atrio sinistro: è leggermente più piccolo di quello destro ma con una parete più spessa e presenta uno sviluppo prevalentemente trasversale. Questo riceve sangue ossigenato dalla circolazione polmonare attraverso le quattro vene polmonari. Queste sboccano nella parte posteriore liscia (VESTIBOLO dell’atrio sinistro) mentre, la parete anteriore, è caratterizzata da muscoli pettinati, con l’auricola sinistra che avvolge l’origine del tronco polmonare e che è leggermente più piccola di quella destra. Infine, in corrispondenza dell’orifizio atrio ventricolare, vi è valvola BICUSPIDE o MITRALE. Il ventricolo sinistro: rappresenta la camera cardiaca più ampia e più spessa. Questo si trova posteriormente rispetto al ventricolo destro a causa della rotazione del cuore verso sinistra. Tale ventricolo ha la funzione di pompare il sangue ricevuto dall’atrio sinistro nella circolazione sistemica, esercitando una grande pressione. Per questo motivo è dotato di una grande quantità di muscolatura e una forma ottimale (conica) per esercitare al massimo la forza contrattile. La sua organizzazione interna e simile a quella del ventricolo destro in quanto vi è una “camera di afflusso” rugosa e una “camera di efflusso” liscia o VESTIBOLO AORTICO. Questo conduce all’orifizio aortico, il quale si trova posteriormente rispetto al cono arterioso. Inoltre, anche qui la parete è il regolare a causa di trabecole carnee con due muscoli papillari. Le camere sono divise dal setto interventricolare muscolare, caratterizzato da una parte inferiore, ampia, spessa e di natura muscolare e una parte superiore piccola e sottile di natura membranacea. Il ventricolo sinistro immette il sangue nell’aorta attraverso la valvola SEMILUNARE AORTICA. LE VALVOLE CARDIACHE Sono dei dispositivi meccanici che hanno la funzione di garantire l’afflusso del sangue in una sola direzione, impedendo il reflusso. A livello del cuore vi sono 1. due valvole atrioventricolari (tricuspide e bicuspide), che devono consentire il passaggio di sangue tra altri e ventricoli impedendone il reflusso. In particolare, nel momento in cui i due ventricoli, le corde tendinee e i muscoli papillari sono rilassati, devono riempirsi di sangue, di conseguenza le valvole sono aperte, sono molli, permettendo l’afflusso di sangue dall’atrio al ventricolo. Nel momento in cui i ventricoli si contraggono, esercitano una pressione che potrebbe far ritornare il sangue dagli atrii. In questa situazione, i muscoli tendinei si contraggono, le corde tendinee diventano tese e, di conseguenza, le valvole si chiudono. È quindi proprio la pressione del sangue che fa aprire o chiudere. Tali valvole sono costituite da lembi fibrosi triangolari detti cuspidi, con base inserita nell’orifizio atrioventricolare e apice connesso tramite le corde tendine ai muscoli papillari del ventricolo. Come indica il nome, la valvola tricuspide ha tre lembi mentre, la bicuspide, ne ha solo due. Quest’ultima, viene anche detta mitrale a causa della somiglianza con il cappello del papa (mitra). 2. due valvole semilunari (aortica e polmonari, localizzate rispettivamente nel ventricolo sinistro e destro, dove i due vasi hanno origine). Queste sono formate da tre lembi fibrosi a forma semilunare che si staccano dalla parete del vaso, individuando con essa una tasca o SENO, a forma di semiluna. Ciascun seno presenta una porzione centrale e, più lateralmente, una porzione più sottile detta lunula. Sia la valvola aortica che quella polmonare presentano tre lembi: uno destro, uno posteriore e uno sinistro. Nei due laterali, sono presenti due orifizi dell’arteria coronaria destra e sinistra, le quali si riempiono di sangue durante la diastole ventricolare. Le valvole si trovano nella parete del ventricolo subito prima della connessione della grande arteria. La pressione del sangue all’interno dei ventricoli fa sì che i lembi vengono spinti verso la parete dell’arteria, consentendo l’apertura della valvola. Viceversa, quando i ventricoli si rilassano, l’abbassamento di pressione all’interno del ventricolo spinge il sangue a tornare indietro il sangue riempendo le tasche che, una volta piene, si toccano e impediscono il reflusso di sangue. In seguito a processi infettivi o infiammatori o degenerativi, le valvole possono andare incontro a patologie quali • stenosi: è un restringimento del lume delle valvole che può ostacolare il passaggio di sangue; • incontinenza: la valvola non si chiude e si va a un reflusso di sangue. In particolare, si parla di prolasso della valvola mitrale, quando i lembi sono rigonfi verso l’esterno e la valvola non si chiude lasciando passare del sangue dal ventricolo all’atrio. Tale condizione è normalmente asintomatica ma, in alcuni casi, può portare affaticamento o dolore al torace. Viceversa, quando si ha il rigurgito aortico, si parla dell’incontinenza della valvola semilunare aortica, per cui il sangue torna al ventricolo sinistro il quale si ingrossa e si dilata, pompando una quantità maggiore di sangue. Anche in questo caso si ha affaticamento o, in casi più gravi, un’ischemia. In questi casi, le valvole vengono sostituite con valvole di materiale sintetico. LEZIONE 34 IL SISTEMA CARDIOVASCOLARE: IL CUORE (PARTE 3) Il ciclo cardiaco è costituito da eventi che si verificano fra l’inizio del battito cardiaco e quello successivo (0,85 secondi) ed è un’alternanza di fasi di rilassamento e contrazione delle camere cardiache. In particolare, la DIASTOLE è il rilassamento delle camere, le quali si riempiono di sangue e si preparano per la sistole successiva mentre, la SISTOLE, è la contrazione della camera, che spinge il sangue nella camera adiacente o nel tronco arterioso. Il ciclo cardiaco comprende • la sistole atriale: la contrazione degli atrii spinge una piccola quantità di sangue. I ventricoli infatti si riempiono per la maggior parte passivamente, per questo le grandi alterazione cardiache riguardano i ventricoli; • la diastole atriale: gli atrii si rilassano; • la sistole ventricolare: comprende due fasi 1. Fase isovolumetrica: la sistole genera una pressione che fa chiudere le valvole atrioventricolari, ma che non è sufficiente a far aprire le valvole semilunari; 2. Fase propulsiva: la pressione aumenta e supera la pressione presente nelle grandi arterie in modo da aprire le valvole semilunari; • la diastole ventricolare: la pressione cala e il sangue refluisce verso le valvole semilunari. A questo punto, i ventricoli iniziano a riempirsi passivamente di sangue, si riaprono le valvole atrio ventricolari e inizia un nuovo ciclo. LA PARETE CARDIACA È costituita da tre strati: • • • ENDOCARDIO: la parete più interna. È un epitelio pavimentoso semplice, che riveste la parete cardiaca, i vasi e le valvole cardiache MIOCARDIO: la parte centrale. Occupa la maggior parte della parete cardiaca, è costituito da tessuto muscolare striato cardiaco, il quale è involontario e autonomo (il cuore infatti è dotato di autoritmicità, cioè non necessita di impulsi nervosi specifici). Le cellule cardiache o miocardiociti sono ramificate a Y e presentano una striatura trasversale a causa di miofibrille contrattili. Nel punto di contatto del miocardio citi vi sono i dischi intercalari, costituiti da giunzioni cellulari quali GAP e dismossomi, i quali consentono rispettivamente lo scambio di ioni e piccole molecole in modo da accoppiare elettricamente il miocardio citi e l’unione delle cellule. La contrazione di tali cellule infatti è contemporanea e, per questo motivo, il cuore è detto sincizio funzionale. Il tessuto del miocardio si dispone in modo da formare due sistemi indipendenti di fibre: uno per gli atrii e uno per i ventricoli, separati tra loro dallo scheletro fibroso del cuore, che isola elettricamente atrii e ventricoli durante il ciclo cardiaco, in modo che vi sia una corretta propulsione del sangue. Lo scheletro è costituito da quattro anelli fibrosi di tessuto connettivo, che circondano gli orifizi arteriosi e atrioventricolari. Tra gli anelli, è presente tessuto connettivo denso che costituisce i TRIGONI fibroso destro e sinistro. Nell’unico punto in cui lo scheletro si interrompe passa il fascio atrioventricolare, che rappresenta l’unica connessione tra la muscolatura atriale e ventricolare attraverso cui può passare l’impulso contrattile. Tale scheletro ha il compito di tenere aperti gli orifizi valvolari, fornire attacco alle cuspidi, dare sostegno fisico al miocardio citi (in particolare, sulla parete esterna si attaccano le fibre, mentre su quella interna i lembi delle valvole), vasi e nervi ed è un punto di inserzione delle valvole cardiache. Per quanto riguarda il miocardio degli altri, è più sottile e disposto a otto per circondare di sbuchi dei vasi venosi. Nel mio miocardio dei ventricoli invece, il tessuto è più spesso e la sua orientazione varia da strato a strato: gli strati più superficiali avvolgono entrambi i ventricoli mentre gli strati alla base sono disposti a spirale. Questa organizzazione forma il VORTICE MIOCARDICO, che spinge in maniera più efficace il sangue nelle grandi arterie. EPICARDIO: la parte esterna. È costituito dal foglietto viscerale del pericardio sieroso fatto di un epitelio pavimentoso semplice SISTEMA DI CONDUZIONE DEL CUORE (MIOCARDIO SPECIFICO) La contrazione del cuore non dipende dal sistema nervoso ma presenta un sistema di conduzione elettrica o miocardio specifico. All’interno di questo si trova il pacemaker cardiaco che genera il ritmo e lo trasmette alle altre cellule del miocardio specifico che, a loro volta, lo trasferiscono alla muscolatura. Tale tessuto presenta frequenza spontanea e velocità di conduzione elevata: è la sede nella quale insorgono gli stimoli elettrici per la conduzione del cuore e della via attraverso la quale questi stimoli si propagano al miocardio comune. Il miocardio specifico è costituito da un particolare tessuto miocardico dotato di fibre muscolari con peculiari proprietà delle cellule miocardiche, che hanno acquisito la proprietà di contrarsi autonomamente. Il sistema di conduzione è localizzato in gruppi di cellule nel • nodo seno atriale: è il pacemaker cardiaco ed è localizzato nel seno della vena cava superiore nell’atrio destro; • nodo atrioventricolare: si trova nel pavimento dell’atrio destro, nel punto di passaggio dall’atrio al ventricolo; • fascio atrioventricolare o di Hiss: è una continuazione del nodo atrioventricolare e inizialmente decorre come tronco comune nella porzione membranacea del setto interventricolare e successivamente, a livello della porzione muscolare, si divide nelle branche destra e sinistra. • rege subendocardiaca di cellule di conduzione o fibre del Purkinje: hanno la funzione di distribuire la funzione alla parete ventricolare. COME SI CONTRAE IL CUORE DURANTE IL CICLO CARDIACO e come contrae, alternativamente, atri e ventricoli: Quando il nodo senoatriale si attiva, inizia l’attività stessa dell’atrio e quindi inizia la contrazione di questa porzione del sistema di conduzione che, immediatamente, trasmette lo stimolo contrattile a tutte le superfici atriali. Quando gli atri si contraggono, grazie alle particolari caratteristiche del miocardio comune (cellule che hanno la capacità di trasmettere l’impulso contrattile), potrebbero contrarsi i ventricoli simultaneamente agli atri e questo sarebbe problematico. Quindi per impedire questa simultanea contrazione, lo scheletro fibroso del cuore impedisce che la contrazione passi immediatamente ai ventricoli, isola elettricamente gli altri dai ventricoli; quando però gli altri hanno completato definitivamente la contrazione, l’impulso deve passare ai ventricoli e a questo punto lo scheletro fibroso è interrotto e a livello di esso si avrà il passaggio di un’altra porzione del sistema di conduzione, ovvero il passaggio del fascio atrioventricolare. Le cellule del fascio atrioventricolare hanno una velocità di conduzione più lenta. Mentre l’impulso passa, a livello del setto interventricolare, i ventricoli non si contraggono perché questa porzione del sistema di conduzione è isolata dal tessuto connettivo. Fa in modo che l’impulso passi questa parte del setto, arrivi in corrispondenza dell’apice dei ventricoli, poi arriverà alle fibre del Purkinje che lo distribuiranno ai muscoli capillari e poi il sangue può definitivamente essere spinto nell’arteria polmonare. Nonostante il cuore sia un organo autonomo, quindi dotato di una propria autoritmicità, esso è dotato comunque innervato dal sistema nervoso autonomo, in particolare dal sistema nervoso simpatico e parasimpatico. L’innervazione è fondamentale perché serve a regolare il battito cardiaco. In condizioni di stress, il sistema nervoso simpatico determina un’accelerazione del battito cardiaco e un aumento della pressione; in condizioni opposte, il sistema nervoso parasimpatico ha azione opposta, cioè rallenta le prestazioni del cuore generando riduzione della frequenza cardiaca. Questi nervi regolano il sistema di conduzione del cuore, quindi agiscono direttamente sul nodo senoatriale che è quello che genera il ritmo del battito cardiaco. ARTERIE CORONARIE: la vascolarizzazione del cuore è garantita da vasi coronarici. Le arterie coronarie sono le arterie del cuore. Esse sono due: arteria coronaria destra e sinistra e originano dal primo tratto dell’aorta (aorta ascendente). L’arteria coronaria destra, appena nata, origina un vaso che va verso il basso e percorre il solco coronario; l’arteria coronaria sinistra presenta un ramo molto importante che decorre sulla superficie anteriore del cuore e prende il nome rame interventricolare anteriore. Nella maggiore parte dei soggetti è l’arteria coronaria destra che va a formare il ramo interventricolare posteriore; però nell’ambito della vascolarizzazione c’è una grande variabilità e quindi in alcuni soggetti il ramo interventricolare posteriore può originare dall’arteria coronaria sinistra. Queste arterie vanno ad irrorare sia gli atri sia i ventricoli, ma i rami atriali danno meno problemi ischemici e l’ischemia agli atri è ben tollerata e non dà troppe problematiche. Purtroppo, però, questi organi sono rarissimamente dotati di anastomosi, ci sono pochi collegamenti tra le arterie coronarie e questo è grave: il cuore e l’encefalo hanno questa caratteristica e quindi se si occlude un ramo, quel territorio diventa ischemico. In altri organi, invece, come ad esempio l’intestino ci sono tantissime anastomosi e quindi tanti circuiti di soccorso che possono sostituire il vaso occluso. VENE CARDIACHE: tutto il sangue che ha circolato nel cuore viene drenato nel seno coronario che decorre nel solco coronario del cuore. Questa grossa vena riceve a sua volta altre vene: vena cardiaca parva, vena cardiaca media, vena cardiaca posteriore, vena cardiaca magna. LEZIONE 35 VASI DEL CIRCOLO SISTEMICO (PARTE 1) La circolazione sistemica inizia con l’aorta, la quale fornisce letti capillari in tutto il corpo. Alla sua origine, arteria aorta è ricoperta dal pericardio, poi quando emerge dal ventricolo sinistro non è visibile in una visione anteriore del cuore, in quanto è coperta dal cono arterioso (camera di efflusso del ventricolo destro, da cui origina attraverso la valvola semilunare polmonare, il tronco polmonare). Quando l’arteria aorta origina dalla base del ventricolo sinistro, sale verso destro, poi fa una curva molto pronunciata chiamata arco dell’aorta, poi scende verso sinistra, andando a costituire l’aorta discendente che si divide in aorta toracica e aorta addominale. Il sangue, a livello dell’aorta, scorre ad alta pressione e il fatto che, in corrispondenza dell’arco dell’aorta, ci sia una curva così pronunciata si possono formare degli aneurismi che possono essere anche molto pericolosi. L’arco dell’aorta è lungo 5 cm e termina a livello del disco intervertebrale tra la 4° e la 5° vertebra toracica, dove si continua con l’aorta toracica. Dal momento in cui l’arteria aorta origina dal ventricolo sinistro, ha un decorso nel quale si individuano 3 tratti: 1) AORTA ASCENDENTE: lunga circa 5 cm. Gli unici vasi che originano dall’aorta ascendente sono le arterie coronarie destra e sinistra. 2) ARCO AORTICO: connette l’aorta ascendente con quella discendente ed è una grossa arteria elastica, che origina a sua volta tre arterie elastiche. 3) AORTA DISCENDENTE: (si suddivide a sua volta in aorta toracica e addominale): passa nel torace, posteriormente al cuore, dove prende il nome di aorta toracica; poi attraversa il diaframma e va a costituire l’aorta addominale. L’aorta emette delle collaterali che si distribuiscono a tutto l’organismo. Le tre grosse arterie che originano dall’arco aortico sono: - arteria brachio-cefalica (tronco brachio-cefalico): dopo aver lasciato l’arco aortico si divide nell’arteria succlavia destra e nell’arteria carotide comune destra. - Arteria carotide comune di sinistra. - Arteria succlavia di sinistra. Le arterie succlavie si chiamano così perché passano al di sotto della clavicola e passano al di sopra della prima costa, dove lasciano un solco che prende il sole di “solco dell’arteria succlavia”. La succlavia va ad irrorare l’arto superiore e cambia nome a seconda della regione che attraversa. Seguendo il cammino dell’arteria succlavia, a livello della regione ascellare, prende il nome di arteria ascellare, a livello del braccio prende il nome di arteria brachiale, a livello dell’articolazione del gomito l’arteria brachiale si divide nei suoi due rami terminali: arteria radiale (laterale) e ulnare che vanno ad irrorare l’avambraccio e la mano. Le arterie carotidi sono vasi che hanno come territorio di irrorazione la testa e il collo. Le arterie carotidi comuni decorrono ai lati della trachea e salgono lateralmente a livello del collo, decorrendo insieme ad una vena chiamata “vena giugulare” e ad un nervo chiamato “nervo vago”. Queste tre strutture (arteria comune, giugulare e vago) sono avvolte da una guaina di tessuto connettivo, che forma il fascio vascolo-nervoso del collo. In corrispondenza del pomo d’Adamo, la carotide comune si divide nei due rami terminali: carotide esterna e carotide interna. La carotide esterna sale verso l’alto e decorre nella superficie esterna del cranio, andando ad irrorare gran parte della testa tranne le orbite e il collo; la carotide interna, invece, sale verso l’alto, perfora il cranio e va ad irrorare l’encefalo e le orbite. L’arteria carotide interna non è l’unica arteria che va a vascolarizzare l’encefalo, poiché esso necessita di un ulteriore apporto vascolare che deriva dall’arteria vertebrale, la quale deriva dall’arteria succlavia. L’arteria vertebrale è sorretta dalle vertebre cervicali, le quali presentano lateralmente dei “forami trasversi” che sostengono le arterie vertebrali nel loro percorso. Le arterie vertebrali arrivano alla base del cranio, attraverso il forame magno ed entrano nella cavità cranica; poi le due arterie vertebrali (destra e sinistra) si fondono e formano l’arteria basilare, la quale decorre sulla superficie del ponte (organo encefalo). L’arteria basilare darà a sua volta dei rami. Le carotidi interne, generalmente, forniscono sangue alla metà anteriore dell’encefalo. Il sistema delle carotidi interne e delle arterie vertebrali genera un anello che si dispone alla base dell’encefalo, a circondare l’ipofisi. Questo circuito a forma di anello prende il nome di POLIGONO DI WILLIS ed esso mette in comunicazione il sistema della carotide interna anteriormente con il sistema delle arterie vertebrali posteriormente; questo è importante perché ha la funzione di garantire una distribuzione di sangue a pressione costante a livello dell’encefalo e anche riduce la possibilità di interruzione dell’arrivo di sangue. L’aorta discendente toracica: si trova a decorrere leggermente a sinistra della colonna vertebrale, nel mediastino posteriore, a livello della parete toracica posteriore. Rispetto all’esofago, prima gli decorre dietro e poi si dispone a lato. L’aorta toracica presenta rami parietali e rami viscerali. I rami parietali si portano alle pareti del tronco, quindi irrorano la parete toracica (arterie intercostali e freniche); i rami viscerali, invece, portano il sangue ai visceri (qualsiasi organo dotato di muscolatura liscia: arterie bronchiali, pericardiche, mediastiniche). L’aorta discendente addominale: origina immediatamente al di sotto del diaframma, quindi è una continuazione dell’aorta toracica. Scende a sinistra rispetto alla colonna vertebrale e si trova posteriormente alla cavità peritoneale, spesso è circondata da tessuto adiposo. Subito dopo il suo ingresso, l’aorta toracica, emette un tronco (tripode celiaco, 1 cm) che si divide in tre rami: epatica comune (verso destra), arteria splenica (verso sinistra) e gastrica sinistra. L’arteria epatica sale verso l’alto e andrà ad originare rami che vanno al fegato, pancreas e stomaco. L’arteria splenica va a vascolarizzare la milza, però da anche rami che vanno al pancreas. Infine, l’arteria gastrica sinistra va a vascolarizzare lo stomaco e l’esofago. Circa 2,5 cm al di sotto del tripode celiaco, l’aorta addominale origina un altro ramo impari e mediano, mesenterica superiore. Questa arteria si apre a ventaglio e origina arterie che vanno ad irrorare tutto l’intestino tenue e anche la maggior parte dell’intestino crasso. L’ultimo ramo impari e mediano dell’aorta addominale è l’arteria mesenterica interiore che va ad irrorare la porzione terminale dell’intestino crasso e il retto. Oltre a questi tre rami impari (tripode celiaco, mesenterica superiore e inferiore), l’aorta addominale origina anche rami pari: arterie renali (trasportano ai reni una grande quantità di sangue), arterie surrenali, arterie genitali (arterie testicolari e ovariche). RAMI PARI E IMPARI SONO RAMI VISCERALI. Tra i rami parietali, invece, ricordiamo le arterie lombari che sono 4 paia, originano dalla parte inferiore dell’aorta e vascolarizzano la parete addominale posteriore. A livello della 4° vertebra lombare, l’aorta forma il segmento terminale dell’aorta che si divide a formare due grosse arterie muscolari: iliaca comune destra e sinistra. Queste a sua volta si dividono in arteria iliaca esterna e arteria iliaca interna. Quella interna entra nella cavità pelvica, vascolarizza la maggior parte della parete della cavità pelvica e gli organi viscidi pelvici; quella esterna vascolarizza la maggior parte dell’arto inferiore. LEZIONE 36 VASI DEL CIRCOLO SISTEMICO (PARTE 2) ARTERIE DOVE VIENE PERCEPITO IL POLSO: in corrispondenza dell’arteria radiale, è possibile percepire il polso arterioso, però non è l’unica arteria dove si può percepire il polso. Che cos’è il polso arterioso? È la possibilità, schiacciando le arterie che scorrono vicino alla superficie, di percepire la pulsazione del cuore; infatti, ad ogni pulsazione del cuore, si genera un’onda che si propaga a tutte le arterie e che viene definita “onda sfigmica”. Questo perché, durante la sistole ventricolare, in seguito all’enorme gittata cardiaca, l’aorta si dilata e questa dilatazione viene propagata a tutte le arterie ed è così che in particolari arterie noi possiamo percepire questa onda. VENE SISTEMICHE: sono le vene che raccolgono il sangue ricco di CO2 e di sostanze di scarto che proviene da tutti gli organi. Queste vene si originano dalla confluenza di vene di calibro più piccolo che si uniscono in vene sempre maggiori, fino ad arrivare alle tre grosse vene che confluiscono nell’atrio destro. Generalmente c’è complementarità tra le arterie e le vene di ciascun lato del corpo, che di solito scorrono vicine le une alle altre anche se le vene sono più numerose delle arterie. Inoltre, le vene sono caratterizzate dalla presenza di numerose anastomosi che garantiscono il ritorno del sangue anche, ad esempio, in seguito ad un intervento che asporta quelle vene. Una differenza fondamentale tra arterie e vene è il fatto che molte vene sono superficiali, le quali però prima o poi devono confluire in vene profonde. I vasi che riportano che riportano il sangue, che ha circolato in tutto il corpo, all’atrio destro sono tre: - VENA CAVA SUPERIORE (lunghezza 7 cm, diametro 2 cm): raccoglie il sangue che proviene da tutti gli organi sopradiaframmatici. Si origina dalla confluenza di due vene, il tronco brachiocefalico destro e il tronco brachiocefalico sinistro. Il tronco brachiocefalico si origina dall’unione con la vena succlavia, la quale raccoglie il sangue che proviene dall’arto superiore, mentre la vena giugulare interna raccoglie tutto il sangue he ha circolato a livello della testa e del collo. La vena giugulare si divide in interna ed esterna; queste due, insieme alla vena vertebrale, raccolgono il sangue che proviene da tutta la testa e dal collo. - VENA CAVA INFERIORE: raccoglie il sangue che proviene da tutti gli organi sottodiaframmatici. - SENO CORONARIO: raccoglie il sangue che proviene dalla circolazione del cuore. Seni venosi della dura madre: si trovano in corrispondenza dello spessore della dura madre, la quale rappresenta una delle tre meningi dell’encefalo, cioè un rivestimento di natura connettivale. La meninge più esterna prende il nome di dura madre ed è costituita da tessuto connettivo fibroso molto resistente, in particolare a livello dell’encefalo la dura madre è costituita da due foglietti che, in alcuni punti si sdoppiano. Questi foglietti sono un foglietto più esterno che prende il nome di strato periostale e uno più interno che prende il nome di strato meningeo: essi, sdoppiandosi in alcuni punti, formano delle vene particolari che sono i seni venosi della dura madre. Questi seni hanno una parete costituita da endotelio internamente e da tessuto connettivo fibroso esternamente. I seni venosi si suddividono in seni della base cranica e seni della volta. Il seno più importante è il seno sagittale superiore e tutti i seni DRENANO IL SANGUE CHE PROVIENE DALL’ENCEFALO E DAL CRANIO, il sangue che ha circolato in questi organi fluisce nelle vene giugulari che rappresentano una diretta continuazione dei seni venosi della dura madre. DRENAGGIO ORGANI TORACICI: avviene attraverso le vene azigos, vena principale del sistema che rappresenta l’unico affluente della vena cava superiore. Azigos significa impari, infatti questa vena riceve numerosi affluenti impari e decorre sul lato destro del corpo. La vena azigos origina nella cavità addominale dalla vena iliaca comune destra, la quale inizialmente prende il nome di vena lombare ascendente destra. Questa risale dalla regione lombare, attraversa il diaframma, si porta a livello della cavità toracica dove prende il nome di vena azigos: questa vena, formando un arco sopra al bronco destro, in corrispondenza della 4° vertebra toracica, sbocca nella vena cava superiore. In questo suo tragitto, soprattutto a livello della cavità toracica, riceve numerosi affluenti, ma anche la vena cava emi-azigos accessoria e la vena emi-azigos. Il sistema delle azigos è importante perché crea un ponte tra il sistema della vena cava superiore e il sistema della cava inferiore, creando un circolo alternativo in caso di occlusione della vena cava inferiore. Quando si ha un’occlusione di quest’ultima, il sangue refluo dalla parete sottodiaframmatica può, attraverso il sistema delle azigos, raggiungere ugualmente il cuore. La vena iliaca comune destra, da cui origina la vena azigos, si unisce alla vena iliaca sinistra e formano la vena cava inferiore (ponte tra sistema vena cava inferiore e superiore). VENA CAVA INFERIORE: è la vena più larga del nostro corpo e si forma dall’unione delle due vene iliache comuni, le quali a loro volta si originano dall’unione della vena iliaca esterna ed interna. La vena cava inferiore drena la maggior parte dei visceri addominali, risalendo attraverso la parete addominale posteriore, a destra dell’aorta. Nel suo percorso, questa vena, riceve tantissimi vasi che hanno raccolto tante vene e che raccolgono il sangue da numerosi organi. Il sangue che proviene da tutti gli organi dell’apparato digerente sottodiaframmatico e dalla milza, non viene immesso direttamente nella vena cava inferiore, ma questo sangue prima viene trasportato al fegato attraverso la vena porta e solamente dopo che questo ha elaborato/modificato tutte le molecole, il sangue (refluo da questi organi) verrà immesso nella circolazione attraverso le vene epatiche. CIRCOLO VENOSO SUPERFICIALE DELL ARTO INFERIORE: le vene più importanti della circolazione superficiale dell’arto inferiore sono due e sono la grande e piccola safena (significa apparente). Sono due vene che decorrono al di sotto della pelle, a livello degli arti inferiori. Queste due vene originano entrambe a livello del piede. La grande origina in corrispondenza del margine mediale della caviglia, poi decorre alla gamba e alla coscia, per poi risale per drenare a livello della vena femorale, in corrispondenza dell’anca. La piccola origina sempre in corrispondenza del margine mediale del piede, questa però risale sulla faccia posteriore della gamba, per svuotarsi a livello delle vene oplite nell’articolazione dietro al ginocchio. Queste vene sono i siti più comuni di insorgenza di vene varicose e inoltre sono vene impiegate per interventi di bypass cardiaco. LEZIONE 37 APPARATO TEGUMENTARIO (PARTE UNO) È costituito da cute e annessi cutanei e ha la funzione di • protezione; regolazione della temperatura corporea: quando si ha un aumento della temperatura corporea aumenta la sudorazione per disperdere calore nell’ambiente, viceversa, in ambiente freddo, la cute funge da isolante termico; • organo di senso (grazie ai recettori che invieranno le informazioni al sistema nervoso centrale) e emuntorio ossia escretore (poiché a livello della cute vengono espulsi sali, acqua e rifiuti organici); • sintetizzare gli ormoni quali la vitamina D, uno steroide che verrà trasformato nel calcitriolo, importante per mantenere il normale metabolismo del calcio; • deposito di sostanze nutrienti; • coordinare la risposta immunitaria contro patogeni e tumori della pelle. La cute è dotata da un epitelio superficiale di rivestimento, pavimentoso pluristratificato e corneificato (EPIDERMIDE) e da uno strato sottostante connettivo (DERMA). All’interno del derma sono presenti molti vasi, che vanno a irrorare la cute e che sono importanti per la termoregolazione e di recettori sensoriali o della sensibilità dolorifica. Sotto il derma è presente un tessuto connettivo lasso (IPODERMA), che non è parte effettiva della cute ma fissa i tegumenti alle strutture profonde ed è un accumulo di tessuto adiposo, dove si forma il pannicolo adiposo. Gli annessi cutanei invece, sono peli, unghie e ghiandole sebacee sudoripare, che si trovano nel derma e raggiungono la superficie attraversando l’epidermide stessa. • L’EPIDERMIDE È un epitelio pavimentoso pluristratificato e corneificato, dello spessore di 50 micron-1,5 mm. È composto da quattro tipi di cellule: 1. Cheratinociti: rappresentano la linea principale dell’epidermide, la più numerosa. I vari strati dell’epidermide riflettono gli stadi maturativi che attraversano i cheratinociti: questi subiscono una trasformazione (CITOMORFOSI CORNEA) dagli strati più interni a quelli più esterni, la quale consiste nel riempimento del citoplasma dei filamenti intermedi costituiti da cheratina (CHERATOGENERI). Questo dura 12-14 giorni ma i cheratinociti rimarranno nell’epidermide altri 15 giorni, il che equivale al periodo di rinnovamento dell’epidermide; 2. Melanociti: sono responsabili della produzione della melanina e pertanto della colorabilità della cute; 3. Cellule di Langherans: hanno la funzione di difesa; 4. Cellule di Merkel: hanno la funzione di recettori sensitivi, in particolare tattili. In base allo spessore dell’epidermide, si distinguono la cute sottile e spessa. La cute sottile è la più numerosa e presenta uno strato corneo molto più assottigliato rispetto a quello della cute spessa, il che rende lo spessore totale anche sei volte minore di quello della cute spessa, che presenta solo ghiandole sudoripare (no ghiandole sebacee o peli). L’epidermide inoltre può essere suddivisa in cinque strati, visibili solo a livello della cute spessa. Nella cute sottile infatti non vi è una distinzione fra strato lucido e granuloso. Partendo dalla porzione profonda verso la superficie troviamo • lo strato germinativo o basale: è lo strato più profondo caratterizzato da cellule cubiche e cilindriche disposte su un unico strato che poggia sulla membrana basale. Tali cellule presentano una forte attività mitotica, cioè sono in attiva proliferazione, e hanno la caratteristica di cellule unipotenti (cheratinociti). Questo significa che a ogni divisione una cellula rimarrà una cellula sullo strato basale in quanto cellula staminale mentre, la seconda, inizierà a salire verso l’alto e a maturare. Inoltre, sono presenti cellule di Merkel, coinvolte nella sensibilità cutanea. Questo significa che, in seguito compressioni, tali cellule sono in grado di stimolare le terminazioni nervose periferiche traducendo informazioni di tipo tattile. Infine, sono presenti i melanociti, più grandi dei cheratinociti. Un melanocita infatti circonda circa 36 cheratinociti a formare l’unità epidermico melanico e presenta un corpo centrale con un nucleo, da cui si diramano processi citoplasmatici che si insinuano tra i primi strati di cheratinoci. All’interno del citoplasma inoltre sono presenti i MELANOSOMI, granuli all’interno dei quali si ha l’accumulo di melanina, i quali vengono rilasciati all’interno di cheratinociti in via di maturazione per essere colorati. La melanina deriva dalla trasformazione dell’amminoacido tirosina, la cui trasformazione necessita di raggi UV, per cui al sole sia un incremento della melanina ma, tali melanosomi vengono poi a mano degradati dai lisosomi presenti nei cheratinociti. Nelle persone di carnagione nera ciò non avviene poiché è presente una maggiore attività produttiva della melanina a livello dei melanociti e la melanina si distribuisce a tutti gli strati cellulari, fino a quello corneo. Questo perché la melanina non viene degradata dai cheratinociti e per questo persiste fino all’ultimo strato. La diversa colorazioni cutanea deriva dalla diversa melanina: • l’eumelanina: sono pigmenti scuri, marroni o neri; • le feomelanina: sono pigmenti di colorazione meno intensa, che vanno dal rossiccio, al giallo, al bruno. • lo strato spinoso: è costituito da più ordini di cellule (5-10 strati sovrapposti), le quali presentano una forma poliedrica e tendono ad appiattirsi negli strati più superficiali. In particolare, lo spessore massimo si ha a livello degli zaffi interpapillari mentre, lo spessore minimo si ha all’apice delle papille dermatiche. Quando il cheratinociti iniziano a differenziarsi, perdono la capacità di proliferare, solo alcuni continuano a dividersi, aumentando ulteriormente lo spessore dell’epitelio. Man mano che i cheratinociti salgono verso la superficie tendono a formarsi filamenti di cheratina e tonofilamenti, che tendono ad aggregarsi in TONOFIBLRILLE. Queste si estendono da un lato all’altro della cellula, raggiungendo i desmosomi e sono importanti poiché, quando il citoplasma si coarta, cioè si raggrinzisce insieme alla membrana cellulare, le tonofibrille rimangono inalterate (fungono da spilli, da cui deriva il nome “spinoso”). Inoltre, sono presenti cellule di Langherans, che hanno un’attività macrofagica in quanto derivano da un precursore nel midollo osseo, che giunge all’epidermide attraverso il flusso sanguinio. • lo strato granuloso: qui le cellule risultano naturalmente appiattite, disposte in più strati (3-5) e le loro membrane sono più spesse e meno permeabili. Qui i cheratinociti cessano di dividersi ma aumenta la produzione di cheratina e di cheratoialina, la quale si accumula come granuli all’interno del citoplasma. Questo induce una disidratazione cellulare e la formazione di legami tra le fibre di cheratina. Tutte queste modificazioni porteranno il nucleo e gli organuli a disintegrarsi e, di conseguenza, alla morte della cellula; • lo strato lucido: è visibile solo nella cute spessa cioè nel palmo della mano e della pianta del piede. Qui le cellule sono fortemente appiattite, ripiene di cheratina e strettamente attaccate tra di loro. All’interno del citoplasma delle cellule ormai morte vi è una sostanza eosinofila detta ELEIDINA (per il suo aspetto oleoso), ricca di zolfo e lipidi, la quale conferisce maggiore impermeabilizzazione dell’epidermide; • lo strato corneo: ricopre interamente la superficie della cute spessa e sottile ed è formato da 15-30 strati di cellule cheratinizzate. Queste derivano dagli strati precedenti e sono appiattite e raccolti in forma di piccole lamine o LAMELLE CORNEE o corneociti. Queste sono disposte parallelamente alla superficie cutanea presentano dei contorni irregolari. La loro membrana inoltre è inspessita e sono prive di nucleo. Anche i desmosomi sono ancora presenti, anche se risultano essere in alterati, i quali fanno sì che le cellule si sfaldino come lamelle cornee (per esempio la forfora). La disposizione di tali lamelle rappresenta una barriera protettiva che protegge gli stati più profondi dell’epidermide e i tessuti sottostanti, formata da cellule “sacrificabili” in quanto già morte. Questo infine permette la fuoriuscita di acqua che lentamente risale sulla superficie per evaporare (per expirazio insensivilis, opposta alla per expirazio sensibili ad opera delle ghiandole sudoripare). Lo strato più profondo dell’epidermide presenta delle estroflessioni chiamate CRESTE EPIDERMICHE, così come il derma presenta estroflessioni complementari chiamate PAPILLE DERMICHE, le quali sono pronunciate nel palmo della mano e nella pianta del piede per aumentare l’attrito e assicurare una presa più salda. La forma delle creste è geneticamente determinata, è unica in ciascun individuo e non cambia nel corso della vita (impronte digitali). A livello di tali creste sono presenti fori che corrispondono allo sbocco delle ghiandole sudoripare per cui, quando tocchiamo degli oggetti, lasciamo piccole gocce di sudore. LEZIONE 38 APPARATO TEGUMENTARIO (PARTE DUE) IL DERMA È uno strato connettivale che si trova sotto l’epidermide, spesso 0,3-4 mm. In quanto tessuto connettivo, è costituito da una porzione cellulare (fibroblasti, macrofagi, melanociti e leucociti), dalla sostanza fondamentale amorfa (acqua, elettroliti, glicoproteine e proteoglicani) e da fibre. Il derma è costituito da • Uno strato superficiale o papillare, costituito da tessuto connettivo lasso. Questo forma rilievi laminari o PAPILLE DERMICHE, piccole e scarse in quasi tutta la cute se non a livello delle regioni glabre, prive di • peli, dove risultano essere numerose e grandi. Inoltre, si trovano numerose fibre collagene, vasi sanguigni e terminazioni nervose e poche fibre elastiche e reticolari; Uno strato profondo o reticolare, costituito da tessuto connettivo denso irregolare, ricco di fibre elastiche e fasci collagene. Tale tessuto circonda i vasi ematici, i follicoli piliferi, le ghiandole sudoripare e sebacee e i nervi. Tali fibre saranno in continuità con le fibre dell’ipoderma. Quando si ha un’eccessiva distensione della pelle, si può avere una rottura parziale delle fibre dello strato reticolare, che verranno in seguito riparate. Tuttavia, si formeranno linee antiestetiche biancastre o STRIE DISTENSE o smagliature. La maggior parte delle fibre collagene ed elastiche sono disposte parallelamente in relazione alla sede corporea e alle forze applicate, secondo le LINEE DI CRIVAGGIO o di Langer, le quali hanno un’importanza clinica in quanto un taglio parallelo di clivaggio potrà cicatrizzare perfettamente mentre, un taglio angolato rispetto alle stesse esisterà in una brutta cicatrice. L’IPODERMA O STRATO SOTTOVUTANEO Dato che le fibre del derma sono in continuità con quella dell’ipoderma, è difficile distinguerli e, anche se quest’ultimo non è parte dell’apparato tegumentario, svolge un ruolo importante nella stabilizzazione della cute e dei tessuti sottostanti. L’ipoderma quindi costituisce un piano di svincolo tra il derma e gli strati profondi e permette pertanto uno scorrimento della cute sui muscoli che si trovano in profondità. Per questo motivo, è possibile sollevare la pelle in pieghe. L’ipoderma è costituito da tessuto connettivo lasso con abbondanti cellule adipose, che costituiscono una riserva energetica e impediscono una perdita eccessiva di calore. Inoltre, è più abbondante nei bambini che hanno una disposizione diversa del tessuto adiposo sottocutaneo, più ricco in alcune zone per attutire gli urti. Nell’adulto invece ci sono zone prive strato sottocutaneo (a livello del naso, del padiglione auricolare e delle palpebre) mentre tale strato presenta uno sviluppo massimo nei glutei, nel palmo della mano e nella pianta del piede per attutire gli urti. GLI ANNESSI CUTANEI 1. Il PELO: è costituito da • un fusto, il segmento esterno alla superficie cutanea; • una radice, una porzione contenuta nel derma e nell’ipoderma. Questa a sua volta è avvolta dal FOLLICOLO PILIFERO, un’invaginazione dello strato germinativo e del tessuto connettivo circostante che attraversa il derma e termina con un ingrossamento dell’ipoderma chiamato BULBO. Questo andrà a restringersi a livello del COLLETTO, dove il follicolo pilifero raccoglie lo sbocco della ghiandola sebacea. L’insieme di follicolo pilifero, ghiandola sebacea e pelo forma il COMPLESSO PILO-SEBACEO. Tagliando trasversalmente un pelo, si nota che è composto da tre strati: • la cuticola: è la parte più esterna. È caratterizzata da uno spessore minimo ed è formata da un insieme di squame cornee di forma quadrangolare. Queste sono embricate tra di loro, cioè sono disposte come le tegole di un tetto, leggermente sovrapposte le une alle altre, con margine libero è rivolto verso la punta del pelo. Tali corneociti si formano attraverso la cheratenizzazione, poiché la cheratina deve proteggere le zone più interne. La cuticola si altera man mano che il pelo si accressce; • la corteccia o corticale: rappresenta la parte maggiore ed è caratterizzata da una struttura fortemente pigmentata. Le cellule che la compongono sono elementi di derivazione epidermica che hanno una forma a fuso e sono allungati secondo l’asse maggiore del pelo. Risultano essere corneificati, con un residuo di nucleo picnotico (raggrinzito) e ricco di tonofibrille, le quali conferiranno una forte resistenza alla trazione. Inoltre, all’interno di tali cellule vi è una proteina insolubile ricca in zolfo e granuli di melanina; • il midollare: è la porzione centrale che si assottiglia via via che si va verso la punta del pelo, di conseguenza non è presente nella parte finale del pelo. È costituita da cellule poliedriche sovrapposte fra di loro e con una bassissima corneificazione. Queste contengono inoltre il glicogeno e una proteina insolubile simile alla cheratoialina. Il connettivo del derma riveste il bulbo pilifero e, nella porzione più profonda, si insinua all’interno del bulbo formando la PAPILLA del pelo. Una porzione del bulbo pilifero che promuove l’accrescimento in lunghezza del pelo è localizzata nella zona che circonda la pupilla e prende il nome di MATRICE del bulbo. Questa è costituita da cellule indifferenziate in attiva proliferazione, le quali presentano una forma prismatica o poliedrica e si differenziano nei corneociti della cuticola, nelle fibre nella corteccia e negli elementi più interni della midollare. Le cellule periferiche della matrice del bulbo invece formano gli elementi di natura epiteliale che costituiscono la GUAINA della matrice. Nella porzione superiore del bulbo, oltre ai cheratinociti, vi sono anche i melanociti, i quali presentano dei prolungamenti che si insinuano nelle fibre della corteccia e tra le cellule della midollare, dove depositano i pigmenti di melanina. Infine, il muscolo erettore del pelo si origina dal derma, poco al di sotto dell’epidermide e si dirige in profondità con andamento obliquo verso il follicolo pilifero. Il muscolo liscio è situato nella parte in cui il pelo forma un angolo ottuso e, quando si contrae, tira la base del pelo, la quale tende a raddrizzarsi (pelle d’oca). 2. LE GHIANDOLE SEBACEE Sopra al muscolo erettore si trovano anche le ghiandole sebacee: queste sono localizzate su tutta la cute tranne nel palmo della mano e della pianta del piede. Il loro numero è elevato nella zona ano genitale, nel cuoio capelluto, nel volto. Qui sono associate al follicolo pilifero anche se, sia agli angoli della bocca che sull’aurora mammaria presentano il loro sbocco direttamente sulla superficie. Tali ghiandole sono esocrine, tubuloalveolari semplici, situate livello del derma o, in alcuni casi, dell’ipoderma. Gli alveoli ghiandolari variano da 2 a 20, si aprono a livello di un unico dotto escretore e sono di secrezione olocrina, ossia ma mano che le cellule maturano si riempiono di goccioline lipidiche fino al disfacimento. Di conseguenza, a livello del dotto verranno emessi lipidi, residui di strutture cheratinizzate, batteri e detriti cellulari che derivano dal disfacimento delle cellule stesse, formando così il SEBO. In particolare, 1. le ghiandole sudoripare eccrine variano da 2 a 5 millioni: sono particolarmente concentrate nella fronte, nel palmo della mano e nella pianta del piede mentre sono poco numerose in alcune zone dei genitali esterni e nella faccia interna del padiglione auricolare. Tali ghiandole sono tubulo glomerulari semplici in quanto sono costituite da un solo dotto escretore e da un adenomero raggomitolato (GLOMERULO) e occupano l’ipoderma, il derma e l’epidermide. Il glomerulo è caratterizzato da: • una membrana basale; • cellule mioepiteliali, in grado di contrarsi. Questo aiuta la secrezione verso l’esterno e il trasporto verso il dotto del secreto; • cellule secernenti, che sono appoggiate alle cellule mioepiteliali e guardano verso il lume. Queste si dividono in chiare, ossia cellule sierose che elaborano la componente idrosalina del sudore e scure, che producono muco, il quale si deposita nella superficie interna del dotto escretore permettendo il riassorbimento di alcuni elettroliti e rendendo il sudore ipotonico. • un dotto escretore, composto da due strati di cellule: uno strato profondo, posto sulla membrana basale e con cellule analoghe a quelle chiare, e uno strato superficiale, rivolto verso il lume con orletto striato per il riassorbimento di elettroliti. Il sudore è il tipo eccrino, pertanto le sostanze secrete vengono trasportate all’esterno per esocitosi, per cui la cellula non perde nulla del proprio contenuto. Il sudore è un liquido incolore, inodore e limpido ed è costituito da un 98% di acqua e da un 1/2% di sostanze organiche (NaCl) e organiche (urea, cheratinina, acido lattico). A temperatura ambiente, l’attività delle ghiandole sudoripare si svolge in modo inapparente, quando invece siamo sottoposti a fattori ambientali, la traspirazione diventa apparente. 2. le ghiandole sudoripare apocrine sono poco presenti nell’uomo: si trovano per esempio livello dell’ascella, dell’inguine, dei genitali esterni e dell’areola mammaria. Vi sono poi ghiandole apocrine modificate come la ghiandola mammaria, le ghiandole perianali, le ghiandole ceruminose (nel condotto uditivo) e le ghiandole di Moll (al margine delle palpebre). Queste sono ghiandole tubulo-glomerulari semplici a secrezione apocrina: la porzione secernente infatti è sempre costituita da un glomerulo da cui si sviluppa un unico dotto che porta all’esterno il secreto. Il glomerulo è posto profondamente al livello dello strato reticolare del derma ed è costituito da anse tubolari che possono raggiungere anche l’ipoderma. Il tubulo è rappresentato a seconda della fase secretoria da cellule cubiche (quando sono a riposo) e cilindriche (quando sono in attività). Queste sono in rapporto con cellule mioepiteliali, che a loro volta poggiano su una membrana basale piuttosto spessa. Il citoplasma della cellula secernente in piena attività è stipato di granuli di secreto, i quali contengono lipidi, ferro sostanze ricche di gruppi solfidrilici che si spostano nel citoplasma fino a raggiungere la porzione apicale della cellula stessa. Quando ciò avviene, la parte apicale della cellula si stacca (secrezione apocrina) ed entra a far parte del secreto. Per questo il dotto escretore è ampio, spesso e sbocca in un follicolo pilifero al di sopra della ghiandola sebacea. Il sudore apocrino è prodotto in modo continuo: quando si accumula nel lume viene eliminato per contrazione delle cellule mioepiteliali. Questo contiene il 95% di acqua, è opaco e contiene sostanze organiche tra cui proteine, lipidi, glucidi e sostanze inorganiche come il ferro. Grazie alla presenza di acidi grassi esterificati, il suo colore varia dal bianco (ascella) al giallo (cerume). La secrezione di tale liquido dipende da stati emozionali, che influenzano la produzione di ormoni come l’adrenalina e diminuisce dalla nascita fino alla pubertà, quando riprende e aumenta sotto la stimolazione di ormoni di natura androgena. Il tipico odore deriva da fenomeni di composizione batterica aventi luogo sulla superficie cutanea, Dove sono presenti i peli che trattengono microrganismi. LEZIONE 39/40 APPARATO GENITALE FEMMINILE FUNZIONI: rivolte al mantenimento della funzione riproduttiva - A livello delle gonadi femminili (costituite dalle ovaie), si ha la produzione di gameti femminili aploidi che prendono il nome di ovociti, i quali vengono prodotti durante un processo chiamato ovogenesi. - A livello delle vie genitali femminili si ha la ricezione dei gameti maschili apolidi, gli spermatozoi, al fine che possa avvenire la fecondazione dell’ovocita per formare un nuovo individuo. - Formazione di un ambiente adatto alla fertilizzazione della cellula uovo da parte dello spermatozoo. - Fornire un luogo e un assetto ormonale adatti per l’impianto dell’embrione. - Ospitare e nutrire l’embrione e il feto durante la gravidanza. L’apparato genitale femminile è formato: 1) Dagli organi genitali interni: - Ovaie: svolgono la gametogenesi, cioè producono i gameti femminili (cellule uovo). Inoltre, le gonadi hanno anche una funzione endocrina poiché elaborano ormoni che provocano modificazioni cicliche a carico di diverse strutture dell’apparato genitale e che pertanto determinano, nelle vie genitali, le condizioni più adatte affinché possa avvenire la fecondazione, l’annidamento e lo sviluppo embrionale. Le ovaie hanno la caratteristica degli organi genitali pieni e quindi saremo in grado di individuare un parenchima specifico dell’organo e uno stroma. - Vie genitali: costituiscono un sistema di canali dove, a seguito dell’accoppiamento, perverranno gli spermatozoi. Le vie genitali femminili sono costituite da una serie di strutture che prendono il nome di: tube di Faloppio o uterine, Utero e Vagina. Le vie genitali hanno le caratteristiche degli organi cavi e quindi si troverà una sovrapposizione di tonache. 2) Dagli organi genitali esterni: nel loro complesso formano il complesso vulvare o vulva. Gli organi genitali esterni comprendono: pube o Monte di Venere, piccole e grandi labbra, clitoride e bulbi del vestibolo, ghiandole vestibolari. Le gonadi e la maggior parte delle vie genitali femminili sono situate all’interno della piccola pelvi. La parte inferiore della vagina e i genitali esterni, occupano la regione perineale anteriore. GENITALI INTERNI OVAIE: (lunghezza 3-4 cm, larghezza 2.5 cm, spessore 1 cm, peso 6-8 g). Sono organi pieni e pari a forma di mandorla e sono localizzate nella piccola pelvi. Le ovaie vanno incontro a notevoli modificazioni delle loro caratteristiche morfologiche e funzionali, passando dall’infanzia alla maturità sessuale, fino alla senescenza. Nella bambina, infatti, le ovaie appaiono più piccole, di un colore bianco rosato, la superficie è liscia e la consistenza è elastica. Dopo la pubertà, l’ovaio s’ingrossa e la superficie diviene di un colore rossastro e si fa anche irregolare. Quest’irregolarità è dovuta all’insufficienza di strutture come follicoli evolutivi, cicatrici lasciate da queste strutture. Dopo la menopausa, l’ovaio tende ad atrofizzarsi e quindi nella senescenza, le dimensioni delle ovaie tendono a diminuire, la superficie torna liscia ma la consistenza è lignea e il colorito diventa grigio-giallastro. Le ovaie si trovano all’interno della piccola pelvi e sono addossate alle pareti laterali e si trovano posizionate anteriormente rispetto al retto e posteriormente rispetto al legamento largo dell’utero e alle tube uterine. All’interno della piccola pelvi, l’ovaio è in posizione sagittale e possiamo distinguere: - - 2 facce: mediale e laterale. La faccia mediale è quella faccia dell’ovaio che guarda verso la cavità pelvica ed è parzialmente ricoperta, anteriormente, dalla tuba uterina. La faccia laterale, invece, sarà in contatto con la parete laterale della piccola pelvi. 2 margini: anteriore posteriore. Il margine posteriore è un margine libero. In corrispondenza del margine anteriore si trova l’ilo dell’organo, cioè la “porta dell’organo” a livello della quale entrano ed escono i vasi sanguigni, i nervi e i vasi linfatici. A livello del margine anteriore è presente l’inserzione di una struttura di origine peritoneale, che prende il nome di mesovario. Il mesovario è una struttura di origine peritoneale, una piega che deriva dalla pagina posteriore del legamento largo dell’utero. 2 poli: superiore e inferiore. Il polo inferiore è collegato all’utero tramite un collegamento chiamato utero-ovarico. Il polo superiore è unito alla tuba uterina, in particolare con l’infundibolo. STRUTTURA: Le ovaie sono organi pari che hanno la tipica struttura degli organi pieni. - Si individua una porzione del parenchima esterna che risulta essere più scura e che prende il nome di corticale; all’interno della corticale c’è una porzione più chiara che viene detta midollare. - L’ovaio esternamente è rivestito dall’epitelio germinativo. Esso, in corrispondenza dell’ilo, continua con il mesotelio (ricopre il peritoneo) del mesovario. Al di sotto dell’epitelio germinativo si trova una struttura di natura connettivale, la tonaca albuginea, che è avascolarizzata. - La porzione centrale dell’ovaio presenta una colorazione più chiara che va ad individuare la porzione dell’ovaio che prende il nome di midollare. La midollare è costituita da tessuto connettivo lasso, ricco di fibre elastiche e fibrocellule muscolari lisce. A livello dell’ilo dell’organo sono presenti cellule specializzate, le cellule ilari, che presentano un’attività endocrina, cioè sono in grado di produrre ormoni androgeni. La zona midollare è fortemente vascolarizzata e, a livello di questa zona, sono presenti diverse arteriole che hanno una struttura a spirale e che vanno a formare un tessuto erettile; le arteriole sono in grado di riempirsi di sangue e quindi sono in grado di deformare la struttura dell’ovario e sono in grado di favorire anche lo scoppio dei follicoli ovarici. - La zona corticale dell’ovaio è costituita da un parenchima immerso all’interno di uno stroma costituito da cellule fusiformi e fibroblastoidi, nettamente stipati fra di loro. Il parenchima è costituito follicoli oofori, i quali sono costituiti a loro volta dall’ovocita circondato da strutture di natura epiteliale e connettivale. Queste strutture di natura epiteliale e connettivale assicureranno al gamete un ambiente ideale per il proprio sviluppo e avranno anche il compito di elaborare degli ormoni sessuali che saranno prodotti dall’ovaio. Osservando una porzione corticale di un ovario prima della pubertà, si osservano dei follicoli primordiali (gli unici presenti alla nascita nell’ovaio). Il follicolo primordiale presenta un ovocita primario, circondato da cellule epiteliali appiattite. Alla nascita, per ovaio, sono presenti circa 500.000 follicoli primordiali; prima della pubertà un certo numero di follicoli primordiali tenderà a scomparire e questo fenomeno prende il nome di atresia follicolare e rimarranno circa 200.000 follicoli per ovaio. Quindi, a differenza di quanto avviene nel sesso maschile, nel quale le cellule germinali primitive continuano a moltiplicarsi per tutto per tutto l’arco della vita, nella donna il numero delle cellule germinali non può aumentare. Alla pubertà inizia la secrezione ciclica dell’ormone FSH (follicolo stimolante) prodotto dall’adenipofisi. La secrezione ciclica di quest’ormone provoca il passaggio, dalla fase quiescente alla fase evolutiva, di un piccolo numero di follicoli primordiali (10-12); in particolare si attica un complesso processo di maturazione che porta il follicolo a maturare attraverso diverse fasi successive: la cellula uovo aumenta di dimensioni, attorno all’ovocita si formano delle strutture di origine epiteliale e di origine stromale che formeranno degli involucri che circonderanno l’ovocita stesso e si avranno diversi stadi: 1) follicolo primario: aumenta il numero di strati di cellule epiteliali che circondano l’ovocita. Le cellule epiteliali, fortemente appiattite nel follicolo primordiale, diventano cubiche e vanno a formare più strati, ovvero una tonaca che prende il nome di tonaca granulosa. 2) follicolo secondario: questo follicolo subisce delle modificazioni a livello delle strutture che vanno a circondare l’ovocita. Le cellule epiteliali della tonaca granulosa aumentano ancora più di numero e quindi aumentano gli strati, inoltre all’interno delle cellule della tonaca inizia a formarsi uno spazio ripieno di liquido, che prende il nome di antro follicolare. Attorno alla tonaca granulosa, anche lo stroma andrà a disporsi a formare una tonaca connettivale, la quale andrà a costituire le teche follicolari. A questo punto, uno solo dei follicoli primordiali raggiungerà lo sviluppo finale, ovvero la terza fase. Gli altri, invece, andranno incontro al fenomeno di atresia e quindi degenereranno. 3) follicolo terziario o di Graaf: è un follicolo di grandi dimensioni ed è quello che andrà incontro all’ovulazione. Esso è anche definito follicolo dominante, poiché sarà l’unico ad arrivare alla maturazione completa. OVULAZIONE A metà del ciclo ovarico, si ha un picco nei livelli dell’ormone LH (ormone luteinizzante) che determinerà l’ovulazione, cioè la rottura del follicolo ovarico di Graaf. Se il follicolo terziario si rompe, la cellula uovo fuoriesce dal follicolo e viene immessa nelle vie genitali. La fecondazione, se ci sarà, avverrà a livello delle vie genitali, in particolare a livello della tuba uterina. Il follicolo terziario, invece, che è andato incontro all’ovulazione, tende ad accartocciarsi e le sue pareti tendono a collassare, facendo assumere al follicolo un aspetto pieghettato e andrà incontro ad una serie di modificazioni strutturali/funzionali, che nel giro di 2/3 giorni porteranno alla formazione di una struttura chiamata corpo luteo (produce ormoni, progesterone ed estrogeni). Intorno al giorno 7, dopo l’ovulazione, il corpo luteo raggiunge la piena maturità morfologica. Se non si verificherà la fecondazione, il corpo luteo diventerà il corpo luteo mestruale che andrà incontro ad un processo di regressione e autolisi e si formerà una sorta di cicatrice che prenderà il nome di corpo albicante; se si ha la fecondazione e l’impianto dell’embrione, il corpo luteo permane per tutta la gravidanza e si parlerà di corpo luteo gravidico e pertanto continua a funzionare producendo estrogeni e progesterone. Alla fine della gravidanza, il corpo luteo gravidico andrà incontro ad autolisi, dando origine ad una sorta di cicatrice (sulla superficie dell’ovaio) chiamata sempre corpo albicante. CICLO OVARICO: è la serie di eventi descritti che si ripete ciclicamente a partire dalla pubertà. Esso prevede tre fasi: 1) fase preovulatoria o follicolare: dura circa 14 giorni, il tempo necessario affinché un follicolo primordiale possa diventare follicolo terziario. 2) fase ovulatoria: si ha nel momento dell’ovulazione, ovvero il momento in cui il follicolo terziario scoppia e si ha l’espulsione dell’ovocita. 3) fase postovulatoria o luteinica: si ha con la formazione del corpo luteo, il quale produce progesterone ed estrogeni. Successivamente, con l’ovulazione, l’ovocita viene immesso nelle vie genitali e sarà a livello di queste che ci sarà, eventualmente, l’incontro con lo spermatozoo e la fecondazione. Le vie genitali sono costituite da una serie di strutture cave che iniziano dalle tube uterine, proseguono con l’utero e terminano con la vagina. TUBE UTERINE o salpingi: sono organi pari e sono localizzate nella piccola pelvi, in particolare sono poste tra le ovaie (poste lateralmente) e l’utero (posto centralmente. Sono gli organi, all’interno dei quali avviene sia la fecondazione, sia le prime fasi dell’embriogenesi (segmentazione). Per cui le tube uterine daranno passaggio sia agli spermatozoi che vi sono risaliti attraverso le vie genitali, sia alla cellula uovo fecondata nel suo tragitto verso la cavità uterina, a livello della quale andrà ad impiantarsi. Nell’individuo adulto, ogni tuba ha una lunghezza che va circa dai 10-14 cm e decorre dal polo superiore dell’ovaio, fino all’angolo superiore del legamento largo dell’utero. La tuba uterina possiede una grande mobilità, la quale, assieme ai movimenti delle fibre, permette di catturare l’ovocita nel momento dell’ovulazione. Si possono distinguere 4 diverse porzioni: - Infundibolo: è la porzione più vicino all’ovaio e ha la forma di un imbuto. La sua parete che guarda verso l’ovaio presenta delle frange (fimbrie). Una di queste fimbrie è la fimbria ovarica, una lunga fimbria che collega l’infundibolo con l’ovaio. - Ampolla: costituisce il tratto più lungo e tortuoso, presente anche uno spessore variabile. - - - Istmo: è la porzione più stretta della tuba uterina. Esso raggiunge il margine laterale dell’utero, al limite tra il corpo dell’utero e il fondo dell’utero. L’istmo è in continuità con l’ultimo tratto della tuba uterina, ovvero la parte intramurale. Parte intramurale: attraversa la parete uterina e si aprirà all’interno dell’utero, attraverso l’orifizio della tuba uterina. Se si osserva la parete della tuba uterina, si è davanti ad una sovrapposizione di tonaca, davanti ad un organo cavo. Per questo motivo si avrà: 1) Una tonaca mucosa: guarda verso il lume ed è sollevata in pieghe longitudinali che sono massime a livello dell’ampolla, formando così il labirinto ampollare. La mucosa delle uterine è ricoperta da un epitelio cilindrico semplice, costituito da cellule cigliate e cellule secernenti. 2) Una tonaca muscolare: è costituita da due strati di muscolatura liscia che presentano un andamento a spirale. In particolare, si può distinguere uno strato più interno e uno più esterno: in questi due strati, le spirali presentano un’ampiezza diversa e in questo modo lo strato più interno mostra un andamento circolare, mentre quello esterno un andamento longitudinale. La muscolatura delle tube uterine presenta una contrazione spontanea (4-7 contrazioni al minuto) e quest’attività di contrazione risulta essere più intensa durante di ovulazione e nella fase mestruale. UTERO: È un organo muscolare cavo, dispari e mediano. È posto al centro della piccola pelvi e si trova posteriormente alla vescica e anteriormente al retto. Riceve lo sbocco delle tube uterine ed è connesso, verso l’esterno, attraverso il canale vaginale. Ha una forma “a pera rovesciata” e risulta essere appiattito in senso antro posteriore. Presenta, superiormente, una base allargata e un apice inferiore che si va ad impiantare a livello dell’apertura superiore della vagina. Se si osserva l’utero si possono individuare due porzioni: 1) Un corpo che, superiormente, si allarga in una porzione che prende il nome di fondo e 2) Un collo/cervice uterina. Il corpo e il collo vengono separati tra loro da una porzione stretta chiamata istmo. A livello di quest’ultimo, è possibile individuare un restringimento che prende il nome di orifizio uterino interno. Invece, in corrispondenza della porzione in cui il collo si connette con la vagina, è presente l’orifizio uterino esterno. Il collo dell’utero, inoltre, si fa sporgente all’interno del canale vaginale per circa 1/3 della sua lunghezza; la parte dell’utero che penetra all’interno del canale vaginale, viene chiamata porzione vaginale dell’utero. La stessa parete uterina delimita una cavità all’interno dell’utero, nella quale si può identificare: una cavità uterina propriamente detta a livello del corpo dell’utero e il canale cervicale a livello del collo dell’utero. Il collo dell’utero rappresenta anche l’apparato di chiusura dell’utero che impedisce, in condizioni fisiologiche, sia la risalita di germi dalla vagina verso l’utero, sia la discesa precoce dell’embrione o del feto. Inoltre, a livello di esso, si ha una chiusura funzionale in quanto il muco (prodotto dalla cervice uterina) consente il passaggio degli spermatozoi solo in determinate fasi del ciclo mestruale e impedisce l’accesso di batteri e protozoi nella cavità uterina. Gran parte della superficie esterna dell’utero è ricoperta dal peritoneo, il quale prende il nome di perimetrio. Il peritoneo, che proviene dalla parete anteriore dell’addome, in un primo momento andrà a rivestire la cupola in seguito alla faccia posteriore della vescica; dopo, a livello della porzione dell’istmo dell’utero, il peritoneo si riflette anteriormente e andrà a rivestire la superficie anteriore dell’utero, andando così a creare (tra la vescica e l’utero) una porzione che prende il nome di cavo vescicouterino. Il peritoneo poi continuerà andando a ricoprire prima il fondo dell’utero e poi la faccia posteriore del corpo e infine andrà a rivestire la parete posteriore della porzione sopra vaginale del collo. Da qui, il peritoneo, passerà sul pavimento pelvico, raggiungendo l’intestino retto e la parte posteriore della pelvi; si andrà a costituire così un nuovo cavo, che prenderà il nome di cavo rettouterino. Le due pagine parietali, che vanno a rivestire la parete anteriore e posteriore dell’utero, ai lati dell’utero andranno a convergere e andranno a costituire il legamento largo dell’utero, il quale raggiungerà, lateralmente, le pareti della pelvi. In conclusione, il peritoneo avvolge completamente - - il fondo, il corpo dell’utero e anche gran parte della faccia posteriore del collo, mentre risulteranno privi di peritoneo la faccia anteriore e quelle laterali del collo dell’utero. Essendo un organo cavo, presenterà la struttura tipica degli organi cavi, con la sovrapposizione di tonache: 3) Tonaca mucosa: è la tonaca più interna e prende il nome di endometrio. Presenta delle differenze tra il corpo e il collo dell’utero. In particolare, nel corpo si ha che la tonaca mucosa presenta ghiandole tubulari semplici che sono in grado di produrre un secreto che tende a nutrire le cellule uovo fecondate, in modo da favorire l’impianto (della cellula uovo fecondata) nell’utero. Inoltre, sempre a livello del corpo, l’endometrio va incontro a notevoli modificazioni strutturali che avvengono ciclicamente ogni mese e anche in questo caso saranno in risposta alle modificazioni dei livelli ematici degli ormoni prodotti dall’ovaio. La parete mucosa varia la sua struttura a seconda del ciclo mestruale che si trova ad attraversa. A livello dell’endometrio uterino è possibile distinguere due zone: •strato funzionale: affacciato nel lume dell’utero ed è lo strato funzionale che si distaccherà al termine di ogni ciclo mestruale, provocando così la mestruazione. •strato basale: rigenera lo strato funzionale durante la prima metà del ciclo mestruale successivo. 4) Tonaca muscolare: sta al di fuori della tonaca mucosa e prende il nome di miometrio. Il miometrio delle tube uterine è molto spesso a soprattutto a livello del corpo dell’utero e tende a ridursi a livello del collo. È inoltre costituito da 4 strati di muscolatura liscia e le fibre muscolari di questi 4 strati hanno un andamento molto differente. La componente muscolare uterina è molto importante perché permette l’espulsione del feto durante il parto. 5) Tonaca sierosa o perimetrio nelle porzioni dell’utero riscoperte dal peritoneo oppure, nelle porzioni non avvolte da peritoneo, c’è un ambiente costituito da tessuto connettivo e in questo caso la tonaca più esterna, prenderà il nome di parametrio. L’utero viene vascolarizzato dall’arteria uterina, in particolar modo l’arteria uterina andrà a formare delle ramificazioni. All’interno del miometrio si formeranno rami che derivano dalle arterie uterine stesse e che formeranno delle arterie che prendono in nome di arterie arcuate, le quali andranno a circondare l’endometrio. Dalle arterie arcuate si origineranno altri vasi arteriosi che prendono il nome di arterie radiali, le quale si dirigono verso l’endometrio e daranno vita ad altre due strutture vascolari arteriose: alle arterie rette e alle arterie spirali. Le arterie rette sono dei brevi vasellini arteriosi che rimangono confinati nello strato basale, esse non sono sensibili agli ormoni ovarici ed inoltre daranno origine alle arterie spirali. Le arterie spirali sono notevolmente sensibili alle variazioni ormonali e si trovano all’interno dello strato funzionale. Pertanto, durante il ciclo uterino (28 gg) gli ormoni sessuali, prodotti ciclicamente dall’ovaio, inducono, a livello dell’endometrio, una serie di modificazioni. Il ciclo uterino viene suddiviso in tre fasi: 1) Fase mestruale: dura circa 1-7 gg. In questa fase si assiste alla completa distruzione dello strato funzionale dell’endometrio. Questo strato viene completamente distrutto perché la parete delle arteriole spirali, sottoposta agli stimoli ormonali, inizia a restringersi e questo riduce la vascolarizzazione di questa zona dell’endometrio. Pertanto, sia l’epitelio che le ghiandole presenti nello strato funzionale iniziano a degenerare perché non ricevono ossigeno e anche le parete delle arteriole risultano notevolmente indebolite e quindi andranno incontro a rottura. A questo punto il sangue fuoriesce dalle pareti danneggiate delle arteriole spirali e scorre all’interno del tessuto connettivo, passando all’interno dell’endometrio degenerato, il quale si stacca e entra nell’uterino per poi fuoriuscire all’esterno attraverso la vagina. Si ha così la mestruazione. 2) Fase proliferativa: lo strato basale dell’endometrio, rimasto integro durante la fase mestruale, può iniziare a proliferare. Proliferando, va a rigenerare lo strato funzionale perso, andando a riformare le ghiandole, i vasi sanguigni dello strato funzionale e l’epitelio che andrà a ricoprire la muscosa endrometriale. Una volta rigenerato completamente lo strato funzionale, si passa alla fase successiva. 3) Fase secretiva (14 gg): le ghiandole, appena ricostituite, iniziano a diventare sempre più grandi e iniziano a produrre il proprio secreto; in particolare iniziano a produrre glicogeno, inserito poi all’interno della cavità uterina, che ha una funzione molto importante poiché presenta funzione nutritiva nei confronti della cellula uovo. Questa fase termina quando finisce la produzione ormonale da parte del corpo luteo. VAGINA: - È un condotto muscolo-membranoso, impari e mediano. - È situata nella piccola pelvi. - Si trova posteriormente alla vescica urinaria e all’uretra e anteriormente al retto e al canale anale. - Fa seguito al collo dell’utero. - Portandosi avanti e basso attraversa il pavimento pelvico e decorre a livello del perineo anteriore. Sbocca in uno spazio, delimitato dai genitali esterni, che prende il nome di vestibolo della vagina. Vagina e vestibolo anteriore sono separati tra loro da una piega cutanea chiamata imene. Il collo dell’utero si proietta all’interno del canale vaginale, i due recessi che si formano ai lati prendono il nome di fornici. - La vagina è un organo cavo, per cui presenta una sovrapposizione di tonache: 1) Tonaca mucosa: costituita da un epitelio di rivestimento pavimentoso pluristratificato che poggia su una tonaca propria di tessuto connettivale. L’epitelio vaginale si assoglia continuamente all’interno del canale vaginale e le cellule, dello strato epiteliale intermedio, sono ricche di glicogeno; esso viene utilizzato da un batterio presente all’interno del canale vaginale. Questo batterio utilizza il glicogeno per trasformarlo in acido lattico, il quale da un pH acido (4-5) al microambiente vaginale. Il pH acido risulta essere una barriera chimica, contro l’invasione di agenti patogeni. All’interno della tonaca mucosa non sono presenti ghiandole, ma sono presenti delle pieghe trasversali che prendono il nome di rughe vaginali. 2) Tonaca muscolare: molto sottile. 3) Tonaca avventizia: circonda la tonaca muscolare ed è costituita da tessuto connettivo lasso. GENITALI ESTERNI Prendono il nome di vulva o pudendo femminile e sono rappresentati da un insieme di strutture, situate a livello del perineo anteriore, tra la radice nelle cosce e inferiormente al diaframmo urogenitale. Dei genitali esterni fanno parte: - monte del pube. - grandi labbra. - piccole labbra: due pieghe rivestite da cute sottile e prive di peli. - vestibolo della vagina: a livello di questo giungono gli sbocchi delle ghiandole vestibolari, che riverseranno il loro secreto a livello del vestibolo stesso. È uno spazio delimitato dalle piccole labbra. Anche l’uretra termina a livello del vestibolo, anteriormente rispetto all’orifizio vaginale. All’interno del vestibolo si proietta anche il clitoride, il quale è costituito da tessuto erettile che si inturgidisce in seguito ad eccitazione sessuale. L’apice del clitoride è sormontato dal glande del clitoride e il corpo del clitoride è ricoperto da un’estensione delle piccole labbra, che prende il nome di prepuzio del clitoride. - organi erettili femminili. LEZIONE 41-42 APPARATO GENITALE MASCHILE L’apparato genitale maschile è costituito da una serie di strutture che, nell’insieme, sono rivolte al mantenimento della funzione riproduttiva. FUNZIONI apparato genitale maschile: - Produzione: testicolo che produce spermatozoi maturi ma incapaci di fecondare l’ovocito. - Maturazione funzionale, nutrimento e immagazzinamento temporaneo e trasporto degli spermatozoi. - Produzione di ormoni sessuali maschili (androgeni). - Introduzione di una sospensione di spermatozoi (seme) nelle vie genitali femminili. L’apparato genitale maschile comprende: - I 2 testicoli (gonadi). - Le vie spermatiche e l’uretra con le ghiandole annesse. - Genitali esterni: scroto e pene (organo della copulazione percorso dall’uretra). Già a livello dei testicoli iniziano le vie spermatiche; i tuboli erettili, contenuti nel mediastino testicolare, rappresentano il primo tratto delle vie spermatiche e decorrono fino al mediastino testicolare, a livello del quale c’è la rete testis da cui si origineranno i condottini efferenti che continueranno con il canale dell’epididimo, a costituire l’epididimo. L’epididimo è un organo addossato alla parete posteriore del testicolo. Dall’epididimo originerà un lungo canale, il dotto deferente, il quale dallo scroto si porta fino alla pelvi, a livello della quale continua con il dotto eiaculatore, il quale si aprirà all’interno dell’uretra prostatica; a questo livello, le vie spermatiche si uniscono al primo tratto delle vie dell’apparato urinario, proseguiranno con l’uretra membranosa (attraversa il diaframma urogenitale), per concludere con l’ultimo tratto dell’uretra, l’uretra peniena. SCROTO: - È un sacco cutaneo muscolare, che risulta essere completamente rivestito da cute. - Si trova al di sotto della sinfisi pubica, inferiormente al perineo, fra la radice delle cosce ed è posizionato posteriormente rispetto al corpo del pene. - Presenta un setto mediano che lo suddivide in due cavità. All’interno di ciascuna cavità, è presente il rispettivo testicolo con il proprio epididimo. Inoltre, all’interno di ciascuna cavità è presente il primo tratto del funicolo spermatico. - La forma e le dimensioni dello scroto variano con l’età, la temperatura, gli stati emotivi-febbrili e anche altre situazioni fisio-patologiche. - Esternamente, lungo la linea mediana, è presente una cresta longitudinale che prende il nome di rafe. Questa cresta continua sulla faccia inferiore del pene in direzione anteriore e continuerà, posteriormente, sul perineo fino a giungere all’orifizio anale. In profondità il rafe continua con il setto scrotale. - È rivestito da un sottile strato cutaneo. La cute che lo ricopre è sottile, pigmentata e ricoperta di peli lunghi, radi che risultano essere associati a ghiandole sebacee. Al di sotto della cute è presente la fascia scrotale superficiale. In profondità è presente una struttura di natura muscolare, costituita dal muscolo cremastere costituito da muscolatura scheletrica; le contrazioni del muscolo cremastere sono controllate dal riflesso cremasterico, il quale è importante perché tende sia ad avvicinare che ad allontanare lo scroto dal corpo. Lo spostamento dei testicoli è in risposta a variazioni di temperatura perché lo sperma, per la sua corretta maturazione, richiede una temperatura inferiore di 1,1 gradi centigradi rispetto la temperatura corporea. TESTICOLI: - Organi pari di forma ellissoidale. - Sono leggermente appiattiti in senso trasversale e sono posti al di sotto del pene fra la radice delle cosce. - Sono contenuti all’interno del sacco scrotale e sono appesi all’estremità inferiore dei funicoli spermatici, all’interno dei quali è presente il dotto deferente e, attraverso i funicoli spermatici, si avrà l’irrorazione arteriosa e il drenaggio venoso-linfatico delle strutture presenti all’interno della borsa scrotale. - Il polo superiore del testicolo è di forma convessa ed è ricoperto dalla testa dell’epididimo; il polo inferiore, invece, risulta essere appuntito e dà attacco ad una lamina fibro muscolare che prende il nome di legamento scrotale, il quale lo collega al fondo della borsa scrotale. Le dimensioni in un uomo adulto sono circa 4-5 cm di lunghezza, 2.5 cm di spessore e 3 cm di diametro antero posteriore. Hanno la tipica struttura degli organi pieni, per cui si può individuare: 1) una capsula: ricopre i testicoli e prende il nome di tonaca albuginea. Essa è costituita da tessuto connettivo denso. Le fibre collagene si organizzano in lamelle sovrapposte, le quali presentano diversi orientamenti. Negli strati superiori si possono individuare anche dei fascetti di fibrocellule muscolari lisce e negli strati più profondi, invece, si possono trovare fibre elastiche. In corrispondenza del margine posteriore dell’organo, il tessuto connettivale della capsula sprofonda all’interno del testicolo stesso e la capsula andrà a formare una struttura chiamata mediastino testicolare, a livello della quale si ha l’entrata e l’uscita dei vasi sanguigni e anche l’uscita delle vie spermatiche. 2) uno stroma: costituito dal tessuto interstiziale, il quale è un tessuto connettivo lasso, all’interno del quale sono riconoscibili nidi di cellule chiamate cellule interstiziali o del leydig, le quali costituiscono la componente endocrina del testicolo. Queste cellule producono il testosterone, un ormone steroideo derivato dal metabolismo del colesterolo; queste cellule diventano attive durante la pubertà e sono sotto il controllo dell’ormone LH. elevate concentrazioni di testosterone sono necessarie per il mantenimento della spermatogenesi. Il testosterone circolante è essenziale, inoltre, per il mantenimento dell’attività funzionale delle vie spermatiche e delle ghiandole accessorie dell’apparato genitale maschile. Tale ormone è coinvolto anche nella determinazione e nel mantenimento dei caratteri sessuali secondari maschili; il testosterone agisce infatti sulla cartilagine di coniugazione delle ossa lunghe, determinandone l’ossificazione ed inoltre determina un effetto anabolizzante che si manifesta con un incremento della sintesi proteica. 3) un parenchima: setti fibrosi originano dal mediastino e dividono il testicolo in circa 250 lobuli di forma piramidale. Ogni lobulo contiene da 1 a 4 tuboli seminiferi contorti. Il parenchima di ciascun lobulo è costituito da strutture chiamate tuboli seminiferi contorti; sono tuboli avvolti su sé stessi che iniziano alla base del lobulo come tuboli a fondo cieco, il cui punto di partenza risulta essere piuttosto dilatato. Dopo la loro origine, iniziano ad avere un decorso tortuoso, avvolgendosi su sé stessi. La parete di un tubolo seminifero contorto è costituita, esternamente, da una membrana o tonaca propria e, internamente, da un epitelio pluristratificato. La tonaca propria è di natura connettivale e presenta delle cellule mioidi con funzione contrattile. L’epitelio pluristratificato prende il nome epitelio germinativo, in quanto in esso avvengono i fenomeni attivi di moltiplicazione e differenziamento che porteranno alla formazione degli spermatozoi, i quali alla fine si raccoglieranno all’interno del lume del tubolo. Nella composizione dell’epitelio germinativo si possono distinguere 2 tipologie di cellule: le cellule germinali via di sviluppo e le cellule di sertoli che servono per il sostegno. Le cellule germinali rappresentano vari stati del processo di formazione degli spermatozoi e quindi si tratta di stadi successivi di un processo continuo di maturazione dei gameti maschili. Le cellule germinali, inoltre, hanno una disposizione pluristratificata, procedendo dalla membrana propria del tubolo verso il lume si distinguono le varie fasi di maturazione degli spermatozoi. Le cellule di sostegno sono elementi epiteliali che si estendono per tutto lo spessore dell’epitelio germinativo, dalla lamina basale fino alla superfice. Le cellule di sostegno hanno diverse funzioni, tra cui quella di sostenere le cellule germinative durante la loro maturazione, inoltre forniscono un supporto di natura nutrizionale e sono in grado di formare la barriera emato-testicolare che isola le cellule germinali in via di maturazione dall’ambiente esterno, permettendo agli spermatozoi di maturare. Le cellule di sostegno sono in grado di secernere anche diverse proteine, come la proteina legante gli androgeni (che lega il testosterone) che trasporta gli androgeni all’interno dei tuboli. LE VIE SPERMATICHE I testicoli producono spermatozoi maturi fisicamente ma che non hanno ancora acquisito la capacità fecondante poiché sono immobili. Saranno le VIE SPERMATICHE a provvedere alla maturazione funzionale, al nutrimento, all’accumulo e al trasporto degli spermatozoi dalla gonade all’uretra. Le vie spermatiche sono costituite da • Tubuli retti: si trovano all’interno del testicolo. Sono uno o più tubuli seminiferi contorti, fino a un massimo di sei, che continuano brucascamente in un unico tubulo retto, il quale presenta una parete con piccoli elementi cubici. Si passa quindi dall’epitelio germinativo dei tubuli seminiferi contorti a un epitelio cubico di tubuli retti, i quali giungono poi al mediastino e si anastomizzano tra di loro a formare la rete testis; • Rete testis: è costituita da una serie di canalicoli e alcune anastomizzate tra loro in corrispondenza del mediastino testicolare; • Condotti efferenti; • Canale dell’epididimo: l’EPIDIDIMO è un organo di forma allungata, addossato alla parete posteriore e sul polo superiore del testicolo e circondato dalla tonaca albuginea di natura connettivale. Anche qui si trovano strutture tubulari fortemente ripiegate, le quali possono raggiungere i 7 m. L’epididimo è suddiviso in • una testa: si pone in continuità con il mediastino testicolare e consiste nell’estremità superiore ingrossata. Questa è suddivisa tramite setti in lobuli di forma conica (CONI VASCOLOSI), all’interno dei quali si ha un CONDOTTINO EFFERENTE. Tutti questi confluiscono in un unico tubo che attraversa corpo e coda, ossia il CANALE DELL’EPIDIDIMO, che termina con il condotto deferente; • un corpo: rappresenta dalla porzione intermedia cilindrica; • una coda: rappresenta la porzione più assottigliata che giunge al dotto deferente. Testa e coda sono mantenute aderenti al testicolo mediante tessuto connettivo ma, allo stesso tempo, sono strutture indipendenti. • Dotto deferente: è una struttura tubolare di calibro 2-3 mm, lungo 40-45 cm. Si possono individuare 4 parti • La parte testicolare: qui il dotto è addossato alla parte posteriore dell’epididimo ed è fortemente convoluto; • La parte funicolare: nel passaggio dalla testa alla coda dell’epididimo si passa alla parte funicolare, in quanto il condotto deferente entra a far parte di una struttura chiamata FUNICOLO SPERMATICO. Questo si estende dal margine posteriore di ciascun testicolo fino all’orifizio interno del canale inguinale e funge da peduncolo del testicolo. Al suo interno vi sono arterie, vene, vasi linfatici, nervi, che sono raccolti insieme da tessuto connettivo lasso e circondati da involucri di natura muscolare e connettivale. In generale, le strutture vascolari portano al testicolo l’irrorazione arteriosa e il drenaggio venoso e linfatico dal testicolo stesso; • La parte inguinale: qui il dotto abbandona il funicolo spermatico ed entra nella cavità addominale; • La parte addominopelvica: il dotto giunge dietro la base della vescica e incrocia anteriormente l’uretere. In particolare, si pone in posizione mediale rispetto all’uretere e alle vescichette seminali e si dirige verso la base della prostata. Infine, in quest’ultimo tratto, si dilata e va a formare l’APMPOLLA DEFERENZIALE, situata tra la base della vescica anteriormente e il retto posteriormente. Questa si riunisce ad angolo acuto con il dotto della rispettiva vescicola seminale a formare il dotto eiaculatorio; • Dotti eiaculatori: è un dotto breve che decorre la maggior parte della parete della prostata per aprirsi a livello dell’uretra prostatica, in corrispondenza di un rilievo chiamato COLLICOLO SEMINALE. LE VESCICHETTE SEMINALI Sono organi di superficie lobata e di forma allungata e appiattiva in senso antero-posteriore, situati nella piccola pelvi, sopra alla prostata. Sono organi dipendenti degli ormoni androgeni e hanno un incremento alla pubertà, viceversa tendono ad atrofizzarsi durante la vecchiaia. Il loro lume è ripieno del prodotto delle ghiandole esocrine, la cui secrezione è molto attiva (circa il 60% del liquido seminale). All’interno di tale liquido sono contenute diverse sostanze come fruttosio (importante perché viene metabolizzato velocemente dagli spermatozoi, i quali possono così produrre ATP per il movimento) e acido citrico. È infatti a questo punto che gli spermatozoi diventano mobili. LA PROSTATA È una ghiandola esocrina associata alle vie genitali maschili, un piccolo organo impari e mediano, posto nella piccola pelvi, tra la parte della vescica e il diaframma urogenitale. La ghiandola presenta una forma a castagna, la cui base allargata è rivolta verso l’alto mentre l’apice è rivolto in basso. La prostata circonda la porzione dell’uretra che prende il nome di uretra prostatica, che corrisponde al primo pezzo successivo all’uscita della vescica. Presenta una consistenza dura e elastica e un colore che va dal grigio al rossastro; le sue dimensioni crescono durante l’età, per raggiungere la massima grandezza verso i 20-25 anni mentre, nella vecchiaia, l’organo può andare incontro a ipertrofia. Ciò consiste in un aumento di volume che provoca però gravi difficoltà nella minzione a causa della compressione dell’uretra prostatica che la traversa. La prostata ha la struttura degli organi pieni e è un organo di natura ghiandolare che produce secreto prostatico, il quale ha un aspetto lattiginoso, è ricco di enzimi, acido citrico, immunoglobuline, seminal plasmina (che ha proprietà antibiotiche contro le potenziali infezioni delle vie urinarie maschili) e costituisce il 20-30% del liquido seminale. I dotti escretori sbloccano tutti sulla superficie interna dell’uretra prostatica, che costituisce parte delle vie urinarie e genitali. L’URETRA Quella maschile è suddivisibile in • uretra prostatica: è il primo breve tratto situata nella pelvi. La parete posteriore è presente un rilievo chiamato COLLICOLO SEMINALE, a livello del quale sboccano i condotti eiaculatori; • uretra membranosa: attraversa il diaframma urogenitale, termina a livello del BULBO del pene ed è circondata dalla fascia perineale e dallo sfintere esterno dell’uretra; • uretra spongiosa o peniena: corrisponde al tratto lungo dell’uretra che, insieme ai corpi cavernosi del pene, costituisce le formazioni erettili del pene stesso. Presenta inoltre una dilatazione che precede il meato uretrale esterno detta FOSSA NAVICOLARE dell’uretra. Si apre all’apice del glande con orifizio uretrale esterno e riceve superiormente i dotti delle ghiandole bulbo-uretrali, ghiandole esocrine associate alle vie genitali maschili, situate nello spessore del diaframma urogenitale e circondate dalle fasce del muscolo sfintere dell’uretra. Quando questo muscolo si contrae, le ghiandole si esprimono e introducono liquido nel primo tratto dell’uretra spugnosa. Tale secreto è alcalino di natura mucosa, il quale alla funzione di neutralizzare l’acidità dell’uretra dovuta all’urina e di lubrificare l’apice del pene. IL PENE È l’organo maschile della copulazione e della minzione, situato anteriormente rispetto alla borsa scrotale. È formato da tre corpi cavernosi (due del pene e uno dell’uretra) allungati, rivestiti da involucri connettivali ed originati da una porzione a cono ed è costituito da tessuto erettile. Nel pene si possono distinguere • la radice: è la porzione fissa situata nella regione perineale anteriore; • il corpo: è costituito dai corpi cavernosi e costituisce la porzione mobile del pene e normalmente è presente in condizioni di fragilità; • il glande: porzione distale espansa che origina dal corpo cavernoso dell’uretra e circoscrive l’apertura uretrale esterno. Superficialmente, il pene è ricoperto da cute simile a quella che ricopre la superficie dello scroto e in corrispondenza del grande, la cute si ripiega su sé stesso a formare una piega cutanea che dà origine al PREPUZIO. LEZIONE 43 APPARATO URINARIO (PARTE UNO) Serva a filtrare il sangue, cioè allontanare dalla circolazione sanguigna e riversare all’esterno i prodotti di scarto, i quali sarebbero dannosi per l’organismo in quantità elevate. Questi derivano dalla degradazione delle sostanze proteiche come l’urea, l’acido urico, ammoniaca e la creatinina. Il rene inoltre regola l’equilibrio idrosalino, ovvero mantiene un adeguato quantitativo di acqua nel nostro corpo, senza la quale moriremmo. Il rene infatti regola il volume ematico e la pressione non sanguigna, mantiene a livelli ottimali costante la concentrazione ematica di metaboliti e ioni (tra cui Na++ e K+), regola il pH ematico e produce ormoni (come l’eritropoietina per la produzione di globuli rossi, il calcitriolo che è la forma attiva della vitamina D e la renina). L’alterazione di queste funzioni comporta conseguenze potenzialmente fatali per l’organismo. L’apparato urinario comprende quindi • i RENI: due organi deputati alla filtrazione del sangue; • VIE ESCRETRICI O URINARIE: costituite da un insieme di organi cavi che formano un sistema idraulico per raccogliere urina e eliminarla. Queste comprendono a loro volta • i CALICI RENALI MINORI, che raccolgono l’urina appena formata all’interno dei reni; • i CALICI RENALI MAGGIORI, che convogliano l’urina nella pelvi renale; • la PELVI RENALE; • due URETERI, attraverso cui l’urina arriva alla vescica; • la VESCICA; • l’URETRA, la quale presenta differenze anatomiche e funzionali tra l’uomo e la donna. I RENI Sono organi pieni, pari e a forma di fagiolo. Sono appiattiti in senso antero-posteriore e situati in posizione postero superiore della cavità addominale, in particolare nella loggia renale, particolarmente ricca di tessuto connettivo fibroso e adiposo. Si trovano ai lati della colonna vertebrale e si estendono tra le ultime vertebre toraciche e la terza vertebra lombare. In caso di frattura di tali ossa, i reni potrebbero essere lesionati. Sono organi retroperitoneali, ossia a contatto con la parete addominale e rivestiti da peritoneo parietale, il che li rende poco mobili. Infine, pesano 150 g e sono lunghi circa 12 cm, anche se quello destro è leggermente più piccolo e situato 2 cm più in basso rispetto al sinistro a causa della presenza del fegato. I reni infatti si sviluppano a livello pelvico e solo successivamente migrano verso l’alto finché trovano spazio per la loro collocazione (fino al fegato nel caso del rene destro). Al di sopra vi sono le GHIANDOLE ENDOCRINE SURRENALI ricoperte da uno strato adiposo, la cui funzione non è strettamente correlata a quella dei reni. Infatti, i reni e le rispettive ghiandole si influenzano a vicenda. I reni sono in rapporto • posteriormente: solo con formazioni muscolari come il diaframma e la parete addominale; • anteriormente: con visceri. In particolare, il rene destro entra in contatto con il fegato, le ghiandole surrenali, il duodeno, il digiuno e la flessura destra del colon mentre quello sinistro entra in contatto con la ghiandola surrenale, lo stomaco, la milza, il pancreas, la flessura sinistra del colon e il digiuno. Il rene è circondato dalla loggia renale, delimitata dal tessuto connettivo della fascia renale che, in corrispondenza del margine laterale del rene si sdoppia a formare due foglietti che si dispongono uno anteriormente e uno posteriormente al rene. Questi salgono e superiormente, si uniscono e si fissano al diaframma, conferendo fissità al rene stesso. Inferiormente invece, questi rimangono aperti. Inoltre, i foglietti e sono circondati dal GRASSO PARARENALE. Interiormente, il rene è circondato dalla CAPSULA RENALE, tessuto connettivo fibroso che riveste esternamente il rene per proteggerlo da traumi meccanici e da possibili infezioni e per mantenerne la forma. Questo è seguito da una CAPSULA ADIPOSA o GRASSO PERINEALE, che circonda il rene esternamente alla capsula per proteggerlo e fissarlo. Il grasso presente nella loggia renale rimane costante ma, in situazioni di anoressia (1 caso su 4), si può ridurre notevolmente e provocare la discesa del rene verso il basso (o nefroptosi renale o rene galleggiante). Questo può provocare un attorcigliamento dell’uretere e bloccare il flusso dell’urina, il che provocherebbe danneggiamento del tessuto renale e infezione. Il rene è caratterizzato da un polo superiore, un inferiore, una faccia anteriore, una posteriore, un lato destro convesso e uno sinistro concavo nella porzione centrale o ILO, che permette l’accesso ad una cavità all’interno del rene chiamata SENO RENALE, dove si trovano i calici minori e maggiori e la pelvi-renale. Essendo organi pieni, hanno • una capsula; • lo stroma: a livello renale è abbastanza sottile, di natura articolare e accoglie la rete vascolare; • il parenchima: vi è una REGIONE CORTICALE, una porzione più esterna che si trova al di sotto della capsula. Questa presenta un aspetto globulare a causa di regioni convolute e striate (raggi midollari); • una REGIONE MIDOLLARE caratterizzata dal 6-18 regioni piramidali o PIRAMIDI RENALI e appare striata a causa dei tubuli e vasi rettilinei e paralleli fra loro. Frontalmente, questi sono triangolari, con la base rivolta verso la corticale, la quale si insinua fra le piramidi a formare le COLONNE RENALI e la punta verso la porzione centrale. Questa punta o PAPILLA RENALE sporge all’interno del calice minore del seno renale e forma l’AREA CRIBROSA, dove vi sono una serie di buchi che rappresentano lo sbocco dei dotti papillari. Questi raccolgono l’urina che si è formata a livello dell’unità funzionale del rene e la convogliano nei calici minori. Generalmente un calice minore accoglie uno o due piramidi. Tutto il territorio di parenchima che comprende una piramide e la corticale che la circonda prende il nome di LOBO, che corrisponde dal punto di vista numerico alle piramidi. Questo ha un significato che si riferisce alla vascolarizzazione. Il parenchima di ciascun rene è costituito da 1 milione di unità funzionali che elaborano l’urina definitiva. Tali unità comprendono il NEFRONE e il DOTTO COLLETTORE. Il nefrone è costituito da • una porzione corpuscolare (CORPUSCOLO RENALE o del Malpighi), deputata alla filtrazione del sangue. Qui si forma la preurina o filtrato glomerulare (180 l/giorno), che presenta la stessa composizione del plasma ad eccezione delle proteine, che restano nel sangue. Tale corpuscolo è costituito a sua volta dalla CAPSULA DI BOWMAN e dal GLOMERULO ARTERIOSO. Qui entra l’arteriola afferente ed esce l’arteriola efferente. • una tubulare (TUBULO RENALE), la quale trasforma il sangue in urina e continua nel dotto collettore, dove si può avere l’ultima modificazione dell’urina (riassorbimento del 99% di acqua e altre sostanze, per un totale di 1,5 l al giorno di urina. Insieme al processo di riassorbimento si ha quello di secrezione. Il dotto arriva in corrispondenza dell’apice della piramide (dotto papillare) e all’apice della papilla stessa. Il tubulo si divide a sua volta TUBULO CONTORTO PROSSIMALE, ANSA di HENLE e TUBULO DISTALE, ricongiunto attraverso il tratto riunente con il dotto collettore. In base alla localizzazione del corpuscolo renale e alla lunghezza dell’Ansa di Henle, si distinguono 1. Nefroni corticali (85% dei nefroni): il corpuscolo è situato più perifericamente della corticale e l’Ansa di Henle è più corta ed è situata a livello della corticale; 2. Nefroni iuxtamidollari: il corpuscolo è al confine con la corticale e l’Ansa di Henle è più lunga ed è situata nella midollare. La disposizione delle varie parti del nefrone ci aiuta a capire meglio l’anatomia microscopica: • la corticale: la parte convoluta è data dalla presenza di corpuscoli di Malpighi e tubuli contorti distali e prossimali mentre la parte radiata dalle anse di Henle dei nefroni corticali e dai tubuli collettori; • la midollare: l’aspetto striato è dato dalle anse di Henle dei nefroni iuxtamidollari, dei tubuli collettori e dalle arterie rette vere e spurie. • LEZIONE 44 APPARATO URINARIO (PARTE DUE) IL CORPUSCOLO RENALE In corrispondenza del polo vascolare entra una arteriola afferente che si risolve in una rete di capillari in un letto capillare. I capillari confluiscono poi in un’arteriola efferente sempre presente a livello del polo vascolare. La rete di capillari, essendo interposta fra due arteriole, è detta rete mirabile arteriosa, la quale è composta da capillari fenestrati, uniti da ponti per rallentare il flusso ematico e la turbolenza. Il sangue infatti scorre a livello di questi capillari con una pressione elevata per mantenere un’elevata pressione di filtrazione, che è mantenuta costante dal fatto che l’arteriola efferente abbia un calibro minore rispetto a quella afferente. Il polo urinifero invece è posto dal lato opposto a quello vascolare che si trova in corrispondenza dell’inizio del tubulo renale, in particolare nel tubulo contorto prossimale. Il tutto è rivestito dalla capsula di Bowman, costituita da due foglietti: uno parietale che, in corrispondenza del polo vascolare, continua in un foglietto più interno viscerale, costituito a sua volta da podociti. Questi sono cellule che rivestono i capillari del glomerulo che andranno a costituire una barriera di filtrazione. Sono caratterizzate da un corpo cellulare voluminoso all’interno del quale è presente il nucleo che sporge dallo spazio capsulare. Di qui si originano dei prolungamenti chiamati processi primari, dai quali si originano i processi secondari per abbracciare il capillare e che si incrociano con quelli provenienti da altri podociti. Gli spazi che si vengono a creare tra i pedicelli vengono definite fessure o fori di filtrazione, a livello dei quali vi sono dei diaframmi di filtrazione di 3/4 nm e una lamina basale molto spessa che impedisce il passaggio delle molecole più grandi. Questa lascia passare molecole positive, acqua, glucosio, elettroliti, acidi grassi, aminoacidi, ammoniaca e ioni ma non cariche negative, cellule del sangue, proteine plasmatiche, lipidi e zuccheri. Infatti, quando all’interno dell’urina si trova l’albumina per esempio, significa che il filtro è danneggiato. Quando la membrana si intasa, viene riassorbita dalle cellule mesangiali intraglomerulari, le quali • sostengono i capillari glomerulari; • regolano il calibro dei capillari attraverso la loro capacità contrattile; • partecipano al mantenimento delle caratteristiche fisico chimiche della lamina basale fagocitando le cellule intrappolate nella lamina densa, che viene ricostruita a livello delle cellule endoteliali e dei podociti. Infine, sia a livello del corpo cellulare che dei podociti, è presente un glicocalice contenente una glicoproteina chiamata podocalicina, con carica negativa. L’ultrafiltrato si trova nello spazio che si viene a creare fra il foglietto parietale e quello viscerale, spazio che prende il nome di SPAZIO CAPSULARE. Il tutto si forma partendo dal glomerulo il quale si introflette a livello del tubulo renale primitivo finché non sarà rivestito da due foglietti, proprio come accade nelle membrane sierose. La filtrazione renale è un processo passivo, reso possibile dalla differenza di pressione nei capillari glomerulari (50 mmHg) e nello spazio capsulare (10 mmHg) e delle proteine nel sangue (30 mmHg). Questa spinge il plasma a passare nei capillari allo stato capsulare. IL TUBULO RENALE Modifica progressivamente la preurina attraverso processi di riassorbimento e secrezione, trasformandola nell’urina definitiva. Nel primo caso si ha il recupero di acqua e sostanze utili per l’organismo mentre, nel secondo, si rimuovono dal sangue sostanze tossiche, farmaci, ammonio, urea e acido urico e si convogliano nell’urina. Il tubulo si divide in 1. Il tubulo contorto prossimale: presenta un epitelio cilindrico semplice, le cui cellule alte presentano microvilli apicali per aumentare la superficie di assorbimento e molti mitocondri localizzati in prossimità della porzione basale. Qui infatti avvengono ingenti processi di riassorbimento di acqua, ioni sodio, cloro, potassio, magnesio (85% del riassorbimento totale); 2. L’ansa di Henle: è un tubo a forcina che si dirige verso la zona midollare attraverso un sottile segmento discendente (epitelio pavimentoso) e poi sale verso la corticale con un segmento ascendente più spesso (epitelio cubito). Qui continua il processo di riassorbimento, in particolare l’acqua viene riassorbita nel tratto discendente mentre ioni sodio e cloruro vengono assorbiti nel tratto ascendente; 3. Il tubulo contorto distale: è estremamente convoluto, immette sostanze di scarto e allo stesso tempo continua riassorbire acqua, ioni sotto controllo ormonale, infatti diminuiscono i mitocondri. L’ormone in questione è l’ALDOSTERONE, che viene prodotto e rilasciato a livello delle ghiandole surrenali. La sua produzione avviene in condizione di disidratazione ipotonica, cioè quando l’organismo perde in proporzione più sale che acqua in seguito a un abuso di diuretici per esempio. L’aldosterone agisce a livello del tubulo contorto distale aumentando la permeabilità al sodio, a cui segue successivamente il riassorbimento di acqua. Questo continua nel tratto reuniente per ricongiungersi con il dotto collettore, che ha un andamento rettilineo prevalentemente nella midollare. Nel dotto papillare si ha un epitelio cilindrico semplice di diametro e altezza maggiore. Anche qui, il riassorbimento è controllato da ormoni, in particolare dall’ADH, ormone antidiuretico o vasopressina. Questo viene prodotto da nuclei ipotalamici e viene rilasciato in circolo a livello della neuroipofisi. La sua funzione è quella di variare la permeabilità del dotto collettore all’acqua: quando la permeabilità è ridotta l’urina è più diluita poiché l’acqua non viene riassorbita e viceversa. La sua produzione avviene in condizioni di disidratazione ipertonica, cioè quando l’introito di liquidi non è sufficiente a compensare le perdite dell’organismo, il che accade quando la concentrazione ematica salina aumenta (eccessiva sudorazione). LA VASCOLARIZZAZIONE DEL RENE I reni sono organi molto vascolarizzati, infatti, anche se rappresentano lo 0,4% del peso corporeo, ricevono il 25% del sangue totale. Questo perché il sangue porta nutrimento e deve essere filtrato. I reni sono vascolarizzati dalle arterie renali, rami pari dell’aorta addominale. Una volta entrato in corrispondenza dell’ilo, l’arteria renale si divide in cinque arterie segmentali che dividono il rene in cinque zone indipendenti dal punto di vista vascolare. Da queste, si originano a loro volta le arterie interlobari che decorrono ai lati della piramide e le arterie arcuate che percorrono la base della piramide. Da queste ultime, dipartono verso l’esterno le arterie interlobulari che originano le arteriole afferenti e che si risolvono nei capillari del glomerulo. Nei nefroni iuxtamidollari invece, i capillari peritubulari circondano la porzione convoluta e assumono un andamento rettilineo a livello della midollare, parallelo alle anse di Henle. Questo prende il nome di vasa recta o arterie rette spurie. Il secondo tipo di vasi che origina dall’arteria arquata verso la midollare prendono il nome di arterie rette vere, le quali si dirigono perpendicolarmente verso la midollare e hanno principalmente un significato trofico in quanto servono per rifornire di ossigeno le cellule della midollare. Per quanto riguarda il ritorno venoso, dai capillari peritubulari e i vasa retta originano le vene interlobulari, arcuate, interlobari che hanno un andamento parallelo rispetto alle arterie e confluiscono nella vena renale, che si immette a sua volta nella vena cava inferiore. APPARATO IUXTAGLOMERULARE Insieme di formazioni in rapporto con il polo vascolare del corpuscolo che ha funzione di regolare la pressione glomerulare da cui dipende la filtrazione e la produzione di urina. Questo insieme costituito da • cellule iuxtaglomerulari, cellule muscolari modificate presenti nella parete dell’arteriola afferente e efferente. Queste sono recettori sensibili al volume e alla pressione del sangue che scorre a livello di tali arteriole e producono renina in caso di abbassamento di pressione o se stimolate dalla macula densa. • cellule della macula densa, ossia cellule modificate della parete della porzione del tubulo contorto distale il rapporto con il polo vascolare del corpuscolo renale, che entra in rapporto con l’angolo che si viene a creare tra l’arteriola afferente e efferente. Si tratta di cellule alte chiamate CHEMOCETTORI, in grado di percepire delle variazioni a livello dell’ultrafiltrato che passa a livello del tubulo distale. Infatti, quando percepiscono una riduzione della concentrazione di sodio o cloro, che indica un’inefficiente filtrazione, stimolano le cellule iuxtaglomerulare per produrre renina. • cellule del mesangio extraglomerulare, poste nel punto di biforcazione dell’arteriola afferente e efferente, in continuità con le cellule del mesangio intraglomerulare. Queste fungono da mediatori fra le due cellule precedenti e ristabiliscono la pressione attraverso una corretta filtrazione. Quando si ha una riduzione a livello dell’arteriola afferente e a livello dell’ultrafiltrato viene prodotta renina, la quale agisce su una proteina plasmatica di origine epatica chiamata ANGIOTENSINOGENO. Questa si trasforma in angiotensina uno che a livello polmonare si trasforma in angiotensina due attraverso l’enzima ACE. Tale proteina è responsabile dell’effetto finale della cascata di reazioni enzimatiche e ha il compito di innalzare e riportare alla normalità la pressione arteriosa. Questo infatti è un vasocostrittore periferico ma esercita anche effetti diretti sul tubulo renale dove stimola la produzione di ormoni • aldosterone, che determina un riassorbimento di sodio e acqua a livello del tubulo contorto distale e di conseguenza un aumento della quantità di liquidi che si riflette in un aumento della pressione; • ADH, che determina un riassorbimento di acqua a livello del dotto collettore che determina un aumento della pressione. Le cellule mesangiali intraglomerulari possiedono dei recettori che in seguito all’interazione con l’angiotensina due attuano una contrazione a livello del capillare del glomerulo e fanno aumentare la pressione a livello glomerulare. Il rene infine può essere considerato ENDOCRINO poiché secerne • ERITROPOIETINA: una citochina coinvolta nella produzione dei globuli rossi a livello del midollo osseo, secreta dai fibroblasti peritubulare per il 90% a livello del rene e per il 10% livello epatico in carenza di ossigeno a livello dei tessuti (ipossia); • PROSTAGLANDINE: prodotte a livello della midollare, provocano dilatazione dei vasi ematici della midollare, proteggendo i reni da eccessivi ormoni vaso costruttori; • IDROSSILASI: è una molecola la cui produzione è stimolata dal paratormone prodotto dalle ghiandole paratiroidi. Questa determina una conversione della vitamina D in attiva in forma attiva (calcitriolo), che regola il riassorbimento di calcio a livello intestinale stimola il riassorbimento renale di calcio a livello del tubulo contorto distale. LEZIONE 45 APPARATO URINARIO (PARTE TRE) LE VIE URINARIE Sono un insieme di organi a forma di canali, che hanno la funzione di trasportare l’urina dai reni all’esterno. In particolare, questi originano al lato delle papille renali dove i calici minori confluiscono in 3 calici maggiori (4 calici minori per ogni calice maggiore), nella pelvi renale e infine nell’uretere che sbocca nella vescica. Qui viene accumulata l’urina per poi essere riversata all’esterno tramite l’uretra (che per il maschio rappresenta il passaggio anche dello sperma). Il primo tra tutte le vie escretrici extrarenali è quindi l’uretere ma tutte le vie urinarie intra ed extra renali sono caratterizzate da • essere organi cavi con una mucosa caratteristica. Questa presenta un epitelio di transizione chiamato UROTELIO, il cui numero di strati varia a seconda del grado di distensione dell’organo (da tre a sei) e le cui cellule sono in grado di tollerare il contatto con l’urina acida. Le cellule infatti si dividono in basali, clavate e a ombrello (che sono più globose quando la vescica è piena e appiattite quando l’organo si distende), unite da giunzioni e dotate di una membrana glicoproteica per impedire il transito intracellulare di liquidi. • la presenza di una tonaca mucosa (anche se non distinguibile); • la presenza di una tonaca muscolare di muscolatura liscia con andamento longitudinale e uno con andamento circolare. Questi stati sono mescolati fra loro formando un unico strato con andamento elicoidale. Lo spessore di questa tonaca è necessario per produrre onde peristaltiche, essenziali per l’espulsione dell’urina. Infine, in alcuni punti la muscolatura si ispessisce per formare gli sfinteri; • la presenza di una carica avventizia fibroelastica dove decorrono vasi e nervi. URETERI Sono organi cavi, pari e simmetrici che collegano la pelvi renale alla vescica, dalla regione lombare alla piccola pelvi. Si tratta di organi retroperitoneali cioè adesi alla parete addominale posteriore e rivestiti da peritoneo parietale. Sono lunghi circa 30 cm e hanno un diametro di 4/5 mm. L’ultimo centimetro viene definito intramurale poiché è compreso nello spessore della parete posteriore della vescica con direzione obliqua, in modo tale da impedire il reflusso retrogrado dell’urina. Quando la vescica si riempie di urina infatti, aumenta la pressione intravescicale e la compressione del liquido tende a chiudere il tratto intramurale dell’uretere, evitando il reflusso dell’urina. Dalla sezione di un uretere si può notare che quando l’organo è contratto il lume appare stellato mentre diventa circolare quando l’organo non è contratto. Ma mano che ci si avvicina alla vescica si ha un ispessimento della tonaca muscolare dell’uretere. Sia a livello degli ureteri che della pelvirenale si possono formare dei calcoli, ammassi duri formati da cristalli che si separano dall’urina all’interno delle vie urinarie (ossia un accumulo di acido urico, fosfato di calcio o ossalato di calcio). Quando sono troppo grandi possono ostruire la pelvi-renale o gli ureteri, provocando contrazioni forti e dolorosi che possono danneggiare la parete degli ureteri. Tuttavia, possono essere trattati con farmaci o rimossi chirurgicamente oppure attraverso ultrasuoni per polverizzare i calcoli. VESCICA È un sacco muscolare con la funzione di contenere una certa quantità di urina. La vescica si trova nella pelvi ma in alcune condizioni patologiche, può aumentare di volume fino ad arrivare a livello addominale. La sua forma infatti varia a seconda del suo stato di riempimento: la vescica vuota ha la forma di una piramide rovesciata mentre, la vescica piena, ha una forma globosa. Il limite che genera lo stimolo per urinare è circa 350 ml di urina, il quale mette in tensione i sensori della vescica creando lo stimolo. La vescica si riempie sollevando la cupola e ciò che sta al di sopra tra cui le ansie dell’intestino tenue. Nella vescica infatti si distinguono una base, un corpo e un apice. La mucosa nella vescica vuota appare sollevata in pieghe che si appiattiscono progressivamente durante il riempimento ed è rivestita da uno specifico epitelio di transizione. Inoltre, vi è una particolare area che prende il nome di TRIGONO VESCICALE, la quale è più liscia ed è delimitata dagli sbocchi dei due ureteri e dall’orifizio dell’uretra. Questo funge da imbuto per incanalare l’urina nell’uretra durante la contrazione della vescica. La parete muscolare della vescica è molto spessa: ci sono infatti tre strati, uno con andamento longitudinale interno, uno con andamento circolare intermedio e uno con andamento circolare esterno. Tuttavia, le fibre hanno un andamento incrociato, in modo tale da consentire maggiore dilatabilità ed efficienza contrattile della muscolatura. Il muscolo involontario della vescica prende il nome di MUSCOLO DETRUSORE, la cui contrazione permette di spingere fuori il contenuto della vescica. La vescica è il rapporto con • le anse intestinali superiormente; • la vagina e il collo dell’utero posteriormente (nella donna), che separano la vescica e del retto; • ghiandole annesse all’apparato genitale maschile posteriormente come la prostata, le vescichette seminali e le ampolle differenziali; URETRA Dall’orifizio uretrale interno origina l’uretra, il condotto che trasporta l’urina all’esterno. Questa si apre verso l’esterno attraverso il meato uretrale esterno. L’uretra è normalmente chiusa da due sfinteri: • uno interno, dove le fibre cellule muscolari lisce del muscolo detrusore contribuiscono a formare lo sfintere interno dell’uretra (involontario); • uno esterno, dove l’uretra attraversa il diaframma urogenitale. Questo è costituito da muscolatura scheletrica volontaria, la quale permette il controllo volontario della minzione. Tale diaframma urogenitale è uno strato fibroso di muscolatura scheletrica che chiude inferiormente la pelvi ossea e sorregge gli organi della pelvi. Tre muscoli principali che lo costituiscono sono l’elevatore dell’ano e il coccigeo, ma vi sono diversi muscoli che formano strutture complesse. Nella donna è attraversato dall’uretra, dalla vagina e dal canale anale mentre nell’uomo è attraversato dall’uretra e dal canale anale. Infine, il diaframma separa la cavità pelvica dal sottostante perineo. L’URETRA femminile è un canale di 3-5 cm che si apre in corrispondenza del vestibolo della vagina, lo spazio compreso fra genitali esterni della donna delimitato dalle piccole labbra. L’orifizio letterale si trova poco al di sopra dell’orifizio della vagina. Il fatto che l’uretra sia più corta facilita le manovre del medico nell’inserire per esempio un catetere e nell’esecuzione di una cistoscopia ma rende più frequenti le infezioni in quanto i patogeni possono facilmente risalire alla vescica e provocare cistiti. L’URETRA maschile è in comune con l’apparato genitale maschile, quindi riceve lo sbocco delle vie spermatiche. In questo caso, l’uretra è lunga 13-20 cm e presenta diversi tratti: • Uretra preprostatica: corrisponde all’imbuto in corrispondenza dell’origine dell’uretra; • Uretra prostratica: attraversa la prostata; • Uretra membranosa: si ha lo sfintere striato volontario per il controllo della minzione; • Uretra spongiosa: si trova all’interno del pene circondata dal corpo spongioso. CORRELAZIONI CLINICHE La malattia più grave legata ai reni è l’insufficienza renale, ossia la progressiva perdita dei nefroni. Quando questa è cronica si ha una perdita irreversibile delle unità funzionanti che, quando supera il 75%, non permette di mantenere l’omeostasi del sangue. In questo caso, si può procedere con l’emodialisi, in cui il sangue del paziente scorre attraverso un apparecchio che svolge l’attività del rene filtrando il sangue. Questo può portare però ad anemia, indebolimento delle ossa del paziente o perdita di nutrienti fondamentali del sangue. L’unico metodo risolutivo è il trapianto di reni, che può avvenire solo in caso di donatore compatibile. Se i reni non funzionanti non danno complicanze, possono essere lasciati al loro posto. Tuttavia, i pazienti dovranno continuare ad assumere farmaci immunosoppressori per evitare il rigetto dell’organo stesso. LEZIONE 46 APPARATO RESPIRATORIO (PARTE 1) È costituito da due porzioni: le vie aeree (porzione di conduzione) e i polmoni (porzione respiratorio). 1) PORZIONE DI CONDUZIONE è costituita da diversi tratti: - Cavità nasali - Faringe - Laringe - Trachea - Bronchi>>bronchioli terminali Questa porzione di conduzione è formata da strutture canaliformi, mantenute aperte per gran parte del loro decorso ad opera o di uno scheletro osseo o cartilagineo. In questo modo, si favorisce il rapido passaggio dell’aria dall’ambiente esterno fino alle superfici di scambio gassoso, costituite dai polmoni. 2) PORZIONE RESPIRATORIA è costituita dai polmoni che contengono al loro interno: - Bronchioli respiratori - Dotti alveolari - Sacchi alveolari/alveoli Le vie aeree vengono distinte in vie aeree superiori e inferiori. Le vie aeree superiori comprendono il naso esterno, le cavità nasali propriamente dette, i seni paranasali che circondano le cavità nasali e la faringe. Le vie aeree inferiori comprendono la laringe, la trachea, i bronchi e la porzione polmonare dell’albero bronchiale. FUNZIONI APPARATO RESPIRATORIO: - Condurre l’aria dà e verso le superfici polmonari. infatti, a livello delle superfici polmonari, c’è un’ampia area in cui si ha lo scambio di gas tra aria e sangue circolante. - Vari tratti filtrano, riscaldano ed umidificano l’aria che respiriamo. - Funzione di difesa contro i patogeni che vengono intrappolati sia mediante il muco sia perché a livello della mucosa che ricopre le vie respiratorie, sono presenti cellule linfatiche che hanno la funzione difendere da patogeni che sono stati inalati. - Porzioni specifiche adibite alla produzione dei suoni (fonazione) >>corde vocali, a livello della laringe. - A livello delle cavità nasali, c’è una porzione della tonaca mucosa che è la sede della funzione olfattiva (organo olfatto). MUCOSA RESPIRATORIA L’epitelio che ricopre la mucosa respiratoria è chiamato epitelio respiratorio. È un epitelio pseudo stratificato, cilindrico, cigliato. È un epitelio che non è presente in tutte le regioni delle vie respiratorie, poiché in alcune regioni specifiche quest’epitelio viene sostituito; ad esempio, a livello della regione olfattoria (nelle cavità nasali) sarà sostituito dall’epitelio olfattivo, a livello delle dell’orofaringe e delle corte vocali sarà sostituito da un epitelio pavimentoso semplice ed infine a livello dei bronchioli terminali e respiratori, alveoli sarà sostituito da un epitelio pavimentoso semplice. Al di sotto dell’epitelio è presente una lamina propria di tessuto connettivo, in cui si possono trovare dei plessi venosi (a livello delle cavità nasali) o aggregati linfocitari (funzione di difesa) o ghiandole che possono avere una secrezione mucosa o una secrezione sierosa. La secrezione sierosa è necessaria per umidificare le vie respiratoria, mentre il secreto mucoso delle ghiandole mucose, una volta arrivato in superficie, si andrà a mescolare assieme al muco prodotto da cellule specifiche presenti nell’epitelio. Questo muco è molto importante poiché è in grado di intrappolare agenti patogeni provenienti dall’esterno; questo muco verrà poi trasportato, dalle ciglia, verso la faringe e poi passerà o all’esofago ed infine allo stomaco dove verranno neutralizzati con gli acidi del succo gastrico oppure eliminato con un colpo di tosse. L’apparato respiratorio è formato da cellule caliciformi, cigliate cilindriche e basali. Inoltre, a livello della sola trachea e dei bronchi principali, sono individuati anche altri tre tipi di cellule: - Cellule con orletto striato o a spazzola: cellule cilindriche con brevi microvilli. - Sierose: cilindriche con microvilli, granuli con fluido sieroso. - Neuroendocrine: localizzazione basale, granuli nel citoplasma (producono sostanze di natura ormonale) CAVITÀ NASALI - Primo tratto delle vie respiratorie. - Sono due ampi spazi anfrattuosi che rappresentano la principale via di passaggio per l’aria che entra nell’apparato respiratorio. - Iniziano a livello del naso esterno, che viene anche identificato con il nome di piramide nasale. La piramide nasale è un rilievo formato da cartilagini e da ossa, posto al centro della faccia, inferiormente alla fronte, superiormente al labbro superiore e medialmente rispetto alle guance. - Le cavità nasali sono divise a metà da un setto che viene definito setto nasale, una lamina sagitale mediana, costituita da una porzione cartilaginea e una porzione ossea. - Comunicano con l’esterno tramite due aperture, le narici, mentre comunicano con la faringe tramite due aperture, le coane. - Osservandole, è possibile distinguere due porzioni: 1) Anteriormente il vestibolo: è la parte iniziale delle cavità nasali. Presenta uno scheletro di natura cartilaginea, rivestito internamente da una cute sottile che presenta uno strato corneo ridotto. Alla cute sottile sono annessi dei robusti peli, vibrisse, che vanno a costituire una prima barriera che impedisce l’ingresso di materiale corpuscolato nelle vie aeree. Ai peli sono associate inoltre numerose ghiandole sebacee e piccole ghiandole sudoripare. 2) Posteriormente le cavità nasali propriamente dette: sono posizionate all’interno del cranio e ben protette dallo scheletro osseo. Nella porzione centrale è presente una struttura impari mediana che suddivide le cavità nasali in due porzioni e questa struttura prende il nome di setto nasale. Il setto nasale separa le due cavità ed è costituito da una porzione cartilaginea anteriormente e da una porzione ossea posteriormente. - Il pavimento delle cavità nasali è costituito dal palato di struttura ossea e il pavimento separerà le cavità nasali superiormente dalla cavità orale inferiormente. Il pavimento è costituito anteriormente dai processi palatini delle ossa mascellari e posteriormente dai processi orizzontali delle ossa palatine. - Le pareti laterali sono irregolari perché presentano delle sporgenze ossee dette “cornetti” o “conche nasali” o “turbinati” e sono 3: cornetto superiore, medio e inferiore. Quello medio e quello superiore sono dei processi ossei che si sviluppano da porzioni laterali chiamate masse laterali dell’osso etmoide. Il cornetto inferiore è un osso separato che va ad articolarsi con l’osso mascellare destro e sinistro. Questi cornetti vanno a creare degli stretti passaggi per l’aria, la quale entra all’interno del nostro naso e delle cavità nasali propriamente dette; queste strutture creano dei vortici nell’aria, che rimbalza sulle pareti delle cavità nasali. Questo processo è molto importante poiché queste strutture ossee sono ricoperte dalla mucosa respiratoria che produce muco e presenta ciglia; quindi, l’aria, grazie ai movimenti vorticosi, sbatte sulle pareti e viene così parzialmente ripulita poiché i microrganismi presenti nell’aria verranno intrappolati dal muco che ricopre le superfici. - A livello delle cavità nasali superiori sono presenti dei plessi capillari che sono responsabili dell’epistassi nasale (sangue al naso) ed inoltre riscaldano l’aria che era stata parzialmente ripulita (dove c’è sangue c’è anche calore quindi l’aria, sbattendo sulle pareti, oltre ad essere ripulita è anche riscaldata). - La VOLTA delle cavità nasali, cioè il “tetto”, è costituita dalla porzione orizzontale dell’osso etmoide, in particolare dalla lamina cribrosa dell’etmoide. Essa si chiama così perché la superficie laminare è completamente forata da una serie di forellini, per cui è cribrata. Questi forellini sono importanti perché attraverso essi passeranno gli assoni delle cellule sensoriali dell’epitelio olfattivo. Infatti, la mucosa delle cavità nasali è costituita in massima parte da epitelio respiratorio. Mentre in una porzione ristretta delle cavità nasali è presente una mucosa modificata che prende il nome di mucosa olfattiva, la quale tappezza le cavità nasali in corrispondenza della lamina cribrosa dell’etmoide, a livello della parte alta del setto nasale e a livello della faccia superiore del cornetto superiore. Questa zona, dotata di epitelio olfattivo, è la sede dell’organo dell’olfatto. FUNZIONI DEL NASO: - Filtrazione e protezione: mediante i peli vengono intrappolati materiale corpuscolati di grandi dimensioni (polveri, insetti). - - - Il muco e le cellule cigliate svolgono la loro funzione di trappola per l’eliminazione di particelle e microorganismi inalati. Questi verranno poi convogliati verso la faringe per essere eliminati o con un colpo di tosse o mandati nello stomaco, dove troveranno un ambiente acido di succhi gastrici. La difesa contro l’attacco di microorganismi avviene anche mediante l’attività svolta da plasmacellule, macrofagi e aggregati linfoidi che si trovano nella tonaca mucosa. La lamina propria è riccamente vascolarizzata, con vasi che vanno ad organizzare e formare dei plessi venosi, capaci di dilatarsi in seguito a stimoli ambientali o nervosi. La ricca vascolarizzazione della mucosa permette, liberando calore, di riscaldare l’aria atmosferica. In particolare, al di sotto dell’epitelio che riveste il cornetto inferiore e la parte media del setto, sono presenti numerosi plessi venosi, i quali saranno sede dell’emorragie tipiche di chi soffre di sangue al naso (epistassi). Il muco umidifica l’aria: le cellule caliciformi mucipare secernano muco, allo stesso tempo sulla superficie delle vie respiratorie aggiungono anche i secreti di ghiandole di natura sierosa o mucosa presenti nella lamina propria. Il muco pertanto, prodotto sia dalle cellule che dalle ghiandole, va ad umidificare la parete e l’aria che viene inalata. Sede della funzione olfattiva. COSTITUZIONE MUCOSA RELATIVA ALL’ORGANO DELL’OLFATTO: a livello della regione olfattiva si avrà la presenza di un epitelio specializzato, l’epitelio olfattivo, che poggia su una lamina propria di tessuto connettivo, contenente le ghiandole olfattive di Bowman. Queste ghiandole sono tubulacinose a secrezione sierosa e l’orodotto porta questo secreto sieroso sulla superficie dell’epitelio olfattivo. Queste ghiandole secernano continuamente un fluido acquoso che funge da solvente per le sostanze che vengono inalate. EPITELIO OLFATTIVO È un epitelio cilindrico pseudostratificato ed è costituito da tre tipologie ci cellule: 1) Cellule di sostegno: sono cellule cilindriche che presentano una forma clava, infatti presentano nuclei più vicini al lume e una porzione basale che risulterà assottigliata. Queste cellule hanno una funzione di supporto e nutrimento. 2) Cellule olfattive: sono dei neuroni bipolari. Presentano una porzione apicale e una porzione basale. In corrispondenza della porzione apicale, si restringono a formare un sottile processo cilindrico che si estende verso la superficie dell’epitelio e termina con una dilatazione che prende il nome di vescicola olfattiva. A partire dalla vescicola, dipartono dalle 6 alle 8 ciglia olfattive, ovvero ciglia modificate implicate nella ricezione degli odori. Nel polo basale, invece, la cellula si assottiglia e continuerà in un prolungamento assonico che attraversa la lamina basale e si unisce agli assoni di altre cellule olfattive, per formare così un fascio di assoni mielinici che verranno avvolti dalle cellule di Schwann. Questi assoni, così inguainati, attraverseranno la lamina cribrosa ed è per questo che essa presenta dei forellini, attraverso i quali passeranno gli assoni dei neuroni bipolari. Una volta che hanno attraversato la lamina cribrosa dell’osso etmoide, gli assoni si raccolgono in strutture (circa 20) e prendono il nome di fila olfactoria. Le fila olfactoria raggiungeranno poi il bulbo olfattivo con cui entreranno in sinapsi, per comunicare al bulbo olfattivo eventuali segnali odorosi. 3) Cellule basali: sono elementi molto piccoli e sono disposte nella porzione basale di questo epitelio. Queste cellule daranno origine sia alle cellule di sostegno, sia alle cellule sensoriali, pertanto le cellule basali saranno cellule di rigenerazione. Quindi, se l’epitelio olfattivo viene leggermente leso, sarà in grado di rigenerare grazie alla presenza delle cellule basali. Unico esempio, nell’organismo adulto, di una cellula nervosa che viene sostituita per replicazione di una cellula staminale. A livello delle cavità nasali, si immettono anche gli sbocchi delle cavità paranasali. Esse sono cavità scavate nelle ossa che circondano le cavità nasali e sono in comunicazione con le cavità nasali stesse. Le cavità paranasali le troviamo a livello dell’osso frontale avremo il seno frontale, la cavità scavate a livello dell’osso etmoide prendono il nome di celle etmoidali ecc… I seni paranasali sono rivestiti da epitelio respiratorio, il quale è in continuità con quello che riveste le cavità nasali e pertanto anche questo epitelio produrrà muco. Questo muco verrà riversato all’interno delle cavità nasali. È importante che questo muco venga drenato a livello delle cavità nasali stesse, perché quando si ha un’infiammazione della mucosa che riveste i seni, l’infiammazione andrà ad ostruire i condotti di comunicazione con le fosse nasali e questo andrà ad impedire lo scarico del muco prodotto dall’epitelio che ricopre i seni paranasali. Di conseguenza, il muco tenderà a ristagnare all’interno dei seni paranasali e questo ristagno porterà ad uno sviluppo di batteri, il quale porterà a sua volta ad una patologia chiamata sinusite. Inoltre, le cavità paranasali hanno una funzione importante nel ridurre la pesantezza del massiccio facciale e nell’andare a modificare le caratteristiche dell’aria inspirata. LEZIONE 47 APPARATO RESPIRATORIO (PARTE 2) FARINGE: - Tratto successivo alle cavità nasali. - Organo cavo, impari e mediano che è accolto in parte nella testa e in parte nel collo e si presenta come un condotto che decorre verticalmente dalla base del cranio fino all’altezza della sesta vertebra cervicale. - Organo ibrido poiché appartiene sia all’apparato respiratorio (interposta tra le cavità nasali e la laringe) sia all’apparato digerente (interposta tra la cavità boccale e l’esofago). - Può essere suddivisa in tre porzioni: 1) Rinofaringe: è ricoperta da un epitelio respiratorio tipico, per cui è l’unica porzione ad essere ricoperta dall’epitelio presente a livello di tutte le vie respiratorie. Si estende dalla base del cranio fino all’altezza del palato molle. Questo primo tratto comunica anteriormente con le cavità nasali attraverso le coane, lateralmente si collega con l’orecchio medio attraverso le tube uditive. È ricoperta da mucosa respiratoria e nello spessore della mucosa si possono trovare anche spessore di accumuli di tessuto linfoide che andranno a costituire la tonsilla faringea (adenoide). 2) Orofaringe: è ricoperta da un epitelio pluristratificato, tipico dei primi tratti dell’apparato digerente. Si estende dal palato molle fino alla base della lingua a livello dell’osso ioide. L’epitelio che ricopre l’orofaringe è quello tipico dei primi tratti dell’apparato digerente, cioè un epitelio pavimentoso pluristratificato. Anche qui si ha un accumulo di tessuto linfoide, che andrà a costituire le tonsille palatine. 3) Laringo faringe: è ricoperta da un epitelio pluristratificato, tipico dei primi tratti dell’apparato digerente. Si estende dall’osso ioide fino al limite superiore dell’esofago, in corrispondenza della sesta vertebra cervicale. L’epitelio che ricopre la laringo faringe è un epitelio pavimentoso stratificato. - Si collega con le cavità nasali, con la cavità orale con l’istmo delle fauci e con l’orifizio laringeo. tutte queste comunicazioni si effettuano in corrispondenza della parete anteriore della faringe, la quale risulterà incompleta. Inoltre. A livello della faringe si collegano anche gli orifizi delle tube uditive che stabiliranno una comunicazione tra la faringe e l’orecchio medio. LARINGE: l’aria inspirata lascia la faringe per poi passare attraverso un’apertura ristretta che prende il nome di glotide. - La laringe è quella struttura anatomica che andrà a circondare e a proteggere la glotide. - È interposta tra faringe e trachea. - Oltre a costituire il passaggio dell’aria, svolge anche funzioni nella produzione dei suoni. - È un organo cavo, impari e mediano e si colloca a livello del collo. - Ha una forma di piramide tronca, la base è rivolta verso l’alto e l’apice verso il basso. - È sostenuta da uno scheletro di natura cartilaginea, infatti abbiamo una serie di pezzi di cartilagine che prendono il nome di cartilagini laringee. Esse, che vanno a costituire la struttura di supporto della laringe, risultano essere articolate tra di loro ed unite da legamenti, membrane e muscoli. - La mobilità reciproca dei vari elementi cartilaginei e anche dell’organo nella sua totalità, è dovuta alla presenza di un ricco corredo muscolare. La muscolatura che permette i movimenti della laringe è una muscolatura scheletrica striata, cioè una muscolatura sottoposta al controllo volontario. I muscoli della laringe vengono suddivisi in due categorie: 1) Intrinseci: hanno entrambe le inserzioni muscolari sulle parti cartilaginee della laringe e possono allargare o restringere la glotide. Quando la glotide verrà allargata, consentiranno la respirazione; quando, invece, la glotide verrà ristretta, si avrà la produzione dei suoni. 2) Estrinseci: connettono la laringe con le formazioni circostanti, cioè con le strutture che circondano la laringe stessa. Questi muscoli permettono la deglutizione, oltre a mantenere stabile la laringe nella sua posizione. FUNZIONI DELLA LARINGE: - Va a costituire un tratto di conduzione delle vie respiratorie. - Agisce proteggendo le vie respiratorie dall’entrata accidentale di cibo durante la deglutizione. - Sede della produzione della voce (fonazione). CARTILAGINI DELLA LARINGE In totale sono 9. 3 cartilagini impari: tiroidea, cricoidea, epiglottide. 3 cartilagini pari: aritenoidi, corniculate, cuneiformi. Le cartilagini impari vanno a costituire il corpo vero e proprio della laringe. - Tiroidea: è la più grande delle cartilagini che costituiscono la laringe, ha una forma a scudo e costituisce la maggior parte della parete anteriore e laterale della laringe stessa. Presenta dimensioni differenti nei due sessi e nell’uomo determina una sporgenza nella linea mediana del collo (pomo d’Adamo). - Cricoidea: è l’elemento scheletrico fondamentale della laringe, in quanto sostiene le altre cartilagini e dà l’attacco ad altri muscoli. Ha una forma ad anello con castone ed è posta inferiormente alla cartilagine tiroide, subito al di sopra della trachea. - Epiglottide: è impari e mediana e ha la forma di un calza scarpe ed è posta al di sopra della cartilagine tiroide. Prende attacco a livello del margine anteriore e superiore della cartilagine tiroide. La parete anteriore e superiore dell’epiglottide è ricoperta dall’epitelio pavimentoso pluristratificato poiché è una porzione mobile che si andrà a ripiegare posteriormente impedendo l’ingresso del cibo nelle vie respiratorie e di conseguenza, dovendo il cibo scivolare sulla parete, è sottoposto continuamente ad usura. MUCOSA DELLA LARINGE Sui lati della parete interna si estendono due pieghe mucose: - Pieghe vestibolari-corde vocali false (superiori): è ricoperta da un epitelio respiratorio tipico. - Pieghe vocali o corde vocali vere (inferiori): è ricoperta da un epitelio pavimentoso pluristratificato perché deve resistere alla continua vibrazione delle corde vocali. A livello della porzione più profonda della corda vocale vera, è presente un legamento di tessuto elastico (legamento vocale) ed è presente anche muscolatura di natura scheletrica striata che va a formare il muscolo vocale. Tra le due coppie di pieghe si viene a formare un recesso, il ventricolo laringeo. Lo spazio che si viene ad avere tra le corde vocali vere prende il nome di rima della glottide e per cui sarà lo spazio più stretto, attraverso il quale passerà l’aria. LA GLOTTIDE La glottide è l’insieme di corde vocali più la fessura (rima) che si viene a delimitare fra di esse. Essa rappresenta il passaggio più stretto attraverso cui passa l’aria. L’aria che arriva alla rima della glottide metterà in vibrazione le corde vocali. Sarà l’ampiezza della rima della glottide e la tensione delle corde vocali che andranno a determinare il tipo di suono che noi saremo in grado di emettere. La sola vibrazione delle corde vocali non sarebbe in grado di produrre dei suoni abbastanza forti, infatti il suono viene amplificato da un apparato risuonatore, costituito dalla cavità orale, dalla faringe e dalle cavità nasali. Inoltre, anche l’innalzamento o abbassamento della laringe permettono di dare dei suoni più acuti o più profondi. Il linguaggio articolato si forma grazie ai movimenti volontari della lingua, delle labbra e delle guance. COSA SUCCEDE A LIVELLO DELLA LARINGE DURANTE: - LA RESPIRAZIONE: l’epiglottide è posizionata in maniera verticale e permetterà così il passaggio dell’aria dalle cavità nasali fino alla laringe e infine verso la trachea. LA DEGLUTIZIONE: muscoli intrinseci ed estrinseci vanno a cooperare per impedire che cibi solidi o liquidi entrino a livello della glottide. La muscolatura estrinseca va ad innalzare la laringe e in questo modo l’epiglottide si piega posteriormente e andrà così a richiudere l’orifizio laringeo; il bolo, in questo modo, scivolerà al di sopra dell’epiglottide, senza entrare all’interno della laringe. Nel frattempo, la muscolatura intrinseca provvede a chiudere la glottide. Se delle sostanze dovessero mai entrare, il contatto di esse con le superfici delle pieghe vestibolari/vocali andrà a scatenare una tosse riflessa per eliminare eventuali detriti di cibo e di liquidi, entrati casualmente all’interno della laringe. TRACHEA: - Tratto successivo alla laringe. - È un canale impari, mediano che inizia nel collo e termina a livello del torace, dove andrà a biforcarsi nei due bronchi principali destro e sinistro. - È un tubo resistente e anche molto flessibile. Ha un diametro di circa 2 cm e una lunghezza di circa 11 cm nell’individuo adulto. - Si collega alla parte inferiore della cartilagine cricoide, attraverso una struttura di natura connettivale. In particolare, inizia all’altezza della sesta vertebra cervicale e terminerà nel torace (all’interno del mediastino) all’altezza delle 4/5 vertebre toraciche. - È costituita da una serie di strutture di forma anulare, gli anelli cartilaginei (da 15 a 20) che andranno a costituire la struttura scheletrica portante della trachea. Gli anelli comunicheranno posteriormente con l’esofago. Gli anelli cartilaginei sono connessi fra loro da lamine fibrose chiamati legamenti anulari. - La trachea è un organo cavo e quindi presenta una sovrapposizione di tonache: 1) La tonaca più interna è costituita mucosa che presenta un epitelio respiratorio tipico e poggia su una lamina propria costituita da tessuto connettivo, ricco di fibre elastiche. Inoltre, all’interno della tonaca propria, sono presenti una serie di noduli linfatici che risultano essere molto importanti per i meccanismi di difesa delle vie respiratorie. 2) Al di sotto della tonaca mucosa è presente la tonaca sottomucosa costituita da tessuto connettivo lasso, all’interno del quale sono presenti lobuli di tessuto adiposo e anche sono presenti strutture ghiandolari che prendono il nome di ghiandole tracheali (esocrine) a forma tubolo lacinosa e che presentano una secrezione che può essere mucosa, sierosa o mista. Questa secrezione andrà a riversarsi sulla superficie della trachea e servirà sia per umidificare la trachea sia per aumentare la quantità di muco che andrà ad intrappolare eventuali agenti patogeni. 3) Al di sotto della tonaca mucosa si trova la tonaca fibrosa. Essa presenta un anello cartilagineo, il quale permetterà alla trachea di rimanere sempre aperta (beante) e pervia al passaggio dell’aria. La porzione posteriore della trachea, nella tonaca fibrosa, presenta l’assenza dell’anello cartilagineo e in questa porzione i margini estremi dell’anello sono uniti fra loro dal muscolo tracheale. Quindi la parete posteriore della trachea, anche in corrispondenza degli anelli cartilaginei, presenterà una parete deformabile che prende il nome di parete membranacea. L’anello cartilagineo, inoltre, è ricoperto da tessuto connettivo denso che, nei punti dove non avremmo l’anello cartilagineo, andrà a formare quei legamenti anulari che uniscono fra loro i diversi anelli cartilaginei. - Dalla biforcazione della trachea si avrà la formazione dei 2 bronchi. Essi, dal loro punto di origine, si dirigeranno verso il basso e lateralmente verso l’ilo del rispettivo polmone. Essendo l’ilo del polmone di sinistra più lontano di quello di destra, il bronco di sinistra sarà più lungo rispetto a quello di destra, però allo stesso tempo quest’ultimo risulterà di diametro maggiore poiché dovrà garantire al polmone destro una ventilazione adeguata. I bronchi che si originano dalla biforcazione della trachea prendono il nome di bronchi principali. Dei bronchi principali è possibile distinguere due porzioni: 1) Bronchi extrapolmonari: costituita dalla porzione di bronco che si sta dirigendo verso l’ilo ma che ancora non è penetrato nell’ilo del polmone. Struttura identica a quella della trachea. 2) Bronchi intrapolmonari: quando il bronco principale penetra nel polmone attraversando l’ilo del polmone stesso. Struttura dei bronchi presenti nell’albero bronchiale intrapolmonare. LEZINE 48 APPARATO RESPIRATORIO (PARTE 3) POLMONI: - Organi pieni, all’interno dei quali avviene lo scambio di gas tra aria e sangue. Questo scambio prende il nome di ematosi. - Sono due, destro e sinistro, e sono contenuti all’interno delle logge pleuropolmonari presenti nella cavità toracica, le quali sono delimitate lateralmente dalle coste e dai muscoli intercostali, medialmente dal mediastino, inferiormente dal muscolo diaframma e superiormente confinano con gli organi che si trovano a livello dell’apertura superiore del torace (vasi succlavi, plesso nervoso brachiale). I polmoni, all’interno delle logge pleuropolmonari, sono ricoperti da una membrana sierosa chiamata pleura, la quale presenta le stesse caratteristiche generali delle altre membrane sierose: foglietto parietale che riveste la superficie interna delle logge, foglietto viscerale che riveste la superficie esterna de polmoni e vi aderisce in modo molto stretto. I due foglietti sono in continuità a livello dell’ilo del nostro polmone e pertanto tra i due foglietti si viene a creare uno spazio che prende il nome di cavità pleurica, la quale in condizioni normali contiene il liquido pleurico. All’interno di questa cavità, inoltre, è presente una pressione negativa che permetterà ai polmoni di espandersi durante l’inspirazione. - Medialmente sono separati da uno spazio chiamato mediastino, il quale è compreso posteriormente tra la colonna vertebrale e lo sterno anteriormente. Il mediastino andrà ad accogliere diverse strutture, tra le quali: il cuore, contenuto nel sacco pericardico, la trachea… - I polmoni hanno una forma a tronco di cono, il quale presenta un apice rivolto verso l’alto che si estende superiormente fino alla base del collo e una base (faccia diaframmatica) concava che si andrà ad adattare alla convessità del diaframma. - Sulla superficie esterna dei polmoni ci sono profonde scissure, le quali si vanno ad approfondare all’interno della struttura dell’organo fino all’ilo e permettono la suddivisione dei polmoni in strutture chiamate lobi. Il polmone destro presenta due profonde scissure e questo permette la divisione del polmone di destra in tre lobi: un lobo superiore, uno medio e uno inferiore. Nel polmone sinistro, invece, c’è una sola scissura che divide il polmone in due lobi: un lobo superiore e uno inferiore. All’interno di queste scissure andrà anche a penetrare il foglietto viscerale della pleura, che andrà a rivestire anche la superficie interna delle scissure. - Oltre alla faccia diaframmatica, a livello della struttura esterna del polmone, possiamo trovare anche altre due facce: una faccia costale e una mediastinica. La faccia costale è di struttura convessa ed è la porzione anteriore del polmone, in rapporto con la superficie interna della gabbia toracica. Nella faccia mediastinica è presente l’ilo del polmone e presenta una struttura irregolare poiché su di essa si vanno ad imprimere le impronte dei vasi che entrano e che escono dall’ilo polmonare. A livello del polmone di sinistra è presente un’impronta molto evidente, l’impronta cardiaca. Il polmone destro, diviso in tre lobi, risulta essere più grande del polmone di sinistra che è diviso in due; questo perché il cuore e i grossi vasi si proiettano verso sinistra. Inoltre, il polmone sinistro è più lungo del destro perché a destra, il diaframma su cui poggia il polmone si solleva per fare posto al fegato. I lobi rappresentano una prima divisione dei polmoni in parti che risultano fra loro separate sia anatomicamente, sia funzionalmente poiché ciascun lobo sarà ventilato e vascolarizzato in maniera indipendente dagli altri. (se c’è un tumore, è possibile eliminare il singolo lobo senza andare a creare danni agli altri). All’interno dei polmoni e quindi all’interno di ciascun lobo, si possono distinguere dei territori chiamati segmenti o zone polmonari (10 per ogni polmone) che saranno irrorati e ventilati in maniera indipendente. Questi segmenti sono uniti tra loro da tessuto connettivo interstiziale. Pertanto, la zona polmonare rappresenta un territorio, parte di un lobo, che presenta indipendenza rispetto alle parti confinanti per la presenza di un’arteria di un bronco segmentale e di una rete venosa perizonali, strutture indipendenti dalle zone vicine. - Quando i bronchi principali penetrano all’interno del polmone andranno a suddividersi, formando dei condotti aerei di diametro sempre più piccolo e nel complesso andranno a costituire l’albero bronchiale. Quando il bronco principale penetra nel polmone attraverso l’ilo, va a suddividersi in condotti di calibro inferiore che prendono il nome di bronchi lobari o secondari. Essi saranno in numero identico a quello dei lobi di ciascun polmone, per cui a livello del polmone di destra ci saranno tre bronchi lobari e due a livello di quello di sinistra saranno due. Dai bronchi lobari si andranno ad originare i bronchi segmentali o zonali che andranno a ventilare i segmenti o zone. All’interno di ciascun segmento o zona saranno presenti centinaia entità più piccole (lobuli polmonari), le quali sono connesse le une alle altre grazie alla presenza di connettivo interstiziale. Poiché anche a livello dei lobuli polmonari deve essere portata la ventilazione, i bronchi zonali si divideranno ripetutamente all’interno del connettivo interlobulare e daranno origine ai bronchi lobulari, ciascuno dei quali andrà a ventilare un lobulo. I bronchi lobulari si andranno poi a ramificare in strutture di calibro ancora inferiore, i bronchioli intralobulari, che entreranno all’interno dei lobuli. Infine, i bronchioli intralobulari, daranno origine all’ultima porzione di conduzione dell’albero bronchiale, costituita dai bronchioli terminali. STRUTTURA BRONCHI: - Un bronco principale, nella sua porzione extrapolmonare, ha la stessa identica struttura presente nella trachea. - Quando i bronchi principali penetrano all’interno dell’ilo del polmone, la struttura della parete del bronco inizia a modificarsi notevolmente. La modificazione più evidente è che la cartilagine, appartenente alla tonaca fibrosa, non è più a forma di C ma si trasforma in placche cartilaginee che circondano, in maniera quasi completa, i bronchi. - Man mano che i bronchi diminuiscono di calibro, le placche cartilaginee diminuiscono in numero e dimensione, fino ad arrivare al livello dei bronchioli intrapolmonari dove le placche cartilaginee scompaiono completamente. - Man mano che lo scheletro cartilagineo che circonda i bronchi diminuisce, aumenterà man mano la componente muscolare liscia. - Quando sono presenti ancora le placche cartilaginee, l’andamento delle fibre muscolari lisce sarà un andamento circolare. Nel momento in cui le placche cartilaginee scompaiono, le fibre muscolari lisce abbandoneranno l’andamento circolare per assumere un andamento elicoidale. - La tonaca mucosa che guarda verso il lume risulta essere pieghettata longitudinalmente e il lume appare stellata. È rivestita da un epitelio che nei bronchi di calibro maggiore sarà respiratorio tipico che tende a diminuire in altezza lungo il tratto respiratorio, divenendo primo cilindrico semplice cigliato, poi cubico scarsamente cigliato. Man mano che l’epitelio si modifica, scompaiono anche le cellule caliciformi mucipare che, nei bronchioli, verranno sostituite dalle cellule di Clara. - A livello della sottomucosa, man mano che il calibro dei bronchi diminuisce, scompaiono le ghiandole bronchiali. BRONCHIOLI - Sono condotti dell’albero respiratorio, compresi fra il 12° e il 15° ordine di diramazioni. - Hanno un diametro minimo, inferiore al millimetro e può raggiungere gli 0.2 mm. - La parete è priva di scheletro cartilagineo e nella tonaca propria non sono presenti ghiandole. - La muscolatura che costituisce la parete dei bronchioli è una muscolatura liscia che ha un andamento elicoidale. - Assieme al tessuto connettivo che si va a collocare negli spazi tra i fasci di muscolatura liscia, si ha la formazione di una vasta rete. - A livello bronchiolare l’epitelio è costituito principalmente da due tipi di cellule: le cellule cigliate e le cellule di Clara. Le cellule di Clara sono cilindriche e presentano una superficie apicale arrotondata. A livello di questa superficie si ha anche la presenza di microvilli e nel citoplasma apicale sono presenti granuli secretori densi che producono la secrezione non viscosa che permette ai bronchioli di rimanere aperti. Le cellule caliciformi mucipare vengono sostituite con quelle di Clara perché le prime producono un muco viscoso che a livello dei bronchioli tenderebbe a far collassare la parete dei bronchioli. PORZIONE RESPITORIA: inizierà ad esserci lo scambio di gas - I bronchioli polmonari si biforcano e originano due strutture che prendono il nome di bronchioli respiratori. Essi vengono chiamati così perché sulla loro parete, ad intervalli regolari, sono presenti estroflessioni sacciformi che vengono circondate da una rete di capillari che originano dall’arteria polmonare. Queste estroflessioni sacciformi saranno gli alveoli polmonari, cioè la sede degli scambi gassosi. - I bronchioli respiratori poi continueranno in ulteriori ramificazioni che prendono il nome di dotti alveolari. Le parete dei dotti alveolari saranno completamente costituite da alveoli. Ogni alveolo è connesso con un ampio reticolo di capillari ed è circondato anche da fibre elastiche, le quali contribuiscono a mantenere la posizione relativa degli alveoli e dei bronchioli respiratori. Inoltre, il ritorno di queste fibre durante l’espirazione, riduce le dimensioni degli alveoli, facilitando così il processo di espirazione. - Gli alveoli sono circondati da capillari che derivano dalle ramificazioni successive dell’arteria polmonare. - I dotti alveolari termineranno in porzioni dilatate chiamate sacchi alveolari, ovvero delle camere connesse a più alveoli. ALVEOLI - Struttura più significativa, dal punto di vista fisiologico, all’interno dei polmoni. - All’interno dei polmoni umani ci sono circa 300 milioni di alveoli e la superficie di scambio che si viene a creare con questi 300 milioni di alveoli, è di circa 140 m2. - Sembrano delle sorte di tasche di forma rotondeggiante o poligonale con un diametro di 200 micron. - La parete dell’alveolo è costituita da un epitelio pavimentoso semplice, costituito da un monostrato di cellule che prende il nome di pneumociti. Esistono due tipologie di pneumociti: 1) Pneumociti di tipo 1: • cellule appiattite e molto estese, ricoprono circa il 95% della superficie alveolare. • presentano un citoplasma povero di organuli. • grazie alla loro superficie appiattita e notevolmente estesa, sarà a livello della superficie di queste cellule che avverrà lo scambio di gas tra aria e sangue. • prendono contatto con quelli di tipo 2. 2) Pneumociti di tipo 2: • presentano una forma globosa, arrotondata e con un nucleo ben evidente. • si trovano localizzati a livello degli spigoli che si vengono a formare tra alveoli vicini. • hanno la funzione di produrre una sostanza chiamata SURFACTANTE: lipoproteina costituita per 80-90% da lipidi e che va a ricoprire la superficie esterna degli alveoli, con la funzione di ridurre la tensione superficiale nell’interfaccia tra aria e liquido, andando così ad impedire che l’alveolo collassi su sé stesso. 3) Macrofagi alveolari: cellule presenti a livello degli alveoli. • possono essere liberi all’interno del lume degli alveoli oppure essere presenti nell’epitelio alveolare. • derivano dalla linea monocita-macrofagica e vengono trasportati a livello degli alveoli polmonari dal flusso sanguigno. • hanno il compito di fagocitare ed eliminare del materiale estraneo (polveri e batteri). • sono coinvolti nel turnover del surfactante. - A livello degli alveoli, le membrane delle cellule epiteliali ed endoteliali vanno a formare la membrana respiratoria (barriera sangue-aria), la quale viene attraversata dall’ossigeno e dall’anidride carbonica per semplice diffusione secondo il loro gradiente di concentrazione. La membrana respiratoria è costituita dall’epitelio alveolare e da quello capillare. in particolare, la lamina basale dell’epitelio alveolare e la lamina basale dell’endotelio si fondono fra di loro, formando così una membrana molto molto sottile (0.1 micron). Pertanto, la diffusione tramite questa membrana respiratoria procede molto rapidamente perché la distanza tra i due comparti è veramente molto ravvicinata; inoltre, i gas, essendo liposolubili, riescono ad attraversare questa membrana secondo gradiente di concentrazione. STRUTTURE CHE PASSANO ATTRAVERSO L’ILO POLMONARE: - Entrano: •bronco primario: una volta penetrato all’interno del polmone, darà origine all’albero bronchiale. •arteria polmonare: origina dal ventricolo destro del cuore, per cui porterà sangue venoso ai polmoni. Questo sangue dovrà poi essere ossigenato. L’arteria polmonare, infatti, è l’arteria da cui origina il circolo funzionale del polmone. •arterie bronchiali: porterà del sangue arterioso, cioè sangue che andrà ad ossigenerà il polmone. Quest’arteria originerà dall’aorta ascendente, in particolare dal suo tratto toracico. - Escono: •vene polmonari: sono due per ciascun polmone e portano sangue arterioso (soprattutto a livello dell’atrio di sinistra). •vene bronchiali: sono tipiche perché porteranno il sangue venoso refluo dei nostri polmoni. A livello del polmone, pertanto, è possibile trovare due circolazioni: 1) Circolo polmonare funzionale: costituito da - Arterie polmonari: originano dal ventricolo di destra e porteranno sangue non ossigenato verso il polmone. Qui le arterie formeranno vasi sempre di calibro minore, fino a giungere ai capillari. Pertanto, a livello dei capillari alveolari avviene lo scambio di gas: si cede anidride carbonica e si raccoglie ossigeno. Via via questi capillari formeranno delle vene di calibro sempre maggiore, fino a formare le vene polmonari. - Vene polmonari: sono due per il polmone di sinistra e due per quello di destra. Queste vene trasportano sangue ricco di ossigeno, il quale arriverà all’atrio di sinistra, verrà passato al ventricolo di sinistra e originerà il circolo sistemico con l’aorta. 2) Circolo polmonare nutritizio: circolo tipico costituito da - Arterie bronchiali: portano il sangue ossigenato ai polmoni, cedono il loro ossigeno e ritornano fuori dal polmone sotto forma di vene bronchiali che contengono il sangue deossigenato. - Vene bronchiali. LEZIONE 49 APPARATO DIGERENTE (PARTE 1) - - L’apparato digerente è costituito da una serie di organi cavi che si giustappongono uno di seguito all’altro, formando un lungo canale (9-11 m). Esso si estende dalla rima della bocca, fino all’orifizio anale e comprende diversi organi: sopradiaframmatici e sottodiaframmatici. ORGANI SOPRADIAGRAMMATICI L’apparato digerente ha origine in corrispondenza della cavità orale, la quale presenta organi annessi come denti lingua e ghiandole salivari. La cavità orale continua poi con faringe ed esofago. ORGANI SOTTODIAFRAMMATICI Tra questi ricordiamo lo stomaco, l’intestino tenue, l’intestino crasso e importanti organi ghiandolari ad esso annessi: il fegato e il pancreas. All’apparato digerente sonno annesse ghiandole che secernano sostanze lubrificanti e queste ghiandole si trovano al di fuori del canale, però mantengono rapporti con esso. Si possono individuare tre tipi di ghiandole: 1) Intraepiteliali: sono piccole ghiandole situate nell’epitelio di rivestimento del canale, per esempio le cellule caliciformi mucipare che producono muco. 2) Intramurali: sono ghiandole pluricellulari situate nello spessore della tonaca mucosa e sottomucosa, ad esempio ghiandole salivari. 3) Extramurali: localizzate all’esterno dell’organo cavo dal quale originano embriologicamente, ma mantengono connessione con questo organo tramite il dotto escretore, attraverso il quale immettono il loro secreto all’interno del canale digerente stesso. Tra queste ghiandole ricordiamo il fegato e il pancreas. FUNZIONE APPARATO DIGERENTE: convertire il cibo ingerito in composti che vengono utilizzati dalle cellule dell’organismo. La funzione dell’apparato digerente si esplica attraverso diversi processi: - Ingestione: ingresso di liquidi o solidi tramite la bocca. - Processi meccanici: si esplicano attraverso i denti e continuano anche a livello dello stomaco dove si attua un rimescolamento del cibo. - Digestione: trasformazione chimica ed enzimatica degli alimenti in piccole molecole che verranno poi assorbite dalle cellule dell’epitelio di rivestimento. - Assorbimento: le piccole molecole passeranno attraverso la parete del canale stesso, per poi essere assorbite dai vasi ematici e dei vasi linfatici. In questo modo potranno essere assorbiti macronutrienti come carboidrati, lipidi e proteine o micronutrienti come vitamine e Sali minerali. - Secrezione: processo attraverso cui vengono prodotti e quindi liberati acidi, enzimi per la digestione degli alimenti. - Compattazione: assorbimento di acqua a livello intestinale e quindi progressiva formazione dei rifiuti solidi che poi verranno eliminati con la defecazione. - Escrezione: i prodotti di scarto saranno secreti nel canale digerente da parte del fegato e poi avverrà l’eliminazione. CAVITÀ ORALE: - Prima porzione del canale digerente. - Funzione: ingestione, processi meccanici grazie ai denti e prima digestione chimica ad opera delle secrezioni salivari. - Il pavimento della cavità orale è costituito dalla lingua, la quale rappresenta l’organo del gusto. La cavità orale origina in corrispondenza della rima della bocca (margine libero delle labbra) dove la pelle è sottile e quindi si ha il confine tra la pelle e la mucosa orale. - Il limite tra la cavità orale e la faringe è costituito dall’istmo delle fauci, un restringimento che segna l’ingresso a livello della faringe. L’istmo delle fauci è caratterizzato dalla presenza di una coppia di pliche muscolari, ovvero rilievi della mucosa sostenuti da muscolatura: uno più anteriore chiamato arco palato glosso e uno più posteriore chiamato arco palato faringeo. Questi due archi si congiungono sulla linea mediana e vanno a formare il margine libero del palato molle con l’ugola. L’ugola è molto importante poiché dopo la deglutizione il palato molle e l’ugola si sollevano, per chiudere posteriormente l’ingresso alla rinofaringe e quindi impedire che, durante la deglutizione, si abbia il passaggio del bolo alimentare nelle cavità nasali. Inoltre, fra l’arco palato glosso e quello faringeo si trova la tonsilla palatina (organo pari), un accumulo di tessuto linfatico e hanno una funzione di difesa contro gli antigeni che possono innescare la risposta immunitaria. - A livello della cavità orale distinguiamo il vestibolo della bocca e la cavità orale propriamente detta. Il vestibolo della bocca è una fessura a forma di ferro di cavallo, concava posteriormente ed è limitata anteriormente dalla mucosa delle labbra, lateralmente dalle guance e posteriormente dalle arcate gengivo-dentali. In corrispondenza del vestibolo della bocca si trova un piccolo forellino bianco, si tratta dello sbocco del dotto della ghiandola salivare parotide. Posteriormente al vestibolo della bocca si trova la cavità orale propriamente detta, la quale è limitata anteriormente e lateralmente dalle arcate gengivo dentali e dalle guance, mentre posteriormente il limite è costituito dall’istmo delle fauci che la separa dalla oro faringe. Il pavimento della cavità orale propriamente detta è costituito dalla lingua, mentre il tetto dal palato dura che si continua con il palato molle. - Il rivestimento interno della cavità orale è costituito da una mucosa che presenta un epitelio pluristratificato pavimentoso. DENTI: - Le arcate gengivo dentarie separano il vestibolo della bocca dalla cavità orale propriamente detta. A livello delle arcate gengivo dentarie sono presenti gli alveoli, ovvero delle piccole cavità che ospitano i denti disposti in fila sull’arcata mascellare inferiormente e sull’arcata mandibolare inferiormente. I denti compaiono con due eruzioni successive: - Denti decidui o denti da latte: in totale sono 20 e poi verranno sostituiti dai denti permanenti, i quali sono 32. 20 = 4 incisivi, 2 canini, 4 molari. (per arcata) 32 = 4 incisivi, 2 canini, 4 premolari e 6 molari. (per arcata) - Ciascun dente è costituito da tre porzioni: 1) Corona: parte sporgente all’esterno. 2) Radice 3) Colletto - Il dente all’interno è cavo e al suo interno si trova una cavità chiamata “cavità polpare”, a livello della quale si trova tessuto connettivo, vasi e nervi. Questa cavità è rivestita esternamente da tessuto dentina. La dentina è una varietà di tessuto osseo non lamellare che contiene solo espansioni citoplasmatiche di cellule che si estendono nella dentina a partire dalla cavità polpare. A livello della corona la dentina è rivestita da smalto, una sostanza calcificata prodotta da particolari cellule epiteliali. A livello della radice la dentina è rivestita da cemento, una varietà di tessuto osseo non lamellare, costituito da cellule chiamate cementociti. La radice del dente è legata al proprio alveolo dal parodonto, un legamento connettivale formato da fibre che vanno dalla dentina alla parete dell’osso, creando un’articolazione molto resistente che ha la funzione di mantenere il dente nella sua sede. FUNZIONI DELLA LINGUA: - Coopera con i denti nei processi di masticazione - Interviene nella deglutizione - Fondamentale nell’articolazione di suoni - Organo del gusto LINGUA: - È un organo fibromuscolare in quanto la componente dominante è una struttura muscolare inframezzata da tralci fibrosi. La muscolatura della lingua è costituita da due gruppi di muscoli: muscoli estrinseci ed intrinseci. I muscoli estrinseci sono coinvolti nei movimenti più “grossolani”, mentre i muscoli intrinseci sono più sottili e modificano la forma. - A livello della lingua distinguiamo un corpo o porzione orizzontale della lingua e una base o radice che si va ad introflettere all’interno della faringe. - Osservando la lingua si può identificare una porzione superficiale e una ventrale. Nella superficie ventrale la mucosa è molto sottile, tale per cui si possono vedere anche i vasi interni e c’è una vena molto evidente (molti farmaci sono da mettere sotto la lingua per un assorbimento sublinguale); sempre nella superficie ventrale si può notare una piega mucosa, il frenulo, che connette il corpo della lingua con il pavimento della cavità orale. La funzione del frenulo è quella di “frenare” la lingua, in modo che non si muova troppa. - La superficie dorsale della lingua è più spessa e soprattutto è estremamente specializzata per la presenza di rilievi e strutture particolari. Si può prendere come punto di riferimento un solco a forma di V rovesciata, “V linguale”, che segna il confine tra la base della lingua e il corpo della lingua. A livello della base della lingua sono presenti dei rilievi molto fitti che vanno a costituire la tonsilla linguale, la quale è costituita da accumuli di tessuto linfatico con una funzione di difesa. Il corpo della lingua, invece, è costituito da 4 tipologie di rilievi che prendono il nome di papille linguali (papille filiformi, fungiformi, foliate e vallate). Questi rilievi, complessivamente, hanno la funzione di aumentare l’attrito, cioè impediscono che il cibo scivoli via durante la masticazione. PAPILLE DELLA SUPERFICIE DORSALE DELLA LINGUA: - Filiformi (funzione tattile): sono sparse su tutta la superficie della lingua, sono dei rilievi conici o cilindrici e alla loro estremità è presente un “ciuffo” di prolungamenti filiformi che può essere anche cornificato. Le papille filiformi non hanno calici gustativi, ma svolgono due funzioni importanti: una funzione tattile e l’altra è quella di impedire lo scivolamento del cibo, favorendo i processi di masticazione. Quando l’epitelio va incontro ad un’intensa desquamazione, le papille vengono perse e di conseguenza il dorso della lingua può apparire biancastro. - Fungiformi (funzione gustativa): sono più rigonfie all’estremità e più sottili alla base. Esse presentano pochi calici gustativi e presentano un epitelio non cheratinizzato. La loro funzione è ancora quella di aumentare l’attrito e la funzione gustativa è limitata poiché hanno solo da 1 a 3 calici gustativi per papille. - Vallate (funzione gustativa): sono poche (da 7 a 11) e sono localizzate in corrispondenza della V linguale. Esse presentano un rilievo centrale cilindrico, sono circondate da una sorta di “corona” e presentano un solco (vallo) che si interpone tra la papilla e la corona. In corrispondenza del vallo si aprono delle particolari ghiandole salivari che prendono il nome di ghiandole di Ebner; esse producono un secreto sieroso che ripulisce il vallo e che scioglie i costituenti del cibo, facilitando la ricezione gustativa. - Foliate (funzione gustativa ma rudimentale nell’uomo): sono poco sviluppate nell’uomo e sono formate da pieghe verticali, separate da solchi. Le papille foliate presentano calici gustativi: un calice gustativo è un insieme di cellule, un organo specializzato costituito da aggregati di circa 50-90 cellule. Essi sono corpuscoli di forma ovoidale e presentano una base più slargata e un apice più ristretto, in corrispondenza del quale la papilla si affaccia su un poro gustativo in cui ci sono le porzioni recettoriali delle cellule. Le tipologie cellulari presenti a livello di questo calice gustativo sono 3: cellule basali (funzione staminale), cellule di sostegno e cellule gustative (cellule epiteliali, specializzate nella ricezione di stimoli gustativi). GHIANDOLE SALIVARI A livello della cavità orale sboccano numerose ghiandole salivari, le quali possono suddividersi in due tipologie: 1) Ghiandole salivari minori o intramurali: - Sono molto numerose, si trovano nella parete della cavità orale ma non solo. - Esse producono saliva in continuazione, senza la necessità di stimoli specifici. 2) Ghiandole salivari maggiori o extramurali: - Si trovano all’esterno della cavità orale ma sboccano in essa attraverso un sistema ramificato di dotti. Essi non producono saliva in continuazione ma la salivazione è indotta da stimoli diversi. - Le ghiandole salivari maggiori sono tre paia: due ghiandole parotidee, due ghiandole sottomandibolari e le due ghiandole sottolinguali. - La ghiandola salivare maggiore più grande è la ghiandola parotide, essa si trova in corrispondenza del collo e presenta un lungo dotto chiamato dotto parotideo, attraversa un muscolo a livello della guancia e arriva a livello del vestibolo della bocca, in corrispondenza del secondo molare superiore. La ghiandola parotide è una ghiandola sierosa pura che produce una saliva ricca di elettroliti e di enzimi (amilasi salivare, lipasi salivare, lisozima). La ghiandola sottomandibolare è situata in corrispondenza del pavimento della bocca, vicino all’angolo della mandibola. Il suo dotto escretore sfocia a livello della cavità orale propriamente detta, ai lati del frenulo linguale. La ghiandola sottomandibolare è una ghiandola salivare, il cui secreto è misto ma prevalentemente sieroso. La ghiandola sottolinguale è situata nel pavimento della bocca ed anch’essa sbocca lateralmente al frenulo linguale, con un dotto maggiore e tanti piccoli dotti più piccoli che drenano dei lobuli ghiandolari indipendenti. La ghiandola sottolinguale è una ghiandola a prevalente secrezione mucosa. SALIVA Muco + acqua + proteine (enzimi) Produzione: 1-1.5 litri/giorno 70% prodotta dalla ghiandola salivare sottomandibolare Funzioni: lubrificare la bocca, inumidire il cibo, scioglie le sostanze chimiche del cibo, stimolo per i calici gustativi, controllo antibatterica, inizia la digestione. Cibo lacerato + secrezioni salivari + compattazione per azione della lingua = BOLO. LEZIONE 50 A APPARATO DIGERENTE PARTE 2 a ESOFAGO - Fa seguito alla faringe, a livello della sesta vertebra cervicale e continua fino alla decima vertebra toracica, dove si trova lo stomaco. - È lungo circa 25 cm e presenta un diametro di circa 2 cm. - È un organo che decorre nel collo, a livello toracico, attraversa lo iato esofageo, attraversa il diaframma per poi continuare con un breve tratto a livello addominale. - È una via di transito del bolo alimentare, il quale non subisce nessuna modificazione. - La porzione più lunga è la porzione toracica, mentre la porzione addominale è molto breve. - Presenta dei restringimenti dovuti al rapporto con gli organi vicini. Un primo restringimento prende il nome di restringimento cricoideo, si trova nella porzione cervicale dell’esofago e prende rapporto con la laringe. Un altro restringimento si trova nel punto in cui l’esofago entra in rapporto con l’arco dell’aorta. Ci sono poi il restringimento in rapporto al bronco principale sinistro e il restringimento diaframmatico, nel punto in cui l’esofago attraversa il diaframma. - L’esofago entra anche in rapporto con la trachea anteriormente, con il cuore e con il fegato. Rapporto con il cuore: l’infiammazione del pericardio può determinare una compressione dell’esofago e in questi casi può rendere difficoltosa la deglutizione. - L’esofago presenta due sfinteri: 1) Sfintere faringoesofageo (superiore): è localizzato in corrispondenza del punto di passaggio fra la faringe e l’esofago. 2) Sfintere gastro-esofageo (inferiore): è localizzato in corrispondenza del passaggio dell’esofago attraverso il diaframma. Ha la funzione di impedire il reflusso del succo gastrico a livello del lume esofageo. - Se lo iato esofageo del diaframma non si chiude attorno all’esofago si ha l’ernia iatale, attraverso la quale lo stomaco può protrudere nella cavità toracica. - L’esofago è un organo cavo, il cui lume interno è chiuso e si apre solo in seguito al passaggio del bolo. - La mucosa dell’esofago è caratterizzata da un epitelio di rivestimento molto spesso, la lamina propria sottostante è costituita da tessuto connettivo e c’è uno strato di muscolatura liscia che va a costituire la muscolatura della mucosa. - La tonaca sottomucosa, in condizioni di riposo, è sollevata e forma delle pieghe longitudinali. È costituito da connettivo-fibre collagene e connettivo elastico. La tonaca sottomucosa ospita delle ghiandole tubulo acinose composte a secrezione mucosa; il muco prodotto ha un’azione prevalentemente lubrificante. - La tonaca muscolare è formata da due strati di muscolatura, in cui lo strato più interno è uno strato circolare e lo strato interno longitudinale. Per quanto riguarda il tipo di muscolatura, dobbiamo dividere l’esofago in tre parti: la porzione superiore dell’esofago presenta muscolatura striata, la porzione intermedia dell’esofago presenta fibre striate mischiate alle lisce e la porzione inferiore dell’esofago presenta muscolatura liscia. LEZIONE 50 B APPARATO DIGERENTE PARTE 2 B REGIONI DELL’ADDOME: sono 9 - Ipocondrio destro Epigastrio Ipocondrio sinistro Regione lombare destra Regione ombelicale Regione lombare sinistra Regione iliaca destra Ipogastrio Regione iliaca sinistra PERITONEO È membrana sierosa che tappezza l’intera cavità addominale, riflettendosi sugli organi in esso contenuto. Questa membrana è molto estesa e prende il nome di peritoneo parietale nella porzione in cui riveste la parete addominale e peritoneo viscerale quando riveste i visceri. I foglietti si continuano l’uno all’altro e delimitano una cavità virtuale detta cavità peritoneale. Alcuni organi (che si formano durante lo sviluppo embrionale) rimangono addossati alla parete addominale posteriore e vengono rivestiti da questa membrana. Gli organi rivestiti solo dal foglietto parietale del peritoneo vengono detti organi retroperitoneali (es reni, pancreas, duodeno). Altri organi (definiti intraperitoneali=rivestiti completamente dal foglietto viscerale), durante lo sviluppo embrionale, si addentrano nella cavità peritoneale, perdendo il rapporto con il peritoneo parietale. A questo punto il foglietto peritoneale si dispone progressivamente a circondare completamente l’organo e questo foglietto prenderà il nome di foglietto viscerale. Il MESO è la riflessione del peritoneo parietale e contiene vasi che portano nutrienti e ossigeno all’organo ed ha anche la funzione di stabilizzare l’organo rispetto ad organi vicini. Il meso prende il nome di legamento, nel momento in cui unisce due organi vicini. Quando si parla quindi di cavità peritoneale si intende quello spazio compreso tra il foglietto parietale del peritoneo e il foglietto viscerale che riveste gli organi. Questo spazio è uno spazio virtuale che non contiene organi, ma contiene un sottile film di liquido che ha la funzione di assecondare il movimento degli organi intraperitoneali mobili. LEZIONE 51 APPARATO DIGERENTE (PARTE TRE) LO STOMACO È un tratto dilatato del canale alimentare, compreso fra esofago e intestino tenue. È situato nella cavità addominale al di sotto del diaframma e occupa l’ipocondrio sinistro e parte della regione epigastrica ma, in alcuni casi può scendere anche a livello della regione ombelicale. A livello dello stomaco gli alimenti si accumulano e sostano temporaneamente per essere sottoposti all’azione digestiva dei succhi gastrici. Questi convertono il cibo ingerito nel chimo, un composto liquido che attraversa il duodeno, dove attraverso la bile e il succo pancreatico verranno completati i processi digestivi. Lo stomaco presenta dimensioni variabili con l’età e nei due sessi: è più voluminoso del maschio rispetto alla femmina. Ha una capacità media di 1200 ml, la quale può variare a seconda delle condizioni alimentari: aumentano i vegetariani e nei forti mangiatori. Presenta una forma a J o di sacca allungata, con un’estremità prossimale a forma di cupola posta sotto il diaframma, in alto a sinistra. L’estremità distale invece è più conica e si trova in basso a destra. Lo stomaco è leggermente appiattito in senso antero-posteriore e presenta due pareti lisce: una superficie anteriore leggermente convessa e una posteriore. Queste si incontrano nel margine • destro: è più piccolo (15 cm) e concavo. Prende il nome infatti di PICCOLA CURVATURA DELLO STOMACO; • sinistro: è più ampio (40 cm) e covesso. Prende il nome infatti di GRANDE CURVATURA DELLO STOMACO. Vi sono inoltre due orifizi • uno superiore o cardias: è il punto di comunicazione tra esofago e stomaco; • uno inferiore o piloro: è il punto di comunicazione tra stomaco e duodeno. Nello stomaco ci sono 4 parti: 1. Il cardias: una regione di 2 cm2 che si trova sotto l’orifizio cardiale; 2. Il fondo: è la parte più alta dello stomaco a forma di cupola che si trova sotto il diaframma; 3. Il corpo: è la parte più espansa che va dal fondo per la parte pilorica; 4. La parte pilorica: ha una forma conica e continua con il duodeno. Tale porzione suddivide a sua volta in anto pilorico (conico e ampio) e canale pilorico (cilindrico). Lo stomaco entra in rapporto • superiormente con il diaframma; • anteriormente con la parete toracica e addominale, con il fegato; • inferiormente con il colon trasverso; • posteriormente con la milza, il rene sinistro e la ghiandola surrenale sinistra, il pancreas e l’aorta. Lo stomaco è un organo intraperitoneale, rivestito per la maggior parte da peritoneo viscerale. Solo una porzione dietro il fondo dello stomaco è sprovvista di peritoneo ma è in diretto rapporto con il diaframma. Qui le due lamine peritoneali non entrano in contatto ma divergono: quella anteriore si riflette in alto sul diaframma mentre quella posteriore si riflette in basso, sulla parete addominale posteriore per continuare con il peritoneo parietale. Qui si crea quindi un vincolo peritoneale con il diaframma, che prende il nome di LEGAMENTE GASTROFRENICO, che connette stomaco e diaframma. A livello del fondo dello stomaco si inserisce anche un altro legamento, il LEGAMENTO GASTROSPLENICO, che connette stomaco e milza. Infine, in corrispondenza della grande curvatura dello stomaco, si trova il LEGAMENTO GASTROCOLICO, che porta al colon trasverso. Tale legamento forma un’ampia lamina che si estende nello spazio compreso fra le anse intestinali e la parete addominale anteriore, lamina che ha margine laterale e inferiore liberi e si ripiega a salire verso l’alto raggiungendo il margine inferiore del colon trasverso. Tale lamina prende il nome di GRANDE OMENTO. Lungo la piccola curvatura dello stomaco invece, vi è il LEGAMENTO EPATOGASTICO, che unisce lo stomaco al fegato. Più a destra infine vi è il LEGAMENTO EPATODULDENALE, in quanto unisce il fegato al duodeno. L’insieme di questi due legamenti forma il PICCOLO OMENTO, che va dalla piccola curvatura dello stomaco all’ilo del fegato. Dietro allo stomaco si forma un diverticolo della grande cavità peritoneale chiamato BORSA OMENTALE, la quale comunica con la cavità attraverso un FORAME EPIPLOICO, situato dietro il duodeno. CONFIGURAZIONE INTERNA DELLO STOMACO Quando lo stomaco è vuoto, la superficie interna si solleva in numerose pieghe grossolane chiamate PIEGHE GASTICHE, che scompariranno quando l’organo sarà pieno. Queste sono dirette prevalentemente lungo l’asse longitudinale dell’organo ma si intrecciano a formare un reticolo irregolare. In corrispondenza della piccola curvatura dello stomaco, le pieghe sono meno anastomizzate, meno sporgenti e più longitudinali: tale spazio prende il nome di VIA GASTRICA BREVE, la quale collega direttamente l’esofago con il piloro e favorisce il trasporto veloce dei liquidi. A livello del piloro l’organo si solleva a formare una piega che sporge all’interno della cavità e che prende il nome di VALVOLA PILORICA. Questa circoscrive l’orifizio pilorico, formato prevalentemente dalla tonaca muscolare. Quando lo stomaco si distende, restano visibili sulla sua superficie AREOLE GASTRICHE delimitate da solchi permanenti, ossia piccole aree di 2-4 mm di diametro. Sulla superficie sono presenti piccoli fori che rappresentano lo sbocco di piccole FOSSETTE GASTRICHE, dove si aprono le ghiandole gastriche. La mucosa che si trova a fra una fossetta e l’altra si solleva a formare CRESTE GASTRICHE. Essendo un organo cavo, lo stomaco è costituito da • tonaca mucosa: formata all’esterno da un epitelio di rivestimento, dalla lamina propria e da una muscolaris micosae. Qui l’epitelio cilindrico semplice riveste le cresce fino al fondo della fossetta, dove si aprono le ghiandole gastriche. Tali cellule producono muco costituito prevalentemente da proteoglicani neutri, muco che viene liberato nel lume dell’organo a formare uno strato che riveste la superficie interna dello stomaco e lo protegge da • l’azione degli enzimi protolitici, che potrebbero digerire la mucosa stessa dello stomaco; • l’acidità del succo gastrico neutralizzandolo. Le cellule di rivestimento delle ghiandole gastriche sono diverse, anche a seconda della posizione all’interno dello stomaco; • tonaca sottomucosa: aderisce intimamente alla mucosa ed è costituita da tessuto connettivo lasso. Il suo ruolo è fondamentale nella formazione delle pieghe poiché è responsabile del loro sollevamento; • tonaca muscolare: è particolarmente spessa, infatti è costituita da tre strati di fibre muscolari lisce. Nello strato esterno, le fibre hanno un andamento longitudinale, aprendosi a ventaglio verso la grande curvatura (quindi non si trovano nella piccola curvatura e nella regione pilorica), in quello intermedio circolare e in quello interno obliquo. Questo permette allo stomaco di contrarsi con forza, favorisce il rimescolamento del cibo (effetto betoniera) e la digestione meccanica e la progressione del cibo a livello del duodeno. In corrispondenza del passaggio tra piloro e duodeno infatti è presente lo sfintere pilorico, il quale controlla lo svuotamento dello stomaco; • tonaca sierosa. LE GHIANDOLE GASTRICHE Le ghiandole gastriche infatti possono essere divise in 1. Ghiandole cardiali: in corrispondenza del cardias; 2. Ghiandole propriamente dette o principali: situate a livello del fondo del corpo dello stomaco. Sono ghiandole tubulari semplici, che presentano un lume molto ristretto e sono rivestite da • cellule di rigenerazione, situate nella regione di confine con l’epitelio della fossetta. Sono cellule staminali che si dividono per mitosi e danno origine sia alle cellule di rivestimento della fossetta (che si rinnovano ogni tre giorni) che alle cellule del tubulo ghiandolare, • cellule mucose del colletto, producono muco acido e sono localizzate nella parte superiore della ghiandola, • cellule ossintiche o parietali, presentano canalicoli intracellulari per aumentare la superficie secernente. Tali cellule producono infatti HCl, il quale rappresenta una delle componenti fondamentali del succo gastrico in quanto porta il pH del succo gastrico a 2, determinando la conversione del pepsinogeno in pepsina. Tali cellule producono anche il fattore intrinseco, una proteina in grado di legare la vitamina B 12, rendendola assorbibile a livello intestinale. Tale procedimento è molto importante poiché da qui dipende la maturazione degli eritrociti (carenze di fattore intrinseco provocano anemia), • cellule zimogene o principali: sono localizzate sul fondo della ghiandola e producono pepsinogeno e renina per digerire le proteine del latte che quindi è prodotta soprattutto a livello neonatale, • cellule enteroendocrine: appartengono sistema endocrino diffuso e producono ormoni quali gastrina, che viene assorbita dai capillari sottostanti e agisce a livello delle cellule dello stomaco stesso, favorendo la contrazione della muscolatura e la produzione di succo gastrico. 3. Ghiandole piloriche: insieme a quelle cardiali, sono tubulari ramificate e producono prevalentemente muco. La secrezione della ghiandola gastrica pertanto sono • • muco, con funzione protettiva e lubrificante; succo gastrico, circa 1.5 L al giorno con pH 2-0.9. L’acidità di tale succo ha una funzione corrosiva del bolo ed è fondamentale per la conversione del pepsinogeno in pepsina, enzima in grado di digerire le proteine. FUNZIONI DELLO STOMACO • accumulo del cibo ingerito, dove subisce una digestione meccanica (grazie all’azione della muscolatura gastrica che lo rimescola) e una digestione chimica (grazie agli acidi prodotti dalle ghiandole gastriche). Tuttavia, a livello gastrico vengono digerite solo le proteine minori, il resto viene digerito dal duodeno; • creazione del CHIMO, una sostanza viscosa data dal bolo impastato con acidi e enzimi; • assorbimento di alcuni farmaci e del 20% dell’alcol che viene introdotto, per questo motivo l’alcol entra velocemente in circolo. LEZIONE 52 APPARATO DIGERENTE (PARTE QUATTRO) L’INTESTINO A livello dello sfintere pilorico si ha il passaggio dallo stomaco all’intestino, un tratto dell’apparato digerente che si sviluppa sotto forma di lungo tubo fino all’orifizio anale. In particolare, l’intestino viene suddiviso due sezioni, diverse dal punto di vista strutturale e funzionale. Queste sono • INTESTINO TENUE, diviso a sua volta in duodeno, digiuno e ileo; • INTESTINO CRASSO, diviso a sua colta in cieco (con appendice vermiforme), colon e retto. L’INTESTINO TENUE È la parte del canale alimentare che va dallo stomaco all’intestino crasso: inizia a livello dello sfintere pilorico e termina nella valvola ileo-ciecale. All’interno si svolgono funzioni di digestione e assorbimento. È formato da una sorta di tubo aggrovigliato, il quale occupa gran parte della cavità addominale e parte della piccola pelvi. La maggior parte è ricoperta da peritoneo (intestino tenue mesenteriale, costituito da digiuno e ileo) mentre il duodeno ne è privo. Il duodeno è il primo tratto, il più corto (30 cm) ma quello con diametro maggiore. Ha la forma di C o ANSA DUODENALE, aperta superiormente a sinistra per abbracciare la testa del pancreas. Il duodeno è costituito da • una porzione superiore: è l’unica rivestita completamente da peritoneo (porzione mobile); • una porzione discendente: porzione retropritoneale, presente solo sulla porzione posteriore • una porzione orizzontale: porzione retropritoneale; • una porzione discendente: porzione retropritoneale. Il passaggio dal duodeno al digiuno avviene in corrispondenza della FLESSURA DUODENO-DIGIUNALE. Il duodeno riceve dallo stomaco il chimo acido, dal dotto coledoco la bile del fegato e dal dotto pancreatico principale ed il dotto pancreatico accessorio il succo pancreatico. Sia il dotto coledoco che quello principale attraversano il duodeno e sboccano nella PAPILLA DUODENALE MAGGIORE, un rilievo sulla mucosa interna del duodeno. All’interno del duodeno i due dotti possono rimanere separati ma tendono a unirsi a formare una struttura comune chiamata AMPOLLA DUODENALE. Qui la tonaca muscolare forma uno sfintere epatopancreatiche di Oddi, per permettere l’apertura e la chiusura di tali sbocchi. All’interno della parete vi è anche un altro rilievo, meno pronunciato, che prende il nome di PAPILLA DUODENALE MINORE, dove sbocca il dotto pancreatico accessorio. L’intestino mesenteriale si sviluppa dalla flessura duodeno digiunale alla valvola ileo-ciecale. Questo è il tratto più lungo dell’intestino che raggiunge 7 m nell’ individuo adulto. Questo è costituito da: • il digiuno: rappresenta i 2/5 prossimali dell’intestino tenue mesenteriale. Questo presenta un lume più ampio, una parete più spessa e ricca di ghiandole e villi. • l’ileo: rappresenta i 3/5 distali dell’intestino tenue mesenteriale. Questi due tratti non sono divisi da un confine identificabile ma presentano caratteristiche diverse. Il nome intestino tenue mesenteriale deriva da una struttura di origine peritoneale chiamata MESENTERE. Si tratta di una struttura formata da due foglietti peritoneali che si accollano l’uno sull’altro per poi allontanarsi tra di loro per accogliere al proprio interno le porzioni peritoneali. Pertanto, l’intestino tenue mesenteriale è collegato alla parete posteriore dell’addome attraverso tale struttura, grazie alla quale è dotato di grande mobilità. Data la lunghezza però, l’intestino si ripiega a formare delle anse, formando così la matassa intestinale. Anche qui hanno luogo i processi di digestione e assorbimento, per cui, a livello di tutto l’intestino tenue, è necessaria una superficie epiteliale di assorbimento. Questa è data dalla lunghezza e dalla presenza di un’architettura della parete destinare interna che permette un aumento della superficie assorbente. Vi sono per esempio • pliche circolari o valvole conniventi del Kerckring, estroflessioni permanenti della mucosa e della sottomucosa, che fanno aumentare la superficie di assorbimento di tre volte; • villi, estroflissioni a livello della mucosa, i quali fanno aumentare la superficie di assorbimento di 10 volte. Essi sono costituiti da un corpo centrale di tessuto connettivo della lamina propria e un epitelio di rivestimento cilindrico semplice; • microvilli sulla superficie apicale degli enterociti (cellule che costituiscono l’epitelio cilindrico semplice dell’intestino), che faranno aumentare la superficie di assorbimento di 30/40 volte; • ghiandole intestinali o cripte di Lieberkun, ossia invaginazioni della tonaca mucosa. Essendo un organo cavo, L’intestino è costituito da una sovrapposizione di tonache • tonache avventizia (costituito solo da tessuto connettivo) nell’ultima parte del duodeno e sierosa nell’intestino mesenteriale; • tonaca muscolare, costituita da due strati muscolatura liscia di cui lo strato più esterno ha un andamento longitudinale mentre quello più interno ha un andamento circolare. Tra questi due strati vi è un plesso mioenterico, che permette movimenti peristaltici a livello dell’intestino; • tonaca sottomucosa, costituita da tessuto connettivo lasso, all’interno della quale si possono trovare vasi e nervi. In particolare, qui si ha un plesso nervoso sottomucoso; • tonaca mucosa, costituita da muscolaris mucosae di tessuto muscolare liscio, da lamina propria di tessuto connettivo e da tessuto epiteliale cilindrico semplice (più interno). Qui ci sono le ghiandole intestinali e i villi, i quali sono costituiti da vari sanguigni poiché si ha l’assorbimento di sostanze che verranno poi portate nel circolo sanguigno. Inoltre, all’interno di ogni villo è presente anche un vaso linfatico chiamato vaso chilifero, il quale trasporta le sostanze di natura lipidica. Il tutto, come già detto, è rivestito da un epitelio cilindrico costituito da • cellule assorbenti o enterociti: cellule alte di forma cilindrica che presentano circa 3000 microvilli sulla superficie apicale, i quali formano l’orletto a spazzola. A questo livello, gli enterociti sono ricoperti da glicocalice, dove sono localizzati gli enzimi che andranno a completare il processo digestivo come le disaccaridasi e le aminopeptidasi: questi rilasciano aminoacidi e monosaccaridi che verranno riassorbiti e messi in circolo. • cellule calicifromi mucipare: sono interposte in maniera irregolare tra gli enterociti. Queste secernono muco per lubrificare la parete interna delle testine e facilitare quindi la progressione del contenuto intestinale. Man mano che si va verso la parte finale dell’intestino, queste aumenteranno di numero perché più sono e più muco verrà prodotto. LEZIONE 53 APPARATO DIGERENTE (PARTE 5) A livello della tonaca mucosa sono presenti le ghiandole intestinali e i noduli linfatici, i quali difendono l’organismo da eventuali patogeni. Inoltre, a livello della tonaca propria, vi sono fibroblasti, fibre reticolari ed elastiche e fascetti di muscolatura liscia che derivano dalla muscolaris mucosae. Infatti, dalla parete interna di quest’ultima si sviluppano dei tralci di muscolatura liscia che vanno a penetrare anche l’asse centrale del villo. Questo permetterà la contrazione dei villi, importanti durante la digestione. LE GHIANDOLE INTESTINALI o CRIPTE DI LIEBERKUHN Si trovano intercalate ai villi, si introflettono a livello della tonaca mucosa dell’intestino tenue. Si tratta di ghiandole esocrine tubulari semplici, ricoperte da un epitelio in continuità con quello dei villi. Tali ghiandole sono infatti formate da 1. enterociti; 2. cellule caliciformi mucipare; 3. cellule enteroendocrine: si tratta di cellule cilindriche con la caratteristica di produrre ormoni, i quali verranno immessi all’interno della circolazione sanguigna. Questi sono la gastrina, che va ad agire sulle cellule parietali delle ghiandole gastriche, stimolandone la secrezione di HCl, la secretina, la quale agisce sulla secrezione esocrina pancreas, la colecistochilina, che agisce a livello del pancreas e delle vie biliari; 4. cellule staminali di rigenerazione: si trovano nella parte più profonda delle ghiandole e andranno a rimpiazzare tutti gli altri tipi di cellule, anche a livello dell’epitelio del villo; 5. cellule di Paneth: tali cellule si trovano nella base della ghiandola, in particolare a livello del digiuno e dell’ileo. Queste sono ricche di granuli di secrezione che contengono il lisozima, una proteina ad azione antibatterica. DIFFERENZE FRA I TRATTI DELL’INTESTINO TENUE 1. La tonaca più esterna: a livello del duodeno e avventizia mentre, nel digiuno e nell’ilio è sierosa; 2. La tonaca sottomucosa: in generale è costituita da tessuto connettivo lasso riccamente vascolarizzato ma • nel duodeno vi sono le ghiandole sottomucose di Brunner, ghiandole tubulari composte che immettono il proprio secreto nel lume del duodeno, attraverso i dotti che attraversano la mucosa. Tali ghiandole secernono una sostanza neutra poiché ricca in bicarbonato, che andrà a tamponare l’acidità del chimo che arriva dallo stomaco e l’urogastone, che stimola la divisione cellulare nelle cripte e inibisce la secrezione gastrica; • nell’ileo vi sono aggregati linfoidi o placche di Peyer. Si tratta di aggregati di natura linfatica costituiti da noduli linfatici aggregati per differenziare ileo e digiuno. Quest’ultimo infatti non possiede placche di dimensioni tanto grandi. L’INTESTINO CRASSO Ha inizio subito dopo il termine dell’ileo, in corrispondenza della valvola ileo-ciecale e termina a livello dell’orifizio anale. L’intestino crasso non ha funzione digestiva ma serve per • Il riassorbimento di acqua ed elettroliti; • L’assorbimento di vitamine liberate dall’attività della flora batterica intestinale; • La compattazione del contenuto intestinale in feci, le quali vengono accumulate a livello del canale anale per essere eliminate. L’intestino crasso si trova all’interno della cavità addominopelvica, ha una lunghezza inferiore a quella dell’intestino tenue, circa di 1,8 m. Questo si divide in • Intestino cieco, a cui è associata l’appendice vermiforme: è il tratto immediatamente successivo all’ileo, che si trova a livello della fossa iliaca destra; • Colon: si divide a sua volta in colon ascendente (il primo tratto che risale verso l’alto), che giunge all’ipocondrio di destra, in prossimità della faccia inferiore del fegato. Qui ripiega verso sinistra a formare la flessura destra del colon, per poi proseguire verso sinistra a formare il colon trasverso. Quando questo giunge all’ipocondrio di sinistra, forma la flessura sinistra del colon in corrispondenza del polo inferiore della milza, dove si ripiega verso il basso e proseguire con il colon discendente che giunge nella fossa iliaca di sinistra. A questo punto si passa dalla cavità addominale a quella pelvica e si forma il colon iliaco, il quale prosegue verso la linea mediana del corpo nel colon pelvico. Quest’ultimo tratto viene anche definito come colon illeo pelvico o sigmoideo (a causa della sua forma); • Intestino retto: a livello della terza vertebra sacrale, il colon continua verso il basso con l’intestino retto, il quale si apre verso l’esterno a livello del perineo posteriore tramite l’orifizio anale. La superficie esterna dell’intestino crasso è ricca di gibbosità, cioè di estroflessioni sulla parete esterna, separate da solchi. Inoltre, sempre sulla superficie esterna, ci sono tre strutture nastriformi costituite da muscolatura liscia, chiamate TENIE COLI, ossia lo strato esterno di muscolatura presente nella tonaca muscolare. Queste si formano perché sono più corte dell’intera lunghezza dell’intestino crasso per cui tutte le porzioni che non vengono circondate dai tre nastri di muscolatura formano delle pieghe. In corrispondenza di queste, nella parete interna vi sono estroflessioni della parete chiamate HAUSTRA. Inoltre, a livello dei nastri di muscolatura liscia, esternamente vi sono delle appendici epiploiche gialle, che non sono che estroflessioni di peritoneo ripiene di tessuto adiposo. Per quanto riguarda il peritoneo, vi sono • zone intraperitoneali: il cieco, il colon trasverso e sigmoideo. Questi presentano lamine di peritoneo che li ancora alla parete posteriore dell’addome (mesocolon trasverso). • zone retroperitoneali: il retto, il colon ascendente e discendente. Qui il peritoneo ricopre solo la faccia anteriore e le due laterali. A differenza dell’intestino tenue, nell’intestino crasso non vi sono villi e le ghiandole intestinali sono più profonde e più ampie. L’intestino crasso è composto da • tonaca avventizia: presente solo nelle porzioni retroperitoneali; • tonaca sierosa: presente nelle porzioni intraperitoneali; • tonaca muscolare: costituito da muscolatura liscia disposti in due strati. In quello più interno la muscolatura liscia ha un andamento circolare mentre, lo strato più esterno, ha un andamento longitudinale. Queste non ricoprono interamente la parete dell’intestino ma si raggruppano formando la tenia coli. Tra le due sezioni è presente il plesso nervoso mioenterico; • tonaca sottomucosa: costituita da tessuto connettivo (con una notevole vascolarizzazione) e dal plesso nervoso mucoso; • tonaca mucosa: ha una parete liscia ed è costituita da un epitelio cilindrico semplice che si dispone in maniera ininterrotta se non in corrispondenza dello sbocco delle ghiandole intestinali. Inoltre, sono inoltre presenti noduli linfatici poiché qui il cibo non digerito viene solidificato ed è perlopiù costituito da sostanze dannose che devono essere solidificate poiché acqua e sali minerali sono stati ormai assorbiti completamente. Sotto l’epitelio, costituito da enterociti e cellule caliciformi mucipare, vi sono la lamina propria e muscolaris mucosae. L’epitelio, a livello della lamina propria forma le ghiandole intestinali, ossia ghiandole tubulari semplici formate da enterociti, cellule caliciformi mucipare, cellule di rivestimento e enteroendocrine, le quali producono grandi quantità di muco che viene rilasciato sulla superficie interna per proteggere l’intestino, in maniera che le sostanze non digerite non rovinino la tonaca. Tale struttura riguarda quasi tutto l’intestino crasso a parte l’appendice e l’intestino retto. APPENDICE VERMIFORME È un condotto sottile il quale si origina dalla parte mediale del cieco e si dirige medialmente all’interno dell’organismo. Presenta un’estremità libera che si rivolge perlopiù verso il basso. Qui non vi sono le tenie coli a livello della tonaca muscolare ma presenta uno strato continuo di muscolatura longitudinale. Inoltre, la mucosa presenta un grandissimo quantitativo di tessuto linfatico. In particolare, sono molto presenti i follicoli linfatici, i quali presentano zone bianche che prendono il nome di centri germinativi. Tutto ciò fa dell’appendice un organo molto simile all’intestino ma allo stesso tempo appartenente al sistema linfatico. IL RETTO È l’ultimo tratto dell’intestino crasso dove si distinguono due porzioni, il cui limite anatomico si trova a livello del muscolo elevatore dell’ano. Queste sono • un’ampolla rettale, la quale ha una struttura identica a quella delle altre porzioni; • un canale anale, che presenta delle modificazioni. Qui la superficie interna presenta una serie di pieghe o COLONNE RETTALI (da 10 a 5), che si sollevano all’interno della tonaca mucosa. La base di queste pieghe presenta un andamento frastagliato (LINEA PETTINATA) e ha un decorso circolare tutto intorno al canale. Inoltre, la sottomucosa presenta strutture vascolari chiamate plesso emorroidale interno, molto sviluppata a livello delle colonne rettali, il quale si sviluppa verso il basso a formare il plesso emorroidale esterno attorno all’orifizio esterno. Quando vi è un’infiammazione, questi provocano le emorroidi. Infine, la tonaca mucosa mantiene le stesse caratteristiche fino alla linea pettinata, a livello della quale l’epitelio diventa pavimentoso pluristratificato. Man mano che si va verso l’esterno, l’epitelio diventa anche corneificato, per poi passare all’epidermide, dove vi sono peli e ghiandole sebacee. La tonaca muscolare invece, presente muscolatura continua nello strato longitudinale (non presenta tenie coli) e, a livello della muscolatura circolare spessa, si costituisce lo sfintere anale interno di muscolatura liscia. Solo alla altezza dell’orifizio anale vi è un altro ispessimento di muscolatura, ossia lo sfintere anale esterno, costituito da muscolatura striata e quindi sotto il controllo della nostra volontà. LEZIONE 54 APPARATO DIGERENTE (PARTE 6) IL FEGATO Si tratta di una ghiandola esocrina extramurale che secerne bile. Si colloca all’interno della cavità addominale, all’altezza delle ultime tue vertebre toraciche, separato dal diaframma dal cuore e dalle due pleure. Inferiormente invece entra rapporto con lo stomaco e il colon trasverso. Proiettando la forma del fegato sulla parete anteriore dell’addome, si nota che il fegato ha una forma triangolare. Il suo peso è variabile a seconda del sesso e del peso dell’individuo: va sa 1800-2300 grammi, di cui fino 800 grammi di sangue circolante, che dà al fegato la colorazione rosso bruno. Il fegato è rivestito da peritoneo, costituito da un foglietto parietale e viscerale, pertanto si tratta di un organo intraperitoneale, anche se vi è un’area nuda in cui non è presente peritoneo. Il fegato ha una consistenza deprimibile al tatto, per cui, nel corso dello sviluppo, gli organi che entrano in rapporto con il fegato provocano delle impronte sulla sua superficie. Il fegato è un organo pieno avvolto da una capsula di Glisson di natura connettivale. Inoltre, sulla superficie liscia si possono individuare due facce • faccia diaframmatica o antero-superiore: è liscia e presenta un solco sagittale superiore del fegato in due lobi, uno destro (più esteso e complesso) e uno sinistro. A livello del solco si ha anche l’incontro dei due foglietti peritoneali, dove formano il LEGAMENTO FALCIFORME. Questo si dirige verso la parete interna anteriore dell’addome e costituirà una delle strutture filamentose che permettono al fegato di rimanere sospeso all’interno della cavità; • faccia viscerale o postero-inferiore: è concava e irregolare a causa delle impronte presenti sulla superficie dovute all’interazione con organi vicini. Questi sono lo stomaco, il duodeno, il rene destro e il colon. Inoltre, vi sono tre solchi: il solco sagittale destro e sinistro e il solco trasverso, il quale individua l’ilo del fegato, A livello del cuore si ha il peduncolo epatico, a cui appartengono la vena porta, l’arteria epatica, i dotti epatici destro e sinistro e vasi linfatici e nervi. Tali solchi dividono il fegato nel lobo destro e sinistro, nel lobo caudato (superiore al solco trasverso) e Il lobo quadrato (inferiormente). Infine, vi sono la fossa cistica, ossia una depressione che accoglie la cistifellea e la fossa della vena cava inferiore. e due margini • margine acuto antero-inferiore. • margine ottuso postero superiore: è presente l’area nuda. LA VASCOLARIZZAZIONE DEL FEGATO Il fegato è riccamente vascolarizzato. Per quanto riguarda le arterie, l’arteria epatica propria (una diramazione dell’arteria epatica comune, un ramo terminale d tripode celiaco) giunge all’ilo del fegato; qui penetra all’interno del fegato e si divide nei rami destro e sinistro. Insieme all’arteria, penetra anche la vena porta epatica, infatti al fegato giunge sia il sangue arterioso che venoso. In particolare, la vena porta raccoglie il sangue proveniente dalla maggior parte dei visceri addominali come stomaco, intestino tenue, la maggior parte dell’intestino crasso, la milza, ricco di CO2 e dei nutrienti raccolti dai processi digestivi, utilizzati dal fegato in diversi processi metabolici. Inoltre, a livello del fegato avviene la degradazione di farmaci, prima che il sangue rientri in circolo. Infine, dal fegato fuoriesce il condotto epatico comune, il quale ha andamento contrario rispetto alla vena porta e all’arteria epatica poiché serve per trasportare la bile fuori dal fegato. A livello del parenchima del fegato, vi sono le vene centro lobulari, le quali sono il primo tratto delle vie di drenaggio venoso. Da queste si originano via via dei vasi sempre più grandi, fino a formare la vena epatica comune che fuoriesce dal margine superiore per immettersi nella vena cava inferiore. LA STRUTTURA DEL FEGATO In quanto organo pieno, sono presenti la capsula di Glisson: di natura connettivale, costituita da connettivo denso con poche fibre elastiche. È fortemente aderente al parenchima, in quanto dalla capsula originano setti robusti che penetrano nel parenchima. A livello dell’ilo invece, tende ad ispessirsi per circondare i vasi; • lo stroma: è costituita da tessuto connettivo reticolare. Tuttavia, nell’uomo tale parenchima è molto scarso e privo di fibroblasti; • il parenchima: è costituito da tessuto epiteliale che si unisce a formare strutture specifiche del fegato chiamate LOBULI EPATICO CLASSICI. Queste sono strutture tridimensionale con base irregolare poligonale, esagonale, avvolti da stroma. Il lobulo è l’unità morfofunzionale del fegato, separato dagli altri lobuli da abbondante tessuto connettivo nella maggior parte degli animali e pressoché unito nell’uomo, a causa della poca quantità di tessuto connettivo. Entrambi però presentano epatociti disposti in cordoni cellulari con andamento radiale. Gli epatociti sono cellule grandi e poliedriche, talvolta binucleate, costituite da • un dominio sinusoidale, che guarda verso il sinusoide epatico. Gli epatociti e le pareti dei sinusoidi non vengono mai a contatto poiché vi è lo spazio di Disse, all’interno del quale vi è un liquido, che un derivato plasmatico. Inoltre, la parete degli epatociti presenta molti microvilli per aumentare la superficie di scambio tra epatocitibe sinusoidi; • un dominio canicolare, che presenta al proprio interno un canalicolo biliare; • un dominio laterale, dove due epatociti continui vengono a contatto. Questi possono anche anastomizzarsi fra di loro, a circondare zone vascolari di forma irregolare chiamati sinusoidi epatici, capillari a livello dei quali avvengono gli scambi tra sangue ed epatociti. Tali capillari presentano • un letto vascolare ampio; • un decorso tortuoso; • un endotelio fenestrato e quindi molto permeabile; • una membrana basale discontinua. In questo modo è più spazio per il plasma, il quale va a riempire lo spazio di Disse e ad incrementare lo scambio di metaboliti fra sangue ed epatociti. Al centro di ciascun lobo inoltre, è presente la vena centrolobulare, la quale raccoglie tutto il sangue venoso refluo dal parenchima epatico. Dove si incontrano tre o più lobuli epatici, si ha un accumulo di tessuto connettivo che prende il nome di spazio portale, che presenta uno spazio il regolare di forma stellata. All’interno di tale tessuto connettivo si ha la presenza di una TRIADE PORTALE, costituita da un ramo terminale dell’arteria epatica, della vena porta (con un lume più ampio) e da un duttulo biliare (per trasportare fuori la bile). Queste sono le diramazioni delle strutture del peduncolo epatico. Pertanto, a livello dei sinusoidi verrà immesso sangue misto, in quanto presenta la componente venosa, ricca di nutrienti e CO2 e la componente arteriosa, ricca di ossigeno. Il flusso di sangue dei sinusoidi va dalla periferia verso la vena centro lobulare, per cui nella prima porzione si avrà sangue misto e a mano che il sangue attraversa il parenchima diventerà solo sangue venoso. Questo entra nella vena centrolobulare, il quale riversa il suo sangue in viene via via di calibro maggiore fino alla fine epatico comune. • LEZIONE 55 APPARATO DIGERENTE (PARTE 7) Oltre agli epatociti, a livello del fegato sono anche presenti nel dominio sinusoidale • le cellule di Kupffer: si trovano a livello del lume dei sinusoidi e appartengono al sistema monocitomacrofagico. Infatti, si tratta di cellule fagocitiche, mononucleate, che derivano dal midollo osso. • le cellule di Ito: sono completamente ripiene di vescicole di lipidi e sostanze liposolubili come la vitamina A. Inoltre, queste svolgono la funzione che normalmente è attribuita ai fibroblasti nei tessuti connettivi. Infine, tra due epatociti è presente il canalicolo biliare, il primo tratto delle vie biliari intraepatiche, la prima porzione in cui viene riversata la bile prodotta dagli epatociti. Tali canali non hanno una parete propria ma è la membrana plasmatica di due epatociti continui che si stacca a formare delle introflessioni simmetriche, accollate l’una di fronte all’altra, formando uno spazio. Qui si hanno delle giunzioni strette affinché la bile non posso uscire, infatti la fuoriuscita di bile indica un problema epatico. LA BILE Una delle funzioni principali degli epatociti è quella di secernere bile, una soluzione di acqua, elettroliti, bilirubina (pigmento derivato dal catabolismo dell’emoglobina), colesterolo, acidi grassi, prodotti della disintossicazione, IgA e sali biliari (che arrivano dal catabolismo del colesterolo per emulsionare i lipidi del chimo, cioè ridurre le gocce lipidiche da una grande a molte piccole, permettendone la digestione). La bile infatti facilità a livello intestinale la digestione dei lipidi, mantiene la buona salute della mucosa dell’intestino, la quale contribuisce alle funzioni difensive e all’eliminazione di cataboliti endogeni. Piccole quantità di bile possono essere immesse a livello sanguigno ma, quando troppa bile entra in circolo, si ha un accumulo di sostanze come la bilirubina, la quale provoca un colorito giallo della carnagione (itero). La bile infatti deve essere immessa nei canalicoli biliari, dove passa nei condotti i terminali o canali di Herring. Questi presentano una parete propria costituita da cellule epiteliali cubiche e si trovano alla periferia del lobulo epatico. Questi fungono da tramite tra i canalicoli e i dotti biliari interlobulari. La bile segue quindi una direzione centrifuga, partendo dagli eritrociti per arrivare ai dotti. Questi convergono in tutti e sempre più ampi fino ad arrivare all’ilo, passando da una parete di cellule cubiche a una di cellule cilindriche. Una volta arrivati ai dotti epatici destro e sinistro, si uniscono a formare il dotto epatico comune, il quale a sua volta si unisce con il dotto cistico proveniente dalla cistifellea a formare il condotto coledoco (porzione extraepatica del sistema duttale). Quest’ultimo condotto raggiungerà la parete del duodeno, dove si fonderà con il dotto pancreatico principale per riversare la bile in corrispondenza della papilla duodenale maggiore. La bile viene continuamente prodotta dal fegato ma viene immessa a livello intestinale solo in risposta a stimoli ormonali indotti dall’arrivo del chimo acido a livello del duodeno. In condizioni di digiuno la bile viene accumulata nella cistifellea, dove viene modificata per assorbimento e secrezione di acqua ed elettroliti. Quando arriva il chimo acido a livello del duodeno, le cellule intestinali producono secretina e colecistochinina, le quali rispettivamente stimoleranno la secrezione attiva del cloro, bicarbonato e acqua e provocheranno la contrazione della cistifellea per far fuoriuscire la bile. LE FUNZIONI DEL FEGATO Tra le principali funzioni del fegato vi sono • la digestione: grazie alla secrezione della bile, la quale viene riversata a livello dell’intestino; • azione disintossicante: il fegato infatti è in grado di metabolizzare e inattivare sostanze estranee, dannose per l’organismo, sostanze endogene; • metabolismo di proteine, lipidi e glucidi: a livello del metabolismo proteico, gran parte delle proteine plasmatiche vengono sintetizzate a livello del fegato. Per quanto riguarda il metabolismo, a livello del fegato viene accumulato glicogeno sotto forma di energia, ferro, vitamina A. IL PANCREAS È la seconda grande ghiandola extramurale annesse al canale alimentare. Il pancreas si definisce ghiandola mista possono distinguere due porzioni 1. Una porzione esocrina: costituisce la maggior parte del volume della ghiandola (99%) e ha la funzione di produrre il succo pancreatico, ricco di enzimi digestivi. Tale porzione è costituita da una ghiandola tubulo acinosa composta a secrezione sierosa, secreto che viene riversato nel duodeno. 2. Una porzione endocrina: produce ormoni coinvolti nel metabolismo glucidico. Il pancreas è situato all’interno della cavità addominale ed è una ghiandola retroperitoneale (i foglietti peritoneali avvolgono solo la parte anteriore e laterale). Il pancreas è inoltre divisibile in • testa: la porzione più voluminosa, circondata dal duodeno; • corpo: in corrispondenza del restringimento chiamato istmo, si ha il passaggio dalla testa al corpo, il quale presenta una faccia posteriore concava e una anteriore convessa; • coda: è una struttura più o meno tozza, diversa da individuo a individuo. La superficie esterna del pancreas è rivestita da un sottile strato di tessuto connettivo che non forma una capsula, ma dal quale originano setti e tralci che penetrano all’interno del parenchima e dividono la ghiandola in diversi lobuli. Questi fungono da sostegno sia per la ghiandola che per i vasi che irrorano. Per quanto riguarda il parenchima invece, è costituito perlopiù da ACINI PANCREATICI, ossia la porzione secernente del pancreas ed i DOTTI PANCREATICI. A livello degli acidi, vi sono le cellule acinose, con il compito di produrre la componente enzimatica per il succo pancreatico, come proteasi, peptidasi, lipasi, amilasi, nucleati, prodotti sotto forma di propensioni e attivati solo quando raggiungono il canale alimentare; • le cellule centro anginose: si trovano all’interno degli acini e dei primi tratti dei dotti, le quali hanno una funzione secretoria. Queste infatti producono componente acquosa e ioni bicarbonato presenti a livello del succo pancreatico. Inoltre, sono presenti anche ISOLOTTI PANCREATICI del Langherans, strutture follicolari più chiare, le quali rappresentano la porzione endocrina. • IL SUCCO PANCREATICO Prodotto sotto stimolazione nervosa e ormonale. Infatti, quando il chimo acido giunge al duodeno, vengono stimolate le cellule enteroendocrine presenti nelle ghiandole intestinali della mucosa duodenale. Questi andranno a produrre secretina e colecistochinina, così come accade per la bile. In particolare, inducono la produzione enzimatica e la produzione di acqua e ioni bicarbonato. Gli ioni bicarbonato infatti vanno a tamponare il chimo che arriva nel duodeno dallo stomaco, aumentando la basicità dell’ambiente, già parzialmente creata ghiandole di Brunner presente nella sottomucosa del duodeno. Il succo pancratico, prodotto dagli acini pancratici, verrà poi riversato all’interno del duodeno mediante due dotti: - Dotto pancreatico principale: attraversa il pancreas, raccogliendo il succo pancratico della coda e del corpo del pancreas e a livello dell’istmo questo dotto piega verso il basso, dirigendosi verso la parete del duodeno. Attraverserà la parete del duodeno e andrà a fondersi con l’ultimo tratto del dotto coledoco e andrà a riversare il succo pancreatico nella cavità interna del duodeno, a livello della papilla duodenale maggiore. A livello dell’istmo si avrà anche la formazione del dotto pancreatico accessorio. - Dotto pancreatico accessorio: esso si dirigerà verso la parete del duodeno e andrà a sboccare nella cavità interna del duodeno, a livello della sua estroflessione della muscosa interna (papilla duodenale minore). PANCREAS ENDOCRINO La parte endocrina del pancreas è costituita da strutture a forma follicolare (nidi di cellule). Questi nidi di cellule vengono circondati da una sottile trama di tessuto connettivo e vanno a costituire aggregati di tessuto epiteliale endocrino, chiamati isolotti pancreatici, i quali sono costituiti da cellule beta (insulina), alfa (glucagone) e delta (somatostatina). Queste strutture endocrine elaborano ormoni che svolgeranno una funzione fondamentale sul controllo del metabolismo glucidico. LEZIONE 56 INTRODUZIONE NERVOSO (PARTE 1) Riprendiamo il concetto di OMEOESTASI: capacità del nostro organismo, di mantenere in condizioni relativamente stabili, il proprio ambiente interno, affinché le cellule del nostro organismo lavorino in buone condizioni di salute. Il sistema nervoso, insieme al sistema endocrino, è deputato al mantenimento dell’omeostasi. Il sistema endocrino agisce attraverso la produzione e la liberazione degli ormoni, i quali viaggiano via sangue per raggiungere le cellule bersaglio. Il sistema nervoso, invece, utilizza messaggeri elettrochimici che vengono liberati dai neuroni, questi poi generano impulsi elettrici che viaggiano lungo le cellule e che poi vengono trasmessi alle cellule bersaglio. Al fine di mantenere l’omeostasi, il nostro organismo deve essere in grado di monitorare e rispondere alle modificazioni che avvengono sia nell’ambiente esterno sia interno; solo il sistema nervoso è in grado di monitorare l’ambiente esterno, poiché è dotato dei recettori cutanei che ci mettono in rapporto con l’ambiente esterno. SISTEMA NERVOSO: SUDDIVISIONE ANATOMICA - 1) sistema nervoso centrale: Encefalo (racchiuso nella cavità cranica) Midollo spinale (racchiuso nel canale vertebrale) 2) sistema nervoso periferico: Tutto il sistema nervoso al di fuori del SNC (nervi cranici e spinali, recettori e gangli nervosi) Ha l funzione di collegare il SNC alla periferia e viceversa la periferia al SNC. I nervi sono fasci di fibre nervose che collegano il sistema nervoso centrale ai bersagli: l’encefalo alla periferia (nervi cranici) o il midollo spinale alla periferia (nervi spinali). I nervi cranici sono 12 paia e hanno come territorio di distribuzione quello della testa, quindi vanno ad innervare gli occhi, i muscoli della faccia, i denti… Fa eccezione il 10 paio, il nervo vago, il quale vaga attraverso la regione del collo, attraversa la regione toracica fino a quella addominale, dove trasporta l’innervazione viscerale parasimpatica a tutti i visceri che incontra. Il sistema nervoso centrale quindi: - Fornisce informazioni sull’ambiente interno ed esterno. - Integra le informazioni sensoriali. - Coordina le attività volontarie e involontarie. - È sede della cognizione, delle emozioni, della memoria ecc. Il sistema nervoso periferico: (stimolo, elaborazione a livello del SNC e risposta). A livello del SNP si individua: - Un compartimento afferente costituito dai nervi sensitivi deputati al trasferimento delle informazioni al SNC. Questo compartimento comprende informazioni che provengono da zone diverse. Sono presenti recettori per la sensibilità speciale, localizzati a livello del territorio del capo (olfatto, gusto, vista, udito, equilibrio). Sono presenti anche recettori per la sensibilità generale: •È presente poi un compartimento afferente viscerale che percepisce la sensibilità viscerale, la quale viene raccolta dagli organi interni del nostro corpo. - •Si trova anche la sensibilità somatica, la quale raccoglie informazioni dal soma. Questa sensibilità si suddivide in esterocettiva (proviene dalla cute, quindi dalla superficie esterna del corpo) e propriocettiva (proviene da organi interni localizzati a livello delle articolazioni). La sensibilità, a sua volta, si suddivide in: •cosciente: informazioni sensitive delle quali noi abbiamo la percezione e che devono raggiungere aree specifiche della corteccia celebrale. Se non arrivano alla corteccia celebrale noi non le percepiamo. •non cosciente: non raggiungono la corteccia celebrale ma vengono elaborate a livello di formazioni sottocorticali. Parlando di sensibilità, essa si suddivide inoltre in: •protopatica o non discriminativa: “sento qualcosa che mi sta pungendo ma non capisco dove”. •epicritica o discriminativa: “sento sia il punto preciso del corpo in cui qualcosa mi sta pungendo e anche la forma”. Un compartimento efferente o motorio che andrà ad attuare una risposta, entrando in rapporto con le cellule bersaglio. Le informazioni di questo compartimento viaggiano dal sistema nervoso centrale ai bersagli. La via efferente, a seconda del bersaglio, comprende un sistema nervoso somatico quando il bersaglio è costituito dal muscolo scheletrico e un sistema nervoso autonomo o viscerale quando gli effettori sono costituiti da muscoli e ghiandole. Quindi, considerando la via efferente, il SISTEMA NERVOSO dal punto di vista funzionale si suddivide in: 1) Sistema nervoso somatico: viene anche detto della vita di relazione in quanto costituito da nervi che si portano a controllare muscoli scheletrici e quindi muscoli la cui attività dipende dalla nostra volontà. 2) Sistema nervoso autonomo viscerale: viene anche detto della vita vegetativa poiché il bersaglio è costituito da organi interni, visceri e ghiandole che noi non possiamo controllare. Questo sistema presenta due compartimenti: - Sistema nervoso parasimpatico: è attivo durante le condizioni di riposo e quindi si determina un rallentamento della frequenza cardiaca, un aumento dell’attività ghiandolare, un aumento dei processi digestivi ecc... - Sistema nervoso (orto)simpatico: è attivo nelle situazioni di eccitazione, di stress e quindi consegue un aumento dell’attività cardiaca, aumento della pressione arteriosa ecc… La maggiori parte dei nostri organi riceve entrambi i tipi di innervazione, anche se il sistema nervoso parasimpatico e simpatico inducono risposte viscerali differenti. SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO: Il sistema nervoso si forma dall’ectoderma dorsale, lo strato più esterno dell’embrione. L’ectoderma si ispessisce e forma la placca neurale, la quale si introflette e forma la doccia neurale che presenta una piega su ciascun lato. Queste due pieghe, molto precocemente, si saldano fra loro e formano un canale cavo che prende il nome di tubo neurale e rappresenta il primitivo encefalo e midollo spinale. Questo canale inizialmente è aperto alle due estremità poi, successivamente, queste estremità si chiudono e quindi diventa un canale chiuso pieno di liquido. Questo canale poi andrà a costituire il canale centrale del midollo spinale e il sistema dei ventricoli dell’encefalo. Mentre si sta formando questo tubo neurale, ci sono alcune cellule che si staccano dai margini laterali della placca neurale e incominciano ad organizzarsi. Queste cellule sono quelle che andranno a costituire le creste neurali, le quali vanno a disporsi tra la superficie dell’ectoderma e al di fuori del tubo neurale che si sta formando. Dalla cresta neurale originano la maggior parte delle strutture del sistema nervoso periferico, quindi i nervi cranici, i nervi spinali, i gangli, le ghiandole surrenali e le meningi. Verso la terza settimana di sviluppo embrionale, in corrispondenza dell’estremità cefalica del tubo neurale in via di sviluppo, si formano tre dilatazioni dette vescicole encefaliche: prosencefalo, mesencefalo e rombencefalo. Successivamente, attorno alla quinta-sesta settimana, il prosencefalo si divide ulteriormente e forma due rigonfiamenti: telencefalo e il diencefalo (formano il cervello); il mesencefalo non si divide ulteriormente; il rombencefalo forma altre due dilatazioni che sono il metencefalo (cervelletto e ponte) e il mielencefalo (midollo allungato). Quindi il mesencefalo, il ponte e il midollo allungato andranno a costituire il tronco encefalico, unito al cervelletto tramite tre paia di peduncoli cerebellari: superiori (connettono il mesencefalo al cervelletto), medi (connettono il cervelletto al ponte) e inferiori (connettono il cervelletto al bulbo). LEZIONE 57 INTRODUZIONE NERVOSO (PARTE 2) Le vescicole encefaliche si sviluppano dalle pareti del primitivo tubo neurale, il quale è cavo e questa cavità rimane seppur si modifica. Questa cavità andrà a formare progressivamente il sistema dei ventricoli cerebrali e del canale centrale del midollo spinale. In particolare, a livello del midollo spinale, la proliferazione delle pareti è notevole e quindi si verrà a creare una cavità interna, a livello del midollo spinale, molto ristretta che contiene una piccola quantità di liquido; invece, a livello delle primitive vescicole, si formeranno i ventricoli cerebrali che contengono il liquido cerebro-spinale. All’interno dei ventricoli si trova il liquido cerebrospinale, il quale si produce in particolari strutture vascolari chiamate PLESSI CORIODIEI. Questi plessi sono dei capillari, dei gomitoli di capillari altamente fenestrati che protrudono all’interno della cavità ventricolare e sono rivestiti da cellule ependimali molto specializzate caratterizzate dalla presenza di giunzioni molto strette che impediscono il libero scambio tra i capillari e il liquido che si trova nei ventricoli. Queste cellule e questi capillari, insieme, formano la barriera EMATOLIQUORALE che si viene ad instaurare, a livello dei plessi corioidei, tra il sangue e il liquido cerebrospinale. Le cellule ependimali, unite da strette giunzioni, regolano il passaggio di sostanze dal sangue alla cavità ventricolare e quindi secernano il liquido cerebrospinale, il quale rappresenta un’ultra-filtrato del plasma sanguigno. Il plesso corioideo può intervenire anche nei processi di rimozione le sostanze di rifiuto dal liquor e quindi il plesso corioideo regola costantemente la composizione del liquido stesso. Il liquido cerebrospinale viene anche detto liquor o liquido cefalorachidiano ed è un’ultra-filtrato del plasma sanguigno ed è costituito per il 99% da acqua, Sali, proteine e glucosio. Viene definito acqua di roccia poiché è incolore e la sua funzione è quella di essere fondamentale per un buon funzionamento dei neuroni, inoltre protegge l’encefalo e il midollo spinale dai danni di natura chimica o fisica ed infine ha una funzione trofica in quanto trasporta l’ossigeno, il glucosio e altre sostanze utili dal sangue sia ai neuroni sia alle cellule della glia. Il liquor è l’unico liquido che può interscambiarsi liberamente con il liquido intercellulare che bagna i neuroni e va a costituire parte del liquido extracellulare grazie alla sua diffusione attraverso la barriera glioependimale. BARRIERA EMATO-ENCEFALICA È presente nella maggior parte del sistema nervoso e ha la funzione di proteggere questo tessuto da patogeni, sostanze tossiche che dalla circolazione generale potrebbero arrivare al tessuto nervoso e danneggiarlo. Questa barriera viene ad essere formata dalla stretta associazione che si viene a creare tra i capillari continui presenti a livello del sistema nervoso e cellule gliali (astrociti). La barriera è continua nella maggior parte del sistema nervoso ma manca in alcune zone: - Nell’ipotalamo, il quale è una porzione del diencefalo ed è il principale regolatore delle attività viscerali e pertanto l’ipotalamo deve controllare, in alcuni punti, la composizione del sangue e quindi in questo caso i capillari sono fenestrati e non è presente il rivestimento continuo attorno ad essi. Inoltre, l’ipotalamo è una porzione endocrina del sistema nervoso (produce ormoni) e quindi è necessario che questi ormoni possano attraversare poi l’endotelio fenestrato e diffondere poi nella circolazione generale. - A livello dell’epifisi, la quale è una ghiandola che fa parte del diencefalo e produce la melatonina e di conseguenza è necessario che i capillari siano permeabili per mettere la secrezione di questo ormone nella circolazione generale. - A livello dei plessi corioidei dove i capillari sono fenestrati. MENINGI ENCEFALICHE: L’encefalo è protetto dalle ossa craniche ma nello stesso tempo un violento impatto dell’encefalo contro le massicce ossa del cranio potrebbe danneggiare l’encefalo stesso e se l’impatto è troppo violento potrebbe avere anche conseguenze fatali e quindi, all’interno della scatola cranica, sono presenti dei rivestimenti connettivali dell’encefalo e gli forniscono protezione agendo come se fossero degli ammortizzatori. Questi rivestimenti connettivali sono le meningi encefaliche: - DURA MADRE (più esterna): è quella più resistente, fibrosa e a livello dell’encefalo viaggia strettamente accollata alla superficie interna della volta cranica. Nel midollo spinale, tra il tessuto nervoso del midollo spinale e le ossa del canale vertebrale, si forma invece uno spazio riempito di tessuto adiposo che prende il nome di spazio epidurale. La dura madre nell’encefalo è formata da due foglietti uniti ed adesi fra loro nella maggior parte, ma in alcuni casi questi foglietti si aprono e vanno a formare così i seni venosi della dura madre. Il seno venoso più ampio è il seno sagittale - superiore, situato all’interno di una piega della dura madre chiamata grande falce cerebrale. La dura madre, in alcuni punti dell’encefalo, si porta all’interno delle fessure cerebrali e forma delle introflessioni che si addentrano all’interno della cavità cranica, formando dei compartimenti che da un lato limitano i movimenti dell’encefalo e dall’altro gli forniscono sostegno. Tra le introflessioni ricordiamo: la falce cerebrale, il tentorio del cervelletto, falce cerebellare e il diaframma della sella. ARACNOIDE: è una membrana sottile e delicata, formata da fibre elastiche e collagene che si estendono in uno spazio compreso tra l’aracnoide e la pia madre. In questo spazio decorrono le trabecole arcnoidee. PIA MADRE: è una membrana molto sottile che viaggia sempre accollata al tessuto nervoso, seguendone tutti i solchi e le scissure. La pia madre è molto vascolarizzata, infatti costituisce una sorta di pavimento dove si appoggiano i vasi cerebrali che vanno ad irrorare il cervello. Tra l’aracnoide e la pia madre ci sono le trabecole arancoidee di tessuto elastico e connettivo. Tra l’aracnoide e la pia madre è presente uno spazio chiamato subaracnoideo ed è occupato dal liquor. CIRCOLAZIONE E SMALTIMENTO LIQUOR Il liquor viene continuamente prodotto; giornalmente viene prodotta una quantità di circa 500 ml di liquido, ma il sistema di ventricoli può contenerne solo 120-130 ml e di conseguenza significa che il liquor viene continuamente ricambiato e smaltito. Il liquor viene prodotto in quantità maggiori a livello dei due ventricoli laterali poi li abbandona attraverso due piccole aperture chiamate fori ventricolari, attraverso i quali il liquor entra nel terzo ventricolo. A livello del terzo ne viene prodotta un’altra piccola quantità e da qui in poi il liquor passa nell’acquedotto mesencefalico, dove raggiunge il quarto ventricolo. A questo punto, una piccola quantità di liquido passa dal midollo allungato al canale centrale del midollo spinale, anche se la maggior parte del liquor che si trova a livello del quarto ventricolo defluisce e va a bagnare esternamente l’encefalo. Come fa ad uscire all’esterno? A livello del tetto del quarto ventricolo ci sono tre forami, un foro mediano e due forami laterali, attraverso i quali il liquido cerebrospinale esce ed entra nello spazio subaracnoideo. Da questo spazio poi andrà a circolare attorno all’encefalo e attorno al midollo spinale. Come viene smaltito il liquor? Il liquor viene immesso a livello della circolazione venosa attraverso particolari strutture chiamate granulazione arancoidee o villi aracnoidei, le quali sono delle estroflessioni dell’aracnoide che perforano la dura madre e vanno ad immettersi in alcuni dei seni durali. Di conseguenza il liquor, dallo spazio subaracnoideo, passa alla circolazione venosa e questo può avvenire perché la pressione del liquido (a livello dello spazio subaracnoideo) è maggiore rispetto alla pressione dei seni durali e quindi questa differenza di pressione favorisce lo smaltimento del liquor. Se il liquido non viene adeguatamente smaltito e si forma un blocco del ricircolo, allora si ha un accumulo di liquido che può comprimere il tessuto nervoso e danneggiarlo. Se questo blocco avviene nel neonato, dove le ossa non sono ancora saldate, l’aumento della pressione determina anche un aumento del volume della scatola cranica. LEZIONE 58 MIDOLLO SPINALE E SNA (PARTE 1) Il midollo spinale è una componente fondamentale del sistema nervoso centrale, infatti, insieme all’encefalo, esso va a costituire il nevrasse. Infatti, il midollo spinale fornisce un legame fondamentale tra l’encefalo e il resto del corpo, nonostante manifesti alcuni aspetti di indipendenza funzionale. Si può dire che il midollo spinale rappresenta una via di passaggio delle informazioni sensitive e motorie e sia responsabile dei riflessi, cioè delle risposte più rapide che il nostro meccanismo possa attuare in risposta ad uno stimolo. Il midollo spinale è percorso in senso ascendente e discendente da informazioni sensitive e informazioni motorie, in particolare le informazioni sensitive viaggiano verso l’alto e quindi percorrono il midollo spinale e raggiungono l’encefalo, dove vengono elaborate e se arrivano a livello della corteccia cerebrale diventeranno sensazioni coscienti; le informazioni motorie, invece, sono dirette verso il basso e quindi partono dall’encefalo e portano comandi motori agli effettori (arti, pareti del tronco). Il midollo spinale è racchiuso e protetto all’interno del canale vertebrale, una cavità che si forma nell’ambito della struttura della colonna vertebrale e quindi dalla giusta apposizione delle vertebre una a fianco all’altra. Se si osserva la vertebra, essa è costituita da un corpo vertebrale anteriore e un arco vertebrale che circoscrive un foro. Le vertebre che costituiscono la colonna vertebrale sono 33-34: - 7 vertebre cervicali - 12 vertebre toraciche - 5 vertebre lombari - 5 vertebre sacrali - 4 o 5 vertebre coccige Dalla giusta apposizione delle vertebre si viene a creare, lateralmente, il foro intervertebrale o di coniugazione, attraverso il quale si ha la fuoriuscita dei nervi spinali. Il midollo spinale è la porzione del sistema nervoso centrale che mantiene la forma più simile al primitivo tubo neurale, infatti il midollo spinale ha la forma di un cilindro bianco in superficie e grigio in profondità (lungo 45 cm). Il midollo spinale occupa solo i 2/3 superiori del canale vertebrale e termina in corrispondenza tra L1, L2, cioè arriva in corrispondenza del margine inferiore della prima vertebra lombare L1; al di sotto, non c’è più tessuto nervoso ma un filamento sottile di tessuto connettivo che va a fissarsi al coccige, mantenendolo fermo all’interno del canale vertebrale. Il midollo spinale presenta dei limiti: - Limite superiore: è un limite convenzionale e corrisponde al punto di emergenza del midollo spinale, a livello del grande forame occipitale. - Limite inferiore: rappresenta il cono midollare che si trova al di sotto della prima vertebra lombare. Il cordone che va a costituire il midollo spinale non ha un calibro uniforme ma presente due punti in cui è più ampio e questi vengono detti rigonfiamenti: uno a livello cervicale e uno a livello lombare. Il midollo spinale è più corto rispetto alla colonna vertebrale perché il tessuto osseo cresce molto di più rispetto al tessuto nervoso del midollo spinale. Durante i primi tre mesi di vita embrionale c’è corrispondenza fra lunghezza del midollo e la colonna vertebrale; ai 5 mesi la colonna vertebrale incomincia a crescere di più e il midollo spinale si viene a localizzare progressivamente sempre più in alto rispetto alla colonna vertebrale; alla nascita il midollo spinale viene ad occupare la posizione attorno a L2, L3, per poi completare questo fenomeno di accrescimento subito dopo la nascita. Il fenomeno per cui il midollo spinale si viene a localizzare sempre più in alto rispetto alla colonna vertebrale prende il nome di ascensione midollare. Il midollo spinale è collegato alla periferia da 31 paia di nervi spinali e ciascun nervo spinale si forma dall’unione di due radici: una radice anteriore e una radice posteriore. Queste radici si uniscono in corrispondenza del foro intervertebrale e si origina il nervo spinale che esce dalla colonna vertebrale. A livello lombare, sacrale, coccigeo, i nervi che emergono dal midollo spinale non abbandonano la colonna vertebrale allo stesso livello della loro emergenza. Le radici di questi nervi spinali si piegano verso il basso, allungandosi molto verso il basso, per raggiungere il foro intervertebrale corrispondente>>>cauda equina. La CAUDA EQUINA è costituita dall’insieme delle radici degli ultimi nervi spinali che devono raggiungere i forami intervertebrali corrispondenti per poi uscire dal canale vertebrale e andare ad originare il nervo spinale. A scopo didattico, è utile suddividere il midollo spinale in varie parti. È una suddivisione puramente funzionale. I vari segmenti in cui è suddiviso si chiamano NEUROMERI e vengono identificati come quella porzione di midollo che corrisponde all’uscita di una coppia di nervi spinali, cioè un nervo spinale per lato. A livello del midollo spinale ci saranno quindi tanti neuromeri quanti sono i nervi spinali, ovvero 31: - 8 cervicali - 12 toracici - 5 lombari - 5 sacrali - 1 coccigeo poiché deriva dalla fusione di neuromeri coccigei embrionali Anche il midollo spinale, come l’encefalo, è rivestito esternamente da MENINGI SPINALI (membrane connettivali) che hanno la funzione di proteggere e dare stabilità al midollo stesso. Esse si trovano in continuità con le meningi encefaliche presenti a livello dell’encefalo e le meningi spinali si dispongono a circondare le radici dei nervi spinali, per poi continuarsi con gli involucri connettivali che andranno a rivestire il nervo spinale e i rami periferici del nervo spinale. Partendo dall’esterno le meningi sono: - DURA MADRE: è fibrosa molto resistente e si trova in rapporto con l’osso. A livello del midollo spinale, tra le pareti del canale vertebrale e la dura madre si trova lo spazio epidurale che contiene tessuto connettivo, vasi sanguigni, tessuto adiposo ed è in questo spazio che vengono iniettati anestetici per bloccare la trasmissione degli impulsi dolorifici in alcuni interventi chirurgici. - ARACNOIDE: è sottile e viaggia accollata alla dura madre. Essa non presenta vasi proprio. Fra la dura madre e l’aracnoide esiste uno spazio chiamato subdurale, il quale è virtuale. - PIA MADRE: è lo strato più interno e delicato che viaggia accollato al tessuto nervoso, seguendone anche i solchi e le fessure. Viene detta anche membrana vascolare poiché in essa decorrono i vasi che vanno ad irrorare il midollo spinale. Tra l’aracnoide e la pia madre si trova lo spazio subaracnoideo, ripieno di liquor, che protegge il nevrasse. Se seguiamo il decorso delle meningi, si osserva che la pia madre termina nel colon midollare (L1) e poi continua come sottile filamento che si porta ancora più inferiormente che va a costituire il filum terminale. Quindi, il filum terminale è formato dalla pia madre che termina, a rivestire il midollo spinale, a livello del colon midollare. Se, invece, osserviamo l’aracnoide strettamente accollata alla dura madre vediamo che esse terminano in corrispondenza di S2-S3 e quindi si viene a creare uno spazio, tra il cono midollare e il punto in cui terminano le meningi, chiamato cisterna lombare. Si chiama cisterna perché contiene il liquor e lombare perché si entrinseca a livello lombare. La presenza di questo spazio è molto importante perché qui non c’è tessuto nervoso del midollo spinale ma si trova solo il filum terminale e le radici dei nervi e quindi questo è uno spazio dove può essere iniettato un ago sia per prelevare liquor sia per iniettare anestetico. CONFIGURAZIONE ESTERNA DEL MIDOLLO SPINALE Il midollo presenta in superficie dei solchi longitudinali che lo percorrono per tutta la lunghezza. A livello della superficie anteriore o ventrale c’è una fessura profonda lungo tutta la sua lunghezza che prende il nome di fessura mediana anteriore, mentre in corrispondenza della superficie anteriore c’è un solco che prende il nome di solco mediano posteriore. Identifichiamo anche un solco laterale anteriore e un solco laterale posteriore che non sono dei veri e propri solchi, ma corrispondono all’emergenza delle radici dei nervi spinali e permettono la suddivisione del midollo spinale in due metà uguali e simmetriche destra e sinistra, chiamati antimeri. CONFIGURAZIONE INTERNA DEL MIDOLLO SPINALE Centralmente, il midollo spinale, presenta un canale molto sottile chiamato canale centrale del midollo spinale o canale ependimale e rappresenta il residuo del primitivo tubo neurale. A questo livello, c’è il liquor e superiormente a questo sottile canale si va a continuare con la cavità del quarto ventricolo a livello del tronco encefalico. Attorno al canale centrale si dispone il tessuto nervoso, organizzato attraverso la sostanza grigia e la sostanza bianca; la sostanza grigia è composta dai corpi cellulari di neuroni ed è disposta centralmente e dà una forma a farfalla. Relativamente all’organizzazione della sostanza grigia, ricordiamo che questa è costituita da corpi cellulari di neuroni e ha una forma a farfalla. A livello di ciascuna ala della farfalla si individua un corno anteriore e un corno posteriore, mentre non in tutti neuromeri troviamo un piccolo corno laterale, a livello del quale si trovano i neuroni effettori del sistema nervoso autonomo. A livello delle corna di ciascun corno, i corpi cellulari dei neuroni si organizzano in nuclei che si portano a contattare un bersaglio specifico. In particolare, a livello del corno anteriore ci sono neuroni motori, corpi cellulari di neuroni il cui assone si porterà a contattare i muscoli determinandone la contrazione; invece, a livello del corno posteriore ci sono nuclei sensitivi, cioè raggruppamenti di neuroni sensitivi che si trovano integrati in vie sensitive ascendenti. I neuroni viscerali (motori e sensitivi) sono localizzati più internamente rispetto alle corna, mentre quelli somatici (motori, sensitivi) sono sempre più esterni. I neuroni localizzati in posizione mediale vanno ad innervare organi che si trovano in posizione più prossimale, mentre i neuroni che si trovano in posizione più laterale vanno ad innervare strutture che si trovano più lontane dal corpo: questa corrispondenza prende il nome di SOMATOTOPIA. Attorno alla sostanza grigia si dispone la sostanza bianca, costituita da fasci di assoni e dal momento che la maggior parte sono fibre mielinizzate, questa porzione assume una colorazione chiara. La sostanza bianca si suddivide in tre regioni, identificate dalla presenza dei solchi: - Cordone posteriore: delimitato dal solco mediano posteriore e dal solco laterale posteriore. - Cordone laterale: identificato dal solco laterale posteriore e dal solco laterale anteriore. - Cordone anteriore: identificato dal solco laterale anteriore e dalla fessura mediana anteriore. Questi cordoni sono diretti o verso l’alto o verso il basso e saranno fasci discendenti a portare informazioni motorie, mentre quelli ascendenti trasporteranno informazioni sensitive. Quindi, questi fasci rappresentano delle vie di comunicazione tra i diversi livelli del sistema nervoso centrale. LEZIONE 59 IL MIDOLLO SPINALE (PARTE DUE) Il nervo spinale è costituito da un fascio di assoni, la cui unità di base è il singolo assone. Questo presenta un rivestimento mielinico ed un rivestimento connettivale (endonervio). Il fascio invece è circondato dal perinervio e, infine, il nervo (ossia un insieme di assoni) è rivestito dall’epinervio. IL NERVO SPINALE È un nervo misto, costituito dall’unione di più radici che si uniscono a formare il nervo spinale in corrispondenza del foro interventricolare per uscire dalla colonna vertebrale. Le radici sono la • anteriore o ventrale: ha funzione motoria poiché è costituita da assoni di neuroni. I loro corpi cellulari si trovano nel corno anteriore, il quale ha funzione motoria, insieme al corpo dei neuroni somatici. Questi ultimi presentano assoni che, percorrendo il nervo spinale, andranno a innervare la muscolatura somatica. Inoltre, sono anche presenti i neuroni viscerali, il cui corpo si trova in corrispondenza del corno laterale e, i cui assoni, innervano la muscolatura liscia. • posteriore o dorsale: ha funzione sensitiva poiché è costituita da assoni di neuroni sensoriali. Qui è presente inoltre un rigonfiamento o GANGLIO, dovuto all’insieme di corpi cellulari. Tali neuroni presentano un corpo cellulare dal quale si originano due prolungamenti rivolti in direzione opposta: uno che va verso la periferia per ricevere le sensazioni e uno che va verso il sistema nervoso centrale. Pertanto, tali neuroni pseudounipolari hanno la loro origine a livello del ganglio della radice dorsale. La maggior parte delle fibre sono di tipo somatico poiché il bersaglio sono gli arti e la parete del tronco, ma vi sono in quantità minori anche fibre viscerali simpatiche e parasimpatica. Queste si dirigono agli organi, alla muscolatura liscia dei vasi, alle ghiandole e alla muscolatura cardiaca. Dopo che le radici si sono unite nel forame intervertebrale, danno origine a due rami misti, i quali distribuiscono l’innervazione sensitiva e motoria ai diversi territori. Queste sono: 1. Ramo anteriore: è più spesso perché ha un diverso territorio di distribuzione. Infatti, tali rami si distribuiscono alla cute, alla muscolatura della parete laterale e anteriore del tronco e agli arti. Tali rami inoltre, ad eccezione di quelli toracici, non si dirigono direttamente alle strutture che devono innervare ma si uniscono formando delle reti nervose, intrecciandosi con gli assoni di rami di nervi adiacenti, formando così i PLESSI. Questi sono quindi degli intrecci disordinati di rami, i quali sono: il plesso • cervicale, il cui nervo principale è il nervo frenico, il quale va a innervare il diaframma, regolandone i movimenti. • brachiale, più voluminoso del precedente, contiene i grandi nervi che vanno a innervare i muscoli dell’arto superiore e la mano. • lombare, deputato all’innervazione della parete dell’addome e dell’arto inferiore. • sacrale, • coccigeo. Ogni plesso contiene assoni che provengono da diversi nervi spinali e, un danno ad un singolo nervo spinale, non esita la perdita di innervazione di un particolare distretto muscolare o regione cutaneo. Da ogni plesso emergono poi i nervi, che andranno a innervare la specifica regione, dividendosi a loro volta in rami che prenderanno il nome delle specifiche strutture innervate. 2. Ramo posteriore: è più sottile perché si dirige alla parete posteriore del tronco, innervando così la cute e la muscolatura del dorso. Per DERMATOMERO si intende la regione cutanea innervata da una singola radice sensitiva di un nervo spinale. Queste sono importanti perché permettono di correlare il deficit sensitivo di uno specifico distretto cutaneo alla lesione di un nervo o di un ganglio della radice dorsale. Il midollo spinale è coinvolto nei riflessi spinali, ossia una qualsiasi risposta immediata, automatica (involontaria, inconsapevole) e stereotipata (sempre uguale) di muscoli o ghiandole a determinati stimoli sensoriali. I riflessi coinvolgono solo i nervi contenuti nei nervi spinali e nel midollo spinale. Alcuni riflessi somatici si hanno anche se si sono avute lesioni a livello del midollo spinale, le quali impediscono allo stimolo di raggiungere l’encefalo. Per esempio, quando si tocca qualcosa di bollente è spontaneo togliere la mano, ma ci rendiamo conto solo dopo dell’accaduto oppure il riflesso monosinaptico o patellare. Questo consiste nel percuotere con un martelletto il tendine rotuleo. Vengono così stirati particolari recettori sensoriali chiamati fusi neuromuscolari, i quali determinano una contrazione riflessa del muscolo che causa il calcio della gamba. Ciò avviene perché i fusi muscolari attivano il neurone sensitivo, il quale è in rapporto diretto con il motoneurone. I DANNI MIDOLLARI In seguito a traumi, si ha una perdita sensitiva o paralisi motoria dal livello della lesione in giù. Pertanto, più è alta la lesione, maggiori sono le conseguenze. Tetraplegia: danno al di sopra della quarta e quinta vertebra cervicale, che può causare un blocco respiratorio. Paraplegia: danno delle vertebre toraciche. Emiplegia: lesione encefalica con paralisi della metà destra o sinistra del corpo a causa di lesioni organiche delle vie motrici causate da un danno celebrale. SUDDIVISIONE FUNZIONALE DEL SISTEMA NERVOSO AUTONOMO o VISCERALE Deputato all’innervazione delle strutture non sottoposte al controllo cosciente ossia i muscoli lisci, il muscolo cardiaco e le ghiandole. Questo si suddivide in • sistema nervoso simpatico o ortosimpatico: si occupa di predisporre l’organismo ad attività intensa, volta ad adottare comportamenti di difesa e di attacco; • sistema nervoso parasimpatico: favorisce l’attività di riposo e di recupero funzionale. Tale divisione ha una funzione antagonista, anche se alcune strutture sono innervate unicamente da una delle due strutture. Viceversa, il sistema nervoso somatico è sotto il controllo volontario, pertanto innerva i muscoli scheletrici. Anche se con il concetto di viscere si intende un organo contenuto in una cavità, ci si riferisce anche ghiandole sudoripare, muscoli elettori del pelo e muscolatura liscia dei vasi, i quali sono contenute nel reparto somatico a livello della parete del tronco, degli arti, del collo e della testa ARCHITETTURA GENERALE DEL SNA Il sistema nervoso motorio somatico è monosinaptico: questo prevede un motoneurone sinaptico il cui corpo cellulare è localizzato a livello del sistema nervoso centrale, in particolare nel corno anteriore del midollo spinale. L’assone di tale neurone raggiunge il bersaglio, costituito dal muscolo-scheletrico. Il sistema nervoso motorio autonomo invece, è bisinaptico. Prevede infatti due neuroni: il primo è definito pregangliare, il cui corpo cellulare si localizza a livello del sistema nervoso centrale. Il suo assone raggiunge un ganglio autonomo del sistema nervoso, a livello del quale si incontra con un secondo neurone definito postgangliare. Saranno gli assoni di quest’ultimo a raggiungere il muscolo liscio, la cellula ghiandolare o il muscolo cardiaco, seguendo il decorso dell’arteria o dei nervi spinali e cranici. I neuroni pregangliari del sistema nervoso simpatico e parasimpatico possiedono una diversa distribuzione territoriale, anche se entrambi originano dal nevrasse, a livello del midollo spinale e del tronco encefalico. 1. Simpatico: i neuroni pregangliari originano dal midollo spinale, in particolare dei settori toracico e lombare, A livello del corno intermedio laterale della sostanza grigia tra i mielomeri da T1 a L2. Tale divisione infatti viene definita toraco-lombare. Questo deve raggiungere sia il compartimento dei visceri interni che i visceri del comparto somatico di tutto il corpo, pertanto dovranno distribuirsi in tutto il corpo. 2. Parasimpatico: i neuroni pregangliari originano in due distretti differenti ossia il tronco-encefalico e il midollo spinale, a livello del segmento sacrale (nel mielomeri compresi tra S2 e S4). Tale divisione viene infatti detta cranio-sacrale. Il primo distretto innerva visceri della testa, collo, torace e addome, fino alla flessura colica di sinistra mentre, la seconda, innerva visceri addominali dalla flessura colica di sinistra in poi. Tali neuroni non raggiungono mai visceri nel compartimento somatico ma si limita agli organi. Tali neuroni devono venire a contatto con i neuroni post gangliari, i cui assoni andranno a contattare gli organi bersaglio. IL SISTEMA NERVOSO ORTOSIMPATICO I neuroni pregangliari raggiungono due tipi di gangli • I gangli della catena del simpatico o paravertebrali o gangli laterali, poste su entrambi i lati della colonna vertebrale. Questi innervano i visceri della testa, della cavità toracica, i visceri somatici della parete corporea e degli arti. • I gangli collaterali o prevertebrali, situati anteriormente alla colonna vertebrale in corrispondenza dei rami impari dell’aorta addominale. Questi innervano i visceri della cavità addominopelvica. Le fibre pregangliari si portano a livello della catena gangliare del simpatico, dove possono fare sinapsi o risalire o scendere lungo la catena stessa, formando sinapsi a livello dei gangli adiacenti. A questo punto, si origineranno delle sinapsi a livello dei gangli post gangliari, che portano all’organo bersaglio. In particolare, a livello cervicale vi sono il ganglio cervicale superiore, medio e inferiore, le cui strutture andranno a innervare la testa, ossia occhio, mucosa del palato e ghiandole salivari. In questo caso la fibra, per raggiungere il bersaglio, utilizza il nervo spinale, pertanto tutti i nervi spinali avranno delle fibre che si porteranno a tali visceri. Tali fibre postgangliari pertanto rientreranno nel midollo spinale e, attraverso la radice dorsale e ventrale del nervo spinale, andranno a innervare i visceri. A livello cervicale e toracico invece, le fibre innervano il cuore, laringe, trachea, bronchi e polmoni. Per quanto riguarda l’innervazione dei visceri della cavità addominopelvica, le fibre pregangliari non si inaptano a livello della catena gangliare simpatico ma proseguono per raggiungere i gangli collaterali • celiaco, da cui originano le fibre che vanno a innervare l’esofago, stomaco, fegato e intestino tenue; • mesenterico superiore, da cui originano le fibre che vanno a innervare intestino tenue e la prima parte dell’intestino crasso; • mesenterico inferiore, da cui si originano fibre che vanno a innervare la porzione terminale dell’intestino crasso, vescica e gli organi dell’apparato genitale. In generale, le fibre pregangliari devono raggiungere il ganglio e ciò avviene attraverso il nervo spinale: queste viaggiano attraverso la radice ventrale del nervo spinale, una radice motoria le cui fibre si portano perlopiù ai muscoli scheletrici ma anche un piccolo quantitativo di fibre pregangliari. Si forma così il ramo comunicante bianco, ossia la porzione del nervo spinale utilizzata dalle fibre pregangliari per raggiungere il ganglio. Il ramo comunicante grigio invece è occupato da fibre post gangliari che innervano i visceri somatici. Sono presenti in tutti i nervi spinali, all’interno del quale devono passare per essere distribuite a tutti gli organi somatici del corpo. A livello del sistema simpatico, il neurotrasmettitore che viene rilasciato è la noradrenalina. IL SISTEMA NERVOSO PARASIMPATICO È costituito dalla componente craniale periferica, dove le fibre pregangliari si associano al percorso dei nervi cranici in base all’organo effettore che devono raggiungere. In questo caso, la sinapsi tra le fibre pregangliari e postgangliari avviene in una serie di gangli a livello del cranio, dai quali si originano piccole fibre post gangliari che si portano agli organi bersaglio. Per quanto riguarda invece l’innervazione parasimpatica dei visceri torico-addominale, è sostenuta dal nervo vago, ossia il 10º paio di nervi cranici, un nervo molto lungo che da solo va a costituire oltre il 75% di tutte le efferenze parasimpatiche. Tali fibre originano a livello del tronco-encefalico, in particolare a livello del nucleo motore dorsale del vago. Tuttavia, non vi è un ganglio specifico associato al nervo vago poiché il decorso della sinapsi tra le fibre pregangliari dipende dall’organo innervato. Dai gangli intramurali si originano poi le fibre postgangliari, le quali vanno a innervare gli organi, infatti, in questo caso le fibre pregangliari sono molto lunghe mentre, quelle post gangliari, sono molto brevi. Per quanto concerne la componente sacrale periferica invece, è caratterizzato da fibre pregangliari che lasciano il midollo spinale attraverso nervi spinali. In particolare, le fibre pregangliari attraversano la radice anteriore, entrano nella costituzione del nervo misto e nel ramo anteriore, andando a costituire lunghe fibre pregangliari. Queste si portano all’organo da innervare a livello della capsula o a livello dei gangli intramurali, a livello dei quali si generano le fibre postgangliari. A livello del sistema parasimpatico, il neurotrasmettitore che viene rilasciato è l’acetilcolina. LEZIONE 60 IL TRONCO ENCEFALICO (PARTE UNO) Si sviluppa, insieme al midollo spinale, in senso longitudinale (formazione assiali) mentre gli emisferi cerebrali (telencefalo, diencefalo e cervelletto o formazione sovrassiali) si sviluppano perpendicolarmente a questi. Nelle formazioni assiali si distinguono una parte anteriore o ventrale e una posteriore o dorsale mentre, in quelle sovrassiali, si distinguono una faccia o superiore o dorsale e una posteriore o caudale. Le formazioni assiali sono in diretta continuazione con i bersagli tramite i nervi cranici (encefalo) e spinali (midollo). Le formazioni sovrassiali invece comunicano con l’encefalo attraverso fasci di fibre nervose, che vanno a costituire le vie ascendenti e discendenti. Il tronco-encefalico deriva da due vescicole del primitivo tubo neurale: in particolare, il mesencefalo deriva dalla vescicola mesencefalica, la quale rimane indivisa mentre, il cervelletto e il midollo allungato, derivano dal romboencefalo. Infatti, il romboencefalo dà origine rispettivamente a metencefalo e mielencefalo, che originano rispettivamente il ponte ventralmente. Tronco-encefalico è quella porzione che continua inferiormente con il midollo spinale e che superiormente viene a contatto con il diencefalo. È costituito da • mesencefalo; • ponte; • bulbo o midollo allungato. Il tronco encefalico è importante poiché è la sede dei centri vitali: vi sono i nuclei di controllo respiratori, cardiaci e della pressione arteriosa. Infatti, una lesione a livello del tronco-encefalico è più grave rispetto a uno nel cervello e può determinare una morte immediata. Per esempio, durante l’impiccagione, si rompe la seconda vertebra cervicale, andando a lesionare tali centri vitali e di conseguenza a provocare la morte certa. Il tronco encefalico viene percorso da cavità appartenenti al sistema dei ventricoli encefalici: inferiormente è percorso dal sottile canale vendimale che, in corrispondenza del midollo allungato, si dilata e va a formare la cavità del quarto ventricolo. Questo è compreso tra il ponte e il midollo allungato (ventralmente) e dal cervelletto (dorsalmente). Tale cavità si restringe a livello del mesencefalo, dove forma l’acquedotto mesencefalico. Questo sua volta andrà a formare il terzo ventricolo del diencefalo, che si trova in continuità con i due ventricoli laterali degli emisferi cerebrali. FUNZIONI DEL TRONCO ENCEFALICO • passaggio di vie ascendenti e discendenti: quelle ascendenti sono dirette al cervello e portano informazioni sensitive mentre, quelle discendenti, si portano almeno lo spinale, trasportando comandi motori. • prende parte ad attività vitali come il mantenimento dello stato di coscienza, il ciclo sonno veglia (attraverso la formazione reticolare, costituita da nuclei e fibre) e il controllo respiratorio e cardiovascolare. • i nervi cranici del terzo al dicessimo hanno i nuclei motori e sensitivi a livello del tronco-encefalico. ORGANIZZAZIONE INTERNA DEL TRONCO ENCEFALICO Se all’interno del midollo spinale la sostanza grigia aveva una forma a farfalla e si sviluppava in senso longitudinale continuo, a livello del tronco-encefalico è frammentata a causa delle vie ascendenti e discendenti. Qui la sostanza grigia forma sia nuclei propri, intercalati ai fasci di fibre, nuclei sensitivi e motori associati ai nervi cranici, che nuclei della formazione reticolare. Superficie superiore: il solco bulbo pontino separa il midollo allungato e il ponte, determinando un limite anatomico fra due porzioni mentre, il solco ponto-mesencefalico è un limite anatomico tra ponte e mesencefalo. La porzione ventrale del mesencefalo è costituito da due porzioni chiamate peduncoli cerebrali, le quali si dirigono verso l’alto a sostenere l’encefalo. Inoltre, su tutta la superficie del tronco sono presenti dei solchi di emergenza dei nervi cranici: il primo nervo cranico (olfattivo) ha origine encefalica, il secondo (ottico) ha anche esso un’origine diversa mentre, i restanti dal terzo al 12º hanno origine dal troncoencefalico. Di tutti questi, nove originano dalla superficie ventrale. In particolare, il quinto paio di nervi cranici o nervo trigemino ha una radice ampia sensitiva e una motoria più limitata. Inoltre, si può notare come il ponte sia costituito da fibre che collegano midollo spinale ed encefalo e trasversali che connettono corteccia celebrale e cervelletto, andando così a costituire i peduncoli cerebellari. Superficie dorsale: a livello del mesencefalo è presente il “tetto”, formato da quattro strutture uguali a due a due chiamate collicoli superiori e inferiori, che complessivamente formano la lamina quadrigemina. Quelli superiori sono intercalati nelle vie visive mentre, quelli inferiori, sono intercalati nelle vie acustiche. A livello del ponte invece, a livello del quarto ventricolo, il tetto è visibile solo con asportazione del cervelletto ed è costituito da una fossa romboidale, la quale costituisce il pavimento del quarto ventricolo. Solo il quarto paio di nervi cranici o trocleare è deputato all’innervazione dei muscoli oculari. Il tronco encefalico è suddiviso in quattro regioni: 1. Tetto, posteriormente: presente solamente a livello del mesencefalo, dove è costituito dai collicoli superiori e inferiori, che costituiscono la lamina quadrigemina; 2. La cavità ventricolare, tra tetto e il tegmento: è costituito dal quarto ventricolo; 3. Il tegmento, nella parte centrale: si estende per tutta la lunghezza del tronco encefalico e rappresenta la porzione filo geneticamente più attiva del tronco encefalico. Questa comprende infatti sostanza grigia, costituita dai nuclei dei nervi cranici dal terzo 12º, da nuclei della formazione reticolare e da sostanza bianca. Questa sua volta è costituita da fasci di fibre soprattutto ascendenti, appartenenti alla raccolta, dagli arti dalla testa alla corteccia cerebrale. 4. La base porzione basilare, anteriormente: è la porzione filo geneticamente più recente del troncoencefalico, costituito prevalentemente da via discendenti motorie. Tra le vie discendenti principali sono • il corticospinale o piramidale, costituito da fibre che vanno dalla corteccia celebrale al midollo spinale per controllare i muscoli scheletrici degli arti e del tronco, per questo rappresenta il principale fascio di controllo per i movimenti volontari. Questi percorrono i peduncoli cerebrali del mesencefalo e la porzione ventrale del bulbo, a livello della quale formano dei rigonfiamenti anteriori chiamati piramidi bulbari. Qui avviene la decussazione del 90% delle fibre, che consiste nel cambiamento di direzione di fibre, che si porta dalla parte opposta. Queste si immettono poi nel cordone laterale del midollo spinale, andando a costituire il fascio cortico spinale laterale. Questo andrà a contattare in motoneuroni presenti a livello delle corna anteriori del midollo spinale per contattare la porzione distale degli arti per movimenti fini. Il restante 10% delle fibre continua a livello del bulbo e a livello del midollo per decorre anteriormente e formare il fascio cortico-spinale anteriore. Da queste origineranno neuroni diretti alla parte prossimale degli arti. • il corticobulbare, deputata al controllo dei muscoli scheletrici del volto. Questo decorrono i peduncoli cerebrali del mesencefalo ma, a livello del bulbo, contattano i nuclei motori dei nervi cranici, andando a contattare la muscolatura scheletrica del volto. Tale fascio prende il nome di fascio cortico bulbare o nucleare. • le corticopontine, presenti livello del ponte, dalla corteccia cerebrale a quella cerebellare. Queste, a livello del ponte originano le fibre ponto-cerebellari, le quali portano alla corteccia cerebellare, costituendo il circuito tra la corteccia cerebrale e il cervelletto per il controllo del movimento. LE VIE MOTORIE I motoneuroni superiori originano a livello della corteccia celebrale dell’encefalo. Questi andranno a contattare i motoneuroni inferiori, i quali origineranno corna anteriori per contattare la muscolatura scheletrica volontaria. Ciò viene attraverso la decussazione delle fibre, importante perché la parte destra del cervello controlla la parte sinistra del corpo e viceversa. LEZIONE 61 IL TRONCO ENCEFALICO (PARTE DUE) IL MESENCEFALO Costituito dalla lamina quadrigemina e percorso dall’acquedotto mesencefalico, circondato da dalla sostanza grigia periacqueduttale. Questa è importante perché possiede neuroni proliferanti, pertanto sono importanti cellule anche dal punto di vista scientifico per eventuali applicazioni cliniche. Inoltre, vi sono piccoli nuclei di fibre discendenti che vanno a costituire una via antidolorifica per il controllo delle afferenze dolorifiche. Nel mesencefalo, a livello del tegmento, vi è il nucleo rosso, il quale presenta una grande quantità di ferro e un’ottima vascolarizzazione. Questo è importante dal punto di vista motorio, per il controllo del tono muscolare e il movimento dei muscoli flessori dell’arto superiore attraverso la via rubro-spinale. Infine, sono presenti due formazioni ampie che percorrono il mesencefalo in tutta la sua lunghezza e formano un’ampia lamina di sostanza grigia, che prende il nome di sostanza nera. Questa infatti assume una colorazione scura a causa della presenza di granuli di pigmento nerastro di neuromelanina, ossia il prodotto di scarto della dopamina, il neurotrasmettitore utilizzato da tali neuroni. Si tratta infatti di neuroni depaminergici, fondamentali per il controllo del movimento. Tale sostanza nera è situata nel mesencefalo ma funzionalmente appartiene ai nuclei della base, ammassi neuronali presenti nella profondità del telencefalo che, insieme alla sostanza nera, sono coinvolti nella coordinazione, automatizzazione e armonizzazione dei movimenti. Una lesione livello di tali neuroni determina infatti il parkinson, causato dalla perdita della sostanza nera e dall’alterazione dei movimenti. Infine, nel mesencefalo sono presenti nuclei di nervi cranici e formazione reticolare. Faccia anteriore: presenta i peduncoli cerebrali, strutture che sembrano sostenere l’encefalo. Queste sono attraversate da fibre discendenti, che trasportano i comandi motori ad aree della corteccia celebrale verso il basso, andando a costituire il fascio cortico bulbare e cortico spinale. IL PONTE Si tratta di un’ampia prominenza ventrale del tronco-encefalico che connette le diverse parti dell’encefalo. È attraversato da tratti delle vie ascendenti e discendenti e contiene nuclei pontini, intercalati in un circuito per la coordinazione e stabilizzazione del movimento volontario. Vi sono inoltre fibre trasversali che collegano corteccia cerebrale (fibre cortico pontine) e corteccia cerebellare (fibre ponto cerebellari); il ponte si sviluppa in relazione allo sviluppo della corteccia celebrale e del cervelletto grazie a tale circuito di collegamento. Il ponte contiene infine nuclei per il controllo involontario della respirazione e alcuni nuclei di nervi cranici. IL MIDOLLO ALLUNGATO o BULBO Rappresenta la porzione più caudale del tronco encefalico e si trova in continuazione con il midollo spinale. Qui passano fasci discendenti e ascendenti che connettono il midollo spinale con l’encefalo: in particolare, ventralmente sono presenti le piramidi bulbari, costituite dalle vie discendenti cortico-spinali. Questi si compattano in corrispondenza delle piramidi dove decussano e passano dalla parte opposta. Infatti, i fasci corticali si dividono in fascio cortico-spinale laterale o crociato, costituito dal 90% delle fibre e il fascio corticospinale anteriore costituito dal 10% delle fibre che non decussano. Tuttavia, non sono ancora chiare le ragioni di tale incrocio. Al lato delle piramidi vi sono le olive bulbari, ossia aggregati di corpi cellulari che costituiscono i nuclei olivari inferiori. Questi raccolgono informazioni sensitive, propriocettive provenienti dal midollo spinale e afferenti al cervelletto. Tali informazioni sono necessarie per la coordinazione dei movimenti, il tono, la postura, l’equilibrio, per cui la degenerazione di tali olive bulbari, determina la atassia cerebellare. Si tratta di una patologia caratterizzata dal mancato coordinamento motorio degli arti e delle parole. Nella faccia dorsale invece, dopo aver asportato il cervelletto, vi sono altri due rilievi che sottendono rispettivi nuclei: il nucleo gracile, più mediamente, e quello cuneato, più laterale. Questi sono intercalati tra le vie del cordone posteriore e trasmettono informazioni sensitive somatiche di tipo tattile epicritico e propriocettivo, raccolte da recettori distribuiti su tutto il corpo. Il nome via del cordone posteriore deriva dal fatto che decorre per un tratto a livello del cordone posteriore del midollo spinale ma si può anche chiamare spino bulbo talamico, le quali rappresentano le stazioni che i neuroni di tale via attraversano. Questi neuroni possono essere classificati in 1. Neuroni di primo ordine: raccolgono informazioni da tutto il corpo, le quali percorrono la radice dorsale dei verbi nervi spinali. Questi salgono verso l’alto e, dove incontro al bulbo, avviene la sinapsi con un neurone di secondo ordine. A livello del bulbo infatti vi sono due fasci perché il fascicolo gracile raccogliere informazioni che provengono dall’arto inferiore e dalla parte inferiore del tronco mentre, il fascicolo cuneato, raccoglie le informazioni della parte superiore del tronco, dell’arto superiore e dal collo. Appena lasciato il nucleo, tali neuroni decussano per andare nella metà opposta a formare il lembisco mediale. Questo scenderà quindi nella parte opposta del tronco-encefalico per arrivare al talamo, una formazione presente a livello del diencefalo che contiene raggruppamenti nucleari. Qui infatti si raggruppano tutte le formazioni sensitive prima di arrivare nell’encefalo; 2. Neuroni di secondo ordine: 3. Neuroni di terzo ordine: dal talamo dipartono i nuclei di terzo ordine, che si dirigono ad aree specifiche della corteccia sensitiva, in particolare nella corteccia sommato sensitiva primaria. Creano una sorta di mappa funzionale o omuncolo sensitivo a livello della corteccia Ilaria, che rappresenta le diverse regioni e la diversa estensione di tali estensioni. Tale mappa è distorta perché l’estensione delle diverse regioni non corrisponde al reale senso del corpo spesso: l’estensione dell’area è correlata ad una regione e non è funzionale alla dimensione reale dell’organo ma al numero di recettori sensitivi presenti in quella regione. Per questo, è molto più grande l’area della lingua che il dorso. Il tatto grossolano, la sensibilità termica e dolorifica invece utilizzano il sistema antero-laterale o via spino talamica. Tale sistema prevede due fasce • un fascio spino talamico laterale, per la sensibilità dolorifica e termica. Il neurone di primo ordine entra allo spinale, contrae sinapsi con quello di secondo ordine che decussa e sale costituendo il fascio spino talamico laterale. Una volta raggiunto il talamo, forma sinapsi con il neurone di terzo ordine a livello di aree specifiche della corteccia celebrale; • un fascio spino talamico anteriore, che media il tatto grossolano. Anche qui vi sono tre neuroni distinti: il primo decorre in corrispondenza della radice dorsale del nervo spinale, contrae sinapsi con il neurone secondario e decussa, portandosi a livello del cordone anteriore del midollo spinale. Risale poi verso l’alto a formare il fascio spino talamico anteriore, che risale fino al talamo dove contrae sinapsi con i neuroni di terzo ordine. Tali aree portano informazioni coscienti, che percepiamo in punti specifici del nostro corpo. Viceversa, le vie spino cerebellari trasportano informazioni incoscienti, le quali arrivano al cervelletto (non al talamo) e prevedono una sequenza non di tre ma di due neuroni. Una volta che il neurone di primo ordine entra nelle corna posteriori del midollo spinale, contrae sinapsi con il neurone di secondo ordine che decussa e arriva al cervelletto. Tali formazioni sono legate alla coordinazione motoria e al movimento e sono definite di carattere propriocettivo, in quanto provengono dall’apparato muscolo-scheletrico. TUTTI I FASCI DECORRONO NELLA SOSTANZA BIANCA, in particolare, nel cordone posteriore decorrono il fascio gracile (in posizione mediale) e il fascio cuneato (più lateralmente). Lateralmente invece, vi è il fascio spino talamico laterale mentre, anteriormente lo spino talamico anteriore. FUNZIONI DEL BULBO Sede di centri vitali autonomi per il controllo delle funzioni vitali: • Cardiovascolari, regolano la sequenza e la forza di contrazione del cuore; • Vasomotori, regolano la pressione e il flusso arterioso; • Respiratori, regola la frequenza e la profondità del respiro. LA FORMAZIONE RETICOLARE Si trova a livello del tegmento ed è costituito da un insieme di sostanza grigia e bianca, di neuroni e fibre discendenti e ascendenti che formano circuiti coinvolti in numerose funzioni. Qui ci sono i centri vitali per il controllo cardiaco e respiratorio ma anche aree motorie, da cui originano i fasci reticolo spinali per il controllo del movimento, nuclei da cui dipende il sistema discendente della trasmissione del dolore e un’area da cui origina un sistema ascendente di attivazione corticale e a proiezione diffusa la corteccia celebrale ed è coinvolta nello stato di vigilanza e di coscienza (SISTEMA RETICOLARE ATTIVANTE ASCENDENTE). Tali neuroni ricevono informazioni sensitive da tutto il corpo e le proiettano alla corteccia, in modo tale che questa venga attivata per la ricezione. Infatti, una lesione a livello di questi neuroni, provoca uno stato perenne di incoscienza (coma), la quale può essere reversibile o irreversibile. LEZIONE 62 IL DIENCEFALO Rappresenta una piccola porzione del cervello che si estende dal tronco-encefalico al cervello. Nonostante le sue dimensioni, così come il telencefalo, il diencefalo proviene dalla vescicola primitiva proencefalica tuttavia, il diencefalo rimane poi intrappolato fra i due emisferi teloencefalici. Situato in posizione centrale rispetto al cervello e l’unica porzione che si riesce ad osservare senza dover demolire gli emisferi e la superficie inferiore. Questa è costituito da tre porzioni che sono • il chiasma ottico, una struttura che deriva dall’incrocio di due fibre che costituiscono i nervi ottici. • l’infundibolo, un peduncolo di collegamento tra ipotalamo e ipofisi. • i corpi mammillari, due rilievi sieroidali implicati nei riflessi legati all’olfatto. Il diencefalo è costituito da due metà uguali e simmetriche tessuto nervoso che si dispongono a circondare la cavità del terzo ventricolo, andando a costituirne le pareti laterali e il pavimento. Il limite laterale del diencefalo è costituito dalla capsula interna, costituita da fasci di fibre o sostanza bianca che scendono verso il midollo spinale. A livello del diencefalo possiamo individuare un solco ipotalamico che suddivide il diencefalo in due porzioni: - una porzione dorsale, costituita dal talamo e epitalamo; • una porzione ventrale è costituita da ipotalamo (medialmente) e subtalamo (lateralmente). Di conseguenza, le pareti laterali del terzo ventricolo sono costituite dorsalmente dal talamo e ventralmente dall’ipotalamo. EPITALAMO: è una struttura situata dorso superiormente e posteriormente al diencefalo, andando a costituire la parte posteriore del tetto del terzo ventricolo. Questa comprende diverse strutture tra cui l’epifisi o ghiandola pineale, la cui forma ricorda una piccola pigna. Si tratta di una piccola ghiandola di origine nervosa che produce melatonina, prodotta al buio, la quale regole importanti funzioni come l’orologio biologico dell’organismo e inibisce lo sviluppo degli organi sessuali fino alla pubertà. TALAMO: sono due formazioni pari e simmetriche che costituiscono i quattro quinti del diencefalo, uniti attraverso l’adesione talamica. Presenta una forma ovoidale con anteriore più affusolato e uno posteriore più slargato e l’asse è diretto obliquamente. Qui vi sono oltre 120 ammassi nucleari di sostanza grigia, impiegati in funzioni prevalentemente sensitive ma anche motoria e, per raggrupparli, vi è una lamina di sostanza bianca. Vi sono • nuclei a proiezione diffusa, connessi a vaste aree della corteccia telencefalo e servono per il mantenimento dello stato di coscienza, veglia e attenzione; • nuclei a proiezione specifica, associati anatomicamente e funzionalmente ad una specifica regione della corteccia Tra i raggruppamenti nucleari sono 1. I nuclei anteriori: connessi principalmente al sistema limbico quindi intervengono in emozioni, memoria e l’apprendimento; 2. I nuclei mediali: collegati con la corteccia prefrontale, che regola i nostri comportamenti nell’ambito sociale. Infatti, se si interrompe la via di comunicazione fra talamo e corteccia prefrontale, l’individuo diventa emotivamente piatto (lobotomia). Un tempo, questo intervento era utilizzato per alcune patologie psichiatriche come schizofrenia e depressione, al fine di cambiare radicalmente la personalità dell’individuo. Importante è il nucleo medio dorsale; 3. I nuclei ventrali: coinvolti in circuiti sensitivi e per la pianificazione ed estensione dei movimenti, infatti sono uniti ai nuclei della base e alla corteccia; 4. I nuclei posteriori: coinvolti nei circuiti per la vista e l’udito; 5. I nuclei laterali: coinvolti in emozioni e interazioni e sensazioni. FUNZIONI DEL TALAMO • rappresenta la porta d’ingresso per la corteccia cerebrale: tutte le vie sensitive, con eccezione di quelle olfattive, arrivano al talamo dove sono parzialmente lavorate e ritrasmesse ad aree specifiche della corteccia cerebrale; • ha funzioni motorie essendo intercalato nei due circuiti dei due grandi sistemi per il controllo del movimento volontario ossia cervelletto e nuclei della base; • è inserito nei circuiti che controllano molte funzioni come l’emozione, la memoria e l’apprendimento. IPOTALAMO: rappresenta la porzione ventro-mediale del diencefalo, importante dal punto di vista funzionale nonostante rappresenti solo lo 0,3% del sistema nervoso centrale. È limitato superiormente dal solco ipotalamico e inferiormente dal chiasma ottico, dall’infundibolo e dai corpi mammillari. Le sue funzioni sono • regolazione della composizione dei fluidi; • termoregolazione; • regolazione del metabolismo energetico; • attività associate al sesso; • risposta allo stress; • regolazione dell’assunzione di cibo; • regolazione del ciclo sonno veglia. L’ipotalamo è un centro superiore preposto al controllo del sistema nervoso autonomo ed endocrino. Infatti, controlla le funzioni viscerali del nostro organismo, motivo per il quale viene definito cervello viscerale. A livello dell’ipotalamo originano vie nervose che si portano a controllare il sistema nervoso autonomo ossia motoneuroni inferiori del sistema nervoso autonomo (situati nella colonna intermedio laterale tra T1 e L2 per il sistema simpatico, mentre per il sistema parasimpatico sono nel tronco-encefalico e tra S2 e S4). Inoltre, tramite il controllo esercitato sull’ipofisi, regola direttamente o indirettamente il metabolismo dei vari organi e apparati, esercitando un controllo superiore del sistema endocrino. Qui vi sono inoltre neuroni specializzati nella secrezione di neuroormoni che agiscono in maniera diversa: • I neuroni localizzati a livello del nucleo sopraottico e paraventricolare, i quali hanno assoni molto lunghi che attraversano il peduncolo ipofisario per rilasciare a livello della neuro ipofisi l’ossitocina e la vasopressina. Queste regolano rispettivamente la contrazione della muscolatura liscia dell’utero durante il parto e controllano il riassorbimento di acqua a livello renale in condizione di disidratazione ipertonica. • I neuroni che agiscono a livello della neuroipofisi, controllando la secrezione di neuro ormoni da parte della adenoipofisi. Questo infatti secerne numerosi ormoni importanti per il metabolismo, la crescita, la riproduzione, i quali vanno anche a controllare la sottrazione di altre ghiandole. Tale secrezione viene a sua volta controllata da ormoni prodotti a livello dell’ipotalamo. IPOFISI: ghiandola endocrina situata al centro della base cranica. Questa è formata da due porzioni: adenoipofisi, anteriore e di origine epiteliale e neuroipofisi, posteriore e di origine nervosa. Lezione 63 IL TELENCEFALO Il telencefalo rappresenta la porzione più voluminosa del cervello. Esso è costituito dai due emisferi cerebrali che poggiano sull’encefalo e sul tronco encefalico. L’encefalo è l’origine del pensiero cosciente e la sede delle funzioni mentali superiori e più complesse che caratterizzano l’individuo umano come il pensiero, la percezione, la memoria, il linguaggio, l’apprendimento, le emozioni, tutte caratteristiche che caratterizzano la specie umana. Non dimentichiamo però che il telencefalo è anche la sede di tutte le informazioni sensitive e l’origine dei comandi motori: tutte le informazioni sensitive somatiche raggiungono aree specifiche della corteccia cerebrale per diventare coscienti mentre, la maggior parte dei comandi motori per il movimento volontario, originano proprio a livello di aree specifiche nella corteccia telencefalica. Quindi possiamo considerare anche il telencefalo il centro del movimento volontario. Il telencefalo a un grande sviluppo, dovuto soprattutto al grande sviluppo della corteccia celebrale. Ricordiamo anche che l’origine embrionale dell’encefalo è la stessa rispetto al diencefalo e cioè queste strutture derivano dal prosencefalo. Infatti, il telencefalo e il diencefalo vanno a costituire il cervello. Il telencefalo è costituito da due emisferi celebrali detti anche telencefalici, i quali sono separati da una profonda scissura longitudinale che prende il nome di scissura interemisferica, a livello della quale si insinua la grande falce cerebrale (un setto della duramadre). Il termine di emisfero è improprio perché entrambi vanno a formare un emisfero mentre ciascun emisfero rappresenterebbe un quarto di emisfero. I due emisferi sono separati da questa scissura interemisferica ma non sono completamente separati poiché, nella loro porzione mediale più profonda, sono collegati da fibre, da sostanza bianca che va a costituire il corpo calloso. Quindi, il corpo calloso è costituito da fasci di fibre che vengono dette commensurali, che vanno a costituire un punto di collegamento fra i due emisferi attraverso cui si scambiano informazioni. Ciascun emisfero presenta tre facce - una faccia dorsale convessa, che è in rapporto con la faccia interna della volta cranica; • una faccia mediale che è pianeggiante e che è in rapporto con la grande falce celebrale; • una faccia inferiore più accidentata, più irregolare, che poggia sulla faccia interna della base del cranio. Questa rappresenta la faccia inferiore del telencefalo più irregolare, che poggia sulla faccia interna del base cranio ed è in rapporto con il tentorio del cervelletto. ORGANIZZAZIONE DELLA SOSTANZA GRIGIA Durante lo sviluppo embrionale il volume dell’encefalo aumenta rapidamente. In particolare, la sostanza grigia accresce più rapidamente della sostanza bianca e si va a disporre in superficie, andando a costituire la corteccia celebrale. Quindi, la corteccia cerebrale è la sostanza grigia, costituita da corpi cellulari di neuroni che si vanno a disporre in superficie. In conseguenza a questo enorme accrescimento della corteccia celebrale, la sostanza grigia, rispetto al volume dei due emisferi e alla sostanza bianca, si deve ripiegare su sé stessa, si avvolge e forma tutti giri e circonvoluzioni. Queste sono separati da solchi e rappresentano l’aspetto classico visibile dei due emisferi celebrali. Quindi, la sostanza grigia della corteccia celebrale risulta fortemente convoluta e, di conseguenza, anche i due terzi della corteccia vanno a disporsi in profondità, nascosti dalla visione superficiale perché si addentrano in profondità. La presenza di tutte queste circonvoluzioni ha la funzione di aumentare enormemente l’estensione della sostanza grigia, permettendo al cervello di raggiungere l’estensione di circa 2500 cm2. Se non ci fossero tutte queste circonvoluzioni, la superficie liscia sarebbe un terzo rispetto a quella reale. La presenza di queste circonvoluzioni rappresenta la differenza maggiore rispetto al cervello degli altri mammiferi, che hanno una superficie relativamente liscia. Se in superficie abbiamo la sostanza grigia, al di sotto abbiamo la sostanza bianca ma sono presenti anche degli aggregati di sostanza grigia nella profondità della sostanza bianca e questi sono i nuclei della base, fondamentali per i movimenti. Le scissure più profonde vengono dette scissure primarie e sono quelle che compaiono durante lo sviluppo embrionale; altre meno profonde si chiamano scissure secondarie ma è la presenza delle scissure primarie che consente di suddividere la corteccia celebrale i lobi. Ci sono due importanti scissure che sono presenti sulla superficie laterale: • la scissura centrale o di Rolando: decorre a partire dal margine superiore più o meno nel punto di mezzo di ciascun emisfero. Scende poi verso il basso, non andando mai a intercettare le altre scissure e consentendo di separare il lobo frontale (anteriormente) dal lobo parietale (posteriormente). • La scissura laterale o di Silvio: inizia in corrispondenza del margine inferiore degli emisferi. Sale poi verso l’alto lateralmente e consente di separare il lobo temporale dal lobo frontale e dal lobo parietale. Abbiamo altre scissure presenti a livello della superficie mediale, che guarda verso una grande falce celebrale. I LOBI Le scissure primarie permettono di suddividere la corteccia celebrale in quattro lobi: nella parte anteriore abbiamo il lobo frontale, che è separato posteriormente dal lobo parietale dal solco centrale dalla scissura centrale di Rolando mentre, la scissura laterale di Silvio, separa il lobo temporale dal lobo frontale e dal lobo parietale. Posteriormente abbiamo un altro lobo, il lobo occipitale, che si trova dietro un solco che si chiama solco parieto occipitale. La suddivisione in cinque lobi invece prevede un quinto lobo che viene detto lobo limbico, che costituisce un anello di corteccia che si dispone a circondare il corpo calloso. Questo appartiene al sistema limbico, cioè quella porzione del nostro cervello che controlla le emozioni, la memoria e l’apprendimento E che comprende numerose componenti corticali e non. C’è anche un sesto lobo che si trova in profondità e che non è visibile in superficie: si chiama lobo dell’insula. Infatti, se divarichiamo la scissura laterale, troviamo la corteccia sotto la quale vi è questo lobo, che corrisponde alla corteccia gustativa primaria ossia aree della corteccia celebrale implicate nella sensibilità gustativa. L’individuazione dei lobi a livello corticale è un fatto importante perché permette di individuare all’interno dei diversi lobi delle aree funzionali, cioè delle porzioni della corteccia che sono deputate a svolgere funzioni specifiche. In generale possiamo dire che queste aree sono suddivise in tre categorie: - le aree motorie, che comprendono neuroni che sono implicati nell’esecuzione dei movimenti volontari e nella programmazione dei movimenti; - le aree sensitive primarie, aree della corteccia che ricevono gli impulsi sensitivi. Sono il primo punto della corteccia dove arrivano questi impulsi e permettono il riconoscimento cosciente e la localizzazione; La maggior parte delle aree corticali sono definite aree associative, cioè aree sia sensitive che motorie. Queste sono molto complesse e nel caso delle motorie, permettono una più completa interpretazione dello stimolo in base a diversi input. In base anche ad esperienze passate, queste aree associative sono anche quelle implicate in funzioni superiori e che consentono la programmazione di un movimento. Per capire meglio le aree associative sensitive pensiamo per esempio di avere un danno ad un’area associativa visiva: in questo caso, noi riusciamo a vedere dei simboli su un foglio perché la nostra area associativa primaria non è lesionata, quindi noi vediamo i simboli su un foglio ma non riusciamo ad interpretarli. AREE CORTICALI La mappatura della corteccia è stata fatta alla fine dell’Ottocento o all’inizio del 900 dal tedesco Brodmann, il quale aveva mappato la corteccia celebrale individuando più di 50 aree. Tuttavia, lo aveva fatto con i mezzi di cui disponeva a quel tempo, cioè mappandole osservando la corteccia al microscopio, in base alla morfologia dei neuroni e in base alle caratteristiche della superficie caratteristiche citoarchitettoniche dei neuroni (dimensione, forma, spessore della corteccia). Questa mappatura è ancora tenuta in considerazione perché a queste aree di Brodmann corrispondono delle aree funzionali. Il solco centrale rappresenta un punto di riferimento importante, un limite importante per individuare le aree motorie e le aree sensitive. Infatti, vediamo che anteriormente a questo solco si trova un giro corconvoluzione che si chiama giro precentrale: perché sta davanti al solco e centrale perché sta al centro. Posteriormente a questo solco centrale si trova un altro giro o circonvoluzione che si chiama solco posto centrale. Queste sono due aree con funzioni diverse perché il giro precentrale è costituito da neuroni con funzioni motoria: questa è l’area M o area motoria primaria, da cui gli assoni discendenti che vanno a costituire il sistema cortico spinale e cioè il principale sistema di controllo del movimento. Posteriormente invece c’è un’area con funzione sensitiva l’area S1: a livello di questa circonvoluzione che viene definita postcentrale (perché si trova posteriormente al solco centrale), vi è l’area somatosensitiva primaria, dove arrivano tutte le grandi vie sensitive somatiche. LE CARATTERISTICHE DEI LOBI • il lobo frontale: è impegnato in due importanti funzioni: il movimento e il sistema cognitivo. Infatti, a livello dell’area M1, che corrisponde all’area quattro di Brodmann, originano i neuroni che andranno a costituire il fascio cortico spinale. Anteriormente troviamo l’area sei di Brodmann, ossia corteccia premotoria coinvolta nella pianificazione dei movimenti. Qui i neuroni devono definire lo schema motorio necessario per eseguire un determinato movimento. Sempre nel lobo frontale individuiamo nella zona 44-45 delle aree di Brodmann un’altra area, l’area di Broca, che troviamo nella maggior parte delle persone nel lobo sinistro. È un’area importante per l’articolazione del linguaggio, quindi, un ictus a livello del lobo sinistroprovoca un’incapacità di parlare. Anteriormente a queste aree, vi è un’area impegnata nel sistema limbico e legata agli aspetti decisionali e comportamentali. Gran parte della corteccia del lobo frontale è costituita da aree associative, dedicate a funzioni superiori. il lobo parietale: lo possiamo considerare sensitivo. Posteriormente al solco centrale abbiamo visto il giro poste centrale che l’area S1, che corrisponde alle aree 3/1/2 di Brodmann dove arrivano tutte le informazioni sensitive. Anche a livello di questo lobo si trova un’area del linguaggio, in particolare, le aree 39 e 40 sono aree che servono per le lavorazioni delle parole udite e vanno a costituire una delle tante aree coinvolte nella comunicazione verbale produzione e comprensione del linguaggio. Successivamente troviamo l’area 7 per la localizzazione degli oggetti. • Il lobo temporale: è implicato anche esso nelle funzioni sensitive e uditive. In particolare, abbiamo la circonvoluzione temporale superiore che comprende le aree 41 e 42 o corteccia uditiva, che serve per la percezione e localizzazione dei suoni. Poi abbiamo l’area 22 area di Wernicke, area per la comprensione del linguaggio parlato. Una lesione all’area di Wernicke porterebbe a fare un discorso privo di senso perché non riusciremo a capire il linguaggio che stiamo sviluppando e il linguaggio altrui. Se invece abbiamo un problema nell’area di Broca, non riusciamo ad articolare le parole perché quell’area è per la pianificazione dei movimenti e per l’articolazione del linguaggio. Ricordiamo anche che nel lobo temporale, nella porzione più anteriore, abbiamo importanti aree che sono coinvolte nel sistema limbico, quindi le emozioni e anche tutte queste funzioni superiori. • il lobo occipitale: è tutto dedicato alla funzione visiva: abbiamo l’area visiva primaria (l’area 17), e tutte le aree associative di ordine superiore, che servono per meglio comprendere e lavorare tutte le informazioni visive. L’area di Broca e l’area di Wernicke sono principalmente localizzate nel nella maggior parte degli individui nel lobo sinistro. Questo significa che c’è una asimmetria emisferica, cioè i due emisferi cerebrali non sono esattamente uguali dal punto di vista funzionale. Infatti, ci sono alcune funzioni che sono preferibilmente localizzati in un lobo mentre altri in un altro lobo e sono diverse funzioni: alcune riguardano la preferenza manuale, il linguaggio, altre che riguardano funzioni più fini più sottili che vanno identificate come stile cognitivo. Le funzioni che troviamo nell’emisfero destro sono creatività musicale artistica, capacità di discriminare gli odori, creazione del contenuto emozionale del linguaggio, invece nel sinistro abbiamo la funzione del linguaggio scritto e parlato, le abilità numeriche scientifiche e il ragionamento e via discorrendo. • LA SOSTANZA BIANCA La sostanza bianca è costituita da fasci di fibre e fasci di assoni, che possono portarsi a regioni diverse o dello stesso emisfero cerebrale o dell’altro emisfero. possiamo pertanto individuare tre tipologie di fibre • le fibre associative, che collegano aree corticali dello stesso emisfero e possono essere lunghe o brevi; • Le fibre commensurabili, che connettono aree corticali appartenenti ai due emisferi (corpo calloso); • Le fibre di proiezione, che collegano le aree corticali con aree sottocorticali e viceversa. Infatti, si distinguono in fibre discendenti e ascendenti perché si portano o provengono da altre regioni dell’encefalo e del midollo spinale. I NUCLEI DELLA BASE Si tratta di raggruppamenti di corpi cellulari di neuroni che si trovano in profondità degli emisferi cerebrali, al di sotto dei ventricoli laterali, di fianco al talamo e immersi nella sostanza bianca. Il nome deriva dal fatto che si trovano alla base del telencefalo, integrati con il talamo. Ai nuclei della base appartengono anche alcune formazioni appartenenti al mesencefalo (sostanza nera) e al diencefalo. Lesioni a livello dei nuclei della base portano a disfunzioni e patologie di vario genere come • Parkinson: patologia ipocinetica dove il paziente non riesce a muoversi normalmente, ha tremolio, rigidità muscolare. • corea di Huntington: patologia ipercinetica, dove il paziente non riesce a controllare i suoi movimenti, che sfuggono alla sua volontà. Siccome si manifesta oltre i 30/40 anni, i soggetti potrebbero trasmetterla ai propri figli in consapevolmente. Con l’avanzare degli anni inoltre può dare origine a schizofrenia. • emiballismo: patologia ipercinetica. Inoltre, tali lesioni possono dare luogo a disturbi neurologici e psichiatrici pertanto, tali nuclei controllano il sistema motorio e limbico. A livello telencefalico vi è un corpo striato, costituito da nucleo caudato (a forma di virgola e caratterizzato da una testa, un corpo e una coda) e nucleo lenticolare (che comprende a sua volta il putamen, lateralmente e il globo pallido, medialmente). Quest’ultimo è situato sotto al precedente, al quale è unito attraverso striature di sostanza grigia. In particolare, il nucleo caudato si dispone inferiormente ai ventricoli laterali, seguendone il decorso. Inoltre, il corpo striato si trova lateralmente al talamo. Tra il putamen e il nucleo caudato vi sono aperture attraverso le quali passano fasci di assoni sensitivi e motori che si portano verso la corteccia e che vanno a costituire la capsula interna. I nuclei della base cooperano insieme al cervelletto per coordinare, fluidificare, armonizzare e automatizzare i movimenti. Quindi, tali nuclei facilitano l’inizio e l’esecuzione dei movimenti ma sono anche implicati in attenzione, memoria e pianificazione. Il movimento è dato quindi dalla corteccia cerebrale, che fa partire volontariamente il movimento. Questa demanda al cervelletto e ai nuclei della base e l’esecuzione corretta e automatica dello stesso. Lezione 64 IL CERVELLETTO È la seconda struttura più voluminosa dell’encefalo dopo il cervello. È situato dorsalmente al tronco encefalico al quale è collegato attraverso tre paia di peduncoli cerebellari, in particolare, si trova all’interno della fossa cranica posteriore. Inoltre, si trova inferiormente ai lobi occipitali del telencefalo, dal quale è separato dal tentorio del cervelletto. Questo è un setto della duramadre a forma di tenda, che prende attacco in corrispondenza delle ossa occipitali. Nonostante costituisca 1/10 del volume totale dell’encefalo, contiene più della metà del numero totale dei neuroni presenti a livello dell’encefalo, infatti, possiede neuroni molto piccoli. A livello delle vescicole encefaliche, il cervelletto origina dal romboencefalo e successivamente dal melencefalo, che dà origine dorsalmente al cervelletto e ventralmente al punto. Il cervelletto costituisce il tetto del quarto ventricolo, il cui pavimento è costituito dalla fossa romboidale che si trova nella porzione dorsale del ponte. I peduncoli cerebellari sono • un paio superiore: collegano il cervelletto e mesencefalo; • un paio medio: i più grandi perché sono attraversati da fasci di fibre ascendenti e discendenti (20 milioni di fibre), collegano cervelletto e ponte. Tra cervelletto e ponte infatti vi sono le fibre cortico pontine e ponto cerebellari, le quali instaurano complessi circuiti di collegamento tra corteccia cerebrale e cervelletto, fondamentali per il movimento; • un paio inferiore: collegano il cervelletto e bulbo. Il cervelletto ha la forma di ovoide appiattito. Questo infatti ha la forma di farfalla, costituito da una porzione centrale allungata (VERME) e due laterali espanse (EMISFERI CEREBELLARI). La superficie del cervelletto presenta numerose flessure, le quali delineano circonvoluzioni, queste prendono il nome di FOLIA, e servono per aumentare ulteriormente la superficie disponibile per i neuroni. Infatti, in questo modo, circa i 9/10 dello spazio del cervelletto si trova in profondità. Le facce del cervelletto sono • superiore, • inferiore, separata dalla precedente della fessura orizzontale, • anteriore. La sostanza grigia a livello del cervelletto è disposta all’esterno e prende il nome di corteccia cerebellare, fortemente ripiegata. La sostanza bianca invece si dispone internamente e presenta una configurazione ad arbor vitae, ossia simile a quella dell’albero. Tuttavia, la sostanza grigia si trova anche in profondità, ed è costituita da nuclei profondi del cervelletto, responsabili dell’output del cervelletto. Questi infatti ricevono le informazioni elaborate dalla corteccia cerebellare e le inviano attraverso le vie efferenti ai diversi bersagli. Tali nuclei sono organi pari e si dividono in • nucleo dentato; • nucleo globoso ed emboliforme, i quali spesso vengono accomunati sotto il nome di nucleo interposito; • nucleo del tetto. CLASSIFICAZIONE MORFOLOGICA DEI LOBI CEREBELLARI Si basa sulla presenza di solchi profondi, che dividono il cervelletto in lobi. Questi sono • il lobo anteriore, • il lobo posteriore, separato dal precedente dal solco primario; • il lobo flocculo nodulare, visibile solo dalla faccia inferiore del cervelletto. È separato dal lobo posteriore dalla flessura postero-laterale. CLASSIFICAZIONE IN BASE FILOGENETICA archicerebello: è il più antico e corrisponde al lobo flocculo nodulare (unica corrispondenza tra le due classificazioni); • paleocerebello: compare successivamente in rettili e uccelli ed è costituito da gran parte del lobo anteriore; • neocerebello: costituito da gran parte del lobo posteriore. Questo è quello che ha avuto uno sviluppo maggiore e rappresenta la porzione più estesa. È il più sviluppato e si è sviluppato di pari passo con la porzione ventrale del ponte e al lobo frontale degli emisferi cerebrali. Inoltre, è deputata ai movimenti fini del nostro organismo. CLASSIFICAZIONE SU NASE FUNZIONALE • vestibolocerebello: è l’unico che corrisponde alla classificazione morfologica, in particolare al lobo flocculo nodulare. È la porzione del cervelletto deputata al controllo dell’equilibrio e dei movimenti oculari; • spinocerebello: è rappresentato dal verme e dalle regioni a lui adiacenti (REGIONI PARAVERMIALI). Questo è connesso al midollo spinale per il controllo dell’esecuzione dei movimenti volontari e la postura; • cerebrocerebello: è la più sviluppata e evoluta, che occupa emisferi cerebellarilaterali ed è responsabile della pianificazione dei movimenti. Il cervelletto controlla il movimento insieme ai nuclei della base. Il cervelletto riceve numerose informazioni sensitive somatiche e propriocettive, che gli servono per programmare la sua attività. Le lesioni del cervelletto possono portare ad alterazioni cognitive. Tra queste troviamo • ipotomia: alterazione del tono muscolare; • disartria: in capacità di articolare le parole in modo appropriato; • atassia: mancata coordinazione muscolare. Pertanto, vi è una connessione fra cervelletto e sistema limbico. Il cervelletto è molto sensibile a alcune sostanze tra cui l’alcol, il quale può alterare in maniera permanente le funzioni cerebellari. Infatti, quando si è ubriachi si perde l’equilibrio, la memoria, non riusciamo ad elaborare informazioni propriocettive, tutte funzioni svolte dal cervelletto. Il cervelletto riceve quindi in tempo reale le informazioni, le elabora e aggiusta in tempo reale il movimento. Tali afferenze sensitive derivano dall’orecchio interno (equilibrio), dal midollo spinale (muscoli e articolazione), dal telencefalo (aree motorie). Il cervelletto è in grado di comparare in tempo reale l’intenzione del movimento e il movimento effettivamente eseguito. Nel caso di discrepanze fra i due, elabora informazioni motorie per correggere errori tramite fibre efferenti, permettendo una corretta esecuzione del movimento e una migliore pianificazione e coordinazione motoria. Pertanto, le fibre efferenti che partono dai nuclei intrinsechi si portano all’origine dei fasci dei sistemi motori discendenti e alle aree motorie della corteccia cerebrale premotorie e associative. Il cervelletto confronta l’intenzione con l’effettiva prestazione motoria, al fine di rendere fluidi e coordinati i movimenti complessi. Presiede il controllo della postura e dell’equilibrio e può avere un ruolo nei processi cognitivi e nella produzione del linguaggio. •