De Luca Vincenza (A00001221) Lezione 09-10-2020 Lezione 16-10-2020 PREMESSA Nella scorsa lezione abbiamo affrontato un argomento ovvero abbiamo letto insieme la lettera di sensibilizzazione nei confronti della tutela del patrimonio architettonico storicizzato scritta da Raffaello con l'aiuto di Baldassarre Castiglione al Papa Leone X. Una lettera nella quale per la prima volta un intellettuale sottolinea l'importanza dei monumenti del passato nello specifico dell'antichità classica Romana al fine di evitare lo scempio e le devastazioni fatte dai barbari o dai Vandali che hanno smantellato è smontato le pietre di calcare dei vecchi edifici, e come tutti sappiamo il Colosseo era diventata una vera e propria Cava artificiale dove poter accingere per recuperare i materiali lapidei, le pietre, le statue che servivano per la costruzione di altre architetture, monumenti, edifici. Quindi di fronte a questo quadro Raffaello cerca di sensibilizzare Leone X presentando un programma Papalino Che prevedeva fondamentalmente il rilievo dei manufatti più importanti della Roma Leonina. Raffaello avuto l'incarico dal papà di elaborare questi grafici di rilievo degli edifici maggiormente rappresentativi di Roma, decide di portare tutti verso una sensibilizzazione nei confronti del patrimonio dell'antichità che andava perorato nei confronti del sovrano ovvero Papa Leone decimo. Questa sensibilizzazione innesca un processo che, nel corso dei secoli ci porterà all'attuale concetto del restauro dell'architettura a cui fortunatamente si è aggiunto anche il restauro urbano e il restauro del paesaggio. LEZIONE Tra la lettera di Raffaello e un altro evento di portata internazionale cioè la Rivoluzione francese del 1789, e da quel momento vedremo che fino al 1800 e poi per tutto il 1900 il concetto di restauro inizierà ad avere caratteristiche disciplinari autonome e proprie, tali da definire una materia che in alcune circostanze diventa anche addirittura complicata. Il concetto di restauro che nella storia della disciplina non è mai stato omogeneo ma è sempre stato influenzato da diversi pensieri e dei diversi studi; si tratta quindi di un intervento su monumenti, architettura, opera d'arte e altri oggetti di valore artistico, successivo al completamento dell'opera, con finalità mirate o al mantenimento del manufatto antico, o all'adeguamento del gusto contemporaneo o anche alla possibilità che gli edifici del passato abbiano una nuova funzionalità. Fino alla metà del 1700 gli interventi sulle architetture avevano prevalentemente un carattere di rifacimento e di adeguamento allo stile e alla funzionalità del momento storico in cui restauri venivano eseguiti, uno degli esempi più eclatanti è la riconfigurazione della chiesa gotica di San Francesco a Rimini trasformato da Leon Battista Alberti nel tempio malatestiano. Nel corso dei secoli quasi tutte le grandi costruzioni hanno subito aggiunte, integrazioni, ampliamenti, sovrapponendo allo stesso edificio più fasi di costruzione. L'intervento di restauro effettuato da Leon Battista Alberti al tempio malatestiano riguarda una sorta di seconda pelle che ricopre 3 dei prospetti perché purtroppo il prospetto posteriore fu lasciato incompiuto, vediamo quindi come il tempio si presenta frontalmente con delle arcate che quasi sempre hanno dei sarcofagi e sulle facciate laterali si può intravedere, dalle aperture della seconda pelle, le aperture di quelle che erano della chiesa originale; dobbiamo immaginare che la chiesa originale viene posta all'interno di una scatola che la ricopre tre lati su quattro. Questo nuovo restaurare di Leon Battista Alberti va oltre quello che era il restauro classico, ma ci racconta già nel 1500 di quello che dopo circa 600 anni, ovvero nella nostra contemporaneità si farà, affiancando o sovrapponendo qualcosa al manufatto che ci viene dato in eredità dal passato. Tutta quest’attività svolta successivamente alla lettera di Raffaello, nel corso del 1500, 1600, 1700, difficilmente noi potremmo definirli come interventi di restauro perché solo alla fine del 1700 si pose l'esigenza di un approccio sistematico e disciplinare ai problemi dell'edilizia pubblica. RESTAURO ALLA BASILICA DI SAN PIETRO Il restauro della Cupola della Basilica di San Pietro è stato uno dei temi più importanti della fase paleolitica del restauro. Il caso della Basilica di San Pietro è un caso anomalo nella storia dell'architettura perché sappiamo che per realizzare la Basilica di San Pietro sono partiti dalla vecchia basilica paleocristiana Costantiniana, una chiesa a tre navate con abside piccola, che fu fatta erigere dall’imperatore Costantino nel 320 d.C. All'inizio del 1500, per volontà di Giulio II della Rovere, si inizierà a distruggere la vecchia basilica paleocristiana e si inizieranno i lavori per il nuovo San Pietro che sarà costruito nell'arco di quasi 150 anni attorno alla quale hanno lavorato circa 17 architetti di grande importanza come Donato Bramante, Frà Giocondo, Baldassarre Peruzzi, e tanti trattatisti rinascimentali cinquecenteschi che si misuravano con questo tema. I tempi lunghi della realizzazione hanno comportato una serie di deficienze di carattere strutturale che si sono prima riversate sulla parte del transetto centrale e successivamente sul prospetto anteriore che sul progetto definitivo avrebbe dovuto avere due campanili che fiancheggiavano il balcone dal quale si affaccia il Papa quando viene eletto, e di questi due campanili ne venne realizzato solo uno e parzialmente ma subito demolito. Successivamente quando Giacomo Della Porta terminerà il progetto di Michelangelo chiudendo il tamburo, la cupola e la lanterna, vedremo che sostanzialmente i maggiori problemi di carattere statico. Parliamo cioè architetti che lavorano sempre cercando di modificare l'impianto tipologico e l'impianto morfologico della basilica, in una battaglia sfrenata tra chi era sostenitore di una pianta a croce greca contro chi era sostenitore di una pianta a Croce Latina. Tra tutti Donato Bramante, Baldassarre Peruzzi e Michelangelo Buonarroti si schierano per la pianta a croce greca, mentre Raffaello Sanzio, Antonio da Sangallo il Giovane e Carlo Medrano si sono battuti alla volontà della chiesa che preferiva la Croce Latina in quanto per le processioni si poteva avere la possibilità di una Via Crucis che consentisse di terminare la processione a piedi all'interno di una navata coperta dalle intemperie verso un punto centrale individuato all'incrocio degli assi del transetto e l'abside e quindi al di sotto di una cupola, era sicuramente una soluzione maggiormente accattivante. Alla fine, Carlo Medrano accontenterò la classe e il potere ecclesiastico e San Pietro si realizzerà fuori dallo schema e vincerà lo schema della pianta tipologica a Croce Latina. Nel 1452 il papa Nicolò Quinto diede l'incarico a Bernardo Rossellino e la nuova costruzione ebbe inizio nel 1506 su progetto di Donato Bramante che quello che lavora per Giulio II della Rovere. Dopo di lui si alternarono alla direzione dell'Opera molti architetti fin quando nel 1546 Michelangelo assunse i lavori ed egli immaginò nella pianta un grande edificio a croce greca dominato da una Maestosa cupola. Nei primi anni del 1600 Carlo Maderno realizzo il progetto definitivo della nuova basilica; i lavori del nuovo San Pietro hanno inizio dalla parte del transetto e della nuova abside e nel 153040 si sarebbe realizzato anche il tamburo che sarebbe servito per sostenere la cupola michelangiolesca, cupola che successivamente riporta una serie di problemi. Nello specifico il progetto di Michelangelo presentava massa muraria perimetrale sormontata da un piano attico scandito da aperture che poi viene cancellato dal piano attico di Medrano dove si riproducono degli spezzoni di lesene, come continuazione delle lesene sottostanti, che andranno ad infittire e appesantire notevolmente questo piano che per Michelangelo sarebbe dovuto essere bianco e sarebbe dovuto essere un piano intermedio tra la parte sottostante e la cupola che serviva quasi a far levitare, inoltre nell'ipotesi di Michelangelo, la cupola del San Pietro richiama alla mente le tecniche costruttive messe in campo per la chiesa di Santa Maria del Fiore a Firenze. La cupola si eleva su un tamburo dalla quale sporgono delle colonne Binate alternate ai vuoti delle finestre. La curva della calotta rialzata, realizzata dopo la morte di Michelangelo da Giacomo Della Porta e da Domenico Fontana, si tende nelle 16 nervature dei costoloni la cui spinta verticale viene a concludersi nel lanternino terminale. Il primo progetto di Michelangelo è una calotta a sesto ribaltato che provocherà tutta una serie di sovraccarichi sul tamburo e sui costoloni arricchite dai pilastri binati, quindi dopo la sua morte, sia Domenico Fontana che Della Porta tenderanno a rendere maggiormente questa curva semicircolare in una curva ellittica, tenendo conto il modello della Chiesa di Santa Maria del Fiore. Questa costruzione si sviluppò gradualmente così come si era sviluppata gradualmente tutto il cantiere del San Pietro è proprio per la configurazione semicircolare della Cupola, nella volta e nelle sottostanti strutture del Piano Attico e del tamburo, si aprirono moltissime crepe dando un quadro fessurativo che preoccupò molto i progettisti è lo stesso papa. Tutte queste fasi progettuali per la costruzione del nuovo San Pietro sono documentate da Carlo Fontana, da non confondere con Domenico Fontana, in un trattato dove si parla di quello che Domenico Fontana e Della Porta modificano nella curva della Cupola del San Pietro rispetto al presunto progetto di Michelangelo Buonarroti, loro inserirono soprattutto nella parte superiore alta della Cupola una serie di catene per contenere le spinte trasversali esercitate dalla volta che normalmente lesioni verticali, ovvero le lesioni di schiacciamento e oltre a mettere queste catene bloccarono le lastre trasversali con il piombo fuso, fecero comunque interventi che consentirono alla cupola di non avere gravi danni. Realizzarono inoltre anche dei costoloni sull’estradosso della Cupola con sofisticate centinature di legno (disegnando anche i particolari delle stesse in scala 1:1 facendo dei modellini lignei sul sacrato della chiesa). Agli inizi del 1600 con il completamento dei lavori della cupola di San Pietro il panorama di Roma cambia con il risultato finale della struttura modernissima capace di anticipare i concetti architettonici che si svilupperanno nei secoli a seguire, nonostante sia stata costruita con strumenti tecnici e metodi analitici basati essenzialmente su una cosiddetta intuizione scientifica che ha comportato agli inizi del 1700, una situazione di criticità determinate da quel famoso quadro fessurativo che mostrava la cupola. Nel corso del 1700 ci possiamo confrontare con il grandissimo lavoro teorico, grafico, e pratico di Giovanni Poleni che racconta in un libro intitolato "memorie storiche della Gran cupola del tempio Vaticano" tutte le necessarie operazioni di consolidamento aggiuntive a quelle già presentate da Giacomo della porta e Domenico Fontana per garantire la stabilità alla cupola di San Pietro. Giovanni Poleni era uno scienziato che inizia a risentire dell'atmosfera della ricerca determinata anche dalla nuova epoca settecentesca ovvero l'epoca dei lumi, e per lumi si intende i lumi della mente e cioè una nuova scientificità che si mette in parallelo a quelle intuizioni scientifiche, basata su studi di Statica, studi di geometria descrittiva. Insomma il 1700 inizia a gettare le basi affinché tutte quelle intuizioni scientifiche che abbiamo visto esprimersi dal 1400 fino a tutto il 1600, inizino a prendere la strada della scienza esatta, quindi 1700 diventa una fase cruciale per lo sviluppo della disciplina del restauro e nello specifico Giovanni Poleni va guardato come una delle figure maggiormente rappresentative che sapranno indirizzare l'intuizione scientifica delle prime ipotesi di consolidamento verso una vera e propria disciplina scientifica del restauro. Nel XVIII secolo l’intervento di Papa Benedetto XIV è quello che serve a salvare la cupola grazie al restauro realizzato appunto da Giovanni Poleni il quale anticipando le nuove concezioni di restauro che si svilupperanno a partire poi dal 1800, eseguì lavori di consolidamento riuscendo a lasciare intatto l'aspetto estetico e documentando il suo restauro in un suo volume dove egli afferma che la situazione della Cupola non era poi così tanto critica come veniva detto da Fontana e Della Porta, ma comunque bisognava intervenire (infatti la cupola secondo lo stesso Poleni non doveva non doveva essere sottoposta ad una riconfigurazione, come avevano fatto i due prima di lui, ma ad un intervento di consolidamento, che lui attuerà insieme a Luigi Vanvitelli .Scrisse inoltre dopo attenti studi scientifici e metrici che bastava fare una serie di operazioni per restaurarla è per togliere questo senso di sgomento e di spavento che a quell'epoca nutriva tutta la chiesa; egli non si concentra sul tamburo ma soprattutto sulla Cupola perché il tamburo, dotato di contrafforti sarebbe riuscito a garantire il sistema strutturale visto che le pile sottostanti ad esso erano solide. Ciò che Poleni voleva verificare è che doveva effettuarsi una verifica della curva e della sua geometria fissata da Michelangelo se fosse stata realmente ammissibile considerando quei carichi, quindi l'operazione di rilievo è un'operazione che tende innanzitutto a capire se la cupola di Michelangelo trasformata da della porta e Fontana in una cupola ogivale, fosse effettivamente ammissibile nel quadro generale statico e lui rileva che la curva delle pressioni della Cupola, pur passando in chiave e all'imposta, il baricentro dello spicchio formatosi dai costoloni si spostava leggermente da questa curva. Una volta analizzata la sezione meridiana della Cupola egli ne ridisegna un'altra che avrebbe dovuto restringersi verso la base e salire più in alto al centro. In definitiva secondo Poleni la cupola dovrebbe essere meno tozza è ancora più ogivale, ma ovviamente egli non può mettere mano ad una demolizione e ricostruzione e quindi questa forma anomala che ha comportato la deformabilità flessionale degli spicchi, che ha comportato una maggiore dilatazione e quindi la sottostante fessurazione, andava bloccata attraverso un escamotage tecnico strutturale. Giovanni Poleni è stato il primo restauratore italiano che può veramente dirsi di alto livello, ed è il primo restauratore italiano che farà scuola anche per gli interventi di fine 1700 e inizi 1800 realizzati sia per il Colosseo da Raffaele Stern e Giuseppe Valadier, ma anche e soprattutto dell'intervento di consolidamento e Restauro dell'Arco di Tito di Valadier. Stiamo parlando di architetti e ingegneri dello Stato Pontificio: Giovanni Poleni, Raffaele Stern e Valadier che forse dalla cultura del restauro italiano sono stati un po' troppo dimenticati perché leggendo dentro le loro opere noi abbiamo la possibilità di individuare una via molto coerente tra le esigenze statiche, e quindi esigenze di consolidamento e di tutela e di valorizzazione dei monumenti che ci vengono dall'antichità attraverso anche interventi non solo tecnici ma anche interventi di carattere progettuale. Giovanni Poleni Lancia così un grido d'allarme che sottolinea che se c'è un problema e questo problema va risolto tranquillamente ed è un problema di portata inferiore a quello che si pensava all'epoca così vennero disposti tra il 1743 e 1744 intorno all’estradosso della Cupola e del tamburo e a quote diverse, ben cinque grandi anelli di ferro, messa in forza con un sistema curato da Luigi Vanvitelli. Questo sistema era costituito da cerchioni da 32 componenti, i quali secondo una probabile idea vanvitelliana, i quali viene infisso per battitura un cuneo a sezione trapezoidale il cui profilo garantisce per forma il bloccaggio dei componenti e la corretta tensione del dispositivo. Una volta murati, i cerchioni furono protetti da lastre di Travertino fissate a calce, cioè si fa un vero e proprio rivestimento al di sopra del consolidamento architettonico. I lavori di consolidamento della Cupola sono conclusi con successo grazie alla presenza nel cantiere del "sanpietrino storico" e cioè colui che si interessava sempre dei lavori di restauro e consolidamento del San Pietro, Nicola Zabaglia, che era un teorico e un grande e pratico che disegna un trattato sulle Capriate lignee e su tutti i ponteggi in legno provvisori per sostenere e consolidare le opere a rischio di crollo. Tra il mese di dicembre del 1743 e il mese di marzo del 1744, con l'aiuto di 17 manovali è l'Impiego di 400 tavole di legno e diversi ordini di cavalletti, Nicola Zabaglia costruisce i ponteggi attorno al tamburo e all'attico della Cupola. Grazie ai ponteggi, sui quali sono stati armati diversi tiri di traglie, i componenti dei cerchioni vengono quindi trasferiti sugli impalcati di servizio con paranchi azionati da verricelli. Raggiunta la quota di lavoro, i cerchioni sono posizionati negli alloggiamenti di posa, praticati dai muratori nel corpo della calotta e posti in tiro. A montaggio avvenuto, muratori e manovali risarciscono i vani di posa. Alla fine del 1744 l'ultimo, il quinto cerchione, è montato. Il ponteggio viene smontato e i componenti sono riposti nei depositi della fabbrica. I lavori di restauro saranno conclusi con questo ultimo intervento. Con la fessurazione Meridiana la curva delle pressioni negli spicchi si sposta dalla superficie media della Cupola, che di regola non coincide con la superficie delle pressioni. Quando quest'ultima sfiora all'intradosso, all’estradosso della Cupola si producono pericolose fratture che corrono lungo i paralleli. Le sole lesioni Meridiane non costituiscono necessariamente un motivo di grave preoccupazione statica, ma vanno monitorate. I problemi statici delle Cupole in muratura sorgono quando nelle zone tese le sollecitazioni di trazione, raggiungono valori prossimi alla debole resistenza a trazione della muratura che si frattura con comparsa di lesioni lungo i meridiani. Le Cupole in muratura sono infatti frequentemente lesionate proprio lungo i meridiani. Anche una sola di queste lesioni è sufficiente ad annullare l'azione cerchiante dei paralleli. ponteggi di Nicola Zabaglia 1800 in Francia A partire dalla seconda metà del Settecento l'affermarsi dell'ottica storicistica, ovvero della tendenza a interpretare le testimonianze artistiche del passato nel contesto culturale proprio, ha dato avvio al dibattito teorico tuttora in corso in cui si concepisce il restauro come evento tecnico-critico nel corso dell'esistenza dei monumenti e dei manufatti artistici. Naturalmente a tutto ciò si aggiunge anche il mondo delle scoperte archeologiche e bisogna pensare a Winkelmann, il Grand Tour di Gate, alla riscoperta delle antichità grazie agli scavi di Ercolano e Pompei, insomma vi è un nuovo clima che mette in moto un meccanismo abbastanza importante dal punto di vista culturale. L'evento che fa nascere il criterio del restauro architettonico o perlomeno di una prima idea di restauro architettonico che si svilupperà poi in maniera decisa a partire dal 1800, è la Rivoluzione francese perché vuole rinverdire i riti della damnatio memoriae. Il giorno 14 agosto del 1792, dopo aver portato alla ghigliottina Luigi XVI e Maria Antonietta , la nuova assemblea legislativa rivoluzionaria decreta la rimozione di ogni luogo pubblico delle statue dei Re. Nel mese di agosto dell'anno successivo la convenzione ordina la distruzione delle tombe e dei mausolei regali della chiesa di Saint Denis. Ciò significa che a partire dal 1792 si scatenano una serie di vandalismi che hanno come obiettivo la distruzione di tutti i monumenti e quindi si avvia questo saccheggio, non solo a Parigi ma su tutto il territorio nazionale. Infatti ci ricorda Louis Sebastien Mercier, a cui si deve la monumentale compilazione dei Tableaux de Paris che descrivono strade, palazzi, piazze e angoli della città vecchia oggi scomparsi, e nel 1798 denunciava che ancora qualche anno e non si saprà più dove erano le chiese dei Cordiglieri , dei Giacobini, degli Agostiniani, dei Carmelitani, dei Bernardini, di Sainte-Opportene, di Saint-Jean-en-Greve e di Saint-Germain le Vieux, e se oggi vogliamo capire come erano ridotti questi spaccati di città in rovina possiamo rivolgerci a dipinti di Hubert Robert. distruzione delle tombe e mausolei chiesa Saint Denis Spaccati di città secondo i dipinti di Hubert Robert Dato che le chiese erano i luoghi dove la monarchia veniva seppellita, i primi bersagli dei vandali rivoluzionari erano appunto le chiese. L'emblema della Rivoluzione francese e la presa della Bastiglia avvenuta il 14 luglio 1879. La sua demolizione inizia il 14 luglio ovvero un giorno dopo la presa. La furia distruttrice dei rivoluzionari si abbatté su molte altre architetture, sculture e simboli della monarchia francese deposta. Presa della Bastiglia La storia della salvaguardia del patrimonio francese in seguito ai vandalismi post-rivoluzionari, prende le mosse un anno dopo l'alienazione dei beni ecclesiastici, quando il ministro Charles-Maurice de TalleyrandPérigord, primo Principe di Benevento fece adottare il 2 novembre 1790 un decreto sulla conservazione dei monumenti divenuti di proprietà Nazionale. Tale decreto rappresentava un primo provvedimento di salvaguardia adottato in seguito alla denuncia del deputato Francois-Marie Puthod de Maison-Rouge per condannare i numerosi saccheggi che danneggiavano il patrimonio ereditato dalla monarchia. L’avviso che Puthod rivolse all'assemblea conteneva un'idea fondamentale per la tutela del patrimonio artistico e architettonico francese con cui in seguito, si sarebbe avviata la creazione di nuovi musei. Per evitare la perdita del patrimonio francese, egli sosteneva che era necessario sottrarre i monumenti all'oscurità della morte in cui giacevano e riportarli alla luce della vita classificandoli e raggruppandoli in un unico luogo: l'idea per cui il déplacement des monuments significava la loro Resurrezione, attuata a partire dal 1791, venne poi fortemente contrastata da Antoine Chrisostom Quatremare de Quincy nel 1796. Ciò significa che i deputati pur facendo bene, quindi sottrarre i monumenti a atti di vandalismo post-rivoluzionario, li sottraevano dai luoghi e li portavano in altri luoghi imprigionando questi elementi architettonici e queste sculture, secondo Quatremare de Quincy non bisognava prendere questi monumenti e renderli prigionieri in altre strutture ma bisognava difendere i monumenti e le sculture sui luoghi in cui sono sempre stati e bisogna avere la forza il coraggio di proteggerli in loco. La nascita del museo dei monumenti francesi, fondato da Alexandre Lenoir nel 1795, rappresentò non solo la prima risposta concreta nei confronti della salvaguardia del patrimonio culturale francese auspicata da Puthod e se oggigiorno è possibile parlare di "patrimonio culturale" lo si deve proprio alla sua presa di posizione nell' invocare la protezione dei beni architettonici francesi ereditati dalla monarchia e trasformati in "patrimonio nazionale". Museo dei Monumenti Francesi fondato da Lenoir La Commission des Monuments nominata al 8 novembre 1790, fu chiamata a vigilare sulla conservazione delle chiese, dei conventi e dei beni che vi erano racchiusi, a redigerne l'inventario, a smistarli e accatastarli nei diversi depositi. Tra questi, l'ex convento dei Petit-Augustins era destinato ad accogliere le statue, i marmi, il bronzo e leghe provenienti dalle fondazioni religiose e nel 1791 l'artista Alexandre Lenoir, in seguito la raccomandazione del suo maestro Doyen, membro della commissione, fu nominato guardiano generale del Depot provisoire des Petits-Augustins. Restauro stilistico= Viollet le Duc Restauro romantico= John Ruskin Restauro storico= Camillo Boito Restauro filologico= Luca Beltrani Restauro scientifico= Gustavo Giovannoni Restauro critico= Cesare Brandi Lezione 23-10-2020 Premessa Per uscire un attimo fuori dalle questioni storiche che questa sarà una lezione che si basa su un illustrazione di una importante operazione che è partita sul Napoli, e che riguarda il complesso monumentale degli incurabili che di fatto potrebbe segnare una nuova fase di approfondimento dei rapporti tra L'Antico e il contemporaneo nella città di Napoli, una città governata è caratterizzata da un centro antico molto consistente è che da anni ormai non vede nessun tipo di operazione sul suo tessuto edilizio. RIQUALIFICAZIONE, RESTAURO E RIFUNZIONALIZZAZIONE DEL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANTA MARIA DEL POPOLO DEGLI INCURABILI Il complesso monumentale di Santa Maria del Popolo degli incurabili è un complesso che si è costruito per epoche successive, vive attorno alla presenza di tre grandi corti e si affaccia sull'area di Piazza Cavour, inoltre è stato oggetto di un concorso internazionale di progettazione. Quando si parla di restauro architettonico, si parla di molti fattori tra cui l'architettura, il progetto urbano, ecc ma un restauratore si occupa anche di struttura, microclima, organizzazione del cantiere. Il complesso monumentale sorge nella parte Nord del centro antico di Napoli. Tra la lottizzazione del centro antico di Napoli e la sottostante Piazza Cavour Ci sono circa 60 m di dislivello che si superano attraverso un sistema di due rampe carrabili che consente della quota di Piazza Cavour di risalire fino alla quota di Piazza Santa Maria delle Grazie; siamo proprio ai bordi della città antica collocati su questa specie di dirupo che anticamente aveva di fronte a sé non la città, ma una specie di Lavinaio dato che piazza Cavour era il luogo di raccolta delle acque piovane e collinari che arrivavano appunto dai valloni dei Colli Aminei, del Vomero, di Capodimonte e che si disperdevano con i fanghi giù Piazza Cavour fino ad arrivare al di sotto delle Mura Aragonesi per poi disperdersi nel Golfo di Napoli. La differenza di quota di circa 60 metri è caratterizzata inoltre dalla presenza di Mura greche. Dalla pianta del Duca di Noja del 1755 del particolare di Napoli, si vede il sistema della città antica e si vede anche il complesso degli incurabili già definito basato su tre corti attorno ai quali nel giro di circa 200 anni si sono costruiti una serie di corpi di fabbrica con finalità sanitarie. Questo complesso monumentale è stato realizzato nel 1500 da Maria Lorenza Longo, costruito per tutta quella gente che non aveva possibilità di curarsi presso un medico e che poteva però essere assistito dalla struttura sanitaria ideato da quest'ultimo. Come abbiamo detto il complesso presenta tre corti di cui quella a destra è l'unica pavimentata, invece quelle due a sinistra sono caratterizzate dalla presenza di verde di cui la più grande, quella centrale è chiamata "orto medico" dato che lì si coltivavano le erbe e le piante necessarie per la cura di alcune malattie, invece l'ultima corte verde a sinistra sta al di sopra della chiesa di Santa Maria delle Grazie ed è posta in prossimità dell'Arco di Santa Maria delle Grazie. Un'altra chiesa invece si trova a destra sotto il cortile monumentale ed è la chiesa di Santa Maria del Popolo, quella che ha subito un crollo nella parte absidale e che ha dato il via all'evacuazione generale dell'ospedale avvenuto circa qualche anno fa, in seguito a questi crolli. Attualmente La struttura è vuota che aspetta di essere restaurata. Un primo progetto è caratterizzato da archi a tutto sesto basati su esili strutture in cemento armato, è interessante dal punto di vista delle aggregazioni dei corpi di fabbrica sul preesistente. Questa prima tavola, grazie a delle leggende ci fa capire quello che succede attorno alle due corti occidentali e cioè quelle caratterizzate dal verde, cioè la zona destinata alle attività sanitarie, sulla corte monumentale a destra invece è destinata per la maggior parte ad attività espositiva-museale. Il 40% dei volumi dell'intero complesso sono destinati alla parte musicale e circa il 60% alla parte sanitaria. L'ingresso è caratterizzato da un primo filtro, una sorta di porticato che maschera in parte l'ex edificio di anatomia patologica e cioè l'unico complesso moderno situato nell'intero complesso monumentale, e che poi attraverso una doppia rampa si accede all'orto medico, cioè la corte Centrale, dove i progettisti hanno creato un nuovo porticato attorno all'orto medico. Un secondo progetto è quello in cui si presenta una sorta di copertura in acrilico posta sulla corte monumentale, ma le coperture delle corti sono riservati a quei monumenti che si trovano in luoghi con temperature abbastanza basse, invece le corti napoletane sono caratterizzate da temperature alte sono belle per il rapporto che hanno tra il cielo e la natura artificiale delle pietre e naturalmente il verde. Sono state presentate inoltre anche tavole dedicate al restauro architettonico, nel caso specifico del prospetto riguardante la famosa farmacia degli incurabili, tavole che presentavano un quadro generale riguardante il materico, cromatico, degrado. Sono state presentate anche delle immagini della farmacia degli incurabili anche perché ovviamente il restauro architettonico non si ferma il restauro dell'architettura o della città, ma naturalmente entra in gioco anche rispetto ad alcune qualità materiche di carattere pittorico, scultoreo, di ceramica, cioè è una disciplina molto complessa e vasta. Sono state presentate anche molte tavole di consolidamento e degli apparecchi murari e delle capriate in legno. Un'altra idea che è stata presentata è quella del corpo scala di forma elicoidale, come se fosse un vortice, di collegamento tra il corpo museale e quello sanitario dato che nel bando si chiedeva la possibilità che chi fa la degenza nel presidio sanitario, potessi andare anche a visitare la parte museale per far sì che la degenza risulti più serena. Il caso che ha caratterizzato il progetto vincitore era di rimetterlo in vita potenzialmente restituendo sicurezza e praticabilità del complesso. Esteriormente è immobile, ogni struttura complessa è in realtà in continua evoluzione, soggetta a divenire anche difforme proprio per il variare delle condizioni esterne o per alcuni interventi di luogo. In definitiva è proprio la cultura italiana che ci impedisce di lavorare in maniera ottimale sul progetto di rigenerazione e riqualificazione architettonica e urbana, a differenza dei progetti effettuati in Europa dove i restauri sono fatti da bravi progettisti, bravi restauratori e soprattutto fatti sotto un punto di vista e un'ottica estremamente contemporanea. Lezione 30-10-2020 Premessa Una delle lezioni più importanti del corso è quella riguardante il restauro dell'architettura del XIX secolo in Francia che assume delle caratteristiche di chiarezza e di capacità di mettere sul campo tutta una serie di questioni che, per tutto il corso del 1800 e anche nei primi anni del 1900, influenzeranno la teoria e la pratica del restauro. Questa è una lezione che gira principalmente intorno alla figura di Viollet-le-Duc che diventa il perno principale attorno al quale ruoterà la cultura francese del restauro come anche per un suo allievo Èdouard Corroyer , ma incontreremo anche Alexandre Lenoir, Prosper Mérimée, Ludovic Vitet, Quatremère De Quincy. La figura di Viollet-le-Duc riassume dentro le sue teorie tutto quello che il clima culturale francese: una cultura non solo Intesa sulla lettura della loro architettura originaria e cioè il Gotico francese, ma una cultura basata sulla tensione etica, civile e politica di una serie di personaggi che consentiranno ad egli di andare ad operare in Francia su alcuni monumenti del passato, e nella maggior parte dei casi monumenti di epoca gotica che verranno completamente inventati dallo stesso attraverso un'interpretazione stilistica del restauro che si identificherà in maniera opposta al restauro effettuato in Inghilterra o in qualsiasi altra parte. RESTAURO DELL’ARCHITETTURA DEL XIX SECOLO IN FRANCIA Ricollegandoci alla scorsa lezione ricordiamo che nel 1790 la Commission Des Monuments fu chiamata a vigilare sulla conservazione delle chiese, dei conventi e dei beni che vi erano racchiusi, a redigerne l'inventario, a smistarli ed accatastarli nei diversi depositi. Tra questi, l'ex convento dei Petit-Augustins era destinato ad accogliere le statue, i marmi, i bronzi e le leghe provenienti dalle fondazioni religiose. Il 6 giugno del 1791 l'artista Alexandre Lenoir, in seguito alla raccomandazione del suo maestro Doyen fu nominato guardiano generale del Depot Provisoire des Petit-Augustins. Il deposito provvisorio dei PetitAugustin contiene una serie di beni che appartengono al patrimonio culturale della ex monarchia e Alexandre Lenoir, tra il 1793 e 1795 pubblica 28 cataloghi per il museo dei monumenti francesi e in questi cataloghi, di cui si ha una prima e una seconda edizione, lui elenca con delle relazioni la dimensione, la fattezza delle opere conservate, i danni che hanno subito, cioè viene fatta una vera e propria schedatura delle opere d'arte, cosa del tutto nuova all'interno del patrimonio culturale europeo. Venendo anche all'altra questione in cui Puthod cerca di tutelare non solo le opere d'arte realizzate per conto della corona reale ma sottolinea anche che la monarchia in Francia, per realizzare i suoi luoghi di piacere e di rappresentazione del potere, abbandona letteralmente la manutenzione di molte opere sul territorio francese. La maggior parte delle chiese di epoca gotica che aveva bisogno di restauri, ovvero manutenzione ordinaria e straordinaria, viene completamente abbandonato proprio perché la corona metteva la moneta soprattutto sul piatto del nuovo costruito lasciando cadere in abbandono l'architettura gotica. Per un popolo francese che ha vissuto il dramma dell'occupazione dell'impero romano, che si è esteso non solo in Francia ma anche in Inghilterra, Germania, Penisola Iberica, Medio-Oriente, eccetera, non vedevano nelle architetture romane i caratteri identitari della loro cultura originaria, ma i loro caratteri identitari specifici, dal punto di vista architettonico, non risiedevano né nella cultura greca, né in quella romana ma risiede soprattutto nella cultura gotica. In questo periodo in Francia succede proprio ciò che nel rinascimento succedeva a Roma, e cioè è presente una furia demolitrice dei reperti della monarchia, persone che andavano nelle cattedrali gotiche e recuperavano e razziavano materiali e pietre ma soprattutto parti decorative. Victor Hugo scrive nel 1825 "ogni genere di profanazione, di degradazione e di rovina minaccia il poco che ci resta di questi ammirevoli monumenti del Medioevo dove si è impressa la vecchia gloria Nazionale ai quali si attaccano sia la memoria dei re che le tradizioni del Popolo. Mentre si costruiscono con grande spesa non so che razza di edifici bastardi, che, con ridicola pretesa di essere Greci o Romani, non sono nè Romani nè Greci, altri edifici, mirabili e originali, cadono senza che ci si degni di informarsene , e il loro solo torto é di essere francesi per origine, storia e ideali ", cercando disperatamente di ricordare ai suoi compatrioti che il loro bene primario è l'architettura gotica entro la quale riconoscere la propria identità, il proprio carattere di appartenenza. Continua scrivendo , quasi in maniera simile alla lettera di Raffaello a Leone X, che sarebbe finalmente arrivato il tempo di mettere fine a questi scempi sui quali si riversa l'attenzione del paese che, sebbene impoverita dai devastatori rivoluzionari, dagli speculatori e soprattutto dai restauratori classicisti, è ancora ricca di monumenti e se bastasse una legge, perché non farla? Ci sono due cose in un edificio, il suo uso e la sua bellezza: il suo uso appartiene al proprietario ma la sua bellezza a tutti e distruggerlo è oltrepassare i propri diritti. Egli pensa ad una sorveglianza attiva esercitata sui monumenti e solo con dei leggeri sacrifici si salveranno costruzioni che rappresentano dei capitali enormi che, se pur volendoli ricostruire non si può perché non si ha più il genio di quei secoli. Quatremère de Quincy Quindi l'attenzione nei confronti delle demolizioni, dei deplacement e dei danneggiamenti, aumenta anche grazie al sostegno di intellettuali e teorici tra i quali Quatremère de Quincy, architetto e teorico che critica fortemente quest'idea di prendere i materiali e portarli in altri luoghi, siano essi musei o case private. Quatremère de Quincy iniziò la sua battaglia a favore del patrimonio monumentale francese combattendo contro l'istituzione del musée Des Monuments francais voluto da Alexandre Lenoir. Fu proprio Quatremère de Quincy, nominato segretario a vita dell'Accademia dal 1816, ad ispirare le due ordinanze firmate da Luigi XVIII il 24 aprile è il 18 ottobre del 1816 che decretarono, rispettivamente, la restituzione dei monumenti dei Petit Augustin alle chiese e gli antichi proprietari e la destinazione dell'ex convento ad Accademia di Belle Arti punto. Egli inoltre aveva chiesto la dispersione del museo di lenoir a partire dal 3 agosto 1800 con un rapporto indirizzato al consiglio generale della Senna, di cui era membro. Nel rapporto denunciava questa sorta di "cimitero dell'arte" in cui le opere sono accatastate una sopra l'altra, come i segni di una scrittura perduta i cui tratti non interessano più lo spirito. Di fatto, la battaglia di De Quincy contro i deplacement dei monumenti risaliva, ufficialmente alle Lettres sur les prejuges del 1796, rivolta contro lo smembramento e la sottrazione delle opere situate nel museo a cielo aperto di Roma. Per lui dividere significava distruggere, essendo uomo di cultura internazionale. Ma il vero contributo di Quatremère de Quincy alla formalizzazione di una nuova disciplina a carattere scientifico, cioè il restauro modernamente inteso, viene elaborato all'interno del suo dictionnaire historique Architecture del 1832 dove, tra le diverse voci vengono elaborate quella relativa a RESTAURATION e RESTAURER, e secondo egli si può anche pensare di intervenire per parti, per elementi, senza toccare però quello che si è conservato e quando c'è una mancanza la si può riproporre. Continua dicendo che molti monumenti antichi si sarebbero conservati solo se qualcuno si fosse preso la cura di rimettere al loro posto i materiali caduti o soltanto di sostituire una pietra ad un'altra. “il cimitero dell’arte” denunciato da Q. De Quincy Restaurazione nel senso letterale del termine è il restauro di un edificio più o meno degradato per riportarlo in buone condizioni. Il restauro, in architettura, si dice in senso meno materialmente meccanico dell'opera che l'architetto intraprende, e che consiste nel trovare resti, i detriti o le descrizioni di un edificio, il suo antico insieme e il completamento delle sue misure, proporzioni e dettagli. È noto che spesso è sufficiente trovare solo pochi frammenti di colonne, trabeazioni e capitelli di un’architettura greca per trovare l'intera proporzione di un tempio. “L'architettura consiste necessariamente, nelle sue opere, di parti simili che possono, attraverso l'osservazione esatta delle misure, essere copiate o riprodotte in modo identico. Il talento non può nemmeno entrare in una tale operazione che può essere ridotta al meccanismo più semplice. Ma non si capisce quale pericolo potrebbero correre più di un edificio mutilato se, ad esempio, il suo peristilio fosse completato con una o più colonne dello stesso materiale e con le stesse misure del loro modello. Tale, come moltissimi casi, la natura dell'arte di costruire, simili aggiunte possono essere fatte ad un edificio mezzo rovinato senza causare la minima alterazione della parte conservata.” Secondo Quatremère de Quincy il meccanismo più semplice è quello proprio di ricostruire, se è possibile, partendo dalle tracce che sono presenti sul luogo. Continua dicendo: “Questo modo di vedere il restauro si è appena realizzato a Roma, recentemente, per quanto riguarda il famoso arco trionfale di Tito, che fortunatamente è stato liberato da ciò che lo ostacolava è che è stato sapientemente restaurato nelle sue parti mutilate, precisamente dal muro e nella misura appena indicata.” Una modalità di restauro sobria è capace di recepire i caratteri d'identità dei monumenti dell'antichità, quella italiana, che sarà contraddetta in Francia e in Inghilterra dal restauro stilistico e da quello pittoresco. Lo stato di abbandono di molti monumenti francesi del passato, così come documentato nei 24 volumi dei Voyages Pittoresques et romantiques dans l'ancienne France scritti tra il 1820 ed il 1878, alla cui stesura parteciperà anche Viollet-le-Duc con circa 250 disegni, induce la cultura post-rivoluzionaria ad avanzare una consistente opera di valorizzazione del patrimonio monumentale vandalizzato ho abbandonato, individuando nel Medioevo e soprattutto nel Gotico francese il vero carattere autoctono architettonico, della nazione. Una scelta che attraverso Ludovic Vitet, cercherà di cancellare quegli influssi orientaleggianti del pittoresco tanto in voga nelle corti reali importanti, prima della rivoluzione, dall'Inghilterra, sul finire del XIX secolo. Lo studio del Medioevo e del Gotico francese rappresenta il vero preludio di una sistematica scienza della conservazione. In tale prospettiva, nel 1830, viene creata la figura "dell'ispettore generale dei monumenti storici" il cui primo rappresentante è proprio Ludovic Vitet, cui succederà Prosper Mérimée che rivestirà tale incarico dal 1834 al 1860. Di fatto con Vitet si conclude la fase post-rivoluzionaria che comportava l'evoluzione della nozione di "monumento della nazione " in quella di "monumento storico": si afferma per la prima volta il principio della conservazione dei monumenti per ragioni di storia e di scienza. Prosper Mérimée porterà avanti l'opera del predecessore facendo rientrare le problematiche della conservazione e della salvaguardia tra i compiti fondamentali dello stato francese. A Prosper Mérimée si deve l'intuizione di un fondo destinato al restauro dei monumenti. Egli che era uomo di lettere, troverà nell’architetto Violletle-Duc un alleato di eccezione punto nel 1841 viene istituita la figura di "Architecte des Monuments Historique" che rappresenterà il braccio locale della commissione nazionale. In tal modo, centralizzando il controllo dell'architettura Antica, nel giro di pochi decenni si stabilita per legge il criterio secondo il quale i monumenti classificati non potranno più essere sottoposti a lavori senza una preventiva autorizzazione. Severin Tayolor che fa vedere in che condizioni si trovavano i monumenti antichi. Lezione 06-11-2020 Premessa La lezione di oggi comprende principalmente la figura di Eugene Emmanuel Viollet-le-Duc, e subito dopo l'opera di Eduard Corroyer che era un suo allievo. Agganciandosi Alla lezione precedente possiamo dire che la battaglia contro le demolizioni e i vandalismi post-rivoluzionari francesi si intensifica grazie al sostegno di nuovi dirigenti statali rappresentati ad esempio da Ludovic Vitet e Prosper Mérimée. Una modalità di restauro sobria è capace di recepire i caratteri d'identità dei monumenti dell'antichità, che sarà contraddetta in Francia e in Inghilterra dal restauro stilistico e dal restauro pittoresco. Lo stato di abbandono di molti monumenti francesi del passato, così come documentato nei 24 volumi dei viaggi pittoreschi e romantici, alla cui stesura parteciperà anche Viollet-le-Duc con circa 250 disegni, induce la cultura post-rivoluzionaria ad avanzare una consistente opera di valorizzazione del patrimonio monumentale vandalizzato o abbandonato, individuando nel Medioevo e soprattutto nel Gotico francese il vero carattere autoctono architettonico della nazione. Una scelta che, attraverso Ludovic Vitet, cercherà di cancellare quegli influssi orientaleggianti del pittoresco tanto in voga nelle corti reali importanti, in Inghilterra, sul finire del XIX secolo. Lo studio del Medioevo e del Gotico francese rappresenta il vero preludio di una sistematica Scienza della conservazione. In tale prospettiva, nel 1830, viene creata la figura dell'ispettore generale dei monumenti storici il cui primo rappresentante è proprio Ludovic Vitet , cui succederà Prosper Mérimée che rivestirà tale incarico dal 1834 al 1860. Con Vitet si conclude la fase post-rivoluzionaria che comporta l'evoluzione della nozione di "monumento della nazione" In quella di “monumento storico ". Prosper Mérimée porterà avanti l'opera del predecessore facendo rientrare le problematiche della conservazione della salvaguardia tra i compiti fondamentali dello stato francese. A egli si deve inoltre l'intuizione di un fondo destinato al restauro dei monumenti. Prosper Mérimée troverà inoltre nell’architetto Viollet-le-Duc un alleato d’eccezione. Nel 1841 viene inoltre istituita la figura dell'architetto dei monumenti storici che rappresenterà il braccio locale della commissione nazionale. Inoltre, nel giro di pochi anni si stabilirà per legge il criterio secondo il quale i monumenti classificati non potranno più essere sottoposti a lavori senza una preventiva autorizzazione. EUGÈNE EMMANUEL VIOLLET-LE-DUC Era figlio di un alto funzionario, i suoi amici d'adolescenza furono l'autore Charles Augustin de Sainte-Beuve e Prosper Mérimée. All'inizio del 1830 sorse in Francia un movimento per il restauro del consistente patrimonio medievale. Nel 1840 Prosper Mérimée, nelle vesti di ispettore generale dei monumenti storici, affidò l'incarico a Viollet-le-Duc per il restauro della Basilica di Vézelay: questo lavoro segnò l'inizio di una lunga serie di restauri dell'allora architetto 26enne. Egli è stato uno dei maggiori animatori del cosiddetto "restauro stilistico", in opposizione all'intransigente fazione purista sostenuta dall' inglese John Ruskin. Per Viollet-le-Duc , una conoscenza esperta delle tecniche artistiche e dello stile dell'Opera da restaurare garantivano di per sé la perfetta ricostruzione di quanto era stato perduto. Se l'amicizia di Prosper Mérimée è fondamentale per la crescita professionale di Viollet-le-Duc, non deve essere sottovalutata l'influenza di Ludovic Vitet sulla sua formazione teorica sia per l'individuazione di un carattere autoctono del Gotico francese e sia per il ruolo fondamentale che attribuisce alla critica, alla storia, alla filosofia in relazione alla riflessione sull'architettura: posizioni che saranno riprese e sottolineate da Viollet-le-Duc nei sui Entretiens. Un altro punto di incontro tra i due consiste nel considerare l'architettura gotica come un'architettura che contiene regole proprie, che solo lo studio metodico può far emergere: "interrogheremo il monumento stesso, gli chiederemo di completare la sua storia, dopo aver tentato tuttavia di dimostrare che questo tipo di ricerca non ha niente di arbitrario né di chimerico, e che anzi, costituisce una scienza". Nel 1800 si inizia a parlare di scienza, ma non dobbiamo sottovalutare il fatto che poi nel 1700 in Francia ci sono altri due personaggi che cambiano un po' le regole culturali in corso e cioè Diderot e d'Alambert che per la prima volta costruiscono, attraverso una serie di disegni molto complessi, un'enciclopedia universale del sapere che diventa poi la base per andare a costruire in ogni disciplina cioè l'architettura, mineralogia, medicina, tanti trattati. Quindi dal 1800 in poi tutte queste materie trattate in questa enciclopedia si specializzano e danno luogo ad una scienza che poi nel campo dell'architettura sarà rafforzata dall'arrivo di due nuovi metodi di rappresentazione quali le doppie proiezioni ortogonali e il metodo delle proiezioni parallele. Oltre che per il processo di conoscenza, Ludovic Vitet fornisce a Viollet-le-Duc le basi anche per il restauro e per la riconfigurazione critica dell'architettura gotica sottolineando che "occorre spogliarsi di ogni idea attuale, dimenticare il tempo in cui lo si vive per farsi contemporaneo di tutto ciò che si restaura, degli artisti che l'hanno costruito, degli uomini che l'hanno abitato. Occorre conoscere a fondo tutti i processi dell'arte, non solamente nelle sue principali epoche, ma in ciascun periodo di ogni secolo, al fine di ripristinare un edificio sulla scorta di semplici frammenti, non mediante ipotesi o capricci, ma attraverso un processo logico. Merito del restauro e di passare inosservato". Viollet-le-Duc considerava legittimi tutti gli interventi che miravano al ripristino di un ideale unità formale propria dello stile del Monumento. In questo modo, si invitava il restauratore a penetrare nella mentalità del costruttore originario, arrivando a riportare il monumento al suo stato ideale di compattezza: ciò poteva essere fatto con la realizzazione di progetti integrativi che forse l'artista medievale non aveva neanche ideato, e che magari non erano neanche storicamente esistiti ma che contribuivano a rendere più completo l'organismo architettonico e quindi era necessario integrarne l'opera nelle parti mancanti, perché mai realizzate, perché successivamente distrutta o degradate o perché alterate da nuovi interventi. Per egli il restaurare un edificio non è conservarlo, ripararlo o rifarlo, ma a ripristinarlo in uno stato di completezza che può non essere mai esistito in un dato tempo. Questa posizione culturale fa andare fuori di testa ovviamente John Ruskin, ed è il motivo per il quale poi egli combatterà fortemente il restauro stilistico di Viollet-le-Duc introducendo la nozione del restauro pittoresco. Intanto Viollet-le-Duc negli Entretiens scrive un dizionario ragionato dell'architettura francese dall'XI al XVI secolo, proprio a individuare nell' architettura gotica e rinascimentale il suo punto di passaggio. Insomma, in poche parole Viollet-le-Duc è un personaggio che si pone in una dimensione trascendentale che implica molto il soggetto, l'io, il proprio inconscio, la propria capacità di autolegittimare il proprio operato come se avesse una capacità Divina di andare oltre le cose reali. Trascendenza in filosofia, è la condizione o la proprietà di essere trascendente, di esistere al di fuori o al di sopra di un'altra realtà. Trascendenza è, in questo caso, l'opposto di immanenza, che indica invece ciò che si risolve o permane dentro un determinato ambito della realtà. Uno dei lavori effettuati da Viollet-le-Duc è il restauro della Cittadella Medievale di Carcassonne, nella Francia meridionale-occidentale, vicino al confine con la Spagna. Egli ridisegna il fronte occidentale e fronte orientale di Carcassonne ed è un lavoro che dura dal 1844 fino al 1879, e in questi 36 anni egli effettua anche • • • 1844/1864=restauro stilistico dell'antica cattedrale Saint Nazaire, Saint Celse 1855/1856= Torre della Giustizia, Torre visigota, Torre dell'Inquisizione e Cortine corrispondenti. Opere davanti alla portad'Aude. 1857/1858= torri del vescovo, di Cahuzac, di Mipadre, e cortine corrispondenti, porta est del castello • • • • 1859/1860= torri della porta narbonense e Cortina corrispondente fino alla porta del Trèsau 1862/1863= Barbacane Crémade, Torre d'Ourliac, cortine della torre Mipadre alla torre di Castéra, torri del mulino di Mezzogiorno, del Plò, delle prigioni, di Castéra. 1864/1866= Porte Saint-Nazaire, Torre Saint-Martin 1872/1879= torri del Mulino del Connestabile, di Vieulas e della Marquiére e cortine corrispondenti. Cortine della cinta muraria esterna della torre Cautiére alla'avanporta d'Aude. Torre del Trésau, Torri delGrand Brulas, del Grand Canissou e del Petit Canissou. BASILICA DI ST. NAZAIRE A CARCASSONNE La basilica di St. Nazaire a Carcassonne si trova vicino ai Bastioni della città medievale ed è la prima chiesa costruita su questo sito che risale al VI secolo. Nel 1840, Prosper Mérimée classifica la vecchia cattedrale come monumento storico. Nel 1844 Viollet-le-Duc si occupa del suo restauro e di quello di tutta la città medievale punto egli ricostruisce la facciata occidentale, rinnova le vetrate, I pilastri della navata, i contrafforti e le mura del coro punto per conservare le sculture originali, i doccioni e i cornicioni che ornano le parti alte della chiesa sono smontati e riprodotti. Egli Inoltre elimina la copertura a falda della navata laterale e fa una copertura con quattro merli, gli stessi merli che ripropone sulla copertura della navata centrale, operazioni prettamente di carattere stilistico. Basilica di St Nazaire a Carcassonne prima e dopo i restauri LA PORTA NARBONENSE Nel suo studio nel 1864, Viollet-le-Duc ripropone lo stato originale della Porta Narbonense, in cui le coperture sono decorate da un disegno di tegole colorate. L'architetto intraprende il restauro della porta a partire dal proprio studio archeologico realizzato dal 1864 al 1849, commentato così entusiasticamente da prosper mérimée: "il lavoro grafico e la descrizione del signor Viollet-le-Duc sulla Porta Narbonense è uno studio archeologico eccellente sull'arte della fortificazione del Medioevo”. Dal 1859 al 1860 le torri che erano senza cima e rovinate, ricevono nuove coperture in ardesia (perché lui sa che poi andrà a ricoprire tutto in ardesia e quindi non ripropone quel disegno di tegole) per ritrovare la disposizione del XIII secolo. Nonostante siano stati presentati nelle sue analisi, gli elementi difensivi in legno (bertesche e gli scuri battenti che nascondevano le aperture), non furono oggetto di riproduzione. Porta Narbonense prima e dopo i restauri LA PORTA SAINT NAZAIRE Un nuovo preventivo, fissato nel 1862, segna una rottura con l'approccio precedente ai restauri: Viollet-leDuc si allontana dalla prudenza e dal pragmatismo del progetto del 1853. L'esempio maggiore che illustra questo periodo è quello della Porta di Saint Nazaire , in parte distrutta, per la quale l'architetto propone una vera e propria ricostruzione quindi tutto ciò che vediamo dal disegno di Viollet-le-Duc, compreso quel tetto tronco-piramidale, non è testimoniato da nessun documento storico che garantisca che questa cosa venga realizzata seguendo dei criteri oggettivi o filologici, una vera e propria svolta di carattere creativo che assume il lavoro dell'architetto a metà della sua opera progettuale dell'intera Carcassone. FORTIFICAZIONI OVEST In base al progetto e al preventivo proposto da Viollet-le-Duc nel 1853, i lavori di restauro delle fortificazioni iniziano dal fronte Ovest del bastione interno, il più visibile dalla Bastiglia San Louis. Solo 5 anni più tardi, vengono terminate 6 Torri e le Cortine corrispondenti, dalla torre della Giustizia alla torre Mipadre. Nello stesso settore, il genio militare restaura la cinta muraria esterna. fortificazioni viste dal lato Ovest prima e dopo FORTIFICAZIONI NORD La torre della Marquière Nel suo studio archeologico, Viollet-le-Duc si impegna con particolare attenzione alle proposte di trattamento delle torri del fronte nord, che egli Chiama "Torri visigote", e che corrispondono di fatto alle false torri della fine dell'epoca romana. Egli distingue le due vedute restaurate secondo i diversi stati: tetti piatti, coperti di tegole canale, per illustrare lo Stato originale; tetti a Forte inclinazione ricoperti di ardesia, per illustrare lo stato della fine del XIII secolo. Al momento dei lavori, egli sceglie infine di riprodurre i tetti scoscesi, per conservare nella Fortezza l'omogeneità del suo profilo d'epoca reale. VIOLLET-LE-DUC E IL CANTIERE Le operazioni, introdotte durante l'inverno, sono dirette sul posto da Guiraud Cals, di Carcassonne, assistente di Viollet-le-Duc e ispettore dei lavori: su di lui grava all'effettiva responsabilità del cantiere. L'architetto viene a Carcassone una volta l'anno, di solito in giugno o luglio, dà le direttive e lascia, alla sua partenza, un numero sufficiente di dettagli per l'esecuzione della campagna in corso. Le altre questioni vengono regolate per corrispondenza tra l'ispettore e l'architetto parigino. I lavori sono affidati a imprese locali, tra le quali quella di Jean Magné, come pure ad Artigiani specializzati: scultori e tagliatori di pietre (Nelli, Perrin, Sage, Dubois), fabbri e maestri vetrai ( Fourniol, Cambey). I blocchi in arenaria destinati al restauro dei Bastioni e delle Torri vengono estratti dalle scale locali mentre l'ardesia, che servirà alla realizzazione delle coperture dei tetti, si ricava dalla Montagna Noir. DOPO LA MORTE DI VIOLLET-LE-DUC: RESTAURI DI PAUL BOESWILLWALD Dal 1872 alla sua morte nel 1879, Viollet-le-Duc interviene sulle tre torri del Mulino del Connestabile, di Vieulas e delle Marquiére. Nel febbraio del 1883, Il suo successore Paul Boeswillwald compila lo stato dell'avanzamento dei lavori: "ecco a che punto stavano i lavori: dalla porta d'Aude alla porta Narbonense passando da sud, la cinta muraria superiore era restaurata fino alla torre di Balthazar; le torri della porta narbonense coperte, come pure il lato nord al di là di questa porta, le torri dalla 21 alla 24. Il restauro della torre 25 era in corso di esecuzione. Della cinta muraria esterna, le torri e le Cortine dalla 9 alla 16, il barbacane davanti alla porta narbonense, il Castelletto che ne difende l'entrata, da destra e da sinistra da 12 a 20 m di Cortine tutto è stato restaurato". Quindi alla sua morte nel 1879, il suo assistente e ispettore dei lavori Guirard Cals, assume momentaneamente la responsabilità del cantiere. A partire dal 1880, Paul Boeswillwald, che era stato allievo di Viollet-le-Duc, continua e termina il restauro dell'Antica Piazzaforte, seguendo scrupolosamente i progetti dell'architetto. Il suo lavoro è segnato soprattutto dal rinnovamento del castello e del suo barbacane i cui lavori, iniziati nel 1890, termineranno all'inizio del 1910. Paul Boeswillwald completa il grande cantiere, stanno ricostruendo su una Cortina del Castello le bertesche in legno, le gallerie difensive medievali di cui Viollet-le-Duc aveva precedentemente ridefinito il principio. La città posta sotto tutela del ministro delle Belle Arti nel 1903, ha conosciuto un radicale cambiamento nello spazio di circa 60 anni. Ormai, i recinti, gli sgombri delle case che ne mascheravano le mura, le merlature, le torri dotate di caratteristiche coperture a tronco di cono realizzate in lastre di ardesia, restituiscono alla fortezza di Carcassonne la sua fisionomia medievale. ÈDOUARD-JULES CORROYER Era allievo di Viollet-le-Duc. Nel 1862, costruì il Municipio di Roanne e la chiesa di Vougy (Loira), poi il Castello di Fleyriat (Ain). Interessato all'architettura medievale, ha partecipato attivamente al restauro della cattedrale di Soissons. Nel 1878, gli fu affidato il compito di restaurare le Mont-San-Michel, su cui pubblicò diversi studi ma è più importanti sono "description de l'abbaye du Mont Saint-Michel et des abords: précedé d'une notice historique" del 1877 e "l'Architecture gothique" del 1891 nel quale si tratta anche di Mont San-Michel. L'architettura gotica si divide in quattro parti tra cui: architettura religiosa, architettura monastica, architettura militare e architettura civile; nell' architettura monastica troviamo le schede che riguardano questa ricostruzione di Mont San Michel. Il 14 maggio 1872, Viollet-le-Duc incaricò ufficialmente Corroyer di condurre uno studio completo dell'edificio per valutare "lo stato degli edifici dal punto di vista dell'arte o dal punto di vista del sistema, vale a dire la loro precedente destinazione d'uso". Corroyer trascorrere diversi mesi a Mont San Michel effettuando rilievi, risalenti al 1873 e al 1874, delle varie parti dell'edificio. In seguito al suo studio, il dipartimento dei monumenti storici decise di avviare i lavori nell'agosto del 1875, affidandoli ad egli. Corroyer nel 1875 parte con il restauro della piattaforma ovest. Nel maggio 1877 inizio i lavori di restauro nel chiostro che completa nel marzo 1881. Nel maggio del 1878, restaura i barbacani Del Castello e l'anno successivo consolida la cappella di Saint-Etienne e restaura il bastione della Torre Boucle sino al 1881. Nel giugno dello stesso anno l'architetto inizia il restauro del refettorio e nell'ottobre del 1883 avviò i lavori per il campanile centrale della chiesa due punti fece puntellare i portici sud, est e ovest. Affine 1883 riposiziona la muratura esterna rimuovendo il campanile e la sua campana. Nel 1887 inizia importanti lavori di restauro dei Bastioni del Mont San Michel: la torre nord e la Torre della Libertà furono sgomberati e i loro rivestimenti interni consolidati, furono ricostruiti anche i gradini del camminamento del parapetto tra la torre Boucle e la Torre Nord. Nel contesto del restauro dell'Abbazia, È stato progettato e costruito il modello della Merveille e cioè il gruppo di edifici costruiti tra il 1211 e il 1228 che ospitano le principali funzioni monastiche dell'Abbazia. Il modello è il risultato di una collaborazione tra Corroyer e Fouché. Nel 1884, mentre i controversi lavori di restauro della Merveille erano in sospeso, Corroyer approfittò dell'ottava esposizione dell'union Centrale des arts décoratifs per presentare a Parigi diversi documenti, disegni e fotografie relative ai lavori su Mont San Michel. Dal 1867 ci fu un conflitto tra la congregazione dei frati di Sant Edme de Pontigny, responsabili del culto sul Montesacro, e l'architetto che porterà all'interruzione dei lavori di restauro. La congregazione religiosa fu invitata per la prima volta a lasciare l'abbazia nel novembre del 1886 a causa del mancato rinnovo del vecchio contratto di locazione. Corroyer infine fu licenziato dal cantiere di Saint Michel il 6 dicembre 1888. Restauri di Mont Saint Michel, foto di Emile Durandelle. Lezione 13-11-2020 Premessa Ci spostiamo quindi dalla Francia all'Inghilterra e ciò che ci interessa capire è il processo che porta ad una rivalutazione del passato, del gotico in Inghilterra, ma non solo del gotico ma anche di qualcosa di più. Come per la Francia, anche in Inghilterra c'è questo senso di rifiuto dell'antichità classica, quella importata da Atene o quella importata da Roma, a favore di una cultura autoctona che in Francia si esprimeva nel gotico così come si esprimerà nel gotico autoctono anche la cultura inglese. Alla base della riconsiderazione critica della cultura gotica inglese, vi è un altro ceppo molto importante che vale la pena di analizzare perché se è vero che la riconsiderazione critica del gotico, fatto dagli architetti del XIX secolo in Inghilterra, è nella linea di un parallelismo culturale con quello francese, è pur vero che l'isola Britannica aveva dentro di sé delle culture autoctone antiche, arcaiche sulla quale alcuni personaggi come Inigo Jones o William Stukeley affronteranno e divulgheranno nella società inglese del 1600, 1700 e infine del 1800. IL RESTAURO DELL'ARCHITETTURA DEL XIX SECOLO: INGHILTERRA Nel corso del XIX secolo, il dibattito sugli obiettivi e sulle tecniche del restauro degli antichi monumenti si sviluppa, in Inghilterra, con consistenti differenze rispetto all'Italia e alla Francia. L'attuazione di misure politiche governative avviene in seguito a un rapido processo di sensibilizzazione collettiva, con incisive ricadute all'interno della sfera intellettuale, professionale, pubblica e religiosa. Anche se bisogna attendere fino al tardo XVIII secolo perché si registri un approccio filosofico coerente alla materia della riconsiderazione critica del passato, già nel XVII secolo era emerso un certo interesse per gli edifici e siti antichi, manifestato in particolare da un folto gruppo di antiquari britannici (cioè quegli studiosi che all'interno di Salotti della cultura londinese e non solo, sviluppavano discussioni attorno a dei temi di grande importanza). INIGO JONES Una delle fonti di riflessioni sulle questioni relative all'antichità classica, c'è stato tramandato da Inigo Jones. Inigo Jones è quell’architetto inglese che mette in gioco la cultura antica per il tramite di Andrea Palladio, un trattatista rinascimentale che scrive I Quattro libri dell'architettura. Dopo il 1500 In Italia c'è un grande successo con la cultura barocca con Borromini e Bernini, viceversa in Inghilterra a differenza della scuola italiana che vede nuove figure basate sulla predilezione della linea concavo-convessa, aldilà dello schematismo ortogonale di Andrea Palladio, in Inghilterra il barocco ha poco seguito e prosegue questa rivisitazione del palladianesimo importato proprio da Inigo Jones in Inghilterra. Egli non è conosciuto solamente per essere il divulgatore neo-palladianesimo in Inghilterra, lui è un raffinato studioso che all'interno del volume da lui scritto "the most notable antiquity of Great Britain, vulgary called Stone-Heng on Salisbury plain 1655" e scrive un primo report su Stonehenge che è un sito preistorico. “Stonehenge a temple restord”, 1740, William Stukeley Per tutto l'Ottocento, il viaggio in Europa è considerato parte integrante nell'educazione di un gentleman e gli effetti sull'arte e sulla architettura britannica delle idee importate dai viaggiatori che compiono il "Grand Tour" non tardano a manifestarsi. Precedentemente Inigo Jones, nel 1614, termine il suo secondo viaggio in Italia e fa ritorno a Londra con una preziosa raccolta di disegni e appunti ispirate alle opere di Andrea Palladio. Jones è tra i primi ad avere manifestato una sincera passione per l'architettura e le opere dell'antichità classica; le suggestioni avvertite durante i viaggi in Italia lo spinsero a trasportare le sue esperienze anche nei suoi lavori professionali. Tra i viaggiatori della Gran Bretagna vi furono alcuni studiosi, architetti, disegnatori, pittori, scultori e collezionisti d'arte che non smisero di manifestare un vigoroso interesse nello studio del mondo classico e di Stone-Heng tanto da indurli a fondare la "society of antiquaries of London" nel 1717 e la "Society of Dilettanti" nel 1734. Le due istituzioni alimentarono un crescente interesse per lo studio e la conservazione degli antichi edifici. La passione dell'alta classe britannica per l'antico e la cresciuta conoscenza delle testimonianze del mondo classico (greche e romane), non produssero un immediato interesse per le antiche strutture pre-romane della Gran Bretagna studiate nel 1655 da Inigo Jones. Uno dei tanti disegni che si trova all'interno del libro di Inigo Jones è appunto una delle grandi antichità della Gran Bretagna chiamata volgarmente Stone-Henge nella Pianura di Salisbury. Il territorio del regno era caratterizzato dalla presenza di recinti, circhi e dolmen e di menhir, e non mancavano i resti di antiche mura, ville e fortezze. L'unico sito ad aver destato precocemente l'interesse di archeologi e antiquari era stato Stonehenge grazie ai primi disegni di Inigo Jones: lo studio dei resti preistorici condotto da John Aubrey risaliva al 1666 e fu proseguito da William Stukeley nel 1740. Una campagna di rilievi meticolosi viene condotta dall' architetto John Wood il vecchio nel 1747 e prima di lui da Inigo Jones che ne aveva curato alcuni interventi di restauro ma, malgrado ciò, il sito di Stonehenge non è interessato da cure conservative e nel 1797 il gigantesco trilite posto a sud-ovest del recinto crolla. Lo studio di William Stukeley su Stonehenge spicca tra l'enorme numero di libri sull'argomento; egli è stato un pioniere della conservazione, e si lamentava inoltre del trattamento insensibile delle maestose rovine sia da parte dei turisti che dei proprietari terrieri. Ha coniato inoltre il termine "trilione" per la disposizione a porta d'ingresso di tre pietre. Egli fu uno dei primi a realizzare disegni e rilievi accurati del sito, fu categorico sul fatto che Stonehenge fosse preromana (un punto di vista tenuto da alcuni dell'epoca). Egli credeva inoltre che fosse stata costruita intorno al 400 a.c.; William Stukeley scrive: “fu molto sgradevole per me il fatto di essere stato costretto a combattere contro un libro pubblicato in nome del celebre Inigo Jones, per la cui memoria ho la massima considerazione. Mi chiedo se l'editore In quell'epoca non abbia pensato a un metodo molto facile per convincersi di essere in errore. Se Stonehenge è un'opera romana, è stata certamente costruita in scala romana. Se avesse ridotto le proprie misure a questo livello, avrebbe visto l'assurdità della sua opinione. I romani non ci hanno messo mano. Ho accorciato di molto ciò che avevo da dire contro quel libro, perché non amo litigare, e ho accennato a ciò che era necessario, il lettore possa avere una vera nozione di questa antichità.” Nel volume di William Stukeley riguardante Stonehenge emerge per la prima volta la versione British Druids. Intanto subito dopo la pubblicazione del libro di Stukeley, John Wood il vecchio si unisce al precedente dibattito sulle origini e sul significato dei megaliti derivanti dalla ricostruzione postuma di Inigo Jones. Il tema della disputa era la paternità dei monumenti di pietra, romana secondo Jones e druidica secondo Stukeley, e di conseguenza anche il loro significato. John Wood ha sostenuto la loro attribuzione druidica, ma con l'origine della loro disposizione architettonica riconducibile alla fonte architettonica divina del tempio di Salomone. Tale convinzione derivò da un'approfondita analisi grafica basata su uno scrupoloso rilievo metrico e orografico e ne sono testimonianza alcuni disegni dello stesso John Wood nel volume "choir Gaure, vulgary called Stonehenge, su Salisbury plain, described, restored and explained". immagine tratta dal volume di John Wood Dal 1600 da Inigo Jones, passando per Stukeley fino ad arrivare a Wood il vecchio nel 1740, la cultura anglosassone aveva avviato questo processo di riconsiderazione critica nei confronti del passato che non era mai stato preso in considerazione così approfonditamente, quindi questa fase di approfondimento verso una cultura autoctona propria deve essere visto in parallelo così come noi vediamo la cultura rinascimentale in Italia. Oltre all'interesse per le testimonianze preistoriche come quelle dei druidi, il fascino elitario per l'antica Grecia e le rovine romane, nutrito dalla nostalgica curiosità per le opere antiche, si propagherà a tal punto da destare l'interesse anche per le rovine medievali della Gran Bretagna e dare quindi avvio alla ricerca e localizzazione delle testimonianze del patrimonio architettonico nazionale. Il movimento di conservazione dell'architettura britannica si avvia tra gli anni ‘50 e gli anni ‘60 del 700, quando antiquari come Edmund Burke (autore di "bello e sublime") e Robert Walpole divengono sempre più interessati allo studio dell'architettura storica britannica e in particolare alle architetture gotiche, proprio come ha fatto Victor Hugo in Francia. Proprio com’era successo in Francia, l'architettura gotica decade anche in Inghilterra e ciò mette in moto un meccanismo di sensibilizzazione molto consistente. Di fronte a questa decadenza inizia a prodursi in Inghilterra un'attenzione anche in termini architettonici. Il primo esponente di questa riconsiderazione del gotico in Inghilterra, non è un personaggio che inizia a capire ea mettere in pratica il concetto di conservazione così come farà successivamente John ruskin, ma inizia a fare delle operazioni di carattere stilistico così come le stava conducendo Viollet-le-Duc in Francia e colui è James Wyatt, cioè un architetto che avvia l'idea del Gothic Revival che non è solo il restauro in termini stilistici ma riguardava anche una costruzione di progetti ex novo che andavano ad individuare nel gotico e quindi nella reinterpretazione contemporanea del gotico, la cultura autoctona nazionale. Inoltre, di James Wyatt è anche padre dei progetti di restauro delle cattedrali di Lichfield, Salisbury, Hereford e Durham, in cui persegue l'obiettivo dell’unità stilistica e del miglioramento degli Interni, anche al costo di demolire parti degli edifici o rimuovere elementi architettonici per renderli più funzionali. Nello specifico James Wyatt demolì le due Cappelle di Chantry Hungerford (1464) e Beauchamp (1481) che fiancheggiavano la Trinity Chapel all'estremità orientale. Inoltre, ben più grave risultò la demolizione della torre delle campane ubicata nell'angolo nord-ovest del recinto abbaziale, separata dal corpo della cattedrale, che già nel 1768 era stata privata del palco superiore in legno con le campane e della guglia lasciando solamente la base in pietra. L'approccio a quanto distruttivo di James Wyatt all'intervento nelle architetture medievali sopravvissuta in Gran Bretagna fu in principio considerato valido: era una filosofia apprezzata anche dalla Chiesa Cattolica per vedere riparate e migliorate le architetture Sacre del Medioevo. Durante il restauro della cattedrale di Salisbury,( 1787/93) James Wyatt orchestrò una serie di interventi drastici che, a conclusione del cantiere, la Cattedrale fu sostanzialmente trasformata. Una maggiore sensibilità nei confronti delle testimonianze gotiche autentiche produsse critiche per il suo operato senza precedenti. Restauro della “Torre delle campane” di James Wyatt Questo dibattito che riguarda l'evoluzione del gotico inglese, è un dibattito che interesserà non solo l'architettura ma anche la pittura e può essere diviso in quattro diverse fasi: la fase neogotica pittoresca (seconda metà del Settecento),la fase del neogotico dei commissione, la fase del neogotico degli ecclesiologist (1840-1850) e la fase del neogotico Vittoriano( fine 800). Gli architetti fondamentali del neogotico inglese sono soprattutto Pugin e Charles Barry. Pugin è colui che rappresenta le città in trasformazione dal punto di vista della rivoluzione industriale. • • • • Neogotico pittoresco= sviluppatosi nella seconda metà del Settecento, presenta un approccio di tipo romantico: si prova infatti a rinnovare il linguaggio architettonico mediante la libera interpretazione di elementi gotici medievali. Neogotico dei commissioner= nel 1818 la neonata Church building Society fece approvare la Charge building Act, che promuoveva la realizzazione di nuove chiese. Linguisticamente le chiese seguivano un modello indicato dal governo. Neogotico degli ecclesiologist= la terza fase del neogotico inglese è caratterizzata dalle formulazioni teoriche dei medievalisti della Camden Society di Cambridge e, in particolare, di Augustus Pugin. Per Pugin, la decadenza dell'architettura dipende dalla perdita di valori morali e religiosi derivante dalla civiltà delle macchine. Secondo il suo pensiero: "il gotico non è uno stile ma una religione, vale più del Greco perché la religione cristiana vale più della Pagana". Neogotico Vittoriano= sviluppatosi a fine XIX secolo sotto il regno della regina Vittoria (da qui il nome) , presenta libertà compositiva. In Gran Bretagna si utilizza la "K" finale per distinguere il gotico originale dal neogotico Vittoriano (gothic/gothick). IL ROMANTICISMO OTTOCENTESCO: JOHN RUSKIN Il romanticismo ottocentesco è ciò che pervade queste quattro fasi del neogotico inglese; la fase storica nella quale questo pensiero teorico diventa una considerazione generale anche sui problemi costruttivi che vengono poi relazionati ai temi generali dell'esistenza umana in un periodo e cioè quello dell' 800 in cui iniziano la costruzione delle periferie industriali. Un movimento di reazione, sia al Neoclassicismo e sia alla nuova era tecnologica del XIX secolo, teso al recupero dei valori della tradizione nazionale inglese è stato appunto il romanticismo ottocentesco teorizzato alla fine del XVIII secolo da Pugin. Il grande teorico del Romanticismo architettonico inglese fu John Ruskin che si inserisce, sul piano delle teoriche architettoniche, nel filone del neogotico già iniziato verso la metà del XVIII secolo con James Wyatt è completamente teorizzato da Pugin. Per John Ruskin, il restauro inteso come ripristino stilistico rappresenta una distruzione definitiva e irreparabile del Monumento che cancella la sua "autenticità" definita dall’inesorabile e inarrestabile passaggio del tempo nonché dell'azione erosiva della natura. In opposizione alle reinterpretazioni del gothic revival inglese e alle posizioni espresse dalla cultura francese del restauro stilistico, la tendenza del restauro romantico propugnata da John Ruskin, basata sulla poetica del rudere e sul rispetto della forma attuale del monumento anche se è frammentaria, esclude categoricamente la legittimità del ripristino stilistico, alla James Wyatt , e sia di qualsiasi intervento che non fosse solo conservativo. Nella sua scuola di disegno di Oxford, Ruskin insegnava i suoi allievi e futuri architetti a disegnare per educarli a comprendere il mondo che li circondava. Divise la sua teaching Collection in quattro serie principali: standard, di riferimento, educativo e rudimentale. Nei disegni venivano documentati paesaggi storicizzati a confronto con nuove periferie industriali. Nel 1843 Ruskin pubblico il primo dei cinque volumi di "pittori moderni". Il suo principale obiettivo era quello di insistere sulla verità della rappresentazione della natura dei dipinti di Turner. La critica neoclassica aveva attaccato l'opera di Turner, definita proto-impressionista per gli effetti della luce e dell'atmosfera, per l'imprecisione mimetica e per la mancata rappresentazione della "verità generale" che era stato un criterio essenziale per la valutazione critica della pittura dell'epoca di Sir Joshua Reynolds che era un altro intellettuale molto bravo che lavora alla rivalutazione critica del romantico anglosassone. Attingendo ai suoi interessi amatoriali per la geologia, botanica e meteorologia, Ruskin si impegnò a dimostrare nei dettagli che il lavoro di Turner si basava su una profonda conoscenza delle verità locali e particolari della forma naturale. Una dopo l'altra, le "verità del tono", "verità del colore", "verità dello spazio", "verità del cielo", "verità della terra", "verità dell'acqua" e "verità della vegetazione" di Turner furono minuziosamente analizzate in un faticoso e lungo studio che completò 17 anni dopo la pubblicazione del primo tomo ovvero nel 1860, alla pubblicazione e diffusione del quinto e ultimo volume dei Modern painters. Riprendendo le posizioni già espresse da Pugin, Ruskin definì un parallelismo tra architettura, verità e moralità, sottolineando quei valori anche spirituali e simbolici che si trovano in ogni opera e quindi come rappresentazione di coloro i quali l'hanno voluta e realizzata. Questa posizione lo porta ad affermare l'intangibilità delle opere giunte fino a noi ritenute frutto degli artefici del passato e che su di questa conservano ancora i pieni diritti come eredita inalienabili. Dice John Ruskin: Non lasciamoci ingannare da questa importante questione: è impossibile come risuscitare i morti, restaurare tutto ciò che è mai stato grande o bello in architettura. Il restauro inteso come ripristino stilistico e dunque per Ruskin una distruzione definitiva e irreparabile del monumento che cancella la sua autenticità definita dal passaggio del tempo e dall'azione erosiva della natura. L'opera critica che investe la prima parte della vita di Ruskin è molto ampia ma gli scritti fondamentali sono da "The Seven lamps of Architecture" e da "the Stones of Venice". Il primo a caratteristica opzionale, mentre il secondo un saggio di storia e di critica. Il vero pensiero di egli è enunciato soprattutto nel libro del 1848 intitolato "le 7 lampade dell'architettura" all'interno del quale si richiama l'attenzione di tutti sul significato dell'architettura e sui doveri che l'uomo ha nei confronti sia dell'architettura da realizzare e sia dell'architettura antica che deve essere solo conservata. Il volume si divide in sette capitoli: la lampada del sacrificio, la lampada della verità, la lampada del potere, la lampada della Bellezza, la lampada della vita, la lampada della memoria e per ultimo la lampada dell'obbedienza. Proprio nel sesto capitolo e cioè quello della lampada della memoria, Ruskin affronta il tema della conservazione del patrimonio architettonico ed ambientale nonché la costruzione di quella nuova architettura e tutela di quella antica che sono interessati dagli stessi principi architettonici. Secondo lo stesso Ruskin in conclusione, il restauro è la peggiore delle distruzioni, infatti egli è interessato al concetto di conservazione. Egli afferma che il restauro non può venire perché non si può comandare di guidare altre mani e altre menti che non sono state le creatrici di quel monumento e quindi che riproduzione si può eseguire su superfici che sono state consumate di mezzo pollice? Tutta la bellezza di quel monumento si trova proprio in quel mezzo pollice consumato, e se si provasse a restaurare quella rifinitura, se si provasse a copiare quel che è rimasto, come può una nuova opera essere migliore di quella vecchia? Eppure, in quella vecchia vi era qualche misteriosa e suggestiva traccia di quel che essa era stata e di quel che era andato perduto, una qualunque sua vita in quelle linee morbide modellate dal vento e dalla pioggia che negli anni l'hanno toccata. Il restauro secondo e gli consiste nel fare a pezzi l'opera originale, nel mettere in opera le meno preziose e più volgari imitazioni, ma per quanto esse siano fedelmente elaborate, si tratta sempre di imitazioni, di fredde copie di quelle parti. Nel capitolo XIX egli inizia a trarre delle conclusioni e dice che non si deve parlare quindi di restauro perché è una menzogna dato che si può fare la copia di un edificio come la si può fare di un cadavere: la copia può avere dentro di sé la struttura dei muri vecchi come il calco di un viso può avere dentro di sé lo scheletro. Eppure, si dice, il restauro può rappresentarsi come una necessità. Bisogna guardare bene in faccia allora questa necessità, secondo egli, e cercare di capirla nei suoi veri termini. Resta comunque una necessità distruttiva e continua dicendo di accettarlo e al massimo demolire tutto l'edificio ma farlo onestamente e non elevare un monumento alla menzogna al loro posto. Al posto di pensare a restaurare i monumenti bisogna pensare a prendersene cura, vigilare su un edificio con attenzione, proteggerlo meglio che si può ad ogni costo e da ogni accenno di deterioramento, contare quelle pietre di cui è disposto come si conterrebbero le gemme di una corona. Dove la struttura muraria presenta delle smagliature bisogna tenerla compatta usando il ferro e, invece, dove essa cede, puntellare la con travi senza pensare della bruttezza di questi interventi: meglio avere una stampella che restare senza una gamba. Tutto ciò però bisogna farlo amorevolmente, con reverenza e continuità e solo così più di una generazione potrà ancora nascere e morire all'ombra di quell'edificio. Ruskin dice che la nostra decisione di conservare gli edifici delle epoche passate non è questione di opportunità o di sentimento, ma il fatto è che noi non abbiamo alcun diritto di toccarli dato che non sono nostri ma appartengono in parte a coloro che gli costruiscono, e in parte a tutte le generazioni di uomini che dovranno venire dopo di noi: solo ciò che abbiamo costruito noi stessi, siamo liberi di demolirlo. WILLIAM MORRIS Fu Tra i principali fondatori del movimento delle Arts and Craft, è considerato il primo dei moderni designer ed ebbe una notevole influenza sull'architettura e sugli architetti del suo tempo. Da molti è considerato il padre del movimento moderno, sebbene non fosse architetto egli stesso. Ha fondato uno studio di design in collaborazione con l'artista Edward Burne-Jones, e il poeta e artista Dante Gabriele Rossetti che ha profondamente influenzato la decorazione di chiese e case nel ventesimo secolo. Ha dato anche un importante contributo al rilancio delle arti tessili tradizionali e i metodi di produzione. Ha fondato inoltre "la società per la protezione di edifici" tutt'ora un elemento statuario per la conservazione degli edifici storici nel Regno Unito. La Society for Protection of the ancient buildings è un'associazione nata nel 1877. La società è ispirata nei suoi principi al pensiero di John Ruskin e si è occupata nel XIX secolo della protezione dei Restauri di molti edifici storici, tra i quali la Basilica di San Marco a Venezia. Secondo i soci della SPAB "restaurare" un edificio significava cancellarne il rapporto con il tempo e la storia. La prima azione fu opporsi a George Gilbert Scott e lui è uno dei più importanti architetti e restauratori inglesi dell'epoca vittoriana. La società Inoltre pubblicò un manifesto in cui si sosteneva la necessità di "conservare" gli edifici di qualsiasi epoca dandosi inoltre una missione educativa da perseguire tramite la divulgazione. Lezione 20-11-2020 Premessa Gli avvenimenti successi in Inghilterra e Francia ci fanno capire come il restauro in Europa si sia caratterizzato per eventi di carattere rivoluzionario, da una parte la Rivoluzione Francese e dall'altra la rivoluzione industriale, e collegati tra di loro da un'unica base intellettuale capace di esprimere una presa di possesso dei caratteri d'identità specifici gli autoctoni, capaci anche di combattere la colonizzazione neoclassica di Atene e di Roma e quindi di esprimere l'interesse nei confronti dell'architettura gotica. In Italia nello stesso periodo, tra il 1800 e il 1860, e cioè dell'Italia pre-unitaria, di un'Italia ancora suddivisa in stati e staterelli e non ancora unificata da un evento anch'esso importante che si avrà nel 1861, ovvero l'apertura della Breccia di Porta Pia e cioè l'invasione dello Stato Vaticano come prima presa di possesso di una fetta di territorio della penisola italiana e che ostacolava l'unità del Nord e del Sud. Parleremo quindi nello specifico dello Stato Pontificio, cioè di Roma che in questo periodo non era la capitale d'Italia ma la capitale dello Stato Pontificio. Quindi si individua un percorso fatto da alcuni personaggi per arrivare poi a quello che sarà un vero sistema di principi enorme ma che vedremo attuarsi esclusivamente nell'Italia unitaria e cioè successiva al 1860 attraverso diverse figure come Camillo Boito, Luca Beltrani, ecc. Nel frattempo, ci concentriamo alle figure che hanno segnato il periodo che va tra il 1800 e il 1860 che sono: Raffaele Stern e Giuseppe Valadier e ci sono poi altri personaggi che incorniciano questa situazione e sono Gaspare Salvi, Carlo Fea, Luigi canina. L'Italia, prima della Breccia di Porta Pia , prima della conquista dello Stato Pontificio, prima della famosa spedizione dei Mille, presentava un quadro geografico e politico abbastanza vasto: era divisa in Regno di Sardegna che comprendeva il Piemonte, la Liguria, parte della Val d'Aosta e la Sardegna; a nord-est c'era il regno lombardo-veneto che era l'unione della Lombardia, del Veneto, del Friuli e del Trentino; successivamente c'erano quei piccoli stati come il Ducato di Parma, Ducato di Modena, un grande stato che aveva tradizioni splendide come il Granducato di Toscana, è collegato adesso c'era lo Stato Pontificio che è inserito trasversalmente tra il grande blocco del Regno delle Due Sicilie e questa divisione collegata al nord Italia. Lo Stato Pontificio rappresentava la monarchia più vecchia del nostro continente e nessuno stato è paragonabile ad esso; aveva Roma come punto di coagulo e abbiamo anche visto nella prima lezione quanto sia stato importante per la materia del restauro, la lettera da Raffaello Sanzio con l'aiuto di Baldassarre Castiglione a Papa Leone X, dove egli individua tre categorie di barbari che tendevano a non tutelare la bellezza dei monumenti dell'antichità, infatti il Colosseo divenne una vera e propria cava artificiale dove poter andare a prelevare del materiale per poterlo utilizzare nelle altre costruzioni. Roma però in questo periodo non si forma solo per la lettera di Raffaello Sanzio, ma anche attraverso una serie di operazioni che si coagulano attorno ad esempio alla costruzione di San Pietro in Vaticano. Vedremo quindi come l'Italia, a differenza della Francia e dell'Inghilterra, in campo del restauro, si caratterizza per questa sua dimensione molto disciplinare che caratterizza ancora oggi il restauro nella nostra nazione. RESTAURO DELL’ARCHITETTURA XIX SECOLO: 1800-1860 NELL’ITALIA PREUNITARIA Nella prima metà del XIX secolo solo l'attività di restauro non è ancora una disciplina a sé stante. Roma diventa un banco di prova importante per la tutela e conservazione dei monumenti del passato anche se, in una prima fase la componente progettuale influenzerà molto gli interventi sugli edifici antichi, perché esprime una tendenza attualmente in voga, che era molto consistente nei paesi d'oltralpe, e cioè la capacità di mettere insieme il ragionamento sulla tutela del patrimonio dei monumenti dell'antichità che sono venuti a noi e che hanno bisogno di manutenzione, interventi di restauro o di consolidamento, unita alla cultura progettuale del tempo in cui questi restauri vengono effettuati. Il primo segno di una forte connessione tra cultura del restauro e la cultura del progetto avviene proprio sulla necessità del restauro di Ponte Milvio, un ponte in cattive condizioni effettuata da Giuseppe Valadier insieme alla risistemazione dell'area adiacente al ponte. Giuseppe Valadier era uno degli architetti più importanti di Roma e che insieme a Raffaele Stern produrrà i restauri più importanti della Roma papalina in epoca pre-unitaria, e fondamentalmente da architetto diventerà restauratore. Agli inizi del XIX secolo, In Italia, si presentano nel restauro due linee di tendenza la prima tendente a privilegiare la distinguibilità dell'intervento integrativo rispetto alla parte preesistente, integrando le lacune in maniera riconoscibile attraverso la distinzione del materiale, e la seconda della semplificazione delle forme come nel consolidamento del Colosseo (1807/1826) e nel restauro 'stilistico' dell'Arco di Tito (1818/1824) eseguiti da Raffaele Stern e Giuseppe Valadier. I RESTAURI DEL COLOSSEO Il Colosseo, alla fine del XVIII secolo, era staticamente compromesso, dopo essere stato adibito a luogo di culto Cristiano nonché utilizzato come Cava di Travertino. Uno dei principali problemi era l'interruzione traumatica dell'anello esterno nei lati in corrispondenza delle attuali vie di San Giovanni in Laterano e via dei Fori Imperiali che furono oggetto di due importanti Restauri che si attueranno nel giro di pochi anni l'uno dall'altro. Un primo intervento è stato effettuato da Raffaele Stern nel 1806, che dà l'idea di un sistema apparentemente invasivo ma molto interessante sotto il punto di vista della conservazione anche delle tracce del degrado che in quegli anni subiva la struttura architettonica portante del Colosseo. Il primo, molto differente dal secondo intervento effettuato nel 1823 da Giuseppe Valadier, un intervento apparentemente più consono alla natura del paramento murario definito da strutture portanti, pilastri e archi, ovvero da una struttura merlettata, in cui i rapporti tra pieno e vuoto sono confermati seppur fosse un intervento molto limitato. Gli anni che precedono l'intervento conservativo di Raffaele Stern, vedono lo Stato Pontificio avviare progetti finalizzati all'utilizzo azione del Colosseo che superano le reali possibilità del committente e non vedono la loro realizzazione. Si dovrà attendere il papato di Pio VII ( 1800-1823) per avviare concrete azioni di salvaguardia per il Colosseo. Il nuovo clima che si registra con il papato di Pio VII, è percorso dall'eco del Quatremère de Quincy e dall'attività di personaggi illustri come l'abate Carlo Fea (1753-1836) archeologo e commissionario delle antichità di Roma e lo scultore Antonio Canova (1757-1822) futuro ispettore generale delle antichità e Belle Arti dello Stato della Chiesa. La denominazione di patrimoine, o patrimoine national, germoglio su una radicale innovazione: l'attribuzione di una personalità giuridica alla nazione, cioè alla collettività dei cittadini, e corrispose alla nuova consapevolezza della centralità del patrimonio per promuovere la cultura e per definire il carattere nazionale così come accaduto in Francia dopo la rivoluzione. In quell’ampio dibattito presero nuovo senso le antiche norme pontificie di tutela, che Carlo Fea aveva raccolto in varie memorie ( 1783, 1802 e 1806) . Carlo Fea ebbe un ruolo cruciale nel chirografo di Pio VII del 1802 che, curato anche da Antonio Canova, si poneva l'obiettivo di "coordinare la restaurazione e conservazione dei pubblici monumenti". Il progetto per l'intervento conservativo strutturale del Colosseo si avvia quindi nel 1802. Innanzitutto, partono le campagne di scavi per indagare il complesso impianto idraulico dell'edificio, da tempo intasato dai detriti, e si avviano i progetti per consolidare la cinta esterna pericolante è segnata da lesioni. La commissione incaricata vaglia tutte le possibili soluzioni per salvaguardare il monumento, il gruppo di lavoro è composto dagli architetti e archeologi più accreditati del momento come Camporesi, Schiavoni e Stern. Il lavoro di restauro è preceduto dallo smantellamento delle casupole ridotte a fienili, la raccolta del letame accumulato da tempo immemorabile negli ambienti dei fornici. La commissione approva la proposta che prevede l'edificazione di uno Sperone "che sicuramente è il modo più moderno che si può sostenere il confronto delle antiche opere laterizie e che vada a reggere la parte sconnessa è quasi cadente, vorrei agire alla continua laterale pressione che danno tutti i cunei degli archi e van di finestra ". L'opera muraria viene rivestita di una fodera in Cortina eseguita a regola d'arte che poggia su una base di Travertino. Restauro di Stern Dopo l'istituzione di una commissione straordinaria da parte di Papa Pio VII, i primi Restauri iniziano le 1806, anno in cui un violento terremoto compromise la statica dei due lati liberi dell'anello più esterno. Il terremoto aveva aggravato la situazione del terzo anello sul lato occidentale dove a causa di conci ormai pericolanti, era richiesto un intervento di urgenza ed emergenza. Dopo il puntellamento dei conci, furono immediatamente montati i ponteggi per la creazione di uno Sperone che facesse da contrafforte. Raffaele Stern escogitò due modalità di intervento da sottoporre al vaglio dell'accademia di San Luca: "per via di togliere" che consisteva nell'eliminazione della parte di attico e delle arcate del terzo ordine ormai danneggiate, (soluzione scartata) e "per via da aggiungere", poi effettivamente realizzata con un robusto sperone in laterizio. In "storia del restauro e della conservazione delle opere d'arte", dice Conti: "nel 1807 Raffaele Stern interviene sul lato verso il Laterano compiacendosi di un gusto alle rovine che sembra bloccare il monumento nell'istante stesso in cui crolla; non interviene sui materiali originali, i conci che si sono assestati nella rovina, restano in una posizione che sterno si limita a consolidare e bloccare con le nuove murature di consolidamento". Ciò sta a significare come la tecnica dello scivolamento di Stern o della tecnica di consolidamento delle pietre, viene vista da occhi diversi dai suoi dato che lui non tende a ricostruire la curva dell'Arco ma lascia quest'idea di scivolamento dell'Arco, e naturalmente questo slittamento delle pietre fa cedere l'arco e l'architrave Superiore che lui blocca con questo suo restauro. Le prime due arcate di ogni ordine furono tamponate e lo sperone rustico fu realizzato privo delle forme architettoniche delle arcate esistenti a causa dell'emergenza e della necessità di praticare l'intervento in economia e rapidità. Restauro di Valadier Terminato il restauro dello sperone meridionale, dopo 15 anni iniziano i lavori di restauro di quello settentrionale ideato da Giuseppe Valadier nel 1823. Egli, che si era già interessato del Colosseo nel 1815 con un progetto ideato per chiudere l'anfiteatro Flavio mediante cancellate, successivamente si occupò del recupero dell'anello perimetrale nel lato verso i fori. La differenza sostanziale fra l'impostazione del restauro di Stern e quello di Valadier è che: mentre il primo fu realizzato sotto il pericolo di un crollo imminente, l'altro potè essere praticato in tutta calma. Dal punto di vista statico l'intervento consiste in un nuovo Sperone, realizzato con arcate identiche alle originali. L'aggiunta, interamente in mattoni, fu costruita usando materiale diverso rispetto all'originale per motivi economici e non per una volontà di differenziazione ad eccezione della base e dei capitelli in travertino, messi in opera in maniera simile agli originali. L'opera fu celebrata da Giuseppe Valadier in "opere di architettura ed ornamento" dove descrisse ed illustrò minuziosamente il cantiere dalla costruzione delle impalcature lignee fino alla fine del restauro, esaltandolo come una delle più grandi opere della sua carriera e più importanti per Roma. Restauri di Stern e Valadier al Colosseo Restauro di Salvi e Canina Tra il 1837 è il 1853 ci fu la configurazione del lato Sud del Colosseo fatta da Gaspare Salvi: lì dove mancava la parte del terzo anello, fu fatta una di configurazione della parte mancante del secondo anello, cioè quello più interno. Dal terzo decennio del XIX secolo fino alla conclusione dei lavori, avvenuta a metà del secolo, i restauri passarono sotto la direzione di Gaspare Salvi e Luigi Canina. Il primo intervento di Salvi riguardo il terzo anello sul lato dell'attuale via San Gregorio; su delle basi in travertino egli costruì un completamento con archi in laterizio su imposte in travertino: dagli archi fece partire degli speroni per collegare la parte di nuova costruzione alla parte antica, che fu così staticamente assicurata. Gli archi nuovi sono segnalati da mattoni bipedali disposti radialmente. I muri radiali sono realizzati in travertino al primo ordine ed in laterizio degli ordini superiori, mentre i pilastri di restauro sono realizzati interamente in mattoni di laterizio. Per la prima volta un intervento non era motivato da un impellente urgenza statica, ma da una pura volontà ricostruttiva. La parte crollata e ricostruita in mattoni propone forme simili all'originale ma diversa per la scelta dei materiali. Tale nuova definizione materica ebbe senza dubbio un impatto sull'immagine generale del monumento a causa delle diffuse murature in laterizio impiegate per la sua edificazione: murature con tessiture stessi formi che tendevano a cancellare quelle immagini di monoliticità fornita dai grandi elementi lapidei in travertino. Alla morte di Salvi nel 1849, assunse la direzione dei lavori Luigi Canina risolvendo sullo stesso lato un problema di strapiombo verso l'interno della parte più alta della costruzione, che fu assicurata con tiranti in ferro ai contrafforti in mattoni di nuova costruzione. L'ultimo grande intervento fu operato sul lato nord che presentava uno strapiombo di oltre 60 centimetri fuori dall'asse. Era dunque necessario costruire un sostegno per la parte più esterna e fu così costruito verso l'interno un abbozzo di quart'ordine nel secondo anello in cui furono affondate catene binate per assicurare la parte da attico non più in asse. Dal 1822 la commissione generale consultiva aveva affidato a Luigi Canina, su impulso di Valadier, il compito di studiare la situazione statica dell'anello esterno verso l'esquilino. Canina nella sua relazione finale evidenzia il crescente distacco fra le parti in pietra della facciata e quelle laterizie interne e sulla base di tale relazione Papa Pio IX decise nel 1846 un altro intervento che interessa la parte centrale del portico esterno, il piccolo portico colonnato d'ingresso sul lato nord e alcune arcate dei portici interni corrispondenti. Il restauro negli ordini superiori comportò la ricostruzione di parti mancanti per un totale di 7 arcuazione del terz'ordine e l'intersezione di catene metalliche nel secondo ordine: non si concretizzò tuttavia l'auspicio di canina di rialzare almeno 6 colonne del portico superiore e di "ristabilire su si esse l'impalcatura di legname ". Questi nuovi lavori furono voluti dal pontefice e si conclusero nel 1853: rappresentano quindi gli ultimi interventi importanti voluti dallo Stato Pontificio prima dell'Unità d'Italia. Inoltre, per la platea interna che era frequentemente soggetta ad allagamenti furono proposti vari progetti tra cui il progetto della Via Crucis fatta dopo gli scavi napoleonici e mai realizzata. IL RESTAURO DELL’ARCO DI TITO Un altro tra i più importanti interventi sul patrimonio architettonico di Roma di età pre-unitaria è rappresentato dalla parallela vicenda del restauro dell'Arco di Tito, situato nei Fori Imperiali a poca distanza dal Colosseo. L'Arco di Tito era stato costruito nel I secolo d. C. e in seguito alle parziali demolizioni dei piloni di sostegno, era stato inglobato in altri edifici in epoca medievale. I lavori di restauro furono partiti per mano di Raffaele Stern nel 1818 e furono portati a termine da Giuseppe Valadier nel 1823 e sono ricordati dall'iscrizione di Papa Pio VII sul lato Ovest dell'attico. Il restauro liberò il monumento da superfetazioni di epoca medievale e comportò la ricostruzione di elementi come colonne e capitelli, secondo un sobrio linguaggio non mimetico bensì di ordine geometrico. È stato un monumento più volte documentato da incisori, architetti, vedutisti e pittori di chiara fama. Quando Raffaele Stern inizio il restauro liberò ciò che rimaneva dell'Arco e cioè le colonne centrali, il fornice e la sovrastante trabeazione sormontata dalla grande targa celebrativa. Lateralmente ricostruiti sono i due piloni che reggono l'arco. Uno dei motivi per cui il restauro dell'Arco di Tito fu giudicato esemplare fu per l'impiego di un materiale diverso per le aggiunte (travertino) , da quello originario (marmo). I Conci marmorei vennero poi ricomposti e opportunamente fissati e l'arco fu infine completato integrando nelle parti mancanti con i nuovi conci di Travertino e a questo proposito L’abate Carlo Fea, in qualità di commissario degli antichità dello Stato pontificio, impose all'architetto di non spingersi a ricostruire i capitelli e le cornici secondo il criterio di analogia ma limitandosi a ripristinarli in forme molto semplificate dal punto di vista stilistico affinché rimanessero chiaramente distinguibili il vecchio dal nuovo. Restauro di Stern e Valadier all’Arco di Tito Lezione 27-11-2020 Premessa Oggi affrontiamo un evento-cerniera molto importante che riguarda la collocazione della cultura italiana all'interno della cultura europea riguardo alle nuove posizioni sia teoriche che pratiche che si vengono a creare anche in Italia dalla seconda metà dell'800 fino ai giorni nostri. Tutto ciò che trattiamo oggi rappresenta la base formativa di un ragionamento disciplinare che in Italia si svilupperà secondo delle linee e dei programmi abbastanza diversi dalle considerazioni critiche sul restauro che si faranno invece in Europa e che, come vedremo, avranno un punto altrettanto importante nelle posizioni di Max Dvorak, cioè dirigente della cultura viennese, quando Vienna era ancora nel l'impero austro-ungarico. Quindi in epoca postunitaria ci troviamo ancora in una fase in cui, architetti e ingegneri, ragionano sulla nuova architettura e anche sul patrimonio da tutelare e da valorizzare. Vediamo quindi i volti di Enrico Alvino, Camillo Boito, Luca Beltrani e di Pietro selvatico, il quale quest'ultimo è una figura di rotazione tra la cultura italiana del restauro e la cultura inglese. Ci occupiamo quindi della prima fase del restauro in Italia, quella avviata sotto la direzione del primo congresso degli architetti e degli ingegneri tenutosi nel 1872 sotto la direzione di Enrico Alvino, architetto napoletano, e l'opera intellettuale e pratica di Camillo Boito che è il primo vero restauratore italiano, colui che metterà in pratica il cosiddetto restauro storico. A Camillo Boito seguirà poi il concetto di restauro filologico di Luca Beltrami. REGNO D'ITALIA 1861 L'Italia quindi si presenta nel 1861 divisa in tre parti ovvero il Regno d'Italia che occupa la maggior parte del territorio Senza considerare il Veneto è lo Stato Pontificio. Lo Stato Pontificio Sarà assalito e recuperato all'unità d'Italia attraverso un evento bellico che si sintetizza fondamentalmente nella presa di Roma è nello specifico dalla Breccia che fu aperta a nord della Porta Pia. Presa di Roma, 20 settembre 1870 Poco dopo le ore 9 inizio ad aprirsi una vasta breccia a una cinquantina di metri alla sinistra di Porta Pia. I comandanti d'artiglieria ordinarono di concentrare gli sforzi proprio in quel punto (ore 9: 35). Dopo 10 minuti, la breccia era abbastanza vasta (circa 30 metri) da permettere il passaggio delle truppe italiane. Il Vittorio riquadrato è un francobollo emesso dal Regno d'Italia nel 1867 ed è considerato un classico della Filatelia italiana, nella sua vignetta è raffigurata l'effige di Vittorio Emanuele II, primo re d'Italia. Il primo francobollo a portare per il mondo la notizia dell'unificazione della nazione e fu tra i primi francobolli ad essere stampati dalla prima stamperia di valori italiani: l'officina carte e valori di Torino. Utilizzato sulle prime lettere in partenza da Roma dopo la presa di Porta Pia: tra queste esiste una lettera dello stesso 20 settembre 1870. Con l'Unità d'Italia tutte le categorie commerciali, industriali e professionali iniziano a strutturarsi per servire al meglio la patria riunificata attraverso la mediazione dei nuovi ministeri che andranno a costituirsi. Gli architetti e gli ingegneri, sulla scia di precedenti esperienze, promuoveranno il primo congresso degli architetti e ingegneri che si terrà a Milano nel 1872. Nel primo congresso degli architetti e ingegneri del regno (Milano 1872) si auspica la creazione dello "stile nazionale" e se ne dettano le tre principali linee guida. In questo primo congresso era presente sia Enrico Alvino, come responsabile della sezione architettura, e sia Camillo Boito, in qualità di membro della commissione esecutiva presieduta da Francesco Brioschi. Le tre linee guida, in sintesi, auspicano che: - le ragioni organiche e dell'uso della costruzione devono avere la preminenza su maniere, norme e rapporti estetici. - lo stile deve essere comune a tutte le regioni italiane, ma con quelle modificazioni richieste dal clima, dai materiali da costruzione e dai costumi. - lo stile non possa essere nuovo di pianta, ma anzi, per avere indole compiutamente nazionale debba collegarsi ad una delle architetture italiane del passato, sciogliendo negli elementi da ogni norma di convenzione, allorché il modo moderno si accomodi anche ai nuovi materiali e ai ritrovati della scienza. La sezione architettura del primo congresso degli architetti e degli ingegneri è rappresentata dalla relazione di Enrico Alvino che fornisce un quadro ampio relativo alla problematica dello stile in architettura negli ultimi decenni del XIX secolo in Italia intorno alle tematiche dello stile neogotico. Circolare Ministeriale del 21 luglio 1882 Nel 1882, 10 anni dopo il primo congresso degli architetti ed ingegneri, Giuseppe Fiorelli ispira la circolare ministeriale del 21 luglio 1882 sui Restauri degli edifici monumentali il ministero della Pubblica Istruzione: riconosciuta la convenienza di coordinare i criteri direttivi per lo studio dei Restauri dei monumenti e per la compilazione dei relativi progetti, è riconosciuta la opportunità di uniformare l'ordinamento del servizio per l'esecuzione dei lavori, affinché siano diretti alla migliore conservazione di quanto interessa la storia o l'arte. Determina: 1. studio dei restauri Lo studio dei restauri si farà merce di un esame storico ed artistico del Monumento, che metta in grado di stabilire quanto debba essere conservato nell'interesse della storia o dell'arte, quali siano i danni sofferti, e quali lavori da eseguire per eliminare questi danni, ed impedire per quanto sia possibile che si rinnovino. L'esame storico ed artistico dovrà essere fatto con la scorta dei documenti storici, e con lo studio diretto del monumento ricorrendo ove necessario, ad opportuni testi. Dovrà far riconoscere con la maggiore possibile precisione, per l'insieme dell'edificio e per i suoi singoli elementi, considerati nelle successive epoche, risalendo fino alla originaria, tanto il fine cui si è mirato, e la distribuzione e le proporzioni adottate per rispondervi quanto la natura e la lavoratura dei materiali prescelti, e la tecnica di esecuzione e la decorazione cui si è ricorso. Dovrà mettere in evidenza il vero valore sotto ogni punto di vista, e lo stato normale in confronto all'attuale dei singoli elementi dell'edificio e delle singole modificazioni. Fatto questo esame si stabilirà quanto debba essere conservato, distinguendo gli elementi che hanno vera importanza storico-artistica e devono essere rispettati e quelli che non hanno tale importanza e possono essere variati o soppressi. I danni sofferti risulteranno dalla differenza, tra lo stato normale e l'attuale di quanto dovrà essere conservato: i lavori da eseguirsi risulteranno dalle opere necessarie, per riattivare e mantenervi per quanto sarà possibile lo stato normale. Opportuni disegni di insieme e di dettaglio completeranno lo studio, rappresentando con figure distinte, più che sia possibile esattamente, il monumento nello stato attuale e negli altri stati per cui è passato, nonché quello a cui verrà restaurato. Quando si tratterà di restauri di edifici monumentali o di elementi di questi edifici, che evidentemente devono essere conservati nella loro integrità, lo studio potrà essere sommario, purché porti alla scorta dei criteri precedenti, alla determinazione esatta dello stato normale in confronto all'attuale, ed a quella dei danni sofferti e dei lavori da eseguirsi per eliminarli. 2. compilazione dei progetti Si tratti di restauri o di restauri parziali, i progetti comprenderanno sempre relazioni, disegni, stima dei lavori e condizioni di esecuzione. La relazione sarà costituita dagli studi fatti; per determinare i danni sofferti e di lavori necessari e sarà corredata da tutti i documenti da tutte le indicazioni che occorreranno; per prevenire o sciogliere i dubbi che potessero presentarsi a chi avesse da giudicare della convenienza di restauri con la semplice scorta del progetto, senza speciale conoscenza del monumento. I disegni saranno nella scala 1: 100 per le figure di insieme, e di 1:10 ed all'occorrenza anche in scala maggiore per i dettagli; saranno piante, sezioni, prospetti e dettagli acquerellati in guisa, che presentino esattamente il carattere del monumento. Se si potrà, converrà unirvi qualche fotografia dell'insieme e dei dettagli. La stima dei valori, si farà col computo metrico, con l'analisi dei prezzi e col calcolo estimativo, a seconda delle norme comunemente adottate per le altre opere pubbliche, distribuendo i lavori a misura da quelli a corpo, e calcolando separatamente quelli che dovranno essere eseguiti in economia. Le condizioni di esecuzione, tanto per i lavori a misura che a capo, da congedarsi con regolari contratti (in quel caso occorrerà accompagnarle con i capitolati d'oneri) quanto per i lavori da eseguirsi in economia, dovranno essere desunte dai suggerimenti, che ne dà lo studio del monumento, per assicurare che i lavori rispondono allo scopo. I restauri per cui evidentemente non si alteri nulla, di quanto abbia importanza per la storia o per l'arte, si potranno progettare applicando in modo sommario le disposizioni precedenti, con una relazione desunta da uno studio riassuntivo, con disegni dimostrativi ho con opportune fotografie, con un semplice calcolo estimativo e con le principali condizioni di esecuzione. 3. Ordinamento del servizio per l'esecuzione dei lavori Gli incaricati di studiare i restauri e compilare i relativi progetti, dovranno uniformarsi alle norme precedenti ed agire di concerto coi rappresentanti delle commissioni conservatrici dei monumenti, e con quelli del genio civile delle provincie, in cui dovranno essere eseguiti lavori. Compilati i progetti si presenteranno alle rispettive prefetture, per l'esame e l'approvazione delle commissioni conservatrici, nei riguardi storici ed artistici, e del genio civile nei riguardi tecnici ed amministrativi. Dopo l'approvazione delle commissioni conservatrici e del genio civile, tali progetti saranno presentati dalle prefetture al Ministero della Pubblica Istruzione, per ulteriore esame storico ed artistico; e questo Ministero gli trasmetterà, ove occorre, a quello dei lavori pubblici per ulteriore esame tecnico ed amministrativo. Approvati definitivamente progetti e autorizzata l'esecuzione, si affiderà la direzione dei Restauri ai redattori di essi con la vigilanza dei rappresentanti delle commissioni conservatrici e del genio civile, rispettivamente per le parti che lo riguardano. Il collaudo sarà fatto dalle commissioni conservatrice dal genio civile, oppure da delegati speciali del Ministero di pubblica istruzione e di quello dei lavori pubblici, a seconda dell'importanza dei lavori. II e III congresso degli ingegneri e degli architetti Con l'Unità d'Italia due nuove posizioni si affermeranno nella riflessione sul restauro dell'architettura: la prima posizione, dovuta a Camillo Boito, esprimeva le idee poste alla base del restauro contemporaneo, fatte proprie e votate dal terzo congresso degli ingegneri e degli architetti italiani tenutasi a Roma nel 1883 dove si annunciava il principio del restauro storico, ovvero rispetto delle aggiunte non originali, l'illegittimità dei rifacimenti in stile e la necessità che, ove realizzati, e si dovessero risultare riconoscibili; la seconda, quella del restauro filologico, rifiutava la prassi del ripristino analogico del restauro stilistico, e teorizzava di ricostruire la forma particolare del Monumento attraverso lo studio delle sue vicende storiche e fu teorizzata da Luca Beltrami. Dopo il II congresso degli ingegneri ed architetti italiani, a Firenze nel 1876, il III congresso si tiene a Roma nel 1883 e in quella sede si formalizza la prima "carta del restauro“ grazie a Camillo Boito (detta carta del Boito). Il voto conclusivo del congresso afferma che: considerando che monumenti architettonici del passato, non solo valgono allo studio dell'architettura ma servono, quali documenti essenzialissimi, a chiarire e ad illustrare in tutte le sue parti la storia dei vari tempi e dei vari popoli, e perciò vanno rispettati con scrupolo religioso, appunto come documenti in cui una modificazione anche lieve, la quale possa sembrare opera originaria, trai in inganno e conduce via via a deduzioni sbagliate; la prima sezione del terzo congresso degli ingegneri ed architetti, presa cognizione delle circolari inviate dal ministero della Pubblica Istruzione ai Prefetti del regno intorno ai Restauri degli edifici monumentali raccomanda le seguenti massime direttive: 1) I monumenti architettonici, quanto sia dimostrata incontrastabilmente la necessità di porvi mano, devono piuttosto venire consolidati che riparati, piuttosto riparati che restaurati, evitando in essi con ogni studio le aggiunte e le rinnovazioni. 2) nel caso che le dette aggiunte o rinnovazioni tornino assolutamente indispensabili per la solidità o per altre cause invincibili, e nel caso che riguardino parti non mai esistite o non più esistenti e per le quali manchi la conoscenza sicura della forma primitiva, le aggiunte o le rinnovazioni si devono compiere con carattere diverso da quello del monumento, avendo che, possibilmente, nell'apparenza prospettica le nuove forme non urtino troppo con il suo aspetto artistico. 3) Quando si tratti invece di compiere cose distrutte o non ultimate in origine per fortuite cagioni, oppure di rifare parti tanto deperite da non poter più durare in opera, e quando nondimeno rimanga il tipo vecchio da riprodurre con precisione, Allora converrà in ogni modo che i pezzi aggiunti o rinnovati, pure assumendo la forma primitiva, siano di materia diversa o porti in un segno inciso o meglio la data del restauro, dato che neanche su ciò possa l'attento osservatore venire tratto in inganno. Nei monumenti dell'antichità o in altri, ove sia notevole l'importanza propriamente archeologica, le parti di campimento indispensabili alla solidità e alla conservazione dovrebbero essere lasciate coi soli piani semplici e coi soli solidi geometrici dell’abbozzo, anche quando non appariscono altro che la continuazione o il sicuro riscontro di altre parti anche sagomate e ornate. 4) Nei monumenti, che traggono la bellezza, la singolarità, la poesia del loro aspetto della varietà dei marmi, dei mosaici, dei dipinti oppure dal colore della loro vecchiezza o delle circostanze pittoresche in cui si trovano, o perfino dallo stato rovinoso in cui giacciono, le opere di consolidamento, ridotte allo strettissimo indispensabile, non dovranno scemare possibilmente in nulla. 5) Saranno considerate per monumenti, e trattate come tali, quelle aggiunte o modificazioni che in diverse epoche fossero state introdotte nell'edificio primitivo, salvo il caso in cui, avendo un’importanza artistica e storica manifestamente minore dell'edificio stesso e del medesimo tempo svisando e smascherando alcune parti notevoli di esso, si ha da consigliare la rimozione la distruzione di tali modificazioni o aggiunte. In tutti i casi nei quali sia possibile, o ne valga la spesa, le opere di cui si parla verranno serbate, o nel loro insieme o in alcune parti essenziali, possibilmente accanto al monumento da cui furono rimosse. 6) dovranno eseguirsi, innanzi di por mano ad opere anche piccole di riparazione o di restauro, le fotografie del Monumento, poi di mano in mano le fotografie dei principali stati del lavoro, e finalmente le fotografie della lavoro compiuto. Questa serie di fotografie sarà trasmessa al Ministero della Pubblica Istruzione insieme ai disegni delle piante degli alzati e dei dettagli e, occorrendo, con gli acquerelli colorati, ove figurino con evidente chiarezza tutte le opere conservate, consolidate, rifatte, rinnovate, modificate, rimosse o distrutte. Un resoconto preciso e metodico delle ragioni e del procedimento delle opere e delle variazioni di ogni specie accompagnerà i disegni e le fotografie. Una copia di tutti i documenti ora indicati dovrà rimanere depositata presso le fabbricerie delle chiese restaurate, o presso l'ufficio incaricato della custodia del Monumento restaurato. 7) Una lapide da infiggere nel monumento restaurato ricorderà la data e le opere principali del restauro. In sintesi, i punti centrali della teoria di Camillo Boito, definita come "restauro storico" sono i seguenti: I: rifiuto del restauro stilistico, nella versione proposta da Viollet le Duc, considerato come un inganno per i contemporanei e i posteri nonché una falsificazione del Monumento, rendendo impossibile distinguere le parti originarie dalle successive modifiche. II: necessità di rispettare e tutelare i valori artistici e storici del Monumento. Importanza della conservazione della patina. III: gerarchia per gli interventi sui monumenti: "devono venire piuttosto consolidati che riparati, piuttosto riparati che restaurati" IV: opere di restauro indispensabili per il mantenimento dell'edificio fatto in modo che le aggiunte non possano essere confuse con parti originarie. Le aggiunte rese distinguibili mediante la riduzione ai soli volumi essenziali eliminando o stilizzato gli elementi decorativi. Camillo Boito La prima carta del restauro contribuirà a definire in maniera concreta una via italiana al restauro che si porrà a metà strada tra le posizioni inglesi (the anti-restoration movement) e francesi (restauro stilistico). L'attività progettuale di Camillo Boito si svolge sia in veste di progettista e sia in qualità di restauratore sensibile alle tematiche dello stile neogotico punto nel campo del progetto architettonico sono da ricordare gli interventi per: • • • il cimitero monumentale, Gallarate 1864 scuole elementari, Reggia Carrarese, Padova, 1880 museo civico, Padova , 1889 Nel campo del restauro sono da ricordare tre interventi di grande rilievo: • • • Porta Ticinense, Milano 1861-65 Palazzo Cavalli- Franchetti, Venezia,1878 Palazzo Ducale, Venezia, 1893 La Porta Ticinense La Porta Ticinese medievale testimonia l'avanzo della cerchia muraria del VII secolo. Essa aveva la singolarità di possedere, nel 1171, un solo fornice. L'aspetto attuale è dovuto a diverse ricostruzioni: prima Azzone Visconti, nel 1329, poi Camillo Boito, nel 1861 che liberò dalle case che vi si erano sovrapposte e apri nelle torri due passaggi ad arco acuto. Rappresenta una tra le prime ricostruzioni di monumenti che segnarono il paesaggio della Milano ottocentesca e di inizi ‘900. La porta presentava un’arcata a tutto sesto ed era fiancheggiata da Torri. Più volte rimaneggiata, nel 700 fu trasformata in edificio residenziale e nel corso dei secoli successivi, numerose abitazioni le si addossarono impedendo la sua percezione. La porta ticinense era una delle più importanti porte della città di Milano e rappresenta oggi una delle poche testimonianze delle Mura medievali della città. Nella zona il tessuto stratificato della città romana, medievale, rinascimentale e ottocentesca convivono. L'Antica porta ticinense, meglio conosciuta come porta cicca per la sua insolita caratteristica di avere una sola apertura, insieme agli archi di Porta Nuova e alla Basilica di San Lorenzo, è una delle poche sopravvivenze delle Mura milanesi di epoca medievale. A seguito dell'importante pressione demografica della città ottocentesca era stata completamente inclusa nel tessuto residenziale. Il primo a proporre un'idea riguardo una sua di configurazione, nel 1801, l'architetto Luigi Cagnola, Ovvero lo stesso progettista della Porta Ticinese ottocentesca collocata sulla cerchia delle Nuove Mura esterne a quelle medievali, ma può poco considerato per l'ipotesi di demolizione dell'antica porta medievale. In seguito al progetto di Luigi Cagnola ed al successivo progetto di Agostino Nazzari del 1858 nella città Meneghina si apre un ampio confronto sulle modalità operative da intraprendere sulla Porta Ticinese medievale sintetizzabile nelle tre possibili operazioni di demolire, restaurare o conservare. Intanto il primo progetto di Agostino Nazzari prevede la demolizione delle case addossate alle torri, delle botteghe e del Vecchio Ponte sul Naviglio; la demolizione parziale della torre Ovest per aprire un passaggio di 4 m; la demolizione della torre orientale per poi ricostruirla simmetricamente a quella occidentale e anche dimensionalmente corrispondente; propone l'apertura di varchi rivolti verso l'interno del passaggio centrale nonché la creazione di passaggi con archi a tutto sesto nelle Torri laterali e di monofore in corrispondenza agli archi; proponi di realizzare un cornicione di coronamento di gusto cinquecentesco; prevede infine, il rivestimento con un parapetto di pietra fino al cornicione per proseguire sulle Torri laterali con un rivestimento in mattoni a vista eccettuati gli spigoli rinforzati in pietra squadrata. Dopo la demolizione delle case a ridosso della porta di Firenze Si tiene una seduta straordinaria del consiglio comunale di Milano nel 13 settembre del 1861, e si elabora una relazione sui "Restauri da condursi a Porta ticinense "in seguito al sopralluogo effettuato in situ punto della relazione viene descritto lo stato di conservazione della porta: "l'arco di mezzo è in buone condizioni, ai lati si alzano Due Torri nelle quali sono rinvenuti due Ampi archi di forma acuta, i muri delle Torri non sono in ottimo stato, di quello d'Oriente in particolare rimane un basso mozzicone che si dovrà in qualche piccolo trattori fare". La torre occidentale mostra, a demolizione avvenuta, il rivestimento di pietra da taglio anche sul lato meridionale. Obiettivo finale dell'intervento dovrà essere: "far davvero il restauro del vecchio monumento, ritornando l'ho cioè ha quell'aspetto che doveva presentare al tempo della sua costruzione, quasi nulla resta da aggiungere; anzi tutto si riduce ad ideare il coronamento delle Torri. L'obiettivo dell'intervento non è, quindi, solo di conservare gli elementi medievali, ma anche di conferire unità linguistica ed estetica al monumento. A differenza della soluzione progettuale di Luigi Cagnola e delle proposte di Agostino Nazzari, Camillo Boito invece risolve la difficoltà del passaggio troppo angusto con una trifora con due archi a Sesto acuto, dotata Inoltre, come il gusto dei Restauri dell'epoca voleva ovvero ispirandosi al maestro francese Viollet Le Duc, di due torri di altezze diverse con i merli "Guelfi" di fantasia. Risolse poi la parte basamentale con rivestimento di blocchi di pietra a taglio regolare con poche cromie differenti. Dopo la fase preliminare con la liberazione delle Torri dai volumi che vi si erano addossate, si opera con il vero e proprio restauro attraverso le seguenti operazioni: Riconfigurazione di alcune parti della torre di Levante Completamento Cortina centrale e di quella di Ponente Coronamento realizzato con merlature guelfe 8 a forma parallelepipeda Realizzazione di finestre ex novo e di due piccole feritoie collocate nel corpo centrale Ripristino dei due archi acuti a livello strada, emersi durante i lavori di liberazione, e di altre bucature, anch'esse archiacute, presenti nel resto della fabbrica. L'intervento di Camillo Boito si inserisce nella scia delle teorie di Violetta le Duc differenziandosi da quelle Proprio in virtù della contraddizione stilistica tra l'arcata centrale e quelle laterali che potrebbe "testimoniare la preoccupazione di dimostrare con evidenza" le aggiunte posteriori punto l'opera di liberazione mette in luce le tracce delle finestre e gli archi acuti laterali giustificando così il ripristino delle "antiche forme". Porta Ticinense prima e dopo il restauro. Palazzo Cavalli-Franchetti, Venezia, restauro Camillo Boito 1878\83 Costruito verso la seconda metà del XV secolo, in stile gotico come residenza domenicale della famiglia Marcello di San Vidal, vi abitarono in seguito le famiglie Guzzoni e cavalli. Nel 1847 fu ceduto alla Arciduca Federico Ferdinando d'Asburgo teschen, comandante superiore della Marina da guerra Imperiale. Federico Elimina le vecchie divisioni tra la parte cavalli e quella Guzzoni e riunifica quindi l'unità edilizia; alla prematura scomparsa dell'arciduca nel 1847, fu Enrico Quinto ad entrarne in possesso affidando i lavori all'architetto Giambattista Meduna, Cary progetterà il palazzo trasformandolo in uno dei più famosi emblemi dell'Ottocento veneziano. Nel 1878 fu acquistato dal Barone Raimondo Franchetti che affidò il radicale intervento di restauro a Camillo Boito. I lavori riguardano essenzialmente la facciata sul Canal Grande che viene sottoposta ad uno smontaggio pressoché totale con successiva ricomposizione "corretta" procede poi alla ristrutturazione e regolarizzazione dell’ammezzato e del piano terra, Elimina il grande abbaino e il poggiolo della Penta fora al secondo piano, modifica il poggiolo della pentafora al primo piano e inserisci una riquadratura marmorea al portale principale. I lavori riguardano essenzialmente la facciata sul Canal Grande che viene sottoposta ad uno smontaggio quasi totale. In sintesi: - Elimina il piano in sopraelevazione - demolisce la balaustra della pentafora superiore portandola a filo di parete attraverso la realizzazione di una serie di colonne libere - sul prospetto laterale riprende gli stilemi del motivo del fronte principale Restauro di Palazzo Ducale, Venezia, 1893 Nell'anno 810 Il doge Angelo partecipazio sposta la sede del governo dall'isola di Malamocco alla zona di rivoalto ( l'attuale Rialto). A questa fase risale la scelta di far edificare qui il palatium duci, cioè il Palazzo Ducale. Probabilmente costituito da un agglomerato di costruzioni di diversa forma e destinazione, protetto è circondato da una consistente Muraglia, rafforzata agli angoli da massicce Torri, è isolato da un canale. Nel decimo secolo il palazzo è parzialmente distrutto da un incendio. Si procede ad una radicale ristrutturazione dell'intera area di Piazza San Marco, realizzando per il palazzo due nuovi corpi di fabbrica : uno verso la piazzetta, per ospitare le funzioni legate alla giustizia e uno verso il bacino, per le funzioni di governo. Un nuovo ampliamento Si rende necessario alla fine del XIII secolo, In seguito alla cosiddetta serrata del Maggior Consiglio, che determina Un considerevole incremento delle persone aventi diritto a partecipare all'assemblea legislativa ( si passa da 400 a 1200 circa). Si procede a un radicale rinnovamento, adottando anche un nuovo linguaggio architettonico, il gotico. I lavori iniziarono intorno al 1340 e interessarono il" Palazzo del governo ", cioè l'ala là verso il molo. Il Maggior Consiglio si riunisce nella nuova sala per la prima volta nel 1419. Nel 1424 il rinnovamento si estende anche all'ala destinata al palazzo di giustizia. Il nuovo edificio si configura come il proseguimento del palazzo del governo, al piano terra presenta all'esterno un porticato e al primo piano logge aperte punto nel 1577 un altro devastante incendio coinvolge la sala dello scrutinio e la sala del Maggior Consiglio e le strutture dell'edificio furono restaurate conservando nell'aspetto originale. I lavori si concludono tra il 1579 e il 1580. L'area del cortile e oggetto, all'inizio del XVII secolo, di una nuova ristrutturazione: fu realizzato un porticato analogo a quello della facciata rinascimentale a fianco dell'Arco Foscari, fu eretta un ulteriore facciata marmorea ad Archi sormontata da un orologio. Il palazzo è stato sede di diversi uffici, e alla fine dell'800, presenta evidenti segni di degrado. Il governo italiano decreta un ingente finanziamento per provvedere a un radicale restauro. Nel 1893 Si procede alla rimozione e sostituzione di molti capitelli del porticato trecentesco, che restaurati, costituiscono oggi il Corpus del Museo dell'Opera. Camillo Boito, incaricato nel restauro Individua quattro principi guida : 1) parti non originarie, ma molto antiche. 2) parti aggiunte, di grande valore formale. 3) parti aggiunte che nascondono elementi antichi. 4) party che, se documentate, potrebbero essere rifatte. Restauro del Palazzo Ducale di Venezia, 1893 1: parte non originaria ma molto antica Analisi delle finestrelle prospicienti la laguna, in numero di tre, Di cui una, posta ad altezza diversa, risalente al XVIII secolo, come attesta la sua assenza in una veduta cinquecentesca. Per Camillo Boito Essa è eliminabile. 1: parte non originaria ma molto antica 2: parti aggiunte di grande valore formale Arcate compagna te dopo l'incendio del 1577 per motivi statici. Le tompagnature vengono eliminate da Forcellini, suo predecessore nel restauro. Secondo Boito occorre di collocare al loro posto i tempi menti, essendo essi antichi, di buona fattura ed ideati in maniera ingegnosa, in modo da non nascondere niente della vecchia architettura. 2: parti aggiunte di grande valore formale 3: parti aggiunte che nascondono elementi antichi Arco traverso, risalente a 1577,0 realizzato dopo l'incendio per rinforzare la galleria del primo piano, che ha coperto Le Antiche colonne Binate, la mensola a fogliami che le sorregge e la trave principale del solaio. Forcellini, scoprendo tale realtà, ha rimosso di Arch ed ha sostituito I Due fusti delle colonnine che risultavano mancanti, delle quali, però, "c'erano tutti gli elementi di un perfetto restauro". In questo caso l'aggiunta nasconde una parte antica è bella quindi la rimozione è lecita. 3: parti aggiunte che nascondono elementi antichi 4:Parte che, se documentata, potrebbe essere rifatta È il caso delle finestre che hanno perduto la loro articolazione trifora. In questo caso e se sono attestate da vedute e dalla presenza di altre trifore rimaste intatte, e quindi si può provvedere alla loro riproposizione. 4:Parte che, se documentata, potrebbe essere rifatta Camillo Boito Camillo Boito pose le basi per il restauro scientifico in Italia, cercando soluzioni pratiche per la conservazione e l'utilizzazione degli edifici. Condivise le posizioni di John Ruskin sul restauro romantico, a riguardo della critica formulata da quest'ultimo per il restauro di San Marco a Venezia soprattutto nel riconoscimento del passare del tempo sul monumento da consolidare e conservare, ma si oppose fermamente alla Ruskiniana fatalità che prevedeva anche la sua morte affermando, sempre e comunque, la necessità del restauro. Prese spunto anche da Viollet-le-Duc nello studio religioso dei monumenti non accettando però alcune sue idee tecniche e teoriche sul restauro stilistico. Il lavoro intellettuale di Camillo Boito Sul restauro scientifico di sente anche dell'influenza di un suo maestro, Pietro selvatico, che a sua volta, aveva influenzato la percezione di John Ruskin su Venezia. Il brano che segue è tratto dall'articolo "una scuola di disegno per gli artigiani" uscito su "l'illustrazione italiana" numero 4 del 1877, in cui Camillo Boito si compiace per l'istituzione, ad opera del suo maestro, dell'Istituto d'arte di Padova. "questa scuola è diventata Oramai il modello delle altre di disegno industriale, che si istituiscono nelle città d'Italia. È diretta da un uomo, il quale, benemerito della storia e della critica d'arte, non si è mai voluto contentare dei propri libri, ma, prima come presidente dell'accademia di Venezia, ora come direttore della scuola Padovana, ha sempre voluto incarnare con l'insegnamento le teorie ed i precetti". Pietro Selvatico Pietro selvatico è noto soprattutto per la critica e storia dell'arte, la storia e teoria del restauro, la ricognizione dei beni artistici punto dal 1849 insegno estetica e storia dell'architettura all'accademia delle Belle Arti di Venezia. Presiedette la commissione Imperiale per la conservazione dei monumenti artistici e storici delle province Venete e spese ogni energia per la conservazione degli affreschi giotteschi nella Cappella degli Scrovegni e per la valorizzazione dei beni artistici della sua città. Nel 1867 fondò l'istituto d'arte di Padova. Ebbe un ruolo di primo piano nel dibattito sul concorso per la facciata di Santa Maria del Fiore a Firenze e contribuì in maniera determinata all'affermazione del disegno tricuspidale di Emilio De Fabris influenzando notevolmente il progetto definitivo. Tra le opere architettoniche, che testimoniano il suo entusiasmo per l'arte gotica, la più nota e la facciata della quattrocentesca chiesa di San Pietro a Trento (1848). Lezione 04-12-2020 Premessa Questa lezione si collega alla figura di Camillo Boito, dato che Pietro selvatico cioè colui che apre quel l'istituto d'arte di Padova di cui Camillo Boito ne parla molto bene, e Pietro selvatico è un uomo che ha una serie di collegamenti europei molto importanti ed è stato anche a contatto con John ruskin. Tutte le questioni che abbiamo trattato nella precedente lezione, che tengono un atteggiamento conservativo di Camillo Boito con la sua ideologia del restauro storico di fatto vengono filtrate da questo Medium culturale che appunto Pietro selvatico. Chiesa di San Pietro a Trento, 1848 La chiesa si trova nei pressi di Piazza dell'Anfiteatro, essa risale al XII secolo. Venne inseguito di costruire in tardo gotico alla fine del XV secolo ai tempi del Vescovo Giovanni Hinderbac. Al centro del prospetto principale è collocata una porta ogivale a forma di cuspide, mentre nei settori laterali si trovano a due bifore coronate da ghimberghe. Pietro Selvatico Pietro selvatico fu accusato ai tempi di essere un estimatore di tutto ciò che avveniva oltre confine, e di sacrificare gusto e tradizione italiani a vantaggio di modelli stranieri. L'accusa è ovviamente infondata. Pietro selvatico un uomo che si tenga aggiornato sul dibattito sulle arti, sulla rivalutazione del Medioevo, e soprattutto sull'utilizzo di sistemi didattici nelle accademie non italiane. Sono particolarmente interessati alle interazioni con il mondo culturale inglese e la cultura inglese: labili tracce tra indifferenza e omissioni, non tanto perché tali tracce si hanno numerose, Ma perché al di là della reciproca indifferenza formale fra le parti, tradiscono un comune sentire, che è quello della riscoperta del Medioevo e del gotico. Se nel caso di Pietro selvatico e Augustus Welby Northmore Pugin ci si deve oggettivamente limitare a rilevare due percorsi che camminino in parallelo, talvolta si avvicinano, ma mai si incontrano, il discorso diventa diverso quando si prende in considerazione John Ruskin e i suoi interessi su Venezia. A dispetto di una sostanziale indifferenza dimostrato dal critico inglese nei confronti di Pietro Selvatico ne "le pietre di Venezia" , la realtà appare ben diversa. Dall'esame dei cosiddetti taccuini Veneziani e di altri materiali preparatori dell'Opera, emerge chiaro che John Ruskin si confronta assai spesso con la guida estetica pubblicata da Pietro Selvatico nel 1847 (sull'architettura e sulla scultura in Venezia dal Medioevo fino ai giorni nostri) testimoniando un chiaro interesse per uno dei veri maestri di Camillo Boito. La guida estetica viene indagata, quasi smontata e ricomposta in un'operazione dettata dall'esigenza di un costante e puntuale riscontro sul campo, sul corpo dell'edificio o sui documenti originali elaborati da Pietro selvatico. John Ruskin è attratto dalla periodizzazione degli edifici Veneziani dalle origini al 1500 fornita da Pietro Selvatico, e finisce sostanzialmente per aderirvi. In tal senso Pietro Selvatico non appare certo come l'acritico plagiatore di qualsiasi "moda" straniera, quanto piuttosto un uomo inserito in un circuito europeo è che nell'ambito di tale circuito contribuisce al dibattito partecipando la diffusione dello stile neogotico dilagante in Europa anche attraverso la sua scuola di disegno applicato ovvero "l'istituto d'arte di Padova". Pietro Selvatico, in più occasioni, aveva espresso l'opinione che l'esercizio del disegno dovesse essere condotto su forme tridimensionali per comprendere al meglio "le ragioni dell'oggetto e delle ombre", concetti ribaditi da Camillo Boito nei suoi manuali scolastici e nel ricchissimo apparato iconografico che corredava "arte italiana decorativa industriale", la rivista mensile da lui diretta a partire dalle 1890: <<gli oggetti saranno riprodotti in modo che l'artefice possa trarre sicura e piena cognizione alle rappresentazioni dell'insieme, geometriche e prospettica, a contorno, e Chiaroscuro o a colore, si accompagneranno i dettagli e le indicazioni della parte costruttiva e tecnica>>. Verso la fine del secolo due nuove posizioni si affermarono in area italiana. La prima, il cosiddetto restauro storico, rifiutava la prassi del ripristino analogico del restauro stilistico, e fondava la possibilità di ricostruire la forma particolare del Monumento attraverso lo studio delle sue vicende; Questa fu teorizzata da Luca Beltrami; Luca Beltrami è inoltre il restauratore del Castello Sforzesco a Milano. Nel 1878 rientrò a Milano per assumere l'incarico di professore di architettura pratica all'accademia di Belle Arti Milanese e quindi al Politecnico della stessa città. Nel 1892 fondò la rivista "Edilizia moderna". Famosa nel campo del restauro, fondato sulla veridicità della storia e dei suoi documenti, fu uno dei pochi a preoccuparsi del contesto del monumento, del suo "tessuto connettivo" basandosi su una documentazione storica della vita dell'edificio, piuttosto che facendosi guidare dall'arbitrio della restaurazione romantica. Tra i vari restauri di Luca Beltrami vanno Ricordati quelli per la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano, per il Duomo di Monza e per la Certosa di Pavia, La Rocca di Soncino, l'abbazia di Chiaravalle, il Palazzo Ducale di Mantova e soprattutto il Castello Sforzesco di Milano. A lui si deve gran parte dell'attuale aspetto di Piazza della Scala a Milano punto su Luca Beltrami Infatti, a realizzare gli edifici più importanti sui lati non occupati dal teatro: Palazzo Beltrami nel 1886, Palazzo della Permanente nel 1886, facciata di Palazzo Marino nel 1888-1892, nuovo Palazzo della banca commerciale nel 1923-1927. Tra le altre opere meneghine vanno ricordate la Sinagoga centrale di Milano nel 1892 e la nuova sede del Corriere della Sera nel 1904. Restauro del Castello Sforzesco, Milano Indubbiamente la sua opera più impegnativa è rappresentata dal restauro delle mura e del nuovo profilo architettonico del Castello Sforzesco a Milano. Il castello sorge, tra il 1360 e 1370, per volere di Galeazzo il Visconti. Il Castello Visconteo è perimetrato da un ampio recinto fortificato, di forma quadrata, cui Giangaleazzo fa aggiungere nel 1392, sul lato verso la campagna, una Cittadella per l'alloggiamento delle truppe. Le due parti della struttura sono separate dal Fossato della Cinta medievale. Questa originaria costruzione lascia tracce ancora oggi riconoscibili nella parte del Castello rivolta verso il parco. A Filippo Maria, l'ultimo dei Visconti, si deve la prosecuzione dei lavori, nella prima metà del XV secolo, con il collegamento tra le due parti del fortilizio e della sistemazione a Zardinum del terreno adiacente. È in questo periodo che il castello, di impianto quadrato e quattro torri angolari anch'esse quadrate, si trasforma in austera residenza. Nel 1450 fu ricostruito per volere di Francesco Sforza, che affidò all'architetto Fiorentino Antonio Averlino, detto il Filarete, il compito di realizzare la torre dell'orologio. L'Antica Fortezza, alla fine dell'800 diroccata è ridotta a caserma e in procinto di essere demolita quale simbolo di antiche dominazioni, viene salvata e restituita alla città grazie alla battaglia politica condotta da Luca Beltrami e ai lavori da lui intrapresi tra il 1893 e il 1911 che diedero nuova vita al monumento. Dopo un ampio dibattito sul destino del Castello, nel quale si colloca il progetto di Angelo Colla (1882-1884) che proponeva di trasformarlo in una struttura goticheggiante, si decide di riconfigurare l'antico edificio. Dal 1893 inizia una complessa opera di restauro e ripristino dell'antico monumento fortificato. I primi interventi di restauro del Castello vengono eseguiti dall'ufficio tecnico regionale per la conservazione dei monumenti, istituito nella 1891 è diretto, per la Lombardia, da Beltrami, che propone un restauro, non più stilistico, romantico o storico, ma filologico, basato sullo studio delle fonti grafiche e letterarie antiche. Fronte del Castello verso la città, secondo il progetto del Colla Sotto la direzione di Luca Beltrami già dall'agosto del 1892 si interviene di portando all'altezza originaria Il Torrione cilindrico est, poi si rialzano quello Ovest e la torre di Bona, si iniziano gli sterri del Fossato, sistema parte della Corte Ducale e della Rocchetta, si demoliscono sia la Ghirlanda che la cavallerizza. Si riaprono le due porte del Carmine e di Santo Spirito. L'intera cittadinanza di Milano partecipa alla sottoscrizione pubblica per riportare il complesso all'antico splendore. Sono anni di intenso lavoro, durante i quali si cancellano le strutture non appartenenti alla fabbrica originaria e si leggono le tracce antiche. Tra il 1895 e il 1897 si ricostruiscono finestre, cornicioni e tetti punto si ripristinano Le Antiche sale, si scrostano i muri scoprendo antichi affreschi. Tornano gradatamente in luce gli orari della Cappella Ducale. La Rocchetta e la corte Ducale vengono ripristinate nelle forme originarie e destinate a ospitare istituti culturali eliminando i diversi corpi di fabbrica aderenti alle Vecchie Mura. Fronte del Castello verso la città, secondo Luca Beltrami L'impegno di Luca Beltrami trova la massima espressione nella ricostruzione della facciata del castello verso la città e soprattutto della torre del Filarete, cui l'architetto ricostruisce le forme servendosi di un dipinto di scuola leonardesca ( la Madonna Lia) è di un antico graffito rinvenuto nella cascina pozzobonelli. Anche le torri dei castelli di Vigevano e Cusago sono presi a modello per quella che è, in effetti, una ricostruzione totale ma filologicamente, almeno secondo le concezioni dell'epoca, molto corretta. Prima di procedere alla ricostruzione, l'architetto produce, nel 1895, un modello in legno a scala reale 1:1. Torre del Filarete modello in legno 1:1 Oltre alla ricostruzione della torre del Filarete, Luca Beltrami restaura il sistema del recinto murario comprensivo delle Torri a pianta circolare rivestite di bugne fittamente sovrapposte secondo un ordinato disegno isodomo. L'operazione comporta anche un lavoro di integrazione con nuovi monoliti lapidei lavorati a mano. Torre a pianta circolare Castelnuovo, Napoli Un'operazione simile è stata fatta dopo 30 o 40 anni a Napoli sul Castelnuovo, e anche a Napoli ci sarà un'operazione molto importante sul castello dove anche lì verranno affrontate una serie di fasi molto simili a quelle che abbiamo visto nel Castello Sforzesco ovvero: Liberazione degli edifici costruiti a ridosso del Monumento principale, ridefinizione di Torri, ridefinizione delle strutture merlate. Ciò che a Napoli viene a mancare è l’attenzione al contesto urbano nel senso che verranno demoliti tutta una serie di strutture che erano oltre il fossato e che si appoggiavano in parte sopra ai vecchi Bastioni di epoca angioina e che per fortuna oggi grazie ai lavori della metropolitana di Piazza Municipio, sono state riportate fuori dato che furono seppellite. Questi interventi sui monumenti urbani più importanti delle città (Castelnuovo a Napoli, Castello Sforzesco a Milano) sono dei momenti di grande intensità della riappropriazione dei caratteri identitari, della cultura progettuale urbana che vanno quindi guardati e seguiti con grande attenzione. Il castello ritrova l'antico splendore dell'età Sforzesca e, da caserma, si trasforma in sede dei musei civici della città, luogo di conservazione di importanti collezioni d'arte, ma soprattutto simbolo del valore civile della Cultura e della stessa città di Milano, qualificata da un ceto politico e imprenditoriale che nello Stretto binomio tra cultura e impresa, aveva contribuito a suo restauro architettonico. RESTAURO DELL'ARCHITETTURA: IL XIX SECOLO NELL'ITALIA POSTUNITARIA Senza poter "arrivare alla materiale e scrupolosa esattezza originaria della struttura" eseguono opera di ripristino "il cui significato è la cui efficacia si affidano essenzialmente alla linea da assieme ed al movimento generale delle masse". Questa è un'affermazione molto esplicita anche perché se noi parliamo di linea da assieme parliamo di una di considerazione omogenea, unitaria, di un progetto di restauro che ha voluto riproporre anche una sorta di unitarietà che viene basata sul movimento generale delle masse che sono: la massa orizzontale del recinto da cui emergono queste note verticali negli angoli con le torri circolari, ma soprattutto con l'enfasi dell'accesso centrale con la ricostruzione della torre del Filarete che sta lì a presenziare il passaggio dalla città all'interno della Corte del Castello. Breve sintesi: in tutti gli argomenti affrontati abbiamo visto a partire dalle 1800 come il restauro si sia caratterizzato in due nazioni diverse che hanno prodotto due teorie all'antitesi l'una con l'altra, pur partendo da un ceppo stilistico originario ritenuto autoctono da entrambe le culture, quella francese e quella inglese, che era il gotico. Il gotico che in Inghilterra ha procurato una sorta di rinascita dello stile neogotico, non solo nel restauro ma anche nel progetto ex novo, quindi ha affrontato tutte le tematiche anche della Progettazione del nuovo che abbiamo visto con William Morris, con tutta una serie di ripristini stilistici relativi anche alle Arti Minori o alle arti sorelle, Come pittura, scultura, che si sono coagulati nelle Arts and Craft di William Morris. In Italia abbiamo letto la storia del restauro italiana attraverso due grossi periodi che corrispondono in grosso modo ai primi 50 anni e ai secondi 50 anni ovvero il restauro a Roma nello Stato Pontificio in epoca pre-unitaria con i restauri di Stern E Valadier, relativi al Colosseo e all'arco di Tito, poi dopo l'Unità d'Italia abbiamo visto che a partire da una serie di Congressi degli ingegneri e degli architetti si inizia a strutturare all'interno dei manifesti di questo primo, secondo e terzo congresso soprattutto, una vera e propria attenzione a quella che emergeva come una nuova disciplina di tipo progettuale ma diversa dalla progettualità del nuovo e quindi appunto alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio basato appunto sui beni monumentali maggiormente rappresentativi che avevano più importanza per la storia non solo delle città ma anche per la cultura demoetnoantropologica dei luoghi in cui questi Restauri venivano effettuati. Abbiamo seguito alcune interessanti operazioni a carattere di manifesto come ad esempio con Enrico Alvino, all'interno del secondo congresso degli ingegneri e degli architetti, abbiamo visto come Camillo Boito si impossessa del terzo congresso degli ingegneri e degli architetti iniziando a scrivere questa sorta di carta del restauro, Abbiamo apprezzato il restauro storico di Camillo Boito, ma poi abbiamo capito che alla fine del 800 attraverso Luca Beltrami che da una vera e propria svolta alla fine del secolo secondo una prospettiva molto esplicita, in un certo senso scientifica, che come prodotto finale restituisce al nuovo secolo, al 900, una ricostruzione molto importante che è quella appunto del Castello Sforzesco, siamo nel 1905. Nel 1905, a Venezia c'è un grande e drammatico evento e cioè il crollo del campanile di San Marco, e quindi vedremo come la cultura del restauro novecentesco in Italia, parte proprio dal dramma di questo crollo di inizio 900, e vedremo Inoltre come attorno a quel crollo si opera secondo un restauro filologico, nella scia di quello che aveva proposto Luca Beltrami e che abbiamo visto oggi nella ricostruzione del Castello Sforzesco di Milano e quindi capiremo come la cultura del restauro in Italia, incomincio a definirsi attraverso degli interventi di carattere simbolico ed emblematico che indirizzeranno poi la cultura del restauro novecentesco soprattutto attraverso le figure di Gustavo Giovannoni e di Cesare Brandi. Vedremo poi come il restauro inizierà a diventare strettamente scientifico per Gustavo Giovannoni è strettamente critico per Cesare Brandi Lezione 11-12-2020 Premessa Come abbiamo detto venerdì scorso, con Luca Beltrami si chiudono le riflessioni sul restauro dell'architettura nel XIX secolo, cioè nel corso del 1800. Abbiamo parlato del Castello Sforzesco di Milano e che il suo restauro segna il passaggio da una fase di carattere stilistico, romantico, storicistico, ad una fase maggiormente proiettata dentro una dimensione teorica, molto concettualizzata che Luca Beltrami condensava nel restauro filologico. Abbiamo parlato della fine del 1800 che segna un passaggio importante che viene poi segnato in Italia da un evento drammatico cioè il crollo del campanile di San Marco. Prima di iniziare questa riflessione sul restauro in Italia nel corso del 1900, che suddivideremo in diverse tappe e cioè dal 1900 al 1920, dal 1920 al 1940, dagli anni 40 agli anni 70 e dagli anni 70 fino ai giorni nostri, e cioè fino alla nostra contemporaneità. Prima di iniziare però questa serie di lezioni sul dibattito e sulla pratica del restauro in Italia, affronteremo in questa lezione il tema del restauro dell'architettura tra il 1900 e il 1920 attorno alla riflessione teorica della cosiddetta scuola viennese. La scuola viennese che è praticamente composta da una serie di figure molto importanti tra cui Alois Riegl, Georgia Dehio, Franz Wickhoff e Max Dvorak. Questo passaggio, quest'evento cerniera, che tratteremo oggi, è di fondamentale importanza e forse molto più importante delle tre cerniere storico-culturali che abbiamo trattato fino ad oggi come quella francese con i restauri di Viollet-le-Duc o quella inglese con i restauri e le teorie di John Ruskin. Oggi metteremo a fuoco le problematiche, le questioni e le tematiche che questi personaggi avanzano sul terreno del restauro e della configurazione dei monumenti recuperati del passato. GEORG DEHIO Il pioniere di questo atteggiamento è stato George Dehio che si applica alla pratica del restauro stilistico e a quella del restauro romantico attraverso una forte critica di questi atteggiamenti che erano stati teorizzati nel XIX secolo tra la Francia e l'Inghilterra. Uno dei temi su cui riflette Georg Dehio, attraverso il suo libro che viene prodotto agli inizi del 1900, cioè "il restauro del Castello di Heidelberg" che diventa un pretesto per impostare una nuova riflessione sulla teoria del restauro. Il restauro del castello di Heidelberge La domanda fondamentale che si pone Georg Dehio , rispetto alla domanda apparentemente di carattere pratico del quesito "cosa ne sarà del Castello di Heidelberg?" ovvero di questo castello che versava in condizioni di degrado e di abbandono veramente consistenti all'inizio del ventesimo secolo, lui si pone una serie di domande e dice: "Cos'è un architetto e qual è il suo rapporto con i monumenti del passato? Un architetto è in parte un tecnico, un uomo di matematica e fisica applicata, in parte un artista, un organo dell'immaginazione creativa. Ma può rapportarsi alle opere d'arte del passato solo come ricercatore, come simpatizzante, non come creatore. Nel momento in cui entra in questo rapporto diventa -che lo riconosca o meno- uno studioso d'arte secondo il suo compito, e ciò che pensa, parla o fa su questo terreno può essere misurato solo secondo la misura generale della scienza dell'arte." Con questa risposta e gli inizia a spostare la posizione del restauro in una posizione non più stilistica, storicistica e romantica ma una maggiormente scientifica. Continua dicendo: "la contraddizione che viene così spesso rivendicata e quindi teoricamente inesistente. In pratica, però, emerge nell'altro momento, quando l'architetto è chiamato a mettere in qualche modo le mani su un monumento storico dell'arte per conservarlo, integrarlo e restaurarlo. In questa situazione diventa impossibile per molti architetti distinguer, nella loro mente, la funzione scientifica da quella artistica. Ciò che vedono nella loro mente gli artisti diventa per loro una certezza storica; una confusione psicologicamente incomprensibile, ma un pericolo per il monumento." "Quando nell'800 "storicamente" si risvegliò un rapporto di pietà con i resti del passato, si credeva che si potesse fare qualcosa di buono per loro se fossero stati riportati a quella che pensavano fosse la forma originale. Ma il senso storico più sottile non poteva trovare soddisfazione in questo: significava correggere il percorso storico a ritroso, quasi sempre su basi incerte. Dopo una lunga esperienza e gravi errori, (si riferisce probabilmente a Carcassonne o al Castello di Pierrefonds sempre di Viollet-le-Duc) la conservazione dei monumenti storici ha ormai raggiunto il principio che non può mai abbandonare: conservare e conservare solo quando la conservazione è diventata materialmente impossibile; restaurare ciò che è andato perduto solo in casi molto specifici e limitati." Lui fa riferimento, nell'ultima frase che sembra un po' critica, ai processi di manutenzione ordinaria e straordinaria. Secondo egli solo quando la conservazione non è più perseguibile, noi dobbiamo pensare solamente a lasciare inalterati, lavorando sui materiali e sul consolidamento delle strutture senza alterare nulla. Una delle condizioni fondamentali del concetto di restauro che introduce lo studio teorico di Georg Dehio è: "un architetto che intraprende un restauro in queste sono le condizioni ammissibili deve sapere che si tratta di un'attività rinunciataria e non libera. Vengono prese in considerazione solo le conoscenze archeologiche e tecniche, non quelle artistiche. [...] Restituire le braccia alla Venere di Milo o ricoprire l'ultima cena di Leonardo con una mano di vernice fresca si applica a una barbarie che oggi è diventata impossibile. Solo alcuni architetti credono di poterlo fare ancora quotidianamente." Si capisce quindi che l'atteggiamento di Georg Dehio è un atteggiamento molto sobrio, molto attento e capace anche di lasciare in forma il rudere architettonico così come l'abbiamo trovato, naturalmente dandogli una sostanza strutturale che consente poi a questo rudere di non collassare, di non avere problemi statici o di non presentare problemi relativamente ad altre parti dell'architettura su cui esiste o in cui ho inserito. "[...] Dovremmo cercare il nostro onore nel consegnare al futuro i tesori del passato il più possibile inalterati, non ne lasciare loro gli impronta di un'interpretazione del presente soggetta a errori. Quando gli architetti orientate l'archeologia rivolgono il loro pensiero ai disegni di restauro, non gli siamo grati. Se vengono giustiziati, significano stupro, barbarie del tipo più lugubre: barbarie dell'erudizione[...]." ALOIS RIEGL (1858-1905) Dopo la critica di Georg Dehio alla pratica del restauro stilistico, così come si era sviluppato in Francia con Viollet-le-Duc, la disciplina si caratterizza, nei primi due decenni del XX secolo, attraverso il pensiero di due raffinati intellettuali: Alois Riegl e Max Dvorak. Alois Riegl nel "Der moderne Denkmalkultus. Sein Wesen und seine Entstehung" nel 1903, propone la cosiddetta teoria dei valori secondo la quale il monumento a più valori (storico-artistico, di novità, di antichità) dei quali si deve contemporaneamente tenere conto nell'ambito del restauro delle testimonianze ereditate dal passato. Inoltre, nel libro, tradotto in italiano con il titolo "il culto moderno dei monumenti: il suo carattere e la sua origine", Alois Riegl pone la scienza della conservazione dei monumenti come autonomo e specifico campo disciplinare, non più ausiliario e sottoposto alla storia dell'arte. Alois Riegl nel 1903 pubblicò (in tedesco) questo testo delineando i valori concorrenti da considerare nell'approccio alla conservazione e/o alla conservazione delle strutture storiche. È importante notare che questo articolo è stato tradotto in inglese solo nel 1982, sulla rivista americana "OPPOSITIONS", a sostegno della critica dell'appropriazione di forme e motivi storici in quella che è diventata la cosiddetta fase "postmodernista" dell'architettura. " OPPOSITIONS" è una rivista americana, fondata da un gruppo di architetti americani che negli anni 80 si collegarono idealmente e teoricamente alla scuola della tendenza Milanese, a questa rivisitazione critica del passato fatta dalla tendenza italiana con figure come Aldo Rossi e Giorgio Grassi, e che ebbe questo contrattare teorico da un gruppo di architetti americani o inglesi trasferiti in America che supportarono il lavoro dei famosi "Five architects" ovvero il lavoro di Richard Meier o John Hejduk e tanti altri che parteciparono attivamente al dibattito della riconsiderazione critica dei materiali messi a disposizione della storia e combatterono quelli che poi è stato il fenomeno che ha annegato la cosiddetta "spettacolarizzazione recente dell'architettura" ovvero appunto quella cultura postmodernista che recuperava la storia più come immagine che come contenuti. Alois Riegl di fatto pone le basi per la più importante teoria di tutela degli inizi del 1900, egli stesso introduce un'importantissima distinzione tra i monumenti intenzionali e i monumenti non intenzionali: • • Egli afferma che i monumenti intenzionali sono costituiti da ogni opera umana creata espressamente al fine di testimoniare azioni umane ed eventi storici e di tramandare questi azioni umane e questi eventi storici al futuro ( i monumenti intenzionali hanno lo scopo di rammemorare ciò che in passato è successo). Poi abbiamo una seconda categoria di monumenti che sono quelli nei quali l'aspetto e quindi la loro importanza, è attribuita all'opera da coloro che in quel momento guardano quell'opera e la valutano importante per la società a cui si appartiene in quel momento, quasi come se lo collegasse non ha lo spirito del tempo o alla sua memoria commemorativa del passato, ma fondamentalmente risultano importanti per specificare alcune caratteristiche della nostra contemporaneità. Secondo Riegl il significato di manufatto è connesso anche alle strutture mentali di colui che lo osserva e lo valuta; con questa teoria degli introduce quella fondamentale fase concettuale che poi successivamente Cesare Brandi, definirà come il "riconoscimento" dell'opera d'arte come tale cioè la capacità di una determinata società, di una determinata contemporaneità, ad individuare nel vasto repertorio dell'architettura del passato, anche architetture che dal punto di vista dello spirito del nostro tempo sono capaci di esprimere un valore che non era intenzionale nell'opera stessa. Riegl inizia la sua analisi con una definizione di "monumento intenzionale": un'opera fatta dall'uomo per mantenere viva nella coscienza delle nuove generazioni alcuni fatti o persone di interesse collettivo. Secondo il pensiero dello storico d'arte viennese ogni monumento artistico e allo stesso tempo un monumento storico e ogni monumento storico è un monumento d'arte. Nello specifico, secondo Alois Riegl, esistono tre tipi di monumenti: 1. Monumenti intenzionali= dove il valore commemorativa intenzionale mira a preservare un monumento nella coscienza delle generazioni successive. 2. Monumenti non intenzionali ( monumenti storici) = Dove il valore storico di un monumento deriva dal particolare e individuale stadio che rappresenta nello sviluppo dell'attività umana in un determinato campo. 3. Monumenti di valore storico= Dove il valore storico di un monumento si tradisce immediatamente nell'aspetto datato del Monumento. L'età-valore rende esplicito il senso del ciclo di vita del manufatto e della cultura del suo complesso. All'esterno si può pensare che queste tre classi di monumenti siano contenute l'una dentro l'altra, mentre la portata del valore della loro memoria si amplia. Alla classe dei monumenti intenzionali appartengono solo quelle opere che richiamano un momento specifico o complesso di monumenti del passato. La classe dei monumenti storici si allarga a quelli che si riferiscono ancora un determinato momento, ma la scelta di quel momento è lasciata alla nostra preferenza soggettiva. Infine, Alois Riegl sostiene che la categoria dei monumenti di valore temporale abbraccia ogni manufatto senza tener conto del suo significato e della sua finalità originaria, purché riveli il passaggio di un periodo di tempo considerevole; la chiesa gotica, la piazza rinascimentale, la piazza barocca, la Reggia settecentesca sono monumenti che vivono in connessione alla loro datazione temporale. MONUMENTI INTENZIONALI: Tutta l'antichità e il medioevo conoscevano solo monumenti intenzionali. MONUMENTI NON INTENZIONALI (MONUMENTI STORICI): Il XIX secolo non solo ha aumentato drammaticamente l'apprezzamento del valore storico, ma ha anche cercato di dargli una protezione legale: questo a sua volta ha dato origine a un'impennata senza precedenti della ricerca storico-artistica. Secondo le opinioni del diciannovesimo secolo, c'era qualcosa dell'eterno canone in ogni tipo di arte; quindi, ogni artefatto meritava sia la conservazione perpetua che la soddisfazione estetica. MONUMENTI A VALORE AGGIUNTO: Le leggi ottocentesche sono state adattate all'idea che il monumento involontario possedesse solo un valore storico: con l'aumento del valore dell'età, però, queste leggi sono diventate inadeguate. Per Alois Riegl nei monumenti esistono tre valori: 1. valore di antichità= derivante dall'imperfezione, dal segno del passaggio del tempo, dal disfacimento della forma e del colore. Il culto di questo valore condanna ogni distruzione del monumento e anche ogni attività conservativa. 2. Valore storico= è tanto maggiore quanto più inalterato è l'aspetto originario compiuto del monumento. Per il valore storico le alterazioni e i parziali disfacimenti sono un'aggiunta gradita e negativa. Quindi anche in questo caso è importante conservare un documento il più possibile autentico. Maggiore è il valore storico in un'opera, più scarso e quello di antichità. 3. Il valore commemorativo 'voluto' = deve tenere presente il messaggio che il monumento deve trasmettere. Per tramandare il ricordo di fatti e persone esso deve essere immortale e quindi restaurato. Qui egli dà una serie di indicazioni su basi teoriche, di quello che era un atteggiamento giusto nei confronti del restauro: Lui dice che con il valore di antichità non dobbiamo prendere troppo dal fascino della rovina, dal fascino del rudere o dal fascino delle erbaccia che cresce sui monumenti così come faceva John ruskin quando ti scriveva in maniera sublime gli aspetti decadenti di un'architettura, sottolineandone un presunto valore di antichità; il valore storico invece è in relazione alla capacità di consolidare e di conservare un aspetto originario in maniera sostanziale, non rendendo possibile la sua alterazione e quindi va conservato il documento in maniera autentica. Quando noi restauriamo dobbiamo tenere conto, soprattutto, anche del valore commemorativo che era stato devoluto alla comunità e che noi oggi anche se non condividiamo dobbiamo rispettare: può essere un esempio l'altare della Patria a Roma dove nessuno di noi di noi oggi progetterebbe una cosa così, però quello è un valore commemorativo voluto da una certa fase storica della storia dell'architettura italiana, e noi anche se non condividiamo i motivi che hanno spinto a costruire quella architettura, noi quella architettura la dobbiamo ugualmente condividere. Un altro esempio possono essere tutte quelle architetture costruite sotto il regime di Mussolini, come il palazzo delle poste a Napoli, noi non le condividiamo per il valore in relazione al fascismo, Ma le condividiamo per il valore in relazione alla storia dell'architettura di quella determinata epoca storica. Il valore di attualità di un monumento consiste nella capacità di appagare quei bisogni sensoriali o spirituali. Questa capacità spinge Alois Riegl a distinguere tra due aspetti: 1. Valore d'uso= che rende impossibile un rigoroso rispetto del valore di antichità (soprattutto nei monumenti). La necessità di mantenere gli edifici in uso è un’esigenza altrettanto impellente quanto la contro proposta del rispetto del valore dell'età, in cui il monumento verrebbe abbandonato al suo destino naturale: quest'ultima potrebbe essere accolta solo se venissero realizzate opere equivalenti in sostituzione di tutti i monumenti ritirati dall'uso. 2. valore dell'arte= è legato alla soddisfazione dei soli bisogni spirituali e deve rispondere alle esigenze della moderna "volontà d'arte" (kunstwollen). Il valore dell'arte moderna condivide con quello delle epoche precedenti, l'idea che ogni opera d'arte deve essere un'entità discreta che non rivela alcun decadimento di forma o di colore. 3. valore delle novità= per il pieno apprezzamento di questo valore bisogna allora intervenire col restauro in modo da eliminare ogni trasformazione subita dall'opera d'arte nel tempo. Così il valore di novità è il principale nemico del valore di antichità. Alois Riegl afferma che il restauro stilistico o di ripristino consisteva proprio in un'intima fusione tra il valore di novità con il valore storico. Egli dice: "generalmente solo le cose nuove e intere tendono ad essere considerate belle e sbiadite, e si pensa che siano brutte punto gli esseri umani danno un valore innato alla giovinezza con l'età. Il valore della novità è sempre stato identificato con l'arte agli occhi delle masse, mentre il valore relativo dell'arte può essere apprezzato solo da una persona moderna esteticamente istruita". 4. Valore relativo dell'arte= le opere con delle generazioni precedenti si apprezzano non solo in quanto testimonianze della creatività umana, ma anche per gli aspetti artistici di forma e colore. esso porterà dunque alla conservazione del monumento nello stato in cui ci è pervenuto. Afferma che: "il valore relativo dell'arte offre la possibilità di apprezzare le opere delle generazioni precedenti come prova non solo della lotta creativa dell'uomo con la natura, ma anche della sua particolare percezione della forma e del colore. Non esiste una nozione ideale, assoluta, di valore artistico indipendente dal rapporto con le condizioni culturali attuali. Il valore relativo dell'arte è il risultato del "kunstwollen", Come descritto di seguito ". L'apprezzamento relativo positivo del valore relativo dell'arte richiederà così "la conservazione del monumento allo stato attuale e talvolta anche la <<resturatio in integrum>>". Alois Riegl ha anche sviluppato il concetto di "kunstwollen", che può essere definito in modo generico al collettivo will-to-art. È più profondo della moda, e si riferisce alla struttura di credenze sociali condivise e intrinseche, in quanto connesse alla produzione artistica e culturale. Si noti la somiglianza tra il kunstwollen e l'idea di Freud dell'inconscio collettivo, che si stava sviluppando più o meno nello stesso periodo. Riegl sosteneva che la nostra visione della storia era in perenne mutamento, poiché è sempre stata filtrata attraverso la lente del kunstwollen, o il nostro immediato sistema di credenze culturali, che a sua volta è in continuo mutamento. Come descrive Kurt Forster: "il kunstwollen della nostra epoca determina profondamente la percezione del passato: non esiste un passato oggettivo, ma solo una continua rifrazione della assente nella memoria del presente". Secondo Riegl la volontà d'arte esiste in questa lente capace di filtrare i contenuti degli artefatti del passato. Questo schema del kunstwollen del valore artistico relativo è definito dal valore di novità e quindi dal valore d'uso, dal valore dell'età che si vede anche attraverso la patina o le rovine, e sbiadisce nelle macerie quando un edificio del passato è ridotto a maceria non ha più valore tranne che quelle macerie non vengano ricostruite secondo lo stile che le riesce a riportare ad un minimo senso di unitarietà. Alois Riegl sostiene che il valore relativo dell'arte, filtrato attraverso il kunstwollen, è intrinsecamente opposto al valore dell'età. Questo può sembrare incongruo, ma egli sostiene che la relatività delle relazioni storiche è sempre prioritaria rispetto al valore della novità, in contrapposizione al valore dell'età che dà la priorità all'accettazione e alla celebrazione dei segni dell'età e del decadimento. Riassumendo e gli dice che il valore artistico relativo è importantissimo perché si oppone proprio al concetto del valore dell'età e cioè al concetto che un monumento siccome è antico, è anche giustificato che esso vada in decadenza e diventi rovina, pensiero caratterizzante di John ruskin che accettava che un monumento potesse morire e si opponeva invece al tentativo salvifico di Viollet-le-Duc che a tutti i costi voleva invece dare una nuova vita a questi monumenti mettendoci anche del suo, la sua soggettiva creatività; a differenza loro, per Alois Riegl la posizione ad esempio di John ruskin è insostenibile perché egli rappresenta il valore d'età, cioè quell'ipotesi per la quale come l'essere umano, anche l'architettura può morire. Il valore artistico relativo invece ci dice che noi non dobbiamo far morire quell'edificio, non accettiamo che diventi prima rudere e poi maceria, noi vogliamo riappropriarci di questo monumento secondo lo spirito del nostro tempo, gli daremo una nuova funzionalità, gli daremo un nuovo uso, gli daremo una nuova sostanza architettonica nel termine di configurazione di restauro o di conservazione. In ultima analisi interessante è anche il modo in cui in questa classificazione di valori tratta l'idea del "tutto", o dell'Opera integrale. Il valore storico sostiene che per essere culturalmente significativo un'opera deve essere restituita alla sua condizione assoluta e originale, cioè un restauro completo e perfetto. Il valore storico abbraccia le indicazioni di decadimento degli effetti entropici del processo naturale di distruzione e sostiene la protezione e la conservazione di questa patina, e della rovina incompleta è frammentaria che esprime il passare del tempo. Ciò porta a un esplicito riconoscimento del valore del frammento, che a sua volta diventa un costrutto fondamentale del pensiero critico moderno, come esplorato e ampliato da Warberg, Benjamin, Adorno e in molteplici punti di vista del cubismo Il valore delle opere integrali ha un ottimo rapporto con il valore storico a differenza del pessimo rapporto con il valore del tempo, con l'apprezzamento del frammento e il pensiero contemporaneo che sono tutte doti che servono ad aumentare quel famoso valore storico di cui sono dotati i monumenti come testimonianza perenne e contemporanea sempre del loro tempo con valori indiscutibili. Lezione 18-12-2020 Premessa Nella scorsa lezione abbiamo discusso delle questioni teoriche poste dalla scuola viennese agli inizi del XX secolo. Abbiamo inizialmente intravisto una serie di posizioni di Georg Dehio che si distaccavano nettamente dalla cultura ottocentesca del restauro soprattutto quella personificata, in Francia da Viollet-leDuc con il restauro stilistico e in Inghilterra da John Ruskin con il restauro romantico. Abbiamo visto sempre nelle precedenti elezioni l'atteggiamento della scuola italiana di fine 800 suddivisa tra l'opera teorica e costruttiva di Camillo Boito, che come abbiamo visto era sia un architetto che progettava il nuovo e che contemporaneamente faceva restauro, e soprattutto abbiamo messo a fuoco la problematica di Luca Beltrami che forse è l'architetto italiano dell'800 che maggiormente si avvicina a quelle che saranno poi le posizioni sostenute da questa scuola che ne sa perché per Luca Beltrami, attraverso la questione del restauro filologico, che si differenziava dal restauro storico di Camillo Boito, incominciano ad emergere quelle posizioni per cui il manufatto architettonico quando deve essere restaurato, conservato o riconfigurato, ha bisogno soprattutto di una documentazione oggettiva che metta da parte sia la creatività soggettiva, come è presente nell'opera stilistica di Viollet-le-Duc, o anche tutte quelle interpretazioni di carattere romantico così come era intrisa la teoria di John Ruskin. Il 900, quindi, apre su chiari segnali di oggettivazione della disciplina e al di là delle posizioni di Georg Dehio e di Alois Riegl, questa nuova temperie culturale si va a caratterizzare e istituzionare attraverso la figura di Max Dvorak. MAX DVORAK Max Dvorak è un importante storico dell'arte boemo. Allievo di Franz Wickhoff, insieme ad Alois Riegl , divenne uno dei massimi esponenti della scuola storico-artistica di Vienna. Insegnante universitario, partendo da spunti romantici elaborò nelle sue lezioni una teoria intorno all'opera d'arte come prodotto dello spirito e sulla mutevolezza del concetto dell'arte nel corso del tempo. Concetto molto importante "l'arte nel corso del tempo" in relazione a Max Dvorak che sostiene che il restauro cambia a seconda dell'interpretazione artistica dei periodi significa collegare il lavoro di restauro allo spirito della propria contemporaneità, e siccome le contemporaneità sono tante, l'arte e la scultura sono quelle che subiscono maggiori mutamenti anche perché derivano dalla soggettività dell'artista; è logico quindi che l'architettura impiegherà più tempo per adattarsi allo spirito del tempo e quindi la capacità dell'architettura, soprattutto nella disciplina del restauro, va a cercare relazioni con lo spirito del tempo attraverso il concerto dell'arte che risulta più lento è difficile come percorso applicativo rispetto a quello degli artisti. Max Dvorak spiegò inoltre l'arte gotica come fenomeno di sottomissione all'ideologia religiosa è in "Uber Kunstbetrachtung", un libro del 1921, concluse che l'arte è espressione delle idee che dominano l'umanità. Siamo in un periodo in cui viene distrutto tutto quell’impalcato teorico e pratico che era stato costruito nel 1800 faticosamente attorno al concetto di restauro a partire dalla valutazione ed alla valorizzazione delle identità autoctone in Francia in Inghilterra che erano basate proprio sulla riscoperta del gotico. Ma la sua opera maggiormente caratterizzante la tutela e la conservazione dei monumenti nella città europea storicamente consolidata, è rappresentato nel volume intitolato "katechismus der denkmelpflege" del 1916. Noi vediamo quindi come agli inizi del Novecento la scuola di Vienna impone un taglio ben preciso nei confronti di tutte quelle operazioni che si erano strutturate in Europa, nello specifico in Francia in Inghilterra attraverso l'esaltazione del gotico, in contrapposizione di Max Dvorak che credi sia sottomissione alla religione interessandosi di più ad una visione laica dell'arte svincolata da tutti quelli che sono i rapporti simbolici con l'arte religiosa e nello specifico nel gotico che nell'Ottocento aveva espresso questo ideale di rinnovamento legato appunto ad una componente di carattere fortemente simbolico è connesso alla chiesa, alla costruzione delle grandi cattedrali gotiche, al restauro delle cattedrali gotiche o anche come in Inghilterra , con il neogotico che segnano comunque la fase nuova che stava vivendo lo stile gotico. Paradossalmente lui da una parte dice ‘aboliamo il gotico’ inteso come sottomissione alla religione e poi utilizza questo termine del tutto religioso "catechismo", che significa indottrinamento, per sottolineare questa nuova visione e prospettiva per la tutela dei monumenti e per la valorizzazione dei beni culturali. Questa naturalmente è un'idea ancora una volta geniale perché significa trovare comunque un anello di collegamento con un'idea nuova, che non andasse poi ad intaccare la suscettibilità dello Stato pontificio nel momento in cui lui pone la guerra al neogotico. Nel 1915 Max Dvorak, nel suo celebre volume tradotto in italiano "catechismo per la tutela dei monumenti", stabilì alcuni principi, etici ed estetici, per approcciare e definire un'attenta conservazione dei caratteri d'identità storici delle città novecentesche europee nel loro confrontarsi con la nuova realtà urbana basata su una nuova e forte espansione edificatoria derivante dagli sviluppi economici, politici e sociali emersi in seno alla società ottocentesca. Per Max Dvorak il tessuto urbano storicamente consolidato (primario e secondario) rappresenta la forma testimoniale più autentica della città europea. Nello specifico il suo volume è suddiviso in sei capitoli così intitolati: 1. 2. 3. 4. 5. 6. pericoli del patrimonio monumentale valore del patrimonio artistico doveri della società consigli pratici rivolti alla tutela conservazione restauro Il catechismo fu pubblicato per conto del governo austriaco precisamente per la commissione centrale per la difesa dei monumenti (di cui proprio Max Dvorak era a capo) diventando quindi una sorta di Vangelo per lo stato, dando a Max Dvorak un'importanza particolare all'interno del quadro sociale, politico ed economico dell'impero austro-ungarico. Momento anche di grande difficoltà anche perché poco dopo sarebbe scoppiata la Prima guerra mondiale, facendo cambiare anche le geografie dei confini. "Italia Nostra" lo pubblicherà in Italia solo 56 anni dopo, nel 1972, sul suo bollettino. I principi fondamentali sono così articolati: • • • • • • • • non distruggere l'antico solo per mettere qualcosa di nuovo al suo posto. non cambiare la disposizione delle città storiche, la forma delle piazze, la larghezza e la direzione delle strade senza ragioni legittime e convincenti. non distruggere cancelli, Torri, Mura cittadine, statue della città vecchia, anche se comportano alcuni inconvenienti alla fruizione contemporanea degli spazi pubblici. non sacrificare i vecchi edifici al traffico che può esistere senza tali vittime. non imitare le grandi città non si costruiscono case o edifici pubblici con false pretese bensì semplici e pratici, come nel passato sono stati realizzati e fatti conoscere attraverso una lunga tradizione. Assicurati che ogni nuovo edificio sia subordinato all'ambiente circostante e alla assieme generale del luogo. Prenditi cura della vegetazione che ravviva l'immagine urbana e la rappresenta. Soprattutto il secondo punto è stato scritto in un periodo che va dal 1860 al 1900 dove per esempio a Parigi ci sono gli sventramenti del Barone Haussmann o anche a Napoli dove il Rettifilo è una costruzione di fine 800 che tende a sventrare i quartieri bassi, quelli medievali, per costruire questa lunga strada che collega Castelnuovo (detto volgarmente Maschio Angioino) con la piazza Garibaldi della Stazione e quindi tutti gli edifici che in epoca medievale si trovavano su quella strada, oggi la facciata apparentemente può sembrare allineata ma se li si guarda nelle stradine laterali ci si rende conto che comunque si ergono su forme irregolari perché appunto si vanno a costruire sul tracciato della città medievale napoletana, e quindi le operazioni di sventramento condotte in Francia come anche in tante altre città tra cui anche Napoli, sono delle operazioni da condannare, proprio come dice Max Dvorak. Sulla base del punto 3 è importante puntualizzare che il ring di Vienna o anche il viale a Firenze che fa di contorno al sistema del centro antico, non è altro che l'area di sedime su cui consistevano le antiche mura di difesa alla città. Nel tempo, perdendo la funzione di difesa, vengono abbattute dando spazio a dei grandi di vialoni sostituendo la massa volumetrica delle mura con un tracciato stradale che si caratterizza per slarghi, l'impianto di alberi verdi e per una serie di edifici che si vanno a collocare in quel punto che fondamentalmente nelle città consolidate segna la linea di demarcazione tra la città antica o la città storica e la città moderna; al di là di questi viali dove una volta vi erano le mura, c'era la campagna che successivamente è stata urbanizzata dando vita alla Città Nuova. Il punto 6 suggerisce che gli edifici pubblici non devono essere più edifici monumentali, non per forza utilizzando gli ordini classici ma anche utilizzando forme nuove che vengono da un nuovo modo di intendere l'architettura. Bisogna comunque pensare che questo nuovo volume è stato scritto proprio quando a Vienna parte questa corrente di pensiero anche nella progettazione architettonica che è il protorazionalismo cioè quello che viene prima del razionalismo tedesco di cui le figure più imminenti sono i personaggi come Adolf loos che dedica poi il mausoleo funebre a Max Dvorak, anche personaggi come Peter Behrens che è quello che disegna la Turbinenfabric a Berlino e che sarà poi il maestro di un allievo di tutto rispetto che appartiene in maniera chiara al razionalismo avanguardistico tedesco ovvero Walter Gropius. In questo principio si afferma quindi anche una tendenza dello stile architettonico che in quegli anni si stava affacciando attraverso le avanguardie e attraverso anche il rifiuto della storia come linguaggio. Nel punto 7 si parla di contestualizzazione dove ogni architettura nuova deve recepire quello che il luogo gli insegna in termini dei tracciati, allineamenti, omogeneità dei volumi rispetto alle quinte urbane preesistenti, ecc; Insomma, l'operazione del nuovo non deve avvenire sulla spettacolarizzazione soggettiva ma sulla lettura oggettiva del contesto Urbano in cui si vanno a calare le nuove architetture. Alle origini del pensiero di Max Dvorak sulla tutela dell'opera d'arte via è uno stretto legame tra l'arte, la storia e lo sviluppo delle civiltà. A questo proposito si deve ricordare che nell'Ottocento l'interesse per i caratteri nazionali e popolari delle diverse città si era fatto sempre più vivo così come è emerso sia in Francia con la figura di Lenoir e Prosper Mérimée oppure in Inghilterra attraverso quella famosa è importante rivalutazione del Romanticismo goticizzante. Nel ‘catechismo’ che viene ben raccontato in questo libro di Sandro Scarrocchia, pur riflettendo l'esaltazione dell'individualità collettiva contro all' universalismo illuminista, egli supera quel nazionalismo tedesco a vantaggio di una concezione che sia capace di superare i confini geografici dei singoli paesi. Quindi il catechismo per la tutela dei monumenti non è altro che l'insieme degli elementi fondamentali di una dottrina, cioè lui attraverso quella parola catechismo, mette in moto quasi una dottrina laica e sono esposti al fine di suggerire (non imporre) una via etica da seguire che alla fine vedremo che anche in Italia funziona perché tenderà ad influenzare non solo l'Italia, ma anche altri paesi che parteciperanno all'estensione della carta del 1931, cioè la carta di Atene, per l'idea di una tutela del patrimonio che interessi tutti gli stati tutori di civiltà, nonché per una sorta di idea di sensibilizzazione anche dell'infanzia al valore del patrimonio culturale. In questo senso l'opera di Max Dvorak, come ricorda Sandro Scarrocchia, "si estende oltre i limiti del catechismo" e "indica una nuova frontiera didattico-pedagogica per la cultura di conservazione nel suo complesso". Una dimensione sovranazionale probabilmente indotta anche dall'estensione dell'impero austro-ungarico agli inizi del XX secolo comprendente anche l'Ungheria, la Boemia, la Moravia e diversi Paesi balcanici affacciantesi sul mare Adriatico settentrionale. Tornando agli scritti di Max Dvorak, va detto che nel catechismo per la tutela dei monumenti il pensiero di egli è rivolto prevalentemente alla conservazione, manutenzione e alla tutela dell'intero patrimonio, cioè l'edificio monumentale composto anche da rovine e dagli edifici antichi fra i quali si distinguono ancora quelli in uso, fino all'oggetto d'arte e d'artigianato, riprendendo quegli approfondimenti della cultura inglese, rappresentati non tanto da John ruskin ma dal suo successore William Morris che mette nel campo del restauro anche la scuola delle cosiddette Arts and Craft, e quindi dell'applicazione degli stessi concetti utilizzati dal restauro romantico. Naturalmente questi studi sugli oggetti di artigianato si estendeva anche alle sculture alle pitture, sia su tavola che su tela o ancora agli affreschi all'interno degli edifici, cioè era un tentativo di accumulare tutte le ricchezze e tutti i valori presenti all'interno degli edifici antichi. Secondo una concezione comune alle 3 carte storiche del restauro, quelle appunto di Atene, di Venezia e di Firenze, l'intervento diretto sull'opera d'arte, posto il suo carattere eccezionale, non si esprime mai nella totale integrazione del manufatto, l'attenzione per il carattere originario del monumento, inteso non solo come oggetto materiale, ma anche come il complesso delle relazioni che esso stringe con l'ambiente circostante, testimonia la grande modernità del pensiero di Max Dvorak, così come insegnato anche precedentemente da Alois Riegl. Max Dvorak, infatti, rappresenta il continuatore dell'opera di Riegl e sviluppa in un certo senso i fondamenti di conservazione veramente come la disciplina autonoma. Se dovessimo dire quando nasce il restauro con il suo Corpus di teoria ma anche di norme da applicare secondo i principi del catechismo, è proprio questo il periodo. Nel luglio del 1911 venne approvato un nuovo statuto della commissione centrale (genesi del Katechismus): 1) funzione attiva della conservazione 2-3)rispetto della stratificazione che si traduce in conservazione edifici ed ambiti 4) criterio funzionalità 5) massima considerazione della qualità del nuovo nell'integrazione con vecchi inserti (pag. 52/53). Il documento appare come una vera e propria carta della conservazione nel 1913, tra febbraio e marzo, Francesco Ferdinando, re dell'impero austro-ungarico, affidò a Dvorak il compito di compilare un breviario per tecnici e popolo (pag.55): • • • • • Primo capitolo= storia Secondo capitolo= principi Terzo capitolo= esempi concreti e controesempi Quarto capitolo= organizzazione austriaca Quinto capitolo= consigli pratici (pag.56) Esempi e contro esempi della chiesa di Klosterneuburg, prima e dopo il restauro, 1874. Nella prima foto possiamo vedere appunto una chiesa con delle caratteristiche ben precise che dopo il restauro viene distrutta, dal punto di vista stilistico, perché si procede non con il restauro filologico ma con un restauro stilistico o storicistico in cui i due campanili diversi tra di loro diventano due campanili uguali con questo stile vagamente goticizzante; anche il corpo del transetto che nel vecchio sistema aveva una caratterizzazione diversa con la copertura che si estendeva a forma di piramide, adesso la copertura si presenta comunque una tripartizione della torre, alcuni elementi aggiunti sono nella stessa parte terminante con queste trifore per ogni modulo e addirittura con un timpano in pietra con un occhio che tende poi fondamentalmente a snaturare l'immagine originaria della chiesa. Il tratto saliente della lezione di Max Dvorak consiste nell'avere identificato con chiarezza nell'arte contemporanea, la potenza culturale che muove la valutazione e riconsiderazione dell'arte antica. La tutela non protegge solo il valore dell'antico ma anche il valore del contemporaneo, che risiede nella capacità delle opere del passato di agire sulla contemporaneità in modo vivo e intenso. Secondo Dvorak i monumenti non devono essere considerati solo dal punto di vista formale (come sostiene Alois Riegl), ma innanzitutto, anche rispetto al loro contenuto; Inoltre, in relazione alla comprensione di tutti i momenti storici e, infine, dal punto di vista della complessa portata ideale. Un altro esempio è controesempio del katechismus di Max Dvorak nel restauro della chiesa di Santo Stefano a Vienna nel progetto di Friedrich von Schmidt riguardante il portale, di fatto realizzato a Sesto acuto. Sempre riguardante il restauro della chiesa di Santo Stefano a Vienna, vediamo a sinistra l'esempio e a destra il controesempio e Max Dvorak dice di non fare queste cose, lui ci catechizza, ci indottrina affinché questi errori di formalismo linguistico non si verifichino più, bisogna rispettare il contenuto ideale che conserva l'immagine originale della chiesa e non bisogna stravolgerla, quindi procedendo con degli interventi molto più sobri e individuati dentro la linea di azione che tende a privilegiare il rispetto e la modificazione sobria del contemporaneo ma non la totale trasformazione. Rispetto proprio a questi argomenti, va anche detto una cosa, ritornando sempre al libro di Sandro Scarrocchia, che lui tiene due lezioni universitarie fondamentalmente dedicate alla tutela dei monumenti, una nel 1906 e una nel 1910. Nel primo ciclo tendeva a mettere a fuoco il valore dei monumenti, lo sviluppo della sensibilità nei confronti dei valori artistici, nel secondo ciclo invece riprendi gli stessi temi però diventa molto più chiaro nell'attuazione degli obiettivi e delle finalità, cioè lui tende ad individuare la vera definizione secondo la sua teoria e i suoi principi del concetto di monumento e naturalmente anche le sue implicazioni cooperativa dal punto di vista della tutela che è una tutela che si effettua in relazione dell'arte e della cultura artistica. Ciò significa quindi ragionare nei tempi delle cose che si pensano per il recupero dell'attività attraverso un filtro che è quello della contemporaneità che per Max Dvorak era proprio la fenomenologia dell'arte e della cultura artistica. Corso del 1906: l'onda lunga del manierismo Max Dvorak sostiene l'indagine sulle relazioni delle singole epoche artistiche con i monumenti e le espressioni d'arte dei periodi precedenti. Espone la tesi che nel periodo maturo dell'arte romana si sia verificato un apprezzamento dell'arte antica simile a quello che ha caratterizzato l'arte moderna a partire dal Rinascimento. L'antico come modello e fonte del gusto, si afferma nel rinascimento. Ma è con i manieristi Mantegna, Raffaello e Giulio Romano che acquista rilievo. Il "kunstwollen" contemporaneo (secondo Riegl significa VOLONTÀ D'ARTE) sta alla base del riconoscimento del valore dell'antico. Nella seconda parte, traccia lo sviluppo del rapporto dell'arte contemporanea e antica, nell'arte barocca di Michelangelo, Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini. In queste rappresentazioni si manifesta il valore dell'antico. Inoltre, riscontra, nella decadenza neomedievale, un grande interprete in Viollet-le-Duc. I dogmi di quest'impianto del 1906 sono: relativismo stilistico, riproduzione stilistica, applicazione della riproducibilità stilistica a tutte le epoche del passato. L'industrializzazione ha contribuito alla decadenza e le imprese edili sono subentrate alla nobiltà e al clero. Questo pacchetto di questioni ha messo in modo poi la crisi che si riferisce Max Dvorak all'interno del corso del 1906 analizzando quindi le problematiche dei temi e delle origini dei temi, che come abbiamo visto affondano le radici nelle considerazioni della storia dell'arte del 400-500. Corso del 1910: prima discussione del Denkmaulkultus di Alois Riegl e centralità di due argomenti principali: 1. la definizione del concetto di monumento. 2. compiti della tutela. L'attività didattica di devorak viene ad incrementarsi su quelle considerazioni che già erano state affrontate nel corso del 1906 e quindi nello specifico sull'attività di Borromini, in San Giovanni in Laterano che non si può considerare un restauro ma più che altro valorizzazione degli interni. Questo criterio di giudizio si basa sulla genealogia dei valori: valori storico, politico, civico e nazionale. La differenza si afferma nella contrapposizione tra il valore dell'antico e il valore estetico con un primato del secondo sul primo. Max Dvorak sostituisce il valore dell'antico con un coefficiente evolutivo artistico cioè se io ho un oggetto dell'antichità piuttosto che lavorare con un'interpretazione di stili, io devo lavorare con un interpretazione di quello che mi dice lo spirito del mio tempo, quindi se io sostituisco il valore significa che io sto creando un falso, una mimesi, e quindi il valore estetico della mia contemporaneità ha una capacità di influenzare intervento di restauro molto di più rispetto al valore dell'antico, inteso come forma e non come contenuto, come linguaggio e non come contenuto. È quindi un rapporto dell'arte con opere del passato. Conseguenze : 1. drastica diminuzione del pluralismo dei valori e sospensione del relativismo riegeliano con riapertura del giudizio del valore estetico (cosa che farà in maniera chiarissima Benedetto Croce). 2. opzione per la tendenza a una nuova tradizione 3. totale apertura alla conservazione urbanistica, territoriale e ambientale. Sulla tutela dei Giardini Max Dvorak avverte la forte spinta del ruolo della composizione architettonica nell'arte dei giardini. Il giardino è colmo di idee religiose, di significati mitologici, e di simboli di potenze vitali e risponde ai bisogni di caccia, di lotta e giochi attraverso pure espressioni poetiche. È l'esito dei valori culturali e artistici discostato da disegni di leggi (affermato da Gothein). La conferenza del 1913-1914 fa emergere due aspetti principali: 1. il riconoscimento del valore ambientale in una città e in un progetto 2. il netto profilo delle tendenze artistiche contemporanee che si contendono lo sviluppo dei valori paesaggistici. Abbiamo detto che quindi Max Dvorak fa la critica a questo neogotico, come ricordiamo, tanto da scriverlo con la k. Lui fa una forte denuncia della decadenza artistica della seconda metà dell'800 e in un certo senso con questa forte denuncia la cultura della conservazione viene ad incrociarsi con degli ambiti di grandi dimensioni e di rilevanza poi politica e sociale. Ci troviamo oramai nel 1900 e il complesso movimento artistico e industriale e la produzione artistica contemporanea da una parte e l'urbanistica e l'ecologia dall'altra parte, sono praticamente precipitate in un unico pensiero teorico e egli fondamentalmente sostiene che la conservazione di un monumento è una scienza applicata, una disciplina speciale all'interno delle discipline storiche. In un certo senso un'architettura di valore è come un'interpretazione delle espressioni edilizie di una civiltà, la tutela quindi prende le mosse da una storia dell'arte esercitata in un confronto diretto con i monumenti, quasi una lotta. Cos'è la tutela o la storia dell'arte? Max Dvorak parte dal riconoscimento che tutte le epoche sono uguali di fronte alla storia, ma le sue analisi lo smentiscono sempre. La tutela collabora con l'interpretazione perché assicura la base dell' analisi formale e iconografica nonché la comparazione con le altre fonti indirette. La storia dell'arte collabora con la formazione degli indirizzi di tutela, la quale muovendosi in un campo anti-normativo, riceve linfa vitale dagli sviluppi della critica. Tutela, arte e architettura contemporanea: Dvorak, Kokoschka, Loos e il classico come tendenza. La novità del discorso disciplinare di Dvorak è quella di prendere partito nelle questioni artistiche e di riconoscere l'intreccio tra missione pedagogica della tutela e attività critica. Il tema è quello della continuità del classico, ovvero la ricerca artistica che studia e conosce la tradizione ma la rivive e interpreta soggettivamente: rivivere nella contemporaneità. Loos e Kokoschka rappresentano i fuochi della teoria della conservazione di Dvorak: sintesi di potenza del mondo dell'arte e dell'architettura nella dimensione critica e civile. In definitiva quindi Dvorak delinea i nuovi rapporti della disciplina della conservazione con le tendenze e con i movimenti culturali, artistici e specialistici dei primi due decenni del Novecento: sono l'urbanistica e la moderna classicità, in una prospettiva non di tipo antiquariale ma una prospettiva attualizzante e totalmente aperta nei confronti del restauro, in cui si rispecchieranno successivamente le teorie architettoniche dei principali maestri dell'architettura italiana cioè Saverio Muratori, Manfredo Tafuri e Aldo Rossi. Gli studi di Max Dvorak quindi arrivano ad influenzare non solo le carte del restauro quella di Atene, quella di Venezia nonché quella di Firenze, ma arrivano influenzare la tendenza italiana. Lezione 08-01-2021 IL XX SECOLO 1900/1930, IN ITALIA In questa lezione affrontiamo le questioni relative al restauro dell'architettura italiana attraverso alcuni esemplari molto significativi, e l'esempio più significativo degli inizi del secolo che vanno dal 1900 al 1920, è indubbiamente il crollo del campanile di San Marco a Venezia. Un campanile che fa parte di un impianto storico consolidato, che esprime caratteri d'identità della città lagunare (Venezia) e che è stato oggetto di rappresentazioni plurime come ad esempio ne raffigura il Canaletto e in una stampa del 1700, cioè dopo i danni che subì lo stesso campanile per un fulmine caduto sulla cuspide nel 1489, e soprattutto di un forte terremoto avvenuto nel 1511 che lo lesionò fortemente. Il crollo e la ricostruzione del campanile di San Marco Il campanile di San Marco risale al IX secolo, durante il dogado di Pietro tribuno, con la costruzione della prima torre, a scopo di avvistamento e con funzione di faro. Sotto l'amministrazione del Doge Domenico Morosini, fu rimaneggiata con forme simili a quelle del campanile di Aquileia e di quello di San Mercuriale a Forlì. Necessità di interventi di consolidamento nel corso del XIV secolo, per la realizzazione dei quali furono reclutati ingegneri olandesi e francesi. Un fulmine nel 1489 danneggiò la cuspide e il forte terremoto del 1511 lo lesionò seriamente verticalmente e obliquamente. Architetto Giorgio Spaventa prima e il bergamasco Pietro Bon dopo, si occuparono del restauro e fu in quell'occasione che il campanile assunse l'aspetto attuale. Tra il 1537 e il 1549 fu costruito a ridosso della torre a sezione quadrata una loggetta, su progetto di Jacopo Sansovino, di ispirazione classica. A causa delle sue caratteristiche fisiche (cioè questa forte verticalità) i fulmini costituivano una delle più gravi e frequenti cause di pericolo per la sua integrità. Dopo l'ennesima folgorazione, che nel 1745 lesionò la struttura documentata dal Canaletto, l'edificio fu dotato, nel 1776, di un parafulmine. la piazza dopo il crollo Il Campanile di San Marco che vediamo in questa immagine nei giorni precedenti al crollo del luglio del 1902, impose una riflessione perché il crollo di questo bellissimo campanile che all'interno di piazza San Marco si colloca in un punto di rotazione, di cerniera, tra le procurazio vecchie e la parte di piazza che, davanti alla basilica di San Marco e al Palazzo Ducale, apre la sua prospettiva sulla Laguna di Venezia; avendo di fronte a sé la Punta della Dogana pone il problema della mancanza di un simbolo architettonico di notevole importanza e quindi impone ai progettisti la ricostruzione “com'era e dov'era”. Dopo il 1902, Questa è l'immagine di Piazza San Marco: nella primavera del 1902 a seguito di alcuni lavori tutto sommato improvvidi e non autorizzati dal proto, iniziarono a manifestarsi alcune crepe molto preoccupanti nell'apparecchio murario del campanile, Cioè nella parte superiore subito sotto la cuspide finale: erano lesioni di schiacciamento verticale alle quali si aggiunsero alcune fratture inclinate che sono fondamentalmente quelle più pericolose, nonostante il pericolo fosse stato sottovalutato, ci furono una serie di fortunate circostanze che concorsero a far sì che nel momento del crollo la piazza fosse completamente deserta perché era stato messo in sicurezza una consistente parte attorno al perimetro basamentale del campanile. Il 14 luglio del 1902 Il Campanile viene giù e questo crollo distrusse la Loggia del Sansovino e alcuni arcate delle procurazio nuove lasciando sul selciato il cumulo dei detriti che vediamo in questa foto. CROLLO DEL CAMPANILE DI SAN MARCO A VENEZIA "Dov'era", "com'era" fu il motto, pronunciato dal sindaco Filippo Grimani, che informò l'opera di ricostruzione prontamente intrapresa sull'onda dell'impatto emotivo suscitato dall'evento è documentato nel suo iter dalla stampa nazionale. La notizia girò l'Italia ma anche il mondo. copertina di una rivista dei tempi 117 mesi trascorsero dal momento del crollo del campanile di San Marco all'inaugurazione di quello ricostruito: quasi 10 anni. Solo 6 anni e mezzo però furono di lavoro materiale (costruzione) : il resto del tempo venne impiegato per ricognizioni, studi e ricerche, nonché per la stesura e verifica dei progetti di ricostruzione, ma anche per tutta una serie di discussioni e polemiche che arrivarono a fermare per un anno i lavori. I lavori di sgombero delle macerie del vecchio Campanile crollato, si conclusero all'inizio del 1903. Ci vollero quindi circa 6-7 mesi per liberare il sito dai detriti e resti che furono attentamente catalogati e si trovò inoltre un alloggiamento per custodire tutte le parti decorative dei fregi in pietra dura e questi lavori di sgombero si svolsero sotto l'attenta direzione dell'architetto e archeologo veneziano Giacomo Boni. Durante l'operazione di sgombero vennero recuperati tutti i frammenti artistici del campanile e della loggetta che si potevano trovare, come bassorilievi colonne capitelli ma anche alcuni antichi mattoni di epoca romana che grazie alle sigle incise si è potuto risalire all'epoca. basamento torre crollata con particolare dei gradoni Nel ripulire l'area circostante il basamento della torre campanaria, una delle sorprese maggiori fu lo scoprire che i tre gradoni di trachite sui quali si ergeva Il Campanile erano in realtà 5: 2 e buona parte del terzo, si trovavano nascosti sotto il piano di calpestio della piazza, coperti soprattutto dall'innalzamento della piazza causato dalla nuova pavimentazione del Tirali, architetto degli inizi del rinascimento. Sulla questione dello zoccolo basamentale, a Venezia si aprí anche un vivace dibattito sull'opportunità, nella fase della ricostruzione, di costruire ex novo le fondazioni. Giacomo Boni fu il primo ad ipotizzare un intervento teso ad allargare il masso fondativo e per approfondire gli aspetti tecnico-costruttivi, venne incaricato l'ingegnere milanese Luca Beltrami. Quando il primo marzo 1903 il masso di fondazione era stato completamente liberato, a Luca Beltrami risultò chiaro che, pur nella limitatezza delle sue dimensioni, lo stesso era ben saldo e compatto era il terreno circostante fortemente costipato dai pali. Questo è uno degli aspetti più importanti del lavoro del restauratore, Nel senso che il restauratore quando si trova di fronte ad una problematica anche di tipo strutturale di questo tipo, e quindi non solamente un problema di carattere estetico, deve valutare quanto sia conveniente modificare anche quelle cose che l'occhio umano non percepisce per dare maggiore stabilità al nuovo a costruirsi, ma se questo non percepito dell'occhio umano presenta delle caratteristiche di solidità che danno sicurezza anche all'eventuale ricostruzione, non è detto che essendo al di sotto della linea di terra, e quindi invisibile all'occhio umano, che questi vadano sradicati, come vecchi sistemi di fondazione, vengano tolti per poi ricostruirne altri anche se poi i primi davano ugualmente sicurezza. In un certo senso, possiamo affermare con grande serenità che Beltrami sottolineava la necessità che il nuovo campanile risultasse più leggero del precedente, utilizzando tra l'orrore dei puristi del restauro, il cemento armato per le strutture interne evitando in questo modo gli inconvenienti alle rampe che avevano determinato il collasso della Vecchia Torre. Partendo da questa considerazione e persistendo le polemiche sulle soluzioni da adottare nella ricostruzione del campanile. Luca Beltrami diede le proprie dimissioni e al suo posto viene nominata non una singola figura, ma una commissione di studio presieduta dall'architetto Gaetano Moretti che già nel mese di agosto del 1903 condivise le soluzioni dello stesso Luca Beltrami che se da un lato manteneva ben chiaro l'impostazione tradizionale della costruzione, considerava dall'altro lato indispensabile l'utilizzo di alcune tecnologie edilizia più moderna compreso anche l'uso del cemento armato che era stato rifiutato a Luca Beltrami. Innanzitutto, viene definito l'allargamento del Masso di fondazione già previsto da Luca Beltrami e prima ancora di lui da Giacomo Boni. Questo lavoro naturalmente portò ad una chiarificazione nei processi costruttivi a farsi del campanile di San Marco e quindi vediamo come nell'aprile del 1903 vi è la festa Piazza San Marco per la posa della prima pietra al di sopra del basamento storico originario a 5 gradoni del nuovo campanile di San Marco. Il progetto prevedeva degli accorgimenti di interconnessione strutturale tra la nuova base e la vecchia in modo da ottenere un ‘unicum’ assolutamente monolitico e omogeneo. Nel marzo 1906 furono collocati i 5 gradoni in trachite sui quali doveva sorgere la Torre laterizia. La commissione che aveva sostituito Beltrami, aveva fatto un'accurata indagine sulla scelta dei mattoni per cercare di ottenere una coloritura che fosse simile a quella degli originali: ricerca difficile perché la vecchia struttura aveva subito nei secoli vari rifacimenti parziali e non si presentava di un colore uniforme. Un'attenzione particolare fu rivolta alla scelta della malta che li legava: una moderna malta di cemento. i nuovi 5 gradoni in tranchite In una prima parte iniziale possiamo vedere come il campanile si erge e come si prepara il prospetto ad accogliere poi questi laterizi di misura 15 x 30. I laterizi di rivestimento, queste pietre rosse sono stati forniti da un'unica fornace di Casale sul Sile che lavorò per diversi anni alla realizzazione dei mattoni necessari alla costruzione del campanile. Nel 1906 ci fu un'altra cerimonia seppure meno solenne di quella che abbiamo visto prima, durante la quale il sindaco Angelo Grimani posò il primo mattone di cotto di laterizio rosso. In conclusione, sono state festeggiate due pose di pietra la prima di fondazione del 1903 e dopo 3 anni, nel 1906, la prima posa di mattone cotto di rivestimento. cantiere della torre Il Campanile cresce in altezza: è evidente che gli operai potevano lavorare alla struttura fino a circa 2 metri e mezzo; poi si sarebbe dovuto costruire un altro conteggio per proseguire altri due metri e mezzo e così via fino a completamento della Torre. Un sistema laborioso che avrebbe dilatato i tempi oltre misura. Fu così che l'ingegnere Daniele Donghi, capo dell'ufficio tecnico del comune di Venezia, ideò un'armatura mobile che si alzava con il crescere costante del campanile. Lungo la fiancata del campanile inoltre è possibile vedere dei cantonali d'angolo spostati sempre verso il lato esterno sinistro dei quattro prospetti, quel sistema che è probabilmente un sistema a pressione capace di far salire il cassonetto nel suo insieme una volta raggiunta l'altezza massima. Alla base della torre è sempre possibile vedere in foto che si trova anche una Casupola, probabilmente che serviva i tempi come centro di comando per alzare il cassonetto. armatura mobile creata da Daniele Donghi Si può dire che qui si conclude un'opera relativa ad una ricostruzione molto importante e degna, tutto sommato, ancora di una continuità con l'idea di restauro ottocentesco, se non fosse per la presenza nella fase iniziale della progettazione del campanile di San Marco, della figura di Luca Beltrami, ma è un periodo nel quale come abbiamo visto nelle lezioni precedenti, a Vienna vi sono una serie di spinte di carattere culturale che se applicate a Venezia probabilmente non avrebbero messo in moto un'idea di ricostruzione del tipo "com'era e dov'era" perché a Vienna le cose che si raccontavano erano molto più spinte in avanti. C'è un punto di domanda e cioè questa tradizione del restauro italiana, che affonda le radici nelle teorie ottocentesche di Camillo Boito e di Luca Beltrami, quindi restauro storico e restauro filologico, che approdano nel 1900 attraverso la ricostruzione del campanile di San Marco, diciamo che tutto sommato ci hanno restituito la possibilità di avere una piazza San Marco con la presenza del suo campanile che esprime carattere e specificità, e che proprio nel suo esprimere caratteri di identità, fissano e bloccano l'idea del restauro abbastanza aulica, tendente a simboleggiare la vittoria del passato contro la tracotanza del nuovo. Questa tendenza purtroppo negli anni successivi si irrigidirà e anche se avremo tutta una serie di grandi interventi di restauro nella scuola italiana, come Vedremo a partire da Gustavo Giovannoni, tutto sommato però vi è una componente di carattere normativo e burocratico che molte volte, stesso per i meccanismi indotti alla cultura italiana, ma anche ai vecchi Congressi di architettura e ingegneria di fine 800, tendono a irrigidire molto il concetto di restauro in Italia anche se alcune cose stanno cambiando. Gustavo Giovannoni Il personaggio che in un certo senso è in competizione, per esempio, con le teorie di Max Dvorak a Vienna è la figura di Gustavo Giovannoni che non è un semplice restauratore ma è stato uno storico, critico, l'ingegnere, architetto, restauratore e urbanista. Un anno dopo il completamento della ricostruzione del campanile di San Marco, un ingegnere quarantenne, Gustavo Giovannoni (1873 1947) , predispone il restauro del tempio di Ercole a Cori rivelando in anteprima molte delle tematiche che caratterizzeranno il cosiddetto "restauro scientifico" o "restauro filologico scientifico". Gustavo Giovannoni si colloca tra la corrente archeologica, a favore di un mantenimento dello stato di fatto del monumento, e il restauro stilistico, che sostiene il ripristino di un ipotetico stato originario , naturalmente questa è la questione che abbiamo trovato nella ricostruzione del campanile di San Marco a Venezia. Favorisce le opere di consolidamento e di manutenzione, realizzabili attraverso l'uso di tecniche moderne. Il suo metodo consiste nel prevedere gli interventi possibili nel restauro: • • • • • Restauro di consolidamento: consiste nell'insieme di opere necessarie a stabilire un adeguato livello di sicurezza statica. Restauro di ricomposizione o anastilosi: ovvero ricomposizione di un monumento frammentario del quale si conservino le parti. Restauro di liberazione: ovvero rimozione di superfetazioni ritenute di scarso valore storicoartistico. Restauro di completamento: con l'aggiunta di parti accessorie realizzate secondo il criterio della riconoscibilità. Restauro di innovazione: che aggiunge parti rilevanti di una nuova concezione che talvolta risultino necessarie per il riuso del manufatto. Nei primi decenni del Novecento l'interesse della cultura storica, incentrato fino ad allora sul monumento in quanto opera esemplare, cominciava ad allargarsi al suo intorno, cioè all'ambiente, che veniva ad essere considerato la "cornice", apprezzata per i suoi specifici valori di "monumento d'ambiente"; cioè mentre per il campanile di San Marco abbiamo visto che l'operazione si è realizzata direttamente sul campanile di San Marco, in situazioni diverse nei primi decenni del Novecento la cultura storica estendeva l'interesse delle parti da restaurare riconfigurare anche al suo ambiente circostante punto i contributi principali naturalmente provengono, rispetto allargamento dell'interesse dell'ambiente circostante, dall’urbanistica moderna dei paesi tedeschi, cioè dalla scuola di Vienna, e dall'interesse di un ambiente umanizzato cioè concetto preponderante della corrente inglese. Gustavo Giovannoni rispetto a queste problematiche si occupa degli aspetti costruttivi e stilistici riuscendo anche ad accostarsi agli argomenti di storia dell'architettura e altre discipline artistiche. Un altro tema importante, Forse più caratterizzante di questo che si può andare a collegare nella scia del pensiero sulla Riflessione e Sul restauro nell' Impero austro ungarico, è per Giovannoni il tema forse più importante E cioè quello del rapporto fra il nuovo e l'antico, cioè tra la storicità e la contemporaneità degli edifici, infatti egli propone tutta una serie di adeguamenti funzionali per il nuovo e per l’antico ribadendo per esempio la propensione verso un restauro filologicoscientifico (filologico: capace di leggere il passato; scientifico: capaci di utilizzare la scienza della propria contemporaneità che conservi sia l'ambiente che circonda il monumento e lo stesso monumento contemporaneamente) facendoci rendere conto che nel restauro è quasi impossibile fissare dei criteri univoci. I suoi Restauri nel primo ventennio del ventesimo secolo si caratterizzano in: Progetto del 1902 dell'ingegnere Amedeo Calcaprina in stile liberty viennese, Gustavo Giovannoni ne immagina una regolarizzazione in gusto neoclassico del tutto interpretativa. Villino Calderai, 1910 Restauro di Giovannoni Tempio di Ercole a Cori Uno dei lavori più interessanti di Giovannoni è quello relativo al tempio di Ercole a Cori, un tempio in cui vi era il classico pronao su scale, con due parapetti su cui insistevano due statue, con quattro colonne , trabeazione, timpano triangolare e sul frontone lo svettare di altri elementi scultorei, è possibile vedere alcuni disegni di Antonio da Sangallo il giovane. schizzi Tempio di Ercole a Cori Nella sua prima opera importante, Gustavo Giovannoni opta per un restauro di anastilosi e liberazione, rimuovendo il corpo del campanile della chiesa all'interno della Cella dell'Antico tempio di Ercole a Cori. Gustavo Giovannoni si occupa del tempio nel 1913 proponendo la liberazione del campanile dall'interno della Cella. L'intento di Giovannoni è quello di liberare la cella anche dalla parte della chiesa di San Pietro accostata al lato occidentale del tempio. Così oltre a spostare il campanile, si pensa di creare un vestibolo alla chiesa ruotano nel prospetto. Dopo vari progetti, l'isolamento si limiterà a rendere libera la cella di fondando il podio dello stesso con elementi in muratura. Le colonne doriche del tempio erano entrate a far parte della parete di fondo della chiesa di San Pietro. Per distinguere le due fabbriche propone l'arretramento dell'organismo religioso e né riduce la lunghezza eliminando una campata. Una volta perseguibile sia nel caso di una totale ricostruzione che in quello di una parziale demolizione. Chiesa di Santa Maria del Piano a Frosinone Questo è il secondo caso a cui Giovannoni applica un intervento. È possibile notare in foto il primo nel 1916 e il dopo nel 2020 e come Giovannoni applica questo corpo di fabbrica che si va a realizzare sulla parte destra della Torre campanaria, soprattutto nella ridefinizione di un prospetto che può essere definito come un falso storico. Prima del restauro dopo il restauro Ambrogio Annoni Contemporaneamente Ambrogio Annoni elabora la cosiddetta teoria del ‘caso per caso’, ovvero la necessità di trattare ogni manufatto come opera a sé stante, rifuggendo dalle teorizzazioni, intesa come critica a Giovannoni, astratte a favore delle analisi attenta e documenti storici e del manufatto oggetto dell'intervento ritenuto documento principale. Ambrogio Annoni è stato allievo di Camillo Boito, nel 1921 al Politecnico di Milano è stato titolare del corso "organismi e forme dell'architettura" che sarà sviluppato poi in due insegnamenti di "carattere storico degli edifici" e "restauro dei monumenti". Dal 1936, Ambrogio Annoni unifica i due corsi in un solo corso che viene chiamato "caratteri stilistici e costruttivi dei monumenti" e un secondo corso lo chiamerà semplicemente "restauro dei monumenti". Ambrogio Annoni ci viene messo all'attenzione perché è un teorico del restauro piuttosto che un postulatore di principi come abbiamo visto per Gustavo Giovannoni. Si occupa intensamente di interventi sulle preesistenze sostenendo la possibilità di inserire architetture contemporanee in abiti storici e opponendosi fortemente il restauro stilistico, quindi l'importanza di Annoni la teoria del restauro è proprio quello di attribuirsi alla sua negazione di metodi standardizzati, cioè i famosi principi di Giovannoni. Annoni in un certo senso scappa via dalle teorizzazioni e dalla schematizzazione individuata da Giovannoni che lui poi ritiene "schematizzazione astratta" e implicitamente spinge molto su questa questione che viene poi soprannominata "teoria del caso per caso" ovvero dell'adattamento del metodo al singolo progetto. I suoi lavori di restauro sono vari, si ricorda il Palazzo del Podestà a Pavia, la chiesa di San Vincenzo a Galliano in Cantù, La Villa dell'albicocca che è un edificio quattrocentesco che sta in periferia di Milano, la sala Vinciana della pinacoteca Ambrosiana, soprattutto il restauro dell'ospedale Maggiore di Milano. In conclusione va detto che Annoni rifiuta la priorità della ricerca dell'unità di stile, come si può notare nei restauri di San Pietro in Gessate e del Broletto di Pavia, si cerca di riportare alla luce e tutelare le molteplici stratificazioni storiche che lui individua sul singolo caso punto alcuni progetti individuano alcune soluzioni che sono molto coraggiose e lontane dalle questioni che affermava Giovannoni, soluzioni che hanno aperto la strada all'inserimento di elementi dichiaratamente moderni all'interno degli edifici storici, come è capitato nella mancata ricostruzione della navata minore di Galliano a Cantù alla quale fu lui a proporre il semplice tamponamento delle arcate con delle vetrate, cosa che si fa anche oggi. Ambrogio Annoni fu tra i primi a sottolineare l'importanza del rilievo metrico degli edifici come mezzo di conoscenza storico critica, il disegno inteso come strumento colto e non come strumento a servizio di altre discipline, oltre che naturalmente per la natura geometrica degli edifici, attribuendo al rilievo e la rappresentazione particolare importanza. In sostanza per noi l'atteggiamento di Annoni è molto importante e può essere riassunto con le sue stesse parole " Oggi si pensa che il restauro non deve essere solamente arte né solamente scienza, ma l'una e l'altra cosa assieme per le quali occorre un grande senso di equilibrio, di cultura, di amore; per restauro non si intenderà più né ricomposizione stilistica né ricostruzione storica ma conservazione, sistemazione e avvaloramento dell'edificio " Lezione 15-01-2021 GUSTAVO GIOVANNONI Noi dell'ultima lezione ci siamo lasciati con la figura di Gustavo Giovannoni e nello specifico avevamo fatto una serie di considerazioni che riguardavano sia il suo collocamento, proprio perché egli si colloca tra la corrente Archeologica, a favore sostanzialmente di un mantenimento dello stato di fatto del monumento, e il restauro stilistico, che invece sostiene il ripristino di un ipotetico stato originario. Egli favorisce le opere di consolidamento e manutenzione realizzabili attraverso l'uso di tecniche moderne. All'inizio degli anni ‘30 a costituire il prevalente campo di interesse per Gustavo Giovannoni fu proprio l'architettura del passato specialmente quella che si connette ai grandi episodi della Roma del 500/600, soprattutto dopo il 1935 Giovannoni si dedicò allo studio di una serie di grandi figure dell'epoca rinascimentale cioè: Donato Bramante, Bernini, ma soprattutto ad Antonio da Sangallo Il Giovane, sulla cui opera uscì, postuma, la sua monografia più completa. Antonio da Sangallo il giovane è un architetto di fondamentale importanza proprio per il rapporto conoscitivo nei confronti dell'architettura dell'antichità, perché lui fa disegni di rilievo conservati presso i Musei Vaticani e, assieme ad Antonio da Sangallo Il Vecchio, che era suo zio, riproducevano per la prima volta elementi dell'antichità aggiungendo vicino le misure (disegni quotati). Loro sono appunto i primi veri rilevatori dell'antichità e in più va detto che Antonio da Sangallo, sulla quale si concentrano molti lavori di Giovannoni, è un architetto allievo di Donato Bramante, insieme a Raffaello e Baldassarre Peruzzi. Mentre il primo era il teorico del gruppo, molto sofisticato, Antonio da Sangallo il Giovane era colui che ereditava la tradizione di Leon Battista Alberti che, quasi 100 anni prima aveva lanciato un anatema contro gli architetti dicendo che loro dovevano utilizzare assolutamente la triade ortogonale e il modello ligneo per progettare l'architettura, lasciando la prospettiva ai pittori. Naturalmente non tutti ascoltano Leon Battista Alberti e 100 anni dopo, Antonio da Sangallo il giovane, segue attentamente le sue indicazioni. L'altro allievo, Baldassarre Peruzzi, se ne frega facendo degli schizzi in prospettiva e questo ribellarsi alle regole di Leon Battista Alberti poi sarà portato avanti ed evoluto e andrà poi a confluire nelle opere barocche di Gian Lorenzo Bernini e di Borromini. Quindi una grande attenzione di Giovannoni viene rivolta per questi temi del Rinascimento ma non solo perché è già all'interno della sfera delle ricerche più marcatamente filologica rientrano anche gli interventi illustrati nell'ambito dei Congressi di storia dell'architettura che si tennero: a Firenze nel 1936, ad Assisi nel 1937, a Roma nel 1938 e a Milano nel 1939. Giovannoni frequenta quindi assiduamente i congressi di storia dell'architettura proprio per segnalare questa necessità del restauratore di avere una grande competenza nei confronti della lettura, dell'identità storica dei monumenti su cui si va a porre l'attenzione nei termini di restauro o di consolidamento o anche di riconfigurazione. Naturalmente a questo impegno di studioso egli unì, nello stesso periodo, un interrotta attività di consulenza presso i ministeri, organizzava nuovi assetti didattico-amministrativi, insomma era un tuttofare e a tale fase risalgono i grandi sforzi che Giovannoni mette in campo per dare vita a nuove istituzioni nel campo dello studio della storia, della conservazione e del restauro dei monumenti, e dunque queste attenzioni si vanno a riversare nell'Istituto Nazionale di Restauro, nella scuola di specializzazione del restauro dei monumenti, in una rivista a diffusione nazionale, in un'associazione e un centro nazionale di studi. Il pensiero di Gustavo Giovannoni è sintetizzato in numerose pubblicazioni, che ne raccontano l'evoluzione teorica fino alla piena maturità, con la sua opera del 1945 intitolata “restauro dei monumenti”. Il campo delle sue ricerche che abbiamo visto essere molto ampio, è sempre in riferimento all'ambito circoscritto specifico ben caratterizzato che è quello appunto dello studio dei monumenti architettonici, non solo ma anche dei centri antichi con riferimento quasi costante alla straordinaria casistica offerta da Roma che è la sua città natale. Dall'architettura romana, dalla necessità di analizzarla e valorizzarla ebbero infatti origine una serie di considerazioni sia di carattere generale che di carattere metodologico, e queste analisi poste in una prospettiva di grande importanza, andarono ad investire dei settori che allora erano in totale formazione, che sono settori scientifico-disciplinari, settori che riguardano quindi la formazione dei primi anni della nascita delle Facoltà di Architettura, gli stessi emergono dalla storia dell'architettura, dall'urbanistica e appunto dal restauro dei monumenti. Iniziano a diventare delle discipline accademiche che hanno una propria indipendenza ma che vanno a caratterizzarsi per le specificità disciplinari che si conducono oggi in ogni dipartimento di architettura. Un libro del 1996 di Guido Zucconi su Gustavo Giovannoni è "Dal Capitello alla città" dove egli mette a fuoco le problematiche teoriche principali Individuate da Gustavo Giovannoni dopo circa 20 anni di lavoro sulle questioni che fino ad ora abbiamo parlato. Il libro si compone di tre capitoli: 1) Un metodo per la storia dell'architettura 2) L'ambiente dei monumenti 3) L'architetto e i suoi compiti Attraverso questi scritti Giovannoni introduce nel dibattito Novecentesco italiano, una nuova definizione di monumento che non è più visto come un edificio eccellente per le sue dimensioni o per le sue qualità storico-artistiche, bensì come qualunque costruzione del passato, anche modesta, che abbia valore d'arte e di testimonianza storica. In poche parole, vi è un monumento che esprime la sua potenza non solo su sè stesso ma anche in una parte estesa, ma allo stesso tempo limitata di città, che viene definita “la dimensione conforme della città che risente della presenza di un grande monumento” (come ad esempio Piazza Duomo a Milano). Ci troviamo di fronte ad un elaborazione di idee che naturalmente nasce dall'esperienza e dagli interessi di Giovannoni e dal suo essere “uomo di Stato”, “uomo delle istituzioni”, ma soprattutto “uomo di cultura”, perché è stato dedito, non solo allo studio delle figure del passato, ma anche a personaggi che potrebbero apparire secondari, ma che secondari non sono e ci riferiamo ad esempio a personaggi come Luis Cloquet che scrive il libro "la restauration des monuments anciens" e fa una distinzione tra i monumenti "vivi" e "morti": per i monumenti morti Gustavo Giovannoni esclude ogni pratica utilizzazione, per i monumenti vivi ritiene opportuna una destinazione d'uso non troppo dissimile dalla primitiva. Considera la funzionalizzazione come strumento per la conservazione del monumento. Tutte le questioni che abbiamo accennato confluiscono in tante pubblicazioni di Giovannoni che raccontano questa evoluzione teorica fino alla piena maturità, con la sua opera del 1945 intitolata “restauro dei monumenti”. Pubblicazioni: 1913= Vecchie città edilizia nuova 1925= La tecnica delle costruzioni presso i romani 1925= Questioni di architettura nella storia e nella vita 1931= Saggi sull'architettura del Rinascimento 1937= Voce "restauro" per l'enciclopedia italiana 1945= Restauro dei monumenti Nel "restauro dei monumenti" lui precisa quello che abbiamo poi affrontato nella scorsa lezione e in questa, cioè quei 5 punti fondamentali di restauro che secondo egli bisogna tenere conto ovvero: 1:restauro di consolidamento ovvero intervento da compiere tramite le risorse della tecnica; 2:di ricomposizione ovvero anastilosi con eventuali integrazioni distinguibili; 3:di liberazione ovvero eliminazione di ‘masse amorfe’ che danneggiano le preesistenze; 4:di completamento ovvero prevedendo aggiunte, seppure limitate, ed escludendo rifacimenti e intersezioni attuali; 5:di innovazione ovvero rendendo lecita anche l’aggiunta di parti di nuova concezione ed il rinnovamento di quelle esistenti. Nella pratica però prevede, a volte, interventi di ripristino in cui le componenti innovative predominano sulle esigenze conservative. Dimostra di essere più architetto che restauratore filologico. RESTAURO DI CONSOLIDAMENTO Prevede interventi ai fini della stabilità statica con materiali e tecniche moderne, eventualmente dissimulati; Non denuncia l'intervento tecnico-strutturale e consente l’utilizzo di consolidanti chimici per contrastare la disgregazione del materiale. Necessita di uno studio scientificamente condotto in laboratorio sui materiali prima dell'applicazione dei prodotti. Un esempio di consolidamento può essere quello di Francesco Valenti che era allievo di Giovannoni, che per il tempio di Selinunte ipotizza e realizza un consolidamento dei capitelli in cemento armato, siamo nel 1925-26 e il consolidamento si attua con l'utilizzo di nuovi materiali e con l'ausilio di tecniche moderne usando ad esempio dei ferri per ancorare i plinti. Nikolaos Balanos é un'architetto greco che lavora al consolidamento del Partenone e, ancora una volta gli interventi di consolidamento avvengono tramite l’utilizzo di architravi in cemento armato e allora come si fa a fare una critica ai materiali moderni se gli stessi vengono usati per opere di consolidamento in maniera così massiva e oggi interventi come questi sarebbero del tutto improponibili, condannati dalle soprintendenze. tempio di Selinunte consolidamento del Partenone RESTAURO DI RICOMPOSIZIONE (ANASTILOSI) Questa metodologia prevede una maggiore attenzione all'esattezza della possibile ricomposizione, altrimenti considerata impossibile; Quindi una minima quantità di possibili integrazioni, una necessità frequente di interventi di completamento, per mancanza o per grave deterioramento di parti, con materiale diverso dal preesistente (Laterizio, Travertino al posto di marmo, sagome semplificate per i decori). È ammessa la copia di ornati, in caso di architetture in cui il valore decorativo è molto elevato. Con questo intervento ci stiamo distaccando dall'utilizzo del cemento armato, è un intervento di anastilosi. Un esempio di questo tipo di metodologie è rilevato al Capitolium di Brescia e anche al Foro di Pompei dove anche lì viene utilizzato il mattone di cotto per integrare le parti mancanti. Capitolium di Brescia Foro di Pompei con parti integrate Per Gustavo Giovannoni l'architettura del passato è da analizzare e conoscere attraverso tre fasi tra loro intimamente relazionate: 1: Innanzitutto tramite la lettura di documenti "diretti" e "indiretti" 2: Inoltre, attraverso un attento rilievo critico, basato sull'analisi tipologica, morfologica e linguistica dell'edificio nonché sulla sua logica strutturale 3: Infine, approfondendo i possibili raffronti stilistici. Tale metodologia conoscitiva consente di individuare e proporre ipotesi restitutive coerenti e legittime capaci di relazionarsi, con la necessaria mediazione teoretica e tecnica, alla futura proposta di restauro. Gustavo Giovannoni rinnegando e combattendo totalmente il restauro stilistico, sostiene che esso è antiscientifico e falsificante recuperando con ciò una critica già presente nelle riflessioni teoretiche di Camillo Boito, suo riferimento e nume tutelare: "e se il restauro riesce bene, crea dubbi e confusioni negli studiosi, che non possono più distinguere quello che è autentico da quello che è nuovo". Parallelamente con il restauro di anastilosi, Nikolaos Balanos in questo bollettino d'arte fa vedere appunto i lavori che aveva condotto su alcuni Templi dell'antichità classica. Un altro lavoro di anastilosi dello stesso architetto greco è il restauro del Partenone, come abbiamo già detto prima, che è caratterizzata da quella parte di cemento armato che successivamente viene ad essere confrontata con il risultato finale. RESTAURO DI LIBERAZIONE Il terzo tipo di restauro previsto da Giovannoni prevede la liberazione di superfetazioni e di aggiunte inorganiche al monumento che ne costituiscono alterazione. I restauri di liberazione vanno evitati laddove l'effettuazione della liberazione conduca a necessità di vasti completamenti. Liberazioni di tipo urbanistico, isolamento dei monumenti, sono da evitare perché spesso complementari alla fruizione del Monumento architettonico. Per Gustavo Giovannoni quindi una città sopravvissuta non potrà mai diventare il centro di una città nuova se non attraverso trasformazioni anti-urbane. Un esempio di questo metodo di restauro e l'Arco di Augusto a Rimini che sorgeva dove vi era un canale, molto simile alla posizione di Porta Romana a Milano, che prima era caratterizzato dal fatto che ci fossero case adiacenti, quasi come se fossero delle Mura, e oggi invece che tramite alcune trasformazioni si presenta come un oggetto isolato, immerso in una piazza e che se prima l'arco simboleggiava l'ingresso o l'uscita della città alla campagna, adesso invece sta a simboleggiare un elemento di passaggio tra la città di fondazione e la città novecentesca. L’arco, quindi, perde il carattere di architettura urbana e prende quello di scultura. Ci troviamo all'interno di dinamiche molto complesse che sono poi le stesse che hanno trasformato di molto il paesaggio italiano nel 900. Arco di Augusto prima e dopo lo sventramento RESTAURO DI COMPLETAMENTO Prevede il completamento di parti mutilate solamente in casi di ridotte mancanze, e solamente su base documentaria certa, altrimenti il restauro sconfina in quello di innovazione. Casi di integrazione di elementi artistici: possibilità di riproduzione in copia, per elementi di carattere seriale e ripetitivo, vaglio di possibilità per elementi non più esistenti di cui si abbia documentazione, impossibilità di completamento per i casi di totale assenza di certezza documentaria. La chiesa di Sant'Andrea ad Orvieto è il caso di restauro di completamento più discusso. Nel restauro di completamento naturalmente bisogna anche considerare che gli adeguamenti morfologici e linguistici non devono violare i caratteri di identità degli spazi urbani storici. Un’attenzione particolare deve essere mostrata non solo sulle forme dell'architettura, che se ci pensiamo bene si riverbera anche sulla qualità della forma Urbis, ovvero sui nuovi rapporti spaziali che si costituiscono tra gli invasi delle piazze e delle strade, e i fronti degli edifici, sia residenziali che monumentali, che si affacciano e si aprono su questi spazi urbani dove si propongono i restauri di completamento. Il tutto va valutato non solo in relazione all'architettura che assume dentro di sé questo completamento che modifica però di fatto anche qualcosa nei confronti dello spazio collettivo che intende a valorizzarsi e definirsi secondo delle nuove relazioni di carattere spaziale. Prendendo in riferimento alla chiesa di Sant'Andrea Orvieto, possiamo notare come le fasi di restauro siano state molto invasive, infatti, la prima portava la copertura del campanile a cupola, la seconda a piramide e l'ultima invece lasciando solo dei merli e cioè quella definitiva; un'altra parte restaurata è stata appunto quella in corrispondenza del transetto e cioè che lo stesso Giovannoni ha aggiunto una serie di finestre ad arco che come possiamo notare nel restauro precedente non c'erano. Anche il modo di costruire l'attacco tra la chiesa e il campanile nel palazzo Municipale diventa in questo caso non solamente un restauro di completamento ma assume anche altre caratteristiche che rientrano nella categoria del restauro di liberazione e del restauro di innovazione. Come in questo caso quindi i Restauri non sono solo riferibili ad una famiglia tipologica ma possono appartenere anche a più categorie. restauri della chiesa di Sant’Andrea ad Orvieto RESTAURO DI INNOVAZIONE Questa categoria prevede il completamento di parti considerevoli mancanti che non può essere realizzata in forme analoghe neanche semplificate, ma deve costituirsi con un linguaggio moderno. Analogamente nei casi in cui, necessità funzionali determinano l'esigenza di ampliamenti, e laddove tali necessità si presentino come indispensabile, bisogna considerare le funzioni compatibili con l'edificio. Nel caso di ambienti urbani, invece che procedere al sistema degli sventramenti, si può intervenire con la metodologia del diradamento. Nel completamento delle facciate incompiute è considerato lecito integrarle in uno stile similare ma semplificato (ambientismo). Questi passaggi, che sono poi gli estratti del pensiero teorico di Gustavo Giovannoni, dimostrano che esiste un’influenza di alcuni principi di innovamento moderno con cui questa nuova idea di restauro verrà chiamata a confrontarsi. Queste sono le aree libere, la minima ricostruzione, abbellimento stradale che oggi chiameremo progetto di suolo. Queste tipologie fanno pensare infatti alle nuove logiche igienico-sanitarie partorite dal pensiero modernista. Il diradamento architettonico ma anche quello urbano si attua come ad esempio in via dei Coronari a Roma che è una stradina molto stretta collocata parallelamente subito sotto l'Ansa del fiume Tevere e che è come se fosse appoggiata sulla testa di Piazza Navona. Questa pratica del diradamento urbano, è importante sottolineare, che viene a strutturarsi in un momento storico che è quello delle avanguardie moderniste in cui si verifica poi un crescente interesse per la città, il contesto urbano, l'ambiente, e Gustavo Giovannoni si sofferma su questa tematica proprio per contrastare alcune operazioni di svuotamento urbano che si realizzano in pieno centro antico a Roma sotto dittatura di Mussolini. La pratica del diradamento, in opposizione a quella dello sventramento urbano, si propone secondo Giovannoni come se fosse un vero atto chirurgico piuttosto che una violenta amputazione che tende poi a migliorare e modificare le condizioni anche di vivibilità e di visibilità dei monumenti. Proprio perché sono basati anche su cannocchiali prospettici, si affrontano tematiche che fanno molta attenzione a quelle operazioni di allineamento dei fronti come una ricucitura della Tessitura urbana. Tra gli obiettivi principali c’è anche quello di garantire delle condizioni igienico-sanitarie migliori, e di mettere in moto un meccanismo di abbellimento delle strade. Gustavo Giovannoni prende parte al confronto collocandosi tra i sostenitori della persistenza della spina del Borgo per l'accesso a Piazza San Pietro, contro la realizzazione della nuova via della Conciliazione attraverso la demolizione del tessuto urbano storico e la ricostruzione di nuove unità edilizie sul nuovo asse su progetto di Marcello Piacentini (che seguiva tutte le indicazioni di Mussolini) e di Attilio Spaccarelli nel 1936. Anticamente in via della Conciliazione c'erano due stradine separate da un edificato che portavano a piazza San Pietro, una volta iniziata la demolizione di queste case si ha il risultato che abbiamo noi oggi quindi una grande strada che ci fa abituare già dall'inizio, già da 6-700 metri di distanza alla grandezza di Piazza San Pietro; inoltre, prima Carlo Fontana e poi Marcello Piacentini progettarono una sorta di tappo all'imbocco di Piazza San Pietro. Il progetto del tappo, che Piacentini chiama “Nobile impedimento” è perpendicolare all'andamento di via della Conciliazione, realizzandolo prima in scala 1:1 tramite una struttura di legno, molto simile a quello che Luca Beltrami che costruisce per la Torre del Filarete avanti al Castello Sforzesco, con un'unica differenza che Luca Beltrami successivamente il modello in legno lo costruisce mentre per Marcello Piacentini resterà solo un prototipo 1:1. Via della Conciliazione prima e dopo La teoria elaborata da Gustavo Giovannoni evidenzierà i seguenti limiti: 1) Metodo insufficiente, secondo Benedetto Croce, ai fini di una comprensione storica del Monumento, che richiede un "lavoro ulteriore" di approfondimento critico globale e di apprezzamento estetico. 2) Delle due istanze, la storica e l'estetica, insieme al restauro filologico, finisce col privilegiare solo la prima. 3) Inadeguatezza delle proposte operative dal punto di vista della creatività (stile semplificato, integrazioni neutre). Va sottolineato Comunque il rispetto del monumento a difesa della sua complessa integrità contro i rischi dell'abbandono e della rovina "artificiale" provocata dai falsi Restauri stilistici. Eppure, i concetti del cosiddetto restauro scientifico-filologico (ripresi dalla teoria di Camillo Boito) vennero successivamente accolti nella conferenza internazionale di Atene nel 1931 e rielaborati da Gustavo Giovannoni nella carta del restauro italiana nel 1932, restando alla base delle successive elaborazioni metodologiche, nonostante nella pratica continuassero ad essere attuati semplici interventi di ripristino. Lezione 02-03-2021 CIMITERO DELLE 366 FOSSE [1762] e CIMITERO DEI COLERICI [1837/84] Nella lezione di oggi si illustra, in maniera abbastanza completa quelli che sono i caratteri fondativi dell'architettura funebre partenopea, quella che si inizia ad insediare sulla collina di Poggioreale a partire dal 1656 con la chiesa di Santa Maria del pianto e successivamente verrà poi strutturata, nel 1762, il cimitero delle 366 fosse di Ferdinando Fuga. Nel 1800, alle spalle di questo cimitero si impianterà poi il sepolcreto dei colerici e più precisamente siamo nel 1834. È importante sapere che è tutto il cimitero monumentale, tutto il cimitero grande che si andrà a realizzare ad Oriente di questa prima realizzazione, è un'operazione che parte grossomodo tra il 1820 e in tutto il corso del 1800. In buona sostanza quindi la chiesa di Santa Maria del pianto che è stata realizzata nel 1656 per onorare e per seppellire sotto questa chiesa i morti di un epidemia di malaria Chi fu provocata dagli assedianti francesi nella città di Napoli, diretti dal comandante Lautrec, che Chiuse i rubinetti dell'Acquedotto Campano facendo proliferare la malaria che poi invase anche le truppe assedianti e in quella circostanza morirono circa 20000 persone tra cittadini e truppe francesi. In una grotta situata al di sotto della chiesa di Santa Maria del Pianto, La Grotta degli Sportiglioni, furono seppelliti e chiusi in questa grotta tutti i morti di quel periodo di malaria e la chiesa è l'elemento simbolico che ricorda questa prima collocazione di salme sulla collina di Poggioreale. Nel 1762, Ferdinando Fuga realizza su volere di Carlo di Borbone il cimitero delle 366 fosse a poca distanza dall'albergo dei poveri prendendo da egli le dimensioni, cioè gli 80x80 m (modularità), prende la figura tipologica e cioè il quadrato e recupera anche l'orientamento di posizionamento sul territorio; è quindi un programma sociale nato per assistere, invita con l'albergo dei poveri è in morte con il cimitero delle 366 fosse, la vita del popolo bisognoso. In quel periodo in città, si è calcolato che ci fossero circa 10000 senzatetto, poveri che vagabondavano per le strade e questa operazione filantropica di Carlo di Borbone si realizza grazie al genio progettuale di Ferdinando Fuga. cartografia delle rappresentazioni di Rizzi Zannoni 80 anni dopo la cartografia del Duca di Noja, la Rizzi Zannoni riprende la stessa aria facendo vedere il caposaldo architettonico dell'albergo dei poveri, l'aggiunta del sepolcreto dei colerici iniziato nel 1837, la chiesa di Santa Maria del pianto, il cimitero Israelitico del 1878 e il cimitero monumentale. Il sepolcreto dei colerici insieme al cimitero delle 366 diventeranno poi negli anni un punto di partenza per la creazione di un parco cimiteriale che, partendo da occidente con questi due cimiteri e sviluppandosi lungo la collina di Poggioreale, connetterà tutti i sistemi cimiteriali di Poggioreale. Naturalmente allo stato attuale, quello che era un contesto geografico molto naturalistico e poco artificiale, dopo 250 anni si presenta a noi come una struttura geografica collinare a bassa quota che conserva in parte alcuni ambiti vegetazionali spontanei Ma che alla base ha poi invece la città eterogenea e frammentaria che si è sviluppata secondo una crescita incoerente che non ha tenuto più conto del rapporto tra tracciati stradali, tipologia urbana, che tende appunto a individuare parti di città conosciute come " disegnate a macchia di leopardo" completamente estranee al disegno totale della città. Il cimitero dei colerosi è un recinto funebre composto, a differenza del cimitero delle 366 fosse, da un insieme di circa 120 sarcofagi collocati nel parco vegetazione. È importante sapere che nel 1800, il parco vegetazionale è di grande importanza per il cimitero perché da una parte ci sono i nuovi monumenti della borghesia caratterizzati da bassorilievi e altorilievi di volti, epigrafe che raccontano delle Virtù in vita del Borghese morto in questo caso di colera, e che vuole assumere una potenziale mortalità e la presenza degli alberi di grande valore vegetazione, sta a ricordare che con il perdere le foglie in autunno, restare completamente privo in inverno, di fiorire in primavera ed essere completamente ricco in estate rappresenta appunto la caducità della vita e sottolinea che l'essere umano, anche se aspira all'immortalità attraverso queste tombe monumentali, di fatto è sottoposto al ciclo della vita così come gli alberi. Viceversa, nella antistante cimitero delle 366 fosse, vi era un pavimento dove sul fondo vi erano 366 pietre tombali con un sistema ipogeo che conteneva le ossa e i corpi dei morti bisognosi di Napoli. Era un cimitero a fossa comune ma con una singola fossa collegata al giorno, i numeri sono 366 perché si contemplava la sepoltura per tutti i giorni dell'anno compreso quello bisestile. Fino a un anno fa il cimitero si presentava con dell'erba cresciuta tra i giunti di pietra e addirittura cresciuti alberi che avevano iniziato ad intaccare all'intradosso ed estradosso delle Fosse e con un lavoro di convenzione fatto con l'arciconfraternita di Santa Maria del Popolo, è stata data un’assistenza a titolo gratuito e si è avviato un processo di recupero per il cimitero di Ferdinando Fuga, tagliando tutte le piante ed estirpando tutte le erbacce. L'obiettivo è comunque quello di riportare il cimitero delle 366 fosse al suo stato di origine, con questa favolosa pavimentazione in pietra vulcanica e cercando anche di liberare le nicchie decorative del muro di cinta che negli ultimi anni hanno dato libero spazio per i nuovi loculi. La pavimentazione è caratterizzata da una griglia ortogonale dove all'interno di ogni riquadro c'è una fossa: la fossa numero uno è collocata in alto a sinistra e la numerazione avviene in ordine bustrofedico cioè come il lavoro di aratura dei campi caratterizzato dalla prima riga dove il numero 1 è collocato in alto a sinistra mentre il numero 19 è collocato in alto a destra e il numero 20 non si ritrova a sinistra ma si trova sotto al 19 per poi andare da destra a sinistra poi di nuovo da sinistra a destra e così via. La griglia è caratterizzata da 19 file per 19 colonne per un totale di 361 riquadri di cui però nel riquadro centrale c'è un lampione e lo scolo delle acque piovane e le altre 6 fosse si trovano sotto il corpo di fabbrica principale. L'inumazione si praticava in questo modo e cioè con l'apertura delle pietre tombali, il morto arriva sopra una barella di legno, si deposita in una macchina che fu fatta costruire circa 100 anni dopo e cioè Nel 1871 da una nobildonna inglese che aveva perso la figlia a Napoli e che vede questa scena raccapricciante che la figlia quattordicenne fu aperta la fossa e fu scaraventata dall'alto verso il cumulo sottostante ed ella una volta tornata in Inghilterra fece costruire questa macchina dove il corpo una volta inserito all'interno, viene calato giù e grazie ad un coperchio posto sulla base ed un pistone a molla, veniva lasciato con delicatezza sugli altri cumuli di ossa. Mettendo a confronto la tipologia decorativa del cimitero dei colerici e del cimitero delle 366 fosse, emerge con chiarezza che il cimitero delle 366 fosse di fatto è un cimitero che non presenta nomi, un cimitero a fosse comuni dato che ai tempi era già molto avere tante fosse comuni piuttosto che una inteso come avvicinamento alla cultura ottocentesca anche per vicinanza tra colui che è morto e si trova in quella determinata fossa e colui che lo piange da vivo che sa in quale fossa andarlo a piangere; viceversa, come è possibile vedere dalle rappresentazioni, dalle sculture, dalle tombe che invece troviamo nel cimitero dei colerici, il racconto della borghesia molto più complesso, ci sono tombe di diverso tipo, appunto perché esso cresce su tre fasi, la prima è del 1834, la seconda del 1864 e la terza 1884 e queste tre date corrispondono alle tre grandi epidemie di colera di quel periodo a Napoli che causò 18000 morti nella prima epidemia, circa 9000 nella seconda e circa 1500 morti nella terza. Prima fase Seconda fase Terza fase Va ricordato inoltre che in contrapposizione a questo elemento di mortalità derivante dall'onorificenza della stessa classe Borghese napoletana che faceva di se stessa mettendo dei busti, dell'epigrafe e che aveva bisogno di essere controbilanciata da un elemento che ricordasse che la stessa classe Borghese napoletana, che poi questa immortalità presunta da rintracciare all'interno delle proprie virtù, dei propri volti, crea un immortalità relativa e gli alberi con il loro ciclo perpetuo di perdite di conquista del fogliame diventa un monito che ricorda appunto la caratteristica di caducità della vita umana. Ricerche Introduzione: collina cimiteriale La collina di Poggioreale, un tempo chiamata “monte di Leutrecco” (o popolarmete Lo Trecco), situato nella zona orientale di Napoli, è considerato da tempo un luogo periferico e critico per la presenza del carcere e del cimitero. In passato invece era considerato uno dei luoghi più interessanti posti fuori dalle mura della città. Il termine “Poggioreale” deriva dal nome della collina (Poggio), che ospitava l’ormai distrutta Villa Reale, edificata verso la fine del Quattrocento da Giuliano da Maiano per Alfonso Duca di Calabria che successivamente divenne re con il nome di Alfonso II. A causa degli innumerevoli terremoti e le devastanti epidemie, l’edificio cadde in disuso e con la peste del 1656 la collina non continuò più ad ospitare sovrani ed aristocratici ma i cadaveri degli appestati. Quando, nel 1775 venne data alle stampe la Mappa topografica della città di Napoli e dei suoi contorni, fatta da Giovanni Carafa Duca di Noja, si inizia a documentare il processo di urbanizzazione delle campagne orientali esterne alla città murata. La mappa in questione fornisce inoltre il quadro di una realtà ambientale avente caratteristiche del tutto rurali caratterizzata dall’assenza di lotti catastali e di ripartizioni del terreno, ma anche dalla presenza di pochi ma grandi impianti monumentali, ovvero la Villa Reale di Poggioreale progettata tra il 1487 e il 1492 da Giulio da Maiano e dalla Chiesa di S. Maria del Pianto realizzata su progetto di Francesco Antonio Picchiatti nel 1657, ma è anche caratterizzata da architetture funebri che segnano l’avvio di quella infrastrutturazione cimiteriale che interesserà gran parte del versante meridionale della collina di Poggioreale, infatti, a partire dalla metà del 1700, vengono realizzati una serie di impianti cimiteriali, tutti di grande pregio architettonico ed ambientale. Nel 1762 Ferdinando Fuga, per dare sepoltura al popolo indigente, realizza il Cimitero delle 366 Fosse, un impianto quadrato che rappresenta un calendario perpetuo. Successivamente sorgono il Grande Cimitero Monumentale, oggi Nuovo (1813); il Cimitero dei Colerici, ad opera di Leonardo Laghezza (1837); il Cimitero di Santa Maria del Pianto (1865), sviluppatosi intorno alla omonima chiesa madre, edificata nel 1657; il Cimitero Ebraico (1875); il Cimitero israelitico (1878); il Cimitero della Pietà (1889) e, in ampliamento, il cosiddetto Nuovissimo (seconda metà del '900). Nella Mappa Topografica del Duca di Noja è possibile notare inoltre un sentiero che, perpendicolarmente alla Via vecchia che porta a Poggioreale, si spinge fino alle falde della rupe sottostante la chiesa di S. Maria del Pianto la quale, grazie ad uno stretto cunicolo si ha accesso ad una cava di tufo che, già in antichità, attorno al 500 a.C., veniva usata per prelevare il materiale necessario alla costruzione della Neapolis greca. Questo sentiero fu riutilizzato con l’integrazione di una rampa carrabile, al fine di raggiungere il sagrato antistante la chiesa barocca, realizzata per commemorare le vittime dell’epidemia di peste del 1656 che furono sepolte nella vicina grotta degli Sportiglioni. L’area racchiusa tra la Via nuova Poggioreale e la soprastante via Don Bosco tende a configurarsi, nel corso del XIX secolo, come un insieme orografico architettonico di grande valore paesaggistico ed ambientale. Un vero e proprio parco cimiteriale storico, contenente “la memoria delle sepolture” degli ultimi due secoli e dotato di un impianto vegetazionale attraverso il quale è possibile leggere la genesi e lo sviluppo setteottocentesco della cultura funebre partenopea. Cimitero delle 366 fosse Successivamente alla guerra, l’intera popolazione viveva nella fame, sete e carestia, fu quindi facile preda della terribile peste che si diffuse tra il popolo e incominciò a mietere numerose vittime. Contribuirono a diffondere dell’epidemia la contiguità delle cisterne e dei pozzi all’interno delle cave tufacee. A fronte di ciò gli ospedali erano eccessivamente affollati ed il numero dei morti aumentava di giorno in giorno ed era usanza comune sotterrare i morti nelle cavità di ospedali, chiese e grotte, ma il numero essendo elevatissimo non si trovava più spazio in questi luoghi. Inoltre, per questioni sanitarie, si pensò di isolare queste salme per non diffondere ulteriormente le malattie evitando quindi di seppellirle nelle chiese o nelle immediate vicinanze ma in fosse comuni al di fuori delle mura cittadine. ****Ferdinando Fuga nasce a Firenze nel 1699, si forma ed opera come architetto in differenti città come Roma, Napoli, Palermo e la sua opera si contestualizza nel panorama settecentesco caratterizzato da spinte contrapposte quali quella della tradizione e quella della sperimentazione del nuovo che andrà affermandosi in modo definitivo più tardi e soprattutto a Napoli dove avrà modo di immergersi in un clima culturale che fonderà le proprie tradizioni artistiche con le novità intellettuali di respiro europeo. Il luogo scelto dall’architetto fiorentino Ferdinando Fuga nel 1762 per edificare il “cimitero delle 366 fosse”, commissionatogli dell’allora giovanissimo re Ferdinando IV di Borbone, affiancato dal fedele primo ministro Bernardo Tanucci, fu un terrazzo naturale spianato e sistemato sulla collina di Poggioreale, una zona ai tempi inurbanizzata e paludosa ma che godeva di una perenne brezza marina. Questo progetto aveva lo scopo di completare un altro progetto iniziato molti anni prima dallo stesso Ferdinando Fuga su commissione del grande re Carlo di Borbone, il Real Albergo dei Poveri, con il compito di ospitare e dare un’istruzione a tutti i poveri del Regno. Inizialmente chiamato “Cimitero di Santa Maria del popolo“ e successivamente “Cimitero delle 366 fosse”, la sua edificazione fu dedicata ai meno abbienti, che non avrebbero potuto permettersi sepolture dignitose e anziché finire precipitati e dimenticati nella piscina dell’Ospedale degli Incurabili, avrebbero potuto avere almeno la dignità di una sepoltura comune individuabili attraverso la consultazione di registri giornalieri di sepoltura. Fu un’opera molto innovativa, oltre che di grandissima importanza per Napoli: infatti, anticipò di circa cinquant’anni l’editto napoleonico che impediva di seppellire i morti entro le aree abitate cittadine, per motivi igienici. Il grande Fuga ideò una grande architettura funebre, costituita da un lungo edificio in linea con un retrostante grande spiazzo quadrato a cielo aperto di circa 80 metri per lato, recintato da alte muraglie. Le fosse sono in totale 366, corrispondenti ai giorni dell’anno bisestile e la fossa numero 366 corrispondeva al 29 febbraio. Avere una fossa al giorno e riaprirla dopo 1 anno esatto era un gran vantaggio perché ciò consentiva l'inumazione ordinata dei morti secondo un criterio cronologico e questo non permetteva di riaprire quella determinata buca se non prima di un anno riducendo così il rischio di infezioni. Queste buche, profonde circa 7-8 metri, nascondono un sistema di gallerie sotterranee, che fanno da ossario, oltre che da fondamenta della struttura. Il grande quadrato centrale ospitava 360 fosse terragne, numerate secondo un ordine bustrofedico e disposti su 19 file per 19 righe coperte da un tombino di pietra lavica girgia; è inoltre arredata da un unico elemento verticale posto all’incrocio degli assi di simmetria della corte: un lampione in ghisa a tre fiamme collocato su di un basso anello circolare di sostegno realizzato anch’esso in piperno. Il centro della struttura sacra costituisce il centro del cielo (universo) intorno a cui ruotano le stelle, l’asse verticale posto in genere al centro della struttura è l’asse cosmico (axis mundi) che unisce questo mondo al mondo degli Dei, al divino. La connessione tra l’asse verticale e la sua base costituisce l’unione del tempo e dello spazio, e crea quindi un luogo in cui i concetti di tempo e spazio si annullano, determinando così uno spazio eterno. All’interno della fossa venivano lasciati cadere i morti del giorno senza cura né attenzione. Le altre sei fosse numerate si trovano invece nell’atrio di ingresso e, a fine della giornata la pietra tombale veniva chiusa. Inoltre, alle pareti interne delle muraglie vi venivano riposti i morti della notte in attesa della sepoltura alle prime luci del giorno. Grande era la pietà popolare per quei poveri morti, tanto che nel 1875, una baronessa inglese, che aveva perso la figlia in seguito a un’epidemia di colera, provvide a dotare il cimitero una ingegnosa carrucola metallica, la quale provvedeva a calare con delicatezza e precisione il corpo del defunto all’interno delle sepolture. Il Cimitero per decenni fu frequentato giorno e notte. Di giorno per le inumazioni, mentre di notte, quando il cancello era chiuso, il popolo sostava all’esterno, al buio, sbirciando le fosse nel quadrato e fissando i lumini accesi. Chi vedeva strani movimenti, chi sentiva voci, chi rumori ed altro. E alle prime luci dell’alba si correva al Bancolotto. Quel Cimitero ora è dimenticato. Ma non da tutti, infatti tante famiglie si recano ancora lì a vegliare sui loro cari. Qui la presenza della morte assume un aspetto particolare: al posto del dolore, del cordoglio, del lutto, si ha la sensazione di una grande prova che ci attende, la possibilità che la morte non sia solo la fine di una esistenza ma bensì l’inizio di una nuova vita. L'area cimiteriale delle 366 Fosse è stata chiusa nel 1890, dopo aver accolto più di settecentomila corpi. Negli anni sessanta del XX secolo, ad attività d'uso delle cavità sotterranee cessata, sono stati aggiunti loculi al muro perimetrale. Oggi l'area cimiteriale, ancora affidata alla famiglia di custodi che ebbe originariamente l'incarico di prendersene cura, necessita di interventi di restauro e sistemazione che vanno ben oltre la manutenzione corrente. Sepolcreto dei colerici Nel 1836-37 una grave epidemia di colera colpì Napoli causando in breve tempo la morte di 18mila persone, la municipalità decise di individuare un’altra area per interrare le salme provenienti dagli ospedali della città. L’architetto Leonardo Laghezza ebbe l’incarico di procedere alla progettazione del nuovo recinto funebre dotandolo di una piccola cappella da collocare vicino all’ingresso. Il nuovo recinto funebre conosciuto come “cimitero dei colerosi” o “cimitero dei colerici”, perimetrante un’area di circa 8000 metri quadri, era composto da un sobrio portale d’ingresso caratterizzato dalla presenza di due lapidi commemorative, da una piccola cappella per le funzioni religiose, da una ripida rampa collegante il sottostante ingresso con la soprastante radura delimitata a sud dal recinto del Cimitero delle 366 fosse. Informazioni più precise si possono ricavare da un disegno di rilievo dell’architetto Luigi santacroce del 1836, strutturato su due grandi aree ovvero quella occidentale, caratterizzata dalla presenza di aiuole dalla forma a “fagiolo”, e quella orientale strutturata su ampi spazi battuti con calce e lapillo: la prima destinata ad accogliere piccoli monumenti funebri per la nobiltà e la classe borghese, la seconda viceversa adibita a fosse comuni in cui interrare la classe meno abbiente nonché i sacerdoti ed i medici che sacrificarono le loro vite per seppellire le vittime della violenta epidemia di colera del 1837 molti di questi custoditi da solenni tombe monumentali e cappelle gentilizie. Dal punto di vista architettonico la piccola chiesa progettata da Leonardo Laghezza presenta una pianta rettangolare suddivisa in due ambienti di cui il primo più largo ed alto del secondo. Entrambi gli ambienti sono coperti da volte a botte impostate sugli spessi muri perimetrali dell’edificio religioso. Ampliamento 1865 La nuova epidemia di colera che colpì Napoli nel 1865, indusse la municipalità ad allargare il recinto del Sepolcreto dei Colerici verso oriente, oltre l’ambito delineato nel 1837. Il vecchio confine, allineato da Leonardo Laghezza sulla direttrice sud-nord in continuità al muro di cinta orientale dell’antistante Cimitero delle 366 fosse, venne spostato di circa quaranta metri recuperando così una superficie utile per la sepoltura di altri 3000 metri quadri. Tale ampliamento viene organizzato, dal punto di vista dei percorsi e dei campi d’inumazione, secondo una rigida griglia ortogonale che contraddice il disegno organico proposto da Leonardo Laghezza per il primo comparto cimiteriale: una serrata sequenza di sei aiuole a pianta rettangolare divise a due a due da un vialetto centrale che, nella parte superiore dell’area, si espande a formare uno slargo circolare ove viene collocata una statua crisoelefantina, in marmo bianco, rappresentante San Rocco ed il suo cane recante in bocca un tozzo di pane. Scultura scolpita nel 1860 dai fratelli Giuseppe e Vincenzo Annibale e collocata nel Sepolcreto dei Colerici in occasione dell’ampliamento in questione. Ampliamento 1884 Quando, nel 1884, una nuova epidemia di colera si abbatte sulla città partenopea il Sepolcreto dei Colerici deve far fronte ad un nuovo ampliamento verso oriente, il secondo ed ultimo della sua breve storia, al fine di accogliere le numerose salme provenienti dagli ospedali cittadini. Se il primo settore, progettato da Leonardo Laghezza nel 1837, era stato caratterizzato da un impianto a parco “romantico” ed il secondo settore, nel 1865, era stato strutturato su un disegno di chiara impostazione “razionale”, il terzo settore, invece, appare realizzato senza nessuna velleità progettuale: un insieme disordinato di campi di sepoltura collocati su di un suolo fortemente in pendenza nel suo versante settentrionale e meridionale. Una complessità orografica superata, a nord, da una stretta serie di terrazzamenti longitudinali raccordati tra loro da due ripide rampe di scale e, a sud, da un forte dislivello altimetrico configurante una radura a pianta quadrata posta alla quota più bassa del Sepolcreto dei Colerici. Un settore, quindi, caratterizzato da una decisa verticalizzazione della microgeografia collinare di Poggioreale accentuata dallo svettare di una folta vegetazione quasi di carattere boschivo. Successivamente ai diversi ampliamenti, dall’inizio del 1900 circa, l’unica attività che si è insediata all’interno del recinto funebre, è stata quella di vivaio gestita dall’Assessorato ai parchi ed ai giardini del Comune di Napoli. Un’attività che se da un lato ha garantito, per circa un trentennio, la manutenzione ordinaria del recinto funebre e la relativa custodia dei sepolcri, dall’altro lato, ha prodotto una ibridazione vegetazionale del parco attraverso la piantumazione di essenze arboree non coerenti con le essenze originarie nonché la trasformazione dei tracciati e dei settori così come ereditati dal progetto di Leonardo Laghezza del 1837 e dai successivi ampliamenti del 1865 e del 1884. Erbe alte e alberi rinsecchiti, lapidi marmoree fratturate e cappelle funerarie depredate, sentieri sconnessi e viali deteriorati, muri tufacei disgregati e intonaci ammalorati, sculture deturpate, affreschi degradati e lapidi avvolte da quella che nei mesi estivi sembra una foresta. La foresta delle memorie perdute. È questo il triste scenario ambientale che caratterizza, allo stato attuale, il recinto funebre del Sepolcreto dei Colerici. Uno scenario ambientale e paesaggistico del tutto decadente e prossimo a quel fatidico punto di non ritorno che finirebbe per cancellare una delle testimonianze monumentali più interessanti della collina cimiteriale di Poggioreale. Avventurarsi tra il fogliame e leggere le parole incise sul marmo, dettate da questi alto borghesi ed aristocratici, colpiti negli affetti più cari, ci restituisce il senso di un’immane tragedia che ha più volte colpito la popolazione e ritornano attuali le malinconiche intimità di una classe sociale spazzata via dalla modernità e che pagò, nonostante l’epidemia colpisse prevalentemente la plebe, un pesante tributo alla furia del contagio. Una tristezza sconfortante coglierebbe il visitatore vedere le stradine invase dalle piante con una distesa di tombe dimenticate, di monumenti divelti e profanati da ladri sacrileghi e le infinite lapidi che ci ammoniscono sulla caducità della vita. Stanno lì, fianco a fianco, il cimitero delle 366 fosse e il cimitero dei Colerici, come le due Napoli, quella razionalista e quella romantica. L' una secca, volteriana e minimalista, l' altra erede del barocco, tutta cuore e umanità. I due simboli di una città che tutto questo riesce a viverlo in contemporanea, come una metropoli fuori dal tempo. Inoltre, l’antico cimitero dei Colerosi è stato devastato durante il periodo del lockdown e, lo stato di abbandono e la natura incolta che ha preso il sopravvento, le diverse discariche abusive di rifiuti speciali e pericolosi tra cui ancora oggi, tra le lapidi, si trovano carcasse di motorini, lastre, pannelli e altri materiali. Dopo le prime segnalazioni di quanto stava accadendo, c'è stato il sopralluogo del Soprintendente ai Beni Culturali, Luigi La Rocca, accompagnato dai Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio e dalla Polizia Municipale del Reparto Antiabusivismo, oltre che dai tecnici del Comune. Nel corso del sopralluogo è stata riscontrata la realizzazione di un capannone praticamente a ridosso del cimitero, dove è stata rilevata anche la mancanza di parte del muro tufaceo perimetrale e diverse lapidi risultano danneggiate. Alcuni sarcofagi, secondo gli esperti, sarebbero stati sepolti sotto un terrapieno che si trova a ridosso del parcheggio di nuova realizzazione. Il capannone sorge su un'area privata, in una fascia di pertinenza cimiteriale, precedentemente occupata da un vecchio corpo di fabbrica. Secondo il piano regolatore di Napoli non si può costruire a meno di 200 metri dai cimiteri, se non opere a servizio dei camposanti. La Soprintendenza ha chiesto di approfondire la vicenda, perché il Cimitero dei Colerosi ha notevole interesse storico e artistico. All'interno vi si trovano tanti sepolcri funerari monumentali, come la Cappella del Principe Caracciolo, un tempo affrescata, che nel corso degli anni passati è stata però devastata e depredata dai tombaroli, ma anche una pregevole statua di San Rocco col cane e una chiesetta. Lezione 09-03-2021 GUSTAVO GIOVANNONI (continuo scorsa lezione) Nel "restauro dei monumenti" lui precisa quello che abbiamo poi affrontato nella scorsa lezione e in questa, cioè quei 5 punti fondamentali di restauro che secondo egli bisogna tenere conto ovvero: 1:restauro di consolidamento ovvero intervento da compiere tramite le risorse della tecnica; 2:di ricomposizione ovvero anastilosi con eventuali integrazioni distinguibili; 3:di liberazione ovvero eliminazione di ‘masse amorfe’ che danneggiano le preesistenze; 4:di completamento ovvero prevedendo aggiunte, seppure limitate, ed escludendo rifacimenti e intersezioni attuali; 5:di innovazione ovvero rendendo lecita anche l’aggiunta di parti di nuova concezione ed il rinnovamento di quelle esistenti. Nella pratica però prevede, a volte, interventi di ripristino in cui le componenti innovative predominano sulle esigenze conservative. Dimostra di essere più architetto che restauratore filologico. La teoria elaborata da Gustavo Giovannoni evidenzierà i seguenti limiti: 1) Metodo insufficiente, secondo Benedetto Croce, ai fini di una comprensione storica del Monumento, che richiede un "lavoro ulteriore" di approfondimento critico globale e di apprezzamento estetico. 2) Delle due istanze, la storica e l'estetica, insieme al restauro filologico, finisce col privilegiare solo la prima. 3) Inadeguatezza delle proposte operative dal punto di vista della creatività (stile semplificato, integrazioni neutre). Va sottolineato Comunque il rispetto del monumento a difesa della sua complessa integrità contro i rischi dell'abbandono e della rovina "artificiale" provocata dai falsi Restauri stilistici. Eppure, i concetti del cosiddetto restauro scientifico-filologico (ripresi dalla teoria di Camillo Boito) vennero successivamente accolti nella conferenza internazionale di Atene nel 1931 e rielaborati da Gustavo Giovannoni nella carta del restauro italiana nel 1932, restando alla base delle successive elaborazioni metodologiche, nonostante nella pratica continuassero ad essere attuati semplici interventi di ripristino. CARTA DEL RESTAURO DI ATENE (1931) La Carta del restauro di Atene è un documento pubblicato nel 1931 dall'International Museums Office (organismo alla base dell'attuale dall'International Council on Monuments and Sites) ed è il risultato della Conferenza di Atene tenutasi tra il 21 e il 31 ottobre 1931. L'intento della carta fu quello di favorire la conservazione dei beni culturali, fissando i principi generali su cui sia legittimo operare nel campo del restauro, tentando una sintesi condivisa tra le varie dottrine. Detti principi si imperniavano sulla necessità di tutela del patrimonio artistico ed archeologico dell'umanità, come valore di interesse comune superiore all'interesse privato. I principi tecnici espressi dalla Carta sono in sintesi i seguenti: • • EVITARE RESTITUZIONI INTEGRALI DELL'OPERA; FAVORIRE L'ANASTILOSI; • • • • • • FAVORIRE L'USO DI MATERIALI E TECNOLOGIE INNOVATIVE, PURCHÉ DISSIMULATI PER NON ALTERARE L'IMMAGINE DELL'OPERA D'ARTE; DIFFONDERE LA COOPERAZIONE TRA CONSERVATORI E RICERCA SCIENTIFICA; RISPETTARE DELL'OPERA DEL PASSATO, SENZA PROSCRIVERE LO STILE DI ALCUNA EPOCA; RICONOSCERE L'ENTITÀ DELLA CITTÀ E DELL'AMBIENTE URBANO; SVILUPPARE LA CONOSCENZA DEL PATRIMONIO, PUBBLICANDO UN "INVENTARIO DEI MONUMENTI STORICI"; INTRODURRE IL CONCETTO DI INTERNAZIONALITÀ DEL PATRIMONIO CULTURALE. CONFERENZA INTERNAZIONALE DI ATENE. Carta di Atene (1931) I) La Conferenza, convinta che la conservazione del patrimonio artistico ed archeologico dell'umanità interessi tutti gli Stati tutori della civiltà, augura che gli Stati si prestino reciprocamente una collaborazione sempre più estesa e concreta per favorire la conservazione dei monumenti d'arte e di storia; ritiene altamente desiderabile che le istituzioni e i gruppi qualificati, senza menomamente intaccare il diritto pubblico internazionale, possano manifestare il loro interesse per la salvaguardia dei capolavori in cui la civiltà ha trovato la sua più alta espressione e che appaiono minacciati; emette il voto che le richieste a questo effetto siano sottoposte alla organizzazione della cooperazione intellettuale, dopo internazionale dei musei e benevola attenzione dei singoli Stati. Spetterà alla Commissione internazionale della cooperazione intellettuale, dopo richieste fatte dall'Ufficio internazionale dei musei e dopo aver raccolto dai sugi organi locali le informazioni utili, di pronunciarsi sulla opportunità di passi da compiere e sulla procedura da seguire in ogni caso particolare. inchieste fatte dall'ufficio internazionale dei musei e benevola attenzione dei singoli stati. Spetterà alla commissione internazionale della Cooperazione intellettuale, dopo richieste fatte dall'ufficio internazionale dei musei e dopo aver raccolto dei suoi organi locali le informazioni utili, di pronunciarsi sulla opportunità di passi da compiere e sulla procedura da seguire in ogni caso particolare. II) La Conferenza ha inteso la esposizione dei principi generali e delle dottrine concernenti la protezione di monumenti. Essa constata che, pur nella diversità dei casi speciali a cui possono rispondere particolari soluzioni, predomina nei vari Stati rappresentati una tendenza generale ad abbandonare le restituzioni integrali e ad evitare i rischi mediante la istituzione di manutenzioni regolari e permanenti atte ad assicurare la conservazione degli edifici. Nel caso in cui un restauro appaia indispensabile in seguito a degradazioni o distruzioni, raccomanda di rispettare l'opera storica ed artistica del passato, senza proscrivere lo stile di alcuna epoca. La Conferenza raccomanda di mantenere, quando sia possibile, la occupazione dei monumenti che ne assicura la continuità vitale, purché tuttavia la moderna destinazione sia tale da rispettare il carattere storico ed artistico. III) La Conferenza ha inteso la esposizione delle legislazioni aventi per scopo nelle differenti nazioni la protezione dei monumenti d'interesse storico, artistico o scientifico; ed ha unanimemente approvato la tendenza generale che consacra in questa maniera un diritto della collettività di contro all'interesse privato. Essa ha constatato come la differenza di queste legislazioni provenga dalla difficoltà di conciliare il diritto pubblico col diritto dei particolari; ed in conseguenza, pur approvandone la tendenza generale, stimano che debba essere appropriata alle circostanze locali ed allo stato dell'opinione pubblica, in modo da incontrare le minori opposizioni possibili e di tener conto dei sacrifici che i proprietari subiscono nell'interesse generale. Essa emette il voto che in ogni Stato la pubblica autorità sia investita del potere di prendere misure conservative nei casi d'urgenza. Essa augura in fine che l'Ufficio internazionale dei musei pubblici tenga a giorno una raccolta ed un elenco comparato delle legislazioni vigenti nei differenti Stati su questo oggetto. IV) La Conferenza constata con soddisfazione che i principi e le tecniche esposte nelle differenti comunicazioni particolari si ispirano ad una comune tendenza, cioè: quando si tratta di rovine, una conservazione scrupolosa si Impone, e, quando le condizioni lo permettono, è opera felice il rimettere in posto gli elementi originari ritrovati (anastilosi) ;e i materiali nuovi necessari a questo scopo dovranno sempre essere riconoscibili. Quando invece la conservazione di rovine messe in luce in uno scavo fosse riconosciuta impossibile, sarà consigliabile, piuttosto che votarle alla distruzione, di seppellirle nuovamente, dopo, beninteso, averne preso precisi rilievi. È ben evidente che la tecnica dello scavo e la conservazione dei resti impongono la stretta collaborazione tra l'archeologo e l'architetto. Quanto agli altri monumenti, gli esperti, riconoscendo che ogni caso si presenta con carattere speciale, si sono trovati d'accordo nel consigliare, prima di ogni opera di consolidamento o di parziale restauro, una indagine scrupolosa delle malattie a cui occorre portare rimedio. V) Gli esperti hanno inteso varie comunicazioni relative all'impiego di materiali moderni per il consolidamento degli antichi edifici; ed approvano l'impiego giudizioso di tutte le risorse della tecnica moderna, e più specialmente del cemento ordinariamente questi mezzi di rinforzo debbano essere dissimulati per non alterare l'aspetto e il carattere dell'edificio da restaurare; e ne raccomandano armato, Essi esprimono il parere che l'impiego specialmente nei casi in cui essi permettono di conservare gli elementi in situ evitando i rischi della disfattura e della ricostruzione. VI) La Conferenza constata che nelle condizioni della vita moderna monumenti del mondo intero si trovano sempre più minacciati dagli agenti esterni; e, pur non potendo formulare regole generali che si adattino alla complessità dei casi, raccomanda: a. la collaborazione in ogni paese dei conservatori dei monumentie degli architetti coi rappresentanti delle scienze fisiche, chimiche, naturali per raggiungere risultati sicuri di sempre maggiore applicazione; b. la diffusione, da parte dell'Ufficio internazionale dei Musei, di tali risultati mediante notizie sui lavori intrapresi nei vari Paesi e le regolari pubblicazioni. La Conferenza, nei riguardi della conservazione della scultura monumentale, considera che l'asportazione delle opere dal quadro pel quale furono create è come principio da ritenersi inopportuna. Essa raccomanda a titolo di precauzione la conservazione dei modelli originari, quando ancora esistono, e l'esecuzione dei calchi quando essi mancano. VII) La Conferenza raccomanda di rispettare, nelle costruzioni degli edifici, il carattere e la fisionomia della città, specialmente in prossimità dei monumenti antichi, per i quali l'ambiente deve essere oggetto di cure particolari. particolarmente pittoresche. Oggetto di studio possono anche essere le piantagioni e le ornamentazioni vegetali adatte a certi monumenti per conservare l'antico carattere. Essa raccomanda soprattutto la soppressione di ogni pubblicità, di ogni sovrapposizione abusiva di pali e fili telegrafici, di ogni industria rumorosa ed invadente, in prossimità di monumenti d'arte e di Uguale rispetto deve aversi per talune prospettive storia. VIII) La Conferenza emette il voto: a. che i vari Stati, ovvero le istituzioni in essi create o riconosciute competenti a questo fine, pubblichino un inventario dei monumenti storici nazionali accompagnato da fotografie e da notizie; b. che ogni Stato crei un archivio ove siano conservati i documenti relativi ai propri monumenti storici; c. che l'Ufficio internazionale dei Musei dedichi nelle sue pubblicazioni alcuni articoli ai procedimenti ed ai metodi di conservazione dei monumenti storici; d. che l'Ufficio stesso studi la migliore diffusione ed utilizzazione delle indicazioni e dei dati architettonici, storici e tecnici così centralizzati. IX) I membri della Conferenza, dopo aver visitato, nel corso dei loro lavori e della crociera di studio eseguita, alcuni (lei principali campi di scavo e dei monumenti antichi della Grecia, sono stati unanimi nel rendere omaggio al Governo ellenico, che da lunghi anni mentre ha assicurato esso stesso l'attuazione di lavori considerevoli, ha accettato la collaborazione degli archeologi e degli specialisti di tutti i paesi. Essi hanno in ciò veduto un esempio che non può che contribuire alla realizzazione degli scopi di cooperazione intellettuale, di cui è apparsa così viva la necessità nel corso dei loro lavori. X) La Conferenza, profondamente convinta che la miglior garanzia di conservazione dei monumenti e delle opere d'arte venga dall'affetto e dal rispetto del popolo e considerando che questi sentimenti possono essere assai favoriti da una azione appropriata dei pubblici poteri, emette il voto che gli educatori volgano ogni cura ad abituare linfanzia e la giovinezza ad astenersi da ogni atto che possa degradare i monumenti e le inducano ad intendere il significato e ad interessarsi, più in generale, alla protezione delle testimonianze d'ogni civiltà. Consiglio Superiore Per Le Antichità e Belle Arti. Norme per il restauro dei monumenti. Carta Italiana del restauro (1932) Il Consiglio superiore per le Antichità e Belle Arti, portando il suo studio sulle norme che debbono reggere il restauro del monumenti il quale in Italia si eleva al grado di una grande questione nazionale, ed edotto dalla necessità di mantenere e di perfezionare sempre più il primato incontestabile che in tale attività, fatta di scienza, di arte e di tecnica, il nostro paese detiene; convinto della multipla e gravissima responsabilità che ogni opera di restauro coinvolge (sia che si accompagni o no a quella dello scavo) con l'assicurare la stabilità di elementi fatiscenti; col porre le mani su di un complesso di documenti di storia ed arte tradotti in pietra, non meno preziosi di quelli che si conservano nei musei e negli archivi, col consentire studi anatomici che possono avere come insultato nuove impreviste determinazioni nella storia dell'arte e della costruzione; convinto perciò che nessuna ragione di fretta, di utilità pratica, di personale suscettibilità possa imporre in tale tema manifestazioni che non siano perfette, che non abbiano un controllo continuo e sicuro, che non corrispondano ad una ben affermata unità di criteri, e stabilendo come evidente che tali principi debbano applicarsi sia a quelli dei pubblici enti, a cominciare dalle stesse Sopraintendenze preposte alla conservazione e alla indagine dei monumenti; considerato che nell'opera di restauro debbano unirsi ma non elidersi, neanche in parte, vari criteri di diverso al restauro eseguito dai privati sia a quelli dei pubblici enti, a cominciare dalle stesse Sopraintendenze preposte alla conservazione e alla indagine del monumenti; considerato che nell'opera di restauro debbano unirsi ma non elidersi, neanche in parte, vari criteri di diverso ordine: cioè le ragioni storiche che non vogliono cancellata nessuna delle fasi attraverso cui si è composto il monumento, né falsata la sua conoscenza con aggiunte che inducano in errore gli studiosi, né disperso il materiale che le ricerche analitiche pongono in luce; il concetto architettonico che intende riportare il monumento ad una funzione d'arte e, quando sia possibile, ad una unità di linea (da non confondersi con l'unità di stile); il criterio che deriva dal sentimento stesso (lei cittadini, dallo spirito della città, con i suoi ricordi e le sue nostalgie; e infine, quello stesso indispensabile che fa capo alle necessità amministrative attinenti ai mezzi occorrenti e alla pratica utilizzazione; ritiene che dopo oltre un trentennio di attività in questo campo svoltosi nel suo complesso con risultati magnifici, si possa e si debba trarre da questi risultati un complesso di insegnamenti concreti a convalidare e precisare una teoria del restauro ormai stabilita con continuità nei deliberati del Consiglio superiore e nell'indirizzo seguito dalla maggior parte delle Sopraintendenze alle Antichità e all'Arte medioevale e moderna; e di questa teoria controllata dalla pratica enuncia i principi essenziali. Esso afferma pertanto: 1) che al di sopra di ogni altro intento debba la massima importanza attribuirsi alle cure assidue di manutenzione alle opere di consolidamento, volte a dare nuovamente al monumento, la resistenza e la durevolezza tolta dalle menomazioni o dalle disgregazioni; 2) che il problema di ripristino mosso dalle ragioni dell'arte e dell'unità architettonica strettamente congiunte con il criterio storico, possa porsi solo quando si basi su dati assolutamente certi forniti dal monumento da ripristinare e non su ipotesi, su elementi in grande prevalenza esistenti anziché su elementi prevalentemente nuovi; 3) che nei monumenti lontani ormai dai nostri usi e dalla nostra civiltà, come i monumenti antichi, debba ordinariamente escludersi ogni sono completamento, e solo sia da considerarsi la anastilosi, cioè la ricomposizione di esistenti parti smembrate con l'aggiunta eventuale di quegli elementi neutri che rappresentino il minimo necessario per integrare la linea e assicurare le condizioni di conservazione; 4) che nei monumenti che possono dirsi viventi siano ammesse solo quelle utilizzazioni non troppo lontane dalle destinazioni primitive, tali da non recare negli adattamenti necessari alterazioni essenziali all'edificio; 5) che siano conservati tutti gli elementi aventi un carattere d'arte o di storico ricordo, a qualunque tempo appartengono, senza che il desiderio di unità stilistica e del ritorno alla primitiva forma intervenga ad escluderne alcuni a detrimento di altri, e solo possano eliminarsi quelli, come le murature di finestre e di intercolunni di portici che, privi di importanza e di significato, rappresentino deturpamenti inutili; ma che il giudizio di tali valori relativi e sulle rispondenti eliminazioni debba in ogni caso essere accuratamente vagliato, e non rimesso ad un giudizio personale dell'autore di un progetto di restauro; 6) che insieme col rispetto per il monumento e per le sue varie fasi proceda quello delle sue condizioni ambientali, le quali non debbano essere alterate da inopportuni isolamenti, da costruzioni di nuove fabbriche invadenti per massa, per colore, per stile; 7) che nelle aggiunte che si dimostrassero necessarie, o per ottenere il consolidamento, o per raggiungere lo scopo per una reintegrazione totale o parziale, o per la pratica utilizzazione del monumento, il criterio essenziale da eseguirsi debba essere, oltre a quello di limitare tali elementi nuovi al minimo possibile, anche quello di dare ad essi un carattere di nuda semplicità e di rispondenza allo schema costruttivo; e che solo possa ammettersi in stile similare la continuazione di linee esistenti nei casi in cui È™i tratta di espressioni geometriche prive di individualità decorativa; 8) che in ogni caso debbano siffatte aggiunte essere accuratamente ed evidentemente designate o con l'impiego di materiale diverso dal primitivo, o con l'adozione di cornici di inviluppo, semplici e prive di intagli, o con l'applicazione di sigle o di epigrafi, per modo che mai un restauro eseguito possa trarre in inganno gli studiosi e rappresentare una falsificazione di un documento storico; 9) che allo scopo di rinforzare la compagine statica di un monumento e di reintegrare la massa, tutti i mezzi costruttivi modernissimi possano recare ausili preziosi e sia opportuno valersene quando l'adozione di mezzi costruttivi analoghi agli antichi non raggiunga lo scopo; e che del pari i sussidi sperimentali delle varie scienze debbano essere chiamati a contributo per tutti gli altri esempi minuti e complessi di conservazione delle strutture fatiscenti, nei quali ormai i procedimenti empirici debbono cedere il campo a quelli rigidamente scientifici; 10) che negli scavi e nelle esplorazioni che rimettono in luce antiche opere, il lavoro di liberazione debba essere metodicamente e immediatamente seguito dalla sistemazione dei ruderi e dalla stabile protezione di quelle opere d'arte rinvenute, che possono conservarsi in situ; 11) che come nello scavo, così nel restauro dei monumenti sia condizione essenziale e tassativa, che una documentazione precisa accompagni i lavori mediante relazioni analitiche raccolte in un giornale del restauro e illustrate da disegni e da fotografie, sicché tutti gli elementi determinanti nella struttura e nella forma del monumento, tutte le fasi delle opere di ricomposizione, di liberazione, di completamento, risultino acquisite in modo permanente e sicuro. Il Consiglio convinto, infine, che in tempi così ardui e complessi in cui ciascun monumento e ciascuna fase del suo restauro presentano quesiti singolari, l'affermazione dei principi generici debba essere completata e fecondata dall'esame e dalla discussione sui casi specifici, esprime i seguenti voti: a_ che il giudizio del Consiglio superiore sia sistematicamente richiesto prima dell'inizio dei lavori per tutti i restauri di monumenti che escono dall'ordinaria attività conservatrice, sia che detti restauri vengano promossi e curati da privati, o da enti pubblici o dalla stessa Sovraintendenza; b_ che sia tenuto ogni anno in Roma un convegno amichevole (i cui atti potrebbero essere pubblicati nel dell'Educazione Nazionale) nel quale i singoli Sovraintendenti espongono i casi e i problemi che loro si presentano per richiamare l'attenzione dei colleghi, per esporre le proposte di soluzione; "Bollettino d'Arte" del Ministero che sia fatto obbligo della compilazione e della conservazione metodica dei suddetti giornali del restauro, e che possibilmente dei dati e delle notizie analitiche da quelli risultanti si curi la pubblicazione scientifica in modo analogo a quello degli scavi. c_ che sia fatto obbligo della compilazione e della conservazione metodica dei suddetti giornali del restauro, e che possibilmente dei dati e delle notizie analitiche da quelli risultanti si curi la pubblicazione scientifica in modo analogo a quello degli scavi. Ambrogio Annoni Ambrogio Annoni, anch'egli allievo di Camillo Boito come Gustavo Giovannoni, elabora la cosiddetta Teoria del caso per caso, ovvero la necessità di trattare ogni manufatto come opera a sé stante, rifuggendo teorizzazioni astratte a favore dell'analisi attenta dei documenti storici e del manufatto oggetto dell'intervento ritenuto documento principale. Nel 1921 al Politecnico di Milano è titolare del corso Organismi e dell'Architettura che si sviluppa poi nei due insegnamenti Carattere storico degli Edifici e Restauro dei monumenti. Dal 1936 i due corsi diventano Caratteri stilistici e costruttivi dei Monumenti e Restauro dei monumenti nella Facoltà di architettura nel frattempo istituita a Milano. Teorico del restauro, si occupa assiduamente anche di interventi sull'esistente, sostenendo la possibilità di inserire architetture contemporanee in ambienti storici e opponendosi al restauro stilistico. L'importanza del suo contributo alla teoria del restauro è da attribuirsi alla sua negazione di metodi standardizzati: Annoni rifugge da teorizzazioni e schematizzazioni astratte a favore della cosiddetta "teoria del caso per caso", ovvero dell'adattamento del metodo al singolo progetto. Dei suoi lavori di restauro si ricordano: il Broletto e il Palazzo del Podestà a Pavia, la chiesa di San Vincenzo a Galliano di Cantù; la Villa della Bicocca (l'edificio quattrocentesco della Bicocca presso Milano, 1922), la Sala Vinciana alla Pinacoteca Ambrosiana, la chiesa di San Pietro in Gessate e il progetto di restauro dell'Ospedale Maggiore di Milano_ ospedale maggiore di Milano-Cà Granda-Ambrogio Annoni e Piero Portaluppi-foto bombardamento Ambrogio Annoni fu tra i primi a sottolineare l'importanza del rilievo metrico degli edifici come mezzo di conoscenza storico-critica, oltre che geometrica dell'architettura. In sintesi l'atteggiamento di Annoni verso il restauro può essere riassunto con le sue stesse parole: «Oggi si pensa che il restauro non deve essere solamente arte, né solamente scienza, ma l'una e l'altra cosa assieme; per le quali occorre un grande senso di equilibrio, di cultura, di amore. Per restauro non si intenderà più né ricomposizione stilistica, né ricostruzione storica; ma conservazione, sistemazione, avvaloramento dell'edificio» Lezione 23-03-2021 RESTAURO DELL'ARCHITETTURA Il XX secolo 1940/60 in Italia Dopo la Seconda guerra mondiale in Italia a seguito delle distruzioni belliche la teoria del restauro prosegue il distacco critico dalle posizioni filologico/scientifiche e si evolve verso il cosiddetto restauro critico. Questa corrente ha al suo interno molte posizioni anche dialetticamente contrapposte. Fra i principali teorici di questa fase si distinguono: Renato Bonelli, Roberto Pane e Cesare Brandi. RENATO BONELLI Renato Bonelli Laureatosi in architettura nel 1934, presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza con una tesi di restauro avente come relatore Gustavo Giovannoni - dimostra di possedere una personalità rigorosa già dal tema di tesi, opponendosi al progetto trasformazione edilizia del convento di San Domenico in Orvieto per accogliere la sede dell'Accademia nazionale di Educazione fisica femminile, dimostrando la possibilità di non intaccare il corpo della chiesa, pur soddisfacendo ogni esigenza distributiva e di spazio promosso del gerarca fascista Renato Ricci- di trasformazione edilizia del Convento di San Domenico in Orvieto per accogliere la sede dell'Accademia nazionale di Educazione fisica femminile, dimostrando la possibilità di non intaccare il corpo della chiesa, pur soddisfacendo ogni esigenza distributiva e di spazio. chiesa San Domenico a Orvieto Nel settembre del 1944 fonda l'Istituto Storico Artistico Orvietano (ISAO), come riferimento privilegiato per studi e ricerche storiche, iniziative culturali e attività di interesse artistico e musicale, nell'intento di offrire un luogo di incontro per coloro che gravitano culturalmente nel territorio orvietano. Nel 1945 pubblica il saggio Teoria e metodo nella storia dell'architettura, come primo Bollettino dell'ISAO, col quale si schiera contro una storiografia dell'architettura tipologica, evoluzionistica, sostenendo, crocianamente, che l'arte "è forma universalizzata dell'individuale", che supera tutti i legami estrinseci, quali i fattori economici, costruttivi e strutturali, funzionali, sociali o comunque empirici. Nel 1949 consegue la Libera Docenza in "Storia dell'arte e Storia e Stili dell'architettura" nella facoltà d'Architettura dell'Università di Roma. Nel 1950 diviene Professore Incaricato di "Arte dei giardini" nella facoltà d'Architettura dell'Università di Roma, sino al 1953, anno in cui ottiene l'incarico di "Letteratura artistica", sempre nella stessa Dal 1959 al 1961, ricopre anche l'insegnamento di "Storia dell'arte e Storia e stili dell'architettura" e, dal 1962, è Professore Ordinario di "Storia dell'Architettura" nella facoltà di Architettura di Palermo, dove rimane sino al 1968, quando ritorna a Roma all'Università "La Sapienza"; da questo stesso anno è anche direttore dell'Istituto di Fondamenti dell'architettura. Università. Dal 1982 dirige il Dipartimento di Storia dell'architettura, Restauro e Conservazione dei Beni architettonici nell'Ateneo romano [fino al 1984] ed è Direttore della "Scuola di specializzazione per lo studio e il restauro dei monumenti" della stessa Università. «[...] il primo compito del restauratore dovrà essere quello di individuare» e riconoscere la qualità artistica del monumento; ogni operazione sarà intesa «allo scopo di reiterare e conservare il valore espressivo dell'opera». A tal fine occorre eliminare quanto la deturpi e la sfiguri, ricomponendo le parti mancanti (lacune] attraverso una invenzione criticamente fondata. «la fantasia da evocatrice diventa produttrice e si compie il primo passo per integrare il procedimento critico con la creazione artistica». Il puro interesse testimoniale è dichiarato inaccettabile perché "un'opera architettonica non è solo un documento, ma è soprattutto un atto che nella sua forma esprime totalmente un mondo spirituale (..). Essa rappresenta per la nostra cultura il grado più alto proprio per il suo valore artistico". IL CONCETTO DI RESTAURO A partire dal 1946 concepisce una sostanziale revisione teorica della disciplina intendendo il restauro come momento dialettico tra atto creativo e processo critico. Influenzato dall'Estetica di Benedetto Croce e dalla Filosofia dell'arte di Giovanni Gentile, matura la scelta «dell'estetica idealistica, che allora, negli anni Trenta, per Roma e per l'ambiente della Facoltà di architettura rappresentava una novità, era l'avvenire». Si schierò contro una storiografia dell'architettura tipologica, evoluzionistica, contro quella <storia dell'architettura in forma di immenso catalogo», per sostenere, che l'arte “è forma universalizzata dell'individuale", che supera tutti i legami estrinseci, quali i fattori economici, costruttivi e strutturali, funzionali, sociali o comunque empirici e specificando che compito della storiografia è di «considerare soltanto le vere opere d'arte», lavorando per monografie e pervenendo ad un giudizio dove critica e storia coincidono. Voce Restauro in Enciclopedia universale dell'Arte (vol. X, 1963) «Restauro come processo critico e restauro quale atto creativo sono dunque legati da un rapporto dialettico, in cui il primo definisce le condizioni che l'altro deve adottare come proprie intime premesse». «ll restauro costituisce dunque un'attività nella quale l'odierna cultura attua pienamente se stessa (...) poiché dimostra una cosciente continuità col passato ed una consapevolezza del momento storico che l'edilizia moderna non possiede». interno della chiesa di Santo Spirito a Firenze Firenze, l'interno della chiesa di S. Spirito. Il recinto del coro e laltare maggiore costituiscono un enorme ingombro che altera e spezza la continuità dell'architettura, impedendone in parte la vista: il loro valore formale, rispetto a quello dell'interno è assai modesto e tale da poter essere sacrificato per ottenere, mediante il loro abbattimento, la reintegrazione dell'unità figurativa dell'opera. fronte absidale chiesa s. Domenico maggiore a Napoli Napoli, fronte absidale della chiesa di S. Domenico Maggiore. Qui il restauro filologico richiederebbe soltanto l'eliminazione delle aggiunte prive di interesse (abitazioni addossate alle cappelle). Il restauro della conservazione integrale domanderebbe invece il mantenimento di ogni componente, anche di quelle deturpanti. Cortile rinascimentale Ferrara, il restauro della conservazione integrale chiederebbe di mantenere inalterato questo cortile rinascimentale, senza cedere al desiderio di recuperare la qualità figurativa dell'edificio mediante la demolizione delle pareti di chiusura. ANALISI E PROGETTO PER LA BASILICA DEL CROCIFISSO NEL DUOMO DI AMALFI (1972) Nel 1993, la Soprintendenza ai beni ambientali e architettonici di Salerno Avellino porta a termine uno dei restauri più distruttivi compiuti nella seconda metà del Novecento, sulla basilica del Crocifisso in Amalfi, affiancata alla cattedrale di Sant'Andrea e nota anche come duomo antico. pianta e sezione del Duomo di Amalfi Amalfi, complesso del duomo, basilica del Crocifisso, sezione longitudinale della navata grande e prospetto del lato destro della stessa. Rilievo del 1972 di M.T. Bianco e C. Bozzoni con la regia di R. Bonelli. Amalfi, complesso del duomo, basilica del Crocifisso, planimetria sintesi delle fasi costruttive. Disegno del 1972 a cura di R. Bonelli. RESTAURO URBANO E TUTELA DEL PAESAGGIO Renato Bonelli estende i criteri appena richiamati al problema più vasto del restauro urbanistico e della tutela del paesaggio. I due aspetti presentano analoghe condizioni di lettura perché se da un lato le difficoltà relative ai centri storici sono concettuali, riguardanti il compito di definire teoricamente la città, nella 'lettura' del paesaggio interviene una diversa collocazione dell'immagine. Contrariamente all'opera d'arte che è fissata nella materia e, quindi, occorre solo ripercorrerla, il paesaggio si confonde con il territorio e con la natura, né risulta prefissato, definito, delimitato ed emerge soltanto nella coscienza, risiede nella visione intenzionale di chi guarda, ritaglia e 'crea' l'immagine; perciò dipende dalla capacità personale del fruitore, che dovrebbe essere dotato della necessaria sensibilità. L'approccio al paesaggio non consiste nell'impatto diretto e immediato con la natura, anche la più bella e rigogliosa, ma è sempre un contatto mediato culturalmente. Negli anni in cui Renato Bonelli partecipa al dibattito sui temi del restauro architettonico, dell'ambiente e dell'integrazione nuovo-antico, molto del suo impegno è al servizio dell'Associazione 'Italia Nostra', di cui è segretario nazionale dal 1960 al 1964.In questa veste tenterà in ogni modo di dare un 'metodo' all'Associazione e di fornirle un 'sistema concettuale', cominciando dal tema della città. A tale proposito costruisce opportune categorie, attraverso le quali operare: -l'ambiente urbano -la città come 'linguaggio -la pianificazione urbanistica - il sistema normativo Va ricordato per ultimo prima di passare alla visione di altre opere che rivivano questa volontà di interazione tra il passato e la contemporaneità nuovo che si fanno sempre vive, così come vediamo in questa immagine di Ferrara L'edificio che ha sostituito il Palazzo della Ragione è uno dei peggiori esempi in ritardo, del vecchio «ambientamento» esteriore, impossibile compromesso fra gli enti pratici della speculazione edilizia e l'esigenza della qualità architettonica rispettosa della bellezza del luogo. Illustrazione e didascalia tratta dal volume R. Bonelli, Architettura e restauro, Venezia 1959. Bonelli fa anche una critica a Firenze. Per Santa Maria, la ricostruzione di questa strada è indiscutibile prova dell'incapacità edilizia attuale a sostituire un antico ambiente; questo è solo un impudente e spregevole tentativo di mascherare l’affarismo immobiliare con la superficialità improvvisati. Illustrazione e didascalia tratta dal volume R. Bonelli, Architettura e disinvolta dei mezzi restauro, Venezia 1959. ROBERTO PANE (1897-1987) Storico dell'architettura e architetto restauratore. Tratteremo di egli 1: il profilo 2: esperienze e studi d'arte e di architettura 3: il concetto di opera d'arte e i valori ambientali 4: il restauro dei monumenti e la ricostruzione 5: la tutela dei centri antichi e del paesaggio 1:PROFILO Nel 1922 fu tra i primi laureati in architetturain Italia presso la Scuola Superiore di Architettura di Roma, fondata due anni prima da Gustavo Giovannoni, di cui fu allievo per alcuni anni, collaborando con lui anche alla Commissione per il piano regolatore di Napoli del 1926-27. Negli anni successivi cominciò a lavorare presso la Soprintendenza alle Antichità della Campania, divenendo un collaboratore di Amedeo Maiuri. Nel 1926 ottenne in seconda gara il primo premio al concorso per il disegno del frontone occidentale della galleria della Vittoria, il tunnel che collega il quartiere di Chiaia con piazza Municipio tramite una nuova strada litoranea, l'odierna via Ammiraglio Ferdinando Acton. frontone occidentale galleria della vittoria Tra la fine degli anni venti e i primi anni quaranta realizzò alcune opere architettoniche a Napoli: oltre al frontone occidentale della Galleria Vittoria si sottolinea il progetto per il Padiglione della Civiltà Cristiana in Africa alla Mostra d'Oltremare e la facciata dell'Istituto di Scienze Economiche e Commerciali in via Partenope. Poco prima dell'inizio della Seconda guerra mondiale conobbe importanti intellettuali come Bernard Berenson e Benedetto Croce. Aderì al Partito d'Azione cercando di comporre gli ideali azionisti con quelli liberali. Nel 1942 divenne professore ordinario di Caratteri Stilistici e Costruttivi dei Monumenti presso la Facoltà di Architettura dell'Università di Napoli. Oltre al corso di Caratteri Stilistici e Costruttivi dei Monumenti, insegnò dal 1950 anche la Restauro dei Monumenti presso medesima Università. Nel 1959, con la pubblicazione del libro collettivo "Ville Vesuviane del Settecento" riscoprì questo abbandonato patrimonio dell'architettura del settecento, che portò, dopo, alla creazione dell'Ente per le Ville Vesuviane. BIBLIOGRAFIA Architettura del Rinascimento in Napoli (1937) Architettura dell'età barocca in Napoli (1939) Il Rinascimento nell'Italia meridionale (1975-77) In queste opere segue l'estetica di Benedetto Croce, introdubendo nella storia dell'architettura il metodo storico-critico, e abbandonando le posizioni di Gustavo Giovannoni, suo maestro a Roma. Palladio (1948 e 1961] Bernini architetto [1953] Ferdinando Fuga [1956] Antonio Gaudì [1964 e 1982] Napoli imprevista [1949] Capri [1954] I mausolei romani in Campania [1957] 2: ESPERIENZE E STUDI DI ARCHITETTURA Si forma nello studio dello scultore e disegnatore Vincenzo Gemito, dove svolge il suo apprendistato non soltanto grafico e plastico. -Mostra di acqueforti presso la Compagnia degli Illusi a Napoli [1925] -Presenza alla XIV [1924] e XV [1926] Biennale di Venezia -Esposizione a Parigi [1930], Berlino e Bucarest. -Partecipazione alla Biennale di Venezia nella sezione acqueforti (1928/36) PIANO REGOLATORE DI NAPOLI (1926/27) Collabora con Gustavo Giovannoni alla commissione per il piano regolatore di Napoli. In questa occasione studia alcune sistemazioni edilizie quali: liberazione del fianco di Santa Caterina a Formiello progetto dei giardini del Molosiglio (1926] progetto per la riconfigurazione della chiesa della Madonna della Pace in via Tasso [1928]. 3: PENSIERO SULL'OPERA D'ARTE E SUI VALORI DELL'AMBIENTE Il concetto di opera d'arte Il suo pensiero si confronta con i principi dell'estetica neoidelistica, assumendo una posizione più sobria. Similarmente a Renato Bonelli, critica alcune prescrizioni della Carta del Restauro del 1932 elaborata da Gustavo Giovannoni, rifiutando che la conoscenza storica e la competenza tecnica fossero sufficienti a dettare le modalità esecutive del restauro. Secondo Roberto Pane, la disciplina del restauro necessita di una revisione critica: ogni monumento deve essere visto come un caso a se stante, di fronte al quale il restauratore dovrebbe operare attraverso una prospettiva critica capace di far dialogare tra loro la cultura, la tecnica e il gusto assumendo inoltre una decisa volontà compositiva. Il concetto di restauro -Prima di essere una tecnica, dev'essere una filosofia. -il restauro non è ripristino. -Unità metodologica e concettuale del restauro [pittura, scultura, architettura] -«Occorre [...] riconoscere che l'opera del restauratore non può compiersi con il solo ausilio dell'esperienza critica e storica, e che la creazione di una nuova unità estetica esige l'intervento del gusto e della fantasia» [1950]. -Non possono dettarsi regole fisse, poiché «ogni monumento [.] deve essere visto come un caso unico, perché tale è in quanto opera d'arte e tale dovrà essere anche il suo restauro». -(...) si dovrà sempre giudicare se certi elementi abbiano o no arte, perché, in caso negativo, ciò che maschera o addirittura offende immagini di vera bellezza sarà del tutto legittimo abolirlo» [1944]. I VALORI AMBIENTALI Nel 1948 Roberto Pane, stimolato dalle polemiche del dopoguerra sulla ricomposizione dei tessuti urbani devastati nel corso del conflitto, riprende le categorie crociane di poesia e letteratura estendendole all'architettura, definendo l'edilizia, come una qualità espressiva autonoma rispetto alla prima, frutto dell'attività spirituale. Il tessuto edilizio minore è «espressione della società, così come lo è la letteratura, specchio della vita civile, morale, religiosa e intellettuale». Roberto Pane critica il fatto che si sia puntato principalmente sui valori estetici e storici, senza considerare aspetti sociali, civili, economici; come scrive, "si è privilegiato il fiore e il frutto senza darci pensiero dell'albero". L'urbanistica è fondamentale per risolvere i problemi della città e l'inserimento delle nuove aggregazioni. Si sono distrutti i valori ambientali. Essi esprimono la continuità della stratificazione. È necessario ribadire l'importanza dei valori d'insieme: "il vero uomo è l'umanità intera". 4: IL RESTAURO DEI MONUMENTI E LA RICOSTRUZIONE POST BELLICA Il restauro dei monumenti Roberto Pane, nel 1944, stimolato dalla necessità di intervenire sulle opere d'arte e sugli ambienti urbani danneggiati dalla Seconda Guerra Mondiale, rinnova profondamente la teoria del restauro, allora dominata dal filologismo dell'impostazione scientifica,allargando la prospettiva disciplinare all'attitudine critica ed al concetto di gusto. Proprio per i Restauri del dopoguerra l'intervento caso per caso diventerà una regola in quanto, avendo ciascun monumento subito danni diversi, occorrerà affrontare le relative problematiche secondo atteggiamenti diversi. Restauro Chiesa di Santa Chiara a Napoli Colpita da spezzoni incendiari nel bombardamento del 4 agosto 1943, di origine trecentesca ma fortemente rimaneggiata in età barocca, viene ricostruita a partire dal 1945. chiesa di santa chiara a Napoli dopo i bombardamenti interno Chiesa S. Chiara Nel 1948, pubblica Architettura e arti figurative nel quale dedica due capitoli alle ricostruzioni del dopoguerra. Nel primo dal titolo 'II restauro dei monumenti e la chiesa di S. Chiara a Napoli' propone per la chiesa la ricostruzione nelle forme trecentesche venute alla luce dopo l'incendio che nel 1943 distrusse completamente le decorazioni barocche in ori e stucchi e la finta volta ad incannucciata con affreschi, sostenuta dalle capriate lignee anch'esse andate perdute. Nel saggio su S. Chiara sostiene che la dottrina del restauro necessita di una revisione critica: 'ogni monumento deve essere visto come un caso unico, di fronte al quale il restauratore dovrebbe operare attraverso la collaborazione tra cultura, tecnica e gusto, non senza capacità compositiva' . Nel 1944 Roberto Pane sostiene l'inevitabile necessità di ricomporre le linee trecentesche, rinunciando al rifacimento della veste barocca, ma anche all'ipotesi di conservarla allo stato di rudere. Il caso di Santa Chiara ispira una più ampia riflessione teoretica sul restauro, che costituisce un importante contributo per la definizione del restauro critico o di necessità. Nel secondo capitolo, relativo al ponte S. Trinità a Firenze, auspica che venga ricostruito com'era. Il ponte Santa Trinita a Firenze [Ammannati 1566/1569] viene minato dai tedeschi in ritirata [4 agosto 1944]. Nel 1946, Roberto Pane si dichiara favorevole alla ricostruzione del ponte così com'era e dov'era pur consapevole di porsi all'esterno di una coerente valutazione estetica e di una corretta prassi restaurativa. E' ricostruito [1955 /58] da R. Gizduliche E. Brizzi, mediante anastilosi, sulla base di documenti scritti e grafici, optando per gli stessi materiali, per lo stesso sistema costruttivo, stesse decorazioni, e particolari, restituendo anche le anomalie e le irregolarità originarie. RESTAURO DELLA CATTEDRALE DI TEANO(1946) Roberto Pane è incaricato del restauro della Cattedrale di Teano (CE), gravemente danneggiata durante il secondo conflitto mondiale. I lavori, conclusi nel 1957, consisteranno in una vera e propria ricostruzione, in grandissima parte ex novo, relativa in particolare alla facciata, all'interno e alla cupola. RESTAURO DEL TEMPIO MALATESTIANO Danneggiato gravemente da quattro bombardamenti tra il 1943 e il 1944, il Tempio Malatestiano di Rimini, realizzato da Leon Battista Alberti a partire dal 1450 sulla preesistente chiesa di San Francesco, viene ricostruito tra il 1946 ed il 1950. Dal 1948 Roberto Pane partecipa con G. De Angelis d'Ossat, E. Lavagnino, D. Levi, M. De Vita e il soprintendente Capezzuoli ad una commissione ministeriale per il restauro. Dopo un'attenta valutazione critica, Roberto Pane sostiene l'opportunità di procedere allo smontaggio e rimontaggio dei conci in pietra d'istria del paramento albertiano, non soltanto per ragioni di ordine statico, ma anche per risolvere un grave squilibrio estetico prodotto dai danni delle bombe. In parziale dissenso con De Angelis d'Ossat, invita tuttavia a ridurre lo smontaggio a parti limitate della fabbrica, esigendo un preventivo rilievo 1:20 dello stato della facciata, allo scopo di rispettare nel rimontaggio tutte le «grossolanità e le approssimazioni che erano presenti nella esecuzione primitiva». 5: TUTELA DEI CENTRI ANTICHI E DEL PAESAGGIO La dialettica tra l'antico e nuovo A partire dai primi anni '50, con il progressivo dilagare della speculazione edilizia nelle città italiane, il dibattito architettonico è fortemente segnato dal tema del rapporto tra antico e nuovo negli antichi tessuti. Nel 1953 il dibattito sull'inserimento del nuovo nell'antico è segnato dalla presentazione del progetto di Frank Lloyd Wright per la fondazione Masieri a Venezia, dedicato alla memoria di Angelo Masieri, tragicamente scomparso l'anno prima. La dialettica tra antico e nuovo F.L. Wright, progetto per il Masieri Memorial sul Canal Grande (1958). La cultura architettonica italiana si spacca in due: -Antonio Cederna è contro l'inserimento del moderno nel tessuto veneziano -Roberto Pane è tra i primi a sostenerlo, seguito più tardi anche Ernesto N. Rogers e Bruno Zevi. Dopo alcuni mesi, la polemica si concluderà con la bocciatura definitiva del progetto. Lezione 13-04-2021 Cesare Brandi e la carta di Venezia L'attività internazionale per la protezione dei monumenti e delle opere d'arte iniziata con la carta di Atene del 1931, si interrompe drasticamente con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale [1939-1945]. CESARE BRANDI Definisce il restauro <<il momento metodologico del riconoscimento dell'opera d'arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della trasmissione al futuro>>. STATUA EQUESTRE DI DOMIZIANO NERVA L'intervento conservativo sui frammenti bronzi rinvenuti nel 1968 a Miseno assume un nuovo e più ampio significato Grazie all'invenzione, propriamente di restauro, del supporto espositivo, opera dell'architetto martellotti, fondato su una concezione realmente critica e creativa del RESTAURO. CESARE BRANDI - lacunaInterruzione del testo figurativo (Gestalt) 1: metodo della tinta neutra: è sufficiente, perché comunque influenza la distribuzione cromatica del dipinto 2: occorre fare in modo che la lacuna diventi fondo su cui il dipinto e figura. A tale scopo occorre renderla distinguibile (rigatino o tratteggio) : ricostruzione dell'Unità figurativa giocando sul colore, sul tono, sulla luminosità e sull’arretramento del piano della lacuna stessa. Vergine col bambino, 1977, Tuscania : reintegrazione delle lacune, in fase di esecuzione, con la tecnica del 'tratteggio' o 'rigatino'. I: il concetto di restauro 1: concetto di restauro: intervento volto a rimettere in efficienza un prodotto dell'attività umana. 2: tipologie di restauro: - relativo a manufatti industriali: restituzione, ripristino della funzionalità; - relativo alle opere d'arte: riconoscimento della stessa nella coscienza. 3: opera d'arte si offre alla conoscenza con una bipolarità: -istanza estetica: artisticità per cui L'opera è opera aspetto preminente all'atto del riconoscimento) -istanza storica: prodotto umano attuato in un certo luogo e in un certo spazio 4: conservazione: -può essere effettuato in svariati modi, purché basati sussidi scientifici. Fondamentale e conservare al futuro il manufatto per cui la consistenza fisica acquista un'importanza primaria: 'si restaura solo la materia dell'opera d'arte' II: la materia dell'opera d'arte 1: concetto di materia: Bisogna definire che cosa costituisca la materia rispetto all'immagine, che cos'è la materia; Qual è la sua Costituzione fisica. 2: materia: quanto serve per l'epifania dell'immagine: essa non è solo consistenza materiale, nell’opera d'arte, ma è accompagnata all'atmosfera, dalla luce in cui è inserita. III: l'unità potenziale dell'opera d'arte 1: concetto di unità 2 punti come intero e non come tale, che implica che l'unità sia data da più parti che compongono l'opera d'arte (strutturalismo) 2: unità dell'intero: non deve essere recepita come unità organica o funzionare, ma limitando la sostanza conoscitiva dell'immagine, il suo valore semantico, a quello che ne dà l'immagine e non oltre. 3: l'unità dell'opera d'arte: -l'opera non può consideranti composta da più parti e quindi, se è fisicamente frantumata, dovrà continuare a esistere 'potenzialmente' come tutto. - Poiché ogni opera d'arte indivisibile, quando essa risulta realmente divisa, si dovrà cercare di sviluppare la 'potenziale unità originaria' 4: unità potenziale dell'opera d'arte: -deve essere ristabilita in base all'istanza storica ed estetica, con integrazioni sempre riconoscibili ad una visione ravvicinata, e invisibili ad una distanza che consenta di cogliere l'insieme. -La materia d'arte è insostituibile, solo le strutture portanti ed i supporti possono essere sostituiti. -Ogni intervento di restauro deve facilitare eventuali operazioni future. IV: il tempo riguardo all'opera d'arte e al restauro 1: tempo rispetto all'opera d'arte si divide in tre momenti: -Durata : mentre l'opera viene formulata dall' artista creatore. -Intervallo: tra la fine del processo creativo è il momento in cui la nostra coscienza attualizza in sé l'opera d'arte. -Attimo: in questa folgorazione nella coscienza ovvero momento della ricezione personale. 2: tempo rispetto al restauro: in nessun modo l'intervento di restauro può avvenire nel momento della durata, sarebbe il reinserimento nel momento creativo, la 'rifusione dell'immagine in un'altra immagine' , sarebbe 'la più grave eresia del restauro(...) , il restauro di fantasia' . Né tantomeno può venire nell'intervallo, in quanto significherebbe effettuare il restauro di ripristino, che vuole abolire in quel lasso di tempo. V: il restauro secondo l'istanza di storicità 1: rudere duepunti inteso come cosa che è testimonianza dell'Opera umana o che conserva un potenziale storico. Come tale può essere interessato solo da interventi di consolidamento e conservazione dello status quo, oltre che da interventi indiretti volte alla conservazione dello spazio ambiente in cui è inserito. 2: aggiunte: rappresentando una testimonianza del Fare umano, anno, secondo l'istanza storica, un valore storico, e quindi vanno conservate, mentre le rimozioni, per quanto rappresentino un gesto voluto, cancellano un segno e non documentano se stesse, per cui, se effettuate, vanno giustificate e devono lasciare traccia di se stesse. 3: patina: non rappresentando il prodotto di un fare, potrebbe essere eliminata, ma cancellare l'antichità di un monumento significa renderlo falso. Quindi è d'obbligo la sua conservazione. 4: rifacimenti: tendono a riplasmare l'opera, a ricrearla, rappresentano il segno del fare umano, ma hanno comunque la pretesa di abolire un lasso di tempo. VI: il restauro secondo l'istanza estetica 1: Rudere: può essere considerato come opera d'arte priva di unità potenziale. Anche secondo l'istanza estetica IL rudere deve rimanere tale, ovvero essere sottoposto ad interventi di conservazione e non integrazione. 2: Aggiunte: l'eliminazione potrebbe far riemergere segni più significativi di quelli aggiunti, potrebbe consentire di ritornare a l'unità originaria, oltre che a quella potenziale. 3: Patina: andrebbe rimossa in quanto aggiunta, ma non è così dal punto di vista storico. Essa non va però semplicemente vista come un segno di invecchiamento, in quanto spesso può costituire un arricchimento estetico, quale " impercettibile sordina" posta dal tempo al invadente novità della materia. 4: Rifacimenti: sia nel caso in cui aggiungano una nuova unità artistica, sia che compromettano, con la loro eventuale demolizione, l'unità potenziale del manufatto, devono essere conservati. VII: lo spazio dell'opera d'arte 1: esame dello spazio 2 punti per definire quale spazio debba essere tutelato dal restauro. 2: opera d'arte: ha una sua spazialità, in quanto figuratività, che va ad inserirsi in un contesto spaziale (spazio fisico) 3: intervento: che deve tendere ad assicurare che le condizioni spaziali dell'Opera non siano ostacolate entro lo spazio fisico Carta di Venezia 1964 Carta internazionale sulla conservazione del restauro dei monumenti e dei siti. IIcongresso internazionale degli architetti e dei tecnici dei monumenti storici, Venezia 1964, adottato da ICOMOS 1965_ La carta di Venezia un documento redatto nella città lagunare con l'intento di fissare alcune linee guida capaci di costituire un quadro di riferimento internazionale per disciplinare le modalità con cui condurre interventi di conservazione e Restauro di monumenti e manufatti architettonici nonché di siti storici e archeologici. Lezione 20-04-2021 1970/1990 IN ITALIA: LA CARTA DI VENEZIA, LA CARTA DI FIRENZE La base teorica del restauro hai fatto come critico è basata sulla seguente considerazione: il restauratore ha il compito di riconoscere il valore artistico del Monumento attraverso un giudizio critico per poi liberare immagine dell'Opera, ovvero gli elementi figurativi che ne esprimono lo spirito, attraverso un atto creativo. Grande valore assume quindi la componente creativa facendo emergere la figura del restauratore come un artista dotato di perizia tecnica e soprattutto di inventiva. La posizione filologica che considerava il monumento come testimonianza storica ignorandone la valenza artistica diviene inaccettabile: per Cesare Brandi " l'opera architettonica è un documento storico ma anche un atto che esprime un mondo spirituale capace di assumere un significato che diventa prodotto speciale dell'attività umana". [Cesare Brandi, Teoria del restauro] CARTA DI VENEZIA [1964] -Carta internazionale sulla conservazione ed il restauro dei monumenti e dei sitiLa carta di Venezia è un documento redatto nella città lagunare con l'intento di fissare alcune linee guida capaci di costituire un quadro di riferimento internazionale per disciplinare le modalità con cui condurre interventi di conservazione e restauro di monumenti i manufatti architettonici nonché di siti storici e archeologici. DEFINIZIONI ART1. La nozione di monumento storico comprende tanto la creazione architettonica isolata quanto l'ambiente urbano o paesistico che costituisca la testimonianza di una civiltà particolare, di un'evoluzione significativa o di un avvenimento storico. Questa nozione si applica non solo alle grandi opere ma anche alle opere modeste che, con il tempo, abbiano acquistato un significato culturale. ART2 La conservazione ed il restauro dei monumenti costituiscono una disciplina che si vale di tutte le scienze e di tutte le tecniche che possano contribuire allo studio ed alla salvaguardia del patrimonio monumentale. SCOPO ART3 La conservazione ed il restauro dei monumenti mirano a salvaguardare tanto l'opera d'arte che la testimonianza storica CONSERVAZIONE ART4 La conservazione dei monumenti pone innanzitutto una manutenzione sistematica. ART5 La conservazione dei monumenti è sempre favorita dalla loro utilizzazione in funzioni utili alla società: una tale destinazione è augurabile ma non deve alterare la distribuzione e l'aspetto dell'edificio. Gli adattamenti presi dall'evoluzione degli usi e dei costumi devono comunque essere contenuti entro questi limiti. ART6 La conservazione di un monumento implica quella delle sue condizioni ambientali. Quando sussista un ambiente tradizionale, questo sarà conservato; verrà Inoltre messa al bando qualsiasi nuova costruzione, distruzione e utilizzazione che possa alterare i rapporti di volumi e colori. ART7 Il monumento non può essere separato dalla storia della quale è testimone, né dall' ambiente dove esso si trova. Lo spostamento di una parte o di tutto il monumento non può quindi essere tollerato sia che la salvaguardia di un monumento lo esiga o se esso sia giustificato da cause di notevole interesse internazionali o nazionali. ART8 Gli elementi di scultura, di pittura o di decorazione che sono parte integrante del monumento, non possono essere separati da esso dato che questo è l'unico modo che assicuri la loro conservazione. RESTAURO ART9 Il restauro è un processo che deve mantenere un carattere eccezionale. Il suo scopo è di conservare e di rivelare i valori formali e storici del monumento e si fonda sul rispetto della sostanza antica e delle documentazioni autentiche. Il restauro deve fermarsi, dove ha iniziato l'ipotesi: qualsiasi lavoro di completamento, riconosciuto indispensabile per ragioni estetiche e teoretiche, deve distinguersi dalla progettazione architettonica e dovrà recare il segno della nostra epoca. Il restauro sarà sempre preceduto è accompagnato da uno studio archeologico e storico del monumento. ART10 Quando le tecniche tradizionali si rivelano inadeguate, il consolidamento di un monumento può essere assicurato, mediante l'ausilio di tutti i più moderni mezzi di struttura e di conservazione, la cui efficienza sia stata dimostrata da dati scientifici e sia garantita dall'esperienza. ART11 Nel restauro dei monumenti sono da rispettare i contributi che definiscono l'attuale configurazione del monumento, a qualunque epoca appartengano, in quanto l'unità stilistica non è lo scopo di un restauro. Quando in un edificio si presentano parecchie strutture sovrapposte, la liberazione di una struttura sottostante non si giustifica che gli elementi rimossi siano di scarso interesse, che la composizione architettonica rimessa in luce costituisca una testimonianza di grande valore storico, archeologico o estetico, e che il suo stato di conservazione sia ritenuto sufficiente. Il giudizio sul valore degli elementi in questione è la decisione sulle eliminazioni da eseguirsi non possono dipendere da solo autore del progetto. ART12 Gli elementi destinati a sostituire le parti mancanti devono integrarsi armoniosamente nell’insieme, distinguendosi tuttavia dalle parti originali, affinché il restauro non falsifichi il monumento, sia nel suo aspetto artistico, sia nel suo aspetto storico. ART13 Le aggiunte non possono essere tollerate se non rispettano tutte le parti interessanti dell'edificio, il suo ambiente tradizionale, l'equilibrio della sua composizione e di rapporti con l'ambiente circostante. AMBIENTI MONUMENTALI ART14 Gli ambienti monumentali devono essere l'oggetto di speciali cure, al fine di salvaguardare la loro integrità ed assicurare il loro mantenimento, la loro utilizzazione e valorizzazione. I lavori di conservazione e di restauro che bisogna eseguiti devono ispirarsi ai principi enunciati negli articoli precedenti. SCAVI ART15 I lavori di scavo devono essere eseguiti conformemente a norme scientifiche ed alla raccomandazione che definisce i principi internazionali da applicare in materia di scavi archeologici, adottata dall'unesco nel 1956. Saranno assicurate il l'utilizzazione delle Rovine e le misure necessarie alla conservazione ed alla stabile protezione delle opere architettoniche e degli oggetti rinvenuti. Verranno Inoltre prese tutte le iniziative che possano facilitare la comprensione del Monumento messo in luce, senza mai snaturare i significati. È da escludersi "a priori" qualsiasi lavoro di ricostruzione, mentre è da considerarsi solo la nastilo si, cioè la ricomposizione di parti esistenti ma smembrate. Gli elementi di integrazione dovranno sempre essere riconoscibili e limitati a quel minimo che sarà necessario a garantire la conservazione del Monumento e ristabilire la continuità delle sue forme. DOCUMENTAZIONE E PUBBLICAZIONE ART16 I lavori di conservazione, di restauro e di scavo saranno sempre accompagnati da una documentazione precisa con relazioni analitiche e critiche, illustrate da disegni e fotografie. Tutte le fasi dei lavori di liberazione, di consolidamento, di ricomposizione e di integrazione, come gli elementi tecnici e formali identificati nel corso dei lavori, vi saranno incluse. Questa documentazione Sara depositata in pubblici archivi e verrà messa a disposizione degli studiosi. La sua pubblicazione è vivamente raccomandata. Hanno partecipato alla commissione per la redazione della carta internazionale per la conservazione e il restauro dei monumenti e dei siti: Roberto Pane, Mario Matteucci, e tantissimi altri. Lezione 11-05-2021 RESTAURO DELL'ARCHITETTURA Il XX secolo 1970/2020 in Italia In questa lezione trattiamo la questione relativa alla carta di Firenze che è una carta del 1983, che viene dopo la carta di Venezia e che si riferisce ai giardini storici. Attualmente questa carta è in fase di revisione critica e in questa lezione vedremo meglio le diverse criticità con tanti esempi. CARTA DEI GIARDINI STORICI DETTA 'CARTA DI FIRENZE' Comitato internazionale dei giardini e dei siti storici ICOMOS-IFLA * Il "Comitato per lo studio e la conservazione dei giardini storici" - istituito presso il Ministero nel 1983 ha proposto la soppressione del termine "ripristino" e in particolare: -all'art. 9, della frase: "Si può eventualmente raccomandare il ripristino"; -all'art. 15, delle parti in corsivo: "Ogni restauro e, a maggior ragione, ogni ripristino di un giardino storico, non sarà intrapreso se non dopo uno studio approfondito che vada dallo scavo alla raccolta di tutta la documentazione concernente il giardino e i giardini analoghi, in grado di assicurare il carattere scientifico dell'intervento"; -all'art. 16, della frase: "Potranno essere più in particolare oggetto di un eventuale ripristino le parti del giardino più prossime a un edificio, alfine di farne risaltare la coerenza". La base teorica del restauro critico è basata sulla seguente considerazione: il restauratore ha il compito di riconoscere il valore artistico del monumento attraverso un giudizio critico per poi liberare l'immagine dell'opera, ovvero gli elementi figurativi che ne esprimono lo spirito, attraverso un atto creativo. Grande valore assume quindi la componente creativa facendo emergere la figura del restauratore come un artista dotato di perizia tecnica e soprattutto di inventiva. La posizione filologica che considerava il monumento come testimonianza storica ignorandone la valenza artistica diviene inaccettabile: per Cesare Brandi «l'opera architettonica è un documento storico ma anche un atto che esprime un mondo spirituale capace di assumere un significato che diventa prodotto speciale dell'attività umana» [vedi C. Brandi, teoria del restauro] Riunito a Firenze il 21 maggio 1981, Comitato internazionale dei giardini storici ICOMOS-IFLA ha deciso di elaborare una carta relativa alla salvaguardia dei giardini storici che porterà il nome di questa città. Questa carta è stata redatta dal Comitato e registrata il 15 dicembre 1981 dall' ICOMOS con l'intento di completare la "Carta di Venezia" in questo particolare ambito. NOTA BENE: Le raccomandazioni erano adatte per l'insieme dei giardini storici del mondo. La Carta di Firenze sarà ulteriormente suscettibile per i diversi tipi di giardini con redazione alla descrizione succinta della loro tipologia. Cosa significa oggi affrontare la discussione della carta di Firenze? Bisogna dire che il concetto di tutela dei Giardini storici in Italia, formalizzato solo con la carta di Firenze del 1981, si può considerare relativamente recente rispetto ai Principi di restauro, dei beni architettonici, pittorici, scultorei, come avevamo visto sviluppatosi Appunto nelle ultime elezioni in Cesare Brandi. Per un lungo tempo, Soprattutto negli ultimi decenni, il giardino o il parco pubblico, come quello di Caserta, di Capodimonte o il parco pubblico di Napoli, sono stati Spogliati dalla veste di rappresentanza e importanza funzionale dell'estetica che gli era stato attribuito durante il corso della storia. In questo modo è stato anche dimenticato il valore dell'eredità ricevuta che purtroppo ha vissuto dei momenti di totale abbandono, situazione in cui versano ancora molti giardini come la villa comunale di Napoli; lo stesso giardino inglese della Reggia di Caserta solo adesso sta rivivendo alcune attente opere di manutenzione ordinaria e straordinaria. Quindi questo atteggiamento di abbandono, inaccessibilità, devastazione paesaggistica, delle volte ha causato la perdita totale o parziale di numerosi esempi, relative appunto ai giardini e parchi storici, non solo nel senso di una riduzione dell'aria verde, cosa che è capitata con la speculazione edilizia degli anni 60, ma anche nell'accezione di una perdita d'identità propria dell'ambiente, non visto più come un Focus amemus capace di affascinare i visitatori, o di catturarlo addirittura in quella intima profondità e spontaneità della natura, secondo anche la concezione del Romanticismo settecentesco di cui successivamente vedremo le immagini a rilievo del progetto di restauro e configurazione del giardino inglese della Reggia di Caserta. Giardnoi inglese nel Parco reale di Caserta, 1786 Va detto che, per molto tempo, l'interesse dei cittadini e degli enti di tutela è stato rivolto più ai monumenti propriamente detti, ad esempio il palazzo reale di Caserta, allo stesso modo il dibattito accademico è stata certamente più attento l'aspetto naturalistico e, in alcuni casi sono stati considerati come patrimonio di secondaria importanza. Laddove si acquisiva la manutenzione e il restauro dei beni artistici, architettonici e archeologici, di solito però veniva trascurata quella necessità di un'adeguata manutenzione degli elementi naturalistici, sia nelle città che nelle periferie urbane; elementi naturalistici che costituivano essi stessi un'importante fonte di ornamento del tessuto urbano, frutto in molti casi di un profondo studio. Va detto anche che spesso, in passato, anche il restauro storico perdeva di organizzazione quando si vedevano rifiorire i complessi architettonici, nati, pensati e disegnati ad hoc in spazi anonimi come espressione dello stretto rapporto che deve esistere tra civiltà e natura. Anche se un dibattito sistematico sul tema della sistemazione e valorizzazione dei Giardini storici che si è sviluppato come precedentemente detto, intorno alla metà degli anni 60/70, si può dire che l'interesse sistematico per i giardini e parchi storici abbia iniziato a farsi strada solo nell'ultimo periodo e sicuramente grazie anche alla carta di Firenze che oggi cerchiamo di analizzare, proprio con un graduale affermarsi di una consapevolezza che parte giardini sono parte integrante del patrimonio storico-culturale , testimoniale, ambientale del nostro paese. Come possiamo vedere non basta rivolgere l'attenzione verso questo patrimonio per salvaguardarne l'integrità simbolica rappresentativa, come è il caso del restauro architettonico, attraverso l'analisi storicobiografica e archivistica, tutta una ricerca che diventa poi nel loro insieme, delle tessere fondamentali da coniugare insieme prima di agire sul bene inteso come mosaico e arrivare poi a delle proposte come quella della per l’aperia reale dello stesso prof Giordano che mette in scena una nuova vitalità anche per la componente vegetazionale e soprattutto dà gloria al restauro architettonico che si avvale di poche cose, in questo caso il ripristino del parterre verde, con delle aiuole circolari all'interno di quella che attualmente è la cava del teatro. Nonostante non manchi di collegare sul piano teorico la tutela dei Giardini con quella più generale degli altri beni culturali, spesso in passato, anche il personale preposto alla pianificazione, controllo, alla gestione del patrimonio storico dei Giardini, e privo delle competenze specifiche, del botanico, dell’architetto del paesaggio, dell'agronomo, riconosciute oggigiorno invece come indispensabili per assicurare ai giardini storici le necessarie cure ed una corretta amministrazione. Coerentemente va detto che la politica urbanistica nata nel dopoguerra e protrattasi fino a pochi decenni fa, volta anche alla ricostruzione del paese, attraverso tutto quello che viene fatto dopo la carta di Atene, soprattutto da Cesare Brandi, è stata una cultura che ha comunque causato gravi ferite al paesaggio attraverso anche tramite la costruzione di aree residenziali e opere pubbliche e infrastrutturali ed ha assorbito nella città in rapida crescita, molti giardini cresciuti in aree collinari e costiere, ed altre volte addirittura lottizzando e quindi destinando all'edificazione, molte volte selvaggia. Proprio con l'avvento della zonizzazione e degli standard urbanistici, con l'intento di evitare l'uso indiscriminato del suolo e che consiste nell'individuare e vincolare delle parti del territorio per destinazione, la necessità di lasciare delle aree a parchi e giardini ha spesso favorito allo sfruttamento di giardini storici piuttosto che alla loro valorizzazione che sono state ridotte al quantitativo. Di fatto vediamo che la mancanza di cura nei riguardi del giardino storico non diventa l'unica minaccia per questa tipologia di patrimonio che ha subito anche interventi inappropriati, che non permettono di conoscere e valorizzare con delle informazioni adeguate, attraverso delle attività che possono mettere in evidenza i veri caratteri, le specifiche identità, le prospettive della bellezza e gli stessi valori botanici, architettonici, storici come ad esempio la villa comunale di Napoli progettata da Carlo Vanvitelli che ad oggi versa in uno stato di degrado. Villa comunale di Napoli A questo proposito non si può trascurare un ultimo tema, cioè quello dell' uso del giardino storico come opera d'arte e non come spazio funzionale alla moderna vita urbana. Questo è un altro aspetto di vitale importanza e cioè quello che appartiene all'uso e alla gestione del giardino storico col rapporto che questi beni possono instaurare con la società contemporanea, con la nostra cultura e con le attuali esigenze. Bisogna inoltre sottolineare che molti Giardini storici sono nati come parchi privati, annessi a Villa, a palazzi reali e che adesso sono diventati pubblici, pur non avendo quelle caratteristiche di spazi adatti all'uso collettivo e quindi rivestendo anche un diverso ruolo culturale e sociale degli antichi periodi storici, e quindi gli utilizzi di massa se pure entrano in contrasto con la tessitura che caratterizza il complesso del giardino storico, ha bisogno di trovare dei punti di mediazione. È importante anche sottolineare la conoscenza delle specifiche caratteristiche del giardino, e quindi bisogna conoscere affinché il bene ex privato adesso pubblico non diventi bene di consumo e in questo caso il restauratore non ha soltanto il dovere di assumere una consapevolezza piena dell'Opera architettonica che si trova di fronte ma anche quello obbligo morale di rivitalizzarla nel rispetto della sua essenza, della sua origine e delle sue particolarità che non devono essere messe a servizio dello sfruttamento della collettività accostando l'idea del giardino del passato all'idea di uso quali siamo soliti concepirla nel nostro presente soprattutto quando le ipotesi d'uso sono subordinate ai fruitori e adattando l'opera d'arte a quelle esigenze contemporanee di uso intensivo dei luoghi. L'unico uso possibile del giardino storico, si dice che è un uso di tipo storico o quantomeno da storici, nel senso che non dovrebbe riguardare solo coloro ai quali sono effettivamente interessati al recupero dei contenuti simbolici narrativi presenti in queste creazioni del passato. Si diceva che questi contenuti non potessero essere attualizzati ma che vanno invece mantenuti accuratamente nella loro dimensione storica, e questa affermazione è un'affermazione della carta di Firenze, anche un po' superata perché abbiamo capito che questo "imbalsamare" l'oggetto architettonico non riesce a tutelare il patrimonio dato che esso deperisce e all'interno degli oggetti storici ci vuole anche un uso che naturalmente deve essere un uso connaturato alle specificità. Per quello che riguarda nella cosiddetta area dell'Orto botanico del giardino inglese è stata riproposta la piantumazione delle aiuole originarie di rose con la scuola di semi e sementi all'interno della scuola botanica. È proprio questo il senso delle precedenti osservazioni e cioè l'uso del giardino storico deve essere controllato affinché non diventi qualcosa di troppo impattante, ma il fatto che si tratti di spazi aperti non autorizza ad un utilizzo semplicemente storico del bene ma può essere immediato ed interpretato proprio come avviene per il patrimonio architettonico ad esempio della Reggia di Caserta dove ci sono delle mostre e si visitano sia opere del Settecento ma anche quelle contemporanee, di arte moderna, quindi perché i giardini non devono assumere questa connotazione? Perché per esempio, il sistema come quello della scuola botanica non può diventare un sistema di ausilio ad una utilizzazione del giardino inglese? Oltre all'interesse nel rapportarsi di questi beni, ad un conseguente studio che ne deriva, non bisogna pensare solo ai giardini storici come verde ma anche come animali che lo vivono come ad esempio le carte nel laghetto o l'upupa è cioè un uccello rarissimo. Noi quindi dobbiamo far riferimento a questo e cioè alla natura, lettura ma anche a quelli che sono gli elementi vivi come uccelli, pesci, farfalle, api, sono tutti elementi vivi, vegetazionali, artificiali che consentono di ottenere una sorta di riappropriazione di quelle Eden paradisiaco purtroppo perduto in virtù di questa prospettiva del verde visto come qualcosa da imbalsamare e mummificare o addirittura come standard quantitativo all'interno dei piani regolatori. È opportuno quindi che una volta recuperato lo splendore di questi vedi e propri Paradisi urbani, la manutenzione e l'uso di questi spazi siano controllati da persone competenti, In grado di garantire la continuità nell'educazione e all'uso del giardino storico. Ma va detto anche che la sensibilità dei cittadini, ma anche degli specialisti del settore, oltre a quella degli enti di tutela tra cui Soprintendenza, ecc, sembra essere volta di un atteggiamento virtuoso nei confronti di questa ricchezza che è stata per lungo tempo travolta proprio a causa della sua iper-accessibilità che in alcuni casi hanno sentito un danno alla totale devastazione e quindi bisogna pensare ad un nuovo modello di gestione, perché questi sono oggetti che vanno visitati nella loro tranquillità come ad esempio il tempietto circolare nel bosco di Lecce, di fronte al Giardino Inglese della Reggia di Caserta, è una delle poche cose che non si vedono spesso, che è qualcosa costruito successivamente al progetto di Ferdinando IV dato che gli fece costruire un labirinto in bosso topiato, dato che si divertiva a far perdere le persone che dovevano arrivare al centro, dove trovavano il tempietto circolare ma poi dovevano avere difficoltà a uscirne perché era inestricabile e lui stava in piedi sopra una torretta in legno ai margini del labirinto e si godeva lo spettacolo. tempietto circolare richiesto da Ferdinando IV con labirinto CARTA DI FIRENZE A: definizione e obbiettivi -Art. 1_Un giardino storico è una composizione architettonica e vegetale che dal punto di vista storico o artistico presenta un interesse pubblico. Come tale è considerato come un monumento. -Art. 2_ Il giardino storico è una composizione di architettura il cui materiale è principalmente vegetale, dunque vivente e come tale deteriorabile e rinnovabile. Il suo aspetto risulta così da un perpetuo equilibrio, nell'andamento ciclico delle stagioni, fra lo sviluppo e il deperimento della natura e la volontà d'arte e d'artificio che tende a conservarne perennemente lo stato. -Art. 3_Come monumento il giardino storico deve essere salvaguardato secondo lo spirito della Carta di Venezia. Tuttavia, in quanto monumento vivente, la sua salvaguardia richiede de regole specifiche che formano l'oggetto della presente Carta. -Art. 4_Sono rilevanti nella composizione architettonica del giardino storico: • • • la sua pianta ed i differenti profili del terreno; le sue masse vegetali: le loro essenze, i loro volumi, il loro gioco di colori, le loro spaziature, le loro altezze rispettive; i suoi elementi costruiti o decorativi; le acque in movimento o stagnanti, riflesso del cielo. -Art. 5_Espressione dello stretto rapporto tra civiltà e natura, luogo di piacere, adatto alla meditazione o al sogno, il giardino acquista cosi il senso cosmico di un'immagine idealizzata del mondo, un "paradiso" nel senso etimologico del termine, ma che è testimonianza di una cultura, di uno stile, di un'epoca, eventualmente dell'originalità di un creatore. -Art. 6_La denominazione di giardino storico si applica sia a giardini modesti, che a parchi ordinati o paesistici. -Art. 7_Che sia legato o no ad un edificio, di cui è allora il complemento inseparabile, il giardino storico non può essere separato dal suo intorno ambientale urbano o rurale, artificiale o naturale. -Art. 8_Un sito storico è un paesaggio definito, evocatore di un fatto memorabile, luogo di un avvenimento storico maggiore, origine di un mito illustre o di una battaglia epica, soggetto di un celebre dipinto, ecc.... -Art. 9_La salvaguardia dei giardini storici esige che essi siano identificati ed inventariati. Essa impone interventi differenziati quali la manutenzione, la conservazione, il restauro. Si può eventualmente raccomandare il ripristino. L'autenticità di un giardino storico concerne sia il disegno e il volume delle sue parti che la sua decorazione o la scelta degli elementi vegetali o minerali che lo costituiscono. B: manutenzione, conservazione, restauro, ripristino -Art. 10_Ogni operazione di manutenzione, conservazione, restauro o ripristino di un giardino storico o di una delle sue parti deve tener conto simultaneamente di tutti i suoi elementi. Separandoli le operazioni altererebbero il legame che li unisce. Manutenzione e conservazione -Art. 11_La manutenzione dei giardini storici è un'operazione fondamentale e necessariamente continua. Essendo la materia vegetale il materiale principale, l'opera sarà mantenuta nel suo stato solo con alcune sostituzioni puntuali e, a lungo termine, con rinnovamenti ciclici (tagli completi e reimpianto di elementi già formati). -Art. 12_La scelta delle specie di alberi, di arbusti, di piante, di fiori da sostituire periodicamente deve tener conto degli usi stabiliti e riconosciuti per le varie zone botaniche e culturali, in una volontà di mantenimento e ricerca delle specie di originali. -Art. 13_Gli elementi di architettura, di scultura, di decorazione fissi o mobili che sono parte integrante del giardino storico non devono essere rimossi o spostati se non nella misura necessaria per la loro conservazione o il loro restauro. La sostituzione o il restauro di elementi in pericolo devono essere condotti secondo i principi della Carta di Venezia, e dovrà essere indicata la data di tutte le sostituzioni. -Art. 14_Il giardino storico dovrà essere conservato in un intorno ambientale appropriato. Ogni modificazione dell'ambiente fisico che possa essere dannosa per l'equilibrio ecologico deve proscritta. Queste misure essere riguardano l'insieme delle infrastrutture sia interne che esterne (canalizzazioni, sistema di irrigazione, strade, parcheggi, sistemi di custodia di coltivazione, ecc..). Restauro e ripristino -Art. 15_Ogni restauro e a maggior ragione ogni ripristino di un glardino storico dovrà essere intrapreso solo dopo uno studio approfondito che veda dallo scavo alla raccolta di tutta la documentazione concernente il giardino e i giardini analoghi, in grado di assicurare il carattere scientifico dell'intervento. Prima di ogni intervento esecutivo lo studio dovrà concludersi con un progetto che sarà sottoposto ad un esame e ad una valutazione collegiale. -Art. 16_L'intervento di restauro deve rispettare l'evoluzione del giardino in questione. Come principio non si potrà privilegiare un'epoca a spese di un'altra a meno che il degrado o il deperimento di alcune parti possano eccezionalmente essere l'occasione per un ripristino fondato su vestigia o su documenti irrecusabili. Potranno essere più in particolare oggetto di un eventuale ripristino le parti del giardino più vicine ad un edificio, al fine di farne risaltare la coerenza. -Art. 17_Quando un giardino è totalmente scomparso o si possiedono solo degli elementi congetturali sui suoi stati successivi, non si potrà allora intraprendere un ripristino valido dell'idea del giardino storico. L'opera che si ispirerà in questo caso a forme tradizionali sul sito di un giardino antico, o dove un giardino non era probabilmente mai esistito, avrà allora i caratteri dell'evocazione o della creazione escludendo totalmente la qualifica di giardino storico. C: utilizzazione -Art. 18_Anche se il giardino storico è destinato ad essere visto e percorso, è chiaro che il suo accesso deve essere regolamentato in funzione della sua estensione e della sua fragilità in modo da preservare la sua sostanza e il suo messaggio culturale. -Art. 19_Per natura e per vocazione, il giardino storico è un luogo tranquillo che favorisce il contatto, il silenzio e l'ascolto della natura. Questo approccio quotidiano essere in opposizione con l'uso eccezionale del giardino storico come luogo di feste. Conviene allora definire le condizioni di visita dei giardini storici cosicché la festa, accolta eccezionalmente, possa esaltare lo spettacolo del giardino e non snaturarlo o degradarlo. -Art. 20_Se nella vita quotidiana, i giardini possono tollerare lo svolgersi di giochi tranguilli, conviene comunque creare, parallelamente ai giardini storici, alcuni terreni appropriati ai giochi vivaci e violenti e agli sport, così da rispondere ad una domanda sociale senza nuocere alla conservazione dei giardini e dei siti storici. -Art. 21_La pratica della manutenzione e della conservazione, i cui tempi sono imposti dalle stagioni, o i brevi interventi che concorrono a restituire l'autenticità devono sempre avere la priorità rispetto alle necessità di utilizzazione. L'organizzazione di ogni visita ad un giardino storico deve essere sottoposta a regole di convenienza adatte a mantenerne lo spirito. -Art. 22_Se un giardino è chiuso da mura, non bisogna eliminarle senza le conseguenze dannose per la modificazione considerare tutte dell'ambiente e per la sua salvaguardia che potrebbero risultarne. D: protezione legale e amministrativa -Art. 23_È compito delle autorità responsabili prendere, su consigli degli esperti, le disposizioni legali e amministrative atte a identificare, inventariare e proteggere i giardini storici. La loro salvaguardia deve essere inserita nei piani di occupazione dei suoli, e nei documenti di pianificazione e di sistemazione del territorio. E ugualmente compito delle autorità competenti prendere, su consiglio degli esperti competenti, le disposizioni finanziarie per favorire la conservazione, il restauro e eventualmente la restituzione dei giardini storici. -Art. 24_Il giardino storico è uno degli elementi del patrimonio la cui sopravvivenza, a causa della sua natura, richiede cure continue da parte di persone qualificate. È bene dunque che studi appropriati assicurino la formazione di queste persone, sia che si tratti di storici, di architetti, di architetti del paesaggio, di giardinieri, di botanici. Si dovrà altresì vigilare perché sia assicurata la produzione regolare di quelle piante che dovranno essere contenute nella composizione dei giardini storici. -Art. 25_L'interesse verso i giardini storici dovrà essere stimolato con tutte quelle azioni adatte a valorizzare questo patrimonio ed a farlo conoscere e apprezzare: la promozione della ricerca scientifica, gli scambi internazionali e la diffusione delle informazioni, la pubblicazione e l'informazione di base, stimolo all'apertura controllata dei giardini al pubblico, la sensibilizzazione al rispetto della natura e del patrimonio storico da parte dei mass-media. I giardini storici più importanti saranno proposti perché figurino nella Lista del Patrimonio Mondiale. Lezione 25-05-2021 L'ALBERGO DEI POVERI A NAPOLI L'albergo dei poveri di Napoli fa parte di quella trilogia sociale predisposta da Ferdinando Fuga, Che prevedeva la realizzazione fuori dalle mura aragonesi di tre architetture a grandi dimensioni: l'albergo dei poveri del 1751, il cimitero delle 366 fosse del 1762 e sul lungomare orientale i pubblici granili realizzati nel 1779. Di questi tre edifici costruiti fuori dalle mura aragonesi, l'ultimo ovvero i granili è stato realizzato e poi demolito nel secondo dopoguerra nel 1949-50 circa. È un edificio dove si è depositato il grano per tanti anni. L'albergo dei poveri invece è stato pensato a cinque cortili, oggi appare invece come un edificio a tre cortili poiché la sua costruzione è stata interrotta nel 1816. Risulta quindi ridimensionato da quello che era il progetto iniziale. Visti dall'alto sia l'albergo dei poveri (casa per la vita) che il cimitero delle 366 fosse (casa per la morte) seguono la stessa matrice geometrica e cioè quella del quadrato e anche le stesse proporzioni metriche, infatti la matrice è lunga 80 x 80 m di entrambi. Il progetto originale dell'albergo dei poveri prevedeva questo lungo edificio con 5 cortili, di cui quello centrale composto da una chiesa a pianta Centrale, a croce di Sant'Andrea, dove sarebbero stati ospitati separatamente uomini, bambini, bambine e Donne, e anche nelle quattro navate della chiesa si sarebbero dovuti ospitare uomini, bambini, bambine, donne. La navata principale era una lavata destinata al pubblico della città. Ogni navata è dotata di due ballatoi e in questi ballatoi potevano accedere soltanto gli ospiti che appartengono alla categoria di quella precisa navata. Questo sistema, rapportato poi all'intera fabbrica, rivela che al piano rialzato dell'edificio nella parte delle corti laterali, ci sono i laboratori per uomini, bambini, bambine e Donne, al primo piano i dormitori per Uomini e Donne e al secondo piano i dormitori per i bambini e le bambine. Nel 1995 l'albergo dei poveri si presentava con questo aspetto molto inquietante, tutto tinteggiato di giallo chiamato "giallo Torino" che fu dato a tutte le architetture civili italiane dopo l'Unità d'Italia. Quando i Savoia conquistarono l'Italia nel 1861, per ricondurre alla loro immagine le opere di architettura civili più importanti, Esse vennero tutte tinteggiate di questo colore. L'edificio quindi si presentava inaccessibile, fortemente degradato, al suo interno c'erano depositi di materiale rubato, ecc. L'albergo dei poveri, quindi veniva visto come un luogo completamente isolato dalla città ma completamente calato all'interno della città, quindi si rendeva necessario recuperare alla città questo edificio abbandonato con l'inizio di primi lavori di rilievo architettonico che sono stati elaborati dal 1995 fino al 2000 circa grazie sia al dottorato di ricerca che ad altri collaboratori. Nel 2000 quindi parte questa campagna di riconfigurazione architettonica che riguardava prettamente la cancellazione di tramezzi o di superfetazioni nelle corti laterali e l'albergo dei poveri assume subito un aspetto più simile al progetto di Ferdinando Fuga rispetto a come si mostrava. Naturalmente venne realizzato anche un modello ligneo, lungo 2 m e largo 80 cm, interamente in legno di ciliegio, che però ad oggi risulta essere abbandonato. L'albergo dei poveri risulta essere quindi una macchina di carattere utopistico che, proprio per la sua carica utopica, Poi non si è potuta più realizzare già a partire dal XIX secolo, è stata una macchina realizzata nel 1700 sotto la monarchia quando si sentiva il bisogno di risolvere un problema, i poveri che morivano per le strade, una volta che poi la società è cambiata e cioè che prende l'avvento della rivoluzione industriale, di fatto questa macchina utopica non potrà più funzionare e quindi non si terrà necessario portarla a compimento, nonostante egli sia un chiaro esempio della storia il restauro deve appunto tener conto di questa sua capacità narrativa di un periodo di passaggio nella storia dell'umanità. Ci sono due incarichi di riconfigurazione avuti tra il 2001 è il 2002: nel 2001 c'è la riconfigurazione architettonica dell’ala crollata verso il lato dell' orto botanico mentre nel 2002 c'è stato il restauro architettonico della Corte Centrale dell'albergo dei poveri. L'albergo dei poveri nel 2001 si presentava con una grossa lacerazione nella la causata da una scossa di terremoto che l'ha fatta crollare e che ha causato inoltre anche la morte di 8 anziani che erano lì ricoverati nell'ospizio. Nel prospetto è possibile vedere come la parte basamentale sia caratterizzata da un rivestimento in Piperno Mentre l'ultima fascia superiore dell'albergo dei poveri è caratterizzata nell'essere grigio e Ferdinando Fuga non potendo mettere il Piperno perché è un materiale abbastanza pesante pensò di metterci Il tufo grigio in modo tale da richiamare lo stesso colore, e avere l'effetto desiderato senza applicare lo stesso materiale. Il restauro effettuato nel 2002 riguarda quindi la Corte Centrale dove si è risarcita la parte del cornicione del fregio al di sopra della finestra, si è inserito il ballatoio come elemento dimensionale, con una forma molto sobria e contemporanea, Inoltre L'edificio è stato completamente ripulito dalle stratificazioni, superfetazioni e si sono riaperti i Vani originali. È stata fatta quindi un'operazione di pulizia e anche gli stessi fregi che inizialmente si credeva fossero in pietra lavica, ma dopo la pulitura con l'idropulitrice, è saltato fuori invece questa struttura in pietra di Bellona, la stessa che è utilizzata a Caserta. Naturalmente i colori che sono stati dati restaurando le facciate dell'albergo dei poveri derivano dalla rivisitazione di alcuni documenti conservati nell'archivio storico di Napoli dove si percepisce bene il rosa e l'avorio e da lì appunto nasce l'idea di un restauro cromatico che potesse essere più simile possibile ai colori originali. Ad oggi l'albergo dei poveri non si presenta più con questi colori appunto perché successivamente c'è stato un ulteriore restauro che ha portato poi alla tinteggiatura totale della facciata in bianco. Lezione 08-06-2021 ARCHITETTURA E CONTINUITÀ CASTELLO BARONALE DI ACERRA cronaca di un restauro antico Il Castello Baronale di Acerra è un monumento che vive di stratificazioni, che progettualmente è molto simile al Teatro Romano di "Leptis magna" , appunto perché egli sorge sulle fondazioni di un antico teatro di epoca romana. Il castello vive fasi di crescita successive perché oltre al teatro di epoca romana, il primo intervento fu appunto questo terreno medioevale, poi nel 1500 con un giro di Mura interno, successivamente fu costruito un corpo rinascimentale e successivamente un secondo giro di Mura esterne che si andarono a posizionare sul perimetro esterno dell'Antico Teatro Romano e anche una serie di ambienti settecenteschi, come L'Antico granile. Nel 1800 la città di Acerra ricorda ancora l'impianto romano, l'ecosistema a Cardi e decumani molto chiaro, nel centro città a forma quadrata, con il sistema dei regi lagni che girano attorno all’insediamento urbano, città attraversata dalla strada che va da Napoli a Bari e quindi la stessa città di Acerra diventava un punto Doganale Infatti sul Castello Baronale di Acerra vi sono le insegne di Alfonso D'Aragona e del conte di Lemos e cioè il governatore di Alfonso d'Aragona. È importante sapere che lo stemma di Alfonso D'Aragona e del conte di Lemos sono gli stessi stemmi che possiamo trovare sul prospetto del palazzo reale a piazza Plebiscito e sul Castello di Baia a Baia. Erano quindi i timbri di un sistema di difesa vicereale che andava a sottolineare il dominio di Alfonso D'Aragona sia sul fronte mare del Tirreno, con il Castello di Baia, sia verso il confine orientale, sulla strada che poi proseguiva per le Puglie, e naturalmente nel palazzo rappresentati quel potere che era il palazzo reale a piazza Plebiscito a Napoli. Nel 1960, Come si può vedere la città ha perso i caratteri di Castrum Romano e nel 2014 tutto è dilagato, il sistema della crescita a macchia d'olio è chiara, con un'ulteriore cancrena dello sviluppo della zona industriale nella parte alta, dove oggi c'è il famoso inceneritore. Naturalmente quando noi affrontiamo un’analisi critica di un monumento, vogliamo capire quello che stiamo raccontando e quindi facendo anche un'analisi storica love appunto si può vedere l'Acerra preromana con le fasi di crescita urbana e quindi con questa strada che attraversava un borgo di origine Tosco-Sannita fino al momento in cui invece vieni a definirsi un vero e proprio castrum Romano che ingloba il precedente insediamento. Come è possibile vedere dalla pianta, di fronte il Castello Baronale, nella parte settentrionale, via e un'espansione di carattere vegetazionale e cioè il giardino dei conti Spinelli che costruiscono questo giardino all'esterno delle mura a nord della città e su quel lotto nel 1900 si costruirà un edificio scolastico che nel progetto di restauro e di configurazione è stato molto importante per il progetto stesso di restauro. Il restauro fatto quindi sul Castello Baronale di Acerra è un restauro non solo architettonico ma urbano e la condizione 1935 del Castello non era ottima. Gli elementi in causa sono il parapetto che si affaccia alla città pieno d'erba, il primo muro e attorno al castello stesso un secondo muro. Nel 1998 è iniziata l'operazione di rilievo architettonico molto approfondita caratterizzato dalla presenza di vegetazione ed alle mancanze. Una prima ipotesi di restauro è basata sulla creazione di un ballatoio alla sinistra del portale d'ingresso con annessa l'eliminazione delle scale in tufo che portavano al Fossato adibito a parcheggio sottostante, e nella parte basamentale un intervento di rivestimento del basamento con pietre vulcaniche in quante contrafforti preesistenti al di sotto delle paraste che delimitano il portale centrale, sono realizzate in pietra vulcaniche quindi non avendo trovato lastre nella parte basamentale, si è pensato di continuare a rivestirle con la stessa pietra. È stato pensato anche di ridefinire il parapetto del giro di Ronda appunto Perché esso nella parte anteriore era presente, mentre nei prospetti laterali e posteriori era completamente assente. Inoltre, uno dei primi obiettivi stato appunto quello della ricostruzione integrale del paramento murario in tufo oltre alla ridefinizione del parapetto. Un altro intervento è stato fatto nel giardino interstiziale tra i due muri l'obiettivo era quello di ideare una situazione spiacevole. I lavori di restauro sono terminati nel 2014 e si può vedere il confronto tra il 2008 il 2011 dove nel 2008 il fossato circondante era adibito a parcheggio mentre nel 2014 si ricrea un vero e proprio tappeto verde inteso anche come fascia di rispetto dal Castello Baronale e dalle mura. Il Giardino interstiziale inoltre, situato di fronte ad una scuola, diventa luogo di incontro e di relax per i bambini che attraversano la strada e si vivono l'ambiente. Nel 2004 c'è il primo intervento che tratta solo del portale d'ingresso e del ponte mentre il secondo intervento riguarda l'intera struttura. Il secondo restauro ha interessato anche Le Torrette situate sulle mura che ad oggi si mostrano unite al parapetto dato che esso è bianco e anche Le Torrette sono bianche.