TECNOLOGIE DIGITALI E PROCESSI COGNITIVI L-20 1 Carlo Infante - Tag cloud della Digital Transformation Indice 1. IL LINGUAGGIO E LA TECNOLOGIA..................................................................................................... 3 2. CONVERGENZA DEI MEDIA .................................................................................................................. 6 3. RIVOLUZIONE DEL WEB 2.0 ................................................................................................................... 8 4. INNOVAZIONE ADATTIVA................................................................................................................... 10 5. URBAN EXPERIENCE ............................................................................................................................ 13 6. PERFORMING MEDIA .......................................................................................................................... 15 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 19 2 Carlo Infante - Tag cloud della Digital Transformation 1. Il linguaggio e la tecnologia In questa area tematica della ricognizione sulla digital transformation si percorre la via d’accesso culturale ed educativa alle tecnologie digitali, sorvolando i temi trattati nelle lezioni: mediamorfosi della scrittura, il medium è il messaggio, dal mass media al personal media, sviluppo di Internet, interattività, ipermedialità, connettività, interfaccia come soglia, ipermedialità combinatoria, edutainment, cittadinanza educativa, cooperazione ludico-educativa in rete, culture digitali, etica open source. Il nostro cervello è come un mixer: coniughiamo un'informazione ad una immagine e a un'emozione già vissuta con una dinamica associativa straordinaria. È ciò che definiamo processo cognitivo. Dopotutto qualsiasi percezione sensoriale viene tradotta dal cervello e transcodificata, interpretata. Il fatto che ora, attraverso le nuove tecnologie della comunicazione multimediale, certi procedimenti si stiano formalizzando all'esterno del nostro corpo, non è altro che una tappa ulteriore dell'evoluzione umana. È già successo con il libro, poi con il cinema, ora con l'ipermedialità, secondo un processo progressivo di mediamorfosi della scrittura. La condizione digitale, già con l’ipertesto, e ancor più con lo sviluppo del web ha ridefinito il concetto di scrittura. È sempre più ibrida: si confonde con l’energia propria dell’oralità per andare oltre le specificità sedimentate in secoli di perfezionamento di una tecnologia che è passata dalla mera funzionalità di gestione della memoria degli ordinamenti (religiosi, politici ed economici) a quella creativa della produzione d’immaginario, nelle diverse forme della poesia, della prosa, delle sceneggiature ed ora del web. Quando Marshall McLuhan espresse il concetto "il medium è il messaggio", nel 1967, i mass media non avevano ancora impattato le coscienze di tutti. In quell'assioma si rileva quanto sia importante la specifica struttura comunicativa di ogni medium, a tal punto da non renderlo neutrale, non solo mezzo di comunicazione ma significante di per sé. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 19 3 Carlo Infante - Tag cloud della Digital Transformation La nostra evoluzione è direttamente proporzionale all’evoluzione tecnologica e oggi con il web l’idea stessa di televisione cambia, supera la logica dell’uno a molti, propria del broadcast e delle strategie dei mass media, per esprimersi da molti a molti. Inizia ora (anche se il dibattito s’è aperto almeno trent’anni anni fa) l’era del personal media che, attraverso l’interattività del web e oggi del mobile, sta superando l’esclusività dello schermo televisivo, relativizzando il ruolo del mass media nel sistema della comunicazione. Ci sono tre parole chiave che stanno alla base della digital transformation, sono interattività, ipermedialità, connettività. L’interattività riguarda principalmente il corpo in azione nell’ambiente digitale attraverso l’uso di interfacce. L’ipermedialità è l'articolazione dell’ipertesto con più media, quella che sottende le forme non lineari del linguaggio e che sostiene il principio associativo sul quale si basa la nostra memoria. La connettività è il valore che determina la condivisione nell’interrelazione comunicativa. L’interfaccia è ciò che ci permette di attuare l'interattività: è sia lo strumento per intervenire in questo ambiente, con estensioni fisiche (le cosiddette periferiche, come il mouse), sia la soglia da attraversare per entrare in relazione percettiva e cognitiva con lo schermo del computer o di altro device. L'evoluzione ipertestuale permette di combinare tra loro diversi media (visivi, sonori oltre che alfabetici) immette nello spazio interattivo in un assetto ipermediale che esercita soluzioni combinatorie, organizzate in modo reticolare per associazioni continue. Il principio basilare su cui si sviluppa la nostra intelligenza è quello della connettività neuronale attraverso le sinapsi del nostro cervello. Il fatto che il web possa essere concepito come un’estensione dei nostri processi cognitivi ispira l’insorgenza di una intelligenza connettiva. La cittadinanza educativa implica di riconoscere il principio fondante del concetto di educazione: un’azione che comporta il fatto di “tirar fuori”, come rivela l’etimo latino educere. Significa fondamentalmente esplicitare conoscenza associata all’esperienza (a partire dalle Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 19 4 Carlo Infante - Tag cloud della Digital Transformation condizioni abilitanti dei processi multimediali) e non solo acquisirla, “mettendo dentro” cognizioni secondo i procedimenti didattici ordinari. Navigare nel web ci trasporta nello spazio-tempo interno della nostra conoscenza (non quella che c’è già ma quella in divenire) e tutto questo tende a creare un nuovo ambientamento cognitivo. Il punto nodale è liberare il miglior potenziale dell'apprendimento, quello della cooperazione ludico-educativa per cui la rete è di certo l'ambiente ideale, senza sottrarre valore all'esperienza di prossimità sociale. L’edutainment è uno dei principi attivi dell’apprendimento nei nuovi ambienti digitali. Questa definizione mixa il termine inglese education (educazione) ed entertainment (intrattenimento) ma il miglior modo per intenderla è in un concetto-chiave semplice: imparare giocando. Si tratta di una tensione pedagogica universale che esiste da sempre, che però si esplicita al miglior grado nell'impatto multimediale. Le culture digitali riguardano l’ambito che s’attesta tra l’invenzione tecnologica e l’impatto sociale dell’innovazione, intesa come applicazione diffusa delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie della comunicazione. Si tratta dello spazio di ricerca in cui vengono sondati i termini culturali, sia sensoriali sia epistemologici, delle nuove tecnologie per tradurle in linguaggi a tutti gli effetti. L’etica open source è una condizione cardine delle culture digitali, ha creato la possibilità di vedere come è fatto un software per migliorarlo nella condivisione e nella sua ottimizzazione, connettendo tra loro diverse competenze e conoscenze. Si è sviluppata grazie a pionieri hacker che hanno partecipato all’invenzione di Internet, creando i primi protocolli di interconnessione che si emanciparono dalla logica gerarchica dei server chiusi nella loro potenza di calcolo circoscritta. Il loro impegno si è poi contraddistinto nel rendere libero il software, aperto e interoperabile. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 19 5 Carlo Infante - Tag cloud della Digital Transformation 2. Convergenza dei media Questa seconda area tematica della digital transformation riguarda le peculiarità dei sistemi interattivi, approfondendo la condizione immersiva del virtuale, per cui si tratta di: interaction design, nuovo paradigma cognitivo, simulazione come apprendimento esperienziale, vertigine immersiva, realtà virtuali, Active Worlds e Second Life, realtà aumentate. L’evoluzione tecnologica del circuito di input-output si svolge sotto il segno della convergenza dei media. Ciò accade sia sulla base di strategie crossmediali sia nell’interaction design, che si è evoluto nell’ambito delle realtà virtuali affinando l’interazione con gli scenari di simulazione tridimensionale per cui si può agire all’interno della visione. L'evoluzione digitale ci pone di fronte a una nuova consapevolezza globale, nel coniugare l'opportunità tecnologica con l'espansione della coscienza umana. Le condizioni abilitanti delle tecnologie ipermediali, interattive e connettive sono tali da delineare un nuovo paradigma cognitivo. È come se si cambiasse la chiave davanti al pentagramma evolutivo, cambiando tutto, o quasi, di registro. È in questo rapporto dinamico che si rifondano le nostre categorie interpretative se non addirittura quegli assetti cognitivi che determinano il nostro rapporto con il mondo, aiutandoci a rendere comprensibile il possibile che ci attende. L’interaction design determina le procedure in un ambiente interattivo, per cui il cosiddetto high tech si sta rivelando sempre più hi touch: si tocca evolvendo l'intelligenza aptica delle mani, ma si può interagire anche con tutto il corpo, con riconoscimenti biometrici e interfacce vocali. Le realtà virtuali hanno rivoluzionato trent'anni fa il rapporto uomo-macchina. Si superò la soglia dell'interfaccia per agire all'interno di una simulazione infografica, ovvero in un ambiente digitale che esiste solo nella memoria di un computer. Ciò è possibile creando una potente esperienza immersiva attraverso un visore stereoscopico e ambienti soggetti ad un'interazione sia con i movimenti del capo, per cambiare i punti di vista, sia del corpo, con diverse periferiche (data-glove o esoscheletri). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 19 6 Carlo Infante - Tag cloud della Digital Transformation Nella vita siamo multisensoriali anche se l'educazione monomediale ci ha abituato a procedere in modo lineare. L’esperienza in una realtà virtuale è disruptive (dirompente), perché in quella vertigine immersiva si riscontra la stessa simultaneità dei piani percettivi dell'esperienza reale, riconfigurando i processi cognitivi nella inedita esperienza della simulazione virtuale. Selezionare le informazioni sulla base di un input percettivo in ambiente virtuale, comporta un nuovo ambientamento nello spazio-tempo della simulazione. Nella simulazione ci si forma per apprendimento esperienziale, misurandosi con le condizioni generative dell'imparare a imparare, sperimentando la reciprocità con i sistemi interattivi. Mondi Attivi (la versione italiana di Active Words) ha sviluppato, già nei primi anni del 2000, un sistema di formazione on line che ha coniugato la realtà virtuale in rete con chat e Voice IP, coniugando l’immediatezza di una telefonata con l'immersione tridimensionale. Second Life qualche anno dopo arriva con un simile, ma più seducente, multi-user virtual environment (ambiente virtuale multiutente) che impatta globalmente. In molte applicazioni (non in tutte) di ciò che viene definita realtà aumentata (augmented reality) si rileva un dato emblematico: la realtà virtuale con le sue simulazioni tridimensionali si remixa con la realtà percepita in tempo reale. Ciò comporta un'ulteriore complessità, per cui i nostri processi cognitivi devono alternare l'assetto immersivo nella simulazione a quello nello scenario reale che si sta osservando. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 19 7 Carlo Infante - Tag cloud della Digital Transformation 3. Rivoluzione del web 2.0 Il XXI secolo si è aperto con una rivoluzione non solo tecnologica ma antropologica, liberando un potenziale partecipativo che aperto la strada ai social network, per cui qui si tratta l'avvento dei social media, i blog in cui si diventa autori di sé stessi, rivelando che l'informazione siamo noi, e poi l’instant blogging, disintermediazione, web come nuovo spazio pubblico, reputation capital, long tail, la nuova rete del valore, open innovation. Il web 2.0 è stato una rivoluzione culturale da cui è nata una nuova era che ha rimodellato sia la società sia i mercati, dopo il crash della new economy che cercava in Internet un nuovo settore editoriale. L'idea dei portali telematici che cercavano di portare in rete i modelli dei massmedia fallirono e il web si è rilanciato diventando piattaforma partecipativa, a partire dai blog. La parola blog nasce dal mix tra web e log che significa diario. In questa parola semplice si condensa la genialità del web 2.0 che dopo la grave crisi economica del 2001 rinasce sulla base della spinta autonoma degli utenti. Sembra una favola ma è la realtà. Un gesto culturale rimette in pista un assetto tecnologico che si rivelerà il cardine economico del pianeta, più del petrolio. È sull'onda montante del web 2.0 che inizia un protagonismo degli utenti in rete, aprendo la strada ai social media. Ambienti digitali che diffondono in modalità esponenziale la comunicazione web, con una connotazione partecipativa che cambia le regole del gioco. Dal 2003 la pista è battuta da MySpace che nell'arco di pochi anni sarà soppiantata da Facebook. Nel flusso dei social media, la profilazione degli utenti in rete con il loro orientamento ai consumi, rende evidente che la compravendita non riguarda più solo le merci tradizionalmente dette, ma le informazioni che produciamo nella scia lasciata nel web. Il prodotto siamo noi. Tra il mondo dei blog e l'avvento dei social media c'è il fenomeno dell'instant blogging (definito anche microblogging) che ricombina la scrittura soggettiva propria del blog con una sorta di messaggistica istantanea. In questo ibrido, espresso al miglior grado da Twitter, si crea una Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 19 8 Carlo Infante - Tag cloud della Digital Transformation situazione di straordinario impatto mediale grazie allo sharing, evoluto nella pertinenza tematica grazie agli hashtag. La disintermediazione, concetto che comporta il superamento dell'intermediario con competenze bypassabili, è diventata la condizione principale del web 2.0 in cui gli utenti della rete sono diventati protagonisti. Prende forma il ruolo del prosumer (il produttore-consumatore d'informazione) e, con il tempo, market place digitali come Amazon creano piattaforme in cui si mettono in relazione direttamente venditori e acquirenti, sottraendo progressivamente le figure degli intermediari. L’open innovation è un processo che interpreta l’intelligenza connettiva disseminata dappertutto, promuovendo l’innovazione progettuale in relazione a idee, risorse e competenze tecnologiche che arrivano dall’esterno delle aziende o delle comunità. Il reputation capital è quella reputazione personale che ciascuno di noi porta con sé nella rete attraverso il cosiddetto personal publishing, nei forum, nei blog, nei social network. Il concetto di long tail (coda lunga) coniato da Chris Anderson nel 2004, descrive un modello statistico per cui il successo nel web di un'idea o di un prodotto non si basa solo sull’impatto immediato ma nel corso del tempo, lungo la scia di attenzione che rilascia. Questo aspetto riguarda anche l’asset commerciale per cui la vendita di grandi quantità di un prodotto può essere raffrontata al fatto di vendere poche unità di tanti prodotti diversi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 19 9 Carlo Infante - Tag cloud della Digital Transformation 4. Innovazione adattiva In quest’area tematica si tratta di: intelligenza artificiale, machine learning, sentiment analysis, big data, cloud computing, cyber security, open data, digital divide, technology for all, topologia della rete, smart home, smart grid, internet delle cose, trusted computing e neutralità della rete, swarm intelligence, quantum computing. L'innovazione deve essere adattiva, è una strategia evolutiva. Siamo in un mondo in cui le nuove interrelazioni sociali indotte dall’uso delle tecnologie della comunicazione sono sempre più importanti nello scambio sociale. È proprio questo valore, quello connettivo, che libera un potenziale che i dispositivi devono cogliere, adattandosi. Ciò non è scontato, sta a noi perché accada, anche perché i mercati non si fanno se non si fa società. L’intelligenza artificiale permette la programmazione di sistemi digitali, hardware e software, capaci di interpretare l’intelligenza nella sua articolazione più complessa. Non si tratta solo di intelligenza come capacità di calcolo o di conoscenza di dati astratti e simbolici ma elaborazione di percezioni, cognizioni spazio-temporali e atti decisionali. Il machine learning si occupa di creare sistemi che apprendono o migliorano le performance in base ai dati che utilizzano. La sentiment analysis rappresenta l’ambito di elaborazione del linguaggio esercitato nei processi di estrazione di informazioni in un testo. Vengono adottati diversi metodi sia di analisi computazionale e di interpretazione testuale. I big data sono un mondo di informazione così esteso da richiedere processori e metodi analitici complessi per l'estrazione del valore di pertinenza che si sta rivelando come la materia prima della ricchezza futura. Gli open data (dati aperti) sono quei dati messi a disposizione in una modalità tale da essere aperti e riutilizzabili. I dati liberi possono essere utilizzati e distribuiti da chiunque, in conformità con le regole di attribuzione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 19 10 Carlo Infante - Tag cloud della Digital Transformation Il cloud computing è la distribuzione di servizi di calcolo, come server, risorse di archiviazione, database, rete, software, analisi e relazioni sociali rilasciate in Internet, nel cloud. La cybersecurity permette di difendere da attacchi insidiosi computer, infrastrutture di rete come i server, dispositivi mobili, sistemi elettronici, l’insieme delle reti e i dati che vi sono conservati. L’internet delle cose (internet of things) rappresenta un’evoluzione di Internet, per cui le "cose" si connettono tra loro, comunicando dati relativi a funzioni e informazioni che possono essere condivise. Nel web la topologia di rete è un modello organizzato e finalizzato a rappresentare le relazioni di connettività tra gli elementi costituenti la rete stessa (detti anche nodi). Il concetto di topologia è determinante nel concepire quelle mappe attraverso cui si applicano soluzioni come l’internet delle cose. La smart home si basa sulle modalità della domotica che per tanto tempo ha coniugato l’interior design con l’interaction design che permette di controllare le funzioni di molteplici dispositivi (dagli elettrodomestici alla telesorveglianza) anche da remoto. La smart grid è una rete intelligente, un insieme di reti elettriche e di tecnologie che, grazie allo scambio reciproco d’informazioni, permettono di gestire e monitorare la distribuzione di energia elettrica da tutte le fonti di produzione e soddisfare le diverse richieste di elettricità degli utenti collegati, produttori e consumatori in maniera più efficiente, razionale e sicura. L'ambito di ricerca digitale definito swarm intelligence (l’intelligenza dello sciame) è ispirato dall’osservazione degli sciami, analizzando i vasti insiemi destrutturati di individui che riescono a portare a termine degli obiettivi sfruttando meccanismi di cooperazione. È su questo stesso processo che si basa la procedura in parallelo dei sistemi informatici che utilizzano contemporaneamente tutte le unità di calcolo dei processori disponibili come quelli utilizzati per le smart grid. Il trusted computing significa computazione fidata ed è concepita per rendere più sicuri i dispositivi digitali connessi in rete, per cui si usano chip di controllo che permettono di utilizzare i dispositivi esclusivamente con software "fidato" (trusted). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 19 11 Carlo Infante - Tag cloud della Digital Transformation La net neutrality è il principio per cui la comunicazione digitale non deve essere trattata in modo discriminatorio e lesivo delle libertà personali. Il knowledge management è costruzione e applicazione sistematica della conoscenza per massimizzare l’efficacia legata alla conoscenza stessa di un sistema, sociale o imprenditoriale che sia. La conoscenza assume un ruolo centrale, fonte intangibile di valore in grado di creare vantaggi sia competitivi sia co-operativi. Il concetto di technology for all riguarda il potenziale delle nuove tecnologie per migliorare la qualità della vita e ridurre l’esclusione sociale Il digital divide è il divario che c’è tra chi ha accesso a Internet e chi non ce l’ha. Ne deriva una esclusione dai vantaggi della società digitale. Il quantum computing è una nuova generazione di dispositivi che permettono di gestire i dati non solo attraverso i bit ma con i quantum bit o qubit, elementi più complessi che sfruttano alcune proprietà peculiari della fisica quantistica come la sovrapposizione di stati, l’entanglement e l’interferenza quantistica. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 19 12 Carlo Infante - Tag cloud della Digital Transformation 5. Urban experience Urban Experience è un ambito di progettazione culturale per giocare le città attraverso le pratiche creative del performing media. Una condizione abilitante perché la creatività sociale delle reti possa reinventare spazio pubblico tra web e territorio. Le mappe esperienziali permettono di rilevare non solo ciò che c’è già in un territorio ma ciò che diviene, non solo ciò che c’è da rappresentare ma ciò che viene tracciato dalla partecipazione, dalle azioni e dalle esperienze svolte in un territorio. È questo aspetto evolutivo delle tecnologie che risulta strategico. L’innovazione dopotutto è il valore d’uso sociale e culturale delle opportunità tecnologiche, declinate nelle migliori condizioni possibili per migliorare le nostre condizioni di vita, a partire dalla pre-visione, funzione che da sempre svolgono le mappe. Intendere il web come nuovo spazio pubblico sottende l’evoluzione dell’idea stessa di spazio pubblico, dall’invenzione del teatro nella polis greca alle piazze del rinascimento. È in questo quadro che si inserisce la necessità di progettare format ludico-partecipativi per creare anche nel web le condizioni per attuare dinamiche di cittadinanza educativa in via direttamente proporzionale all’interazione tra reti e territorio. La cittadinanza digitale è sia l’insieme di diritti/doveri che, supportata da tecnologie digitali, tende a qualificare il rapporto tra cittadini, imprese e pubblica amministrazione, sia le condizioni abilitanti per promuovere consapevolezza della società dell'informazione e nuove forme d'iniziativa sociale resilienti. Il changemaking è l'attivazione di processi d'innovazione adattiva per intraprendere sperimentazioni di governance multistakeholder, coinvolgendo sia comunità territoriali sia imprese sociali per affrontare la transizione in corso. In questo contesto sono fondamentali metodi con l'obiettivo di affrontare sia cambiamenti normativi e socio-economici, sia liberare il potenziale delle comunità creative impegnate nell'innovazione sociale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 13 di 19 13 Carlo Infante - Tag cloud della Digital Transformation La resilienza urbana traduce nell’ambito sociale ciò che è stato rilevato nell'ambito della fisica dei materiali, ovvero la capacità di reagire a urti rimodellandosi. Nella psicologia si usa per definire l'adattamento in relazione ad eventi traumatici e da un po' di tempo è fortemente entrata nel dibattito su smart city e smart community. La smart city è una città intelligente che gestisce le risorse in modo sostenibile e performante, mira a diventare energeticamente autosufficiente, ed è attenta alla qualità della vita e ai bisogni dei propri cittadini. È una città intelligente quella che sa interpretare l’innovazione digitale creando le condizioni abilitanti per la partecipazione dei cittadini senzienti e infrastrutture intelligenti, dagli incroci regolati da semafori sincronizzati, ai sistemi di monitoraggio ambientale. A differenza della smart city, la smart community è più fluida e dinamica, tesa verso lo sviluppo dell’innovazione sociale, con lo scopo di migliorare la qualità dei cittadini, coinvolgendoli attivamente. La co-progettazione di particolari forme di governance, tendono ad attivare dei modelli di sviluppo sostenibile del territorio, secondo i principi della resilienza urbana. La geolocalizzazione si basa sulla definizione della posizione geografica nello spazio fisico di un dispositivo digitale, secondo diverse tecniche come quelle del GPS (Global Positioning System). Geolocalizzare è il primo atto, quello conseguente, più importante, è quello della georeferenziare per cui si realizza l'attribuzione di un metadato geografico ad un insieme di dati. Queste applicazioni sono importanti per lo sviluppo di mappe interattive, strategiche per l’innovazione territoriale. La social innovation è una risorsa strategica per chi pensa allo sviluppo della società in termini d’innovazione, coniugando tecnologie e inclusione sociale. La social innovation è fatta di ispirazione ideale, creatività, metodologie di design thinking per la co-progettazione per dare forma alla partecipazione dei cittadini. L’obiettivo è quello di trasformare principi teorici e ricerca nella armonizzazione sociale delle comunità, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 14 di 19 14 Carlo Infante - Tag cloud della Digital Transformation 6. Performing media Intelligenza connettiva Pensiero-azione glocal Politica e la poetica delle reti Ecologia della mente Tutto è già interconnesso Ambienti sensibili Corpo esteso Meme Postumano Il performing media è un campo di ricerca che trova origine nell’ambito delle culture digitali, ma riguarda sempre più la condizione antropologica data dallo sviluppo delle tecnologie abilitanti, di per sé performanti. I nuovi media interattivi, mobili e personalizzati, determinano un nuovo rapporto uomo-macchina, sempre più simbiotico, reso fluido dalla semplicità d’uso e dalla sollecitazione percettiva e sensoriale delle soluzioni evolute dell’interaction design. Questa nuova condizione comporta nuove capacità d'interazione sociale, creative e resilienti, tese a riconfigurare l'uso delle tecnologie digitali come innovazione adattiva, rivolta a valorizzare le forme più evolute di cittadinanza digitale. L’intelligenza connettiva rilancia nel campo dell’iniziativa sociale e culturale la potenzialità espressa dalla connessione propria della rete che induce una dinamica di scambio serrato di informazioni e relazioni tese ad evolversi nell’interattività che presuppone feedback e nell’ipertestualità che espande il sistema informativo su struttura non lineare. In questa connettività si attiva un processo tecnologico che di fatto si traduce in un processo psicologico e una nuova sensibilità che riscopre il senso naturale delle cose naturalmente interconnesse. Tutto è già interconnesso e l’evoluzione digitale, con applicazioni avanzate come l’internet delle cose, ci pone di fronte alla scoperta di ciò che esiste da sempre in natura. Tutto è già interconnesso. Il concetto di performing media è rivelatore rispetto alla potenzialità che esprimono i dispositivi, liberando una condizione abilitante che può qualificare l’interagire umano con gli ambienti digitali. Si parla di osmosi digitale, intesa come reciprocità e compenetrazione, capace di Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 15 di 19 15 Carlo Infante - Tag cloud della Digital Transformation gestire i processi tecnologici in uno sviluppo sostenibile. Si tratta di una particolare presa di coscienza responsabile, secondo le indicazioni dell’innovazione adattiva per cui le tecnologie di commisurano con le strategie di resilienza. Viene definito meme, un’informazione ironica e virale, diffusa sui social media, quasi sempre connotata da un'impronta umoristica. Spesso è la risultante di una di rielaborazione grafica di immagini già riconosciute, come alcune scene di film o di serie televisive. A volte questi sketch grafici esercitano divertenti parodie di opera d’arte e immagini cult dell’immaginario collettivo. Il meme che appare come un semplice bricolage sarcastico nel web ha comunque una genesi decisamente più complessa, risale al 1976 quando Richard Dawkins pubblico “Il gene egoista”. Quel saggio aprì un fronte teorico importante, associando l’unità di informazione culturale definita meme a ciò che è il gene per la genetica. La sua teoria di biologo neodarwinista sostiene infatti che accanto all’evoluzione genetica esiste una un'evoluzione culturale. La nostra storia evolutiva si sviluppa quindi non solo per via genetica, biologica e fisica, ma anche per via memetica, ideologica e immaginaria. Tra le diverse interpretazioni del concetto di postumano si pone attenzione come ci stia cambiando l’evoluzione digitale che, con l'intelligenza artificiale sta divaricando la forbice tra la dimensione umana e quella di un sistema pervasivo che non è più solo allocato nel computer, ma nella complessità delle reti che contemplano la nostra stessa vita. Non si tratta di ipotizzare cyborg (nella integrazione tra cibernetica e organismo) ma di pensare ad un’osmosi digitale dove la nostra consapevolezza arrivi a stabilire una condizione inedita di interazione sensibile con i sistemi digitali, secondo i principi dell’innovazione adattiva. La metodologia del design thinking dinamizza i processi creativi di co-progettazione e sollecita la capacità delle organizzazioni e delle comunità ad affrontare, incrociandole tra loro, criticità e opportunità intervenendo sulle decisioni. L’obiettivo è quello di sviluppare il pensiero creativo, visualizzando con pratiche di action writing il processo collaborativo di progettazione che si basa sui principi dell’intelligenza connettiva. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 16 di 19 16 Carlo Infante - Tag cloud della Digital Transformation Il pensiero-azione glocal è globale come la rete e locale come la soggettività degli utenti che vi agiscono, scrivendo di ciò che fanno nei loro ambiti di riferimento. La parola glocal ha avuto un suo sviluppo negli anni Ottanta in Giappone, poi ripresa dal sociologo inglese Roland Robertson e rilanciata da Zygmunt Bauman, ma è Edgar Morin a definirla nel senso più compiuto. Morin parla di “un pensiero capace di non rinchiudersi nel locale e nel particolare, ma in grado di concepire gli insiemi, adatto a favorire il senso della responsabilità e il senso della cittadinanza”. La parola coniuga globale e locale, nel tentativo di ammortizzare l'urto della globalizzazione che tende ad uniformare in logiche standard, astratte e disumanizzanti, con le peculiarità, sociali, culturali nonché economiche, delle particolarità territoriali. Il corpo esteso si esplicita attraverso le potenzialità dell’interaction design che estende le pratiche del corpo attraverso protesi-interfacce, Un processo di trasformazione che è stato sondato, esplorando i nuovi confini antropologici da performance multimediali che hanno inventato nuove possibilità interattive dei sistemi digitali. Secondo la legge di Moore (l’inventore del microprocessore per Intel) ogni 18 mesi i computer raddoppiano le loro possibilità. C’è quindi da domandarsi: e noi? La questione dell’evoluzione digitale riguarda noi tutti, corpi compresi. Una delle risposte è nell’interazione sensibile, con quelle tecnologie cognitive (dall’alfabeto al web) che in questi secoli hanno scandito la nostra evoluzione culturale. È quindi strategico tradurre la tecnologia in linguaggio, progettando lo sviluppo delle tecnologie come condizioni abilitanti per estendere le nostre possibilità evolutive, inventando azioni creative con cui rilanciare il nostro desiderio di cambiamento. Le pratiche e teorie del performing media sono indirizzate su questo, creando un campo di ricerca che negli ultimi trent’anni s’è sviluppato nell’ambito delle culture digitali. La politica e la poetica delle reti è tesa ad ammortizzare l’urto della pervasività digitale, per cui si corre il rischio di essere controllati e parametrati più sull’offerta tecnologica che sulla propria domanda psicologica di crescita. Per questo è necessaria una strategia culturale che interpreti le nuove tecnologie della comunicazione come opportunità evolutiva. Opportunità attraverso cui liberare un’energia creativa secondo il principio della via ludico-partecipativa alla cittadinanza Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 17 di 19 17 Carlo Infante - Tag cloud della Digital Transformation digitale. Per interpretare le potenzialità di un sistema-Paese che sappia fare della Società dell’Informazione una società della conoscenza basata sulla partecipazione attiva e consapevole, per fare dell’opportunità digitale un bene comune. Le tecnologie abilitanti della partecipazione esprimono una condizione che va al di là delle diverse forme di governance amministrativa e di democrazia rappresentativa, per liberare un ruolo attivo che per troppo tempo è rimasto inespresso. Una città, il suo essere spazio pubblico, ha bisogno delle idee e delle competenze di chi la abita, di cittadini che siano in grado di interpretarne, da diversi punti di vista, le dinamiche. Il punto sostanziale è nello sviluppo di piattaforme web utilizzate per dare forma alla partecipazione, riconoscendo in primo luogo il modello multistakeholder, che contempla la molteplicità dei punti di vista dei vari portatori d’interesse, sulla base di una visione e una competenza più orizzontale (quale il radicamento in un territorio) piuttosto che verticale (i professionisti e i politici). Gli ambienti sensibili, termine usato per definire le installazioni interattive di Studio Azzurro, si sono sviluppati nei primi anni Ottanta con le sperimentazioni delle arti elettroniche e in particolare nella grande mostra “Les Immateriaux” curata al Centre Pompidou da Jean-François Lyotard, sull'onda del dibattito sul postmoderno. Un'evoluzione degli ambienti sensibili, concepiti come ambiti di sperimentazione percettiva e cognitiva, si ha con le realtà virtuali e oggi con particolari progetti connessi all’intelligenza artificiale. L’ecologia della mente di cui scrive Gregory Bateson nel suo “Verso un’ecologia della mente” ispira le nuove strategie evolutive di cui abbiamo bisogno per affrontare criticità e opportunità della nostra società in transizione. C’è bisogno di creare un ecosistema di idee, tanto più affrontando le culture digitali che ci pongono di fronte ad una scommessa antropologica, giocata sulla relazione tra tecnologie e processi cognitivi. Uno dei presupposti di Bateson è che le idee siano in certo modo esseri viventi, soggette a una peculiare selezione naturale e a leggi economiche che regolano e limitano il loro moltiplicarsi entro certi processi di relazione sociale. Questo può aiutarci a capire perché “le cose finiscono in Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 18 di 19 18 Carlo Infante - Tag cloud della Digital Transformation disordine” e scoprire come si possa arrivare a quella “domanda dietro le domande” come suggerisce la cultura Zen. Un'ulteriore chiave di lettura del concetto di ecologia della mente è quella relativa il motto ora, lege et labora che sta alla base della regola monastica benedettina, per cui nel silenzio dei chiostri, nei secoli, a partire dall'alto medioevo del VI secolo, si è costruita l'identità europea coniugando la cultura greco-romana con tutte le nuove culture di transizione, dal medioevo ad oggi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 19 di 19 19 Carlo Infante - Il medium è il messaggio Indice 1. IL MEDIUM NON È NEUTRALEO........................................................................................................... 3 2. L’ESPLOSIONE DEL SISTEMA DEI MASS MEDIA ................................................................................... 4 3. I PRESAGI DI MARSHALL MCLUHAN................................................................................................... 6 BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................................................. 9 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 9 20 Carlo Infante - Il medium è il messaggio 1. Il medium non è neutraleo Quando Marshall McLuhan espresse il concetto “il medium è il messaggio”, nel 1967, i mass media non avevano ancora impattato le coscienze di tutti. In quell'assioma si rileva quanto sia importante la specifica struttura comunicativa di ogni medium, a tal punto da non renderlo neutrale, non solo mezzo di comunicazione ma significante di per sé. McLuhan concepiva la televisione come un medium atto a confortare, consolare, confermare, teso a inchiodare gli spettatori in una stasi fisica e mentale. Non a caso i teledipendenti furono definiti “couch potatoes”. Il focus è sul valore fondante della comunicazione intesa come tecnologia che scandisce l’evoluzione umana. Per secoli la comunicazione si è basata sul modello alfabetico, inteso come codice univoco di trasmissione, ancorato anche alla tecnologia a stampa che ne ha incardinato la sua funzione istituzionale, relegando ai margini la popolazione analfabeta. Con l’avvento dei sistemi audiovisivi, prima con la radio e poi con la televisione, le cose cambiano, si apre un varco: la comunicazione radiotelevisiva impatta con tutti. È talmente pervasiva da infondere una passività cognitiva, sufficiente ad indurre il desiderio di consumare ciò che è trasmesso dalla pubblicità. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 9 21 Carlo Infante - Il medium è il messaggio 2. L’esplosione del sistema dei mass media Il Novecento è stato connotato dall'avvento di Radio e Televisione come mezzi di comunicazione di massa. Prima di allora la comunicazione elettrica offriva trasmissione di segnali punto-linea, come quella del telegrafo con fili, ideato da Morse, e poi del telegrafo senza fili realizzato da Marconi. È lui che registra nel 1896 il primo brevetto per le trasmissioni radio, concepite per garantire alle navi delle comunicazioni per l'emergenza, arrivando a creare il primo servizio radio transatlantico. Il passaggio è potente: si passa alla trasmissione della voce sul medium radiofonico. Non la definì radio ma si fermò a quella di telegrafo senza fili, ipotizzando una informazione istantanea a distanza tra un emittente e un ricevente. In un mondo in cui il trasporto a lunga distanza si svolgeva esclusivamente via mare questa opportunità di comunicare per le navi in difficoltà fu una vera rivoluzione. Marconi non immaginò altre possibilità di comunicare, tant'è che considerava un problema il fatto che il messaggio potesse essere “intercettato” da altri. In sintesi, il telegrafo non era stato pensato e realizzato come mezzo di comunicazione di massa. La radio esprime una notevole capacità di adattamento, proprio per le sue caratteristiche strutturali, leggera e maneggevole. Negli anni '20 si predispone a diffondere suoni, ponendosi come potenziale mezzo di comunicazione di massa. Si profila la configurazione definita broadcasting che prospetta una comunicazione unidirezionale da uno verso molti. In Gran Bretagna nel 1920 si trasmise il primo regolare servizio radiofonico della storia, per due ore consecutive al giorno, per un periodo di due settimane. Negli Stati Uniti, nel 1922, si contano già 187 stazioni con un numero di ricevitori funzionanti che alla fine di quell'anno toccherà quota 750 mila. Nel 1922 viene fondata, in Gran Bretagna la più antica radio del mondo tuttora esistente: la BBC. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 9 22 Carlo Infante - Il medium è il messaggio Alla fine del secondo conflitto mondiale, la radio si trova a fronteggiare la forte concorrenza della televisione la cui tecnologia era già stata messa a punto negli anni Venti. Il primo servizio televisivo regolare del mondo è inaugurato in Gran Bretagna il 2 novembre del 1936, ma lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale blocca questa diffusione. In Germania invece vanno avanti, per i Giochi della XI Olimpiade a Berlino si svolge la prima diretta televisiva nell'estate del 1936. Le trasmissioni furono diffuse in 27 luoghi pubblici tra Berlino, Lipsia e Monaco. La televisione in quella fase si basa sulla trasmissione elettromeccanica, attraverso cavo coassiale. Il passaggio seguente è quello della televisione elettronica realizzata sia con apparecchi di ripresa delle immagini sia con quelli di visione basati su dispositivi elettronici, con il tubo a raggi catodici. È la stessa tecnologia che stiamo ancora utilizzando per alcuni aspetti, anche se si è evoluta con telecamere con sensori CCD e televisori al plasma, a cristalli liquidi (LCD), OLED, Smart TV, etc. La TV generalista ha segnato un’era che può trovare origine il 10 marzo 1947 con la conferenza mondiale delle radiocomunicazioni di Atlantic City, anche se tecnologicamente è dal 1925 che gli inglesi iniziarono a sperimentare trasmissioni a distanza di immagini in movimento. La televisione enfatizza il modello broadcast (unidirezionale, “da uno a molti”) ma dagli anni Novanta si prospettano scenari sempre più articolati che associano all'offerta generalista altre modalità, come quelle satellitari, tematiche, on demand e pay tv. I due modelli principali, quello commerciale e quello pubblico, si diversificano con la proliferazione dei canali in digitale terrestre. I mass media iniziano a destrutturarsi, in una molteplicità d'offerta anche se le linee emergenti sono quelle delle pay tv, prima con Sky e poi con tante altre, Netflix (nato come distributore di DVD) in testa, realtà che conquistano progressivamente attenzione con la televisione via IP (Internet Protocol). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 9 23 Carlo Infante - Il medium è il messaggio 3. I presagi di Marshall McLuhan Marshall McLuhan coniò un'espressione fenomenale “villaggio globale” intuendo già negli anni '60 ciò che si sarebbe delineato solo trent’anni dopo: il World Wide Web. Aveva capito che ogni medium è soggetto ad un insieme di fattori concomitanti, come l’avvento di un nuovo medium che rende obsoleto quello precedente. Allo stesso tempo si implementa sempre qualcosa del medium che aveva già acquisito la sua audience, cercando di interpretare e poi amplificare alcune sue potenzialità. Le sue intuizioni furono folgoranti, connotate da una disordinata creatività che più che visione prospettica ci appaiono come presagi sorprendenti. Oggi, dopo oltre un secolo d’impiego tecnologico dell’elettricità, abbiamo esteso il nostro stesso sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che, almeno per quanto concerne il nostro pianeta, abolisce tanto il tempo quanto lo spazio. Ci stiamo rapidamente avvicinando alla fase finale dell’estensione dell’uomo: quella, cioè, in cui, attraverso la simulazione tecnologica, il processo creativo di conoscenza verrà collettivamente esteso all’intera società umana, proprio come, tramite i vari media abbiamo esteso i nostri sensi e i nostri nervi (Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, 1964) Un medium non è neutrale: non solo mezzo di comunicazione ma significante di per sé. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 9 24 Carlo Infante - Il medium è il messaggio McLuhan ci ha fatto capire che la tecnologia della comunicazione è un medium in quanto estensione e potenziamento delle facoltà umane. Ciò esprime un valore in sé, un messaggio che sta a monte di qualsiasi messaggio veicolato dai media. È sempre opportuno valutare l’impatto dei media in termini di implicazioni sociologiche e psicologiche. McLuhan rileva che ogni medium ha proprietà che coinvolgono gli spettatori in modo diverso. In questo senso definiva come “freddi” quei media che avendo bassa definizione sollecitano un’alta partecipazione dell'utente. Ciò comporta un'azione per completare le informazioni non acquisite a pieno regime. I media “caldi” altresì sono quelli che offrendo un'alta definizione inducono a una bassa partecipazione. McLuhan in queste differenziazioni tra media caldi e freddi produsse non poche ambiguità, dalla discriminante emotiva suggerita dai termini caldo e freddo fino a quello più scientifico che mette sullo stesso piano temperatura e quantità di informazione. Confrontare il calore della radio con quello della televisione appare come una contraddizione, visto che l'una si basa sull'udito mentre l'altra sulla visione. Eppure, in quella sua metafora ontologica, ci sono aspetti intriganti che riguardano i processi psicologici attivati dalla propaganda politica. A proposito può essere utile questo aneddoto (di cui non abbiamo conferme di veridicità ma troviamo utile usarlo come un apologo). Negli anni Settanta, McLuhan consultato dal premier canadese su come arginare dei disordini, gli rispose: “riempite le case di apparecchi televisivi”. Fu fatto. I conflitti scemarono. La televisione come medium atto a confortare, consolare, confermare, teso a inchiodare gli spettatori in una stasi fisica e mentale. La televisione è stata come ogni nuova tecnologia una promessa, un'esperienza desiderante che esercita sugli utenti una fascinazione potente che ipnotizza, inducendo uno stato di “narcisistico torpore”, come diceva McLuhan. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 9 25 Carlo Infante - Il medium è il messaggio Senza anticorpi intellettuali adeguati, la televisione porta ad accettare tutto ciò che viene trasmesso. Induce una condizione passiva che tende a confortare, a consolare, a confermare. In un flusso elettronico che inchioda gli spettatori in una stasi fisica e mentale. Non a caso i teledipendenti furono definiti “couch potatoes”, patate sedute, bollite, sprofondate su divani schierati davanti al moloch televisivo. Eppure si può usare quella tecnologia senza esserne usati, con il giusto distacco, cogliendo le qualità audiovisive e la densità narrativa, ricordandoci che la percezione è un esercizio intelligente. Se pensiamo che almeno il cinquanta per cento della nostra corteccia cerebrale si occupa della visione possiamo dedurre che la metà delle nostre funzioni mentali è dedicata al vedere, o meglio: a interpretare i segnali luminosi che raccogliamo dal mondo esterno. Non è niente se pensiamo che nelle mosche per la visione viene speso quasi il 90% della totalità dei neuroni. Va anche detto però che a differenza della mosca con il suo milione di neuroni, l’uomo nel suo cervello ne ha almeno cento miliardi. E non sempre ben spesi. Ma cosa ne facciamo di tutte queste migliaia di milioni di neuroni? “La visione non consiste nel riprodurre un’immagine all’interno del cervello, come se ci fosse uno schermo televisivo...” - sostiene Tommaso Poggio in “L’occhio e il cervello”. La visione è un’interpretazione delle immagini, una descrizione simbolica di ciò che si trova nell’ambiente. La visione è molto più di un senso, è un’intelligenza.” Si tratta quindi una complessa elaborazione che dopo aver misurato la quantità di luce raccolta dall’esterno attraverso un centinaio di sensori della retina (i fotorecettori coni e bastoncelli) crea una proiezione bidimensionale di cose che spesso, nel mondo esterno, sono tridimensionali. Ma nonostante questa proiezione la nostra mente colma, interpreta, crea immagini in un’“esplosione combinatoria”. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 9 26 Carlo Infante - Il medium è il messaggio Bibliografia Marshall McLUHAN, Gli strumenti del comunicare (Understanding Media: The Extensions of Man), Il Saggiatore, 1964 Marshall McLUHAN, Il medium è il messaggio (The Medium is the Message), Feltrinelli, 1967 Tommaso POGGIO, L’occhio e il cervello, Theoria, 1991 Alberto. ABRUZZESE, Alessandro DAL LAGO (a cura di), Dall'argilla alle reti. Introduzione alle scienze della comunicazione, Costa & Nolan, 1999 Niklas LUHMANN, La realtà dei Mass Media (Die Realität der Massenmedien), Franco Angeli, 2000 Carlo INFANTE, Performing Media 1.1. Politica e poetica delle reti, Memori, 2006 Michelangelo ANTONIONI, Zabriskie Point (scena finale), 1970 L’esplosione della società dei consumi, elettrodomestici e televisione compresa. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 9 27 Carlo Infante - Il linguaggio e la tecnologia digitale Indice 1. L’EVOLUZIONE DELL’IPERTESTO PER LA CONOSCENZA COME BENE COMUNE................................. 3 1.1 1.2 1.3 1.4 2. L'ORIGINE DELL'IPERTESTO .................................................................................................................................... 3 LA CONOSCENZA COME BENE COMUNE .................................................................................................................... 4 L'EVOLUZIONE ESPONENZIALE DELLA POTENZA DI CALCOLO ............................................................................................ 5 CULTURA È “CIÒ CHE DIVIENE” ............................................................................................................................... 6 IL MIXER PER LE SINAPSI ..................................................................................................................... 8 2.1 AS WE MAY THINK (COME POTREMMO PENSARE) ........................................................................................................ 8 3. L’ARCHIVIO DELL’INDETERMINATO .................................................................................................. 10 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 12 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 12 28 Carlo Infante - Il linguaggio e la tecnologia digitale 1. L’evoluzione dell’ipertesto per la conoscenza come bene comune 1.1 L'origine dell'ipertesto “La civiltà non ha solo a che vedere con le cose materiali ma con gli invisibili legami che legano una cosa a un’altra” (Antoine de Saint-Exupery) Questa illuminante citazione dell’autore del “Piccolo Principe” ispirò la “Literary Machine” di Ted Nelson, l’inventore del concetto di hypertext, con il suo leggendario progetto Xanadu. Un’avventura utopica per una “letteratura elettronica istantanea”, un temerario sistema ipertestuale, che di fatto anticipò lo sviluppo del World Wide Web: il luogo privilegiato, nella sua diffusione e relativa semplicità d’uso, per lo scambio di conoscenza. Nelson c’invita a considerare un’analogia con l’acqua, al fatto che la sua distribuzione, aprendo e chiudendo i rubinetti, ha contribuito non poco allo sviluppo della società civile. Così “la letteratura che immaginiamo”, afferma, “deve essere pensata come un servizio, un bene comune, un acquedotto per la mente”. Il focus è quello di individuare nell’ipertesto la tecnologia cardine delle culture digitali, in quanto nuova configurazione del linguaggio non lineare. L’ipertesto è un insieme di documenti connessi tra loro attraverso dei link che è possibile associare anche a delle parole chiave (tag). È a partire da questo principio che si sviluppa il web che è in fondo la forma ipertestuale applicata a internet. Questa considerazione ci conduce a riconoscere nell’ipertesto la pietra angolare di una nuova costruzione di senso che può condurre alla piena consapevolezza della conoscenza in quanto bene comune. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 12 29 Carlo Infante - Il linguaggio e la tecnologia digitale Concepire la letteratura, e il sapere scritto nel suo complesso, un bene comune e di pubblico uso è senza dubbio il compito di chi (autori, editori, bibliotecari, librai, insegnanti e fondamentalmente i lettori) nella Società dell’Informazione si sta interrogando su come salvare la lettura (che non è solo letteratura, visto che stiamo trattando di ricombinazione non lineare) dal rumore informativo indistinto. In questo contesto alcuni editori stanno ridefinendo il proprio ruolo per trovare una loro collocazione in un mercato difficile, con problemi legati alla distribuzione, alla promozione, al magazzino. Le domande da porre riguardano così la mutazione del libro in una condizione più immateriale, come quella digitale veicolata dalle reti telematiche, arrivando a concepire nuovi servizi culturali in grado di rilanciare l’amore per la lettura, inventando soluzioni editoriali, educative e ludiche al contempo, che conquistino l’attenzione delle nuove generazioni e riqualifichino il sistema editoriale scolastico. 1.2 La conoscenza come bene comune Partire con quella metafora lanciata da Nelson, attraverso cui si va a paragonare la rete come il sistema idrico attivato dagli antichi acquedotti romani ed oggi distribuito capillarmente con i rubinetti in tutte le case, ci fa riflettere su come la diffusione tecnologica della cultura possa rilanciare l’idea stessa di servizio pubblico. Proprio come accade per l’acqua potabile, per cui all’interno della dimensione domestica si esercita costantemente un diritto-dovere, un servizio espresso come bene comune, ogni volta che apriamo il rubinetto. Avere l’acqua in casa è un dato scontato per quasi tutta la popolazione mondiale, lo è anche avere risorse informative dalla rete ma sia chiaro, c'è stato un processo evolutivo perché ciò si avverasse. Al di là della diffusione del mercato delle telecomunicazioni ci sono stati in questi ultimi vent’anni degli eventi che hanno scandito questa evoluzione tecnologica. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 12 30 Carlo Infante - Il linguaggio e la tecnologia digitale In questo senso le biblioteche hanno svolto questa funzione pubblica di distribuzione sul territorio di informazioni e conoscenze all'interno del sistema sociale con attività pubbliche che hanno raccordato l’uso del web alla promozione della lettura. Internet ha amplificato le possibilità di accesso alle informazioni, creando molte opportunità in più rispetto a quelle già determinate dai sistemi editoriali. C’è da chiedersi quante altre soluzioni per la diffusione culturale vanno ancora inventate? Il fenomeno è aperto, prima di tutto perché vanno creati dei modi per utilizzare la rete e farla corrispondere alle nostre domande: i nuovi valori d’uso. Siamo in una fase fluida, perché invita a porci nuove domande: inventare soluzioni per trarre il meglio dalla rete, intesa non solo come contenitore ma come generatore di informazioni. Il digitale sta accelerando i processi di relazione tra cultura e comunicazione, riconfigurando le filiere dell’editoria, intesa come asset imprenditoriale che non è più il fulcro della diffusione della cultura. La crossmedialità, intesa come convergenza dei diversi media, sta prospettando continuamente nuovi canali di trasmissione. A questo punto c’è da porre un dato tecnologico, molto legato al rapporto tra hardware e software. 1.3 L'evoluzione esponenziale della potenza di calcolo Ogni 18 mesi c’è la possibilità di raddoppiare la potenza di calcolo di un computer (anche se dal 2016 questa dinamica viene rivista perché all’aumento di potenza dei singoli processori, si è preferito favorire il calcolo in parallelo di più processori). Insomma, per dirla netta: nel chip di uno smartphone di nuova generazione c'è oggi la potenza di calcolo dell'Apollo 11 che sbarcò sulla Luna, 50 anni fa. Nei chip che abbiamo adesso a disposizione nelle nostre tasche ci sono delle funzioni, che fino a una ventina di anni fa avevano bisogno di tutt'altra quantità di silicio, di hardware, di macchinario fisico, di spazio infinitamente maggiore. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 12 31 Carlo Infante - Il linguaggio e la tecnologia digitale È in corso un avanzamento tecnologico esponenziale che va da solo, in un grande gioco di impresa proiettato nel riconvertire il sistema post industriale in una Società dell'Informazione ancora tutta da compiersi. Ma perché questo accada l'offerta di tecnologia deve armonizzarsi con la domanda di nuovi servizi avanzati, una domanda sia di funzionalità che d’immaginario. Cosa intendo dire con questo? È che senza domanda culturale non ci sarà nessun reale mercato futuro per le tecnologie. Perché sia chiaro un dato: il mercato delle tecnologie si sta basando su un’offerta più forte della domanda. È evidente che è importante pensare a un riequilibrio, con una domanda più evoluta, capace di rilanciare l’offerta, secondo il buon senso dell’innovazione adattiva, il principio per cui le tecnologie possano adattarsi alle nuove domande degli utenti, affinati alle pratiche della user experience. 1.4 Cultura è “ciò che diviene” Bisogna però dare un valore diverso alla parola “cultura”, concependola come qualcosa in cui sono innervati i nostri comportamenti oltre che i linguaggi. La cultura è in un libro, certo, come in una performance, un film, una festa popolare, un’esplorazione urbana... Ciò che definiamo cultura (dal latino colere, “coltivare”, declinato nel participio futuro della lingua latina, per intendere “ciò che diviene”) è un concetto dinamico che sottende la nostra evoluzione, in una pratica che riguarda la cura di linguaggi e comportamenti, per abbracciare l’insieme delle conoscenze trasmesse tra generazioni e le loro trasformazioni. Ci stiamo occupando di culture digitali e il fatto stesso di declinare questo concetto al plurale è, prima di tutto, basato sulla molteplicità degli ambiti attraverso cui si sta diffondendo una mutazione radicale posta dall’avanzamento tecnologico, condizione che sta determinando una revisione non solo degli assetti di linguaggio ma anche di quelli sociali ed economici. Le biblioteche sono state, dal dopoguerra ad oggi, una grande opportunità culturale nel territorio attraverso una funzione di aggregazione e di alfabetizzazione. Hanno di fatto svolto una Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 12 32 Carlo Infante - Il linguaggio e la tecnologia digitale funzione istituzionale decisiva per la definizione di una civiltà urbana in grado di essere tale, in grado di declinare la cultura in stretta relazione al Paese che stava cambiando. È così, anche se poi purtroppo le statistiche ce lo confessano: la popolazione italiana legge pochissimo. Senza le biblioteche avrebbe letto ancora meno. Oggi le biblioteche possono rappresentare un luogo di riferimento preciso, un presidio culturale aperto, pubblico: capace di garantire la maggiore e migliore diffusione della multimedialità come nuova cultura digitale. Un dato importante da acquisire, altrimenti l'evoluzione del web rimarrà solo qualcosa di astratto, come un banale gadget tecnologico. Potrei dire che le biblioteche sono importanti per promuovere una nuova alfabetizzazione. Ma questo termine non mi piace, perché quando si parla di ipermedia il termine “alfabetizzazione” è improprio. Non a caso c'è chi parla parla di alfamedialità. Al di là delle terminologie facciamo in modo che ci si possa intendere. La leva del discorso riguarda la specificità culturale dei nuovi media, affrontiamo quindi, con più precisione, il concetto stesso di ipertesto. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 12 33 Carlo Infante - Il linguaggio e la tecnologia digitale 2. Il mixer per le sinapsi Leggere è un’arte, ci fece notare a suo tempo Italo Calvino. È, infatti, una qualità particolare, un artificio mirabile. È anche una questione di mobilità immaginaria e di connessioni sinaptiche che durante la lettura di un testo avvincente fanno funzionare il nostro cervello come un mixer. Coniughiamo un'informazione ad una immagine e ad un’emozione già vissuta con una dinamica associativa straordinaria. Dopotutto qualsiasi percezione sensoriale viene tradotta al cervello e transcodificata, interpretata. Il fatto che ora, attraverso le nuove tecnologie della comunicazione multimediale, certi procedimenti si stiano formalizzando all’esterno del nostro corpo non è altro che una tappa ulteriore dell’evoluzione umana. È già successo con il libro, poi con il cinema, ora con l’ipermedia. 2.1 As We May Think (Come potremmo pensare) Il fatto stesso di simulare i processi fisiologici, da quelli dell'apparato muscolare a quelli mentali, dalla Telerobotica alle Reti Neurali passando per le Realtà Virtuali, è indicativo di questo nuovo rapporto tra il naturale e l’artificiale. Ma poniamoci ancora una volta la domanda. È più naturale leggere un libro, decodificando la scrittura con tutte le sue sovrastrutture culturali, o fare un’esperienza di conoscenza diretta? In questo senso le tecnologie multimediali offrono delle opportunità determinanti: attraverso l’interattività le modalità interpretative vengono combinate con un’azione diretta, cliccando con un mouse agiamo dentro le informazioni. L’ipertesto, il sistema di organizzazione associativa dei dati attraverso il computer, simula quelle soluzioni combinatorie che la lettura produce, aprendo continuamente intorno ad una parola, ad un concetto, un’area di riferimenti ulteriori. Offre insomma un potenziamento delle nostre procedure mentali che vengono così sollecitate ad essere più dinamiche, più dirette. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 12 34 Carlo Infante - Il linguaggio e la tecnologia digitale La multimedialità interviene sui processi originari della conoscenza, invera un paradosso: una delle massime espressioni dell’artificialità tende così a riattivare le modalità naturali dell’apprendimento. Quando nel 1945 Vannevar Bush scrisse il famoso articolo sull'Atlantic Monthly dal titolo As We May Think si presagì questa tendenza all'interattività: teorizzò il superamento delle logiche sequenziali e classificatorie per ordinare le molteplici informazioni prodotte dalla ricerca tecnoscientifica adottando un dispositivo, il Memex (Memory Extender). Una macchina multimediale ante litteram che con microfilm, nastro magnetico (allora appena scoperto) e tecniche della fotografia a secco avrebbe dovuto simulare i comportamenti del cervello dove le classificazioni cognitive avvengono non gerarchicamente (per generi, o classi, o ordini alfabetici) ma per associazioni mentali. L’invenzione di Vannevar Bush servì (non solo a vincere la II Guerra Mondiale, partecipando alla pianificazione dello sbarco in Normandia in quanto presidente del National Defense Research Committee) ma ad aprire la nuova era delle tecnologie digitali. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 12 35 Carlo Infante - Il linguaggio e la tecnologia digitale 3. L’archivio dell’indeterminato Il Memex inaugurò un ciclo di esperienze, quelle applicative, sviluppate poi da Douglas Englebart (l’inventore del mouse) e quelle utopiche di Ted Nelson, che nel 1965 varò il progetto Xanadu, la leggendaria rete ipertestuale, idealizzata come una futura “Biblioteca d'Alessandria” digitale. Il fatto di far riferimento all’antica città imperiale cinese - costruita nel XIII secolo da Kublai Khan e idealizzata come emblema dell’esotismo irraggiungibile, da viaggiatori e scrittori, da Marco Polo a Coleridge - fa riflettere di come negli Stati Uniti, nel secondo dopoguerra, si sia sviluppata una tale ingegnosità coniugata alla creatività più immaginifica. L’ideatore di Xanadu aveva concepito un programma da far girare su tanti computer collegati tra loro per superare tutte le altre modalità di archiviazione. Una molteplicità di documenti avrebbero trovato collocazione su Xanadu per renderli disponibili sull’intera rete. Ogni documento si sarebbe potuto collegare ad altri documenti, secondo le più libere associazioni. Vi si poteva anche scrivere direttamente, salvando le versioni più aggiornate del documento. Nelson mise tutto a sistema nel saggio “A File Structure for the Complex, the Changing, and the Indeterminate” (“Una struttura di archivio per l'insieme, per il cambiamento e per l'indeterminato”, 1965), teorizzando che bisogna essere in grado di riprodurre la complessità, la velocità e soprattutto l'imprevedibilità del ragionamento umano, con la sua particolare caratteristica di creare analogie e operare secondo collegamenti ipertestuali, appunto. Per quei tempi fu pura utopia, provate sono ad immaginarvi le querelle giuridiche in relazione al copyright. Eppure quell’utopia s’è realizzata, nei primi anni Novanta, ma non grazie a Nelson bensì a Tim Berners-Lee, sviluppando al CERN di Ginevra il World Wide Web. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 12 36 Carlo Infante - Il linguaggio e la tecnologia digitale Un’utopia che non solo ha quindi preso forma attraverso il web ma è stata superata, se non logorata, dall’inconsapevolezza del fatto che alla base di tutta la diffusione esponenziale della rete delle reti, qual è Internet, c’è l’ipertesto. Siamo tutti connessi dentro quell’ipertesto. Ma quanti ne sono consapevoli? Avete mai pensato cosa significa la prima lettera di quell’http:// che ritroviamo nella stringa di navigazione di tutti i giorni? Quella h apre la parola hypertext. TAG Hypertext Xanadu bene comune mutazione del libro nuovi valori d’uso domanda culturale culture digitali alfamedialità connessioni sinaptiche libro ipermedia ipertesto Memex utopia Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 12 37 Carlo Infante - La mediamorfosi della scrittura Indice 1. BRAINFRAME ALFABETICO ................................................................................................................. 3 2. SCRITTURA MUTANTE .......................................................................................................................... 4 3. SCRITTURE DEL VISIBILE ....................................................................................................................... 8 4. SCRITTURA CONNETTIVA .................................................................................................................... 9 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 13 38 Carlo Infante - La mediamorfosi della scrittura 1. Brainframe alfabetico La condizione digitale, già con l’ipertesto, e ancor più con lo sviluppo del web ha ridefinito il concetto di scrittura. È sempre più ibrida: si confonde con l’energia propria dell’oralità per andare oltre le specificità sedimentate in secoli di perfezionamento di una tecnologia che è passata dalla mera funzionalità di gestione della memoria degli ordinamenti (religiosi, politici ed economici) a quella creativa della produzione di immaginario, nelle diverse forme della poesia, della prosa, del romanzo, delle sceneggiature. Il focus della questione in esame riguarda la mutazione della scrittura in ambiente digitale, un dato che comporta il radicale cambiamento delle competenze, o perlomeno l’insorgenza di nuove attitudini, nuovi comportamenti che si traducono in linguaggio. In tal senso vengono affrontati quei processi cognitivi che sottendono queste modificazioni di impronta antropologica ancor prima che culturale. La scrittura in una chat è prossima all’oralità con tutto il rischio di una perdita della forma strutturata ma al contempo determina una presenza di spirito più evoluto. Paradossalmente non si è mai scritto così tanto da quando c’è il web. Siamo entrati nella Società dell’Informazione e la scrittura gioca un ruolo troppo importante per lasciarla in custodia solo a scrittori e giornalisti. Scrivere è comunicare, anche se non è scontato. Chi l’esercita negli SMS, o su Whatsapp o Telegram, o in email o in un blog, lo sa (tendenzialmente) e lo dimostra. Sa quanto il proprio pensiero tenda ad avvicinarsi all’azione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 13 39 Carlo Infante - La mediamorfosi della scrittura 2. Scrittura mutante La scrittura sta mutando si sta avverando il presagio di McLuhan per cui l’era elettrica (ora digitale) pervade la condizione umana trasformandola, condizionando di conseguenza tutte le sue espressioni. È opportuno rilevare che la scrittura è una delle tecnologie più complesse tra quelle che l’uomo ha inventato in questi millenni. Oggi sta superando la condizione alfabetica per comporre una polisemia, attraverso le piattaforme ipermediali, che contempla suono ed immagine, in una complessità che si avvicina alle forme più innate del linguaggio naturale. L'ipermedialità supera il brainframe alfabetico (come lo ha definito Derrick de Kerckhove) che è la cornice mentale attraverso cui interpretiamo la realtà che ci circonda, determinato dalla frequentazione secolare con la scrittura alfabetica. Questo superamento consente di espandersi ad una sfera comunicazionale più ampia, più naturale (secondo il principio filogenetico della nostra essenza multisensoriale) rispetto a quella più settoriale (più artificiale) dell’esercizio alfabetico. Il dato che va rilevato è quello sociale, se non antropologico, che attraverso una serie di nuovi comportamenti determina l’impatto di una generazione con un sistema educativo che ancora non sa cogliere gli aspetti culturali di questa mutazione della scrittura. Comunicare è “comunicare con” e non solo “comunicare a” È qui che emerge una delle condizioni più interessanti dell’esperienza creativa in Rete: coniugare la dimensione più particolare, più “locale”, dell’espressione, come quella della scrittura soggettiva di un diario, ad esempio, con la dimensione più pubblica che c'è, quella globale del web, accessibile da dovunque e da chiunque. Il fatto che, attraverso le reti, in particolari ambienti come i blog si possa sviluppare una scrittura immediata (meno mediata da sovrastrutture formali) e tesa a sollecitare partecipazione Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 13 40 Carlo Infante - La mediamorfosi della scrittura attiva e, ancor di più, scambio interumano ed empatia, proprio come in una conversazione, è da considerarsi come qualcosa che ha trasformato radicalmente il processo della scrittura, rendendo reale la potenzialità connettiva. In questo senso ciò è accaduto in maniera deflagrante nei social network in questi ultimi vent'anni, in modo talmente pervasivo da non lasciar traccia della filiera evolutiva di questo comportamento indotto. Ciò ha resettato la pratica della scrittura da esercizio di stile, letterario o giornalistico che sia, spesso adagiato sull’autocompiacimento di una competenza conclusa, chiusa in sé stessa. Si stanno insomma delineando fattori che caratterizzano una nuova espressione culturale diffusa negli ambiti sociali. Questa sta dando forma e sostanza ai modi della comunicazione, riscattandoli da un sistema degradato dalla bulimia delle immagini televisive auto-referenziali, rilanciando il valore del “comunicare con”, rispetto a quel “comunicare a”, cui ci ha viziati il sistema dei mass media. Scrittura mutante In questa ricognizione teorica sulla mediamorfosi della scrittura focalizziamo ora l’attenzione su quelle progettualità che hanno aperto il fronte di attenzione su questi campi. Una delle prime, non solo in Italia, è stata quella dell'Osservatorio scrittura mutante nato, nei primi anni del 2000, in una biblioteca di un piccolo comune presso Torino, dove si è sviluppata una delle prime esperienze di biblioteca multimediale in Italia. L'Osservatorio non è stato solo una raccolta di link attivi, ma un luogo reale (la biblioteca) e digitale (il web) dedicato alla ricerca, alla produzione e all'aggiornamento. Si è realizzata una mappatura delle esperienze di scrittura mutante, assolutamente fluida, libera da rigide definizioni di genere; una classificazione decisamente aperta ma utile a tracciare un quadro aggiornato della nuova espressività digitale intesa anche come scoperta e appropriazione di un nuovo mondo, di una nuova cultura. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 13 41 Carlo Infante - La mediamorfosi della scrittura Per affrontare il tema della scrittura in ambiente digitale si è colto la peculiarità della letteratura elettronica (con i primi ipertesti letterari) in tutte le sue sfaccettature e per approfondire i nuovi modi di narrare che le nuove tecnologie della comunicazione rendono possibili. L'intenzione è stata quella di promuovere la lettura e la scrittura attraverso i nuovi media, liberando nella rete le potenzialità creative, la voglia di sperimentare e di mettersi in gioco attraverso la multimedialità: senza mai dimenticare gli strumenti di comunicazione tradizionali. L'obiettivo è stato quello di sperimentare le nuove modalità espressive attraverso l'attivazione di laboratori di scrittura collaborativa (utilizzando le prime piattaforme wiki, prima della nascita di Wikipedia) e concorsi per la scrittura creativa in ambiente digitale. Contestualmente la biblioteca ha organizzato delle attività di formazione, rivolte sia al mondo della scuola sia ai bibliotecari e agli operatori culturali, con una programmazione continua di incontri in Biblioteca ma anche in rete, attraverso forum e mailing list. Questo che segue è il Manifesto della Scrittura Mutante, scritto vent'anni fa. La scrittura, come gran parte dei nostri rapporti con il mondo in accelerata trasformazione, sta mutando. È una condizione determinata non solo dalla velocità dello scambio comunicativo ma dalla quantità di informazioni che ci pervadono. Tutto questo tende a produrre una crisi dei modelli espressivi, senza dubbio, ma come tutte le crisi può tradursi in una crescita e nella ricerca di nuove possibilità evolutive. Rispetto a quella quantità e velocità emerge la necessità di una qualità in grado di ristabilire un equilibrio tra il pensare e l'agire nel campo del linguaggio. È di questo che si tratta: attivare una ricognizione sulle nuove modalità di espressione all'interno di quell'ambiente digitale in cui la comunicazione, anche se rischia delle perdite (le dinamiche logico-consequenziali, ad esempio), offre potenzialità straordinarie. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 13 42 Carlo Infante - La mediamorfosi della scrittura L’espressione scrittura mutante è certamente generica, e anche un po’ ironica (lo confessiamo), ma ci permette di affrontare le differenze di approccio alla sfera della parola e del suo utilizzo nel contesto multimediale. Ponendoci domande come: in che modo la narrazione, propriamente lineare, può misurarsi con l'ipertestualità? O ancora. Come ridefinire il ruolo singolare dell’autore all’interno delle reti basate sulle proprietà plurali, connettive e collaborative? In che modo le tecniche dei software si riveleranno linguaggi capaci di attrarre le nostre sensibilità? Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 13 43 Carlo Infante - La mediamorfosi della scrittura 3. Scritture del visibile Quel progetto dalla biblioteca dell'hinterland torinese approdò poi al Salone del Libro di Torino, dove fu promosso il concorso “Scrittura Mutante”. Qui si riaggregarono molte delle esperienze apripista già rilevate dall'Osservatorio, come i primi esperimenti letterari su wiki, una piattaforma collaborativa che solo dopo sfociò in quella straordinaria enciclopedia aperta chiamata Wikipedia, ormai universalmente riconosciuta come una delle fonti più utilizzate nel web. L'Osservatorio con il concorso nazionale all'interno della manifestazione culturale più importante del Paese fu il focolaio iniziale di un fenomeno di trasformazione culturale. Un processo in cui si sono promossi quegli spostamenti progressivi del piacere di comunicare scrivendo il visibile, relativizzando l'ambito esclusivo della composizione alfabetica e il modello logico-consequenziale della narrazione tradizionalmente detta, per investire attenzione su una inedita (allora, era il 2003) espansione ipermediale. Ora che ci pensiamo scritture del visibile era il titolo di un altro concorso promosso all’interno del festival “Scenari dell’Immateriale” di Narni nel 1988. Vi si cercava di focalizzare l’attenzione sugli storyboard intesi come scrittura progettuale per il video. Lo storyboard è come un fumetto, il termine significa infatti storie su tavola, come nelle strip disegnate. Una pratica esercitata nel mondo del cinema (era uno dei metodi più utilizzati da Hitchcock, per definire i dettagli utili per istruire le riprese) e ancor più nel mondo della pubblicità per gli spot audiovisivi e anche nei videoclip. Espressioni della videocreazione elettronica che hanno di fatto inaugurato un fenomeno esteso per i nuovi linguaggi della narrazione audiovisiva. Esistono infatti dei punti di contatto tra le pratiche della videocreazione e l’ipermedialità, si tratta in entrambi i contesti linguistici di un’evoluzione delle culture elettroniche che oggi con la dimensione digitale ha comunque fatto un paradigmatico salto di qualità verso l’interattività. Ma facciamo dei passi indietro: sviluppiamo la riflessione sulla condizione connettiva della scrittura. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 13 44 Carlo Infante - La mediamorfosi della scrittura 4. Scrittura connettiva Non si può certo ignorare che i giovani e giovanissimi di oggi vivranno in un sistema in cui sarà decisivo trovare il modo per creare modelli produttivi e sociali attraverso lo scambio di informazioni in rete. I nodi che portano con sé le nuove generazioni arrivano quindi al pettine, anche se molti tendono a concentrarsi più sul pettine delle tecnologie piuttosto che sui nodi antropologici che riguardano il valore base del processo formativo: mettere in circolo risorsa cognitiva, reattiva, partecipativa. Per liberare quelle risorse il processo educativo ha bisogno della dimensione creativa, è evidente. Non è un'affermazione scontata come può apparire a qualcuno, ciò che intendiamo per creatività riguarda fondamentalmente la capacità umana di ambientarsi in nuovi contesti, trovare risposte a domande mai poste, inventare nuove forme per rappresentare il mondo esterno ed esprimere la propria soggettività. Ambientarsi nel mondo telematico della molteplicità delle fonti informative significa, tra le tante cose, reinventare il nostro rapporto con il linguaggio alfabetico, rendendolo meno lineare come le pratiche dell’ipertesto in rete sottendono. Ambientarsi nella Società dell’Informazione significa quindi trovare il modo più efficace per trattare delle nuove forme di cittadinanza in stretta correlazione con il sistema formativo (istituzionale e non). Un elemento determinante perché gli studenti di oggi sono, a tutti gli effetti, protagonisti della società in divenire, sentinelle di un cambiamento più che progressivo, esponenziale. L’efficacia di cui si parlava prima, rispetto alle metodologie d'apprendimento, risiede nell’approccio ludico con quegli ambienti interattivi che sollecitano la dinamicità dello sguardo che le nuove generazioni comunque esprimono, anche se inconsapevolmente. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 13 45 Carlo Infante - La mediamorfosi della scrittura Già Jeremy Rifkin scrisse che si sta passando dall’ homo faber della società industriale all’homo ludens agile nel selezionare le informazioni per tradurle in valore. Gioco, dopotutto, è una delle migliori parole chiave per interpretare quella flessibilità psicologica che sottende la mutazione in corso sotto il segno dell’evoluzione tecnologica. Gioco è una parola che possiamo quindi permetterci di porre in stretta relazione con la “comunicazione”, nuova materia prima della società delle reti. Mettersi in gioco è, infatti, il principio attivo di quella complessità interpersonale che conduce verso il superamento dei ruoli prestabiliti e delle competenze stabilizzate in un mondo che sta mutando attraverso le opportunità offerte dal web. Lavorare in rete, per intenderci, non è solo telelavoro (“a distanza” o meno che sia o smart working quanto si voglia...) ma introduce ad una nuova operatività fondata sulla cooperazione e la condivisione: la connettività, il nuovo contatto. Meglio: una nuova sensibilità che tende ad un’ibridazione dei diversi modi del comunicare, in presenza e in remoto. È questa connettività, da intendere non solo come condizione tecnologica ma psicologica a tutti gli effetti, ad esprimere una connessione sia interna (attraverso sinapsi più serrate) che esterna, attraverso una nuova fluidità dello scambio interumano. Stiamo trattando di una scrittura brada, selvaggia e veloce, che può permettere però una straordinaria incidenza nei fatti stessi, andando oltre i commenti, producendo azione: promuovendo quella autodeterminazione che si estende nell’organizzazione dal basso, autoconvocata. Quando vedi, senti, pensi qualcosa tendi ad associare quei pensieri a qualcosa di simile. Procedi per combinazioni analogiche, in un gioco sinaptico (lo scambio chimico ed elettrico dei neuroni della nostra mente) che apre a ventaglio l'immaginario, l'intelligenza. L'ipertesto ci ha dimostrato come una nuova tecnologia possa contribuire ad espandere una nuova psicologia della comunicazione. La connettività, l'attitudine propria del libero scambio di comunicazione telematica e della partecipazione collaborativa o human networking, può infatti aprire ad un nuovo approccio con l'espressione creativa. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 13 46 Carlo Infante - La mediamorfosi della scrittura Il dato più forte da rilevare è nella capacità di mettere in relazione le diverse specificità dei linguaggi grazie a una tecnologia di comunicazione, qual è Internet, che si sta rivelando come un medium vettore di nuova cultura e nuovi comportamenti. Si tratta di un'evoluzione psicologica e cognitiva che attraverso il web crea condizioni inedite di scambio sociale che vanno anche oltre lo stesso principio "collettivo" sul quale anni fa si erano fondate molte buone utopie di nuova socialità creativa. Si stanno insomma già delineando fattori che caratterizzeranno l'espressione culturale, diffondendola negli ambiti sociali ed educativi, contribuendo di fatto ad una generalizzata espansione della coscienza percettiva. In un processo che sta vedendo gli ambiti, dicotomici per alcuni, della cultura e della comunicazione avvicinarsi sempre di più. È emblematica questa citazione di Coover, scritta più di vent'anni fa: Che i libri e gli altri tradizionali strumenti letterari sopravvivano o meno, il medium dominante nel futuro che si prefigura sarà elettronico, digitale, con Internet come il probabile fornitore di contenuti universale. Prevedo che gli artisti letterari graviteranno attorno a questo potentissimo mezzo, ma se non sarà così, se la letteratura non troverà un suo posto nella Rete, allora la maggior parte della razza umana ne farà semplicemente a meno e, in questo modo, che le nuove generazione ne siano consapevoli o meno, saranno (e lo saremo anche noi tutti), gravemente impoveriti da questa perdita Robert Coover, fondatore di Electronic Literature Organization, 1999 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 13 47 Carlo Infante - La mediamorfosi della scrittura TAG ipertesto ibrida immaginario mutazione processi cognitivi Società dell’Informazione brainframe alfabetico mediamorfosi scrittura mutante letteratura elettronica scrittura collaborativa scritture del visibile videocreazione culture elettroniche homo ludens telelavoro smart working Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 13 48 Carlo Infante - Dal mass media al personal media Indice 1. INTRODUZIONE ......................................................................................................................................... 3 2. LA NOSTRA EVOLUZIONE È DIRETTAMENTE PROPORZIONALE ALL’EVOLUZIONE TECNOLOGICA ..... 4 3. L’ERA DEL PERSONAL MEDIA ATTRAVERSO L’INTERATTIVITÀ RICONFIGURA L’ASSETTO DEL CONSUMO DI INFORMAZIONI ........................................................................................................................ 5 4. LA MOLTEPLICITÀ DEGLI SCHERMI ......................................................................................................... 7 5. DALL’“UNO A MOLTI” DEL BROADCAST RADIO-TV AL “DA MOLTI A MOLTI” DEL WEB ...................... 9 6. SOCIAL LIFECAST ................................................................................................................................... 10 BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................................................. 12 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 12 49 Carlo Infante - Dal mass media al personal media 1. Introduzione Per più di settant’anni la TV ha scandito lo sviluppo della società di massa, basata sul modello industriale e sui consumi di massa, affermandosi di conseguenza come mass media. Dagli anni Novanta con l'avvento del web inizia a cambiare qualcosa, radicalmente. Si era già delineata, qualche decennio prima, una progressiva interazione tra sistemi televisivi e informatici, quando i computer diventarono PC: personal computer. Con l'accelerazione crossmediale, attraverso dispositivi sempre più personalizzati e connessi alla rete, si arriva ai personal media, un passaggio chiave che sta ibridando ulteriormente i sistemi della comunicazione, fino al fenomeno del cosiddetto social lifecast. Il focus è nell’evidenziare come i sistemi di comunicazione riflettano le peculiarità del sistema sociale e produttivo che li esprime. La società di massa fondata sullo sviluppo industriale e sul consumismo ha espresso i mass media diffusi da una fonte (prima radio e poi televisione) verso molti. Oggi la società post-industriale, definita già Società dell’Informazione, riflette una disintegrazione sociale che presuppone un nuovo assetto evolutivo. Il dato principale da rilevare è quello della società in transizione in cui i modelli sono soggetti a continue variazioni per cui il sistema della comunicazione attraverso il web e le configurazioni ibride della crossmedialità, si connota nella reciprocità tra personal media e social media, esprimendo una comunicazione da molti a molti. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 12 50 Carlo Infante - Dal mass media al personal media 2. La nostra evoluzione è direttamente proporzionale all’evoluzione tecnologica Televisione significa “vedere lontano”. Questo fatto del vedere lontano è molto più importante di quanto si possa immaginare: ci siamo erti in piedi, emancipandosi da quadrupedi, per innalzare lo sguardo. Vedere più in là, significa pre-vedere, vedere prima e avere più tempo per pensare (e agire). Qui c’è la ricetta della nostra evoluzione. Per vedere più lontano ci siamo arrampicati sugli alberi, sulle alture, sugli alberi delle navi (“Laggiù soffia! È il motto dei balenieri di Moby Dick, quando quel grasso era fondamentale per illuminare le città moderne, inglesi e americane). Abbiamo inventato cannocchiali, telescopi, satelliti, televisioni. Da sempre la nostra evoluzione è direttamente proporzionale all’evoluzione tecnologica e oggi con il web è l’idea stessa di televisione che cambia, superando la logica dell’uno a molti, propria del broadcast e delle strategie dei mass media, per esprimersi da molti a molti, interconnessi in rete. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 12 51 Carlo Infante - Dal mass media al personal media 3. L’era del personal media attraverso l’interattività riconfigura l’assetto del consumo di informazioni Inizia ora (anche se il dibattito s’è aperto almeno quindici anni fa) l’era del personal media (o my media come fu definito in alcuni contesti) che attraverso l’interattività del web e del mobile sta superando l’esclusività dello schermo televisivo, relativizzando il ruolo del mass media nel sistema della comunicazione. Niente si distrugge ma tutto si trasforma: la TV rimane ma il suo consumo si ibrida con altri schermi con cui si interagisce in tempo reale sui contenuti trasmessi. Il gioco si fa crossmediale, semplice, ludico ma pertinente, come quando con un tweet si partecipa a trasmissioni televisive che hanno imparato a riverberarsi nel web, amplificando la loro audience. In questa integrazione di tecnologie mediali si percepisce una evoluzione dei linguaggi che si qualifica del feedback degli utenti. Un approccio che a qualcuno può sembrare banale ma presuppone uno straordinario salto evolutivo. In teatro c'è il concetto di “quarta parete”, coniato da Bertolt Brecht per intendere, oltre le tre pareti della scena, la quarta dove stanno gli spettatori senzienti, protagonisti del processo teatrale. Sebbene la televisione sia nata dal teatro, con il suo evolversi ha fatto di tutto per distanziarsene. Non tutti sanno che in TV tutto accadeva in diretta (si dovrà attendere la fine degli anni Settanta per contare su sistemi di videoregistrazione) e buona parte dei format, come gli stessi “carosello” pubblicitari si basavano su sketch teatrali. Si usava la pellicola (16 millimetri, più veloce da sviluppare e più agile nella ripresa) quasi esclusivamente per i telegiornali, correndo contro le ore per averla pronta per l'edizione del telegiornale, dove veniva proiettata su uno schermo e ripresa per metterla in onda. Tornando al principio attivo della quarta parete e all'idea di coinvolgere direttamente gli spettatori, va detto, prima di tutto, dell'esperienza apripista in radio, quando nel 1969 nacque “Chiamate Roma 3131”, il primo tentativo in Italia di effettuare un contatto diretto e senza filtri tra l'ascoltatore ed il mezzo di comunicazione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 12 52 Carlo Infante - Dal mass media al personal media Un altro momento particolare, fu il gioco televisivo “Pronto, Raffaella?” condotto dalla Carrà. Questa trasmissione era impostata sull'interazione con il pubblico in diretta, attraverso vari giochi telefonici con i concorrenti da casa che rispondevano a semplici domande a fronte di premi importanti. L'evento principale, nel 1984, divenne il gioco dei fagioli, durante il quale si doveva indovinare il numero esatto di fagioli presenti all'interno di un barattolo di vetro. Puntata dopo puntata si creò una tale suspense, anche per l'aumentare del montepremi, che cresceva ad ogni tentativo errato. Durò mesi. Quell'interattività alla buona dentro la cornice della televisione generalista segnò un momento curioso nel quadro della mediamorfosi, per usare un neologismo coniato da Roger Fidler. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 12 53 Carlo Infante - Dal mass media al personal media 4. La molteplicità degli schermi Eppure a partire dagli anni Ottanta l'interattività digitale ha scandito l'innovazione del medium TV superando l'idea stessa di televisore, moltiplicando gli schermi secondo i dispositivi connessi a internet. Facciamo un passo indietro. Tra i primi servizi televisivi interattivi spicca il teletext che trasmette solo contenuti testuali e con grafica essenziale. In Italia viene trasmesso nel canale RAI Televideo, per la prima volta nel 1984, quando di Internet ancora non si parlava. Vi si trovavano informazioni sul palinsesto dei programmi televisivi, con informazioni di utilità sociale, come l'orario dei treni. Eppure l'interattività digitale effettiva, quella che condiziona il palinsesto, (richiedendolo ad hoc e pagandolo di conseguenza) è quella della pay per view che non solo ha riguardato la RAI (con l’esperimento di RAI Click) ma anche i privati, con Mediaset, in testa. Tuttavia il sistema televisivo generalista, resiste, conta ancora su un mercato pubblicitario che gli dà garanzia. Si sta profilando comunque un nuovo scenario tecnologico, si chiama Hybrid Broadcast Broadband e prevede la trasmissione su banda larga ibrida, lo standard che progressivamente sostituirà l'Mhp (Multimedia Home Platform) attraverso cui si vede anche il digitale terrestre e non solo. Su questo nuovo standard si sta già sviluppando la catch up tv (quella che è già testata su Rai Replay). Ma torniamo a individuare le modalità della TV interattiva che oltre alla pay per view che permette anche di gestire un archivio di contenuti messi a punto dal provider televisivo, ha come focus principale il video on demand. Questo servizio interattivo permette agli utenti di fruire, gratuitamente o a pagamento, di un programma televisivo in qualsiasi momento lo desiderino. Il video on demand rappresenta un vero e proprio ribaltamento del concetto stesso di televisione basata su palinsesto lineare. Arriveranno quindi nuovi standard, ma al momento ci basta e avanza tutto quello che arriva dall'ormai consolidato IPTV , ovvero il servizio televisivo fruito tramite Internet ( Internet Protocol), raccogliendo una grande quantità di contenuti in streaming video, sia dai vari canali a pagamento (da Sky a Netflix e tutti gli altri) sia dal web, gratuiti. Distribuiti sui tanti schermi che abbiamo a disposizione: personal computer, tablet, smart phone o smart tv. 54 Carlo Infante - Dal mass media al personal media 5. Dall’“uno a molti” del broadcast radio-tv al “da molti a molti” del web Anni fa (nel 2007) in un progetto di studio dal titolo “Teleschermi” si analizzò come lo scenario televisivo che allora si stava delineando nella diversificazione dei modi di trasmissione televisiva (dalle pay tv via satellite e il digitale terrestre alle web tv) con uno sguardo di attenzione alle potenzialità del mobile. La TV generalista rimane ancora arroccata sul suo zoccolo duro di audience invecchiata e statica mentre gli spettatori più avvertiti diventano prosumer: consumatori che producono comunicazione bidirezionale e personalizzata. Usano YouTube e altre piattaforme basate sui cosiddetti user generated content e le web tv scalzano la funzione inespressa delle emittenti televisive locali per garantire nel territorio un’informazione pertinente e partecipativa. La condizione del my media permette alle comunità degli utenti auto-organizzati di prendere voce, lasciare un’impronta geolocalizzata che inscrive storie nelle geografie dei territori e liberare un’energia sociale connettiva che tratta l’informazione come un bene comune, condividendola nel web. Oggi la realtà dei social media si pone come condizione mainstream, è di fatto il corso principale della comunicazione, per quanto in buona parte inaffidabile. Eppure segna un accesso sempre più di massa a cui corrisponde una pratica sempre più semplificata degli ambienti digitali. E questo per alcuni aspetti è un bene. Nel corso di questi ultimi vent’anni con il fenomeno dei blog si era già sviluppata questa condizione di vitalismo partecipativo, con realtà straordinarie di innovazione culturale. Oggi, superata quella fase di sperimentazione, connotata come un avamposto di ricerca evolutiva, arriva l’onda montante della normalità. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 12 55 Carlo Infante - Dal mass media al personal media 6. Social lifecast Su piattaforme universali come Facebook (che nei primi mesi del 2020 ha superato i 2,5 miliardi di utenti) si sta delineando un forte consumo di massa, qualcosa che fa pensare anche a un surrogato di televisione dove ci si ritrova a fare zapping tra i profili, facendo del newsfeed una nuova dinamica per farsi il proprio palinsesto sia per informarci sia per divertirci o immergerci in una visione. I social media stanno diventando sempre più realtà che oltre a moltiplicare le relazioni, con l’illusione di aumentare il proprio capitale reputazionale (reputation capital), si offrono come privilegiata finestra sul mondo, scalzando anche il re dei mass media, la TV. Eppure i social media anche se diventano di massa non possono essere considerati mass media, proprio perché il paradigma su cui si basa il loro modello di trasmissione è l’opposto di quello radio-televisivo dell’uno a molti, per far esplodere quello che nel web s’era già prospettato e che ora sta tracimando in un mosaico esponenziale di interrelazioni tra profili diversi, in una globale giostra della personalizzazione. Sta emergendo una sorta di inedito social broadcast dove si ricrea quel meccanismo perverso di attrazione magnetica delle celebrità d'ordinanza, secondo un catalogo di star e starlette di tutti tipi: star televisive (dove si gioca sistematicamente l'amplificazione dei personaggimaschera) agli opinionisti di ogni campo, politici, giornalisti, medici, virologi, sportivi… e, ovviamente quelle celebrità improbabili, sorte come funghi proprio nell’habitat dei social, secondo le liturgie prevedibili dei cosiddetti influencer. Viene messa in onda, a partire dai piccoli schermi degli smartphone, la vita, a pezzi, frammentata come in uno specchio rotto. Siamo giunti alla retorica iperreale dell’accesso al mondo intimo, al backstage della vita come simulacro di autenticità, con una sistematizzazione spontanea, pervasiva e quasi virale, che si sta rivelando ben più di un format, nuovo palinsesto. È ciò che è stato definito social lifecast dove il flusso corrente è garantito dalla quotidianità della propria cerchia di amici o conoscenti con cui si mantiene un contatto costante che a volte Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 12 56 Carlo Infante - Dal mass media al personal media sembra incredibilmente empatico anche se di fatto si fa, molto spesso, solo il surf sulla superficie di alcuni post che spostano l’onda dell'attenzione. È un mosaico di intimità frammentate, connesse sulla base di contatti spesso rapsodici in cui si ritrova qualcuno un po’ per caso, secondo l’andamento dello stream su Facebook. Le combinazioni si susseguono per colpi di notifiche annunciando incontri ed epifanie che lasciano (anche se non sempre) il tempo che trovano. Fa parte del gioco anche il rumore proprio dei social media, ovvero quei fenomeni borderline come le bufale o fake news nonché le polemi Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 12 57 Carlo Infante - Lo sviluppo di Internet Indice 1. L’EPICA DI ARPANET ........................................................................................................................... 3 2. TRENINI DI DATI .................................................................................................................................. 6 3. DA INTERNET SI PASSA AL WEB, LA SUA DECLINAZIONE IPERTESTUALE ............................................. 8 4. IL RESET FINANZIARIO DELLA NET ECONOMY FA NASCERE IL WEB 2.0 ........................................... 10 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 13 58 Carlo Infante - Lo sviluppo di Internet 1. L’epica di Arpanet La prima fase che vede la rete come esclusiva applicazione d’interesse militare ha una storia emblematica, rasenta l’epica. Il presidente Eisenhower, già al comando dello sbarco alleato in Normandia, nel 1957 in apprensione per il rischio di perdere il primato tecnologico, dopo la missione spaziale del satellite russo Sputnik, accolse un consiglio strategico di Vannevar Bush: La ricerca di base porta a nuove conoscenze, genera capitale scientifico, crea la riserva dalla quale le applicazioni pratiche del sapere devono essere attinte. Vannevar Bush, Manifesto per la rinascita di una nazione Bush, è il generale che inventò negli anni Trenta il Memex, un calcolatore analogico per gestire informazioni archiviate (anche con microfilm), di fatto il prototipo del computer e dei processi ipermediali. Una macchina per gestire le tattiche possibili, non solo militari. È grazie a lui che il Sistema Paese statunitense ha sviluppato un processo virtuoso di conoscenze scientifiche, coniugando lo sviluppo industriale a quello degli assetti militari, coinvolgendo le Università. L’epica sta qui, una volta tanto senza guerra. Va infatti detto che il principio di deterrenza reso dal fatto che in caso di attacco nucleare non si sarebbe potuto “accecare” il sistema difensivo e quello di contrattacco, inibendo le comunicazioni, grazie al fatto che Internet con il suo sistema distribuito e non gerarchico dei nodi di comunicazione non si sarebbe potuto bloccare, è il dato più importante di come si possa evitare un conflitto. Una nuova tecnologia ha espresso il deterrente, nell’evitare un attacco. Era l’ideologia della Guerra Fredda. Si fece di tutto perché i sovietici ne fossero consapevoli, rendendo pubblica la ricerca e non segreta (come tutti i protocolli militari). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 13 59 Carlo Infante - Lo sviluppo di Internet Internet nasce nel 1969 come rete militare degli Stati Uniti L’intelligenza tecno-scientifica messa in campo da centri di ricerca come la Rand corporation, lo Stanford Research Center, l’Augmentation research Center e lo Xerox Park, avevano contribuito a fare di Internet un dispositivo più efficace di un’arma. Queste aziende diventano protagoniste dello sviluppo di Internet come opportunità che reinventò il modo di concepire e gestire i conflitti. Quella struttura garantiva la comunicazione militare anche durante un attacco atomico, inventando il modo per superare i limiti delle comunicazioni allora utilizzate in cui ogni nodo era col­legato nella configurazione gerarchica “stellare”. Tutto questo complesso di ricerca tecnologica e militare trova il suo fulcro nell’ARPA (Advanced Research Project Agency) che viene integrata nel Pentagono. L’ARPA, è quindi la matrice di Internet, nasce nel 1958 per poi diventare DARPA (Defence Advanced Research Project Agency). È con il nome di Arpanet che nel 1969 si imposta il sistema attraverso il collegamento con i primi due nodi della rete fra l’UCLA (University of California, Los Angeles) e lo SRI (Stanford Research Institute). ARPANET ha una struttura di connessione senza livelli gerarchici per consentire la comunicazione anche in caso di spegnimento di un nodo di server. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 13 60 Carlo Infante - Lo sviluppo di Internet È interessante sapere che in questo gruppo di progettazione operavano anche degli psicologi come Joseph Licklider, che aveva lavorato al MIT (Massachusetts Institute of Technology) dove si erano inventati i sistemi di time sharing informatico, il metodo per cui più utenti interagiscono con il processore di un mainframe (un grande computer con prestazioni di elaborazione dati di alto livello). Licklider era un teorico delle reti decentralizzate impegnato nella ricerca di nuove interfacce uomo-macchina. Aveva collaborato con Norbert Wiener, l'inventore della cibernetica. In quel periodo, negli anni Settanta, l’ARPA finanziava l’acquisto dei grandi mainframe per le Università, computer grandi come delle stanze, agognati dagli studenti di informatica, i primi hacker, che nell'utilizzarli senza permesso, ne ottimizzavano le funzioni. Fu importante fare di questi potenti computer, programmati per processare un sistema informativo alla volta, un qualcosa per cui le capacità computazionali venivano condivise in rete, con il nuovo metodo tecnologico del time sharing. Questo processo permette la condivisione delle risorse di calcolo di un computer che risponde alle richieste di più utenti, sottraendo i tempi morti tra differenti input. Internet sostituì il nome Arpanet solo nel 1983 per differenziarla da Milnet, la rete esplicitamente usata a scopi militari. Internet divenne così la più grande avventura tecnologica collaborativa mai realizzata al mondo. Si configurò come uno straordinario ambiente di comunicazione per far interagire più comunità di scienziati, creando le basi per la condivisione globale delle più disparate comunità, non più solo scientifiche. Il termine Internet si sviluppa in un secondo tempo come contrazione del termine INTERconnected NETworks. Il termine Internet fu coniato, nel 1973, da Robert Kahn, ricercatore dell’ARPA, ricombinando i termini INTERconnected e NETworks. Si aprì così il percorso della comunicazione distribuita, i protocolli liberi, le richieste di commento, la commutazione di pacchetto e i router che sono le invenzioni di ciò che diventerà poi il web. Invenzioni di ricercatori che si occuparono della guerra per non farla. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 13 61 Carlo Infante - Lo sviluppo di Internet 2. Trenini di dati I “vagoni” informatici di fronte a un nodo occupato o fuori uso, possono separarsi e poi ricongiungersi a destinazione grazie ai metadati che indicavano il recapito. È la commutazione di pacchetto. In questa idea di rete si delineano tre punti cardine su cui ruota il web attuale. Configurazione di una rete senza gerarchie che permette la comunicazione anche se si guasta un nodo. Questo assetto permette di instradare il traffico in modo ottimale grazie ai router, dispositivi che consentono di suddividere la rete in più segmenti. Attuazione della commutazione di pacchetto, tecnica di accesso multiplo concepita per il trasporto di dati tra più nodi, suddividendo l'informazione da trasferire in pacchetti trasmessi individualmente e in sequenza, seguendo un particolare meccanismo di instradamento. Come su un trenino di dati i cui “vagoni”, di fronte un nodo occupato o fuori uso, possono sganciarsi poi ricongiungersi a destinazione grazie a dei metadati che indicano dove essere recapitati. Interoperabilità tra mainframe (come i server che ospitano i dati) e i sistemi diversi dei computer client connessi in rete. Si trattava di realizzare non solo una rete di computer affidabile, bensì di promuovere l’internet working, per connettere qualsiasi computer in rete. Per rendere tutto questo possibile, Robert Kahn prima e Vinton Cerf poi, crearono l’Internet Protocol, proprio per far dialogare diversi computer tra loro, innestando un protocollo di controllo, il Transmission Control Protocol (con Internet Protocol nella sigla TCP/IP) che diverrà lo standard Internet, ma solo dal 1983. Un protocollo unico per connettere tutta la rete galvanizza il mondo scientifico, per cui il ruolo centrale nello sviluppo di Internet viene assunto dalla National Science Foundation (NSF), aprendo la fase della rete per la comunità scientifica. Nel contesto universitario Unix diventerà, prima dello sviluppo dei personal computer, la piattaforma più diffusa in Internet, e il modello TCP/IP diventa di fatto lo standard per reti aperte, email e sistemi di trasferimento di dati. Internet nasce come un laboratorio che appare improbabile data la collaborazione tra militari, accademici, hacker e industriali. Questa confederazione di computer è stata dominio per oltre due decenni di militari e scienziati per poi arrivare nelle case di tutti nei primi anni Novanta. 62 Carlo Infante - Lo sviluppo di Internet 3. Da Internet si passa al web, la sua declinazione ipertestuale Nel 1987 erano stati già messi a punto due processi decisivi per lo sviluppo di Internet: l’HTTP (HyperText Transfer Protocol) e l’HTML (HyperText Markup Language). Il primo consiste nel nuovo protocollo per la trasmissione dei dati a pacchetti, mentre il secondo diventa lo standard per la realizzazione dei documenti ipertestuali. Protagonista di questo salto di qualità è Tim Berners-Lee. L'idea del World Wide Web nasce nel 1989, presso il CERN (Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire) di Ginevra, il più importante laboratorio di fisica europeo. Lo stesso BernersLee aveva presentato già una sua proposta di Information Management ai suoi superiori, fu considerata vaga ma interessante. Ma si procede e sulla base della nuova definizione dei protocolli già avviati per la gestione dei dati in rete, il linguaggio HTML e il protocollo di rete HTTP, nel 1990 si ultimano gli update dei software per il server. Si realizzò anche il primo browser con il WWW (World Wide Web). La data di nascita del World Wide Web viene comunemente indicata nel 1991 quando quelle pagine web del CERN divennero rese pubbliche nella nuova rete internet. Solo nel 1993 il CERN decise di mettere il WWW a disposizione di tutti rilasciandone il codice sorgente in pubblico dominio. Nel 1994 nasce Netscape Navigator, il primo browser commerciale Nel 1993 uscì nell’ambito del National Center for Supercomputing Applications (NCSA) Mosaic, un browser che combinava una capacità grafica avanzata. Uno dei suoi programmatori, fondò poi una propria società, la Netscape Communication Corporation e, nel 1984, fece uscire il primo browser di successo, Netscape Navigator. Tante grandi aziende dell'informatica rimangono spiazzate da questa accelerazione che vede l’avvento del web e la stessa Microsoft si affaccia a questo nuovo mondo solo nel 1995. Arriva con Internet Explorer, da installare su sistema operativo Windows 95. Nel 1998 Netscape fa la mossa del cavallo: rilasciò in rete il codice sorgente di Navigator, la cultura open source che Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 13 63 Carlo Infante - Lo sviluppo di Internet scintillava tra le migliori intelligenze del web aveva capito che l’accesso alle reti andava aperto il più possibile. Si inizia così a comprendere le potenzialità della rete nel condividere testi, immagini e file musicali. Nel 1999 arriva Napster, il primo sistema di file sharing di massa. Gli utenti di Internet sono 200 milioni in tutto il mondo. Nasce eBay, il sito di aste che permette di vendere e comprare oggetti tra privati ed ecco PayPal, il modo migliore per facilitare i pagamenti, la fonda Elon Musk. Tra l’altro c’era già Amazon creato nel 1994 da Jeff Bezos che ha spianato la strada a tanti altri servizi del web 2.0. È su questa onda che nel 1998 Larry Page e Sergey Brin fondano la più grande società che opera nel web, allora in un garage: Google che nel 2019 si è rinominata Alphabet, diventando con 568 miliardi di dollari di capitale azionario la società per azioni più grande del mondo. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 13 64 Carlo Infante - Lo sviluppo di Internet 4. Il reset finanziario della net economy fa nascere il web 2.0 Il passaggio al secondo millennio lascia il segno al web: una ferita finanziaria data dall’esplosione della “bolla” della new economy e una conseguente rigenerazione. Il web è ormai dappertutto e non può essere più concepito solo come asset editoriale per nuovi industriali o commercianti delle transazioni on line con l’e-commerce. Nel solco di questa rigenerazione nascono blog, dei diari online da cui la parola stessa: web + log (diario). Un fenomeno che esplode sancendo la nascita del web 2.0 che non è solo update tecnologico, con l’invenzione del CMS (Content Management System), bensì antropologico, scoprendo una soggettività glocal (coniugando la cosa più locale che c’è, la propria quotidianità, nel contesto più globale che ci sia, il web). Gli utenti diventano autori di sé stessi, esprimendo quella disintermediazione che stabilisce una forte modificazione delle modalità di relazione con le informazioni. Si inizia a percepire il valore del reputation capital, quella reputazione personale che diverrà con l'avvento dei social network la vera merce di scambio. Acquista una valenza esplicita il fatto che una delle potenzialità della rete sia quella di mettere in contatto le persone. Chi aveva ideato Internet agli albori lo aveva capito ma lo aveva impostato come una connessione tra intelligenze tecno-scientifiche mentre ora inizia a riguardare tutti. È su questo scenario che si proiettano, già nel 2003, MySpace e Linkedin, per essere poi raggiunti e ampiamente scavalcati da Facebook l’anno seguente. Tra questi social media spicca poi Twitter che rende esplicita la funzione degli hashtag per condividere contenuti con precise parole chiave. Nel 2005 arriva YouTube, piattaforma attraverso cui condividere e visualizzare video sharing, ha un successo tale che l’anno dopo Google se lo compra per la somma record di un miliardo e 650 milioni di dollari. Insieme sono i siti più consultati al mondo. Stiamo parlando solo di rete e di software, ma l’hardware? Una forte accelerazione alla questione arriva quando nel 2007 Steve Jobs della Apple cambia l’idea di telefonino facendolo Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 13 65 Carlo Infante - Lo sviluppo di Internet diventare smartphone. Quando viene presentato l’iPhone si impone come un game changer delle tecnologie in campo. Telefono, computer, Internet, tutto in un solo dispositivo, si apre l’era dell’always on, sempre connessi. In questo mare magnum di connessioni emergono le prime grandi contraddizioni, a partire dal fatto che i grandi poteri hanno spesso grandi responsabilità che non rispettano. E accadono scandali come quello creato, nel 2010, da Wikileaks, la piattaforma ideata dall’hacker Julian Assange, che pubblicò anonimamente dei documenti confidenziali, forniti dagli utenti, sui crimini di guerra statunitensi svolti in Medio Oriente. O per altri versi lo scandalo Cambridge Analytica del 2018 in cui si violarono circa 87 milioni di profili Facebook, senza scomodare hacker ma investendo in pieno le responsabilità di Mark Zuckerberg, il fondatore del più grande social media. Abitare un nuovo ambiente come la rete comporta nuove responsabilità, per cui è stata creato un regolamento sul trattamento dei dati, il GDPR (Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati). Un’azione dell'Unione europea in materia di trattamento dei dati personali e di privacy del 2016, per rafforzare la protezione dei dati personali di cittadini dell'Unione europea anche all'esterno dei confini dell'UE. Internet è di fatto un nuovo mondo per cui c’è la necessità di ambientarsi, accogliendo le trasformazioni sociali, se non antropologiche, che sono accadute in questi ultimi 50 anni. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 13 66 Carlo Infante - Lo sviluppo di Internet Tag FTP Time sharing Milnet Rete senza gerarchie Commutazione di pacchetto Interoperabilità Transmission Control Protocol http html CMS Glocal Disintermediazione Reputation capital Always on GDPR Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 13 67 Carlo Infante - Interattività, ipermedialità, connettività Indice 1. L’INTERATTIVITÀ .................................................................................................................................. 3 2. LA IPERMEDIALITÀ .............................................................................................................................. 6 3. LA CONNETTIVITÀ............................................................................................................................. 10 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 14 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 14 68 Carlo Infante - Interattività, ipermedialità, connettività 1. L’interattività L’interattività riguarda principalmente il corpo in azione nell’ambiente digitale attraverso l’uso di interfacce. L’interfaccia è ciò che ci permette di svolgere quelle azioni: è sia lo strumento per intervenire in questo ambiente con estensioni fisiche (le cosiddette “periferiche”, come un mouse, o un joystick, un data-glove, un esoscheletro-datasuit), sia la soglia da attraversare per entrare in relazione percettiva e cognitiva con lo schermo del computer. Questa ultima è l’interfaccia grafica, che può essere individuata in tante forme di cui due sostanziali: simbolica (quando è composta principalmente di parole e icone da decodificare nelle loro funzioni) e immersiva (quando ricrea un ambiente, possibilmente tridimensionale, in cui si è invitati ad “entrare”). L'interfaccia è come una soglia, va attraversata per entrare nell’ambiente digitale. Esperienza che oggi è ordinaria, qualche decina di anni fa appariva straordinaria, a tal punto di aver concepito quello stare di fronte alla soglia come l'attraversamento dello specchio di Alice nel paese delle meraviglie. Nell'interazione uomo-macchina, si esprime un'azione verso un dispositivo che rilascia feedback, tendenzialmente in tempo reale, attraverso delle interfacce definite anche periferiche. Una unità periferica è qualsiasi dispositivo hardware che fa parte di un sistema di interazione con il computer con cui è collegata, e può svolgere funzione sia di ingresso (input), sia di uscita (output). Le periferiche di input, come tastiere, mouse, tavolette grafiche, web cam, touch screen, data-glove, etc., consentono di immettere dati nel computer. Le periferiche di output, come monitor, stampante, plotter, stampante 3D, etc., ricevono dati dal computer per tradurli in immagini e comandi di stampa. Le periferiche di input/output immettono dati e al contempo ricevono dati da rielaborare, trasformandoli per particolari sessioni operative, dispositivi di questo tipo sono modem, schede video, schede audio, schede di rete, etc. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 14 69 Carlo Infante - Interattività, ipermedialità, connettività Le periferiche inoltre possono essere locali (quelle interne al computer o connesse direttamente ad esso) e remote (quelle connesse al computer attraverso una rete locale o via internet). Ogni periferica è correntemente collegata all’hardware del computer via cavo, via wireless o via rete, ed è controllata attraverso un driver gestito dal sistema operativo. Altre forme d'interattività sono quelle che contemplano un intervento in rete, in una comunicazione a distanza, anche quando interveniamo sui social o consultiamo un motore di ricerca. Altra interattività è quella in rete, come nel nel dialogo con un chatbot Sulla base di quest'ultimo aspetto, si può considerare il fatto di trattare di interattività in relazione ad un'interfaccia antropomorfa, quando si stabilisce una relazione con avatar, figure realizzate in simulazione 3D, o un’interfaccia che simuli una intelligenza umana come nel caso dei bot (agenti intelligenti, “robot” informatici) come avviene nelle sempre più diffuse chat bot e nelle relative conversazioni vocali. Il web induce velocità per cui si è sempre più alla ricerca di risposte immediate e personalizzate. L’usabilità di un sito web, si misura in termini di facilità e velocità della navigazione, basata anche sul numero di azioni necessarie a soddisfare la ricerca d’informazione. Un sito che fa fare troppi passaggi esprime una cattiva esperienza-utente, tanto più ora in cui la navigazione è maggiormente effettuata tramite smartphone. Molti siti oggi, già in home page, in alto a destra o nel footer (a piè di pagina), indicano i contatti immediati. Se si tratta di e-commerce l’obiettivo è quello di raggiungere velocemente la transazione, sollecitando l’acquisto d’impulso. In questo senso agire sulla user experience è fondamentale. L’evoluzione della progettazione web si misura sempre più sul fatto di entrare direttamente in contatto con l’utente per fornire informazioni veloci e personalizzate. In questa direzione si muovono le interfacce conversazionali (come chatbot oppure gli assistenti vocali); sono bot intelligenti che si basano sull’interazione scritta o orale e simulano il comportamento umano tramite software di intelligenza conversazione con gli utenti. artificiale capaci di processare in tempo reale una 70 Carlo Infante - Interattività, ipermedialità, connettività 2. La ipermedialità La ipermedialità è l’articolazione dell’ipertesto con più media Altra parola chiave è ipermedialità, intesa come articolazione dell’ipertesto con più media, quella che sottende le forme non lineari del linguaggio e che sostiene il principio associativo sul quale si basa la nostra memoria. Costruire artefatti cognitivi è il compito di chi esercita il linguaggio utilizzando le diverse tecnologie a disposizione, dal libro al cinema e ora al multimedia e alla telematica. Nell’ambito informatico, con i software ipermediali, il linguaggio trova finalmente la sua forma più espansa, simile alla complessità psichica della mente sollecitata continuamente da libere associazioni e rimandi analogici, secondo l’azione combinatoria dei link e integrando la dimensione alfabetica con quella audiovisiva. In questo senso, l'ipermedia si apre alla mutazione delle sensibilità che, in un futuro sempre più digitale, riscopriranno il valore originario della comunicazione totale e sinestesica. La sinestesia, intesa infatti come compresenza di più linguaggi e di conseguenza di più approcci percettivi, libera le potenzialità sensibili, le apre alla dinamicità dello sguardo e del senso. L’idea del dispositivo ipermediale Memex (prevedeva anche l’uso di microfilm, non solo di testi) elaborata nel 1945 da Vannevar Bush, uno dei pionieri dell'informatica, pose sul campo la questione di come trattare la complessità dell’informazione con una trasmissione rapida e una consultazione dinamica e combinatoria. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 14 71 Carlo Infante - Interattività, ipermedialità, connettività Il Memex Bush si interrogava su come superare i tradizionali metodi di classificazione gerarchica, alfabetica o ad albero dell'informazione per creare un sistema che fosse prossimo al funzionamento della mente umana, la quale procede nella conoscenza attraverso libere e ricombinatorie associazioni di idee. Un motore ipermediale per gestire il rapporto tra nodi e collegamenti deve contemplare l'information retrieval (recupero informazioni) che si basa su un'architettura complessa che contempla psicologia cognitiva, mappe mentali, ontologia filosofica, design e informatica. I sistemi multimediali operano attraverso i media-object da visualizzare sullo schermo dell'utente con differenti procedure-software genericamente definite Text Editor per scrivere testi, Scanner Editor per acquisire le immagini, Painting Program per disegnare, Animation Editor per realizzare delle animazioni digitali. Il codice ipermediale ci pone di fronte alla struttura dell'immagine digitale che è composta da pixel, puntini disposti in una griglia rettangolare formata da righe e colonne. La scala dei colori specifica il numero massimo di colori disponibili. Sono possibili le seguenti scale di colori: bianco e nero (1 bit per pixel), 16 colori (4 bit per pixel), 256 colori (8 bit per pixel) e 16,7 milioni di colori Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 14 72 Carlo Infante - Interattività, ipermedialità, connettività (colore originale, corrispondente a 24 bit per pixel). Il numero reale di colori che appare sul monitor dipende dal tipo di hardware e di relativo driver. Tra i metodi per memorizzare le immagini ci sono quello vettoriale (draw), file che contiene le istruzioni per creare l’immagine stessa e quello raster (paint) che usa informazioni relative a ogni pixel. L'occhio umano quando vede un'immagine la imprime sulla retina dove viene mantenuta per alcuni millisecondi prima di svanire. Ogni sistema video sfrutta questo principio per produrre immagini in movimento basate su almeno 30 immagini al secondo. Se ogni fotogramma digitale a colori si compone di 480 pixel per 640 pixel, visto che occorre un byte per ciascun pixel, l'intero fotogramma richiede ben 307.200 byte per cui, alla frequenza di 30 Hz, occorre processare 9,2 milioni di byte in un secondo. Per una durata media di 10 secondi di trasmissione l'occupazione di memoria sale a 92 milioni di byte. Se si aumentasse il numero di bit per pixel per rendere migliore la definizione, la pesantezza del file aumenterebbe a dismisura. Per questo è decisiva la compressione dei dati per la trasmissione multimediale con algoritmi adeguati. Tutti i sistemi di compressione richiedono due algoritmi: uno per comprimere i dati alla fonte e uno per decomprimerli alla destinazione (codifica e decodifica). Lo standard JPEG (Joint Photographic Experts Group) è lo standard multimediale per le immagini fisse, mentre per quelle in movimento c’è MPEG (Motion Picture Experts Group) che comprime sia immagini che suoni. Per produrre un ipermedia occorre gestire un archivio di informazioni in un database, che richiama i record testuali e audiovisivi con una meta-struttura predefinita, che non separa la struttura dal contenuto dei documenti multimediali dell’archivio da altri link che puntano ad esso. L'insieme di questi forma l'architettura ipermediale. In rete i sistemi ipermediali supportano una particolare interfaccia utente che è definita browser (Chrome ad esempio è il browser più diffuso). In ciascuna azione di browsing (navigazione) un nodo è visualizzato sullo schermo dell'utente così come sono visualizzati altri link per passare ad altri nodi di destinazione. Tutti i browser si basano sull’HTML (HyperText Markup Language) il linguaggio di formattazione che permette di visualizzare le pagine web. Connessi in rete è l'HTML che supporta le strutture ipermediali, con suoni, immagini fisse e in movimento 73 Carlo Infante - Interattività, ipermedialità, connettività 3. La connettività La connettività comporta l’interrelazione con la rete Altra, fondamentale, parola chiave è connettività, il valore che determina la condivisione nell’interrelazione comunicativa: l'interconnessione tra la rete e noi. Il principio basilare su cui si sviluppa la nostra intelligenza è quello, interno, della connettività neuronale attraverso le sinapsi del nostro cervello. Il fatto che la rete telematica possa essere concepita come un isomorfismo della mente ci sostiene nella considerazione di un'emergente intelligenza connettiva. Il prefisso “inter” fa intendere ciò che rende l’interconnessione diversa dalla connettività di una volta, come quella telefonica, da punto a punto, nel web si tratta di una connettività che coinvolge diverse parti contemporaneamente. L’interconnessione collega numerose entità separate e le rende non solo in grado di unirsi tra loro in ecosistemi digitali, ma anche di connettersi come un’unica unità con altri ecosistemi digitali. Questa è la connettività da molti a molti del web, che in quest’era interconnessa, ci mette in grado di connetterci istantaneamente e contemporaneamente su più dispositivi e accedere a varie fonti d’informazione. Il punto che ci interessa porre all’attenzione è quello della creatività connettiva, per esprimere un'idea precisa di cultura dell'innovazione e, grazie al web, il miglior modo possibile per condividere conoscenza. Questo termine è mutuato dalla straordinaria intuizione di Derrick de Kerckhove che già nel 1996 coniò il concetto di intelligenza connettiva, rispondendo alle teorie di Pierre Lévy sull'intelligenza collettiva basata sui principi ipertestuali. Un buon modo per definire la creatività è quello suggerito dal matematico francese JulesHenri Poincaré: Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 14 74 Carlo Infante - Interattività, ipermedialità, connettività "Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili" Questo suggerimento è decisivo per capire il fenomeno del mash up nel web, implementando diverse applicazioni, plugin e le tante risorse informative a disposizione in rete. È in fondo qualcosa che ha a che fare con l’economia circolare per cui è sempre più importante porre attenzione a ciò che c’è da riusare, materiale o immateriale che sia. Si tratta di una creatività connettiva che rilancia il principio open source nel senso lato del termine, un concetto che deriva dalle nuove frontiere del free software per espandersi alle nuove metodologie della cosiddetta open innovation, che riguarda la necessità di cooperare, superando i modelli competitivi per esaltare quelli della condivisione. La questione della creatività, infatti, non riguarda solo l’espressione artistica dei linguaggi ma la capacità di ambientarsi in nuovi contesti, come oggi è quello del web, il nuovo spazio pubblico. È importante pensare che la creatività connettiva possa inventare i modi per antropizzare questo ambiente digitale: dall’esplorazione delle interfacce evolute (come quelle vocali) alla progettazione di nuove relazioni che sollecitino la partecipazione, in un contesto popolato da soggetti disposti a comunicare per reinventare società. Il dato sostanziale è nel fare di tutta questa comunicazione interconnessa un possibile modello produttivo innervato nello scambio sociale. È questa la potenzialità, tutta da interpretare, per ciò che chiamiamo Società dell’informazione, perché venga usata e reinterpretata in termini sostenibili. Stiamo vivendo in un sistema in transizione che non ha più al centro la produzione industriale e che sta ridefinendo l'idea stessa di informazione, non più solo strutturata da professionisti e intellettuali ma direttamente associata a quella creatività sociale capace di fare delle reti di comunicazione una infrastruttura funzionale all'auto-organizzazione delle comunità che agiscono nei territori. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 14 75 Carlo Infante - Interattività, ipermedialità, connettività Nella creatività connettiva c'è il principio attivo per liberare quell'innovazione che può fare delle tecnologie della comunicazione la migliore forma politica e poetica per coniugare coesione sociale e sviluppo possibile. Tag Interfacce Interazione uomo-macchina Chat bot User experience Interfacce conversazionali Ipermedialità Azione combinatoria Connettività Mash up Open Source Economia circolare 12 di 14 76 Carlo Infante - Interfaccia come soglia Indice 1. L’INTERFACCIA È SIA LO STRUMENTO SIA LA SOGLIA DA ATTRAVERSARE PER MISURARSI CON LO SCHERMO ................................................................................................................................................... 3 2. LA RELAZIONE PERCETTIVA E COGNITIVA CON LO SCHERMO DEL COMPUTER ............................... 4 3. INTERFACCIARE SIGNIFICA INTERCONNETTERE PIÙ SISTEMI .............................................................. 8 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 13 77 Carlo Infante - Interfaccia come soglia 1. L’interfaccia è sia lo strumento sia la soglia da attraversare per misurarsi con lo schermo L'ambiente digitale può essere quindi contemplato, a tutti gli effetti, come un nuovo spaziotempo con cui interagire, inventando forme nuove di relazione (interaction design) che vanno oltre l'ergonomia (dal greco érgon: lavoro, forza e nomos: regola, legge) dell'interazione uomomacchina, per affermare i gradi di libertà del corpo in azione attraverso le interfacce. Il fatto che l'interfaccia grafica di uno schermo interattivo possa essere quindi concepita come una soglia d'entrata in un ambiente digitale entro cui fare esperienza, è decisivo per aprire un fronte di riflessione culturale sulla condizione basilare della Società dell'Informazione. È vitale investire attenzione su questo, per non correre il rischio di ritrovarsi in un mondo indotto, automatico e pervasivo. Sì, perché è strategico avere coscienza di come stabilire una relazione con i sistemi digitali. Tanto più quando l'evoluzione progressiva, se non esponenziale, dell'interaction design crea modalità sempre più fluide, a tal punto da non rendere chiaro l'input, come con le interfacce vocali o sistemi come RFID (radio frequenze identificative, come quelle che usiamo con il Telepass ai caselli autostradali o ai varchi nelle zone a traffico limitato). Quei varchi che s'aprono al nostro passaggio sono un caso plateale di soglia attraversata da un sistema di interazione digitale. E in alcuni casi quei passaggi coincidono con trasferimenti del nostro denaro dai nostri conti correnti a quelli di società di servizi. Stiamo trattando di una realtà che si sta evolvendo molto velocemente, dove le nuove generazioni (e non solo loro) senza la formazione adeguata, rischiano di cliccare “a vanvera”, in un automatismo psichico che non prevede raccordi psicologici, cognitivi ed emozionali. C’è bisogno di consapevolezza quindi, siamo qui proprio per questo: per affrontare il rapporto tra tecnologie e processi cognitivi, indagando quelle dinamiche che sottendono le nostre azioni interattive. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 13 78 Carlo Infante - Interfaccia come soglia 2. La relazione percettiva e cognitiva con lo schermo del computer Traslare, ad esempio, il concetto di ergonomia dal design d'interni all'interaction design, teso a progettare il rapporto quotidiano che intercorre tra la nostra percezione, la nostra azione e gli ambienti digitali, è strategico in tal senso. Proviamo a fare un passo indietro, senza fare la storia dell'interfaccia, per cogliere anche il valore simbolico di questo fattore. Nell'arco dei millenni si è presa coscienza del mondo, in via direttamente proporzionale alle tecnologie che hanno espanso le nostre possibilità per agirlo, osservandolo e attraversandolo. Dall'invenzione della ruota e del cannocchiale, per andare più veloce e per vedere più lontano, ai vettori aerospaziali e alla telepresenza, abbiamo acquisito soluzioni fisiche e immaginarie che hanno riconfigurato il nostro rapporto con il mondo. Per secoli ci siamo basati sull'interfaccia-libro: con uno sviluppo lineare del testo, da sinistra a destra (almeno per noi occidentali, a differenza degli utenti di cultura araba che procedono nella lettura da destra verso sinistra, per non parlare di cinesi e giapponesi che leggono in verticale), dall'alto in basso, nell'ambito della cornice del libro tipografico. È dall'invenzione della stampa a caratteri mobili di Johannes Gutenberg, nella seconda metà del Quattrocento, che la nostra civiltà si commisura con lo strumento principale di diffusione della conoscenza, il libro. Ciò di fatto ha svolto una funzione educativa a tutti gli effetti, insegnandoci ad acquisire le informazioni attraverso un codice che ha avuto bisogno di molti altri secoli, per relativizzare quello più diffuso, l'oralità. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 13 79 Carlo Infante - Interfaccia come soglia Va detto che quella rivoluzione tipografica ha fortemente delimitato ciò che era stato per almeno due millenni lo spazio comune della conoscenza basato sull'integrazione tra uso del corpo e della parola. Lo scambio orale delle informazioni, sviluppato nel modo più significativo nel contesto della civiltà greca, liberava un potenziale di comunicazione innato nell'uomo, potremmo dire filogenetico, innescato dal fatto di agire con il corpo i suoni emessi dalla voce, affinati progressivamente secondo l'evoluzione culturale. È importante riflettere su come il teatro, 2800 anni fa, abbia svolto una funzione decisiva nella diffusione alfabetica, proprio grazie al fatto di far interagire il corpo con parole che non tutti conoscevano. Il fatto stesso di vedere accadere qualcosa che sperimentava una nuova tecnologia (l'alfabeto a suo tempo è stato questo, una psicotecnologia) ha attivato un apprendimento per imitazione, grazie ai cosiddetti neuroni specchio (atti a riconoscere ed imitare l’agire umano), sviluppando una coscienza alfabetica, aiutando a decodificare le nuove parole grazie alla mimesi teatrale. Il gesto supportava la parola e la aiutava ad essere decodificata. Questa prerogativa del teatro come palestra di apprendimento e ambientamento sociale, ci può essere d'aiuto nel concepire la condivisione di un nuovo spazio-tempo, come quello digitale. Un ambiente inconcepibile fino a pochi decenni fa. Una delle domande cruciali da porsi a questo punto è: in che termini il corpo, e tutto l'insieme delle interrelazioni umane e sociali, si può mettere in gioco nella dimensione digitale? Chi pensa che venga solo sottratta fisicità non intende cogliere la sottile modificazione che produce l'interazione con i sistemi digitali, a partire dall'estensione protesica del mouse: quell'estensione, sia fisica che mentale (pensate solo al coordinamento mano-occhio), attraverso cui si articola l'interazione con il computer. Sì, è proprio accettando la complessità data dal modo di estendere le funzioni sensomotorie che si può comprendere il senso reale, sia fisiologico che cognitivo, dell'evoluzione umana in relazione con i nuovi media. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 13 80 Carlo Infante - Interfaccia come soglia L’interfaccia grafica simbolica, con parole e icone che delineano funzioni Oggi in relazione agli ambienti digitali, tutti i giorni abbiamo a che fare con un'interfaccia utente che facilita l'interazione con computer e altri device in una modalità visuale caratterizzata da rappresentazioni grafiche che possiamo definire icone. Una volta, fino a quarant'anni fa, si utilizzavano esclusivamente i comandi a tastiera, con righe di comando. La cosiddetta Graphical User Interface si diffonde negli anni Ottanta, con i primi Macintosh di Apple e con le consolle Atari, ma anche queste interfacce grafiche erano ancora monocromatiche. Negli attuali sistemi operativi l'interfaccia grafica si basa su una metafora semplice: il desktop, ovvero la scrivania, quel piano di lavoro con icone inconfondibili come il cestino e le cartelle che rimandano alla directory dei nostri file e le finestre che rimandano alle applicazioni. L’interfaccia grafica immersiva, dove si ricrea un ambiente tridimensionale, in cui “entrare” Nel momento in cui si misura con le realtà virtuali, l'interfaccia utente si presenta come interfaccia immersiva, una soglia da attraversare per entrare in un ambiente virtuale dove gli oggetti tridimensionali possono rivelarsi accessori (astratti ma funzionali al contempo) per agire e navigare. Si ha a che fare con un browser 3D che permette di esplorare scenari fatti di contenuti, concepiti in modo attrattivo per interazioni intuitive. Decenni fa fu paradossale e affascinante passare dallo sfogliare le pagine di un libro al navigare in un mondo popolato di oggetti tridimensionali fluttuanti nello spazio. WYSIWYG ciò che vedi è ciò che ottieni C'è un motto che sta alla base di questa funzione dell'interfaccia: “What you see is what you get”, ovvero “ciò che vedi è ciò che ottieni”. Un concetto che è passato alla storia con il suo acronimo dissonante WYSIWYG. Un principio che permette di operare sugli schermi con facilità, Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 13 81 Carlo Infante - Interfaccia come soglia come accade con gli editor testuali (Word è il più noto) agendo sulle icone dell’interfaccia, vedendo in tempo reale sullo schermo il risultato delle azioni e dei comandi dati. Le interfacce utente tendono quindi a semplificare l'approccio con i computer, ricreando un contesto di relazione che esiste da sempre. Quando tutto era WYSIWYG. Ovvero: vedo un bicchiere e so che posso ottenere dell’acqua, vedo una finestra e so che posso affacciarmi... Se si scrive a mano su un foglio o se si butta quel foglio in un cestino o si prende dalla biblioteca un libro, si agisce con ciò che si vede e si riconosce la funzione di quell’oggetto per svolgere delle azioni. Agli albori dell'informatica tutto si basava sulla compilazione di stringhe di codice, solo dopo con l’introduzione delle interfacce si è attivato uno sviluppo concepito sul riconoscimento di comandi predefiniti in forma di icone. La strada l'hanno aperta i word processor, i programmi di scrittura che hanno maggiormente beneficiato di questa modalità di rappresentazione in tempo reale della formattazione del testo, come i corpi dei caratteri, i corsivi, per avere una visualizzazione del risultato finale prima ancora di andare in stampa. Un salto di qualità è con gli editor di pagine web che fino ad una ventina di anni fa si dovevano impostare con misteriose righe di codice, operando con l'Hypertext Markup Language (HTML). Tutto ciò si è evoluto con una straordinaria velocità all'avvento del web 2.0, con la proliferazione dei blog, che ha richiesto l’adozione di una interfaccia più semplice, che nascondesse all’utente la complessità del codice, permettendogli di poter gestire le pagine web in autonomia, per diventare editore di sé stesso, della propria scrittura soggettiva, come quella di un diario. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 13 82 Carlo Infante - Interfaccia come soglia 3. Interfacciare significa interconnettere più sistemi Con la nascita di Internet e poi del web si sono interconnessi in rete tra loro una molteplicità di computer: hardware attivati da particolari software di commutazione, collegati l'uno con l'altro da link. Ciò ha permesso uno scambio tra più dispositivi dove i dati vengono trasmessi sotto forma di pacchetti dati secondo una regolazione di precisi protocolli di rete. Ciò è Internet, la rete delle reti, e da questo modello si è esteso in questi ultimi trent'anni un sistema che permette di creare nuove connessioni possibili. Sta andando in questa direzione la cosiddetta Internet delle Cose (Internet of Things - IoT). In questa accezione si palesa l'estensione del modello internet ad un insieme di oggetti e sistemi da far interagire tra loro. Un ambito in cui si sta concentrando la massima attenzione non solo dei mercati ma di quel fenomeno che definiamo Innovazione Adattiva (una condizione abilitante che contempla l'intelligenza connettiva degli utenti, sempre più affinati alla user experience). Questa interconnessione tra più sistemi da parte degli utenti comporta una dinamica convergenza tra sensoristica, automatizzazione di apparati specializzati ed elaborazione di informazioni per ottimizzare il funzionamento degli apparati stessi. Questi sistemi destinati a co-operare riguardano spesso la sicurezza e la manutenzione basati su servizi in cloud. Uno dei contesti di maggior sviluppo è quello della smart home, la casa intelligente, dove l'interconnessione tra elettrodomestici, sistemi di condizionamento, di videosorveglianza, etc, viene gestita da interfacce sia da personal computer, tablet e smartphone, che con interazioni vocali. Una soglia da attraversare anche con la voce Apriti Sesamo! Questa formula magica, ripescata dal nostro immaginario collettivo, si rivela come un presagio magico che si sta facendo realtà nella quotidianità delle nuove interfacce vocali. Un comando vocale oggi può aprire effettivamente delle porte, proprio come nella fiaba di Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 13 83 Carlo Infante - Interfaccia come soglia Alì Babà e i quaranta ladroni serviva ad aprire l'ingresso di una caverna dove quaranta banditi avevano nascosto il loro tesoro. La comunicazione verbale tra uomo e macchina sta aprendo ad un mondo di inedite interazioni che prospetta un tesoro di opportunità per un'infinità di applicazioni, come quelle che si stanno moltiplicando nel comparto dell'automotive. Questi cosiddetti agent sono straordinariamente utili proprio quando stiamo guidando e magari dobbiamo cercare su google map una destinazione. La nostra voce diviene mouse, clicca. Un'interfaccia vocale mette in atto due processi: il riconoscimento vocale e la sintesi vocale. La prima concerne il fatto di comprendere la voce dell'utente, secondo il sistema ASR (Automatic Speech Recognition), per cui il dispositivo è in grado di interpretare l'ascolto di un comando vocale. Questi sistemi di riconoscimento vocale sono stati sviluppati, già negli anni Settanta, da istituti di ricerca come il MIT (Massachussetts Institute of Technology). Queste applicazioni riconoscono parole isolate o intere frasi formulate in modo semplice. La seconda è la sintesi vocale basata sul sistema TTS (Text To Speech), per cui è possibile la conversione di un testo scritto in una voce artificiale prodotta digitalmente. Tra gli agent più usati ci sono Alexa, l'assistente vocale di Amazon, Cortana di Microsoft, Siri di Apple e l’assistente vocale di Google. In molte case oggi ci sono altoparlanti intelligenti da utilizzare in soggiorno, non solo per ascoltare musica ma anche per controllare le luci e altri elettrodomestici. La smart home diventa il luogo in cui l'intelligenza artificiale diventa un pervasivo cavallo di troia capace di alimentare i big data con le nostre profilazioni di utenti interconnessi. L'importante è saperlo. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 13 84 Carlo Infante - Interfaccia come soglia Le interfacce conversazionali Molti ricercatori ritengono che l’Intelligenza Artificiale conversazionale sarà una delle applicazioni più utilizzate dagli utenti. Li chiamano chatbot perchè sono delle chat condotte da robottini (in realtà programmi) informatici. Un’interfaccia utente conversazionale permette di dialogare con il computer, o altri dispositivi, in termini umani. È uno straordinario salto di paradigma rispetto all’uso delle interfacce su cui si basavano procedure con i comandi digitati sulla tastiera o cliccando sulle icone. L’interfaccia utente conversazionale è paradossalmente più “sociale”, decisamente più amichevole, visto che con la voce si attiva il comando che genera feedback. Un altro mondo rispetto alle applicazioni informatiche di una volta. Ad esempio, prima dell’arrivo dei chatbot c’erano i call center in cui ci si trovava assistiti da addetti che spesso avevano una griglia di istruzioni predefinite per rispondere alle richieste degli utenti. In molti siti web oggi troviamo chatbot conversazionali che interagiscono proprio come quegli addetti di call center che spesso stabilivano relazioni come dei robot preordinati. Major digitali come Amazon, Apple, Microsoft e Google stanno usando sistematicamente gli assistenti vocali, operando per renderli sempre più intelligenti. Rispondono al nostro saluto: Ciao Cortana di Microsoft, Ok Google di Google, Hey Siri di Apple, Echo di Amazon. Gli possiamo chiedere di prenotare dei tavoli al ristorante, o di farci ascoltare la musica giusta nel momento giusto, mostrarci il trailer del film da condividere con gli amici e magari dirgli di aumentare il riscaldamento se abbiamo interfacciato il sistema con la nostra smart home. Sono intelligenti queste interfacce, ma di che intelligenza si tratta? Certamente è basata sul riconoscimento delle parole, in una decodifica che va prima guidata, ma già oggi l’evoluzione di questi sistemi intelligenti li ha portati a comprendere anche le intenzioni del linguaggio naturale dietro le parole pronunciate. Si ha sempre più a che fare con una intelligenza artificiale capace di combinare il thesaurus alfabetico installato con procedure di data mining (estrazione di dati), apprendimento automatico e consapevolezza contestuale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 13 85 Carlo Infante - Interfaccia come soglia L’interazione si fa sempre più sottile, sempre più impalpabile, immateriale: la soglia di cui parlavamo all’inizio, quando era tutto molto più netto, nel rapporto con i computer (noi di fronte ad uno schermo) era in fondo come un’architettura. Tutto aveva una sua progettazione grafica che dall’idea del desktop che evoca le nostre scrivanie con scaffali, cartelle e cestini si è poi evoluta in interfacce più sofisticate che a volte, come in certi siti web, ti invitavano ad entrare in un edificio con i propri stili. Le esperienze del virtuale ci hanno poi fatto capire che quella soglia ci può aprire mondi fantasmagorici con simulazioni tridimensionali e immersive che oggi non ci fanno più impressione ma qualche decennio fa stordivano. Oggi le interfacce vocali rendono possibile un'interazione ancora più semplice, immediata e proprio per questo più pervasiva: è dappertutto, difficilmente distinguibile, la soglia è sempre più sfumata. Quella facilità di utilizzo ci apre ad una complessità inedita che presuppone una nuova coscienza di relazione. È dopotutto una scommessa antropologica che vale la pena giocare, ricordando che superare quella soglia d’entrata ci apre a mondi e modi diversi dall'ordinario. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 13 86 Carlo Infante - Interfaccia come soglia Tag Ergonomia Interazione uomo-macchina Gradi di libertà Interfacce vocali RFID Interaction Design Psicotecnologia Neuroni specchio Mimesi Estensione Protesica Funzioni senso-motorie Interfaccia utente Icone Desktop Realtà virtuali Interfaccia Immersiva Interazioni intuitive WYSYWYG Word processor Rete delle reti Internet of Things (IoT) Innovazione adattiva Intelligenza connettiva User experience Smart home Comando vocale Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 13 87 Carlo Infante - Ipermedialità combinatoria Indice 1. I PERCORSI DELLA MEMORIA NON POSSONO ESSERE SOLO LINEARI ............................................... 3 2. L’OPPORTUNITÀ COMBINATORIA RIVELA LA POTENZIALITÀ DEL PROCESSO COGNITIVO ............... 7 3. LE BARRIERE TRA TESTI, IMMAGINI E SUONI SI DISSOLVONO NELLA RICOMBINAZIONE .................. 9 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 11 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 11 88 Carlo Infante - Ipermedialità combinatoria 1. I percorsi della memoria non possono essere solo lineari L'idea che misurarsi con la memoria sia come abitare uno spazio è decisiva per capire cosa si possa intendere per ipermedialità combinatoria. In uno spazio si agisce: le nostre percezioni, di conseguenza, devono essere dinamiche, interconnesse, capaci di associare i processi cognitivi a quelli percettivi. In tal senso l'evoluzione ipertestuale che permette di combinare tra loro diversi media (visivi, sonori oltre che alfabetici) immette nello spazio interattivo ciò che fino a qualche decennio fa era solo inscritto in un ambito lineare, basato sullo sviluppo logico-consequenziale inscritto nel tempo, la scrittura. I percorsi della memoria ipermediale non più solo lineari e sequenziali ma combinatori, organizzati in modo reticolare per associazioni continue. Nei millenni le tecnologie (qualsiasi estensione fisica o cognitiva è tale, dalla clava al libro) hanno assunto una funzione fondamentale nella nostra evoluzione. Le tecnologie sono inscritte nei processi naturali di trasformazione per adattarci ai diversi ambienti. Il “saper fare” va di pari passo al “far sapere” anche perché la trasmissione della conoscenza sta alla base del nostro sistema evolutivo, condiviso da individui di una stessa specie, quella umana. L'aspetto più interessante è che gran parte dell'invenzione tecnologica è spesso frutto di processi casuali per cui una volta trovata la soluzione ad un problema quella tecnica va ricordata: assimilata, decodificata, stabilizzata e richiamata quando servirà di nuovo. Immaginate per quanti secoli, dopo l'originaria trasmissione orale delle conoscenze, quanto impegno è stato speso da moltitudini di trascrittori e di manipolatori nel vagliare conoscenze scritte. Quanti tomi e libri sono stati scritti, prima con certosina abilità amanuense e poi stampati e poi posizionati in monumentali biblioteche. E quanti film e quante trasmissioni radio-tv sono state trasmesse nei broadcast. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 11 89 Carlo Infante - Ipermedialità combinatoria Oggi l'insieme delle tecnologie di cui è costituito il nostro sistema sono un nostro patrimonio culturale: una sorta di patrimonio genetico fatto non solo di proteine-contenuti ma anche di enzimi-media per processarli, metabolizzarli. La questione della memoria si inserisce in questo quadro, fatto da una pluralità di media, sistemi di interpretazione e oggi diremmo di navigazione ipermediale, come nel web. Cercando di individuare la base di questi processi, non possiamo non pensare all’antica tradizione delle mnemotecniche e dell’ars combinatoria come l'approccio più interessante alla questione. Non basta misurarsi con una memoria narrativa o consequenziale tipica della scrittura e ancor più della stampa tipografica. È importante rendersi conto che l'evoluzione ipermediale sta rivalutando alcuni processi cognitivi propri della retorica antica, riscoprendo il testo di Frances Yates su “L'arte della memoria” e i filoni di ricerca inaugurati da studiosi come Aby Warburg. Insomma, siamo di fronte a un nuovo modo di concepire la testualità: il testo non è solo una texture di simboli alfabetici e significati, ma oggi si rivela con una nuova potenzialità, in un insieme di processi elaborati in piattaforme ipermediali on line dove si ricombinano tra loro significati e significanti, forme e contenuti. Arti della memoria Nel corso dell'evoluzione del linguaggio emergono delle competenze, come la Retorica, che permettono un incremento artificiale (nel senso lato di artificio) della memoria per gestire lunghe oratorie dal vivo. Retori romani come Cicerone si aiutavano nei loro lunghe orazioni con diversi artifici per organizzare il discorso, utilizzando tecniche come quella dei “loci”, oggi chiamata anche “Journey Method” (metodo del viaggio) o tecnica della “Roman Room” che funziona come una memorizzazione di informazioni associate alla visualizzazione di elementi presenti nei luoghi (una Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 11 90 Carlo Infante - Ipermedialità combinatoria statua, una sequenza di finestre, una fontana...). Da qui, ad esempio modi di dire come “In primo luogo”. La tecnica dei loci è una tecnica immaginativa conosciuta dagli antichi Greci e Romani e descritta da Yates nel suo libro The Art of Memory e da Lurija. Tramite questa tecnica il soggetto memorizza la struttura di un edificio, oppure la distribuzione di negozi in una via o una qualsiasi zona geografica composta da un numero di loci. Durante il tentativo di ricordare un numero di elementi il soggetto si fa strada tra i loci e associa ad ogni elemento un locus, creando un'immagine che mette in relazione l'elemento e una caratteristica precisa del corrispondente locus. Il recupero delle informazioni si ottiene camminando tra i loci e permettendo a questi ultimi di attivare gli elementi desiderati. (John O'Keefe e Lynn Nadel, The Hippocampus as a Cognitive Map) Nel Rinascimento tutto si evolve e in particolare Giordano Bruno scrive diversi trattati sull’arte della memoria, evolvendo, nei termini dell’artificio mnemonico, il concetto di genius loci. L'arte della memoria, scrive Bruno, ci sostiene per “intendere, discorrere, aver memoria, formare immagini attraverso le facoltà della fantasia, avere appetiti, e talvolta anche a sentire come vogliamo”. Nel 1550 Giulio Camillo Delminio descrive il suo Teatro della Memoria e il gesuita Matteo Ricci nel 1596 insegnò ai cinesi la costruzione di Palazzi della Memoria (nonché l'uso delle mappe, un know how che lo rese l'unico occidentale ad essere considerato Mandarino). Il teatro di Camillo era una struttura costruita secondo il modello vitruviano del teatro, suddiviso quindi in ordini e gradi in cui erano sistemati i vari luoghi del sapere. Anche se non venne mai realizzato nella sua interezza, ne venne costruito un modello in legno – oggi diremmo un prototipo - in scala ridotta ma grande a sufficienza da poterci entrare, costellato di figure dipinte e pieno di scatole contenenti oggetti che richiamavano alla memoria luoghi, situazioni ed idee. Il palazzo della memoria di Matteo Ricci era simile in tecnologia, e venne adattato alla cultura cinese che grazie agli ideogrammi usati nella scrittura, era già permeata dell’equazione immagine = idea. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 11 91 Carlo Infante - Ipermedialità combinatoria Un ultimo riferimento alle matrici del pensiero combinatorio per la gestione della memoria (processo cognitivo che è alla base delle procedure ipermediali, ripetiamolo) è quello a John Wilkins, vescovo e letterato inglese che nel XVII secolo costruì un complesso sistema per una lingua filosofica universale. Wilkins procedette poi a creare una grammatica e una scrittura simbolica che univa le suddette idee in strutture regolari ed ortogonali, che avrebbero dovuto aiutare la memorizzazione della sua lingua. Senza entrare in ulteriori dettagli, Wilkins prevedeva come un concetto potesse fare parte di diversi contesti, e che essi fossero tutti collegati tramite le tabelle e la grammatica peculiari del suo sistema. Egli fu perciò un pioniere della classificazione flessibile e multipla del sapere, un antesignano dell’ipertesto. (Umberto Eco) Imagines agentes Se la natura è fondamento di ogni cosa, come afferma Giordano Bruno, è legittimo pensare che qualsiasi arte sia un'espressione della natura. Le mnemotecniche utilizzano l’innata proprietà del cervello di ricordare una molteplicità di eventi e parole, tramite la trasformazione delle informazioni in immagini. Tra le più efficaci mnemotecniche ci sono, oltre quelle dei “loci”, le “imagines agentes”: scenette che tramite un collegamento di immagini che evocano delle azioni, facilitano la ricostruzione della memoria. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 11 92 Carlo Infante - Ipermedialità combinatoria 2. L’opportunità combinatoria rivela la potenzialità del processo cognitivo Oggi, nell’era di Internet possiamo comprendere pienamente l'importanza dell'opportunità combinatoria delle informazioni. Secoli fa, in un tempo in cui la stragrande maggioranza della popolazione non sapeva leggere, processi cognitivi come questi dell’arte della memoria venivano comunque esercitati non solo dagli eruditi ma da chi riconosceva il valore simbolico insito nelle immagini, come le allegorie rappresentate negli affreschi in migliaia di chiese cristiane. Nella navigazione ipermediale la modalità di lettura è decisamente diversa da quella che si adotta di fronte ad un libro. È ovvio, d'accordo. Ma riflettete su questo: le interpretazioni si modulano in via direttamente proporzionale alle diverse intenzioni del lettore-navigatore interattivo. Le dinamiche di un ipertesto non vengono percepite semplicemente come pagine dal lettore ma come dei nodi. Si tratta di entità dinamiche soggette a modificarsi durante la lettura e ad assumere significati differenti a seconda del contesto in cui vengono lette. La sequenza di lettura delle pagine non è fissata dall’autore ma viene determinata dal lettore, di conseguenza il significato di quella pagina sarà diverso perché diverso è il contesto di lettura. L'ipermedia è di fatto un oggetto spaziale a differenza del testo letterario che è fondamentalmente temporale. Si sincronizza sulla base degli input di navigazione resi dall'utente che si muove nell'ambiente reticolare in cui si delineano percorsi potenziali, in una struttura che sarà attualizzata solo dall’attività dell'utente stesso. Nell'interrogarci su cosa riveli, come esperienza cognitiva, un ipermedia può essere utile prendere in considerazione questo aspetto che deriva dalla cultura ebraica. In quella cultura che è all’origine del pensiero occidentale c'è un grande riconoscimento della opportunità combinatoria della parola, un valore che affonda le sue radici nelle antiche pratiche ebraiche del Talmud, il "commentario" della Torah, la bibbia ebraica, pensato per mettere Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 11 93 Carlo Infante - Ipermedialità combinatoria in discussione i dogmi. Sui rimandi tra la parola del libro sacro e quella ipermediale, cogliamo un pensiero di Rosen, autore di “Il Talmud e Internet”. Oggi stiamo varcando, libri e persone allo stesso modo, la soglia dell'era informatica e ci troviamo in una nuova condizione di diaspora globale in cui siamo potenzialmente dappertutto, però mai a casa. La scrittura, qualsiasi forma essa assuma, ha sempre dentro di sé un non so ché di fantasmatico, smaterializzato, una certa assenza, e sarebbe ingiusto attribuire ai computer o a Internet la colpa di aver accentuato questo aspetto che in fondo, purtroppo, è insito nelle parole. […] Il Talmud ha offerto ospitalità immaginaria a una cultura sradicata, e ha avuto origine dal bisogno tipicamente ebraico di riporre la cultura nelle parole come se si trattasse di bagagli ed errare in lungo e in largo per il mondo [...] divennero il popolo del libro poiché non avevano nessun altro luogo in cui vivere. [...] In quale altra condizione più che nella diaspora si ha un disperato bisogno di una home page? Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 11 94 Carlo Infante - Ipermedialità combinatoria 3. Le barriere tra testi, immagini e suoni si dissolvono nella ricombinazione Abbiamo detto più volte che l'ipermedia ha più sviluppo spaziale che temporale rispetto ai testi lineari pubblicati su un libro. Questo è infatti l’epicentro del ragionamento. Nell'ambiente digitale i testi gestiti tramite link (che, ricordiamolo, significa collegamento) creano quelle combinazioni non sequenziali che ne irradiano le potenzialità comunicative. L’idea posta a fondamento di questo sistema, che è ormai condizione corrente anche se spesso non se ne coglie consapevolmente l'opportunità evolutiva per il linguaggio, è che vengono superate le barriere tra testi, immagini e suoni. La fruizione di un ipermedia è come un’esplorazione spaziale dove l'orientamento è alla base della conoscenza Il concetto di ipermedialità va oltre l'aspetto addizionale di media differenti, o comunque di prodotti generati da diverse fonti, come suoni, video e testi. S'innerva ai principi combinatori dell'ipertesto che si sviluppa per link e nodi concettuali. Il salto di qualità è quando tutto questo, dagli anni Novanta, trova il suo spazio nel web. L'innovazione digitale ha permesso in questo modo la nascita di un nuovo tipo di Estetica, architetture cognitive e forme di design che stanno influenzando l'immaginario collettivo. È importante riconoscere quanto la tecnologia ipermediale possa accelerare un processo evolutivo basato sulla capacità di interpretare un mondo accelerato nella transizione da modelli ormai obsoleti (come i sistemi industriali gerarchici e lineari, basati sullo sfruttamento di energie fossili) ad altri ancora indeterminati e ricchi di opportunità ancora da vagliare. È verso questo scenario indeterminato che è opportuno intraprendere un training formativo evoluto per capire per tempo come coniugare tecnologie e processi cognitivi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 11 95 Carlo Infante - Ipermedialità combinatoria Si prospetta una nuova frontiera del Sapere e il primo passo tocca a noi, alla nostra capacità di apprendere in modo dinamico, non sequenziale, ricombinatorio, coraggioso. Tag Memoria Memoria ipermediale Processi casuali Trasmissione orale Patrimonio culturale Mnemotecniche Ars combinatoria Retorica Loci Genius loci Teatro della memoria Palazzo della memoria Estetica Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 11 96 Carlo Infante - Intelligenza connettiva Indice 1. IL GIOCO ESPONENZIALE DEL RAPPORTO TRA INFORMAZIONI E RELAZIONI ................................... 3 2. L’IPERTINENZA..................................................................................................................................... 5 3. L’INTELLIGENZA CONNETTIVA MOLTIPLICA L’INTELLIGENZA COLLETTIVA ADDIZIONA ..................... 9 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 15 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 16 97 Carlo Infante - Intelligenza connettiva 1. Il gioco esponenziale del rapporto tra informazioni e relazioni Nel 1996 a Firenze, nell’ambito di Mediartech, una delle prime manifestazioni realizzate in Italia sul rapporto tra tecnologie e beni culturali, si realizzò il primo workshop di intelligenza connettiva in Italia, uno dei primi al mondo. In questo progetto furono coinvolti autori multimediali, studenti e docenti delle diverse università toscane e del McLuhan Program di Toronto di cui de Kerckhove era direttore. Questo metodo prevedeva un’articolazione per gruppi di lavoro e la configurazione di due ruoli emblematici: gli “shaker” che dovevano dinamizzare e motivare i gruppi e i “mover” che dovevano ascoltare le idee emerse nei vari tavoli e riportarle, connettendo i processi di elaborazione tra loro. È su questo principio di condivisione che si evolve l’idea di intelligenza connettiva di de Kerckhove che a differenza delle teorie di Pierre Lévy sull’intelligenza collettiva, esalta la dimensione combinatoria ed esponenziale del rapporto tra informazioni e relazioni. L’aspetto teorico di de Kerckhove è inscritto in quello procedurale: è nella qualità del rapporto, nello scambio di informazioni e connessioni logiche, che l’intelligenza connettiva si compie, come nel meccanismo della commutazione a pacchetto (packet switching) propria di internet che permette di trasferire dati frammentati ma concatenati in un sistema di pertinenze. La commutazione a pacchetto di internet e la concatenazione delle pertinenze cognitive In quel contesto informatico le pertinenze riguardano i dati richiesti al server per associare il pacchetto dati in uscita verso il nodo successivo. Nel contesto di quel laboratorio di intelligenza connettiva, che oggi potremmo definire di design thinking, si svolgeva una sorta di staffetta delle informazioni concatenate tra loro. Impacchettare e spacchettare le idee era infatti una delle modalità di brainstorming, inizialmente aggregarle tra di loro in relazione a pertinenze tematiche o geografiche e poi Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 16 98 Carlo Infante - Intelligenza connettiva spacchettarle, cogliendo gli aspetti modulari di alcune progettualità, perché potessero essere condivise e modellizzate in più contesti diversi. In vista della definizione ultima di alcuni obiettivi progettuali, si cercava di nuovo di riaggregare le proposte sulla base della fattibilità, orientandosi verso le attese e le committenze potenziali concentrate sull'applicazione di tecnologie ai beni culturali e le nuove forme di apprendimento multimediale. Un processo tecnologico si traduce in processo psicologico Derrick de Kerckhove, partendo da una sua intuizione sulle psicotecnologie, frutto dell’esperienza condivisa con Marshall McLuhan di cui era stato uno dei più stretti collaboratori, mette in gioco un’energia creativa che rivela come i processi cognitivi possano modellare le tecnologie in modo funzionale alle applicazioni di nuova strategia culturale ed educativa. La connessione propria del web induce una dinamica di scambio serrato di informazioni e relazioni tese ad evolversi nell’interattività che presuppone feedback, interazioni con ambienti digitali in cui operare e nell’ipertestualità che espande il sistema informativo su struttura non lineare, proprio come funziona il nostro cervello. Emergono nuove opportunità di scambio tra soggetti nomadi che esprimono conoscenze non più delimitate dai contesti accademici. Un nuovo modo di vedere le cose che deriva dalla moltiplicazione di singole esperienze individuali che inverano nuove intelligenze. Intelligenze che trovano la loro essenza nella reciprocità che arricchisce le relazioni. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 16 99 Carlo Infante - Intelligenza connettiva 2. L’ipertinenza Nell’intelligenza connettiva emerge il fattore dell’ipertinenza, un termine che nasce da un gioco di parole, per cui la pertinenza riguarda la reciprocità del senso logico combinato con il principio ipertestuale. Ciò sottende l’esercizio non lineare dell’informazione. Si tratta di una capacità concettuale che associa il principio di pertinenza alle combinazioni generative di chi opera in modo creativo nell’ecosistema dell’informazione. In questo senso de Kerckhove apre una finestra sul concetto di ipertinenza: Le cose scritte in un blog non vanno fuori così genericamente verso tutto il mondo, come nell'informazione tradizionale. Hanno invece una possibilità di connessione pertinente con le persone che hanno per esse un interesse specifico. Tutto il Web ora va verso l'ipertinenza. Nella rete le menti connesse possono trovare opportunità di scambio che altrimenti è assai difficile ottenere; non è solo un dato quantitativo ma qualitativo. Fenomeni come il blogging sono stati indicativi di una tensione culturale basata sulla soggettività interconnessa che ora si sta consolidando con un’espansione esponenziale. Il social tagging, evidenziare la pertinenza con parole chiave-tag L’esplosione del social tagging, negli anni Novanta, sull’onda del fenomeno dei blog (quando ancora non erano arrivati i social network) aprì straordinarie potenzialità per la condivisione sociale delle risorse, informazioni e conoscenze. La diffusione del tagging dette forma al fenomeno della partecipazione diretta all’elaborazione dell’informazione on line, operando sull’evidenza della pertinenza per parole Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 16 100 Carlo Infante - Intelligenza connettiva chiave. Ciò rivelò la necessità di prospettare nuove e più compiute espressioni sociali dell’uso del web. La possibilità per gli utenti di definire il senso condiviso, insita nel social tagging, impone il riconoscimento dell’esistenza di sistemi di conoscenze diversificati e plurali a partire dal superamento di un sistema di conoscenza eterodiretto ed imposto, proprio dei mass media che palesavano un sistema di società ormai reso obsoleto dall’avvento dei personal media. L'attività di tagging (dall'inglese tag inteso come contrassegno o etichetta) consiste nell'attribuzione di una o più parole chiave, dette tag, che individuano l'argomento di cui si sta trattando, in documenti, o meglio in file che orbitano in internet, che ricordiamo è l’ipertesto più esteso del mondo. È una procedura che riguarda tutti siti web per catalogarli, associare informazioni correlate e, fondamentalmente, farli indicizzare correttamente dai motori di ricerca. Gran parte delle piattaforme per gestire blog (Wordpress tra tutte) supportano queste procedure ormai standard, attivando tag, per cui la gestione dei contenuti e strettamente connessa alla memorizzazione delle parole chiave. Questa interconnessione delle conoscenze, più forte e più ricca del solo confronto, è la chiave per interpretare ed affrontare le sfide che la nuova società delle conoscenze impone. Sfide rivolte alla capacità di mettere in rete tra loro i diversi sistemi di conoscenza, sia quelli istituzionali (dalle università ai vari enti di ricerca) sia quelli d’impresa, sia quelli giornalistici sia quelli disseminati nella rete, per costruire capacità e competenze socialmente condivise fondamentali alla competizione globale. L’intelligenza connettiva che possiamo intravedere nelle dinamiche in atto, necessita di legami e interconnessioni tra le diverse tipologie di oggetti di conoscenza e tra i diversi portatori di conoscenza, che non si esauriscono con il tagging e che non possono essere affidate alle sole analisi statistiche di occorrenza. C’è bisogno di connettere i diversi sistemi di conoscenza attraverso legami specifici e contestualizzati tra le diverse risorse, non solo all’interno della stessa tipologia (come accade per le immagini su Flickr, o per i video su YouTube o le georeferenziazioni sui geoblog) ma attraverso un Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 16 101 Carlo Infante - Intelligenza connettiva ulteriore approccio reticolare che interconnette le varie risorse tra loro, spaziando dai libri agli oggetti e ai luoghi, transitando per immagini, materiale grigio, e tutte le altre forme di espressione. C’è bisogno di creare le condizioni perché gli utenti contestualizzino e arricchiscano l’intero patrimonio dei loro oggetti di conoscenza non solo con commenti, ma con, analisi, contributi critici, vere e proprie forme di espressione ed organizzazione del loro pensiero, reso i-pertinente rispetto al loro stesso patrimonio, ma anche rispetto al patrimonio di altri. C’è bisogno di connettere pensiero reticolare, per proteggere il social tagging dal pericolo cumulativo e dispersivo ed evidenziare i legami e le connessioni, che costituiscono le componenti fondanti delle nuove forme di pensiero. È importante sottolineare che l’intelligenza connettiva in azione nel social tagging caratterizza con il valore aggiunto dell’ipertinenza le connessioni tematiche, coniugando le dinamiche del tagging con i “legami ponte”, che costituiscono la palestra dove esercitare la pluralità dei sistemi di conoscenza da mettere a disposizione degli altri. La mutazione dei linguaggi e il potenziale creativo della soggettività interconnessa Un’ulteriore considerazione sull’intelligenza connettiva riguarda il fatto che rispetto alla struttura collettiva, quella connettiva tende ad andare oltre le appartenenze, la cooperazione tende così ad affrancarsi dalle logiche identitarie che spesso delimitano le attività di gruppo. In questo approccio con le informazioni, gestito, direttamente ed emozionalmente, dai cittadini-attori degli eventi pubblici, si delinea un modello di società emancipata in cui possono proiettarsi le nuove generazioni. Cittadini, ora giovanissimi, disposti a sperimentare in modo ludico lo scambio sociale basato sull'interconnessione delle informazioni e delle sensibilità, per uno sviluppo dell'intelligenza connettiva. La questione cruciale non riguarda, quindi, solo la mutazione dei linguaggi (decenni di multidisciplinarietà ci hanno predisposto a ciò) ma anche l’ambientazione in un nuovo contesto, come quello espresso da Internet in cui non solo si legge, si agisce. Un nuovo ambiente da Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 16 102 Carlo Infante - Intelligenza connettiva antropizzare: dall’esplorazione alla progettazione di nuove relazioni per giungere alla partecipazione in un contesto popolato da soggetti disposti a comunicare. In questo senso l’aspetto cardine è nella personalizzazione dell’approccio con la Rete mediata da personal computer, una condizione esplicitata da quando esiste l’interattività digitale ma che solo negli ultimi anni sta liberando il potenziale creativo più importante, la soggettività, certo, ma interconnessa. Si stanno insomma delineando fattori che caratterizzano una nuova espressione culturale diffusa negli ambiti sociali. Questa sta dando forma e sostanza ai modi della comunicazione, riscattandoli da un sistema degradato dalla bulimia delle immagini televisive auto-referenziali, rilanciando il valore del “comunicare con”, rispetto a quel “comunicare a”, cui ci ha viziati il sistema dei mass-media. Si può così iniziare a parlare di creatività connettiva: un’evoluzione psicologica e cognitiva che, attraverso la Rete, crea condizioni inedite di scambio sociale che vanno anche oltre lo stesso principio “collettivo” sul quale anni fa si erano fondate molte utopie di nuova socialità creativa. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 16 103 Carlo Infante - Intelligenza connettiva 3. L’intelligenza connettiva moltiplica l’intelligenza collettiva addiziona Intelligenza collettiva è il concetto coniato da Pierre Lévy, nel 1994, con l’omonimo libro, in cui descrive il nuovo paradigma secondo cui le tecnologie digitali aprono spazi antropologici inediti, nell’attuazione di un’intelligenza capace di sviluppare una democrazia della rete. Si tratta di un nuovo concetto di intelligenza: un’intelligenza distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta ad una mobilitazione effettiva delle competenze L’intelligenza distribuita è ovunque, per cui la totalità del sapere risiede nell’umanità, giacché nessuno sa tutto, ognuno di noi sa qualcosa, e il sapere non è nient’altro che l’insieme di ciò che si sa. Il punto cardine è nel principio dell’intelligenza “continuamente valorizzata”, condizione resa possibile da una ricchezza umana che mette in relazione le diverse peculiarità dell’intelligenza delle persone. Il coordinamento “in tempo reale” fa intendere una mobilitazione effettiva delle competenze, resa abilitante dalle nuove tecnologie digitali dell’informazione, che permettono alle comunità di coordinare le loro conoscenze in relazione diretta con le esperienze che conducono sul campo della loro ricerca. In questa prospettiva si delinea un universo dinamico dove pensieri, azioni e persone attivano contesti condivisi. Mobilitare le competenze comporta una tensione sociale capace di riconoscere l'espressione dell'intelligenza nella sua diversità. Valorizzare le intelligenze in base ai saperi diversificati permette di sviluppare sensibilità cooperative in progetti collettivi. Il web in questo Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 16 104 Carlo Infante - Intelligenza connettiva scenario può diventare “lo spazio mutevole delle interazioni tra le diverse competenze dei collettivi intelligenti de-territorializzati”. Questo pensiero tecno-filosofico di Lévy è nel ritenere la tecnologia capace di agire in maniera positiva sulle comunità, in quanto gruppi di persone che sperimentano “collettivamente forme di comunicazione alternative”. La cybercultura, la nuova frontiera glocal Si prospetta una cybercultura che “designa l’insieme delle tecniche (materiali e intellettuali), delle pratiche, delle attitudini, delle modalità di pensiero e dei valori che si sviluppano in concomitanza con la crescita del cyberspazio” La cybercultura, a differenza di quanto è accaduto con i mass media, espressione della cultura di massa trasmessa dalla televisione, configurando modelli omologanti, crea scambi multidisciplinari, che presuppongono scelte libere. Da qui la possibile democratizzazione della struttura della rete, dove “tutto è centro e tutto è periferia”, come suggerisce Tomas Maldonado. Si va quindi oltre l’idea di culture locali estese globalmente, bensì culture globali inscritte nelle particolarità locali, indipendenti nell’agire nello spazio glocal della rete. Il confronto tra Lévy e Derrick de Kerckhove ha portato a un'evoluzione del concetto di intelligenza collettiva verso quello di intelligenza connettiva. Un progetto ideale prossimo alla teoria dello sciame intelligente, per cui la serrata reciprocità delle azioni umane in rete esprime informazione e auto-organizzazione, proprio come accade in natura per gli sciami delle api o gli stormi degli uccelli. La rivoluzione tecnologica con il networking e la messa in relazione delle intelligenze, trova il suo valore fondamentale nel rapporto di scambio, inscritto nel “qui ed ora” degli effetti psicologici e cognitivi prodotti dall'interazione stessa. Più una moltiplicazione di intelligenze plurali, connettive, piuttosto che un’addizione, propria della dimensione dell’intelligenza connettiva. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 16 105 Carlo Infante - Intelligenza connettiva L’intelligenza collettiva è l’azione del pensare della moltitudine mentre l’intelligenza connettiva è più dinamica, nomade e interconnessa, più aperta. L’intelligenza connettiva è swarm intelligence L’intelligenza connettiva è quindi strettamente connessa alla teoria dello sciame intelligente (swarm intelligence) per cui la serrata reciprocità delle azioni produce informazione e autoorganizzazione, come accade per gli sciami delle api o gli stormi degli uccelli. L’intelligenza connettiva espressa nel web ha qualcosa di simile all'intelligenza naturale delle api, e non è solo una metafora. La dimensione biologica ispira l'evoluzione delle reti e la invita ad osservare gli sciami delle api e in particolare la “danza delle api” (modalità che le api esploratrici adottano nell’alveare per istruire le bottinatrici su dove trovare il miglior polline) per capire come vasti insiemi di individui danno luogo a meccanismi di cooperazione. Uno degli aspetti interessanti che accomuna le api e le nuove dinamiche di relazione nel web è nel fatto di coordinare attività complesse senza alcun coordinatore, in un'energia sociale spontanea, contagiante. C’è una particolare intuizione del biologo francese Pierre-Paul Grassé ad aiutarci in questa considerazione. È una teoria secondo cui un comportamento attivo induce ulteriori atti, condividendo, modificando l'ambiente attraverso procedure che contagiano, producendo una comunicazione performativa. Il concetto che ha coniato è stigmergia per cui si afferma che lo stimolo al lavoro è la vera essenza del lavoro stesso. Il termine deriva da stigma: marchio, impronta,ciò che distingue e che discrimina, ma anche sprone, pungolo, e si combina con ergon, opera, lavoro: indica l’essere in atto, il principio attivo di un'azione, così come il tagliare è l’ergon delle forbici o il combattere l’ergon di un guerriero o l'apprendere l'ergon di uno studente. È da questo approccio bioispirato dall’osservazione degli sciami, che ha trovato sviluppo l'ambito di ricerca informatica definito swarm intelligence (l'intelligenza dello sciame), analizzando i Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 16 106 Carlo Infante - Intelligenza connettiva vasti insiemi destrutturati di individui che riescono a portare a termine degli obiettivi sfruttando meccanismi di cooperazione. La struttura degli sciami rappresenta una straordinaria “parallelizzazione” che ottimizza tutti gli individui della colonia sincronicamente: è su questo stesso processo che si basa la procedura in parallelo dei sistemi informatici che utilizzano contemporaneamente tutte le unità di calcolo dei processori disponibili. Questo processo è così attivato da un comportamento virtuoso che induce ulteriori atti, condividendo, modificando l'ambiente attraverso la comunicazione. È da questa considerazione che la danza delle api può esprimere un modello biologico della intelligenza connettiva espressa dalle reti, condizione che oggi si espande sia attraverso il web 2.0 sia con le smart grid, le reti intelligenti che rilanciano il principio informatico degli assetti paralleli, come quelle che vengono oggi utilizzate per l'ottimizzazione della distribuzione d'energia elettrica. Un aspetto importante da rilevare sul rapporto tra intelligenza connettiva e lo sciame intelligente riguarda il fatto che le conoscenze non si sommano, si moltiplicano o perlomeno sono ben più ricche della semplice somma delle parti. Gli stessi errori all’interno di una comunità che opera su questi principi connettivi vengono corretti immediatamente da processi come la peer review, quella revisione paritaria in cui ogni membro è stimolato a partecipare senza timori e con ciò che sa, con un risultato finale che può raggiungere livelli molto significativi, come la poliedricità delle interpretazioni. Il crowdsourcing, la vox populi L’aspetto più interessante riguarda la qualità possibile di una comunicazione che si evolve nella misura in cui l'energia connettiva riesce a raggiungere un andamento di conversazione che può rasentare l'empatia e la solidarietà. Il termine più appropriato per questa conversazione on line è crowdsourcing, una parola che sottende il rilancio dell'idea di vox populi che conosciamo anche come passaparola. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 16 107 Carlo Infante - Intelligenza connettiva La parola combina il termine crowd (gente comune) e quello di outsourcing, quella pratica per cui si tende ad esternalizzare alcune attività. Quali attività? Quelle della comunicazione che si potrebbe definire, correntemente, pubblicitaria ma che rivela tutt'altra potenzialità: quella partecipativa. E si scopre che il vero senso del comunicare è nel comunicare “con” piuttosto che nel comunicare “a”. È nel valore connettivo, di scambio se non di contagio che si sviluppa il grande gioco della comunicazione, dal passaparola al web. Non è un caso che tale processo abbia dato luogo al cosiddetto buzz marketing. La parola buzz è onomatopeica e richiama il ronzio delle api e la loro capacità di diffondere informazione. Il buzz marketing tende quindi a esprimere uno "sciame" informativo che rilancia opinioni, scelte, orientamenti che il mondo del marketing più avvertito sta imparando a intercettare. Una condizione aperta a nuove potenzialità d'interazione tra società e mercati, non solo per vendere prodotti ma per qualificare il rapporto con i consumatori più consapevoli. L'intelligenza connettiva ha presagito le potenzialità dei social network, un fenomeno in assoluta espansione che si basa sulla simultaneità di relazioni possibili tra l'individuo e la pluralità di tanti altri soggetti e comunità. Da qui si può sviluppare quel trasferimento esponenziale di conoscenze e buone pratiche che rivoluziona anche il paradigma dell'apprendimento, per liberare quelle energie sociali che le comunità degli studenti conoscono da sempre: è l'elemento esterno del gruppo che porta nuovo stile, nuova informazione. Ciò rompe gli equilibri ma li riposiziona su un piano più ampio e articolato, secondo ciò che Silvano Tagliagambe definisce la multiappartenenza per intendere quella connessione partecipativa che favorisce le possibilità di scambio. Il dato emblematico da rilevare, infine, è nel fatto che il web può riuscire a dare valore alle istanze naturali del comunicare, rilanciando l'aspetto sociale dell'interagire umano. Ciò non è scontato. È possibile se attiviamo sensibilità e metodologie prossime a ciò che abbiamo definito intelligenza connettiva, interpretando l’evoluzione in corso attraverso l'interconnessione digitale: un’opportunità da giocare in prima persona, recuperando quell’energia sociale che il sistema dei mass media aveva indebolito. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 13 di 16 108 Carlo Infante - Intelligenza connettiva Tag Intelligenza connettiva Intelligenza collettiva Design thinking Ipertinenza Blogging Social tagging Geoblog Mutazione dei linguaggi Cybercultura Swarm intelligence Stigmergia Smart grid Crowdsourcing Buzz marketing Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 14 di 16 109 Carlo Infante - Convergenza dei media Indice 1. IL FLUSSO DI CONTENUTI E FORME SU PIÙ PIATTAFORME .................................................................. 3 2. REMEDIATION. COMPETIZIONE E INTEGRAZIONE TRA MEDIA ........................................................... 5 3. LA COLLISIONE DELLA CULTURA DELLA CONVERGENZA .................................................................. 8 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 12 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 12 110 Carlo Infante - Convergenza dei media 1. Il flusso di contenuti e forme su più piattaforme Nicholas Negroponte è stato il primo a parlare di convergenza dei media prevedendo che la tecnologia digitale avrebbe creato interfacce che avrebbero personalizzato in modo automatico le informazioni funzionali alle interrogazioni dell’utente. Nel suo libro “Essere digitali” (1990) Negroponte definiva una distinzione tra “i vecchi media passivi” e “i nuovi media interattivi”, ipotizzando il fatto che si sarebbero contraddistinti nell’arco del tempo in modo netto. Si era agli albori dell’effettiva convergenza dei media ma già immaginava che attraverso interfacce in cui convergono più servizi di informazione, dall’ecommerce ai servizi bancari, dall'entertainment ai servizi educativi, si sarebbe creata una emancipazione da consumatori a utenti dei sistemi informativi. Questa convergenza dei media determina una condizione di radicale trasformazione del flusso dei contenuti, acquisendo forme diverse secondo le piattaforme su cui vengono diffusi. L’ambito educativo fu individuato come uno dei campi su cui investire, per cui il MIT (Massachusetts Institute of Technology) Media Lab, di cui era direttore, partecipò alla realizzazione di un progetto emblematico, il One Laptop Per Child (la cui sigla è OLPC) per realizzare un computer che non costasse più di 100 dollari, per metterlo a disposizione dei bambini dei Paesi in via di sviluppo. Il progetto fu presentato al Forum Economico Mondiale di Davos nel 2005. Questi laptop si basavano su programmi open source, processori low-cost e modem (fondamentale per usare la rete come piattaforma remota per software) e potevano essere alimentati con una batteria interna ricaricabile con una manovella. Nicholas Negroponte aveva delineato cinque leggi che regolano la convergenza: tutte le informazioni possono essere convertite in forma digitale; la multimedialità elimina la distinzione fra i mezzi di comunicazione; la natura stessa della convergenza rende obsoleta in partenza l’imposizione di qualsiasi regola artificiale; la convergenza ha le sue proprie regole naturali; la convergenza è indipendente dai confini dello Stato. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 12 111 Carlo Infante - Convergenza dei media Rileggendo queste regole colpisce questo riferimento alla natura, sembra paradossale in un contesto digitale che esprime il massimo grado dell’artificialità. È interessante rilevare questa sua attenzione ai processi naturali della conoscenza: nella convergenza dei media si attua ciò che è già inscritto nella nostra percezione e che i modelli editoriali avevano separato, come nel caso della stampa e della televisione, solo per citare i due casi più evidenti. Altro aspetto emblematico è l’affermazione per cui la “convergenza è indipendente dai confini dello Stato”, aveva ben capito come l’espansione mediatica on line non avrebbe riconosciuto più nessun confine. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 12 112 Carlo Infante - Convergenza dei media 2. Remediation. Competizione e integrazione tra media La remediation (rimediazione) è un concetto coniato da Jay David Bolter e Richard Grusin nel 1999, per intendere come un nuovo medium, utilizzando alcune proprietà di media precedenti, le reinventi. In "Remediation: Understanding New Media", Bolter e Grusin hanno affrontato in anticipo la convergenza dei media che si stava prospettando come un processo ineluttabile dei nuovi media digitali che interagiscono in un continuo processo di integrazione, facendo sì che un medium sia in realtà un ibrido di diversi elementi. La rimediazione digitale nasce da una intuizione di Marshall McLuhan: il contenuto di un medium è sempre un altro medium Le strategie crossmediali scandiscono un'evoluzione continua del circuito di input-output delle informazioni La questione della convergenza dei media ha un suo percorso stratificato, già i personal computer avevano implementato videogiochi e i video in generale con i CD-ROM (Compact Disc - Read-Only Memory) formato che aveva soppiantato altri lettori multimediali come il CD-i (Compact Disc Interattivo) e il CDTV della Commodore. È dagli anni Novanta che si esplicita il fatto che tutti i media avrebbero potuto convergere. La connessione web attraverso i personal computer avvia le prime forme di televisione interattiva. Ed oggi la pratica del multitasking (multiprocessualità) è una condizione corrente, nella convergenza esponenziale che Internet permette. I mercati generati dalla rivoluzione digitale si basavano su quattro settori fondamentali: l’informatica, il comparto delle telecomunicazioni, il settore dei contenuti (o dei contents) e quello consumer, l’insieme degli apparati domestici più prossimi alla popolazione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 12 113 Carlo Infante - Convergenza dei media La convergenza si è sviluppata su queste 4 C: computer, communication, content, consumer. È quest’ultima componente, i consumatori-utenti, a fare la differenza: in questo nuovo assetto del sistema delle comunicazioni le strategie crossmediali scandiscono un'evoluzione continua del circuito di input-output delle informazioni. È l'output attraverso i sistemi interattivi che definisce il salto di qualità. L'integrazione delle informazioni su modello IP (Internet protocol) crea convergenza tra reti fisse e mobili Il mondo delle tecnologie digitali sta accelerando la sua evoluzione con l’introduzione della mobilità, introdotta dallo smartphone, che sta conformando nuove tipologie di servizi ad alto valore aggiunto. Le specializzazioni per servizio (rete telefonica, rete dati, rete televisiva, streaming on demand musicale...), in questa convergenza mediale si stanno riconfigurando su nuove piattaforme multiservizi con trattamenti integrati basati sul modello IP (Internet Protocol). In questi ultimi decenni si è così creato un mercato di dimensioni gigantesche, il più vasto dopo quello dell’energia. Gli smartphone oggi catalizzano funzioni che prima appartenevano a diversi dispositivi, integrando in un unico oggetto capacità di registrazione e riproduzione di foto e video, telefono cellulare (con connettività wi-fi e bluetooth) e molte delle proprietà di un laptop. Si è parlato di web integrated disruptive technology ovvero una tecnologia che sta creando un tale andamento esponenziale di applicazioni integrate al web che in poco tempo ha creato mercati inediti, spiazzando molti degli assetti predeterminati, con un effetto dirompente, disruptive appunto. Gli smartphone dominano gli scenari della comunicazione, si connettono ai social network, al GPS satellitare, a soluzioni di telefonia VoIP (Voice over Internet protocol), oltre a tutto quello che avevano fatto per tanto tempo: telefonare, fotografare, spedire messaggi. Questi dispositivi stanno di fatto diventando anche nodi di rete, ossia terminali collegati a internet tramite un indirizzo (IP address). Questa molteplicità di connessioni riguarda anche particolari soluzioni di interaction design come la RFID (Radio Frequency Identification) dei microcontroller usati, tra le tante altre funzioni possibili, per transitare nei varchi, come quelli Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 12 114 Carlo Infante - Convergenza dei media autostradali, pagando automaticamente il pedaggio. Tutto in un dispositivo che fino a due decenni fa serviva solo per telefonare e poco altro. Nello smartphone la convergenza dei media ha raggiunto la sua apoteosi. In questo contesto è strategico lo sviluppo dell’Internet delle Cose (Internet of Things) dove le interconnessioni riguardano cose come gli elettrodomestici o interi edifici nei nuovi scenari della domotica. Qui l’utilizzo di dispositivi come RFID (magari installati su uno smartphone), nella connessione con oggetti forniti di indirizzi IP possono comunicare nella rete. La convergenza dei media in questi settori sta creando applicazioni importanti, come nello sviluppo della Smart City, nell’ottimizzare i consumi di risorse energetiche e nella riduzione delle emissioni nocive. È tramontata l’era dei media associati a funzioni esclusive, come sono stati la televisione, la radio, il telefono, centrati per decenni su un’impostazione unidirezionale. Oggi è il tempo di un unico grande flusso informativo e mediale in grado di svolgere più funzioni contemporaneamente. La convergenza mediale sta quindi trovando il miglior luogo nello smartphone in cui convergono altri media come la fotocamera, la radio, la TV. Questa integrazione era stata già definita nella remediation di Bolter secondo cui ogni nuovo medium non uccide i media già esistenti ma ne rimedia, recuperandoli e reinventandoli, sia i contenuti sia le forme. Così come la televisione è stata una rimediazione del cinema e in contraltare YouTube ha fatto lo stesso con TV e tutto il sistema audiovisivo. Pensare che tutta questa convergenza sia solo un dato tecnologico sarebbe un limite: è di una convergenza culturale che si tratta, capace di riconfigurare linguaggi e comportamenti a tal punto da creare anche nuovi modelli economici. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 12 115 Carlo Infante - Convergenza dei media 3. La collisione della cultura della convergenza Henry Jenkins in “Convergence Culture” (2006) affronta con lucidità questa trasformazione dei modelli culturali che con la globalizzazione ha visto un’accelerazione fenomenale e che le tecnologie digitali hanno sollecitato creando le condizioni abilitanti per una nuova elaborazione connettiva del linguaggio e delle relazioni sociali. Jenkins analizza come i consumi di informazioni culturali, come la musica, si siano rivelati grazie alle procedure ipermediali come processi di nuova produzione da parte degli utenti. La rete si alimenta di una crescente dimensione cooperativa, dando luogo a forme di costruzione collettiva e connettiva del senso. La cultura della convergenza è molto differente dalla cultura di massa, perché tende a ripristinare certe modalità proprie delle culture popolari che comportavano un forte coinvolgimento individuale dal basso. Nel titolo originale di quel libro c’è un sottotitolo “Where Old and New Media Collide”, in quella collisione che Jenkins evoca non c’è solo la collisione tra i vecchi e i nuovi media ma tra i produttori e i consumatori di informazioni culturali. I palinsesti verticali La cultura della convergenza è quella che attraverso il consumo simultaneo di più informazioni culturali diverse, in un multitasking esercitato correttamente mentre si ascolta musica e si scrive contemporaneamente, o si naviga nel web, si remixa il valore dei vari input per arrivare ad esprimere degli output originali, ricombinanti. L’utente-consumatore diventa così prosumer, un consumatore che diviene allo stesso tempo produttore, autore di un senso ulteriore. I sistemi on demand per la fruizione dei contenuti musicali o filmici, si sviluppano così in palinsesti verticali, profilati in playlist o addirittura in mashup, remixando tra loro frammenti diversi di una produzione culturale che si rigenera attraverso l’uso creativo dell’utente. È in fondo l’opportunità di quella democratizzazione dei mezzi di produzione comunicativa di cui già parlava Manuel Castells in "La nascita della società in rete" del 1996. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 12 116 Carlo Infante - Convergenza dei media Si ha a disposizione un grande flusso di comunicazione con sempre meno barriere all’entrata, che con lo sviluppo delle tecnologie e del web 2.0 in particolare ha visto crescere una cultura convergente che vede protagonisti gli utenti. User generated content e citizen journalism gli utenti-prosumer produttori di contenuti. Senza competenze specifiche di editing multimediale sono molti i potenziali prosumer a superare il confine tra produzione e consumo di prodotti culturali, è ciò che viene definito user generated content, quel fenomeno che vede gli utenti della rete produrre contenuti direttamente, sia per gioco sia per strategia partecipativa o il citizen journalism per cui cittadini attivi diventano protagonisti delle informazioni prodotte dal loro impegno sociale, superando la mediazione giornalistica. Tutto questo prende la volata dai primi anni del 2000 con l’avvento del web 2.0, generato da una crisi finanziaria gravissima, quella della net economy, che aveva cavalcato con entusiasmo lo sviluppo di Internet e la sua ridefinizione nella forma del web, che inventò nuovi mercati primi inimmaginabili. È emblematico il fatto di come possa generarsi opportunità da una crisi. Accadde proprio questo, con la chiusura di tante web company che avevano impostato la loro corsa all’oro del web con modelli ereditati dalla logica dei mass media, con portali informativi e banner pubblicitari, si aprirono altri spazi per altre idee, più creative e più sostenibili. Si sviluppò così il cosiddetto web 2.0 impostato su una rivoluzione più che tecnologica (fu determinante l'invenzione del CMS, il Content Management System che permetteva di pubblicare contenuti sul web senza essere programmatori informatici) bensì antropologica: le persone divennero protagoniste, nacquero i blog scritti direttamente dagli utenti, dinamizzati dai commentari. Era l’avvio di una nuova era, quella della grande esplosione dei social network. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 12 117 Carlo Infante - Convergenza dei media L’economia affettiva La fortuna dell’impatto dei social network si basa su un paradossale modello economico. È il frutto di una convergenza di fattori, a partire dai media in veloce mediamorfosi, che nello slittamento progressivo dal sistema dei mass media incardinato sul paradigma da Uno a Molti stava passando ad uno che avrebbe rivoluzionato tutto quell’universo mediale, secondo il principio già avviato con il web, da Molti a Molti. Questo moto centrifugo di energie, tecnologiche e sociali, con il fattore umano, sia partecipativo e connettivo nonché personalistico, generò una sorta di economia affettiva, basata sia su pulsioni emozionali sia su principi di effettivo impegno politico che si auto-organizza in forme partecipative significative. Spesso queste dinamiche affettive sono semplicemente orientate verso delle community di riferimento che si alimentano nel gioco personalistico nei social network, come il fenomeno degli youtuber che su quella straordinaria piattaforma di streaming video che è YouTube creano dei propri canali che a volte raggiungono incredibili successi con notevoli visualizzazioni. C’è poi un altro fenomeno correlato, di cui tratta Jenkins, è la fandom culture, una sottocultura ancorata a quelle comunità di appassionati (fan) infervorati per una star musicale o una saga o una moda. È un esempio emblematico di come possa funzionare questa collisione tra i mondi della produzione dei contenuti culturali e quei consumatori che trasformati in fan riescono a diventare protagonisti. È un fenomeno che per quanto possa apparire banale riesce a configurarsi come una vera e propria economia affettiva che molte aziende hanno saputo intercettare, facendo di una cultura collaborativa delle intelligenti strategie di marketing e comunicazione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 12 118 Carlo Infante - Convergenza dei media Remix culture La cultura convergente può essere considerata prossima alla remix culture, per cui l’utente, che si pone come nuovo produttore di senso, attinge al suo patrimonio culturale mixando altre informazioni culturali. Un protagonista di questa linea d’indirizzo culturale è Lawrence Lessig, il giurista statunitense, professore di Harvard e fondatore di Creative Commons, l’organizzazione che dal 2001 promuove la condivisione delle opere culturali in maniera legale, oltre gli stretti vincoli del copyright. La cultura della convergenza indotta da espressioni come la remix culture, il mash up, l’user generated content, fa ben capire come ci possa essere collisione con i sistemi chiusi di molte imprese che non hanno ancora colto le potenzialità dell’Open Innovation per cui lo sviluppo sarà direttamente proporzionale all’apertura verso quelle potenzialità creative che le tecnologie della rete mettono in campo. In quegli scenari di convergenza culturale, come abbiamo già detto, risiede un modello economico che può rivelarsi nei modi attraverso cui interagiscono media e utenti tra loro, aprendo a nuovi mondi che non sono altrove ma tra noi, cambiando la prospettiva, con sguardi aperti a 360° che squadernino gli scenari preordinati. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 12 119 Carlo Infante - Interaction design Indice 1. L'INTERAZIONE UOMO-MACCHINA................................................................................................... 3 2. HIGH TECH – HIGH TOUCH ................................................................................................................. 6 3. L’INTELLIGENZA APTICA ..................................................................................................................... 8 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 12 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 12 120 Carlo Infante - Interaction design 1. L'interazione uomo-macchina L’interaction design è la progettazione dell'interazione, un ambito di ricerca che deriva dall'interazione uomo-macchina (disciplina scientifica che pre-esiste al contesto informatico). Nel tempo questo concetto è stato definito Man-Machine Interface quando con l’avvento degli schermi grafici connessi ai computer si è evoluta questa pratica di interazione. Ivan Sutherland, collaboratore di Vannevar Bush, quello del Memex (uno dei prototipi del computer) al Massachusetts Institute of Technology (MIT) realizzò (nel 1963!) la prima interfacciautente con modalità grafica e interattiva, si chiamava SketchPad e funzionava con una penna ottica. Il laboratorio di ricerca della Xerox Parc fu l’epicentro di questa ricerca applicativa e nel 1981 si sviluppò lo Xerox Star, con il mouse e sistema di puntamento, che la Apple sviluppò commercializzandolo nel 1984 con quel suo Macintosh che ha battuto la strada del personal computer. Va ricordata, assolutamente, la figura di Douglas Engelbart (anche lui ispirato da Vannevar Bush) che negli anni Sessanta sviluppò dei prototipi di mouse, poi brevettati nel 1967, anche se la Xerox ne commercializzò alcuni, a brevetti scaduti. È riconosciuto come il papà del mouse. Le interfacce a finestre (windows) L’impatto decisivo con il mercato consumer avverrà nel 1985 con il sistema Microsoft Windows, quelle interfacce a “finestre” che rappresentano l’ambiente digitale di maggior utilizzo, con cui tutt’oggi si tratta col computer. L'interaction design ha come funzione quella di rendere usabili i sistemi digitali dagli utenti, creando le condizioni abilitanti per orientarsi attraverso la progettazione dell'interfaccia, con il design delle schermate, delle icone e l’impostazione dei menu di navigazione. Emergono continuamente nuove tecnologie progettate dall’interaction design: come l'Everywhere Display della IBM del 2005, che proietta immagini su qualsiasi superficie, trasformando Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 12 121 Carlo Infante - Interaction design oggetti di uso quotidiano in uno schermo interattivo, senza dover interagire direttamente con un personal computer. Questa nuova concezione di display è basata su soluzioni wireless che permettono di usare le dita come cursori anche sul muro o sulla scrivania, un’interazione resa possibile attraverso un sensore ottico che rileva i movimenti dell'utente determinando l'interazione. Gli schermi oltre la cornice Oggi gli stessi schermi vanno oltre la loro cornice, si possono proiettare immagini su qualsiasi superficie, non solo con videoproiezioni ma anche con soluzioni olografiche, con particolari rappresentazioni visive di un oggetto in uno spazio 3D. Si possono trasformare oggetti dei più disparati in uno schermo interattivo, senza dover interagire con un computer. Queste nuove concezioni di display sono basate su soluzioni wireless che permettono di usare le dita come cursori (molti ricorderanno le immagini del film “Minority Report” con Tom Cruise che clicca nell’aria). Questa interazione tra corpo e sistemi digitali riguarda sia l’interaction design rivolta agli assetti industriali e commerciali sia quelle nuove forme della performance che hanno individuato, prima dell’utilizzo standard dei prodotti messi sul mercato, delle sperimentazioni per testarne le potenzialità. Pensiamo all’uso dei motion capture (l’impianto di sensori che rilevano il movimento fisico e lo traducono in forma digitale) per alcune coreografie in ambienti interattivi. L'infosfera non presuppone consumatori passivi con occhi contemplativi, ma soggetti dinamici che frequentano la rete agendo in maniera tattile, prendendo informazioni: cliccando. Così come lo spazio fisico lo si scopre attraversandolo con il corpo in azione, lo spazio digitale si rivela in una navigazione caratterizzata da un’altra sensorialità per niente scontata. Tanto più che è proprio la prossimità con il corpo dei diversi terminali digitali a caratterizzare questa condizione Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 12 122 Carlo Infante - Interaction design che di conseguenza si predispone alla nuova progettualità di forme ancora inesplorate d’interazione, come la linea di ricerca dell’interaction design sta delineando. È su questi fronti che possono essere investite le migliori energie creative, andando oltre la sperimentazione dei linguaggi per creare contesti, ambienti, opportunità dove l’interazione tra noi e l’infosfera produca innovazione culturale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 12 123 Carlo Infante - Interaction design 2. High tech – high Touch Nell'infosfera digitale si è sollecitati ad essere soggetti attivi, protagonisti di un ambiente altamente tecnologico, high tech, in cui le informazioni tendono, secondo i principi dell’interattività, ad avere un senso bidirezionale. In quel mondo informatico le informazioni vengono trattate dalla nostra capacità d’essere hi-touch: il contatto espresso dal nostro potenziale interattivo di utenti. Il semplice giocare sull’assonanza delle parole High tech – high touch deriva dall’intuizione di John Naisbitt che scrisse (in “Megatrends, le dieci nuove tendenze che trasformeranno la nostra vita”, 1984): High tech – high touch è la formula che uso per descrivere il modo in cui rispondiamo alla tecnologia. Ogni volta che una nuova tecnologia viene introdotta nella società, ci deve essere il contrappeso di una spinta umana che ristabilisce l'equilibrio – cioè high touch – in caso contrario la tecnologia viene respinta. Più c'è high tech, più occorre high touch.” È esattamente quello su cui è il caso di focalizzare un’attenzione specifica, ovvero l’innovazione adattiva, ciò che contempla il fatto di commisurare l’avanzamento tecnologico all’evoluzione degli utenti, affinati alla user experience. È un dato importante perché presuppone il fatto che l’evoluzione digitale (l’high tech) sarà sempre più scandita da quella di persone che sapranno usare (high touch) e magari reinventare l’uso dei sistemi interattivi sulla base di ciò sapranno immaginare. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 12 124 Carlo Infante - Interaction design Performing media Prossima all’innovazione adattiva c’è l’idea di performing media che tratta di come certe esperienze creative siano in grado di far evolvere le potenzialità della convergenza dei media in via direttamente proporzionale alla capacità d’uso e di gioco. Con il tocco di un mouse clicchiamo sulle interfacce grafiche e sulle informazioni, sviluppando dinamiche ipertestuali che danno l’idea di un’energia comunicazionale, una pratica combinatoria che va ben oltre la semplice lettura delle parole o la visione di repertori audiovisivi. La dinamica dei link incalza sia lo sguardo sia l’elaborazione cognitiva soggettiva e tutto ciò è scandito dalla pratica manuale del mouse su cui corre la nostra mano. Mano e mente tornano ad essere vicini, come nei più misteriosi mestieri artigiani (nell’etimo di mestiere c’è una pista che porta verso il concetto di mistero...). Questa condizione fa riflettere su come l’intera articolazione dei sistemi informativi abbia a che fare sempre più con la dimensione personalizzata dell’utente, con il suo corpo (“esteso” con smartphone e altri device) e di conseguenza con la sua potenzialità tattile del touch che cliccando opera, naviga, sceglie, decide. Ciò significa iniziare a valutare l'insorgenza di nuove interazioni, considerando l’infosfera come il luogo scatenante non solo d’informazioni, ma di emozioni, intese come riflesso dell’esperienza interpersonale, ovvero di azioni in cui si sperimenta vita e socialità. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 12 125 Carlo Infante - Interaction design 3. L’intelligenza aptica Potrebbe essere spesa qui la parola aptico, che deriva dal greco haptikos indicando l'abilità di venire a contatto con qualcosa che risponde all’azione del toccare. L’etimo della parola è infatti “tocco” quel “touch” che oggi rappresenta la forma di interaction design più utilizzata al mondo, quando si usa uno smartphone. L’aptico è una funzione della pelle, come suggerisce Giuliana Bruno in “Atlante delle emozioni”, costituisce il “mutuo contatto tra noi e l’ambiente”. L’intelligenza aptica è la combinazione di due sensorialità: la percezione tattile, per cui gli oggetti toccati suscitano sulla pelle una reazione e la propriocezione, che permette di riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e in stretta relazione con lo stato di contrazione dei propri muscoli. È su questi principi che nell’ambito delle Realtà Virtuali, già negli anni Novanta, si sviluppò una ricerca importante di interaction design sulle interfacce con ritorno di forza, in alcuni esperimenti di simulazione per interventi di emergenza in ambienti sottomarini. Il data glove che veniva utilizzato in quei sistemi di realtà virtuale per agire all’interno della visualizzazione 3D, era supportato da un sistema di servomeccanismi che permettevano di acquisire feedback sul peso di ciò che veniva spostato, creando una fenomenale esperienza di apprendimento per l’operatore che si stava formando per intervenire in contesti eccezionali, se non pericolosi, nelle profondità dei mari. Imparare a fare in ambiente virtuale per saper fare in ambiente fisico Grazie a questa molteplicità sensoriale l’interaction design ci permette di avere una coscienza piena degli ambienti e delle cose che ci circondano in un ambiente simulato, facendo palestra cognitiva, imparando a fare in ambiente virtuale per poi saper fare in ambiente fisico. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 12 126 Carlo Infante - Interaction design Ancora una volta le tecnologie digitali ci pongono di fronte ad una visione ulteriore delle nostre potenzialità percettive assopite. I processi cognitivi attivati da un'esperienza immersiva nel virtuale ci ricordano che la conoscenza non è solo visiva e sonora, ma tattile, esprimendo un’intelligenza aptica che riguarda direttamente la propriocezione: la funzione sensoriale che informa il cervello sulla posizione del corpo nello spazio. E non è finzione, è simulazione, un concetto molto più sottile. Si fanno le prove, come a teatro, che è quella tecnologia (sì, è una tecnologia cognitiva che ha fatto della relazione tra corpo e parola, il miglior dispositivo per apprendere l’alfabeto 2800 anni fa) che ci ha insegnato ad estendere i confini del nostro corpo, espandendolo in una rappresentazione vista da molti. Il coordinamento tra mano e mente Dopotutto la stessa pratica interattiva stabilita ordinariamente con l’uso del mouse rende evidente (anche se ormai nessuno ci fa caso) il fatto che tra mano e mente c’è un coordinamento straordinario. Quanto è importante ricordare che uno dei primi contatti tra uomo e tecnologia è, circa due milioni di anni fa, con la selce scheggiata da colpi precisi, resi tali da una coordinazione tra mano e mente che ha avviato il nostro processo evolutivo di Homo Abilis. La realizzazione di quei chopper, fondamentali per tagliare carni e pellami, il primo prodotto dell'industria umana, ha esteso il nostro corpo nel mondo esterno, per nutrirci e coprirci. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 12 127 Carlo Infante - Interaction design Dal chopper al mouse Dal chopper al mouse la nostra evoluzione transita attraverso una molteplicità di modalità che ci fanno riflettere su quanto il corpo sia il fulcro di tutto, anche nella comunicazione multimediale dove, per quanto si delinei una ridefinizione della relazione che intercorre tra corpi e informazioni, il contatto conta. Lo stesso McLuhan ci fa notare, nel suo libro “Understanding media” (“Gli strumenti del comunicare”), quanto sia importante “investire il senso tattile della funzione di un sistema nervoso per unificare tutti gli altri”. L’azione del corpo attraverso l’intelligenza aptica ha programmato la nostra mente in formazione continua, la dimensione artigiana l’ha affinata in questi millenni ed oggi con il touch su sistemi interattivi stiamo assistendo ad una nuova fase evolutiva in cui la nostra mente si sta riprogrammando. Si tratta di una condizione che riguarda la complessità degli assetti antropologici e culturali che nell’interaction design trova una linea di ricerca che affronta le diverse forme di interazione tra il corpo e gli schermi, in una sorta di nuova ergonomia tra la dimensione fisica e quella immateriale. McLuhan sarebbe stato contento dell'esperienza interattiva con i sistemi digitali, tanto più di quella touch che non è un semplice toccare, come qualcuno può credere, ma scegliere e interoperare, mettendo in gioco la nostra sensibilità verso il mondo adiacente al nostro corpo. La prossimità del corpo con i dispositivi digitali Dopotutto l’infosfera digitale presuppone non più solo consumatori passivi con occhi contemplativi, ma soggetti dinamici che frequentano la rete agendo in maniera tattile, prendendo informazioni, cliccando. Lo facciamo oggi con dispositivi che fanno della prossimità con il nostro corpo, un punto di forza, un valore aggiunto, estendono le nostre funzionalità, aumentando le nostre capacità Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 12 128 Carlo Infante - Interaction design sensoriali e predisponendoci a nuove forme di interazione. Li portiamo in tasca, sono dentro le nostre orecchie, li indossiamo. È su questi fronti che possono essere investite le migliori energie creative di nuova progettazione che si misura con un corpo da estendere. Superando, ma acquisendone il know how, tutte quelle sperimentazioni di performing media che hanno tradotto le tecnologie in linguaggi. Il punto strategico è nel creare contesti applicativi, ambienti sensibili, opportunità dove l’interazione tra noi e l’infosfera digitale produca socialità e nuove opportunità produttive. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 12 129 Carlo Infante - Realtà virtuali Indice 1. UN MICROSCOPIO PER LA MENTE ..................................................................................................... 3 2. UN AMBIENTE CHE ESISTE SOLO NELLA MEMORIA DI UN COMPUTER ............................................... 6 3. L’ESPERIENZA IMMERSIVA E INTERATTIVA ........................................................................................ 10 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 13 130 Carlo Infante - Realtà virtuali 1. Un microscopio per la mente La realtà non basta a sé stessa. Sappiamo perfettamente che per misurarci con ciò che definiamo reale c’è bisogno di competenza e conoscenza. Sappiamo anche che non basta studiare, leggere libri o dispense, abbiamo bisogno di incrementare lo studio, basato sulla lettura o l’ascolto di docenti, di esperienza diretta. In questo senso tutto il percorso pedagogico del cosiddetto apprendimento esperienziale (experiential learning), che oltre ad avere un background secolare ha trovato in questi ultimi decenni figure di riferimento come John Dewey (1859 – 1952) e Jean Piaget (1896 – 1980), si proietta attraverso le nuove tecnologie nel creare opportunità di apprendimento per simulazione digitale. Le realtà virtuali nascono per questo, per formare piloti aerospaziali in contesti protetti prima di farli avventurare nel cosmo, per non parlare della formazione militare per interventi molto rischiosi. Il virtuale che per molti è ancora sinonimo di vaghezze dell’entertainment digitale è al contrario a monte della nostra necessità del saper fare. Per entrare dentro le specificità degli scenari digitali è opportuno descrivere in modo più dettagliato la parola stessa, virtuale. Per cercare così di capire anche perché le realtà virtuali, nella loro evoluzione tecnologica, possano essere considerate come un microscopio per la mente, come le ha definite Howard Rheingold. Realtà virtuale, un ossimoro Il successo della parola virtuale, per cui vale la pena andare poi a scavare tra le sue radici etimologiche, va comunque ricercata in quel fenomeno dirompente che contrassegnò le cronache della fine anni Ottanta, la Realtà Virtuale. Già il fatto che questa parola fosse un ossimoro, sparigliò, ponendoci di fronte ad una complessità ben più che semantica. La cultura fantascientifica (William Gibson in particolare) aveva già predisposto molti ad affrontare scenari come questi, ma spiazzò ancor di più il fatto che per definirla si usasse un Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 13 131 Carlo Infante - Realtà virtuali ossimoro, che è una soluzione retorica capace di accostare, nella medesima locuzione, parole che esprimono concetti contrari. Eppure individuandola come aggettivo sostantivato, la parola virtuale ha acquistato negli ultimi anni una molteplicità di significati indeterminati. Vaghi. A tal punto da diventare in alcuni casi persino il sinonimo di “vago”. Indebolendola non poco. È in tal senso diventata un luogo comune che tende a definire in quanto “falsa”, o vaga appunto, la condizione immateriale propria dell’elettronica. Un modo per generalizzare a proposito della finzione delle interpretazioni del mondo prodotta dai nuovi sistemi di comunicazione digitale. Si tende cioè a contrapporre il virtuale al reale in una dicotomia talmente generica da disorientare chi cerca un possibile rapporto con tecnologie inscritte di fatto nel corso evolutivo dell’uomo. Secondo quell’approccio generico la Società dell’Informazione, già viziata dalla pervasività del massmedia televisivo, crea una falsa coscienza della realtà. Ma va detto con chiarezza: definire virtuale questa fenomenologia è improprio. O perlomeno è da riferire all’uso sconsiderato delle parole che generano luogo comune. Il virtuale, la condizione del possibile Nel suo etimo latino virtus sottende virtù, facoltà, potenzialità, una qualità non ancora espressa. La parola virtuale trova una sua più precisa definizione nel pensiero filosofico della Scolastica medievale con il teologo domenicano Tommaso D’Aquino che traduce il concetto di potenzialità in virtuale, concependo quindi come “esistente in potenza”, la condizione ideale del possibile. In Europa, il punto d’accesso al dibattito internazionale sul virtuale fu, già dai primi anni Novanta, a Montecarlo per il forum internazionale “Imagina”, diretto da Philippe Quéau, che poi divenne Direttore della ricerca all'Institut National de l'Audiovisuel (INA), membro del Comitato di ricerca ministeriale del Ministero francese della cultura e della comunicazione e Direttore della Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 13 132 Carlo Infante - Realtà virtuali divisione Informazione e Informatica presso l'Unesco. È da lui che raccogliamo una definizione molto chiara del virtuale. Il virtuale è una nuova forma di realtà che consente di comprendere il reale al meglio. Si può affermare che il virtuale è simile ad un nuovo mondo, ad una nuova America; esso ci permette di accrescere le nostre capacità di capire il reale. Questa è la ragione per la quale si parla di realtà amplificata. Philippe Quéau È da qui che è possibile trovare la chiave per affrontare, culturalmente, la riflessione aperta agli sviluppi più avanzati di un concetto nuovo come il virtuale, che tende a scardinare molte certezze scientifiche, mettendole di fronte ad aspetti considerati fino ad ora metafisici. Quella amplificazione della realtà comporta una amplificazione del nostro sentire. Il punto è nell’interrogarsi sulla necessità di una riconfigurazione degli assetti psicologici, che l’uomo si è costruito a misura per arrivare a definire una soddisfacente interpretazione del mondo. ll virtuale offre un nuovo paradigma cognitivo per rivedere molte di quelle teorie e pratiche su cui si è fondata l’esperienza umana. È una nuova chiave interpretativa per comprendere e tradurre in esperienza percettiva e cognitiva il fatto di stare dentro una visione ed agire per commisurarla alla nostra azione di esplorazione, di navigazione interattiva. A questo punto è opportuno individuare le caratteristiche proprie di ciò che è la realtà virtuale, individuando le diverse applicazioni e gli hardware su cui si basa. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 13 133 Carlo Infante - Realtà virtuali 2. Un ambiente che esiste solo nella memoria di un computer La realtà virtuale rappresenta oggi lo stadio più avanzato del rapporto uomo-macchina. È un sistema digitale con cui si può agire all'interno di una simulazione infografica, ovvero in un ambiente che esiste solo nella memoria di un computer. Questo è possibile in primo luogo (sono tanti gli approcci con tecnologie diverse) attraverso un visore stereoscopico che trasmette immagini tridimensionali, soggette ad un'interazione (attraverso sensori magnetici) grazie ai movimenti del capo di chi lo indossa e della mano che agisce con un mouse, o con un joystick o che calza un guanto innervato di fibre ottiche, il data glove (o altri sistemi di trasmissione elettromagnetica) interfacciate con il computer generatore dello scenario interattivo. I primi esperimenti risalgono già alla seconda metà degli anni Settanta negli USA con Myron Krueger sulla cosiddetta Realtà Artificiale e con Ivan Sutherland sulla stereoscopia. Qualcosa di significativo era però già accaduto prima. Morton Heilig, già nel 1957 realizzò una macchina adatta a vedere immagini in 3D. La chiamò Sensorama, la brevettò nel 1962. Era una cabina con schermi stereoscopici, altoparlanti stereo e una sedia semovibile. La visione futuristica di Heilig non trovò fondi sufficienti per essere sviluppata ed applicata al cinema come voleva il suo inventore. Questo esperimento fu definito Experience Theater e poteva coinvolgere tutti i sensi in maniera realistica, immergendo lo spettatore nell'azione filmica, con un apparato che oltre a proiettare coinvolgeva tutti i sensi (vista, udito, olfatto, tatto). Nel 1968 Ivan Sutherland creò un primitivo sistema immersivo con visore da indossare, così pesante da dover essere appeso al soffitto. Uno dei primi sviluppi ipermediali fu l'Aspen Movie Map, un dispositivo realizzato dal MIT nel 1977 con lo scopo di ricreare virtualmente Aspen, la cittadina del Colorado, con filmati tridimensionali delle strade della cittadina. Il concetto di cyberspazio fu coniato nel 1984 da William Gibson nel suo romanzo di fantascienza “Neuromante” da cui cogliamo una visione profetica, inquietante e affascinante. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 13 134 Carlo Infante - Realtà virtuali Cyberspazio: un'allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno da miliardi di operatori legali, in ogni nazione [...] Una rappresentazione grafica di dati ricavati dai banchi di ogni computer del sistema umano. Impensabile complessità. Linee di luce allineate nel non-spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati. Come le luci di una città, che si allontanano... William Gibson, Neuromante Il vero salto di qualità della ricerca è però nel 1985 quando presso la NASA Scott Fisher istituisce il Virtual Environment Workstation (VEW). Solo qualche anno dopo, nel 1989, Jaron Lanier (un musicista sperimentale prestato al VEW) conierà il termine VR, Virtual Reality, per poi realizzare, con la VPL Research (Virtual Programming Languages: linguaggi di programmazione virtuale) i primi sistemi da commercializzare indipendentemente, quando fu sciolto il protocollo militare: opportunità offerta dal post-Guerra Fredda, (è qui la vera risposta ai perché ci sia stata quella accelerazione tecnologica negli anni Novanta). Tra i vari sistemi di realtà virtuale (è per questo che usiamo il plurale per definire questo campo applicativo) c’è quello basato sullo sviluppo del VEW che di fatto è quello che ha conquistato per primo l’attenzione su questo fenomeno. L’hardware era così composto: Il visore (head-mounted display), detto anche casco stereoscopico, può essere configurato anche con una sorta di occhiali in cui gli schermi vicini agli occhi annullano il mondo reale dalla visuale dell'utente. Il visore può inoltre contenere dei sistemi per la rilevazione dei movimenti, in modo che girando la testa da un lato, ad esempio, si ottenga la stessa azione anche nell'ambiente virtuale. Auricolari che trasferiscono i suoni all'utente, in alcuni casi anche con soluzione olofonica o surround. Data glove, o wired glove, i guanti innervati di fibre ottiche o altri canali di trasmissione, come quella elettromagnetica, che svolgono la funzione di periferica (ma che possono essere Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 13 135 Carlo Infante - Realtà virtuali ovviati da joystick, trackball e altri sistemi manuali di input), per gestire i movimenti, impartire comandi, digitare su tastiere virtuali, ecc. Data suit, o cybertuta, che avvolgendo interamente il corpo, durante l’azione, grazie ai sensori di cui è fornita, può rilevare i movimenti del corpo e trasferirli nell'ambiente virtuale. Il sistema Cave evoca la Caverna di Platone Uno dei problemi delle realtà virtuali era (oltre ai costi per lo sviluppo, allora decisamente alti) quel casco stereoscopico che condiziona tutto in un'esperienza di assoluto isolamento solipsistico. Ad Ars Electronica di Linz nella metà degli anni Novanta fu installato permanentemente il sistema CAVE che permetteva di esplorare ambienti immersivi, permettendo un’azione libera nello spazio, condizione importante da considerare per quanto riguarda l'evoluzione performativa di queste tecnologie. Il Cave evoca, non a caso, la Caverna di Platone, dove viene posta in essere la contraddizione tra realtà e illusione, un ambiente in cui lo spettatore si fa attore della propria esperienza sensoriale e cognitiva al contempo. Questo riferimento al Mito della Caverna di Platone è una suggestione forte, decisamente efficace in quanto allegoria che in sostanza si articola come una parabola. Ci sono delle persone che vivono fin dall’infanzia rinchiuse in una caverna, incatenate così strettamente da non poter neanche girare la testa. La caverna ha un’apertura che dà sull’esterno, ma la gente che ci vive ha lo sguardo rivolto verso la parete in fondo, e non vede l’uscita. Alle loro spalle, in alto e lontano da loro, c’è un fuoco acceso che fa luce. Fra il fuoco e i prigionieri c’è un muro da cui spuntano degli oggetti che grazie alla luce del fuoco si proiettano come ombre sulla parete di fronte ai prigionieri. Quelle ombre sono le uniche cose che i prigionieri abbiano mai visto, costretti come sono a star lì fermi, senza potersi voltare. Dunque – afferma Socrate – quelle persone credono che le ombre siano oggetti reali. Siano la realtà. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 13 136 Carlo Infante - Realtà virtuali Il filosofo contemplava il rapporto che intercorre tra percezione, realtà e illusione. Chissà cosa avrebbe pensato provando un sistema di realtà virtuale come il CAVE. Il Cave Automatic Virtual Environment (da cui l'acronimo CAVE) è costituito da una stanza a forma di cubo con dei proiettori video diretti verso sei facce del cubo stesso. In questa “caverna” digitale il sistema di realtà virtuale opera sui piani di visualizzazione ortogonali fissi con immagini 3D che vengono proiettate su pareti e soffitto del cubo, in maniera tale da avvolgere l’utente nel mondo virtuale, immersivo. L’idea del CAVE, sviluppato presso la University of Illinois di Chicago e presentato per la prima volta al SIGGRAPH del 1992, è quella di un dispositivo immersivo ma non solipsistico, per condividere l'esperienza virtuale. Un’idea fenomenale che evoca il famoso holodeck (il ponte olografico) della serie Star Trek: The Next Generation trasmessa nel 1987. Altri sistemi virtuali come il Mandala System hanno, con altre procedure meno immersive (sviluppando le intuizioni di Myron Krueger sulla Realtà Artificiale), reso ancora più performativo il gioco di interazione tra il corpo e l'ambiente infografico, evolvendolo in performance ludiche e partecipative dove gli utenti ripresi da una telecamera venivano tradotti nello scenario digitale, cliccando con i loro movimenti. Il Mandala System si sviluppò nei primi anni Novanta e girava su piattaforma Amiga 3000 (sistema operativo che va in dismissione dal 1993) ma gran parte delle sue potenzialità d’uso vengono poi esercitate nell’ambito delle nuove interfacce per i videogiochi, con il telecomando Wii di Nintendo, con il PlayStation Move di Sony e fondamentalmente con il Kinect che dal 2010 (fino al 2017, quando cessa la sua produzione) ha fatto della XBox di Microsoft la console più performante, perché consentiva al giocatore di controllare il sistema ripreso solo da una telecamera. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 13 137 Carlo Infante - Realtà virtuali 3. L’esperienza immersiva e interattiva La caratteristica più importante della realtà virtuale è che è possibile agire in un ambiente artificiale: si va quindi oltre la visione offerta dall’ennesima tecnologia della rappresentazione per fare invece esperienza, immersiva e interattiva. Ecco la parola giusta: esperienza, agendo nella visione. È qui che risiede il dato cardine di tutta la fenomenologia del virtuale: l’interattività e l’immersione sensoriale producono una simulazione tale da coniugarsi con l’azione fisica, reale a tutti gli effetti. Chi crede quindi che il virtuale sia solo uno strumento tecnologico molto probabilmente non ha ancora colto la complessità delle sfumature psicologiche e cognitive determinate dalla mutazione digitale in corso. Il fatto stesso di svolgere talmente tante attività produttive e sociali attraverso le reti ha ormai reso evidente quanto sia importante pensare in rete, attraverso un rapporto sempre più stretto, grazie a interfacce sempre più amichevoli (friendly), tra la nostra mente, il nostro corpo, e le tecnologie della comunicazione digitale a disposizione. Le diverse interazioni uomo-macchina saranno così sempre meno meccaniche, sempre più fluide, sempre più sensibili. La mutazione dei linguaggi multimediali corre quindi di pari passo a quella dei nostri comportamenti e delle nostre percezioni. Sta cambiando il nostro sentire. Potremmo dire, semplicisticamente forse, che l’immaterialità della comunicazione digitale tende a sollecitare l’immateriale che è in noi. Non a caso Howard Rheingold, uno dei primi ricognitori teorici del fenomeno del virtuale, considerava le realtà virtuali come "un microscopio per la mente". Un dato su cui riflettere nel momento in cui accettiamo il fatto che una simulazione può essere considerata a tutti gli effetti azione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 13 138 Carlo Infante - Realtà virtuali Le coordinate spazio-temporali possono essere decisamente relativizzate: la realtà che ci circonda non è, infatti, solo quantizzabile in atomi ma anche in bit, l’unità minima del mondo digitale. Si è insomma sulla soglia di un superamento culturale dei positivismi e dei materialismi nonché di tutta l’era meccanicista. È qui che si inserisce la riflessione sul virtuale in quanto ulteriore stadio evolutivo dell’uomo, ovvero come nuova coscienza percettiva e cognitiva al contempo, come nuova sensibilità in grado di relazionarsi alle cose immateriali, oltre che a quelle materiali. È su questa espansione di coscienza che è importante riflettere, individuando un'attitudine psicologica in grado di coniugarsi con la dimensione elettronica a tutti gli effetti, come una quintessenza di sensorialità inedite, in grado di selezionare, e non solo consumare, le informazioni digitali di cui è sempre più affollato il mondo. Qualsiasi interazione a distanza (già accadde all'inizio del secolo per il telefono) tende a riconfigurare il nostro rapporto con il mondo esterno. Con i programmi di modellizzazione tridimensionale possiamo però creare oggetti virtuali da condividere anche con stazioni remote. L'impatto di realtà di questa azione è resa da un acronimo che suona così': WYSIWIG (“What You See Is What You Get”: quello che vedi è quello che è). Il salto paradigmatico è in questa nuova coscienza: vivere una simulazione come un'esperienza reale e trovare nell'immaterialità di una visione interattiva, ovvero modificabile secondo precise interazioni, uno spaziotempo da abitare. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 13 139 Carlo Infante - Realtà virtuali Il punto di vita Questa esperienza invita anche a superare l’idea stessa di rappresentazione verso cui comportarsi solo come attoniti spettatori passivi. È ormai possibile comprendere che il principio del punto di vista fondato sulle categorie di rappresentazione visiva come quelle della Prospettiva risultano sempre più relative. Emergono altri valori come quello del punto di vita (che è ben diverso dal punto di vista). È la capacità di abitare e vivere (anche se sulla base di un’illusione cognitiva) un ambiente simulato, uno scenario virtuale. Quell’ambiente viene abitato, vi si agisce, si esprime una condizione vitale di ricerca e di avventura. L’immersione stereoscopica nelle realtà virtuali è questo, come anche, per altri versi anche se meno immersivi, qualsiasi navigazione ipermediale. È in questi casi che si può riuscire ad impostare nuovi termini di riflessione, finalmente scardinati dalle certezze epistemologiche del pensiero razionalista e disponibili a misurarsi con ciò che abbiamo definito un nuovo paradigma cognitivo. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 13 140 Carlo Infante - Nuovo paradigma cognitivo Indice 1. LA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA .................................................................................................... 3 2. LA NOOSFERA .................................................................................................................................... 7 3. LA CHIAVE DAVANTI AL PENTAGRAMMA EVOLUTIVO ................................................................... 11 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 14 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 14 141 Carlo Infante - Nuovo paradigma cognitivo 1. La società della conoscenza Se le risorse fossili, combustibili come carbone e petrolio, sono state il fulcro del sistema di trasformazione delle materie in merci, così le informazioni sono sempre più materia prima di un sistema produttivo che attraverso le reti, il web in primo luogo, sta reimpostando il ciclo di trasformazione delle risorse immateriali in valore, sia di scambio sia d’uso. La Società della Conoscenza genera e condivide con tutti i cittadini il valore della conoscenza da utilizzare per migliorare la condizione umana, come afferma un rapporto mondiale dell'UNESCO del 2005. In quel rapporto si sostiene la necessità di garantire diversità culturale, pari accesso all'istruzione, accesso universale all'informazione (promuovendo dominio pubblico e open access, per libera disponibilità online di contenuti digitali), libertà di espressione ed arginare il divario digitale (digital divide) che impedisce a molti di accedere al web, per carenza di infrastrutture di rete. Già nel 1995 Jacques Delors in quanto presidente della Commissione Europea firmò un Libro Bianco sulla Società della Conoscenza, nella previsione di lanciare nel 1996 l'Anno europeo dell'istruzione e della formazione sull'arco di tutta la vita, in cui si affermava: (...) Le tecnologie dell'informazione permeano fortemente sia le attività legate alla produzione che quelle connesse all'istruzione e alla formazione. In tal senso, esse operano un ravvicinamento fra i «modi di apprendimento» e i «modi di produzione». Le situazioni di lavoro e le situazioni di apprendimento tendono a un reciproco ravvicinamento se non ad un'identificazione sotto il profilo delle capacità poste in atto. Questa mutazione legata alle tecnologie dell'informazione ha incidenze economiche e sociali più generali: sviluppo del lavoro individuale indipendente, delle attività terziarie e di nuove forme di organizzazione del lavoro, dette «qualificanti», pratiche di decentramento della gestione, orari flessibili. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 14 142 Carlo Infante - Nuovo paradigma cognitivo La società dell'informazione induce infine a porsi il quesito se, prescindendo dalle nuove tecniche conoscitive offerte, il contenuto educativo che essa trasmette sarà per l'individuo un fattore di arricchimento culturale o meno. Finora l'attenzione si è concentrata sulle potenzialità offerte dalle autostrade dell'informazione, dalla rivoluzione del «tempo reale» operata, ad esempio da Internet, nelle relazioni fra imprese, ricercatori e universitari (…) Era il 1995, la proiezione politica si era attivata, anche se con qualche riserva, ma purtroppo non ha intrapreso quel percorso che avrebbe potuto vedere un ruolo più forte dell'Europa nello scenario globale della società della conoscenza interconnessa. La democratizzazione della conoscenza La società della conoscenza non coincide con la società dell'informazione perché la prima trasforma l'informazione in risorse che consentono alla società di evolversi, mentre la seconda tende solo a diffondere i dati grezzi. Questa capacità di analizzare e qualificare le informazioni c’è sempre stata nel corso dell’evoluzione umana, solo che una volta riguardava solo l’elite, le classi dirigenti, gli eruditi. Oggi la società della conoscenza è connotata da una molteplicità tale di dati che solo l'innovazione digitale può metabolizzare. Non solo, la società della conoscenza che auspichiamo riguarda la possibilità di condividere le informazioni in rete perché possano diventare un bene comune capace d’essere utilizzato dalle più diverse componenti della società. Il nuovo paradigma cognitivo di cui stiamo trattando investe anche questo aspetto: la democratizzazione della conoscenza. La conoscenza può quindi diventare una risorsa economica strutturale, ci sono lavoratori della conoscenza che operano in contesti professionali che non esistevano fino a qualche anno fa. Emerge una classe creativa in cui si mixano competenze tecnologiche e autoriali, in ambienti ad alta intensità di conoscenze, dove la conoscenza genera conoscenza, sviluppando nuove competenze che sono in grado di attuare anche quella innovazione adattiva per cui la condizione Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 14 143 Carlo Infante - Nuovo paradigma cognitivo tecnologica tende ad adattarsi alla dimensione sociale, espandendo il valore d’uso delle tecnologie, secondo le modalità della user experience. Una pratica diffusa, che riguarda fondamentalmente l’ambito professionale dello User Experience Design (UX Design), ma allo stesso tempo, per altri aspetti, vede coinvolti gli utenti più consapevoli e attivi, i cosiddetti prosumer (i produttori-consumatori di informazione). Il fatto stesso di trasformare l’informazione in conoscenza è il fulcro della questione, per capire come i dati possano diventare risorsa. Da sempre l'evoluzione delle società umane è basata sull'intelligenza che muove i processi che determinano la conoscenza. L'intelligenza è la capacità nel risolvere con efficacia situazioni e condizioni incognite, per affrontare ambienti ostili e interpretare i processi di trasformazione, l’ambientamento sociale e riuscire a dare un senso alla vita. L’idea stessa di intelligenza sta cambiando in rapporto a tecnologie che hanno ridefinito il rapporto con quelle informazioni che compongono il mondo esterno. Il nuovo paradigma cognitivo riguarda queste nuove forme di intelligenza, capaci di misurarci con la Complessità che ha un suo etimo latino in complector, per cui si intende: cingere, tenere avvinto strettamente, comprendere... legame, nesso, concatenazione. L’intelligenza collettiva Lo sviluppo pervasivo del web ha fatto emergere concetti come intelligenza collettiva che, secondo le teorie di Pierre Lévy sviluppate già nel 1992, ha affinato il valore della condivisione, creando nuove opportunità di scambio sociale attraverso le reti, dando forma al cyberspazio, che da ambito di ricerca si è espanso a tal punto da diventare società e sistema produttivo. Internet, o meglio il web, è diventato un medium talmente diffuso che riguarda i governi, i grandi player economici e fondamentalmente i cittadini, tra cui i più avvertiti si interrogano su come giocare la partita in termini di nuova progettazione sociale. L’intelligenza collettiva trova Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 14 144 Carlo Infante - Nuovo paradigma cognitivo luogo nel web, per pensare insieme e concentrare energie intellettuali e culturali, amplificando il valore dell’immaginazione per trovare soluzioni inedite a condizioni incognite, ottimizzando le intelligenze collettive che emergono dalle comunità di buona pratica. L’intelligenza connettiva A partire dal concetto di intelligenza collettiva di Lévy, qualche anno dopo, si evolve la riflessione su come le reti accendono i processi di interazione intelligente, grazie alle intuizioni di Derrick de Kerckhove sulla intelligenza connettiva. La teoria si basa sul principio attivo delle reti come fonte di energia psichica (non a caso de Kerckhove la definisce psicotecnologia), più che ambiente che accoglie contenuti da ridistribuire, interpretando al miglior grado il valore dell’interconnessione. La messa in relazione delle intelligenze, non somma bensì moltiplica il fattore creativo. L'intelligenza connettiva mette in movimento le idee, metodologie di design thinking che comportano brainstorming, modalità originali definite di i-pertinenza, dove il pensiero viene squadernato, innervandosi di connessioni ipertestuali e creatività disruptive, dirompente. De Kerckhove si focalizza sul principio aperto del concetto di intelligenza connettiva, ipotizzandola come uno sciame intelligente (principio su cui c’è tutto uno sviluppo importante relativo alla swarm intelligence) a differenza dell'idea di ambito chiuso nel contesto di comunità circoscritte, a cui fa riferimento l'intelligenza collettiva. La società della conoscenza è quindi basata principalmente sull'uso diffuso della tecnologia connettiva, che si sviluppa lungo un percorso che sta portando verso nuovi modelli economici in cui la conoscenza è in divenire. Il nuovo paradigma cognitivo scaturisce da questa nuova energia sociale in cui la società si apre alle opportunità di co-creazione, in cui la conoscenza, non è più solo allocata negli ambiti in cui il sapere è già dato, stabilizzato e fissato, si rigenera in processi evoluti di scambio culturale, intellettuale e scientifico. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 14 145 Carlo Infante - Nuovo paradigma cognitivo 2. La noosfera C’è un termine che affascina e che può aiutare, anche se complesso, a cogliere l’ampiezza di questo fenomeno di trasformazione che in fondo attinge ad una matrice antica. È noosfera, indica la "sfera del pensiero umano" e come parola ha il suo etimo nella parola greca nous, che significa mente e sphâira (sfera). Per Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955), filosofo gesuita che influenzò non poco Marshall McLuhan, la noosfera è una sorta di coscienza collettiva che nasce dall'interazione fra le intelligenze. L’evoluzione umana si è sviluppata nell’organizzazione di reti sociali sempre più complesse, espandendosi verso una crescente integrazione con la biosfera, trasformandola in noosfera, dando una rilettura del pensiero neo-platonico di Plotino, per cui l'essere umano, contestualizzando l'intero pianeta con il pensiero, si muoverà verso la comprensione del sistema cosmico. Sulla definizione di questa teoria è stato importante il ruolo di Vladimir Ivanovič Vernadskij (1863-1945) chimico russo e pioniere delle scienze ambientali, per cui la noosfera è la terza fase dello sviluppo della Terra, successiva alla geosfera (materia inanimata) e alla biosfera (vita biologica). La noosfera, secondo Vernadskij, si svilupperà nel momento in cui l'umanità, con la capacità di realizzare reazioni nucleari sarà in grado di trasformare le sorti del pianeta. Pensare globale per l'agire locale La civiltà umana nei secoli s’è misurata con differenti concezioni dello spazio: per l’uomo primitivo lo spazio era essenzialmente la terra che coltivava, mentre nelle prime civiltà urbane acquistava importanza il territorio, spesso delimitato da frontiere se non da mura che separavano Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 14 146 Carlo Infante - Nuovo paradigma cognitivo lo spazio urbano da quello extra-urbano. La rivoluzione mercantile che vide l’Europa protagonista tra il X al XIII secolo concepiva lo spazio come una conquista continua di materie prime, magari esclusive, per governare le rotte commerciali nei mari, fino ai nostri giorni in cui il web si rivela come nuovo spazio immateriale. È uno spazio della conoscenza su cui si sta ridefinendo l’intero assetto socio-economico e dove la circolazione istantanea delle informazioni e delle relazioni tra le persone collegate tra loro ridefinisce l’idea stessa di locale e globale. In tal senso è importante mettere in relazione le politiche locali d’innovazione territoriale con le strategie globali della conoscenza e delle competenze digitali. Il principio glocal è per questo un indirizzo evolutivo, prima di tutto perché riequilibra le sorti della globalizzazione che ha prodotto non pochi squilibri internazionali e poi perché permette di riconoscere le singolarità del patrimonio culturale di tanti territori che necessitano di nuove soluzioni di valorizzazione, proiettate nel globale delle reti informative. La dimensione locale può quindi operare nel pensiero globale, portandoci dentro i climi, i sapori, i suoni delle matrici popolari; così come nell'azione locale può trovar luogo l'aspetto globale dell’interconnessione. Il cosmopolitismo migliore (quello per cui l'umanità non ha nazione) può finalmente declinarsi anche nel desiderio di comunicare senza confini. Il pensiero glocal è di fatto inscritto in quel nuovo paradigma cognitivo su cui stiamo ragionando, perché mette al centro la particolarità, il patrimonio locale materiale e immateriale della persona e delle comunità territoriali, senza perdere di vista il micro (locale) nella sua relazione con il macro (globale). “Think global, act local”, pensare globale e agire locale, esprime bene la sintesi tra il pensiero globale, che tiene conto delle dinamiche planetarie di interrelazione tra popoli e culture e l’agire locale, che interpreta le peculiarità territoriali dell’ambito in cui si vuole operare. Edgar Morin rilanciò il principio glocal, evolvendo un termine già in circolazione negli anni Ottanta, coniato in lingua giapponese (dochakuka), tradotto in glocal dal sociologo Roland Robertson e poi elaborato dal sociologo Zygmunt Bauman. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 14 147 Carlo Infante - Nuovo paradigma cognitivo Parliamo di mondo e questo ci scorre sotto i piedi; va da sé, non aspetta nessuno. Una volta si pensava di trasformarlo. Illusioni. Stiamo prendendo atto che non è giusto considerare che l’uomo sia la misura del mondo, secondo quell'immagine leonardesca ormai archetipizzata della figura umana inscritta nel cerchio-mondo idealizzato dal Rinascimento sul modello vitruviano. No, l’uomo non è al centro del mondo. Ne è una componente. Ecco anche questo aspetto rientra in ciò che definiamo il nuovo paradigma cognitivo, per concepire l’innovazione digitale come opportunità per uno sviluppo sostenibile e responsabile. Lo iato tra il pensiero umanista e quello tecno-scientifico L’avvento delle tecnologie digitali ha scardinato la dicotomia che per tanto tempo ha separato il dibattito culturale da quello tecno-scientifico. È una contraddizione che ha una lunga storia ma per inquadrare il problema in termini più ravvicinati potremmo vedere come già nel XIX secolo, quando vi fu l'accelerazione dei progressi nel campo scientifico, si creò la grave divaricazione tra cultura umanistica e scientifica. Alla fine degli anni ’50 lo scienziato Charles Percy Snow, convinto che la cultura sia una sola, si rese conto dell’assurda separazione che si prospettava tra cultura scientifico-tecnologica e cultura umanistica, immaginando i salotti inglesi divisi in due, da una parte gli scienziati che non conoscevano Dickens e dell’altra parte gli umanisti che non sapevano niente della termodinamica. Eppure, la cultura è un insieme di conoscenze basate su un valore teorico, sia contemplativo sia applicativo. Non esistono due culture, ma una sola. La distinzione che si dovrebbe fare semmai è quella tra cultura e in-cultura. In Italia la situazione è ancora più bloccata per il lungo predominio delle tendenze idealistiche in filosofia che hanno trovato in Benedetto Croce il perno. I danni provocati da questo iato tra il pensiero umanistico e quello scientifico li troviamo principalmente nel sistema scolastico italiano, generato dalla concezione di Croce e Gentile. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 14 148 Carlo Infante - Nuovo paradigma cognitivo Molti problemi etici nascono in ambito scientifico e tecnologico, come per la bioetica. Gli sviluppi tecnologici possono, per esempio, aiutare filosofi e umanisti ad affrontare problemi fondamentali e la condivisione in rete del know how può qualificare la conoscenza, attraverso confronti e comparazioni che rinvigoriscono il pensiero sia quello scientifico che umanistico. Va superata quella dicotomia, è come se qualcuno dichiarasse di essere a favore di uno dei due emisferi del cervello, ma non dell’altro. In realtà, così come abbiamo bisogno di entrambi gli emisferi, abbiamo bisogno di entrambe le culture. È evidente che l’avanzamento tecnologico sta producendo una mutazione culturale radicale che attraversa sia l’ambito scientifico sia quello umanistico, creando modificazioni psicologiche che investono entrambi gli ambiti, che insieme ci sosterranno a ridefinire il nuovo rapporto tra uomo e mondo. Si tratta a questo punto di comprendere che queste tecnologie multimediali sono dei nuovi linguaggi in grado di modificare, come lo ha fatto la scrittura ad esempio, le nostre procedure mentali. È attraverso questo approccio culturale e non solo meccanicistico (in cui si tende a considerare le tecnologie solo come “strumenti”), che sarà possibile cogliere mutazioni che ora sono solo ad uno stadio embrionale. È necessaria infatti una consapevolezza globale che possa coniugare i "valori d'uso" delle tecnologie con il potenziamento delle qualità umane. Attraverso la multimedialità, la simulazione virtuale e la comunicazione telematica è quindi possibile individuare una nuova qualità culturale che è opportuno definire come un nuovo paradigma cognitivo. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 14 149 Carlo Infante - Nuovo paradigma cognitivo 3. La chiave davanti al pentagramma evolutivo Quando pensiamo al nuovo paradigma cognitivo lo associamo al pentagramma musicale dove la chiave imposta l’intero sviluppo della composizione sonora. La chiave (come quella di sol, detta anche chiave di violino) è un simbolo posto all'inizio del pentagramma con la funzione di fissare la posizione delle note e l'altezza dei relativi suoni. Ci piace pensare che il nuovo paradigma cognitivo sia come una nuova chiave posta in testa al nostro pentagramma evolutivo che sottende la nostra evoluzione nel suo complesso, reimpostando tutto attraverso le opportunità digitali capaci di reimpostare il rapporto tra società e mercato, reinventando la misura di relazione tra evoluzione psicologico-culturale e sviluppo economico. Questa chiave non è data solo dalle tecnologie ma dal loro valore d’uso che l’intelligenza delle comunità e delle imprese sapranno esprimere. Perché ciò accada deve assolutamente impostarsi quella società della conoscenza che permetta a tutti, nei vari contesti educativi e formativi, di affrontare in modo adeguato queste nuove opportunità. Attraverso i sistemi digitali si realizzano ipermedia che sollecitano le attività percettive, ristabilendo un equilibrio con quelle funzioni di decodifica dei linguaggi alfabetici sin troppo stabilizzate, armonizzandole con le più naturali combinazioni associative della mente. È quindi possibile pensare una nuova qualità dei processi dell'apprendimento. La questione del virtuale non è, come è stato già detto, da porre solo in termini tecnologici ma psicologici: si tratta di arrivare a riconsiderare il rapporto tra uomo e mondo. Misurandoci con esperienze percettive ai confini della realtà, condizioni radicali che sembrano uscite dall’immaginario fantascientifico eppure profilano inedite applicazioni su cui c’è bisogno di innalzare il livello di attenzione. Nella comunicazione telematica ad esempio cambia la percezione del tempo e dello spazio, un aspetto determinante per comprendere il senso di navigazione nelle reti, di cui il fenomeno del net-surfing è solo l’aspetto più esplicito. Esperienze di nuova natura Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 14 150 Carlo Infante - Nuovo paradigma cognitivo percettiva che espanderanno non solo le coscienze ma il mercato del futuro: quello dell'informazione e della conoscenza. Comprendere il possibile Al punto in cui siamo è decisivo proiettarsi verso questa riconfigurazione psico-cognitiva per comprendere il possibile: ovvero coniugare le nuove chances evolutive con le pratiche in divenire nei diversi campi applicativi, da quello dei nuovi modelli di apprendimento a quello dell’urbanismo tattico della smart community in cui rilanciare i principi di resilienza urbana. Da qui si può concepire un’iniziativa di carattere pedagogico per coniugare il pensiero culturale in azione di comunicazione. L’ipertesto, o meglio l’ipermedia (con tutte le proprietà dell’audiovisuale, espanse, aumentate), simula le dinamiche sinaptiche del nostro cervello, offre l’opportunità di spaziare, navigare, tra un concetto, un suono e un’immagine con una mobilità immaginaria e cognitiva straordinaria. Navigando in un ipermedia è possibile infatti fare un’esperienza simile a quella di un’azione: con un mouse, o altre interfacce, spostiamo (digitalmente) degli oggetti, apriamo degli spazi, delle “finestre”, accogliamo delle risposte dall’ambiente informativo paragonabili a quelle provocate da un’azione reale. La multimedialità nella sua accezione estesa invita quindi le nostre percezioni a diventare dinamiche, attivando un modo filogeneticamente primario di apprendere. Si tratta di un approccio paragonabile a quello determinato dallo scambio di esperienza e dell’apprendimento di abilità come è stata per millenni la trasmissione della conoscenza. Questa radicale differenza cognitiva, rispetto alle modalità precedenti assiepate nel consumo dei mass media, è paragonabile a quella provocata dall’avvento della Stampa nei confronti dell’Oralità. Allora, in un percorso avviato in questi ultimi cinque secoli, si creò uno salto evolutivo fortissimo che per secoli ha tagliato fuori dallo sviluppo della civiltà la massa vastissima di Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 14 151 Carlo Infante - Nuovo paradigma cognitivo coloro che non decodificavano la scrittura, producendo uno strappo, un aumento delle diseguaglianze. Operare nel campo della multimedialità oggi è quindi importantissimo, proprio perché è in gioco un ulteriore salto di qualità, per un apprendimento continuo nell’uso dei nuovi media, in una condizione progressiva che stabilirà nuove forme di ambientamento e al contempo il rischio di una difficoltà d'accesso a queste opportunità digitali che può produrre gravissime disparità culturali e sociali. È assolutamente decisivo perciò affrontare la criticità del digital divide per arginare il divario e la disfunzione che si crea per chi non può o non sa accedere alle reti e insieme progettare applicazioni educative (e ciò non riguarda solo l’ambito scolastico ma la la formazione continua) che sappiano coniugare i saperi con le proprietà digitali. Ciò è fondamentale per rendere dinamici ed efficaci i modi dell’apprendimento per le nuove generazioni (e non solo), rendendo accessibili i sistemi informativi pubblici alla cittadinanza. Sarà proprio grazie alla predisposizione “naturale” espressa dai ragazzi nei confronti dei computer che sarà possibile creare quei ponti culturali tra le sapienze umaniste e una sensibilità contemporanea. La multimedialità potrà essere (altro ottimismo di volontà) un antidoto contro l’inquinamento della mente, perché tende a sottrarsi al rumore dei mass media, offrendo un approccio personalizzato al grande gioco combinatorio della comunicazione interattiva. La caratteristica più evidente di questo nuovo rapporto è infatti nell’interattività che dà senso dinamico e proattivo alla comunicazione, in uno scambio biunivoco con il computer, in una corrispondenza fenomenale tra flusso informativo e nuovi processi cognitivi, ricombinanti, non lineari. È in questo rapporto dinamico che si fonda quello che viene definito nuovo paradigma cognitivo, una strategia culturale in grado di rifondare le nostre categorie interpretative se non addirittura quegli assetti mentali che determinano il nostro rapporto con il mondo. Aiutandoci a rendere comprensibile il possibile che ci attende. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 13 di 14 152 Carlo Infante - Vertigine immersiva Indice 1. IL PERTURBANTE .................................................................................................................................. 3 2. L'IMPATTO IMMERSIVO ....................................................................................................................... 7 3. AGIRE NELLA VISIONE ...................................................................................................................... 11 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 15 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 15 153 Carlo Infante - Vertigine immersiva 1. Il perturbante La vertigine immersiva di cui stiamo trattando è a tutti gli effetti una distorsione della percezione sensoriale, talmente destabilizzante da influire sul movimento della persona, alterandole la percezione dello spazio in cui si trova. Ciò può essere caratterizzato da una perdita di equilibrio ma anche dall’acquisizione di un’ulteriore coscienza percettiva. Chi ha provato un sistema di realtà immersiva può capire in cosa consista quella alterazione della percezione spaziale e di conseguenza quella perdita di equilibrio che può comunque essere compensata dal fatto di fare un’esperienza significativa, per quanto perturbante. In quest’ultima parola c’è il focus della questione che sottende la vertigine immersiva. Il perturbante è un aggettivo sostantivato coniato dal neurologo e psicoanalista Sigmund Freud per intendere uno spaesamento che genera sia timori sia affascinazioni. Nel concetto di perturbante si esprime qualcosa di attinente l’ambito culturale, prossimo alla temperie di quel romanticismo tedesco che trovò nello “Sturm und Drang” (tempesta e impeto) una particolare attitudine al sentimento dell’inquietudine. Per tutti gli altri aspetti, più relativi al fatto di subire l'impatto emozionale verso una sovrabbondanza di bellezza, c’è il fenomeno che è riconosciuto come la sindrome di Stendhal, cosiddetta per la vertigine vissuta da quello scrittore francese in viaggio in Italia, nel 1817, in un Grand Tour tra le bellezze dell’arte italiana che lo stordirono. Il fatto interessante è che il processo cognitivo scatenato dai neuroni specchio durante la contemplazione della bellezza può generare, nell'osservatore, degli stati emozionali inconsci, così intensi da produrre vertigine. Le recenti scoperte sui neuroni specchio riconoscono che il provare una emozione e condividerla con altri, possa attivare strutture neurali simili, in corrispondenza, come per affinità. Attività neurologiche che arrivano a spiegare l'empatia. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 15 154 Carlo Infante - Vertigine immersiva La dissonanza cognitiva Una vertigine immersiva come quella virtuale può quindi essere associata alla contemplazione della bellezza ma la questione non è d’ordine estetico bensì psicologico. Un altro fattore è quella sensazione perturbante utilizzata nella letteratura (una figura di riferimento è, per lo stesso Freud, E.T.A. Hoffmann) dove in racconti fantastici si tratta di automi e di sottili ibridazioni tra il naturale e l'artificiale. La situazione perturbante scatena una condizione particolare, spiazzante e dirompente, che è stata definita mezzo secolo fa dissonanza cognitiva. La dissonanza cognitiva è una teoria della psicologia sociale che descrive la situazione di complessa elaborazione cognitiva in cui nozioni, se non certezze, entrano in contrasto funzionale tra loro nel corso di un evento disruptive. Il fatto stesso di vivere un’esperienza che si considerava impossibile è una di queste. Decenni fa l’immersione in un sistema di realtà virtuale in cui ci si ritrovava protagonisti di una visione a cui si stava assistendo, produceva dissonanza cognitiva, quasi sempre. Si entrava dentro ciò che si stava vedendo. Una vertigine che induceva dissonanza cognitiva, affascinando. Eppure la dissonanza cognitiva tende a produrre un effetto di disagio, per cui in molti tendono a rigettare quelle condizioni d’inquietudine e di spiazzamento. Va infatti contemplato il fatto che un’esperienza radicale che tende a sovvertire lo schema di gioco venga rifiutata. Una famosa favola di Esopo esplicita questa situazione, è quella della volpe e l'uva, in cui la dissonanza cognitiva fra il desiderio dell'uva e l'incapacità di arrivarvi conduce la volpe a elaborare la conclusione che "l'uva è acerba". Ecco un altro punto cardine: l’innovazione digitale per troppi anni è stata fatta passare come “acerba”, sottraendo intelligenza applicativa ad un campo su cui oggi stiamo rilevando un grave ritardo. Esperienze più avanzate come quelle delle realtà virtuali, capaci di disorientare per il rischio di vertigine immersiva, sono state per troppo tempo messe da parte, rimosse. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 15 155 Carlo Infante - Vertigine immersiva La vertigine immersiva produce un discrimine, è certo. Ciò non toglie che rappresenti una delle condizioni limite, attraverso cui intraprendere particolari percorsi formativi funzionali allo sviluppo di una consapevolezza complessa di ciò che riguarda le incognite del virtuale. William Gibson, lo scrittore canadese che più di altri ha connotato il fenomeno letterario di fantascienza cyberpunk, parla infatti della realtà virtuale come di una allucinazione consensuale, tanto per spingere l’acceleratore sulla singolarità di queste esperienze. Il termine allucinazione è però fuorviante, visto che è inteso come “falsa percezione in assenza di uno stimolo esterno reale”. L’allucinazione a cui fa riferimento Gibson, nel momento in cui la associa al termine consensuale, presuppone altre condizioni: è un’esperienza reale che si commisura con le realtà virtuali, indossando visori stereoscopici e data glove, per cui si entra consapevolmente in un ambiente digitale. Ripetiamo: si entra dentro un’altra dimensione, dove l'illusione cognitiva sollecitata dalla simulazione digitale si sviluppa nella mente dell’utente che sta vivendo l’esperienza immersiva. Dal punto di vista al punto di vita Il fatto stesso di parlare di vertigine è sintomatico di questa particolare condizione immersiva che sottende spiazzamento. Accettare il fatto di “essere dentro” la memoria di un computer, per quanto oggi sia normale, garantiamo che decenni fa disorientava non poco. L'aspetto più importante della navigazione ipermediale è quell’approccio personalizzato che stabiliamo con i sistemi della comunicazione digitale attraverso l’interattività. In quegli ambienti, videogame o web che sia, tutto risponde ai nostri interventi, si dimensiona alle nostre richieste, ovvero agli input stabiliti dal nostro cliccare, dal nostro tocco. Quelle informazioni organizzate nello schermo reagiscono alla nostra presenza mediata dal cursore del mouse o da qualsiasi altra interfaccia, compresa la tastiera che rappresenta oggi il piano, meglio l’ultima spiaggia per dare l’idea di rara opportunità, su cui si basa il rapporto tra la nostra comprensione alfabetica dei linguaggi e quella essenzialmente visiva e sinestetica dei Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 15 156 Carlo Infante - Vertigine immersiva dispositivi digitali. Con una tastiera digiti dei comandi, scrivi, ma con un mouse, con un joystick o con il touch il corpo si estende, l’interazione con il dispositivo si fa più diretta. Quella nostra presenza ad ogni cliccata viene dichiarata nello schermo, espressa, agita. E ottiene feedback immediato. È in questa situazione che c'è da considerare un fattore inusuale per l'uomo abituato a stabilire il rapporto tra sé, il proprio corpo, e il mondo esterno. Oggi sembra normale qualcosa che fino a trent’anni fa non lo era affatto. Il fatto stesso di muovere con un mouse un oggetto dentro la cornice di un monitor, negli anni Ottanta, era sufficiente per capire quanto fosse “impossibile” quell’azione. Nel mondo agiamo, viviamo, lo abitiamo, nello schermo anche, ci viviamo, lo agiamo ed abitiamo. Oggi è possibile concepire questo, un paradosso certo, ma credibile. Rendere comprensibile il possibile è l’unico modo per superare le impossibilità immaginarie. Impariamo a vivere il mondo. Impareremo a vivere lo schermo. Dopotutto Marshall McLuhan, già negli anni Sessanta, lo aveva presagito: “In quest’era elettrica ci vediamo sempre più trasformati in informazione, in marcia verso l’estensione tecnologica della coscienza”. Oggi però, in questa fase di passaggio epocale, stiamo assistendo ad un andamento discontinuo, scisso tra entusiasmi e diffidenze, inibito paradossalmente da troppa offerta tecnologica. Un problema quest’ultimo tutt’altro che secondario. Perchè non pensare quindi al digitale come un nuovo ecosistema da cui cogliere le opportunità per reinventare i nostri modelli di vita e di produzione? Non è una domanda così peregrina se si vuole concepire l'ipermedia come un nuovo ambiente e non solo come uno strumento. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 15 157 Carlo Infante - Vertigine immersiva 2. L'impatto immersivo I sistemi dell'apprendimento hanno tradizionalmente, anteposto al mondo il libro, anche se in questi ultimi decenni la televisione ha prodotto un fortissimo elemento di disturbo, determinando una rivoluzione psicologica sul piano dei consumi culturali e a lungo andare sul complessivo rapporto con la realtà. Le informazioni, le immagini, i saperi tendono infatti ad essere consumati per automatismo, con un approccio non più fondato sulla decodifica della scrittura ma sulla sensorialità. È un fatto particolarmente significativo per la nostra civiltà occidentale, o meglio per quelle culture fondate sul Libro (quelle legate alle tre grandi religioni: cristiana, islamica ed ebraica) che trovano nella dimensione alfabetica e logico-lineare il loro perno cognitivo. Quel perno si sta indebolendo. Come ristabilire un equilibrio tra la relazione simbolica con la scrittura e quella percettiva della dimensione audiovisiva? È nella risposta a questa domanda che emerge tutta la potenzialità dell'evoluzione digitale. Nei media interattivi riemergono le complessità dell'alfabeto coniugate all'impatto diretto ed immersivo della visione e dell'ascolto. Per questo motivo è opportuno iniziare a relativizzare alcuni assunti. Con l’alfabeto nasce l’idea teorica del mondo: dare nome alle cose è stato ed è fondamentale. Così come lo è la scrittura che formalizza all’esterno del corpo il pensiero e come lo è la lettura che la ricostruisce in un'elaborazione interiore. Ma sono funzioni esclusive dell’emisfero sinistro del cervello, quello che tende a ricomporre il tessuto cognitivo delle nostre esperienze. Fondamentale, ma abbiamo visto che quando altre tecnologie, come quelle radiotelevisive, prendono il sopravvento le tecnologie scrittura e lettura, rischiano di essere accantonate perché troppo faticose da esercitare. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 15 158 Carlo Infante - Vertigine immersiva Lo sviluppo audiovisivo ha portato all'estrema conseguenza la dinamica lineare, logicoconsequenziale della descrizione del mondo, l'ha resa più facile e immediata coltivando un'attitudine propria della cultura occidentale, quella del "punto di vista". Io sono qui, il mondo è là. Tutto il sistema della rappresentazione visiva ce lo conferma, dai graffiti rupestri alla televisione. Il cinema poi è il precipitato culturale di questo stesso principio psichico: fare della narrazione una visione da ridistribuire sul piano mentale secondo sequenze. Si esprime per “racconti esteriori”, racconti che portano fuori del corpo la percezione dello spazio e del tempo. Entriamo in relazione con il punto di vista del regista e lo accettiamo o meno, proiettandoci o identificandoci. È più semplice, è già risolto, la visione è compiuta al di fuori di noi, la osserviamo dall'esterno piuttosto che processarla attraverso l'elaborazione interiore basata sulla lettura che ci permette di formare un punto di vista seguendo le tracce disseminate dalla scrittura di un autore letterario. La televisione ha esaltato tutto ciò imponendolo nella quotidianità, traendone anche la cifra immaginaria, quella che ritroviamo nell'ordinarietà dei serial. E allora? Il nuovo paradigma del virtuale ci invita a riflettere sul fatto che possiamo rimettere in gioco una disponibilità intellettuale capace di far interagire l'aspetto percettivo con quello cognitivo, iniziando a superare il punto di vista. È infatti questo il primo anello della catena da far saltare, o perlomeno da relativizzare, nel momento in cui entriamo in relazione con lo schermo e con l'immersione ipermediale. Quando si naviga si è dentro lo schermo, non fuori a vedere. Una questione sottile ma netta, precisa come una discriminante. È questa la soglia tra la dimensione reale e quella virtuale. È il passaggio dal punto di vista al "punto di vita" della navigazione nel nuovo spazio-tempo digitale. Ovvero quel cosiddetto "punto di presenza" di cui parlò Derrick de Kerckhove nel definire la nostra azione nello schermo di un computer. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 15 159 Carlo Infante - Vertigine immersiva Il passaggio verso una condizione in cui riconsiderare le stesse categorie stabilite di spazio e di tempo. Il “Ma”, una misura armonica dello spazio-tempo È nello studio del rapporto tra corpo e spazio, dall’invenzione rinascimentale della Prospettiva al “modulor” (il design a misura d’uomo) di Le Corbusier, che le tecnologie determinano il loro grado d’impatto con l’evoluzione umana. Seguire questa traccia è quello che più mi interessa perché rivela l’entità psicologica del problema e di conseguenza della risposta educativa da progettare. In altre culture, diverse da quella eurocentrica, questa problematica gode di tutt’altre sfumature, e può essere utile individuarle. Nella tradizione giapponese, ad esempio, esistono condizioni particolari che permettono di stabilire in forma rituale delle relazioni con l’ambiente. Tra queste la più emblematica è quella definita "Ma": una parola per intendere la misura armonica dello spazio-tempo. Per un occidentale non è facile comprendere una concezione che sottende l'estetica, le arti marziali, le proporzioni dei giardini, la cerimonia del tè. "Il Ma - sostiene Michel Random (uno dei maggiori studiosi di cultura giapponese) è percepito dietro ogni cosa come un indefinibile accordo musicale, un senso dell'esatto intervallo capace di provocare la risonanza perfetta". Possiamo così individuare nel Ma un'attitudine psicologica in grado di coniugarsi con la dimensione ambientale, al di là della sua connotazione naturale o artificiale. In questo senso può essere utile alla nostra riflessione sull’ambientamento nello spazio del web. La dimensione digitale sta producendo alterazioni profonde: cambia la velocità dei movimenti ottici e ancor più la funzione sinaptica del nostro cervello. Si tratta quindi di capire in che misura la nostra psicologia assume queste modificazioni come nuova fisiologia, come nuova natura sensoriale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 15 160 Carlo Infante - Vertigine immersiva Per intenderci: qualsiasi interazione a distanza (già accadde all'inizio del secolo per il telefono) tende a riconfigurare il nostro rapporto con lo spazio esterno. Ci costringe ad una revisione radicale della nostra impostazione psichica ma dopo un po' tutto questo si riassorbe, diventa naturale. Oggi, attraverso diversi programmi di modellizzazione tridimensionale a basso costo, è possibile creare oggetti virtuali da condividere anche con stazioni remote; per quanto digitali, non fisici, quegli oggetti possono essere “toccati”, spostati via internet. Il salto paradigmatico è in questa nuova coscienza: saper vivere una simulazione come un'esperienza reale, abitando spazi-tempo digitali. Nell’immersione sensoriale all’ “interno” di un ambiente telematico o virtuale accade infatti qualcosa di molto preciso: si è dentro. Non si sta a guardare, si è lì, non c'è punto di vista prospettico a rassicurarci. È a questo punto che si stabilisce il valore dell’esperienza: si agisce in prima persona, quel nostro cliccare è un atto che produce effetti, feedback precisi. Non c'è più punto di vista ma punto di vita, in quell’ambiente digitale si esiste: opera qualcosa di noi. Il puntatore di un mouse è quindi un nostro simulacro, e questo acquista ancor più pregnanza quando interviene l’avatar, una sorta di pupazzetto che - negli ambienti telematici realizzati in VRML (il Virtual Reality Modelling Language) o Active Worlds, se non Second Life (software che permettono la tridimensionalità interattiva) - svolge in tempo reale con le “cliccate” le nostre funzioni on line. Il nostro essere dentro l'ambiente digitale esprime così un punto di vita che ci permette di agire nella visione. Ecco, agire nella visione, è questo il concetto forte. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 15 161 Carlo Infante - Vertigine immersiva 3. Agire nella visione Questa azione nella visione è in qualche modo paragonabile a qualcosa che accade nello spettatore teatrale quando seleziona i dettagli del movimento scenico, sinestetico per eccellenza. Per concludere, chiudendo il cerchio del ragionamento iniziale, credo che questa nostra presenza attiva nello schermo possa trovare la risposta al dilemma posto: come riequilibrare la dimensione simbolica della decodifica alfabetica con quella percettiva della composizione audiovisiva? Nella vita, sempre, siamo multisensoriali, la nostra educazione monomediale ci ha però abituato ad operare settorialmente. La multimedialità immersiva ci pone di fronte ad un'evidenza, i piani percettivi sono simultanei, leggo, vedo, sento. È in questa sinestesia agìta consapevolmente che possiamo dare luogo ad una fortissima interazione tra processi cognitivi e sensori, riscoprendo il valore della lettura rispetto agli automatismi del consumo televisivo. Vedo le parole, leggo le immagini. È un'attitudine che si sta evolvendo in chi naviga nel web, dove la componente scritta è molto presente anche se estremamente graficizzata, resa logo, immagine. In queste nuove sensibilità si colgono i segnali di una forte trasformazione culturale, sottotraccia, non esplicita forse, ma presente. Segni di una metamorfosi del nostro sentire. Un andamento che vale intraprendere. Si tratta di mettere le ali, e non più solo le ruote, al nostro progetto evolutivo. Le ali, due, quella sinistra, corrispondente all'emisfero cerebrale atto a ricostruire in modo sequenziale i principi simbolico-ricostruttivi, e quella destra che rimanda all'emisfero che procede per sollecitazioni sensoriali. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 15 162 Carlo Infante - Vertigine immersiva La vita dentro lo schermo La vita reale e quella sullo schermo sono quindi realtà? È intorno a domande come questa che Sherry Turkle, ricercatrice del MIT (Massachusetts Institute of Technology), sviluppa la sua ricerca antropologica dai tempi di “La vita nello schermo “(Life on the Screen) uscito già nel 1995. Vi si tratta di “un nuovo senso d’identità, decentrata e multipla” reso possibile dall’interazione con il computer inteso e usato come un “oggetto in grado di riportare con i piedi per terra il postmoderno”. Molte interviste raccolte in tutti questi anni fanno emergere un dato importante: il confine tra la vita reale e quella sullo schermo diviene via via sempre più labile. E sempre più indistinto, con tutte le criticità che ciò comporta, con effetti positivi e negativi. C’è un altro dato empirico rilevato da Sherry Turkle: l’on line sconfina regolarmente nell’off line, gli utenti digitali passano dalla vita dentro i social network agli appuntamenti in presenza, coinvolti in attività di natura sociale sul territorio. L’antropologa del cyberspazio, così fu definita all’uscita del suo libro Sherry Turkle, mette in evidenza un aspetto strategico dell'evoluzione digitale, la condizione ibrida, tra naturale e artificiale, tra on line e off line. On Life Luciano Floridi, filosofo italiano naturalizzato britannico e professore ordinario di filosofia ed etica dell'informazione presso l'Oxford Internet Institute dell'Università di Oxford per spiegare questa condizione ibrida tra quei due piani di realtà, evoca la botanica, parlando di mangrovie: “Vivono in acqua salmastra, dove quella dei fiumi e quella del mare si incontrano. Un ambiente incomprensibile se lo si guarda con l’ottica dell’acqua dolce o dell’acqua salata. On life è questo: la nuova esistenza nella quale la barriera fra reale e virtuale è caduta, non c’è più differenza fra “online” e “offline”, ma c’è appunto una “onlife”: la nostra esistenza, che è ibrida come l’habitat delle mangrovie”. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 15 163 Carlo Infante - Vertigine immersiva È chiarissimo, ancora una volta dalla natura arrivano risposte ai quesiti più complessi. Il fatto che questa diffidenza nei confronti del virtuale e del web sia così diffusa è data dall’impostazione del sistema scolastico nel separare pensiero scientifico-tecnologico da quello umanistico. “Il nuovo crea incertezza. Ma c’è anche scoperta e possibilità. C’è un mondo nel quale vivere, e non è solo fatto di pericoli mortali né è il paradiso in Terra”, ribadisce Floridi, chiarendo il fatto che è necessario investire più coraggio culturale nel misurarci con esperienze da cui si teme di essere spiazzati. È diffuso un sentimento per cui ci si sente impreparati, anche perché l’offerta tecnologica è molto più forte della domanda, vengono messe a disposizione “tecnologie straordinarie davanti alle quali non siamo all’altezza”. La questione cruciale quindi non può essere quella dell’adattamento e dell’adeguamento, occorre una nuova strategia di formazione continua che espanda la creatività applicativa per fare in modo che si sviluppi un’innovazione adattiva. Ora siamo noi ad adattarci alle tecnologie, questo rapporto va ribaltato, evolvendo il valore d’uso delle tecnologie, reinventando la funzione, creando le opportunità perché l'innovazione digitale si adatti alla nostra tensione evolutiva. Oggi le nostre decisioni sono viziate, quando scegliamo un albergo, la musica da ascoltare, le scarpe da comprare o il film da guardare lo facciamo influenzati in base ai suggerimenti che provengono da algoritmi che elaborano i big data che produciamo, come in una vasta scia nella frequentazione dei social network. Si tratta di una costante erosione dell’autonomia individuale. Essere coscienti che la condizione in cui stiamo vivendo trova una delle migliori definizioni in On Life può aiutarci a comprendere come stia radicalmente cambiando il nostro assetto vitale. Una modificazione che è in corso da tempo ma su cui è decisivo porre più attenzione, senza aver timore delle vertigini, per produrre e mettere in campo gli anticorpi adeguati. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 13 di 15 164 Carlo Infante - Vertigine immersiva È una questione prioritaria per cui la Commissione Europea ha avviato un piano con sette obiettivi di crescita da raggiungere entro il 2020. Uno di questi sette obiettivi riguarda l’Agenda Digitale, e si propone di aiutare i singoli Stati membri a sfruttare meglio il potenziale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Tra queste azioni ce n’è una che prende proprio il nome di “On life Initiative” con il motto di “ripensare agli spazi pubblici nella transizione verso il digitale”. È un progetto condotto da un gruppo di 13 studiosi di antropologia, computer science, neuroscienze, scienze politiche, filosofia, sociologia e psicologia, guidati proprio da Luciano Floridi. È importante che si delinei una strategia istituzionale che intenda contestualizzare questa transizione verso il mondo digitale, per rendere ancora più pubblico e condiviso lo spazio pubblico della realtà che ci circonda. Accogliendo quelle esperienze immersive delle realtà virtuali, traducendole in condizione vitale, dove l’essere on line diventa on life, in una vita che si evolve in via direttamente proporzionale alla nostra intelligenza che non ha avuto timore delle vertigini immersive, per ambientarsi nei nuovi contesti di relazione sociale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 14 di 15 165 Carlo Infante - Simulazione come apprendimento esperienziale Indice 1. IMPARARE A IMPARARE. IL VALORE GENERATIVO DELL’AUTO-APPRENDIMENTO ............................ 3 2. LA SIMULAZIONE COME LABORATORIO VIRTUALE ............................................................................ 5 3. L'INTELLIGENZA ARTIFICIALE COME MAESTRO .................................................................................. 8 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 15 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 15 166 Carlo Infante - Simulazione come apprendimento esperienziale 1. Imparare a imparare. Il valore generativo dell’autoapprendimento Selezionare le informazioni sulla base di un input percettivo in ambiente digitale comporta un nuovo ambientamento nello spazio-tempo della simulazione. In un ambiente ipermediale ci si educa per auto-apprendimento, misurandosi con le condizioni generative dell'imparare a imparare. Navigare in ambienti multimediali e telematici può essere considerata un’esperienza educativa tout court. Il fattore di grande novità risiede nella capacità di selezionare le informazioni sulla base di un input percettivo, da elaborare in modo funzionale nel processo cognitivo. Si tratta di valutare questa esperienza come un nuovo ambientamento nello spazio-tempo della simulazione digitale, secondo una progressiva facilità d'accesso nel trattare certe procedure sempre meno tecniche, sempre più automatiche, in una nuova sensibilità culturale interattiva. In un ambiente fondamentalmente per multimediale la formazione auto-apprendimento, acquista misurandosi con le un valore potenzialità generativo, di nuova comunicazione e di trasmissione ipertestuale dei saperi. L’educazione nel nuovo ambiente digitale si coniuga con la comunicazione, rilanciando il senso che sta alla base del concetto stesso di navigazione interattiva, con una prerogativa non indifferente: la personalizzazione del percorso, l’autonomia della scelta. È per questo che oggi, con l’avvento delle nuove tecnologie digitali e delle reti telematiche in particolare, le procedure di apprendimento stanno cambiando vertiginosamente. In questo senso è opportuno che vengano riconfigurati gli assetti del sistema educativo perché l’istruzionismo non è più sufficiente a soddisfare la domanda di formazione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 15 167 Carlo Infante - Simulazione come apprendimento esperienziale Educare, tirar fuori È nel principio attivo che sta alla base della comunicazione che si può rilanciare il valore portante dell’educazione oggi, trovando una stretta misura di relazione tra l’etimo della parola latina educere (educare) per cui s’intende “tirar fuori” e in cui è insita l’idea del condurre fino ad avvicinarla alla parola greca kyber per cui s’intende il pilota che conduce, appunto, per mare. Pensando la rete come nuovo ambiente da esplorare, sarà infatti necessario riconfigurare il concetto stesso di educazione permanente sempre più inscritta in un processo di esperienzialità, considerando che in futuro occorrerà sempre più condividere le nostre azioni oltre che nello spazio-tempo fisico anche in quello digitale. Ricordiamoci poi che kyber è alla radice del termine cibernetica, nata negli anni Quaranta del secolo scorso, come campo di studi comune tra l'ingegneria, la biologia e le scienze umane, che è a monte di tutta la rivoluzione digitale e delle modalità di simulazione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 15 168 Carlo Infante - Simulazione come apprendimento esperienziale 2. La simulazione come laboratorio virtuale Per simulazione si intende un modello della realtà che consente di valutare e prevedere lo svolgersi dinamico di una serie di eventi o processi susseguenti all’imposizione di certe condizioni da parte dell’utente. Un simulatore di volo ad esempio consente di prevedere il comportamento dell’aereo a fronte delle sue caratteristiche e dei comandi del pilota. La simulazione infatti altro non è che la trasposizione in termini procedurali (spesso logico-matematici) di un modello concettuale della realtà che può essere definito come l’insieme di processi che hanno luogo nel sistema valutato e il cui insieme permette di comprendere le logiche di funzionamento del sistema stesso. La simulazione è assimilabile ad una sorta di laboratorio virtuale che consente spesso anche un abbattimento dei costi di studio rispetto ad esperimenti complessi realizzati in laboratorio reale. In ambito educativo le simulazioni hanno a volte carattere ludico o sono spesso dei veri e propri software che riproducono esperienze simili a quelle reali, utili per apprendere, specie in quei campi in cui è difficile, quando non addirittura impossibile, riprodurre fisicamente in laboratorio reale le effettive condizioni da studiare (ambienti storico-geografici, esperimenti scientifici ecc.). Per la sua natura laboratoriale, la simulazione consente quindi la riproposizione di una forma di apprendimento per esperienza. Il termine simulazione in un’accezione più ampia viene visto come anticipazione mentale di un processo da eseguire. Può essere considerato tale un processo effettuato in fase di progettazione per comprendere come evolverà il sistema per effetto delle azioni proposte. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 15 169 Carlo Infante - Simulazione come apprendimento esperienziale Simulare il possibile al di là del reale Simulare il possibile al di là del reale può servire a capire il reale, perché creando il possibile si allarga il campo di fenomeni con i quali mettere alla prova le nostre ipotesi e le nostre teorie sul reale Domenico Parisi La simulazione è il terzo degli strumenti della scienza oltre i due tradizionali, gli esperimenti in laboratorio e le teorie. Come teoria, essa non ricorre alle normali parole o a simboli della matematica, ma si incorpora in un programma di computer. Girando nel computer in quanto software, la simulazione digitale dà luogo a predizioni empiriche che derivano dalla teoria, e funziona come un laboratorio virtuale nel quale, come nel laboratorio reale, il ricercatore osserva i fenomeni in condizioni controllate, manipola le condizioni stesse e scopre le conseguenze di tali manipolazioni. Il vantaggio è che una teoria espressa come simulazione deve essere necessariamente esplicita, completa e dettagliata, vantaggio particolarmente attraente per le scienze dell'uomo le cui teorie raramente hanno queste caratteristiche. Solo le simulazioni consentono di affrontare la complessità dei fenomeni superando le tre grandi separazioni che impediscono alle scienze dell'uomo di compiere veri progressi: tra mente e natura, tra individuo e società, tra visione sincronica e visione storica dei fenomeni umani. “Conoscere e comprendere la realtà è l’obiettivo che si cerca di raggiungere per vie diverse con la simulazione digitale”, sostiene Domenico Parisi, già direttore dell’Istituto di Psicologia del CNR. Nell’ambiente digitale la realtà si può capire non solo nei modi da tempo famigliari alla scienza (osservazione sistematica, esperimento di laboratorio, elaborazione di teorie) ma anche ricreandola, simulandola all’interno di un computer. 6 di 15 170 Carlo Infante - Simulazione come apprendimento esperienziale 3. L'intelligenza artificiale come maestro La tecnologia digitale può creare ambienti di simulazione gestiti dal computer, ciò libera la costruzione dei modelli ricostruiti sulla base di quelli della materialità per sperimentarne gli sviluppi in ogni campo. Il computer essendo una macchina interattiva è in grado di far svolgere perfettamente i cicli di osservazione-azione che caratterizzano il lavoro esperienziale con i modelli simulati, sulla base degli input stabiliti dall’utente che li utilizza nell’ambiente digitale. È inoltre possibile incorporare quell'intelligenza artificiale che può svolgere il ruolo di maestro, esercitando modalità di problem solving che abilitano l’utente ad affrontare la simulazione in un contesto di apprendimento interattivo. Tutto questo è incorporato in software del quale si possono fare infinite "copie" a costo irrisorio, che possono essere diffuse ovunque. La simulazione gestita dal computer può essere la nuova bottega completa di maestro e modelli, che ha però caratteristiche editoriali, la filiera produttiva tipica della stampa. Questi simulatori, con tutte le caratteristiche che abbiamo descritto, esistono già in nuce in tanti videogame in circolazione, come quelli di simulazione dell’evolversi delle civiltà o di battaglie storiche. Meglio ancora: un simulatore gestionale può mettervi nella condizione di ritrovarvi a capo di un'impresa che deve costruire e gestire le ferrovie di un intero Paese. Avrete a che fare con progettisti, appaltatori, ambientalisti, banche, finanziatori, sindacati, amministratori nazionali e locali che rispondono alle vostre richieste e alle vostre mosse. Dovrete elaborare strategie che vi consentano di non fallire e progredire: nel fare questo s’apprende che cosa sono e come funzionano cose come costi, investimenti, profitti, indebitamenti, interessi, e così via. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 15 171 Carlo Infante - Simulazione come apprendimento esperienziale La teoria dei sistemi Nella teoria dei sistemi, definita sistemica, il settore di studi interdisciplinari, a cavallo tra matematica e scienze naturali, la simulazione digitale ha determinato un epocale salto di qualità. La simulazione nella teoria dei sistemi riproduce ogni procedimento atto a studiare il comportamento di un sistema in determinate condizioni che si basi sulla riproduzione del sistema o dell'ambiente in cui esso deve operare attraverso modelli (siano essi meccanici, analogici, numerici, matematici o altro): per es., nella tecnica, si può realizzare la simulazione della sequenza di montaggio di un dispositivo complesso utilizzando riproduzioni (in materiali più leggeri o in scala ridotta) delle varie parti da assemblare... [da Il Vocabolario Treccani] L'espressione cruciale è "la riproduzione del sistema attraverso modelli". Perché può essere utile e vantaggiosa una simile riproduzione? Perché permette di operare sul sistema (ad esempio, per vedere come funziona in particolari circostanze o per modificarlo, ecc) anche quando non è possibile operare sul sistema reale. Ad esempio, perché è molto costoso: se si deve costruire un'automobile o un aereo per vedere come si comporta aerodinamicamente conviene costruire un modello che ne mantenga le proprietà rilevanti, e quindi permetta di sperimentarne il comportamento, con costi lungamente inferiori. Oppure perché può essere pericoloso: se, ad esempio, si tratta di un nuovo sistema per spegnere incendi nei pozzi di petrolio - materiali, procedimento, ecc. - conviene certamente costruire un modello in scala ed effettuare, appunto, una simulazione. Può anche trattarsi del fatto che sul sistema reale si possa operare una sola volta, ed è quindi cruciale non sbagliare l'operazione che si vuole compiere: ad esempio, se si deve montare un'apparecchiatura nello spazio - un telescopio o un'antenna - è necessario essere sicuri che la procedura funzioni bene e dia il risultato voluto la prima e unica volta che può essere applicata. Conviene quindi, anche qui, costruire un modello e operare una simulazione. Quest'ultimo caso si presta anche a un altro uso altrettanto fondamentale: far apprendere all'operatore, a colui che dovrà poi effettivamente montare l'apparecchiatura nello spazio, la procedura stessa. Di fatto, anzi, gran parte dei modelli e delle simulazioni sono costruiti proprio per Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 15 172 Carlo Infante - Simulazione come apprendimento esperienziale far apprendere: anche la simulazione della tecnica e procedura di spegnimento di un incendio appena citata può essere effettuata per insegnare agli operatori come eseguirla correttamente e senza rischi. Esaminiamo ora come funziona quest'apprendimento: imparo facendo. Si opera sul modello con la propria azione, il modello reagisce, si osserva il risultato, su questa base si effettua l'azione successiva: o andando avanti, se il risultato osservato è conforme alla aspettativa, oppure correggendo l'azione appena fatta, se il risultato non è soddisfacente, e così via. Si prova e riprova; probabilmente interverrà anche un "maestro": qualcuno che farà vedere come si fa o che orienterà e correggerà opportunamente l’azione. Alla fine di questo processo si sarà imparato: prima non si era a conoscenza di come fosse fatta, né come si montasse un'antenna, adesso lo si è appreso. Dovrebbe essere evidente come questa descrizione corrisponda perfettamente a quello che abbiamo chiamato apprendimento esperienziale. Se qualcuno non fosse stato convinto da questo ragionamento, proprio quegli esempi mostrano la superiorità dell'apprendimento esperienziale rispetto a quello tradizionale, basato sul principio simbolico-ricostruttivo della lettura alfabetica dei manuali d’istruzione, magari con qualche slide. Quando vogliamo essere sicuri che la conoscenza sia veramente acquisita e che la si sappia applicare nel contesto reale in cui è necessaria, ci fidiamo solo di questo tipo di apprendimento. Certo, perché per insegnare queste cose potremmo benissimo utilizzare il modo simbolico-ricostruttivo: anziché costruire un modello e effettuare simulazioni potremmo consegnare a colui che deve apprendere un libro e farglielo studiare, così come si fa a scuola. Ciò che maggiormente ci interessa qui è che, come abbiamo visto da questi esempi, la simulazione costituisce un modo per apprendere esperienzialmente anche quando non si ha a disposizione la realtà su cui fare esperienza e operare. La simulazione è quindi un modo, almeno in linea di principio, per rimuovere quei limiti di presenza e contatto fisico che rendono l'apprendimento esperienziale accessibile a pochi, e lavorare invece sulla realtà, operando su modelli, che possono essere replicati e resi accessibili. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 15 173 Carlo Infante - Simulazione come apprendimento esperienziale Il problema è che, fino ad oggi, la costruzione di modelli ben funzionanti per poter simulare la realtà è stata anch'essa un'impresa abbastanza difficile e costosa: per questo è stata applicata solo a quei casi abbastanza estremi del tipo di quelli che abbiamo in precedenza esemplificato. Supponiamo, invece, che si possa facilmente costruire modelli di questo tipo per i più svariati settori, che si disponga cioè di un costruttore di modelli modulare e che per di più questi modelli siano facilmente riproducibili, trasportabili e diffondibili ovunque a costi relativamente bassi. Supponiamo inoltre che questi modelli possano incorporare l’intelligenza artificiale e cioè che non solo reagiscano automaticamente alle azioni comportandosi di conseguenza ma che siano anche in grado di commentarle, indicando se l'azione sia giusta o suggerendo l'azione da fare in una certa circostanza, e magari mostrandola: in una parola, che incorporino anche la funzione di un "maestro" esperto, espresso dalla intelligenza artificiale. Non sarebbe allora possibile pensare a generalizzare ovunque la modalità di apprendimento esperienziale, né più e né meno di come la possibilità di riprodurre facilmente e a basso costo qualunque testo ha generalizzato la modalità di apprendimento simbolico? Nel sistema scolastico tradizionale invece si simula l'apprendimento delle conoscenze; questa simulazione ha anche un rituale piuttosto elaborato: compiti a casa e in classe, interrogazioni, attribuzioni millimetriche di voti. Insomma tutto ciò che serve a garantire e certificare - se il rituale ha esito positivo - che l'acquisizione è avvenuta. Se si fosse appreso, allora si dovrebbe sapere: se si prendono i due criteri cardine che attestano l'esistenza del sapere qualcosa, e cioè, che questo qualcosa sia stato capito e che, proprio per questo motivo, lo si ritenga - perché lo si è assimilato, come si dice - è facile rendersi conto che quasi mai queste condizioni sono soddisfatte per il sapere che si dovrebbe aver appreso a scuola. Il fatto è che si è disposti a cambiare l'aspetto della simulazione, il "simulacro", si potrebbe dire con un'altra parola che significativamente condivide la stessa radice, ma non la simulazione stessa: il fatto che si simuli. Bisogna infatti capire che per cambiare quest'ultimo sarebbe necessario cambiare radicalmente la struttura stessa della scuola. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 15 174 Carlo Infante - Simulazione come apprendimento esperienziale La scuola è organizzata intorno a una certa modalità di apprendimento, quella simbolicoricostruttiva, a sua volta supportata da una certa tecnologia, quella della stampa. Le conoscenze sono formulate in un testo, vale a dire in un'estensione di linguaggio totalizzante e autosufficiente, tipicamente incarnato nella forma-libro. Questo testo è composto di simboli linguistici che vanno decodificati per ricostruire gli oggetti e le situazioni cui essi si riferiscono: questa ricostruzione avviene interamente nella mente e sempre nella mente si opera su di essa per elaborarla. La scuola, invece, non prevede e non sfrutta affatto l'altra modalità di apprendimento di cui disponiamo, quella percettivo-motoria. In questa non si opera sui simboli ma sulla realtà, e non si opera all'interno della propria mente, ma all'esterno con la percezione e l'azione. Si osservano fenomeni e comportamenti, si interviene con la propria azione per modificarli, si osservano gli effetti della propria azione, si riprova a intervenire, e così via. Si ripetono tipicamente cicli di percezione e azione ciascuno operante sul risultato dell'altro: insomma si prova e riprova. La conoscenza emerge da questo fare esperienza. Gli apprendimenti di origine esperienziale sono accessibili quando servono realmente: quando cioè si presenta un contesto in cui dobbiamo metterli in pratica; sono invece scarsamente accessibili in astratto, al di fuori di ogni contesto: per esempio, quando qualcuno ci domanda "come si fa?" oppure "come funziona?". E per questo motivo sono anche difficilmente esprimibili a parole: la tipica risposta a quelle domande è infatti "te lo faccio vedere". Al contrario, gli apprendimenti di origine simbolico-ricostruttiva sono facilmente esprimibili a parole, indipendentemente dal contesto; sono invece molto più difficilmente applicabili a situazioni concrete che richiedono l'uso, la messa in pratica di ciò che si è appreso. La risposta alle stesse domande è, tipicamente, "te lo dico", ma se devo utilizzare quelle conoscenze per un compito concreto posso avere delle grosse difficoltà. Correlata a questa differenza, c'è quella della stabilità. Le conoscenze impostate sul principio esperienziale sono stabili, non decadono col tempo: è sufficiente che si presenti il contesto adatto e facilmente tornano alla memoria. Al contrario, le conoscenze del principio Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 15 175 Carlo Infante - Simulazione come apprendimento esperienziale simbolico sono tendenzialmente instabili: vengono facilmente dimenticate e, per mantenerle, è necessario ripassarle periodicamente. La scuola e le sue modalità, nate per imparare a "leggere, scrivere e far di conto", e poco più, sono state mostruosamente dilatate e estese a tutto ciò che poteva essere oggetto di apprendimento. Ci si potrebbe domandare perché mai, a fronte di queste differenze (e non solo queste, poiché l'apprendere esperienziale è oltretutto più naturale, più motivante, meno faticoso, addirittura piacevole) la scuola sia stata costruita e organizzata interamente intorno all'apprendere simbolico ricostruttivo. Ancora più straordinario è il fatto che, di contro, prima dell'avvento della scuola, la trasmissione delle conoscenze avveniva quasi esclusivamente attraverso l'apprendere esperienziale. Si tratta dell'antico "andare a bottega": l'allievo apprendeva attraverso l'osservazione del fare altrui, e soprattutto, il provare a fare. Questa duplice esperienza veniva guidata da un "maestro", che non era un dispensatore di conoscenze, ma un esperto attivamente impegnato egli stesso nel fare. L'apprendimento avveniva nel contesto concreto di uso delle conoscenze stesse. Oggi con l'avvento dell’innovazione digitale qualcosa può e deve cambiare. Benché superiore da tutti i punti di vista, l'apprendimento esperienziale ha una fortissima limitazione: perché possa verificarsi bisogna che ci sia, appunto, esperienza - bisogna poter esperire e agire sull'universo pertinente, e dunque essere in presenza, in contatto fisico con esso - e bisogna essere in presenza e a contatto con un maestro. La disponibilità effettiva di queste condizioni è riservata a pochi: pochi apprendono bene, molti non apprendono affatto. Le conoscenze a portata di tutti, almeno teoricamente. Qui è la ragione fondamentale del cambiamento. Per operare questo cambiamento bisogna anche cambiare radicalmente il modo di apprendere, da quello simbolico-ricostruttivo a quello esperienziale, e ciò conduce a quei risultati che abbiamo illustrato e che durano ancora oggi. Ma è proprio oggi che, per la prima volta, è possibile cambiare di nuovo questa situazione, ed è possibile, come sempre, per via di un'altra grande innovazione tecnologica che sta dispiegando i suoi effetti: l'introduzione e la diffusione generalizzata del personal computer. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 13 di 15 176 Carlo Infante - Simulazione come apprendimento esperienziale Il motivo è semplice: grazie al computer è possibile tornare al vecchio modo di apprendere - quello esperienziale - con tutti i vantaggi che esso comporta, senza le limitazioni che questo modo aveva e che ne hanno determinato lo schiacciamento a favore di quello simbolico sorretto dalla stampa. Allo stesso modo “si potrebbero costruire giochi tramite i quali imparare i principi della dinamica o dell'elettromagnetismo, giacché giocare in questo senso non è altro che sinonimo di imparare facendo, così come lo è per il bambino piccolo che giocando dalla mattina alla sera impara come è fatto il mondo”, come suggerisce Francesco Antinucci, direttore del reparto Processi cognitivi e nuove tecnologie dell'istituto di Psicologia del Cnr. La simulazione diventa così apprendimento esperienziale quando si gioca, sperimentando sia la teoria dei sistemi sia particolari training di auto-apprendimento per la gestione di un'infrastruttura robotizzata, liberando il potenziale cognitivo per dare spazio all’organizzazione procedurale in funzione delle azioni che esercitiamo in un ambiente interattivo. Un ambiente in cui si apprende perché la realtà simulata risponde in modo imprevedibile alle azioni che esercitiamo, costringendoci a sempre nuove sperimentazioni, a creare dei modelli e a metterli in pratica. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 14 di 15 177 Carlo Infante - Titolo lezione Indice 1. L’AVATAR, IL DOPPIO DIGITALE ......................................................................................................... 3 2. MONDI ATTIVI ..................................................................................................................................... 5 3. SECOND LIFE ...................................................................................................................................... 8 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 16 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 16 178 Carlo Infante - Titolo lezione 1. L’avatar, il doppio digitale I Multi-User Virtual Environment (MUVE) a differenza di altre piattaforme virtuali, come quelle finalizzate da giochi di ruolo on line, come i MUD (Multi-User Domain o Multi-User Dungeons) e i MMORPG (Massively Multiplayer Online Role-Playing Game), apparse negli anni Ottanta, sono concepite per far costruire gli ambienti virtuali da abitare, agli utenti stessi. I MUD sono giochi di avventura, al cui interno i personaggi devono uccidere mostri e ritrovare tesori, allo scopo di accumulare punti per accrescere il loro potere e avanzare nella scala sociale del gioco. Nei Multi-User Virtual Environment gli utenti sono autori non soltanto del testo, ma anche di sé stessi. Attraverso gli avatar, il loro doppio digitale, possono esercitare ruoli molto lontani dal proprio sé reale; in questi casi è possibile descrivere i tratti fisici e le caratteristiche attraverso le quali configurare il proprio personaggio e presentarlo agli altri. Nell’analisi condotta da Sherry Turkle (“l’antropologa del cyberspazio” che già nel 1995 affrontò il tema delle identità nei mondi virtuali) in questi contesti l’utente può esprimere aspetti inesplorati del proprio sé, giocando con la propria identità per sperimentarne di nuove. Si facilita l’emergere di identità fluide, decentrate che consentono di pensare al proprio sé come a un sistema multiplo distribuito. In quest'ottica si può creare un contesto protetto in cui appaiono sospese le regole sociali e la persona può sperimentare i vari aspetti del suo sé, avendo consapevolezza della reversibilità delle conseguenze. Sperimentando parti inesplorate della propria soggettività, avendo la possibilità di esprimere sé stessa, la persona può meglio acquisire consapevolezza di sé e delle proprie potenzialità. Quando ci si avventura in giochi di ruolo o mondi di fantasia, oppure quando si raggiunge una comunità per incontrarvi amici virtuali, si va scoprendo il computer come “macchina per l’intimità” (Turkle). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 16 179 Carlo Infante - Titolo lezione È sempre Turkle a riportare numerosi casi di individui che attraverso le esperienze condotte nei mondi virtuali on line, hanno avuto la possibilità di confrontarsi con i problemi rilevanti della propria vita, di sfogare l’ansia, la rabbia, di prendere contatto con il proprio sé ideale, di sperimentare nuovi modi di essere genitori, figli, di giungere a nuove decisioni emotive. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 16 180 Carlo Infante - Titolo lezione 2. Mondi Attivi La storia dei Multi-User Virtual Environment trova un suo momento iniziale nel 1994 con WebWorld, un mondo virtuale dove chattare, costruire paesaggi e viaggiare. Nacque poi AlphaWorld da cui ebbe origine Active Worlds Explorer che nel 2001 lanciò 3D homepages, in cui ogni utente poteva progettare il proprio mondo tridimensionale di “10000 metri quadrati”; inizialmente tutto veniva offerto gratis ma quando si passò a far pagare i lotti digitali tutto si arenò. Nel 2002 si rilanciò come ActiveWorlds e si profilò bene sul mercato: c’era da aprire un account, scaricare un software specifico, creare un avatar e vestirlo. Era una rete sincrona di persone, rappresentate da avatar, connesse tra loro e capaci non solo di giocare, esplorando quei mondi virtuali, ma anche di apprendere. Mondi Attivi (la versione italiana di Active Worlds) ha sviluppato, nei primi anni del 2000, un sistema di formazione on line che ha coniugato la realtà virtuale in rete con chat e Voice IP, combinando l’immediatezza di una telefonata con l'immersione tridimensionale. Second Life arriverà solo qualche anno dopo (nel 2003) con una seducente configurazione di ambiente virtuale multiutente che impatta e di fatto rilancia quell'approccio già avviato anni prima da Active Worlds. Quella dei Mondi Attivi è stata una delle esperienze più interessanti sulla formazione on line; era articolata su più piani di sviluppo, dall’e-learning alla piattaforma inter-operativa per la simulazione d’impresa. A svilupparla fu SCIgroup che configurò tutto in lingua italiana. Mondi Attivi riesce a dare un senso ulteriore all’uso della rete: sviluppa un sistema di comunicazione on line che coniuga la realtà virtuale con la chat e il Voice IP, mette insieme Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 16 181 Carlo Infante - Titolo lezione l’immediatezza di una telefonata con un’ambientazione tridimensionale che sollecita l’interazione sociale e formativa in Internet. Si tratta di un sistema di realtà virtuale concepito per la navigazione immersiva on line e condivisa: comunicando, utilizzando al miglior grado le possibilità di accesso alla rete con una buona connessione. Questa è una delle sostanziali novità: oggi Internet permette di agire nella realtà virtuale, grazie a simulazioni interattive concepite perché l'utente s’immerga, agendo in prima persona, ponendosi più come attore che come spettatore nell'ambiente rappresentato, inducendo la forte sensazione di esserne parte integrante. Nei Mondi Attivi ci si può far rappresentare da un personaggio virtuale che viene definito avatar. Questo diventa così il nostro alter ego, una “maschera”, un nostro simulacro che agisce per noi, come una marionetta digitale. Una volta scelta la maschera che più ci ispira si entra nei Mondi Attivi: gli altri utenti connessi ci vedranno in quelle sembianze e mentre comunichiamo, scrivendo in chat o parlando al telefono via Internet, i nostri avatar ci rappresenteranno nello schermo. L'idea che sta alla base di Mondi Attivi è quella di creare delle community dove gli utenti, oltre a parlare o chattare, possano confrontarsi via forum, spedire file, navigare nel web e visualizzare animazioni e filmati. Gli utenti possono anche progettare e realizzare un loro mondo, uno spazio virtuale, un ufficio, una sala riunioni, un’agorà dove poter condividere delle decisioni e, allo stesso tempo, orientarsi, oltre che tra i file, tra ambienti 3D dove simulare i contesti in cui intervenire. In questo senso la simulazione è una delle applicazioni più importanti. In primo luogo nell'ambito del lavoro collaborativo, della formazione e delle decisioni condivise a distanza, dove è possibile progettare e realizzare strumenti che consentono l'uso di fogli di calcolo, documenti scritti, archivi, sistemi di controllo e di gestione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 16 182 Carlo Infante - Titolo lezione Applicazioni sorprendenti riguardano il settore turistico e quello ambientale, dove può essere utile verificare l'impatto di alcune costruzioni sul paesaggio circostante o simulare lo sviluppo di un territorio a seguito di una azione di rimboschimento. Tra gli innumerevoli altri utilizzi pensiamo a quelli nel campo formativo della sicurezza, dove la simulazione di un’emergenza, come un incendio, permette di prevedere il comportamento delle persone in caso di evacuazione. Mondi Attivi rappresenta quindi un’opportunità straordinaria per coniugare comunicazione e formazione, rendendo esplicito il fatto che l’apprendimento migliore riguarda il fare esperienza diretta, condizione che è possibile nella simulazione virtuale. Con una possibilità in più: quella della comunicazione on line (sincronica, scritta e vocale) con gli altri utenti della propria comunità di riferimento, comunicando “con” loro, condividendo procedure più o meno complesse, veicolando informazioni e proiezioni, fino alla possibilità di creare, attraverso la realtà dello scambio interumano, emozioni e percezioni condivise. Questa piattaforma rappresenta in modo emblematico come una tecnologia avanzata possa rendere più fluide le condizioni di interoperabilità, sollecitando una creatività inscritta nella comunicazione a tutti gli effetti, sondando con questi ambienti tridimensionali e interattivi le possibilità della banda larga, che non va solo riempita di contenuti (più o meno audiovisivi) ma anche di nuove relazioni dove sperimentare l’ambientamento sociale nelle reti. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 16 183 Carlo Infante - Titolo lezione 3. Second Life Nel 2003 arriva Second Life il mondo virtuale digitale online della società americana Linden Lab che conquista la migliore attenzione. È una piattaforma che integra diversi media, sincroni ed asincroni, e permette agli utenti di accedere ai mondi virtuali attraverso un avatar. Second Life si può esplorare muovendosi tra diverse regioni in cui teletrasportarsi, ovvero trasferirsi istantaneamente, da un punto all'altro della mappa con un paio di clic. Si socializza, incontrando altri residenti e si può chattare sia pubblicamente che privatamente. Un pannello di controllo, con vari strumenti semplificati di modellazione 3D, consente ai residenti di creare oggetti virtuali di qualunque genere, per allestire concerti, feste e lezioni corredate dei contenuti digitali opportuni (librerie con libri da sfogliare, televisori con palinsesti video da vedere…). Inoltre si può utilizzare la valuta virtuale Linden Dollar che può essere poi cambiata in dollari reali (e anche in euro), con un tasso di cambio di circa 200 Linden dollari per 1 dollaro USA, dando vita a un'economia virtuale interna e a particolari modelli di business. Queste caratteristiche rendono Second Life più potente dei giochi di ruolo on line, in cui è invece necessario perseguire un obiettivo prestabilito al fine di concludere il gioco o avanzare all'interno dello stesso. Rispetto ad altri ambienti multiutente 3D si distingue per il fatto che il contenuto dell'intero mondo virtuale viene generato dagli stessi residenti (come in Active World). Non va quindi considerato un gioco, è un mondo, meglio; una seconda vita in cui sperimentare ciò che non si fa nella prima, quella reale. All'interno di Second Life si sono sviluppate delle subculture, oggetto di studi sociologici e delle scienze della comunicazione, in quanto modello virtuale di interazione umana. Gli strumenti che i residenti hanno a disposizione per aggiungere i propri contenuti digitali nel mondo virtuale permettono di creare: oggetti di qualunque genere e dimensione, avatar, località e paesaggi, materiale audiovisivo. È facoltà dei creatori cedere o vendere le creazioni attraverso i Linden Dollar. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 16 184 Carlo Infante - Titolo lezione Si possono modellare in 3D oggetti virtuali di qualunque genere attraverso l'utilizzo di solidi geometrici elementari, mentre per gli scenari più complessi si possono usare software esterni per la modellazione 3D professionale (Autodesk Maya, 3D Studio Max, ...). L'iscrizione e la partecipazione sono gratuite. Esiste però anche la possibilità di sottoscrivere un abbonamento premium per diventare possessori di territori virtuali. Nel 2008, è avvenuto il primo passo verso l'interoperabilità fra metaversi (un altro modo per definire i mondi virtuali in Second Life), un termine coniato da Neal Stephenson in “Snow Crash” (un libro di fantascienza cyberpunk del 1992), descritti come mondi virtuali condivisi on line, dove si è rappresentati in tre dimensioni attraverso il proprio avatar. Molte università e aziende hanno usato Second Life, come anche Active Worlds, con obiettivi educativi e formativi, utilizzando questi mondi virtuali come ambienti di apprendimento e di sperimentazione. I Multi-User Virtual Environment (MUVE) di cui abbiamo trattato, attraverso le due esperienze più significative, Active World e Second Life, sono mondi virtuali in cui sperimentare una vita parallela, in un contesto di simulazione digitale che permette di sperimentare comportamenti, secondo dei processi che abilitano al miglior grado l’apprendimento esperienziale. In un tempo in cui nello smart working si fa sempre più uso di piattaforme on line per cooperare, questi mondi virtuali ci fanno riflettere di quanto sarebbe importante rilanciare operatività ancora più performanti d’interazione nella rete. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 16 185 Carlo Infante - Titolo lezione La possibilità di creare presentazioni in ambienti interattivi, uffici, negozi o fiere virtuali; utilizzare strumenti o tecniche di supporto e assistenza alla clientela; descrivere e illustrare interattivamente prodotti e servizi anche utilizzando piattaforme di lavoro collaborativo; progettare ed erogare formazione on-line ed altri tipi di iniziative di e-learning. in ambienti formativi altamente immersivi e didatticamente ricchi: è possibile realizzare Mondi dove l'interazione non si limita solo alla comunicazione tra il formatore e l'allievo, ma che comprenda anche l'interazione in tempo reale con gli oggetti del mondo virtuale. È possibile dunque condividere a distanza situazioni, eventi, documenti, strumenti informatici e multimediali; presentare, visitare e scoprire ambienti turistici come alberghi o villaggi, oppure musei o siti archeologici; simulare catene di produzione, laboratori o parti di processi produttivi; simulare contesti ambientali o relazionali verificando gli effetti di decisioni sia su comportamenti sociali sia sull’ambiente. La realtà virtuale dei mondi 3D È possibile per gli utenti essere rappresentati e scegliere il proprio aspetto grazie ad un vasto numero di avatar. È possibile muoversi, camminare o correre, gioire o salutare sia con un testo sia con un gesto ed esplorare i mondi virtuali, giocare ruoli, fare nuove amicizie nell’ambiente prescelto. È anche possibile occupare una porzione del suolo e costruirci sopra la propria casa, villa o castello virtuale. Visitare e comunicare nei Mondi Attivi per i “turisti” o visitatori occasionali è gratuito. Diventando “cittadini” si acquista il privilegio di visitare tutti i mondi virtuali pubblici, ottenere lotti per le costruzioni, usare il sistema di messaggeria, accedere alla galleria di avatar e degli oggetti, integrare o collegarsi con qualsiasi altro sito, portale, indirizzo IP o data base e molto altro. Mondi Attivi offre ai “senatori” e ai principianti del Web una prospettiva completamente diversa su Internet, un'anteprima del futuro della comunicazione, della collaborazione e dell'intrattenimento interattivo on-line. I Mondi Attivi a supporto delle comunità virtuali non solo Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 16 186 Carlo Infante - Titolo lezione crescono, ma si evolvono e sviluppano in funzione degli stimoli reciproci che si propongono ed ai quali si risponde partecipando e collaborando al loro funzionamento! Nei Mondi Attivi puoi richiedere una porzione del territorio virtuale, costruire la tua casa, incontrare altre persone che possono visitare le tue costruzioni, esplorare ambienti virtuali, giocare giochi, imparare, condividere progetti o documenti, lavorare o soddisfare esigenze ludiche e molto altro. Nei Mondi Attivi “la rete” - Internet - non è un medium, è un meta-medium, un medium che veicola diversi media contemporaneamente. La molteplicità di protocolli gestibili permette di utilizzare altrettanti linguaggi e servizi differenti, in modo assolutamente parallelo e congiunto. Possiamo contemporaneamente navigare tra le pagine web, scaricare programmi, ricevere messaggi, partecipare a chat e ascoltare un programma web-radio. Ma si tratta di un parallelismo non cartesiano, nel quale i diversi sistemi si toccano e si accoppiano: e-mail che contengono audio e link a pagine web, immagini che rimandano a testo, link che attivano e-mail. Ciascuno di questi servizi si basa su diverse strutture di comunicazione. Il web, grazie all'ipertestualità, ha infranto “l'isolamento del testo”, facendolo esplodere in una rete di rimandi dai confini "fisici" indefinibili. Ma l’ipertesto rimane all'interno della modalità trasmissiva, legata alla fruizione di un documento da parte del navigatore, secondo una struttura unidirezionale dalla fonte al ricevente. La posta elettronica corrode la fissità del testo, che permane ma perde rapidamente pertinenza; introduce soprattutto la modalità interattiva, nella quale l'importante è l'interazione e la reciprocità tra due soggetti comunicativi e la relazione che si instaura fra di essi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 16 187 Carlo Infante - Titolo lezione Le chat spingono questa traiettoria fino a far esplodere il testo nel suo storico opposto, l'oralità, di cui ne acquisisce le caratteristiche: il testo si fa effimero, scompare in tempo reale, perde i riferimenti con universi semantici esterni per farsi pura relazione sociale. I sistemi di Realtà Virtuale multi-utente (VRMUL) consistono in modelli tridimensionali esperibili da più persone contemporaneamente. Ciò riorienta completamente il rapporto con il sistema: non è un soggetto che interagisce con un modello (dualismo uomo-macchina), ma più soggetti che interagiscono fra di loro utilizzando e manipolando lo stesso modello (triade uomo-macchinauomo). Ma gli attuali sistemi di Realtà Virtuale condivisa attraverso Internet offrono internamente anche gli altri media: messaggi, pagine web e chat. Al 2D interno (immagini e foto all'interno del mondo) e al 3D del mondo si affiancano ipertesti e linguaggi paralleli ma contestuali: si tratta dunque di ambienti multipli integrati, tecnoaleph. Con la possibilità di comunicare con altri soggetti umani il 3D da messaggio-oggetto diventa ambiente di relazione, restituendo importanza agli aspetti “pragmatici” della comunicazione. Per questo vengono chiamati chat 3D. Ma vi è una grande differenza rispetto alla chat tradizionali. Lo spazio di comunicazione delle chat tradizionali è un non-luogo o un neo-luogo, che non è né qui né là: è un hub (porto) a-spaziale, piatto (flat) come lo schermo. Con le chat in 3D, viceversa, si ricrea uno spazio "fisico" di comunicazione, un luogo virtuale ma visibile, tangibile e percorribile. Viene cosi ricomposta l'unità spazio/temporale della comunicazione umana potenziata: come sul web possiamo collegarci a un’altra pagina, nelle chat 3D possiamo seguire un link e Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 16 188 Carlo Infante - Titolo lezione teletrasportarci in un’altra posizione dell'orizzonte geografico o in un altro mondo/universo parallelo. La condivisione dello spazio 3D ci impone di assumere una forma "fisica", una sembianza per essere visti dagli altri soggetti. Dobbiamo scegliere o crearci un avatar, il nostro doppio virtuale nel mondo e assumere una identità. Ma non siamo ancorati a quella identità, perché possiamo in ogni momento cambiare avatar, o usarne altri in mondi diversi. Per esaltare il concetto di comunicazione gestuale e visivo gli avatar possiedono una serie di gesture, cioè di sequenze animate con cui possono esprimere stati d’animo, come gioia o tristezza, e compiere dei movimenti standard, come salutare o ballare. Possiamo dunque far compiere gesti ai nostri avatar, per esprimere felicità o stupore. Emergono quindi aspetti della pragmatica comunicativa in senso pieno, nei quali la postura, la prossimità (vicinanza fisica degli interlocutori), l’espressione del viso o la velocità dell’eloquio attribuiscono senso, contestualizzano il messaggio. Il sistema di Realtà Virtuale condivisa Mondi Attivi consente anche agli utenti di “costruire” ambienti, nel mondo virtuale, con una relativa capacità grafica. Viene attribuita una certa superficie ("appezzamento" virtuale) nel quale ciascuno può creare liberamente ciò che vuole, utilizzando modelli a disposizione o creandone di propri con gli opportuni programmi di modellazione grafica 3D. Alla dimensione dell'esplorare (agire) si aggiunge quella del creare (fare). Per facilitare i meno avvezzi alla programmazione è stata sviluppata una interfaccia di sviluppo molto semplificata. L’aspetto più interessante è la possibilità di costruire insieme ad altri utenti gli ambienti virtuali, cioè produrre in modo collaborativo il mondo virtuale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 13 di 16 189 Carlo Infante - Titolo lezione Possiamo incontrarci nell’"appezzamento" virtuale a nostra disposizione per costruire il nostro mondo, che sarà poi visitabile dagli altri utenti, cosi come noi potremo visitare le costruzioni e gli ambienti altrui. La finalità sociale e comunicativa di molti partecipanti presenti contemporaneamente nel Mondo Attivo facilita lo scambio e l'aiuto reciproco, come l'invito a conoscersi e a mostrare il frutto del proprio lavoro. La costruzione può avvenire in modo sincrono (attivo intervento di più soggetti contemporaneamente sullo stesso progetto) oppure asincrono (un soggetto crea un oggetto e in un momento successivo un altro soggetto aggiunge pezzi, sviluppando a partire dall'oggetto iniziale). Mondi Attivi consente l’utilizzo di tutte le funzioni di Internet come l'ascolto di musica e suoni o la visualizzazione di animazioni e video. La funzione più tradizionale è la possibilità, per i cittadini, di costruire oggetti, edifici, centri di scambio e comunicazione, di crearsi la propria casa o contribuire alla costruzione collettiva di ambienti. Ci possono essere diversi mondi, collegati tra di loro. Sono però disposti "fisicamente" su una superficie continua secondo le tradizionali coordinate Nord Sud Est Ovest; ci si può “teletrasportare” in un qualsiasi punto o memorizzarlo (3D bookmark). Al sistema è stato integrato un riquadro Web di documentazione contestuale (approfondimento, help, ecc.). Il grande vantaggio di questa piattaforma è la possibilità di utilizzare a richiesta e per utenti esperti una libreria di sviluppo (SDK – Software Development Kit) che permette di sviluppare, in linguaggi di programmazione comunemente usati, comportamenti e interazioni, nonché di estendere le funzionalità del navigatore per l'accesso ai mondi 3D. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 14 di 16 190 Carlo Infante - Titolo lezione Il software “Mondo Server” fornisce gli strumenti per esprimere tutta la propria creatività e costruire il mondo con tutte le libertà ed interattività degli ambienti virtuali 3D. È la configurazione di base per poter possedere e gestire autonomamente un ambiente virtuale. Questa serie offre un Mondo Attivo ospitato ed accessibile attraverso l'Universo di S.C.I. S.a.s. di dimensioni spaziali contenute. Pensato per usi che richiedono un piccolo Mondo virtuale autonomo, quindi a sé stante e separato rispetto all'universo di S.C.I. S.a.s. e comunque di piccole dimensioni spaziali. Questa serie di prodotti offre il completo controllo di configurazione e di amministrazione del mondo virtuale. È possibile costruire l'ambiente virtuale, programmare il suo funzionamento e determinare le regole di utilizzo. Ciò che rende i Mondi Attivi particolarmente interessanti è il fatto che essi sono mondi “condivisi”, proprio come quello reale, ma a differenza di questo, con i mondi virtuali è possibile costruire una “realtà” come un’opera d’arte, a partire da un’idea, da un’aspirazione, da un sogno. Grazie all’estrema programmabilità dell’ambiente, è possibile riempire i Mondi Attivi di moltissime funzionalità e contenuti, in maniera tale da creare uno spazio virtuale in cui si interagisca veramente con gli altri fruitori, un mondo dove il concetto di comunicazione venga esaltato e potenziato, un posto in cui stare non solo perché è attrattivo graficamente, ma dove il lavoro venga reso più facile, più veloce e più efficiente. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 15 di 16 191 Carlo Infante - Realtà aumentate Indice 1. LE VISIONI SI SOVRAPPONGONO ALLA REALTÀ CON I LAYER GEOLOCALIZZATI ............................ 3 2. UBIQUITOUS COMPUTING: L’EVERYWARE .......................................................................................... 7 3. LA REALTÀ ULTERIORE ....................................................................................................................... 11 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 12 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 12 192 Carlo Infante - Realtà aumentate 1. Le visioni si sovrappongono alla realtà con i layer geolocalizzati Ci piace pensare che ci sia qualcosa che aumenta la realtà. Si tratta di un plus audiovisivo che si può esercitare sia da smartphone sia da computer con webcam, con approcci diversi, visto che nel primo caso si va dentro la realtà, camminando per le strade, nell’altra, posizionati davanti ad uno schermo si percepiscono filmati e animazioni digitali. Le applicazioni di realtà aumentata che girano su smartphone possono sfruttare il GPS (Global Positioning System) per georeferenziare l’utente, ovvero rilevarne la posizione geografica, e mostrare flussi video e/o animazioni in tempo reale in alcuni punti già geolocalizzati, per cui è fondamentale essere connessi al web per ricevere i dati online. Con lo smartphone si inquadra il mondo reale a cui vengono sovrapposti i livelli (layer) posizionati sui Punti di Interesse (Point Of Interest) geolocalizzati per visualizzare i contenuti virtuali. La realtà aumentata su computer si basa sull'uso di marcatori (Augmented Reality-ARtag o marker), dei codici grafici in bianco e nero (simili ai qrcode) che rilevati dalla webcam, vengono tradotti dal computer in oggetti virtuali e poi usati come riferimento per posizionare questi oggetti tridimensionali correttamente e coerentemente con l’ambiente reale inquadrato dalla webcam. Gli strumenti utili per far funzionare la realtà aumentata li abbiamo più o meno tutti sotto mano, e sono già integrati negli smartphone e nei tablet. Il primo di questi è la loro fotocamera, è tramite questa che viene acquisita una visione del mondo attorno a noi. La ripresa della realtà che ci circonda viene poi elaborata con l’aggiunta di elementi virtuali e, infine, viene mostrata su schermo. Ma ciò che rende particolarmente efficaci le applicazioni di realtà aumentata, oltre alle straordinarie capacità di calcolo impensabili fino a pochissimi anni fa, è anche la presenza di altri sensori hardware. Tra questi vi sono: l'accelerometro e il giroscopio. Insieme, servono per rilevare lo spostamento (accelerometro) e l’orientamento (giroscopio) del dispositivo (smartphone o tablet), nello spazio. Queste informazioni vengono poi trasferite agli oggetti virtuali per farli reagire e Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 12 193 Carlo Infante - Realtà aumentate spostarli coerentemente al dispositivo usato per visualizzarli. E ancora: il magnetometro, misura il campo magnetico e viene utilizzato come bussola; il sensore di prossimità, ne esistono di diverse tecnologie, può essere basato, ad esempio, sull'utilizzo di onde elettromagnetiche (emette onde e cattura i relativi riflessi, dai quali deduce la distanza dall'ostacolo); il sensore di luminosità, rileva il grado di illuminazione dell'ambiente. Le informazioni raccolte da questi sensori servono a far reagire i contenuti virtuali alle condizioni dell’ambiente reale circostante, ad esempio illuminandoli virtualmente con una luce quanto più simile a quella rilevata nell’ambiente, e a completare l’illusione di trovarci di fronte ad oggetti solidi posizionati nella realtà di fronte a noi. Nella realtà virtuale immersiva gli utenti si trovano dentro l’immagine che stanno esplorando, immersi in una situazione nella quale le percezioni naturali vengono sostituite da altre percezioni fortemente condizionate dall’ambiente artificiale. Nella realtà aumentata, invece, l’utente opera nella realtà fisica, con tutta la sua percettività ordinaria utilizzando le visioni digitali in correlazione con la realtà, mixandole tra di loro. Mixed reality La distinzione tra realtà virtuale e realtà aumentata non produce un’antinomia è in fondo un contesto evoluto in cui ci si misura con una mixed reality. Si può quindi considerare un passaggio continuo tra applicazioni sia di realtà virtuale sia di realtà aumentata che possono essere quindi adiacenti, senza doverle concepire come applicazioni non compatibili tra loro. La realtà aumentata è in continua evoluzione e le sue applicazioni possono essere esponenziali nei contesti più diversi, attuando una rappresentazione digitale che interagisce con la realtà percepita, aumentandola, arricchendola con tutta una serie di informazioni da sovrapporre a quello che vedono gli occhi già proiettati sulla realtà naturale in cui ci si muove. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 12 194 Carlo Infante - Realtà aumentate Una delle prime applicazioni a sfruttare il concetto di realtà aumentata in ambito consumer, per arricchire l’ambiente che circonda i possessori di smartphone fu Layar, nel 2009. Si trattava di un reality browser che, grazie ai dati su longitudine e latitudine in arrivo dal GPS del dispositivo, e con l’uso dell’accelerometro (il sensore che trasforma uno spostamento in segnale elettrico), consente di inquadrare con la fotocamera un particolare edificio o monumento per ricevere informazioni sulla sua storia (anche con animazioni 3D che rivelano la stratificazione archeologica) e ulteriori note sui punti di interesse presenti nella zona. Altri tool di sviluppo per sviluppare applicazioni di realtà aumentata sono: ARToolKit, una libreria gratuita di funzioni che supporta sia i dispositivi con schermo trasparente, sia quelli senza, e consente di creare applicazioni di realtà aumentata basate solo sull'utilizzo di marker. Per farlo, utilizza tecniche per calcolare la posizione e l'orientamento della fotocamera rispetto ai marker, permettendo quindi di sovrapporgli elementi virtuali. Quando questi vengono inquadrati, viene calcolata la posizione della fotocamera rispetto ad essi, e viene poi confrontato con tutti i marker in memoria. Se viene trovato, l'oggetto 3D associato viene allineato col marker e renderizzato. Metaio è probabilmente il framework più completo per la realizzazione di applicazioni di realtà aumentata. Disponibile sia in versione gratuita che in versioni a pagamento, mette a disposizione dello sviluppatore diversi strumenti. Mentre ARToolKit permette il tracking solo tramite marker, Metaio permette la realizzazione applicazioni che utilizzino tecniche di tracking basate su immagini 2D, modelli 3D e sulla posizione dell'utente. Wikitude offre Software Development Kit gratuiti e non, per molteplici piattaforme, anche versioni specifiche per dispositivi come i Google Glass o gli Epson Moverio BT-200. I tool sono fondati su tecnologie web (HTML, CSS e JavaScript) e sfruttano sostanzialmente il tracking basato sulla posizione dell'utilizzatore. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 12 195 Carlo Infante - Realtà aumentate La molteplicità degli input, come quelli dai satelliti Alle origini della realtà aumentata c’è l’utilizzo in ambito militare. I marines impegnati negli interventi in Afghanistan dal 2002 utilizzavano visori che potevano vedere mappe del territorio e orientarsi con la bussola, nonchè rilevare le mosse dei nemici appostati e non visibili, grazie agli input delle visioni satellitari. Ciò permetteva di arricchire la visuale dei soldati con componenti virtuali aggiuntivi. Altre applicazioni sono nel settore dell’aeronautica militare sotto forma di head-up display, dei visori a sovrimpressione, sugli aerei da combattimento per mostrare ai piloti dati di volo come, per esempio, la quota e velocità del velivolo o la distanza dall’obiettivo, senza distogliere lo sguardo dalla “guida” per costringerli a controllare tutta la strumentazione di bordo. Una tecnologia che, successivamente, è stata adottata anche dall’aviazione civile, veicoli terrestri e marittimi sempre in settori specifici. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 12 196 Carlo Infante - Realtà aumentate 2. Ubiquitous computing: l’everyware La realtà aumentata con i Google Glass (un modello di smart glass) fa un salto di qualità, quando, nel 2013, il prodotto (Google Glass Explorer Edition) viene reso disponibile agli sviluppatori. Con un piccolo display posizionato sopra l’occhio, riempie il campo visivo di dati e informazioni sull’ambiente circostante di chi lo indossa. Questa applicazione, prima di conquistare l’intero settore mobile (smartphone e tablet, con i visori abbinati) si muove esclusivamente in ambiti molto più tecnici e specifici come quello militare, della ricerca scientifica e della medicina. I Google Glass consistono in un paio di occhiali per la realtà aumentata, tramite i quali è possibile visualizzare informazioni come sugli smartphone senza l'uso delle mani, per cui si basano sull'uso di comandi vocali.I Google Glass rientrano nel concetto di ubiquitous computing. L’ubiquitous computing è un modello che tende a superare quello desktop nella interazione uomo-macchina in cui l'elaborazione digitale è integrata all'interno di oggetti diversi. Il concetto di ubiquitous computing prende forma nel 1988, presso il Palo Alto Research Center della Xerox per superare l’idea stessa del desktop, basato sul modello della scrivania, per utilizzare diversi sistemi digitali che non appaiono come computer. È una modalità che permette di connettersi ovunque attivando soluzioni per l’interfacciamento dei dispositivi e la dislocazione delle capacità elaborative in più ambiti come quelli nella domotica (smart home), nell’internet delle cose (internet of things) e del wearable computing (tecnologie indossabili in grado di trattare informazioni). L’ubiquitous computing è una tecnologia “trasparente” e pervasiva che permette di connettere in rete vari oggetti della quotidianità, dotandoli di una sufficiente capacità di calcolo per attivare meccanismi di automazione e di riconoscimento e scambio di informazioni. È prossima a concetti come pervasive computing (informatica pervasiva) Ambient intelligence (intelligenza ambientale) ed everyware, un bel gioco di parole che coniuga "everywere" (ovunque) e la desinenza "ware" che rimanda ai termini software e hardware. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 12 197 Carlo Infante - Realtà aumentate La parabola dei Google Glass, scompaiono per rinascere Sull’onda del suo successo planetario, all'inizio del 2014 Google rende noto che gli occhiali Google Glass verranno prodotti da Luxottica. Il design dei Google Glass esce da una versione prototipo con un archetto standard installato come montatura e da possibilità di essere agganciato su diverse montature di occhiali. Scelta che non darà soltanto modo di personalizzare la propria montatura, ma di avere una nuova montatura elaborata per essere flessibile e comoda. Eppure, nel 2016, Google chiude definitivamente il settore dei Google Glass per inscriverlo in quello definito Project Aura, la divisione di Alphabet (una nuova configurazione societaria di Google) dove si stanno studiando nuovi dispositivi dal nome in codice EE, ovvero Enterprise Edition. I Google Glass scompaiono per rinascere, come l'entità mitologica dell'araba fenice. Questo sviluppo tecnologico così contrastato rivela una dinamica interessante che vale la pena ricostruire. I Google Glass nel 2016 escono così dal mercato consumer ma contemporaneamente diverse aziende in tutto il mondo sono diventate protagoniste di una sua vera e propria rinascita in vari campi applicativi che dimostrano come la realtà aumentata sia fondamentalmente una delle migliori soluzioni di ubiquitous computing. Tra queste, l’AGCO, un gigante mondiale della produzione di macchine agricole con sede nel Minnesota, affida ai suoi lavoratori gli occhiali di Google in sostituzione dei Tablet, per vedere foto e video o scannerizzare numeri seriali. Tramite la funzione di riconoscimento vocale dettano al sistema le informazioni raccolte durante la giornata lavorativa, che vengono poi salvate nel sistema e lette in tutta facilità dagli operatori del turno successivo. Inoltre, sono in grado di visualizzare direttamente i manuali di istruzione sulle lenti, per non lasciare la postazione di lavoro ed aumentare l'efficienza. Peggy Gullick, business process improvement director di AGCO, riferendosi alla sua impresa ed ai lavoratori dichiara: “I Google Glass non sono solo stati accettati, a questo punto li desideriamo.” Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 12 198 Carlo Infante - Realtà aumentate Boeing, una delle aziende leader nel campo aeronautico che costruisce aerei per più di 150 stati, utilizza i Glass con l’applicazione Skylight durante varie fasi di produzione degli aeromobili. La compagnia ha calcolato che così facendo è riuscita a ridurre la durata media di produzione del 25% e che il margine d’errore si è ridotto addirittura della metà. HoloLens Un'evoluzione dei visori per la realtà aumentata è il Microsoft HoloLens, il primo dispositivo olografico completamente indipendente che consente di interagire con contenuti digitali e ologrammi visualizzati nel mondo che circonda chi li indossa. Gli HoloLens sono stati sviluppati dalla Microsoft in collaborazione con la NASA e funzionano in modo autonomo, ossia non necessitano di alcun collegamento con uno smartphone o un altro dispositivo. Si tratta di un vero e proprio computer olografico indossabile dotato di sensori di movimento, sensori di profondità, videocamere, microfono e audio con spatial sound (il suono viene percepito a 360 gradi, simile ad un dolby surround). Gli HoloLens presentano i contenuti in mixed reality e consentono di visualizzare contenuti multimediali e rimanere con lo sguardo perennemente ancorati al mondo reale che diventa parte integrante dell’esperienza utente. La Mixed Reality, o Realtà mista, è la fusione del mondo reale con quello virtuale che permette di creare nuovi ambienti in cui persone, oggetti fisici e digitali coesistono e interagiscono in tempo reale. Miscrosoft sta creando un’interfaccia comune integrata con il sistema operativo Windows 10 così da permettere in futuro una perfetta sintonia tra software e visori di realtà aumentata e virtuale. Gli HoloLens sono uno strumento “indipendente” quindi non richiedono cavi, particolari adattatori o altro hardware per essere utilizzati. Questo li rende molto comodi e pratici da utilizzare. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 12 199 Carlo Infante - Realtà aumentate Il visore pesa 579 grammi. Essendo però ben bilanciato una volta indossato non risulta essere stancante. Inoltre il visore è estremamente solido e costruito con componenti di qualità, ma questo non gli impedisce di essere comodo una volta indossato. La durata della batteria è di circa 3 ore. Il sistema è basato su Live Tiles di Windows 10. Per interagire con le applicazioni basta puntare con lo sguardo il punto di interazione e “pizzicare” con due dita l’app che ci interessa o il contenuto interattivo. È inoltre possibile interagire mediante comandi vocali Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 12 200 Carlo Infante - Realtà aumentate 3. La realtà ulteriore Qui si tratta di accettare l’idea che nella dimensione simulata del virtuale accade qualcosa in più, e non in meno, come in molti pensano. Va detto: la virtualità non sottrae realtà bensì l'aumenta, produce opportunità ulteriori. È una realtà aumentata, come fu definita da Flavia Sparacino, ricercatrice presso il Massachusetts Institute of Technology, nel forum Imagina di Montecarlo del 2000 e su cui ci siamo confrontati in occasione di Virtuality a Torino nel 2005. Nell'azione in uno scenario virtuale il corpo misura altri spazi-tempo: riconfigura la propria fisicità in un simulacro, un nostro “doppio” che secondo le nostre indicazioni (input digitali attraverso mouse o altre periferiche come il data glove) agisce in contesti differenti da quelli stabiliti dal principio di realtà ordinaria. Si tratta di altro, anzi di "ulteriore", oltre i paradigmi psicologici e culturali predeterminati. Un'azione nel cosiddetto cyberspazio produce comunicazione fattuale, esprime e attrae condivisione, se solo pensiamo a come funzionano le reti che ora, con l’alta banda, potranno attuare quello che da anni è stato promesso: l’integrazione tra web, realtà virtuale e realtà aumentata. Non solo: l’idea stessa di everyware, il sistema ubiquitario di elaborazione digitale interconnessa, libera un potenziale straordinario di progettazione che necessita della migliore creatività applicativa, per apprendere continuamente e creare nuove opportunità produttive. Siamo pronti? Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 12 201 La rivoluzione del web 2.0 - Carlo Infante Indice 1. IL RADICAL TRUST, LA FIDUCIA RADICALE DELLA COLLABORAZIONE NEL WEB ................................ 3 2. LA BOLLA DELLA NET ECONOMY, UNA FINE CHE GENERA UN NUOVO INIZIO ................................ 8 3. LA FOLKSONOMY, LA TASSONOMIA POPOLARE ............................................................................ 12 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 16 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 16 202 La rivoluzione del web 2.0 - Carlo Infante 1. Il radical trust, la fiducia radicale della collaborazione nel web L’espressione web 2.0 è di Tim O’Reilly che sviluppava siti web per le aziende, ed è stata coniata nel 2004, interpretando il crollo borsistico della new economy generato dalla “bolla del web”. In realtà non si trattava di una crisi della rete ma di un approccio inadeguato a cogliere tutto il potenziale innovativo che il web prometteva. Fu importante vedere come quella crisi abbia prodotto una risposta rigenerativa del sistema-rete, cercando nella partecipazione collettiva da parte degli utenti quel valore aggiunto per riequilibrare le sorti reputazionali de web in caduta libera nelle Borse valori. Il fatto di mobilitare gli utenti fu geniale. Diventavano protagonisti del nuovo corso del web persone che potevano lavorare insieme senza neanche conoscersi, creando le modalità per far pubblicare on line a chiunque contenuti nonché commentare quelli di altri, con la possibilità di rielaborarli ed offrire diversi punti di vista, nonché di integranrli con altri contenuti aggiornati. L’insieme di singole menti produce l’intelligenza collettiva, la condizione di cui parlava già Pierre Lévy. Questa valenza assume una forma nuova che non può essere equiparata alla sommatoria delle singole menti ma è qualcosa di più, dal momento che, com’è stato dimostrato, le aggregazioni, dagli atomi alle persone fino ad arrivare ai bit, presentano caratteristiche e potenzialità nuove che non possono essere previste analizzando i singoli componenti poiché la complessità che ne risulta è qualcosa di diverso dalla mera sommatoria delle singole parti. Questa straordinaria condivisione di informazioni nelle piattaforme web 2.0 si basa sul concetto del radical trust, della fiducia radicale. Tale concetto poggia sul presupposto che tendenzialmente le persone non hanno interesse a danneggiare il bene comune, e non è affatto nuovo visto che è sulla base di ciò che il vandalismo di opere d’arte è solo un'eccezione e non la regola Si tratta della possibilità per l’utente di “partecipare” attivamente allo sviluppo di una piattaforma generando contenuti (che vengono definiti User Generated Content) ma anche Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 16 203 La rivoluzione del web 2.0 - Carlo Infante confrontandoli con gli altri utenti, condizione permessa dagli sviluppi tecnologici di nuove forme di categorizzazione dei contenuti. Per questi motivi il web 2.0 viene definito anche read/write web, qualcosa che oltre che leggibile era anche riscrivibile. Su questo si fonda il paradigma dell’interattività sostanziale che permette di rieditare gli artefatti ipermediali, come era già accaduto con i primi cd rom, creati alla metà degli anni Ottanta e da cui era possibile soltanto leggere dati, visto che lo stesso acronimo cd rom sottende: compact disc read only memory. Ci sarà da aspettare il 1997 per avere il primo cd-rom RW (rewritable, riscrivibile), passando per diverse fasi di evoluzione intermedie, i cd-rom I (interactive), i cd-rom WORM (write once read many times, ovvero leggibili tante volte ma scrivibili una sola volta), i cd-rom R (recordable, registrabili). La condizione abilitante delle piattaforme partecipative Va riconosciuto che le applicazioni che stanno alla base dello sviluppo tecnologico del Web 2.0 esistevano da tempo ma è il nuovo contesto della crisi a sollecitare, in modo talmente dirompente, quella idea che si diffonde universalmente riscoprendo valori innati nella natura dell’uomo in quanto animale sociale: partecipazione, collaborazione e condivisione. La partecipazione è la condizione abilitante perché gli utenti si mettano in gioco producendo contenuti. La collaborazione è data dalla performatività di piattaforme web che permettono di far fare il salto di qualità alla partecipazione, co-operando in rete per attivare confronto, comparazione e implementazione collettiva dei contenuti. La condivisione comporta quel principio di sharing che espande le proprietà collaborative, rilanciando gli artefatti digitali su cui si è attivata la cooperazione cognitiva. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 16 204 La rivoluzione del web 2.0 - Carlo Infante Si diffonde così l’idea di piattaforme partecipative espandendo il principio di conversazione e di produzione originale di contenuti generati dagli utenti. Principi su cui si era basato il web dalle sue origini, in 1 Markup Language, un metalinguaggio di markup, più evoluto dell’HTML). Un flusso di dati che consente agli utenti di essere aggiornati sui contenuti delle piattaforme web. Il blog basato sul Content Managing System Il blog è l’espressione più emblematica del web 2.0, anche se il termine weblog era stato già coniato da John Barger nel 1997. Questa definizione combina le parole web e log, rete e diario. In sostanza consiste nell’usare una piattaforma web basata su un Content Managing System che permette di gestire le pagina da pubblicare, ovvero i contenuti chiamati post. L’inserimento di un post è semplice in quanto, non è necessario conoscere l’HTML (HyperText Markup Language, il linguaggio a marcatori per ipertesti on line, atto a pubblicare sul web) perché si può contare sul CMS (Content Managing System) che permette di gestire con un’interfaccia-utente esplicita, simile a quella di un word processor, la pubblicazione dei post. Wiki, il software rapido, per l’enciclopedia on line più vasta, Wikipedia Un’altra piattaforma partecipativa è il wiki (in lingua hawaiana significa rapido) che è concepita per condividere e co-operare in rete, permettendo di inserire, modificare, cancellare contenuti. Il wiki è universalmente noto per essere il software open source dell’applicazione (MediaWiki) su cui si basa Wikipedia, la più nota enciclopedia online, creata da Jimmy Wales. Viene aggiornata giornalmente da milioni di utenti in tutto il mondo e rappresenta uno degli esempi più significativi della partecipazione e collaborazione che stanno alla base del web 2.0. Il primo abbozzo di dell'enciclopedia collaborativa online, nel 2000, si chiava Nupedia e seguiva una procedura di creazione, validazione e pubblicazione delle voci molto simile a quella Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 16 205 La rivoluzione del web 2.0 - Carlo Infante adottata per un’enciclopedia tradizionale. Nel 2001 si inizia a reimpostarla con il wiki, e così nel 2001, nasce Wikipedia. Wikipedia raccoglie dati, informazioni e definizioni storiche e scientifiche distribuendo al pubblico un'enciclopedia libera, gratuita e sempre più ricca di contenuti. Le varie edizioni (in 309 lingue differenti) e sono sviluppate indipendentemente l'una dall'altra, senza essere vincolate ai contenuti presenti nelle altre, ma sono tenute unicamente al rispetto delle linee guida generali del progetto come il punto di vista neutrale. Tantissimi siti web consentono agli utenti di condividere contenuti di vario genere da loro creati, quali fotografie (come Flickr, Photobucket), video (YouTube) ma anche le proprie librerie on line (aNobii, Library Thing). In genere gli utenti si aggregano in questi siti poiché hanno un interesse comune, ad esempio la passione per la fotografia. C’è spazio per le comunità di interesse che rappresentano il primo passaggio verso i social network, con piattaforme come LinkedIn (sorta nel 2002), connotata per fare rete tra contatti professionali o Ning, ideata nel 2005 dal programmatore Marc Andreessen (quello di Netscape, uno dei primi browser per navigare nel web), concepita per realizzare i primi social network senza avere particolari competenze di programmazione HTML. E c’è Amazon che oggi è uno dei più grandi player digitali, creato nel 1994 da Jeff Bezos per sollecitare la partecipazione degli utenti per commentare e giudicare i libri, e fondamentalmente per distribuirli su una piattaforma di e commerce che ha fatto scuola. Il suo successo è stato reso possibile dalla aggregazione di informazioni esplicite e implicite che gli utenti lasciano quando si interessano a un libro, con commenti, la navigazione tra le pagine pertinenti e i libri acquistati, trasformando questi dati, raccolti ed opportunamente elaborati, nei noti suggerimenti: “l’utente che ha comprato questo libro ha comprato anche quest’altro”. Amazon raffinò la tecnica del filtraggio collaborativo (collaborative filtering) che ha spianato la strada a tanti altri servizi del web 2.0. Il concetto di collaborative filtering si basa sul fatto che ogni utente una volta mostrato delle preferenze continuerà a mostrarle in futuro. Un esempio popolare di collaborative filtering può essere un sistema di suggerimento dell’orientamento su una corrente letteraria, aggregando su questa altre preferenze pertinenti. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 16 206 La rivoluzione del web 2.0 - Carlo Infante Nel 1999 fu importante il ruolo di Napster, la piattaforma web nata per la condivisione di file musicali in modalità peer to peer (P2P) tra utenti diversi i cui computer diventano essi stessi la piattaforma comune e decentralizzata di distribuzione, senza bisogno di un server o una repository centralizzata. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 16 207 La rivoluzione del web 2.0 - Carlo Infante 2. La bolla della net economy, una fine che genera un nuovo inizio Il crash della new economy (o net economy che dir si voglia) che cercava in Internet un nuovo settore editoriale e una filiera produttiva, senza produzione di merci conclamate, da sfruttare a tambur battente, dimostrò che c’è un tempo per tutto. L’avanzamento tecnologico non stava coincidendo con quello dei mercati e degli assetti sociali. L'idea dei portali telematici che cercavano di portare in rete i modelli di consumo dei mass media fallì, non bastavano le infrastrutture da percorrere serviva la voglia di andare, il come e il dove arrivare. La new economy offriva la possibilità di operare in un mercato globale, creando opportunità inedite, inconcepibili fino ad allora: le imprese non dovevano avere necessariamente una sede fisica. Il web creava la condizione universale di accessibilità a chiunque, in tempo reale e nello stesso modo, tutti potevano essere collegati con tutti. Si stava passando da un modello industriale, ancorato al sistema della produzione manifatturiera, ad una nuova economia di servizi innervata ai sistemi della comunicazione che convergevano verso quelli dell’informatica e della telematica delineando uno scenario di economia immateriale globale assolutamente incognito. In questo scenario fervido e indeterminato spuntano come funghi migliaia di aziende, tra cui emergeranno i grandi player del futuro digitale come Amazon, Google, PayPal … Lo sboom della bolla speculativa L’impatto della new economy creò una radicale trasformazione nel campo tradizionale del lavoro, imponendo nuove competenze e ancor più nell’ottica finanziaria dell'economia, avviando un irreversibile processo di globalizzazione basato quasi esclusivamente sulla gestione della finanza, incentrata su un concetto preciso: speculazione. Diciamo subito che il termine in sé non va Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 16 208 La rivoluzione del web 2.0 - Carlo Infante interpretato in quella accezione negativa per cui lo si intende troppo spesso. Visto che speculare, etimologicamente significa “stare alla specola”, su un luogo elevato per godere di un orizzonte più ampio, dal latino specula, vedetta. In questo senso ogni operatore del mercato che raccoglie informazioni per decidere come investire è uno speculatore. Nell’accezione corrente si parla di speculazione finanziaria quando si comprano e vendono titoli e prodotti finanziari con l'obiettivo di guadagnare sulle oscillazioni dei prezzi. Comunque sia ciò produsse quella bolla speculativa che stressò i mercati finanziari proprio sulla soglia del nuovo millennio, in rapidissimo precipitare per gli effetti del boom incontrollato della new economy, fino allo scoppio (lo sboom) della bolla speculativa, prima nel mercato azionario statunitense e poi in caduta libera in tutto il mondo. Resettando la reputazione borsistica di gran parte di quelle imprese definite dot-com (punto com, come recita il loro dominio, l’indirizzo nel web). Ciò accadde perché si attivano dei particolari processi durante le bolle speculative, come i cosiddetti comportamenti imitativi (herding behaviour), ispirati all'agire comune e alle prassi maggiormente diffuse tra gli altri investitori. Sia nella fase della crescita sia nella fase dello scoppio della bolla, gli operatori di mercato, infatti, tendono a operare scelte di investimento e disinvestimento indotte dall'euforia del momento e dalla paura diffusa di perdere in pochi istanti l'intero valore dei titoli in portafoglio (il cosiddetto panic selling), piuttosto che da valutazioni oggettive sulle prospettive di futuri rendimenti. L’impatto del web nell'economia globale Il concetto di new economy fu coniato da Kevin Kelly in "New Rules for a New Economy", nel 1998. In quel libro si trattava delle nuove forme dell’e-commerce e la capacità d’impatto del web nell'economia globale. Si definiva come si possa raggiungere la massimizzazione dei profitti attraverso il web e come l'idea di flusso sia finanziario sia informativo, in scala mondiale venga moltiplicato dall'effetto Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 16 209 La rivoluzione del web 2.0 - Carlo Infante in tempo reale. Si sarebbe così profilato uno scenario in cui l'economia si inscriveva più che mai dentro le strategie della finanza. I punti cardine su cui girava la new economy non erano i beni materiali bensì quelli immateriali, come le idee innovatrici e le killer application, ovvero le applicazioni di maggior successo con cui la tecnologia impatta nel mercato, imponendosi a quelle concorrenti e aprendo la strada alla commercializzazione di altre applicazioni, creando delle filiere produttive esponenziali. In questo passaggio Kevin Kelly rivela la sua impronta fortemente proiettiva. Questa nuova economia emergente rappresenta un sussulto tettonico nella nostra comunità, un cambiamento sociale che riordina le nostre vite più di quanto mai possano fare mere tecnologie, hardware o software. Offre nuove, diverse occasioni e ha le sue proprie nuove regole. Chi saprà giocare secondo le nuove regole avrà successo; chi non lo saprà fare perderà. Il Web 2.0 è diventato quindi oltre che un fenomeno tecnologico ed economico anche un fenomeno sociale che sta influendo sulla struttura della società. In questo cambiamento di contesto la rappresentanza politica tradizionale si trova in estrema difficoltà, a tal punto da interrogarsi sulla condizione di crisi di un sistema democratico che non sa più rappresentarsi nella politica predefinita. In parallelo a questa crisi di un modello di società sta crescendo un nuovo ed inedito sistema di relazioni che crea condizioni per nuovi mercati in cui affermare nuove istanze. Quali? Quella di estendere il diritto di cittadinanza e di pari opportunità per quanto riguarda l’accesso alle reti, soprattutto. Riconoscere all’informazione, magari quella realmente destinata alla funzione pubblica, la valenza di bene comune, diffuso e trasparente. Offrire garanzie per la tutela dei dati personali e della privacy in generale. Promuovere la migliore interazione possibile tra governanti e cittadini per rilanciare il significato di partecipazione alla res pubblica, ripensando come agire nell'ambito della cosa Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 16 210 La rivoluzione del web 2.0 - Carlo Infante pubblica, oltre le prassi ordinarie di elezioni o referendum (spesso bloccati dall’inibizione dei quorum) e utilizzando, ad esempio, blog e forum come piattaforme partecipative. Il Web 2.0 è ormai una realtà consolidata, come già sostenevano, prefigurandone gli sviluppi, Tim O’Reilly e Howard Rheingold. In particolare quest’ultimo, che con la sua teoria sulle smart mob ha inquadrato il contesto alla luce del dato più interessante: l’interazione stretta tra Rete e territorio attraverso l’azione dei cittadini connessi via mobile, prima con sms e poi con twitter, utilizzando gli smartphone come opportunità straordinaria di autoconvocazione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 16 211 La rivoluzione del web 2.0 - Carlo Infante 3. La folksonomy, la tassonomia popolare Categorizzare informazioni è determinante per potersi orientare nel flusso dei dati in rete. Ciò che ha permesso di fare un salto di qualità rispetto all’editing che già veniva svolto nella pubblicazione di siti web, attraverso l’uso di meta tag (quei metadati utilizzati nello script HTML per inserire informazioni correlate alla pagina web pubblicata) fu proprio la partecipazione attiva degli utenti nel collaborare e poi condividere queste informazioni di categorizzazione di ciò che circolava in rete. Grazie all'utilizzo di parole chiave (o tag) in una pratica diffusa nella fase iniziale del web 2.0, per cui si partecipava attivamente alle traiettorie del senso in rete, collaborando e condividendo, iniziò così a prendere forma un fenomeno che prese nome di folksonomy, un termine che fonde la parola folk (popolare) con tassonomia (classificazione, deriva dal greco taxis e nomos, il primo significa ordine e il secondo regola) La folksonomy era quindi una metodologia ostinata nel cercare di sistematizzare il mare magnum disordinato delle informazioni on line, utilizzata sia da utenti singoli sia da comunità di pratica teorica che interagivano nell’organizzare in categorie (su modello enciclopedico) le informazioni che circolavano nel web. A differenza delle modalità convenzionali di classificazione su impostazione accademica la folksonomy, anche se imprecisa, proprio perchè spontanea e partecipativa, si rivelò però molto funzionale a sviluppare una forma di auto-organizzazione della conoscenza condivisa in rete. Sull'onda di questa nuova tensione collaborativa, nel 2003, nacque del.icio.us, il social bookmarking per l'archiviazione e la condivisione di segnalibri (per indicizzare i link). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 16 212 La rivoluzione del web 2.0 - Carlo Infante La ricchezza informazionale dei social network È di una negoziazione delle proprie informazioni che si tratta, corretta solo se si basa su un principio di trasparenza e consapevolezza, altrimenti rappresenta un abuso della fiducia. Nel web esiste un valore da considerare come ricchezza informazionale, come la definisce Manuel Castells, per cui ad ogni scambio si ha un processo di creazione di valore e di accumulazione di ricchezza. Una ricchezza informazionale attivata dal web 2.0 che ora viene giocata dai social network in un mercato che ha sviluppi esponenziali. Quando si parla di social network in genere si fa riferimento a Facebook, il network creato nel 2004 da Mark Zuckerberg, Dustin Moskovitz e Chris Hughes (quest’ultimo futuro consulente nella campagna elettorale di Barack Obama). Ma Facebook è solo quello di maggior successo. La storia dei social network è piuttosto lunga e senz’altro destinata a non fermarsi. Quello che può essere definito il precursorse dei social network, Classmates.com, è stato creato addirittura nel 1995 da Randy Conrads, un ingegnere della Boeing, allo scopo di permettergli di rintracciare i suoi ex compagni di classe nelle Filippine. Due anni dopo, nel 1997, l’avvocato Andrew Weinreich, lancia Six Degrees, basato sulla teoria dei sei gradi di separazione sviluppata nel 1967 dal sociologo dell’Università di Harvard Stanley Milgram, secondo la quale sono necessari soltanto sei links, sei legami, affinchè una persona entri in contatto con una qualsiasi altra persona al mondo. Nel 1998 viene creato Intermix, che diventerà nel 2003 MySpace e poi assorbita e pressoché scomparsa nella galassia della News Corporation di Rupert Murdoch. Nel 1999 Jonathan Bishop crea Circle of Friends che poi ispirerà Friendster, basato proprio sul favorire le relazioni tra le persone, come succederà per molti social network successivi, da MySpace a Facebook, e in contemporanea nasce anche Circle of Trust, la cui base sono invece i rapporti di tipo professionale e che sarà un precursore di LinkedIn. Nel 2001 nasce Ryze, il social network più vecchio esistente oggi, con l’obiettivo di stabilire relazioni di tipo professionale. L’anno dopo è la volta di Friendster, creato dal programmatore Jonathan Abrams, che permetteva di Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 13 di 16 213 La rivoluzione del web 2.0 - Carlo Infante generare una lista di contatti a partire dagli amici degli amici e che cominciava ad avere un certo successo, registrando un milione di utenti in meno di un anno. Nel 2002 è il turno di LinkedIn, il cui target sono i professionisti e lo scopo è di mettere in contatto le persone per motivi professionali, e di MySpace messo a punto da un gruppo guidato da Tom Anderson. Solo due anni dopo arriva Facebook. Nato il 4 febbraio 2004 dall’idea dei tre studenti dell’Università di Harvard di mettere online l’annuario degli iscritti all’ateneo americano che in gergo viene chiamato proprio facebook, il libro delle facce. Inizialmente il social network era limitato agli studenti di Harvard che erano gli unici a potersi iscrivere. Successivamente è stato aperto a tutti e ha avuto un successo che probabilmente nemmeno i creatori si sarebbero aspettati. Facebook ha oggi 2 miliardi e mezzo di utenti attivi nel mondo e la cifra è in continua crescita. I social network sono piattaforme web sulle quali gli utenti possono entrare in contatto tra loro e svolgere una serie di attività, dal classico invio di messaggi, simultanei visto che sono superati i tempi di trasferimento da un server all’altro, alla condivisione di fotografie, video, documenti scritti e tutto ciò che la multimedialità della rete consente. Lo scopo è principalmente rimanere in contatto con gli amici o con altre persone e per tale motivo rientrano nel genere di comunità online che Maredith Farkas definisce comunità di mantenimento, nel senso che l’obiettivo è il mantenimento e il consolidamento dei rapporti sociali. Tramite dei feed RSS gli amici di un utente su Facebook vengono avvisati ogni volta che l’utente compie un’azione, per esempio pubblica un video osemplicemente scrive qualcosa sul suo profilo, e questo è sicuramente uno degli aspetti che piace di più e che favorisce la socialità. Per concludere si potrebbe riassumere le competenze chiave del Web 2.0, sulla base delle indicazioni che lo stesso Tim O'Reilly suggerisce: Servizi, e non pacchetti di software, con una scalabilità (per cui s'intende la capacità di un sistema di aumentare o diminuire di scala in funzione delle necessità) e disponibilità efficace dal punto di vista dei costi; Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 14 di 16 214 La rivoluzione del web 2.0 - Carlo Infante il controllo gestionale delle diverse fonti di dati che si arricchiscono man a mano che vengono utilizzati e rielaborati dagli utenti; dare fiducia agli utenti come co-sviluppatori; sollecitare l’intelligenza collettiva come espressione di auto-organizzazione degli utenti; influenzare la lunga coda (long tail) attraverso il customer service che permette di estendere nel tempo l’attenzione verso i prodotti e i servizi; la progettazione di software che sappia commisurarsi alla convergenza dei media, per andare oltre al singolo dispositivo; progettare interfacce-utente sempre più amichevoli e coinvolgenti; sviluppare modelli di business leggeri per intercettare le più diverse espressioni della domanda d’innovazione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 15 di 16 215 Carlo Infante - Blog: autori di sé stessi Indice 1. ANTROPIZZARE IL CYBERSPAZIO ........................................................................................................ 3 2. I BLOG SVILUPPANO INTELLIGENZA CONNETTIVA............................................................................. 5 3. L’AUTONOMIA CREATIVA DELLA DISINTERMEDIAZIONE.................................................................. 10 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 11 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 11 216 Carlo Infante - Blog: autori di sé stessi 1. Antropizzare il cyberspazio Il web nel momento in cui si dà forma ipertestuale all’infrastruttura telematica definita Internet inizia a diventare un nuovo ambiente, qualcosa di molto più complesso e interessante di un mero strumento digitale. Già nella fase sperimentale - nell’arco di due decenni, in cui Internet, nonostante la sua vocazione militare, si stava sviluppando proprio nell’ambito universitario, coinvolgendo non solo scienziati ma studenti creativi (tra cui emersero degli hacker geniali che dettero un contributo fondamentale alla configurazione della rete delle reti) - nella rete si andò creando un significativo comportamento collaborativo. Ne è quindi un valore fondativo: reticolare, non gerarchico, collaborativo, connettivo. In questo senso anche la programmazione di un software diventa un comportamento rivolto alle aspettative altrui, al fine di poter fare evolvere un programma informatico, facendo ciò che più conta: sviluppare le sue applicazioni potenziali attraverso il concetto di open source che permetteva un’implementazione continua, grazie al fatto di rilasciare l’opportunità di accedere ai codici-sorgente dei software, lasciando aperte le sorgenti della programmazione. Agli albori di Internet tutto ciò era la regola fondante dell’esperienza di programmazione, per rendere pertinenti i protocolli a tutta la comunità in Rete, per fare in modo che ogni sviluppatore di software li utilizzasse, migliorandoli. Collaborare e innestare il principio di responsabilità sociale verso un progetto comune è una pietra angolare dello sviluppo di Internet. Trova così sostanza l’idea della Rete come ecosistema informativo, come un insieme esperienziale fatto di conoscenze collettive e disponibilità connettive: una straordinaria palestra di cooperazione sociale. Esiste quindi una democrazia del codice informatico che può essere utile a capire come la Rete possa contribuire a pensare meglio la nostra organizzazione, in una società futura. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 11 217 Carlo Infante - Blog: autori di sé stessi Ma non è solo una metafora. Alcuni software, come abbiamo già visto, ci sollecitano a sviluppare le nostre potenzialità umane di comunicazione. Ecco perché abbiamo fatto questo preambolo, proprio per sottolineare come le pratiche del blogging e del social tagging (che significa mettere parole chiave, o meglio tag, ai contenuti più pertinenti, segnalandoli, per condividere meglio gli indirizzi di senso, per incrociarli con altri) lo stiano dimostrando da tempo, anche se qualcuno non se ne è accorto. Si sta comunque percorrendo un terreno già fertilizzato. Si tratta di prendere possesso degli spazi, fare di questo nuovo ambiente in rete uno spazio pubblico e non solo un nuovo mercato, per antropizzare il cyberspazio, come sarebbe giusto dire, evocando l'evoluzione umana che nell’arco dei millenni ha antropizzato i territori, pascolando armenti, coltivando, erigendo città. Quel termine cyberspazio fu così definito dal poeta John Perry Barlow, fondatore dell'Electronic Frontier Foundation: se sia un singolo trillo telefonico o milioni, essi sono tutti connessi fra di loro. Collettivamente, formano ciò che gli abitanti della città virtuale chiamano la Rete. Essa si estende attraverso l'immensa regione dello stato di elettroni, microonde, campi magnetici, luci intermittenti che lo scrittore di fantascienza William Gibson battezzò Ciberspazio. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 11 218 Carlo Infante - Blog: autori di sé stessi 2. I blog sviluppano intelligenza connettiva Il fenomeno dei blog ha esplicitato più di tutte le tante applicazioni in rete questo processo di antropizzazione, portando nel web la soggettività degli utenti. Liberando un'energia partecipativa, espressa dalla intelligenza connettiva di chi agisce nella Rete, acquisendo l’energia interconnessa, rendendo evidente anche come si possa rifondare la politica. Riscoprendo il senso di quella parola, a partire dalla prima definizione di politica che risale ad Aristotele ed è legata all'etimologia del termine, per cui significa l'amministrazione della polis per il bene di tutti, per la determinazione di uno spazio pubblico al quale tutti i cittadini partecipano. Ancora prima dei blog c’erano delle altre forme per vivere in rete la condizione sociale dell’interazione intelligente, c’erano i forum in cui, dopo essersi registrati (signup), si poteva accedere alle conversazioni on line, qui a differenza dalla chat, che si basa sulla comunicazione sincrona, l’interazione può avvenire in momenti diversi, visto che è asincrona. Ancora prima c’erano i newsgroup che si sono sviluppati ben prima dell’avvento del web, utilizzando la rete Usenet e dove ha preso forma la soluzione delle FAQ (Frequently Asked Questions, le domande poste frequentemente, con una serie di risposte per evitare che arrivino le stesse domande e i botta-risposta interminabili e di dubbia utilità). E prima ancora a battere questa strada del confronto on line ci sono state le BBS (Bulletin Board System), la prima è stata la Community Memory nel 1973 che ha svolto un ruolo importante nei primi passi di Internet come ambito del dialogo tecnoscientifico tra i pionieri della rete. Da quelle esperienze c’è stata un'evoluzione continua attraverso cui si è passati dalle conversazioni scarne tra esperti di informatica, per risolvere insieme problemi tecnici, ad un’articolazione più formale della scrittura in rete che con l'esperienza dei blog ha stabilito uno straordinario salto di qualità del modo in cui abitare la rete, ragionando facendo cultura e facendo della stessa cultura, non solo una condizione di conservazione del valore artistico sedimentato, ma un driver di trasformazione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 11 219 Carlo Infante - Blog: autori di sé stessi Il diario online, il personale è politico e poetico Il diario online ha iniziato a prendere piede negli Stati Uniti nel 1997, quando Dave Winer realizzò il software che permetteva la pubblicazione di qualcosa che poi si sarebbe stato definito blog. A questo seguì RobotWisdom pubblicato da John Barger appassionato di caccia che aveva intuito come potesse essere attraente un diario con link sulla propria passione, fu lui a coniare il termine weblog. A Torino, già nel maggio del 1997, per la Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo si realizzò un diario on line che era di fatto un blog, anche se non si utilizzò un CMS (Content Managing System), il software che permette di gestire la pubblicazione in rete con un’interfaccia-utente esplicita, simile a quella di un word processor. Nasceva nell’ambito del progetto “Ipercantiere” che utilizzava per la prima volta, pubblicamente, in un contesto culturale, la rete di banda larga messa a punto del piano “Socrate” della Telecom. Quel diario coinvolgeva una decina di corrispondenti che seguivano gli eventi in città della Biennale e riportavano nell’ipercantiere le informazioni raccolte, senza dovere necessariamente adottare un linguaggio giornalistico, bensì un’impronta più soggettiva, esperienziale, anticipando quello spirito proprio dei blog che si sarebbe diffuso dappertutto solo qualche anno dopo. Nel 1999 questa metodologia fu rilanciata alla Biennale Teatro di Venezia dove fu realizzato un diario on line che vide protagonisti gli studenti di alcuni licei veneziani (e un istituto industriale di Mestre) per comporre il diario esperienziale relativo l'avventura esplorativa tra gli spettacoli ospiti della Biennale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 11 220 Carlo Infante - Blog: autori di sé stessi I blogger, la nuova specie ibrida, tra scrittori, giornalisti e cittadini attivi Il fenomeno del blog, già nei primi anni del nuovo millennio, ha portato una quantità considerevole di utenti del web a pubblicare i loro testi senza pretendere di diventare scrittori o giornalisti, diventavano blogger e ciò bastava. Dopo qualche anno è diventata una professione a tutti gli effetti, una connotazione ibrida per una specie autorale in cui convergevano diverse ambizioni, da quelle di scrittori in cerca di spazi che gli editori non concedevano a quelle di giornalisti che non vendevano i propri pezzi, anche se i più interessanti erano, semplicemente, i cittadini attivi, impegnati nei propri territori, che denunciavano o articolavano proposte funzionali all’informazione fondata sull'osservazione di ciò che accadeva intorno a loro. Qualcuno si domandava come guadagnare con il proprio blog. Inizialmente si cercava di vendere banner pubblicitari (con più insuccessi che successi). Poi a quelle domande rispose, nel 2003, Google con la nascita di Google AdSense, che ha coniugato la pubblicazione dei contenuti alla possibilità di aggiungere delle inserzioni pubblicitarie. In quello stesso anno è nata la piattaforma ancora esistente, nonché la più utilizzata di blogging ma non solo, WordPress. Nel 2002 Newsweek predisse un nuovo ruolo per i blog, visti come nuovi media informativi che avrebbe superato i media tradizionali. I blog fanno un salto di qualità quando iniziano a essere utilizzati nel campo della comunicazione, con l’autorevolezza dell’inglese The Guardian che si connota come la testata giornalistica che meglio utilizza il data journalism. Fece scalpore nel 2010, il loro scoop che cambiò il mondo del giornalismo: la diffusione a livello mondiale dello scandalo dei registri di guerra di fatti circolare da WikiLeaks, sugli abusi dei militari americani in Afghanistan, seguiti poco tempo dopo dai dati relativi alla guerra in Iraq. Un’altra data va ricordata: nel 2005 il blogger Garrett Graff fu il primo a ricevere le credenziali stampa dalla Casa Bianca. Sulla base di una ricerca dell’Online Journalism Review, nel 2010 esistevano più di settanta milioni di blog attivi in tutto il mondo, di cui quattrocentomila italiani (un dato importante da Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 11 221 Carlo Infante - Blog: autori di sé stessi rilevare). Oggi se ne contano più di 500 milioni sommando tutti quelli editati con le maggiori piattaforme. Nonostante la rapida diffusione dei social networks, i blog stanno continuando a mantenere una certa autorità e sono entrati nella vita di tutti. L’uso di tali spazi online ha consentito una rivoluzione comunicativa, ma anche sociale, basata su un nuovo modo di informarsi, raccontarsi e confrontarsi. Questo fenomeno continuerà ad evolversi e c’è chi dice che la scrittura passerà sempre di più in secondo piano, lasciando sempre più spazio alle foto e soprattutto ai video, basti pensare all’uso delle dirette su Facebook, Snapchat o Instagram. Una tassonomia dei blog Il blog può essere considerato come una raccolta di testi che possono diversificarsi per forma e stile in maniera molto netta. Un buon blogger sa, tuttavia, che uniformare i contenuti per forma stile e tematiche trattate è una pratica necessaria per ottenere il coinvolgimento degli utenti e visibilità sui motori di ricerca. Può essere utile quindi una sommaria tassonomia che vede il mondo dei blog dividersi in diverse forme anche se queste particolarità si remixano spesso tra di loro. C’è il blog diario in cui l’autore racconta il proprio quotidiano, cosa pensa, cosa desidera… liberando la propria soggettività senza porsi il problema d'imprimere un carattere autorale. È un ambito peculiare in cui il personale si rende pubblico, politico o poetico. Condividere è il punto di partenza e l’interazione con i commenti non è necessariamente obbligatoria. Tenete conto che stiamo parlando di un fenomeno che è nato ben prima dell'avvento di Facebook che, sebbene nato nel 2004, diventerà rilevante solo verso la fine del 2006. Nel blog tematico, come quello giornalistico, si tende a concentrarsi su un argomento specifico oppure si sceglie di impostare le pubblicazioni con un taglio saggistico o giornalistico. In questa ultima definizione rientrano quei blog che non necessariamente possono essere registrati Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 11 222 Carlo Infante - Blog: autori di sé stessi come vere e proprio “testate”. Va detto che una testata giornalistica viene riconosciuta (e quindi registrata) presso un tribunale, con un direttore responsabile iscritto all’Ordine dei Giornalisti, per svolgere professionalmente la diffusione di informazioni. Di conseguenza ha delle responsabilità civili e penali riguardo le notizie pubblicate (la libertà di stampa, il diritto alla privacy ...) e deve sottostare alle norme dell’autorità giudiziaria. Tra i blog generalmente definiti tematici rientrano un’infinità di pagine su makeup cinema, cucina e viaggi. È la prateria del fandom (parola composta da fanatic = ossessionato e dal suffisso dom come in kingdom = regno). Il blog letterario è caratterizzato da un lessico letterario che occupa le pagine web piuttosto che la carta di libri che a loro volta affollano librerie e biblioteche. Il fatto è che spesso in questi blog, più che fare letteratura se ne parla, orientandosi quindi nel campo dei blog tematici, producendo recensioni che hanno come obiettivo principale quello di avere a disposizione copie dei libri da mettersi nella propria biblioteca. Tutt’altra questione è ciò che riguarda la produzione di opere letterarie on line che nel blog trovano un contesto interessante, come fu monitorato la prima volta dall'Osservatorio Scrittura Mutante nel 2001, che dopo qualche anno approdò al Salone del Libro di Torino come concorso rivolto a tutte le esperienze creative di scrittura on line, a partire dai blog. Il corporate blog non è certo un web aziendale ufficiale ma l’apertura del XXI secolo ha sollecitato molte imprese a scendere in campo nel web e non solo per fare affari. Il valore da coltivare è stato quello del reputation capital, esercitandolo con approcci informali e tesi a coinvolgere i propri dipendenti, verso cui si è affinata una politica di social responsability. Con i blog la comunicazione sociale d’impresa ha fatto un salto di qualità, creando nuove forme di storytelling per coinvolgere i territori a cui appartiene l’impresa e per promuovere occasioni di concordia, dove l’azienda si toglie la cravatta. L'informalità è quindi la chiave del successo di un corporate blog, sia nel “tu per tu” con i clienti sia nel qualificare un rapporto interattivo con i propri dipendenti e l’ambito territoriale a cui l’azienda fa riferimento. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 11 223 Carlo Infante - Blog: autori di sé stessi 3. L’autonomia creativa della disintermediazione La questione cruciale a proposito dei blog è l’aver avviato un approccio che è passato alla storia come disintermediazione, smarcandosi anche dal webmaster per pubblicare una pagina web. Prima di allora serviva ai più una mediazione tecnica per gestire la pubblicazione on line. Da ciò si è creata una condizione abilitante fenomenale: si poteva essere non solo autori di sé stessi, liberando il proprio potenziale soggettivo nella scrittura on line, ma anche editori di sé stessi, il che comportava un’ulteriore disintermediazione dalla figura molto verticale dell'editore. È questa opportunità che ha diffuso una sensibilità di forte autonomia creativa, meglio ancora indipendenza, che ha permesso a milioni di utenti di pubblicare il proprio blog, agendo direttamente e pubblicamente le proprie opinioni nonché inventando anche nuove forme d'impresa. È emblematico come la mutazione dei linguaggi, attraverso l’evoluzione tecnologica, possa scatenare un processo di emancipazione come quello della disintermediazione che, nell’arco di pochi anni, ha ridisegnato molti assetti professionali e produttivi. Pensate solo a come abbia relativizzato il ruolo del giornalismo, a come abbia sancito l’estinzione della specie degli agenti di viaggio, a come abbia promosso il superamento delle forme della mediazione politica, ancora a come abbia indebolito i negozi di dischi per via del fenomeno dello streaming musicale e molte filiere distributive delle merci con il predominio di Amazon. Tutto è nato con l’ambientazione in un nuovo contesto, come quello espresso da Internet in cui non solo si legge, si agisce. Un nuovo ambiente che abbiamo imparato ad antropizzare: dall’esplorazione alla progettazione di nuove relazioni per giungere alla partecipazione in un contesto popolato da soggetti disposti a comunicare, a partire dai blog che vent’anni fa hanno esplicitato tutto questo. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 11 224 Carlo Infante - Innovazione adattiva Indice 1. L’INTELLIGENZA DELLA RECIPROCITÀ E DELL’ESPERIENZA.................................................................. 3 2. IL SOCIAL DESIGN PER PROGETTARE INNOVAZIONE SOCIALE ......................................................... 5 3. SMARTNESS, L’INTELLIGENZA PRONTA, PROATTIVA ........................................................................... 8 4. IL WEB SPAZIO PUBBLICO DELL’INFOSFERA DIGITALE ...................................................................... 10 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 15 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 15 225 Carlo Infante - Innovazione adattiva 1. L’intelligenza della reciprocità e dell’esperienza L’obiettivo della lezione è nel rilevare il concetto di innovazione adattiva, con cui s’intende una strategia evolutiva che riguarda l'adattamento dell’innovazione digitale alla crescita di una consapevolezza d’uso dei nuovi media da parte dei cittadini senzienti. È necessario che l'innovazione digitale si adatti alla creatività sociale che emerge da buone pratiche capaci di generare un’intelligenza applicativa che per alcuni aspetti rientra in ciò che viene definito user experience. È proprio questo valore d’uso creativo che può riequilibrare le sorti di un mercato tecnologico in cui l’offerta è più forte della domanda, facendo questo si può dimostrare quanto sia importante fare società prima di qualsiasi mercato. L’intelligenza della reciprocità e dell’esperienza C'è un valore intrinseco delle tecnologie digitali orientate verso un aspetto più evoluto dell'intelligenza artificiale, riguarda una condizione basilare del pensiero cibernetico, quella della reciprocità, per cui il feedback è l’elemento costitutivo del rapporto con una macchina intelligente. Ciò è utile rilevarlo nel momento in cui ci interroghiamo su come contestualizzare l'innovazione digitale per il bene comune. L'analisi che stiamo impostando è ancora molto indeterminata, anche se ne abbraccia alcuni aspetti applicativi già in uso. Uno di questi è quello del machine learning, ovvero la macchina che apprende di per sé. Il machine learning crea le condizioni per cui computer e sistemi robotici possano apprendere automaticamente, imparando ad agire in modo naturale, come gli esseri umani o gli animali, imparando dall’esperienza, ovvero attraverso programmi di apprendimento automatico che li predispongono a stabilire un rapporto di reciprocità con il mondo esterno. Gli algoritmi di machine learning usano metodi computazionali per apprendere informazioni direttamente dai dati, senza modelli matematici ed equazioni predeterminate. Questi metodi Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 15 226 Carlo Infante - Innovazione adattiva migliorano le loro prestazioni in modo adattivo mano a mano che gli esempi da cui apprendere aumentano. L’intelligenza artificiale applicata agli ambiti del continuum of care, con la cura giusta (nel momento giusto, nel posto giusto), dimostra come possa adattarsi alle persone e non viceversa. È un buon esempio di innovazione adattiva, partendo dal principio che passare dalla ricerca all’attuazione richieda non solo l’apprendimento automatico o altri metodi statistici, ma anche una profonda comprensione del contesto, operativo o personale, misurandosi con la reciprocità e l'esperienza. Anche nei sistemi di automazione industriale ci sono modalità per cui si modificano i parametri di alcuni sistemi robotici per adattarli alle peculiarità del ciclo produttivo, che subisce delle variazioni durante l’esercizio delle sue funzioni, richiedendo modifiche delle impostazioni. È proprio in questo contesto che abbiamo notato il fatto che si usava già il termine innovazione adattiva, proprio per intendere la necessità di modificazione delle impostazioni preordinate per misurarsi con processi che richiedono attenzioni particolari, per ottimizzare i processi produttivi. Il punto sostanziale è che il nostro interesse per l’innovazione adattiva non intende assolutamente basarsi solo sui sistemi di intelligenza artificiale e su quelli dell'automazione (che comunque è strettamente interrelata a quelli del machine learning) bensì su quelle molteplici espressioni di creatività sociale degli utenti in cui rientra la user experience. L’obiettivo è impostare strategie culturali che possano sollecitare l’evoluzione dell’uso delle tecnologie sulla base di processi cognitivi che scandiscano un moto progressivo di consapevolezza nei vari campi applicativi, per avviare processi di innovazione adattiva, a partire da quelli dell’innovazione sociale e della resilienza urbana dove il concetto di smart community sta prendendo piede in diverse articolazioni. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 15 227 Carlo Infante - Innovazione adattiva 2. Il social design per progettare innovazione sociale Nel concetto di social design rientrano le diverse metodologie di progettazione che vanno al di là della creazione di prodotti o servizi, rappresentano un sistema complesso di progettazione che considera tutti gli aspetti che riguardano le dinamiche innovative che investono la società, l’ambiente, la cultura e l’economia. Troppo ampio? Certo, stiamo trattando di come progettare le forme di riequilibrio perché l’innovazione digitale, che di fatto sta pervadendo la condizione umana, trovi la misura per essere realmente funzionale all’intero sistema in transizione, che concerne la vita di tutti. L’obiettivo è quello di creare progetti emblematici attraverso cui analizzare le soluzioni digitali migliori per le diverse problematicità che emergono, ottimizzando l’impatto sulla vita delle persone e l’intero ecosistema. Gli ambiti sono molteplici vanno dall'autosufficienza alimentare (interpretando criticità come lo spreco alimentare e opportunità come le buone pratiche dell’agricoltura multifunzionale) alla co-creazione di valore nei contesti di nuova imprenditorialità innovativa delle start up (con l’invenzione di app mobile, applicazioni web e piattaforme collaborative per l’auto-organizzazione delle comunità); dalla rigenerazione urbana ai processi di efficientamento energetico degli edifici. Il social design si basa su una semplice articolazione di principi: lavorare con la gente piuttosto che per la gente (tenendo conto che coinvolgere comunità di pratica già autoorganizzate è determinante); dare forma alla partecipazione (perché non sia un rituale inerte, avviato solo per arginare le conflittualità sociali) e quindi fare evolvere il coinvolgimento dei cittadini (commisurandoli ai contesti di appartenenza territoriale) nella pianificazione e nell’organizzazione di progettualità come nel caso della rigenerazione urbana; creare le condizioni abilitanti con soluzioni di innovazione digitale e metodologie come il design thinking e l’intelligenza connettiva per usare in modo creativo gli spazi e i tempi di progettazione partecipata; armonizzare i processi che dalla progettazione arrivano alla decisione, mantenendo un equilibrio tra ambiente sociale e naturale, secondo i fondamenti dello sviluppo sostenibile. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 15 228 Carlo Infante - Innovazione adattiva La progettazione partecipata è un metodo dinamico e flessibile, fondamentale per la condivisione e la comprensione di un processo in atto, efficace nell’indirizzare le prese di decisione, lo sviluppo di piani di intervento e la soluzione dei problemi. Inoltre innesca nei partecipanti un processo di co-progettazione multi stakeholder (i portatori di interesse e di buona pratica) che, attraverso la responsabilizzazione dei cittadini, genera senso di appropriazione degli interventi ed empowerment, la condizione che dall’autostima porta all’autodeterminazione. Il dato peculiare della ricerca sull’innovazione adattiva è nel contestualizzare le diverse espressioni della progettazione partecipata, del design thinking e dell’intelligenza connettiva, in relazione alle procedure del design pattern (l’ambito computazionale che ordina gli schemi di progettazione) correntemente utilizzato nell'ambito dell'ingegneria del software, definito come "una soluzione progettuale generale ad un problema ricorrente". Si tratta di modelli logici da applicare alla risoluzione di problemi che emergono in diverse situazioni, per poterli prefigurare all’interno di ambienti di simulazione per l’apprendimento sociale. Queste simulazioni digitali possono essere una soluzione fenomenale per l'analisi di sistemi complessi, che includono sia sistemi informatici che sistemi fisici e sociali (come la gestione del traffico automobilistico, un piano di rigenerazione urbana, la gestione del social tracing durante una pandemia, la valorizzazione di un ecosistema…) In contesti simili di simulazione digitale si possono sperimentare, nella dinamicità del problem solving, quelle soluzioni di innovazione adattiva di cui stiamo trattando, istruendo le interazioni di agenti intelligenti - bot con la sentiment analysis dei contenuti espressi dalle comunità di pratica coinvolte nei progetti in esame, magari utilizzando piattaforme web dedicate e non solo i social media. I design pattern mostrano le interazioni tra le molteplici classi dei dati acquisiti, per arrivare a descrivere un pattern più ampio, complessivo, una disposizione (che è in fondo il significato di pattern) da adottare dall'intero sistema progettuale per dare vita a un framework. È importante considerare che il termine framework è utilizzato oltre l’ambito informatico. Spesso lo si esercita nei contesti economico-gestionali, per esprimere modalità sperimentali di Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 15 229 Carlo Infante - Innovazione adattiva simulazione per supportare un nuovo progetto di gestione. Dopotutto framework significa intelaiatura, una struttura atta a tenere qualcosa insieme, un qualcosa di cui ha bisogno la nuova progettazione culturale per orientare l’innovazione ad adattarsi in relazione alle nuove domande di cambiamento. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 15 230 Carlo Infante - Innovazione adattiva 3. Smartness, l’intelligenza pronta, proattiva Il Design Thinking, in relazione allo sviluppo della smart city, deve andare dunque di pari passo con l’impegno pubblico. Esso rappresenta un modo intelligente per pensare come tutte le risorse cognitive, a partire da quelle espresse dalle comunità di buona pratica, possono funzionare meglio e guidare il cambiamento. Il concetto di intelligenza, in relazione alla definizione delle città, fa riferimento il più delle volte alle connessioni ad alta tecnologia, ai sensori, alla possibilità di trattare simultaneamente grandi quantità di dati. Questa definizione di smart city non è però esaustiva perché lascia fuori altre dimensioni, estremamente importanti legate all’infrastruttura immateriale di comunità territoriali, alle organizzazioni civiche, ai gruppi di quartiere, la mondo accademico e alle comunità imprenditoriali come attori e partner nel processo di gestione della città. Le diverse definizioni di smartness (l’intelligenza pronta, proattiva) comportano processi di apprendimento collettivo e connettivo, per creare le condizioni in grado di elaborare l’ampio volume di conoscenze generato in una città. All’interno di questa prospettiva, le smart city sono in grado di fare il miglior uso dell’innovazione tecnologica attivando un processo di apprendimento attraverso il quale nuove idee vengono catturate e adattate, con piattaforme digitali adeguate, per creare strategie di cittadinanza educativa che, dall’ambito scolastico dei più giovani, riguardi tutta la popolazione in una formazione continua. Proprio grazie ai processi di apprendimento, crescita ed innovazione si costruisce una città intelligente intesa in una prospettiva sistemica; vale a dire sia come struttura connettiva, aperta e consapevole e finalizzata, sia come struttura adattiva, capace di generare dati, conoscenza e applicazioni digitali performanti, facendo evolvere i propri comportamenti. Il concetto di smart city sembra dunque ridefinirsi, da un punto di vista epistemologico, nei termini di un sistema auto-organizzato complesso dotato cioè di una forte vitalità interna, che ne definisce l’identità, l’autonomia e la creatività. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 15 231 Carlo Infante - Innovazione adattiva Un sistema auto-organizzato si configura come un sistema vitale che si adatta al proprio ambiente selezionando gli stimoli e costruendo le risposte, che esso ritiene più adeguate, per vivere e per evolvere nel suo ambiente. Il sistema sociale possiede una propria peculiarità cognitiva che gli consente di dare delle risposte attive alle influenze del mondo esterno, mantenendo il suo equilibrio e portando avanti i suoi percorsi di evoluzione, cercando di fare in modo che l’innovazione sia funzionale a questi processi. Il dominio cognitivo di una comunità può configurarsi come un sistema vivente, all’interno di un ecosistema urbano in cui i flussi informativi sono una delle tante componenti, come gli edifici, i giardini e le storie, quelle che amiamo definire i paesaggi umani. Ci piace pensare che una strategia d’innovazione adattiva trovi le applicazioni più performanti per migliorare la vita di sistemi simili. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 15 232 Carlo Infante - Innovazione adattiva 4. Il web spazio pubblico dell’infosfera digitale Il nostro modo di percepire il mondo è cambiato profondamente nella misura in cui il web è diventato un nuovo spazio pubblico in cui si sono radicalmente modificati i rapporti tra spazio e tempo. L’innovazione dei rapporti tra spazio e tempo, all’interno delle reti immateriali, si riflette anche fuori, nel mondo reale, nel senso che cambiano i rapporti tra individui, tra individui e contesti di riferimento, tra individui e territori. È in questa estensione dalla rete ai territori che si gioca la scommessa evolutiva che concerne l’innovazione adattiva, in una dinamica che è al contempo esercizio di creatività e di complessità. La complessità di cui stiamo trattando riguarda la simultaneità delle informazioni, le loro connessioni combinatorie, le dinamiche della rete, dove le informazioni sono sempre più innervate alle relazioni. Un dato certo di cui in troppi non sono consapevoli e tanti altri ne rigettano la frequentazione. I nuovi media non sono solo strumenti, ma rappresentano dei veri e propri ambienti, nuovi mondi che sottendono nuovi modi per esercitare il mondo. È da qui che può nascere anche un rinnovato rapporto con il territorio. In questo senso sarà importante occuparsi di armonizzare il thesaurus delle nostre conoscenze, sia con i sistemi della comunicazione digitale sia con i contesti di vita. È qui che si gioca una partita complessa eppure fluida, vitale, generativa. La società contemporanea presenta dunque nuovi scenari caratterizzati da forti e significative interconnessioni tra l’intero sistema sociale e l’innovazione di cui abbiamo bisogno. Così come accade nell’ambito della progettazione sociale, il passaggio dalla società industriale alla società postindustriale ci obbliga ad uscire da una logica lineare e ad abbracciare una logica sistemica. Proprio per questa ragione, qualsiasi progetto o intervento se vuole avere una possibilità di successo deve muoversi in una logica più multidisciplinare, ovvero multidimensionale, visto che Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 15 233 Carlo Infante - Innovazione adattiva l’interazione tra mondo fisico e mondo digitale sottende già questa molteplicità di piani dimensionali. L’infosfera digitale può e deve essere individuata come un’estensione del mondo antropizzato, per cui l’uso e la progettazione dell’impianto ipermediale è fondamentale per aiutarci a migliorare le condizioni di vita nella realtà fisica, nei contesti più disparati per trovare soluzioni con metodi mai veramente sviluppati. Quando parliamo di progetti e di interventi per l’innovazione muoviamo dal presupposto che questi non possono riguardare una sola area di intervento, uno specifico settore di sviluppo e di crescita, ma un modello di sviluppo economico e sociale che interessa al tempo stesso l’istruzione, la formazione ed il lavoro; la pubblica amministrazione e le imprese private; l’esistenza dei giovani e quella degli adulti; la qualità della vita nei territori urbani ed extraurbani. Rispetto a queste considerazioni generali sull’innovazione adattiva è importante dare vita a reti di soggetti pubblici e privati promotori di progetti ed iniziative la cui natura innovativa appare legata proprio alla loro capacità di intervenire in maniera sistemica sui contesti e sui problemi di riferimento. I processi di innovazione che stiamo cercando di inquadrare definiscono delle comunità che si misurano con l’idea di smart community, vale a dire una realtà caratterizzata dalla combinazione intelligente di diversi fattori: economia, mobilità, governance, vita, cittadini, ambiente. Nella smart community le relazioni non si esauriscono nei confini fisici della città; la qualità della vita dei cittadini, intesi anche come city-user ovvero protagonisti e vettori di nuovi valori d’uso della città e delle sue infrastrutture di comunicazione, è l’indicatore predominante e l’obiettivo principale; i servizi sono centrati sulle esigenze delle persone; le politiche sono caratterizzate da volontà di apertura e integrazione. I processi di innovazione debbono riguardare in primo luogo le infrastrutture, i trasporti, gli scambi energetici, lo sviluppo sostenibile, i sistemi di connessione reale e digitale. Ma l’innovazione deve contemplare gli spazi di crescita della società civile e trovare le risposte adeguate per Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 15 234 Carlo Infante - Innovazione adattiva qualificare quella crescita. In tal senso, solo una logica di bottom up (dal basso) può rendere possibile lo sviluppo di una comunità a partire dalle potenzialità dell’innovazione. Questi principi per l’innovazione adattiva rispondono in ampia misura agli obiettivi posti dalla Strategia Europa 2020 e riguardano: una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. La scelta di porre al centro delle politiche dell’innovazione la qualità della vita ne comporta altre basate su alcuni concetti fondamentali: la sostenibilità volta ad evitare lo sfruttamento eccessivo di risorse non rinnovabili; l’apertura intesa come possibilità di connessione tra dati, idee, proposte, progetti ed esperienze; la centralità territoriale che fa del territorio il fulcro delle politiche per l’innovazione. Si tratta quindi di un modello d’intervento top-down che dall’alto delle istituzioni va verso il basso delle opinioni diffuse nella popolazione, sta a noi tutti fare in modo che il processo bottomup intervenga per riequilibrare e interpretare sul campo quelle indicazioni politiche per farne linee d’indirizzo. Nel modello top-down si formula la visione generale del sistema che misurandosi con l’approccio bottom-up, ne trae le indicazioni, permettendo di cogliere le variabili in grado di condizionare lo sviluppo del sistema. Ancora una volta facciamo riferimento a strategie di elaborazione dell'informazione per la programmazione del software che da tempo sono state tradotte nel campo delle teorie dei sistemi e della progettazione sociale. Le funzioni attive in questi contesti riguardano le nuove interrelazioni sociali indotte dall’uso delle tecnologie della comunicazione, che devono quindi adattarsi alla creatività sociale che emerge dal loro esercizio connettivo. In un documento OCSE diffuso nell’estate 2019 è emerso, tra le righe, il termine innovazione adattiva, per intendere ciò che deve “rispondere ad un ambiente in evoluzione, interpretando i cambiamenti nella società”. Generico quanto basta, ma su questo principio stiamo ragionando per declinarlo in modo funzionale a ciò che consideriamo decisivo in questo momento di crisi, per non sprecarlo, Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 15 235 Carlo Infante - Innovazione adattiva convertendolo in opportunità. Il fatto stesso che l’OCSE si ponga il problema di rimettere in asse il sistema dell’innovazione, non solo centrato sull’espansione dei mercati ma sullo sviluppo sostenibile della società, lo consideriamo decisivo per questa congiuntura storica. L’OCSE è stata istituita con la Convenzione sull’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, firmata il 14 dicembre 1960 ed è entrata in vigore il 30 settembre 1961, sostituendo l’OECE, creata nel 1948 per amministrare il cosiddetto “Piano Marshall” per la ricostruzione postbellica dell’economia europea. È emblematico questo raffronto con il “Piano Marshall”. Ci troviamo in una situazione per alcuni aspetti più grave: non c’è solo da ricostruire ma da riavviare un sistema minato da un reset che impone un nuovo paradigma evolutivo. Per farlo serve un salto di qualità e un’attenzione a 360°, intercettando le migliori idee e promuovendo quella innovazione adattiva che potenzi la capacità di progettazione creativa e solidale, innalzando il livello di engagement dei cittadini senzienti. Il concetto di innovazione adattiva ha preso forma all’interno del dibattito sulla resilienza urbana che realtà come Urban Experience, con attività di performing media storytelling e design thinking associate alle esplorazioni urbane, hanno attivato. Si tratta di una strategia evolutiva che riguarda l'adattamento dell’innovazione digitale alla crescita di una consapevolezza d’uso dei nuovi media da parte dei cittadini senzienti. Abbiamo capito (non tutti) di essere in un mondo in cui le nuove interrelazioni sociali indotte dall’uso delle tecnologie della comunicazione sono sempre più decisive. Ma sia chiaro qui non si tratta di essere utenti-sudditi di Facebook o di Google ma di progettare nuove piattaforme di social network territoriale e tematico. È per questo che si deve trovare il modo perchè l'innovazione digitale si adatti alla creatività sociale che emerge in quell’esercizio connettivo così ricco di intelligenza applicativa, definita user experience. È proprio questo il valore di uso creativo che libera un potenziale che i dispositivi – nella piena evoluzione dell’interaction design – devono cogliere, adattandosi. Ciò non è scontato, sta a noi, alla nostra capacità di interpretare opportunità come quelle offerte dalle tecnologie dell'interconnessione digitale, fare sì che ciò accada, anche perché i mercati non si fanno se non si fa società. 236 Carlo Infante - L'avvento dei social media Indice 1. I SOCIAL NETWORK E L’ANIMALE SOCIALE CHE È L’UOMO................................................................ 3 2. LA NUOVA FIGURA DEL SOCIAL MEDIA MANAGER ......................................................................... 10 3. IL GRANDE GIOCO DEI SOCIAL MEDIA ............................................................................................. 11 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 12 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 12 237 Carlo Infante - L'avvento dei social media 1. I social network e l’animale sociale che è l’uomo L’uomo è un’animale sociale per cui da sempre tende ad organizzarsi in gruppo: un insieme di persone che interagiscono tra loro, sulla base di aspettative condivise che regolano il rispettivo comportamento. Si è portati sia a cooperare, sia a competere, a produrre idee e a decidere in gruppo. I social network agli albori del XXI secolo arrivano per potenziare questa spinta sociale connaturata, evolvendo l’approccio già impostato dai blog che avevano reso protagonisti gli utenti nella comunicazione in rete. È interessante porre attenzione, a monte di tutto, alle teorie della social cognition che riguarda i processi attraverso cui le persone acquisiscono informazioni dall'ambiente, interpretandole, per comprendere sia il proprio mondo sociale che l’organizzazione dei propri comportamenti. Ciò è determinante per cogliere le diverse motivazioni in base alle quali si orienta la propria appartenenza ad un gruppo, comprese quelle dinamiche che si creano sui social network. Per vicinanza: si frequentano persone che sono vicine fisicamente, come quelle che abitano il nostro stesso quartiere o frequentano lo stesso bar, la stessa scuola... Sono occasioni per condividere esperienze. La vicinanza spesso rappresenta il primo motivo di contatto nell'orientare la appartenenza ad un gruppo. Per somiglianza: la disposizione per cui si ricercano negli altri le proprie convinzioni, idee e i propri desideri. La somiglianza più che fisica è affinità di pensiero e stile di vita. Trovare altre persone con idee simili è ciò che porta, più di qualsiasi altro elemento, all'unione. Attraverso questo criterio della somiglianza, si stabiliscono alleanze e nascono simpatie. Per identificazione: se non c'è somiglianza di idee possono emergere motivazioni di identificazione con l'altro. La differenza con la somiglianza è nel principio psicologico che entra in gioco, determinando la scelta di adesione al gruppo, sulla base di un’attrazione per un'identità specifica che rappresenta uno status socialmente desiderabile. Entrare a far parte di un gruppo Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 12 238 Carlo Infante - L'avvento dei social media simile può significare realizzazione e prestigio. Per identificazione si intende anche un processo della propria personalità che si innesca attraverso l'interdipendenza con il gruppo, in cui emergono aspetti intersoggettivi, acquisiti attraverso il contatto con il gruppo. I primi passi dei primi social Il primo vero social network non è stato Facebook. Nemmeno MySpace, quella piattaforma che nel 2003 ha fatto da trampolino di lancio per molti musicisti. Il primo è stato SixDegrees, nel 1996 ispirato alla teoria dei “sei gradi di separazione” secondo la quale ogni individuo è collegato a qualunque altra persona attraverso una catena di conoscenze composta da almeno cinque punti di contatto. L’idea di SixDegrees nonostante fosse affascinante fece i conti con una fase in cui il web non era pronto, e nonostante il milione di iscritti, la piattaforma non decollò e nel 2000 chiuse. Nel 2003 Myspace è stato il primo vero social network a livello mondiale. Offriva la possibilità di fare profili personali e di connettersi ad una rete sociale fatta di blog e brani musicali. In quel periodo Myspace ha avuto grazie alla presenza di musicisti emergenti un forte impatto tanto da diventare nel 2006, uno dei siti più visitati, superando addirittura Google. Nel 2005 Chris DeWolfe, co-fondatore di Myspace, rifiutò l’acquisizione da parte di una società, a fronte di una richiesta di 75 milioni di dollari, a fargli l’offerta era Mark Zuckerberg, quello di Facebook, che stava scaldando i motori. Anni dopo, nel 2011 la società viene acquistata per 35 milioni dalla News Corporation-Media Group del magnate australiano Rupert Murdoch e inizia la fine, i milioni di file musicali caricati nella prima piattaforma che permetteva di farlo vengono definitivamente cancellati dai server nel 2013. Una piattaforma nel 2005 mette in pista un'opportunità straordinaria: quella di realizzare un proprio social network. Si chiama Ning e il suo nome deriva da un termine cinese il cui significato è pace. È frutto dell’ingegno di Marc Andreessen (quello che lanciò Netscape, uno dei primi browser per navigare nel web) che dalla California rilancia con un’idea eccellente, quella di dare la Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 12 239 Carlo Infante - L'avvento dei social media possibilità di creare dei social network senza avere cognizioni di programmazione. La piattaforma è sviluppata in Java e poi genera codice in PHP (Hypertext PreProcessor) un linguaggio di programmazione che facilità l’editing delle pagine web. Ning fu una piattaforma importante per lo sviluppo di alcuni social network territoriali, che particolarmente in Italia ebbero uno sviluppo significativo, fin quando nel 2010 si delinearono due modalità di fruizione: la prima, gratuita, con la possibilità di creare le pagine web con l'obbligo di ospitare inserzioni pubblicitarie (agganciate a Google AdSense), la seconda con un canone mensile. Fu la fine. L’epopea di Facebook All’università di Harvard il giovane Mark Zuckerberg, nel 2003, un po’ per scherzo crea Facemash, un social network che intende mettere a confronto le facce di tutti gli studenti dell’università. Facemash venne chiuso quasi subito per violazione della privacy ma con questa mossa avventata il giovane studente aveva gettato le basi per un progetto molto più grande. Nel 2004 Mark insieme ai colleghi Eduardo Saverin, Chris Hughes, Andrew McCollum e Dustin Moskovitz lancia Facebook. Il nome nasce dall’uso di alcune università di tenere un grande libro con nome e foto degli studenti, in modo tale da farli socializzare più facilmente. Facebook dispone di due tipologie di servizi social con finalità nettamente distinte: il profilo privato (diario personale) e la pagina pubblica (generalmente usata per iniziative, attività commerciali o da aziende). Il profilo Facebook tende a contenere foto, post con cui attivare conversazione e messaggistica. Si possono aprire gruppi in cui condividere idee e proposte oppure sceglierne altri a cui aggregarsi, sulla base dei tre principi di cognizione sociale: la vicinanza, la somiglianza e la identificazione. Dal 2006 è attivo sul profilo il news-feed, un aggregatore che mostra a flusso (stream) gli aggiornamenti propri e degli amici. Inizialmente questo sistema ha ricevuto delle critiche: secondo Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 12 240 Carlo Infante - L'avvento dei social media alcuni i news-feed includevano molte informazioni irrilevanti, secondo altri mettevano troppo in risalto informazioni personali e potenzialmente sensibili. In risposta è stata data la possibilità di scegliere che tipo di informazioni condividere automaticamente e con chi. Oggi è infatti possibile raggruppare gli amici in categorie e scegliere con quali categorie condividere certe informazioni (come cambiamenti del profilo, post sulla bacheca e l'aggiunta di nuovi amici). Una delle funzioni più utilizzate su Facebook è quella della condivisione di foto, infatti gli utenti possono caricare un numero illimitato di album di immagini (a differenza di altri servizi di condivisione di immagini come Flickr). Le impostazioni della privacy possono essere diverse per ogni album, limitandone o meno la visibilità. Un'altra caratteristica di questa funzione di condivisione è l’utilizzo del tag, ovvero si appone un'etichetta su un'immagine “taggando” il nome di chi è presente nella foto, così si crea automaticamente il link al suo profilo (se si è già amici su Facebook). Facebook offre diversi servizi di messaggistica privata. È possibile inviare privatamente messaggi ad altri utenti, se le impostazioni della privacy lo consentono. Ad aprile 2008 è stata lanciata l'applicazione chat per scambiare messaggi in tempo reale con gli amici collegati al profilo Facebook. Nel 2010 è stato lanciato il tasto Mi piace, con il quale gli utenti possono esprimere apprezzamento su singoli contenuti. Nel 2011 la chat è stata arricchita da una funzione per effettuare chiamate vocali, che permette anche di lasciare messaggi in una segreteria vocale. È stato poi lanciato un servizio di videochiamate che si integra con il software Skype di Microsoft. Secondo i dati rilasciati da Facebook, relativi al primo trimestre 2020, il social network ha nuovamente registrato un aumento dei suoi utenti complessivi, raggiungendo così un totale di 2.6 miliardi di persone iscritte alla piattaforma. Vale a dire oltre una persona su tre in tutto il mondo. I ricavi trimestrali sono saliti a 17,7 miliardi di dollari, segnando così un aumento del 17% rispetto allo scorso anno. Come previsto dagli investitori, tuttavia, il tasso di crescita dei ricavi ha inevitabilmente iniziato a rallentare rispetto al +25% registrato durante il primo trimestre del 2019. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 12 241 Carlo Infante - L'avvento dei social media Con questo numero di utenti Facebook è il terzo sito più visitato al mondo. È evidente che Facebook è il grande protagonista dell’evoluzione del web 2.0, cambiando il modo di vedere questo medium e facendoci entrare di diritto nell’era dell’interconnessione. YouTube, il social del video sharing Nel 2005 Chad Hurley, Jawed Karim e Steve Chen, fondano YouTube. Una piattaforma di video sharing, capace di attivare condivisione e visualizzazione di video. YouTube partiva con una impostazione semplice, dopo essersi iscritti alla piattaforma, si aveva accesso alla propria dashboard (il pannello di controllo) da cui era possibile caricare i video. In questo modo gli altri utenti potevano visualizzare i video, condividerli e votarli con un “Mi piace” o “Non mi piace”. A dare la svolta a questa piattaforma web fu proprio la proattività degli utenti. Negli anni molte persone cominciarono a creare video con contenuti interessanti; da chi proponeva tutorial a chi inventava originali videocreazioni. YouTube cresceva in modo esponenziale, in quegli anni emerse la figura dello youtuber, ovvero quell'utente più attivo di altri che produce contenuti sistematicamente, creando una condizione attrattiva. Ad oggi YouTube è il secondo sito più visitato al mondo e può essere considerato un social network in quanto è basato sulla condivisione pura attraverso il suo canale video. Instagram Il fatto di aggiungere delle persone nella propria cerchia di amici, di condividere i propri stati e le proprie foto è stata la peculiarità di Instagram, con un fattore in più: la velocità connessa alla sintesi dell’informazione prodotta in una sorta di microblogging. Lanciata principalmente sul campo del mobile, nel 2010 per sistemi IOS di Apple e nel 2012 per Android, permetteva di scattare Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 12 242 Carlo Infante - L'avvento dei social media foto tramite il cellulare da pubblicare nella propria bacheca. Non c’è la figura degli “amici” come in Facebook, ma quella dei “follower”: persone che ti seguono e che tu segui (following), senza che questo processo sia necessariamente reciproco. Instagram ha avuto un bell’impatto proprio per questa sua particolarità, infatti grazie ai filtri (“effetti speciali” da applicare alle immagini) è possibile rendere più accattivanti le foto. E nel momento in cui gli smartphone stavano cominciando ad invadere il mondo l’app riuscì a ritagliarsi una grossa fetta di utenza. Nel 2012 Mark Zuckerberg ebbe la lungimirante idea di acquistare la società per 1 miliardo di dollari, ingrandendo il suo impero. Nel tempo Instagram ha cambiato faccia più di una volta, introducendo anche le stories, cioè delle clip video. Inoltre la piattaforma ha aiutato notevolmente a far crescere la nuova figura lavorativa degli influencer. Si tratta di una competenza curiosa che di fatto esprime una forma di marketing basata su persone capaci di influenzare aree più o meno vaste, tra cui anche i potenziali clienti di alcuni brand commerciali per cui gli influencer lavorano. I contenuti degli influencer possono essere anche integrati nella pubblicità con testimonial dove gli stessi influencer giocano il ruolo di potenziali consumatori, ibridando il loro ruolo tra consumatori e produttori di informazione sui prodotti oggetto della strategia di consumo. L'influencer viene pagato dagli sponsor per portare avanti (con video, foto e post sui social media) una dissimulazione della pubblicità stessa, dove i prodotti compaiono all'interno di un gioco prevedibile che implicitamente ne suggerisce l’utilizzo in uno stile di vita di successo senza che questo venga percepito come una reale pubblicità dal target influenzabile. Questo meccanismo esprime un potenziale di marketing significativo, proprio perché aggira la barriera psicologica del consumatore (follower) che non percepisce più quello che gli viene mostrato come in una pubblicità classica, dove invece avrebbe la piena consapevolezza che qualcuno sta cercando di indurlo a pensare, fare o comprare qualcosa, in quanto è ormai assuefatto a tale meccanismo. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 12 243 Carlo Infante - L'avvento dei social media LinkedIn, il social del recruiting Negli anni del web 2.0 sono cambiate molte professioni e lo stesso modo di operare in rete. Si è creato un mondo in cui il lavoro ha trasformato le sue regole di ingaggio. È su questo che i creatori di LinkedIn hanno operato, impostando una piattaforma di rete sociale funzionale al recruiting, un processo che indica il reclutamento di una molteplicità di figure professionali. Si basa sulla necessità aziendale di ricerca e selezione del personale, attraverso la ricerca di profili professionali per l’individuazione di collaboratori. Nata nel 2003, LinkedIn creò delle funzionalità per promuovere l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, inizialmente rivolta alle piccole imprese. Il suo scopo fu quello di interconnettere quei profili che richiedevano e offrivano professionalità. Tramite il proprio profilo è possibile rendere pubbliche le proprie competenze al fine di proporsi o di essere rintracciato più facilmente dalle aziende che ricercano candidati di una certa tipologia. Nel 2016 è stata acquistata da Microsoft per l’enorme somma di circa 26 miliardi di dollari, rendendo questo il più grande investimento fatto dalla società di Bill Gates fino ad oggi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 12 244 Carlo Infante - L'avvento dei social media 2. La nuova figura del social media manager I social media non solo sono entrati a far parte della vita di tutti ma la stanno cambiando. Questo cambiamento riguarda molto il mondo del lavoro, in cui sono emerse posizioni lavorative che fino a vent’anni fa non si concepivano nemmeno. Sono molte le aziende e le istituzioni che si stanno adeguando a questa trasformazione dei processi produttivi fortemente influenzati dal flusso informativo. In particolar modo nel settore del marketing è sempre più importante coinvolgere i potenziali clienti attraverso i social media piuttosto che con i metodi della pubblicità tradizionale. Emergono figure come il social media manager che ha come compito quello di massimizzare il contributo che la gestione di un profilo aziendale sui social media apporta al business aziendale (misurato con l’indice del ROI = Return On Investment ). La sua attività è finalizzata ad esempio a far crescere la presenza online, migliorare il reputation capital, creare engagement e fidelizzare il pubblico, secondo gli obiettivi delle diverse strategie di marketing. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 12 245 Carlo Infante - L'avvento dei social media 3. Il grande gioco dei social media Il grande gioco dei social media è nella personalizzazione dell’approccio con la rete, in cui si sta liberando il potenziale creativo più importante, la soggettività. È qui che emerge una delle condizioni più interessanti dell’esperienza creativa nel web: coniugare la dimensione più particolare, più “locale”, dell’espressione, come quella della scrittura di un diario su un social media, con la dimensione più pubblica, più globale, quella della rete delle reti, accessibile ovunque e da chiunque. Il fatto che, attraverso le reti, in particolari ambienti come i social media si possa sviluppare una scrittura immediata (meno mediata da sovrastrutture formali) e tesa a sollecitare partecipazione attiva e, ancor di più, scambio interumano ed empatia, proprio come in una conversazione, è da considerarsi come qualcosa che rende reale la potenzialità connettiva. In questa immediatezza della comunicazione on line c’è stata l'esperienza apripista di Twitter nel 2006 con i suoi 144 caratteri (ora diventati 280) che ha dato il via all’instant blogging, per poi essere seguito da altre modalità di micro blogging come quelle di Instagram nel 2012 e per altri aspetti, più video che testuali, di Tik Tok, social network cinese lanciato nel 2016, inizialmente col nome musical.ly. Gli utenti di questo particolare social network registrano brevissimi clip, che possono poi modificare variando la velocità di riproduzione, o applicando filtri ed effetti. Si stanno insomma delineando fattori che caratterizzano una nuova espressione culturale (accezione che dovremmo saper contemplare anche all'interno dei social media, facendo la tara delle banalità e del rumore) sempre più diffusa negli ambiti sociali che il web ha creato. Ciò sta dando forma e sostanza a questi nuovi modi della comunicazione digitale centrifugata nel mondo dei social media, riscattando il valore della comunicazione da un sistema già degradato dalla bulimia delle immagini televisive auto-referenziali, rilanciando il principio del “comunicare con”, rispetto a quel “comunicare a”, cui ci ha viziati il sistema dei mass-media. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 12 246 Carlo Infante - L'instant blogging Indice 1. IL BLOGGING COME SCRITTURA IMMEDIATA ..................................................................................... 3 2. IL MICROBLOGGING ............................................................................................................................ 5 3. SOCIAL FUNNEL..................................................................................................................................... 8 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 12 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 12 247 Carlo Infante - L'instant blogging 1. Il blogging come scrittura immediata I blog avevano aperto il varco sull’uso del web con una scrittura più immediata e meno mediata dalle sovrastrutture letterarie o giornalistiche. Trovava così luogo una scrittura prossima all’oralità, come la tecnologia degli SMS (Short Message Service) aveva già reso evidente, dal 1993, con l’avvento della rete mobile GSM (Global System for Mobile Communications). Questo standard di seconda generazione di telefonia mobile è stato sviluppato in Europa, ideato in Francia nel 1987 e poi messo a punto e commercializzato dai finlandesi della Nokia nel 1991. Il fatto di scrivere dei messaggi in 160 caratteri di testo affinò una particolare pratica di scrittura, sintetica e in alcuni casi, monitorati dall’Osservatorio Scrittura Mutante, poetica, come quelli dell’haiku, l’antico componimento poetico giapponese basato su tre versi. Il visual thinking dell’instant blogging, come quarta parete Tornando al blog come prima opportunità per pubblicare nel web senza mediazioni informatiche, istantaneamente, va rilevato che nel 2006, prima dell’avvento di Twitter, fu utilizzato durante le Olimpiadi invernali di Torino e altri eventi pubblici, come instant blogging, evidenziando le parole chiave che emergevano da alcuni talk. Una modalità decisamente artigiana ma sufficientemente efficace nell'esprimere una nuova funzione della scrittura associata ai processi cognitivi, quella della tag cloud live, la nuvola di parole chiave che esplicitavano, in una proiezione che avveniva in tempo reale, alle spalle dei relatori, la pertinenza delle tag-parole chiave su cui porre l’attenzione, mentre parlavano. Un’attività di visual thinking, ovvero la visualizzazione pubblica del pensiero in divenire durante delle sessioni di lavoro teorico. Una linea d’indirizzo che fu poi associata, l’anno dopo, all’uso di twitter in modo più organizzato, usando l’applicazione visibletweet che riaggregava i tweet attraverso gli hashtag, usando il carattere cancelletto # davanti a una parola. I tweet così Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 12 248 Carlo Infante - L'instant blogging selezionati orbitavano sullo schermo, colorati e dinamici, in una una sorta di quarta parete, per intendere la parete dei pareri, le opinioni degli utenti che rendevano pubblici e visibili a tutti, non solo in rete ma nel luogo dove si svolgevano gli incontri teorici, i loro commenti, realizzando un instant blogging di emblematico impatto. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 12 249 Carlo Infante - L'instant blogging 2. Il microblogging Il termine microblogging definisce una ibridazione tra blog e messaggistica istantanea, permettendo agli utenti di realizzare comunicazioni immediate da pubblicare online. Il blog è di fatto il format originario del microblogging in cui i contenuti sono più agili, sintetici rispetto al blog correntemente detto. È Twitter ad attuare questa opportunità nel 2006, creando una piattaforma di social media che si è evoluta con un microblogging basato su tweet di 144 caratteri (ora diventati 280), conquistando un'attenzione mondiale con il nuovo metodo di scambio di informazioni così breve e immediato. Il successo è dato dall’uso massiccio dello smartphone che prende piede in quegli anni, una comodità che permetteva di informare e informarsi tramite questi brevi messaggi compatti invece di scorrere a fatica i lunghi post dei blog. Il trend del microblogging si sviluppa dopo che si era stabilizzata l’ondata del web 2.0, quando i social media diventarono un mainstream della comunicazione on line, esprimendo lo zeitgeist, lo spirito del tempo, con i tempi giusti, sincronici. Il microblogging di Twitter diventa una sorta di agenzia stampa sintetica e pertinente che viene usata su scala mondiale dalla comunità scientifica e dagli opinionisti. L’efficacia del microblogging è data dal fatto di impiegare meno tempo per pubblicare contenuti, per cui si esercita l’arte della sintesi. Un tweet riguardo agli sviluppi politici o a un evento interessante è presto scritto: i follower si aspettano soltanto di ricevere il succo delle informazioni. Questo fatto di ridurre all’essenziale le opinioni contribuisce a superare certe modalità ostinate del tergiversare mentre si ragiona. Il dato più importante è comunque quello di coinvolgere gli utenti dei dispositivi mobili che nel corso di quegli anni usano il web sullo smartphone con non poca fatica. Il microblogging lo si può seguire per strada, nei momenti in cui l’utente non dispone di abbastanza tempo per poter leggere i post dettagliati di un blog. Per conquistare questa tipologia di utenti conviene arrivare Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 12 250 Carlo Infante - L'instant blogging subito al punto e condensare l’essenziale in un post breve e accattivante. Si pubblica di più in meno tempo. A differenza dei blog che contengono post di approfondimento, comportando un ritmo lento pubblicazione il microblogging lancia contributi brevi e più frequenti. Un fattore che ha un senso preciso quando si segue un evento dal vivo, un convegno, una gara, un fatto di cronaca. Tumblr e Instagram Queste peculiarità di microblogging sono state sviluppate anche da Tumblr (arrivato nel 2006) e, fondamentalmente per le foto, da Instagram che nasce nel 2010, con un'attenzione ancora maggiore all’usabilità semplice e veloce. C’era una parola che stava circolando tra la classe creativa (definizione che Richard Florida associa ai professionisti creativi iperconnessi) era una buzzword, una curiosa parola d’ordine : tumblelog. Si riferiva alla condensazione dei post. Se un blog è un diario, un tumblelog è un bloc notes di appunti sparsi. Tumblr nasce da qui, un’idea semplice che funziona. Tumblr si è indubbiamente ispirato a Twitter, ma ha molte meno limitazioni e dispone di più funzioni. Non c’è un numero massimo di caratteri da rispettare per quanto riguarda la lunghezza dei testi. Su Tumblr vale la regola per cui i post più amati contengono quasi sempre contenuti visivi aggiuntivi, come album di foto o GIF (Graphics Interchange Format) animate. Tumblr una volta assorbita da Yahoo nel 2013, entra in un perverso meccanismo finanziario per cui il branding sfuma, fino a diventare invisibile. Instagram ha preso in pieno la volata dei social media, dal 2010 si è evoluta fino a diventare una delle app più popolari e nel 2012 Facebook se la compra con un miliardo di dollari. Anche Instagram è una app Mobile che permette agli utenti di caricare contenuti visivi e condividere foto, editabili grazie a una grande varietà di filtri, così da creare l’immagine più seduttiva: con i filtri di Instagram è possibile rendere una foto non perfettamente illuminata un’immagine attraente. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 12 251 Carlo Infante - L'instant blogging Instagram è utilizzabile anche sul browser, ma offre solamente le funzioni di visualizzazione, like e commento. Per caricare le foto è indispensabile utilizzare l’app da un dispositivo mobile. Quello che è Instagram per gli scatti fotografici, lo è stato Vine per i video, almeno fino al 2016 fin quando Twitter (che l’aveva acquistata, appena varata, nel 2012) non annuncia la sua chiusura. Gli utenti di questa app elaborano e condividono clip brevissimi (6 secondi) tramite la piattaforma mobile. In Vine si può cogliere un possibile sviluppo potenziale di YouTube per la sua capacità duttile, veloce, pervasiva e virale. La sfida futura di questi social media è nel gioco di produzione di contenuti istantanei sempre più accattivanti, nel modo più semplice e veloce, intercettando così quelle nuove generazione che conoscono più il mobile che il web, quali sono quelle che si stanno buttando su Tik Tok. TikTok TikTok, nasce in Cina nel 2016 più come microblogging che social network, prima col nome musical.ly ma è l’altro termine molto più ludico, TikTok, che rende bene la modalità istantanea di questa applicazione, e così s’impone. Gli utenti possono creare brevissimi clip musicali di durata variabile (da 15 secondi fino a 60) e modificarne la velocità di riproduzione, con filtri ed effetti particolari. Si possono aggiungere canzoni, suoni o voci da doppiare come in un karaoke. È possibile creare anche filmati più brevi, chiamati momenti live, che sono essenzialmente GIF animate con musica di sottofondo. L'applicazione mobile TikTok, con un'opzione dedicata, permette di registrare un audio anche mentre il clip viene visualizzato sullo smartphone. TikTok utilizza un algoritmo di intelligenza artificiale per analizzare le preferenze manifestate dagli utenti connessi in modo tale da poter personalizzare singolarmente i contenuti. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 12 252 Carlo Infante - L'instant blogging 3. Social funnel La moltitudine di applicazioni, più o meno fortunate, si sovrappongono e spesso vengono implementate in nuove piattaforme, perdendo totalmente i riferimenti a quel loro brand che permette di riconoscerle, e ciò di conseguenza permette di ri-progettarne l’utilizzo con la creatività di utenti attivi, pronti ad essere prosumer. In questo scenario fertile dell’instant blogging, configurato sapientemente per l’utenza da mobile, le major digitali cosa stanno facendo? Oltre che far tesoro di gran parte delle esperienze che hanno fertilizzato questo campo d’azione del mobile blogging. Nel 2016 Google ha avviato le Accelerated Mobile Pages e Facebook gli Instant Articles, sistemi sia per accedere alle notizie su mobile sia per pubblicarle, con il minimo del tempo, questione di secondi. I progetti dei due colossi del web nascono per risolvere una questione già impostata dall’instant blogging: gli utenti su mobile non hanno pazienza. Se una pagina non si apre velocemente, il 74% degli utenti abbandona la navigazione. Google e Facebook hanno così realizzato, ciascuno a suo modo, una soluzione che ha migliorato l’esperienza e la fruizione dei contenuti su smartphone . Il progetto di Google è stato lanciato inizialmente in collaborazione con un gruppo di editori, tra cui The New York Times, The Guardian e il gruppo Condé Nast. È un sistema open source di codici ottimizzati per l’apertura istantanea delle pagine web. Gradualmente Accelerated Mobile Pages andrà a ripulire dalle pagine gli elementi in HTML, CSS (Cascading Style Sheets) e JavaScript, responsabili secondo Google del rallentamento di molti siti. Chi utilizzerà AMP migliorerà le performance della propria pagina web dal 15% all’85%. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 12 253 Carlo Infante - L'instant blogging Con gli Instant Articles di Facebook la velocità si fa social. Si tratta di un nuovo formato di pubblicazione degli articoli su Facebook, che ne consente l’immediato caricamento anche da cellulare. Oltre alla velocità, i vantaggi per chi pubblica con Instant Article sono anche nella multimedialità dei formati: possono essere inserite foto, video in auto-play, file audio e mappe. Questi contenuti multimediali possono essere condivisi singolarmente dagli utenti ed acquisire una diffusione autonoma rispetto all’articolo originario, moltiplicando gli elementi di visibilità. Dai primi dati, gli Instant Article sembrano piacere agli utenti, visto che hanno registrato nei primi mesi di sperimentazione un tasso di condivisione tre volte maggiore rispetto agli articoli tradizionali. Concludiamo con una considerazione che contestualizza i vari aspetti dell'instant blogging, a partire dal fatto che la diffusione dei device mobile su larga scala ha cambiato radicalmente lo scenario che si era strutturato inizialmente per la navigazione web da computer. Nella condizione mobile gli utenti esercitano una user experience sempre più veloce, hanno imparato a muoversi agilmente tra gli spazi digitali, passando dal web ai social media e viceversa con pochi clic. Questa evoluzione mobile ha creato un mix di opportunità tra rete e spazi fisici, visto che ci si connette in movimento in giro per la città, per cui gli eventi dal vivo diventano opportunità per produrre contenuti istantanei in un contesto di aggregazione reale. Con i social media esercitati con le pratiche di instant blogging la condivisione dell'esperienza vissuta in un evento diventa sempre più performante. Su questo s’innesta il Social Instant eCommerce che sfrutta efficacemente questa nuova abitudine degli utenti connessi con questo spirito istantaneo, seguendo le conversazioni social che si generano durante gli eventi, come le sfilate di moda, valorizzando così l'attività degli influencer che rilanciano contenuti associati ai brand in modo immediato. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 12 254 Carlo Infante - L'instant blogging L’aver reso fruibili al grande pubblico eventi emblematici come le sfilate di moda, che fino a poco tempo fa erano ristrette ai soli addetti ai lavori o a personaggi pubblici, ha reso tutto il settore commerciale del fashion molto più consumer oriented. Un passaggio ulteriore a questa ricognizione teorica sull’instant blogging può essere quello di creare una strategia omnichannel concentrata su alcune precise strategie di comunicazione di un brand (commerciale o culturale che sia) non più dispersa tra diversi canali (tra più siti web e la molteplicità dei social media), che accompagni l’utente in ciò che oggi viene definito il social funnel. Il funnel (letteralmente, imbuto) fornisce una metafora semplice quanto efficace per rappresentare gli stadi di avanzamento del processo di comunicazione omnichannel. L’utente, partendo da un elevato numero di sollecitazioni istantanee associate a un brand o a un progetto a cui è interessato, procede a una selezione dei vari aspetti che più lo riguardano, con l’obiettivo di arrivare al suo coinvolgimento effettivo. La dinamica immediata e continua di stimoli informativi, attraenti e intriganti, determina la qualità dell’engagement per cui l'adesione al processo di comunicazione, dettato dalle strategie di marketing connesse sia a una filiera commerciale sia ad un contesto culturale (un museo, un concerto, un festival) diventa una sorta di avventura che viene spesso definita customer journey. Il customer journey (il viaggio del consumatore) è un termine che deriva dal campo del marketing per indicare il percorso e i punti di contatto tra un utente e un brand, prodotto commerciale o servizio culturale che sia. Ciò concerne i diversi momenti di interazione diretta tra utente e processo di comunicazione, nell’articolazione della strategia omnichannel (integrando social media, web e altri canali di comunicazione, dai giornali alla radio-tv). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 12 255 Carlo Infante - L'instant blogging Il fatto di gratificare l’utente è l’obiettivo più importante di questo “viaggio” vissuto con un ritmo serrato, intelligente e divertente, dove l’utente è connesso, all'interno di un’avventura cognitiva che rasenta forme di gamification. Un processo che prevede l’implementazione di alcune dinamiche di gioco, principio dei più efficaci per coinvolgere le persone nelle attività on line, e orientarle al consumo di prodotti e servizi commerciali o culturali. Quell’approccio ludico si fonda sul fatto di mettersi in gioco, all'interno di un processo proattivo scandito da un veloce ritmo di input e output immediati che vedono l’utente protagonista anche se è un cliente. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 12 256 Carlo Infante - Disintermediazione Indice 1. AUTORI ED EDITORI DI SÉ STESSI ........................................................................................................... 3 2. I MARKETPLACE ON LINE ...................................................................................................................... 6 3. LA SHARING ECONOMY....................................................................................................................... 8 4. LA DISINTERMEDIAZIONE FA RISPARMIARE ....................................................................................... 11 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 14 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 14 257 Carlo Infante - Disintermediazione 1. Autori ed editori di sé stessi Una delle peculiarità del web 2.0, a partire dall’esperienza apripista dei blog è nell’aver avviato un approccio che è passato alla storia come disintermediazione, smarcandosi anche dal webmaster per pubblicare una pagina web. Prima di allora serviva ai più una mediazione tecnica per gestire la pubblicazione on line, questa richiedeva infatti la conoscenza del linguaggio HTML per la creazione delle pagine web. Con il web 2.0 si è creata una condizione abilitante fenomenale, si poteva essere non solo autori di sé stessi, liberando il proprio potenziale soggettivo nella scrittura on line, ma anche editori di sé stessi, il che comportava un’ulteriore disintermediazione dalla figura molto verticale dell'editore. È questa opportunità che ha diffuso una sensibilità di forte autonomia creativa, meglio ancora indipendenza, che ha permesso a milioni di utenti di pubblicare il proprio blog, agendo direttamente e pubblicamente le proprie opinioni nonché inventando anche nuove forme d'impresa. È emblematico come la mutazione dei linguaggi, attraverso l’evoluzione tecnologica, possa scatenare un processo di emancipazione come quello della disintermediazione che nell’arco di pochi anni ha ridisegnato molti assetti professionali e produttivi. Pensate solo a come abbia relativizzato il ruolo del giornalismo, a come abbia sancito l’estinzione della specie degli agenti di viaggio, a come abbia promosso il relativo superamento delle forme della mediazione politica, a come, ancora, abbia fatto quasi scomparire i negozi di dischi per via dello streaming musicale, riconsiderato la dominanza della lobby dei tassisti con la scesa in campo di realtà come Uber e molte filiere distributive delle merci con l’espansione esponenziale di Amazon. Tutto è nato con l’ambientazione in un nuovo contesto, come quello espresso da Internet in cui non solo si legge, si agisce, si pubblica, si disintermedia. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 14 258 Carlo Infante - Disintermediazione La rappresentazione si è mangiata la rappresentanza Questa trasformazione radicale dettata dai processi digitali ha quindi ridefinito il concetto di sfera pubblica, sempre più connotata dal flusso informativo, per cui il termine infosfera può ben definire l’intero assetto della Società dell’Informazione a partire dalle diverse espressioni di governance. Il web 2.0 ha aperto le porte ai modelli di disintermediazione, dando la possibilità a tutti di pubblicare informazioni in rete, un fatto che sembra scontato oggi, ma non lo era vent’anni fa. Oggi chiunque su un social media può far circolare notizie, una volta, prima dell’avvento dei blog, per pubblicare qualcosa serviva quantomeno un editing telematico, c’era un preciso filtro professionalizzante. Eppure questa cultura della disintermediazione ha delle condizioni preliminari da individuare, come una certa politica economica finanziaria che già negli anni Ottanta stava modificando la cultura delle banche, creando una certa delegittimazione dei corpi intermedi dei sistemi economici. Si stava imponendo una finanziarizzazione dell'economia, un processo che tendeva a minare il modello dell’economia reale basato sulla produzione manifatturiera. La disintermediazione stava già allora creando situazioni difformi, sulla base di modelli di riferimento contrapposti, anche in relazione alla politica e alle attività sindacali, nel reclutamento dei quadri e della loro immissione nei ruoli di rappresentanza, che progressivamente si riferivano più ai processi di comunicazione che a quelli storici della produzione industriale. Da qui la battuta efficace di Stefano Rolando, professore di “Teoria e tecniche della comunicazione pubblica” alla Facoltà di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo dell’Università IULM di Milano: “la rappresentazione si è mangiata la rappresentanza”. La rappresentanza come espressione dei corpi intermedi della governance, in partiti e sindacati, e la rappresentazione, come risultante dell’impatto sui media, hanno così raggiunto una confusione dei ruoli. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 14 259 Carlo Infante - Disintermediazione La discontinuità gira attorno alla nozione di “democrazia liberale” basata sul ruolo dei contrappesi, delle dinamiche di controllo e di garanzia (nelle architetture istituzionali, nel rapporto tra politica e centri di interessi e nel rapporto tra potere politico e potere mediatico, eccetera). Con la disintermediazione si è reimpostata l’architettura dei contrappesi favorendo dinamiche partecipative di “democrazia diretta”. La rappresentazione della politica aveva già avuto segnali durante gli ultimi anni della prima Repubblica, negli anni Ottanta. La personalizzazione comunicativa e la leaderizzazione avevano trasformato i partiti, che da corpi intermedi socialmente radicati, con comitati elettorali ancorati ai territori, stavano decisamente cambiando. La rappresentazione della politica, iniziata con l’intuizione comunicativa di John Kennedy della piazza televisiva, si stava sviluppando velocemente. Si attivò un lungo dibattito, con sollecitazioni importanti di Karl Popper e Giovanni Sartori, a proposito di influenze e rischi della tv in relazione al processo democratico. Negli ultimi dieci anni la piazza digitale della rete ha conquistato uno spazio crescente che fa parlare ora di net-attivismo come principale leva della partecipazione politica. Con la campagna elettorale di Barack Obama nel 2008 l’equilibrio nelle dinamiche partecipative passa nettamente dal baricentro televisivo all’uso strategico del web. La disintermediazione ha un design evidente: l’orizzontalità. Ed era da molto tempo che i processi verticali della rappresentanza politica perdevano quota. Con il successo elettorale di un movimento nato dentro questa filosofia (M5S primo partito nel 2018) questa nuova sensibilità fondata sulla disintermediazione viene espressa ora da una forza di maggioranza parlamentare e di governo. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 14 260 Carlo Infante - Disintermediazione 2. I marketplace on line Con la diffusione della compravendita on line la disintermediazione si è progressivamente estesa sempre più, investendo tantissimi comparti produttivi, scardinando delle filiere, saltando a piè pari intere schiere di intermediari commerciali. I venditori dei marketplace digitali come Amazon, per citare il più grande di tutti, creano piattaforme in cui mettono in contatto direttamente acquirente e venditori, eliminando quasi completamente le figure degli intermediari tradizionali, in una sorta di selezione darwiniana. Non è il più forte della specie a sopravvivere, non il più intelligente, ma solo quello che è in grado di cambiare più velocemente Charles Darwin Il successo di società come Amazon, eBay, E-trade e molte altre, ha dato il via al fenomeno della disintermediazione commerciale. La consegna diretta di prodotti e servizi ha messo in crisi molti produttori e rivenditori e più che altro i distributori. Le trasformazioni nel campo degli acquisti e dei consumi hanno dato vita a numerose realtà del web che applicano i principi e i meccanismi della disintermediazione: da Spotify a Airbnb, da Uber ai recenti fenomeni del car sharing. Non è certo semplice raggiungere una definizione univoca che aiuti a comprendere la vera natura dei processi della disintermediazione, che ha ormai raggiunto molti campi di applicazione. Nell'ambito commerciale si segnala il successo globale di Amazon, nato nel campo editoriale, ha cambiato radicalmente le regole gioco del sistema, diventando qualcosa di molto più importante di un immenso negozio online. Non è solo un punto di riferimento per trovare libri e ogni altro oggetto ma è soprattutto una Società di servizi, una multinazionale innovativa che detta legge nel mondo del retail, il sistema della vendita al dettaglio. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 14 261 Carlo Infante - Disintermediazione È diventata di fatto la più importante società di logistica avanzata del mondo. Ed è in quest’ultima specificità che si annida il segreto del suo successo. Nei primi nove mesi del 2019 il fatturato di Amazon ha toccato quota 193,1 miliardi (dai 160,5 a settembre 2018), e l’utile è salito a 8,3 miliardi da 7. Sono gli incredibili numeri di Amazon, a 25 anni dal 1994, giorno in cui tutto ebbe inizio in un garage di Seattle. Jeff Bezos, un visionario ex gestore di fondi di investimento finanziario che aveva lasciato il suo lavoro a New York per inseguire il sogno di creare il più grande negozio online di libri, ha creato un impero fondato sul principio della disintermediazione, diventando super-editore, distributore e gestore di una logistica inimmaginabile fino a qualche anno fa. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 14 262 Carlo Infante - Disintermediazione 3. La sharing economy C’è insomma una condizione basata sulla disintermediazione che si sta generalizzando sia nella ricerca continua di nuovi modelli di business sia in forme di innovazione sociale che adottano soluzioni di sharing economy. È stato usato anche il termine di uberizzazione per definire un fenomeno sociale di portata globale, tale da influenzare scelte di politica nazionale e sovranazionale, relative al tema del lavoro. Nel 2015 l’ex ministro del lavoro e delle politiche sociali (nei governi Renzi e Gentiloni) Giuliano Poletti, in un convegno alla Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli (LUISS), dichiarò: “Dovremmo immaginare contratti che non abbiano come unico riferimento l’oralavoro. L’ora di lavoro a fronte dei cambiamenti tecnologici è un attrezzo vecchio”. Una netta dichiarazione di intenti, da parte di un ministro del lavoro. L’idea di definire e quantificare la prestazione lavorativa in base al risultato, alla richiesta del consumatore-cliente, è stata introdotta partendo dal principio della disintermediazione: eliminando intermediari, con l’intento di ottimizzare la realizzazione del servizio. È stato questo l’aspetto che caratterizzò Uber: rispondere alla necessità di spostarsi da un punto A ad un punto B. Uber è un'azienda californiana nata nel 2009 che fornisce servizi di trasporto automobilistico privato attraverso un'applicazione mobile e web, che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti, tenendo traccia in tempo reale della posizione dell'auto prenotata. In Italia Uber operava dal 2013 e dopo varie controversie legali, date dall’arretratezza normativa in materia di sharing economy e dal corporativismo della lobby dei tassisti, attualmente è disponibile solo il servizio UberBlack, le auto di lusso. La convinzione di essere finalmente artefici del proprio destino professionale, di essere tutti potenziali imprenditori di sé stessi, è il volano di un nuovo sistema economico che in realtà ha Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 14 263 Carlo Infante - Disintermediazione come primo risultato quello di molecolizzare l’attività lavorativa, dinamicizzarla rendendola liquida e abbattere costi e massimizzare profitti. Ormai il concetto di uberizzazione è diventato mediaticamente abbastanza diffuso, abbracciando fattispecie anche diverse tra loro, ma riconducibili tutte a questo nuovo paradigma di lavoro liquido, più rivolto all’ottenimento di un risultato che al classico rapporto tempo/lavoro che determina poi anche il salario. Le contraddizioni ci sono tutte e per interpretarle serve una governance politica che sappia discernere la sharing economy, che è un fenomeno virtuoso, dalla gig economy, che invece rappresenta una nuova forma di sfruttamento del lavoro precario. La chiamano in quel modo perché di fatto è un'economia dei lavoretti da tempo libero. Molti autisti Uber lavorano meno di 10 ore alla settimana e molti lo fanno solo occasionalmente, per integrare un altro salario, per potersi permettere un acquisto o per affrontare una spesa imprevista. I fattorini di consegne a domicilio per aziende come Glovo, Foodora, Deliveroo o la stessa Uber (spesso utilizzata come corriere) sono esempi emblematici di gig economy. Il punto sta nel ripensare l'organizzazione del lavoro, interpretando questo crescendo di esperienze di disintermediazione, perché venga messo sotto osservazione per inquadrare in modo equo, funzionale e sostenibile sia aziende innovative sia lavoratori disposti a tutto, anche a farsi sfruttare. Va comunque evidenziata la distanza tra quelle forme precarie e abusate del lavoro, e la dimensione più etica e collaborativa della migliore sharing economy, visto che è un concetto molto più vasto, teso a socializzare e condividere competenze, conoscenze, addirittura beni immobili (come nel caso di Airbnb). Il termine sharing economy sottende economia collaborativa per cui gli aspetti più qualificanti di questo modello sono quelli dello scambio peer-to-peer abilitato da piattaforme web o mobile per la condivisione commerciale o non commerciale di beni sottoutilizzati e capacità di servizio, attraverso un intermediario, senza trasferimento di proprietà. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 14 264 Carlo Infante - Disintermediazione AirBnb è considerata una delle più diffuse applicazioni della sharing economy, di cui esistono anche tantissime altre espressioni, come il car sharing (e il bike sharing) e, per altri versi, il car pooling, una modalità di trasporto che permette la condivisione di automobili private tra gruppi di persone, per ridurre i costi del trasporto, in un'operazione virtuosa di mobilità sostenibile. Nell’ambito della sharing economy possono rientrare esperienze di lavoro condiviso come il coworking, che rappresenta un nuovo approccio al lavoro basato sulla condivisione di un ambiente operativo e di risorse funzionali (connessioni internet, stampanti 3D, videoproiettori…), tra diversi professionisti che, oltre a condividere uno spazio, possono arrivare co-creare in progetti comuni. In questo contesto di riflessione può rientrare anche un fenomeno che riguarda la ricerca di finanziamenti: il crowdfunding. Si tratta di piattaforme web per il microfinanziamento dal basso (tra i più noti c’è kickstarter e in Italia produzionidalbasso) che permettono ai fundraiser (i cercatori di fondi) di impostare le campagne con diversi criteri. Uno di questi criteri è il reward based, per cui la raccolta fondi, a fronte della donazione, prevede ricompense come l’invito alla mostra che è oggetto del finanziamento, o il ringraziamento pubblico. Un altro è il donation based, il modello esercitato dalle organizzazioni no profit per finanziare iniziative senza scopo di lucro. Altri ancora sono: il lending based (articolato per microprestiti), l’equity based (dove al finanziatore viene offerta una quota del capitale sociale dell’impresa, di cui diventa socio a tutti gli effetti), l’ibrido (basato su più modalità di finanziamento). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 14 265 Carlo Infante - Disintermediazione 4. La disintermediazione fa risparmiare Il Dodicesimo Rapporto CENSIS uscito nel 2015 dedicato proprio al fenomeno della disintermediazione digitale in Italia, sostiene che, nonostante la crisi finanziaria ed economica che ha colpito il Paese, si è assistito a un boom di smartphone e connessioni mobili. Un investimento per risparmiare. Ciò è avvenuto proprio grazie al potere di disintermediazione garantito dai media digitali connessi in rete che ha significato per gli Italiani, un risparmio netto finale nel loro bilancio personale e familiare. Usare internet per informarsi, per prenotare viaggi e vacanze, per acquistare beni e servizi, per guardare film o seguire partite di calcio, per entrare in contatto con le amministrazioni pubbliche o svolgere operazioni bancarie, ha significato spendere meno soldi, o anche solo sprecare meno tempo: in ogni caso, guadagnare qualcosa. Gli utenti italiani si servono sempre di più di piattaforme telematiche e di provider che consentono loro di superare le mediazioni. Si sta sviluppando così una economia della disintermediazione digitale che sposta la creazione di valore da filiere produttive e occupazionali tradizionali a quelle di nuovi settori in cui lo stesso utente gioca spesso un ruolo attivo, come in alcune esperienze di sharing economy. Gli ambiti maggiori colpiti dai processi di disintermediazione riguardano: il settore viaggi e vacanze, l’acquisto di prodotti sul web, l’informazione e fruizione di contenuti culturali. La disintermediazione coinvolge in maniera preponderante le fasce più giovani di età e impatta non solo sui consumi ma anche fortemente sugli stili di vita. Un aspetto emblematico è la personalizzazione dei palinsesti televisivi generalisti, grazie alla possibilità di costruirsi una propria programmazione tra siti online delle emittenti tv, YouTube, streaming e download più o meno legale dei programmi. Ancora più netta l’evoluzione dei comportamenti con la dimensione radiofonica e musicale, grazie alla moltiplicazione dei flussi radiofonici su più canali grazie alla diffusione del cosiddetto "modello Spotify", che ha sostituito alle radio le playlist musicali. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 14 266 Carlo Infante - Disintermediazione L’attenzione verso la molteplicità delle fonti di informazione, vede i più giovani attratti dal social media Instagram mentre i più adulti scelgono Facebook, domina comunque su tutti Google anche grazie a YouTube. Verso la blockchain, la nuova rete del valore La disintermediazione alla fine dei conti sarà uno dei fattori chiave dei nuovi modelli economici che si stanno delineando. Già prima si era fatto un riferimento a come, a monte della disintermediazione avviata con la rivoluzione del web 2.0 nei primi anni del XXI secolo, ci fossero dei sommovimenti già negli anni Ottanta attraverso la cosiddetta finanziarizzazione dell'economia. Ecco ora si sta per prospettare il salto di qualità decisivo. Già si parla di banca disintermediata, per cui il processo della disintermediazione trainato dalle nuove tecnologie tende a superare il modello bancocentrico per orientarsi verso imprese FinTech che garantiscono ai propri utenti la possibilità di usufruire di servizi di pagamento, finanziamento, e consulenza, assistendoli anche negli acquisti online. Il sistema bancario deve accelerare il processo di trasformazione digitale per non farsi trovare impreparato: è necessario approfittare delle opportunità offerte da nuove tecnologie come la blockchain per proporre nuovi servizi di valore. Banche e assicurazioni possono così rispondere alle sfide della trasformazione digitale mettendo l’innovazione al centro delle strategie superando il ritardo italiano nell’approccio all’innovazione, reso tale dalla scarsa educazione finanziaria e dalla diffidenza verso la rivoluzione digitale nel suo complesso. Una rete blockchain è come una banca di dati pubblica che invece di essere gestita centralmente da un’unica entità è contemporaneamente “tenuta” da una pluralità di soggetti (nodi), ossia computer collegati tra loro all’interno di una rete peer-to-peer. Più specificamente, all’interno di questa banca di dati (o meglio registro digitale) le operazioni registrate e gestite – che possono andare dal trasferimento di una criptovaluta alla compravendita di un bene immobiliare – costituiscono ciascuna un “blocco”. Nello specifico, i blocchi possono essere Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 14 267 Carlo Infante - Disintermediazione considerati informazione in versione digitale; ciascun blocco contiene infatti sia una serie di informazioni relative alla transazione che si registra e alle parti coinvolte, sia una serie di elementi, denominati “hash” e “timestamp”, che rendono il blocco unico. Ci stiamo predisponendo a un salto di dimensione ancora più netto, come nella rete blockchain dove il valore orbita su canali sempre più incogniti. Siamo già disintermediati, abbiamo imparato a muoverci in autonomia, siamo pronti per il nuovo salto di qualità? Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 13 di 14 268 Carlo Infante - L'edutainment Indice 1. IMPARARE GIOCANDO ........................................................................................................................ 3 2. LO STUPORE INFANTILE ......................................................................................................................... 5 3. IL PIACERE DELLA FUNZIONE ................................................................................................................ 8 4. IMPARARE A IMPARARE...................................................................................................................... 14 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 16 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 16 269 Carlo Infante - L'edutainment 1. Imparare giocando Il termine edutainment è stato usato dal colosso editoriale della Walt Disney negli anni Cinquanta ma è con Bob Heyman, trattando di alcuni documentari che stava realizzando per il National Geographic negli anni Settanta, che inizia ad essere utilizzato per indicare le forme ludiche dei processi educativi. In questi anni si è connotato anche come definizione di generi editoriali, sempre più connotati come prodotti ipermediali ma non solo e fondamentalmente come strategie d’impresa innovativa che stanno reinventando il format dei Parchi Tematici, sempre più orientati verso le tecnologie digitali. Un fenomeno diffuso in cui l’edutainment riguarda grandi impianti di spettacolarizzazione tesi a creare impatti, spesso semplicistici, per la divulgazione culturale o scientifica. Proprio su questi aspetti Zigmund Bauman, il teorico della postmoderna società liquida, è intervenuto più volte, ponendo un monito sul rischio di banalizzazione. Non dimentichiamo poi che c’è un antico motto latino ludendo docere che ci conferma che si può insegnare, e apprendere, divertendosi. È evidente che va trovata una misura, per niente scontata. Il concetto edutainment è stato speso anche nell'ambito dell'e-learning, intuendo che il fatto stesso di ambientarsi in un nuovo spazio-tempo come quello digitale stava inducendo a comportamenti inusuali, non convenzionali, intimamente ludici. Questo approccio può essere ben utilizzato nella molteplicità dei percorsi formativi semplicemente perché è più efficace. Uno di questi comportamenti inusuali adottati all'interno dell'ambiente digitale è quello della metamorfosi identitaria come avviene nei giochi di ruolo e che in rete arriva ad attuarsi anche con l'utilizzo di avatar, quelle “maschere” che sono ormai usuali, diffuse dagli anni Novanta con l'avvento del virtuale. Questo particolare aspetto può favorire il cosiddetto “decentramento identitario” adottato da molte strategie educative, come ad esempio quello dell'educazione interculturale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 16 270 Carlo Infante - L'edutainment La via ludica all'apprendimento non è quindi orientata verso l'acquisizione di nozioni ma rappresenta un buon modo per comprendere il mondo, in quanto il gioco esprime, filogeneticamente, proprio questa funzione: attraverso il gioco si scopre la realtà, procedendo flessibilmente per tentativi. Ciò non riguarda solo i più piccoli che sanno bene che il gioco è la forma migliore per attraversare il mondo che li circonda, ma riguarda tutti, in particolar modo coloro che nei percorsi formativi entrano in relazione con le nuove condizioni del digitale che impongono una sperimentazione continua di nuove abilità. L'edutainment è la metodologia più indicata per fare dell'apprendimento una palestra percettiva e cognitiva, in una società in transizione che sempre di più ci porrà di fronte a situazioni incognite che sarà opportuno affrontare con approcci ludici e proattivi. In stretta connessione con l'edutainment c'è il fenomeno della gamification che rappresenta di fatto una ludicizzazione di molti processi di innovazione culturale, da quelli più orientati verso l'engagement in relazione ai beni culturali a quelli formativi, quelli di coinvolgimento della cittadinanza attiva e quelli connessi al changemaking per cui la co-progettazione multistakeholder predispone a gestire il turbinio dei cambiamenti. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 16 271 Carlo Infante - L'edutainment 2. Lo stupore infantile Chiunque si sia occupato di pedagogia lo sa, eppure il mondo della scuola se lo dimentica. Il gioco è il fulcro dei processi di apprendimento più efficaci. È quindi opportuno indagare, con maggiore approfondimento, alcuni aspetti chiave rispetto a quel mondo dell'infanzia che sta a monte di tutti i ragionamenti sui processi educativi. C'è una data particolarmente significativa per definire l'ambito dell'infanzia: è il 1833, in Inghilterra, quando Robert Owen licenziò tutta la forza lavoro sotto i nove anni di una delle prime fabbriche della rivoluzione industriale. È da questa data che viene riconosciuto un mondo infantile, preadolescenziale, verso cui la Società, e non più solo la responsabilità privata della famiglia, si impegna a riconoscere i diritti, quelli formativi in primo luogo. La scuola oggi, in una società urbanizzata che ha perso valori tradizionali e appartenenze culturali, dovrebbe essere la comunità a cui rivolgersi per compensare le carenze di sviluppo emozionale dei ragazzi. Visto che tutti i bambini vanno a scuola, questo dovrebbe essere il luogo in cui accanto all'alfabetizzazione cognitiva possa trovar luogo anche quella sensoriale ed emozionale, come suggerisce Daniel Goleman nel trattare di intelligenza emotiva. Certo è che presidi ed insegnanti devono andare oltre il curriculum didattico, impostando la missione educativa sul valore intrinseco della comunicazione, la relazione interpersonale e la condivisione. Attraverso il gioco e la dimensione creativa e partecipativa dell'interattività multimediale (ma perché qualcuno ancora si arrocca sull’idea che il multimediale sia solipsistico e solitario?) si potrà addirittura ritornare alla funzione classica dell’educazione: quella dell'ascolto e della partecipazione. In questo quadro si trova il valore del principio ludico nel processo educativo, inteso come motore di risorsa umana, nell'attivazione della disponibilità, condizione portante di quell'esperienza cooperativa che dovrebbe rappresentare l'educazione. E, ancora di più, nel sollecitare una sensorialità viva e coinvolta. In questa riscoperta di stupore infantile si può rilevare la qualità Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 16 272 Carlo Infante - L'edutainment creativa da trasmettere come modello generativo di apprendimento. Una qualità che può essere determinante per l'adulto per capire cosa si intende per flessibilità nel nuovo ambientamento e nella riconfigurazione degli assetti percettivi conseguenti. Non si può più stare a bambolizzare il bambino che è già cucciolo di per sé, e proprio per questo ancora ricco di potenziale, quello della disponibilità a scoprire. Lo si può prendere come trainer, seguendolo, giocando con lui e imparando da lui a tirar fuori quella disponibilità che non sappiamo neanche di possedere più. In questa risorsa creativa c'è una delle chiavi di volta per la nostra evoluzione, quella per cui giocare è “fare mondi". È una potenzialità chiave proprio in questa fase, nell'arco di un passaggio epocale in cui le tecnologie della comunicazione stanno cambiando il nostro ritmo evolutivo. La riscoperta della disponibilità creativa non va quindi intesa come bambinizzazione, anche se in alcuni casi, come quelli della scuola rigidamente curricolare, un po’ di bambinizzazione non può fare che bene, come suggerì tempo fa Roberto Maragliano a proposito dell'uso ludico della multimedialità a scuola. È per questo che l'approccio dell'edutainment rappresenta quel valore che fa in modo che la tensione educativa possa tirar fuori la risorsa: mettersi in gioco. Non s'insegna qualche cosa se non si aiuta la persona a scoprirla dentro di sé. Ricordiamoci che il teatro, una delle prime tecnologie efficaci per l'apprendimento collettivo, prende forma solo dentro la visione dello spettatore (lo dice la parola stessa theatron = luogo dello sguardo). Il play teatrale opera sulla canalizzazione dell'energia performativa di chi ricrea situazioni e stati d'animo, attraverso una simulazione che "doppia" la vita, alimentando quindi una complessità esteriore, organizzata in rappresentazione, e una coscienza interiore che dallo sguardo si fa riflessione e visione. Nel gioco infantile, quello fondato sulle più semplici simulazioni, questo principio di transfert teatrale è fortissimo. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 16 273 Carlo Infante - L'edutainment "…Il bambino, si trasfigura completamente nell'essere che rappresenta, così egli è anche buon spettatore che può spaventarsi orribilmente per il ruggito di ciò che egli tuttavia sa non essere un leone vero" Johan Huizinga in "Homo Ludens" In questo gioco di simulazione c'è un mistero e una verità. Il mistero è in ciò che potrebbe essere definito "pensiero magico", la verità è nell'emozione profonda che vive il nostro corpo pervaso da stati d'animo simili. Quando si parla di pensiero magico non c'è bisogno di risalire a chissà quale ricerca antropologica su chissà quale popolo lontano e primitivo, riguarda la nostra infanzia e anche, probabilmente, la vita di un nostro nonno cresciuto in una civiltà senza energia elettrica, dove il buio quotidiano era realmente un problema. In questo senso i giochi, il teatro, le simulazioni svolgevano una funzione sociale importantissima perché esorcizzavano i timori collettivi, cercando di ricondurre la carica fobica delle paure ancestrali ad un valore simbolico, ad una rappresentazione che così sottraeva alla paura dell'incognito lo spazio per compiersi. L'immaginazione e il terrore nascono infatti da stimoli psichici primordiali, radicati nell'evoluzione biologica dei primati, che noi, ancora oggi, alimentiamo con la nostra produzione culturale. Basti pensare alla fortuna di tanto cinema horror. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 16 274 Carlo Infante - L'edutainment 3. Il piacere della funzione Quando si gioca, e i più piccoli ce lo ricordano sempre, si tende ad essere pervasi da un senso di esuberanza che ci fa esprimere gioia: quella per le cose che si fanno, solo per il fatto di farle. Quel fare può essere fisico ma anche teorico o immaginario, elaborando con la mente soluzioni fantastiche. In entrambi i casi scatta una profonda soddisfazione che può essere definita come piacere della funzione: il piacere di percepire il nostro corpo e la nostra mente attivi in una serie di esperienze che ci danno la conferma del nostro funzionamento. È un'emozione sottile ma precisa che avrete vissuto tante volte e che recentemente è possibile provare anche quando si entra in relazione con quegli ambienti digitali, ipermediali e interconnessi, in cui si è spesso sollecitati ad uscire fuori dagli schemi preordinati, anche solo per ambientarsi. Stare nel gioco, ovvero nello spazio-tempo in cui agire, in una galassia iperuranica o su una scrivania digitale domestica. Stare nel gioco e interrogarci se è più interessante la flessibile creatività del play o l'agonismo seriale del game. Domandandoci se è un gioco per giocare o un gioco per vincere? È importante cogliere questa differenza tra play e game, tra il giocare e il gareggiare, tra il gioco libero e quello formalizzato in senso competitivo, fino a riflettere su come lo sport spesso faccia perdere di vista la dimensione ludica più basilare. Quella della condivisione. Eppure la parola game nella sua etimologia sassone, deriva da gaman che significa “amicizia, compagnia”. Seguendo questa pista etimologica troviamo che competenza e competizione hanno lo stesso etimo latino: “competere” per cui s’intende “cercare di ottenere qualcosa insieme con qualcuno”. E aggiungiamo, estremizzando il discorso, “con qualcosa”. Ci riferiamo alla relazione con computer e console per videogame che attraverso il gioco ci avviano a cercare di ottenere qualcosa con qualcos'altro: con una macchina digitale che si pone come un'estesa protesi, fisica e cognitiva, con cui interagire. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 16 275 Carlo Infante - L'edutainment Da qui è possibile impostare un ragionamento che riguarda la nostra competizione interna, ovvero quella che si scatena dentro di noi, tra le diverse espressioni della nostra personalità secondo i feedback che riceviamo dall’esterno. Quello che in fondo cerchiamo nel gioco è la padronanza di noi stessi, dall'impulso di piacere della semplice funzione dell’agire fino ai risultati progressivi della competizione più o meno esterna. L’avversario diventa quindi un pretesto per misurarci con noi stessi: il valore dell’autostima nella nostra prova di abilità appare, giunti a questo punto, più importante della sconfitta dell’avversario. I cuccioli animali acquisiscono nel gioco le competenze che solo in parte possiedono già innate nell’istinto, imparano con il loro corpo a cacciare e a fuggire. Il piacere della fuga è, ad esempio, uno degli istinti più intriganti non solo per la valenza tattica del sottrarsi ad uno scontro svantaggioso, ma per quel gioco sottile che richiama uno dei sentimenti più radicati del nostro animo. Ancor prima di cacciare si era cacciati, ecco perchè salvarsi è una gioia infinita e ancestrale. Ricordatevi tutte le vostre eccitanti fughe rincorsi da un genitore bonariamente minaccioso, oppure pensate un po' a quelle di quei giovani spagnoli davanti alle corna dei tori lasciati in libertà per la festa di San Quentin. Ricordate quanto piacere produce sfuggire, magari nascondendosi sotto un tavolo? Li sentite quasi, sono quei gridolini di pura libido lanciati dai bambini che vengono rincorsi. Il ponte verso la realtà Rivolgiamoci al nostro passato di bambini e pensiamo a quel gioco di fissarsi negli occhi per vedere chi ride per primo, o a quello a chi trattiene di più il respiro. Ecco, se ci pensiamo bene, in quei giochi si avviano i primi processi per l’autostima che si acquista riuscendo a padroneggiarsi, iniziando a verificare la capacità di dominare le reazioni spontanee del corpo. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 16 276 Carlo Infante - L'edutainment Come nei rituali spontanei dell’infanzia, quelli segreti, tanto più esaltanti quanto più indecifrabili dagli adulti. Avete presente quel gioco in cui si deve stare attenti a non calpestare le linee dei pavimenti, le cornici delle mattonelle? Possiamo considerarlo come una prova di autocontrollo e di abilità, come il fare le bolle con la saliva può essere interpretato come un raccogliere dati sul funzionamento della bocca. Mettere alla prova se stessi, questa è la cosa che conta. Ma spesso questo patto con noi stessi viene viziato perché deriva dalle richieste degli altri e dal nostro desiderio di compiacerli. Qui andrà trovato un equilibrio, e ciascuno ha il proprio, tra la coscienza di sé e la conferma da parte dell'altro. L’approvazione, l’ammirazione e l’amore diventano da subito, in un moto inscritto nella psiche del bambino, fondamentali per il raggiungimento dell’autostima. È un punto sottovalutato da molti adulti, anche perché quando viene chiesta una conferma, un feedback, bisogna esserci fino in fondo, con la testa e con il corpo. Il fatto che spesso accade è che non si è presenti e partecipi al gioco del bambino e alla sua richiesta di feedback, semplicemente perché non si è presenti a sé stessi. Si producono segnali contraddittori, come quello tra un messaggio verbale di approvazione e uno contrario espresso, in maniera quasi subliminale, con il corpo teso dal nervoso perché magari si è stati distratti dalla propria attività di lavoro. I bambini comprendono più il linguaggio del corpo e il fatto che si affermi verbalmente il contrario li disorienta. Questo è uno dei punti da affrontare, dal momento che si vuole considerare la valenza pedagogica della ricerca di un equilibrio possibile tra la produzione e la percezione del linguaggio, partendo dal corpo. Nel gioco si apprende per automatismo: si agisce e si reagisce. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 16 277 Carlo Infante - L'edutainment Giocare è come vivere. Le regole vengono dopo, che non significa non riconoscerle. Il gioco è importante proprio per il godimento di sentirsi vivi, secondo il principio del piacere della funzione. Nell’esperienza ludica impariamo a funzionare come delle macchine fisiologiche e psicologiche insieme. Il bambino, ancor prima di misurarsi con il linguaggio, ha questa attività come esclusivo approccio con il mondo esterno. I bambini hanno bisogno di "buttar fuori" le emozioni, anche attraverso le cose. Ecco perché il lattante che butta fuori dalla culla il biberon cerca una risposta alla domanda "Come posso essere sicuro della mia esistenza ?" Nella sua forma simbolica, il gioco mette in relazione il passato (la memoria legata direttamente all’esperienza), il presente (il qui ed ora dell’azione) e il futuro (la proiezione nei compiti da svolgere). Un principio, questo, che Bruno Bettelheim sostiene con ampiezza, ancorandosi sia a Groos (uno dei primi ad analizzare il comportamento ludico) che a Piaget ( la figura di riferimento per lo studio della relazione tra processi educativi e gioco, avviando la ricerca educativa sul costruzionismo) in uno dei suoi ultimi libri , “Un genitore quasi perfetto”. Bettelheim ci fa riflettere su come una volta - neanche tanto tempo fa, fino alla fine del diciottesimo secolo (almeno per quanto riguarda i paesi più sviluppati dell’Occidente) - la dimensione del gioco fosse meno scissa da quella sociale nella vita di tutti i giorni, ovvero dal mondo degli adulti. E fa l’esempio di Mosca Cieca, quel gioco che consiste nel cercare bendati, al buio, gli altri che ti circondano, magari dopo essere stati fatti girare su se stessi fino a perdere l’orientamento. In un mondo in cui ancora non esisteva la luce elettrica il buon rapporto con il buio era un’abilità da coltivare. Se pensiamo poi che la paura del buio è uno degli stati d’animo più ancestrali troviamo una risposta alla domanda di senso perduto che oggi ci risuona sempre più spesso in mente, insoddisfatti di un mondo mediato e inautentico, sovrastrutturato in una densità eccessiva di modi e comportamenti convenzionali. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 16 278 Carlo Infante - L'edutainment È nel ritrovare quel rapporto con stati d’animo originari, passando per esperienze di particolare sensorialità attiva, che si delinea l'attenzione strategica verso ciò che definiamo edutainment. È la stessa ricerca che si persegue nella sperimentazione artistica e teatrale, come in certe esperienze ai confini della realtà teatro, come le avventure di cultura attiva, basate sull'indagine antropologica e una condizione esperienziale immersiva (nelle foreste polacche) di Grotowski e dei suoi stalker (le guide sciamaniche di diverse culture, bengalesi, messicani, colombiani…) nel Teatro delle Fonti ai primi anni Ottanta. Una condizione di ricerca radicale che poneva la necessità di aprire le "porte della percezione". Su tutt'altro piano non è banale porre aspettative simili nei confronti dei nuovi ambienti digitali, ipermediali e interconnessi, utilizzando la chiave dell'edutainment per fare evolvere un'esperienza di apprendimento esperienziale. L'intenzione è quella di dilatare questo concetto fino a farlo corrispondere a quel principio attivo che trovo necessario alberghi sia nel sistema scolastico che in quello sociale tout court: la capacità di mettere il corpo in una sempre più serrata relazione con la mente, la sensorialità con i processi cognitivi. Qui possiamo rilanciare quella affermazione di Friedrich Schiller: “l’uomo è veramente tale soltanto quando gioca”. E da qui seguire una pista che attraverso l’intenzione di coltivare il piacere della funzione possa riqualificare le forme dello scambio sociale e culturale. Una pista che conduce fino ad una possibile riscoperta dei valori della partecipazione civile, dopo l’esaurimento della carica ideologica nell’impegno politico. Uno spazio e un tempo che oltre che fisico può essere immaginario, quel “giardino segreto” in cui la fantasia getta un ponte tra il mondo dell’inconscio e la realtà esterna. È su quel ponte che si svilupperà l’intelligenza e la sensibilità. Il ponte verso la realtà. Giocare con l’immaginazione può essere quindi considerato come uno dei modi migliori per distinguere la dimensione interiore da quella reale, proprio perché nella corrente Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 16 279 Carlo Infante - L'edutainment frequentazione di questo passaggio tra l’interno fantastico e l’esterno realistico si forma una coscienza flessibile. Ecco il punto. Portare dentro il sistema educativo ciò che è sempre stato fuori dall'edificio scolastico (fisico e mentale), ovvero il gioco e il desiderio di comunicazione libera ed effettuale. Ciò comporta una strategia culturale che possa estendere il concetto di educazione, portando dentro il luogo su cui si fonda l’apprendimento del sistema sociale futuro, energie e intelligenze che altrimenti rischierebbero di rimanerne fuori. Lo capirà il mondo della Scuola? Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 13 di 16 280 Carlo Infante - L'edutainment 4. Imparare a imparare Per concludere, riprendiamo gli elementi basilari della nostra riflessione per sottolineare i punti cardine. Alla radice della parola educare c’è l’idea di condurre, portare: qualcosa che sembra confermare il principio attivo che sta alla base del nuovo concetto di navigazione interattiva. Da sempre educare significa quindi stimolare un approccio dinamico con le conoscenze, tirare fuori risorse più che mettere dentro dati. L’esperienza pedagogica ha sempre centrato la sua attenzione su questo aspetto, trovando proprio nelle dinamiche del gioco uno dei perni della funzione educativa. Oggi, con l’avvento delle tecnologie digitali e delle reti in particolare, le procedure di apprendimento stanno cambiando vertiginosamente, invitandoci a riconfigurare gli assetti del sistema educativo. I nuovi media mettono in campo nuove opportunità, più complesse e più semplici al contempo, in grado di mettere in relazione il facile consumo di immagini e suoni con architetture cognitive qualificanti. Le nuove generazioni sono più disponibili a misurarsi con la multimedialità, dato l’approccio sensoriale, più diretto, seguendo la linea filogeneticamente primaria alla conoscenza. In natura si apprende vedendo, toccando, facendo. Attraverso la simulazione interattiva è possibile ricostruire artificialmente gli approcci naturali all’apprendimento, potenziando il principio di attenzione, di coinvolgimento, di motivazione. L’elemento decisivo sta quindi nel fatto che la rivoluzione digitale può rimettere in gioco la componente cognitiva in relazione a quella percettiva, creando nuove forme di consumo culturale coniugate con le modalità di comunicazione avanzata, come quella interattiva. L’aspetto sensoriale è quindi determinante: qui l’aspetto ludico acquista un valore strutturale, secondo quel principio attivo che tutti riconosciamo al gioco come occasione scatenante di risorsa umana attiva e collaborativa. La multimedialità sta sviluppando questo aspetto ed è proprio l’edutainment che sta orientando il settore più avvertito di un’editoria digitale che potrebbe ora inventare, dopo tanti anni di false partenze, un nuovo rapporto con il sistema scolastico. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 14 di 16 281 Carlo Infante - L'edutainment Chi pensa che i sistemi multimediali siano solo nuovi strumenti fa un errore di valutazione: è opportuno bensì concepirli come estensioni delle strutture psichiche, funzioni simili a quella che per secoli ha espresso la tecnologia-libro. Agire dentro il web è emblematico in tal senso, al suo interno si sviluppano nuovi contesti relazionali, comportamenti e linguaggi di comunicazione che permettono di colmare la distanza con soluzioni di videoconferenza attraverso cui condividere anche scenari, applicazioni e giochi. La grande mole di opportunità inedite ci invita così a metterci in gioco, ad accogliere la sfida di questa rivoluzione permanente che non è solo tecnologica ma anche psicologica. È forse l’occasione per affrontare una crisi di crescita: una crisi che produce una continua riconfigurazione psicologica dei nostri sistemi interpretativi stabilizzati, attivando però nuove disponibilità cognitive in grado di liberare energie che trovano ragione in uno slogan che risuona in testa come una piccola verità: imparare a imparare. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 15 di 16 282 Carlo Infante - Culture digitali Indice 1. CULTURA, CIÒ CHE DIVIENE ................................................................................................................. 3 2. DALL’AVANGUARDIA ALL’INNOVAZIONE ........................................................................................... 4 3. LA REALTÀ ARTIFICIALE INTRODUCE IL VIRTUALE................................................................................. 7 4. DALLA CYBERPERFORMANCE AL PERFORMING MEDIA .................................................................... 10 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 13 283 Carlo Infante - Culture digitali 1. Cultura, ciò che diviene Ciò che definiamo cultura (dal latino colere, coltivare, declinato nel participio futuro della lingua latina, per intendere “ciò che diviene”) è un concetto dinamico che sottende la nostra evoluzione, in una pratica che riguarda la cura di linguaggi e comportamenti, per abbracciare l’insieme delle conoscenze trasmesse tra generazioni, e le loro trasformazioni. Il fatto di declinare questo concetto al plurale è dovuto alla molteplicità degli ambiti attraverso cui si sta diffondendo la mutazione radicale posta dall’avanzamento tecnologico, condizione che sta determinando una revisione non solo degli assetti di linguaggio ma anche di quelli sociali ed economici. Le culture digitali abbracciano un ampio arco di esperienza innovativa che dagli anni Sessanta (con lo sviluppo dei microprocessori e della rete Arpanet, anticipatoria di Internet) arriva ad oggi, con un’evoluzione tecnologica che ha cambiato non solo i modi di rappresentare il mondo ma la creazione del mondo stesso, attraverso nuovi modelli di relazione sociale mediata dalle reti. Il web si sta rivelando come un nuovo spazio pubblico, non è infatti solo uno strumento bensì un ambiente attraverso cui si sta attuando ciò che viene definita Società dell’Informazione. La peculiarità delle culture digitali sta nel tradurre l’offerta tecnologica in una forma, espressiva o funzionale, che di fatto espande le capacità creative per interpretare il cambiamento in atto. Queste forme trovano luogo nell’intervallo che intercorre tra l’invenzione di tecnologie e ciò che realmente intendiamo per innovazione: il valore d’uso di quelle opportunità. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 13 284 Carlo Infante - Culture digitali 2. Dall’Avanguardia all’innovazione È quindi nell’utilizzo delle potenzialità tecnologiche che si sviluppano le culture digitali, trasformate in nuovo linguaggio, a partire dalle intuizioni dell’Avanguardia, come quelle espresse già dal movimento Futurista fino alle diverse sperimentazioni delle electronic arts. Il Futurismo nasce nel 1909 con la pubblicazione del Manifesto Futurista su vari giornali italiani e subito dopo sul quotidiano francese Le Figaro il 20 febbraio 1909, siglando l'impatto mondiale della nascita dell’Avanguardia (il Surrealismo arriverà nel 1924). Autore del manifesto futurista fu Filippo Tommaso Marinetti che sollecitò un movimento letterario, culturale, artistico e musicale che aprì il XX secolo in modo dirompente contagiando, dall’Italia, tutto il mondo occidentale. È opportuno considerare come in molte intuizioni futuriste, come la velocità, le parolibere, le comunicazioni radio si possano cogliere gli elementi generativi di molte espressioni dell’innovazione digitale. Da sempre l’arte utilizza ogni nuovo materiale o strumento per esprimersi, dalla pittura a olio alle biotecnologie. Una fase cardine è quella che agli inizi del Novecento vede il sistema artistico misurarsi con i sistemi della riproducibilità tecnica. La prima grande rivoluzione è così data dall’avvento della fotografia che apre un dibattito tuttora in corso sulla sottrazione dell’aura dell’opera d’arte nel corso della sua riproduzione, allora chimica poi elettronica ed ora digitale. Le rivoluzioni tecnologiche comportano quindi un’evoluzione della nostra civiltà, coniugando la dimensione naturale dell’espressività umana con quelle artificiali delle diverse tecnologie a disposizione, creando delle ibridazioni complesse, come quella tra arte e comunicazione. Condizioni di radicale riconfigurazione degli assetti percettivi, se pensiamo a ciò che accade negli scenari virtuali di ambienti simulati in 3D. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 13 285 Carlo Infante - Culture digitali Il cyberpunk come profezia dell’era del web È all’interno di questo scenario, una volta solo profetizzato dalla fantascienza di figure straordinarie come Philip K.Dick e dalla letteratura cyberpunk, che si pongono le nuove sperimentazioni che vanno sotto il nome di cyberperformance, cyberculture, arte interattiva, performing media e hacktivism. Si tratta di espressioni che sondano il confine tra umano e artificiale e che oggi s’emancipano dalla radicale cybercultura della prima ora. In queste pratiche c’è il valore fondante che sta alla radice di qualsiasi trasformazione culturale, quello di misurarsi con una nuova forma di conoscenza del mondo, a partire da noi stessi. Dalla letteratura cyberpunk di William Gibson nel 1984 arriva la parola cyberspazio in cui si mixa cibernetica e spazio, per intendere mondi virtuali, condivisi da utenti, definiti i cowboy dell'interfaccia (riferendosi agli hacker che in quegli anni smanettavano con i computer delle università, per sviluppare quella che sarebbe diventata Internet dieci anni dopo). Protagonisti di un’allucinazione consensuale che li vedeva immersi in una realtà prodotta dai sistemi informatici. La cibernetica per gestire i linguaggi-macchina Per inquadrare in modo più compiuto questa trasformazione progressiva è opportuno rimandare alle coordinate tracciate dallo scienziato americano Norbert Wiener che nel 1945 conia il concetto di cibernetica, interpretando metaforicamente la definizione greca di kybernetiké techne: la scienza della guida delle navi. Wiener studia i processi di comunicazione posti alla base del funzionamento delle macchine, degli esseri viventi e delle organizzazioni sociali. La cibernetica, origine di tutta la ricerca informatica, di fatto proviene da un’osservazione attenta dei principi naturali attivati da processi di azione e reazione e della conseguente loro autoregolazione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 13 286 Carlo Infante - Culture digitali Ciò crea i presupposti di ciò che sta alla base dell’interattività, ovvero l’interazione uomomacchina che permette di gestire i linguaggi-macchina e modularli nei vari contesti applicativi. A partire da quest'ultima considerazione si può evincere la peculiarità creativa delle culture digitali, al di là degli aspetti strettamente artistici, perché riguardano una rifondazione degli assetti psicologici attraverso le dinamiche dell’interazione tra la fisicità del corpo e i sistemi interattivi. Dinamiche che trasformano le capacità percettive e cognitive, esplicitando come i percorsi dell’ipertesto stabiliscano un superamento del pensiero lineare dei modelli predefiniti e stabilizzati nella cultura umanista. La creatività riguarda fondamentalmente la capacità umana di ambientarsi in nuovi contesti, trovare risposte a domande mai poste, inventare nuove forme per rappresentare il mondo esterno ed esprimere la propria soggettività. Ambientarsi nel mondo digitale della molteplicità delle fonti informative significa, tra le tante cose, reinventare il rapporto con il linguaggio alfabetico, una delle più antiche tecnologie capaci di comunicare nel mondo. Già con l’ipertesto e ancor di più con il web, l’ipertesto degli ipertesti, si è compreso come l’uso dell’alfabeto possa diventare meno lineare attraverso la combinazione di link che sollecitano le combinazioni possibili in un testo, superando lo schema temporale, per abbracciare la potenzialità spaziale del linguaggio: lo strumento migliore per tradurre in azione il nostro pensiero. È ormai chiaro che le tecnologie digitali interpretano al miglior grado questa evoluzione del linguaggio. Espandendo la ricombinazione delle informazioni testuali con altri media, come quelli audiovisivi, danno così luogo all’ipermedia che rende libero il linguaggio di interagire sia con la dimensione cognitivo-ricostruttiva sia con quella percettivo-motoria. Marshall McLuhan aveva valutato, già negli anni Sessanta, la stretta interrelazione tra l’evoluzione delle tecnologie e quella della dimensione psicologica, sensoriale e fondamentalmente culturale. Le sperimentazioni dei pionieri delle prime forme d’arte interattiva hanno focalizzato i termini di questa evoluzione culturale, coniugando la dimensione dell’happening partecipativo con i primi sistemi digitali. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 13 287 Carlo Infante - Culture digitali 3. La Realtà Artificiale introduce il virtuale Un apripista è stato Myron W. Krueger che, nel 1983, con il Videoplace avvia la ricerca definita Realtà Artificiale, fenomeno che anticipò la Realtà Virtuale, utilizzando telecamere che digitalizzavano il movimento di un performer, in grado d’interagire con uno scenario infografico. Altra figura cardine è stato Roy Ascott che, sempre alla fine degli anni Sessanta, trattò di estetica tecnoetica, concetto poi rilanciato da Mario Costa con l’estetica della comunicazione. Il contributo più significativo di Ascott è “Aspect of Gaia”, un’opera collettiva aperta” ai contributi raccolti on line da decine di autori, presentata nel 1989 al festival Ars Electronica di Linz (Austria), uno dei luoghi di maggior attenzione verso le culture digitali, insieme a Imagina di Montecarlo e Transmediale di Berlino. La Net Art e l’hacktivism che coniuga hacking e attivismo civico Un ambito importante da sottolineare è quello della Net Art che vede come figure apripista il catalano Antoni Muntadas, lo sloveno Vuk Cosic, l’italiano Tommaso Tozzi e, per un particolare aspetto pionieristico, Pietro Grossi che, nel 1970, trasmise il primo “audio streaming” della storia con un collegamento telematico fra la Fondazione Manzù di Rimini e il CNUCE di Pisa. Un teorico della Net Art è Lev Manovich che evidenzia come la creatività sia direttamente proporzionale alla capacità di fare network. Un’intuizione questa che s’inscrive nella cultura hacker e open source, per esplicitarsi a miglior grado nella dimensione etico-politica dell’hacktivism che coniuga hacking e activism. Un’affermazione di Jello Biafra, alias Eric Reed Boucher, cantante punk dei Dead Kennedys e attivista politico, è in tal senso emblematica: “Non odiate i media, diventate i media.” Tra i protagonisti italiani di queste declinazioni della cultura hacker si segnalano Giacomo Verde e Jaromil. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 13 288 Carlo Infante - Culture digitali Le culture digitali tendono ad uscire sempre più dall’ambito strettamente artistico per espandersi nella società che cambia attraverso le pratiche collaborative del social networking, la disintermediazione, il crowdsourcing, nella creatività sociale delle reti, come si evince nel concetto nuovo di performing media. In Italia è possibile individuare un punto di partenza per il lungo percorso delle culture digitali, nel gruppo Arte programmata che prende nome da una mostra curata nel 1962 da Umberto Eco al Negozio Olivetti di Milano, con autori come Giovanni Anceschi e Gianni Colombo. Una netta accelerazione del dibattito sulle culture digitali lo si registra nel 1991 intorno all’avvento della realtà virtuale, con incontri a Venezia, al Palazzo Fortuny (a cura di Maria Grazia Mattei), a Torino, nel 1992, con un convegno promosso dal CNR e Scenari dell’Immateriale (progetto che derivava a sua volta dal festival di Narni, dove, nei primi anni 80, ha avuto origine il videoteatro e dove, nel 1987, si tiene un’edizione dal titolo “La scena interattiva”) e a Roma con “Mondi riflessi” a Villa Medici, dove fu presentato nel 1992, per la prima volta in un contesto culturale, un sistema di realtà virtuale immersiva. Un momento significativo è la rassegna “Arslab. Sensi del Virtuale” (Torino, 1995) promossa da Ars Technica, un’associazione che vede tra i protagonisti l’artista Piero Gilardi e il teorico Franco Torriani. In quel contesto fu pubblicato un catalogo da cui è tratto il mio testo che segue (il testo esteso è nel link in fondo). Dalla forza alla forma Nell'evoluzione della specie la tecnologia svolge la funzione di aiutare l'uomo nella relazione con il mondo esterno. Gli arnesi, le armi, le macchine, le penne, anche i libri, diventano così estensioni, protesi, potenziamenti del fare umano, pratico o cognitivo che sia. Una concezione che nell'era industriale e meccanica ha trovato il suo massimo sviluppo. Con l'avvento dell'elettronica è iniziato però a cambiare qualcosa, sensibilmente. La forza meccanica si sta infatti Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 13 289 Carlo Infante - Culture digitali relativizzando e le tecnologie digitali iniziano ad aprire nuovi orizzonti di funzionalità: le applicazioni virtuali e telematiche mettono in essere proprietà che, attraverso la modellizzazione tridimensionale e l'interattività, ci permettono di agire e fare limitando l'uso della forza. Questa trasformazione di procedure che si sta delineando passo passo potrebbe essere definita "dalla forza alla forma", per usare un'affermazione di Elémire Zolla in una particolare conversazione svolta con uno dei massimi esperti di cultura metafisica. Dalla forza meccanica alla forma digitale della simulazione virtuale, quindi. Il fatto stesso di rendere possibile un'azione in un ambiente remoto ci pone di fronte ad un paradosso che riconfigura il nostro rapporto con lo spazio-tempo. Dire che il virtuale mette in campo un nuovo paradigma cognitivo significa appunto questo. Saltano, o perlomeno vengono considerate più relative, le coordinate spaziotemporali in cui ci collochiamo per dare luogo ad ulteriori corsi di esperienza che vanno oltre i sistemi interpretativi dati. Il concetto stesso di rappresentazione viene messo in discussione dato che una navigazione immersiva in uno scenario di realtà virtuale comporta un superamento della visione nel produrre un'illusione cognitiva tale da farci "abitare" quell'ambiente. Derrick de Kerckhove, nel suo fondamentale libro "Brainframes", parla di tendenziale sostituzione dell'idea di "punto di vista" con quella di "punto di vita": non siamo più solo spettatori delle rappresentazioni del mondo, come il teorema della Prospettiva del Rinascimento eurocentrico ci ha viziato a credere, ma componenti fisiologiche di un ambiente che solo ora si è disposti a comprendere in tutta la sua complessità. Attraverso il feedback proprio della multimedialità interattiva, e del virtuale, agiamo nello spazio artificiale, a tutti gli effetti. È chiaro ormai che è possibile estendere oltre la soglia della realtà materiale il nostro punto di presenza nella dimensione immateriale dell'elettronica. Un fatto che trova i suoi sviluppi interessanti nelle procedure più avanzate nella condivisione on line. (...) Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 13 290 Carlo Infante - Culture digitali 4. Dalla cyberperformance al performing media In questi contesti creativi affinati al multimedia e alle prime forme di interattività, si rilevano gli interventi degli americani Bruce Neuman, Dan Graham e Jeffrey Shaw, del francese Laurent Mignonneau, dei giapponesi Dumb Type e di Studio Azzurro. Nel 1994, si formò un gruppo di studio a Milano, AGAVE (da cui deriva poi l’archivio AGA.POW), che impostò una ricognizione teorica sul fenomeno della cyberperformance, invitando Stelarc, Marcel.lì Antunez Roca e seguendo il gruppo fiorentino Krypton che nel 1996 presentò la performance “Corpo sterminato”. In occasione di Mediartech, a Firenze, alla Fortezza da Basso, si attivò il primo workshop di intelligenza connettiva diretto da Derrick de Kerckhove del McLuhan Program di Toronto, un evento decisivo per la qualificazione del dibattito sulle culture digitali. Un ulteriore livello di ricerca è quello che prevede il rapporto con gli “agenti informatici”, i cosiddetti knowbot, programmati per esistere autonomamente in un ambiente di vita artificiale. In questo contesto ha operato il gruppo di autori multimediali tedeschi, Knowbotic Research, già vincitori nel 1993 del Golden Nica al festival Ars Elecrtonica di Linz, presentando nel 1998 a Firenze, nell’ambito del progetto Interscena, “Dialogue With The Knowbotic South”, installazione percorsa da spettatori che intercettati da un sistema di motion-capture, venivano assaltati da sciami di bit. Le culture digitali hanno trovato sviluppo in Italia su riviste e osservatori on line come Noema, Neural, Mymedia e Virtual e in molteplici manifestazioni, tra cui si possono citare “Il futuro digitale” al Salone del Libro di Torino nel 1996, “ADE” (Art in Digital Era) a Polverigi (2001-2002), “Scritture Mutanti” promossa dalla Biblioteca Multimediale di Settimo Torinese dal 2001 al 2006 e tra le più recenti “LPM – Live Performers Meeting” a Roma, “Share Festival” a Torino, “TecArtEco” a Lugano e Gallarate. Tra le diverse espressioni creative in ambiente digitali prende forma il concetto di performing media, una nuova definizione, emersa nei primi anni del XXI secolo, per un campo di ricerca che trova origine nel crocevia tra arte interattiva e cyberperformance e ancora prima nel Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 13 291 Carlo Infante - Culture digitali teatro di ricerca affinato ai media, ma riguarda sempre più la condizione antropologica data dallo sviluppo delle tecnologie abilitanti, di per sé performanti. I nuovi media interattivi, mobili e personalizzati, determinano un nuovo rapporto uomomacchina, sempre più simbiotico, reso fluido dalla semplicità d’uso e dalla sollecitazione percettiva e sensoriale delle soluzioni evolute dell’interaction design, dove l’interfaccia aptica con un gesto, esplicita un’estensione del corpo. Le tecnologie interattive diventano così performanti in via direttamente proporzionale alla performance delle nostre azioni. Questo sta creando un nuovo paradigma per ciò che definiamo cultura: il rapporto tra uomo e mondo non è solo mediato da tecnologie ma comporta un’integrazione sensibile. Secondo il principio delle psicotecnologie, ne stiamo incorporando alcune qualità, di cui indichiamo le tre principali: l’ipertestualità che sta riqualificando i processi cognitivi, emancipati dalla meccanicità lineare e logico-conseguenziale; l’interattività che sta reinventando le condizioni della prossemica; la connettività che sta potenziando la natura delle relazioni sociali. Ciò che viene definito performing media riguarda la nuova progettazione culturale attraverso le proprietà dei nuovi media interattivi, ipertestuali e connettivi. Per quanto questo sia inscritto in un percorso che trova le proprie radici nelle diverse culture dell’avanguardia, non è più ancorato alla sperimentazione dei nuovi linguaggi, come quella che è stata espressa dai movimenti creativi del Novecento (dall’happening del Fluxus alla psicogeografia del Situazionismo) e in particolare dall’interazione tra scena e nuovi media, come il videoteatro e poi le cyberperformance. Questa progettazione possibile rilancia il potenziale delle culture digitali, nella scommessa antropologica in corso, per cui si fa urgente l’invenzione di nuove forme di relazione sociale e di modelli di sviluppo sostenibili ed evoluti al contempo. Esprimere la performatività dei media interattivi comporta una nuova performatività sociale, nella progettazione di eventi e piattaforme cross-media per l’interazione tra reti e territorio. Gli ambiti, in cui trova luogo la progettazione di questi format innovativi, sono quelli che si orientano oggi verso il social design e l’urban experience. 292 Carlo Infante - Cittadinanza educativa Indice 1. L’APPRENDIMENTO DAPPERTUTTO...................................................................................................... 3 2. L’INTELLIGENZA DELLE API .................................................................................................................. 6 3. VERSO LA CITTADINANZA EDUCATIVA GLOBALE............................................................................ 10 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 13 293 Carlo Infante - Cittadinanza educativa 1. L’apprendimento dappertutto Ci piace in tal senso associare l’idea di educazione al principio di cittadinanza attiva, in quanto disponibilità a relazionarsi con gli altri, nello spazio pubblico delle città e delle diverse comunità territoriali, per crescere insieme, con particolare attenzione all’intelligenza connettiva rivolta alle fragilità, determinata dalle disabilità e dall’esclusione sociale. Il punto cardine è nel concepire il processo educativo non solo nello studiare su un libro o davanti a uno schermo, ma guardandosi intorno, ascoltando le voci dei protagonisti che hanno vissuto nei territori, esplorare le città per vivere un’esperienza di apprendimento dappertutto. In questo senso si può intravedere un futuro progressivo dei sistemi educativi che non possono ignorare la necessità di un continuo cambiamento in relazione al mondo, che non solo corre ma accelera in via esponenziale. L’avanzamento tecnologico è un dato che spiazza, avete presente la Legge di Moore? Ogni 18 mesi i sistemi digitali raddoppiano la loro performance. C’è da chiedersi: e noi? Siamo disposti a raddoppiare le nostre potenzialità cognitive? Il cambiamento scorre dappertutto, tracima, come accade per l’acqua in natura quando le canalizzazioni sono forzose e inadeguate. In questo senso è necessario aprire l’orizzonte delle strategie educative per rivolgerle alle dinamiche del cambiamento, a partire dalle complessità sia multimediali sia multiculturali. Per questo è importante anche declinare al plurale questa linea d’attenzione, parlando di cittadinanze educative, contemplando non solo l’esaurimento della cultura eurocentrica circoscritta da un ambito continentale e culturale definito, ma la necessità di concepire l’integrazione come un fattore decisivo da attuare con i più giovani, il prima possibile, prima di ritrovarsi separati dai pregiudizi. La cittadinanza educativa è una parola chiave che contempla al suo interno i diversi aspetti del multiculturalismo, a partire dai flussi dei migranti con cui condividere lo spazio pubblico dei nostri territori, nel contesto di un’innovazione territoriale capace di valorizzare attraverso i nuovi media le vocazioni innate dell’Italia, da sempre terra di attrazione e crocevia di culture. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 13 294 Carlo Infante - Cittadinanza educativa Quanto è importante imparare a imparare: attivando quella forza motrice dell’apprendimento che comporta un’alimentazione continua dell’attenzione, della percezione, della curiosità e conseguentemente della selezione cognitiva. Si, bisogna saper scegliere. È qui che scatta il processo virtuoso della conoscenza. Bisogna ritrovare il valore del guardarsi intorno, partendo dall’assunto che non s’impara solo su testi o su flussi multimediali, ma dagli altri e dalle cose da cui si è circondati. Partendo da quelle vicine, nella prossimità dei propri territori, dalla dimensione locale, per arrivare a quella globale, più che in termini geografici in modo culturale e comunicazionale. Sì, la cittadinanza educativa è glocal. Se descrivi bene il tuo villaggio parlerai al mondo intero Lev Tolstoj In questo senso possiamo trovare nel processo di apprendimento dappertutto, una condizione pedagogica che si rivela palestra di attenzione, attivando uno “sguardo partecipato” (come nei walkabout di esplorazione partecipata radionomade di Urban Experience) in cui si selezionano informazioni guardandosi intorno, camminando per le città (o nelle campagne o in riva al mare o in cima a montagne…) e anche utilizzando il web come nuovo spazio pubblico per l’apprendimento continuo. O, ancora, utilizzando la rete per tracciare i percorsi che si fanno, in mappe interattive che inverino i principi esperienziali dei geoblog per “scrivere storie nelle geografie”. Questa modalità pedagogica non riguarda solo i più giovani ma tutti, super adulti e professionisti, impegnati nella necessità di una formazione continua che qualifichi l'adattamento costante in una società in transizione. Un processo che è scandito dalle tecnologie dell’interconnessione che stanno reinventando non solo le modalità di scambio sociale ma anche quelle produttive. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 13 295 Carlo Infante - Cittadinanza educativa Per intenderci, il fatto stesso che un territorio possa essere mappato nel web dalle nuove generazioni che lo esplorano, secondo le progettualità di cittadinanza educativa, apre delle strade di buon senso. Delinea un percorso di innovazione territoriale generato da chi ha capito che la formazione riguarda l’evoluzione delle proprie identità culturali commisurandole con il contesto, a partire da quello territoriale in cui si vive. Ciò può contribuire in modo decisivo ad avviare un percorso di consapevolezza complessivo che investe l’intera comunità nel gestire le potenzialità di quel territorio, garantendo la concordia e promuovendolo come luogo desiderabile. È questo che oggi può garantire un nuovo modello economico sostenibile, a differenza di ciò che si pensava mezzo secolo fa. È su questi punti che oggi si può riavviare (non si tratta solo di una ripartenza bensì di un riavvio, come nei sistemi informatici, dopo un reset) un sistema-Paese che ha perso gran parte del suo potenziale turistico, ma non solo su questo comparto (che comunque riguarda quasi il 13% del PIL nazionale, considerando le varie ricadute in tanti altri settori connessi) bensì sull’immagine totale di un’Italia che deve riconquistare una sua credibilità internazionale, proprio sulla base di una piena coscienza responsabile dei propri assetti territoriali. La cittadinanza educativa comporta questa consapevolezza mixando tra loro cultura, innovazione, identità e differenza. Un passaggio fondamentale per capire meglio cosa intendiamo per innovazione è quello di trovare la misura con un avanzamento tecnologico dove l’offerta è talmente più forte della domanda da indebolirla. È proprio per questo che il principio della cittadinanza educativa - nel cercare le forme creative capaci di usare le tecnologie, come quelle del web 2.0 che hanno spalancato le strade alle dinamiche partecipative e co-operative, per organizzare e vivere meglio lo spazio pubblico della nostra società, a partire dalla prossimità dei quartieri nelle proprie città - può avviare un percorso verso l’innovazione adattiva. Verso il riequilibrio tra l’offerta e la domanda di tecnologia, per apprendere meglio e agire meglio. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 13 296 Carlo Infante - Cittadinanza educativa 2. L’intelligenza delle api Una suggestione forte arriva dalla natura, che nel mondo delle api si esprime in uno straordinario livello di autoregolazione e di intelligenza connettiva. Ciò accade sulla base della intelligenza dello sciame esplorante, creativo e produttivo. Quella intelligenza naturale ci dà una lezione, a partire da una metafora biologica ispirata dall’osservazione degli sciami delle api e in particolare dalla danza di questi imenotteri, che danno luogo a vere e proprie lezioni coreografate su come orientarsi per raggiungere il miglior nettare nei pressi dell’alveare. Uno degli aspetti interessanti che accomuna le api e le nuove dinamiche di relazione nel web 2.0, è nel fatto di coordinare attività complesse senza bisogno di alcun coordinatore, in un’energia sociale spontanea, contagiante. È a questo punto che possiamo spendere una parola particolare: stigmergia. Si tratta di un’intuizione del biologo francese Pierre-Paul Grassé secondo cui un comportamento attivo induce ulteriori atti, modificando l'ambiente attraverso procedure che contagiano, producendo una comunicazione performante. Questo concetto di stigmergia in sostanza afferma che lo stimolo al lavoro è la vera essenza del lavoro stesso. Il termine deriva da stigma: marchio, impronta, ciò che distingue e che discrimina, ma anche sprone, pungolo, e si combina con ergon, opera, lavoro. Indica l’essere in atto, il principio attivo di un’azione, così come il tagliare è l’ergon delle forbici o il combattere l’ergon di un guerriero o l’apprendere l’ergon di uno studente. Un buon esempio di stigmergia rilevato da Grassè è il comportamento evoluto delle api bottinatrici nel tracciare le orbite verso il nettare, esprimendo uno straordinario modello di apprendimento, che viene trasmesso con una serie di movimenti geometrici all’interno dell’alveare e viene definito in modo suggestivo come la danza delle api. È da questo approccio bioispirato dall’osservazione degli sciami delle api, che ha trovato sviluppo l'ambito di ricerca informatica Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 13 297 Carlo Infante - Cittadinanza educativa definito swarm intelligence (l’intelligenza dello sciame), analizzando i vasti insiemi destrutturati di individui che riescono a portare a termine degli obiettivi sfruttando meccanismi di cooperazione. La struttura degli sciami rappresenta una straordinaria parallelizzazione che ottimizza il lavoro di tutti gli individui della colonia sincronicamente: è su questo stesso processo che si basa la procedura di calcolo in parallelo dei sistemi informatici che utilizzano contemporaneamente tutti i processori disponibili. Questo processo è così attivato da un comportamento virtuoso che induce ulteriori atti, condividendo, modificando l’ambiente attraverso la comunicazione. La danza delle api può dunque rappresentare un modello biologico della intelligenza connettiva espressa dalle reti, condizione che oggi si espande sia attraverso il web 2.0, per quanto riguarda le dinamiche sociali di collaborazione, sia con le smart grid, le reti intelligenti che rilanciano il principio informatico degli assetti paralleli, come quelle che vengono oggi utilizzate per l’ottimizzazione della distribuzione di energia elettrica. Ma è nel web 2.0 che accade ciò che più interessa il nostro ragionamento sulla cittadinanza educativa. Il fenomeno riguarda la qualità possibile di una comunicazione che si evolve nella misura in cui l’energia connettiva riesce a raggiungere un andamento di conversazione che può rasentare l’empatia. Il termine più appropriato per questa conversazione on line è crowdsourcing, una parola nuova che sottende un fenomeno che esiste da sempre: la vox populi che conosciamo anche come passaparola. Una condizione che è decisiva nei processi educativi del peer to peer, da pari a pari, innescando dinamiche virtuose di condivisione dei saperi. La parola combina il termine crowd (gente comune) e outsourcing, quella pratica per cui si tende ad esternalizzare alcune attività. Quali attività? Quelle della comunicazione che si potrebbe definire, correntemente, partecipativa, per esempio. E si scopre che il vero senso del comunicare è nel comunicare ‘con’ piuttosto che nel comunicare ‘a’. È nel valore connettivo, di scambio se non di induzione e sollecitazione che si sviluppa il grande gioco della comunicazione, dal passaparola al web. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 13 298 Carlo Infante - Cittadinanza educativa Non è un caso che tale processo abbia dato luogo al cosiddetto buzz marketing. La parola buzz è onomatopeica e richiama il ronzio delle api e la loro capacità di diffondere informazione. Il buzz marketing tende quindi a esprimere uno sciame informativo che rilancia opinioni, scelte, orientamenti che il mondo del marketing più avvertito sta imparando a intercettare. Una condizione aperta a nuove potenzialità di interazione tra società e mercati, non solo per vendere prodotti ma per qualificare il rapporto con i consumatori più consapevoli. L’aspetto che va maggiormente nella direzione di un’intelligenza connettiva rivolta alle potenzialità dei social media. Ciò comporta una simultaneità di relazioni possibili tra l’individuo e la pluralità di tanti altri soggetti e comunità. Da qui si può sviluppare quel trasferimento esponenziale di conoscenze e buone pratiche, che rivoluziona anche il paradigma dell’apprendimento associato all’interrelazione umana, per liberare quelle energie sociali che le comunità degli studenti conoscono da sempre, come questa: è l’elemento esterno del gruppo che porta nuovo stile, nuova informazione. Ciò rompe gli equilibri ma li riposiziona su un piano più ampio e articolato, secondo ciò che Silvano Tagliagambe definisce la multiappartenenza per intendere quella connessione partecipativa che favorisce le possibilità di scambio con soggetti che arrivano dall’esterno del gruppo predefinito. Un aspetto determinante per cogliere l’importanza dell’integrazione culturale e dello sviluppo della cittadinanza educativa come prospettiva strategica. Il web riesce a dare valore alle istanze naturali del comunicare, rilanciando l’aspetto sociale dell’interagire umano, che invece il sistema dei mass media ha viziato. Il web 2.0, in particolare, sta rendendo evidente - anche se per molti può sembrare paradossale, visto che tutto questo è mediato da sistemi digitali - quanto sia fondante per il sistema educativo il valore naturale del comunicare che riscopriamo attraverso un processo artificiale come quello del web. Non a caso abbiamo a che fare con un nuovo paradigma cognitivo determinato dall'avvento delle tecnologie digitali dell'interconnessione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 13 299 Carlo Infante - Cittadinanza educativa Un processo evolutivo che vede ibridare linguaggi e tecnologie, in una nuova coscienza dinamica che permette di interpretare l’andamento del cambiamento e renderlo funzionale alla progettazione di futuro. Liberando un attitudine naturale del comunicare, senza sovrastrutture senza esclusione. Tesa ad esprimere un’energia sociale, auto-organizzante che amiamo mettere in relazione con quella danza delle api che non consideriamo solo una metafora. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 13 300 Carlo Infante - Cittadinanza educativa 3. Verso la cittadinanza educativa globale Dicevamo di quanto sia determinante cogliere il valore strategico del come la cittadinanza educativa ci permetta di muovere la coscienza cognitiva al di fuori delle cornici degli edifici formativi, per misurarci con il mondo esterno. Da quello più vicino, nella prossimità dei propri territori, dalla dimensione locale quindi, per arrivare però verso quella globale, più che in termini geografici in termini culturali e comunicazionali. In questa prospettiva nel 2017 il Comitato interministeriale per la Cooperazione allo Sviluppo ha approvato la Strategia italiana per l’Educazione alla cittadinanza globale che si integra con la nuova Educazione Civica, ma si rivolge anche ad altri mondi oltre la scuola. Una linea che espande il nostro concetto di cittadinanza educativa, per proiettarlo al di là dell’ambito urbano delle comunità, verso l'assetto globale, cosmopolita. Nella cultura odierna della cooperazione per lo sviluppo sostenibile, non è facile accettare che l’educazione alla cittadinanza globale (Ecg) sia considerata, come dovrebbe, il prerequisito per l'acquisizione di tutti gli obiettivi di emancipazione sociale che la formazione induce. L’idea nasce in alveo UNESCO (l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura) dove si è avviata la procedura per impostare una strategia italiana di Ecg, basata sul diritto all'istruzione in relazione agli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU. Questo percorso di strutturazione della strategia è nato nell'ambito dell'Agenda 2030, in particolare con l'obiettivo 4.7. che recita così: Entro il 2030, assicurarsi che tutti gli studenti acquisiscano le conoscenze e le competenze necessarie per promuovere lo sviluppo sostenibile attraverso, tra l’altro, l'educazione per lo sviluppo sostenibile e stili di vita sostenibili, i diritti umani, l'uguaglianza di genere, la promozione di una Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 13 301 Carlo Infante - Cittadinanza educativa cultura di pace e di non violenza, la cittadinanza globale e la valorizzazione della diversità culturale e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile A seguito di questi processi, anche la definizione è cambiata, da educazione allo sviluppo è passata a educazione alla cittadinanza globale. Il Comitato interministeriale per la cooperazione allo Sviluppo ha compiuto un ulteriore passo verso il riconoscimento, nel nostro Paese, del ruolo fondamentale che l’Educazione alla cittadinanza globale riveste nel raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile e nella creazione di società eque, sostenibili e innovative. L’Educazione alla cittadinanza globale è uno dei settori prioritari dell'azione di questo piano in quanto fornisce gli strumenti per la conoscenza, lo sviluppo di un pensiero critico e una maggiore consapevolezza del ruolo attivo che ognuno di noi può giocare nella costruzione di un mondo equo e sostenibile, attraverso le soluzioni che le tecnologie digitali offrono. Tali sollecitazioni a livello internazionale, nazionale e locale richiedono l’identificazione di politiche e pratiche in un dialogo tra istituzioni, società civile, scuola, mezzi di informazione, mondo del lavoro e dell’impresa impegnati sui temi della cittadinanza, della pace, della sostenibilità, dell’equità, dei diritti umani, delle diversità e dell’innovazione. Politiche e pratiche significative riguardano l’azione individuale e collettiva dei cittadini, l’esercizio della democrazia e approcci educativi trasversali rispetto alle tematiche globali. L’ECG promuove un approccio critico, mirante ad un aumento della consapevolezza e della comprensione delle dinamiche di interdipendenza tra livello locale e globale, per attivare un cambiamento nelle strutture sociali, culturali, politiche ed economiche che influenzano globalmente la vita delle persone. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 13 302 Carlo Infante - Cittadinanza educativa La strategia italiana per l'educazione alla cittadinanza globale è dunque un prerequisito per la formulazione coordinata di piani d'azione pluriennali, che promuovano pratiche nei processi di apprendimento formali, non formali e informali, nonché nelle campagne di informazione e sensibilizzazione. Il World economic forum ha decretato le competenze in cittadinanza globale come la prima tra le otto componenti fondamentali in termini di contenuti ed esperienze che definiranno l'apprendimento di alta qualità nella Quarta Rivoluzione industriale: Istruzione 4.0 cogliendo in pieno l’onda della rivoluzione del web 2.0. In questo senso si parla di Global citizenship education, affermando che un mondo equo e sostenibile può essere raggiunto solo con l'impegno dei cittadini e che l'educazione alla cittadinanza globale è uno strumento chiave per la creazione di una società civile globale attiva e innovativa. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 13 303 Carlo Infante - Cooperazione ludico-educativa in rete Indice 1. IL PENSIERO COSTRUZIONISTA ............................................................................................................. 3 2. UN PONTE VERSO LA REALTÀ................................................................................................................ 6 3. IMPARARE A IMPARARE: EDUCARE NAVIGANDO .............................................................................. 8 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 13 304 Carlo Infante - Cooperazione ludico-educativa in rete 1. Il pensiero costruzionista L’apprendimento si basa sulla costruzione di modelli mentali per comprendere il mondo intorno a noi. Ciò avviene nel modo migliore se chi apprende è coinvolto nella produzione di qualcosa, nel fare e nel condividere, secondo un principio esperienziale. Il costruzionismo è una teoria dell'apprendimento, per cui l’approccio diretto e fattuale, connesso al fare e a costruire artefatti cognitivi, è più importante dell’insegnamento. L’apprendere conta più dell’insegnare, ricordiamolo. Una delle figure chiave di questa teoria è Seymour Papert, collaboratore di Jean Piaget (dal 1958 al 1963) presso l’istituto di epistemologia genetica di Ginevra, e dal 1964 ricercatore al Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston, dove ha fondato insieme a Marvin Minsky il Laboratorio di Intelligenza Artificiale. Il costruzionismo è un concetto che nasce dalla teoria costruttivista di Piaget che considera l’apprendimento come una costruzione esperienziale e non come una mera trasmissione di conoscenze (istruzionismo). Con Papert questo concetto evolve con la pratica dei materiali manipolativi per cui la costruzione, e quindi l’apprendimento, è più efficace perché non è solo mentale, bensì sostenuto dalla realizzazione reale di progetti condivisibili. Papert lo definisce il pensiero concreto che diventa il perno dell'apprendimento, fondato su principi quali la continuità esperienziale, la potenza nel realizzare progetti personali densi di significato e la risonanza culturale delle conoscenze da apprendere. Non apprendere per applicare, fare per imparare Il costruzionismo introduce il concetto di artefatti cognitivi ovvero dispositivi che facilitano l’apprendimento e di cui l’uomo necessita esattamente come un costruttore necessita dei materiali da costruzione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 13 305 Carlo Infante - Cooperazione ludico-educativa in rete Tali oggetti devono poter essere mostrati, discussi, esaminati e condivisi. Si propongono quindi dei veri e propri set di costruzione, che permettono all’apprendimento di avvicinarsi alla realtà. Questa impostazione fa dell’apprendere un processo che non si incaglia sulla complessità della struttura delle informazioni ma si destreggia nell’associare la complessità alla realtà in cui ci si proietta, secondo gli sviluppi dei progetti che traducono l’informazione in qualcosa di funzionale e quindi semplice da apprendere. L’ambito privilegiato da Papert nella creazione di questi artefatti cognitivi sono gli ambienti per l’apprendimento creati dalle tecnologie digitali. Nel 1963, smarcandosi dall’impostazione del Computer Assisted Instruction di stampo comportamentista, Papert realizza LOGO, un linguaggio e un ambiente di programmazione appositamente sviluppato per i bambini, e sviluppa successivamente l’estensione del set di costruzioni LEGO ad un set di robotica, in modo da rendere disponibili ai bambini strumenti per concretizzare il pensiero astratto e strumenti per realizzare ed esplorare anche creature artificiali. In tal modo “È il bambino che programma il computer e non il computer che programma il bambino”. Questa impostazione si distanzia da una didattica fondata sull’imparare per usare, dove risulta preminente l’insegnamento esplicito sull’apprendimento e privilegia invece un’attività educativa fondata sull’usare per imparare, dove è, al contrario, preminente l’apprendimento attivo sull’insegnamento. Il motto risulta così essere “non apprendere per applicare, ma fare per imparare”. L’obiettivo è insegnare in modo tale da garantire il maggiore apprendimento con il minimo insegnamento. Viene privilegiato il problem solving in quanto, nell’utilizzo attivo e costruttivo del LOGO e dei micro-mondi i problemi nascono e si definiscono facendo, si procede per continui aggiustamenti confrontandosi via via con i risultati conseguiti. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 13 306 Carlo Infante - Cooperazione ludico-educativa in rete Nella pedagogia dell’errore questo processo fa degli errori una condizione positiva, perché permettono di procedere per tentativi progressivi, adattandosi alle difficoltà senza arrendersi. Papert rilancia il concetto di matetica ovvero l’arte dell’apprendimento. Un principio contrapposto alla didattica che invece esprime l’arte dell’insegnamento. Il termine matetica deriva dal greco mathematikos, che significa "disposto a imparare". Si costruisce così un sapere utile e condiviso, che si adegua allo stile dell’allievo, un sapere pratico e motivazionale, realizzato in concreti contesti di utilizzo. Il sistema formativo, reso obsoleto anche dall’avvento delle nuove tecnologie, va quindi ripensato per andare oltre un programma lineare e statico verso un percorso flessibile e dinamico in cui sia data la possibilità di gestire il proprio apprendimento e di imparare, non a dare la giusta risposta alle domande inerenti quello che si è appreso, ma trovare giuste soluzioni a situazioni che vadano oltre l’ambito ristretto del percorso formativo. Una condizione che si apre alla cooperazione tra pari, quelli con cui si condivide l'esperienza formativa, stabilendo le forme e i tempi di un processo che comporta condivisione e solidarietà, spesso connotato da uno spirito ludico che contraddistingue la migliore arte dell’apprendimento. Un’attitudine che acquisiamo da piccolissimi attraverso il gioco e che sarà strategico ripristinare nell’ambito della formazione nei nuovi ambienti del web, anche perché si dovrà reimparare ad ambientarsi, dato che le categorie spazio-temporali cambiano. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 13 307 Carlo Infante - Cooperazione ludico-educativa in rete 2. Un ponte verso la realtà Bruno Bettelheim sostiene che il gioco è un ponte verso la realtà e lo fa invitandoci a riflettere su un fatto: l’impatto ludico del bambino con le cose del mondo rivela che esistono sia regole di comportamento da rispettare che leggi del caso e della probabilità. Ed è proprio nella mobilità tra queste due dinamiche che si fonda lo sviluppo intellettivo e psicologico. Sentire che il mondo non crolla insieme alla torre dei giocattoli messi l’uno sopra l’altro. Sentire che il gioco nasce dal gioco perché anche l’errore funziona come esperienza buona per procedere verso un migliore risultato, se mai arriverà. La ripetitività di molti giochi che sembrano insignificanti rappresentano infatti questo percorso a ritroso lungo la via dell’errore; per il bambino questa è una piccola grande lotta con quelle difficoltà talmente piccole da non essere colte dalla percezione adulta e disattenta ma che sono in fondo un’esplorazione continua nel regno delle piccole complessità dell’autoapprendimento. Alcuni giochi combinatori, come il Meccano, il Lego o il Puzzle, sono emblematici poiché incentivano attraverso la manipolazione e il fare, secondo il pensiero costruzionista, ancor prima che il bambino abbia acquisito le costruzioni razionali del linguaggio e del senso logico. Il fatto di tentare le molteplici possibilità di combinazione, si pensi al puzzle ad esempio, rende evidente che procedendo per tentativi e fallimenti si affina la fiducia nelle proprie capacità, in una progressiva temperanza dei modi. Una mobilità che è opportuno concepire come flessibilità, una leggerezza che sappia trarre il piacere della funzione anche quando qualcosa non funziona e non si conclude. Qui si coglie una modalità psicologica indispensabile per l’apprendimento: la perseveranza. Per un bambino acquisire questa virtù, ancor prima che si stabilizzino le abitudini, è importantissimo perché impara a non scoraggiarsi per le difficoltà che incontrerà sempre lungo la propria strada. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 13 308 Carlo Infante - Cooperazione ludico-educativa in rete Forse è anche per questa tortuosità che raggiungere il risultato dà quella gioia di sentire il nostro corpo funzionare bene, condizione che Pavlov definisce anche contentezza muscolare. Ma non pensate solo ai muscoli indolenziti e soddisfatti dell’esercizio sportivo, l’informazione elettrica positiva che viene trasmessa attraverso l’intero nostro impianto muscolare è principalmente generata dal nostro cervello. Una condizione molto presente anche nell’esercizio combinatorio negli ambienti ipermediali e interconnessi dove i percorsi cognitivi sono decisamente accidentati. Un salto di qualità che ci suggerisce Bettelheim, è quello che ci fa riflettere sul fatto che i bambini tendono a costruirsi un mondo “congeniale per loro e solo per loro”. Un micromondo necessario per sottrarsi alla frustrazione continua imposta da un mondo esterno troppo grande e troppo complicato. Lo stesso Einstein (che aveva difficoltà con il linguaggio, fino all’età di tre anni) rileva con chiarezza questo processo: “l’uomo tende a formarsi un’immagine semplificata e trasparente del mondo per sottomettere così il mondo dell’esperienza, cercando di sovrapporvi quell’immagine”. Perché questo accada il bambino ha bisogno del suo spazio privilegiato, quello che Bettelheim definisce, in tedesco, lo spielraum, la stanza del gioco. Uno spazio e un tempo che oltre che fisico può essere immaginario, quel “giardino segreto” in cui la fantasia getta un ponte tra il mondo dell’inconscio e la realtà esterna. È su quel ponte che si svilupperà l’intelligenza e la sensibilità. Il ponte verso la realtà. Giocare con l’immaginazione può essere quindi considerato come uno dei modi migliori per distinguere la dimensione interiore da quella reale, proprio perché nella corrente frequentazione di questo passaggio tra l’interno fantastico e l’esterno realistico si forma una coscienza flessibile, in grado quindi di chiudere ed aprire su due sistemi psicologici. Una condizione decisiva oggi in cui oltre ai piani della realtà e dell’immaginazione si pone anche il piano del digitale e del virtuale immersivo che ci impone una nuova coscienza cognitiva per operarvi con efficacia. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 13 309 Carlo Infante - Cooperazione ludico-educativa in rete 3. Imparare a imparare: educare navigando Avete mai pensato che ridurre la distanza possa significare aumentare la durata del tempo? Da sempre l’uomo cerca e trova soluzioni per il suo rapporto con lo spazio: per ridurlo a percorsi transitabili con i mezzi di trasporto che via via ha inventato. Contemporaneamente ha cercato anche il modo per risolvere lo stesso problema attraversando lo spazio fisico con le più diverse forme di comunicazione, dal Tam-Tam a Internet. Tutto questo ha ridotto lo spazio esterno per aumentare il tempo a disposizione per la ricerca di soluzioni migliori di vita. Per l’evoluzione. È da qui che è opportuno partire per una riflessione sul rapporto tra processi educativi e nuovi media. Nel senso che ogni invenzione tecnologica ha svolto principalmente una funzione nella storia dell’uomo: risolvere i suoi problemi con lo spazio esterno. E di conseguenza allargare il campo d’analisi delle possibilità in gioco, aumentando l’urgenza di apprendimento. Un dato è indubbio: quello che sta accadendo oggi non ha paragoni per radicalità con altri passaggi della nostra evoluzione. La velocità delle trasformazioni, sia psicologiche che tecnologiche, sono tali da determinare una disponibilità ed una capacità di adattamento da cui ci sembra opportuno non prescindere se non si vuole essere tagliati fuori. La condizione in cui ci stiamo ritrovando è allo stesso tempo affascinante ed inquietante: la comunicazione globale e istantanea delle reti telematiche libera più spazio e tempo per la interiorità, per le nostre risorse mentali e cognitive. Ambientati in un mondo scandito dalla trasformazione meccanica delle materie in merci una condizione simile può spiazzare eppure è dimostrabile che ciò produrrà risorse, sia educative che produttive. Navigare nel World Wide Web ci trasporta nello spazio-tempo interno della nostra conoscenza potenziale (non quella che c’è già ma quella in divenire) e tutto questo prima o poi sarà proficuo. Certamente non il navigare di per sé ma il nuovo ambientamento, la disinvoltura nel trattare certe procedure sempre meno tecniche, sempre più pervasive e automatiche. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 13 310 Carlo Infante - Cooperazione ludico-educativa in rete In questo senso s’intende educare navigando; un po’ come dire: nuotando si sta a galla. È come per l’apprendimento delle lingue straniere: si deve entrare nella forma mentis di quella lingua. Ci vuole un viaggetto in un paese anglosassone per imparare l’inglese: girando, vivendo, parlando si acquisirà tanta di quella buona frequentazione della lingua che nessun corso potrà mai insegnare. Nel web ci si educa fondamentalmente per auto-apprendimento, misurandosi con le potenzialità di nuova comunicazione e di articolata trasmissione ipertestuale dei saperi, navigando. Svolgendo un approccio dinamico con ciò che s’incontra, si percepisce e s’interpreta. È il training più elementare, da questo poi si può partire per trovare una relazione più articolata con la telematica, frequentando le procedure dell’e-mail, la posta elettronica in cui risiedono opzioni curiose, ibride tra l’oralità e la scrittura, o quelle sincroniche, ben più complesse, delle chat (il “chiacchierare” telematico tra due o più utenti). Abituarsi a navigare nel web, a scambiare posta elettronica, a dialogare in videoconferenza o in chat, acquisterà sempre più un'importanza strategica che trova sbocco nella figura del prosumer: il consumatore che si trasforma in produttore di comunicazione. Il web come nuovo ambiente di apprendimento costruzionista Si è venuta a creare un’urgenza educativa che riguarda non solo le nuove generazioni in fase scolare ma fondamentalmente tutti quelli che hanno capito che nella ridefinizione dei propri ruoli professionali c’è qualcosa da guadagnare. E non è solo una questione di soldi. C’è da scoprire, o potenziare, la virtù della flessibilità, quella elasticità mentale in grado di misurarsi agilmente con l’incognito. Imparare ad imparare significa questo. Significa mettersi in gioco, fare esperienza attraverso procedure collaborative, immergersi, imparare dagli errori, confrontarsi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 13 311 Carlo Infante - Cooperazione ludico-educativa in rete Accogliere l’idea che le reti stiano diventando un nuovo ambiente, un ulteriore spaziotempo in cui agire e condividere azioni, è il principio sul quale si basa questa disponibilità da mettere in campo. È chiaro che sono i più giovani a muoversi correntemente in questo contesto formativo dove si impara facendo, toccando, con l’estensione protesica del mouse, le parole, le cose, o meglio i loro simulacri digitali come le cartelle che popolano il desktop. Per loro è semplice, anche perché questo corrisponde all’impostazione filogenetica dell’apprendimento, quella senso-motoria, fondata sull’esperienza diretta del fare, secondo il modello costruzionista dell’apprendimento. Per gli altri, quelli cresciuti con l'esclusivo ausilio formativo del libro, è più difficile e nonostante la buona volontà in alcuni manca quella duttilità propria di chi sa fare dell’immersione sensoriale in uno scenario virtuale una reale esperienza percettiva. Un buon modo per affrontare la situazione è quella di procedere secondo i processi della cooperazione, unendo le diverse competenze e le diverse attitudini. Attuare insomma esperienze educative co-operative tra insegnanti e studenti, magari nella realizzazione di un web d’innovazione territoriale come una mappa interattiva. La produzione multimediale e telematica favorisce questo networking: quel lavoro connettivo che permette di condividere un progetto in tutta la sua risoluzione. Si auspica perciò che il mondo della scuola riesca per tempo ad abbattere le sue mura epistemologiche, come evoca Ivan Ilich, ricostruendosi come edificio culturale, considerando l’ambiente aperto dell’ipermedialità in rete e delle esperienze di apprendimento dappertutto, non solo su libri e schermi ma in giro per le città. Si parla sempre più di educazione diffusa che pone al centro della vita educativa l’esperienza autentica, quella che mobilita tutti i sensi ma soprattutto la forza che li accende, la passione. L’educazione diffusa ribalta l’idea che la mente possa imparare separatamente dal corpo, liberando bambini e ragazzi nel cercare nel quartiere e nel territorio le attività a cui partecipare attivamente per iniziare a misurarsi direttamente con la società. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 13 312 Carlo Infante - Cooperazione ludico-educativa in rete L'educazione permanente nella rivoluzione digitale permanente Gli insegnanti stanno già vivendo sulla loro pelle questa condizione di crisi. Ma la crisi può essere concepita positivamente: è un apice del cambiamento, il suo significato deriva dal greco krinein per cui s’intende “decidere, valutare”. Una crisi come quella della messa in discussione del sapere statico scolastico può quindi rivelarsi come un atto di nuova consapevolezza. S’impone un salto di qualità del sistema educativo specialmente se si considera il prossimo arrivo a scuola delle generazioni cresciute con videogame, computer e smartphone, così come la precedente era cresciuta con libri, cinema e televisione. Ma è un problema che non riguarda solo gli insegnanti, eroica categoria di frontiera transgenerazionale, schierata sul punto di guado dell’istituzione scolastica che rischia di rivelarsi inadeguata a sostenere l’ondata mutante delle prossime generazioni con le loro domande inedite di formazione. Riguarda tutti o perlomeno chi è disposto ad affrontare le complessità dell’era digitale con le opportunità di cui può far tesoro. Non a caso si parla sempre più diffusamente di educazione permanente coinvolgendo diverse figure professionali sollecitate dal cambiamento accelerato. Nella società che si sta annunciando le tecnologie di comunicazione digitale offriranno soluzioni per un mondo complesso, saturo di immagini e informazioni da selezionare. Il problema – al contrario di ciò che pensano i timorati dal caos informativo, non è però quello di incamerare sempre più input, secondo quell’acquiescenza a cui i mass-media ci hanno abituati, ma ricondurli ai valori d’uso delle risorse informative. Estrarre insomma le informazioni che ci riguardano, orientandole verso la domanda consapevole di conoscenza. I nuovi media attraverso l’interattività permettono la selezione personalizzata, offrendo la possibilità di fare percorsi cognitivi a misura. È in questo senso che opportunità straordinarie come Internet possono essere comprese come uno scatto in avanti del processo educativo e culturale. Se i mass-media ci hanno fatto diventare grandi consumatori, i nuovi media ci solleciteranno a diventare produttori e distributori di informazioni e di saperi. 11 di 13 313 Carlo Infante - Mappe esperienziali Indice 1. MAPPE PER LA PRE-VISIONE DELLA TRASFORMAZIONE URBANA ....................................................... 3 2. GLOCALMAP, IL PRIMO GEOBLOG...................................................................................................... 8 3. L’APPRENDIMENTO DAPPERTUTTO ...................................................................................................... 10 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 13 314 Carlo Infante - Mappe esperienziali 1. Mappe per la pre-visione della trasformazione urbana La mappa “anticipa il territorio” suggeriva Jean Baudrillard e da sempre è la rappresentazione grafica in scala di un luogo. Ora forse può esprimere qualcosa di più: funzioni non previste tempo fa, rivelate dalle potenzialità interattive delle tecnologie digitali del web associate alla georeferenziazione. Una mappa con una delle espressioni più performanti del web 2.0, il geoblogging, oggi può rivelare ciò che si evolve in un territorio, oltre ciò che già rilevato dalle topografie nell’arco di anni o secoli, così cogliendo ciò che accade in situazioni come quelle che riguardano la rigenerazione urbana dove si ridisegna un territorio per cui le mappature possono delineare le fasi progressive della trasformazione delle città in una società in transizione. Nelle nuove mappe interattive, quindi, non c’è solo ciò che c’è da rappresentare in un territorio ma ciò che diviene: ciò che viene tracciato dalla partecipazione attiva dei cittadini attraverso il geoblogging che permette di scrivere storie nelle geografie. Un’opportunità importante che permette di mappare i luoghi e le città in particolare sulla base delle analisi urbanistiche che si evolvono, cogliendo a colpo d’occhio, le criticità e le opportunità che un territorio ci rivela. È questo aspetto evolutivo delle tecnologie che risulta strategico, ci conferma quanto sia importante esercitare un artefatto cognitivo, come è appunto una mappa on line, per condividere uno sguardo comune su un territorio, utilizzando questa attenzione come soluzione di previsione per azioni da progettare. Dopotutto ci siamo erti in piedi, trasformandoci da quadrupedi a bipedi per vedere più lontano e prevedere le nostre sorti di caccia (o di fuga) e di guerra. Più si era in alto più lontano si vedeva. L'evoluzione umana deve molto a questo innalzamento della visione. Ci si poteva orientare ponendo attenzione alle cime delle montagne e ad altri segni del paesaggio e di notte le stelle nel loro firmamento segnavano fondamentali punti di riferimento. E in mancanza di stelle? Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 13 315 Carlo Infante - Mappe esperienziali C’è una parola che viene in aiuto, per alcuni aspetti è sorprendente. È desiderio che significa “mancanza di stelle”: de sideris (stelle). In mancanza di stelle il desiderio di conoscenza dell’uomo ha trovato delle soluzioni tecnologiche, tracciare sulla parete di una caverna le costellazioni è stata di fatto non solo arte rupestre ma artefatto cognitivo, in sostanza una tecnologia, un'estensione della mente. Così le mappe hanno svolto questa funzione di pre-visione del territorio, centrate sul suo dominio (l’etimo di “territorio” corrisponde alla pertinenza e al dominio della terra), come strumento privilegiato per la conquista del mondo. Alla luce di queste considerazioni poniamo uno sguardo all’indietro, per delineare una piccola storia della geografia, attraverso l’evoluzione stessa delle mappe, dalle prime cartografie al GPS. Una piccola storia della geografia: dalla Cartografia al GPS Ad Anassimandro di Mileto (610 – 546 a.C.), filosofo ionico discepolo di Talete, si dice sia dovuta una prima mappa del mondo. Si dice che Anassimandro abbia introdotto l’uso dello gnomone, dopo averne appreso dai Babilonesi la funzione per segnalare, attraverso l’ombra, il movimento solare. C’è un’ampia discussione su quale forma Anassimandro attribuisse alla Terra (se sferica o cilindrica) ma fu il primo a tracciare uno schema (perimetron) del mondo, e pure il primo a costruire un globo. È sopravvissuta fino a noi la mappa disegnata cinquant’anni più tardi da Ecateo (550-475 a.C) e che egli stesso aveva definito come una copia di quella di Anassimandro. Essa pone il mar Egeo al centro del mondo e distingue due continenti. Già prima di tale epoca l’uomo aveva elaborato delle mappe. Ad esempio i pescatori delle isole polinesiane preparavano delle mappe con canne intrecciate sulle quali posavano delle conchiglie che servivano a indicare e segnalare la presenza di isole. Mentre gli indiani d’America disegnavano le loro mappe sulle pelli di bisonte. I Babilonesi, invece, usavano per tracciare le loro mappe le tavolette di argilla. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 13 316 Carlo Infante - Mappe esperienziali Il più grande geografo dell’antichità è considerato Tolomeo, vissuto tra il 100 e il 175 d.C., che disegnò il mondo, all’epoca dell’impero romano, in modo estremamente preciso e dettagliato. La sua opera è stata considerata valida fino al Rinascimento e ad essa si affidarono Colombo, Vasco da Gama e Magellano nei loro viaggi di esplorazione. Il planisfero di Tolomeo è una mappa del mondo così come si presume venisse visto e rappresentato nel II secolo d. C. dalla Civiltà Occidentale. Venne realizzato sulla descrizione contenuta nel libro di Tolomeo, Geographia, scritto nel 150 circa d.C. Sebbene le mappe autentiche non siano mai state trovate, la Geographia contiene migliaia di riferimenti a varie parti del mondo, con in più le coordinate, le quali hanno permesso ai cartografi di ricostruire la visione del mondo di Tolomeo, quando il manoscritto venne riscoperto intorno al 1300 d.C. Durante l’impero romano le carte geografiche e le mappe servivano soprattutto per il controllo del territorio e nelle guerre. Nel medioevo le carte geografiche furono prodotte soprattutto dai monaci benedettini: si trattava di mappamondi ed itinerari. A queste carte se ne affiancavano altre usate per finalità nautiche, come la carta “pisana” del 1275, tracciata sulla pergamena ricavata da una pelle di pecora. La cartografia moderna nasce nel 1800 quando molte nazioni decidono di avviare uno scambio di informazioni per poter redigere carte geografiche sempre più accurate. Anche la geografia come scienza moderna nasce nel 1800. I fondatori della moderna geografia sono considerati due tedeschi: von Humboldt, naturalista ed esploratore a cui si attribuisce la nascita della geografia naturalista e Ritter considerato il caposcuola dell’indirizzo storico-umanistico. Le carte geografiche sono molto ridotte rispetto alla realtà. Se, ad esempio, rappresentassimo una città con una carta della stessa dimensione del territorio cittadino, essa sarebbe poco maneggevole e di conseguenza poco utile. Per conoscere le misure reali del territorio rappresentato dalla carta si usa la scala di riduzione. La scala di riduzione è il rapporto che esiste tra una lunghezza misurata sulla carta geografica e la corrispondente lunghezza reale sulla superficie della terra. Ad esempio, se su una carta la distanza tra due città A e B è pari a 1 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 13 317 Carlo Infante - Mappe esperienziali centimetro e nella realtà tale distanza è di 250 metri (che sono pari a 25.000 centimetri) diremo che la scala di riduzione della carta è di 1 a 25.000: cioè un centimetro sulla carta corrisponde a 25.000 centimetri della realtà. Il planisfero rappresenta la superficie terrestre, divisa in due emisferi. Il termine mappamondo (ossia mappa del mondo) è spesso usato anche per indicare il globo terrestre, che è la rappresentazione della superficie terrestre su di una sfera anziché su un piano. Le carte generali rappresentano un continente o una delle parti del mondo. Le carte corografiche rappresentano uno Stato, o una singola regione. Le carte topografiche rappresentano una città o un distretto con tutti i particolari. La parola mappa, in origine sinonimo di carta geografica, è usata comunemente per indicare le carte geografiche relative a territori ristretti ma realizzate in modo più schematico di una carta topografica (p.es. mappa di una città, mappa del tesoro, mappa catastale ecc.). Già a partire dai primi anni del Novecento si era diffusa la fotografia aerea e nel Dopoguerra si era sviluppata l’aerofotogrammetria, ovvero l’uso della fotografia aerea per eseguire misurazioni e rilievi. Questa sostituì gradualmente i rilevamenti terrestri, in quanto gli aeroplani permettono di fotografare ampie aree simultaneamente. Dagli anni Novanta sono stati creati a tal fine specifici programmi informatici detti GIS (Geographical Information System), traducibile in italiano come Sistema Informativo Territoriale (SIT): un sistema di rappresentazione di elementi della superficie terrestre su database computerizzato progettato per l’acquisizione, immagazzinamento, analisi e visualizzazione di dati nello spazio. A differenza della cartografia su carta, la scala in un GIS è un parametro di qualità del dato e non di visualizzazione. Il valore della scala esprime le cifre significative che devono essere considerate valide delle coordinate di georeferimento. Quando un Sistema Informativo Territoriale può essere utilizzato via Web viene considerato un WebGIS. Tramite un software GIS, l’utilizzatore è in grado di visualizzare e sovrapporre diverse carte tematiche di una determinata zona, garantendo la corrispondenza delle coordinate geografiche, della scala e quindi delle distanze. I temi possono essere immagini, ad Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 13 318 Carlo Infante - Mappe esperienziali esempio foto aeree e satellitari (detti dati raster) o disegni, come le curve di livello, limiti geologici, limiti amministrativi (detti dati vettoriali). Le coordinate geografiche consentono di determinare la posizione sulla sfera terrestre, fornendo i dati di latitudine e longitudine. Il primo valore è la latitudine, data dall’angolo formato tra il piano dell’Equatore ed il piano del parallelo passante per il punto. La latitudine ha un range da 0 a 90 gradi se ci troviamo a nord dell’equatore (come l’Italia) e da 0 a 90 a sud, nelle indicazioni delle coordinate gps è convenzione usare anche i segni + per i gradi a nord e – per i gradi a sud; inoltre nel caso di latitudine nord si può omettere il segno. Il secondo valore esprime la longitudine vale a dire la distanza angolare tra il meridiano del nostro punto ed il Meridiano di Greenwich. La longitudine può assumere valori da 0 a 180 ad est del meridiano di Greenwich e analogamente da 0 a 180 ad ovest. Come per la latitudine si può indicare con un valore positivo la longitudine est e con un segno negativo la longitudine ovest, in questo caso i valori positivi vengono assegnati ai punti posizionati ad est (simile al fuso orario) seguendo il movimento antiorario della terra. Il GPS o Global Positioning System, è un ulteriore metodo di acquisizione delle coordinate geografiche, nel nostro caso, dei punti di interesse del sito indagato attraverso la georeferenziazione, con la propria latitudine, longitudine e quota. Per avere il geotag (il dato della codifica georeferenziata) servono almeno 4 satelliti visibili. Le coordinate gps possono essere espresse con diverse notazioni (oltre al segno + e – in sostituzione di nord e sud ed est ed ovest). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 13 319 Carlo Infante - Mappe esperienziali 2. Glocalmap, il primo geoblog Nel 2005 si aprì un cantiere di progettazione culturale, in vista delle Olimpiadi di Torino 2006, per mappare le azioni che si sarebbero svolte durante quella manifestazione. Si utilizzò il database del Catasto di Torino (uno dei primi casi di opengeodata in Italia), fatto girare su una piattaforma web integrata ad un CMS (Content Management System) per svolgere attività di blogging, in pieno spirito web 2.0. Si chiamava glocalmap.org e si sviluppò quando googlemaps non era ancora apparsa sugli schermi e quando arrivò faceva ciò che Google non permetteva di fare: scrivere dentro le mappe, o meglio, con un bel gioco di parole, scrivere storie nelle geografie. Quell’esperienza portò alla definizione di geoblog, un neologismo che ora non è solo presente nel Dizionario specialistico Treccani “Scienza e Tecnica” ma è stato acquisito nell’Enciclopedia Treccani nell’ambito del Lessico del XXI secolo. Il geoblog attua l’interazione tra la mappa del territorio e quelle scritture che lo rivelano, lo narrano, lo descrivono. Le scritture possono anche essere multimediali per evidenziare le caratteristiche di un’azione che si svolge nel territorio stesso. Nelle geografie dei luoghi, formalizzate nelle mappe on line, si potranno così inserire notazioni che danno forma ad uno sguardo itinerante che interpreta sia il genius loci (la peculiarità dei luoghi, in stretta relazione con la loro valenza originaria, mitica e culturale) sia iniziative che riguardano ambiti come l’urbanistica partecipata, il turismo esperienziale e la cittadinanza educativa. L’ambito più emblematico è appunto quello della cittadinanza educativa perché non riguarda solo il contesto della educazione scolastica ma si estende alle pratiche ludiche e creative del cosiddetto urbanismo tattico per dare forma alla partecipazione senziente dei cittadini che intendono contribuire ai progetti di rigenerazione urbana. Ma anche quelle di un turismo esperienziale che si coniuga, nel momento in cui verte verso modalità sostenibili e responsabili, con le diverse espressioni di cittadinanza attiva, per coinvolgere in avventure di innovazione territoriale Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 13 320 Carlo Infante - Mappe esperienziali turisti e viaggiatori (si pensi ai pellegrini della Via Francigena, dorsale culturale e non solo religiosa d’Europa, per cui si sono sviluppati dei geoblog). Casi emblematici di esperienze web 2.0 che rilanciano gli sguardi di cittadini e viaggiatori che esplorano insieme un territorio, perché possa rivelarsi in modo innovativo. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 13 321 Carlo Infante - Mappe esperienziali 3. L’apprendimento dappertutto Quanto è importante imparare a imparare: attivando quella forza motrice dell’apprendimento che comporta un’alimentazione continua dell’attenzione, della curiosità e conseguentemente della selezione e della produzione di senso, come nel geoblogging. Definiamo questo processo apprendimento dappertutto, una modalità che comporta un nuovo sguardo sollecitato da tecnologie abilitanti. L’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi Marcel Proust Il punto è proprio qui: nell’interazione tra web e territorio, attuando format di performing media come il geoblog, capaci di attivare nuove forme dell’attenzione, della partecipazione e dell’apprendimento. Si tratta di progettualità avviate da Urban Experience che usano smartphone e mappe interattive, esplicitando le potenzialità di storytelling del web integrate con eventi ludicopartecipativi di azione nel territorio, secondo un ambito articolato di progettazione e azione che viene definito performingmedia storytelling. Emblematico in tal senso è stato Paesaggi Umani un progetto che coniuga le memorie orali con i linguaggi multimediali per sollecitare un'esperienza di esplorazione del territorio (in tutta Italia, dal Piemonte alla Basilicata e in particolar modo a Roma, dappertutto, da Monte Mario alla Prenestina). Attraverso una mappa web i più giovani (dai bambini delle elementari ai ragazzi dei licei) hanno seguito, in una serie di esplorazioni partecipate radionomadi definite walkabout, i percorsi narrati dai più anziani (rilevati via smartphone e ascoltabili via radio, con un particolare sistema di radio-riceventi, il sistema whisper) promuovendo scambio intergenerazionale per una palestra di empatia che di fatto ha esplicitato il significato preciso di heritage, troppo spesso associato esclusivamente al patrimonio dei beni culturali, mentre la traduzione precisa è “eredità”: il valore fondante lo scambio tra generazioni. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 13 322 Carlo Infante - Mappe esperienziali È importante contestualizzare qualsiasi processo culturale ed educativo come scambio tra generazioni, magari condividendo uno sguardo sul territorio, scoprendo (e riscoprendo) insieme i luoghi topici di una comunità. Questa modalità di esplorazione associata alla conversazione errante (grazie ai sistemi radio e agli smartphone) permette così di attuare apprendimento dappertutto, attivando una forma inedita e coinvolgente di cittadinanza educativa che si apre a molteplici applicazioni, producendo mappe esperienziali che contribuiscono a dare forma alla partecipazione e qualificano i processi d’innovazione sociale. Un processo che per altri versi è stato definito di urbanismo tattico che deriva dalla cultura delle avanguardie, dalla poetica del flâneur surrealista, all’approccio situazionista delle derive psicogeografiche e dei blitz degli Indiani metropolitani diretti ispiratori dei walkabout di Urban Experience, le conversazioni nomadi-esplorazioni partecipate “con i piedi per terra e la testa nel cloud”. La mappa parlante Far parlare le città, camminandole e rilanciandone le conversazioni erranti via radio (iperlocale, con radio-cuffie, e al contempo globale con lo streaming via webradio) che le esplorano, lasciando le tracce georeferenziate. È la mappa parlante messa a punto da Urban Experience dal 2018 dopo 15 anni di esperienza di geoblogging che ha di fatto inaugurato una modalità di performing media che ha fatto scuola. È una sorta di laboratorio di urbanità tattica itinerante che vede coniugare il format del walkabout, l’esplorazione partecipata radionomade, e l’elaborazione di mappe interattive che s’è definito geoblog già ai tempi delle Olimpiadi Torino2006. Ciò rappresenta quella peculiarità di scrivere storie nelle geografie, che lascia l’impronta georeferenziata delle esperienze esplorative perché possano tracciare itinerari da ripercorrere. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 13 323 Carlo Infante - Mappe esperienziali Le esplorazioni partecipate in giro per la città, basate sull’utilizzo di sistemi whisper-radio (secondo il format del walkabout) che permettono di conversare camminando, quando vengono trasmesse in streaming web-radio (su www.radiowalkabout.it) lasciano sulla mappa nel web una scia che rimarrà permanente come podcast audio da riascoltare come memoria documentale dell’esperienza itinerante. Cliccando sui punti attivi del geoblog si ascolteranno così i “paesaggi umani” in podcast, delineati sia dai protagonisti dei territori sia dagli spettatori-cittadini attivi che esplorando un luogo esplorano se stessi. Si tratta di pratiche (come quelle attraverso App che gestiscono podcast georeferenziati, come Loquis) che inscrivono l’uso delle reti nell’azione di comunicazione attraverso il territorio, che è una delle prerogative dell’ambito di ricerca sul performing media. Sottende quella creatività sociale capace di interpretare l’uso delle reti e dei nuovi media interattivi. Performing media è infatti ciò che concerne questa tensione creativa per l’utilizzo strategico delle reti e in particolare la progettazione delle interazioni possibili tra web, multimedialità e territorio, creando le condizioni abilitanti per dimensionare le tecnologie ad un valore d’uso sociale e culturale, secondo i principi dell’innovazione adattiva. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 13 324 Carlo Infante - Urban Experience Indice 1. GLI EXPERIENCE LAB DI CO-PROGETTAZIONE PER L’URBANISMO TATTICO ...................................... 3 2. IL WALKABOUT, ESPLORAZIONE PARTECIPATA RADIONOMADE ....................................................... 8 3. IL PERFORMING MEDIA STORYTELLING ............................................................................................ 10 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 13 325 Carlo Infante - Urban Experience 1. Gli Experience Lab di co-progettazione per l’urbanismo tattico Urban experience non è solo un concetto ma anche un’associazione che ne promuove le metodologie, nata nel 2008 a Roma e che affonda le radici nei primi blog degli anni Novanta e in particolare nel geoblogging inventato per le Olimpiadi di Torino 2006. È importante cogliere nel background di Urban Experience anche un percorso creativo che deriva dai progetti apripista della radiofonia d’avanguardia e del videoteatro negli anni Ottanta. Ciò che è importante sottolineare in questa esperienza è che può essere considerata paradigmatica per quanto riguarda il concetto di innovazione adattiva. Analizzare le modalità dell’urban experience ci viene in aiuto nel considerare il fatto che è possibile riequilibrare le dinamiche dell'offerta tecnologica in virtù della domanda, attraverso il valore d’uso tecnologico da parte di cittadini che affinano la loro conoscenza del territorio associandola alle nuove competenze multimediali, esercitate con un approccio ludico-partecipativo, per esplorarlo, narrarlo e progettarlo in possibili azioni di rigenerazione urbana. Le modalità di urban experience sono, infatti, rivolte principalmente ad una serie di format ludico-partecipativi che rientrano nel concetto ampio di performing media storytelling rivolte ad una molteplicità di ambiti, quelli di: cittadinanza educativa, smart community, resilienza urbana, delle strategie per l'innovazione territoriale (con particolari riferimenti al turismo esperienziale), la mobilità dolce, l'art thinking (l’arte del pensiero dell’arte, nella dinamizzazione del pensiero dell’arte contemporanea nei contesti architettonici), la social innovation (attraverso iniziative tese a promuovere staffetta intergenerazionale per un'interazione tra la memoria dei più anziani e competenze digitali dei più giovani), l’open innovation, la nuova spettacolarità interattiva e l’azione crossmediale per attivare un valore d'uso creativo dell’interconnessione, per reinventare spazio pubblico tra web e territori. Sia il termine urban experience sia performing media appaiono sulla Enciclopedia Treccani. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 13 326 Carlo Infante - Urban Experience I format di urban experience vengono articolati sulla base di una sequenza che può valere come metodologia interpretabile nei più vari contesti. Un particolare intervento che sta a monte di tutto il processo di indagine-esplorazione e di co-progettazione, quello definito Experience Lab. Un laboratorio esperienziale che introduce le diverse azioni, raccogliendo input sui contesti territoriali dove si andrà ad operare, secondo un principio bottom up che caratterizza tutta questa progettualità tesa a dare forma alla partecipazione. Un primo tratto riguarda l'individuazione dei percorsi da intraprendere con le esplorazioni, contattando stakeholder e cittadini da coinvolgere attivamente. A questo punto si parte con le esplorazioni per misurarsi con il contesto territoriale, sulla metodologia definita apprendimento dappertutto, guardandosi intorno, raccogliendo storie lungo il percorso. Questa azione è di fatto il fulcro di tutta l’operazione: il walkabout, l’esplorazione partecipata radionomade. Una modalità su cui si concentra l’attività di sguardo partecipato che è la matrice di tutta la poetica-politica dell’urban experience. Un’esplorazione che si rivela un esercizio creativo che rientra di fatto anche nella definizione di urbanismo tattico, per cui il porre attenzione alle criticità e alle opportunità dei paesaggi urbani può contribuire a un re-design della città, sulla base dei bisogni e dei desideri dei cittadini attivi. Fondamentale, come risultante dell’attività di indagine esplorativa, è l’instant blogging per produrre agili report (usando i social media, twitter e facebook in particolare, senza escludere instagram, con dirette video e foto) per rilevare informazioni e immagini lungo il percorso, individuando le parole chiave. Oltre a questa attività di reporting sul campo c’è quella del geoblogging che di fatto era stata realizzata durante il walkabout di esplorazione. Una prerogativa di quel format di conversazione radionomade è quella di trasmettere in diretta web-radio il flusso del confronto nel corso della passeggiata, questo segnale viene georeferenziato e quindi diventa l’elemento costitutivo del geoblog prodotto automaticamente con la traccia del percorso svolto. Ne risulta Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 13 327 Carlo Infante - Urban Experience una mappa parlante su cui si può cliccare sui vari punti (su cui vengono caricate anche delle foto scattate durante l'azione) e così ascoltare le voci dei partecipanti al walkabout di esplorazione. Sia il reporting sia il geoblogging sono così utili all’attività di rilevazione dei concetti raccolti dall'indagine sul campo. Una volta rilevate le tag più pertinenti, le hot word su cui far orbitare l’attività di performing media storytelling, si possono creare le condizioni per indirizzare l’attività conseguente che può avere come obiettivo quello della redazione di un masterplan, il documento di indirizzo strategico che sviluppa un'ipotesi complessiva di programmazione urbanistica di un territorio. Il brainstorming esperienziale è a questo punto l’ambito in cui “distillare” queste parole chiave-tag, in una discussione condotta sia attraverso piccoli gruppi tematici sia in assemblea. L’attività di confronto è dinamica, condotta con un ritmo teso a non addensarsi in interventi di analisi troppo strutturata, per riuscire a coinvolgere il più possibile i cittadini delle comunità territoriali. Il brainstorming, fondato sui principi del design thinking e dell'intelligenza connettiva, distilla l'attività di esplorazione, di instant reporting e l'individuazione delle pertinenze tematiche (le criticità e le opportunità) e delle forze in campo (i protagonisti del territorio, gli stakeholder). A questa attività si brainstorming si combina un esercizio di creatività connettiva, attraverso un particolare utilizzo dell’instant blogging di twitter con una fase di visual thinking per la visualizzazione delle idee in gioco che permette una migliore individuazione delle parole chiave. Sono almeno tre le modalità principali. Una è quella di videoproiettare una tag cloud, la nuvola delle tag, rilevate dai tweet prodotti, utilizzando particolari applicazioni web, come visible tweet, che estraggono automaticamente i tweet associati a predefinite hashtag che così permettono di orientare i messaggi più pertinenti. Un’altra è quella dell’action writing con l’intervento di un copywriter competente, affinato ai temi in oggetto e abile a scrivere, o a disegnare, o meglio ancora a scrivere disegnando su grandi fogli applicati alle pareti, o su grandi lavagne, per ricostruire, in una sorta di mappa concettuale, le parole chiave che fluttuano nella discussione. Un'altra ancora è quella, spesso adottata nei tavoli dei diversi gruppi di lavoro, di utilizzare i piccoli Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 13 328 Carlo Infante - Urban Experience fogli degli appunti, o i post-it adesivi, per raccogliere le scritture immediate dei partecipanti al brainstorming. Tutte queste modalità possono interoperare tra di loro. Il risultato è quello di comporre una “quarta parete” (concetto che deriva dal teatro brechtiano): oltre le tre pareti della scena ce n’è una quarta, quella dello spettatore che diventa protagonista dell’operazione senziente in cui si ricombina collettivamente il senso generale e prismatico (le varie riflessioni da angolazioni diverse) prodotto dal brainstorming. L’experience lab, sulla base di tutti gli input distillati e poi elaborati, può convergere verso la co-progettazione di una prossima azione d'impatto pubblico, da considerare come eventohappening di restituzione dell’attività di brainstorming. Questo walkabout finale può ricombinare tutte le idee emerse, mettendole in campo, in cammino, attraversando i territori in oggetto nell’attività di indagine. Una buona soluzione da adottare in quest’ultimo walkabout è quello di predisporre dei cartelli da affiggere lungo il percorso, elementi che possano svolgere la funzione di segnaletiche temporanee. Questa attività è definita mobtagging , nei cartelli vengono stampati dei qrcode (definiti anche mobtag), dei codici digitali bidimensionali, che trasferiscono allo smartphone input come dei link, dove trarre informazioni pertinenti il percorso. Una buona pratica è quella di linkare pagine web con risorse audiovisive, magari da far ascoltare nelle radio-cuffie di cui sono muniti i partecipanti del walkabout. Meglio ancora quando quei link rimandano ai vari podcast audio della mappa parlante, facendo ascoltare le voci degli stakeholder e dei cittadini coinvolti. In questo caso vengono anche definite segnaletiche parlanti. Un’altra soluzione di performing media da adottare, in contesti serali, quando il buio permette di visualizzare le proiezioni luminose, è quello delle videoproiezioni nomadi che supportano il walkabout con immagini pertinenti i percorsi, con evocazioni parallele e rimandi all'immaginario filmico (come proiettare “Accattone” di Pasolini lungo le strade del Pigneto, sui luoghi-location del film più di mezzo secolo prima). Questo tipo di intervento ha una sua valenza particolare di impatto spettacolare e cognitivo al contempo, inscrive le immagini all’interno del contesto urbano o ambientale (come proiettare un dettaglio emblematico all'interno di un Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 13 329 Carlo Infante - Urban Experience affresco o far affacciare alla finestra un particolare personaggio). Un principio evocativo che innalzi l’attenzione dei protagonisti del performing media storytelling che si compone come restituzione dell’experience lab, con le voci e i suoni che arrivano via radiocuffia e le immagini che scrivono con la luce, sui muri dei palazzi o tra le fronde degli alberi, una narrazione video convergente. A ricomporre il tutto, come complessiva restituzione dell'experience lab, è fondamentale un report sul blog di riferimento del progetto di innovazione territoriale, per delineare le dinamiche (dal walkabout di esplorazione a quello di restituzione, passando per il brainstorming della distillazione delle idee rilevate per rivelarle infine sul campo) del cantiere di co-progettazione sociale e culturale e magari orientare i futuri, possibili, master plan. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 13 330 Carlo Infante - Urban Experience 2. Il walkabout, esplorazione partecipata radionomade Walkabout significa “cammina a tema” ed evoca il viaggio rituale che gli Australiani Aborigeni intraprendono attraversando a piedi le distese dell’outback, le aree interne più remote che si estendono in quelle semi-desertiche del bush. Il termine fu coniato dai proprietari terrieri bianchi australiani per riferirsi agli Aborigeni che sparivano dalle loro proprietà, e dei quali si diceva “gone walkabout” (andato in walkabout). Nell’urban experience il concetto di walkabout gioca la definizione talkabout (parlare di...), rilanciando così le esplorazioni urbane che coniugano cose semplici come passeggiate e conversazioni con le complessità inedite del performing media storytelling, in cui la narrazione è inscritta nell'azione grazie al flusso radiofonico e all'instant blogging via twitter. Queste conversazioni nomadi, caratterizzate dall’ausilio di smartphone e cuffie collegate ad una radioricevente (whisper radio), permettono di ascoltare le voci dei walking-talking heads e repertori audio predisposti. Questo flusso radiofonico errante può anche essere trasmesso in streaming via web-radio e poi registrato, georeferenziato e ascoltabile su www.radiowalkabout.it. Si tratta di palestre di cittadinanza attiva in cui si conversa “di fianco” mentre ci si guarda intorno, apprendendo dappertutto per attivare dei laboratori dello sguardo partecipato ed esplorazioni psicogeografiche. Esercizi poetici e politici di resilienza urbana, attraverso i performing media di whisper-radio, geoblog e smartphone. Protagonisti dell'azione ludico-partecipativa sono gli spettatori-cittadini attivi che si mettono in gioco attraversando uno spazio urbano o qualsiasi altro territorio, anche contesti espositivi, da esplorare passeggiando, superando la didatticità delle visite guidate. Una strategia dei walkabout è quella di attivare palestre dello sguardo, per cogliere i dettagli dell'ambiente che si attraversa e interpretarli, per input di pensiero laterale, lungo la conversazione peripatetica. Un approccio che trova un background nello sguardo poetico del flaneur surrealista, nella psicogeografia situazionista, nei blitz erranti degli indiani metropolitani, nelle smartmob teorizzate Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 13 331 Carlo Infante - Urban Experience da Rheingold, mentre oggi si emancipa dalle intuizioni dell'avanguardia per esprimere format resilienti d'innovazione sociale. Il principio di efficacia è nella rivelazione del conversare “di fianco” rispetto al solito parlare “di fronte” dove ci si rappresenta, sfidando lo sguardo degli altri. Si condivide un cammino e il parlare trova un suo andamento, sollecitando partecipazione e sottraendo rappresentazione. Insieme alle voci itineranti si ascolteranno in cuffia paesaggi sonori e insert audio pertinenti (come le memorie orali di cittadini anziani o estratti di repertori documentali) attraverso l'uso degli smartphone. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 13 332 Carlo Infante - Urban Experience 3. Il performing media storytelling Viaggiamo dentro noi stessi quando ci ritroviamo in luoghi che ci ricordano cosa cerchiamo… C’è una frase di Tolstoj che può ben definire il principio attivo che sta a monte dei processi del performing media storytelling: “Se descrivi bene il tuo villaggio parlerai al mondo intero”. È netta, precisa ed evocativa. Fa capire quanto sia importante essere consapevoli della propria identità e allo stesso tempo cercare di misurarci con il mondo tutto, senza rimanere prigionieri nella propria memoria, per liberare un’energia di innovazione culturale decisamente glocal. La differenza dallo storytelling di cui tanto ormai si parla è nell’ibridazione narrazioneazione, facendo direttamente “parlare” i territori, creando le condizioni abilitanti, ludiche e partecipative, per mettersi in sintonia con il genius loci mentre lo si esplora o lo si assaggia, operando su format di performing media che vanno oltre il dato di rilevazione delle storie per rivelarle nelle geografie che si abitano, sia stabilmente sia in via temporanea. È questo uno dei temi caldi per quella ricerca d’innovazione territoriale che attraverso i format di performing media trova il suo fulcro nei walkabout, le conversazioni nomadi che grazie ai sistemi whisper-radio permettono di sollecitare un confronto connettivo mentre si passeggia, in un flusso peripatetico espanso in una diffusione radiofonica partecipativa (diffusa, spesso, in streaming su web-radio) in giro per le città e i territori. Sciamando per strade e sentieri si cerca la sintonia giusta con le piccole storie delle comunità, in un rapporto fisico, performativo e connettivo, attivando una partecipazione senziente, ludica e sodale: resiliente. Si tratta di “accendere lo sguardo” quando si esplora l’ordinario urbano, attraversando luoghi che spesso si è convinti di conoscere a fondo. Una delle chiavi che vi si adotta è quella di “girare la zolla” se non “scavare” per cogliere le stratificazioni storiche, sollecitando una memoria attiva che operi con il metodo dello sguardo partecipato. È di questo che da anni si tratta per Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 13 333 Carlo Infante - Urban Experience accendere i processi partecipativi per l’innovazione sociale e la rigenerazione urbana per rivelare, e non solo rilevare, i paesaggi umani degli ecosistemi urbani. Buona parte di questa attività trova una sua restituzione nel web, attraverso i geoblog definiti anche mappe esperienziali. In particolare le mappe interattive (inventate, nell’ambito delle Olimpiadi Torino 2006, prima di googlemaps) rappresentano la peculiarità di scrivere storie nelle geografie, lasciando l’impronta, taggando, esperienze di esplorazione perché possano tracciare itinerari da ripercorrere in operazioni anche orientate verso il turismo esperienziale e, in senso lato, in relazione a ciò che riguarda l’edutainment e più in particolare ciò che riguarda l’apprendimento dappertutto. Questi particolari processi, che rappresentano l’insieme delle diverse modalità inscritte nella strategia del performing media storytelling, possono creare una filiera creativa che dai walkabout passa ai geoblog, alla videoproiezione nomade (quando alle conversazioni peripatetiche si combina una videoproiezione itinerante, per ritagliare visioni sui paesaggi urbani) e poi concepire un’attività di segnaletica performativa con particolari targhe segnaletiche basate sull’uso di mobtag (detti anche qrcode) che linkano a pagine web in cui trovare (e magari ascoltare) storie inscritte nelle geografie, in prossimità dei luoghi dove sono state raccolte. Si cammina per i luoghi e si pesca dal cloud i riferimenti che sollecitano l’attenzione e invitano a porre lo sguardo su alcuni dettagli. È un buon modo per rilevare informazioni-emozioni mentre si esplora un territorio e così rivelare il genius loci espresso dalle voci degli abitanti. Il performing media storytelling comporta delle azioni performative, condizioni che trovano un background nella ricerca sul paesaggio sonoro e nella radiofonia sperimentale di decenni fa, per un coinvolgimento diretto dei portatori di storie in una stretta interazione con i nuovi media interattivi e mobili di per sé performanti. In tanti oggi parlano di storytelling delegando all’uso dei social network la funzione di mero riverbero web di ciò che accade nell’esplorazione partecipata, ignorando la potenzialità dell’azione diretta, progettata secondo principi di urbanismo tattico. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 13 334 Carlo Infante - Urban Experience Qui si tratta di andare oltre il dato automatico dello sharing su facebook o twitter per attivare processi di coscienza partecipativa, fisica ed empatica, che sappia giocare con i media interattivi e mobili in una condizione esperienziale con i “piedi per terra e la testa nel cloud”, coniugando web e territorio, il reale con il digitale. Il performing media storytelling comporta questa scommessa culturale: trovare il modo per mettere in relazione memoria-reti-territorio attraverso l’azione partecipativa, sollecitata da quelle particolari condizioni abilitanti che possano esplicitare il rapporto con tecnologie da usare (inventando valori d’uso creativi) fino a farle diventare linguaggi a tutti gli effetti. E conseguentemente modalità performanti per sollecitare reciprocità con gli spettatori-cittadini, secondo i principi del cosiddetto Audience Development inteso come sviluppo progressivo dello spettatore attivo. Sì, è proprio dando forma ad un pensiero globale – inscritto negli scenari della radicale transizione in atto, contemplando un ripristino dei rapporti originari tra natura e cultura – innervato nell’azione locale, rilevando le peculiarità dei territori e rivelando genius loci, che si può attivare uno storytelling sostanziale e non solo superficiale (con il surf sui social) capace di fare e pensare innovazione territoriale. Una strategia che contempla l’innovazione sociale centrata sulla partecipazione attiva e l’inclusione, secondo i principi della smart community e il design for all (rivolto all’accessibilità universale). Una ricerca che va fuori e dentro sé alla ricerca delle matrici sia del proprio essere sia del divenire sociale, esplorando Paesaggi Umani e praticando esercizi creativi di resilienza per creare le condizioni per attuare quell'innovazione adattiva che converta l’avanzamento tecnologico in opportunità evolutiva. È in noi che i paesaggi hanno paesaggio. Perciò se li immagino li creo; se li creo esistono; se esistono li vedo. La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo. Fernando Pessoa da “Il libro dell’inquietudine” Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 13 335 Carlo Infante- Web come nuovo spazio pubblico Indice 1. LE DINAMICHE DELLA CONSAPEVOLEZZA SOCIALE ........................................................................... 3 2. IL RISCHIO DELLE ANIME COLONIZZATE DAI GRANDI PLAYER DEL WEB ............................................ 6 3. LA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA ..................................................................................................... 10 4. DICHIARAZIONE DEI DIRITTI IN INTERNET ........................................................................................... 11 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 13 336 Carlo Infante- Web come nuovo spazio pubblico 1. Le dinamiche della consapevolezza sociale Lo spazio pubblico è il luogo in cui si esplicita la condivisione della nostra consapevolezza sociale. È un luogo, fisico ed oggi anche digitale, connotato dall’uso collettivo, in quanto bene comune, dove tutti hanno la possibilità di stare e interagire. È uno spazio aperto della comunità che si differenzia dallo spazio privato, personale, intimo o familiare. Nei secoli, nonostante le dittature, la nozione di spazio pubblico si è estesa fino a comprendere ogni spazio collettivo nel quale si esercitano i diritti/doveri di cittadinanza, d'informazione, di azione politica. L'evoluzione dello spazio pubblico ha di fatto scritto la storia delle città: la polis dell'antica Grecia con l’invenzione dell’agorà, il Foro Romano e le straordinarie vie consolari, le piazze medioevali come luoghi di scambio commerciale e fulcro dell'identità dei primi Comuni, le piazze barocche del Seicento romano, i boulevard di Parigi progettati da Haussmann, il Central Park a New York e oggi il web, spazio pubblico immateriale. Nello spazio pubblico si mette in gioco la nostra consapevolezza sociale che non è mai un dato scontato, visto che si sviluppa sulla base di alcune prerogative in particolari contesti. Dovremmo infatti riflettere che si basa su una serie di ambiti: la famiglia, la cerchia degli amici e dei coetanei, il sistema educativo, dalla scuola all’università, il contesto lavorativo e i media. Oggi nell'era dell'interconnessione, con i social media che hanno potenziato l’influenza della cerchia degli amici in una sorta di “bolla” che pervade gran parte dei comportamenti sociali, lo scenario è cambiato. Famiglia, lavoro e sistema educativo sono nettamente in secondo piano rispetto agli andamenti attrattivi del connubio tra media e sfera amicale. Con la fine della società di massa, gli ambiti produttivi e quelli educativi non sono più alveo di conflitto sociale, in cui si concentrarono moti aggregativi e identitari. Quel mondo è in via di esaurimento, gli scenari produttivi sono ormai molecolarizzati e quelli educativi si stanno ancora riconfigurando in un tempo contraddistinto dalla indeterminatezza dei ruoli, a tal punto da individuare più competenza tra i giovani studenti che tra gli adulti docenti rispetto all’innovazione digitale che sta dettando il suo tempo al mondo. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 13 337 Carlo Infante- Web come nuovo spazio pubblico L’uso dei social network, così presente nella pratica quotidiana, è talmente pervasivo da confondere spesso i piani di realtà, tra la dimensione digitale e quella fisica. Stiamo assistendo al potenziamento di una parte della nostra identità, quella digitale che interagisce quotidianamente con altre identità digitali in una tale quantità di comportamenti senza qualità che fino a qualche decennio fa erano impensabili. Di fronte a questi schermi, che molto spesso portiamo anche in tasca, svolgiamo funzioni molto più evolute rispetto a quelle che si esprimevano di fronte al mass media televisivo, in cui si consumavano solo, informazioni e visioni. Oggi siamo prosumer, cioè produttori e consumatori delle informazioni che elaboriamo anche automaticamente: con un clic sul like e uno per la condivisione, produciamo un atto completo di comunicazione pubblica, in meno di 2 secondi. Le nostre identità digitali si andranno a comporre nel tempo, con la somma delle tracce lasciate nella rete, senza controllare più di tanto la nostra immagine pubblica. L’identità digitale sarà sempre più integrata nel processo di apprendimento all’uso del web ma non sarà solo un prodotto delle informazioni pubblicate sui social media, ma anche dalle informazioni che rilasciano i nostri dispositivi digitali automaticamente, a nostra insaputa. Come quando lo smartphone rende pubblica la nostra geolocalizzazione quando utilizziamo Google o altre applicazioni. È quindi decisivo essere consapevoli dell’uso delle nuove tecnologie per non essere usati dai loro automatismi, solo a quel punto potremo esercitare al miglior grado il web come spazio pubblico, come ambito di libera espressione e migliore auto-organizzazione sociale. La possibilità di associare le identità digitali nel web all’azione negli spazi pubblici potrà offrire nuove opportunità alle comunità territoriali per condividere meglio i loro ecosistemi. Sarà importante creare dei social network locali per favorire la comunicazione tra gli utenti che condivideranno gli stessi spazi, sia fisici sia web, smarcandosi dai social network massivi delle imprese multinazionali. Associare quindi le identità digitali ai luoghi di residenza, aprirà nuove frontiere alle dinamiche di comunicazione in scala iper-locale, catalizzando nuovi processi di co-progettazione degli spazi pubblici di un territorio, valorizzandone le sorti. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 13 338 Carlo Infante- Web come nuovo spazio pubblico Il risultato sarà la qualificazione dei processi di cittadinanza educativa e di innovazione sociale, emancipando le dinamiche partecipative verso soluzioni di governance come la democrazia diretta e la sussidiarietà in stretta correlazione con le istituzioni territoriali, inverando ciò di cui stiamo trattando: fare del web uno spazio pubblico. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 13 339 Carlo Infante- Web come nuovo spazio pubblico 2. Il rischio delle anime colonizzate dai grandi player del web Da sempre la tecnologia ha distrutto vecchie configurazioni per crearne delle nuove. Nella combinazione tecnologica tra informatica e telematica si aprì, già negli anni Ottanta, un fronte progressivo che nell’arco di un decennio portò alla nascita del web. Oggi è in corso una rivoluzione che non è più solo tecnologica ma sociale, sta costituendo l’evento più rilevante del nuovo millennio. Howard Rheingold, uno dei maggiori scenaristi delle culture digitali, tratta di questo fenomeno come un nuovo rinascimento, ma individua allo stesso tempo i rischi di “anime colonizzate” dall’invadenza dei grandi player di questa rivoluzione. Soggetti d’impresa globale come Google, Facebook, Amazon stanno dominando a tal punto da creare processi di grave condizionamento di questi comportamenti sociali. Le tecnologie digitali sono una promessa che non può colmarsi da sola, sta a noi e alle forme di organizzazione civile che esprimiamo cercare di interpretarne la potenzialità senza subire l’impatto di un’offerta tecnologica che ci condiziona. Lo sviluppo del web nei primi anni Novanta creò una tale espansione della base dell'utenza in rete grazie alla gratuità del servizio, un andamento che gonfiò a dismisura la new economy, alimentando un sistema che si inventò un mercato dal nulla, in tempi velocissimi. Ma era tutto un gioco di posizionamento nelle Borse internazionali, un'economia senza economia reale, basato sul rapporto squilibrato tra società e mercato. Quella bolla economica scoppiò, producendo una crisi che però creò poi le condizioni per la nascita del web 2.0, alimentato dalla spinta partecipativa dei blog. Si percepì allora un piano di riequilibrio tra il mercato dell'offerta tecnologica e la società della domanda sociale ed evolutiva. Una condizione interessante che non fu interpretata con l’opportuna intelligenza politica dalle istituzioni, lasciando di nuovo tutto in mano al mercato del libero scambio, senza innescare politiche adeguate per qualificare il valore d’uso degli utenti. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 13 340 Carlo Infante- Web come nuovo spazio pubblico Si stava diffondendo l'idea di un sapere eticamente motivato capace di individuare la chiave per sviluppare, in modo compatibile alla nostra evoluzione, la società dell'informazione. Si trattava di fare di quel nuovo modello di sistema economico impostato sulla transazione di informazioni qualcosa che avrebbe soppiantato la società industriale. Il modello industriale aveva al suo centro la trasformazione delle materie in merci, la loro distribuzione e il conseguente consumo, attraverso un lavoro fisico e meccanizzato. Allora era tutto chiaro: il capitale e il lavoro, ciascuno al suo posto. Nella società dell’informazione la fluidità dell’economia crea altri percorsi del valore: prende forma il processo per cui le informazioni non si faranno merci se le si consuma e basta, ma dovranno entrare in un circolo virtuoso che le riproduca, usandole, rielaborandole. Con il web 2.0 emerge la figura ibrida del prosumer, il produttore-consumatore di informazione. È in questa dimensione che si collocano movimenti di ricercatori, webmaker e protagonisti di un nuovo modo di lavorare attraverso la tecnologia, i knowledge worker. Soggetti mobili e nobili d'animo, disposti a non essere più solo avanguardia come era già accaduto nella storia del Novecento, erano alfieri di una innovazione tecnologica che di fatto si stava rivelando antropologica. Cambiavano non solo le tecnologie ma i linguaggi e i comportamenti. L'avanguardia non era più possibile, il mondo andava troppo veloce. A quella parola si sovrappose un’altra parola, innovazione. In questo nuovo flusso di opportunità si cambiava il passo, la velocità era sì fuori, nell’accelerazione tecnologica, ma anche dentro, come percezione accesa, tensione creativa da tradurre in valore, in ritmo evolutivo. Senza correre, mantenendo salda la propria sfera emozionale e creativa, sfuggendo ai sistemi di omologazione, come delle unità mobili intelligenti, come suggeriva Robert Fripp dei King Crimson. Emergeva una nuova qualità umana sollecitata da una rivoluzione digitale che si espandeva a dismisura attraverso nuovi habitat produttivi affollati di smartphone, tablet, personal computer, console di videogame, reti telematiche. Una nuova potenzialità degli utenti che tendevano non solo a trasformarsi in soggetti culturali ancora più attivi, ma in progettisti di nuove Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 13 341 Carlo Infante- Web come nuovo spazio pubblico imprese come le start up. Si stavano creando insomma le condizioni per fare del web un nuovo spazio pubblico in cui i lavoratori della conoscenza stavano tracciando percorsi da modellizzare, andando oltre il dato della sperimentazione, per impattare con i vari asset istituzionali del sistema educativo e della governance nonché tutti i comparti produttivi delle imprese da re-ingegnerizzare attraverso metodologie come l’open innovation. Emergeva una nuova cultura d'uso delle tecnologie promossa dall'interazione serrata tra i sistemi della comunicazione partecipativa e l’arsenale di tecnologie digitali da utilizzare con applicazioni tutte da inventare. Ci si poneva come indirizzo strategico la necessità di valorizzare i territori con il loro patrimonio ambientale e culturale dando corpo e senso a un motto come "pensare globale per l'agire locale". Accadeva ed ha lasciato il segno: gran parte di quello che oggi accade deve molto a quella classe creativa che nell’ultimo decennio del secolo scorso ha seminato e coltivato un ecosistema che ha fatto del web uno spazio pubblico e non solo una prateria da solcare con la logica assatanata del business mordi e fuggi, come fu nei primi anni di lancio pubblico di internet (nella sua forma web) come eldorado commerciale. Perché ciò accada realmente e non rimanga solo una promessa o uno slogan è fondamentale concepire il web come un ambiente di sostanziale condivisione, interoperabile, aperto. Come uno spazio pubblico a tutti gli effetti. L’innovazione digitale sarà funzionale alla nostra evoluzione solo se sarà la società ad esprimerla, creando le condizioni perché si sviluppi un’innovazione adattiva, dove sono i bisogni e i desideri a scandire le dinamiche della ricerca, applicandole sia agli ambiti sociali sia a quelli del mercato, che ha tutto da guadagnare da una domanda più consapevole di tecnologia. È evidente che ciò può realizzarsi solo se le istituzioni attivano un piano complessivo che garantisca l’accesso generalizzato all’interconnessione del web. Qualcosa in tal senso è già accaduto con il riconoscimento del diritto di accesso ad Internet all'interno dell'ordinamento italiano, proposto per la prima volta dal giurista Stefano Rodotà nel 2010, nell'ambito dell’Internet Governance Forum Italia a Roma, dove si propose di inserire un articolo "21-bis" nella Costituzione della Repubblica al fine di far rientrare l'accesso alla rete quale diritto fondamentale. 342 Carlo Infante- Web come nuovo spazio pubblico 3. La democrazia partecipativa Le tecnologie del web permettono ai cittadini di accedere alle informazioni, e questo consentirebbe loro di effettuare delle controproposte alle istituzioni. Sono proprio le istituzioni a dover essere trasparenti in questo caso e non i cittadini. L’idea è quella di rendere pubblica, attraverso forme di democrazia partecipativa, l’iniziativa legislativa e costringere le forze politiche quantomeno a discutere le proposte dei cittadini. In tal modo l’agenda politica sarebbe influenzata in maniera attiva dalla cittadinanza: il punto di partenza potrebbe essere una sperimentazione di consultazioni obbligatorie a livello locale. Questo ha due vantaggi: tratta di temi in cui i cittadini sono coinvolti in prima persona, e quindi più interessati a far sentire la loro voce; ed evita, per la natura stessa di una consultazione locale, derive plebiscitarie. La democrazia partecipativa permette ai cittadini di essere messi a conoscenza dei fatti in maniera trasparente, oltre che informare loro dei casi in cui possono intervenire attivamente e di quelli in cui invece non possono. L'accesso a Internet (e meglio ancora, il diritto alla banda larga) è teso a garantire la possibilità di ogni persona di accedere alla rete, per esercitare nella realtà online i propri diritti, dalla libertà di espressione all'iniziativa economica privata e, in generale, le proprie libertà fondamentali. Ciò rende possibile il valore fondante del web come spazio pubblico. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 13 343 Carlo Infante- Web come nuovo spazio pubblico 4. Dichiarazione dei Diritti in Internet Questo che pubblichiamo qui è il testo elaborato dalla Commissione per i diritti e i doveri in Internet costituita presso la Camera dei deputati nel 2014, presieduta da Stefano Rodotà su indicazione della presidente della Camera Laura Boldrini. È un documento importante per la vision che esprime e il linguaggio netto e pertinente, preciso nel cogliere le peculiarità del fenomeno dell'interconnessione in quanto opportunità sociale. Internet ha contribuito in maniera decisiva a ridefinire lo spazio pubblico e privato, a strutturare i rapporti tra le persone e tra queste e le Istituzioni. Ha cancellato confini e ha costruito modalità nuove di produzione e utilizzazione della conoscenza. Ha ampliato le possibilità di intervento diretto delle persone nella sfera pubblica. Ha modificato l’organizzazione del lavoro. Ha consentito lo sviluppo di una società più aperta e libera. Internet deve essere considerata come una risorsa globale e che risponde al criterio della universalità. L’Unione europea è oggi la regione del mondo dove è più elevata la tutela costituzionale dei dati personali, esplicitamente riconosciuta dall’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali, che costituisce il riferimento necessario per una specificazione dei principi riguardanti il funzionamento di Internet, anche in una prospettiva globale. Questa Dichiarazione dei diritti in Internet è fondata sul pieno riconoscimento di libertà, eguaglianza, dignità e diversità di ogni persona. La garanzia di questi diritti è condizione necessaria perché sia assicurato il funzionamento democratico delle Istituzioni, e perché si eviti il prevalere di poteri pubblici e privati che possano portare ad una società della sorveglianza, del controllo e della selezione sociale. Internet si configura come uno spazio sempre più importante per l’autorganizzazione delle persone e dei gruppi e come uno strumento essenziale per promuovere la partecipazione individuale e collettiva ai processi democratici e l’eguaglianza sostanziale. I principi riguardanti Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 13 344 Carlo Infante- Web come nuovo spazio pubblico Internet tengono conto anche del suo configurarsi come uno spazio economico che rende possibili innovazione, corretta competizione e crescita in un contesto democratico. Una Dichiarazione dei diritti di Internet è strumento indispensabile per dare fondamento costituzionale a principi e diritti nella dimensione sovranazionale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 13 345 Carlo Infante - Cittadinanza digitale Indice 1. PARTECIPARE ALLA SOCIETÀ ON LINE ................................................................................................. 3 2. IL WEB 2.0 E LA DISINTERMEDIAZIONE .................................................................................................. 6 3. DIGITAL DIVIDE: IL DIVARIO DIGITALE E LE PARI OPPORTUNITÀ D'ACCESSO AL WEB ....................... 9 4. I NATIVI DIGITALI................................................................................................................................. 11 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 13 346 Carlo Infante - Cittadinanza digitale 1. Partecipare alla società on line La cittadinanza digitale si esprime attraverso le diverse forme di partecipazione alla società online. Si tratta di un fattore di primaria importanza perché il livello dei servizi pubblici - in termini di qualità, fruibilità, accessibilità e tempestività - dipende dalla condizione tecnologica di chi ne usufruisce: la disparità di trattamento dei cittadini è direttamente proporzionale alla loro capacità di accedere alla rete. Da qui deriva la stretta correlazione con le problematiche legate al divario digitale (digital divide) e alla necessità, per i cittadini, di acquisire le competenze digitali necessarie per esercitare i propri diritti. Stiamo trattando del complesso dei diritti e dei doveri dei cittadini formulati in adattamento allo sviluppo dell’e-government e della fruizione dei servizi in rete. Rispetto alla cittadinanza tradizionale la cittadinanza digitale dà luogo a uno spazio giuridico in cui i diritti e doveri di cittadinanza possono essere esercitati sia nel contesto fisico reale sia in quello digitale del web. Per un buon equilibrio della cosiddetta società dell’informazione e della conoscenza, dalla e-democracy (che si estende al voto elettronico) alla democrazia partecipativa (che permette di attivare confronto con i cittadini), è basilare affrontare l’equità di trattamento dei cittadini, garantendo la capacità di accesso alla rete, evitando il digital divide. La Carta della cittadinanza digitale varata nel 2015 sancisce il diritto di cittadini e imprese, “attraverso l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione…di accedere a tutti i dati, i documenti e i servizi di loro interesse in modalità digitale…al fine di garantire la semplificazione nell’accesso ai servizi alla persona”. Le ultime novità in fatto di cittadinanza digitale si sono avute nel 2017 (in Gazzetta ufficiale il 12 gennaio 2018) in cui sono state emanate le disposizioni integrative e correttive, in un decreto chiamato proprio Carta della cittadinanza digitale. Giunto alla sua sesta versione raccoglie ormai non solo diritti e doveri che già contraddistinguono il rapporto tra cittadini, imprese e pubblica amministrazione, ma individua e Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 13 347 Carlo Infante - Cittadinanza digitale getta le basi giuridiche per nuovi strumenti e servizi volti a rafforzare quelli esistenti, sulla scia anche di quanto previsto nel Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione. Il leitmotiv di questo ultimo correttivo sembra essere quello di una pubblica amministrazione semplificata e finalmente “a portata di mano”, grazie anche a una sorta di pannello di controllo centrale da cui i cittadini possono gestire i rapporti con la PA. Tra i diritti di cittadinanza digitale previsti dall’ultimo correttivo del CAD (Codice dell'Amministrazione Digitale), quello di eleggere un proprio domicilio digitale presso cui ricevere le comunicazioni della PA per via telematica. Il cittadino digitale diviene portatore di diritti e doveri, fra questi quelli relativi all'uso dei servizi della Pubblica Amministrazione, pianificati dalla Carta della Cittadinanza Digitale, una legge delega che elenca i principi fondamentali, tra cui: l’identità digitale (intesa come la disponibilità di un’identità digitale unica assegnata ai cittadini dalle amministrazioni); la protezione dei dati personali; la riduzione della necessità dell'accesso fisico agli uffici pubblici attraverso la digitalizzazione di dati, documenti e servizi; la definizione di livelli minimi di prestazioni facendo rientrare così la digitalizzazione dei servizi nella Costituzione; la definizione di requisiti minimi per la Pubblica Amministrazione riguardanti l'ambito digitale; modifiche al Sistema Pubblico di Connettività (SPC), decisivo per garantire l’interoperabilità tra diverse amministrazioni, consentendo di condividere e scambiare risorse informative; modifiche per favorire l'uniformità del Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID); creazione del domicilio digitale; il Difensore Civico Digitale Unico; ottimizzazione della spesa per la digitalizzazione. La Carta della cittadinanza digitale prevede il diritto per i cittadini di utilizzare i pagamenti digitali ed elettronici effettuati con qualsiasi modalità di pagamento, (incluso l’utilizzo per i micropagamenti del credito telefonico) quale mezzo principale per i pagamenti verso la pubblica amministrazione e gli esercenti servizi di pubblica utilità. La firma digitale consente di scambiare in rete documenti con piena validità legale, garantendone l’autenticità, l’integrità e la non ripudiabilità. La firma digitale utilizza una coppia di chiavi digitali asimmetriche una privata e una pubblica. La prima è conosciuta solo dal titolare ed Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 13 348 Carlo Infante - Cittadinanza digitale è usata per generare la firma digitale da apporre al documento. La seconda è usata per verificare l’autenticità della firma. Il Sistema Pubblico per la gestione dell’Identità Digitale di cittadini e imprese (SPID) permette ai cittadini di accedere ai servizi online offerti dalle pubbliche amministrazioni con un’unica identità digitale (username e password) utilizzabile da computer, tablet e smartphone. Come definita dalla carta della cittadinanza digitale, l’identità digitale è “la rappresentazione informatica della corrispondenza tra un utente e i suoi attributi identificativi, verificata attraverso l’insieme dei dati raccolti e registrati in forma digitale”. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 13 349 Carlo Infante - Cittadinanza digitale 2. Il web 2.0 e la disintermediazione Con la rivoluzione del web 2.0 si è passati dalla gestione gerarchica dell’informazione al blogging che ha messo in campo un volume tale di partecipazione in rete da tracimare dappertutto. Il web 2.0 ha creato una tendenza sia sociale sia tecnologica che ha formato una nuova generazione di utenti di Internet, facendo della partecipazione l’occasione per l’apertura di spazi di agibilità non previsti. Quando sono arrivati i social network, con tutta l’evoluzione delle tecnologie mobili, divenne evidente che quegli spazi aperti stavano rendendo il web uno spazio pubblico. I prosumer, utenti che diventavano produttori e non solo consumatori di contenuti digitali da condividere, divennero i protagonisti di questo fenomeno dirompente. Si aprì una nuova finestra sul mondo, la rete divenne l’infrastruttura in cui tutti potevano dare visibilità alle proprie idee. Queste forme nuove di partecipazione e di organizzazione sociale iniziano a promuovere uno spirito civico molto significativo. Una partecipazione che dà al cittadino la possibilità di prendere parte alle scelte sui temi che lo riguardano. I cittadini iniziano a condividere con i referenti istituzionali le responsabilità nella gestione della res publica. Questa linfa della dimensione partecipativa attraversa il contesto sociale, creando di fatto un doppio regime di cittadinanza, in cui quella reale, ancorata alle appartenenze territoriali, va ad interagire con quella digitale molto più attiva e aggregata in base ad affinità e tensione ideali. Emerge una “democrazia continua”, come la definì il giurista Stefano Rodotà, attraverso la quale si stabiliscono relazioni tra pari, il cui coinvolgimento, la partecipazione su larga scala e la cooperazione diventano orizzontali, aperte, combinatorie. In rete tutti sono in grado di proporre progetti, confrontarli e modificarli. La rete crea le condizioni per cui il sistema della rappresentanza, finora adottato dal sistema dei partiti, venga messo in discussione, attraverso la disintermediazione, per cui vengono saltati dei passaggi, come quelli della rappresentanza politica, e le comunità iniziano ad autoAttenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 13 350 Carlo Infante - Cittadinanza digitale organizzarsi. La disintermediazione che si andava sviluppando in rete con i blog partecipativi inizia a creare uno smottamento dei sistemi, anche in relazione alla politica e alle attività sindacali, fino ad allora basate sul reclutamento dei quadri e della loro immissione nei ruoli di rappresentanza, che si riferivano ai processi ideologici e dei modelli storici e a quelli della produzione industriale, dove si erano consumati i conflitti tra capitale e lavoro. La trasformazione è in atto ma scorre su percorsi indeterminati, confusi, per cui le dinamiche non sono mai realmente trasparenti e contemplano non poche contraddizioni. “Le possibilità offerte dalle tecnologie dell’informazione trasformano la politica in forme non riconducibili unicamente all’espansione delle possibilità di partecipazione, aprendo invece le porte a processi di manipolazione e di controllo, e anche al potere di gruppi ristretti. La congiunzione tra estrema personalizzazione e uso crescente delle tecnologie per una comunicazione diretta tra leader e cittadini può anche configurare una forma politica congeniale alla democrazia plebiscitaria, al populismo del nostro tempo. Convivono, fianco a fianco, tecnologie della libertà e tecnologie del controllo. Inoltre, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione non arrivano nel mondo della politica allo stato puro. Soprattutto nella fase iniziale di tale processo di assimilazione, la politica ne ha conosciuto la versione elaborata per strategie di mercato. Si è così parlato di marketing politico, con una deformazione dell’idea di politica che le tecniche adoperate hanno trasformato in un prodotto da vendere”. Stefano Rodotà, Tecnopolitica, 2004 Considerato questo rapido cambiamento della società, prende forma in ogni caso il principio di cittadinanza digitale che ha coinvolto e sconvolto le configurazioni sociali. Questa nuova fase permette di costruire nuovi spazi democratici in cui rilanciare il ruolo dei cittadini, imponendo nuove sfide, a partire da quelle nell’ambito del sistema educativo. La cittadinanza digitale per costruire una propria legittimazione nei contesti collettivi, oltre ad avere un riconoscimento istituzionale con procedure e norme che possano svilupparla nel sistema civico, Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 13 351 Carlo Infante - Cittadinanza digitale deve essere affrontata dal sistema educativo. Questo mondo è in affanno, riesce solo in parte a contestualizzare i nativi digitali che di fatto esprimono competenze (senza la conoscenza adeguata) che i loro docenti solo in parte posseggono. È proprio per questo che diventa strategica la cittadinanza educativa che riguarda sia la formazione culturale sia la formazione di cittadini nel senso più articolato del termine, a partire dai più giovani, in quanto soggetti senzienti della società in transizione. Un altro aspetto si pone come un cardine della questione, è il digital divide, quel divario digitale che rischia di crearsi tra chi ha l'accesso e chi no. In questo caso rischia di crearsi una grave diseguaglianza, condizione critica per cui i fondamenti della cittadinanza digitale rischiano di risultare fragili e decisamente contraddittori. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 13 352 Carlo Infante - Cittadinanza digitale 3. Digital Divide: il divario digitale e le pari opportunità d'accesso al web C'è una parola che esprime bene uno dei ritardi di cui soffre il nostro Paese. È digital divide. Significa divario digitale, ovvero ciò che nega le pari opportunità d'accesso alle risorse informative. Un concetto lanciato da Bill Clinton, in particolare dal suo vicepresidente Al Gore, nel 1996, nel promuovere il piano delle “autostrade dell'informazione”, rilevando però la criticità dell'esclusione delle comunità etniche. Esiste infatti un grave divario sociale tra chi ha accesso alle reti e chi non ce l’ha. Oltre al nodo infrastrutturale della connessione ad internet nelle zone più svantaggiate, la questione si estende a ciò che viene definita la net neutrality (neutralità delle reti) secondo cui tutti i servizi devono essere accessibili a tutti gli utenti, senza esercitare alcuna forma di discriminazione, a partire da quelle stabilite dal peso specifico dei soggetti d’impresa che possono condizionare sia gli utenti sia il traffico dei dati. In questo senso l’accesso ad internet si declina con le garanzie democratiche, sia per l’opportunità di futuro per ampi settori dell’economia sia per il diritto fondamentale alla libertà di informazione, fino ad estendersi ad una creatività sociale, esprimendo al miglior grado cittadinanza attiva capace di fare del web uno spazio pubblico a tutti gli effetti. Il problema è che l'Italia è sotto la media europea (quella estesa, calcolata su 27 Stati membri) di cittadini connessi attestata su 86% a fronte di una diffusione della connessione internet nelle famiglie italiane di circa 83%. Come non pensare al fatto che chiunque utilizzi già in modo soddisfacente queste opportunità tecnologiche non possa che avanzare in termini di sviluppo? Mentre la vaghezza del nostro sistema-Paese nell’utilizzarle accentua il ritardo, divaricando la forbice, distaccandoci sul piano della competitività; aggravando quel digital divide che non riguarda solo i Paesi meno sviluppati ma anche un Paese come il nostro: troppo distratto e intimidito. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 13 353 Carlo Infante - Cittadinanza digitale Questa “timidezza” nell’approccio a internet ha diversi motivi. Il più grave è che in Italia il sistema televisivo, legato a doppio filo con quello pubblicitario, è ancora troppo forte e non ha nessuna intenzione di mollare il suo predominio, ha quindi tutti gli interessi a rallentare i processi di emancipazione rappresentati dall’accesso al web. Emblematico in tal senso è l'investimento strabico sul digitale terrestre che si è rivelato una digressione, ammantando di tecnologia digitale un rilancio incongruo dell'offerta televisiva, disperdendo risorse e attenzione politica sugli investimenti per la banda larga. Non meno grave è la timidezza di molti decisori e intellettuali arroccati su posizioni di una rendita culturale che viene messa in discussione dallo sviluppo delle culture digitali, non gerarchiche e fluide nella ridefinizione del rapporto con le conoscenze. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 13 354 Carlo Infante - Cittadinanza digitale 4. I nativi digitali Sono stati definiti nativi digitali i nuovi cittadini del nuovo spazio pubblico del web, quelli che sono cresciuti in stretta relazione con uno schermo interattivo. Nati alla fine degli anni Ottanta, durante la diffusione di massa dei personal computer a interfaccia grafica, i nativi digitali hanno vissuto le tecnologie come un elemento naturale. Bambini che giocavano con un sonaglio che rispondeva al gesto producendo un suono, o un mouse che ad ogni clic rilasciava un feedback sullo schermo, per non parlare di quelli che, in questi ultimi anni, grazie all’interfaccia touch stabiliscono un rapporto ancora più fluido con l’interfaccia digitale. A coniare quel termine fu, nel 2001, Marc Prensky (ex insegnante ad Harlem ed oggi uno dei maggiori studiosi di innovazione educativa), associandolo a quello di “immigrato digitale” per definire sé stesso e quelli come lui che erano approdati al mondo digitale dopo essersi formati in quello analogico fatto di penne, libri e televisione. Nelle sue analisi pone l’accento su come sia stata vissuta dai nativi digitali questa rivoluzione digitale, come un processo spontaneo di crescita, mentre per tanti di noi fu una evoluzione del modo di ricercare informazioni, elaborarle e condividerle. A fronte di questa considerazione s’impone l’urgenza di modificare il modello tradizionale dei processi educativi. È evidente che la questione riguarda il concetto fondante della cittadinanza digitale, visto che si tratta di affrontare in modo adeguato l'ambientazione in un nuovo mondo in cui la gestione delle informazioni investe tutto, dai modelli produttivi a quelli istituzionali, dalle relazioni alle transazioni bancarie. Non riguarda solo genitori, docenti, editori e istituzioni ma l'intero sistema sociale perché i nativi digitali incorporano attitudini che possono essere decisive per fare quel salto di qualità verso la società interconnessa che auspichiamo da più di trent’anni. Bisogna però considerare che essere nativi digitali non significa essere competenti digitali anche perché alla base di gran parte dell’utilizzo delle tecnologie interattive ci sono degli automatismi, soluzioni opache che non rendono trasparenti e decodificabili le procedure. Il punto Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 13 355 Carlo Infante - Cittadinanza digitale qui non riguarda solo l’ingegneria informatica che sottende competenze molto verticali ma i processi cognitivi che si attivano nell’interazione con i sistemi digitali. È su questo aspetto che è necessario investire attenzione, da quella istituzionale a quella dei pionieri del digitale che, sperimentando continuamente la frequentazione dello spazio pubblico del web, possano trarre indicazioni, mappe cognitive, linee d’indirizzo per fare della cittadinanza digitale un valore di emancipazione sociale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 13 356 Carlo Infante - Etica open source Indice 1. IL SOFTWARE APERTO COME BENE COMUNE ...................................................................................... 3 2. CIÒ CHE È LIBERO NON È GRATIS ........................................................................................................ 5 3. COPYLEFT .............................................................................................................................................. 7 4. LA LICENZA IPPOCRATICA DEL SOFTWARE .......................................................................................... 9 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 12 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 12 357 Carlo Infante - Etica open source 1. Il software aperto come bene comune La definizione che si era diffusa sulla scia dell’invenzione di internet fu quella di free software da cui si è sviluppata conseguentemente l'idea di software open source per poi allargarsi a molti altri settori, tra cui l'hardware open source. Nel corso degli anni si è spesso, erroneamente, associato il termine open source a gratis, ma non è così, o almeno non sempre. Infatti, il principio base dell'open source non è la gratuità del prodotto (hardware o software che sia) ma la possibilità di vedere come è fatto e, se se ne hanno voglia e capacità, di migliorarlo. Questa possibilità, grazie all'esplosione della rete, ha prodotto degli effetti domino di incredibili proporzioni, mai immaginabili prima, tanto è vero che anche la stessa NASA ha reso open source alcuni suoi programmi, e che il web nasce proprio su presupposti open source. Va ricordato che nel 1993, il Cern di Ginevra decise di rilasciare, come pubblico dominio, il codice sorgente del World Wide Web. È grazie a questa grande opportunità di concedere il codice aperto per lo sviluppo del web a chiunque che abbiamo la rete interconnessa che usiamo tutti i giorni. L'idea di realizzare una rete di documenti ipertestuali visualizzabili e interoperabili tramite un browser venne a Tim Berners-Lee nel 1989, e venne affinata insieme al collega Robert Calliau. Il progetto, intimamente open source, fu realizzato presso il Centro di ricerca i Ginevra tra il 1990 e il 1991 e sfociò nella creazione del primo sito web che conteneva tutti dati che avevano permesso lo sviluppo del world wide web. Erano gli elementi fondativi della rete delle reti, che utilizzando il protocollo internet grazie ai collegamenti ipertestuali, ha visto diffondersi esponenzialmente questa infrastruttura globale potente e incredibilmente semplice da utilizzare da tutti. È stato possibile perchè era aperta, riutilizzabile perché era open source. Un bene comune, di fatto. Pensate solo per un attimo se avessero avuto la malaugurata idea di brevettare quel software. Il web non ci sarebbe. Oggi il termine open source è talmente qualificante che viene usato in tantissimi ambiti, anche per definire una filosofia e un'etica che rivendica lo scambio aperto, la partecipazione, l’intelligenza connettiva e collettiva, la trasparenza e lo sviluppo resiliente delle comunità. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 12 358 Carlo Infante - Etica open source L’open source si riferisce al modello di sviluppo e distribuzione di un software, per mezzo di una licenza attraverso cui i detentori dei diritti ne favoriscono la modifica, lo studio, l'utilizzo, la redistribuzione, la diffusione aperta. Caratteristica principale dunque delle licenze open source è la pubblicazione del codice sorgente, rilasciando grande beneficio perché permette a moltitudini di programmatori di coordinarsi e lavorare allo stesso progetto, utilizzando la rete. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 12 359 Carlo Infante - Etica open source 2. Ciò che è libero non è gratis Definire “libero” il software significa che rispetta le libertà essenziali degli utenti: la libertà di eseguire il programma, di studiare il programma e di ridistribuire delle copie con o senza modifiche. Questa è una questione di libertà, non di prezzo. Per esplicitare il concetto Richard Stallman - uno degli hacker del MIT (Massachusetts Institute of Technology) che nel 1971, quando era programmatore del laboratorio di intelligenza artificiale dell’istituto, lavorò al primo sviluppo di Internet e fondatore dell’Electronic Frontier Foundation - tirò fuori questa battuta: “quando dico free penso alla libertà di parola e non alla birra gratis”. Va detta una cosa dirimente: free in inglese significa sia gratuito che libero, in italiano è ben diverso, libero e gratuito sono due parole ben distinte. Il fatto è che si tratta di libertà essenziali, non soltanto per quanto riguarda l'utente in sé, ma perché queste libertà promuovono la solidarietà sociale, cioè lo scambio e la cooperazione. Diventano sempre più importanti man mano che la nostra cultura e le attività delle nostre vite sono sempre più legate al mondo digitale. In un mondo di suoni, immagini e parole digitali, il software libero diventa sempre più una cosa simile alla libertà in generale. Decine di milioni di persone in tutto il mondo usano oggi del software libero, tuttavia la maggior parte di questi utenti non sono mai venuti a conoscenza delle ragioni etiche per cui s’è sviluppato quel software. Il movimento per il software libero sta facendo una campagna per le libertà degli utenti digitali dal 1983, anno in cui si avvia lo sviluppo del sistema operativo libero GNU (acronimo di "GNU's Not Unix"). Si tratta di una piattaforma Unix-like, ideata da Richard Stallman e promossa dalla Free Software Foundation, allo scopo di ottenere un sistema operativo completo utilizzando esclusivamente software libero. L'obiettivo era rifare un sistema operativo libero che avesse le stesse proprietà del sistema Unix, ma che fosse allo stesso tempo originale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 12 360 Carlo Infante - Etica open source L'open source è una metodologia di sviluppo che nasce dall’influenza dei pionieri del software libero, per cui è capace di contemplarne l’imperativo etico. Ma, per chiarire le sovrapposizioni e le contraddizioni rispetto alle matrici ideali su cui si sono sviluppate quelle due linee di ricerca, tutto il software libero esistente è anche open source. E quasi tutto il software open source che è stato rilasciato sotto forma di codice sorgente è anche software libero. Il termine open source è inoltre stato esteso per via della sua applicazione ad ambiti che non prevedono codice sorgente, come governo, istruzione e scienza; in questi campi i criteri delle licenze software sono fuori luogo, l'unica cosa che hanno in comune queste attività è invitare a partecipare allo sviluppo. Quindi a quel punto il termine assume il semplice significato di “partecipativo” o “trasparente”. L'idea dell'open source è quella di permettere agli utenti di apportare modifiche al software e di ridistribuirlo, magari per implementarlo, questo renderà il software più potente e più affidabile. Ricordiamoci che l’affidabilità del software non riguarda solo sua performance procedurale ma l'impatto etico e la garanzia che non violi la libertà dell'utente. Ma cosa accade se il software è progettato in modo da mettere i suoi utenti sotto controllo? Funzionalità discutibili, come spiare gli utenti, restringerne la libertà, inserire back door (metodo per aggirare le difese di un sistema, come un firewall), imporre aggiornamenti, sono pratiche possibili nel software proprietario. Sotto la pressione delle società di produzione cinematografica e discografica, il software che dovrebbe essere a disposizione degli individui è sempre più spesso specificatamente progettato per porli invece sotto restrizione. Questa minacciosa caratteristica è nota come DRM (Digital Restrictions Management) ed è l'antitesi dello spirito delle libertà che il software libero cerca di ottenere. E non è solo una questione ideologica: dal momento che lo scopo del DRM è quello di bloccare la vostra libertà, gli sviluppatori del DRM fanno sì che per voi sia difficile, impossibile e perfino illegale cambiare il software che ha il DRM. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 12 361 Carlo Infante - Etica open source 3. Copyleft L'espressione copyleft (traducibile con "permesso d'autore"), indica un modello di gestione dei diritti d'autore basato su un sistema di licenze attraverso le quali l'autore (in quanto detentore originario dei diritti sull'opera) indica ai fruitori dell'opera che essa può essere utilizzata, diffusa e spesso anche modificata liberamente, pur nel rispetto di alcune condizioni essenziali. Il copyleft può essere applicato ad una moltitudine di opere, che spaziano dai software, alle scoperte scientifiche, ai documenti e all'arte. Nella versione pura e originaria del copyleft (cioè quella riferita all'ambito informatico) la condizione principale obbliga i fruitori dell'opera, nel caso vogliano distribuire l'opera modificata, a farlo sotto lo stesso regime giuridico (e generalmente sotto la stessa licenza). In questo modo, il regime di copyleft e tutto l'insieme di libertà da esso derivanti sono sempre garantiti ad ogni rilascio. Questo termine, in un senso non strettamente tecnico-giuridico, può anche indicare generalmente il movimento culturale che si è sviluppato sull'onda di questa nuova prassi in risposta all'irrigidirsi del modello tradizionale di copyright. Esempi di licenze copyleft per il software sono la GNU GPL, per altri ambiti le licenze Creative Commons (più propriamente con la clausola share alike che permette ad altri di distribuire lavori derivati dall'opera solo con una licenza identica o compatibile con quella concessa con l'opera originale) oppure la stessa licenza GNU FDL usata per Wikipedia fino al 2009 (data del passaggio alla licenza Creative Commons). Il modo più semplice per rendere un software, o altra opera d’ingegno, libero è dichiararlo di dominio pubblico, privo di copyright. In Italia però questo concetto non esiste, perché l'autore non può rinunciare alla paternità dell'opera, se non a 70 anni dalla morte, almeno per quanto riguarda le opere letterarie. Per quanto riguarda l’utilizzo saggistico e mediale c’è una soluzione: l’open access. Si tratta di un concetto che nasce nell’ambito della letteratura scientifica e copre diverse opzioni che vanno Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 12 362 Carlo Infante - Etica open source dalla semplice possibilità di leggere gratuitamente un articolo scientifico a un più complesso sistema di permessi (come ad esempio il riuso o il remix multimediale). L’open access si basa sulla scelta da parte dell’autore di rendere liberamente accessibile la sua opera. Il copyleft significa che chiunque distribuisca conoscenza, letteratura o software, deve accompagnarlo con la libertà di ulteriori copie o modifiche. Il copyleft garantisce che ogni utente sia libero. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 12 363 Carlo Infante - Etica open source 4. La licenza ippocratica del software Il software è un artefatto cognitivo, soft, immateriale, tuttavia può avere gravi impatti nel mondo reale. La tecnologia digitale riguarda ormai ogni ambito della nostra vita, nel bene e nel male, per cui non è scontato un suo uso etico. Tra le tante criticità si può cogliere come esempio quello della Cina che esercita le tecnologie biometriche di riconoscimento facciale per tracciare nella folla i musulmani uiguri. O quello dell'esercito statunitense che usa droni i per bombardare, senza sporcarsi troppo le mani con un attacco aereo rumoroso e fotografabile, i sospetti terroristi e tutti i civili vicini. Qualcuno ha dovuto scrivere il software che rende tutto ciò possibile. Eppure, sta insorgendo una diffusa coscienza critica per cui alcuni sviluppatori chiedono ai loro datori di lavoro e al governo di smettere di usare il loro lavoro in modi che ritengono non etici. I dipendenti di Google hanno convinto l'azienda a interrompere il lavoro di analisi dei filmati con i droni e ad annullare i piani per fare offerte su un contratto di cloud computing con il Pentagono. Coraline Ada Ehmke, una programmatrice di software molto famosa nel mondo dell'open source e nota per il suo attivismo a difesa dei diritti umani, ha proposto una licenza open source che richiede agli utenti di non danneggiare il prossimo. Il software open source può essere generalmente copiato e riutilizzato liberamente, grazie a questa licenza, definita ippocratica per l'analogia con il giuramento medico, si vogliono imporre vincoli etici a questa pratica. Il software rilasciato con questa nuova licenza, chiamata "Licenza Ippocratica", può essere condiviso e modificato per quasi tutti gli scopi della programmazione, con una grande eccezione: "Individui, società, governi o altri gruppi per sistemi o attività che mettono in pericolo attivamente e consapevolmente, danneggiano o minacciano il benessere fisico, mentale, economico o generale di individui o gruppi in violazione della Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite". Definire cosa significa fare del male non è però così facile e si può arrivare a definizioni anche molto controverse. Tuttavia, Ehmke spera che legare la licenza alla Dichiarazione Universale Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 12 364 Carlo Infante - Etica open source dei Diritti Umani sia decisivo, "è un documento che ha 70 anni ed è piuttosto ben consolidato e accettato per la sua definizione di danno e di che cosa significa veramente violare i diritti umani" ha affermato in un'intervista a Wired. È una proposta audace, ma è esattamente il genere di cose per cui Ehmke è nota, come il codice di condotta per progetti open source chiamato "Patto dei Collaboratori". Per ora, pochi usano la Licenza Ippocratica, visto che deve ancora passare una revisione legale, perchè ci sono molte potenziali insidie, come la compatibilità con altre licenze. Attualmente, l'open source tende ad assumere rilievo filosofico, consistendo in una nuova concezione della vita, aperta ma vigile contro gli abusi di potere che l'open source si propone di superare mediante la condivisione della conoscenza. È sulla base di questa tensione ideale che è possibile cogliere l’importanza paradigmatica del software libero e dell’open source in quanto capacità di progettare per rendere più funzionale, etico e sostenibile il futuro digitale. In quella tensione ideale c’è traccia - come rileva Angelo Raffaele Meo, pioniere dell’informatica italiana e professore emerito al Politecnico di Torino, nel suo saggio “Informatica solidale” - dell’economia del dono. Un concetto che arriva dall’analisi etnologica del francese Marcel Mauss in “Essai sur le don” (1923), uno studio sulla economia di scambio e distribuzione dei doni tra le tribù indiane d’America. In quel ciclo donare-ricevere-contraccambiare c’è molto dell’etica open source, come d'altronde nel processo di Wikipedia, dove chi dona una voce nell'enciclopedia aperta o un 'approfondimento, attiva una dinamica di reciprocità che alimenta la piattaforma di conoscenza partecipata. Il web per sua struttura (dopotutto nasce dal dono di Tim Berners Lee del CERN di Ginevra, avendo rilasciato il codice sorgente di un software che si sarebbe potuto brevettare) promuove la diffusione di una nuova cultura del dono, dello scambio reciproco basato sul file sharing, il free software, l’open source, i blog e i social network. Alla base di tutto questo c’è una etica hacker nata per facilitare l'accesso alle informazioni e alle risorse di calcolo ma che di fatto ha creato nuovi modelli collaborativi, esempi emblematici Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 12 365 Carlo Infante - Etica open source di un’etica propria del network a tal punto di essere definita da Pekka Himanen netica (nethic). In questo principio, a partire dal valore della condivisione, rientrano idee come la libertà di espressione e l'accesso per tutti alla rete. Per quanto il mondo degli hacker sia una delle entità più indeterminate che si possano individuare, in quell’approccio c’è una netica che prospetta nuove forme di creatività che potevano essere generate solo in un ambiente che fino a mezzo secolo fa era inimmaginabile, il web. È su questa stessa linea di principio che hanno preso piede gli hackathon (hack e marathon) partendo proprio dal metodo creativo e collaborativo degli hacker. I primi hackathon sono apparsi nel 1999 nei laboratori della Sun Mycrosystem per dei meeting che coinvolsero hacker arrivati da ogni dove. In Italia sono stati organizzati diversi hackathon anche in contesti accademici come la Treccani e la pubblica amministrazione per l'utilizzo degli open data (dati aperti) per utilizzare le risorse informative e progettarne le modalità di riuso, secondo l’etica open source. Anche la Camera dei deputati ha promosso un hackthon, nel 2014, Code 4 Italy, il primo hackathon sugli open data degli atti parlamentari. L’etica open source per quanto sia nata nell’enclave alternativa degli hacker ha espresso nei decenni una metodologia d’innovazione creativa che dimostra quanto sia possibile reinventare l’utilizzo delle tecnologie digitali ben oltre gli assetti standard del consumo di programmi informatici predefiniti. Un’indicazione strategica per delineare una prospettiva culturale e di riuso delle risorse del software libero e aperto, perché si possa attuare quell’innovazione adattiva che sarà in grado di far convergere l'avanzamento tecnologico verso l'evoluzione dei valori d’uso degli utenti. Il futuro digitale passa di qui, nel far adattare l’innovazione digitale alle nostre necessità. E l’etica open source ci sarà di aiuto. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 12 Carlo Infante – Changemaking 366 Indice 1. DARE FORMA ALLA PARTECIPAZIONE ................................................................................................... 3 2. TOP-DOWN E BOTTOM-UP ...................................................................................................................... 5 3. LA COOPETITION E IL GIOCO A SOMMA POSITIVA ............................................................................. 7 3.1 4. IL DESIGN THINKING ................................................................................................................................................... 8 TURMOIL: TUMULTO, SCOMPIGLIO, DISORDINE .................................................................................. 11 BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................................................. 14 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 14 Carlo Infante – Changemaking 367 1. Dare forma alla partecipazione Per attivare processi di changemaking è chiaro che non basta coinvolgere solo le classi dirigenti ma i cittadini, creando le situazioni adeguate perché i possibili cantieri di co-progettazione possano avviarsi. In tal senso bisogna lavorare con la gente piuttosto che per la gente (tenendo conto che coinvolgere comunità di pratica già auto-organizzate è determinante); dare forma alla partecipazione (perché non sia un rituale inerte, avviato solo per arginare le conflittualità sociali) e quindi fare evolvere il coinvolgimento dei cittadini (commisurandoli ai contesti di appartenenza territoriale) nella pianificazione e nell’organizzazione di progettualità come nel caso della rigenerazione urbana. Bisogna creare le condizioni abilitanti con soluzioni di innovazione digitale e metodologie come il design thinking e l’intelligenza connettiva per usare in modo creativo gli spazi e i tempi di progettazione partecipata e armonizzare i processi che dalla progettazione possano arrivare alla sfera decisionale. La progettazione partecipata è un metodo dinamico e flessibile, fondamentale per la condivisione e la comprensione di un processo in atto, efficace nell’indirizzare le prese di decisione, lo sviluppo di piani di intervento e la soluzione dei problemi, mantenendo sempre un equilibrio tra ambiente sociale e naturale, secondo i fondamenti dello sviluppo sostenibile. È sulla base di questi principi che si può innescare una processualità creativa che coinvolga i partecipanti in queste sessioni di discussione che rientrano nell’alveo del changemaking. Ciò si determina attraverso la co-progettazione multistakeholder (i portatori di interesse, di competenza e di buona pratica) che, con la responsabilizzazione dei cittadini, genera senso di appropriazione degli interventi ed empowerment, la condizione che dall’autostima porta all’autodeterminazione. Un punto di partenza fondamentale per le sessioni di lavoro sul changemaking per interpretare le dinamiche del cambiamento in questa società in transizione, dando forma alla partecipazione per indirizzarla verso le strategie di innovazione territoriale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 14 Carlo Infante – Changemaking 368 Il tal senso è fondamentale considerare il principio glocal, prima di tutto perché riequilibra le sorti della globalizzazione che ha prodotto non pochi squilibri internazionali, e poi perché permette di riconoscere le singolarità del patrimonio culturale di tanti territori che necessitano di nuove soluzioni di valorizzazione, proiettate nel globale delle reti informative. La dimensione locale può quindi operare nel pensiero globale, portandoci dentro i climi, i sapori, i suoni delle matrici popolari; così come nell'azione locale può trovar luogo l'aspetto globale dell’interconnessione. Il cosmopolitismo migliore (quello per cui l'umanità non ha nazione) può finalmente declinarsi anche nel desiderio di comunicare senza confini. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 14 Carlo Infante – Changemaking 369 2. Top-down e bottom-up Perché le dinamiche partecipative possano avere un senso compiuto deve esserci un equilibrio tra i modelli top-down e quelli bottom-up, intesi come strategie di elaborazione dell'informazione e di gestione delle conoscenze, nati nell’ambito dello sviluppo del software e oggi sempre più utilizzati nella Teoria dei Sistemi (interazioni sistemiche basate sulla scienza della complessità) applicata in questi casi alla progettazione multistakeholder. Si tratta di un modello d’intervento top-down quello che dall’alto delle istituzioni va verso il “basso” della popolazione, mentre quello bottom-up interviene per riequilibrare e interpretare sul campo le indicazioni che emergono dall’ascolto dei territori, per individuare le linee d’indirizzo emerse dal confronto con i cittadini. Nel modello top-down si formula la visione generale del sistema che misurandosi con l’approccio bottom-up permette di cogliere la spinta che arriva dal basso, dalle comunità territoriali e di buona pratica, individuando le variabili in grado di condizionare lo sviluppo della progettazione. Non dimentichiamo che stiamo trattando di strategie di elaborazione dell'informazione sviluppate per la programmazione del software che da tempo sono state tradotte nel campo della Teorie dei Sistemi e della progettazione sociale. Un esempio emblematico d’innovazione adattiva che dimostra come si possa coniugare metodi di ingegnerizzazione informatica con le strategie evolutive della società che cambia. Le funzioni attive in questi contesti riguardano le nuove interrelazioni sociali indotte dall’uso delle tecnologie della comunicazione, che devono quindi adattarsi alla creatività sociale che emerge dal loro esercizio connettivo. In questo quadro si profila quindi il concetto di innovazione adattiva, con cui si intende una strategia evolutiva che riguarda l'adattamento dell’innovazione digitale alla crescita di una consapevolezza d’uso dei nuovi media da parte dei cittadini senzienti. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 14 Carlo Infante – Changemaking 370 È necessario che l'innovazione digitale si adatti alla creatività sociale che emerge da buone pratiche capaci di generare un’intelligenza applicativa che per alcuni aspetti rientra in ciò che viene definito user experience. È proprio questo valore d’uso creativo che può riequilibrare le sorti di un mercato tecnologico in cui l’offerta è più forte della domanda, facendo questo si può dimostrare quanto sia importante fare società prima di qualsiasi mercato. Il termine innovazione adattiva rimanda a un valore intrinseco delle tecnologie digitali già utilizzate nei sistemi d’automazione, per cui si “modificano i propri parametri per adattarsi alle modifiche che il sistema può subire durante l’esercizio delle sue funzioni”. Le funzioni nel nostro caso riguardano le nuove interrelazioni sociali indotte dall’uso delle tecnologie della comunicazione, che devono quindi adattarsi alla creatività sociale che emerge dal loro esercizio connettivo. È proprio questo valore, quello connettivo, che libera un potenziale che i dispositivi – nella piena evoluzione dell’interaction design – devono cogliere, adattandosi. Tutto questo non è scontato, sta a noi fare si che ciò accada, anche perché i mercati non si fanno se non si fa società. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 14 Carlo Infante – Changemaking 371 3. La coopetition e il gioco a somma positiva La coopetition (coopetizione) mette insieme la competizione con la cooperazione. La logica che sottende la coopetition permette di armonizzare posizioni competitive che possono unire le proprie forze sulla base di una particolare convergenza di interessi. Quando i soggetti coinvolti in una sessione di changemaking partono da questo presupposto, adottando le modalità di co-progettazione, possono divenire più competitivi cooperando. Saper gestire le interdipendenze e le tensioni legate alla coopetizione è la chiave per raggiungere livelli di performance progettuale evoluta. La coopetition può quindi rivelarsi come un driver per l'innovazione sociale, operando su soluzioni empiriche da testare con metodi come quelli del problem solving. Il motore della coopetition è il gioco a somma variabile-positiva o win-win, un'espressione traducibile in vincente-vincente, oppure io vinco-tu vinci. Indica una situazione in cui ci sono solo vincitori. Per estensione si considera win-win una qualsiasi cosa che non scontenti o danneggi nessuno dei soggetti coinvolti. Per gioco a somma positiva s’intende un’operazione in cui si crea un valore che prima non c’era. Chi sta meglio di come stava prima non lo fa necessariamente a scapito di chi sta peggio. Quel “meglio” è stato creato dal gioco stesso. Si aggiunge qualcosa di buono che prima non c’era. Nei casi migliori, tutti i giocatori hanno guadagnato qualcosa. Il progresso umano degli ultimi secoli è stato, in parte, un formidabile gioco a somma positiva. Non soltanto tantissima gente sta meglio di come stava prima, ma il benessere complessivo dell’umanità è aumentato in misura enorme. Eppure, per molti è parecchio difficile pensare a esempi di giochi a somma positiva, e per alcuni di noi è faticosamente controintuitivo pensare alla politica, a una discussione controversa, o a una trattativa come potenziali giochi a somma positiva. C’è forse una ragione evoluzionistica dietro la tentazione di pensare a somma zero, quella per cui qualcuno deve uscire sconfitto. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 14 Carlo Infante – Changemaking 372 Il mondo in cui hanno vissuto i nostri antenati per decine di migliaia di anni è stato un mondo sproporzionatamente scandito da conflitti a somma zero. Nel mondo dei cacciatoriraccoglitori, più cibo per qualcuno significava quasi inevitabilmente più fame per qualcun altro. La sopravvivenza richiedeva l’abilità di capire al volo e trattare molte interazioni sociali come sfide a somma zero. Se siamo qui a parlare di changemaking è perché siamo convinti che conflitti e antagonismi, per quanto abbiamo scandito la Storia, non siano più un modello accettabile, quindi stiamo ragionando su come trovare nuovi modelli di sviluppo più equo e sostenibile. Nell’ambito del sistema delle imprese la modalità della coopetition è alla base della Open Innovation, per cui il know how che prima veniva esclusivamente protetto con le rigidità dei brevetti e del copyright tende a liberarsi e ad aprirsi in progetti collaborativi ispirati ai protocolli della ricerca scientifica. Ciò amplifica le potenzialità dell’innovazione, come processo condiviso, secondo i principi dell'etica open source. Trovare il modo per tradurre le strategie competitive nella natura collaborativa della coopetition è l’obiettivo che imprese, realtà del Terzo Settore e istituzioni tendono sempre più a ingaggiare con laboratori dove le diverse intelligenze attuano sperimentazioni in più campi, dall’innovazione digitale alla valorizzazione dei territori. Si tratta di laboratori nel quale verranno sviluppati metodologie utili a gestire il cambiamento indotto da cambiamenti normativi e socioeconomici necessario per liberare il potenziale delle organizzazioni dell’economia sociale. Questi percorsi forniscono competenze e abilità espresse dai changemaker, figure del cambiamento che esprimono modalità innovative come il design thinking per progettare e gestire progetti di innovazione sociale e territoriale. 3.1 Il design thinking Il design thinking dinamizza i processi creativi di co-progettazione per arrivare alla definizione di strategie d’innovazione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 14 Carlo Infante – Changemaking 373 Si tratta di una modalità che sollecita la capacità delle organizzazioni e delle comunità di affrontare, incrociandole tra loro, criticità e opportunità, con un approccio di coopetition, intervenendo sulle decisioni. L’obiettivo è quello di sviluppare il pensiero creativo, visualizzando con pratiche di action writing il processo collaborativo di progettazione che si basa sui principi dell’intelligenza connettiva e del problem solving. Il design thinking è da considerare come un’emblematica metodologia del problem-solving visto che si occupa sempre più di problemi come la sanità, l’amministrazione pubblica e diversi ambiti di innovazione sociale e territoriale come la rigenerazione urbana. È un metodo che si basa su due principi fondamentali. Uno è l’alternanza di fasi divergenti e convergenti, sia in fase di comprensione del problema da affrontare che in fase di sviluppo della soluzione, ciò consente di arrivare a discernere tra criticità e opportunità attivando una coscienza dinamica che non procede per dicotomie ma per armonizzazione delle contraddizioni, valorizzando la creatività degli stakeholder coinvolti nei brainstorming di co-progettazione per profilare al meglio il team di innovazione orientato verso le decisioni. L'altro riguarda la centralità dell’utente-referente sia del territorio sia del campo tematico in cui si sta operando. Infatti, un aspetto fondamentale per realizzare un’innovazione efficace è quello di considerare i destinatari dell’innovazione le principali sorgenti di conoscenza del campo di analisi, essenziali per indurre strategie correlate sia ai bisogni reali sia ai desideri da sollecitare negli utente-referenti. Questo permette di rafforzare la convinzione che per la risoluzione dei problemi devono crearsi nuove sinergie tra organizzazioni pubbliche e comunità territoriali, imprese e associazioni, basate sulla capacità di armonizzare le diverse intelligenze in campo, secondo i principi dell’intelligenza connettiva. L’intelligenza connettiva è un concetto, coniato da Derrick de Kerckhove negli anni Novanta, che si è innervato allo sviluppo del web in quanto tecnologia cognitiva, esplicitando le inedite proprietà psicologiche della cooperazione on line con attività di vertiginosi brainstorming. In questa connettività si attiva un processo tecnologico che di fatto si traduce in un processo Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 14 Carlo Infante – Changemaking 374 psicologico e una nuova sensibilità che riscopre il senso naturale delle cose naturalmente interconnesse. In queste attività di brainstorming si combina un esercizio di creatività connettiva, attraverso un particolare utilizzo dell’'instant blogging di twitter, con un’attività di visual thinking per la visualizzazione delle idee in gioco che permette una migliore individuazione delle parole chiave. Sono almeno tre le modalità principali. Una è quella di videoproiettare una tag cloud, la nuvola delle tag, rilevate dai twett prodotti, utilizzando particolari applicazioni web come visible tweet che estraggono automaticamente i tweet associati a predefinite hashtag che così permettono di evidenziare i messaggi più pertinenti. Un’altra è quella dell’action writing con l’intervento di un copywriter competente, affinato ai temi in oggetto che disegni su grandi fogli applicati alle pareti, o su grandi lavagne, una sorta di mappa concettuale con le parole chiave che fluttuano nella discussione. Un'altra ancora è quella, spesso adottata nei tavoli dei diversi gruppi di lavoro, di utilizzare i piccoli fogli degli appunti, o i post-it adesivi, per raccogliere le scritture immediate dei partecipanti al brainstorming. Tutte queste modalità possono interoperare tra di loro. Il risultato è quello di comporre una “quarta parete” (concetto che deriva dal teatro brechtiano). Oltre le tre pareti della scena c’è una quarta, quella dello spettatore che diventa protagonista dell’operazione senziente in cui si ricombina collettivamente il senso generale e prismatico (le varie riflessioni da angolazioni diverse) prodotto da queste sessioni di changemaking. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 14 Carlo Infante – Changemaking 375 4. Turmoil: tumulto, scompiglio, disordine Il fatto che gestire informazioni e conoscenza si stia profilando come uno dei modi migliori per produrre ricchezza e bene comune non può che confortarci, seguendo questo principio del changemaking. Potrà apparire come un’astratta ostinazione teorica ma se consideriamo quante risorse informative producono ricchezza nel web non si è lontani dall’abbracciare l’entità della questione. Solo che una volta tutto questo era dotazione esclusiva dei grandi broadcasting televisivi, di agenzie d’alto bordo, di ricchi editori, di istituzioni aristocratiche o peggio burocratiche, mentre ora sta accadendo qualcosa di veramente nuovo con il web. È accaduto talmente velocemente che molti sistemi istituiti hanno perso terreno, lasciando uno spazio indeterminato che va colmato dalle nuove forme partecipative per fare del web uno spazio pubblico di interconnessione non solo tecnologica ma sociale e produttiva. Tutto questo sta creando una fluidità, un’agitazione: il cosiddetto fenomeno turmoil che oltre a significare tumulto, scompiglio, disordine, inquietudine è stato utilizzato come un istruttivo acronimo. T come Technology complexity, ovvero la complessità tecnologica che pervade sempre più mercato e società; U come User empowerment, l’autoconsapevolezza degli utenti, la loro responsabilizzazione e il loro progressivo protagonismo; R come Re-engineering, la re-ingegnerizzazione dei processi che riguarda sia la società nel suo complesso sia quelle imprese che interpreteranno l’opportunità dell’innovazione; M come Market volatility, l’instabilità dei mercati per il continuo adeguamento all’offerta di tecnologia; O come Obsolescence factor, quei fattori di obsolescenza che comportano la criticità di standard tecnologici, di hardware e di applicazioni sempre più soggette ad esaurire le loro funzioni per via degli aggiornamenti continui dei software; Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 14 Carlo Infante – Changemaking 376 I come Internet, il fenomeno internet che si sta diffondendo a macchia d’olio come medium universale; L come Leadership challenge, la sfida per la leadership in un mercato dove la competizione non è più quella di una volta, a tal punto che è emerge sempre più un concetto intrigante: la coopetition, in cui si coniuga competizione e cooperazione. In questa direzione va la Open Innovation. In questo scompiglio si stanno creando spazi di cui oggi si può solo presagire la fortuna economica e lo sviluppo sostenibile. Ma come per l’alfabetizzazione delle popolazioni, che dalle campagne arrivavano nelle grandi città per il lavoro industriale nei primi anni del XIX secolo, oggi è strategico, se non sfidante, proiettarsi nella dimensione del web per impugnare il proprio futuro. La coprogettazione orientata al changemaking raccoglie questa sfida, cercando di allargare lo spettro di opportunità che si prospettano nel corso tumultuoso di un’innovazione che viene spesso definita disruptive (dirompente). Si tratta quindi di sperimentare le modalità più efficaci con cui si vuole migliorare l’efficienza delle azioni nei vari campi, dalla produttività al welfare comunitario. Ciò non riguarda più solo la governance pubblica ma l’intera società civile: singoli cittadini e comunità autoorganizzate nei vari ambiti della società interconnessa. Ciò porta a considerare l’avanzamento tecnologico come un’opportunità per tutti, cercando di individuare i contesti dove attuare esperienze pilota di changemaking che raccordano tra di loro le istanze diverse di imprese, istituzioni e società civile. La coprogettazione possibile rappresenterà la migliore forma di collaborazione tra la Pubblica Amministrazione, enti del Terzo Settore, imprese e cittadini, per la realizzazione di attività in base al principio di sussidiarietà che permette l'impegno privato nella funzione pubblica. I laboratori di coprogettazione d’innovazione sociale espressi dal changemaking, di cui stiamo trattando, rappresentano al momento solo una soluzione sperimentale, ma se pensiamo che anche gli hackathon (hack e marathon), ispirati all’etica open source, si sono svolti in contesti accademici come la Treccani e istituzionali come la Camera dei Deputati, pensiamo a quanto sia Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 14 Carlo Infante – Changemaking 377 pertinente ritenere che l’innovazione si debba adattare a tutti gli ambiti della nostra società in transizione. Il cambiamento va agito, è una promessa che non si compie da sola. Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, costruisci un modello nuovo che renda obsoleto il modello esistente Richard Buckminster Fuller Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 13 di 14 378 Carlo Infante - Resilienza urbana Indice 1. LA RESILIENZA COME CAPACITÀ CREATIVA NEL SUPERARE UNA CRISI ............................................ 3 2. OLTRE IL PIL: IL BES (BENESSERE EQUO SOSTENIBILE) ........................................................................... 5 3. I FORMAT RESILIENTI DELLA PARTECIPAZIONE ..................................................................................... 7 4. LA CITTÀ RESILIENTE IN TRANSIZIONE VERSO LA GREEN SOCIETY .................................................... 10 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 13 379 Carlo Infante - Resilienza urbana 1. La resilienza come capacità creativa nel superare una crisi Un dibattito sviluppato nell'arco degli ultimi dieci anni a proposito della smart city, a partire dall’ambito urbanistico, ha individuato nella capacità di auto-organizzazione dei cittadini uno dei principali indicatori per trattare della resilienza urbana. A monte di questo nuovo concetto dal valore strategico, c’è il termine di resilienza che da parola sconosciuta è diventata una delle più abusate del nostro tempo. Resilienza deriva dal latino resalio e significa saltare, rimbalzare ma anche danzare. Nella fisica dei materiali indica un’altra idea di resistenza ad una prova d’urto. In psicologia sta a significare la capacità umana di affrontare e superare una crisi. La resilienza, come abbiamo già detto, nasce come concetto dalla caratteristica di acciai speciali nel resistere a sollecitazioni impulsive, reagendo a urti improvvisi senza spezzarsi. È stato poi preso in prestito dall’informatica e dalla psicologia per indicare comportamenti che integrano bene la capacità di adattamento e la disponibilità alla trasformazione in risposta a eventi dirompenti o traumatici, da una decina di anni il termine è entrato nel lessico comune anche degli urbanisti, che ne individuano il senso proprio nella capacità di continuare a esistere, incorporando il cambiamento. Nel parlare di smart city si è iniziato a mettere in campo il concetto di ecosistema resiliente, associandolo ad un’idea particolare d’intelligenza capace di rimodellarsi rispetto alla complessità degli eventi che stanno destrutturando le città. In fondo a tutti ragionamenti c’è il dato sostanziale nell’individuare la resilienza come il principio attivo della smart community, così intesa per dare un senso reale, sociale, al piano infrastrutturale della smart city, per cui l’intelligenza di sistema espressa da infrastrutture e servizi che ottimizzeranno i consumi energetici e controlleranno i flussi della mobilità urbana, si attuerà solo grazie a comunità che riusciranno a tradurre in impatto reale la loro intelligenza connettiva, basata sull’interscambio serrato non solo di informazioni ma di buone pratiche. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 13 380 Carlo Infante - Resilienza urbana In questa innovazione di processo c’è tra i valori fondanti quello della sussidiarietà che tende a ridisegnare l’assetto della governance territoriale, riconoscendo l’autonomia delle comunità senzienti che, grazie all’auto-organizzazione in rete, possono raggiungere straordinari risultati di reciprocità e di efficienza organizzativa, non ipotizzabili prima. In tal senso è strategico interpretare il futuro digitale che la nuova Società dell’Informazione fa intravedere, consapevoli che una promessa simile non si compie da sola. Si compirà nel cercare di armonizzare l’uso delle nuove tecnologie della comunicazione con il valore delle culture materiali e le diverse espressioni dei territori, a partire da quelli aperti, nelle periferie urbane, definiti anche peri-urbani, come quelli dell’Agro Romano che, prossimi alla città, rappresentano un’opportunità irrisolta. Una visione strategica per riprogettare la dimensione urbana che ha perso da più di cinquant’anni il rapporto tra città e campagna, attivando una coscienza resiliente capace di superare una crisi del sistema, riequilibrando le sorti dello sviluppo sostenibile. Si parla in tal senso di bio-regioni urbane che potranno rappresentare un passo verso quella rigenerazione territoriale per contribuire alla definizione credibile di una green society in cui far convergere iniziative su più fronti: dai nuovi modelli educativi per i più giovani, inscrivendo l’educazione ambientale nei processi di apprendimento, alla coesione sociale espressa magari dallo scambio inter-generazionale determinato dalla trasmissione di memoria (come quella rurale) attraverso la narrazione crossmediale. Spaziando dall’innovazione tecnologica (con relativa formazione avanzata) per il monitoraggio ambientale e le reti ecologiche alle pratiche di agricoltura multifunzionale che sappia rispondere sia alle esigenze alimentari sia a quelle paesaggistiche. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 13 381 Carlo Infante - Resilienza urbana 2. Oltre il PIL: il BES (Benessere Equo Sostenibile) Qualcosa s’è rotto. Il sistema non funziona più: il modello economico e sociale costruito in questi ultimi due secoli risulta ormai obsoleto, siamo in un’era di transizione post-industriale e le città contemporanee non producono più, consumano solo. Tutto questo sta avviando un processo entropico basato non solo sull’inquinamento atmosferico e la produzione di rifiuti ma sulla mancanza di coraggio politico nella riconfigurazione di ciò che una volta si definiva “prospettiva di sviluppo”. È qui il punto cardine: lo sviluppo non è più legato esclusivamente all’asset produttivo incardinato nella filiera data dalla trasformazione industriale delle materie prime in merci (attraverso il patto-conflitto tra capitale e lavoro), distribuzione e consumi sollecitati dal sistema pubblicitario dei mass-media. Quell’industrializzazione ha fatto nel XX secolo delle città un inesorabile fulcro attrattivo dei flussi umani inscritti nel vortice produzione-consumo. Oggi, alla luce della radicale crisi di sistema, molte città devono misurarsi sul principio della rigenerazione: è questo il concetto che si sostituisce a quello ormai inefficace di “sviluppo”. Trattare di rigenerazione urbana comporta un nuovo paradigma politico teso a valorizzare risorse e creatività che fino ad oggi erano rimaste fuori dai giochi, non contemplate dalla misurazione del PIL, per riuscire ad armonizzare la possibilità di mettere in circolo ricchezza insieme alla qualità della vita. È indicativo in tal senso il processo avviato da CNEL e ISTAT con i nuovi indicatori BES (Benessere Equo Sostenibile), importanti per valutare quanto sia decisivo per il sistema cercare un riequilibro sociale e ambientale. I dodici indicatori al momento sono: Salute, Istruzione e formazione, Lavoro e conciliazione tempi di vita, Benessere economico, Relazioni sociali, Politica e istituzioni, Sicurezza, Benessere soggettivo, Paesaggio e patrimonio culturale, Ambiente, Ricerca e innovazione, Qualità dei servizi. Un buon passo ma c’è una genericità che non permette ancora di innescare una necessaria e scardinante innovazione di processo. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 13 382 Carlo Infante - Resilienza urbana È in questo senso che insorge l’urgenza di una creatività sociale che grazie allo sviluppo delle nuove forme di partecipazione senziente sviluppate dal web 2.0 possa impostare una nuova linea di tendenza. L’intelligenza connettiva delle reti può ripristinare il valore delle comunità, in una capacità di auto-organizzazione perduta nella civiltà industriale, impostata su principi gerarchici e lineari (come la catena di montaggio e di conseguenza la cosiddetta catena del valore). Un modello di riferimento può essere quello rurale che per secoli ha caratterizzato il sistema economico del nostro Paese, mantenendo un equilibrio tra cultura e natura. È evidente che qui non si tratta di fare un salto nel passato ma di declinare la visione di rigenerazione urbana in una nuova armonizzazione del rapporto tra città e campagna in relazione con strategie innovative come quelle delineate dagli scenari evolutivi della smart city, magari declinata in smart community, individuata come il fulcro di questi processi di resilienza urbana. Le dinamiche connettive del web posso rilanciare i processi di comunità autodeterminate e allo stesso garantire le dinamiche distributive focalizzate e di prossimità come sta già accadendo nelle filiere corte e nei farmer market, fino ad abbracciare l’idea ampia di rigenerazione urbana associata al non consumo di suolo per orientarci verso la green society. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 13 383 Carlo Infante - Resilienza urbana 3. I format resilienti della partecipazione La resilienza urbana è un’innovazione di processo tesa a creare le condizioni abilitanti perché i cittadini attivi, affini all’idea di smart community, possano mettersi in gioco attraverso una serie di format resilienti per dare forma alla partecipazione. In questo senso sono emblematiche le esplorazioni urbane per misurarsi con il contesto territoriale, sulla metodologia definita apprendimento dappertutto, guardandosi intorno, raccogliendo storie lungo il percorso. Questa azione è di fatto il fulcro di tutta l’operazione: il walkabout, l’esplorazione partecipata radionomade. Conversare significa “girare insieme” ( dal latino versum, girare, trovarsi, e cum insieme) ed è ciò che accade con i walkabout che sono un ottimo modo per confrontarsi e liberare intelligenza connettiva, aprirsi e apprendere dappertutto, raccogliendo indizi dai paesaggi sia urbani sia rurali, e paesaggi umani fatti di storie e antropizzazione dei territori, remixandoli nel flusso radionomade delle conversazioni peripatetiche. Il dato cruciale è nel fatto che i walkabout si rivelano come palestre di resilienza urbana in un’evoluzione delle pratiche di cittadinanza attiva, grazie a quel mix di empatia e creatività che li connota. Una modalità su cui si concentra l’attività di sguardo partecipato che è la matrice di tutta la poetica-politica dell’urban experience. Un’esplorazione che si rivela di fatto come un esercizio creativo che rientra di fatto anche nella definizione di urbanismo tattico, per cui il porre attenzione alle criticità e alle opportunità dei paesaggi urbani può contribuire a un re-design della città, sulla base dei bisogni e dei desideri dei cittadini attivi. Fondamentale come risultante dell’attività di indagine esplorativa è l’instant blogging per produrre agili report (usando i social media, twitter e facebook in particolare, senza escludere instagram, con dirette video e foto) per rilevare informazioni e immagini lungo il percorso, individuando le parole chiave. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 13 384 Carlo Infante - Resilienza urbana Oltre a questa attività di reporting sul campo c’è quella del geoblogging che di fatto era stata realizzata durante il walkabout di esplorazione. Una prerogativa di quel format di conversazione radionomade è quella di trasmettere in diretta web-radio il flusso del confronto nel corso della passeggiata, questo segnale viene georeferenziato e quindi diventa l’elemento costitutivo del geoblog prodotto automaticamente con la traccia del percorso svolto. Ne risulta una mappa parlante su cui si può andare a cliccare sui vari punti (su cui vengono caricate anche delle foto scattate durante l'azione) e così ascoltare le voci dei partecipanti al walkabout di esplorazione. Il brainstorming esperienziale basato su quella indagine è l’ambito in cui “distillare” queste parole chiave-tag, in una discussione condotta sia attraverso piccoli gruppi tematici sia in assemblea. L’attività di confronto è dinamica, condotta con un ritmo teso a non addensarsi in interventi di analisi troppo strutturata, per riuscire a coinvolgere il più possibile i cittadini delle comunità territoriali. Il brainstorming è fondato sui principi del design thinking e dell'intelligenza connettiva, da una parte distilla l'attività di esplorazione, di instant reporting e l'individuazione delle pertinenze tematiche (le criticità e le opportunità) e delle forze in campo (i protagonisti del territorio, gli stakeholder). L’intelligenza connettiva è un concetto, coniato da Derrick de Kerckhove negli anni Novanta, che si è innervato allo sviluppo del web in quanto tecnologia cognitiva, esplicitando le inedite proprietà psicologiche della cooperazione on line. In questa connettività si attiva un processo tecnologico che di fatto si traduce in un processo psicologico che si sviluppa nell'attività di brainstorming, liberando una nuova sensibilità che riscopre il senso naturale delle cose naturalmente interconnesse. A questa attività si brainstorming si combina un particolare utilizzo dell’instant blogging di twitter con un’attività di visual thinking per la visualizzazione delle idee in gioco che permette una migliore individuazione delle parole chiave. Sia il reporting sia il geoblogging sono così utili all’attività di rilevazione dei concetti raccolti dall'indagine sul campo. Una volta rilevate le tag più pertinenti, le hot word su cui far orbitare l’attività di performing media storytelling, si possono creare le condizioni per indirizzare l’attività conseguente che può avere come obiettivo quello della redazione di un masterplan, il documento di indirizzo strategico che sviluppa un'ipotesi complessiva di programmazione urbanistica di un territorio. 385 Carlo Infante - Resilienza urbana 4. La città resiliente in transizione verso la green society Una città sostenibile e resiliente comporta il fatto di pensare la città capace di rinnovare il proprio equilibro al mutare delle condizioni di contorno, di adattarsi alle sollecitazioni che derivano dal cambiamento climatico e di esprimere risposte sul piano sociale, economico e ambientale alla crisi che caratterizza la nostra epoca. Come fu scritto, nel 2013, nel piano d’azione “Roma Smart City” promosso da Stati Generali dell’Innovazione. La resilienza costituisce dunque una funzione della sostenibilità che richiede una profonda revisione dei modelli organizzativi e gestionali su cui si basa la convivenza urbana. Ma una città resiliente è anche una città in grado di pianificare e realizzare una strategia di lungo periodo che garantisca l’omeostasi, l’equilibrio sociale attraverso una governance intelligente e condivisa, costruendo, anche attraverso le nuove tecnologie per la gestione collaborativa del territorio, piani relativi all’ottimizzazione delle risorse energetiche e della mobilità. È sostenibile una città che orienta il proprio futuro verso un’integrazione equilibrata tra periferie e centro, se costruisce un tessuto connettivo fra i diversi centri abitati dell’area metropolitana. È sostenibile se rende i quartieri a misura di bambino, ripristinando nel reticolo urbano gli spazi per la socialità e il gioco tra pari, se spostarsi da una zona all’altra diventa una scelta e non un obbligo quotidiano. Una città resiliente, infatti, è un sistema urbano che non si limita ad adeguarsi ai cambiamenti in atto (in particolare il global warming), di fronte ai quali le città si stanno dimostrando sempre più vulnerabili, ma è una comunità che si modifica progettando risposte sociali, economiche e ambientali innovative che le permettano di resistere nel lungo periodo alle sollecitazioni dell’emergenza ambientale. La resilienza urbana prevede il passaggio dal modello della mera riqualificazione a un modello di rigenerazione urbana, che coinvolge attivamente la collettività, attento all’ambiente e al consumo delle risorse, finalizzato a ridurre l’impatto dell’attività umana. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 13 386 Carlo Infante - Resilienza urbana La città resiliente è stata una delle scelte strategiche dell’ex sindaco di New York Bloomberg, nel 2012, che all’indomani dell’Uragano Sandy ha lavorato per trasformare la città in uno spazio urbano preparato agli effetti dei cambiamenti climatici, primo fra tutti l’innalzamento del livello del mare, con interventi sul paesaggio e sugli edifici. L’azione degli Stati e della comunità internazionale è fondamentale, ma nel processo di transizione verso la green society c’è bisogno anche delle buone pratiche e della partecipazione attiva di tutti, cittadini, politici, ricercatori, per la condivisione e la diffusione di nuove idee replicabili anche a livello globale. La resilienza è quindi oggi una componente necessaria per lo sviluppo sostenibile, agendo prima di tutto sui modelli organizzativi e gestionali dei sistemi urbani, e sembra rappresentare, per l’urgenza di mettere in sicurezza le città e i territori, la maturazione del concetto stesso di sostenibilità. Una città sostenibile è quindi una città resiliente, che produce opportunità economiche significative, come dimostrano gli esempi di molti Paesi europei, che hanno investito sullo sviluppo di una strategia nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici e alla resilienza. La resilienza urbana è un tema cruciale che riguarda l’intero sistema-Paese che per decenni ha sottovalutato la marginalità delle periferie, come, per altri versi, quella delle aree interne, creando diseguaglianze che producono criticità. Per affrontare contraddizioni simili il principio attivo della resilienza è fondamentale, prima di tutto per rompere gli schemi e uscire dallo stallo cognitivo, trovando il modo per essere più performanti ed empatici. In tal senso è opportuno fare palestra di resilienza, “stropicciarsi” un po’, per diventare più porosi e così assorbire quell’intelligenza connettiva che permette di mettersi in ascolto delle istanze dove si fa più grave la diseguaglianza e liberare l’energia positiva della resilienza urbana perché possa essere capace di misurarsi con conflitti ed emergenze. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 13 387 Carlo Infante - Resilienza urbana Associare alla resilienza i processi educativi comporta un’attenzione precisa al principio di cittadinanza educativa, in quanto disponibilità a relazionarsi con gli altri, nello spazio pubblico delle città e delle diverse comunità territoriali, per crescere insieme, con particolare attenzione alle fragilità, determinate dalle disabilità e dall’esclusione sociale. Il punto cardine è nel concepire il processo educativo ben più del fatto di studiare su un libro o davanti a uno schermo, ma guardandosi intorno, ascoltando le voci dei protagonisti che hanno vissuto nei territori, esplorare le città per vivere un’esperienza di apprendimento dappertutto. In questo senso si può intravedere un futuro progressivo dei sistemi educativi che non possono ignorare la necessità di un continuo cambiamento in relazione al mondo, che non solo corre ma accelera in via esponenziale. L’avanzamento tecnologico è un dato che spiazza, avete presente la Legge di Moore? Per cui ogni 18 mesi i sistemi digitali raddoppiano la loro performance, c’è da chiedersi: e noi? Siamo disposti a raddoppiare le nostre potenzialità cognitive? E nel farlo affinare la nostra capacità di resilienza adattandoci al cambiamento in atto, facendo però in modo che l’innovazione si adatti a noi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 13 388 Carlo Infante - Performing Media Indice 1. LE PSICOTECNOLOGIE .......................................................................................................................... 3 2. I FORMAT ABILITANTI PER LA PARTECIPAZIONE ATTIVA ...................................................................... 6 3. IL PERFORMING MEDIA STORYTELLING ................................................................................................ 8 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 12 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 13 389 Carlo Infante - Performing Media 1. Le psicotecnologie Questo sta creando un nuovo paradigma per ciò che definiamo cultura: il rapporto tra uomo e mondo non è solo mediato da tecnologie ma comporta un’integrazione sensibile. È qualcosa che sta accadendo secondo il principio delle psicotecnologie ovvero quelle tecnologie che sollecitano processi cognitivi, a partire da quelli del linguaggio. Queste tecnologie impattano sul modo di pensare, perché ci invitano ad interagire con nuovi artefatti cognitivi, come gli ambienti digitali, in cui cambia l'assetto percettivo e di conseguenza il nostro modo di organizzare il cervello e di agire. Questo dibattito s’è sviluppato già negli anni Sessanta con Marshall McLuhan ma è Derrick De Kerckhove, un suo stretto collaboratore, che affronta con straordinaria lucidità l’impatto del digitale con le nostre menti. Se il pensiero umano s’è sviluppato con l’evoluzione delle nuove tecnologie alfabetiche, dalla scrittura cuneiforme alla dattilografia, oggi si estende ulteriormente nell’ambiente dell’interconnessione digitale, prospettando altre dimensioni cognitive, in buona parte ancora inedite. La stampa a caratteri mobili, il telefono, l’ipermedia sono psicotecnologie nella misura in cui inducono il cervello ad elaborare nuovi paradigmi cognitivi che modificano la nostra percezione del mondo. Ogni scansione evolutiva ha stabilito che si incorporassero le diverse tecnologie trasformandole in linguaggio. È ciò che sta accadendo con le tecnologie digitali, alcune di esse hanno apportato una nuova qualità del comunicare, indichiamo le tre principali: l’ipertestualità sta riqualificando i processi cognitivi, emancipati dalla meccanicità lineare e logico-consequenziale; l’interattività sta reinventando le condizioni della prossemica, nel rapporto con i sistemi digitali; la connettività sta potenziando la natura delle relazioni sociali. Ciò che viene definito performing media riguarda quindi la nuova progettazione culturale attraverso le proprietà dei nuovi media interattivi, ipertestuali e connettivi. Per quanto questo sia Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 13 390 Carlo Infante - Performing Media inscritto in un percorso che trova le proprie radici nelle diverse culture dell’avanguardia, non è più ancorato solo alla sperimentazione dei nuovi linguaggi, come quella che è stata espressa dai movimenti creativi del Novecento (dall’happening del Fluxus alla psicogeografia del Situazionismo) e in particolare dall’interazione tra scena e nuovi media, come il videoteatro e le cyberperformance. Questa progettazione possibile rilancia il potenziale delle culture digitali, nella scommessa antropologica in corso, per cui si fa urgente l’invenzione di nuove forme di relazione sociale e di modelli di sviluppo sostenibili ed evoluti al contempo. Per avviare un processo strategico verso l’innovazione adattiva secondo cui le sorti della nostra evoluzione si giocano facendo adattare la tecnologia alle nostre potenzialità fortemente sollecitate. Esprimere la performatività dei media interattivi comporta una nuova performatività sociale, nella progettazione di eventi e piattaforme cross-media per l’interazione tra reti e territorio. Gli ambiti, in cui trova luogo questa progettazione di format innovativi di performing media, sono quelli che si orientano verso il design thinking e l’urban experience, strettamente connessi ai contesti della smart community, attraverso azioni nel web con instant blogging, social tagging, geoblogging, sentiment analisys, e sul territorio con i walkabout, brainstorming, storytelling e ambienti interattivi, habitat sensibili, ibridi tra fisicità performativa e immaterialità audiovisiva, espressione emblematica delle culture digitali. In questo quadro di riferimento si muove una ricerca teorica per una definizione di performing media che nell’arco dei primi vent’anni del nuovo millennio aveva sondato alcuni punti di sviluppo, solo alcuni, rispetto ai tanti altri che si prospettano in una linea di ricerca esponenziale che riguarda le estensioni del corpo e della mente in relazione con l’infosfera digitale. Il percorso intorno a questo nuovo concetto tende, prima di ogni altra cosa, alla ridefinizione del concetto di pratica creativa in relazione ai sistemi della comunicazione interattiva. Ciò comporta l'individuazione di quelle che vengono definite dal pensiero semiotico le costanti performative (i momenti qualificanti dell'azione) nella condizione di interattività, pratica che contempla una particolare regia implicita, inscritta nella navigazione interattiva e ipermediale Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 13 391 Carlo Infante - Performing Media dell’utente. I linguaggi ipermediali nell’ambiente interattivo vengono agiti, scanditi nell’azione di navigazione che viene generata dalla percezione dello spettatore-navigatore. Un punto decisivo per comprendere come le tecnologie digitali abbiamo creato una condizione inedita: è l’utentespettatore ad agire l’artefatto cognitivo, a produrne il senso, non solo a consumarlo. In una realtà virtuale e in un’opera ipermediale ci si immerge, si naviga; già questi termini sono sufficienti a far intendere il salto di paradigma cognitivo, rispetto ai modelli correnti del vedere, del leggere e dello sfogliare: nell’ambiente virtuale si agisce nella visione e si linka e si clicca per aprire visualizzazioni da associare tra loro in una congerie di combinazioni ipertestuali. Il principio del performing media è proprio in quella azione diretta dell’utente per cui è determinante la progettazione di questi artefatti cognitivi che contempli quell’interazione. È il caso di ambienti ipermediali (virtuali o ipertestuali che siano) o operazioni più articolate nell'ambito territoriale, come quelle del performing media storytelling in cui si narra esplorando, per creare format abilitanti per l’utente, coinvolto nel vivere esperienze significative. Si tratta di modalità di partecipazione attiva, basate su modalità di brainstorming spesso itinerante come nei walkabout, commisurando le tecnologie della comunicazione al loro valore d’uso, ovvero la capacità degli utenti di trarne valore, funzione, principio attivo. Per fare accadere cosa? Consapevolezza, empatia, resilienza, strategie desideranti, partecipazione, inclusione, co-progettazione. Ciò riguarda la condizione esponenziale e generativa delle tecnologie abilitanti, capaci cioè di sollecitare i cittadini a mettersi in gioco in un processo partecipativo che può avviare le dinamiche di innovazione adattiva. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 13 392 Carlo Infante - Performing Media 2. I format abilitanti per la partecipazione attiva I format innovativi di performing media esprimono le condizioni abilitanti per attivare partecipazione attiva e si articolano su metodologie di brainstorming basate sul design thinking che dinamizza i processi creativi di co-progettazione per arrivare alla definizione di strategie d’innovazione. È in questa prospettiva che si sviluppa l’urban experience che sollecita la creatività sociale delle reti perché possa reinventare spazio pubblico tra web e territorio, con esplorazioni e mappature. Una linea d’indirizzo orientata verso l’idea generale di smart community che contempla l’intelligenza creativa delle comunità territoriali e di buona pratica per auto-organizzarsi e promuovere innovazione territoriale. Ciò si articola attraverso azioni in rete, con interventi sui social media, come l’instant blogging che rilancia nel web scritture immediate, foto e video delle esplorazioni, il social tagging che presuppone un’attività più complessa per individuare le tag-parole chiave più pertinenti e più condivise e, fondamentalmente, il geoblogging. Quest’ultimo format è stato inventato, nell’ambito delle Olimpiadi Torino2006, prima di googlemaps, realizzando quello che il grande player statunitense non permetteva di fare: scrivere in modo partecipativo sulle mappe. Oggi il geoblog si sviluppa anche attraverso la pubblicazione dei podcast audio, georeferenziati, prodotti dalla web-radio che diffonde il flusso delle conversazioni dei walkabout. Ne risulta una mappa parlante su cui si può andare a cliccare sui vari punti (su cui vengono caricate anche delle foto scattate durante l'azione) e così ascoltare le voci dei partecipanti al walkabout di esplorazione. Quindi oltre che sul web si agisce nel territorio con i walkabout, le conversazioni radionomadi, che grazie ai sistemi whisper-radio, permettono di sollecitare un confronto connettivo mentre si passeggia, esplorando un territorio. Sul territorio si agisce anche con i brainstorming, gli storytelling e poi c’è tutto quel background culturale che sta alla radice della ricerca del performing media. Un ampio campo di sperimentazione artistica e teatrale che dagli anni Ottanta, dalle esperienze del videoteatro e Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 13 393 Carlo Infante - Performing Media della radio-art si occupa delle culture digitali con le prime cyberperformance e gli ambienti interattivi e performativi di realtà come Studio Azzurro, Koinè, Giacomo Verde, Michele Sambin e tanti altri. I brainstorming si basano sul design thinking e l'intelligenza connettiva che distillano le attività di esplorazione, di instant reporting e l'individuazione delle pertinenze tematiche (le criticità e le opportunità) e delle forze in campo (i protagonisti del territorio, gli stakeholder). A questa attività si brainstorming si combinano esercizi di creatività connettiva, attraverso un particolare utilizzo dell’instant blogging di twitter con un’attività di visual thinking per la visualizzazione delle idee in gioco che permette una migliore individuazione delle parole chiave. Sono almeno tre le modalità principali. Una è quella di videoproiettare una tag cloud, la nuvola di tag, rilevate dai tweet prodotti, utilizzando particolari applicazioni web come visible tweet che estraggono automaticamente i tweet associati a dei predefiniti hashtag che così permettono di orientare i tweet più pertinenti. Un’altra è quella dell’action writing con l’intervento di un copywriter competente, affinato ai temi in oggetto ed abile a scrivere, o a disegnare, e meglio ancora a scrivere disegnando su grandi fogli applicati alle pareti, o su grandi lavagne, per ricostruire in una sorta di mappa concettuale le parole chiave che fluttuano nella discussione. Un'altra ancora è quella, spesso adottata nei tavoli dei diversi gruppi di lavoro, di utilizzare i piccoli fogli degli appunti, o i post-it adesivi, per raccogliere le scritture immediate dei partecipanti al brainstorming. Tutte queste modalità possono interoperare tra di loro. Il risultato è quello di comporre una “quarta parete” (concetto che deriva dal teatro brechtiano) per cui oltre le tre pareti della scena ce n’è una quarta, quella dello spettatore che diventa protagonista dell’operazione senziente in cui si ricombina collettivamente il senso generale e prismatico (le varie riflessioni da angolazioni diverse) prodotto dal brainstorming. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 13 394 Carlo Infante - Performing Media 3. Il performing media storytelling C’è un motto che sta a monte del performing media storytelling, la modalità che coniuga la dimensione digitale della narrazione crossmediale con l’azione esplorativa nei territori. Suona così ed è emerso spontaneamente dalle conversazioni radionomadi dei walkabout: Viaggiamo dentro noi stessi quando ci ritroviamo in luoghi che ci ricordano cosa cerchiamo… Fa riflettere su quanto sia importante operare sulla qualità dell’attenzione, ponendo in evidenza la peculiarità dello sguardo soggettivo di ciascuno dei partecipanti all’attività di esplorazione. Nelle attività esplorative dei walkabout si tende sempre a rompere lo schema del gruppo e della compagine collettiva, per evocare le dinamiche dello sciame intelligente e connettivo, proprio come quello delle api. Ricordiamo come le api sappiano muoversi singolarmente per poi convocarsi istantaneamente tutte insieme, è su questo modello di energia interconnessa che innestiamo nei walkabout i principi dell’intelligenza connettiva. Associare teorie alle pratiche dello sguardo esplorante permette di avviare un ragionamento alimentato da una citazione folgorante che ha acceso le progettualità dell’urban experience nel 2009: L’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi ma nell’avere nuovi occhi (Marcel Proust) Le parole ci aprono gli occhi (e le orecchie) e proprio per questo fanno parte di un gioco di esplorazione che opera sulla poetica dell’attenzione oltre che su una politica che si sta profilando come una delle più efficaci nel campo della resilienza urbana. Un ambito in cui attuare l'innovazione adattiva, usando le tecnologie digitali come risorse abilitanti per l'auto-organizzazione delle comunità. C’è una frase di Tolstoj che può ben definire il principio attivo che sta a monte dei processi del performing media storytelling: “Se descrivi bene il tuo villaggio parlerai al mondo intero”. È netta, precisa ed evocativa. Fa capire quanto sia importante essere consapevoli della propria Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 13 395 Carlo Infante - Performing Media identità e allo stesso tempo cercare di misurarci con il mondo tutto, senza rimanere prigionieri nella propria memoria, per liberare un’energia d’innovazione culturale decisamente glocal. La differenza dallo storytelling di cui tanto ormai si parla è nell’ibridazione narrazioneazione, facendo direttamente “parlare” i territori, creando le condizioni abilitanti, ludiche e partecipative, per mettersi in sintonia con il genius loci mentre lo si esplora o lo si assaggia, operando su format di performing media che vanno oltre il dato di rilevazione delle storie per bensì rivelarle nelle geografie che si abitano, sia stabilmente sia in via temporanea. È questo uno dei temi caldi per quella ricerca d’innovazione territoriale che attraverso i format di performing media trova il suo fulcro nei walkabout, in un flusso peripatetico espanso in una diffusione radiofonica partecipativa (diffusa, spesso, in streaming su web-radio) in giro per le città e i territori. Sciamando per strade e sentieri si cerca la sintonia giusta con le piccole storie delle comunità, in un rapporto fisico, performativo e connettivo, attivando una partecipazione senziente, ludica e sodale: resiliente. Si tratta di “accendere lo sguardo” quando si esplora l’ordinario urbano, attraversando luoghi che spesso si è convinti di conoscere a fondo. Una delle chiavi che vi si adotta è quella di “girare la zolla” se non “scavare” per cogliere le stratificazioni storiche, sollecitando una memoria attiva che operi con il metodo dello sguardo partecipato. È di questo che da anni si tratta per accendere i processi partecipativi per l’innovazione sociale e la rigenerazione urbana per rivelare, e non solo rilevare, i paesaggi umani degli ecosistemi urbani. Buona parte di questa attività trova una sua restituzione nel web, attraverso i geoblog definiti anche mappe esperienziali. In particolare queste mappe interattive rappresentano la peculiarità di scrivere storie nelle geografie, lasciando l’impronta, taggando, esperienze di esplorazione perché possano tracciare itinerari da ripercorrere in operazioni anche orientate verso il turismo esperienziale e, in senso lato, in relazione a ciò che riguarda l’edutainment e più in particolare su ciò che riguarda l’apprendimento dappertutto. Questi particolari processi - che rappresentano l’insieme delle diverse modalità inscritte nella strategia del performing media storytelling, come la cittadinanza educativa rivolta ai più Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 13 396 Carlo Infante - Performing Media giovani e alle comunità educanti, possono creare una filiera creativa che dai walkabout passa ai geoblog, alla videoproiezione nomade (quando alle conversazioni peripatetiche si combina una videoproiezione itinerante e alimentata a batteria, per ritagliare visioni sui paesaggi urbani) e poi concepire un’attività di segnaletica performativa con particolari targhe segnaletiche basate sull’uso di mobtag (detti anche qrcode) che linkano a pagine web in cui trovare (e magari ascoltare) storie inscritte nelle geografie, in prossimità dei luoghi dove sono state raccolte. Si cammina per i luoghi e si pesca dal cloud i riferimenti che sollecitano l’attenzione e invitano a porre lo sguardo su alcuni dettagli. È un buon modo per rilevare informazioni-emozioni mentre si esplora un territorio e così rivelare il genius loci espresso dalle voci degli abitanti. Il performing media storytelling può accogliere al suo interno anche delle azioni performative, condizioni che trovano un background nella ricerca sul paesaggio sonoro e nella radiofonia sperimentale di decenni fa, per un coinvolgimento diretto dei portatori di storie in una stretta interazione con i nuovi media interattivi e mobili di per sé performanti. In tanti oggi parlano di storytelling delegando al mero uso dei social network la funzione di semplice riverbero web di ciò che accade nell’esplorazione partecipata, ignorando la potenzialità dell’azione diretta, progettata secondo principi di urbanismo tattico. Qui si tratta di andare oltre il dato automatico dello sharing su facebook o twitter per attivare processi di coscienza partecipativa, fisica ed empatica, che sappia giocare con i media interattivi e mobili in una condizione esperienziale con i “piedi per terra e la testa nel cloud”, coniugando web e territorio, il reale con il digitale. Il performing media storytelling comporta questa scommessa culturale: trovare il modo per mettere in relazione memoria-reti-territorio attraverso l’azione partecipativa, sollecitata da quelle particolari condizioni abilitanti che possano esplicitare il rapporto con tecnologie da usare (inventando valori d’uso creativi) fino a farle diventare linguaggi a tutti gli effetti. E conseguentemente modalità performanti per sollecitare reciprocità con gli spettatori-cittadini, secondo i principi del cosiddetto audience development per cui s’intende lo sviluppo progressivo dello spettatore attivo. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 13 397 Carlo Infante - Performing Media Sì, è proprio dando forma ad un pensiero globale – inscritto negli scenari della radicale transizione in atto, contemplando un ripristino dei rapporti originari tra natura e cultura – innervato nell’azione locale, rilevando le peculiarità dei territori che si può attivare uno storytelling sostanziale e non solo superficiale (con il surf sui social) capace di fare e pensare innovazione territoriale. Una strategia che contempla l’innovazione sociale centrata sulla partecipazione attiva e l’inclusione, secondo i principi della smart community e il design for all (rivolto all’accessibilità universale). Una ricerca che va fuori e dentro sé alla ricerca delle matrici sia del proprio essere sia del divenire sociale, esplorando i paesaggi umani e praticando esercizi creativi di resilienza per creare le condizioni per attuare quell'innovazione adattiva che converta l’avanzamento tecnologico in opportunità evolutiva. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 13 398 Carlo Infante - Big data Indice 1. IL FATTORE V: VOLUME, VARIETÀ, VELOCITÀ, VALORE ....................................................................... 3 2. LA FILIERA DEI BIG DATA, DALLA GENERAZIONE ALL’ACQUISIZIONE ................................................ 5 3. LA MEMORIZZAZIONE E L’ELABORAZIONE DEI BIG DATA ................................................................. 11 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 15 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 15 399 Carlo Infante - Big data 1. Il fattore V: volume, varietà, velocità, valore Per processare i big data, acquisendoli, gestendoli ed elaborandoli da adeguate piattaforme informatiche. bisogno considerare una serie di fattori, con parole che iniziano tutte con la “V”: il volume, con riferimento all’enorme dimensione dei dati generati e raccolti; la varietà, con riguardo alle numerose tipologie dei dati disponibili, tra i quali, oltre ai dati strutturati tradizionali, vi sono anche dati semi-strutturati e non strutturati come audio, video, pagine web e testi; la velocità delle operazioni di trattamento; il valore che i dati assumono allorquando vengono elaborati ed analizzati, così da consentire l’estrazione di informazioni che qualificano la pianificazione dell’offerta di beni e servizi, in termini di innovazione e di personalizzazione. Sono state poi individuate molteplici altre V per definire il fattore che caratterizza i big data: come la veridicità, ovvero la qualità e significatività dei dati raccolti o elaborati, la valenza, ovvero il grado di connessione del dato con altri dati, la visualizzazione, ovvero la necessità di rilevare in maniera visuale e facilmente interpretabile i dati più rilevanti e la conoscenza estratta da essi. I big data hanno assunto importanza via via crescente nell’organizzazione delle attività di produzione e di scambio, a tal punto da poter essere considerati una risorsa economica a tutti gli effetti, anzi la risorsa di gran lunga più importante in molti settori. Infatti, grazie all’avanzamento delle tecnologie dell'informazione, le organizzazioni tendono a raccogliere dati sistematicamente, ad elaborarli in tempo reale per migliorare i propri processi decisionali e a memorizzarli in maniera permanente al fine di poterli riutilizzare in futuro o di estrarne nuova conoscenza. È in atto un processo esponenziale: nell’anno 2018 il volume totale di dati creati nel mondo è stato di 28 zettabyte (ZB), registrando un aumento di più di dieci volte rispetto al 2011, si prevede che entro il 2025 il volume complessivo dei dati arriverà fino a 163 ZB. Come si rileva dall’indagine conoscitiva sui Big data di AgCom-Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni del 2018. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 15 400 Carlo Infante - Big data Zettabyte? Ecco una nuova misura. Ma quanto sono grandi i big data? Come in ogni misurazione è opportuno scandire una sequenza che possa aiutare a comprendere l'entità, anche se questi oggetti immateriali sono fatti di bit e non di quegli atomi di cui è composta la materia. 1 bit: nell’alfabeto digitale una lettera corrisponde a 8 bit 1 Byte: 8 bit 1 kilobyte: 1.024 byte, circa 15 linee di testo 2 kilobyte: circa una pagina di testo 200 kilobyte: una breve storia 500 kilobyte: una tesi di laurea 1 megabyte: 1.000 kilobyte, un minuto di musica 2 megabyte: una fotografia digitale 5 megabyte: un romanzo breve 10 megabyte: un minuto di video 1 gigabyte: 1.000 megabyte, un’ora di video di alta qualità 2 gigabyte: 1 milione di pagine di testo 10 gigabyte: tutte le sinfonie di Beethoven 1 terabyte: 1.000 gigabyte 1 petabyte: 1.000 terabyte 1 exabyte: 1.000 petabyte 1 zettabyte: 1 triliardo di byte 1 yottabyte: 1 quadrilione di byte Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 15 401 Carlo Infante - Big data 2. La filiera dei big data, dalla generazione all’acquisizione Finalità ultima dell’utilizzo dei big data è quella di qualificare l’efficienza dei processi produttivi e di quelli organizzativi, a partire da quelli governativi. Ciò comporta il fatto di migliorare la capacità decisionale degli amministratori pubblici, degli urbanisti, e di tutti coloro che tendono ad una pianificazione di respiro strategico, sia istituzionale sia commerciale. È importante prevedere più accuratamente le tendenze in atto sia nella società sia nel mercato, per indirizzare in modo molto più mirato (e dunque efficiente) sia le politiche su diversi ordini di scala e ambiti, da quelle istituzionali a quelle delle imprese che analizzano i big data per orientare la loro produzione verso i consumi, con strategie promozionali, con la pubblicità e diversificate proposte commerciali. A tal fine è cruciale il processo di estrazione di conoscenza dai big data, nell’ambito del quale è possibile enucleare, sul piano logico (con eventuali ricadute delicate anche su quello giuridico, per quanto riguarda l’uso o l’abuso dei dati personali) sulla base di una serie di ordini di attività: la raccolta, che a sua volta si articola in generazione, acquisizione e memorizzazione; l’elaborazione, che coinvolge attività di estrazione, integrazione e analisi ; l’interpretazione e l’utilizzo. Prima di considerare queste fasi, è necessario evidenziare che i dati oggetto di elaborazione secondo le tecniche proprie dei big data possono avere natura personale o non personale, distinzione per cui ai fini del trattamento dei dati sotto il profilo regolamentare si ha il dovere di discernere la qualità dei dati, a partire da quelli personali, rispettando la privacy. La linea di demarcazione tra dati di natura personale e non, non è sempre semplice da tracciare. Ciò in relazione a informazioni anonime (o anonimizzate) Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 15 402 Carlo Infante - Big data come nel caso di informazioni di natura geografica, meteorologica, ambientale, economica, etc. Tutti i contenuti di cui stiamo trattando sono, ovviamente, resi disponibili in formato digitale e ciò è dato dal fatto che gran parte delle attività economiche e sociali sono migrate su internet, per cui le attività degli utenti generano, anche automaticamente (basta un GPS attivo per tracciare, anche se non si opera sullo smartphone) grandi quantità di dati. Le attività svolte dagli utenti, anche in assenza di interazione diretta con un dispositivo elettronico, generano dati e possono fornire informazioni rilevanti sui comportamenti e sulle preferenze degli individui. Si pensi, appunto, ai dati di geolocalizzazione degli individui forniti dagli smartphone (nei quali tale funzione risulti attivata), nonostante non vi sia un’attiva interazione con il dispositivo da parte dell’utente. Allo stesso modo, le videocamere di sorveglianza, nel riprendere la presenza ed i movimenti degli individui in una determinata zona, acquisiscono dati che poi possono essere elaborati al fine di inferire informazioni sui flussi delle persone. Anche gli strumenti di pagamento elettronici consentono di acquisire informazioni sui comportamenti di acquisto e le preferenze degli utenti che li utilizzano. Sono quindi gli utenti stessi a produrre contenuti che si rivelano fonte per i big data, dalla posta elettronica alla navigazione satellitare, per non parlare dei social media, in cui i fruitori caricano i propri contenuti (foto, video, testi), condividendoli. La fase di raccolta dei big data è particolarmente connotata nell’ambito di attività svolte dagli utenti in contesti altamente informatizzati come quello dell’internet delle cose (internet of things), un ambito che si estende dal fenomeno diffuso della smart city, con i sistemi interconnessi che riguardano applicazioni come quelle del traffico stradale a quelle domestico della smart Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 15 403 Carlo Infante - Big data home, dove ad essere interconnessi sono gli elettrodomestici ed altri servizi come quelli di sorveglianza. Un’importante fonte per alimentare i big data è quindi l’internet delle cose, che vede applicazioni emblematiche in campo industriale, come quella per la manutenzione predittiva, atta ad individuare il tempo residuo prima del guasto, effettuata sulla base dell’analisi di big data attraverso cui individuare i parametri che vengono misurati ed elaborati utilizzando appropriati modelli matematici e statistici. Una variazione delle misure effettuate rispetto allo stato di normale funzionamento indicherà l'aumentare del degrado e, in definitiva, permetterà di prevedere il momento del guasto. Tutt’altro approccio è quello che riguarda l’interazione con la vita delle persone, dalla domotica nella smart home all’uso della molteplicità di dispositivi, spesso indossabili (wearable device) che registrano dati su ogni individuo (ad esempio quelli relativi alle attività sportive, monitorando i parametri biologici). L'idea di base dell'internet delle cose è connettere diversi oggetti del mondo reale - come sensori, RFID (Radio-Frequency Identification), lettori di codici a barre, telefoni cellulari, ecc. – e farli cooperare l'uno con l'altro al fine di completare un compito comune, attraverso l'uso di microprocessori presenti negli oggetti. Esso consente lo sviluppo di applicazioni in diversi settori chiave: si pensi, per esempio, ad una smart city, in cui i cittadini attraverso un’applicazione presente nei propri smartphone hanno accesso in tempo reale ai dati sul traffico, sui parcheggi disponibili, sulla qualità dell’aria, sui tempi di attesa dei mezzi pubblici, sulle farmacie di turno aperte, sul numero di pazienti presenti nei pronto soccorsi. Tutto ciò grazie a sensori interconnessi, i quali trasmettono le proprie rilevazioni ad un server centrale che elabora e rende disponibili le informazioni ai propri utenti. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 15 404 Carlo Infante - Big data Attraverso i sensori posti nei dispositivi mobili, nei mezzi di trasporto, nelle infrastrutture pubbliche (aeroporti, porti, stazioni ferroviarie) e negli elettrodomestici, l'internet delle cose rende possibile il fatto di trasmettere e memorizzare le informazioni afferenti al funzionamento di apparecchiature e dispositivi tra loro connessi, sia in ambito lavorativo sia la quotidianità delle attività private dei singoli individui. In tal modo possono essere acquisiti vari tipi di dati (ambientali, geografici e logistici), che, in generale, presentano molteplici caratteristiche tipiche dei big data, tra cui l’eterogeneità, la varietà, l’assenza di una struttura, la forte relazione spazio/tempo e la rapida crescita. I dati generati dagli utenti o dagli oggetti connessi nell’ambito dell’internet delle cose vengono quindi acquisiti tramite i dispositivi digitali coinvolti nell’atto di generazione, dagli smartphone ai sensori ambientali (di movimento, di temperatura, di umidità), risultando così nella disponibilità dei soggetti che sviluppano e rendono operativi questi sistemi (ad esempio, nel caso degli smartphone, i fornitori del sistema operativo), i quali, tuttavia, per acquisire la disponibilità di dati personali devono necessariamente chiedere il preventivo consenso dell’utente che li ha generati. Proprio gli smartphone rivestono un ruolo centrale nell’acquisizione dei dati generati dagli utenti, in quanto dispongono di numerosi dispositivi di input (come i sensori di movimento, di luminosità, di localizzazione, la tastiera e il touch screen) integrati in un unico strumento connesso ad internet e che accompagna l’utente in tutte le sue attività quotidiane. Si evidenzia, in particolare, che in uno smartphone i veicoli per l’acquisizione dei dati sono rappresentati, da un lato, dal sistema operativo e, dall’altro, dalle applicazioni pre-installate o successivamente acquistate ed installate dall’utente. Nel secondo caso i dati sono acquisiti dai rispettivi sviluppatori. Più in generale, tutte le attività online degli utenti (quali l’invio e la ricezione di posta elettronica, la navigazione satellitare o l’uso di servizi di social network) – a prescindere dal Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 15 405 Carlo Infante - Big data dispositivo utilizzato– generano una enorme quantità di dati, tipicamente personali, che alimentano una copiosa attività di acquisizione. Tecnicamente l’acquisizione dei dati generati dagli utenti presuppone l’utilizzo di sistemi dedicati al loro tracciamento che, con specifico riferimento alla navigazione sul web, sono costituiti dai cosiddetti cookie; questi ultimi sono file di testo che raccolgono le preferenze (es: lingua, interfaccia, luogo dal quale avviene l’accesso, ecc.) e le informazioni del consumatore (es: pagine che ha visitato, testi trasmessi, ecc.) attivo in un sito web, consentendone una precisa profilazione, che peraltro viene aggiornata in occasione di ogni successivo accesso al medesimo sito. Nell’ambito dell’internet delle cose i dati di tipo ambientale, geografico o logistico vengono acquisiti dai dispositivi installati nelle abitazioni ovvero nei siti di produzione industriale, nei locali commerciali e nell’ambiente. Anche per la gestione dei dispositivi dell’internet delle cose è frequente il ricorso a soluzioni standard predisposte dai grandi player digitali (quali, ad esempio, Amazon, Google, Facebook o Apple), che, essendo di regola integrate con funzionalità di elaborazione dei dati acquisiti, assicurano loro la disponibilità dei dati stessi. Nel processo di acquisizione dei dati possono intervenire anche i cosiddetti data broker, ossia soggetti che aggregano dati da diverse fonti (principalmente siti internet) e li organizzano per metterli a disposizione di soggetti terzi. Tali intermediari, operando contemporaneamente su molteplici siti, realizzano importanti economie di scala e di scopo (grazie alla varietà dei dati raccolti sui diversi siti) e consentono di aumentare l’ampiezza e la profondità della raccolta dati. I data broker alimentano un mercato poco trasparente soprattutto per gli utenti finali, che non sono messi nelle condizioni di conoscere il percorso compiuto dai dati che vengono acquisiti dai siti internet e/o dalle piattaforme online a cui accedono. Vi sono, infine, dati che possono essere acquisiti senza doversi interfacciare con gli utenti o comunque con i soggetti che generano quei dati. Si tratta dei cosiddetti open data, generalmente prodotti dagli organismi pubblici e per definizione liberamente accessibili a tutti. 406 Carlo Infante - Big data 3. La memorizzazione e l’elaborazione dei big data Per memorizzazione si intende il processo di trasferimento del dato dal dispositivo di acquisizione alla memoria di un sistema di elaborazione in modo tale da poterlo trattare. Nell’ambito di tale processo assume grande rilevanza (specie in ragione delle dimensioni del fenomeno in esame) la dimensione della integrità e sicurezza dei dati. In considerazione del grande volume dei dati che vengono acquisiti, si rendono necessari, per l’attività di memorizzazione, sistemi di elaborazione dotati di memorie capienti, ad accesso rapido e con tempi di trasferimento veloci. L’accesso a tale risorsa non sembra rappresentare un ostacolo allo sviluppo di attività che coinvolgono i big data, giacché fino ad ora lo sviluppo tecnologico ha determinato un progressivo trend di riduzione dei prezzi delle memorie. I dati isolatamente considerati hanno poco valore, ma lo acquisiscono quando sono organizzati. Per tale ragione riveste un ruolo centrale nell’intera filiera dei big data la fase della elaborazione, che comporta l’organizzazione dei dati grezzi non strutturati in informazioni suscettibili di essere utilizzate per finalità economiche. L’attività di analisi, infatti, consente di estrarre velocemente conoscenza da grandi moli di dati non strutturati così da ottenere informazioni possibilmente in un formato compatto e facilmente interpretabile. Dopo una iniziale fase di estrazione – durante la quale i dati vengono reperiti dalle diverse fonti disponibili, selezionati e caricati nella memoria del sistema di elaborazione – ed una successiva integrazione di tutte le informazioni che si riferiscono agli stessi elementi o domini applicativi, interviene la vera e propria analisi dei dati, che avviene tramite tecniche di analisi e strumenti capaci di far emergere dai dati grezzi non strutturati informazioni suscettibili di interpretazione e utilizzo pratico. In linea generale, le tecniche di analisi consistono per lo più in algoritmi tra i quali si distinguono quelli di interrogazione e quelli di apprendimento. Mentre i primi mirano a rispondere a Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 15 407 Carlo Infante - Big data delle richieste precise da parte degli utenti poste in forma di interrogazioni, i secondi invece mirano ad estrarre nuova conoscenza, nuove tesi e si avvalgono di tecniche avanzate di intelligenza artificiale come il machine learning. La caratteristica di questi algoritmi, il cui funzionamento evolve in base all’esperienza acquisita, è di essere variabili nel tempo, anche con elevata velocità. L’implementazione degli algoritmi a sua volta richiede modelli informatici di calcolo che coinvolgono risorse hardware e al software che nel sempre più diffuso modello del cloud computing sono disponibili in data center remoti e vengono rilasciate rapidamente e in modo dinamico agli utenti. Proprio l’intelligenza delle tecniche di analisi, unitamente alla voluminosità e varietà dei dati, sta facendo emergere una importante innovazione nel processo di estrazione della conoscenza. Nel nuovo paradigma analitico, cosiddetto data driven, i dati concorrono non solo a verificare ipotesi teoriche con tecniche statistiche, ma anche a esplorare nuovi scenari e ricavare nuove teorie, nonché, più in generale, a scoprire nuova conoscenza attraverso gli algoritmi di intelligenza artificiale. Si tratta di un approccio all’acquisizione delle informazioni e alla generazione di conoscenza del tutto innovativo dal punto di vista metodologico, che riconosce ai dati il ruolo di guida e agli algoritmi il compito di trovare modelli che la metodologia tradizionale, forse solo a fatica, potrebbe individuare (salvo doverli poi sottoporre a successiva verifica). La portata innovativa è tale che alcuni studiosi parlano di vera e propria rivoluzione scientifica rispetto all’approccio classico ipotesi-modello-esperimento. Nell’ambito di questo nuovo paradigma analitico, i dati appaiono rivestire rilevanza centrale. I programmi di intelligenza artificiale apprendono grazie alla disponibilità di un elevatissimo numero di esempi. Pertanto, il dato, in quanto sorgente di informazione sul fenomeno che si intende studiare, rappresenta l’origine stessa dell’evoluzione degli algoritmi, cosicché è la disponibilità di nuove fonti di dati che consente il miglioramento degli algoritmi impiegati e/o lo Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 15 408 Carlo Infante - Big data sviluppo di nuovi algoritmi. D’altra parte, anche quando gli algoritmi non mutano nel tempo, il progresso della conoscenza dipende dai dati. Ad esempio, in diversi ambiti (quali le previsioni metereologiche o la traduzione online) i miglioramenti registrati negli ultimi anni sono riconducibili non tanto agli algoritmi, che sostanzialmente non sono mutati rispetto al passato, quanto alla disponibilità di immensi quantitativi di dati, oltre che alla capacità computazionale alquanto più potente. In ogni caso, i grandi player dell’economia digitale (quali Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) appaiono godere di un vantaggio rispetto alle imprese dei settori tradizionali dal momento che, oltre a disporre di enormi quantità di dati, si distinguono per cultura e propensione all’investimento, e dunque sono stati i primi a sviluppare gli algoritmi capaci di analizzare grandi volumi di dati e tuttora innovano e migliorano costantemente la loro capacità di data analytics cercando e acquistando soluzioni computazionali efficienti, risorse umane di eccellenza nonché intere start up innovative. Infine, per quanto riguarda le soluzioni per la memorizzazione e l’elaborazione, indispensabili per adottare l’approccio data driven, sembra doversi escludere che i soggetti che non ne dispongono al proprio interno versino in una condizione di svantaggio competitivo, considerata la possibilità di acquisire in outsourcing i servizi di cloud computing, che rende i costi per l’acquisto della capacità di stoccaggio e delle infrastrutture di calcolo sostanzialmente lineari rispetto alle dimensioni dell’attività svolta. La disponibilità di informazioni estratte mediante l’analisi dei big data ha reso possibile un cambio di paradigma anche nei processi decisionali, anch’esso guidato dai dati (decision making), nel senso che le decisioni possono essere prese direttamente sulla base dei dati, nonché delle correlazioni tra di essi, senza la necessità di una compiuta preliminare comprensione del fenomeno oggetto dell’intervento. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 13 di 15 409 Carlo Infante - Big data In altri termini, in una prospettiva di utilizzo dei dati, dapprima interviene l’analisi dei fatti, quindi l’azione e infine, e solo eventualmente, la comprensione del fenomeno. I big data possono contribuire all’efficientamento e al miglioramento dei processi direzionali, gestionali e operativi delle organizzazioni. Infatti, grazie alla raccolta e all’elaborazione di dati relativi ai processi interni e al loro monitoraggio è possibile individuare i punti di scarsa produttività e intervenire per migliorare quest’ultima. Inoltre, i big data possono essere utilizzati per offrire prodotti e servizi innovativi, che non potrebbero essere altrimenti realizzati. Si pensi, ad esempio, ai servizi che offrono informazioni agli utenti in merito alle condizioni del traffico sulle arterie stradali, realizzati attraverso la raccolta e l’analisi dei dati di posizione e di spostamento di milioni di singoli utenti. I big data possono altresì consentire alle imprese e alle istituzioni di ottenere una conoscenza dettagliata dei singoli consumatori, ossia dei loro bisogni e delle loro preferenze. Il punto è nel creare un equilibrio sociale, magari governato dalla politica pubblica, per cui si possa garantire il fatto che l’estrazione del valore dai big data possa essere reinvestito nell’innovazione per l’uso pubblico, garantendo un’autoregolazione di un sistema evoluta che sappia contestualizzare l’avanzamento tecnologico nel quadro d’insieme di ciò che definiamo l'innovazione adattiva. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 14 di 15 410 Carlo Infante - Design Thinking Indice 1. L’INNOVAZIONE DI PROCESSO ............................................................................................................ 3 2. LA COGNIZIONE PERCETTIVA E IL PENSIERO ABDUTTIVO ................................................................... 4 3. IL DISTILLATO DI INTELLIGENZA COLLABORATIVA ............................................................................... 7 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 13 411 Carlo Infante - Design Thinking 1. L’innovazione di processo Il Design Thinking mira a trovare risposte progettuali ai più vari contesti (da quelli della rigenerazione urbana a quelli di una filiera commerciale andata in crisi) intervenendo in modo creativo sui problemi esistenti, cercando di ridefinirne i contorni, fin quando non si trovi un varco per superarli e impostare le opportune innovazioni di processo. L’innovazione di processo consiste nell’innovazione di procedure o metodi o strumenti, per arrivare a ottimizzare i processi precedenti che si sono rivelati obsoleti, ottenendo quindi una maggiore efficienza. L’innovazione di processo si distingue dall’innovazione di prodotto perché riguarda la condizione immateriale, ovvero gli aspetti organizzativi e procedurali. Il concetto di innovazione di processo risale alle teorie dello sviluppo economico di Joseph Schumpeter, ministro delle finanze della Prima Repubblica austriaca nel 1919, che utilizzò un approccio “dinamico” associando la produzione industriale alle nuove conoscenze scientifiche e alla domanda emergente dalla società. L’innovazione di processo in edilizia è data dal rapporto architettura-industria, con l’affermazione della standardizzazione e della prefabbricazione. La mitigazione degli impatti ambientali determina oggi un’innovazione di processo d’impronta ecologica. L’innovazione di processo è legata ai cambiamenti necessari per aumentare l’efficienza nella produzione di prodotti o servizi, in stretta relazione con l’evoluzione tecnologica, con una forte attenzione alla re-ingegnerizzazione dei modelli precedenti. In tal senso il design thinking è il pensiero progettuale che sperimenta ciò che è tecnologicamente fattibile ed economicamente sostenibile per innovare un processo produttivo o organizzativo. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 13 412 Carlo Infante - Design Thinking 2. La cognizione percettiva e il pensiero abduttivo L'espressione design thinking è attribuita a Herbert Simon che nel 1969 descrisse i processi decisionali nelle organizzazioni economiche. Per questo nel 1978 vinse il Premio Nobel per l'economia. Nonostante derivi dall'ambito del design industriale, il design thinking oggi è maggiormente applicato nei campi del management e del marketing e la sua prospettiva di utilizzo riguarda sempre più la governance internazionale e l’innovazione sociale. Il design thinking permette di costruire idee sulle idee degli altri, secondo la metodologia human centred approach, la conoscenza incardinata al comportamento umano, per cui multidisciplinarità, collaborazione e creatività si predispongono a generare brainstorming. È su questa linea che nel 1990, con i Design Thinking Research Symposia, figure come Terry Winograd, David Kelley, Larry Leifer e Tim Brown combinarono sempre più la consulenza strategica con la trasformazione digitale. Il design thinking è un processo di pensiero complesso per concepire nuove realtà, creando processi che attraverso il problem solving risolvono le funzionalità di una situazione, produttiva o manageriale che sia. I progettisti del design thinking sono allo stesso tempo analitici ed empatici, razionali ed emotivi, metodici ed intuitivi, coscienti della pianificazione e dei vari limiti ma allo stesso tempo spontanei e inventivi. Questo approccio dualistico viene definito abductive thinking (pensiero abduttivo), per differenziarlo dal ragionamento razionale deduttivo e induttivo. Il pensiero abduttivo è un concetto sviluppato dal filosofo Charles Sander Pierce (1839 – 1914), secondo cui nessuna nuova idea può essere prodotta dalla deduzione o dall'induzione usando dati consolidati. In tal senso viene individuato anche come il primo passo del ragionamento scientifico in cui viene stabilita un'ipotesi per spiegare alcuni fatti empirici. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 13 413 Carlo Infante - Design Thinking Ciò significa pensare attraverso differenti prospettive riguardo a possibilità future che non sono ancora presenti nei modelli esistenti. Si può dire quindi che è un modo di pensare in cui emozioni e visione creativa sono importanti tanto quanto la razionalità. Collegato al concetto di abductive thinking vi è l'importante ruolo della cognizione percettiva, un'abilità importante nella creazione di nuove realtà immaginate da visualizzare. Si può intendere la cognizione percettiva come il processo complesso, ludico e creativo al contempo, di sollecitare il pensiero con l'input visivo mediante soluzioni grafiche dello sketching e del visual thinking, con disegni, tag cloud generate nel web, mappe (sia concettuali sia georeferenziate) e modelli prototipali, per visualizzare ed esplorare i problemi in campo dando una forma visiva all'attività di progettazione. Visualizzare i propri pensieri nel corso della loro produzione porta i progettisti a chiarire le idee, in un’attività di sketching che diventa così un'estensione dell'immaginario mentale. Visualizzando i pensieri associati a un progetto, il progettista può spazializzare il problem solving scoprendo aspetti non previsti, qualificando la concentrazione e la cognizione percettiva sui problemi in oggetto. Le caratteristiche di un progettista di design thinking sono la predisposizione alla cognizione percettiva e visuale, l’osservazione, la sfida alla percezione stereotipata, contemplare emozioni e razionalità allo stesso livello, soggettività, il pensiero abduttivo e inventivo invece che analitico, deduttivo e induttivo. Tutto ciò porta ad accogliere anche il fallimento come una parte del processo, trovandosi a proprio agio in un contesto di incertezza, e predisponendosi, con un approccio empatico, alla conoscenza di ciò di cui gli utenti hanno bisogno e che desiderano. Un'altra caratteristica fondamentale del design thinking, come si è già rilevato, è lo humancentred approach, che si esprime nella maniera collaborativa con cui i progettisti lavorano utilizzando un metodo partecipativo di co-creazione. Si è al cospetto di uno spostamento dal progettare per gli utenti, all' human-centred approach, ovvero progettare con gli utenti: i progettisti sviluppano soluzioni innovative non solo lavorando in team con colleghi (designer, ingegneri, specialisti di marketing, etc.), ricercatori e Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 13 414 Carlo Infante - Design Thinking stakeholder, ma sempre più spesso anche con i gli utenti, quando sono i destinatari finali dell’esito dei laboratori di design thinking, come quelli orientati alla rigenerazione urbana e all'innovazione sociale. Il design thinking vede le persone protagoniste della co-creazione per cui si tende sempre più a utilizzare questo metodo per la risoluzione di problemi sociali. Negli ultimi anni queste metodologie sono correntemente usate in campi come lo sviluppo internazionale, la sanità, il design dei servizi pubblici e la gestione di problem solving per comunità territoriali, organizzazioni pubbliche e governi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 13 415 Carlo Infante - Design Thinking 3. Il distillato di intelligenza collaborativa Il design thinking dinamizza i processi creativi di co-progettazione per arrivare alla definizione di strategie d’innovazione. Si tratta di una modalità che sollecita la capacità delle organizzazioni e delle comunità ad affrontare, incrociandole tra loro, criticità e opportunità, con un approccio di coopetition, intervenendo sulle decisioni, liberando una inedita intelligenza collaborativa. L’obiettivo è quello di sviluppare il pensiero creativo, attraverso il visual thinking, visualizzando con pratiche di sketching o action writing il processo collaborativo di progettazione in corso, basato sui principi dell’intelligenza connettiva e del problem solving. Il design thinking contempla la metodologia del problem-solving e si usa sempre più per la ricerca di soluzioni a problemi in ambiti come la sanità, l’amministrazione pubblica, innovazione sociale e territoriale come la rigenerazione urbana. È un metodo che si basa su principi fondamentali, come l’alternanza di fasi divergenti e convergenti, sia in fase di comprensione del problema da affrontare che in fase di sviluppo della soluzione. Questo consente di arrivare a discernere tra criticità e opportunità attivando una coscienza dinamica che non procede per dicotomie ma per armonizzazione delle contraddizioni. Permette di valorizzare la creatività degli stakeholder coinvolti nei brainstorming di coprogettazione per profilare al meglio il team di innovazione orientato verso le decisioni e distillare le idee in campo con l’intelligenza partecipativa generata. È fondamentale per realizzare un’innovazione efficace, considerare i destinatari dell’innovazione come le principali sorgenti di conoscenza del campo di analisi, essenziali per indurre strategie correlate sia ai bisogni reali sia ai desideri da sollecitare negli utenti-referenti. Si sta rafforzando la convinzione che per la risoluzione dei problemi si debbano creare nuove sinergie tra organizzazioni pubbliche e comunità territoriali, imprese e associazioni, basate sulla capacità di moltiplicare, e non addizionare, le diverse intelligenze in campo, secondo i principi dell’intelligenza connettiva. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 13 416 Carlo Infante - Design Thinking L’intelligenza connettiva è un concetto, coniato da Derrick de Kerckhove negli anni Novanta, che si è innervato nello sviluppo del web in quanto tecnologia cognitiva, esplicitando le inedite proprietà psicologiche della cooperazione on line con attività di vertiginosi brainstorming. In questa connettività si attiva un processo tecnologico che di fatto si traduce in un processo psicologico e una nuova sensibilità che riscopre il senso naturale delle cose naturalmente interconnesse. Il visual thinking Una modalità efficace nell'esprimere la funzionalità di cognizione percettiva è quella della tag cloud live, la nuvola delle parole chiave che esplicitano, ciò che avviene in tempo reale nel web, raccolte attraverso l’attività di instant blogging, su twitter o instagram. È una attività di visual thinking, ovvero di visualizzazione pubblica del pensiero in divenire, usata durante sessioni di lavoro teorico, come quelli di design thinking. Questa attività di brainstorming si combina con un esercizio di creatività connettiva, permettendo di distillare le idee in gioco, con una migliore individuazione delle parole chiave. Sono almeno tre le modalità adottate usualmente in questi brainstorming di design thinking. Una è quella di videoproiettare la tag cloud, utilizzando particolari applicazioni web come visible tweet che estraggono automaticamente i tweet associati a predefiniti hashtag, con animazioni grafiche colorate per far esaltare i tweet più pertinenti. Un’altra è quella dell’action writing con l’intervento di un copywriter competente, affinato ai temi in oggetto, che scrive disegnando su grandi fogli applicati alle pareti, o su grandi lavagne, una sorta di mappa concettuale utilizzando le parole chiave che fluttuano nella discussione. Un'altra ancora è quella, spesso adottata nei tavoli dei diversi gruppi di lavoro, di utilizzare i piccoli fogli degli appunti, o i post-it adesivi, per raccogliere le scritture immediate dei partecipanti al brainstorming. Tutte queste modalità possono inter operare tra di loro. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 13 417 Carlo Infante - Design Thinking Il risultato è quello di comporre una “quarta parete” (concetto che deriva dal teatro brechtiano) per cui oltre le tre pareti della scena c’è una quarta, quella dello spettatore che diventa protagonista dell’operazione senziente in cui si ricombina collettivamente il senso generale e prismatico (le varie riflessioni da angolazioni diverse) prodotto dal brainstorming. La coopetition e il gioco a somma positiva La coopetition (coopetizione) mette insieme la competizione con la cooperazione. La logica che sottende la coopetition permette di armonizzare posizioni competitive che possono unire le proprie forze sulla base di una particolare convergenza di interessi. Quando i soggetti coinvolti in una sessione di changemaking partono da questo presupposto, adottando le modalità di co-progettazione possono divenire più competitivi cooperando. Saper gestire le interdipendenze e le tensioni legate alla coopetizione è la chiave per raggiungere livelli di performance progettuale evoluta. La coopetition può quindi rivelarsi come un driver per l'innovazione sociale, operando su soluzioni empiriche da testare anche con metodi come quelli del problem solving. Il motore della coopetition è il gioco a somma variabile-positiva o win-win, un'espressione traducibile in vincente-vincente, oppure io vinco-tu vinci. Indica una situazione in cui ci sono solo vincitori. Per estensione si considera win-win una qualsiasi pratica che non scontenti o danneggi alcuno dei soggetti coinvolti. Per gioco a somma positiva s’intende un’operazione in cui si crea un valore che prima non c’era. Chi sta meglio di come stava prima non lo fa necessariamente a scapito di chi sta peggio. Quel “meglio” è stato creato dal gioco stesso. Si aggiunge qualcosa di buono che prima non c’era. Nei casi migliori, tutti i giocatori hanno guadagnato qualcosa. Il progresso umano degli ultimi secoli è stato, in parte, un formidabile gioco a somma positiva. Non soltanto tantissima gente sta meglio di come stava prima, ma il benessere complessivo dell’umanità è aumentato in misura enorme. Eppure, per molti è parecchio difficile Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 13 418 Carlo Infante - Design Thinking pensare a esempi di giochi a somma positiva, e per alcuni di noi è faticosamente controintuitivo pensare alla politica, a una discussione controversa, o a una trattativa come potenziali giochi a somma positiva. C’è forse una ragione evoluzionistica dietro la tentazione di pensare a somma zero, quella per cui qualcuno deve uscire sconfitto. Il mondo in cui hanno vissuto i nostri antenati per decine di migliaia di anni è stato un mondo sproporzionatamente scandito da conflitti a somma zero. Nel mondo dei cacciatoriraccoglitori, più cibo per qualcuno significava quasi inevitabilmente più fame per qualcun altro. La sopravvivenza richiedeva l’abilità di capire al volo e trattare molte interazioni sociali come sfide a somma zero. Se siamo qui a parlare di design thinking e changemaking è perché siamo convinti che conflitti e antagonismi, per quanto abbiano scandito la Storia, non siano più un modello accettabile, per cui occorre trovare nuovi modelli di sviluppo più equo e sostenibile. Nell’ambito del sistema delle imprese la modalità della coopetition è alla base della Open Innovation, per cui il know how che prima veniva esclusivamente protetto con le rigidità dei brevetti e del copyright tende a liberarsi e ad aprirsi in progetti collaborativi ispirati ai protocolli della ricerca scientifica. Ciò amplifica le potenzialità dell’innovazione, come processo condiviso, secondo i principi dell'etica open source. Trovare il modo per tradurre le strategie competitive nella natura collaborativa della coopetition è l’obiettivo che imprese, realtà del Terzo Settore e istituzioni tendono sempre più a ingaggiare con laboratori dove le diverse intelligenze attuano sperimentazioni in più campi, dall’innovazione digitale alla valorizzazione dei territori. Si tratta di laboratori nei quali verranno sviluppate metodologie utili a gestire i cambiamenti normativi e socio-economici e necessarie per liberare il potenziale delle organizzazioni dell’economia sociale. Questi percorsi forniscono competenze e abilità espresse da progettisti di design thinking che si pongono come changemaker, figure del cambiamento che esprimono modalità innovative per progettare e gestire progetti di innovazione sociale, esercitando anche il problem solving. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 13 419 Carlo Infante - Design Thinking Il problem solving Il problem solving è un metodo che si misura con la risoluzione di problemi, un percorso per cercare le migliori risposte possibili a determinate situazioni critiche, come quelle che vengono affrontate in brainstorming di design thinking. Ci sono problemi ricorrenti per i quali si stabiliscono risposte automatiche e problemi più complessi, per cui la soluzione si ottiene attraverso un approccio particolare definito out of the box. È un modo creativo per esercitare questa competenza, la soft skill che attiene al problem solving, ovvero procedere rompendo gli schemi, uscendo fuori dalle cornici: “out of the box”. Ciò vuol dire osservare le situazioni da diversi punti di vista, avventurarsi per strade non battute, individuare soluzioni divergenti e, perché no, anche divertenti. Il mondo è sempre più complesso, semplicemente perché è in corso una transizione radicale, scandita dalla trasformazione digitale, e ciò si riflette nelle dinamiche delle organizzazioni, pubbliche e private, sociali ed economiche che tendono riconfigurarsi. In un contesto simile le incertezze sono la regola, perciò le competenze di design thinking, changemaking e problem solving sono diventate ancora più importanti, e lo saranno sempre di più. Il problem solving comporta in primo luogo la definizione del problema, individuando il dato reale e non solo un suo sintomo. Per analizzare bene una situazione c’è una metodologia messa a punto da Sakichi Toyoda, fondatore della Toyota, quello definito dei “cinque perché”. Consiste nel procedere progressivamente dal problema individuato come il più evidente ai problemi successivi chiedendosi “perché” per 5 volte (o almeno andando avanti fino a quando si ottiene una risposta sensata). Se la situazione è complessa può essere utile scomporre il problema principale in sottoproblemi modulari, spacchettando la questione. Si tratta poi di rappresentare e analizzare il problema: determinare i fattori rilevanti, capire quali informazioni ci servono, selezionando i dati più pertinenti. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 13 420 Carlo Infante - Design Thinking A questo punto chiedersi perché il problema si è verificato. La risposta a questa domanda può essere la causa radice o solo un sintomo, quindi reiterare le domande nel brainstorming finché non si identifica la causa radice. È di fronte a criticità simili che il design thinking evolve l’approccio problem solving con metodologie creative, in cui le possibili soluzioni alle domande poste dal problema, prendono forma con sketching o visual thinking. Individuate le diverse possibili soluzioni si può tentare un piano di attuazione, magari con modelli prototipali (mappe interattive, modelli digitali 3D, plastici, video, role game) su cui impostare delle simulazioni attuative. Sono metodologie che dimostrano come la creatività non riguarda più solo la dimensione artistica e culturale ma quella organizzativa, capace di trovare la misura di ottimizzazione dei processi, per creare le condizioni abilitanti perché l’innovazione sia adattiva, tesa cioè a porsi come opportunità evolutiva. In tal senso rilanciamo un concetto semplice e straordinario del matematico francese JulesHenri Poincaré che ci aiuta a comprendere come la creatività possa essere un driver, medium straordinario per risolvere problemi, ricombinando tra loro i fattori problematici e delineare prospettive non scontate. Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 13 421 Carlo Infante - L'informazione siamo noi Indice 1. LA RIVOLUZIONE DEL WEB 2.0 E DEL BLOGGING ................................................................................ 3 2. LA CLASSE CREATIVA ........................................................................................................................... 5 3. TALENTO + TOLLERANZA + TECNOLOGIA ............................................................................................ 7 4. LE QUALITÀ DELLA SCRITTURA-AZIONE NEL WEB ................................................................................. 9 5. LA LONG TAIL (CODA LUNGA) E LA FILIERA DEL VALORE GENERATA DAI BIG DATA ..................... 11 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 14 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 14 422 Carlo Infante - L'informazione siamo noi 1. La rivoluzione del web 2.0 e del blogging La peculiarità che contraddistingue questo fattore di soggettività nella produzione di informazione nel web è stata data dalla radicale mutazione culturale esplosa con il web 2.0. A determinarla è stata una pratica dirompente sviluppata su scala globale sulla diffusione che spiazzò gli assetti della comunicazione, per semplicità ed efficacia, il web log, comunemente definito blog. Era di fatto un diario di bordo on line che ha esplicitato la forma migliore dell’informazione autoprodotta. Scardinò i modelli comunicativi, superando gli assetti professionali del giornalismo e della scrittura creativa propri della letteratura, superando la forma della rappresentazione formalizzata per liberare un’energia imprevista, quella della partecipazione. È la forma di un’informazione che esprime realtà condivisa, quella espressa dall’interazione con un lettore che si fa autore di senso, secondo l’opportunità straordinaria di questa pratica di comunicazione diretta e partecipativa. Si fa autore di sé stesso, alimentando i commenti di un blog. Ma non solo: si fa prosumer, produttore-consumatore di informazione. Condizione ora amplificata in social network come Facebook che ha tracimato, espandendosi su scala globale. Il blog è uno spazio che permette di esprimersi e raccontarsi, pubblicando nel web senza dover passare attraverso le competenze di un webmaster, esprimendo disintermediazione. Il blog è basato su un software di personal publishing, molto simile a quello dei forum, per cui consente di sollecitare l’impronta soggettiva della composizione della scrittura in rete, visto che tende in modo inconfondibile alla forma del diario con data e ora della pubblicazione, time by time. Il blog significa anche traccia su rete e le prime di queste tracce risalgono al 1997 negli Stati Uniti, anche se nello stesso anno a Torino, in occasione della Biennale dei Giovani Artisti del Mediterraneo si creò un diario di bordo on line con il consorzio Gruppo Entasis. Si basava sullo stesso principio, nonostante le pagine fossero composte con un editing in html da diverse multitaskforce, con immagini e brevi filmati, utilizzando una delle prime opportunità di rete a banda larga, in Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 14 423 Carlo Infante - L'informazione siamo noi soluzione ADSL. Era il 1997 e Torino fu una delle prime città ad utilizzare in via sperimentale quella rete inscritta nel progetto Socrate di STET-Telecom. Il fenomeno dei blog ricorda l’idea su cui si sono sviluppate le radio libere negli anni Settanta, indipendenti, creative, spontaneiste. La radio è uno dei media più performativi: nel loro processo di miniaturizzazione gli apparecchi radio sono stati portati fuori dalle case per inserirli nella mobilità (automobili, barche, autotreni) fino ad essere portatili (sempre più piccoli, ed ora anche introdotti nei telefoni cellulari o tessute negli abiti, wearable), inscritti nella nostra quotidianità a pieno titolo. Con i blog si creò insomma quella condizione che faceva di un valore d’uso della comunicazione, un gesto creativo. Questo è ciò che s'intende con la definizione di performing media, quella capacità di giocare i media per non esserne giocati, per non essere solo consumatori ma produttori di informazione. Una condizione abilitante per fare dell’innovazione qualcosa da dimensionare allo sviluppo della società, inventando applicazioni e processi che possono attivare quella nuova rete del valore che passa attraverso la propria creatività come nella sharing economy in cui la partecipazione ridefinisce i modelli economici. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 14 424 Carlo Infante - L'informazione siamo noi 2. La classe creativa Richard Florida, noto economista e scienziato sociale statunitense, definì, nel 2002, classe creativa quella composizione sociale di autori multimediali e media maker che si stava rivelando come una forza trainante fondamentale per lo sviluppo economico post-industriale negli Stati Uniti. Florida individua la classe creativa in almeno 40 milioni di lavoratori (circa il 30 per cento della forza lavoro degli Stati Uniti) e definisce questa realtà di nuove professionalità secondo un’articolazione estesa. Un nucleo super-creativo che riguarda una vasta gamma di professioni in diversi ambiti, dalla scienza alla formazione, con focus rilevanti nella programmazione informatica, nelle arti e il design. In aggiunta a questi due gruppi principali di persone creative, c’è la componente dei bohemian che interpretano la creatività come stile di vita, evolvendo lo statuto della moda e del trend dei comportamenti non convenzionali. Le teorie sociali avanzate da Florida si basano sul fatto che c’è una nuova classe emergente composta da lavoratori della conoscenza, intellettuali e artisti che rappresenta un importante passaggio dalle economie manifatturiere e dei servizi a espressioni economiche innovative, per alcuni aspetti ancora inedite. La classe creativa non è una classe di lavoratori tra i tanti, ma una componente sociale che interpreta al miglior grado l'innovazione digitale per l’evoluzione della società con tutte le ricadute economiche che ciò comporta. Florida definisce classe creativa qualcosa che dopotutto è sempre esistito nei secoli. In passato riguardava solo alcune élite di intellettuali, artisti e scienziati, compreso il fenomeno dell’Avanguardia, sia quella storica di Futuristi, Dada e Surrealisti sia quella di massa che si prospettò sulla scia dei movimenti studenteschi degli anni Settanta ma che in Italia non prese la volata professionalizzante (se non per poche eccezioni) come negli Stati Uniti e in altri Paesi europei. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 14 425 Carlo Infante - L'informazione siamo noi Va però detto che è proprio con la rivoluzione digitale che si sta definendo in termini estesi questa connotazione di creatività associata alle tecnologie che nell'arco di questi ultimi decenni sta impattando su tutte articolazioni del sistema sociale e produttivo. Gli Stati Uniti d'America è stato il primo grande paese ad avere una classe creativa cresciuta con lo sviluppo della tecnologia dell'informazione, già a partire dagli Settanta del secolo scorso. Nel 1970 poco più del cinque per cento della popolazione degli Stati Uniti ha fatto parte della classe creativa, un numero che nell’arco di due decenni è aumentato del 300%. Oggi la classe creativa si è sviluppata anche in Europa raggiungendo quasi le stesse percentuali di penetrazione nel tessuto sociale degli Stati Uniti, concentrandosi nelle aree metropolitane, che per attirare la classe creativa si sono predisposte ad un cambiamento radicale, reimpostando le proprie strategie urbanistiche, come ha fatto Berlino, solo per citare la realtà urbana che di questa capacità attrattiva è diventata un modello internazionale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 14 426 Carlo Infante - L'informazione siamo noi 3. Talento + tolleranza + tecnologia È infatti nelle grandi città che si concentra la classe creativa e Florida definisce alcuni presupposti principali perché le città possano attrarre la classe creativa. I principali di questi fattori si concentrano sulle cosiddette tre T: talento, tolleranza e tecnologia. Tre aspetti che contribuiscono a connotare il creativity index per descrivere come i nuovi professionisti della classe creativa vengano attratti dalle città che riconoscono il talento, creando opportunità che premiano la meritocrazia; la tolleranza, garantendo una governance che rispetti i diritti civili; la tecnologia, offrendo accesso alla banda larga delle reti iperconnesse. La migrazione verso le aree urbane metropolitane è quindi data sia dalla disponibilità di lavoro creativo, sia dal buon equilibrio sociale che permette lo sviluppo di comunità creative, in un contesto dove l'utilizzo del web è pratica corrente. La classe creativa per quanto sia orientata verso la globalizzazione delle idee e dell’innovazione di processo, tende al contempo a valorizzare le comunità locali. Alla base di questo fenomeno c’è il fatto che i lavoratori creativi cercano sbocchi creativi in tutti gli aspetti della loro quotidianità e quindi migrano verso le città che sostengono attivamente la loro stile di vita. Il creativity index è quindi un coefficiente che permette di qualificare quelle città più capaci di attrarre soggetti creativi e quindi stimolare la crescita economica combinata con l'innovazione. Realtà come l'Australia ne hanno fatto un piano strategico mentre Paesi come l’Italia, che ha visto in campo sperimentazioni apripista (dopotutto il nostro è un Paese di pionieri), non ha ancora ingranato e continua a sottovalutare il potenziale della classe creativa, trattando i lavoratori della conoscenza e i media maker come una sorta di cognitariato, il proletariato cognitivo, sottopagato e precario. Intorno alla classe creativa si sono di certo create delle criticità spesso operate da spregiudicate operazioni immobiliari, come la gentrification, che hanno visto snaturare alcune Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 14 427 Carlo Infante - L'informazione siamo noi aree urbane, spesso quelle più centrali, creando zone ad alta densità di bistrot, locali musicali, gallerie d'arte, negozi di abbigliamento. Criticità che hanno prodotto diseguaglianze semplicemente perchè la governance dei territori si sono piegate alle logiche del mercato immobiliare e alle risorse immediate degli oneri di urbanizzazione, senza considerare l’opportuno riequilibrio con le comunità territoriali. Ciò non toglie il fatto che è sulla classe creativa che si rileva il fulcro di un fenomeno che vede la creatività della presenza nel web, sull’onda del blogging ed oggi dei social network, come un fattore di straordinario impatto sociale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 14 428 Carlo Infante - L'informazione siamo noi 4. Le qualità della scrittura-azione nel web Navigare nel web comporta un agire attraverso il colpo d’occhio, riconoscendo le valenze grafiche dell’interfaccia, cliccando su pulsanti e icone che permettono la navigazione interattiva. È semplice, forse troppo. La nostra evoluzione ci insegna però che non basta che una risorsa esista perché sia evidente, non basta che sia visibile perché sia ben utilizzata, non basta che sia utilizzata perché diventi espressione culturale. Per agire in modo compiuto nel web va trovato un approccio flessibile e costruttivo, meno legato alla metafora ricorrente della biblioteca digitale da dove si attinge e quindi all’idea che agire in rete consista essenzialmente nella consultazione di pagine. Si può ottenere informazione con grande facilità ma il punto qualificante è nell’esercitare le dinamiche ipertestuali che aprono ad altri orizzonti, per individuare possibili strategie di orientamento e nuovi percorsi di ricerca. La qualità della scrittura-azione nel web è misurarsi con la condivisione di esperienza, per elaborare informazioni che possano interagire con le risorse on line, a partire da quelle espresse da altri utenti, sfruttando la rete per ciò che è: un sistema interconnesso tra diverse soggettività proattive. Si tratta di fare un'esperienza di ispirazione costruttivista, basata sulla collaborazione e sul continuo riuso delle informazioni, connotando conseguentemente il web come ambiente di condivisione. È fondamentale essere consapevoli che la rete è un insieme di fonti e documenti in continua evoluzione, un insieme di risorse in continuo aggiornamento, dove le conoscenze si formano. Il fatto che sia un ambiente per comunicare in tempo reale sollecita il fatto di collaborare con interlocutori remoti e spesso sconosciuti, per condividere esponenzialmente conoscenze ed esperienze. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 14 429 Carlo Infante - L'informazione siamo noi C’è un fattore che va preso in considerazione è quello che sottende la cosiddetta serendipity, con cui s'intende il trovare anche ciò che non si cerca. Ciò può comportare il navigare senza una meta precisa ma spinti da curiosità, alla continua ricerca di qualche risorsa nascosta in quella galassia senza confini che è la rete. Il fattore più importante è quello motivazionale su cui innestare il desiderio dell’esplorazione: è sulla base di ciò che le potenzialità della rete si rivelano come un ambiente educativo e collaborativo dove l’obiettivo è quello della costruzione di percorsi e attraversamenti. In tal senso si può acquisire la coscienza per cui la scrittura diventa come un’azione che mette in relazione il mondo inconscio e quello reale dell’oggettività condivisa, in un’armonizzazione tra la percezione soggettiva della realtà e quella più oggettiva in cui interagire con gli altri. È attraverso queste forme articolate di negoziazione che si sviluppa una lunga coda di comunicazione interconnessa che rilascia un valore e che viene catalizzato nel grande imbuto dei big data, la nuova materia prima da cui estrarre le risorse per scenari della produttività futura. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 14 430 Carlo Infante - L'informazione siamo noi 5. La long tail (coda lunga) e la filiera del valore generata dai big data Il concetto di long tail (coda lunga) è stato coniato da Chris Anderson nel 2004, quando era direttore di “Wired”. Con quel termine descrive un modello statistico per cui il successo nel web di un'idea, di un processo o di un prodotto non si basa solo sull’impatto immediato ma nel corso del tempo, lungo la scia di attenzione che rilascia. Questo aspetto riguarda anche l’asset commerciale per cui la vendita di grandi quantità di un prodotto può essere raffrontata al fatto di vendere poche unità di tanti prodotti diversi. Il web marketing ha interpretato l’opportunità della long tail attraverso strategie di parole chiave (tag) contestualizzate alla promozione dei prodotti o delle idee disseminate in rete, per agganciare lungo il tempo chi non aveva focalizzato l’attenzione specifica su quelle promozioni nel momento del loro lancio. È nella filiera tracciata da questa lunga scia che s’inquadra l’importanza strategica dei big data, visto che gran parte delle attività economiche e sociali transitano su internet, per cui le attività degli utenti, generando grandi quantità di dati, tendono a creare un volume esponenziale di informazioni che esprimono valore. Il motore primario di questo processo di generazione di dati è quindi il web: attraverso la rete in un minuto s’inviano 44 milioni di messaggi, sono effettuate 2,3 milioni di ricerche su Google, sono generati 3 milioni di “mi piace” e 3 milioni di condivisioni su Facebook, e sono effettuati 2,7 milioni di download da YouTube. Google elabora dati di centinaia di Petabyte, Facebook ne genera oltre 10 PB al mese e Alibaba decine di Terabyte (TB) al giorno per quanto riguarda il commercio online in Asia. A questo riguardo vale menzionare l’iniziativa di Google, che ha sottoscritto accordi commerciali con alcuni gestori dei circuiti delle carte di pagamento, al fine di acquisire informazioni sugli acquisti effettuati dai consumatori, utili a verificare l’efficacia di campagne pubblicitarie personalizzate, nonché a profilare ulteriormente i propri utenti. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 14 431 Carlo Infante - L'informazione siamo noi Nella Società della Conoscenza il flusso dell’informazione sta cambiando la cognizione stessa della produzione di ricchezza e di conseguenza quella del lavoro. Le classi lavoratrici, operaia o impiegata nel cosiddetto terziario, così definite della Società Industriale, si stanno dissolvendo in entità senza forma, in una struttura molecolare e non più di massa, nel magma di un sistema sociale che si va configurando. Ciò produce disfunzioni e al contempo opportunità, molto dipende dalla capacità di gestire questa transizione con piena consapevolezza, dopotutto trattare di tecnologie e processi cognitivi riguarda proprio questo. C’è infatti il rischio che certe competenze espresse da quella che abbiamo definito la classe creativa possano creare degli ambiti sociali chiuse ed esclusivi, creando una una tecnocrazia che si comporti come un’iperclasse, come la definì Jacques Attali, scenarista, economista e consulente strategico già del presidente della Repubblica Francese di François Mitterrand e di altri che lo seguirono. È lui stesso a porre le discriminanti: "l’iperclasse che si delinea è composta da giovani cosmopoliti, cittadini del mondo che portano con sé il meglio e il peggio di domani. Danno vita a una società volatile, senza preoccupazioni per il futuro, egoista ed edonista, sospesa tra il sogno e la violenza". Un'analisi lucida e feroce da cui è possibile trarre delle utili indicazioni per evitare che ciò che abbiamo individuato come classe creativa si riveli solo quell’iperclasse così estranea alle sorti collettive. Il rischio c’è tutto perché la produzione di informazione e applicazioni teecnologiche possa rendere il futuro digitale come un sistema piramidale in cui la ricchezza sarà sancita dal know how digitale. È qui che è necessario intervenire per acquisire conoscenza diretta dei meccanismi, sia degli applicativi più avanzati come l’internet delle cose, per evitare che si rivelino espressioni di controllo totale. L’obiettivo è essere consapevoli che nell’affermazione “l’informazione siamo noi” si espliciti un senso di responsabilità civile, per cui si sviluppi una chiara percezione del fatto che il web è un nuovo spazio pubblico e di conseguenza comportamenti esclusivisti come quelli delle nuove aristocrazie digitali vengano sfumati e relativizzati grazie al riequilibrio espresso da chi sia in grado di affrontare la complessità tecnologica in gioco, trovando il modo migliore per giocarla per il bene di tutti e non di pochi. 432 Carlo Infante - Cloud Computing Indice 1. IL NUOVO PARADIGMA DELLA MEMORIA REMOTA E LA SCALABILITÀ DEI SISTEMI DIGITALI ........... 3 2. LA TERZIARIZZAZIONE TECNOLOGICA AVANZATA ............................................................................. 5 3. CITIZEN INTEGRATION ........................................................................................................................... 8 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 11 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 11 433 Carlo Infante - Cloud Computing 1. Il nuovo paradigma della memoria remota e la scalabilità dei sistemi digitali Il cloud computing è il nuovo paradigma tecnologico per rendere disponibili on line, su richiesta, le risorse digitali: dalla capacità di calcolo, all'archiviazione dei dati, sino alle applicazioni. Si tratta di una modalità che usa sia hardware che software da postazioni remote, attraverso il cloud della rete, pagando quanto serve, secondo il principio pay per use. Con il cloud computing un intero mondo dei servizi informatici è cambiato, con una scalabilità dei sistemi digitali, condizione determinante che è opportuno descrivere in modo articolato. La scalabilità si basa sulla capacità di un software o di un hardware di adattarsi a un aumento della richiesta da parte dell’utente, quindi della domanda (meglio la query, l'interrogazione informatica rivolta ad un database) o di carico di lavoro per il processing digitale nell'elaborazione dei dati. Indica quindi se un sistema è portato ad evolversi nel momento in cui è interrogato, a crescere o meno. Nel mondo del web 2.0 questa condizione è esplosa perché gli utenti hanno fatto un salto di qualità epocale, non sono rimasti solo consumatori dell’informazione ma sono diventati protagonisti e quindi produttori dei processi di elaborazione informatica, senza neanche le competenze opportune. In quella semplificazione dell’accesso si sono create delle architetture digitali complesse perché fosse facile e immediato l’approccio. Oggi troviamo nei social network numerose piattaforme scalabili che appaiono ai più come un dato scontato, anche se sono frutto di decenni di progettazione complessa e studiate per essere espandibili, scalabili, a un costante aumento di traffico. Ci sono, tra le diverse accezioni di scalabilità (come quella di carico, relativa alla potenza di calcolo; quella geografica, contraddistinta dalla distanza tra server e client che interrogano; e quella amministrativa, sulla gestibilità delle diverse organizzazioni che accedono) due sviluppi dimensionali principali. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 11 434 Carlo Infante - Cloud Computing La scalabilità verticale, concepita per crescere in altezza, ovvero ampliando la capacità del sistema aumentando le sue risorse. Ad esempio l’aggiunta di più memoria RAM, oppure più CPU, potenziando l’attività del processing dei dati. La scalabilità orizzontale, così intesa per crescere in larghezza, cioè con l’aggiunta di nuovi nodi (server) in parallelo, in modo che funzionino come un sistema unico. Riguarda sia l’aspetto hardware che software, e ne sono un esempio i sistemi distribuiti e il clustering. Le tecniche di clustering vengono utilizzate generalmente quando si hanno tanti dati eterogenei e si è alla ricerca di elementi caratterizzanti o anomali. Per esempio le compagnie telefoniche utilizzano le tecniche di clustering per cercare di individuare in anticipo gli utenti che diventeranno morosi. Le tecniche di clustering si possono basare principalmente su due filosofie. Dal basso verso l’alto (bottom up) in cui tutti gli elementi sono considerati cluster a sé e si provvede ad unire i cluster più vicini. L’algoritmo continua ad unire elementi al cluster fino ad ottenere un numero prefissato di parti, a questo punto si opera su modalità non gerarchica che contempla anche i cosiddetti “insiemi sfocati”. Dall’alto verso il basso (top down) per cui si inizia a dividere il cluster in tante parti inferiori nella dimensione. Il criterio che guida la divisione è sempre quello di cercare di ottenere elementi omogenei. L’algoritmo procede fino a che non ha raggiunto un numero prefissato di cluster, con un approccio che si evolve in una struttura ad albero, gerarchica. Con il termine scalabilità si può quindi indicare anche l’attitudine di un’attività nel far fronte a un calo di domanda, rimuovendo nodi superflui così da conservare l’efficienza del sistema. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 11 435 Carlo Infante - Cloud Computing 2. La terziarizzazione tecnologica avanzata Il cloud computing è una forma di terziarizzazione tecnologica avanzata, per cui gli utenti possono affidare a un provider specializzato la gestione di una o più risorse informatiche che, da quel momento in poi, vengono erogate via web attraverso un contratto di outsourcing. Tutto questo, senza che l’utente, organizzazione, cittadino o impresa, debba accollarsi gli oneri di acquisto di licenze o macchine per usufruire quei servizi. Nel cloud il fornitore offre l’infrastruttura per gestire e distribuire i servizi in base alla richiesta (on demand) e con una formula pay per use. Le modalità di fruizione sono stabilite da contratti che prevedono un certo canone, come quelli che Google adotta per l’uso importante e accessibile a chiunque di Drive. Con il cloud computing non è più necessario acquistare software, hardware, sistemi di rete e cluster di soluzioni informatiche semplici (tipo storage dei dati) o più complesse come un intero data center. Le aziende possono quindi dimenticarsi gli oneri e i vincoli associati al monitoraggio, alla manutenzione e all’aggiornamento di applicazioni e macchinari pagando l’equivalente di una bolletta. Ecco cos’è che rende prezioso il cloud computing per le organizzazioni. L’approccio al cloud computing inteso come Software as a Service (SaaS) si sviluppa nei primi anni del 2000, sull’onda del web 2.0 proponendo il software on line come servizio, a pagamento con il Pay Per Use, ovvero pagare per l'uso. Un modello di distribuzione del software applicativo dove un produttore di software sviluppa, opera (direttamente o tramite terze parti) e gestisce un'applicazione web che mette a disposizione dei propri clienti in rete servizi di cloud computing. Con il SaaS chi fruisce del servizio non controlla l’infrastruttura che supporta il software; a livello di rete, dei server, degli storage e dei sistemi operativi la gestione è interamente a carico del Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 11 436 Carlo Infante - Cloud Computing provider. Il cliente può solo decidere se limitare le funzionalità del software stabilendo criteri di gestione delle identità e delle priorità degli accessi tramite dei set di configurazione Con il termine Platform as a Service (PaaS) si intende un’applicazione di cloud computing che integra i servizi, con una piattaforma che supporta lo sviluppo di applicazioni come linguaggi di programmazione, librerie, servizi e strumenti dedicati, interamente sviluppati dal provider. Gli elementi che costituiscono la PaaS permettono di programmare, sottoporre a test, implementare e gestire le applicazioni, dalla configurazione all’ottimizzazione del software di base per le attività di sviluppo. Tale servizio è tipico di alcune piattaforme utilizzate per sviluppare altri programmi, quali Amazon Web Services o Microsoft Azure. Si possono così sviluppare applicazioni e servizi avanzati come, ad esempio, soluzioni di collaborazione a supporto dei team, l’integrazione dei database, o la gestione della cyber security, tutto configurato in un’interfaccia web-based. Una ulteriore evoluzione è IPaaS (Integration Platform as a Service) una piattaforma tecnologica sul cloud che integra le diverse applicazioni e i dati prodotti da un’azienda o un’organizzazione. Si tratta di una tecnologia estremamente importante in quanto consente di superare alcune situazioni che si verificano nell’ecosistema informazionale come la frammentazione delle informazioni e l’uso dei sistemi sul cloud e in locale. L’IPaaS si trova ad affrontare diversi livelli di aggiornamento del software gestionale; sistemi legacy, ovvero tecnologia già presente (apparecchiature e applicazioni), talvolta obsoleti, ma che contengono informazioni importanti in archivio. Un processo di integrazione delle applicazioni porta con sé una serie di processi di base che consentono a varie applicazioni disperse di condividere le informazioni e di mantenerle sincronizzate. La piattaforma di integrazione comunica con le diverse applicazioni per estrarre i dati. Tramite il processo di mappatura, trasforma i dati nel formato richiesto dalle applicazioni di Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 11 437 Carlo Infante - Cloud Computing destinazione e li integra. Un IPaaS è dotato di interfaccia web accessibile da qualsiasi punto in cui è disponibile una connessione. Tale connettività deve essere inoltre garantita integrando progressivamente i nuovi sistemi di collegamento che consentano agli utenti di standardizzare al massimo i futuri processi di integrazione. L’IPaaS consente di integrare soluzioni e dati provenienti sia dall’interno che dall’esterno dell'azienda, da ambienti digitali e locali. L’accesso alle informazioni avviene in tempo reale tra i sistemi, ciò consente di prendere decisioni in tempi più rapidi, risolvere più velocemente eventuali problemi, migliorare i tempi di risposta con gli utenti. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 11 438 Carlo Infante - Cloud Computing 3. Citizen integration Lo sviluppo delle interrelazioni in internet è passato dai protocolli di rete come TCP (Transmission Control Protocol) e HTTP (HyperText Transfer Protocol), che hanno connotato lo sviluppo storico dell’interconnessione dagli anni Novanta fino all’avvio del web 2.0 nei primi anni del nuovo millennio, ad una fase complicata di interfacce dedicate, espressa dall’Enterprise Service Bus (ESB), che motivata da logiche chiuse, rivolte al business, generarono impatti negativi sulla fruibilità delle interfacce. Si è poi cercato di razionalizzare questa complessità raggiunta con nuovi ambienti di integrazione utilizzabili a consumo, propri del cloud computing, come l’IPaaS (integration Platform as a Service) e dalla diffusione delle API (Application Programming Interface), che rappresentano un insieme di funzionalità esposte da una modalità aperta e standard per l’interrogazione e l’accesso ai dati. Le API sono, da un lato, una tecnicalità che permette di fare in modo più rapido quello che si è sempre fatto, ma dall’altro, aprono un potenziale in cui si concretizzano i modelli basati sulla multicanalità rendendo disponibili i servizi applicativi su tutti i device, a tutti gli utenti. Gartner (una delle società più importanti ad occuparsi di strategie nel campo della tecnologia dell'informazione) ha definito citizen integration questa possibilità per alcuni utentiprosumer di occuparsi essi stessi dell’integrazione di alcune applicazioni, già fruite in cloud. Si tratta di integrazioni che possono abilitare lo sviluppo rapido di nuovi servizi per concretizzarsi nella trasversalità delle competenze digitali. Le IPaaS privilegiavano l’usabilità rispetto alle funzionalità, ciò le rende formidabili in termini di facilità d’uso, grazie al fatto di supportare l’integrazione mobile to cloud. Il sistema API è un set di funzionalità che espone le funzionalità dell’applicazione consentendole di comunicare con le altre applicazioni e abilitando il riuso dei servizi resi disponibili che possono così comporsi e scomporsi in base alle necessità. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 11 439 Carlo Infante - Cloud Computing Le API sono dunque strumenti indispensabili per erogare rapidamente i servizi e abilitare modelli basati sulla capacità di rispondere in real time alle esigenze del mercato: è grazie alle API, per esempio, che un’applicazione viene facilmente resa disponibile su mobile. Queste soluzioni, inoltre, supportano la monetizzazione di dati e servizi esposti consentendo di gestire transazioni, prezzi, misurazione del consumo, fatturazione, provisioning (configurazione) di chiavi di accesso o token (dispositivi fisici per effettuare autenticazioni). Le piattaforme di API management più complete, infatti, consentono di gestire l’accesso a pagamento attraverso PayPal o altri circuiti. Il cloud computing segnerà il futuro digitale solo se sarà garantita una connessione veloce e continua e universale e non solo all’iperclasse, la componente tecnocratica della società. I servizi di cloud computing saranno offerti sempre più alle imprese e alle organizzazioni, cittadini compresi, anche per gestire i big data con quei volumi importanti di dati che richiedono elevata capacità di estrazione ed elaborazione si porrà come una delle condizioni cardine per la buona organizzazione dei mercati e dei sistemi sociali. Al momento le soluzioni cloud sono concentrate su pacchetti gestionali di supporto dell’amministrazione e alla contabilità, come nel caso della fatturazione elettronica che ha di fatto accelerato l’utilizzo del cloud computing da parte delle imprese, per cui si sta rilevando che almeno due aziende su tre stiano utilizzando il cloud. Si prevede che entro il 2025 la somma di tutti i dati disponibili a livello mondiale sarà più che quintuplicata. Il futuro del cloud computing è negli ambienti ibridi, insiemi eterogenei e intercomunicanti di tecnologie e servizi, fondamentalmente multicloud. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 11 440 Carlo Infante - Cloud Computing Proprio questo concetto di multicloud è interessante, non solo per gli aspetti tecnici ma soprattutto per l’influenza che soluzioni simili avranno sulle potenzialità del cloud, offrendo modalità di hybrid cloud con l’unione di nuvole pubbliche e private per ottenere la massima flessibilità su di un unico ambiente. Questi ambienti possono essere utilizzati per scopi e compiti differenti, oltre che per ridurre i rischi, garantendo sicurezza e rilanciando il ruolo dei CIO (Chief Information Officer) che ne sapranno cogliere le sfide, come quella di semplificare il raggiungimento della conformità con le nuove normative GDPR (General Data Protection Regulation). La protezione dei dati è certamente il tema più discusso in questi anni, per cui l’infrastruttura di cloud computing del futuro sarà un mix di soluzioni diverse, scalabili, flessibili e sicure, a partire dalla protezione del dato, non solo in termini di tutela della privacy ma anche al fine di evitarne la perdita, garantirne la disponibilità in qualsiasi momento, la portabilità e la localizzazione. È proprio la protezione dei dati a rappresentare il grande motore ad imprimere il maggiore impulso al cambiamento del cloud così come lo conosciamo, verso soluzioni sempre più evolute. “Vorrei che tutti riflettessero più attentamente sui tipi di infrastrutture da cui dipendiamo e che si chiedessero come possiamo renderle più resilienti.” Vinton G. Cerf, uno dei pionieri del web e ora chief internet evangelist di Google Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 11 441 Carlo Infante - Cyber Security Indice 1. DALLA SICUREZZA AL DISASTER RECOVERY......................................................................................... 3 2. LE CYBER MINACCE .............................................................................................................................. 5 3. MALWARE E GLI ALTRI SOFTWARE MALEVOLI ...................................................................................... 7 4. CYBER ATTACCHI .................................................................................................................................. 9 5. ENDPOINT SECURITY ........................................................................................................................... 11 6. IL VULNERABILITY ASSESSMENT........................................................................................................... 13 7. I CRACKER NON SONO HACKER ....................................................................................................... 14 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 15 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 15 442 Carlo Infante - Cyber Security 1. Dalla sicurezza al disaster recovery Per misurarci con l'idea stessa di sicurezza è necessario capire quali possano essere le minacce, individuarle e valutare le vulnerabilità dei sistemi informatici di cui ci si sta occupando. La cyber security consiste nel difendere computer, server, dispositivi mobili, sistemi elettronici, reti e dati dagli attacchi dannosi. È anche conosciuta come sicurezza informatica o sicurezza delle informazioni elettroniche. La cyber security si applica a vari contesti e può essere suddivisa in diverse categorie. Sicurezza di rete: consiste nella difesa delle reti informatiche dalle azioni di malintenzionati, che si tratti di attacchi mirati o di malware opportunistico. Sicurezza delle applicazioni: ha lo scopo di proteggere software e dispositivi da eventuali minacce. Un'applicazione compromessa può consentire l'accesso ai dati che dovrebbe proteggere. Una sicurezza efficace inizia dalla fase di progettazione, molto prima dello sviluppo di un software. Sicurezza delle informazioni: protegge l'integrità e la privacy dei dati, sia quelle in archivio che quelle temporanee. Sicurezza operativa: include processi e decisioni per la gestione e la protezione degli asset di dati. Comprende tutte le autorizzazioni utilizzate dagli utenti per accedere a una rete e le procedure che determinano come e dove possono essere memorizzati o condivisi i dati. Disaster recovery e business continuity: si tratta di strategie con le quali l'azienda risponde a un incidente di cyber security e a qualsiasi altro evento che provoca una perdita in termini di operazioni o dati. Le policy di disaster recovery indicano le procedure da utilizzare per ripristinare le operazioni e le informazioni dell'azienda, in modo da tornare alla stessa capacità operativa che presentava prima dell'evento. La business continuity è il piano adottato dall'azienda nel tentativo di operare in continuità senza determinate risorse. Formazione degli utenti finali: riguarda uno degli aspetti più importanti della cyber security, le persone. Insegnare agli utenti a eliminare gli allegati e-mail sospetti, a non inserire unità USB non identificate e ad adottare altri accorgimenti importanti è essenziale per la sicurezza di qualunque azienda. 443 Carlo Infante - Cyber Security 2. Le cyber minacce A livello globale, le minacce informatiche continuano a evolversi rapidamente e il numero di violazioni della sicurezza (data breach) aumenta ogni anno. Da un report di RiskBased Security emerge che, solo nel 2019, ben 7,9 miliardi di record sono stati esposti a data breach, più del doppio (112%) del numero dei record esposti nello stesso periodo del 2018. La maggior parte delle violazioni, imputabili a criminali malintenzionati, ha colpito servizi medici, rivenditori ed enti pubblici. Alcuni di questi settori sono particolarmente interessanti per i cyber criminali, che raccolgono dati medici e finanziari, ma tutte le aziende connesse in rete possono essere colpite da violazioni dei dati, spionaggio aziendale o attacchi ai clienti. Visto il continuo aumento della portata delle minacce informatiche, International Data Corporation prevede che, entro il 2022, la spesa mondiale in soluzioni di cyber security arriverà a ben 133,7 miliardi di dollari. I governi di tutto il mondo hanno risposto a questo aumento delle minacce informatiche pubblicando indicazioni per aiutare le aziende a implementare procedure di cyber security efficaci. Negli Stati Uniti, il National Institute of Standards and Technology (NIST) ha creato un framework di cyber security. Per contrastare la proliferazione del codice malevolo e agevolarne l'individuazione precoce, questo framework raccomanda il monitoraggio continuo e in tempo reale di tutte le risorse elettroniche. L'importanza del monitoraggio dei sistemi è ribadita anche nel documento "10 steps to cyber security" fornito dal National Cyber Security Centre del governo britannico. In Australia, l’ Australian Cyber Security Centre (ACSC) pubblica regolarmente indicazioni per contrastare le nuove minacce alla cyber security all'interno delle aziende. La cyber security ha lo scopo di contrastare tre diversi tipi di minacce: Cyber crimine: include attori singoli o gruppi che attaccano i sistemi per ottenere un ritorno economico o provocare interruzioni nelle attività aziendali. Cyber attacchi: hanno spesso lo scopo di raccogliere informazioni per finalità politiche. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 15 444 Carlo Infante - Cyber Security Cyber terrorismo: ha lo scopo di minare la sicurezza dei sistemi elettronici per suscitare panico o paura. Ma come fanno questi malintenzionati a ottenere il controllo di un sistema informatico? Nel prossimo capitolo sono illustrati alcuni dei metodi comunemente utilizzati per minacciare la cyber security. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 15 445 Carlo Infante - Cyber Security 3. Malware e gli altri software malevoli Malware è la contrazione di malicious software (software malevolo). Il malware, una delle minacce informatiche più comuni, è costituito da software creato da cyber criminali o cracker con lo scopo di danneggiare o provocare il malfunzionamento del computer di un utente legittimo. Spesso diffuso tramite allegati e-mail non richiesti o download apparentemente legittimi, il malware può essere utilizzato dai cyber criminali per ottenere un guadagno economico o sferrare cyber attacchi per fini politici. Esistono numerosi tipi di malware, tra cui: Virus: è un programma capace di replicarsi autonomamente, che si attacca a un file pulito e si diffonde nell'intero sistema informatico, infettandone i file con il suo codice malevolo. Il termine viene usato per un programma che si integra in qualche codice eseguibile (incluso il sistema operativo) del sistema informatico vittima, in modo tale da diffondersi su altro codice eseguibile quando viene eseguito il programma che lo ospita, senza che l'utente ne sia a conoscenza. Il termine virus venne adottato la prima volta da Fred Cohen (1984) della University of Southern California nel suo scritto Experiments with Computer Viruses (Esperimenti con i virus per computer), dove questi indicò Leonard Adleman come colui che aveva adattato dalla biologia tale termine. La definizione di virus era la seguente: Un virus informatico è un programma che ricorsivamente ed esplicitamente copia una versione possibilmente evoluta di sé stesso Trojan: è un tipo di malware mascherato da software legittimo. I cyber criminali inducono gli utenti a caricare Trojan nei propri computer, dove possono causare danni o raccogliere dati. Spyware: è un programma che registra segretamente le azioni dell'utente, per consentire ai cyber criminali di sfruttare tali informazioni a proprio vantaggio. Ad esempio, lo spyware può acquisire i dati delle carte di credito. Ransomware: malware che blocca l'accesso ai file e ai dati dell'utente, minacciandolo di cancellarli se non si paga un riscatto. Adware: software pubblicitario che può essere utilizzato per diffondere malware. Botnet: reti di computer infettati da malware, utilizzate dai cyber criminali per eseguire estrazioni di dati senza l'autorizzazione dell'utente. 446 Carlo Infante - Cyber Security 4. Cyber attacchi L'immissione di codice SQL (Structured Language Query) è un tipo di cyber attacco con lo scopo di assumere il controllo di un database e rubarne i dati. I cyber criminali sfruttano le vulnerabilità nelle applicazioni data-driven per inserire codice malevolo in un database tramite un'istruzione SQL dannosa, che consente loro di accedere alle informazioni sensibili contenute nel database. In un attacco di phishing, i cyber criminali inviano alle vittime e-mail che sembrano provenire da aziende legittime, per richiedere informazioni sensibili. Gli attacchi di phishing hanno solitamente lo scopo di indurre gli utenti a fornire i dati della carta di credito o altre informazioni personali. Un attacco Man-in-the-Middle è una minaccia informatica in cui un cyber criminale intercetta le comunicazioni fra due persone allo scopo di sottrarre dati. Ad esempio, su una rete Wi-Fi non protetta, l'autore dell'attacco può intercettare i dati scambiati tra il dispositivo della vittima e la rete. In un attacco Denial of Service i cyber criminali impediscono a un sistema informatico di soddisfare le richieste legittime, sovraccaricando reti e server con traffico eccessivo. In questo modo il sistema risulta inutilizzabile, impedendo all'azienda di svolgere funzioni vitali. Quali sono le nuove minacce informatiche da cui aziende e utenti devono proteggersi? Di seguito sono riportate alcune delle minacce informatiche più recenti segnalate dai governi di Regno Unito, Stati Uniti e Australia. Nel dicembre 2019, il dipartimento di giustizia (DoJ, Department of Justice) statunitense ha accusato il leader di un'organizzazione cyber criminale di aver partecipato a un attacco con malware Dridex sferrato a livello globale. Questa campagna malevola ha colpito il pubblico, i governi, le infrastrutture e le aziende di tutto il mondo. Dridex è un Trojan finanziario con varie capacità. Diffuso fin dal 2014, infetta i computer tramite e-mail di phishing o malware esistente. È in grado di rubare password, dati bancari e Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 15 447 Carlo Infante - Cyber Security informazioni personali, che possono essere utilizzati per transazioni fraudolente, e ha causato enormi perdite finanziarie, dell'ordine delle centinaia di milioni di dollari. Per rispondere agli attacchi Dridex, il National Cyber Security Centre britannico consiglia al pubblico di "assicurarsi che i dispositivi siano dotati di patch, verificare che l'antivirus sia attivato e aggiornato ed eseguire un backup dei file". Nel febbraio 2020 l'FBI ha invitato i cittadini statunitensi a prestare attenzione al furto di informazioni riservate da parte di cyber criminali che utilizzano siti, chat room e app di appuntamenti. I malintenzionati approfittano di persone in cerca di nuovi partner, inducendo le vittime a fornire i propri dati personali. Secondo i report dell'FBI, nel 2019 le minacce informatiche a sfondo sentimentale hanno colpito 114 vittime nel New Mexico, producendo perdite finanziarie per 1,6 milioni di dollari. Alla fine del 2019, l'Australian Cyber Security Centre ha segnalato alle organizzazioni nazionali la diffusione di una minaccia informatica globale basata sul malware Emotet. Emotet è un sofisticato Trojan in grado di rubare dati e di caricare altro malware. Emotet sfrutta le password più elementari. Questo ci ricorda l'importanza di creare una password sicura per proteggersi dalle minacce informatiche. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 15 448 Carlo Infante - Cyber Security 5. Endpoint security La protezione dell'utente finale, o endpoint security, è un aspetto cruciale della cyber security. Dopo tutto, sono spesso le persone (gli utenti finali) a caricare accidentalmente malware o altri tipi di minacce informatiche nei propri desktop, laptop o dispositivi mobili. Quindi, in che modo le misure di cyber security proteggono gli utenti finali e i loro sistemi? La cyber security utilizza protocolli crittografici per crittografare messaggi e-mail, file e altri dati importanti. Oltre a proteggere le informazioni in transito, questo consente anche di tutelarsi contro perdite o furti. Inoltre, il software di sicurezza degli utenti finali esegue la scansione del computer per rilevare il codice dannoso, metterlo in quarantena e successivamente rimuoverlo dal sistema. I programmi di sicurezza rilevare e rimuovere il codice malevolo e sono progettati per crittografare o cancellare i dati sul disco rigido del computer. I protocolli di sicurezza elettronica si prefiggono inoltre di rilevare il malware in tempo reale. Molti di essi utilizzano l'analisi euristica (un metodo di rilevazione dei virus basato sull'esame del codice per la ricerca di proprietà sospette) per monitorare il comportamento di un programma e del suo codice, al fine di proteggersi da virus o Trojan che cambiano forma a ogni esecuzione (malware polimorfico e metamorfico). I programmi di sicurezza possono confinare i programmi potenzialmente dannosi in una bolla separata dalla rete dell'utente, per analizzarne il comportamento e determinare come rilevare più efficacemente le nuove infezioni. I programmi di sicurezza continuano a sviluppare nuove difese, a mano a mano che gli esperti di cyber security identificano nuove minacce e nuovi modi per combatterle. Per ottenere il massimo dal software di sicurezza degli utenti finali, occorre insegnare ai dipendenti come utilizzarlo. Soprattutto, mantenendolo costantemente in funzione e aggiornandolo di frequente, è possibile proteggere gli utenti dalle nuove minacce informatiche. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 15 449 Carlo Infante - Cyber Security Cosa devono fare aziende e singoli utenti per proteggersi dalle minacce informatiche? Di seguito sono riportati alcuni consigli di cyber security: Aggiornare il software e il sistema operativo: questo permette di sfruttare le patch di sicurezza più recenti. Utilizzare software antivirus: soluzioni di sicurezza in grado di rilevare e rimuovere le minacce. Utilizzare password complesse: assicurarsi di utilizzare password difficili da indovinare. Non aprire allegati e-mail di mittenti sconosciuti: potrebbero essere infettati dal malware. Non fare clic sui link contenuti nei messaggi e-mail di mittenti sconosciuti o in siti web non familiari: è un metodo comune per diffondere il malware. Evitare di utilizzare reti Wi-Fi non protette negli spazi pubblici: le reti pubbliche espongono i dispositivi agli attacchi Man-in-the-Middle. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 15 450 Carlo Infante - Cyber Security 6. Il Vulnerability Assessment Un Vulnerability Assessment Informatico è in sostanza una procedura approfondita di analisi di tutte le componenti di una piattaforma informatica, per rilevare eventuali criticità e punti deboli su cui intervenire per prevenire e ridurre al minimo il rischio di attacchi informatici. Un Vulnerability Assessment non può prescindere dalla messa a disposizione di chi dovrà eseguirlo di tutte le risorse necessarie allo scopo, partendo da tutta la documentazione esistente relativa agli asset da esaminare fino a credenziali di alto livello riguardanti gli host da sottoporre ad analisi. Una analisi effettuata senza tali informazioni sarebbe solo una analisi incompleta, parziale che quindi difficilmente potrà dare gli esiti sperati, difficilmente aiuterà a portare il livello della struttura posta sotto esame ad un grado di sicurezza maggiore di quello precedente l’analisi stessa. Un Vulnerability Assessment prevede una fase di rimessa in sicurezza del sistema, di un miglioramento dello stesso proprio sotto quel punto di vista, miglioramento che prevederà esso stesso a sua volta di essere sottoposto a verifica attraverso un nuovo Vulnerability Assessment che tipicamente segue il primo a distanza di tempo ravvicinata e concordata. Il Vulnerability Assessment è un processo che si ripete nel tempo, vuoi per confermare, certificare che sono stati risolti i rischi evidenziati nelle scansioni precedenti. Un corretto Vulnerability Assessment Informatico si basa sulla definizione del perimetro da sottoporre a valutazione e riguarda le strutture di rete interne dell’azienda, risorse esterne, dispositivi mobili. Le strutture interne sono a loro volta suddivise in: infrastruttura di rete sia fisica o Wi-Fi e relativi dispositivi; host, siano questi postazioni di lavoro piuttosto che server; dispositivi presenti in rete ma non rientranti nella rete di Firewall. Naturalmente ogni società potrà possedere più strutture dislocate in diverse località e collegate tra loro. In questo caso sarà la modalità di connessione a far optare per analisi dei singoli siti visti come unità a sé stanti piuttosto che una analisi unica, fattibile in determinate situazioni. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 13 di 15 451 Carlo Infante - Cyber Security 7. I cracker non sono hacker Il cracker è il pirata informatico che da esperto di programmazione e sistemi e di sicurezza informatica è in grado di introdursi in reti di computer senza autorizzazione allo scopo di danneggiare un sistema informatico. È importante non confonderlo con gli hacker che sono connotati da una cultura libertaria, un'etica open source che trova origine nell'idea del software libero. I cracker possono essere spinti da varie motivazioni a partire da quella del guadagno economico con operazioni di spionaggio industriale o frodi. La pratica del cracking esiste da quando esiste il software, ma la modifica del software si è evoluta soprattutto nei primi anni Ottanta con la diffusione degli home computer come l'Apple II, l'Atari 80 e il Commodore 64. Con l'evolversi dei computer e dei software, i creatori di crack hanno cominciato a raggrupparsi in squadre, conosciute col nome di cracking crew. Con la nascita delle crew è aumentata notevolmente la competizione già presente tra i cracker, inducendo negli anni una lunga serie di attacchi ai sistemi e lo sviluppo di software come virus e spyware utilizzati per il crack di grandi sistemi informatici. Per cracking si intende anche la violazione di sistemi informatici collegati ad internet, allo scopo di danneggiarli, di rubare informazioni oppure di sfruttare i servizi telematici della vittima (connessione ad internet, traffico voce, sms, accesso a database etc..) senza la sua autorizzazione. Il termine si contrappone in realtà ad hacking, anche se spesso il termine hacking viene erroneamente utilizzato con il significato di cracking. Facendo confusione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 14 di 15 452 Carlo Infante - Sentiment Analysis Indice 1. IL NATURAL LANGUAGE PROCESSING ................................................................................................ 3 2. TRA LA CERTEZZA DEL SIGNIFICATO E L’EFFICACIA DEL COMUNICARE ............................................ 6 3. L’HASHTAG, LA PAROLA AUMENTATA ................................................................................................. 8 4. L’ESTRAZIONE DEL VALORE DAI BIG DATA......................................................................................... 10 5. L’APPROCCIO IBRIDO TRA INTELLIGENZA UMANA E ARTIFICIALE .................................................... 12 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 14 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 14 453 Carlo Infante - Sentiment Analysis 1. Il Natural Language Processing La sentiment analysis, conosciuta anche come opinion mining, si può effettuare tramite il natural language processing (NLP), che analizza un testo per trarre dalle informazioni il senso portante. Questi sistemi estraggono i contenuti dell’espressione individuando le polarità, ovvero se l’opinione è positiva o negativa; l’oggetto, individuando il significato principale; gli opinion holder, rilevando le persone che esprimono i pareri. In altri termini la sentiment analysis rileva, secondo gli ambiti di utilizzo, la struttura dei significati di un discorso. Nei contesti dove il focus è un brand commerciale, la brand perception, attraverso i testi analizzati da molteplici fonti tra cui il flusso dell’interazione tra gli utenti nel web o nei social media, rileva le reazioni e i sentimenti del pubblico rispetto a un prodotto o un brand commerciale. Il natural language processing ha una sua complessità per via delle diverse sfumature lessicali, compresa l’ambiguità insita in molte espressioni del linguaggio umano. Per questo il processo di estrazione si articola in diverse sequenze di analisi: quella lessicale, in cui si scompone l'espressione linguistica attraverso le singole parole; grammaticale, in cui si associano le diverse parti del discorso a ciascuna parola; sintattica, combinando il testo in una struttura sintattica ad albero; semantica: assegnando un significato alla struttura sintattica per ottenere un'espressione linguistica. In questa analisi semantica il processo computazionale automatico che attribuisce all'espressione linguistica un significato tra i diversi possibili significati è detta disambiguazione, intendendo per questo l’individuazione di un significato univoco di una frase, che potrebbe avere significati diversi a seconda dei contesti, per evitare che sia ambigua. L'elaborazione del linguaggio naturale è un metodo di interazione uomo-macchina, come SHRDLU un programma di comprensione del linguaggio naturale sviluppato da Terry Winograd al MIT nel 1968. Operava su un modello definito "mondi a blocchi" che combinava sulla base di una semplificazione linguistica, resa da un vocabolario limitato, rendendo la comprensione del linguaggio sulla base delle soluzioni più convincenti. Il programma risolveva molte ambiguità della Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 14 454 Carlo Infante - Sentiment Analysis lingua inglese ma emersero delle criticità quando i sistemi furono estesi a situazioni più realistiche con problemi reali di ambiguità e complessità. La elaborazione del linguaggio naturale è spesso considerato un problema di intelligenza artificiale, visto che il riconoscimento del linguaggio richiede una conoscenza estesa del mondo e una grande capacità di manipolarlo. Per questa ragione, la definizione di comprensione è uno dei maggiori problemi dell'elaborazione del linguaggio naturale. Nel linguaggio umano non si delineano principi univoci nell'esprimere un testo, ciò è determinato dall’impronta soggettiva di chi si esprime, influenzato da esperienze personali, pensieri, ideologie e credenze. Utilizzando la sentiment analysis non è quindi semplice applicare gli stessi criteri a tutti i dati da estrarre ed elaborare. Per questo si adottano diverse modalità per semplificare l’attività di analisi. La sentiment analysis dopo l’attività di estrazione esercita funzionalità di elaborazione così articolate: ● Opinion mining di base che permette di identificare complessivamente se il giudizio su un concetto è positivo, negativo o neutro differenziando eventualmente sulla base del periodo temporale di riferimento, sulla sorgente dell’informazione o su qualsiasi altro attributo con cui sono stati arricchiti i testi. ● L’azione di analisi basata sulla funzione di co-occorrenza che permette di individuare i punti deboli e punti di forza di un singolo concetto evidenziando tutte le sue relazioni (sintattiche e semantiche) presenti nei testi analizzati. In questo caso l’opinione su un concetto è differenziata rispetto al suo legame con altri concetti. ● La classificazione delle funzionalità di back-end che può essere basata sulle modalità a disposizione dell’utente di influenzare l’analisi compiuta dai motori del processing testuale. Questa tipologia di funzionalità, definita di verticalizzazione, si compone di azioni vincolate alla natura specifica del software e all’approccio linguistico da questo adottato. ● L’arricchimento del dizionario, che prevede di aggiungere risorse linguistiche sulle quali si basano le varie fasi di elaborazione dell’informazione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 14 455 Carlo Infante - Sentiment Analysis ● La modifica della polarizzazione di un termine, che è quel processo con il quale si va ad attribuire un’accezione ad una parola presente nel dizionario nel caso si possa identificarne a priori la positività o negatività. ● La creazione di relazioni sintattiche, un’attività applicabile al motore che, utilizzando un approccio basato sull’analisi linguistica, può in questo modo apprendere connessioni funzionali alla corretta interpretazione della frase. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 14 456 Carlo Infante - Sentiment Analysis 2. Tra la certezza del significato e l’efficacia del comunicare Proprio per la sua natura di strumento la cui nascita ed evoluzione sono basati sull’uso e la consuetudine, il linguaggio umano sfugge ad una coerenza formale e perfettamente finita. In questo senso, il linguaggio naturale è da distinguere rispetto ai linguaggi formali, come i linguaggi di programmazione o le regole linguistiche utilizzate nell’ambito della logica. Questa distinzione è ad avviso di molti studiosi di linguistica, filosofia del linguaggio e neuropsicologia, fondamentale per comprendere la principale difficoltà di insegnare ad un calcolatore come processare il linguaggio ordinario. L’importanza che il significato secondario di una parola riveste nella comprensione di un’intera frase è un tema di cui un approccio basato sulla sola logica del linguaggio non può rendere conto. Il fatto che ogni parola può produrre molteplici significati, più o meno coscienti, nella nostra mente, può essere usato per rappresentare, attraverso il linguaggio, alcune parti della realtà molto più chiaramente di quanto non avvenga attraverso l’uso degli schemi logici. La complessità del linguaggio, infatti, ha a che fare anche con i modi che permettono agli umani di capirsi gli uni con gli altri, che non si riducono alla mera espressione verbale: è una delle differenze più significative del linguaggio naturale rispetto al linguaggio artificiale. Nella vita di tutti i giorni ci aspettiamo la capacità dell’interlocutore di “leggere tra le righe”, intendere il non detto, cogliere l’ironia e le altre figure retoriche che non sempre il testo scritto veicola in modo efficace. In alcuni casi, invece, il linguaggio presenta dei problemi di interpretazione per gli uomini stessi. Uno degli aspetti più interessanti rilevati dagli studi di natural language processing, che emerge anche nell’ambito della sentiment analysis stessa è la difficoltà di attribuire con certezza un certo significato ad una proposizione umana: un tema, questo, su cui si sono confrontati numerosi pensatori del linguaggio nel corso dei secoli. Uno dei problemi del dialogo con l’altro è Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 14 457 Carlo Infante - Sentiment Analysis fondato sulla impossibilità di avere l’assoluta certezza che la comunicazione sia efficace, anche laddove sembri di parlare un linguaggio comune. Le conversazioni si riducono sovente a monologhi paralleli, per cui si crede di scambiare idee e si ha solo uno scambio di parole, e le parole percepite non ci comunicano le idee di coloro che ce le offrono, risvegliano in noi solo le nostre. Non ci viene mai dato se non quello che avevamo. La impossibilità della certezza di efficacia della conversazione si avverte ancora più se questa è scritta e quindi privata di quegli elementi di contesto che, nel linguaggio orale, diventano indizi per permettere la comprensione: si pensi al tono della voce e alla gestualità che consentono di riconoscere l’ironia e il sarcasmo, esempi tipici di ambiguità in cui il senso letterale del testo non è sufficiente ed, anzi, produce l’effetto opposto a quanto l’emittente del messaggio vuole comunicare. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 14 458 Carlo Infante - Sentiment Analysis 3. L’hashtag, la parola aumentata Oggi lo scorrere della comunicazione on line porta a una sorta di flusso di coscienza individuale e collettivo insieme, il flusso è inscritto nelle piattaforme weLb e social media e il suo affiorare è permesso dall’esistenza delle parole chiave, del concetto di tagging e in particolare dell’uso dell’hashtag. Il tagging è strettamente connesso allo sviluppo del web 2.0 e dei blog in particolare, all’avvento del millennio, con attività strettamente connesse al social bookmarking e allo sviluppo di folksonomy, cioè le categorizzazioni delle informazioni da parte delle comunità degli utenti prosumer, produttori-consumatori di informazione. L'utilizzo del tagging all’interno del flusso di informazione espressa dalla user generated content può rendere possibile la definizione, su base non gerarchica, di soluzioni funzionali alla classificazione dei contenuti e quindi anche alla sentiment analysis, con un intervento ibrido tra intelligenza umana e intelligenza artificiale. L’hashtag è nella sua semplicità d’uso la soluzione più adottata, cambia il regime di senso alla parola: si parla a questo proposito di augmented word, una parola aumentata: una parola come chiave che apre la porta di un mondo di connessioni e significati. Gli hashtag quindi sono delle schegge generate dal big bang dell’universo digitale. Proprio da questi nascono delle combinazioni e classificazioni inedite Se la rete è disseminazione e condivisione, allora il tag è l’aggregatore che ci può aiutare ad estrarre dal flusso di comunicazione del web 2.0 dei contenuti oggettivi dal magma delle informazioni soggettive. Lo stile più informale ed aperto di cui si è accennato precedentemente può essere visto come lo specchio di una informalità espressa dalla disponibilità dell’utente ad esprimersi sui temi più disparati. Le modalità con cui gli esseri umani danno espressione delle proprie opinioni sono state, in questi ultimi anni, profondamente influenzate dal web. Di questo, tra tutte le forme di applicazione di intelligenza artificiale, deve rendere conto la sentiment analysis, aprendo la strada Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 14 459 Carlo Infante - Sentiment Analysis all'opportunità che questo tipo di ricerca offre, tra i vari ambiti di applicazione, dalla governance pubblica al marketing. I sistemi di sentiment analysis consentono di dare un senso a questo mare di testo non strutturato, automatizzando i processi di elaborazione dei dati su larga scala in modo efficiente ed economico secondo il principio della scalabilità, ovvero la peculiarità di un software nell'essere in grado di aumentare o diminuire di scala in funzione delle necessità. Con la sentiment analysis è possibile trasformare automaticamente queste informazioni non strutturate in dati strutturati di opinioni pubbliche su prodotti, servizi, marchi, politica o qualsiasi argomento su cui le persone possano esprimere opinioni. Questi dati possono essere molto utili sia per i destini di un territorio sia per applicazioni commerciali come analisi di marketing, pubbliche relazioni, feedback sul prodotto e servizio clienti. I dati assumono un’importanza strategica fondamentale in un’economia come quella contemporanea in cui informazione e conoscenza sono alla base del valore creato nella società e nei mercati. Diventa quindi fondamentale avere la possibilità di trasformare il più velocemente possibile il mare di dati, di informazioni di cui si dispone, in conoscenza sulla base della quale prendere decisioni politiche o urbanistiche ed interpretare trend di mercato. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 14 460 Carlo Infante - Sentiment Analysis 4. L’estrazione del valore dai big data Tecnologicamente parlando è vitale l’attività di estrazione, archiviazione e analisi di grandi aggregazioni di dati destrutturati: i cosiddetti big data, la cui grandezza e complessità richiede strumenti più avanzati rispetto a quelli tradizionali, in tutte le fasi del processo (dall'archiviazione alla sentiment analysis passando per condivisione e visualizzazione). Big data rappresenta anche l'interrelazione di dati provenienti potenzialmente da fonti completamente differenti. Non solo quindi dalle fonti tradizionali sino ad oggi concepite ed utilizzate ma anche attraverso l'impiego di informazioni provenienti da social media come Facebook e Twitter e da qualsiasi forma di informazione collaterale che può incidere sui consumi o sulle abitudini. L'insieme di tutti questi dati, sia di origine convenzionale che di origine social e statistica generano quel che si chiama big data, consentendo a chi li analizza di ottenere una plusvalenza legata ad analisi più complete che sfiorano anche gli umori dei mercati e quindi del trend complessivo della società e del fiume di informazioni che viaggiano e transitano attraverso internet. Poiché quella della classificazione dell’opinione è un’attività che lascia ampio spazio all’interpretazione personale, valutarne le pertinenze per la sentiment analysis è un’opera quanto mai ardua. Si è deciso perciò di considerare una misura della bontà delle prestazioni del sistema, individuata nella percentuale di volte in cui la classificazione del sentimento coincide con il giudizio dato da una persona. È però d’obbligo chiarire che si sta parlando di un ambito fortissimamente legato alla lingua del testo che si analizza. Ciò ne ha ritardato la diffusione sul mercato italiano e per questo le soluzioni impiegate oggi su larga scala presentano un livello di maturità sicuramente inferiore a quelle in uso nei paesi anglofoni. Essendo un argomento che spazia dall’informatica alla linguistica toccando tutti gli aspetti dell’analisi del linguaggio naturale, la sentiment analysis è caratterizzata da una complessità molto elevata e questo ha fatto sì che nel passato si svolgesse sull’argomento relativamente poca attività di ricerca. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 14 461 Carlo Infante - Sentiment Analysis Oggi l’attività ha conosciuto un rinnovato impulso grazie ai progressi effettuati, alla consapevolezza delle imprese che le opinioni influenzano fortemente il comportamento dei consumatori e non ultimo grazie ai social media che, come esposto precedentemente, offrono un canale di accesso facilitato a grandi quantità di informazioni e opinioni esposte direttamente dagli utenti, secondo l’approccio user generated content. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 14 462 Carlo Infante - Sentiment Analysis 5. L’approccio ibrido tra intelligenza umana e artificiale Risulta ormai chiaro come la sentiment analysis abbia l’obiettivo di elaborare un qualsiasi documento testuale, o corpus di documenti, ed individuare al loro interno tutte le opinioni presenti. Per poter valutare il raggiungimento di tale risultato è però necessario definire il concetto di opinione. In generale un’opinione è un giudizio soggettivo, individuale o collettivo (nel caso di una comunità, tematica o territoriale), su di un qualcosa o riguardo a qualcuno. In altri termini possiamo dire che un’opinione sia la manifestazione di un sentimento positivo o negativo espresso su di un’entità o su un aspetto di un’entità, da un opinion holder (colui che formula il giudizio). L’opinione comporta quindi l’espressione di un giudizio, giudizio che può essere positivo, negativo o neutrale (in questo caso non esiste un’opinione) e determina quindi quella che in gergo viene chiamata polarizzazione dell’opinione (o del sentimento). Una grande sfida per i software di opinion mining è rappresentata dal sarcasmo e dall’ironia. Queste sono caratteristiche squisitamente umane alle quali persino le persone reagiscono in modo differente in base alla propria sensibilità personale e al proprio senso dell’umorismo: in virtù di questo fatto è molto difficile che un software possa darne un’interpretazione universalmente corretta. Per quanto la ricerca sia attiva in questo campo, in merito a questa difficile sfida che la sentiment analysis si trova ad affrontare ogni volta che un testo viene processato, si è ancora lontani da una soluzione accettabile. Per questa ragione, quello che fino ad ora si è rivelato l’approccio migliore alla opinion mining su larga scala dal punto di vista dei risultati è senza dubbio quello ibrido, dove per ibrido intendiamo quell’approccio in cui il lavoro della macchina viene controllato e corretto dall’essere umano, i risultati dell’analisi automatizzata svolta dall’applicativo vengono visionati e il comportamento dell’applicativo stesso modificato al fine di ottenere performance migliori. La complessità del linguaggio umano è così vasta che qualunque metodo completamente automatico non può che risultare parziale. La sfida maggiore della sentiment analysis come Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 14 463 Carlo Infante - Sentiment Analysis tecnica di indagine che segue una procedura automatizzata e standardizzata è proprio nel superamento dei limiti della capacità di un modello statistico. Ciò non significa affatto sottovalutare l’importanza dell'elaborazione digitale del linguaggio umano ma relativizzarlo, non intendendolo come significato assoluto ma contemplarlo in uno spettro articolato di informazioni che si perfezionano come accade all’interno di un dialogo, dove la comunicazione non sia solo assertiva. In tal senso è strategico l’uso della sentiment analysis nello sviluppo dei nuovi media di riconoscimento vocale automatico (ASR, Automatic Speech Recognition). È in questi contesti che si delinea la prassi ibrida, per cui l’articolazione del senso si sviluppa nell'interazione con interfacce conversazionali, come chatbot e assistenti vocali (tra cui l’Assistente di Google, Siri, Alexa, ...) nel confronto elaborato in tempo reale da un sistema integrato di machine learning che apprende continuamente dai feedback dell’utente. In un bel dialogo tra l'intelligenza umana dell’utente e quella artificiale di software e hardware magari disseminati nel cloud, sempre più orientati ad adattarsi a noi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 13 di 14 464 Carlo Infante - Open Data Indice 1. LA CONOSCENZA APERTA ................................................................................................................... 3 2. L’INTEROPERABILITÀ .............................................................................................................................. 6 3. L’IMMENSA RISORSA DEGLI OPEN DATA ............................................................................................. 7 4. GLI OPEN DATA PER L’INNOVAZIONE ADATTIVA .............................................................................. 11 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 12 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 12 465 Carlo Infante - Open Data 1. La Conoscenza Aperta L’open data è uno degli aspetti applicativi più qualificanti del’open government, inteso come apertura dei processi di governance della pubblica amministrazione, tesa a coinvolgere i cittadini nei processi partecipativi. Si tratta di un approccio che sta ridefinendo le modalità della politica, garantendo trasparenza sulla base di un utilizzo sistematico delle nuove tecnologie della comunicazione per promuovere azioni efficaci e garantire un controllo sull'operato dell'amministrazione pubblica. Gli open data sono dati liberamente accessibili a tutti le cui eventuali restrizioni sono l'obbligo di citare la fonte o di mantenere la banca dati sempre aperta. L’Open Knowledge Foundation così articola punto per punto il concetto quadro di Conoscenza Aperta da cui deriva il concetto di open data: 1. ACCESSO L’opera deve essere disponibile nella sua interezza e a un costo di riproduzione ragionevole, preferibilmente tramite il download gratuito via Internet. L’opera deve inoltre essere disponibile in un formato comodo e modificabile. 2. RIDISTRIBUZIONE La licenza non deve imporre alcuna limitazione alla vendita o all’offerta gratuita dell’opera singolarmente considerata o come parte di un pacchetto composto da opere provenienti da fonti diverse. La licenza non deve richiedere alcuna “royalty” o altra forma di pagamento per tale vendita o distribuzione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 12 466 Carlo Infante - Open Data 3. RIUTILIZZO La licenza deve consentire la realizzazione di modifiche e di opere derivate e deve consentire la loro distribuzione agli stessi termini dell’opera originaria. 4. ASSENZA DI RESTRIZIONI TECNOLOGICHE L’opera deve essere fornita in un formato che non ponga ostacoli tecnologici allo svolgimento delle attività sopraelencate. Ciò può essere conseguito mediante la messa a disposizione dell’opera in un formato aperto, vale a dire un formato le cui specifiche siano pubblicamente e liberamente disponibili e che non imponga nessuna restrizione economica o di altro tipo al suo utilizzo. 5. ATTRIBUZIONE La licenza può richiedere di citare i vari contributori e creatori dell’opera come condizione per la ridistribuzione e il riutilizzo di quest’ultima. Se imposta, questa condizione non deve essere onerosa. Per esempio, se viene richiesta la citazione, un elenco di coloro che devono essere citati deve accompagnare l’opera. 6. INTEGRITÀ La licenza può richiedere, come condizione perché l’opera venga distribuita in forma modificata, che l’opera derivata abbia un nome o un numero di versione diverso dall’opera originaria. 7. NESSUNA DISCRIMINAZIONE DI PERSONE O GRUPPI La licenza non deve discriminare alcuna persona o gruppo di persone. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 12 467 Carlo Infante - Open Data 8. NESSUNA DISCRIMINAZIONE NEI SETTORI D’ATTIVITÀ La licenza non deve impedire a nessuno di utilizzare l’opera in un determinato settore d’attività. Per esempio, la licenza non può impedire che l’opera sia utilizzata da un’azienda, o che venga utilizzata ai fini di ricerca genetica. 9. DISTRIBUZIONE DELLA LICENZA I diritti relativi all’opera devono valere per tutte le persone a cui il programma viene ridistribuito senza che sia per loro necessario accettare o sottostare ad alcuna licenza aggiuntiva. 10. LA LICENZA NON DEVE ESSERE SPECIFICA PER UN PACCHETTO I diritti relativi all’opera non devono dipendere dal fatto che l’opera sia parte di un particolare pacchetto. Se l’opera viene estratta da quel pacchetto e usata o distribuita in conformità con i termini della licenza dell’opera, tutte le persone a cui il lavoro viene ridistribuito devono avere gli stessi diritti concessi in congiunzione con il pacchetto originario. 11. LA LICENZA NON DEVE LIMITARE LA DISTRIBUZIONE DI ALTRE OPERE La licenza non deve imporre restrizioni su altre opere distribuite insieme all’opera licenziata. Per esempio, la licenza non deve insistere sul fatto che tutte le altre opere distribuite sullo stesso supporto siano aperte. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 12 468 Carlo Infante - Open Data 2. L’interoperabilità La ragione fondamentale per cui è importante chiarire il significato di “aperto” e del perché utilizzare proprio questa definizione, può essere identificata in un termine: interoperabilità. L’interoperabilità è la capacità di diversi sistemi e organizzazioni di lavorare insieme (interoperare). In questo caso, è la capacità di combinare una base di dati con altre. L’interoperabilità è importante perché permette a componenti diverse di lavorare insieme. L’abilità di rendere ciascun dato un componente e di combinare insieme vari componenti è essenziale per la costruzione di sistemi evoluti. In assenza di interoperabilità ciò diventa quasi impossibile, come nel mito della Torre di Babele, in cui l’impossibilità di comunicare (e quindi di inter-operare) dà luogo a un fallimento sistemico della costruzione della torre. Nel caso dei dati ci troviamo in una situazione simile. Il punto cruciale di un bacino di dati (o linee di codice) accessibili e utilizzabili in modo condiviso è il fatto che potenzialmente possono essere liberamente “mescolati” con dati provenienti da fonti anch’esse aperte. L’interoperabilità è la chiave per realizzare il principale vantaggio pratico dell’apertura: aumenta in modo esponenziale la possibilità di combinare diverse basi di dati, e quindi sviluppare nuovi e migliori prodotti e servizi. Fornire una chiara definizione di apertura assicura che sia possibile combinare dataset aperti provenienti da fonti diverse, evitando una nostra “Torre di Babele”: molti dataset, ma senza la possibilità di combinarli insieme in sistemi più ampi, dove si trova il vero valore dell’operazione. È utile delineare per sommi capi quali tipi di dati sono aperti, o potrebbero diventarlo e, cosa altrettanto importante, quali non sono adatti per essere aperti. La questione centrale è che nel momento in cui si decida di rilasciare dati in formato aperto, ci si concentri su dati non personali, quelli cioè che non contengono informazioni su singoli individui. Allo stesso modo altre categorie di dati pubblici non possono essere aperte per ragioni di sicurezza nazionale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 12 469 Carlo Infante - Open Data 3. L’immensa risorsa degli open data Conosci esattamente quanta parte delle tue tasse è destinata all’illuminazione stradale o alla ricerca contro il cancro? Qual è l’itinerario più breve, sicuro e panoramico per raggiungere in bici il tuo ufficio da casa tua? E cosa c’è nell’aria che respiri durante il tragitto? Dove troverai le migliori opportunità di lavoro nella tua regione, e dove il maggior numero di alberi da frutta procapite? Quand’è che puoi influenzare attivamente le decisioni sui temi che ti stanno più a cuore e con chi dovresti parlarne? È a partire da queste domande, poste nell'Open Data Handbook della Open Knowledge Foundation che si può entrare nel merito di come usare gli open data come bene comune. Le nuove tecnologie permettono di creare servizi per rispondere automaticamente a queste domande. Molti dei dati necessari a rispondere a queste questioni sono in effetti prodotti da organismi pubblici. Tuttavia spesso tali dati non sono disponibili in formati che li rendano facili da manipolare. È decisivo proporre una via per estrarre il potenziale dei dati ufficiali e di altre informazioni e rendere così possibili nuovi servizi, migliorare la vita dei cittadini e far funzionare più efficientemente governi e società. La nozione di open data, e più specificatamente quelli del settore pubblico, secondo le attività promosse dall’open government, va intesa come informazione accessibile e riutilizzabile da chiunque e per qualunque fine, è utilizzata da diversi anni. L’uso comune del concetto inizia nel 2009, quando diversi governi (come gli Stati Uniti d’America, il Regno Unito, il Canada e la Nuova Zelanda) hanno annunciato nuove iniziative per l’apertura della loro informazione pubblica. È importante quindi definire i concetti di base degli open data, specialmente in relazione ai governi, per cui questi dati aperti possono creare valore e avere un impatto positivo in molte aree. Gli open data sono una immensa risorsa ancora in gran parte inutilizzata. Molte persone e molte organizzazioni raccolgono, per svolgere i loro compiti, una vasta gamma di dati diversi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 12 470 Carlo Infante - Open Data Quello che fanno i governi è particolarmente importante in questo senso, non solo per la quantità e centralità dei dati raccolti, ma anche perché la maggior parte dei dati governativi sono pubblici per legge, e quindi dovrebbero essere resi aperti e disponibili all’uso per chiunque. Ci sono molte circostanze in cui possiamo attenderci che i dati aperti abbiano un valore rilevante e molti esempi in cui questo già accade. Ci sono anche numerose categorie di soggetti e organizzazioni che possono trarre beneficio dalla disponibilità di dati aperti, inclusa la pubblica amministrazione. Allo stesso tempo non è possibile predire come e dove sarà creato valore. La caratteristica dell’innovazione e delle novità è di arrivare da luoghi inaspettati. Nell’ambito della trasparenza, progetti come il Finlandese ‘tax tree’ (l’albero delle tasse) e il Britannico ‘where does my money go’ (dove vanno i miei soldi) permettono di identificare come i soldi delle tasse dei cittadini sono impiegati dal governo. In Canada i dati aperti hanno fatto risparmiare 3.2 miliardi di dollari in un caso di frode fiscale legato alla beneficenza. Molti siti, tra cui il Danese folketsting.dk e l’italiano openparlamento.it, tracciano le attività dei parlamenti e il processo di formazione delle leggi, in modo da mostrare cosa succede esattamente e quali parlamentari sono coinvolti nelle varie attività. I dati aperti governativi possono inoltre aiutare a prendere decisioni migliori nella nostra vita privata, o renderci più attivi nell’ambito della società civile. In Danimarca, una sviluppatrice ha creato findtoilet.dk che permette di accedere alla lista di tutti i bagni pubblici del paese, così anche chi soffre di problemi di incontinenza ora si sente più rassicurato dovendo uscire di casa. In Olanda il servizio vervuilingsalarm.nl ti avvisa quando la qualità dell’aria del tuo quartiere raggiunge una soglia critica da te definita. A New York puoi facilmente capire dove puoi portare a spasso il tuo cane, così come trovare altre persone che usano il tuo stesso parco. Servizi come ‘mapumental’ nel Regno Unito e ‘mapnificent’ in Germania ci fanno capire dove possiamo andare ad abitare impostando i tempi massimi di percorrenza casa/ufficio, i prezzi delle case e la bellezza del quartiere. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 12 471 Carlo Infante - Open Data Tutti questi esempi utilizzano dati aperti rilasciati dai governi. Anche dal punto di vista economico i dati aperti hanno un’enorme importanza. Svariati studi hanno stimato il valore economico dei dati aperti in diverse decine di miliardi di euro ogni anno, nella sola Europa. Nuovi prodotti e nuove aziende stanno ri-usando dati aperti. Il sito danese husetsweb.dk aiuta a trovare i modi migliori di risparmiare energia elettrica in casa, inclusa la pianificazione finanziaria e la possibilità di contattare gli artigiani che potranno eseguire il lavoro. Funziona grazie al riutilizzo di dati catastali, a informazioni sugli incentivi governativi e al registro delle imprese locali. Google Translate usa l’enorme volume di documenti dell’Unione Europea, disponibili in tutte le lingue d’Europa, per allenare gli algoritmi di traduzione automatica, aumentando la precisione del servizio offerto. Il Ministero olandese dell’Istruzione ha pubblicato on-line tutti i dati relativi al sistema educativo consentendone il ri-uso. Da allora il numero di domande ricevute è sceso, riducendo il carico di lavoro e i costi, e anche per i dipendenti pubblici è ora più facile rispondere alle domande residue, perché ora è chiaro dove possono essere trovati i dati che servono per rispondere. I dati aperti rendono anche il governo più efficace, il che in ultima analisi riduce anche i costi. Il dipartimento olandese per il patrimonio culturale sta attivamente rilasciando i propri dati e sta collaborando con le società amatoriali di storici e con gruppi come la Wikimedia Foundation per eseguire i propri compiti in modo più efficace. Ciò si traduce non solo in un miglioramento della qualità dei dati, ma anche in una riduzione delle dimensioni del dipartimento. Mentre ci sono numerosi esempi in cui i dati aperti stanno già creando vantaggi economici e sociali, ancora non sappiamo quali nuovi utilizzi saranno possibili in futuro. Nuove combinazioni di dati possono creare nuova conoscenza e nuove intuizioni, che possono portare a campi di applicazione inimmaginabili. Abbiamo visto nel passato, ad esempio, quando il dottor Snow scoprì la correlazione tra l’inquinamento dell’acqua potabile e il colera nella Londra dell’800, combinando i dati sui morti per colera con quelli sull’ubicazione dei pozzi. Il fatto portò alla costruzione del sistema fognario a Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 12 472 Carlo Infante - Open Data Londra, migliorando di molto le condizioni generali di salute della popolazione. Probabilmente vedremo di nuovo nascere intuizioni simili dalla combinazione di insiemi diversi di dati aperti. Questo potenziale non sfruttato può essere utilizzato se facciamo diventare dati aperti i dati delle amministrazioni pubbliche. Questo accade solo, tuttavia, se l’apertura è completa, cioè se non ci sono limitazioni (giuridiche, finanziarie o tecnologiche) al riutilizzo da parte di altri. Ogni restrizione impedirà a qualcuno di ri-utilizzare i dati pubblici, e renderà più difficile il trovare altri modi preziosi di farlo. Perché il potenziale si realizzi, i dati pubblici devono essere aperti. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 12 473 Carlo Infante - Open Data 4. Gli open data per l’innovazione adattiva Gli open data sono una fonte di occasioni per creare economie nuove basate sulla conoscenza, per consentire al pubblico come al privato di trovare modi nuovi per sfruttarli a vantaggio di tutti e sono un modo per esercitare un legittimo controllo democratico sulle amministrazioni politiche. Il concetto di ‘apertura’, in una civiltà sempre più connessa, diventa a sua volta sempre più centrale. L’apertura dei dati pubblici, anonimizzati nel rispetto della privacy del cittadino, può e deve diventare sempre di più strumento di crescita e di sviluppo. Può e deve diventare, persino, uno strumento di contrasto allo strapotere delle piattaforme private come Facebook, ma il rischio è che paradossalmente si stia sempre di più perdendo la dimensione culturale di quell’open government di obamiana memoria senza la quale quella degli open data è una battaglia persa in partenza. Di open data c’è bisogno per far comprendere alle persone che disporre di dati aperti è un diritto al quale non possiamo rinunciare. Gli open data sono fondamentali perché si possa attuare innovazione adattiva, per cui s’intende una strategia evolutiva che riguarda l'adattamento dell’innovazione digitale alla crescita di una consapevolezza d’uso della rete interconnessa da parte dei cittadini senzienti. È necessario che l'innovazione digitale si adatti alla creatività sociale che emerge da buone pratiche capaci di generare un’intelligenza applicativa che per alcuni aspetti rientra in ciò che viene definito user experience. È proprio questo valore d’uso creativo che può riequilibrare le sorti di un mercato tecnologico in cui l’offerta è più forte della domanda, facendo questo si può dimostrare quanto sia importante fare società prima di qualsiasi mercato. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 12 474 Carlo Infante - Internet of things Indice 1. L’INTERCONNESSIONE ESTESA .............................................................................................................. 3 2. M2M: MACHINE TO MACHINE ............................................................................................................. 5 3. LA SMART HOME ................................................................................................................................... 7 4. LE PROTESI COGNITIVE ......................................................................................................................... 9 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 12 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 12 475 Carlo Infante - Internet of things 1. L’interconnessione estesa Estendere il sistema dell’interconnessione di Internet non solo alla rete di computer ma a quella delle cose e dei dispositivi attivati da sensori intelligenti è la nuova rivoluzione digitale in atto. Il nostro mondo è fatto di oggetti e di luoghi concreti con cui entriamo in relazione fisica ed ora questa relazione si fa anche digitale, attraverso la rete che permette di acquisire input e rilasciare output. Il concetto di Internet of Things è stato coniato nel 1999 da Kevin Ashton dell’Auto-ID Center (un consorzio di ricerca con sede al MIT, Massachusetts Institute of Technology) e in seguito sviluppato dall'agenzia Gartner (una delle società più importanti ad occuparsi di strategie nel campo della tecnologia dell'informazione). Vi si delinea un’evoluzione dell'uso della rete internet per cui le cose si rendono riconoscibili e acquisiscono intelligenza grazie al fatto di poter comunicare dati su sé stessi e accedere ad informazioni aggregate da parte di altri dispositivi. Milioni e milioni di sensori sparsi per il mondo che inviano informazioni, in modalità wireless, sul traffico, sull’inquinamento atmosferico, sul consumo di energia, sulla temperatura, sull’umidità, sulle presenze, sui dati sanitari. Oppure avere la sveglia collegata al sistema satellitare che suona in anticipo quando nel percorso per recarsi al lavoro il traffico è superiore alla media per un incidente, per lavori, o un messaggio che ci avvisa quando ci si dimentica di prendere una medicina…le cose ci allertano. Queste cose sono dispositivi, apparecchiature, impianti, materiali, opere e luoghi.... Il termine più preciso per definirli è smart object, oggetti resi intelligenti dal fatto di essere abilitati digitalmente con delle interfacce-periferiche ad alcune funzionalità, quali: identificazione, connessione, localizzazione, capacità di elaborare dati e capacità di interagire con l’ambiente esterno. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 12 476 Carlo Infante - Internet of things L'obiettivo dell'internet delle cose è far sì che il mondo digitalizzato tracci una sorta di mappa di quello reale, dando un'identità digitale alle cose e ai luoghi dell'ambiente fisico. Tutto ciò si muove, principalmente, attraverso una tecnologia wireless a radiofrequenza, una nuova categoria di rete universale, pubblica, denominata Lpwan (Low-Power Wide-Area Network). Il nome, in realtà, suona un po' paradossale: gli approcci di tipo tradizionale alla connettività wireless suggeriscono che un dispositivo di rete non dovrebbe essere in grado di operare con consumi ridotti mentre contemporaneamente sta trasmettendo su lunghe distanze. La topologia della rete di cui stiamo trattando e su cui si muove l’internet delle cose è in buona parte quella utilizzata dalle tecnologie per telefonia cellulare. A differenza dei sistemi 2G, 3G o 4G, una rete Lpwan adotta uno schema di modulazione che riduce la velocità di trasmissione dati (throughput) al fine di garantire una maggiore tolleranza nei confronti delle interferenze e dell'attenuazione del segnale. Gli oggetti e i luoghi muniti di etichette Identificazione a Radio Frequenza (Rfid) comunicano quindi informazioni in rete o a dispositivi mobili come i telefoni cellulari. I campi di applicabilità sono molteplici: dalle applicazioni industriali (processi produttivi remotati, robotica, ...), alla logistica (innervata ai sistemi GPS) e all'infomobilità, fino all'efficienza energetica, tutti gli ambiti connessi alla smart city e lo sviluppo sostenibile. Gli oggetti intelligenti permetteranno risparmio energetico sia a livello domestico (domotica e smart home) sia a livello macroscopico, su scala urbana (smart city) e nell'infrastruttura energetica (smart grid). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 12 477 Carlo Infante - Internet of things 2. M2M: Machine to Machine M2M è acronimo di Machine to Machine e indica le tecnologie e i servizi che permettono il trasferimento automatico delle informazioni da macchina a macchina nell’ambito dell’Internet of Things, con limitata o nessuna interazione umana. Esempi di M2M sono le apparecchiature per la gestione dei magazzini (che inventariano il materiale in ingresso e in uscita), per la sensoristica (che rilevano parametri quali la temperatura e la pressione e li comunicano a un server centrale), per la localizzazione (che tracciano e monitorano la posizione dei veicoli). Le comunicazioni M2M possono realizzarsi anche attraverso protocollo IP (Internet Protocol) e in questo caso sono associate alla Internet of Things, ove gli oggetti si rendono riconoscibili e acquisiscono intelligenza grazie al fatto di poter comunicare dati su sé stessi e accedere ad informazioni aggregate da parte di altri. Quattro elementi che caratterizzano le comunicazioni M2M: la raccolta dei dati, la trasmissione dei dati, l'estrazione dell’informazione, l'utilizzo dell’informazione. Il processo di una comunicazione M2M parte dall’acquisizione dei dati da una macchina per poterli poi analizzare e trasferire utilizzando una rete di comunicazione. L’obiettivo questo sistema è quello di creare un ponte tra l’intelligenza della macchina e il sistema di elaborazione/fruizione dell’informazione. Le soluzioni impiegate per la trasmissione dei dati possono essere costituite dalle reti cellulari, dalle linee telefoniche in postazione fissa, dalle comunicazioni satellitari e da reti ad hoc, per cui la scelta dell’infrastruttura più idonea dipende dalle caratteristiche dell’applicazione stessa e dalle aree di riferimento. Per esempio, nel monitoraggio di apparecchiature in aree remote, si tende a utilizzare le reti satellitari, mentre nelle aree in cui è molto elevata la penetrazione delle reti cellulari, si prediligono le reti di tipo radiomobile. È comunque evidente che all’aumentare della disponibilità dei canali di comunicazione diminuisce conseguentemente il costo del servizio. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 12 478 Carlo Infante - Internet of things Gli operatori di rete forniscono l’accesso e si rileva che circa l’80% degli accessi è di tipo wireless su radiofrequenza mentre altri accessi si realizzano attraverso reti cellulari, in particolare di seconda generazione (2G). Gli utenti che utilizzano servizi IoT sono anche produttori di contenuti, visto che l’elaborazione dei dati trasmessi può permettere di ricavare informazioni molto personali, come i componenti del nucleo familiare, capacità di spesa, ecc... Le imprese ICT (Information and Communication Technology) producono apparati e sviluppano software per servizi M2M anche al di fuori dei sistemi IoT. Anche se nell’ambito dei servizi, si assiste ad una particolare innovazione di processo per cui i sistemi IoT che si stanno profilando come un nuovo standard universale di interconnessione investono sempre più l’area networking delle imprese. Nell’ambito IoT il personal networking e la smart home automation rappresentano due dei settori più promettenti, nel primo caso, un servizio potrebbe essere lo shopping personalizzato (avvicinandosi ad uno scaffale, si ricevono informazioni sui prodotti), mentre nel secondo caso i dispositivi connessi al WiFi domestico potrebbero interagire e ottimizzare i consumi. Secondo le stime dell'agenzia Gartner nei prossimi anni ci saranno più di 30 miliardi di oggetti connessi a livello globale. Altri istituti parlano di 100 miliardi. Il valore del mercato è stimato in 80 miliardi di dollari. Secondo l'Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano, il mercato degli smart objects in Italia è arrivato a toccare i 3,7 miliardi di euro, con una crescita del 36% rispetto al 2016. La principale fetta di questo mercato è rappresentata dalle applicazioni di smart metering (i contatori gas intelligenti installati presso le utenze domestiche). Nel prossimo futuro si prevede un’ulteriore accelerazione del mercato, soprattutto per quanto riguarda gli ambiti smart car, smart home, smart city e Industrial IoT. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 12 479 Carlo Infante - Internet of things 3. La smart home Le applicazioni dell’IoT hanno, in particolare, un forte potenziale soprattutto nell’ambito domestico della smart home. È lo sviluppo di quello che fino ad oggi abbiamo chiamato domotica. Le applicazioni vanno dalla messa in rete degli elettrodomestici, grandi o piccoli che siano, per arrivare all’impianto di climatizzazione e alla sicurezza con la gestione della blindatura di porte e finestre. Tutto può essere in rete e così si può non solo controllare a distanza, ma anche monitorare il buono stato degli apparecchi e gestirne nel caso la manutenzione. Lo smartphone è ormai una protesi del corpo umano, e siamo sempre più abituati a usarlo come un telecomando universale. Ma proprio rispetto alla domotica gli esperti ipotizzano che presto il senso più sollecitato dall’hi-tech sarà l’interazione vocale. Il motivo è nella diffusione degli assistenti vocali personali domestici come Echo di Amazon, (cilindro che, tra le altre cose fornisce consigli, suona musica e legge libri) e gli analoghi dispositivi Google Home e Apple HomePod. Nuovi maggiordomi pensati per controllare usando la voce l’internet delle cose dentro casa. Innegabile vantaggio dell’IoT è la flessibilità e la possibilità di implementare le funzioni nel tempo senza spaccare i muri ma solo riprogrammando il sistema. L’ingresso IoT è pensato per accudire chi va di fretta, o quelli che hanno sempre paura di aver lasciato aperto il gas o qualche luce. Basta schiacciare un tasto (anche a distanza, attraverso lo smartphone) per chiudere tutto in un sol colpo: luci, tapparelle, gas. E la sicurezza è garantita dalla porta blindata, magari con sistema di autenticazione biometrica (iride, riconoscimento facciale). In cucina, regno per eccellenza degli elettrodomestici, le possibilità sono molte. Si va dalla cappa che dialoga con i fornelli per regolare l’aspirazione, al frigorifero che, grazie a telecamere interne, ci fa vedere cosa manca mentre siamo al supermercato. Ma l’internet delle cose è anche il metodo per evitare blackout da sovraccarico: gli elettrodomestici comunicano tra loro in rete e si Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 12 480 Carlo Infante - Internet of things spengono automaticamente. Si può riconfigurare l’impianto elettrico in caso di corto circuito o se un fulmine durante un temporale lesiona il circuito. Il controllo integrato degli impianti di climatizzazione (temperatura caldo e freddo e umidità), un tempo separati, fa risparmiare sulla bolletta energetica anche grazie al check up energetico. Non è un caso se esistono forti detrazioni fiscali per chi installa sistemi di domotica. Anche le finestre intelligenti e le tende interne e quelle esterne ombreggianti fanno parte del sistema. La possibilità di analizzare tutti i dati in gioco poi permette di valutare l’efficienza dell’impianto confrontando diversi tipi di generatore di calore (caldaia a condensazione, pompa di calore, caldaia a legna e diversi tipi di fonti, dal geotermico al fotovoltaico). I nuovi televisori smart tv e home-theatre possono anche diventare delle torri di controllo dove ricevere messaggi da lavatrice o aprire finestre su videocitofoni e telecamere di sorveglianza. Gli interruttori elettrici diventano centraline multitasking per impostare in sala da pranzo scenari di luce preimpostati, per luci soffuse o set di dance hall. In bagno si potrebbe contare sulla tecnologia wearable (indossabile) per eventuali applicazioni di telemedicina. Il monitoraggio dei parametri base (pressione arteriosa, ecc) avviene tramite dispositivi Rfid, sensori miniaturizzati e integrati negli abiti o addirittura impiantati nel corpo umano. Sono già a disposizione degli intelligent mirror, specchi-toilette multiuso che applicano principi di fotometria e di stimolazione multi-sensoriale. Per quanto riguarda il verde domestico l’irrigazione è già da tempo automatizzata mentre si va in vacanza, ma ora lo è anche quella indoor e collegata a un giardiniere che fornisce consigli per chi non ha il pollice verde. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 12 481 Carlo Infante - Internet of things 4. Le protesi cognitive Marshall McLuhan già negli anni Sessanta lo aveva presagito: “In quest’era elettrica ci vediamo sempre più trasformati in informazione, in marcia verso l’estensione tecnologica della coscienza”. Non c’è metafisica in questa tesi, bensì il rilevamento di una modificazione antropologica: il fatto di poter condividere a distanza delle esperienze più o meno complesse sviluppa quel pensare e agire on line che è ormai pratica corrente nell’era interconnessa. È in questa condizione abilitante che si evolve la natura umana nell’interazione con l’artificiale delle connessioni digitali anche con le cose, le nostre case e nei sistemi più complessi che ci aiutano a ottimizzare i processi, non solo quelli produttivi ma anche quelli sociali. L’internet delle cose si sta prospettando come un fattore di nuova complessità che permette di affrontare scommesse evolutive, come efficientamento energetico e la gestione delle risorse informative che produciamo costantemente, alimentando quei big data che non possono essere solo patrimonio dei grandi player digitali, come Google o Facebook, ma gli assetti governativi devono riuscire a garantirne un valore d’uso pubblico. In tal senso, a partire dall’utilizzo consapevole dell’uso dei vari dispositivi, come quelli che portiamo sempre con noi, come gli smartphone, è necessario concepire questi dispositivi come protesi cognitive che espandono le nostre azioni senzienti. Le tecnologie della comunicazione sono a tutti gli effetti una protesi, un’estensione del nostro corpo-mente: definirle protesi cognitive non è quindi improprio se si considera il fatto che non si tratta solo di amplificazione quantitativa di un gesto, di un’azione, ma di una profonda modificazione qualitativa della nostra percezione che si traduce in azioni utili. Per intenderci il libro è una protesi cognitiva: estende la nostra memoria in un oggetto che con il suo avvento, cinquecento anni fa, ha destabilizzato l’intero sistema di trasmissione delle conoscenze fondato sull’oralità. Seguendo questa pista possiamo quindi riconoscere che lo stesso Alfabeto possa essere a tutti gli effetti una tecnologia. Si, proprio una tecnologia, un dispositivo Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 12 482 Carlo Infante - Internet of things complesso che il sistema educativo ci trasmette come una delle cose più naturali del mondo ma che invece rappresenta un vero filtro artificiale attraverso cui decodificare l’esperienza esterna. Non ci facciamo più caso ma leggere e scrivere sono una complessa sovrastruttura mentale, un brainframe come lo definisce Derrick De Kerckhove (l’erede di Marshall McLuhan) di cui non possiamo comunque fare a meno perché le parole sono fondamentali per interpretare il mondo. Le acquisiamo da piccoli, iscrivendo di fatto nel nostro cervello una tecnologia che ci consenta di condividere la descrizione della nostra esperienza. Una procedura d’apprendimento faticosa ma necessaria. Leggere è difficile ma è diventato una pratica corrente nonostante siano in molti, moltissimi, a non esercitarla se non per le funzioni indispensabili. Si leggono poco i giornali, pochissimo i libri. D’altronde le informazioni arrivano direttamente nella nostra casa, e nella nostra testa, come ha fatto per decenni la Televisione imponendo un generalizzato dominio psicologico. Davanti al televisore il nostro corpo tende all’inerzia cognitiva: ci si fa attrarre dal flusso fotonico, tendiamo a non selezionare, ci rilassiamo, generalmente non organizziamo il nostro pensiero in modo complesso. L’unico strumento attivo è il telecomando, altra protesi, grazie a cui facciamo zapping componendo le possibili soluzioni combinatorie di un palinsesto personale ma coatto. La diffusione delle reti e dei sistemi multimediali ci ha sollecitato nello scardinare quel gioco bloccato nel consumo passivo dei mass media e ha denotato, nel processo biunivoco di comunicazione, una nuova possibilità evolutiva, una presenza attiva, dinamica, evolvendo il linguaggio alfabetico nella tecnologia ipermediale e iperconnessa che sta a noi tradurre in linguaggio. I “nostri sistemi nervosi estesi”, come suggeriva McLuhan (in “Gli strumenti del comunicare”), sono quindi inscritti nella ragnatela (è questa la traduzione della parola web) della rete con le sue cablature verso cui le nostre sinapsi (le trasmissioni chimiche del nostro cervello) viaggiano, apprendendo, on line. In una rete delle reti dove oggi trova luogo anche l’internet delle cose che si prospetta, con tutte le criticità che possono essere provocate da un non adeguata governance del processo, come un’opportunità straordinaria di crescita qualitativa per i nostri sistemi sociali e produttivi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 12 483 Carlo Infante - Internet of things È infatti strategico lo sviluppo dell’internet delle cose dove le interconnessioni riguardano sia le nostre case sia le città, affrontando con intelligenza le scommesse del futuro, imparando a fare economia, nel senso vero del termine originario: oikos, ovvero casa. Risparmiando, ottimizzando i consumi. Tutti questi dispositivi attivati dalle radiofrequenze identificative (RFID), come quelle che usiamo abitualmente nei telepass autostradali, magari monitorati dai nostri smartphone, ci possono venire in aiuto perché ciò accada. Queste interconnessioni con oggetti forniti di indirizzi IP possono comunicare nella rete, creando sistemi intelligenti. Sta a noi rilanciare la nostra intelligenza per contestualizzarli e fare in modo che l'innovazione digitale si adatti alla nostra evoluzione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 12 484 Carlo Infante - Tutto è già interconnesso Indice 1. GLI INVISIBILI LEGAMI DELLA NATURALE COMPLESSITÀ ..................................................................... 3 2. L’INTELLIGENZA CONNETTIVA DEL PERFORMING MEDIA .................................................................... 5 3. LINKED DATA ......................................................................................................................................... 7 4. UBIQUITOUS COMPUTING E INTERNET DELLE COSE ............................................................................. 8 5. LAUDATO SÌ ......................................................................................................................................... 11 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 13 485 Carlo Infante - Tutto è già interconnesso 1. Gli invisibili legami della naturale complessità "Tutto è connesso": questo è uno dei concetti cardine della “Laudato si'”, la lettera enciclica di Papa Francesco sulla “cura della casa comune”. A rileggerla è il tema che sottende tutto: è la vera e propria base su cui il testo è costruito. La prospettiva focale su cui si regge l'enciclica è quella dell'ecologia integrale anche se c’è un passaggio in cui tratta di Internet: “ciò permette di selezionare o eliminare le relazioni secondo il nostro arbitrio, e così si genera spesso un nuovo tipo di emozioni artificiali…” Il dato più interessante è che nel concetto di ecologia sviluppato nell’enciclica c’è un approccio profondo, inscritto in tutti i sistemi complessi di cui stiamo trattando, a proposito dell’evoluzione digitale, cercando di stabilire la relazione delle singole parti tra loro e con il tutto. La civiltà non ha solo a che vedere con le cose materiali ma con gli invisibili legami che legano una cosa a un’altra (Antoine de Saint-Exupéry) Quegli invisibili legami a cui fa riferimento il poeta e scrittore francese Antoine de SaintExupéry, riguardano tanti aspetti, dalle affinità elettive alle reali interconnessioni fisiologiche che sottendono gli ecosistemi vegetali e fungini. Allo stesso tempo ispirò Ted Nelson nel concepire l’ipertesto, quella nuova tecnologia che attuò ciò che di fatto produce il linguaggio mentre lo metabolizziamo: connessioni ed evocazioni immaginarie. Interconnessione sottende la forma della rete che si rivela come un intreccio di fili, incrociati e annodati tra loro, come anche l’ordito di un tessuto o di una ragnatela che in inglese si traduce in web. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 13 486 Carlo Infante - Tutto è già interconnesso Con lo sviluppo tecnologico la rete è stata usata per indicare la rete elettrica, la rete telegrafica, telefonica, la rete, sempre più estesa, delle comunicazioni a distanza. Anche l'insieme delle strade viene definita rete stradale, l’insieme delle linee ferroviarie è rete ferroviaria. Persino l'insieme idraulico delle vie d’acqua è rete idrica. La parola rete ha accompagnato l’evoluzione della società diventando sinonimo di complessità, un concetto che attraversa tutte le discipline...ci sono reti cosmiche, reti climatiche, reti neurali, reti linguistiche. In cristallografia il concetto di rete evoca un insieme di componenti, gli atomi di un reticolo, connessi tra loro, mediante precisi legami chimici, in modo ben definito: il reticolo cristallino. Un cristallo di cloruro di sodio, il sale da cucina, può essere immaginato come una rete di cubi tutti uguali che si succedono in modo regolare nelle tre dimensioni. Tuttavia, anche in ambito scientifico la parola rete sta, ultimamente, modificando il suo significato secondo, per divenire sempre più metafora del concetto di complessità. Sono molti, ormai, a utilizzare la parola rete per indicare il sistema complesso che intendono studiare. La rete neurale non è altro che un sistema complesso formato da cellule cerebrali o sistemi artificiali che ne simulano la funzione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 13 487 Carlo Infante - Tutto è già interconnesso 2. L’intelligenza connettiva del performing media L’intelligenza connettiva è un concetto coniato da Derrick de Kerckhove negli anni Novanta, che si è innervato allo sviluppo del web in quanto tecnologia cognitiva, esplicitando le inedite proprietà psicologiche della cooperazione on line. In questa connettività si attiva un processo tecnologico che di fatto si traduce in un processo psicologico e una nuova sensibilità che riscopre il senso naturale delle cose naturalmente interconnesse. Derrick de Kerckhove, partendo da una sua intuizione sulle psicotecnologie, frutto dell’esperienza condivisa con Marshall McLuhan di cui era stato uno dei più stretti collaboratori, mette in gioco un’energia creativa che rivela come i processi cognitivi possano modellare le tecnologie in modo funzionale alle applicazioni di nuova strategia culturale ed educativa. La connessione propria del web induce una dinamica di scambio serrato di informazioni e relazioni tese ad evolversi nell’interattività che presuppone feedback, interazioni con ambienti digitali in cui operare e nell’ipertestualità che espande il sistema informativo su struttura non lineare e interconnessa proprio come funziona il nostro cervello. L’intelligenza connettiva è prossima alla teoria dello sciame intelligente (swarm intelligence) per cui la serrata reciprocità delle azioni produce informazione e auto-organizzazione, come accade per gli sciami delle api o gli stormi degli uccelli. L’intelligenza connettiva espressa nel web ha qualcosa di simile all'intelligenza naturale delle api, e non è solo una metafora. La dimensione biologica ispira l'evoluzione delle reti e la invita ad osservare gli sciami delle api e in particolare la “danza delle api” (modalità che le api esploratrici adottano nell’alveare per istruire le bottinatrici su dove trovare il miglior polline) per capire come vasti insiemi di individui danno luogo a meccanismi di cooperazione. L’intelligenza connettiva intesa come metodologia di cooperazione creativa trova nei format di performing media le modalità attuative con azioni partecipative dei cittadini-user nell'ambito territoriale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 13 488 Carlo Infante - Tutto è già interconnesso Si tratta di modalità di partecipazione attiva, basate su modalità di brainstorming spesso itinerante come nei walkabout (esplorazioni radionomadi), commisurando le tecnologie della comunicazione al loro valore d’uso, ovvero la capacità degli utenti di trarne valore, funzione, principio attivo. Per fare accadere cosa? Consapevolezza, empatia, resilienza, strategie desideranti, partecipazione, inclusione, co-progettazione. Ciò riguarda la condizione esponenziale e generativa delle tecnologie abilitanti, capaci cioè di sollecitare i cittadini a mettersi in gioco in un processo partecipativo che può avviare le dinamiche di innovazione adattiva, per interpretare nell’azione sul campo il valore performante dell’interconnessione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 13 489 Carlo Infante - Tutto è già interconnesso 3. Linked data Viviamo in un mondo in cui le informazioni sono organizzate come dati in relazione tra loro, identificati univocamente, interpretabili, e facilmente accessibili. È l’evoluzione del web che aveva progettato già nel 1993 Tim Berners-Lee e che ora sta facendo il salto di qualità nell'interconnessione dei linked data. Lo si potrebbe anche definire semantic web, nello specifico si tratta di un modo diverso di gestire e pubblicare i dati che, strutturati e collegati tra loro, costruiscono un reticolo informativo sempre più ampio consentendo una maggiore distribuzione dei dati intesi come elementi interconnessi tra loro. Quest’evoluzione da un web basato su documenti a una rete di dati interconnessi consente di connettere non solo pagine HTML, ma concetti tra di loro. I collegamenti ipertestuali consentono di spostarsi da un sito a un altro, da un documento all’altro, in cui però il significato della relazione che intercorre tra i link delle pagine collegate risulti interpretabile per le strategie di senso, proprie del pensiero della Complessità. Da qui l’idea di potenziare questo sistema di collegamenti attribuendo un’etichetta che permetta di specificare la natura delle relazioni, per consentire una maggiore profondità di ricerca, facilitati nel reperimento di dati appartenenti a fonti diverse attraverso interrogazioni semantiche. Questo è possibile solo se ai dati viene conferita una struttura attraverso la modalità di metadati del Resource Description Framework (RDF), che consente la descrizione dei dati, identificati univocamente, attribuendogli un valore e definendo la specifica relazione che intercorre tra loro. Si comprende, quindi, che la tecnologia linked data nasce con lo scopo di favorire l’interoperabilità, tra fonti di dati eterogenee pubblicate sul web, grazie all’uso di una struttura semplice, di identificatori univoci (URI – Uniform Resource Identifier) e vocabolari condivisi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 13 490 Carlo Infante - Tutto è già interconnesso 4. Ubiquitous computing e internet delle cose La prima tecnologia dell’informazione, il linguaggio alfabetico, evoluto in scrittura e poi attraverso la stampa a caratteri mobili in libro, la troviamo dappertutto: tutto ciò che è stampato, libri, riviste e giornali trasportano informazione scritta, ma anche i segnali stradali, etichette dei vestiti, insegne dei negozi. Fino a poco tempo fa, la tecnologia basata sul silicio, invece, era lontana da essere considerata parte dell’ambiente. Milioni di computer erano stati venduti, tuttavia quel dispositivo rimaneva confinato nel suo mondo, su una scrivania, avvicinabile solo attraverso un complesso codice digitato su tastiere. Lo stato dell’arte era analogo al periodo in cui gli scribi nell’antichità dovevano essere in grado di scrivere, ma anche fare l’inchiostro. Il passo successivo su cui ci stiamo interrogando negli scenari dell'internet delle cose nel sistema interconnesso sta concependo un nuovo modo di pensare i sistemi digitali in stretta relazione con l’ambiente naturale, dissolvendo la loro struttura di macchine. È ciò che viene definito ubiquitous computing, per cui si intende la tecnologia applicata in contesti everywhere, dappertutto. Nel 1991 Mark Weiser, ricercatore del PARC (Palo Alto Research Center) della Xerox, pubblicò un articolo dal titolo “Il computer del XXI secolo” che può essere considerato il manifesto dell’ubiquitous computing. In pochi anni quello che sembrava il miraggio di uno scienziato visionario, prematuramente scomparso nel 1999, è ormai una realtà. Secondo Weiser, le tecnologie più forti sono quelle che non vediamo, esse si intrecciano negli oggetti della vita di tutti i giorni e sono indistinguibili da essi. Ciò è la conseguenza evolutiva della tecnologia, ma anche della psicologia umana. Ogni volta che s’impara sufficientemente bene qualcosa, si smette di essere troppo concentrati su di essa. Quando guardiamo un cartellone stradale, per esempio, assorbiamo le relative informazioni senza coscientemente effettuare l’atto della lettura. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 13 491 Carlo Infante - Tutto è già interconnesso Quando le procedure diventano automatiche, inscritte nei contesti d’uso, le usiamo senza pensare, mettendo a fuoco quello che c’è oltre di esse. In questa prospettiva, ubiquitous computing non significa solo che i computer possono essere usati in spiaggia o nella giungla: anche il notebook più potente, con accesso ad una rete di informazioni in tutto il mondo, tende a far convergere l’attenzione su di sé, trasformando lo schermo del laptop in un centro che esige attenzione piuttosto che farlo sbiadire nello sfondo. Per realizzare l’ubiquità e assicurare una presenza discreta, i dispositivi digitali devono avere dimensioni diverse, adattandosi ad operazioni particolari: etichette o cartellini delle dimensioni di centimetri, blocchi delle dimensioni di decimetri che si comportano come un foglio di carta o un cartellino e schermi di grandi dimensioni che coprono un’intera parete. Tanti dispositivi ubiqui, disseminati ovunque possono disorientare, proprio come le centinaia di volt che scorrono attraverso i fili nelle pareti e di cui non abbiamo la minima consapevolezza. Ma come i fili nelle pareti, queste centinaia di dispositivi saranno presto invisibili, spariranno nello sfondo. Vi sono etichette intelligenti o smart tag, che utilizzano la tecnologia RFID (Radiofrequenza Identificativa) e trovano già applicazioni nei passaporti che riportano le informazioni relative ai cittadini e ai loro viaggi o nelle contactless smartcard degli abbonamenti al trasporto pubblico; la molteplicità dei tag per identificare e verificare la presenza di specifici prodotti in magazzino e conoscere le giacenze in tempo reale o quelle connesse al funzionamento di una macchina o apparecchiatura solo in presenza di operatori autorizzati o quelle atte alla rilevazione dei parametri ambientali. L’evoluzione delle smart tag può essere individuata negli spime (neologismo derivante dalla fusione di space e time), oggetti tracciabili con precisione nello spazio e nel tempo in quanto portatori di tag RFID o sensori GPS che li seguono nell’interazione in movimento. L’ambito più diffuso di queste tecnologie ubique è l’internet delle cose in cui dispositivi e smart object, all’interno della rete interconnessa, comunicano dati relativi a funzioni e informazioni che possono essere condivise con altri oggetti e luoghi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 13 492 Carlo Infante - Tutto è già interconnesso Questi oggetti sono dispositivi, attrezzature o luoghi che messi in rete, sul principio del M2M (Machine to Machine), garantiscono diversi compiti dalla identificazione alla localizzazione. Ciò permette di tracciare una sorta di mappa operativa che riconosce un'identità digitale alle cose, anche in relazione agli ambienti fisici, da quelli domestici (smart home) a quelli urbani (smart city). Le reti, sia il web sia la telefonia mobile, stanno cambiando la cognizione di spazio-tempo. Non è metafisica è vita quotidiana. “Quando sei?”. È una domanda che spesso si pone, per sapere quando l'altro sarà connesso, sul cellulare o su skype (o altre piattaforme di Voice Over IP o di instant messaging) o nei vari social network. Volenti (per sottrarci) o nolenti (perduti nelle zone sconnesse, senza campo) percorriamo i territori che ormai si connotano attraverso nuovi coefficienti di urbanizzazione: la copertura delle reti. Maurizio Ferraris nel suo libro “Dove sei? Ontologia del telefonino”, parafrasò il titolo di un importante saggio di Heidegger, così: “Essere e Campo”. Ovvero: ci sono quando sono connesso, o perlomeno quando ho la possibilità di farlo, quando c'è “campo”. Siamo mobili e durante i nostri spostamenti siamo in grado, attraverso le tecnologie della comunicazione mobile, di produrre e raccogliere informazioni che, innervate alla molteplicità delle relazioni indotte dai social network, espandono la nostra sfera d'influenza. Questa connettività ubiqua si sta rivelando come un elemento radicale di trasformazione sociale. In questa Società dell'Informazione, connotata dall’ always-on, il “sempre connesso”, possono emergere anche opportunità lavorative, a tal punto da far affermare a Manuel Castells, il sociologo spagnolo autore di “Galassia Internet”: “Nell’era dell’industrializzazione si diceva che senza elettricità non si mangiava. Oggi non si mangia senza Internet”. Castells precisa “così la connettività ubiqua e permanente diventa un fattore di trasformazione sociale. Nella società sempre connessa in rete nascono nuove figure lavorative, si plasmano nuove strutture familiari, si inventano relazioni e linguaggi.” Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 13 493 Carlo Infante - Tutto è già interconnesso 5. Laudato sì Così Papa Francesco scrive nella sua enciclica: “...tutto è connesso. Il tempo e lo spazio non sono tra loro indipendenti, e neppure gli atomi o le particelle subatomiche si possono considerare separatamente. Come i diversi componenti del pianeta – fisici, chimici e biologici – sono relazionati tra loro, così anche le specie viventi formano una rete che non finiamo mai di riconoscere e comprendere.” Ciò ci rimanda alla ricerca che Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale, conduce da anni sull'intelligenza delle piante. Nella sua ricerca gli apparati radicali funzionano come una grande matrice integrata di sensori che elaborano le informazioni ricevute dall’ambiente. Nel loro intreccio, costituiscono una sorta di intelligenza connettiva fondata su decisioni che rispecchiano non la scelta di un singolo quanto una scelta di gruppo. Modelli analoghi si trovano nel funzionamento delle colonie di insetti sociali, o nel volo coordinato degli sciami delle api o gli stormi di uccelli: l’insieme dei tanti organismi costituisce un’unità molto più complessa della semplice somma degli elementi che la compongono, un’unità che ha esigenze diverse da quelle del singolo, che non ha un centro di controllo, che non ubbidisce a decisioni individuali ma dipende dal comportamento di tutti. Stefano Mancuso con il Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale sta lavorando dal 2003 sull’ipotesi di robot plantoidi. Il primo prototipo è stato progettato con l’obiettivo di facilitare le esplorazioni in ambienti ostili. Descritti in un articolato studio di fattibilità i plantoidi, grandi poco più di dieci centimetri, possono innestare le loro radici sul suolo, ricaricandosi in superficie di energia grazie a similfoglie alimentate da cellule fotovoltaiche. I sensori disposti sulla radice capace di allungarsi e di espandersi avrebbero raccolto dati sulle caratteristiche del terreno; l’apice radicale, crescendo, si sarebbe spostato esplorando il suolo in profondità e l’insieme dei dati raccolti avrebbe contribuito a sviluppare strategie di intelligenza distribuita. In un futuro non lontano Mancuso e altri studiosi, convinti dalle possibilità tecnologiche offerte dalla Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 13 494 Carlo Infante - Tutto è già interconnesso bioispirazione vegetale, immaginano gruppi di pacifici plantoidi che si prendono cura dei nostri giardini. Prendendo a modello lo schema vegetale, è interessante pensare che anche la specie umana potrà elaborare una sorta di intelligenza connettiva in una società in cui il gruppo sarà capace di prendere decisioni più adeguate rispetto a quelle prese da un singolo. Questa prospettiva potrà realizzarsi in un futuro prossimo. Già oggi grazie alla condivisione garantita da internet l’umanità sta diventando interconnessa e la connessione globale permetterà alla nostra specie di acquisire capacità attualmente inimmaginabili: basta pensare a Wikipedia, l’enciclopedia che sta attuando prospettive fondate sul funzionamento di modelli vegetali, eliminando i controlli verticali e sviluppando funzioni di intelligenza interconnessa e distribuita. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 13 495 Carlo Infante - Topologia della rete Indice 1. MAPPARE L’INTERCONNETTIVITÀ .......................................................................................................... 3 2. GLI STANDARD DI UTILIZZO DELLE RETI ................................................................................................. 7 3. L’EVOLUZIONE DELLE RETI WIRELESS ..................................................................................................... 9 4. LA CREATIVITÀ CONNETTIVA ............................................................................................................. 11 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 13 496 Carlo Infante - Topologia della rete 1. Mappare l’interconnettività Nel prossimo futuro, i collegamenti all’internet delle cose richiederanno livelli senza precedenti di connettività di rete e le reti wireless svolgeranno un ruolo predominante. Le infrastrutture di rete sono dappertutto dato che un numero crescente di utenti agisce con i propri laptop, tablet, e dispositivi mobili dappertutto. È qui che entra in gioco un nuovo concetto di topologia di rete, per cui si descrive la relazione logica e fisica tra tutti i nodi, i dispositivi e le connessioni sulle reti utilizzate. In parole povere, la topologia di rete si riferisce al modo in cui è organizzata una rete. Le connessioni fisiche sono connessioni tra i nodi e la rete, ovvero i fili fisici, i cavi e così via. Le connessioni logiche descrivono quali nodi si collegano tra loro e come i dati vengono trasmessi attraverso la rete. Sebbene queste connessioni non siano visibili, sono intrinseche alla funzione generale della rete. Con il giusto sistema di topologia di rete in atto, i provider (i fornitori dei servizi digitali) possono rilevare automaticamente se un dispositivo viene aggiunto o rimosso, risolvere rapidamente i problemi di connettività di rete e ottenere una rappresentazione visiva comprensibile della rete e della sua interconnettività. La creazione di una mappa della topologia di rete inizia con il rilevamento dei dispositivi di rete. Il rilevamento dei dispositivi di rete è il processo di identificazione di tutti i computer e altri dispositivi situati sulla rete. Sebbene sia possibile farlo manualmente, molti provider si basano su strumenti di rilevamento della rete per automatizzare e accelerare il processo. Il software di rilevamento della rete sfrutta protocolli di rilevamento comuni, tra cui il protocollo di gestione della rete semplice, il protocollo di rilevamento del livello di collegamento e il ping (Packet INternet Groper) un'utility per misurare il tempo, espresso in millisecondi, impiegato a raggiungere un dispositivo in Internet e a ritornare indietro all'origine. Ciò per rilevare e raccogliere rapidamente informazioni su computer e reti, hardware e software nel cloud e logica di relazioni tra risorse di rete. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 13 497 Carlo Infante - Topologia della rete Esistono diversi tipi di topologia di rete. Ogni tipo è progettato per il suo scopo unico: non esiste una topologia “taglia unica”. Alcuni dei tipi più comuni di topologia di rete includono stella, bus, anello, albero, mesh e topologia ibrida. Ecco una breve panoramica di ciascuno: La topologia a stella è di gran lunga la topologia di rete più comune. All’interno di questo framework (significa intelaiatura, una struttura atta a tenere qualcosa insieme, come le reti) ciascun nodo è collegato in modo indipendente a un hub che funge da nodo di smistamento dati, creando così una forma a stella. Tutti i dati devono viaggiare attraverso il nodo centrale prima che raggiungano la destinazione. Poiché non sono collegati due nodi adiacenti, se uno si disattiva, gli altri rimarranno attivi e funzionanti. Tuttavia, se il nodo centrale non funziona, non funzioneranno anche tutti i nodi adiacenti all’interno della rete. La topologia del bus, nota anche come topologia di linea o backbone, collega tutti i dispositivi tramite un singolo cavo che scorre in una direzione. Anche tutti i dati sulla rete passano attraverso questo cavo, seguendo la stessa direzione. A causa della quantità limitata di apparecchiature necessarie per costruire questo layout, la topologia del bus è considerata un’opzione solida ed economica per molti provider. Man mano che le esigenze della rete aumentano, è possibile aggiungere più nodi unendo cavi aggiuntivi. Va tenuto presente che queste topologie possono gestire solo tanta larghezza di banda quanta ne consente il cavo principale e se il singolo cavo si guasta, l’intera rete fallirà a sua volta. La topologia ad anello (ring) come suggerisce il nome, presenta tutti i nodi disposti secondo la forma di un anello che va in entrambe le direzioni, passando attraverso ciascun nodo fino a raggiungere la destinazione. Poiché solo un nodo sul ring può inviare dati in qualsiasi momento, la possibilità di collisioni di pacchetti è notevolmente ridotta. Tuttavia, come la topologia del bus, un nodo guasto in un layout ad anello può portare l’errore a tutti gli altri. La larghezza di banda è limitata anche nella topologia ad anello, mettendo in discussione la scalabilità. La topologia ad albero è impostata come un albero genealogico, con un’unità centrale nella parte superiore che poi precipita in una gerarchia di unità aggiuntive. La topologia ad albero combina il meglio delle topologie a stella e bus, facilitando l’aggiunta di nodi alla rete. Se l’hub Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 13 498 Carlo Infante - Topologia della rete non funziona, anche i nodi direttamente collegati non funzioneranno, ma la connettività verrà mantenuta all’interno dei sistemi di diramazione rimanenti. Mentre le topologie ad albero facilitano la scalabilità, possono essere costose da gestire a causa della quantità di cablaggio richiesta per connettere tutti i dispositivi. Le topologie a maglia (mesh) formano strutture simili a nodi web di nodi interconnessi. I nodi sfruttano quindi la logica per identificare la via più efficiente per la trasmissione di ciascun pacchetto di dati. In alcuni casi, i dati vengono inviata a tutti i nodi all’interno della rete senza la necessità di logica di routing. Le topologie a maglie richiedono spesso numerosi cavi e possono essere laboriose da configurare. Tuttavia, molti provider ritengono che valga la pena lo sforzo a causa della loro natura affidabile e resistente ai guasti. La topologia ibrida sfrutta due o più layout di topologia per soddisfare le esigenze di utilizzo della rete. La topologia ad albero è tecnicamente un esempio di topologia ibrida, in quanto combina strutture a stella e bus. Le tecnologie ibride offrono una grande flessibilità e sono comuni tra le grandi aziende, in particolare quelle suddivise in molti dipartimenti diversi. Poiché queste topologie sono così complesse, richiedono molta esperienza per essere gestite. La topologia di rete consente ai provider di condurre valutazioni approfondite della rete e di arrivare alla radice dei problemi di rete con maggiore efficienza. Con il monitoraggio dei dispositivi di rete e la conseguente mappatura si può attuare: Rilevamento automatico dei dispositivi: anziché eseguire l’inventario manuale di tutti i dispositivi in una rete, si possono sfruttare una piattaforma di topologia di rete completa per rilevare automaticamente tutti i dispositivi in rete in pochi minuti. Dopo queste scansioni, è possibile creare mappe di rete dettagliate per fornire una visione dall’alto dell’infrastruttura di rete; risolvere rapidamente i problemi di rete, visto che non si possono arrestare i processi di input-output i problemi sulla rete vanno identificati e risolti rapidamente con interruzioni minime. Sfruttando una mappa della topologia di rete altamente dettagliata, è possibile visualizzare facilmente il layout di rete, il che consente di individuare il problema di rete per facilitare la risoluzione dei problemi più rapida e tempi di fermo minimi; Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 13 499 Carlo Infante - Topologia della rete eseguire una gestione completa dell’inventario della rete, per creare report dettagliati per tracciare l’inventario hardware, i dati delle porte degli switch, la cache ARP (Address Resolution Protocol) il cui compito è fornire la mappatura" tra l'indirizzo IP (Internet Protocol) e l'indirizzo MAC dei dispositivi connessi. Questi rapporti consentono di tenere traccia delle informazioni di inventario e di rete, in modo da poter avere una migliore comprensione di tutto l’inventario disponibile e la capacità del dispositivo esistente. Alcuni report identificano persino le vulnerabilità della sicurezza e forniscono stati di patch (porzione di software progettata per aggiornare o migliorare un programma) su i vari nodi per la comunicazione in rete; aumentare l’efficienza delle operazioni, creando mappe di rete senza dover ripetere la scansione per risparmiare tempo prezioso, larghezza di banda e risorse. Queste soluzioni spesso supportano più metodi di rilevamento e fanno parte di suite di servizi che offrono software di accesso remoto, consentendo di gestire le reti in tempo reale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 13 500 Carlo Infante - Topologia della rete 2. Gli standard di utilizzo delle reti La standardizzazione è necessaria per questioni di interoperabilità e compatibilità. Tuttavia un unico standard non sarà mai in grado di coprire tutti i casi, a causa della grandissima varietà di applicazioni. Per mantenere un quadro sufficientemente chiaro, è necessario un certo livello di categorizzazione. Le reti wireless possono essere classificate in base alla topologia, laddove le varianti più semplici sono la topologia a stella e la topologia a maglia. In una rete a stella, tutti i nodi sono collegati a un unico nodo centrale, che solitamente fornisce la connessione internet. In una rete a maglia, invece, ogni nodo può essere collegato a più nodi e la connessione a Internet può essere effettuate attraverso uno o più nodi. Un esempio tipico di rete a maglia è la rete ZigBee Light Link, nella quale diversi apparecchi di illuminazione sono interconnessi per ampliarne la portata. Solitamente uno dei nodi ZigBee funge da gateway (dispositivo di rete che collega con le reti telematiche). Le reti a maglia sono più complesse e l’inoltro di messaggi può richiedere molto più tempo rispetto a una rete a stella. Per contro, le reti a maglia offrono il vantaggio di poter essere ampliate attraverso nodi intermedi (detti hop, la tratta che separa tra loro due nodi di instradamento nella rete) senza aumentare la potenza dei trasmettitori. Assicurare l’interoperabilità fra sistemi di comunicazione è una sfida complessa che non può prescindere da una standardizzazione. Attualmente, tre organizzazioni che consentono l’interoperabilità dei dispositivi con connettività wireless sono Wi-Fi Alliance, Bluetooth Special Interest Group (SIG) e ZigBee Alliance. Basate su una topologia a stella, le reti Wi-Fi utilizzano il punto di accesso (AP, Access Point) come gateway Internet. Fino a poco tempo fa era piuttosto costoso integrare la connettività Wi-Fi in dispositivi con prestazioni di calcolo ridotte (come termostati o elettrodomestici), a causa delle dimensioni e della complessità del software Wi-Fi. Ora, invece, i nuovi dispositivi e moduli hanno spesso in dotazione standard il software per connettersi in Wi-Fi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 13 501 Carlo Infante - Topologia della rete Wi-Fi si basa sullo standard IEEE 802.11 ed è stato sviluppato come alternativa wireless al diffusissimo cavo Ethernet IEEE 802.3. Nonostante la tecnologia Wi-Fi definisca principalmente il livello di collegamento dati di una rete LAN (Local Area Network), essa è anche integrata a quella TCP/IP per la connettività Internet. Bluetooth fu sviluppato nel 1999 da Ericsson per la comunicazione wireless tra telefoni e computer e il suo nome lo deve ad un re vichingo soprannominato “dente blu”. Oggi è praticamente impossibile trovare un telefono cellulare senza bluetooth per cui è di fatto diventato uno standard di connessione. Bluetooth è una tecnologia PAN (Personal Area Network) con capacità di trasmissione dati fino a 50 Mbit/s. Bluetooth collega accessori wireless con smartphone e tablet e può essere utilizzato come gateway Internet. I monitor cardiaci indossabili che trasmettono i dati a server sul cloud o le serrature comandate da cellulare che inviano informazioni sul loro stato alle compagnie di assicurazioni sono solo due esempi delle molte applicazioni IoT che possono essere implementate con questa tecnologia. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 13 502 Carlo Infante - Topologia della rete 3. L’evoluzione delle reti wireless Pensiamo a milioni e milioni di sensori sparsi per il mondo che inviano informazioni, in modalità wireless, sul traffico, sull’inquinamento atmosferico, sul consumo di energia, sulla temperatura, sull’umidità, sulle presenze, sui dati sanitari. Oppure una sveglia collegata al sistema satellitare che suona in anticipo quando nel percorso per recarsi al lavoro il traffico è superiore alla media per un incidente, per lavori...o un messaggio che ci avvisa quando ci si dimentica di prendere una medicina, o a qualsiasi altra cosa che ci venga in mente. Le reti di telefonia mobile rappresentavano l’unica tecnologia di comunicazione wireless in grado di garantire una copertura globale per l’invio dei dati, ma queste evidenziano svantaggi non indifferenti. La velocità di trasmissione dati era molto più elevata rispetto alle necessità della maggior parte delle applicazioni, in quanto gli oggetti collegati inviano pochi dati più volte al giorno a un sistema informatico centralizzato e sono spesso molto semplici, isolati e funzionanti a batteria, le tariffe sono proporzionali alle elevate velocità di trasferimento dati anche per collegare il più semplice dei dispositivi wireless , e le prestazioni offerte dalla tecnologia per telefoni mobili tendono a deteriorarsi in condizioni ambientali severe o estreme. Esistono oggi opzioni sempre più interessanti per implementare collegamenti di tipo wireless nelle reti di sensori per l’internet delle cose (IoT). Per un decennio o forse più, le reti di telefonia mobile hanno rappresentato l'unica tecnologia di comunicazione wireless universale disponibile, in grado di garantire una copertura praticamente globale in ogni regione abitata del pianeta. Gli utenti hanno ora la possibilità di scegliere tra due nuove topologie di reti Wan (Wide Area Network) ciascuna delle quali garantisce sensibili risparmi in termini di costi rispetto alle reti di telefonia mobile: LoRA (abbreviazione di Long Range) e SigFox. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 13 503 Carlo Infante - Topologia della rete In modi differenti mettono a disposizione degli utenti soluzioni che permettono di ridurre costi e consumi nelle applicazioni IoT. Entrambe le reti rientrano in una nuova categoria di rete universale, pubblica, denominata Lpwan (Low-Power Wide-Area Network). Il nome, in realtà, suona un po' paradossale: gli approcci di tipo tradizionale alla connettività wireless suggeriscono che un dispositivo di rete non dovrebbe essere in grado di operare con consumi ridotti mentre contemporaneamente sta trasmettendo su lunghe distanze. La topologia dei due tipi di reti è la stessa di quella utilizzata dalle tecnologie per telefonia cellulare, ovvero del tipo a stella con una stazione Bts (Base Transceiver Station) al centro. A differenza dei sistemi 2G, 3G o 4G, una rete Lpwan adotta uno schema di modulazione che riduce la velocità di trasmissione dati (throughput) al fine di garantire una maggiore tolleranza nei confronti delle interferenze e dell'attenuazione del segnale. In questo modo la potenza di trasmissione (in uscita) potrà essere molto bassa. Nello stesso tempo la tecnologia richiede ricevitori caratterizzati da una sensibilità molto elevata al fine di mantenere una connessione in presenza di segnali di ingresso relativamente deboli. In altre parole, a differenza di una rete di telefonia mobile, una rete Lpwan è ottimizzata per l'utilizzo in applicazioni IoT, che richiedono bassi consumi e ridotta velocità di trasferimento dati. Il fatto che le reti mobili sono spesso congestionate sia dal traffico telefonico sia dal traffico generato dalla navigazione e dal downloading di contenuti multimediali, poteva essere una delle cause che frenavano l’enorme potenziale dell’Internet delle Cose. Per trasformarlo in realtà era necessario pensare una rete di nuova generazione wireless dedicata esclusivamente al machine to machine (M2M) che indica i servizi che permettono il trasferimento automatico delle informazioni da macchina a macchina nell’ambito dell’Internet of Things, con limitata o nessuna interazione umana, senza interferire con le reti mobili, e in grado di gestire migliaia e migliaia di connessioni contemporanee. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 13 504 Carlo Infante - Topologia della rete 4. La creatività connettiva La connettività, l’attitudine propria del libero scambio di comunicazione on line e dell’human networking può e deve cogliere queste nuove opportunità di interconnessione evoluta, come ciò che sottende l'internet delle cose, che mettono in rete non solo computer e oggetti ma noi tutti, anche quelli inconsapevoli. Si tratta di aprire lo sguardo d’insieme, con un respiro strategico, non solo tecnologico ma antropologico e culturale, per impostare un nuovo approccio con le politiche delle reti. Il dato più peculiare da rilevare è nella capacità di mettere in relazione le combinazioni tecnologiche con le diverse specificità dei linguaggi, grazie a una nuova forma di comunicazione che usa lo stesso Internet Protocol non per accogliere input dalle tastiere dove scriviamo ma da altri sensori, a partire da quelli audio per cui si registra un netto sviluppo delle interfacce vocali. Ciò si sta rivelando come un medium vettore di nuovi comportamenti per alcuni aspetti inerti negli automatismi indotti dalla fretta, come accade con i messaggi vocali di WhatsApp. È opportuno riprendere il dibattito sulla intelligenza connettiva, un concetto, coniato da Derrick de Kerckhove negli anni Novanta, che si è innervato allo sviluppo del web in quanto tecnologia cognitiva, esplicitando le inedite proprietà psicologiche della cooperazione on line. In questa connettività si attiva un processo tecnologico che di fatto si traduce in un processo psicologico e una nuova sensibilità che riscopre il senso naturale delle cose naturalmente interconnesse. Si tratta di un’evoluzione psicologica e cognitiva che attraverso la telematica ha creato condizioni inedite di scambio sociale che vanno anche oltre lo stesso principio dell’intelligenza collettiva che aveva connotato la prima ondata di attenzione culturale al web come ipertesto di ipertesti. La creatività connettiva che si è sviluppata nel contesto multimediale in questi ultimi trent’anni ha svolto già un ruolo decisivo nell’affermazione di un processo che ha trattato del cambiamento epistemologico imposto dal web verso una rifondazione dei linguaggi. Allora era Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 13 505 Carlo Infante - Topologia della rete evidente che l’intero assetto umanistico non poteva più prescindere dalla rivoluzione che l’ipertesto stava creando all’interno delle pratiche della scrittura. Il concetto stesso di Sapere veniva messo in discussione, relativizzando certe prerogative delle classi dirigenti culturali, con una disintermediazione sempre più determinata dalla dinamica reticolare della connettività web, liberando pluralità dei saperi, per una conoscenza più aperta e non gerarchica. Tutto ciò non è solo teorico, presuppone la risultante del processo cognitivo scandito da un’evoluzione tecnologica che sta ridisegnando le sue mappe, con le nuove topologie della rete che dalla connessione tra computer sta passando agli oggetti, anche quelli inscritti nella nostra più intima quotidianità. Ciò comporta una tale quantità di criticità destinata a moltiplicarsi ma al contempo è urgente una consapevolezza che la riequilibri, valorizzando le opportunità che si prospettano e cercando di governare il processo perché criticità come quelle dell'automatismo psichico e della pervasività siano arginate. Nuove topologie della rete delineano quindi nuove traiettorie digitali che possono essere intraprese per la nostra evoluzione, grazie al fatto che si intravedono straordinarie condizioni abilitanti per estendere il nostro potenziale proattivo, attuando quell’innovazione adattiva su cui stiamo concentrando le nostre attenzioni. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 13 506 Carlo Infante - Smart Home Indice 1. DOMOTICA, LA SCIENZA DELLA CASA ................................................................................................ 3 2. LA MOLTITUDINE DEGLI SMART OBJECT CONNESSI ............................................................................ 5 3. UN SISTEMA A INTELLIGENZA DISTRIBUITA ........................................................................................... 8 4. SWITCH HOME, LA DOMOTICA COMPORTAMENTALE ...................................................................... 10 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 13 507 Carlo Infante - Smart Home 1. Domotica, la scienza della casa La domotica è una scienza che si occupa della qualità della vita nella casa e in particolare delle diverse soluzioni tecnologiche che affrontano la condizione dell’abitare in stretta relazione ad alcuni aspetti funzionali come l'efficientamento, l’ergonomia, la sicurezza. Il concetto prende piede già nel XX secolo con i primi impianti elettronici integrati agli impianti elettrici delle case e il suo nome deriva dal latino domus (casa) combinato con il suffisso greco ticos, che riguarda le discipline applicative. Oggi le tecnologie applicate alla dimensione domestica sono in piena espansione, rivolgendosi alla smart home come uno dei punti cardine dell’internet delle cose, un’evoluzione digitale che sta rivoluzionando la domotica. La domotica per decenni ha visto l'apporto di molte tecnologie e professionalità, tra le quali ingegneria edile, architettura, ingegneria energetica, ingegneria gestionale, automazione, elettrotecnica, elettronica, telecomunicazioni, informatica e design. La domotica è una scienza, composta da tecnologie informatiche ed elettroniche, che studia soluzioni automatizzate, interpretando le potenzialità dell’interaction design che riguarda le diverse forme di interazione tra il corpo e gli schermi, in una sorta di nuova ergonomia tra la dimensione fisica e quella immateriale, ottimizzando l’interazione tra l’uomo e le macchine. Ciò per migliorare la qualità della vita e la fruizione dell’ambiente domestico nel suo complesso. L’idea della casa intelligente si è sviluppata prima dell’arrivo di Internet e allora il suo funzionamento si basava sulla linea elettrica. Una delle sue prime realizzazioni può essere considerata la “casa elettrica”, esposta nel 1930 all’Esposizione Triennale Internazionale delle Arti Decorative ed Industriali Moderne di Monza, ideata da Gio Ponti e realizzata dai designer e ingegneri del Gruppo 7. Nel 1966 negli Stati Uniti si inizia a parlare di smart home, con l’intuizione dell’ingegnere James Sutherland, che installò in casa propria un prototipo di computer chiamato Echo IV, che poteva gestire le luci, il televisore, la sveglia, programmando accensione e spegnimento. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 13 508 Carlo Infante - Smart Home In questi ultimi decenni la domotica si è evoluta continuamente e oggi, attraverso numerose funzionalità integrate nell’impianto elettrico, cablandolo attraverso gli indirizzi IP (internet protocol) dei vari dispositivi (elettrodomestici e centraline) si possono gestire tutti gli apparecchi in funzione nell’abitazione, fino ad estendersi all’internet delle cose. Sicurezza, riscaldamento, climatizzazione, illuminazione, screening audiovisivi, elettrodomestici, impianti di irrigazione: le applicazioni sono moltissime. Se l’impianto elettrico esistente non è predisposto per supportare un sistema domotico, allora è necessario intraprendere le necessarie opere di cablaggio. L’impianto domotico è più complesso di un impianto tradizionale, e la realizzazione va affidata a elettricisti e installatori specializzati e competenti. I vantaggi di un sistema domotico, rispetto all’IoT sono molteplici, tra cui la gestione dei dispositivi che è molto più semplice, poiché avviene attraverso un’unica centralina cui gli stessi sono collegati via cavo, cablati. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 13 509 Carlo Infante - Smart Home 2. La moltitudine degli smart object connessi L’IoT (internet of things), è la tecnologia che permette di automatizzare alcune funzioni domestiche attraverso la rete internet. Il vantaggio riguarda i costi da affrontare, visto che non è necessario intervenire con opere di cablaggio. Tuttavia, bisogna prevedere un certo investimento in oggetti connessi, capaci cioè di dialogare con i dispositivi di controllo. Questi ultimi possono essere smartphone, assistenti vocali o un gateway (dispositivo di rete che collega con le reti telematiche). Le configurazioni IoT stanno conquistando fette sempre più ampie di mercato, e gli smart object sono ormai moltitudini. Si calcola che nel 2021 ci saranno miliardi di dispositivi connessi nel mondo. Dai computer, TV, tablet e smartphone, si è arrivati alle lampadine, alle telecamere, agli interruttori, agli elettrodomestici... Ora ci sono anche smart object come specchi, docce e miscelatori, macchine del caffè e bilance, e quanti altri ce ne saranno ancora da inventare. La semplicità della casa connessa è quindi relativa: più aumentiamo i dispositivi connessi, più sarà complicato controllarli, visto che i protocolli di comunicazione sono spesso diversi tra loro. Sarà opportuno quindi verificare che un oggetto connesso sia compatibile con i dispositivi di controllo. Le applicazioni IoT hanno, in particolare, un forte potenziale soprattutto nell’ambito domestico della smart home. È lo sviluppo di quello che fino ad oggi era stato chiamato semplicemente domotica. Le applicazioni vanno dalla messa in rete degli elettrodomestici, grandi o piccoli che siano, per arrivare all’impianto di climatizzazione e alla sicurezza con la gestione della blindatura di porte e finestre. Tutto può essere in rete e così si può non solo controllare a distanza, ma anche monitorare il buono stato degli apparecchi e gestirne nel caso la manutenzione. Lo smartphone è ormai una protesi del corpo umano, e siamo sempre più abituati a usarlo come un telecomando universale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 13 510 Carlo Infante - Smart Home Ma proprio rispetto alla domotica gli esperti ipotizzano che presto il senso più sollecitato dall’hi-tech sarà l’interazione vocale. Il motivo è nella diffusione degli assistenti vocali personali domestici come Echo di Amazon, (cilindro che, tra le altre cose fornisce consigli, suona musica e legge libri) e gli analoghi dispositivi Google Nest e Apple HomePod. Nuovi maggiordomi pensati per controllare usando la voce l’internet delle cose dentro casa. Innegabile vantaggio dell’IoT è la flessibilità e la possibilità di implementare le funzioni nel tempo senza spaccare i muri ma solo riprogrammando il sistema. L’IoT è pensato per accudire chi va di fretta, o quelli che hanno sempre paura di aver lasciato aperto il gas o qualche luce accesa. Basta schiacciare un tasto (anche a distanza, attraverso lo smartphone) per chiudere tutto in un sol colpo: luci, tapparelle, gas. E la sicurezza è garantita dalla porta blindata, magari con sistema di autenticazione biometrica (iride, riconoscimento facciale). In cucina, regno per eccellenza degli elettrodomestici, le possibilità sono molte. Si va dalla cappa che dialoga con i fornelli per regolare l’aspirazione, al frigorifero che, grazie a telecamere interne, ci fa vedere cosa manca mentre siamo al supermercato. Ma l’internet delle cose è anche il metodo per evitare blackout da sovraccarico: gli elettrodomestici comunicano tra loro in rete e si spengono automaticamente. Si può riconfigurare l’impianto elettrico in caso di corto circuito o se un fulmine durante un temporale lesiona il circuito. Il controllo integrato degli impianti di climatizzazione (temperatura caldo e freddo e umidità), un tempo separati, fa risparmiare sulla bolletta energetica anche grazie al check up energetico. Non è un caso se esistono forti detrazioni fiscali per chi installa sistemi di domotica. Anche le finestre intelligenti e le tende interne e quelle esterne ombreggianti fanno parte del sistema. La possibilità di analizzare tutti i dati in gioco poi permette di valutare l’efficienza dell’impianto confrontando diversi tipi di generatore di calore (caldaia a condensazione, pompa di calore, caldaia a legna e diversi tipi di fonti, dal geotermico al fotovoltaico). I nuovi televisori smart tv e home-theatre possono anche diventare delle torri di controllo dove ricevere messaggi dalla lavatrice o aprire finestre su videocitofoni e telecamere di Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 13 511 Carlo Infante - Smart Home sorveglianza. Gli interruttori elettrici diventano centraline multitasking per impostare in sala da pranzo scenari di luce preimpostati, per atmosfere soffuse o set di dance hall. In bagno, ad esempio, si può contare sulla tecnologia wearable (indossabile) per applicazioni di telemedicina. Il monitoraggio dei parametri base (pressione arteriosa, ecc) avviene tramite dispositivi Rfid, sensori miniaturizzati e integrati negli abiti o addirittura impiantati nel corpo umano. Sono già a disposizione degli intelligent mirror, specchi-toilette multiuso che applicano principi di fotometria e di stimolazione multi-sensoriale. Per quanto riguarda il verde domestico l’irrigazione è già da tempo automatizzata mentre si va in vacanza, ma ora lo è anche quella indoor e collegata a un giardiniere che fornisce consigli per chi non ha il pollice verde. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 13 512 Carlo Infante - Smart Home 3. Un sistema a intelligenza distribuita La smart home viene controllata dall’utente attraverso diverse interfacce (come pulsanti, telecomandi, touch screen, tastiere, riconoscimento vocale), che realizzano il contatto (input e output di informazioni) con il sistema intelligente di controllo, basato su un'unità computerizzata centrale oppure su un sistema a intelligenza distribuita. I diversi componenti del sistema sono connessi tra di loro e con il sistema di controllo tramite vari tipi di interconnessione (rete locale, onde radio, bus dedicato ovvero un canale di comunicazione che permette a periferiche e componenti di un sistema digitale di interfacciarsi tra loro scambiandosi informazioni o dati di sistema attraverso la trasmissione e la ricezione di segnali). È stato sviluppato uno standard, il KNX, per l'interconnessione dei diversi componenti in un ambiente domotico. Si tratta di uno standard per l’invio di comandi, controlli o regolazioni ad altri dispositivi domotici. Possono essere termostati, rilevatori di movimento o presenza, sensori di temperatura o luminosità, unità touch-screen, stazioni meteo... Ognuno di questi dispositivi rileva una grandezza fisica e la codifica in un messaggio che successivamente invia sul bus, il canale di comunicazione configurato per l’IoT. Il sistema di controllo centralizzato, con l'insieme delle periferiche in una configurazione ad intelligenza distribuita, provvede a svolgere i comandi impartiti dall'utente (ad esempio accensione luce cucina oppure apertura tapparella sala), a monitorare continuamente i parametri ambientali (come allagamento oppure presenza di gas), a gestire in maniera autonoma alcune regolazioni (ad esempio temperatura) e a generare eventuali segnalazioni all'utente o ai servizi di teleassistenza. I sistemi di automazione sono di solito predisposti affinché ogniqualvolta venga azionato un comando, all'utente ne giunga comunicazione attraverso un segnale visivo di avviso/conferma dell'operazione effettuata (ad esempio LED colorati negli interruttori, cambiamenti nella grafica del touch screen) oppure, nei casi di sistemi per disabili, con altri tipi di segnalazione (ad esempio sonora). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 13 513 Carlo Infante - Smart Home Un sistema domotico si completa, di solito, attraverso uno o più sistemi di comunicazione con il mondo esterno (ad esempio messaggi telefonici preregistrati, SMS, generazione automatica di pagine web o e-mail) per permetterne il controllo e la visualizzazione dello stato anche da remoto. Sistemi comunicativi di questo tipo, chiamati residential gateway svolgono la funzione di avanzati router (ovvero i commutatori usati come interfacciamento tra sottoreti diverse). Ciò permette la connessione di tutta la rete domestica al mondo esterno, e quindi al web. Esempio di funzioni di un impianto di illuminazione intelligente: accensioni multiple anche automatiche di luci in base all'instaurarsi di condizioni specifiche scenari; autoaccensione delle luci dopo il riconoscimento automatico di una prolungata assenza; centralizzazione dello spegnimento o autospegnimento delle luci quando viene riconosciuta l'assenza di utenti; gestione completamente autonoma e automatica dell'illuminazione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 13 514 Carlo Infante - Smart Home 4. Switch home, la domotica comportamentale La programmazione dei nuovi gateway consente inoltre la creazione di virtual room, che uniscono le funzioni di più dispositivi in un dispositivo unico anche se non appartenenti allo stesso gruppo. Questa innovativa programmazione è stata definita comportamentale per intendere un’evoluzione adattiva della domotica creando la nuova categoria di switch home, per cui il termine switch è inteso come cambiamento, passaggio, di adattamento come nel caso di utenti disabili. La switch home può quindi restituire l’autonomia alle persone diversamente abili, migliorandone la qualità di vita. Le nuove tecnologie adattive e le relative applicazioni sono state progettate da chi si occupa di domotica a prova di handicap. L’aspetto evolutivo di questi sistemi è nell’introduzione di dispositivi e soluzioni che possono annullare, in parte o totalmente, la debolezza di un individuo nelle diverse declinazioni dell’ambiente in cui vive ed opera. Primo passo per una switch home a misura di disabile è quindi la progettazione ergonomica sia degli spazi, privi di barriere architettoniche, sia degli arredi con elementi user friendly rispondenti alle necessità dell’utente. Grazie alla domotica per disabili, sviluppata negli anni, si è oggi predisposti all’inserimento di impianti di automazione della casa che assistano scenari comportamentali, adattivi alle particolari abilità dell’utente per rendere attivo, intelligente e cooperativo l’ambiente in modo che esso abbia tutti i requisiti di safety e security adatti all’utenza, lo spazio che circonda la persona affetta da disabilità non sarà più percepito come un ostacolo. Gli impianti domotici in casa sono utili soprattutto per supportare l’accessibilità e migliorare la qualità della vita delle persone diversamente abili, che hanno ad esempio poca o nulla abilità di movimento autonomo. L’elemento caratterizzante di questi impianti di ultima generazione è rappresentato dall’integrazione dei sistemi impiantistici e dei servizi. La smart home è quindi una valida soluzione per migliorare la qualità di vita di utenti deboli con disabilità motorie, sensoriali e cognitive, contribuendo a ridurre la presenza di caregiver (coloro Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 13 515 Carlo Infante - Smart Home che si prendono cura) e assicurando una adeguata sicurezza personale all’utente (safety) e alle cose (security). La switch home è un’abitazione dotata di una rete che collega tra loro sensori, attuatori e apparecchiature domestiche di vario genere controllabili anche a distanza. L’insieme di tali dispositivi consente di fornire servizi che rispondono ai diversi bisogni delle persone che la occupano: risparmio energetico, comfort, sicurezza e assistenza alle attività domestiche. I dispositivi e tutte le risorse della casa sono amministrati da un software di supervisione gestito con un touch screen o con un telecomando o, quando si è fuori casa, anche con dispositivi mobili come lo smartphone o il tablet. A disposizione del disabile possono esserci dei servizi fortemente personalizzabili: dall’isolamento e protezione automatica in caso di temporale al rilevamento di fughe di gas, allagamenti e incendi, alla connessione remota a servizi di assistenza. I vantaggi per il disabile di avere una switch home sono: ● Diminuzione della dipendenza da caregiver e aumento dell’autonomia; ● Miglioramento della qualità della vita e aumento della sicurezza; ● Riduzione del carico di lavoro di assistenti e familiari; ● Monitoraggio da parte dei familiari. Tra le diverse tipologie di dispositivi che si possono installare: ● Dispositivi per l’automazione e il controllo dell’ambiente domestico (attrezzature da cucina automatiche, regolatori di temperatura interna degli ambienti, regolatori di temperatura dell’acqua, dispositivi per la chiusura/apertura dei serramenti, dispositivi per la sicurezza, etc.); ● Dispositivi assistivi (sistemi elettromeccanici o robotici per l’assistenza al movimento; ausili per la mobilità interna, attrezzature per la riabilitazione fisica, interfaccia uomo macchina speciali, etc.); Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 13 516 Carlo Infante - Smart Home ● Dispositivi per il monitoraggio della salute (sistemi per il rilevamento dei parametri vitali, della postura, del comportamento degli occupanti, della ricognizione dell’espressione facciale, etc.); ● Dispositivi per lo scambio delle informazioni (sistemi per l’accesso alle informazioni e alla telecomunicazione, sistemi di telemonitoraggio e teleispezione, controllo da remoto, etc.); ● Dispositivi per l’entertainment (sistemi di realtà virtuale, robot di intrattenimento, etc.). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 12 di 13 517 Carlo Infante - Smart Grid Indice 1. L’INFORMAZIONE E L’ENERGIA............................................................................................................. 3 2. IL COINVOLGIMENTO DEI CITTADINI-PROSUMER NELLA SMART COMMUNITY ................................. 8 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 11 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 11 518 Carlo Infante - Smart Grid 1. L’informazione e l’energia Una smart grid è tale quando si innerva la rete elettrica di sensori intelligenti che raccolgono dati in tempo reale per ottimizzare la distribuzione di energia. Le informazioni provengono da una miriade di terminali: dagli utenti, dai grandi nodi, dai contatori, dai veicoli. Si tratta quindi della combinazione tra una rete di informazioni e una rete di distribuzione elettrica. L'infrastruttura digitale gestisce la rete elettrica in modo intelligente attraverso varie funzionalità, sia in maniera efficiente per la distribuzione di energia elettrica sia per un uso più razionale dell’energia, minimizzando al contempo sovraccarichi e variazioni della tensione elettrica. Il concetto di smart grid nasce in Europa nel 2006 dalla European Technology Platform for the Electricity Networks of the Future ma lo start ufficiale arriva dall’Energy Independence and Security Act approvato dal Congresso degli Stati Uniti nel gennaio 2007 e firmato dall’allora presidente George W. Bush. Le smart grid nascono come evoluzione del sistema elettrico tradizionale per affrontare la sfida energetica e la conseguente transizione, per cui si delinea una strategia fondata su cinque presupposti: sicurezza, solidarietà e fiducia; piena integrazione del mercato interno dell’energia; efficienza energetica; azione per il clima e decarbonizzazione dell’economia; ricerca, innovazione e competitività. La transizione energetica è la chiave per raggiungere gli obiettivi globali di ridurre le emissioni di gas serra e mantenere l’aumento della temperatura globale sotto i 2° C. Da qui l’introduzione sempre più spinta delle fonti rinnovabili nel sistema di produzione e la necessità di gestire le naturali fasi di calo e di eccesso di offerta. Le smart grid aiuteranno lo sviluppo delle rinnovabili dato che grazie al loro apporto si potrà accogliere una quota maggiore della produzione da energie rinnovabili, garantendo una gestione sostenibile della rete. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 11 519 Carlo Infante - Smart Grid Inoltre, costituiscono una necessità determinata dallo sviluppo della produzione energetica su base periferica della rete. La produzione di energia elettrica, specialmente da impianti fotovoltaici, da piccoli produttori locali è già una realtà con uno sviluppo importante e la rete richiede un necessario aggiornamento, contemplando l’esigenza di gestire le situazioni in cui la produzione periferica è limitata o eccessiva rispetto ai consumi. Le reti intelligenti sono nate proprio per gestire al meglio questa e altre sfide, tra le quali si affermerà una maggior centralità del ruolo dell’utente finale. Infatti, come detto, non sarà più solo consumatore, ma anche produttore, il prosumer un concetto che ha preso piede con l’avvento del web 2.0. L’adozione delle reti intelligenti consente diversi benefici: assicura l’integrazione della generazione distribuita e garantisce l’energia necessaria ai nuovi usi elettrici finali, come le pompe di calore, solo per citarne uno. Inoltre le smart grid contribuiscono a ridurre i tempi di interruzione elettrica, permettendo di migliorare la continuità del servizio. Tutto questo grazie alla tecnologia digitale: le smart grid sono dotate di funzioni di riconfigurazione automatica e ottimale della rete e di protezioni che si adattano rapidamente alla topologia della stessa. Consentono anche di migliorare la sicurezza del sistema mediante una gestione più efficace e puntuale delle risorse connesse alla rete, permettendo l’aumento della quantità di generazione distribuita connessa alla rete senza compromettere la qualità della fornitura. Permettono di offrire una risposta più rapida a eventualità impreviste e di svolgere ricerche di guasto molto evolute, rapide e in modo automatizzato, minimizzando i tempi di fuori servizio. La miglior conoscenza della rete, possibile grazie alle smart grid, consente di svilupparla in modo ancor più attento alle esigenze degli utenti. Grazie alla sua capacità di rilevare sovraccarichi, l’energia elettrica viene reindirizzata in modo da prevenire o ridurre al minimo una potenziale interruzione e di lavorare autonomamente quando le condizioni richiedono una risoluzione rapida e sicura. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 11 520 Carlo Infante - Smart Grid La sua flessibilità è un altro vantaggio: è in grado di accettare energia praticamente da qualsiasi fonte, rinnovabile o non, anche se la nascita delle smart grid è legata all’introduzione delle rinnovabili nel sistema. Inoltre è in grado di integrare le migliori innovazioni tecnologiche, secondo l’applicazione di internet delle cose (IoT). La rete elettrica tradizionale si basa sul passaggio tra la centrale di produzione dell’elettricità e la sua distribuzione agli utenti finali, possibile grazie a una rete di trasmissione a grande distanza e ad alta tensione. La distribuzione, attraverso l’apposita rete, viene attuata dalle linee a media e bassa tensione. L’interfaccia tra la rete elettrica di trasmissione e quella di distribuzione è costituita da cabine primarie di trasformazione da alta o altissima tensione a media. L’energia elettrica viene solitamente generata da poche grandi centrali elettriche, dotate di generatori elettromeccanici alimentati da energia meccanica proveniente principalmente da grosse masse d’acqua (idroelettrica) o dalla combustione di fonti fossili (termoelettrica). Queste centrali di produzione elettrica sono poste in genere lontano dai centri abitati o dagli utilizzatori finali con il risultato che occorre predisporre il trasporto dell’energia elettrica. Nella rete tradizionale esistono già collegamenti dati a livello di generazione ma soprattutto di trasmissione dell’energia elettrica in Alta e Media Tensione, utilizzati per il controllo e il monitoraggio della rete. La smart grid a differenza della rete tradizionale che segue un modello di generazione centralizzata di energia che dalle grandi centrali viene veicolata nelle reti di trasmissione, prevede la presenza di sistemi di generazione distribuita. Si tratta di sistemi di produzione di elettricità da fonti rinnovabili, sotto forma di unità di piccola produzione, come possono essere gli impianti fotovoltaici residenziali o aziendali o piccole centrali a biomassa, allacciati direttamente alla rete elettrica di distribuzione. Dato che le fonti rinnovabili non sono programmabili, gestire sistemi di generazione distribuita di energia richiede anche una intelligenza digitale che gestisce il sistema elettrico complessivo così da consentirgli di accogliere eventuali surplus di energia redistribuendoli in aree vicine, prevenendo o riducendo al minimo un’interruzione potenziale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 11 521 Carlo Infante - Smart Grid Altra innovazione importante delle smart grid è la gestione bidirezionale dell’energia, potendo riceverla, ma anche immetterla nel sistema quando è in eccesso, redistribuendo il flusso in tempo reale e a seconda degli effettivi bisogni. Per riuscire in questo le smart grid contano su dispositivi intelligenti, tali da permettere uno scambio continuo di informazioni tra tutti i nodi. In tal modo, oltre a ovviare a buchi, permette di ridurre gli sprechi. Da qui il suo valore di rete efficiente. Gli smart device che fanno parte della rete intelligente sono sensori, smart meter, computer e altri apparati tecnologici. Le smart grid rappresentano quindi l’evoluzione della rete elettrica attuale con l’integrazione intelligente della gestione del flusso di energia elettrica dei produttori, degli utilizzatori e di entrambi. L’evoluzione della rete elettrica in smart grid è quindi data da queste peculiarità: ● Fonti rinnovabili non programmabili (fotovoltaico, eolico) ● Generazione distribuita ● Nuove tipologie di utenti: prosumer; veicoli elettrici La rete elettrica tradizionale è di tipo unidirezionale, sia per quanto riguarda il flusso di energia, sia per le informazioni. Le reti intelligenti invece prevedono un flusso bidirezionale dell’energia elettrica e uno scambio bidirezionale di informazioni e dati. Questo significa che l’energia elettrica può anche essere immessa nella griglia dagli utenti stessi, sia attraverso generatori di energia come impianti fotovoltaici, sia da sistemi di accumulo di energia elettrica come i veicoli elettrici. Questi sistemi di co-generazione, perfettamente integrabili nei progetti smart city, di low carbon economy e di efficientamento energetico, prevedono una forte presenza di generazione distribuita, anche di piccola taglia (microgeneratori, impianti solari ed eolici), ubicata nei nodi Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 11 522 Carlo Infante - Smart Grid periferici delle reti di distribuzione, tradizionalmente progettate per flussi energetici unidirezionali (dal centro verso i nodi periferici). Inoltre, poiché le fonti rinnovabili non sono programmabili, la generazione distribuita richiede anche una maggiore capacità di razionalizzare ed ottimizzare le risorse nella gestione del sistema elettrico complessivo, in modo tale da gestire in tempo reale eventuali surplus di energia redistribuendoli in aree contigue (dove spesso si possono presentare dei deficit) e sfruttando progressivamente i sistemi di accumulo di nuova generazione (utili anche per favorire la diffusione della mobilità elettrica o emobility). Le principali problematiche da affrontare nell’implementazione delle smart grid sono il controllo delle tensioni, la cyber security e la gestione del flusso d’informazione e di controllo all’interno della rete (quindi i protocolli da adottare nelle comunicazioni su linea di potenza). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 11 523 Carlo Infante - Smart Grid 2. Il coinvolgimento dei cittadini-prosumer nella smart community Con le smart grid diventa centrale la figura del prosumer, ovvero un produttore/consumatore che produce e consuma la propria energia, utilizza sistemi intelligenti per incrementare l’efficienza energetica della propria utenza, in modo da ottimizzare i consumi e poter rendere disponibile in maniera efficiente l’energia che produce ad altri utilizzatori. Nascono così nuovi concetti di gestione di energia elettrica, volti ad effettuare un bilanciamento efficiente dell’energia in modo da progettare la rete elettrica per soddisfare non i picchi di richiesta di energia ma la sua media, questo anche grazie a dispositivi intelligenti per la gestione dei carichi stessi. Le differenze principali che si possono riscontrare tra i due differenti paradigmi, reti tradizionali e smart grid, risiedono pertanto nell’introduzione di tecnologie avanzate e nella necessità di un coordinamento (management) di quantità di informazioni tramite sistemi di gestione interattivi. La smart grid è una condizione abilitante che esplicita come l’innovazione stia cambiando il modo di vivere dei cittadini. L’evoluzione tecnologica sta portando allo sviluppo di città e reti intelligenti che consentiranno una gestione totale dei flussi energetici e delle informazioni. L’obiettivo è quello di realizzare conglomerati abitati estesi capaci di offrire servizi “a misura d’uomo”, facili da fruire e resi possibili tramite infrastrutture ad energia rinnovabile, sistemi ad alta efficienza e il minor spreco possibile. Tutte le strategie che sottendono la smart city includono un’attenta pianificazione urbanistica e l’ottimizzazione dei servizi pubblici, per una maggiore integrazione tra le differenti realtà e contesti d’utilizzo. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 11 524 Carlo Infante - Smart Grid In questo senso, l’aspetto tecnologico va di pari passo con quello legato alla comunicazione, alla mobilità e alla salvaguardia dell’ambiente, in un mix che garantisca un accesso alle risorse per la totalità degli individui, limitando gli sperperi, di qualsiasi natura. La fusione del capitale fisico, umano, intellettuale e sociale è il vero nucleo che movimenta ogni attività di costruzione della smart city e ancor più della smart community che presuppone una condizione più senziente e performante dei cittadini-prosumer. La città del futuro è perciò modulare, dinamica, rispettosa dell’ambiente e, allo stesso tempo, maggiormente competitività sotto il profilo di business e altamente ottimizzata per velocizzare e snellire ogni genere di attività. Di norma, per individuare e classificare la smart city è bene considerare sei elementi fondati, accomunati da questa filosofia intelligente. Le città del futuro si sviluppano perciò seguendo direttrici quali, economia, mobilità, ambiente, governance, vita e persone. Seguendo questo genere di approccio è possibile abilitare una crescita che tenga conto delle matrici regionali e urbane, delle risorse naturali presenti, massimizzando la qualità della vita e coinvolgendo i cittadini nella vita della città stessa, secondo il modello smart community. L’intelligenza, tipica dei nuovi progetti di città, passa obbligatoriamente da una superiore integrazione di ogni aspetto legato ai servizi e alle strutture, con il mondo digitale. Mettere in comunicazione differenti comparti consentirà di risolvere numerosi problemi delle comunità e di attivare una estesa rete di servizi a supporto del cittadino, con e per le istituzioni. L’Italia dal 2019 è alla guida dell’International Smart grid action network a cui aderiscono 26 Paesi di tutto il mondo e a breve verrà ratificata l’adesione del Brasile, consentendo al network di coprire anche il Sud America. L’Unione europea si è data l’obiettivo di sostituire entro la fine del 2020 l’80% dei vecchi contatori della luce elettrica con smart meter, il contatore telegestito che permette all’utente di gestire e conoscere i propri consumi. Agendo direttamente sui consumi finali, questi nuovi device, Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 11 525 Carlo Infante - Smart Grid unitamente alle smart grid, dovrebbero favorire una riduzione delle emissioni di gas serra di almeno il 10%. Obiettivo dell’Ue è attivare 200 milioni di smart meter per l’elettrificazione (e 45 milioni per il gas) entro la fine dell’anno (per un investimento complessivo stabilito nel 2014 di 45 miliardi di euro). Dal 2002 ad oggi, in Europa, si legge in un report del Joint research centre sono stati lanciati 950 progetti smart grid, di cui 324 frutto di consorzi a cui hanno partecipato più Paesi, per un totale di 5 miliardi di euro di investimenti. A livello mondiale, infine, crescono rapidamente gli investimenti e i guadagni in questo settore, tanto che il mercato globale delle smart grid potrebbe arrivare a valere complessivamente circa 93 miliardi di dollari nel 2026 (da poco più di 22 miliardi stimati per il 2018), secondo stime Reports and Data. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 11 526 Carlo Infante - Trusted computing e neutralità della rete Indice 1. LA TECNOLOGIA CHE CONTROLLA E SOTTRAE AGIBILITÀ IN RETE ..................................................... 3 2. I DIRITTI IN INTERNET, DALLA NEUTRALITÀ DELLA RETE ALL’OPEN ACCESS ......................................... 5 3. L'INTELLIGENT DIGITAL MESH ................................................................................................................ 7 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................................. 11 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 11 527 Carlo Infante - Trusted computing e neutralità della rete 1. La tecnologia che controlla e sottrae agibilità in rete La continua evoluzione digitale interverrà sempre di più nell’integrazione tra il mondo fisico e quello digitale e i grandi player dell’hardware e del software stanno mettendo a punto la tecnologia del trusted computing per intercettare e fare business con questo flusso digitale del futuro. Il punto non è certo nell’inibire impresa profittevole bensì evitare che ciò avvenga in modo improprio e lesivo dei diritti di agibilità nel web. Il trusted computing (TC), significa computazione fidata e riguarda una tecnologia pervasiva che con l’intento di evitare la presenza di soluzioni software estranee alle configurazioni standard permetterà di controllare i vari dispositivi, dagli smartphone agli elettrodomestici inseriti nell’internet delle cose. Un’evoluzione di Internet in cui le "cose" si connettono tra loro, all’interno della rete interconnessa, per comunicare dati relativi a funzioni e informazioni che possono essere condivise con altri oggetti e altri luoghi. Questi oggetti sono dispositivi, attrezzature o luoghi che messi in rete, sul principio del M2M (Machine to Machine), garantiscono diversi compiti dalla identificazione alla localizzazione. TC è un progetto nato nell’ambito del Trusted Computing Platform Alliance con l'obiettivo di inserire il chip del Trusted Platform Module (TPM) con chiavi crittografiche che non potranno essere modificate dall’utente. Va detto con chiarezza e consapevolezza critica: siamo sempre più esposti agli occhi indiscreti del mondo esterno con il rischio di ritrovarci in una società sorvegliata. Può infatti prospettarsi, se non opportunamente contrastata, una limitazione della libertà che dovrebbe essere rigettata dagli Stati democratici. Nelle nostre case, nel nostro privato, non ci saranno barriere per la privacy e la propria libertà personale, perché potranno essere agevolmente superate dai chip del trusted computing. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 11 528 Carlo Infante - Trusted computing e neutralità della rete La controversia attorno a questa tecnologia nasce dal fatto che tali dispositivi sarebbero effettivamente sicuri da manomissioni esterne, ma impedirebbero all'utente eventuali utilizzi, definiti impropri. I principali sviluppatori di questa tecnologia sono i membri promotori del Trusted Computing Group, ovvero AMD, HP, IBM, Infineon, Intel, Lenovo, Microsoft e Sun Microsystems e al momento (2020) solo alcuni computer portatili e telefoni cellulari destinati all'utenza business negli USA sono dotati del TPM ma sono tanti i produttori di schede madri dispo