NOZIONI PRELIMINARI L’ORDINAMENTO GIURIDICO Il sistema di regole, modelli e schemi mediante i quali è organizzata una collettività viene chiamato “ordinamento”. L’ordinamento di una collettività costituisce il suo diritto. La finalità dell’ordinamento giuridico (che si dice originario quando la sua organizzazione non è soggetta ad un controllo di validità da parte di un’altra organizzazione) è quella di “ordinare” la realtà sociale questo perché la cooperazione tra gli uomini rende realizzabili risultati che sarebbero altrimenti irraggiungibili per il singolo; Occorre però che il coordinamento degli apporti individuali non sia lasciato al caso o alla buona volontà di ciascuno, ma venga disciplinato da regole di condotta; che queste regole siano decise da appositi organi ai quali tale compito sia affidato in base a precise regole di struttura o di competenza o organizzative; che tanto le regole di condotta quanto quelle di struttura vengano effettivamente osservate. Gli uomini perciò danno vita a collettività di vario tipo: si pensi alle chiese o ai partiti politici, ai sindacati o alle organizzazioni culturali ma tra tutte le forme di collettività, importanza preminente ha sempre avuto la Società politica. La Società politica è rivolta alla soddisfazione non dei vari bisogni dei consociati, ma all’assicurare i presupposti necessari affinché le varie attività promosse dai bisogni stessi possano svolgersi in modo ordinato e pacifico; mira quindi ad impedire le aggressioni tra gli stessi componenti e a potenziare la difesa dell’intera collettività contro i pericoli esterni. Nozione di Stato: Una certa comunità di individui stanziata in un certo territorio ed organizzata in base ad un certo sistema di regole, ossia un ordinamento giuridico. L’Unione Europea Nel 1950 con la dichiarazione di Robert Schuman ministro degli affari esteri Francese nasce l’Europa. Nel 1951 con il Trattato di Parigi nasce la CECA – Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio – Nel 1957, a Roma, i sei Paesi fondatori – Belgio, Francia, Germania, Italia Lussemburgo e Paesi Bassi firmano il Trattato che istituisce la CEE - Comunità Economica Europea . Il 7 Febbraio del 1992 è stato firmato il Trattato di Maastricht, un trattato destinato a segnare il passaggio dalla Comunità Economica Europea all’ Unione Europea, dando la possibilità ai Paesi membri di consolidare la loro unione politica, economica e monetaria. Il 2 ottobre 1997 è stato firmato il Trattato di Amsterdam, che si propone tra l’altro di delineare la politica sociale e promuovere un più alto livello occupazionale. Il Trattato di Nizza, firmato nel 2001, apporta cambiamenti al funzionamento delle Istituzioni dell’Unione Europea e rappresenta la proclamazione dei Diritti fondamentali dei cittadini europei. Il 1° gennaio 2002 sono state introdotte le banconote e le monete in Euro. Attualmente l’Unione Europea è composta da 27 Stati membri: Ancora aperta anche la vicenda del trattato costituzionale dell’unione europea firmato a Roma il 29/10/04 che sarebbe entrato in vigore il 01/11/06 se tutti gli stati avessero ratificato cosa che non è accaduta. Il 1° gennaio 2007 entrano a far parte dell'Unione europea anche la Bulgaria e la Romania , che hanno firmato i trattati di adesione a Lussemburgo il 25 aprile 2005. L’ordinamento di una collettività è costituito da un sistema di regole. Ciascuna di queste regole, proprio perché concorre a disciplinare la vita organizzata della comunità, si chiama norma; e poiché il sistema di regole da cui è assicurato l’ordine di una società rappresenta il diritto di quella società, ciascuna di tali norme si dice giuridica. La norma giuridica non va mai confusa con la norma morale, nemmeno quando l’una e l’altra abbiano identico contenuto. Difatti, mentre ciascuna regola morale è assoluta, nel senso che trova solo nel suo contenuto la propria validità, la regola giuridica deriva la propria forza vincolante dal fatto di essere prevista da un atto dotato di autorità nell’ambito dell’organizzazione di una collettività. Di solito la norma viene consacrata in un documento normativo. In tal caso occorre non confondere la “formula” (il testo) della disposizione, con il “precetto” (il significato) che a quel testo viene attribuito dall’interprete. La differenza tra norma di legge e la norma morale risiede nel fatto che la prima è la fonte in un atto che fa nascere la legge mentre la norma morale è assoluta e personale. Non bisogna confondere il concetto di “norma giuridica” con quello di “legge”. Per un verso infatti, la legge è un atto o documento normativo, che contiene norme giuridiche, e che quindi sta con queste in rapporto da contenente a contenuto; per altro verso, accanto a norme aventi “forza di legge”, ogni ordinamento conosce tante altre norme giuridiche frutto di altri atti normativi es. la Consuetudine; per altro verso ancora, una medesima legge può contenere molte norme, ma una norma può anche risultare soltanto dal “combinato disposto” di più disposizioni legislative, ciascuna delle quali può regolare anche un solo aspetto del problema complesso. I caratteri essenziali della norma giuridica avente forza di legge sono la generalità e la astrattezza Con il carattere della generalità si intende sottolineare che la legge non deve essere dettata per singoli individui, bensì o per tutti i consociati o per classi generiche di soggetti. Con il carattere della astrattezza si intende sottolineare che la legge non deve essere dettata per specifiche situazioni concrete, bensì per fattispecie (stato di cose) astratte, ossia per situazioni individuate ipoteticamente. Importante, per caratterizzare la norma avente valore di legge,è il“principio di eguaglianza”(art. 3 Cost.). Dal principio di eguaglianza va tenuto distinto il principio per cui i pubblici uffici devono rispettare il criterio della imparzialità (art. 97 Cost.), ossia l’obbligo di applicare le leggi in modo eguale. Nell’art. 3 della Cost. è invece codificato il vero principio di eguaglianza, che ha due profili: a) il primo è di carattere formale (art. 3.1) ed importa che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni sociali e personali”. b) il secondo è di carattere sostanziale (art. 3.2) ed impegna la Repubblica a ”rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Il controllo del rispetto del principio di eguaglianza è affidato alla corte Costituzionale, la quale può dichiarare l’illegittimità di una norma avente forza di legge quando ritenga “irragionevole” o “incongruente” o “contraddittoria” o “arbitraria” una differenziazione normativa di situazioni che, in realtà, siano omogenee, ovvero un’assimilazione di trattamento nei confronti di situazioni che, in realtà, siano diverse, ovvero a parità di condizioni deve corrispondere un trattamento eguale e a condizioni diverse un trattamento differenziato. In qualche ipotesi può avvenire che l’applicazione del comando al caso concreto dia luogo a conseguenze che urtano contro il sentimento di giustizia. La norma si esprime con una ipotesi di fatto (si ipotizza una fattispecie). La norma si struttura come un periodo ipotetico che si compone della previsione di un accadimento eventuale e di una conseguenza giuridica; la parte della norma che descrive l’evento da regolare si definisce fattispecie. La struttura della norma giuridica è articolata nella previsione di una fattispecie “astratta”, un’ipotesi d’evento, al verificarsi del quale la legge ricollega determinati effetti giuridici (es. ogni descrizione di un contratto indica gli elementi essenziali per il perfezionamento dell’accordo). Per fattispecie “concreta” s’intende non più un modello configurato ipoteticamente, ma un complesso di fatti realmente verificatisi, e rispetto ai quali occorre accertare se e quali effetti giuridici ne siano derivati. Mentre l’individuazione della fattispecie astratta si risolve in una pura operazione intellettuale, l’indagine sulla fattispecie concreta consiste nell’accertamento del fatto storico, quale realmente verificatosi, da porre poi a confronto con l’ipotesi astratta prevista dalla legge. La fattispecie può constare di un solo fatto (es. la nascita di tizio la norma che disciplina la capacità giuridica, la fattispecie che la determina è la nascita del soggetto) e si chiama allora fattispecie semplice. Se invece la fattispecie è costituita da effetti giuridici che si producono solo con il soddisfacimento di più condizioni/fatti giuridici (per alienare i beni di un incapace occorrono l’autorizzazione del tribunale e il consenso del rappresentante legale) essa si dice fattispecie complessa. La fattispecie a formazione progressiva è un particolare tipo di fattispecie complessa le cui condizioni, affinché si verifichi l'effetto tipico previsto dall'ordinamento, sono soggette ad un particolare ordine logico o cronologico. (es. i beni che devono arrivare con una nave dall’estero ovvero il negozio su cosa futura non si può attuare il passaggio di proprietà perché la cosa non è venuta ad esistenza ma il venditore è vincolato sul piano obbligatorio quindi una vendita sotto condizione sospensiva, ad esempio, si realizza solo con il soddisfacimento della suddetta condizione). Il giusnaturalismo ("diritto naturale") è il termine generale che racchiude quelle dottrine filosofico-giuridiche che affermano l'esistenza di un diritto naturale, cioè di un insieme di norme di comportamento dedotte dalla "natura" e conoscibili dall'essere umano. si contrappone al cosiddetto positivismo giuridico (“diritto positivo”) basato sul complesso delle norme che costituiscono l’ordinamento giuridico di una società. e che considera come unico possibile diritto il diritto positivo, prodotto dal legislatore. La dottrina del giuspositivismo si presenta in opposizione a quella del giusnaturalismo La differenza consiste nel fatto che: • il giuspositivismo è una concezione monista del diritto, che ritiene che il diritto positivo sia l'unico diritto degno di questo nome; • il giusnaturalismo è una concezione dualista: sostiene cioè l'esistenza di due ordini di diritto: Un diritto naturale: insieme di principi eterni e universali; Un diritto positivo: che si trova in relazione subordinata: prodotto storico che promana dalla volontà del legislatore. Per i giusnaturalisti il diritto positivo, per essere valido, deve essere giusto e quindi conforme ai principi del diritto naturale. Il giusnaturalismo stabilisce una correlazione necessaria tra il diritto storicamente vigente e la morale, come insieme di principi razionali che governano la vita associata. Il giuspositivismo, invece, esclude che tra i due debba esservi una relazione necessaria e ammette in alcune sue forme che il diritto possa essere anche ingiusto, scindendo la sua validità dalla sua giustizia. Secondo alcune scuole di pensiero il diritto naturale non può essere considerato un vero e proprio diritto, perché, a differenza del diritto positivo, manca del carattere della coercibilità, cioè della possibilità di essere fatto valere con la forza. Per la scienza del diritto, unico diritto è il diritto valido, prodotto secondo i criteri stabiliti dalla Costituzione e dalle altre norme di produzione. In sintesi il giuspositivismo è una concezione che identifica il diritto con la legge dello stato Mentre il diritto positivo ha un fondamento obiettivo che consente di non elevare al rango di norma giuridica qualsiasi contenuto emanato da chi ha potere, il diritto naturale non ha fondamento obiettivo in quanto ognuno vorrebbe un ordinamento conforme alle proprie personali concezioni. Esso costituisce un monito sia al legislatore che all’interprete. Il concetto di diritto evoca quello di giustizia in nessun ordinamento si verifica un sistema di rapporti “giusto” poiché l’uomo è un essere imperfetto” ma appare comunque biasimevole rinunciare ad una valutazione critica dell’ordinamento nel quale si vive per realizzare una società che sia la migliore possibile. Le norme giuridiche si caratterizzano per il fatto di essere suscettibili di attuazione forzata (coercizione) o sono comunque garantite dalla predisposizione, per l’ipotesi di trasgressione, di una conseguenza in danno del trasgressore, chiamata “sanzione”, la cui minaccia favorirebbe l’osservanza spontanea della norma. Ogni norma ha quindi solitamente ha una sanzione, una sua coercibilità. L’ordinamento giuridico pone delle regole di comportamento e se queste vengono violate si interviene con una sanzione. COERCIBILITA’: agire esecutivamente (es. se il debitore non adempie alla prestazione che è un pagamento in denaro il creditore può rivolgersi al giudice il quale può richiedere l’espropriazione dei beni del debitore e la vendita di questi in modo tale che il creditore possa soddisfarsi tramite il ricavato della vendita.) COERCIBILITA’ IN FORMA SPECIFICA: es. le parti si sono impegnate a stipulare un contratto come può essere il preliminare di compravendita, se una delle parti si rifiuta di stipulare il contratto allora si ha l’obbligo di concludere il contratto e quindi la coercibilità è specifica cioè la parte adempiente può ottenere una sentenza che gli permette di ottenere gli stessi diritti che avrebbe avuto nel caso in cui il contratto si fosse concluso. Spesso, accanto a “norme di condotta” (dette primarie), il legislatore prevede una “risposta” o una “reazione” dell’ordinamento (dette secondarie), da far scattare in caso di inosservanza del comportamento prescritto. Vi è peraltro da rilevare che la difesa dell’ordinamento non viene perseguita soltanto attraverso misure repressive di una situazione preesistente illegittimamente violata, ma anche mediante misure preventive, di vigilanza e di dissuasione, e perfino con l’ausilio di norme che si limitano ad affermazioni di principio, che svolgono un’importante funzione “esemplare”, indipendentemente dalla previsione di qualsiasi sanzione. Di recente sono frequenti anche norme che stabiliscono “premi” e “incentivi a favore dei soggetti che si vengano a trovare in particolari situazioni (ad es. a favore di imprese che intraprendono nuove attività in zone considerate depresse o sottosviluppate). La sanzione può operare in modo diretto [(realizzando il risultato che la legge prescrive) es. viene distrutto a spese dell’obbligato ciò che è stato fatto in violazione di un obbligo] , o in modo indiretto: in questo caso l’ordinamento si avvale di altri mezzi per ottenere l’osservanza della norma o per reagire alla sua violazione. Nel diritto privato, la sanzione non opera, di regola, direttamente. L’equità è stata definita la giustizia del caso singolo. L’ordinamento giuridico sacrifica spesso la giustizia del caso singolo all’esigenza della certezza del diritto, in quanto ritiene pericoloso affidarsi alla valutazione soggettiva del giudice e preferisce che i singoli possano prevedere esattamente quali saranno le conseguenze dei loro comportamenti ( principio della certezza del diritto). Perciò, nel diritto privato, il ricorso all’equità è ammesso solo in casi eccezionali e precisamente in quelli in cui la stessa norma giuridica rinvia all’equità., il che avviene nelle cause di minor valore attribuite alla competenza del giudice di Pace, ovvero nel caso in cui siano le controparti ad attribuire al giudice di decidere secondo equità. IL DIRITTO PRIVATO E LE SUE FONTI Il diritto pubblico disciplina l’organizzazione dello Stato e degli altri enti pubblici, regola la loro azione, interna e di fronte ai privati, ed impone a questi ultimi il comportamento cui sono tenuti per rispettare la vita associata e il reperimento dei mezzi finanziari necessari per il perseguimento delle finalità pubbliche. Il diritto privato, invece, si limita a disciplinare le relazioni interindividuali, sia dei singoli che degli enti privati, non affidandone la cura ad organi pubblici, ma lasciando alla iniziativa personale anche l’attuazione delle norme. Molto spesso, un medesimo fatto è disciplinato sia da norme di diritto privato che da norme di diritto pubblico (es. l’investimento di un pedone da parte di un automobilista fa scattare sia la sanzione penale per lesioni colpose sia la sanzione civile del risarcimento del danno) Le Norme di Diritto privato: Norme derogabili (dispositive) e Norme inderogabili (cogenti). - Il codice civile detta le disposizione alle quali le parti possono derogare, ad esempio la disciplina dei vizi della compravendita è una norma derogabile a favore dell’acquirente. L’ applicazione può essere evitata mediante un accordo delle parti - Per le norme inderogabili invece le parti non hanno disponibilità in certe materie, ad esempio nella locazione di immobili destinati ad uso abitativo è stabilito che la durata minima è di 4 anni e pertanto non si può stabilire una durata inferiore. Se le parti derogano si avrà l’effetto della nullità della pattuizione e verrà sostituita la clausola nulla. L’ applicazione è imposta dall’ordinamento. NORME SUPPLETIVE: Sono norme che intervengono là dove non viene espressa la volontà delle parti, ad esempio se un soggetto ha più debito nei confronti di un altro soggetto ed effettua un pagamento, il debitore può dichiarare a quale debito imputare il pagamento; se il debitore non fa questa dichiarazione di imputazione è la legge stessa che stabilisce a quale debito vada imputato il pagamento. La norma quindi interviene là dove non viene espresso nulla. Sebbene le norme di diritto pubblico siano quasi sempre cogenti, e quelle di diritto privato per la maggior parte dispositive, possono anche aversi norme di diritto pubblico suscettibili di deroga o norme di diritto privato cogenti. Con la norma dispositiva il legislatore enuncia una regola conforme alla disciplina che viene adottata di solito dalle parti stesse, e perciò può considerarsi “tipica”, potendosi presumere che, se l’ipotesi fosse stata contemplata, la volontà comune dei contraenti si sarebbe indirizzata verso quella soluzione (es. se le parti non hanno convenuto diversamente il mutuario deve corrispondere gli interessi al mutuante art. 1815 del c.c. anche se le parti possono escludere l’operatività di tale regola e pattuire un mutuo gratuito) Fonti delle norme giuridiche FONTI LEGALI: Atti o fatti che producono o sono idonei a produrre norme. Quando parliamo di fonti parliamo di gerarchia. Dalle fonti di produzione si distinguono le fonti di “cognizione”, ossia i documenti e le pubblicazioni ufficiali da cui si può prendere conoscenza del testo di un atto normativo (es. Gazzetta ufficiale) Le fonti si possono distinguere in materiali e formali quest’ultime non contengono norme di diritto propriamente dette (es. la buona fede, l’equità, la ragionevolezza.) Rispetto a ciascuna fonte, quando si tratti di un “atto”, si può distinguere: a) l’Autorità investita del potere di emanarlo (es. il Parlamento, il Governo); b) il procedimento formativo dell’atto; (es. procedimento di emanazione di una legge costituzionale o regionale c) il documento normativo (la legge considerata nella sua lettera o nel suo testo); d) i precetti ricavabili dal documento. E’ chiaro che ogni ordinamento deve stabilire le norme sulla produzione giuridica, ossia a quali Autorità, a quali organi, e con quali procedure, sia affidato il potere di emanare norme giuridiche. Nel nostro Paese la gerarchia delle fonti viene così ricostruita: L'articolo 1 delle Disposizioni sulla legge in generale (preleggi ovvero 31 articoli posti come premessa del Codice civile nel ‘42) anteposte al Codice Civile afferma che sono fonti del diritto: 1. Le leggi 2. I regolamenti 3. Le norme corporative 4. Gli usi. L'articolo dà un elenco un po' diverso da quello che effettivamente vige in realtà, questo perché il testo del Codice Civile risale al 1942, ancora in periodo fascista, e quindi non considera quella che è la fonte del diritto per eccellenza, cioè la Costituzione. Anche l'ordinamento corporativo è stato soppresso nel 1944 dopo la caduta del regime. Oggi si può parlare nell'ordine di cinque diverse fonti di produzione: la Costituzione, le leggi, le leggi regionali, i regolamenti, gli usi. L'ordine in cui sono scritte non è casuale, ma implica una gerarchia ben precisa delle fonti (alla sommità della scala si collocano i principi “fondamentali”) del diritto: la fonte di grado inferiore non può per nessun motivo contrastare con quella di grado superiore. 1) COSTITUZIONE Una legge ordinaria non può né modificare la Costituzione o altra legge di rango costituzionale, né contenere disposizioni in qualsiasi modo in contrasto con norme costituzionali. A presidio di questa rigidità della nostra Carta costituzionale è stato istituito un apposito organo, la Corte costituzionale, cui è affidato il compito di controllare se le disposizioni di una legge ordinaria siano in conflitto con norme costituzionali. Se la Corte ritiene illegittima una norma, dichiara con sentenza la incostituzionalità della disposizione viziata, che cessa la sua efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione cui i cittadini non possono rivolgersi direttamente ma la questione di costituzionalità deve essere sollevata dal giudice il quale, durante un procedimento lo sospende sottoponendo alla Corte Costituzionale la questione di illegittimità. Nel caso in cui la Corte accolga l’illegittimità allora avviene l’abrogazione della norma reputata incostituzionale; 2) FONTI COMUNITARIE ( Regolamenti e Direttive); Ha valore prevalente rispetto alle stesse leggi ordinarie statali tutta la normativa comunitaria Le fonti normative di matrice comunitaria si distinguono in: a) regolamenti ossia norme applicabili dai giudici dei singoli Stati ebri come se fossero leggi dello stato (in caso di contrasto prevale la norma regolamentare) b) direttive che hanno lo scopo di armonizzare le legislazioni interne dei singoli paesi a differenza dei regolamenti le direttive non sono immediatamente efficaci a devono essere attuate mediante l’emanazione di apposite leggi. Uno stato che non adempie all’obbligo di attuare una direttiva può essere sanzionato dagli organi comunitari. Quindi si evince come l’adesione alla comunità europea abbia comportato l’accettazione di una limitazione della prerogativa sovrana dello stato 3) LEGGI ORDINARIE; Le leggi statali ordinarie sono approvate dal parlamento (approvazione di un testo da entrambe le camere promulgazione da parte del Presidente della Repubblica pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. La legge ordinaria può abrogare o modificare qualsiasi norma non avente valore di legge, mentre non può essere modificata o abrogata se non da una legge successiva. Vi sono materie che non possono essere regolate se non mediante leggi (cd riserva di legge) quindi non possono essere disciplinate da fonti normative di rango inferiore. Alle leggi statali sono equiparati sia i decreti legislativi delegati che i decreti legge di urgenza, sebbene emanati dal Governo e non dal Parlamento, ma a condizione che, rispettivamente, o si mantengano rispettosi della legge di delega ( nel 1° caso) o siano convertiti in legge dal Parlamento entro 60 gg.( nel 2° caso). La legge ordinaria può essere abrogata con referendum popolare 4) LEGGI REGIONALI L’art. 117 conferisce un potere legislativo regionale (leggi regionali) nell’abito di una serie di materie che non siano competenza esclusiva dello stato (es. norme processuali ordinamento civile e penale ecc.) 5) FONTI CONSUETUDINARIE (Regolamenti,usi e consuetudini) Nel diritto italiano, il termine Regolamento indica una fonte normativa secondaria, sott’ordinata rispetto alla legge nel sistema della gerarchia delle fonti, la cui emanazione costituisce una facoltà riconosciuta al potere esecutivo (governo ministri e altre autorità) I regolamenti regolano specifiche materie in forza di una delega o autorizzazione contenuta in una legge (es. regolamenti della Consob in materia di disciplina dei mercati finanziari) Affinché sussista una Consuetudine è necessario che siano soddisfatte tre condizioni: 1) che un certo tipo di comportamento osservabile sia generalmente e costantemente ripetuto in un certo ambiente per un tempo adeguatamente protratto 2) che il comportamento ripetuto sia giudicato nell’ambiente sociale come doveroso e non semplicemente conforme a prassi In dottrina si usa distinguere tre tipi di consuetudini secondo gli Usi: a) si dicono consuetudini secundum legem quelle che operano “in accordo” con la legge; b) si dicono consuetudini praeter legem quelle che operano “al di là” della legge; c) si dicono consuetudini contra legem quelle che operano contro la legge. La consuetudine non è prevista e disciplinata dalla Costituzione. Ovvero gli usi hanno efficacia solo in quanto dalla legge richiamati (secundum legem il rinvio è precluso nelle materie coperte da riserva di legge.) Per le materie non disciplinate da fonti scritte si ricorre alla consuetudine (praeter legem) solo se il caso non possa essere deciso tramite analogia e che non ricada in alcun principio generale Si ha consuetudine contra legem, invece quando è contraria a norme di legge e si pone in posizione abrogativa rispetto a norme di legge. Non è ammissibile nel nostro ordinamento in quanto la consuetudine è fonte strutturalmente subordinata alla legge e può operare solo nei limiti in cui la legge lo consente La prova della consuetudine può essere fornita da documenti testimonianze ecc. poiché il giudice potrebbe non essere a conoscenza di quest’ultima Il codice civile Il codice civile costituisce, insieme alla Costituzione ed alle leggi speciali una delle fonti del diritto civile. La codificazione del diritto civile in Italia è stata influenzata in modo decisivo dalla codificazione francese. Negli anni del dominio napoleonico in Italia fu vigente un codice civile che era la traduzione italiana del Code Napoléon; successivamente, dopo la caduta dell'impero e la restaurazione, quasi tutti gli stati italiani emanarono codici civili, in gran parte modellati sull'esempio del Code Napoléon. Il primo codice civile italiano unitario fu elaborato negli anni successivi all'unità d'Italia, ed entrò in vigore nel 1865. Il codice civile oggi vigente in Italia che ha sostituito quello del 1865, è stato emanato nel 1942. Il codice civile ha una particolarità unica tra i codici civili europei: contiene sia la disciplina del diritto civile sia la disciplina del diritto commerciale, che in precedenza erano dettate in due codici diversi. I codici oggi in vigore in Italia risalgono all'epoca fascista, e il codice civile non fa eccezione: Si è continuato ad usare il codice del 1942 durante la repubblica perché la sua impostazione era sostanzialmente liberale; naturalmente si sono espunte le parti più apertamente fasciste, come i riferimenti alle norme corporative, e un'ulteriore lavoro di lima è stato fatto dalla Corte Costituzionale. Svariati interventi legislativi sommati a accordi internazionali e normativa comunitaria hanno pesantemente modificato e integrato il codice, o si sono semplicemente aggiunti. STRUTTURA .DEL .CODICE .CIVILE - Libro Primo: Delle Persone e della Famiglia, artt. 1-455 - contiene la disciplina della capacità delle persone, dei diritti della personalità, delle organizzazioni collettive, della famiglia; - Libro Secondo: Delle Successioni, artt. 456-809 - contiene la disciplina delle successioni a causa di morte e del contratto di donazione; - Libro Terzo: Della Proprietà, artt. 810-1172 - contiene la disciplina della proprietà e degli altri diritti reali; - Libro Quarto: Delle Obbligazioni, artt. 1173-2059 - contiene la disciplina delle obbligazioni e delle loro fonti, cioè principalmente dei contratti e dei fatti illeciti (la cosiddetta Responsabilità civile); - Libro Quinto: Del Lavoro, artt. 2060-2642 - contiene la disciplina dell'impresa in generale, del lavoro subordinato e autonomo, delle società aventi scopo di lucro e della concorrenza; - Libro Sesto: Della Tutela dei Diritti, artt. 2643-2969 - contiene la disciplina della trascrizione, delle prove, della responsabilità patrimoniale del debitore e delle cause di prelazione, della prescrizione. L’EFFICACIA TEMPORALE DELLE LEGGI Per l’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi si richiede oltre all’approvazione da parte delle due Camere: a) la promulgazione della legge da parte del Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione (Art.73 Cost.); b) la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica (Art.73.3 Cost.); c) il decorso di un periodo di tempo, detto vacatio legis, che va dalla pubblicazione all’entrata in vigore della legge, e che di regola è di 15 giorni Con la pubblicazione la legge si reputa conosciuta e diventa obbligatoria per tutti, anche per chi, in realtà, non ne abbia conoscenza. Vale, infatti, il principio per cui ignorantia iuris non excusat, cosicché nessuno può invocare a propria scusa, per evitare una sanzione, di aver ignorato l’esistenza di una disposizione di legge. La Corte costituzionale ha tuttavia stabilito che l’ignoranza della legge è scusabile quando l’errore di un soggetto in ordine all’esistenza o al significato di una legge penale sia stato inevitabile. Si ha abrogazione della legge per Illegittimità Costituzionale Successioni della legge nel tempo: es. Riforma de diritto di famiglia ( prima non si potevano riconoscere i figli adulterini, oggi è permesso). Nei periodi di passaggio delle riforme esistono le Norme transitorie Una disposizione di legge viene abrogata quando un nuovo atto dispone che ne cessi l’efficacia (anche se una norma, pur dopo abrogata può continuare ad essere applicata ai fatti verificatisi anteriormente). Per abrogare una disposizione occorre sempre l’intervento di una disposizione nuova di pari valore gerarchico: e così una legge non può essere abrogata che da una legge posteriore. L’abrogazione può essere espressa o tacita. Espressa quando la legge posteriore dichiara esplicitamente abrogata una legge anteriore. Tacita se manca, nella legge successiva, una tale dichiarazione formale, ma le disposizioni posteriori: a) o sono incompatibili con una o più disposizioni antecedenti; b) o costituiscono una regolamentazione dell’intera materia già regolata dalla legge precedente, la quale, pertanto, deve ritenersi assorbita e sostituita integralmente dalle disposizioni più recenti anche in assenza di una vera e propria incompatibilità tra la vecchia e la nuova disciplina. Fenomeno simile ma diverso è quello della Deroga: essa si ha quando una nuova norma sostituisce, ma solo per specifici casi, la disciplina prevista dalla norma precedente, che continua però ad essere applicabile a tutti gli altri casi. Un’altra figura di abrogazione espressa può essere realizzata mediante un referendum popolare, quando ne facciano richiesta almeno 500.000 elettori o 5 Consigli regionali, e la proposta di abrogazione si considera approvata se alla votazione partecipi la maggioranza degli aventi diritto purché la proposta di abrogazione consegua la maggioranza dei voti espressi (Art.75 Cost.). Anche la dichiarazione di incostituzionalità di una legge ne fa cessare l’efficacia. Ma mentre l’abrogazione ha effetto solo per l’avvenire (la legge, benché abrogata, può e deve essere ancora applicata ai fatti verificatisi quando era in vigore), la dichiarazione di incostituzionalità, invece, annulla la disposizione illegittima ex tunc, come se non fosse mai stata emanata, cosicché non può più essere applicata neppure nei giudizi ancora in corso e neppure ai fatti già verificatisi in precedenza. L’abrogazione di una norma che, a sua volta, aveva abrogato una norma precedente non fa rivivere quest’ultima, salvo che sia espressamente disposto: in tal caso la norma si chiama ripristinatoria. L’art.11.1 delle preleggi stabilisce che “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Si dice, quindi, retroattiva una norma la quale attribuisca conseguenze giuridiche a fattispecie (concrete) verificatesi in momenti anteriori alla sua entrata in vigore. Nel nostro ordinamento solo la norma penale non può essere retroattiva: “nessuno può essere punito per un fatto che non costituiva reato. Efficacia retroattiva hanno, poi, le c.d. “leggi interpretative”, ossia emanate per chiarire il significato di norme antecedenti e che, quindi, si applicano a tutti i fatti regolati da queste ultime. [Per indicare la retroattività si dice che il negozio ha efficacia "ex tunc" (da allora), mentre per indicare la situazione ordinaria si dice che il negozio ha efficacia "ex nunc" (da ora).]L’applicazione del principio di irretroattività non è sempre agevole in alcuni casi interviene il legislatore a regolare il passaggio tra la vecchia e quella nuova con specifiche norme, che si chiamano disposizioni transitorie. La legge nuova non può colpire i diritti quesiti, che, cioè, sono già entrati nel patrimonio di un soggetto (Un esempio è il diploma: non appena entra nel patrimonio del maturato esso diviene quesito in quanto indiscutibile). Nella pratica divenne spesso problematico individuare i diritti quesiti per via delle numerose eccezioni riscontrabili nelle legislazioni transitorie, col risultato che a volte la legge li rispettava, altri li travalicava. Proprio l’indeterminatezza della nozione di diritto quesito fece sì che si affermasse la diversa teoria del fatto compiuto, in virtù della quale le nuove norme non estendono la loro efficacia ai fatti compiuti sotto il vigore della legge precedente, benché dei fatti stessi siano pendenti gli effetti Quest’ultima teoria è maggiormente seguita L’APPLICAZIONE E L’INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE Per applicazione della legge s’intende la concreta realizzazione, nella vita della collettività, di quanto è ordinato dalle regole che compongono il diritto dello Stato. E’ compito dello Stato attraverso i suoi organi, curare l’applicazione delle norme di diritto pubblico. Viceversa l’applicazione delle norme di diritto privato non è imposta in modo autoritario, ma è lasciata alla prudenza e al buon senso dei singoli. Anche se è proprio la previsione di una lite giudiziale che induce molti a prestarsi spontaneamente al soddisfacimento di interessi altrui. Interpretare un testo normativo non vuol dire solo conoscere quanto il testo in sé già esprimerebbe, bensì decidere che cosa si ritiene che il testo effettivamente possa significare e, conseguentemente, come vadano risolti i conflitti che insorgono nelle sua applicazione. L’attività di interpretazione non può mai esaurirsi nel solo esame dei dati testuali. In primo luogo, infatti, non tutti i vocaboli contenuti nelle leggi possono essere definiti nelle leggi stesse: pertanto il significato che viene loro attribuito in ciascun contesto va ricavato da elementi extra-testuali. In secondo luogo le leggi, nel disciplinare rapporti sociali, si riferiscono, in generale a classi di rapporti: spetterà all’interprete, di fronte a rapporti concreti, decidere se considerarli inclusi nella disciplina della singola norma, oppure no, ed a tal fine l’interprete dovrà impiegare particolari tecniche di “estensione” o di “integrazione” delle disposizioni della legge, attingendo a criteri di decisione extra-legislativi. In terzo luogo le formulazioni delle leggi sono spesso in conflitto tra loro: conflitti che si superano ricorrendo a criteri di gerarchia tra le fonti, a criteri cronologici, a criteri di specialità. In quarto luogo, di fronte a ciascun caso singolo difficilmente si può applicare un’unica norma, ma occorre utilizzare un’ampia combinazione di disposizioni, ritagliate e ricomposte per adattarle al caso: operazione complessa che si avvale di nozioni sistematiche a carattere dottrinario ed extra-testuali. L’attribuzione da parte dell’interprete a un documento legislativo viene detta interpretazione “dichiarativa”. Quando invece il processo interpretativo attribuisce ad una disposizione un significato diverso da quello che il suo tono letterale potrebbe suggerire si parla di interpretazione “correttiva”. Dal punto di vista dei soggetti che svolgono l’attività interpretativa si distingue tra interpretazione giudiziale, dottrinale e autentica. L’attività interpretativa assume valore vincolante solo quando è compiuta dai giudici dello Stato nell’esercizio della funzione giurisdizionale (c.d. interpretazione giudiziale). L’interpretazione dottrinale è costituita dagli apporti di studio dei cultori delle materie giuridiche, i quali si preoccupano di raccogliere il materiale utile alla interpretazione delle varie disposizioni, di illustrarne i possibili significati, di sottolineare le conseguenze delle varie soluzioni interpretative. Non costituisce, infine, vera attività interpretativa la c.d. interpretazione autentica, ossia quella che proviene dallo stesso legislatore, che emana apposite norme per chiarire il significato di norme preesistenti. Questa ha efficacia retroattiva: infatti essa chiarisce anche per il passato il valore da attribuire alla legge precedente, troncando i dubbi che erano sorti sulla sua interpretazione. Il c.c. impone di valutare non solo il significato proprio delle parole (c.d. interpretazione letterale), ma anche l’intenzione del legislatore. Altri criteri cui l’interprete e il giudice si rivolge, sono: a) il criterio logico, volto ad escludere dalla norma quanto non vi appare espressamente, volto ad estendere la norma per comprendervi anche fenomeni simili a quelli risultanti dal contenuto letterale della disposizione, volto ad estendere la norma in modo da includervi fenomeni che a maggior ragione meritano il trattamento riservato a quello risultante dal contenuto letterale della disposizione),volto ad escludere quella interpretazione che dia luogo ad una norma assurda); b) il criterio storico: nessuna disposizione spunta all’improvviso in un ordinamento; c) il criterio sistematico: per determinare il significato di una disposizione è indispensabile collocarla nel quadro complessivo delle norme in cui va inserita, onde evitare contraddizioni e ripetizioni; d) il criterio sociologico: la conoscenza degli aspetti economico-sociali dei rapporti regolati è spesso illuminante per pervenire ad una interpretazione congruente con la realtà disciplinata e su cui quelle regole sono destinate e svolgere una influenza: e) il criterio equitativo: volto ad evitare interpretazioni che contrastino col senso di giustizia della comunità. Il giudice quando non riesce a risolvere il caso su cui deve pronunciarsi deve procedere applicando “per Analogia” le disposizioni che regolino casi simili, e qualora il caso rimanga ancora dubbio, applicando “i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”. Ricorrere ad un ragionamento per analogia significa applicare ad un caso non regolato (in quanto per esso non si è trovato nessuna norma che lo contempli le cd lacune dell’ordinamento ) una norma non scritta ricopiata da una norma scritta, la quale, però, risulta dettata per regolare un caso diverso, sebbene simile a quello da decidere. Individuare tra due fattispecie diverse, una regolata ed un’altra non regolata, un rapporto di somiglianza, significa che di due entità può dirsi che sono simili se hanno qualche elemento in comune. Deve trattarsi proprio dell’elemento che giustifica la disciplina accordata al caso: l’identità di quell’elemento ci fa concludere che pur il caso non regolato merita identica disciplina. Vi è il ricorso quindi sia all’analogia legis (applicazione in via analogica ad un caso non regolato da disposizioni atte a regolare quella fattispecie) che all’analogia iuris ossia si ricava una norma estrapolandola dai generali orientamenti del sistema legislativo Il ricorso all’analogia è sottoposto, nel nostro ordinamento a limiti: essa non è consentita né per le leggi penali, né per quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi. Il divieto si giustifica in relazione alle norme penali, per il principio di stretta legalità che caratterizza le norme incriminatrici: nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto compiuto, per le norme eccezionali si giustifica in quanto non si vogliono allargare le deroghe privilegiando la disciplina normale a quella eccezionale I CONFLITTI DI LEGGI NELLO SPAZIO Il diritto internazionale privato Al mondo non esiste un solo Diritto uniforme perciò in ciascun Paese, vengono elaborate norme di diritto internazionale privato: ossia regole che stabiliscono quale tra varie leggi nazionali vada applicata nelle singole ipotesi, scegliendo dal punto di vista spaziale, la legge più idonea a disciplinare quella fattispecie, ossia la legge vigente nello Stato ove il rapporto appaia meglio localizzato. Il diritto internazionale privato: a) sebbene venga tradizionalmente denominato così, non è in realtà un diritto internazionale: (tale è il c.d. diritto internazionale pubblico, ossia il diritto che ha fonte in accordi tra soggetti internazionali, mentre il diritto internazionale privato, è invece il diritto interno, ciascun ordinamento stabilisce il proprio); b) non abbraccia solo norme relative a rapporti di diritto privato, ma comprende pure altri tipi di rapporti soprattutto quelli di tipo processuale; c) è costituito non da norme materiali, ossia che disciplinano esse stesse la sostanza di taluni rapporti, bensì da regole strumentali, che si limitano cioè ad individuare a quale ordinamento debba farsi capo, per giungere poi, applicando l’ordinamento così individuato, a stabilire come quel rapporto vada disciplinato (tecnica del rinvio) Per stabilire quale sia l’ordinamento da applicare occorre in primo luogo procedere alla qualificazione del rapporto in questione, evidenziandone la natura. Fatto ciò, occorre che la norma di diritto internazionale privato precisi un elemento del rapporto per elevarlo a momento di collegamento, ossia al momento decisivo per l’individuazione dell’ordinamento competente a regolare il rapporto in oggetto. Per quanto riguarda la capacità giuridica delle persone fisiche si applica la legge nazionale della persona. Se questa ha più cittadinanze si applica la legge di quello tra gli Stati di appartenenza con il quale essa ha il collegamento più stretto. Se tra le cittadinanze vi è quella italiana, questa prevale. La capacità d’agire delle persone fisiche è anch’essa regolata dalla loro legge nazionale. Gli enti, le società, le associazioni e le fondazioni sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione. Tuttavia si applica la legge italiana se la sede dell’amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l’oggetto principale di tali enti. Per quanto riguarda il matrimonio si distingue tra: a) la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio, sono regolata dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio; b) per la forma del matrimonio vale la legge del luogo di celebrazione, ma può applicarsi pure la legge nazionale di almeno uno dei coniugi al momento della celebrazione o la legge dello Stato di comune residenza in quel momento; c) per i rapporti personali tra coniugi si applica la legge nazionale se hanno uguale cittadinanza o, se hanno diversa cittadinanza, la legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è localizzata; d) i rapporti patrimoniali tra coniugi vanno regolati dalla legge applicabile ai rapporti personali a meno che i coniugi abbiano convenuto per iscritto l’applicabilità della legge dello Stato di cui almeno uno di essi è cittadino o nel quale almeno uno di essi risiede. e) La separazione personale si applica la legge dello stato nel quale la vita matrimoniale risulta localizzata qualora la legge straniera non preveda la separazione o il divorzio questi sono regolati dalla legge italiana f) Per i giudizi di nullità annullamento separazione personale e divorzio si usa sempre adire (n.b. Significato: Contattare un'autorità giudiziaria per i propri diritti SINONIMO ricorrere: ad es. in tribunale) il giudice italiano se uno dei coniugi è cittadino italiano o il matrimonio è stato celebrato in Italia Lo stato di figlio è determinato dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita. Il riconoscimento di un figlio naturale è regolato dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita o dalla legge nazionale del soggetto che fa il riconoscimento, nel momento in cui questo avviene. L’adozione è regolata dal diritto nazionale dell’adottato o degli adottanti se comune o, in mancanza, del diritto dello stato nel quale gli adottanti sono entrambi residenti al momento dell’adozione. La successione mortis causa è regolata dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta al momento della morte. Per i beni immateriali si applica la legge dello Stato di utilizzazione. Le obbligazioni contrattuali sono regolate dalla Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali del 19/06/80 essa fonda un Diritto internazionale privato uniforme ovvero alle obbligazioni contrattuali si applica la legge dello stato ove il contratto presenta il collegamento più stretto collegamento che si presume sussista nel paese in cui la parte che deve fornire la prestazione caratteristica (opera fornitura ecc. o ove si trovi la residenza abituale o la propria amministrazione centrale) La responsabilità per il fatto illecito è regolata dalla legge dello Stato in cui si è verificato l’evento. L’art.31 delle preleggi disponeva che “in nessun caso le leggi e gli atti di uno Stato estero possono avere effetto nel territorio dello Stato, quando siano contrari all’ordine pubblico o al buon costume. L’ordine pubblico in questione non è il c.d. ordine pubblico interno, (costituito da tutte le disposizioni che non possono essere derogate ai privati bensì quello internazionale, che abbraccia solo i fondamentali principi cui l’ordinamento pubblico giuridico italiano è ispirato.(es. non si può consentire l’applicazione di una norma straniera che ammetta la schiavitù) La nuova disciplina stabilisce che non è più onere della parte che voglia far valere un diritto fondato su norme di un ordinamento straniero provare l’esistenza delle norme della legge straniera evocate a proprio favore ma spetta al giudice stesso anche interpellando il ministero della giustizia accertare il contenuto della legge straniera applicabile: nel caso in cui non sia possibile accertare la legge straniera il giudice deciderà in base a quella italiana Tra gli stranieri occorre distinguere i c.d. cittadini comunitari dai c.d. extracomunitari. Per i primi si applica l’art.8 del Trattato Istitutivo della CE che ha introdotto la “cittadinanza dell’Unione”, attribuita a chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. Ai cittadini comunitari non solo va riconosciuto il godimento degli stessi diritti civili attribuiti al cittadino nazionale, ma spettano perfino alcuni limitati diritti politici, quali il voto delle elezioni comunali. Per gli extracomunitari è applicabile sia il diritto d’asilo, sia l’inammissibilità della estradizione per reati politici. Inoltre allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno. Pure all’extracomunitario è assicurato il godimento dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano a meno che le convenzioni internazionali in vigore per Italia dispongano diversamente. Attiene al Diritto privato invece la condizione di reciprocità, ossia la concessione di un diritto allo straniero a condizione che nella medesima fattispecie ad un italiano, nel paese di cui quello straniero è cittadino, quel diritto sarebbe parimenti riconosciuto, la ricorrenza di tale reciprocità deve essere accertata secondo criteri da statuirsi in un apposito regolamento di attuazione. A tutti i lavoratori stranieri, infine, è garantita parità di trattamento e piena eguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani. L’ATTIVITA` GIURIDICA E LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE Il Diritto Privato regola le relazioni fra soggetti,Soggetto Attivo,Soggetto Passivo e Terzi Il rapporto giuridico è la relazione tra soggetti, regolata dal ordinamento giuridico. Soggetto attivo è colui a cui l’ordinamento giuridico attribuisce il potere (o diritto soggettivo) (per es. di pretendere il pagamento). Soggetto passivo è colui a carico del quale sta il dovere (per es. di pagare). Quando si vuole alludere alle persone tra le quali intercorre un rapporto giuridico si usa l’espressione “parti”. Contrapposto al concetto di parte è quello di terzo. Terzo è chi non è parte o non è soggetto di un rapporto giuridico. Regola generale è che il rapporto giuridico non produce effetti né a favore, né a danno del terzo. Il rapporto giuridico è la figura più importante di una categoria pi ampia: la situazione giuridica Il Diritto Soggettivo è la signoria del volere il potere di agire per il soddisfacimento di un proprio interesse individuale protetto dall’ordinamento giuridico Con l’attribuzione del diritto soggettivo si realizza la più ampia protezione dell’interesse del singolo al quale, al tempo stesso si riconosce una situazione di libertà, interesse e tutela (di chiedere o non chiedere il risarcimento del danno se mi investono secondo una mia personale valutazione di opportunità l’interesse tutelato è l’integrità fisica e ho una tutela perché posso agire,sono libero o meno di farlo). La norma penale invece scatta indipendentemente dalla volontà del soggetto. In alcuni casi il potere non è attribuito al singolo nell’interesse proprio, ma per realizzare un interesse altrui. Le figure di poteri che al tempo stesso sono doveri (poteri-doveri) si chiamano potestà (es. l’ufficio del tutore di una persona incapace) mentre l’esercizio del diritto soggettivo è libero, in quanto il titolare può perseguire i fini che ritiene più opportuni, l’esercizio della potestà deve sempre ispirarsi al fine della cura dell’interesse altrui. Le facoltà sono, invece, manifestazioni del diritto soggettivo ovvero la situazione giuridica soggettiva del soggetto di diritto che può tenere un determinato comportamento consentito dalla norma. Le facoltà non si estinguono se non si estingue il diritto di cui fanno parte. (es. la facoltà del proprietario terriero di far apporre i confini al suo terreno o meno). Può avvenire che l’acquisto di un diritto derivi dal concorso di più elementi successivi. Se di questi alcuni si siano verificati ed altri no, si ha la figura dell’aspettativa (si pensi per es. all’ipotesi di un’eredità lasciata a taluno a condizione che prenda la laurea. Egli non acquisterà il diritto all’eredità se non quando avrà preso la laurea: intanto si trova in una posizione di attesa che viene tutelata dall’ordinamento). ).Nel periodo tra la stipula e il verificarsi della condizione il contraente gode di Aspettativa. ES:ho acquistato un diritto,non si è verificata la condizione,però l’altro contraente pone in essere un comportamento non corretto che mette a rischio il mio acquisto,posso chiedere al giudice di emettere un provvedimento a carattere conservativo(sequestro giudiziario). Ci sono delle situazioni e degli interessi che non sono però protetti dall’ordinamento (es. aspettativa che il figlio ha sui beni del padre; se quest’ultimo decide finchè è in vita di bruciarsi tutti i suoi avere il figlio non può opporsi). L’Aspettativa trova quindi la tutela del legislatore Si parla, di fattispecie a formazione progressiva, invece per dire che il risultato si realizza per gradi e l’aspettativa attribuita al singolo costituisce un effetto anticipato della fattispecie. (es. perché si formi l’usucapione abbreviata è necessario un titolo astrattamente idoneo la trascrizione del titolo e il possesso per 10 anni. E' necessario che la progressione sia esattamente questa perché si verifichi la fattispecie). A volte alcuni diritti e doveri si ricollegano alla qualità di una persona, la quale deriva dalla sua posizione in un gruppo sociale. Status è, pertanto, una qualità giuridica che si ricollega alla posizione dell’individuo in una collettività a cui vengono collegati una serie di diritti e doveri Lo status può essere di diritto pubblico (es. stato di cittadino) o di diritto privato (es. stato di figlio). Colui al quale l’ordinamento giuridico attribuisce il diritto soggettivo si chiama titolare del diritto medesimo. Come si esercita il diritto soggettivo? Godendo del bene, questo potere trova un limite nell’abuso del diritto. Se esercito un mio diritto non ledo alcuno però, in alcuni casi, il legislatore si preoccupa che questo non sconfini nell’abuso del diritto. (es. non posso piantare alberi nel mio terreno se non mi reca utilità solo per togliere la veduta panoramica al mio vicino altro es. è l’abuso di posizione dominante come condotta vietata a tutela della concorrenza) L’esercizio del diritto soggettivo deve essere distinto dalla sua realizzazione, che consiste nella soddisfazione dell’interesse protetto, sebbene spesso i due fenomeni possono coincidere. La realizzazione dell’interesse può essere spontanea o coattiva: quest’ultima si verifica quando occorre far ricorso ai mezzi che l’ordinamento predispone per la tutela del diritto soggettivo (il debitore non adempie; il creditore, per conseguire quanto gli è dovuto, fa espropriare i beni del debitore). Diritti assoluti: garantiscono al titolare un potere che egli può far valere verso tutti i consociati (senza la cooperazione di un altro soggetto).Correlata a questa situazione vi è il dovere, ovvero i consociati hanno il dovere di astenersi dal ledere il mio diritto. I caratteri sono l’immediatezza (il mio diritto lo esercito con un contatto immediato sulla cosa ( il diritto di proprietà ne è il classico esempio) e l’assolutezza. (questo mio interesse è tutelato nei confronti della generalità dei consociati) Tipici diritti assoluti sono i diritti reali e i diritti della personalità Azioni a tutela: se il diritto di proprietà è disturbato si ha la rivendica e altre azioni a difesa chiamate di petizione. Se un soggetto viola l’obbligo trova applicazione la responsabilità extra contrattuale. Diritti relativi: garantiscono al titolare un potere che egli può far valere solo verso un determinato soggetto (soggetto passivo) (esempio: se vanto un credito nei confronti di un altro soggetto, posso soddisfare il mio diritto solo se il debitore paga). Correlata a questa situazione è l’obbligo di cooperare (l’esempio è appunto è il diritto di credito). I caratteri sono la mediatezza (necessità della collaborazione del debitore) e la relatività (posso far valere il diritto di credito esclusivamente nei confronti del debitore il quale è l’unico che può soddisfare o ledere il mio diritto. Tipici diritti relativi sono i diritti di credito Azioni a tutela: condanna per inadempimento, risoluzione del contratto per inadempimento a quel contratto. Se il debitore viola l’obbligo trova applicazione la responsabilità contrattuale ART. 1218 RESPONSABILITA’ DEL DEBITORE “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. ART. 2043 RISARCIMENTO DEL FATTO ILLECITO “ Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.”. • Il rovescio, sia nei diritti assoluti che reali, è costituito dalla Soggezione es. se richiedo la divisione di un bene indiviso gli altri proprietari non possono opporsi parliamo di Diritti potestativi essi consistono nel potere di operare il mutamento della situazione giuridica di un altro soggetto (es. il proprietario di un fondo può richiedere la comunione forzosa o la prelazione) il soggetto passivo si trova in uno stato di soggezione,non può fare nulla,subisce l’iniziativa del titolare del diritto. Quando esercito questo diritto il soggetto non è tenuto ad alcun comportamento ma subisce l’esercizio del mio diritto; posso mutare la sua situazione con una mia dichiarazione I diritti personali di godimento godono invece di una duplice natura sono diritti assoluti perchè nessuno deve turbare tale godimento della cosa e relativi verso chi ha concesso il godimento L’ordinamento stesso protegge provvisoriamente contro la violenza e il dolo altrui anche la situazione di fatto in cui il soggetto può trovarsi rispetto ad un bene ed attribuisce anche ad essa alcuni effetti. Le situazioni di fatto possono essere altresì rilevanti in tema di società, di pre-uso di un marchio, di famiglia, di rapporti di lavoro, di mezzadria. La figura del dovere generico di astensione incombe su tutti come rovescio della figura del diritto assoluto; all’obbligo è tenuto il soggetto passivo di un rapporto obbligatorio, a cui fa riscontro nel soggetto attivo la pretesa, ossia il potere di esigere il comportamento; la soggezione invece, corrisponde al diritto potestativo. Da queste situazioni passive si deve distinguere la figura dell’onere. La norma impone al soggetto di tenere un certo comportamento,cui è subordinato l’esercizio di un diritto,sono titolare del diritto,ho un potere,però ho anche un onere,se non faccio una cosa non esercito il diritto. Quest’ultimo ricorre quando ad un soggetto è attribuito un potere, ma l’esercizio di tale potere è condizionato ad un adempimento (che però, essendo previsto nell’interesse dello stesso soggetto, non è obbligatorio e quindi non prevede sanzioni per l’ipotesi che resti non attuato). Es. Clausola risolutiva espressa:si verifica l’inadempimento dell’obbligazione,il contratto è irrisolto. Perchè si verifichi però c’è bisogno di una dichiarazione dell’altro contraente di doversi avvalere della clausola risolutiva stessa,non basta l’inadempimento dell’obbligazione.La dichiarazione costituisce l’onere,può non farlo,ma se non lo fa non ottiene la risoluzione del contratto. Altro es. il compratore che intende avvalersi della garanzia per i vizi della cosa vendutagli ha l’onere di denunciare i vizi della cosa entro otto giorni. L’onere è quindi il comportamento cui la parte è tenuta perché si verifichi un certo assetto di interesse. L’onere è diverso dal dovere, dall’obbligo, dalla facoltà; l’onere è un comportamento imposto per il raggiungimento di certi effetti. ONERE DELLA PROVA: è un concetto diverso che non ha nulla a che vedere con l’onere di cui sopra, è più un procedimento. Se formulo una domanda al giudice per tutelare un mio diritto devo dare la prova dell’esistenza di una fattispecie concreta. Esempio: mi rivolgo al giudice e dico che ho stipulato un contratto di somministrazione ed il somministrato non mi ha pagato, chiedo la risoluzione del contratto per inadempimento. Ho l’onere di dimostrare che: 1) ho stipulato il contratto 2) ho eseguito la prestazione (questo è l’onere della prova); dal canto suo il somministrato deve, di fronte a questa prospettazione, dimostrare di aver adempiuto ( anche questo è l’onere della prova). La prova incombe a colui il quale fa un’affermazione. Le parti in giudizio vengono chiamate Attore ( deve dimostrare i diritti ) e Convenuto (deve dimostrare i fatti esecutivi). Il rapporto giuridico si costituisce quando un soggetto attivo acquista il diritto soggettivo. L’acquisto può essere di due specie: A titolo derivativo il diritto che apparteneva ad una persona passa ad un'altra questo fenomeno si chiama successione colui che per effetto di esso perde il diritto si chiama autore o dante causa; chi lo acquista si chiama successore o avente causa. Se compro un immobile da chi è proprietario compio un acquisto a titolo derivativo. L’acquisto può essere Derivativo Traslativo,quando passa da un soggetto all’altro lo stesso diritto(Trasferimento di proprietà) oppure Derivativo Costitutivo,quando il diritto è di natura differente. (Trasferimento di godimento o usufrutto) In entrambi i casi il nuovo soggetto ha lo stesso diritto che aveva il precedente titolare. La successione può essere: - a titolo universale, (nell’ordinamento italiano si verifica solo nel caso di fusione tra società e morte di una persona) quando una persona subentra in tutti i rapporti di un’altra persona, e, cioè, sia nella posizione attiva (es. diritti di proprietà) sia in quella passiva (es. onorare i debiti); - a titolo particolare, quando una persona subentra solo in un determinato diritto o rapporto (es. il legatario che subentra nella titolarità dei diritti di un defunto solo in determinati rapporti). A titolo originario quando il diritto soggettivo sorge a favore di una persona senza essere trasmesso da nessuno ovvero non c’è collegamento con altro titolare di diritto. Per es. il pescatore che fa propri i pesci caduti nella rete fa un acquisto a titolo originario; quale la titolarità del diritto passa da un soggetto “dante causa” ad un soggetto “avente causa”. La vicenda finale di un rapporto è la sua estinzione. Il rapporto si estingue quando il titolare perde il diritto senza che questo sia trasmesso ad altri (es. un animale lasciato in libertà, o le merci gettate in mare per salvare la nave in pericolo di affondare) Non di tutti i diritti soggettivi è consentito al titolare disfarsi o trasferendoli ad altri o rinunziandovi. Oltre ai diritti disponibili ci sono i diritti indisponibili che sono in genere i rapporti che servono a soddisfare un interesse superiore: tali le potestà e i diritti familiari. Gli interessi legittimi In taluni casi, l’osservanza di una disposizione interessa determinati individui non più genericamente quali cittadini, bensì specificamente come portatori di interessi coinvolti dall’azione pubblica. In questi casi al privato viene riconosciuto uno specifico potere di controllo sull’attività della pubblica amministrazione nonché un potere di impugnare gli atti eventualmente viziati. L’interesse legittimo è l’interesse che ci sia rispetto delle regole di funzionamento da parte della Pubblica Amministrazione E’ diverso dal Dir Soggettivo perché il privato non è titolare di un diritto protetto da norme di relazione ma richiede un rispetto delle regole ricordando che nei confronti del potere, accordato laddove prevale l’interesse pubblico, il privato si trova in una situazione di soggezione.. La situazione giuridica dei portatori di tali interessi qualificati viene definita come “interesse legittimo” (il candidato ad un concorso non ha diritto di vincerlo, ma ha un interesse legittimo al regolare svolgimento della gara e può quindi chiedere l’annullamento di tutti gli atti che siano illegittimi per i relativi vizi che possono essere di incompetenza di violazione della legge o di eccesso di potere.) Anche la lesione di un interesse legittimo può costituire fonte di danno risarcibile IL SOGGETTO DEL RAPPORTO GIURIDICO Le situazioni giuridiche soggettive fanno capo ai soggetti. L’idoneità ad essere titolari di situazioni giuridiche soggettive viene definita capacità giuridica: essa compete alle persone fisiche agli enti (si distinguono tra enti che sono persone giuridiche (società di capitali associazioni riconosciute ecc ovvero che hanno autonomia patrimoniale perfetta cioè delle obbligazioni risponde solo l’ente con il suo patrimonio) e enti non dotati di personalità (ad es. associazioni non riconosciute società di persone ad altre strutture organizzate) La capacità giuridica è l'attitudine di un soggetto ad essere titolare di diritti e doveri o più in generale di situazioni giuridiche soggettive. La capacità giuridica è tutelata dall’art. 22 della Costituzione, secondo cui “nessuno può essere privato della capacità giuridica per motivi politici”. La capacità giuridica compete a tutti gli uomini indifferentemente sembrerebbe un ovvietà ma si tratta di una conquista relativamente recente (ancora nel periodo della rivoluzione francese il diritto distingueva tra i soggetti appartenenti a diverse religioni tra soggetti nobili e plebei ecc.) La personalità giuridica consiste nell'avere il diritto all'esercizio della capacità giuridica. Esistono delle limitazioni alla capacità giuridica legate all’età, alle condizioni di salute, alla sussistenza di condanne penali e all’esercizio di diritti detti “personalissimi” (ovvero attivabili solo da chi ne è titolare e non da un eventuale sostituto) che fanno decorrere la capacità giuridica a partire da un momento successivo. È necessario ad esempio avere compiuto sedici anni per contrarre matrimonio L’incapacità speciale è la preclusione del soggetto rispetto a determinati rapporti giuridici può essere: Assoluta = Al soggetto è precluso quel atto es. non posso avere un rapporto di lavoro prima dei 15 anni Relativa = Al soggetto è precluso quel atto solo con determinate persone es. il mio tutore se persona estranea alla mia genie parentale non può succedermi per testamento, oppure un avvocato che assista una controparte in una controversia che ha ad oggetto un bene immobile, l’avvocato non può diventare il proprietario dell’immobile (nemmeno per interposta persona); questa è limitazione della capacità giuridica; poiché limita appunto la possibilità di acquistare un diritto. Si chiamano speciali in quanto il rapporto non è accessibile neanche tramite l’intervento di un rappresentante e l’atto diviene nullo o annullabile questo per porre un divieto a persone che hanno una certa potestà di carattere pubblico, non posso rendersi cessionari di questi beni (si evitano abusi). La capacità di agire è l'idoneità di un soggetto a porre in essere atti giuridicamente validi che consentano al soggetto di acquisire ed esercitare diritti o assumere ed adempiere obblighi Con la maggiore età di acquista la capacità di compiere tutti gli atti. (Soprattutto atti negoziali) Si distingue quindi capacità giuridica generale di essere titolare dei diritti e la capacità di esercitare questi diritti. (es. il bimbo di 3 anni può essere proprietario di un immobile ma non lo può vendere) Due deroghe: a) rapporto di lavoro a 16 anni b) se lavoro a 16 anni posso esercitare i diritti che nascono dal contratto di lavoro. I genitori sono i legali rappresentanti del minore (potestà = diritto/dovere) l’atto deve essere nell’interesse dei figli. Oltre alla capacità d’agire occorre la capacità negoziale ovvero l’idoneità a porre in essere in proprio atti negoziali (vendere, comprare) da non confondere con la capacità extranegoziale che riguarda l’idoneità a rispondere delle conseguenze dannose degli atti posti in essere. La capacità di agire può essere limitata a causa di infermità: Interdizione, Inabilitazione, Amministrazione di sostegno. La legittimazione è l’idoneità del soggetto ad esercitare e/o disporre di un determinato diritto. Legittimato è chi ha il potere di disposizione rispetto ad un determinato diritto, o, chi è qualificato o ha veste per esercitarlo (es. sono proprietario di un bene lo posso vendere) Non sempre il difetto di legittimazione invalida l’atto a volte ci si accontenta dell’apparenza (es. se acquisto un bene mobile da chi non ne è proprietario acquisto ugualmente la proprietà anche se senza mia colpa ignoravo che il bene non appartenesse al venditore) A) LA PERSONA FISICA La capacità giuridica si acquista alla nascita si perde alla morte. Si ha nascita con l’ inizio della respirazione polmonare Il nascituro và dichiarato entro 10 giorni all’ufficiale dello stato civile per la formazione dell’atto di nascita La capacità giuridica si acquisisce anche senza vitalità ossia idoneità fisica alla sopravvivenza è sufficiente che staccato il feto dal grembo materno ci sia stato un respiro. Se “nasce morto” non ha acquistato diritti. Talune posizioni giuridiche sono tutelate anche a favore di chi seppur non ancora nato sia però concepito:si presume concepito al tempo dell’apertura della successione che è nato entro 300 gg. dalla morte della persona della cui successione di tratta. Il concepito può ricevere per donazione e può essere titolare di diritti risarcitori una volta nato (es. condotta imperita dell’ostetrico oppure diritto al risarcimento del danno per l’assassinio del genitore) I diritti che la legge riconosce sono ovviamente subordinati all’evento della nascita. Ricordiamo che possono inoltre ricevere per testamento e per donazione i figli di una determinata persona vivente al tempo della morta del testatore, benché non ancora concepiti. Si ha morte con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo Il morto và dichiarato entro 24 ore all’ufficiale dello stato civile per la formazione dell’atto di morte Entro le 24 ore la morte è dichiarata all’ufficiale dello stato civile per la formazione dell’atto di morte, Con la morte alcuni rapporti facenti capo al defunto si estinguono (es. il matrimonio). L’accertamento del momento della morte è importante ai fini della disciplina dei trapianti. Se due persone muoiono nello stesso sinistro, può avere talora rilevanza stabilire quale delle sue sia morta prima Commorienza: La legge stabilisce che, quando un effetto giuridico dipende dalla sopravvivenza di una persona a un'altra e non consta quale di esse sia morta prima, tutte si considerano morte nello stesso momento. La norma ha rilievo quando i beneficiari di una assicurazione vita o infortuni vengono indicati nelle persone degli "eredi legittimi e/o testamentari". Nel diritto civile, con l’espressione “incapacità legale” si indicano le situazioni in presenza delle quali si presume legalmente che un soggetto non sia in grado di avere quella capacità di discernimento tipica di un individuo adulto La minore età, l’interdizione giudiziale e l’interdizione legale sono incapacità assolute precludono cioè il compimento di qualsiasi atto negoziale L’inabilitazione, l’emancipazione e l’amministrazione di sostegno sono incapacità relative lasciano permanere una capacità negoziale L’incapacità è detta “legale” in quanto deriva da situazioni stabilite dalla legge e sussiste indipendentemente dal fatto che nella realtà un minore sia ad esempio particolarmente maturo e quindi capace di valutare gli effetti giuridici delle proprie azioni oppure un interdetto sia momentaneamente lucido. Ricordiamo che: Incapacità assoluta- nullità Incapacità relativa- annullabilità Differenza fondamentale tra NULLITA’ e ANNULLABILITA’. NULLITA’= può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse; ANNULLABILITA’= può essere fatta valere da una delle parti del negozio che è tutelata dalla norma. Sono istituiti a loro protezione gli istituti: • • • • • •  della minore età dell’interdizione giudiziale e legale dell’inabilitazione dell’ emancipazione dell’ amministrazione di sostegno dell’incapacità naturale La minore età Con la legge 8 marzo 1975 la maggiore età è fissata al compimento del 18° anno. Con essa si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non è richiesta un’età diversa Gli atti posti in essere da un minorenne sono, di regola, annullabili, a meno che il minore abbia, non soltanto dichiarato, falsamente, di essere maggiorenne, ma addirittura abbia con raggiri occultato la sua minore età. L’atto annullabile può essere impugnato entro 5 anni dal rappresentante legale del minore o dallo stesso minorenne quando sia divenuto maggiorenne. Non può mai, viceversa, essere impugnato dalla controparte maggiorenne (si parla perciò di negozi claudicanti). I minori possono comunque stipulare contratti (comprare biglietti dell’autobus ecc.) altrimenti si avrebbe una dannosa emarginazione dal contesto sociale. La gestione del patrimonio spetta ai genitori (il genitore che stipula atti negoziali nell’interesse del minore sostituisce il minore e quindi è un tutore ) congiuntamente per gli atti straordinari es. vendere la casa del minore (occorre comunque l’autorizzazione del giudice tutelare) e disgiuntamente per gli ordinari (es. riscuotere il canone di locazione dell’abitazione di cui il minore è proprietario) Se entrambi i genitori sono morti viene nominato un tutore a cui occorre l’autorizzazione del giudice tutelare per alcuni atti (es. acquistare beni non necessari alla vita quotidiana riscuotere capitali accettare o meno un eredità) e l’ autorizzazione del tribunale per altri (es. alienare beni o costituire ipoteche). Si può procedere con la pratica per l’interdizione o l’inabilitazione già un anno prima che il minore diventi maggiorenne e nel caso di accoglimento l’effetto si avrà dal 1° giorno successivo al compimento della maggiore età.  L’interdizione giudiziale “Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione.” In condizione di abituale infermità di mente = questo differenzia l’interdizione da altri istituti come l’amministrazione di sostegno (infermità psichica o fisica provvisoria) Incapacità di provvedere ai propri interessi = capacità di intendere e di voler, incapacità di autodeterminazione; Possono richiedere l’ interdizione qualora lo ritengano necessario, il coniuge o i parenti entro il 4° grado, o gli affini entro il 2° grado, o il tutore o il curatore, ovvero il Pubblico Ministero. Rappresentante = colui il quale pone in essere un negozio giuridico in nome e per conto di un altro soggetto. Gli atti compiuti dall’interdetto, dopo la sentenza di interdizione possono essere annullati (I contratti sono sempre annullabili perché la sentenza è pubblica quindi è a carico del contraente controllare che l’altro soggetto non sia interdetto: vi è un sistema di pubblicità.) egli come il minore può compiere solo atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana. Annullabile: il contratto produce i suoi effetti che vengono poi annullati a seguito della sentenza del giudice; il tutore può rimuovere gli effetti di un atto così come gli eredi (questi subentrano nella stessa posizione); il tutore e gli eredi quindi pongono nel nulla gli effetti dell’atto posto in essere dall’interdetto. L’interdizione preclude al soggetto il matrimonio il riconoscimento dei figli naturali la possibilità di fare testamento. L’interdizione giudiziale è perciò l’effetto di un provvedimento del giudice che accerta lo stato di inidoneità della persona a curare i propri interessi sia economici che extrapatrimoniali (es. la cura della propria salute) L’ interdetto non può compiere atti né di ordinaria né di straordinaria amministrazione. Questa norma individua quali sono i soggetti che possono agire per interdire o inabilitare un soggetto. Quando c’è una domanda di interdizione o inabilitazione si avvia un processo, si apre un’istruttoria, durante il quale il giudice fa degli accertamenti, visita direttamente il soggetto che deve essere assoggettato al procedimento, si può avvalere di un consulente tecnico d’ufficio. Soggetto che in primo luogo è assistito da amministratore dopo invece si preferisce lo stato di interdizione. Sono infatti provvedimenti che fa il giudice di volontaria giurisdizione, si chiama a cavallo di amministrazione e giudizio perchè il giudice è amministratore e giudice allo steso tempo perchè non và a risolvere un conflitto di interesse ma gli viene fatta una richiesta. L’ interesse è unico quello del soggetto privo di autonomia quindi è un tutore di giurisdizione L’inabilitazione e l’interdizione producono i loro effetti dal giorno della pubblicazione della sentenza se il procedimento si conclude con un rigetto il curatore o il tutore restano in carica fino a quando il rigetto passa in giudicato (non c’è più possibilità di gravame, cioè non si può più fare appello), questo perché esistono tre gradi di appelli L’interdizione può essere revocata se manchino i presupposti, con sentenza del tribunale e produce i suoi effetti solo con il passaggio in giudicato. Il tutore è il legale rappresentante dell’interdetto. TUTORE = Colui che sostituisce la volontà del soggetto interdetto. Ogni volta che il tutore compie un atto deve avere l’autorizzazione del giudice;  L’inabilitazione “ Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quali non è talmente grave da far luogo all’interdizione, può essere inabilitato. Possono anche essere inabilitati coloro che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcooliche o di stupefacenti, espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. Possono infine essere inabilitati il sordomuto e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto un’educazione sufficiente, salva l’applicazione dell’articolo 414 quando risulta che essi sono del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi.” Se l’infermità non è grave il giudice pronuncia l’inabilitazione. Possono essere inabilitati anche coloro che abusano di alcool o di stupefacenti poiché questa prodigalità (propensione a spendere in maniera esagerata rispetto alle proprie condizioni economiche) espone gli stessi e la loro famiglia a gravi danni economici. Possono essere inabilitati il sordomuto o il cieco ma se questi non del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi allora saranno interdetti. Dalla norma si evince che, se anche il provvedimento è iniziato per chiedere l’interdizione il giudice può, fatti i dovuti accertamenti, reputare che il soggetto non abbia un’infermità talmente grave e può procedere pertanto all’inabilitazione; nel caso in cui con il provvedimento si richieda l’inabilitazione, il giudice riscontrando una grave infermità può richiedere l’interdizione; nel caso in cui il giudice non riscontri né interdizione né inabilitazione può richiedere l’amministrazione di sostegno. Il codice è stato novellato nel 2004 con la figura dell’amministrazione di sostegno. “ Non si può pronunziare l’interdizione o l’inabilitazione senza che si sia proceduto all’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando. Il giudice incontra il soggetto del procedimento, fa le sue valutazioni e nel caso lo ritenga opportuno può farsi assistere da un consulente tecnico. Quando il procedimento di interdizione o inabilitazione è ritenuto abbastanza urgente dalla persone che ne hanno fatta domanda sono direttamente loro a portare, in prima udienza, le persone che il giudice può ascoltare. Il giudice si muove come meglio crede, interroga d’ufficio e indaga con ogni strumento che ritenga opportuno. Dopo l’indagine si nomina un tutore per l’intedetto o un curatore per l’inabilitato. Per ottenere l’annullamento degli atti deve risultare la malafede. Questa azione di annullamento si prescrive in 5 anni Il curatore è il rappresentante dell’interdetto. CURATORE = Integra la volontà dell’inabilitato; perché quest’ultimo ponga in essere un negozio giuridico valido, deve partecipare nell’atto anche la volontà del curatore.  L’amministrazione di sostegno L’amministratore di sostegno è una figura istituita per quelle persone che, per effetto di un’infermità o di una menomazione fisica o psichica,(non si parla di fisica nell’interdizione giudiziale ma solo psichica) si trovano nell’impossibilità, anche parziale o temporanea,(quindi l’amministratore di sostegno può essere istituito a tempo determinato) di dover provvedere ai propri interessi A differenza del interdetto che diventa incapace di agire il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno che è nominato dal giudice tutelare nel luogo in cui egli ha la residenza o il domicilio. E’ un istituto introdotto con la legge n 6 del 2004 quindi attraverso la tecnica della novellazione, cioè questo nuovo istituto è entrato direttamente nel c.c. attraverso modifiche dello stesso. L’amministratore di sostegno è un tutore delle persone dichiarate non autonome, anziane o disabili. Viene nominato dal giudice tutelare e scelto, dove è possibile, nello stesso ambito familiare dell’assistito. I poteri dell'amministratore di sostegno vengono annotati a margine dei registri di stato civile, al fine di consentire a terzi il controllo sul suo operato. Dura dieci anni, ma può essere rinnovato. Si presenta la richiesta al giudice tutelare della propria zona di residenza o anche domicilio e entro sessanta giorni dalla data di presentazione della richiesta, il giudice provvederà alla nomina dell'amministratore. Il suo decreto diventa immediatamente esecutivo gli atti da lui posti in essere in violazione delle disposizioni di legge vengono annullati. Inoltre i responsabili dei servizi sanitari e sociali, se a conoscenza di fatti tali da rendere necessario il procedimento di amministrazione di sostegno, devono fornirne notizia al pubblico ministero. I giudici tutelari si trovano presso ogni Procura della Repubblica. Esiste anche il registro comunale degli amministratori di sostengo, il primo registro è nato a Roma dopo una fase di sperimentazione.  L’incapacità naturale Incapacità naturale è l’ incapacità di intendere o di volere sottolineiamo o comporta che è sufficiente una delle particolarità affinché la disciplina del 428 sia applicabile INTENDERE inidoneità di comprendere il valore dell’atto che si sta compiendo VOLERE inidoneità di volere gli effetti dal atto che si pone in essere basta una delle due per rendere applicabile l’incapacità naturale Può essere transitoria o permanente permanente es. : handicap ma i genitori non hanno mai richiesto l’ interdizione o l’ amministratore di sostegno così se compie un atto interviene il 428. Molte volte si ritiene che l’ Incapace naturale sia solo transitorio, ad esempio perchè una sera ci si sia ubriacato o assume stupefacenti …. L’ordinamento quindi tutela il soggetto incapace di capire ciò che sta facendo. Il contratto del incapace naturale non è invalido. L ‘incapace che non è stato interdetto o perchè nessuno lo ha richiesto o perchè transitorio in questo caso il contratto è annullabile solo se vi è la malafede dell’ altro contraente che si era reso conto del ‘incapacità e ha comunque stipulato il contratto . La buonafede è tutelata per il principio della libera circolazione dei beni altrimenti vi sarebbero incertezza ed ostacoli (ogni volta non si sà se il contratto è valido o invalido). L’onere della prova lo ha il contraente che deve dimostrare di non essere in malafede L’impugnabilità degli ’atti: a) per gli atti unilaterali (es. accettazione di una eredità dannosa), per l’invalidità dell’atto occorre altre all’incapacità di intendere o di volere, che da questi atti sia derivato un grave pregiudizio a danno dell’incapace. b) per i contratti, per l’invalidità dell’atto occorre oltre all’incapacità di intendere e di volere la malafede dell’altro contraente. c) In altri atti (matrimonio,donazione e testamento) l’annullabilità è sempre accettata basta dimostrare che al momento si era incapaci di intendere e/o volere non occorre mostrare il pregiudizio. L’annullamento una volta riacquistata la capacità naturale può essere richiesto entro cinque anni dal compimento  L’interdizione legale Il codice penale, oltre all’incapacità d’agire del minore e quella dell’interdetto giudiziale, prevede un altro caso di incapacità d’agire come pena accessoria e quindi sanzionatoria di una condanna alla reclusione per reati non colposi (n.b. L’azione colposa è un AZIONE PREVEDIBILE MA NON VOLUTA se vado a cento all’ora con l’auto potrei uccidere qualcuno un azione dolosa è una AZIONE PREVEDIBILE E VOLUTA cioè scelta da chi ha commesso il delitto). non inferiore a cinque anni per indicare questa ipotesi si parla di interdizione legale. Il condannato è in stato di interdizione legale fino a quando dura la pena. All’interdetto legale si applicano, per la disponibilità e l’amministrazione dei suoi beni, le norme dettate per l’interdetto giudiziale (non può compiere atti dispositivi del suo patrimonio se lo fà sono annullabili) Per quanto riguarda gli atti a carattere personale (matrimonio testamento ecc. nessuna incapacità consegue all’interdetto legale)  L’emancipazione Emancipazione è lo status di limitata capacità di agire che un minorenne avendo compiuto i 16 anni si trova per essere stato ammesso a contrarre matrimonio. Si ha capacità di agire per gli atti di ordinaria amministrazione per quelli straordinari occorre l’assistenza di un curatore se effettuati sono annullabili. Se l’emancipato è sposato con una persona maggiorenne ella ne è il curatore altrimenti di solito i genitori; con l’annullamento del matrimonio non cessa l’emancipazione L’emancipazione cessa con il raggiungimento della maggiore età. ___________________________________________________________________________________ Le vicende più importanti della persona fisica sono documentate in appositi registri (archivi dello stato civile), tenuti presso ogni comune. I registri sono 4: a) b) c) d) di cittadinanza di nascita di matrimonio di morte. Essi sono pubblici chiunque può chiedere estratti e certificati. La rettifica di un atto la ricostruzione o la cancellazione possono avvenire soltanto in forza di un decreto motivato dal tribunale. I registri dello stato civile adempiono, pertanto, anche alla funzione di pubblicità-notizia delle vicende principali della persona fisica. LA SEDE Il luogo in cui la persona fisica vive e svolge la sua attività ha molto rilievo specie in ambito processuale (es. per la determinazione della competenza territoriale a anche in ambito sostanziale (es. la successione si apre nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto) In relazione alle persone fisiche la legge distingue: Il domicilio (luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi , non solo patrimoniali ) si distingue in legale se fissato dalla legge (es. L’interdetto ha domicilio del tutore e il minore quello del luogo di residenza della famiglia o del tutore) e volontario se eletto dall’interessato La residenza (luogo in cui la persona ha la dimora abituale) La dimora (luogo in cui la persona attualmente si trova). Se i genitori non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore con il quale convive Inoltre, per determinati affari si può stabilire un luogo diverso (domicilio speciale es. posso per un procedimento giudiziale eleggere a domicilio lo studio del mio avvocato) da quello in cui è la sede principale dei propri affari (domicilio generale). Mentre unico è il domicilio generale, si possono avere più domicili speciali. LA CITTADINANZA La cittadinanza è la situazione di appartenenza di un individuo ad un determinato Stato. - è cittadino per nascita il figlio di madre o padre con cittadinanza italiana (acquisto originario). Anche i figli adottivi, se stranieri, acquistano la cittadinanza italiana ove l’adottante o uno degli adottanti sia cittadino italiano, ma naturalmente l’acquisto avviene non per nascita per effetto di adozione; - è cittadino chi è nato nel territorio della repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi; - acquista la cittadinanza il coniuge straniero o apolide, di cittadino italiano purché ne faccia richiesta e in quanto o risieda da almeno 6 mesi in Italia o sia unita in matrimonio da almeno 3 anni; - per naturalizzazione: la cittadinanza può essere concessa al cittadino di uno dei Paesi della CEE che risieda per almeno 4 anni in Italia; all’apolide che risieda in Italia da almeno 5 anni; a qualsiasi straniero che risieda in Italia da almeno 10 anni. Con la nuova disciplina si è ammessa la possibilità che un cittadino abbia anche contemporaneamente un’altra cittadinanza e si è ammessa la possibilità di riacquistare la cittadinanza anche avendola in precedenza perduta. Art. 22 nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici LA PERSONA NELLA FAMIGLIA La parentela è il vincolo che unisce le persone che discendono dalla stessa persona e quindi dallo stesso stipite Ai fini della determinazione dell’intensità del vincolo occorre considerare le linee e i gradi. La linea retta unisce le persone di cui l’una discende dall’altra (nonno-nipote, padre-figlio); La linea collaterale quella che, pur avendo uno stipite comune non discendono l’una dall’altra (es. fratelli, zionipote). I gradi si contano calcolando le persone e togliendo lo stipite. Così tra padre e figlio vi è parentela di primo grado; tra fratelli, di secondo grado tra nonno e nipote vi è parentela di secondo grado tra cugini vi è parentela di 4°grado ….. Di regola, la legge riconosce effetti alla parentela solo fino al 6° grado L’affinità è il vincolo che unisce un coniuge e i parenti dell’altro coniuge. Per stabilire il grado di affinità si tiene conto del grado di parentela con cui l’affine è legato al coniuge; così suocera e nuora sono affini in primo grado; i cognati sono affini di secondo grado. Di regola la morte di uno dei coniugi, anche se non vi sia prole, non estingue l’affinità. Questa cessa, invece, se il matrimonio è stato dichiarato nullo. Rimane fermo il divieto di matrimonio tra gli affini di linea retta Tra coniugi non v’è né rapporto di parentela né di affinità ma di coniugio. SCOMPARSA – ASSENZA – MORTE PRESUNTA La Persona scomparsa è quella rispetto alla quale concorrono questi due elementi: l’allontanamento dal luogo del suo ultimo domicilio o residenza e la mancanza di notizie oltre il lasso di tempo giustificato dagli ordinari spostamenti per ragioni di lavoro svago ecc. Accertati questi requisiti, il tribunale dell’ultimo domicilio o residenza può nominare un curatore il quale rappresenterà lo scomparsi negli atti che siano necessari per la conservazione del suo patrimonio. L’assenza è la situazione che si verifica quando la scomparsa della persona si protrae da oltre due anni . Essa è dichiarata con sentenza, trascorsi due anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia della persona. Il tribunale ordina l’apertura dei testamenti, se vi sono, e i presunti eredi, legittimi o testamentari, sono immessi nel possesso temporaneo dei beni non possono alienarli o sottoporli ad ipoteca ma li possono amministrare e godere con il diritto di far propri frutti e rendite. La dichiarazione di assenza non scioglie però il matrimonio dell’assente se l’assente ritorna ha diritto alla restituzione dei suoi beni. La morte presunta viene pronunciata con sentenza del tribunale quando la scomparsa si protrae per un periodo di tempo pari a 10 anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia dell’assente (termini minori sono richiesti nell’ipotesi di scomparsa in operazioni belliche, prigionia di guerra, infortunio: in quest’ultimo caso sono sufficienti due anni). Gli aventi diritto possono disporre liberamente dei beni; il coniuge può contrarre nuovo matrimonio. Si applicano i principi che l’art.128 c.c. stabilisce per il matrimonio putativo (si parla di esso quando vi è una sentenza di annullamento del matrimonio, che ha di regola effetto retroattivo e che i coniugi ritenevano valido). Essa tuttavia da luogo solo ad una presunzione di morte, quindi, se la persona ritorna e se ne prova l’esistenza, recupera i beni nello stato in cui si trovano ed ha diritto di conseguire il prezzo di quelli alienati il nuovo matrimonio contratto dal suo coniuge è invalido. B) I DIRITTI DELLA PERSONALITA` DIRITTI DELLA PERSONALITA’: sono un sottoinsieme dei diritti soggettivi assoluti, sono diritti previsti nel codice civile anche se sono nati nella seconda metà del ‘900 (prima infatti esisteva una concezione patrimonialista del codice civile e quindi tutto era incentrato sul diritto di proprietà.) ART. 2 DELLA COSTITUZIONE “ La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economia e sociale.” I diritti della personalità sono: Necessari: competono a tutte le persone Imprescrittibili: il non uso prolungato non ne determina l’estinzione Assoluti: in quanto implicano un dovere di astensione da parte dei consociati a lederli e sono tutelati dalla giurisdizione. Non patrimoniali: tutelano valori della persona non suscettibili di valutazione economica Indisponibili: non vi si può rinunciare DIRITTO ALLA VITA Il diritto alla vita è il fondamentale interesse della persona umana alla propria esistenza fisica Il diritto a nascere trova tutela immediata nei soggetti diversi dalla madre (è sanzionato chiunque cagioni l’interruzione di gravidanza senza il consenso della donna). Nei confronti della madre l’interruzione della gravidanza entro i primi 90 giorni è rimessa alla sua libera determinazione mentre l’interruzione della gravidanza dopo novanta giorni è possibile se la continuazione della gravidanza comporti un grave pericolo per la vita della donna. Nel nostro ordinamento, il tentativo di suicidio non è sanzionabile mentre è punita la istigazione al suicidio. ( colui che con la sua condotta rafforzi i propositi suicidi) è invece punibile. Anche chi cagioni la morte altrui con il consenso della persona interessata è punibile penalmente. Ampiamente discussa più sul piano etico che giuridico è oggi l’ipotesi dell’eutanasia ovvero la morte cagionata a persona affetta da malattia incurabile con il suo consenso [và quindi prendendo corpo nel nostro paese un movimento di opinione che riconosca efficacia alle dichiarazioni rese preventivaente dal paziente (testamento biologico)] DIRITTO ALLA SALUTE Art. .32 Cost. ”La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”: ma un trattamento sanitario può diventare obbligatorio solo dove si tratti di neutralizzare una malattia diffusa considerata pericolosa per le sorti della collettività e di ciascun individuo (es. vaccinazione antipoliomelitica). Vi è un indennizzo a carico dello Stato a favore dei soggetti che siano “danneggiati da complicazioni di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni, somministrazioni di emoderivati “. Il singolo può acconsentire a diminuzioni transitorie della propria integrità fisica (es. trasfusione di sangue), ma sono vietati atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica (es. un espianto di un organo). Il paziente deve venire correttamente informato in ordine a natura ed esiti possibili dei trattamenti prospettatogli (cd consenso informato). La legge consente l’espianto da vivente del rene e di parti del fegato e la modificazione dei caratteri sessuali se per pulsioni sessuali o al livello psicologico si avverta di appartenere al sesso opposto. Il diritto alla salute compete anche al nascituro egli ha diritto di nascere sano e se vi è incuria dei medici nel segnalare che egli non lo sarà (es. errore dell’ecografo che non segnali malformazioni congenite) la struttura ospedaliera ne dovrà rispondere alla madre e al figlio nato con handicap E’ consentito, il prelievo di organi e di tessuti, purché da un soggetto di cui sia stata accertata la morte e che abbia previamente concesso il suo assenso ( che può anche solo essere presunto, dove il cittadino non abbia espresso volontà contraria). Il prelievo deve essere effettuato in modo da evitare mutilazioni non necessarie e dopo il prelievo il cadavere deve essere ricomposto con la massima cura. Gli espianti devono essere finalizzati a trapianti a favore di soggetti che ne abbiano necessità, assicurando, per la relativa scelta, criteri di trasparenza e di pari opportunità tra i cittadini. Le parti staccate dal corpo sono beni autonomi di proprietà del soggetto a cui appartenevano possono perciò essere oggetto di atti di disposizione (posso vendere i capelli per farci confezionare extension) Se si è in stato di incoscienza il medico deve provvedere a fare quanto necessario per salvargli la vita La persona può disporre della propria salma per testamento o attraverso l’iscrizione ad associazioni riconosciute. DIRITTO AL NOME Il nome si comprende il prenome e il cognome esso svolge funzione di identificazione sociale della persona Il figlio legittimo assume il cognome del padre Il figlio naturale acquisisce il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto I bambini non riconosciuti acquisiscono il nome a loro attribuito dall’ ufficiale dello stato civile Il figlio adottivo acquisisce il nome del padre adottivo La moglie aggiunge al suo cognome quello del marito lo conserva anche in vedovanza lo perde a nuove nozze e in caso di divorzio può chiedere al giudice di mantenerlo quando sussista un interesse (ad es. è nota nell’ambiente lavorativo con il nome del marito). Il nome è tendenzialmente immodificabile: il mutamento di cognome può essere concesso dal ministero dell’interno il mutamento del prenome può invece essere concesso dal Prefetto del luogo di residenza (quest’ultima procedura semplificata si applica anche al cognome se ridicolo o vergognoso o perché rileva l’origine naturale) Il Nome è tutelato contro: • la contestazione un terzo copie atti che ostacolano l’utilizzo del nome es. il marito separato non vuole far usare il cognome maritale • l’usurpazione es. un terzo utilizza un nome altrui per indicare la propria persona es. per accreditarsi nel mondo degli affari • l’utilizzazione abusiva un terzo utilizza il nome altrui per identificare un personaggio di fantasia o un prodotto commerciale Esempio: nomi che vengono usati soprattutto nei film quando si deve ricostruire la vita di un personaggio esistente come quelli politici, i papi, Falcone e Borsellino…molto spesso i familiari contestano come la descrizione fatta dallo sceneggiatore non sia veritiera rispetto alla vita del personaggio si chiede così l’inibizione, quindi o il film viene censurato o inibito o ancora si scrive che il riferimento ai personaggi è meramente casuale. Oltre all’azione inibitoria che evita che il film venga prodotto si richiede anche un risarcimento per il danno prodotto anche ai familiari. In caso di contestazione per queste tre cause il soggetto può richiedere la cessazione del fatto lesivo il risarcimento del danno e la pubblicazione su uno o più giornali della sentenza che accerta l’illecito. Anche Lo pseudonimo (nome in cui si è conosciuti in certi ambienti) usato da una persona in modo che abbia acquistato l'importanza del nome, è tutelato come il nome. L’avente diritto al nome ne può concedere l’utilizzo a titolo oneroso per fini commerciali DIRITTO ALL’INTEGRITA’ MORALE Sotto il punto di vista dell’integrità morale, ha importanza il diritto all’onore, (insieme dei valori morali di un soggetto) al decoro (insieme dei valori intellettuali fisici e altre qualità dell’individuo e alla reputazione (opinione che altri hanno del soggetto) protetto oltre che sul piano penale, anche sul piano civile, specie con l’obbligo di risarcire la vittima (anche con la pubblicazione della sentenza su uno o più giornali) se così asserisce il giudice per ogni danno arrecato illecitamente, compresi quelli c.d. “non patrimoniali” o morali (art.2059 c.c.). Il Diritto all’onere al decoro e alla reputazione è destinato a venire in conflitto con i diritti di cronaca e critica giornalista: il diritto all’integrità morale cede se concorrano i presupposti della veridicità della notizia, dell’utilità sociale dell’informazione e inoltre devono essere utilizzati toni non eccedenti lo scopo informativo ovvero privi di insinuazioni sottintesi ecc. Notizie lesive possono essere pubblicate se vi è l’assenso dell’avente diritto DIRITTO ALL’IMMAGINE E’ tutelato il diritto alla propria immagine (art.10 c.c.), intendendosi per tale sia le sembianze fisiche del soggetto che possono essere riprese da un ritratto, sia le caratteristiche individuanti di una persona che possono risultare da una rappresentazione cinematografica o televisiva [vietato perciò anche la rappresentazione tramite un attore un sosia o di oggetti notoriamente utilizzati da un personaggio per caratterizzare la sua persona (es. copricapo a zucchetto di Lucio Dalla)] Qualora l’immagine di una persona sia esposta o pubblicata senza il consenso di questa, l’autorità giudiziaria può disporre che cessi l’abuso (azione inibitoria), oltre al diritto del soggetto leso al risarcimento degli eventuali danni. Tuttavia non occorre il consenso dell’interessato quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici o culturali, ovvero, quando la riproduzione è collegata a fatti di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Anche il Diritto all’immagine è destinato a venire in conflitto con i diritti di cronaca e critica giornalista (ovviamente il titolare può prestare la sua immagine a scopi sia gratuiti che onerosi). Anche il ritratto non può essere esposto o messo in commercio in nessun caso qualora ciò rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata (n.b. invece l’atto in sé del ritrarre se leso non lede il diritto all’immagine ma quello alla riservatezza) DIRITTO ALLA RISERVATEZZA A ciascuno va anche riconosciuto il diritto di escludere ogni invadenza estranea nella sfera della propria intimità personale e familiare (c.d. diritto alla riservatezza). Questo a meno che non concorra l’interesse pubblico che lo giustifichi Con il d.lgs del 30/06/03 l’interessato può vietare il trattamento dei dati personali e ha anche il diritto di vigilare sul loro utilizzo Per il trattamento dei dati personali occorre il consenso espresso dell’interessato che è validamente espresso se documentato per iscritto e se sono state fornite finalità e modalità di trattamento cui i dati sono destinati (diritto di informativa) l’interessato ha il diritto di chiedere a chiunque conferma se detiene o meno i dati che lo riguardano con l’indicazione dell’ origine dei dati detenuti (diritto di accesso) ha anche diritto di aggiornare rettificare o integrare i dati che lo riguardano. In ogni caso i dati personali devono essere trattati in modo lecito e secondo correttezza: essi sono custoditi e controllati per prevenire i rischi di distruzione e perdita (diritto alla sicurezza dei dati) Chiunque cagioni danni per l’esercizio improprio dell’utilizzo dei Dati personali è tenuto al risarcimento. DIRITTO ALL’IDENTITA’ PERSONALE Il diritto all’identità personale è il diritto a vedersi rappresentato con i propri reali caratteri (es. illegittimo è attribuire ad un soggetto orientamenti politici diversi da quelli condivisi) La differenza con il principio della riservatezza e con quello dell’integrità morale è che qualora essi siano rappresentati devono esserlo nel principio della verità. C) GLI ENTI Tutte le situazioni giuridiche possono far capo ad un ente senza particolari limitazioni. C’è una Soggettività dell’ente, ha una capacità giuridica. L’ente può essere associativo, composto da una pluralità di soggetti ma si distingue dall’interesse dei soggetti e l’interesse dell’ente (ad esempio posso diffamare un ente, ovvio che si sentiranno offese le persone che partecipano all’ente ma c’è un interesse distinto dell’ente che è un’entità a sé, autonoma). Gli enti possono avere la personalità giuridica (una cosa è la soggettività e una cosa è la personalità giuridica). Personalità giuridica (si acquista con il riconoscimento): non tutti gli enti ce l’hanno, è propria di quegli enti che hanno un’autonomia patrimoniale perfetta (autonomia patrimoniale perfetta rispetto ai soggetti che partecipano o hanno creato l’ente). Esempio: le fondazioni riconosciute oltre ad avere un proprio patrimonio queste rispondono solo con il proprio patrimonio. L’ente può o non avere la personalità giuridica. Nel nostro ordinamento dotati di soggettività giuridica sono le persone fisiche e gli enti. E’ dotata di soggettività giuridica quel organizzazione cui l’ordinamento attribuisce la capacità giuridica di essere titolare di situazioni giuridiche soggettive Mentre le persone fisiche acquisiscono la personalità giuridica alla nascita solo gli enti che godono di autonomia patrimoniale perfetta (ovvero enti dotati di un patrimonio e che rispondono delle loro obbligazioni sono con detto patrimonio) ne sono dotate L’ente ha una piena capacità giuridica, una piena capacità d’agire tramite gli organi rappresentativi. Gli organi dell’ente possono essere esterni ed interni a seconda che abbiano o meno il potere di assumere impegni con terzi in nome e per conto dell’ente stesso. Il potere di gestione è quello di decidere una determinata operazione (acquistare o meno un macchinario) il potere di rappresentanza è il potere di porre in essere l’operazione decisa (stipulare il contratto di acquisto del macchinario) Alcuni diritti della personalità (diritto alla vita e alla salute) sono propri solo della persona fisica altri (diritto al nome all’integrità morale all’identità personale alla protezione dei dati personali) compete anche agli enti. Sia dotati che non di personalità giuridica. Si discute se competa o meno agli enti il diritto all’immagine: la risposta è negativa se si ritiene che quest’ultimo abbia ad oggetto solo le sembianze esteriori della persona è positiva se si ritiene che esso possa avere ad oggetto qualunque elemento visibile (ad. Es. uno stemma o un marchio) Gli enti si distinguono in base ai diversi criteri di classificazione: Persone giuridiche pubbliche e Persone giuridiche private Tra le prime vi è innanzitutto lo Stato e poi gli altri enti pubblici territoriali (regioni, province, comuni), nonché altri numerosi enti pubblici (Inps Inail Aci…); Gli enti pubblici possono operare attraverso strumenti di potere pubblicistici (ad es. il comune può indennizzarmi ed espropriare la mia proprietà se necessario ai fini sociali) o anche di strumenti privatistici (il comune può stipulare un contratto di compravendita per l’acquisto del mio terreno). Tra gli enti privati suddividiamo: • enti registrati (art. 34 e 2200 c.c. associazioni riconosciute fondazioni ecc. iscritte in un pubblico registro accessibile a chiunque) ed enti “non registrati” (quali le associazioni non riconosciute, le società semplici); • enti dotati di personalità giuridica che hanno autonomia patrimoniale perfetta ed enti privi di personalità • enti a struttura associativa (organizzazione con la partecipazione di una pluralità di persone per l’esercizio di un attività volta al perseguimento di uno scopo comune es. distribuzione degli utili) ed enti a struttura istituzionale, ovvero organizzazioni stabili per la gestione di un patrimonio finalizzata al perseguimento di scopi altruistici es. fondazioni che amministrano un patrimonio con le cui rendite vengono erogate borse di studio ai meno abbienti Tra gli enti a struttura associativa distinguiamo enti con finalità economiche,disciplinate nel libro quinto in cui cioè gli operatori intendono appropriarsi degli eventuali utili ricavati, ed enti senza finalità economiche, (ricordiamo tra queste le associazioni riconosciute e non, le fondazioni, i comitati riconosciuti e non e le altre istituzioni a carattere privato )disciplinate nel libro primo in cui gli operatori, invece, si impegnano a non distribuirsi gli utili, ma o a reinvestirli nell’impresa o a destinarli ad altri scopi non lucrativi IL FENOMENO ASSOCIATIVO Nell’Ottocento gli enti senza finalità economiche erano visti con una certa reticenza: questo perché si pensava che l’accumulo di patrimoni presso organizzazioni con finalità diverse dallo scopo di lucro potesse risolversi con un loro inefficace inutilizzo: per questo il codice predispose due modelli: quello delle associazioni riconosciute (avevano posizione giuridica favorevole) e non riconosciute. Le associazioni non riconosciute avevano delle limitazioni es. gli acquisti mortis causa erano preclusi e gli ordinamenti erano rimessi agli accordi degli associati senza regolamentazione normativa esterna Scenario del tutto diverso con la costituzione del 1948 Art. 18 “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente senza autorizzazione” Le associazioni non riconosciute diventano ora un perno importante nella vita sociale in quanto considerate strumento privilegiato per la partecipazione dei cittadini alla vita politica e sindacale del paese vengono perciò tutelate e promosse (es. partiti sindacati) anche perché le associazioni non riconosciute subiscono minor intrusione da parte dello Stato assicurando maggior libertà e democraticità all’ente stesso Differenza tra associazione e società = L’associazione è un organizzazione collettiva che ha come scopo il perseguimento di finalità non economiche si distingue dalla società che è finalizzata a scopi lucrativi (divisione degli utili conseguiti attraverso l’esercizio in comune di un attività economica). Gli associati non traggono perciò benefici economici dalla loro attività ( A volte accade indirettamente come nel caso dei lavoratori che fruiscono dell’aumento salariale dato dalle conquiste sindacali). Le associazioni possono svolgere attività economica per procurarsi entrate da destinare al perseguimento del loro scopo ideale solo se saltuariamente escludendo il lucro soggettivo ovvero che gli utili vengano distribuiti tra gli associati L’ASSOCIAZIONE RICONOSCIUTA L’associazione riconosciuta prende vita in forza di un vero e proprio contratto che deve rivestire la forma di atto pubblico (è l’atto redatto generalmente dal notaio è una forma solenne, la più solenne) L’atto costitutivo deve contenere la denominazione dell’ente, lo scopo, il patrimonio la sede norme sul ordinamento e sul amministrazione diritti ed obblighi degli associati condizioni di ammissione: tutto questo deve essere contenuto in un documento detto statuto L’atto costitutivo và presentato alla prefettura unitamente alla richiesta di riconoscimento dell’associazione come persona giuridica: la prefettura verificherà: a) che siano soddisfatte le condizioni previste dalle norme di legge per la costituzione dell’ente b) che lo scopo sia possibile e lecito c) che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo se il controllo risulta positivo il prefetto provvede all’iscrizione dell’associazione nel registro delle persone giuridiche (con l’iscrizione si acquista la personalità giuridica) Questi non sono controlli sulla meritevolezza, questi non sono consentiti, ma sono dei controlli di vera leggittimità al fin di verificare che ci siano i requisiti minimi soprattutto in riferimento all’ autonomia patrimoniale dell’ente. Nel lasso di tempo tra la stipula e l’iscrizione l’associazione può operare ma come “non riconosciuta” L’ordinamento interno deve prevedere l’assemblea (ha competenza per le modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto e per l’approvazione del bilancio essa delibera a maggioranza di voti in prima convocazione con la presenza di almeno la metà degli associati in seconda con qualsiasi numero degli intervenuti maggioranze qualificate sono richieste per le modifiche dell’atto costitutivo e per lo scioglimento dell’associazione ) degli associati e gli amministratori (rappresentano l’associazione nei confronti dei terzi nei limiti inseriti in Statuto(es. se occorre un immobile da locare è l’amministratore che decide quale adibire allo scopo e finalizzare la transazione) L’associazione ha un suo patrimonio e può effettuare liberamente qualsiasi tipo di acquisto Gli associati non hanno diritto sul patrimonio dell’associazione La responsabilità delle obbligazioni verte sul patrimonio della società quindi sulle obbligazioni del singolo non risponde la società e sulle obbligazioni della società non risponde il singolo All’accordo associativo si può aderire in un secondo momento si dice perciò che l’associazione è aperta all’adesione di terzi l’accoglimento della domanda è subordinato a valutazione degli organi competenti L’associato ha diritto a rimanere nell’associazione può essere escluso per gravi motivi ed in forza di una delibera motivata dall’assemblea Per esigenze di tutela della libertà individuale l’associato può recedere in qualsiasi momento; se ha assunto l’obbligo di rimanere per un tempo determinato deve motivare il recesso anticipato solo se ricorra giusta causa L’associazione si estingue per delibera assembleare per raggiungimento dello scopo impossibilità della sua realizzazione o venir meno di tutti gli associati. Il verificarsi di una delle cause di estinzione è accertata dal prefetto su istanza di chiunque interessato che ne faccia richiesta o anche d’ufficio. Una volta dichiarata l’estinzione si procede alla liquidazione del patrimonio con il pagamento de debiti esistente chiusa la procedura di cancellazione si procede alla cancellazione dell’ente dal registro delle persone giuridiche. L’ASSOCIAZIONE NON RICONOSCIUTA Le associazioni non riconosciute prendono vita in forza di un atto di autonomia tra i fondatori non sono richiesti né requisiti né forma né contenuti specifici, l’iter costitutivo si perfeziona perciò con il solo accordo tra i fondatori. Non deve necessariamente esserci l’atto pubblico. Sono comunque soggetti di diritto, autonomi rispetto agli associati, dotati di patrimonio (eventuale) che prende il nome di fondo comune. Teoricamente l’ associazione non riconosciuta può costituirsi anche oralmente, la forma di costituzione è libera, non ha personalità giuridica (in quanto ha un’autonomia patrimoniale imperfetta) ma soggettività giuridica (è cioè un centro di imputazione di situazioni soggettive giuridiche) ed è titolare di un fondo patrimoniale. L’ordinamento interno e l’amministrazione vengono integralmente rimessi agli accordi degli associati. I contributi degli associati ed i beni acquistati con essi costituiscono il fondo comune dell’associazione Questo fondo comune è destinato a soddisfare i creditori dell’associazione; gli associati non possono chiederne la divisione ne pretenderne una quota parte in caso di recesso. L’associazione può effettuare liberamente qualsiasi tipo di acquisto. Vi è un’autonomia patrimoniale imperfetta. L’autonomia è imperfetta in quanto per le obbligazioni dell’associazione rispondono anche, personalmente e solidalmente, non tutti gli associati ma le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione quand’anche non membri della stessa (es. a fronte di una bolletta non pagata posso rifarmi al fondo comune e a colui o coloro che hanno stipulato il contratto di somministrazione) Importante è ricordare che il debitore non ha l’obbligo di escutere in prima istanza il fondo comune può anche rivalersi in prima ipotesi su chi ha agito in nome e per conto dell’associazione. DIFFERENZA TRA ASSOCIAZIONE RICONOSCIUTA E NON RICONOSCIUTA Associazioni riconosciute sono quelle che hanno chiesto e ottenuto il riconoscimento dello Stato: allo Stato spetta cioè di emettere un provvedimento, il riconoscimento appunto, che concede specifiche prerogative alle associazioni che lo hanno chiesto e che si trovino in determinate condizioni. Le prerogative principali che l'associazione acquista col riconoscimento sono due: la prima consiste nella cosiddetta autonomia patrimoniale, in base alla quale il patrimonio dell'associazione si presenta distinto e autonomo rispetto a quello degli associati e degli amministratori, e la seconda si può ritrovare nella concessione di una limitazione di responsabilità degli amministratori per le obbligazioni assunte per conto dell'associazione. Le associazioni non riconosciute non possono godere di tali prerogative: la loro autonomia patrimoniale non è perfetta, inoltre per le obbligazioni assunte in nome e per conto dell'associazione rispondono anche le persone che le hanno contratte. Occorre quindi vedere caso per caso, a seconda di quelli che sono gli scopi dell'associazione, il numero degli associati, l'attività che si presuma debba svolgere la complessità delle operazioni che verranno affrontate, l'entità dei contributi che saranno versati ecc., se convenga costituire un'associazione che miri al riconoscimento o un'associazione che di tale provvedimento possa farne a meno." LA FONDAZIONE La fondazione è un organizzazione stabile che si avvale di un patrimonio per il perseguimento di uno scopo non economico. L’atto di fondazione deve contenere: denominazione dell’ente,scopo,patrimonio,sede,norme sull’ordinamento e sull’ammissione,criteri e modalità di erogazione delle rendite il documento contenente queste informazioni è lo statuto. Non esistono fondazioni di fatto; la fondazione deve essere costituita con atto solenne, l’atto pubblico è indispensabile affinché venga riconosciuta. In mancanza di riconoscimento le fondazioni non possono operare come fondazioni non riconosciute Il legale rappresentante di una fondazione non può compiere atti prima dell’ottenimento del riconoscimento questo appunto perché, come già detto, non esistono fondazioni di fatto. Un’ altro modo per costituire una fondazione è il testamento; ovviamente diventa efficace con la morte del soggetto, se strappo il testamento o ne faccio uno successivo, la fondazione non viene ad esistere. Dotazione: la fondazione abbiamo visto deve avere un fondo e abbiamo detto che ruota attorno ad un fondo patrimoniale che è assoggettato al vincolo di destinazione (cd atto di dotazione) ovvero il perseguimento dello scopo indicato dal fondatore) Tradizionalmente si fanno le fondazioni per tramandare il ricordo della famiglia e allora si destinano dei beni (che possono essere immobili, denaro) destinati ad un certo scopo. Le università ne hanno molte di dotazioni. Le fondazioni, come le associazioni, non possono esercitare attività di impresa. La fondazione è gestita da un organo amministrativo e di regola non ha assemblea essa ha un suo patrimonio con cui risponde solo con quest’ultimo delle obbligazioni (autonomia patrimoniale perfetta). La fondazione può essere trasformata perché lo scopo può diventare non perseguibile, questo però solo se lo statuto lo prevede, in caso contrario la fondazione viene estinta, si apre la fase della liquidazione in cui avviene la dismissione di quanto di proprietà dell’ente che non può proseguire la sua attività. Il fondatore può prevedere che nel verificarsi delle cause di scioglimento siano devoluti i beni della fondazione a terze persone in mancanza di questo sarà l’autorità governativa d’ufficio ad attribuire i beni ad altri enti che hanno fini analoghi. Le fondazioni un tempo svolgevano esclusivamente attività che si limitavano alla mera gestione del patrimonio con il devolvere delle rendite alle finalità previste (cd fondazioni di erogazione); oggi è pacificamente ammesso che esse svolgano anche attività di impresa o per ricavare utili destinati allo scopo non lucrativo o per realizzare immediatamente il proprio scopo istituzionale. Fino a tempi relativamente recenti la fondazione ha avuto importanza marginale mentre ai giorni d’oggi la rinata disponibilità di cittadini ed imprese a destinare risorse a fini d’utilità sociale senza la mediazione politica ha trovato nella fondazione uno strumento duttile ed efficiente (es. La Fondazione TELETHON) in più nell’ambito delle privatizzazioni si è imposto il fenomeno della trasformazione di singoli enti pubblici in fondazioni (es. il centro sperimentale per la cinematografia si è trasformato nell’omonima fondazione) e di intere categorie di enti pubblici in fondazioni (es. gli enti lirici e le istituzioni concertistiche divenute fondazioni liriche-sinfoniche). Aggiungiamo che la legge prevede che possano assumere la veste di fondazioni anche i cd fondi pensione e le casse di previdenza sociale ed assistenza COMITATO Il comitato è un organizzazione di più persone che attraverso una raccolta pubblica di fondi costituisce un patrimonio con il quale realizza finalità di natura altruistica Il comitato nasce da un accordo di tipo associativo in forza del quale più soggetti (promotori)si vincolano all’esercizio in comune di un attività di raccolta tra il pubblico di mezzi con cui successivamente realizzeranno il programma enunciato.. L’attività del comitato si articola in due fasi: a) i promotori annunciano al pubblico la volontà di perseguire un determinato scopo (es. soccorrere i terremotati) invitando gli interessati (sottoscrittori) ad effettuare offerte in denaro o in altri beni (es. medicinali per i terremotati) le cd oblazioni b) i stessi promotori normalmente indicati nel programma gestiscono i fondi raccolti Il patrimonio del comitato è composto dai fondi pubblicamente raccolti: su questi fondi grava il vincolo di destinazione allo scopo programmato (solo l’autorità governativa può dare alle oblazioni un'altra destinazione) Art. 39 lo scopo del comitato deve essere di pubblico interesse o comunque altruistico,non è necessario che sia di durata limitata nel tempo anche se spesso questo si verifica. Il comitato può vivere sia come ente non riconosciuto (degli obbligazioni rispondono anche i componenti del comitato)che riconosciuto ottenendo così la personalità giuridica dotandosi perciò di autonomia patrimoniale perfetta. I sottoscrittori sono tenuti solo ad effettuare le oblazioni promesse (art.41) • Art. 42 Qualora i fondi raccolti siano insufficienti allo scopo, o questo non sia più attuabile, o, raggiunto lo scopo, si abbia un residuo di fondi, l'autorità governativa stabilisce la devoluzione dei beni, se questa non è stata disciplinata al momento della costituzione. ALTRE ISTITUZIONI Personalità giuridica è riconosciuta agli enti ecclesiastici appartenenti alla chiesa cattolica. Poiché la legge annovera tra gli enti privati anche le altre istituzioni di carattere privato l’opinione prevalente sembra ammettere la possibilità della costituzione di enti caratterizzati dalla combinazione di più modelli organizzativi tipici (es. associazione e fondazione) E’ sempre più frequente il ricorso alla Fondazione di partecipazione si pone come figura intermedia tra le fondazioni e le associazioni, perché coniuga l’aspetto patrimoniale, proprio delle prime con quello personale delle seconde. Infatti, a fianco dell’esistenza di un patrimonio vincolato ad uno scopo, esiste in questa particolare tipologia di Fondazione la possibilità che l’elemento patrimoniale si associ con l’elemento personale e, quindi, con la possibilità di nuove adesioni: è possibile, infatti, anche in un momento successivo rispetto a quello dell’atto costitutivo della Fondazione, diventare “soci” della medesima, conferendo contributi in denaro ovvero in servizi, ovvero anche solo attraverso la prestazione di un’attività professionale, o prestazioni di lavoro volontario o beni materiali o immateriali, nella misura e nelle forme determinate dal Consiglio di gestione. IL TERZO SETTORE Il terzo settore consiste nella realizzazione di attività di utilità sociale ad opera di enti senza fini di lucro (cd enti no profit) espressione della cd società civile. Sono stati molti gli interventi normativi atti a promuovere e sostenere il terzo settore si ricordano: le associazioni di volontariato le cooperative sociali le ONLUS (organizzazioni non lucrative di utilità sociale) che possono assumere qualsiasi forma giuridica (comitato fondazione associazione ecc.) Và ricordato in questo ambito il principio della sussidiarietà:In tale ambito viene indicato con principio di sussidiarietà quel principio sociale e giuridico amministrativo che stabilisce che l'intervento degli Enti pubblici territoriali (Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni), nei confronti dei cittadini debba essere attuato esclusivamente come sussidio (ovvero come aiuto) nel caso in cui il cittadino o l'entità sottostante sia impossibilitata ad agire per conto proprio o il livello di servizio offerto dai privati sia inferiore al minimo essenziale. Si parla di sussidiarietà verticale quando i bisogni dei cittadini sono soddisfatti dall'azione degli enti amministrativi pubblici, e di sussidiarietà orizzontale quando tali bisogni sono soddisfatti dai cittadini stessi, magari in forma associata e\o volontaristica. L’OGGETTO DEL RAPPORTO GIURIDICO IL BENE Cosa è una parte di materia; non ogni cosa è un bene Sono beni solo le cose che possono formare oggetto di diritti, cioè quelle suscettibili di appropriazione e di utilizzo. Quindi non sono beni le cose da cui non si può trarre vantaggio (le stelle o il fondo del mare qual’ora non raggiungibili e sfruttabili) né le cose di cui tutti possono fruire senza impedire la pari fruizione ad altri (la luce del sole,i venti ecc.) Quindi il termine bene designa un genus assai ampio diviene sinonimo di “diritto” in ambito codici stico non solo indicando i diritti sulla res ma anche altri diritti (es. i crediti) Le cose oggetto dei diritti reali si caratterizzano per la loro corporeità oltre che per la loro suscettibilità di valutazione economica. Tra i beni materiali ritroviamo pure le energie naturali (energia elettrica) purché anch’esse abbiano valore economico (art.814 c.c.). Tra i beni immateriali vanno considerati gli stessi diritti quando possono formare oggetto di negoziazione (es. un credito ceduto a fronte di un corrispettivo) Le opere di ingegno (poesia, brani musicali, quadri,…) sono considerate beni immateriali (in alcuni casi vi è sia diritto sulla res che sull’opera dell’ingegno ad es. l’autore che vende un quadro non è più proprietario della tela ma può impedire che esso venga riprodotto)così come gli strumenti finanziari i dati personali e i contenuti della banche dati Sono considerati beni anche marchi le invenzioni e il know-how (patrimonio di conoscenze e informazioni necessarie per attuare un processo produttivo). Immobile è il suolo e tutto ciò che naturalmente (es. alberi) o artificialmente (es. edifici) è incorporato ad esso (art.812. c.c.). L’art.812.2 c.c. considera immobili anche alcuni beni che non sono incorporati al suolo: i mulini, i bagni e gli edifici galleggianti, quando siano uniti saldamente per destinazione permanente alla riva. Tutti gli altri beni sono mobili I beni registrati sono oggetto di iscrizione in registri pubblici che chiunque può liberamente consultare. Nel nostro ordinamento sono istituiti: il registro immobiliare il pubblico registro automobilistico (PRA) il registro relativo alle navi e ai galleggianti e il registro aereonautico nazionale (RAN) Fungibile è il bene che può essere sostituito indifferentemente con un altro, in quanto non interessa avere proprio quel bene, ma una data quantità di beni di quel genere. (es. banconote) Per adempiere l’obbligazione di dare una quantità di beni fungibile e renderne proprietaria un’altra persona è necessaria la separazione, la quale consiste nella numerazione, nella pesatura o nella misura della parte dovuta (es. se compro un metro di stoffa ne divento proprietario quand’essa viene misurata e tagliata) I beni infungibili sono quelli indicati nella loro specifica identità (es. l’immobile di via verdi 3) Molto importante per i beni fungibili è ricordare l’importanza dell’aforisma “Genus numquam perit” (il genere non si esaurisce mai) sta a significare che il diritto di credito che si vanta esula dalla reale proprietà del bene (se mi sono obbligato a vendere un certo quantitativo di beni fungibili (es. vino) ed essi vanno perduti io non mi libero dall’obbligazione poiché non vi è un impossibilità assoluta posso procurarmi altro vino anche acquistandolo a mia volta per onorare l’obbligazione) Consumabili sono quei beni che non possono prestare utilità all’uomo senza perdere la loro individualità ovvero senza che il soggetto se ne privi (es. danaro). Gli altri beni sono inconsumabili ovvero sono suscettibili di plurime utilizzazioni senza essere distrutti nella loro consistenza ancorché soventemente si deteriorino con l’uso (es. i vestiti). I beni consumabili, siccome capaci di una sola utilizzazione, sono anche detti beni di utilità (o fecondità) semplice;i beni inconsumabili, in quanto suscettibili di una serie di utilizzazioni, sono invece detti beni di utilità (o fecondità permanente) Altro aspetto della distinzione tra beni consumabili e inconsumabili è nella distinzione tra comodato e mutuo. Con il comodato si consegna una cosa con l’obbligo di riconsegnare la stessa cosa ricevuta non è concepibile rispetto ai beni consumabili (es. prestito di un libro ad un amico con l’obbligo di restituirlo) mentre con il mutuo si ha l’obbligo di riconsegnare non la stessa cosa ricevuta ma la stessa quantità di beni dello stesso genere. Eccezionalmente si può avere la figura del comodato di beni consumabili (es. presto denaro ad un amico che vuol fare vedere un portafoglio rigonfio alla persona su cui vuole fare colpo) Divisibili sono le cose suscettibili di essere ridotte in parti omogenee senza che se ne alteri la destinazione economica (es. un edificio, un animale morto); è indivisibile, invece, il suo contrario (es. un animale vivo, un appartamento.) La nozione di bene divisibile assume rilievo in caso di contitolari età di diritti sul bene, se un bene è divisibile si può sempre ottenere lo scioglimento della comunione se non lo è ciò può avere luogo solo con l’attribuzione dell’intero ai condividenti che ne facciano richiesta con addebito dell’eccedenza a beneficio degli esclusi. Presenti sono i beni già presenti in natura; solo questi possono formare oggetto di proprietà o di diritti reali. Futuri sono invece i beni non ancora presenti in natura essi possono formare oggetto di rapporti obbligatori salvo i casi in cui ciò non sia vietato dalla legge. La ragione per cui non è concepibile un rapporto di natura reale su un bene futuro è ovvia: non si può esercitare un potere immediato su una cosa che non esiste. Comunque può darsi che chi acquista un bene futuro non voglia assumere nessun rischio: è perciò stabilito che, se esso non viene ad esistenza, il contratto non produce effetto e nessun corrispettivo è dovuto dall’altra parte (es. l’acquirente dei frutti di un fondo nulla deve pagare a titolo di prezzo se i frutti non sono prodotti.) Del tutto diversa è, invece, l’ipotesi in cui le parti si affidano alla sorte (e perciò il contratto è detto aleatorio): comprano ciò che si ricaverà dal getto della rete, e quindi lo stesso prezzo sarà dovuto sia nel caso che la rete esca dal mare piena di pesci sia in quello in cui risulti vuota. Bene semplice è quella i cui elementi sono talmente compenetrati tra di loro che non possono staccarsi senza distruggere o alterare la fisionomia del tutto (es. un animale, un minerale, un fiore). Bene composto è, invece, quella risultante dalla connessione, materiale o fisica, di più cose, ciascuna delle quali potrebbe essere staccata dal tutto ed avere autonoma rilevanza giuridica ed economica (es. un autovettura è composta dal motore la carrozzeria ecc) Se vendo un bene composto la vendita riguarda tutti gli elementi ciò non esclude l’individualità dei singoli elementi (nell’esempio sopra ho facoltà di vendere solo il motore della macchina). Quando più cose appartenenti a diversi proprietari siano state unite sino a formare una cosa unica e non sono più separabili se non con notevole deterioramento, la proprietà della cosa composta diventa, in via generale, comune in proporzione del valore delle cose originarie, salvo il caso in cui una delle cose possa considerarsi come principale e di maggior valore rispetto alla cosa accessoria, nel qual caso la proprietà della cosa composta è del proprietario della cosa principale che è unicamente tenuto a corrispondere il valore della cosa accessoria al proprietario. Nel bene composto i vari elemento diventano parti di un tutto (es. non sussiste macchina senza motore) Se invece una cosa è posta a servizio o ad ornamento di un’altra, senza costituirne parte integrante e senza rappresentare elemento indispensabile per la sua esistenza, ma in guisa da accrescerne l’utilità o il pregio, si ha la figura della pertinenza. Per la costituzione del rapporto di pertinenza occorrono sia l’elemento oggettivo (ornamento tra cosa e cosa) sia l’elemento soggettivo (volontà di effettuare la destinazione dell’una cosa a servizio od ornamento dell’altra) ovvero vi è un rapporto di subordinazione. Esempi di pertinenza di immobile ad immobile: il box di una casa Esempi di pertinenza di mobile ad immobile: il bestiame di un fondo Esempi di pertinenza di mobile a mobile: le scialuppe di una nave La destinazione di una cosa al servizio o all’ornamento dell’altra fa sì che l’una cosa abbia carattere accessorio rispetto all’altra, che assume posizione principale. Se manca il vincolo di accessorietà, non vi è figura della pertinenza. Il vincolo che sussiste tra due cose deve essere durevole, ossia non occasionale e deve essere posto in essere da chi è proprietario della cosa principale ovvero ha diritto reale su di essa e non occorre che la cosa accessoria appartenga al proprietario della cosa principale anche se spesso vi è la convinzione che il proprietario sia il medesimo. La cessazione della pertinenza non può essere opposta ai terzi che abbiano acquistato diritti sulla cosa principale ovvero se un soggetto ha un diritto sulla cosa principale, non potrà perdere i diritti sulla pertinenza in caso che questa cessi di esserlo. In pratica, se ho un diritto (ad esempio abitazione) su un appartamento con giardino, l'appartamento è la cosa principale, il giardino una pertinenza. Se il proprietario vende il giardino (e solo quello, art. 818 CC: "Le pertinenze possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici"), ma il mio diritto sull'abitazione e le sue pertinenze è precedente alla vendita, ho diritto che questo resti così com'era al momento della nascita del mio diritto di abitazione. Ovvero, la pertinenza resta tale finchè esiste il mio diritto sulla cosa principale. Le pertinenze seguono, di regola, lo stesso destino della cosa principale, a meno che non sia diversamente disposto. Se io vendo , dono , permuto un bene, il negozio si riferisce , anche alle pertinenze , pur se di queste non si fa cenno nell'atto e naturalmente purché le parti non manifestino una diversa volontà ovvero se hai già venduto il bene principale senza specificare che non veniva trasferita anche la pertinenza, viene tutelata la posizione del nuovo proprietario e non puoi più rivenderla separatamente. L’universalità di mobili è la pluralità di cose mobili che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria (es. i libri di una biblioteca, le pecore di un gregge). L’universalità di mobili si distingue dalla cosa composta perché non vi è coesione fisica tra le varie cose; si distingue dal complesso di pertinenza in quanto le cose non si trovano l’una rispetto all’altra in rapporto di subordinazione: l’una non è posta a servizio o a ornamento dell’altra, ma tutte insieme costituiscono una entità nuova dal punto di vista economico-sociale: la biblioteca, il gregge. I beni che formano l’universalità possono essere considerati a volte separatamente a volte come un tut tuno. Ciò dipende dalla volontà delle parti (posso vendere il libro singolo o l’intera biblioteca) Il principio “possesso vale titolo” non si applica all’universalità di mobili Se acquisto un universalità di mobili da chi non ne è proprietario ne acquisto il possesso trascorsi 10 anni (usucapione). Inoltre, il possesso di un’universalità di mobili può essere tutelato con l’azione di manutenzione (art.1170 c.c.), che non è concessa, invece, per i beni mobili. La dottrina distingue tra universalità di fatto che è costituita da più beni mobili unitariamente considerati dal proprietario (es. una biblioteca) ed universalità di diritto che è costituita da più beni in cui la riduzione ad unità è operata dalla legge che considera e regola unitariamente l’insieme di detti beni e rapporti (es. l’eredità). Il legislatore ha individuato una particolare categoria di beni i cd prodotti finanziari per assoggettarli ad una specifica disciplina a tutela degli investitori a sua volta strumentale al buon funzionamento del mercato dei capitali. Tra i prodotti finanziari una posizione di particolare rilievo occupano i cd strumenti finanziari (azioni ed obbligazioni emesse dalle società di capitali, titoli di stato ecc.) La legge impone a chiunque intenda effettuare un offerta al pubblico di strumenti finanziari l’obbligo di predisporre un prospetto informativo contenente in una forma facilmente analizzabile e comprensibile tutte le informazioni necessarie affinché gli investitori possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria e sulle prospettive dell’emittente.; il prospetto contiene anche una nota di sintesi recante i rischi e le caratteristiche essenziali dell’offerta. Detto prospetto sottoposto al controllo della Consob deve essere reso conoscibile al pubblico tramite pubblicazione. Di beni pubblici si parla in due sensi: a) beni appartenenti ad un ente pubblico ovvero ad una società denominata Patrimonio dello stato spa istituita dal ministero dell’economia e delle finanze (beni pubblici in senso soggettivo); b) beni assoggettati ad un regime speciale, per favorire il raggiungimento dei fini pubblici cui quei cespiti sono destinati (ovvero fa riferimento alla natura del bene; un bene pur appartenente al patrimonio di un ente pubblico ma non utilizzato per fini di pubblica utilità non è un bene pubblico il regime speciale si riferisce ad una particolare legge/regolamento/atto con cui si stabilisce la particolare destinazione alla pubblica utilità di un bene che fino a quel momento ne era sprovvisto) es. villa certosa residenza ufficiale :-) Sotto questo secondo profilo sono pubblici i beni demaniali, e i beni del patrimonio indisponibile I beni demaniali si distinguono in: Beni del demanio necessario che appartengono solo ad enti pubblici territoriali. E così vi appartengono: 1) il demanio marittimo (spiaggia, porti); 2) il demanio militare (fortificazioni, impianti militari) 3) il demanio idrico (fiumi, torrenti, laghi). Beni del demanio accidentale possono appartenere ai privati e sono demaniali se appartengono allo stato ovvero alla patrimonio dello stato spa 1) il demanio stradale (strade, autostrade); 2) il demanio aeronautico (aerodromi acquedotti) 3) il demanio culturale, immobili riconosciuti di interesse storico archeologico ed artistico raccolte dei musei delle pinacoteche ecc. I beni demaniali sono inalienabili non possono formare oggetto di possesso e non possono essere acquistati per usucapione da privati. Essi sono disciplinati dal diritto pubblico. I beni che non appartengono al demanio, ma sono pubblici. si chiamano beni patrimoniali. Si distinguono in due categorie: a) beni del patrimonio indisponibile (foreste, miniere, edifici destinati a sedi di uffici pubblici …), che non possono essere sottratti alle loro destinazioni; b) beni del patrimonio disponibile che non sono destinati direttamente ed immediatamente a pubblici servizi e sono soggetti, salvo leggi speciali, alle norme del c.c. . Da oltre un decennio è stato avviato un processo di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico ovvero lo stato è abilitato a costituire Srl cui trasferire a titolo oneroso beni facenti parte del patrimonio immobiliare pubblico affinchè queste vengano alienate sul mercato (la differenza con la costituzione di srl è che le srl costituite dallo stato non hanno il solo scopo dell’alienazione ma hanno un oggetto sociale più ampio possono anche solo svolgere attività di valorizzazione e gestione degli stessi) per il pagamento del corrispettivo le società si devono procurare la provvista necessaria mediante cartolarizzazione. Le chiese possono appartenere anche a privati e sono soggette alla disciplina del diritto privato, possono essere quindi alienate, usucapite…, ma finché non siano sconsacrate secondo le regole del diritto canonico, non possono essere sottratte alla loro destinazione e al culto. I frutti I frutti si distinguono in: frutti naturali e frutti civili. I frutti naturali provengono direttamente da altro bene, con o senza l’opera dell’uomo, come i prodotti agricoli, i prodotti delle miniere. Finché non avviene la separazione dal bene che li produce i frutti naturali si dicono pendenti: essi formano parte della cosa madre, non hanno ancora esistenza autonoma. Si può tuttavia disporre di essi come di beni futuri chi li vende non trasferisce al compratore il diritto di proprietà su di essi, ma si obbliga a trasferirlo allorché verranno ad esistenza.(cd rapporti obbligatori) Solo con la separazione i frutti naturali acquistano una loro individualità (cd frutti separati); solo quando questa si sarà verificata, si acquisirà il diritto di proprietà sui frutti. Frutti civili sono i redditi che si conseguono da un bene, come corrispettivo del godimento che ne venga concesso ad altri. Tali sono gli interessi di capitali, i dividendi azionari, le rendite vitalizie, il corrispettivo delle locazioni. I frutti civili devono avere il requisito della periodicità. Essi si acquistano giorno per giorno in ragione alla durata del diritto: così ad es. se viene venduta la cosa locata, il canone in corso di maturazione va diviso tra alienante ed acquirente in proporzione della durata dei rispettivi diritti. L’azienda Art. 2555 cc L’azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa:ossia per la produzione di beni o di servizi ovvero per lo scambio di beni o di servizi. Disputata è la natura giuridica dell’azienda; si tratta di una figura sui generis non inquadrabile in una qualche categoria essa non è un bene unitario suscettibile di diritti reali ma può formare oggetto unitario di negozi giuridici o di rapporti obbligatori o di provvedimenti. Tra gli elementi che formano l’azienda ha particolare importanza l’avviamento che si può definire come la capacità di profitto dell’azienda. Secondo la cassazione, l’avviamento è una qualità dell’azienda, che può anche mancare come accade nel caso di un’azienda di nuova costituzione, o di azienda già in esercizio che abbia cessato temporaneamente di funzionare. Uno dei fattori che costituiscono l’avviamento , la sede, è tutelata dalla giurisprudenza che ha previsto il diritto a conseguire da parte dell’imprenditore un indennità nel caso venga a cessare la locazione dell’immobile purché non a seguito di sua inadempienza o recesso Per quanto riguarda l’impresa, il c.c. non dà la definizione, ma dà quella dell’imprenditore, che, secondo l’art.2082 c.c., è chi esercita professionalmente (cioè non occasionalmente)un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi Ha dato luogo a dispute il rapporto tra le nozioni di impresa e azienda:e possiamo dire che L’impresa, , è l’attività economica svolta dall’imprenditore; l’azienda è, invece, il complesso dei beni di cui l'imprenditore si avvale per svolgere l’attività di impresa. Il patrimonio Si chiama patrimonio il complesso dei rapporti attivi e passivi suscettibili di valutazione economica facenti capo ad un soggetto. (diverso nella nozione comune anche se il patrimonio di una persona è fatto di soli debiti è cmq soggetto passivo di rapporti giuridici) Ogni soggetto di regola ha un patrimonio ed un patrimonio solo con il quale risponde dei propri debiti ovvero non può distaccarne una parte ad es. per riservarla ad alcuni creditori ciò è previsto solo nei casi previsti dalla legge (cd patrimonio separato esso continua a far capo al soggetto vi si distacca semplicemente una parte) Diverso è il patrimonio autonomo che è quello che viene attribuito ad un nuovo soggetto mediante la creazione di una persona giuridica. (es. società di capitali associazione riconosciuta ecc.) IL FATTO, L’ATTO ED IL NEGOZIO GIURIDICO I fatti giuridici Per fatto giuridico si indica un avvenimento o una situazione prevista dalla fattispecie di una norma (se un fiume si costituisce in un nuovo letto quello abbandonato rimane assoggettato al regime del demanio pubblico). Si distinguono fatti materiali quando si verifica un mutamento della situazione preesistente nel mondo esterno, percepibile dall’uomo con i sensi (es. abbattimento di un albero) e fatti in senso ampio, comprensivi sia di omissioni (es. mancato esercizio di un diritto che se si protrae oltre il tempo di legge cade in prescrizione) che di c.d. fatti interni o psicologici (es. L’azione revocatoria è un mezzo di tutela del credito e costituisce ulteriore rafforzamento delle garanzie patrimoniali a difesa delle legittime aspettative del creditore) Si parla di fatti giuridici in senso stretto o naturali quando le conseguenze giuridiche sono ricollegate ad un evento in cui non sia intervenuto l’uomo (morte per cause naturali di una persona, un’inondazione, i frutti civili). Spesso i fatti presi in considerazione dalle norme per ricollegarli a conseguenze giuridiche sono fatti già qualificati legalmente (es. il contratto,il matrimonio,la sentenza ecc.) Gli atti giuridici Per atto giuridico si indica un avvenimento o una situazione prevista dalla fattispecie di una norma ove l’evento causativo postula un intervento umano ( i reati, i contratti, le sentenze). Gli atti giuridici si distinguono in due categorie: atti conformi alle prescrizioni dell’ordinamento giuridico (atti leciti) e atti compiuti in violazione di doveri giuridici e che producono la lesione del diritto soggettivo altrui (atti illeciti.). Gli atti leciti si distinguono in operazioni che consistono in modificazioni del mondo esterno (es. la presa di possesso di una cosa), e dichiarazioni, che sono atti diretti a comunicare ad altri il proprio pensiero. Tra le dichiarazioni la maggior importanza và ai negozi giuridici ossia le dichiarazioni coni quali i privati esprimono la volontà di regolare in un determinato modo i propri interessi Si dicono invece dichiarazioni di scienza di atti con quali si comunica ad altri di essere a conoscenza di un atto o di una situazione del passato(es. nella confessione). Tutti gli atti umani consapevoli e volontari, che non siano negozi giuridici, sono denominati atti giuridici in senso stretto, essi sono disposti dall’ordinamento giuridico senza riguardo all’intenzione di colui che li pone in essere (es. se un creditore intima al debitore di saldare quanto dovuto questi è costituito in mora anche se il creditore non aveva intenzione di provocare questi effetti) Per ogni atto giuridico si esige la capacità di intendere e di volere Il negozio giuridico È una manifestazioni di volontà poste in essere per ottenere un determinato effetto giuridico Il negozio giuridico è un fatto giuridico Nel negozio giuridico principe sono il contratto , il testamento, il matrimonio. Il negozio giuridico, categoria essenzialmente non nominata nel c.c., ma a cui fa riferimento la dottrina, è l'atto che rileva non solo in quanto consapevole e volontario (come l'atto giuridico in senso stretto), ma anche in quanto vi è anche la volontà degli effetti collegati all'atto stesso; in parole povere, le parti si rappresentano e vogliono gli effetti giuridici che conseguono alla loro manifestazione di volontà (cosa che non accade nell'atto in senso stretto, dove l'effetto si verifica con il semplice porre in esser l'atto). In tal senso, è giusto definire, come fatto da autorevole dottrina, il negozio giuridico quale atto con cui si dispone della propria sfera giuridica, e quindi atto di autonomia privata Gli elementi del negozio giuridico si distinguono in elementi essenziali, senza i quali il negozio è nullo ed elementi accidentali (es. la condizione il termine e il modo), che le parti sono libere di apporre o meno. Gli elementi essenziali si dicono generali, se si riferiscono ad ogni tipo di contratto (es. la volontà, la dichiarazione, la causa); particolari, se si riferiscono a quel particolare tipo considerato (es. elemento essenziale particolare della vendita è il prezzo). Dagli elementi essenziali distinguiamo i presupposti del negozio, che sono circostanze estrinseche al negozio, indispensabili perché il negozio sia valido. Tali sono la capacità della persona che pone in essere il negozio, l’idoneità dell’oggetto, la legittimazione del negozio. Distinguiamo anche i c.d. elementi naturali. In realtà si tratta di effetti naturali del negozio: essi si producono senza bisogno di previsione delle parti, salva la loro contraria volontà manifestata (es. se acquisto un bene da chi non e è proprietario anche se il contratto non contiene clausole in merito sono comunque garantito dalla garanzia per evizione. (L'evizione è la garanzia che la cosa venduta non appartiene ad altri che la possano rivendicare) La volontà del soggetto diretta a produrre effetti giuridici deve essere dichiarata A seconda dei modi con cui la dichiarazione avviene, essa si distingue in dichiarazione espressa (se fatta con parole, cenni, alfabeto Morse…) e dichiarazione tacita comportamento che secondo il comune modo di pensare risulti incompatibile con la volontà contraria (es. se chiedo una dilazione di un debito caduto in prescrizione rinuncio tacitamente alla prescrizione) N.B. la prescrizione produce l'estinzione di un diritto per effetto dell'inerzia del titolare del diritto stesso che non lo esercita o non lo usa per il tempo stabilito dalla legge. In alcuni casi l’ordinamento giuridico richiede per forza una dichiarazione espressa, per evitare le incertezze circa l’esistenza della dichiarazione (es. prestazione di una fidejussione) Il silenzio può avere valore di dichiarazione tacita di volontà solo in concorso di determinate circostanze; oppure se, in basa alle regole della correttezza e della buona fede, il silenzio, dati i rapporti tra le parti, ha il valore di consenso. (es. se un librario manda un cliente dei libri ed egli mantiene solo quelli che acquista la mancata restituzione ne comporta l’acquisto se invece un editore con cui non ho rapporti mi manda un periodico anche se vi aggiunge l’avvertenza che chi non restituisce la copia è considerato abbonato la mancata restituzione non significa accettazione della proposta di abbonamento). La dichiarazione deve avere una forma. (il principio generale del nostro ordinamento è che la forma è libera, non si prevedono dei formalismi rigidi, tranne quando si parla di forma solenne, la prescrizione di una forma specifica è imposta dall’ordinamento per una questione di conoscibilità dell’atto.) Talvolta si ha la necessità di subordinare la validità di un atto a forme solenni: si pensi al matrimonio o al testamento. Nel caso del contratto specifici vincoli risultano imposti in relazione all’oggetto del contratto (per gli atti relativi ai diritti reali su beni immobili è richiesta la forma scritta)al tipo (es. il contratto di donazione deve essere perfezionato mediante atto pubblico e alla presenza di sue testimoni) o ai connotati di una certa categoria di contratti (es. i contratti relativi alle operazioni bancarie devono essere stipulati per iscritto) In alcuni casi il requisito della forma è richiesto ai fini processuali in quanto l’atto può essere provato solo mediante l’esibizione del relativo documento. Per molti negozi lo Stato, per ragioni fiscali, impone l’uso della carta bollata. Le parti acquistandola versano all’erario l’importo dei valori bollati acquistati. L’inosservanza di tale prescrizione non dà luogo, tuttavia, alla nullità del negozio, ma ad una sanzione pecuniaria notevole. Solo la cambiale e l’assegno bancario, se non sono stati regolarmente bollati al momento della emissione, pur essendo validi a tutti gli altri effetti, non hanno efficacia a titolo esecutivo. Anche la registrazione serve prevalentemente a scopi fiscali. La registrazione ha notevole importanza sotto l’aspetto del diritto privato essa è il mezzo di prova più comune per rendere certa, mediante l’attestazione dell’ufficio stesso sul documento, la data di una scrittura privata di fronte ai terzi Determinati fatti per avere conseguenze giuridiche rilevanti devono essere conosciuti o conoscibili da chi è interessato, la legge soddisfa questa esigenza con l’iscrizione del negozio in registri tenuti dalla pubblica amministrazione, che chiunque può consultare, o in giornali ufficiali, bollettini…La pubblicità serve, pertanto, a dare ai terzi la possibilità di conoscere l’esistenza ed il contenuto di un negozio giuridico o lo stato delle persone fisiche e le vicende delle persone giuridiche. Distinguiamo tre tipi di pubblicità: Si distinguono tre tipi di pubblicità giuridica: La pubblicità notizia serve a dare semplice notizia di determinati fatti, ma la sua omissione non influisce né sulla validità né sull'efficacia dei fatti stessi. È prevista solo una sanzione in caso di omissione. Gli imprenditori che hanno l'obbligo di iscrizione alla sezione speciale del Registro delle imprese sono iscritti, di regola, con pubblicità notizia, Altri esempi di pubblicità notizia sono le pubblicazioni matrimoniali (art. 93 c.c.) e l'annotazione a margine dell'atto di nascita della sentenza di interdizione (art. 423 c.c.). La pubblicità dichiarativa serve a far sì che l'atto sia opponibile a chiunque. Senza tale pubblicità l'atto esiste comunque ed è valido, ma diminuisce i suoi effetti: i suoi effetti, cioè, non sono opponibili ai terzi. Gli imprenditori iscritti nella sezione ordinaria del Registro delle imprese sono iscritti con pubblicità legale dichiarativa, escluse le società di capitali. Altri esempi di pubblicità legale dichiarativa sono la residenza (art. 19 c.c.) e le trascrizioni immobiliari (art. 2644 c.c.). La pubblicità costitutiva, infine, condiziona sia la validità che l'efficacia dell'atto, e in mancanza di essa non si produrranno effetti neppure tra le parti. Altri esempi sono l'iscrizione dell'ipoteca nei registri immobiliari. Classificazioni dei negozi giuridici Se il negozio giuridico è perfezionato con la dichiarazione di una sola parte, il negozio si dice unilaterale (es. il testamento) non si confonda il concetto con quello di persona, più persone possono effettuare un negozio unilaterale es. più persone che effettuano una procura a vendere costituiscono un negozio unilaterale (si parla di negozi pluri-personali) Se le parti sono più di una, si ha il negozio bilaterale (se sono due) o plurilaterale (se sono più di due). Non deve essere confuso con il caso di un contratto bilaterale a struttura plurisoggettiva (es. se due coniugi acquistano una casa da destinare ad abitazione comune il contratto rimane cmq bilaterale). Se le dichiarazioni di volontà sono dirette a formare la volontà di un a collettività organizzata di individui si ha l’atto collegiale (es. deliberazione dell’assemblea di una s.p.a.). nell’atto collegiale si applica il principio della maggioranza: la deliberazione è valida ed efficace anche se è approvata dalla maggioranza e non da tutti coloro che hanno diritto di partecipazione alla formazione della volontà della persona giuridica. L’atto collegiale differisce dall’atto complesso (volontà di più parti che si fondono in modo da formarne una sola) la distinzione con l’atto collegiale è che nel atto complesso se vi è un vizio di una sola parte vizia la dichiarazione complessa mentre nell’atto collegiale se una dichiarazione di voto ad es. viziata si procede se vi è maggioranza escludendo quel voto. I negozi giuridici unilaterali si distinguono in recettizi, se, per produrre effetto, la dichiarazione negoziale deve pervenire a conoscenza di una determinata persona, alla quale, pertanto, deve essere comunicata o notificata (es. disdetta di un contratto)e non recettizi, se producono effetto indipendentemente dalla comunicazione ad uno specifico destinatario (es. riconoscimento di un figlio naturale) Ulteriori distinzioni del negozio giuridico si ricollegano alla sua funzione (o causa) Si distinguono così i negozi mortis causa (unico es. il testamento), i cui effetti presuppongono la morte di una persona dai negozi inter vivos, che prescindono da tale presupposto (es. vendita). Secondo che si riferiscano ad interessi economici o meno si distinguono i negozi apatrimoniali (es. i negozi di diritto familiare in cui prevale sull’interesse del singolo l’interesse superiore del nucleo familiare) dai negozi patrimoniali che a loro volta si distinguono in negozi di accertamento (che si propongono solo di eliminare controversie, dubbi sulla situazione esistente) e negozi di attribuzione patrimoniale (spostamento di diritti patrimoniali da un soggetto ad un altro (es. vendita). I negozi di attribuzione patrimoniale, a loro volta, si distinguono in negozi di obbligazione (che danno luogo solo alla nascita di una obbligazione diretta al trasferimento di un bene (es. vendita di cosa altrui nella quale il venditore si obbliga ad acquistare la cosa dal proprietario in maniera che il compratore possa, di conseguenza, diventarne a sua volta immediatamente proprietario) e negozi di disposizione (che importano una immediata diminuzione del patrimonio mediante alienazione o rinuncia). I negozi di disposizione si distinguono in negozi traslativi (se attuano il trasferimento o la limitazione del diritto a favore di altri) o traslativo-costitutivi (se costituiscono un diritto reale limitato su di un bene del disponente) e abdicativi. Es. di Negozio abdicativo è la rinunzia, che è la dichiarazione unilaterale del titolare di un diritto soggettivo, diretta a dismettere il diritto stesso senza trasferirlo ad altri. Se la rinunzia ha per oggetto un diritto di credito si chiama remissione. I vari negozi patrimoniali si distinguono in negozi a titolo gratuito e negozi a titolo oneroso. Un negozio a titolo oneroso si ha quando un soggetto, per acquistare qualsiasi tipo di diritto, accetta un correlativo sacrificio; mentre si dice a titolo gratuito il negozio per effetto del quale un soggetto acquisisce un vantaggio senza alcun correlativo sacrificio. In genere l’acquirente a titolo gratuito è protetto meno intensamente dall’acquirente a titolo oneroso. La gratuità non coincide con la liberalità che rappresenta la causa della donazione: la gratuità è categoria più ampia poiché comprende tutti i casi a fronte dei quali non si ponga una controprestazione da parte del destinatario che sono sorrette da un intento non liberale del disponente L’INFLUENZA DEL TEMPO SULLE VICENDE GIURIDICHE Tra i fatti giuridici naturali particolare importanza ha il tempo; spesso le attività giuridiche si devono compiere entro periodi di tempo determinati da ciò la necessità di regole che stabiliscano come i termini devono essere calcolati; soccorre in proposito l’art. 2963 del cc: Art. 2963. Computo dei termini di prescrizione. I termini di prescrizione contemplati dal presente codice e dalle altre leggi si computano secondo il calendario comune.(calendario gregoriano) Non si computa il giorno nel corso del quale cade il momento iniziale del e la prescrizione si verifica con lo spirare dell'ultimo istante del giorno finale (es. se conto un termine di 5 giorni da oggi la giornata di oggi non è compresa nel calcolo) Se il termine scade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo. La prescrizione a mesi si verifica nel mese di scadenza e nel giorno di questo corrispondente al giorno del mese iniziale.(es. a scadenza un mese a decorrere dal 2 ottobre scade il 2 novembre e non l’1 come sarebbe se calcolassimo trenta giorni) Se nel mese di scadenza manca tale giorno, il termine si compie con l'ultimo giorno dello stesso mese. (es. termine di un mese dal 31 gennaio è il 28 febbraio) Il decorso di un determinato periodo di tempo insieme con altri elementi può dar luogo all’acquisto o all’estinzione di un diritto soggettivo. Se il decorso del tempo serve a far acquistare un diritto soggettivo, l’istituto che viene in considerazione è l’usucapione; invece, l’estinzione del diritto soggettivo per decorso del tempo forma oggetto di altri due istituti: la prescrizione estintiva e la decadenza. LA PRESCRIZIONE ESTINTIVA La prescrizione estintiva produce l’estinzione del diritto soggettivo per l’inerzia del titolare del diritto stesso che non lo esercita o non ne usa per il tempo determinato dalla legge. Le parti non possono rinunciare preventivamente alla prescrizione in quanto trattasi di istituto di ordine pubblico le cui norme sono inderogabili né prolungare né abbreviare i termini stabiliti dalla legge questo perché se fosse consentito rinunziare alla prescrizione una tale rinunzia diverrebbe una clausola apposta in tutti i contratti e le disposizioni sulla prescrizione diverrebbero lettera morta. E’ possibile rinunziare alla prescrizione (sia in maniera espressa che tacita) ma solo successivamente al decorso del suo termine (es. in altre parole potrebbe darsi che il diritto sia effettivamente estinto, ma il debitore in ossequio ad una sua regola morale, decida di adempiere lo stesso. Ciò può farlo rinunziando espressamente alla prescrizione, oppure dimostrando nei fatti la sua volontà di rinunzia come, ad esempio, il pagamento di un acconto.) Il debitore che paga spontaneamente il debito, non può farsi restituire quanto ha pagato. Si verifica così, una ipotesi di obbligazione naturale (art.2034 c.c.). Tutti i diritti sono soggetti a prescrizione estintiva; ne sono esclusi i diritti indisponibili come gli status personali, la potestà dei genitori sui figli minori,ecc … (diritti imprescrittibili). La ragione dell’esclusione è che questi diritti sono attribuiti al titolare nell’interesse generale e costituiscono, spesso, oltre che un potere anche un dovere. Anche il diritto di proprietà non è soggetto a prescrizione estintiva perché anche il non uso è un espressione della libertà riconosciuta al proprietario: inoltre la prescrizione ha sempre come finalità il soddisfacimento di un interesse, la dove l’estinzione del diritto di proprietà per non uso non avvantaggerebbe nessuno anche se ricordiamo che il proprietario può perdere il suo diritto qualora un terzo usucapisca il bene. Sono inoltre imprescrittibili sia l’azione di petizione di eredità (art.533.2 c.c. ovvero l'azione che l'erede può esercitare per vedere riconosciuta la sua qualità di erede contro chiunque possiede in tutto o in parte i beni ereditari a titolo di erede o senza titolo alcuno, scopo ultimo dell'azione è la restituzione dei beni ereditari) sia l’azione per far dichiarare la nullità di un negozio giuridico. Non sono prescrittibili nemmeno le singole facoltà che formano il contenuto di un diritto soggettivo (il proprietario non perde mai la facoltà di chiudere il proprio fondo) La prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto avrebbe potuto essere esercitato; quindi se il diritto deriva da un negozio sottoposto a condizione o a termine, la prescrizione decorre dal giorno in cui la condizione si è verificata o il termine è scaduto.(se acquisto una casa a Roma a condizione che mi trasferisca entro un anno il venditore può far agire le sue ragioni successivamente a quel termine). Rispetto alla durata si distinguono la prescrizione ordinaria e le prescrizioni brevi. La prescrizione ordinaria è applicata in tutti i casi in cui la legge non dispone diversamente dura 10 anni Il periodo più lungo (20 anni) è stabilito in armonia con il termine per l’usucapione e per l’estinzione dei diritti reali su cosa altrui. Le prescrizioni brevi riguardano diritti particolari ad es. il diritto al risarcimento del danno conseguentemente ad un atto illecito extracontrattuale che si prescrive in 5 anni (si riducono a 2 nel caso di danni derivanti dalla circolazione di veicoli), i diritti a prestazioni periodiche sempre 5 anni (es. i corrispettivi di affitti e locazioni) N.B. il termine locazione si usa per gli edifici adibiti ad abitazione mentre il termine affitto si usa per gli edifici destinati ad usi commerciali (es. negozi, uffici etc.) Un anno è la prescrizione dei diritti derivanti da taluni rapporti commerciali (società, spedizione, trasporto, assicurazione). Le prescrizione presuntive si basano sulla considerazione che vi sono rapporti della vita quotidiana nei quali l’estinzione del debito può avvenire senza che il debitore abbia cura di richiedere e conservare una quietanza che gli garantisca la possibilità di provare anche a distanza di tempo, di avere già provveduto ad estinguere il debito (es. somministrazione cibi al ristorante o acquisto medicinali in farmacia) A sua tutela perciò, la legge, trascorso un breve periodo sei mesi un anno o tre anni a seconda dei casi , presume che il debito si sia già estinto. Si noti bene: non è che il debito si estingua, ma si presume che si sia estinto ossia il debitore è esonerato dall’onere di fornire in giudizio la prova dell’estinzione. Il creditore, il quale abbia lasciato trascorrere imprudentemente l’intero periodo prescrizionale prima di pretendere il pagamento, ove la prescrizione presuntiva sia stata posta in giudizio, può cercare di vincerla solo ottenendo dal debitore la confessione che il debito, in realtà, non è stato pagato altrimenti occorre deferire all’altra parte il giuramento decisorio ossia l’invito ad assumere tutte le responsabilità inerenti ad una dichiarazione solenne davanti al giudice con la quale il debitore confermi che l’obbligazione sia davvero estinta e il creditore può qualora abbia elementi da cui risulti la falsità del giuramento denunciare la controparte per il reato di falso in giuramento. Il debitore è esonerato dall’onere di provare quale fatto avrebbe determinato l’estinzione del debito: il giudice deve assolverlo dalla domanda di pagamento, senza bisogno che dimostri di avere effettivamente già pagato ovvero che si sia davvero verificata la causa di estinzione del debito. La prescrizione non opera allorché sopraggiunga una causa che giustifichi l’inerzia stessa. Entrano qui in gioco gli istituti della sospensione e dell’interruzione. La sospensione è determinata o da particolari rapporti fra le parti (tra i coniugi, tra il genitore che esercita la potestà sue figli minori), o dalla condizione del titolare (minori non emancipati o interdetti per infermità di mente o militari in servizio attivo in tempo di guerra). Le cause sono tassative, cosicché i semplici impedimenti di fatto non valgono ad impedire il decorso della prescrizione. L’interruzione ha luogo o perché il titolare compie un atto (es. costituisce in mora il debitore) con il quale esercita il diritto o perché il diritto viene riconosciuto dal soggetto passivo del rapporto (es. mi riconosco debitore promettendo il pagamento il prima possibile) Nella sospensione l’inerzia del titolare del diritto continua a durare, ma è giustificata; Nell’interruzione invece è l’inerzia stessa che viene a mancare o perché il diritto è stato esercitato, o perché esso è stato riconosciuto dall’altra parte. La differenza tra la sospensione e l’interruzione è La sospensione spiega i suoi effetti per tutto il periodo per il quale gioca la causa giustificativa dell’inerzia (quindi per esempio finché dura la minore età), ma non toglie valore al periodo eventualmente trascorso; nella sospensione quindi, il tempo anteriore al verificarsi della causa di sospensione non perde la sua efficacia e si somma con il periodo successivo. L’interruzione, facendo venir meno l’inerzia, toglie ogni valore al tempo anteriormente trascorso: una volta terminata l’interruzione (es. la sentenza passa in giudicato) comincia a decorrere un nuovo periodo di prescrizione LA DECADENZA La decadenza produce l’estinzione del diritto in virtù del fatto oggettivo del decorso del tempo, esclusa, in genere, ogni considerazione relativa alla situazione soggettiva del titolare. La decadenza provoca l'estinzione di un diritto per non aver svolto determinate attività previste dalla legge o dalle parti nel termine stabilito La decadenza implica, quindi, l’onere di esercitare il diritto esclusivamente entro il tempo prescritto dalla legge. La decadenza può, quindi, essere impedita solo dall’esercizio del diritto mediante il compimento dell’atto previsto Con l’esercizio del diritto cade, infatti, la stessa ragione d’essere della decadenza. A differenza della prescrizione la decadenza può essere iscritta in un contratto e non è suscettibile di applicazione per analogia. N.B. Differenza prescrizione e decadenza: Sia la prescrizione che la decadenza sono due cause di estinzione di un diritto per il mancato esercizio dello stesso entro un termine indicato dalla legge. Per la decadenza però a differenza della prescrizione non è previsto alcun tipo di interruzione del termine per poi ricominciare a decorrere e alcun tipo di sospensione. Inoltre i termini per la decadenza sono molto più brevi rispetto a quelli della prescrizione e possono essere stabiliti non soltanto per legge ma anche per volontà delle parti attraverso l'indicazione dei termini in un contratto. Le fattispecie della prescrizione sono numerose visto che sono previste, oltre alla prescrizione ordinaria di 10 anni, anche prescrizioni brevi (di 5, 3 o 1 anno) e prescrizioni lunghe (20 anni per i diritti reali di godimento su cosa altrui). Nella prescrizione si ha riguardo alle condizioni soggettive del titolare del diritto, mentre nella decadenza si ha riguardo solo al fatto obiettivo del trascorrere del tempo. Altra differenza è quella secondo cui mentre la prescrizione comporta la perdita di un diritto che era già nella sfera del soggetto, la decadenza impedisce, invece, l'acquisto di un nuovo diritto e cioè comporta la perdita della possibilità dell'acquisto di un diritto. Uno stesso diritto può essere soggetto a decadenza e prescrizione, è il caso, ad esempio, la garanzia art. 1495 c.c. - che prevede un termine per la denuncia del vizio di 8 giorni dalla scoperta a pena di decadenza e la prescrizione del diritto al risarcimento in un anno dalla denunzia. Questo articolo spiega correttamente quanto sopra: entro 8 giorni il compimento di un'attività per esercitare il diritto ed estinzione dello stesso entro un anno se non viene esercitato. Altro es. Termini di prescrizione dei crediti del rapporto di lavoro I termini entro i quali è possibile contestare il contenuto della busta paga sono; • un anno per gli errori di calcolo; • cinque anni per le interpretazioni delle norme contrattuali e di legge. I crediti del rapporto di lavoro si prescrivono entro 5 anni, (con la sola eccezione dei diritti connessi alla persona (ad esempio: la salute), i quali sono per legge imprescrittibili) Il lavoratore quindi deve contestare entro un anno un errore di calcolo (decadenza) ed entro 5 iniziare il procedimento di risarcimento nei confronti del datore di lavoro debitore perché non cada in prescrizione LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI Se il diritto soggettivo non è spontaneamente rispettato dai consociati solo in casi eccezionali l’ordinamento ammette che il suo titolare possa provvedere direttamente alla sua tutela (cd autotutela) di regola il soggetto deve rivolgersi al giudice ipotesi eccezionali di difesa consentita al privato sono il diritto di ritenzione, l’eccezione di inadempimento, la diffida di adempimento, la difesa del possesso e finché la violenza dell’aggressore è in atto la legittima difesa. Il cittadino ha diritto di rivolgersi agli organi all’uopo istituiti per ottenere la giustizia che non può assicurarsi da sé questo diritto si chiama azione. Chi esercita l’azione proponendo la domanda giudiziale si chiama attore (perché agisce), colui contro il quale l’azione si propone convenuto (perché è invitato nel suo interesse a presentarsi, se lo crede, nel giudizio e ad esporre le sue ragioni). Il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti non può essere soppresso o limitato nei confronti di nessuno e per nessuna ragione ed i meno abbienti hanno assicurati i mezzi idonei per essere ugualmente difesi davanti un giudice.. Se tra me e un’altra persona sorge controversia circa la sussistenza di un diritto soggettivo a mio favore, s’instaura un processo di cognizione che ha il compito di individuare il comando contenuto nella norma di diritto sostanziale sia applicabile al caso concreto (ovvero il giudice afferma in base a quale articolo ho la ragione o il torto) Se io ho ottenuto la sentenza con cui Tizio viene condannato a pagarmi i danni e, ciò nonostante, egli non ottempera a quest’obbligo, io posso instaurare contro di lui un processo di esecuzione, la cui finalità consiste nel realizzare il comando contenuto nella sentenza (in questo caso, mediante l’espropriazione dei beni di Tizio e la loro vendita; sul danaro ricavato io soddisferò il mio credito). Per impedire che, nel corso del processo di cognizione, Tizio si spogli dei suoi beni, io posso avvalermi del processo cautelare (per es. posso chiedere ed ottenere il sequestro conservativo di quei beni), infatti, la finalità di tale processo è quella di conservare lo stato di fatto esistente per rendere possibile l’esecuzione della sentenza. Il processo di cognizione può tendere ad una di queste tre finalità: 1) all’accertamento dell’esistenza o dell’inesistenza di un rapporto giuridico incerto e controverso (se Tizio sia o meno proprietario di una cosa: azione e sentenza di mero accertamento); 2) all’emanazione di un comando, che il giudice rivolgerà alla parte soccombente di eseguire la prestazione che egli stesso riconosce dovuta all’attore (azione e sentenza di condanna); 3) alla costituzione, modificazione o estinzione di rapporti giuridici ovvero il giudice non si limita ad accertare la situazione giuridica o ad esprimere un comando completo ma modifica la situazione fino a quel momento vigente. (es. la separazione coniugale i coniugi prima erano tenuti alla coabitazione e all’assistenza reciproca per effetto della sentenza questi obblighi cessano o si modificano.) E’ concesso alle parti di promuovere il riesame della lite impugnando la decisione a questo riesame non può andare all’infinito verificatesi certe condizioni (decorso dei termini esaurimento dei mezzi di impugnativa) il comando contenuto nella sentenza non può più essere modificato. Ad eventuali ulteriori tentativi di una delle parti di proseguire il dibattito si può opporre la cosa giudicata o il passaggio in giudicato della sentenza L’efficacia del giudicato concerne anzitutto il processo, esso preclude ogni ulteriore riesame ed impugnazione della sentenza. La cosa giudicata ha anche un valore sostanziale: non solo non si può impugnare la sentenza, ma, se in essa è stato riconosciuto il mio diritto di proprietà o di credito, ciò non può formare più oggetto di riesame tra me e l’altra parte in futuri processi. Art. 2909 dice che l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti i loro eredi ed aventi causa Se non viene adempiuto il comando contenuto nella sentenza, colui a cui favore è stato emesso può iniziare il processo esecutivo. Solo in alcuni casi detto procedimento riesce ad assicurare coattivamente proprio quel risultato voluto dal comando di quella sentenza. Quindi o può avere per oggetto la consegna di una cosa determinata mobile o immobile(es. l’obbligo dell’inquilino di riconsegnare l’appartamento) ed l’avente diritto otterrà tramite l’intervento dell’ufficiale giudiziario la consegna o il rilascio del bene medesimo. Se si tratta di un facere infungibile,(es. l’obbligo dell’appaltatore di ultimare l’edificio) nel qual caso può soltanto ottenere il risarcimento del danno.Se l’obbligo riguarda quel particolare facere infungibile il processo esecutivo si conclude con la conclusione del contratto (es. il venditore che si impegna con un contratto preliminare a vendere l’immobile ad un determinato acquirente) in questo caso il giudice può emettere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso. Se non è stato adempiuto un obbligo di non facere, l’avente diritto può ottenere la distruzione a spese dell’obbligato (es. il vicino sopraeleva un muro ove non potesse) La forma più importante di processo esecutivo è quella che ha per oggetto l’espropriazione dei beni del debitore, nel caso che egli non adempia l’obbligazione di pagare una somma di danaro (espropriazione forzata).i beni vengono venduti all’incanto e con gli introiti pagati i creditori L’ espropriazione forzata ha inizio con il pignoramento, l’atto con il quale si assoggetta il bene all’azione esecutiva. L’art. 2913 c.c. stabilisce che gli atti di disposizione del bene pignorato non hanno effetto nei confronti del creditore precedente e dei creditori intervenuti.. (ovviamente la legge tiene conto dei terzi che in buona fede abbiano acquistato ad es. se l’immobile non è iscritto “possesso vale titolo”) LA PROVA DEI FATTI GIURIDICI Tutte le volte che su una circostanza le parti forniscano ricostruzioni diverse, il giudice è tenuto, per poter arrivare a definire la lite, a scegliere tra le contrapposte versioni. Nel giudizio civile, sono le parti che devono preoccuparsi di indicare quali siano i mezzi di prova, ossia gli elementi in base ai quali ciascuna di esse ritiene che la propria versione dei fatti litigiosi risulti più convincente di quella della controparte. Al giudice spetta valutare anzitutto se i mezzi di prova che le parti offrono siano ammissibili (es. è inammissibile la testimonianza di un soggetto che ha un diretto interesse nella controversia), cioè conformi alla legge; e rilevabili, cioè abbiano ad oggetto fatti che possano influenzare la decisione della lite. Dopo aver ammesso e assunto le prove, egli valuterà, con la sentenza, la loro concludenza, ossia la loro idoneità o meno a dimostrare i fatti sui quali vertevano. In ogni caso, comunque, il giudice deve motivare la sua decisione, spiegando le ragioni del suo convincimento. Può darsi che, riguardo ai fatti oggetto di opposte versioni delle parti, nel processo siano del tutto mancanti mezzi di prova. In questo caso, il giudice, non potendo rifiutarsi di decidere, dovrà per forza scegliere una soluzione. La regola di giudizio che il legislatore gli offre si chiama “onere della prova” in ordine a ciascun fatto grava sempre su una sola delle parti l’onere di persuadere il giudice, ossia, se il giudice non considera convincente o provata la versione offerta dalla parte gravata dall’onere, dovrà dare ragione, su quel punto, alla controparte, anche se consideri parimenti non convincente la versione che a quel fatto è stata data da quest’ultima. L’onere della prova, quindi, è una regola da applicare al termine del giudizio, risolvendosi nel rischio che sia accolta la versione sostenuta dalla controparte, se il soggetto gravato dall’onere non riesce ad offrire al giudice elementi di prova sufficientemente convincenti. Il problema più delicato rimane quello di accertare su quale delle due parti grava l’onere della prova la legge stabilisce che la buona fede è presunta (art. 1147 ovvero il giudice fa ricadere su chi vuol contestare gli effetti della buonafede l’onere di provare la malafede dell’altra parte e non su questi ultimi l’onere di provare la propria buonafede) Quindi l’onere della prova può ben definirsi come il rischio per la mancata prova di un fatto rimasto incerto nel giudizio. Per mezzo di prova s’intende qualsiasi elemento (un documento una fotografia) idoneo ad influenzare la scelta che il giudice deve fare per stabilire quale tra le contrapposte versioni di un fatto sostenute dalle parti in lite sia più convincente. Il principio fondamentale è quello della loro libera valutazione da parte del giudice. (art. 116 del codice di procedura civile il giudice deve valutare secondo il suo prudente apprezzamento) Vi sono deroghe al principio del libero apprezzamento le cd prove legali (es. atto pubblico confessione…) la cui rilevanza è già predeterminata dalla legge, cosicché il giudice non ha alcuna discrezionalità nel valutarle egli non ne potrebbe decidere in contrasto in quanto si considerano pienamente provate I mezzi di prova si distinguono in due specie: prova precostituita o documentale (atto pubblico, scrittura privata), detta precostituita perché esiste già prima del giudizio; e prova costituenda (prova testimoniale, confessioni, presunzioni, giuramenti), detta costituenda perché deve formarsi nel corso del giudizio. Per “documento” s’intende ogni cosa idonea a rappresentare un fatto, in modo da consentirne la presa di conoscenza a distanza di tempo. Importanza preminente tra i documenti, rivestono l’atto pubblico e la scrittura privata: L’atto pubblico è il documento redatto, con particolari formalità stabilite dalla legge, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuire all’atto quella particolare fiducia nella sua veridicità che si chiama “pubblica fede” es. i rogiti notarili i verbali di udienza del cancelliere del tribunale ecc L’atto pubblico fa piena prova della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha sottoscritto e di tutto quanto egli attesta essere avvenuto alla sua presenza (art. 2700 c.c.). Ciò significa che il giudice è vincolato a considerare senz’altro vere le circostanze, senza che siano possibile alternative, dubbi o controprove. Se una parte intende contrastare tale speciale forza probatoria privilegiata deve fare necessariamente ricorso ad un particolare procedimento che si avvia mediante una querela di falso: ossia mediante la richiesta che il giudice accerti, ,che quel documento è in realtà oggettivamente falso. L’atto pubblico se nullo per difetto di qualche formalità può avere la stessa efficacia della scrittura privata se sottoscritto da una o più parti (conversione formale) Scrittura privata è qualsiasi documento che risulti sottoscritto da un privato essenziale è la sottoscrizione tramite la quale ci si assume la paternità del testo., quindi, la responsabilità in quanto in esso sia dichiarato. La scrittura privata, proprio perché non proviene da un pubblico ufficiale, non ha la stessa efficacia probatoria dell’atto pubblico. Essa, infatti, fà prova soltanto contro chi ha sottoscritto il documento e non a suo favore. Se, invece, la sottoscrizione è autenticata o è riconosciuta, da un notaio o da un altro pubblico ufficiale essa, come l’atto pubblico fa piena prova legale fino a querela di falso, ma della sola provenienza delle dichiarazioni di chi ha sottoscritto. Elemento importante della scrittura privata è la data, ossia l’indicazione del giorno in cui la scrittura è stata sottoscritta. La legge stabilisce che la data della sottoscrizione (cd data certa) se si tratta di scrittura privata autenticata consiste nella data dell’autenticazione se la scrittura è registrata nella data della registrazione. Efficacia probatoria è riconosciuta al telegramma alle carte e i registri domestici i libri e le scritture contabili dell’impresa e il fax se colui contro il quale è prodotto non lo contesta. Quanto ai documenti informatici occorre distinguere tra quelli con firma elettronica che è liberamente valutabile in giudizio e quelli sottoscritti con firma digitale (firma ottenuta attraverso una procedura informatica che garantisce la connessione univoca al firmatario) che al pari di qualsiasi scrittura privata costituisce piena prova (se autenticati dal notaio costituiscono scrittura privata autenticata). Quando la forma è richiesta ad substantiam, essa costituisce un elemento essenziale del negozio, cosicché ove il requisito formale non sia osservato l’atto è irrimediabilmente nullo. (es. una vendita immobiliare stipulata con contratto verbale è nulla) Il legislatore non consente sia provata per testimoni o giuramento unica eccezione è se perduto senza sua colpa (es. incendio o infortunio) occorre dimostrare quindi l’originaria esistenza, la perdita incolpevole e il suo contenuto. Il legislatore impone quindi come abbiamo visto alla parte l’onere di custodire il documento onde poterle in qualsiasi momento, esibire al giudice: altrimenti, mancando il documento o, in alternativa, la prova della sua perdita incolpevole, il giudice deve presumere che esso non sia mai stato formato. Diversa è la situazione, invece, quando l’osservanza di una forma sia stabilita ad probationem In tal caso, infatti, l’atto compiuto senza l’osservanza della forma stabilita dalla legge non è nullo (es. transazioni non immobiliari) l’unica conseguenza della inosservanza della forma è il divieto della forma testimoniale e di quella presuntiva. La mancanza del documento non pregiudica la possibilità di provare atto e contenuto: se la formazione del negozio costituisce fatto non contestato il giudice deve considerarlo provato se invece sia contestato la parte che intenda dimostrare il perfezionamento dell’atto (ovvero quale ne sia il vero contenuto) può chiedere l’interrogatorio nella speranza di ottenere una confessione (giuramento decisorio) Per presunzione (o prova indiretta) si intende ogni argomento, illazione, attraverso cui, essendo già provata una determinata circostanza (c.d. fatto base o indizio), si giunge a considerare provata altresì un'altra circostanza, sfornita di prova diretta (così ad es., dalla circostanza che sia decorso già un certo periodo di tempo dal momento in cui si poteva pretendere il pagamento di certi debiti, per i quali doveva avvenire entro breve tempo, si trae la presunzione che il debito sia già stato pagato o comunque si sia già estinto, sebbene manchino prove dirette del pagamento o del verificarsi di un'altra causa di estinzione dell’obbligo: prescrizione presuntiva). Le presunzioni si dicono legali quando è la stessa legge che attribuisce ad un fatto, valore di prova in ordine ad un altro fatto, che quindi viene presunto (es. presunzione che chi ha il possesso di una cosa altrui sia in buona fede). Le presunzioni legali, a loro volta, possono essere assolute se non ammettono prova contraria (es. durata della gestazione) o relative se ammettono prova contraria. (es. art 1142 il possessore attuale che ha posseduto in tempo più remoto si presume che abbia posseduto anche nel tempo intermedio) Le presunzioni si dicono invece semplici quando non sono prestabilite dalla legge, ma sono lasciate al prudente apprezzamento del giudice, il quale non deve ritenere provato un fatto, di cui manchino prove dirette, se non quando ricorrano indizi gravi, precisi e concordanti (art.2729 c.c.). La testimonianza (detta anche prova orale) è la narrazione fatta al giudice di una persona estranea alla causa in relazione a fatti controversi di cui il teste abbia conoscenza. (è considerata con diffidenza dal legislatore sia per il rischio di testi interessati o compiacenti sia per il rischio di deformazioni nello sforzo di ricordare avvenimenti del passato) La prova testimoniale incontra limiti legali di ammissibilità: a) essa non è ammissibile quando sia: invocata per provare il perfezionamento o il contenuto di un contratto avente un valore superiore alle 5000 lire ovvero 2,58 € e se la parte è in impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta (es. contratto tra familiari stretti e quando la parte ha perduto senza sua colpa il documento che forniva la prova) b) essa non è ammissibile se tende a dimostrare che anteriormente, contemporaneamente o successivamente alla stipulazione di un accordi scritto siano stati stipulati altri patti, non risulti però dal documento (art.2722, 2723); c) non è ammissibile se tende a provare un contratto che, deve essere stipulato o anche solo provato per iscritto.(in questo caso la prova è ammissibile solo se il documento che forniva la prova è perduto senza colpa) Il giuramento è un mezzo di prova di cui si può chiedere l’acquisizione nel corso di un giudizio civile. Vi sono due tipi di giuramento: il decisorio e il suppletorio. Quello decisorio si chiama così perché deve riguardare circostanze che abbiano valore decisorio in ordine ad una quaestio facti su cui il giudice è chiamato a pronunciarsi, cosicché l’esito del giuramento preclude ogni ulteriore accertamento al riguardo. Il giuramento è ammissibile solo quando sia relativo ad un fatto proprio della parte cui è definito, ovvero quando sia relativo alla conoscenza che essa ha di un fatto altrui.. Se la parte si rifiuta di giurare o non si presenta, senza giustificato motivo, all’udienza fissata, la sua versione del fatto non può più essere considerata vera dal giudice. Se invece presta il giuramento, il giudice deve definitivamente considerare vera la sua affermazione e decidere in conformità la questione per la quale il giuramento è stato ammesso. Non si possono fornire prove contrarie si può denunciare penalmente chi attesti il falso chiedendo risarcimento dei danni se sia intervenuta condanna penale ma non la revocazione della sentenza civile pronunciata in base al falso giuramento Il legislatore richiedeva che il giudice ammonisse la parte sull’importanza religiosa e orale dell’atto ma la corte costituzionale con una sentenza del ‘96 ha eliminato il richiamo ai valori religiosi ed etici sicché il significato del giuramento è divenuto orale-individuale Il giuramento non è ammissibile quando si tratti: a) di diritti indisponibili (es. questioni di stato); b) di fatto illecito (qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto; c) di atto per cui sia richiesta la forma scritta ad substantiam; d) di contestare l’attestazione, contenuta in un atto pubblico, che un determinato fatto è alla presenza del pubblico ufficiale che lo ha firmato. Il giuramento suppletorio può essere deferito in base ad un potere discrezionale dello stesso giudice, quando questi si trovi di fronte ad un fatto rimasto incerto, ma per il quale la parte che aveva l’onere di provarlo abbia fornito elementi abbastanza rilevanti, sebbene non definitivamente persuasivi: in tal caso il giudice può offrirle di perfezionare la prova, già quasi raggiunta, confermando con il giuramento che i fatti affermati sono veri. Una particolare specie di giuramento suppletorio è il giuramento estimatorio, che può essere deferito per stabilire il valore di una cosa quando non sia possibile accertarlo diversamente. La confessione è la dichiarazione che la parte fa della verità di fatti all’altra parte Essa è una dichiarazione di scienza. Essa è giudiziale, se resa in giudizio e, in questo caso, fa piena prova stragiudiziale, se resa fuori dal giudizio. Se la confessione stragiudiziale è fatta alla parte o al suo rappresentante, ha lo stesso valore di quella giudiziale; se è fatta ad un terzo, può essere apprezzata liberamente dal giudice. A differenza della giudiziale, la confessione stragiudiziale deve essere, a sua volta, dimostrata. La confessione può essere revocata solo se si dimostri che essa è stata determinata da errore di fatto o da violenza. La confessione si dice qualificata quando la parte riconosce la verità dei fatti a sé sfavorevoli, ma vi aggiunge altri fatti o circostanze tendenti a modificarne o ad estinguerne gli effetti (ammetto che abbiamo concluso un contratto ma aggiungo che è simulato). In questo caso bisogna distinguere: a) se l’altra parte non contesta la verità dei fatti o delle circostanze aggiunte, le dichiarazioni fanno piena prova nella loro integrità; b) se l’altra parte contesta è rimesso al giudice di apprezzare, secondo le circostanze, l’efficacia probatoria delle dichiarazioni (art.2734 c.c.). Diversa dalla dichiarazione confessoria è la dichiarazione ricognitiva essa ha ad oggetto l’asseverazione (N.B. Le asseverazioni vengono rilasciate dal Tribunale ai fini di attestare il giuramento) di diritti o rapporti giuridici (es. dichiaro di essere tuo debitore di euro mille) . I DIRITTI REALI DIRITTI REALI IN GENERALE E LA PROPRIETA’ A) I DIRITTI REALI Diritto reale è un diritto che ha per oggetto una cosa (in latino res) e la segue indipendentemente dal suo proprietario. Nel nostro sistema giuridico sono a numero chiuso, e tra di essi spicca • il diritto di proprietà (il diritto reale fondamentale), affiancata dai cosiddetti "diritti reali minori" (o "diritti reali su cosa altrui"), che si distinguono in: • diritti reali di godimento: o l'enfiteusi, o il diritto di superficie, o l'usufrutto, o il diritto reale d'uso, o il diritto reale di abitazione, o le servitù (o servitù prediali); • diritti reali di garanzia: o il pegno, o l'ipoteca. I diritti reali sono caratterizzati: 1. Immediatezza: possibilità che il titolare eserciti direttamente il potere sulla cosa, senza necessità della cooperazione di terzi (es. il proprietario può utilizzare il bene senza la collaborazione di altri e sufficiente che questi ultimi non vi frappongono ostacolo) 2. Assolutezza: dovere di tutti i consociati di astenersi dall’interferire nel rapporto fra il titolare del diritto reale ed il bene che ne è oggetto e, correlativamente, dalla possibilità per il titolare di agire in giudizio contro chiunque contesti o pregiudichi il suo diritto (c.d. efficacia erga omnes) 3. Inerenza: opponibilità del diritto a chiunque possieda o vanti diritti sulla cosa (es.: il proprietario può agire nei confronti di chiunque possieda il bene per ottenerne la restituzione) I diritti reali costituiscono un numerus clausus (sia cioè precluso ai privati di creare diritti reali diversi da quelli disciplinati dalla legge) e contestualmente sono connotati dal carattere della tipicità (sia cioè precluso ai privati di modificare la disciplina dei singoli diritti reali) questo perché si vuole impedire che i privati possano moltiplicare limiti e vincoli destinati a comprimere i poteri del proprietario e tutelare i terzi che volendo acquisire i diritti sulla cosa devono essere posti in grado di conoscere con esattezza i vincoli che gravano su di essa. Nell’ambito dei diritti reali si è soliti distinguere tra la proprietà privata (in re propria) e i diritti reali che gravano su beni di proprietà altrui e che sono destinati a coesistere (in re aliena) comprimendo così i diritti del proprietario (es.: su un medesimo fondo possono gravare il diritto di proprietà di Tizio ed una servitù di passaggio a favore di Caio: è evidente che quest’ultimo diritto limitarà il potere del primo, il quale potrà sì utilizzare il proprio fondo, ma gli saranno precluse tutte quelle attività che impediscano a Caio l’esercizio del suo diritto). I diritti reali in re aliena si distinguono in diritti reali di godimento (superficie, enfiteusi, usufrutto, uso, abitazione, servitù prediali) e diritti reali di garanzia (pegno ed ipoteca): i primi attribuiscono al loro titolare il diritto di trarre dal bene talune delle utilità che lo stesso è in grado di fornire; i secondi attribuiscono al loro titolare il diritto di farsi assegnare, con prelazione rispetto agli altri creditori, il ricavato dell’eventuale alienazione forzata del bene, in caso di mancato adempimento dell’obbligo garantito. Da non confondere con i diritti reali sono le obbligazioni propter rem (o obbligazioni reali) che si caratterizzano per il fatto che l’obbligato viene individuato in base alla titolarità di un diritto reale su un determinato bene es. l’obbligo di sostenere le spese necessarie per la conservazione e il godimento della cosa comune grava su ciascun comproprietario. Da non confondere con l’obbligazione reale è l’onere reale, in forza del quale il creditore, per il pagamento di somme di denaro o altre cose generiche da prestarsi periodicamente in relazione ad un determinato bene immobile, può soddisfarsi sul bene stesso, chiunque ne diventi proprietario o acquisti diritti reali di godimento o di garanzia su di esso. Si ritiene che non sia dato ai privati costituire oneri reali al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge. L’unica ipotesi di onere reale prevista dal nostro ordinamento è costituita dai contributi consorziali. LA PROPRIETA’ La proprietà è un diritto reale che ha per contenuto la facoltà di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi previsti dall'ordinamento giuridico. Tutte le proprietà sono inviolabili art. 29 dello Statuto Albertino del 1848 Nella formula dello Statuto la proprietà privata (espressione generale del principio di libertà) sarebbe un diritto innato, che i poteri pubblici possono soltanto eccezionalmente comprimere, ma sempre rispettandone la priorità rispetto alla stessa organizzazione dello stato. La proprietà attribuisce al titolare: 1. Il potere di godimento del bene (se, come e quando utilizzarlo; direttamente (abitando la casa di proprietà) o indirettamente (concedendo un appartamento in locazione) 2. Il potere di disposizione del bene (cedere ad altri, in tutto o in parte, es. l’immobile posso locarlo venderlo donarlo ecc. ) Entrambi i poteri sono pieni ed esclusivi. Da qui l’idea che la proprietà sia caratterizzata dai connotati: 1. Assolutezza (diritto del proprietario di fare sulla cosa tutto ciò che vuole anche distruggerla) 2. Esclusività (diritto del proprietario di vietare ogni ingerenza di terzi) Le caratteristiche della assolutezza e della esclusività sono tipiche ormai solo della proprietà dei beni di uso strettamente personale. Quanto agli altri beni l’ordinamento non rimette integralmente al proprietario le scelte in ordine al loro utilizzo. Già il codice civile detta una disciplina differenziata per le proprietà dei beni di interesse storico e artistico, per la proprietà rurale, per la proprietà edilizia, per la proprietà fondiaria: elaborando per ciascuna categoria di beni una serie di previsioni miranti a conciliare l’interesse egoistico del proprietario con l’interesse degli altri proprietari o della collettività. Con l’avvento della Carta costituzionale, inoltre, la proprietà non solo non viene più dichiarata inviolabile, ma non viene neppure disciplinata fra i principi fondamentali, né fra i diritti di libertà: essa è contemplata nel titolo relativo ai rapporti economici. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge: tale garanzia implica che non è consentito al legislatore ordinario di sopprimere l’istituto della proprietà privata, e che sarebbe altresì in contrasto con i principi costituzionali un’eventuale trasformazione del nostro sistema in un ordinamento in cui i beni siano prevalentemente collettivizzati. Tuttavia l’art. 43 Cost. espressamente prevede che a fini di utilità generale il legislatore ben potrebbe escludere l’ammissibilità della proprietà privata per quanto riguarda una determinata categoria di beni che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale (es. nel 1962 si è proceduto alla nazionalizzazione delle imprese elettriche con la fondazione dell’ ENEL anche se ricordiamo che oggi è stato trasformato in spa con titoli diffusi tra il pubblico). A ciò si aggiunge l’art. 42 Cost. demanda espressamente al legislatore ordinario il compito di determinare i modi di acquisto, di godimento ed i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. In altre parole il legislatore è legittimato ad intervenire per delineare, con riferimento a singole categorie di beni, il contenuto dei poteri (di godimento e di disposizione) che competono al proprietario; e ciò al fine di garantire che il relativo esercizio seppur com’è normale abbia finalità egoistiche comunque realizzi una funzione sociale (da ricollegarsi sia all’esigenza di realizzare uno sfruttamento economicamente efficiente dei beni, sia all’esigenza di instaurare più equi rapporti sociali. La proprietà si ritiene tradizionalmente caratterizzata: 1. Imprescrittibilità (la proprietà non decade mai non si può perdere per “non uso” si può rivendicare solo per usucapione, art. 948 c.c.) 2. Perpetuità è opinione diffusa che un proprietà ad tempus sia una nozione contraddittoria qualora ci sia non si parla più di proprietà ma di diritto parziale 3. Elasticità i poteri che normalmente competono al proprietario possono essere compressi in virtù della coesistenza sul bene di altrui diritti reali (es. usufrutto servitù ecc.)o di vincoli di carattere pubblicistico; tali poteri sono però destinati a riespandersi automaticamente non appena dovesse venire meno il diritto reale o il vincolo pubblicistico concorrente (es. a termine dell’usufrutto il proprietario si riappropria in toto dei suoi poteri di godimento del bene) Modi di acquisto della proprietà. 1. Modi di acquisto “a titolo derivativo”, che importano la successione nello stesso diritto già appartenente ad altro soggetto, per cui gli eventuali vizi che inficiavano il titolo del precedente proprietario si riversano anche sul successore 2. Modi di acquisto “a titolo originario”, che determinano invece la nascita di un diritto nuovo, del tutto indipendente rispetto a quello eventualmente spettante sullo stesso bene ad altro precedente proprietario. I modi di acquisto della proprietà a titolo derivativo più importanti sono (art. 922 c.c.) il contratto e la successione a causa di morte. Modi di acquisto della proprietà a titolo originario sono: a) L’occupazione (art. 923 ss. c.c.): consiste nella presa di possesso con l’intenzione di acquisirla in via permanente e definitiva, di cose mobili che non sono in proprietà di alcuno (es. i pesci che vivono allo stato naturale) o abbandonate (es. gli oggetti lasciati nei cestini dei rifiuti). Non sono invece suscettibili di occupazione i beni immobili, in quanto se non sono di proprietà di alcuno (sono, cioè, vacanti) spettano al patrimonio dello Stato. Eccezionalmente possono acquistarsi per occupazione, , mammiferi e gli uccelli facenti parte della fauna selvatica; gli sciami d’api e gli animali mansuefatti sfuggiti al proprietario, di cui chi li ritrova acquista la titolarità, se non vengono reclamati tempestivamente; i conigli, i pesci ed i colombi che passano ad altra conigliera, peschiera o colombaia; nonché i frutti spontanei (funghi, tartufi etc.) b) L’invenzione (art 927 ss. c.c.): riguarda solo le cose mobili smarrite (di cui, cioè, il proprietario ignori il luogo in cui si trovano). Queste debbono essere restituite al proprietario o, qualora non se ne conosca l’identità, consegnate al sindaco ; trascorso un anno, se la cosa è stata consegnata al sindaco e non si presenta il proprietario, la proprietà spetta a colui che l’ha trovata. Se invece si presenta il proprietario, questi deve al ritrovatore un premio proporzionale al valore della cosa smarrita. Una particolare forma di invenzione è quella che riguarda il tesoro, per tale intendendosi una cosa mobile di pregio, nascosta o sotterrata, di cui nessuno può provare di essere proprietario: esso diviene immediatamente di proprietà del titolare del fondo in cui si trova; ma, se è trovato, per solo effetto del caso, nel fondo altrui, spetta per metà al proprietario e per metà al ritrovatore. I c.d. beni culturali, da chiunque e in qualunque modo ritrovati nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e al proprietario dell’immobile dove è avvenuto il ritrovamento e allo scopritore fortuito compete un premio (d.lgs. 42/2004). c) L’accessione (art. 934 ss. c.c.): opera in caso di stabile incorporazione (per opera dell’uomo od anche per evento naturale) di beni di proprietari diversi: in tale ipotesi di regola il proprietario della cosa principale acquista la proprietà delle cose che vengono in essa incorporate.(es. se si vende un terreno e si tace circa le costruzioni su essa esistenti, il compratore acquista a titolo derivativo il terreno, e a titolo originario (per accessione) le costruzioni. Al riguardo occorre distinguere fra: a) L’accessione da mobile ad immobile (934 ss. c.c.): importa che di regola qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo. Il proprietario del suolo acquista ex lege la proprietà di quanto nello stesso luogo venga da chiunque incorporato: il suolo è sempre considerato “cosa principale”, quand’anche le cose incorporate dovessero avere un valore di mercato maggiore. Siffatta regola (peraltro derogabile per volontà delle parti) importa la necessità di contemperare i contrapposti interessi del proprietario del suolo con quelli del proprietario di questi ultimi, se diverso: La regola secondo cui “superficies solo cedit” viene peraltro derogata (anzi, ribaltata, nel senso che è il suolo a cedere a quanto in esso impiantato) in ipotesi di c.d. “accessione invertita” (938 c.c.), che si configura allorquando nel realizzare una costruzione, il proprietario sconfina sul fondo altrui, sicché l’edificio viene ad insistere a cavallo tra due fondi: se la parte realizzata sul terreno altrui non ha una propria autonomia funzionale, se l’autore dello sconfinamento opera nel ragionevole convincimento di edificare sul proprio suolo (buona fede), se il proprietario del fondo occupato non fa opposizione entro 3 mesi dal giorno in cui la costruzione sul suo fondo ha avuto inizio, il proprietario sconfinante può chiedere che il giudice gli trasferisca la proprietà del suolo occupato a fronte del pagamento, a favore del confinante, di una somma pari al doppio del valore della superficie occupata. b) L’accessione di immobile ad immobile (941 ss. c.c.), che si articola nelle seguenti figure: 1) l’“alluvione”, che consiste nell’accrescimento dei fondi rivieraschi di fiumi e torrenti per l’azione dell’acqua corrente: siffatti terreni alluvionali appartengono al proprietario del fondo incrementato; 2) l’“avulsione”, che consiste nell’unione al fondo rivierasco di porzioni di terreno, considerevoli e riconoscibili staccatesi da altro fondo per forza istantanea dell’acqua corrente: dette porzioni di terreno appartengono al proprietario del fondo incrementato, che è peraltro tenuto a pagare all’altro proprietario un’indennità nei limiti del maggior valore recato al suo fondo dall’avulsione. In altre parole la corrente stacca da un fondo e trasporta più a valle o sull'altra riva una parte considerevole e riconoscibile di suolo: chi ha ricevuto l'incremento ne diventa proprietario, ma deve un'indennità all'altro proprietario Non costituiscono più oggi ipotesi di accessione né quella dei terreni abbandonati dalle acque correnti né quella dell’alveo derelitto (cioè, i terreni abbandonati dalle acque di un fiume che si forma in un nuovo letto), né quella delle isole che si formano nel letto di fiumi o torrenti: detti beni sono, ora, parte del demanio pubblico. c) L’accessione da mobile a mobile (art. 939 ss. c.c.), che dà luogo alle seguenti figure: 1) l’“unione”, che consiste nella congiunzione di beni mobili appartenenti a proprietari diversi che vengono a formare un tutto inseparabile senza dar luogo ad una “cosa nuova”: la proprietà diventa comune. Se però, una delle due cose si può considerare principale o è molto superiore per valore, il suo proprietario acquista la proprietà del tutto e deve corrispondere una somma di denaro alla controparte Egli ha l'obbligo di pagare all'altro il valore della cosa che vi è unita o mescolata; ma se l'unione o la mescolanza è avvenuta senza il suo consenso ad opera del proprietario della cosa accessoria, egli non e obbligato a corrispondere che la somma minore tra l'aumento di valore apportato alla cosa principale e il valore della cosa accessoria. E' inoltre dovuto il risarcimento dei danni in caso di colpa grave.; 2) la “specificazione”, che consiste nella creazione di una cosa del tutto nuova con beni mobili appartenenti ad altri (es.: produzione di sapone con materie prime altrui): qui si ha trasformazione della materia mediante l’opera umana. Il codice ha dato conseguentemente importanza all’elemento “lavoro”: infatti, se è superiore il valore della mano d’opera, la proprietà spetta allo specificatore (salvo l’obbligo di pagare al proprietario il prezzo della materia); altrimenti prevale il diritto del proprietario della materia (che peraltro deve pagare il prezzo della mano d’opera). Azioni a difesa della proprietà. “Azioni petitorie” (hanno natura reale, in quanto volte a far valere un diritto reale): a) L’“azione di rivendicazione” (c.d. reivindicatio)(art. 948 c.c.): è concessa a chi si afferma proprietario di un bene, ma non ne ha il possesso, al fine di ottenere, da un lato, l’accertamento del suo diritto di proprietà sul bene stesso e, dall’altro, la condanna di chi lo possiede o detiene alla sua restituzione. “Legittimato attivamente” è perciò chi sostiene di essere proprietario del bene senza trovarsi nel possesso della cosa. “Legittimato passivamente” è colui che, avendo il possesso o la detenzione della cosa, ha la c.d. facultas restituendi. È sufficiente che il convenuto possieda o detenga la cosa al momento della domanda giudiziale: se successivamente abbia cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa (es.: perché l’ha ceduta a terzi), l’azione può essere legittimamente proseguita nei suoi confronti, anche se non potrà più avere l’effetto restitutorio del possesso che le è proprio. Il convenuto sarà obbligato a recuperare la cosa per l’attore a proprie spese, oppure, in mancanza, a corrispondergliene il valore, oltre a dovergli in ogni caso risarcire il danno. Comunque il proprietario può sempre rivolgersi direttamente contro il nuovo possessore, al fine di ottenerne direttamente da quest’ultimo la restituzione del bene. Per quel che riguarda la prova, l’attore ha l’onere di dimostrare il suo diritto di proprietà. Se l’acquisto è a titolo originario, gli sarà sufficiente fornire la prova di tale titolo. Se invece l’acquisto è a titolo derivativo (es.: usucapione), non basterà la produzione in giudizio del suo titolo di acquisto (in quanto l’alienante potrebbe non essere stato il proprietario del bene e quindi legittimato a trasferirne la titolarità), sicché l’attore dovrà dare la prova anche del titolo di acquisto dei precedenti titolari fino ad arrivare ad un acquisto a titolo originario: in questo caso la prova sarebbe, se non impossibile, estremamente difficile (“probatio diabolica”). Soccorrono peraltro due istituti:  Rispetto ai beni mobili sarà sufficiente che l’attore provi che, quand’anche avesse acquistato da chi non era legittimo proprietario del avrebbe comunque acquisito la proprietà della cosa per effetto della regola del “possesso vale titolo” (art. 1153 c.c.), avendo a suo tempo ricevuto, in buona fede ed in base ad un titolo idoneo al trasferimento della proprietà, il possesso del bene di cui ora lamenta di non avere il godimento;  Rispetto ai beni immobili (e ai beni mobili relativamente ai quali non possa dimostrarsi l’operatività della regola “possesso vale titolo”) occorrerà invece che l’attore provi che, quand’anche avesse acquistato a non domino, avrebbe comunque acquisito la proprietà della cosa per usucapione (art. 1158 c.c.), avendone avuto il possesso continuato per il tempo necessario a maturarsi dall’usucapione stessa. L’”azione di rivendicazione” è imprescrittibile, perché anche il non uso è una manifestazione dell’ampiezza di poteri che spettano al proprietario. Essa deve essere però rigettata se il convenuto dimostra di avere acquistato la proprietà della cosa per usucapione. Dall’azione di rivendicazione si distingue l’azione di restituzione: la prima presuppone che colui che si afferma proprietario pretenda la consegna del bene proprio per il fatto di esserne proprietario; l’azione di restituzione, invece, che l’attore agisca in giudizio vantando un diritto alla restituzione nascente da un rapporto contrattuale, oppure dalla sua risoluzione, dalla sua scadenza, etc.: nell’azione di restituzione non occorre, ovviamente, la prova del diritto di proprietà; basta quella dell’obbligo di restituzione.(es. diritto alla restituzione del veicolo consegnato al meccanico per la riparazione) b) L’“azione di mero accertamento della proprietà” è dalla giurisprudenza riconosciuta a chi (abbia o non abbia il possesso della cosa) ha interesse (es.: perché da altri contestato) ad una pronuncia giudiziale che affermi, con l’efficacia del giudicato, il suo diritto di proprietà su un determinato bene: l’azione è rivolta non già a recuperare la cosa (che, magari, è già nel possesso dell’attore), ma semplicemente a rimuovere la situazione di incertezza venutasi a creare in ordine alla proprietà di essa. c) L’“azione negatoria” (art. 949c.c.) è concessa al proprietario di un bene al fine di ottenere l’accertamento dell’inesistenza di diritti reali vantati da terzi sul bene stesso (es.: Tizio sostiene di essere titolare di una servitù di passaggio sul mio fondo), oltre che (nell’ipotesi in cui le relative pretese si siano tradotte nel compimento di atti corrispondenti di detti diritti) la condanna alla cessazione delle conseguenti molestie e turbative ed al risarcimento del danno. Per quel che riguarda la prova (poiché l’azione negatoria è diretta non già all’accertamento della proprietà di chi agisce, ma solo al riconoscimento della libertà del bene da diritti di terzi) l’attore non deve fornire la prova rigorosa della proprietà sul bene stesso, come accade invece in caso di rivendicazione, ma è sufficiente che dimostri un valido titolo di acquisto (es. il rogito notarile dell’acquisto dell’immobile). Sarà il convenuto a dover, se vuole ottenere il rigetto dell’azione, dimostrare l’esistenza del diritto che vanta. Anche l’azione negatoria è imprescrittibile. Ma dovrà essere rigettata, qualora il convenuto dovesse dimostrare di aver acquistato il diritto vantato per usucapione. d) L’“azione di regolamento di confini” presuppone l’incertezza del confine tra due fondi: i rispettivi titoli di proprietà delle parti non sono contestati; incerta è solo l’estensione delle proprietà contigue; si ha dunque un “conflitto tra fondi”, non già un “conflitto di titoli”. L’azione (che spetta al proprietario nei confronti del confinante) è volta appunto ad accertare giudizialmente il confine tra due fondi contigui, ed eventualmente ad ottenere la condanna alla restituzione della striscia di terreno, che dalla fissazione della linea di confine dovesse risultare posseduta dal non proprietario. La prova dell’ubicazione del confine può essere fornita con ogni mezzo (art. 950 c.2 c.c.); in mancanza di altri elementi il giudice si atterrà al confine allineato dalle mappe catastali, prova (art. 950 c.3 c.c.). Anche l’azione di regolamento di confini è imprescrittibile. e) L’“azione per apposizione di termini” (art. 951 c.c.): a differenza del precedente presuppone la certezza del confine e serve a far apporre o a ristabilire i segni lapidei, simboli del confine tra due fondi, che manchino o siano divenuti irriconoscibili. Le azioni fin qui esaminate si distinguono dalle azioni a tutela del possesso, c.d. “azioni possessorie”. Espropriazione e indennizzo Art. 42, la proprietà privata può esser, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale (interesse della collettività ad utilizzare il bene del proprietario, ove occorra, a fini di pubblico interesse:realizzazione di ponti scuole ospedali ecc.). La Costituzione prevede che la posizione del privato possa essere sacrificata solo in presenza: a) di un interesse generale; b) di una previsione legislativa che lo consenta (cd riserva di legge); c) di un indennizzo che compensi il privato del sacrificio che subisce nell’interesse della collettività. Nozione ormai superata di “espropriazione” è che fosse il trasferimento della titolarità di un bene dal precedente proprietario ad un altro soggetto, pubblico o privato (cd espropriazione traslativa); La Corte Costituzionale ha invece ritenuto che rientrassero nella nozione d’espropriazione anche quelle limitazioni che pur non determinando per il proprietario la perdita del suo diritto siano tali da svuotare di contenuto il diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene tanto profondamente da renderlo inutilizzabile relativamente alla destinazione inerente alla natura del bene stesso o determinando il venir meno o una penetrante incisione del suo valore di scambio (cd espropriazione larvata). In sostanza, in simili ipotesi il soggetto in questione è ancora formalmente proprietario di un bene ma, in virtù di dette limitazioni, non può goderne appieno. Si potrebbe concludere quindi che, in questa ipotesi non sussiste vera e propria espropriazione (che incide sulla TITOLARITA' del diritto di proprietà), ma piuttosto una forma di espropriazione "attenuata", che interessa e incide sull'ESERCIZIO del diritto; un esempi,o sono le c.d. servitù militari (che concedevano alle autorità militari poteri discrezionali di imporre vincoli, senza indennizzo, sulle proprietà vicine ad opere militari sono state poi dichiarate incostituzionali).. La Corte Costituzionale tende a distinguere da un lato fra disposizioni che si riferiscono ad intere categorie di beni, sottoponendo tutti i beni appartenenti alla categoria ad un particolare regime di godimento, dall’ altro di disposizioni che si riferiscono invece a singoli cespiti, restringendo i poteri del proprietario rispetto a quelli riconosciuti in via generale agli altri titolari di beni appartenenti a quella medesima categoria oppure annullandone o diminuendone in modo apprezzabile il valore di scambio: le prime non rientrano nel concetto di espropriazione, bensì in quello di “conformazione” del contenuto del diritto di proprietà sui beni appartenenti a quella determinata categoria e, conseguentemente, non comportano indennizzo (es. le restrizioni ai poteri di godimento a cui sono sottoposti i proprietari dei cd beni culturali) ; le seconde rientrano invece nel concetto di “espropriazione” e necessitano di indennizzo (es. proprietario agricolo il cui fondo è gravato da vincoli alla coltivazione a tutela della sicurezza dei voli che si effettuano nel limitrofo aeroporto) Su questa linea, il DPR 327/2001 prevede che nella nozione di espropriazione di beni immobili rientri non solo l’ipotesi di passaggio del diritto di proprietà dall’espropriato al beneficiario dell’espropriazione, ma anche quella del vincolo sostanzialmente espropriativo, cioè quella in cui il fondo sia gravato da una servitù o subisca una permanente diminuzione di valore per la perdita o la ridotta possibilità di esercizio del diritto di proprietà Quanto al problema relativo ai criteri di determinazione dell’indennizzo da parte del legislatore, la Corte Cost. ha escluso che l’indennizzo debba necessariamente consistere unicamente nel integrale risarcimento del pregiudizio economico sofferto dall’espropriato in base al solo valore venale (di mercato) del bene ; di contro ha escluso anche che l’indennizzo possa essere dal legislatore stabilito in termini meramente simbolici o irrisori, dovendo piuttosto rappresentare un serio ristoro del pregiudizio conseguente all’espropriazione. Il già citato DPR del 2001 ha stabilito dei criteri di valutazione dell’indennizzo relativi all’espropriazione di aree non edificabili (l’indennizzo è pari al valore agricolo più un indennità aggiuntiva se il proprietario è coltivatore diretto) aree edificabili, (l’indennizzo è pari all’importo diviso per due e ridotto nella misura del 40% risultante dalla somma del valore venale del bene e del reddito dominicale netto rivalutato moltiplicato per dieci) costruzioni legittimamente edificate (l’indennizzo è pari al valore venale) e vincoli sostanzialmente espropriativi. (l’indennizzo è commisurato al danno effettivamente prodotto) Al fine di incentivare la cessione volontaria della proprietà del bene dall’espropriando al beneficiario senza necessità di addivenire ad un formale decreto di esproprio, la legge prevede che il corrispettivo della cessione sia, di regola, maggiore rispetto all’indennizzo (es. per la cessione volontaria del di un area edificabile non è prevista la riduzione del 40%) In relazione al caso in cui la PA abbia realizzato un’opera pubblica su un fondo privato occupato illegittimamente, senza un provvedimento espropriativo o d’occupazione d’urgenza la giurisprudenza ritenne che la p.a. acquisisse ex lege la proprietà della stessa (cd acquisizione acquisitiva) con l’obbligo di risarcire il danno in conseguenza della perdita del diritto domenicale, Il DPR del 2001 ha previsto invece che l’acquisto del fondo al patrimonio indisponibile dell’ente pubblico si verifichi non già automaticamente, bensì in forza di un atto di acquisizione rimesso alla discrezionalità della PA, che deve altresì determinare la misura del risarcimento del danno che compete al proprietario. Con la riforma dell’articolo V acceso è il dibattito se ed in che misura l’espropriazione sia competenza legislativa esclusiva dello stato o residuale singole regioni La proprietà dei beni culturali. Beni culturali: cose, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico, archivistico, bibliografico, o che comunque costituiscono testimonianze aventi valore di civiltà. Art. 19 c.c. La repubblica tutela il patrimonio storico e artistico della Nazione. Art. 839 c.c.: postula un particolare regime dominicale per le cose di proprietà privata, immobili o mobili, che presentano interesse artistico, storico o etnografico. D.lgs. 42/2004: impone al proprietario, cui sia stata notificata dal Ministero per i beni e le attività culturali, la c.d. dichiarazione dell’interesse culturale, tutta una serie di limiti relativi al potere di godimento (es.: i beni culturali non possono essere distrutti, danneggiati, o adibiti ad usi incompatibili con il loro carattere storico o artistico, oppure tali da arrecare pregiudizio alla loro conservazione) e al potere di disposizione (es.: obbligo di denuncia al Ministero per i beni e le attività culturali degli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o la detenzione di detti beni e il diritto di prelazione dello stato nel caso di alienazioni a titolo oneroso). La proprietà edilizia. DPR 380/2001: l’attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio è subordinata: a) al previo rilascio, da parte dell’autorità comunale, di un permesso di costruire, quanto agli interventi di maggiore impatto (es. nuova costruzione, ristrutturazione urbanistica). Tale permesso può essere rilasciato solo se l’intervento sia conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comporta l’obbligo a favore del Comune di un contributo di costruzione,commisurato che consenta all’amministrazione municipale di provvedere alle indispensabili opere di urbanizzazione primaria (strade parcheggi ecc.) e secondaria. (asili scuole chiese) b) Alla denuncia di inizio di attività (D.I.A) da presentarsi all’autorità comunale da parte del proprietario dell’immobile, almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori, accompagnata da una relazione a firma del progettista che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici. Al fine di evitare l’abusivismo edilizio la legge fa ricorso a strumenti di tipo amministrativo (es. sospensione dei lavori sanzione pecuniaria,) ma anche di tipo privatistico ovvero: a) sanzione di nullità per gli atti aventi ad oggetto il trasferimento o la costruzione di diritti reali su terreni, ove agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica; b) sanzione di nullità per gli atti aventi ad oggetto il trasferimento o la costruzione di diritti reali su edifici, la cui costruzione sia iniziata dopo il 17 marzo 1985, ove dagli stessi atti non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso per costruire; c) divieto alle aziende erogatrici di servizi pubblici, di somministrare (contratto con il quale una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell’altra, prestazioni periodiche o continuative di beni o servizi) le loro forniture per l’esecuzione di opere prive di permesso di costruire; d) imposizione a chi abbia violato le disposizioni che regolamentano l’attività edilizia dell’obbligo di risarcire i danni che i terzi ne abbiano eventualmente sofferto, e, se si tratta di disposizioni tese a disciplinare le distanze tra costruzioni, permesso ai terzi “vicini” di chiedere la riduzione in pristino (eliminazione delle opere abusive). L’art. 117, Cost. demanda oggi alla potestà legislativa concorrente dello stato e delle regioni ordinarie la materia del governo del territorio, che sicuramente ricomprende l’urbanistica (disciplina dell’assetto e dell’utilizzazione del territorio.) Tuttora fondamentale rimane la L. 1150/1942 (Legge urbanistica), la quale prevede che la pianificazione del territorio (dove, che cosa e come si può fare su di esso) avvenga principalmente attraverso due strumenti ad iniziativa pubblica: il “piano regolatore generale” (P.R.G) esso indica la divisione in zone del territorio comunale i vincoli da osservare le aree destinate a formare spazi di uso pubblico ecc. e, in sua attuazione, il “piano particolareggiato di esecuzione” (P.P). indica in dettaglio le reti stradali i dati altimetrici di ciascuna zona ecc. Tuttavia la legge oggi, accanto a strumenti di pianificazione attuativa ad iniziativa pubblica, ne conosci altri che fanno invece ricorso a meccanismi di tipo privatistico: in particolare, la “convenzione di lottizzazione”, in forza della quale, a fronte dell’autorizzazione da parte del Comune di un piano di lottizzazione proposto dai proprietari delle aree interessate, questi ultimi si assumono una serie di impegni nei confronti del Comune stesso. (es. cessione gratuita di aree per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria assunzione di parte di oneri per la realizzazione delle stesse ecc.) La proprietà fondiaria. Secondo una suggestiva definizione medievale in linea verticale la proprietà fondiaria (proprietà della terra) si estenderebbe sia nel sottosuolo che nello spazio aereo soprastante, cioè all’infinito. Peraltro L’art. 840 dispone che il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante, che egli non abbia interesse ad escluderle (es.: il proprietario non può opporsi all’escavazione di una galleria che non pregiudichi la statica del suo edificio o al passaggio di aeroplani su di esso). Dunque la proprietà del suolo si estende a quella sola parte del sottosuolo suscettibile di utilizzazione secondo un criterio di normalità, tanto quanto per il soprassuolo. Una limitazione all’estensione della proprietà si ha quando venga costituito un diritto di superficie. In senso orizzontale, invece, ciascuna proprietà fondiaria si estende nell’ambito dei propri confini. Il proprietario ha la facoltà, da un lato, di cintare in qualsiasi momento il proprio fondo (art. 841 c.c.) e, da altro lato, di impedirne l’accesso a chiunque (salvo esercizio per la caccia, 842 c.c.; per la costruzione o riparazione di un muro od altra sua opera che si trovi sul confine o presso di esso, 843 c.c. per riprendere la cosa sua che vi si trovi accidentalmente o l’animale che vi sia riparato sfuggendo alla custodia, 843 c.c.). Le consuetudini consentono talora l’accesso ai fondi altri per passeggiarvi, raccogliere fiori o funghi, sciare ecc. I rapporti di vicinato. Le singole proprietà immobili sono necessariamente destinate a convivere fianco a fianco. L’eventuale riconoscimento, in capo a ciascuno dei titolari, di un potere di godere in modo pieno del proprio fondo (art. 832 c.c.) darebbe inevitabilmente luogo a conflitti tra i loro contrapposti interessi. (es. voglio svolgere un attività produttiva sul mio fondo ma allo stesso tempo il mio vicino non vuole subire immissione di fumi o rumori durante lo svolgimento dell’attività) Proprio al fine di contemplare i contrapposti interessi dei proprietari di fondi contigui, disciplinando i “rapporti di vicinato”, il codice detta tutta una serie di regole in materia di: a) atti emulativi (immissioni (844 c.c.); c) distanze (873, 878 ss. c.c.); d) muri (874 ss. c.c.); e) luci e vedute (900 ss. c.c.); f) acque (908 ss.). Tradizionalmente, dette regole venivano intese come volte ad imporre alla proprietà immobiliare limiti legali nell’interesse privato (nell’interesse cioè dei proprietari dei fondi contigui). Viene superata quindi la concezione che la proprietà è un diritto che, indifferente alla natura del bene su cui ricade, attribuisce sempre e comunque al suo titolare un potere di godimento pieno sul bene stesso. In realtà, le norme in discussione sono semplicemente tese a conformare la proprietà immobiliare, in modo da assicurare un coordinamento fra i diritti riconosciuti ai singoli titolari. Gli atti emulativi. Al proprietario sono preclusi gli atti di emulazione, per tali intendendosi quelli che non hanno altro scopo che quello di nuocere o arrecare molestia ad altri. (cd abuso del diritto soggettivo) Perché l’atto di godimento di un bene sia vietato, debbono concorrere due elementi: a) l’uno oggettivo, ossia l’assenza di utilità per il proprietario; b) l’altro soggettivo, ossia la sola l’intenzione di nuocere o arrecare molestia ad altri (non posso piantare alberi solo per togliere la veduta panoramica al mio vicino) Si ritiene non incorra invece nel divieto di atti emulativi un comportamento omissivo del proprietario, quand’anche finalizzato a nuocere al vicino (es. faccio crescere arbusti spontanei per togliere la veduta panoramica al mio vicino) Le immissioni. Il diritto di godere del bene in modo esclusivo (832 c.c.) importa che lo stesso è legittimato ad opporsi a qualsiasi attività materiale di terzi che abbia a svolgersi sul suo fondo (es. scarico di rifiuti smaltimento di liquami le cd “immissioni materiali”). Egli non può invece opporsi, almeno di regola, ad attività che si svolgono sul fondo del vicino. E’ peraltro frequente che talune attività importino la produzione di fumi, calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili, destinati a propagarsi nelle proprietà circostanti (cd “immissioni immateriali”). In questo caso occorre distinguere :a) se le immissioni rimangono al di sotto della soglia della normale tollerabilità, chi le subisce deve sopportarle; b) se le immissioni superano la soglia della normale tollerabilità, ma sono giustificate da esigenze della produzione (es. immissioni sonore degli impianti industriali che superino il cd rumore di fondo della zona). L’interesse collettivo in termini di produzione e occupazione impone il mantenimento dell’attività , chi le subisce non ha diritto di farle cessare, ma può solo ottenere un indennizzo in denaro per il pregiudizio eventualmente sofferto; c) se le immissioni superano la soglia della normale tollerabilità senza essere giustificate da esigenze della produzione, (es. il vicino suona la chitarra emettendo emissioni sonore che superando il cd rumore di fondo della zona chi la subisce ha diritto che, per il futuro, ne venga inibita la prosecuzione e, per il passato, che gli sia riconosciuto l’integrale risarcimento del danno eventualmente sofferto.) La soglia della “normale tollerabilità” di un’immissione non coincide con i limiti variamente previsti da leggi e regolamenti a tutela di interessi di carattere generale (es. salute quiete pubblica ecc ). La tollerabilità o meno di un’immissione va valutata caso per caso, dal punto di vista del fondo che la subisce, tenendo conto della “condizione dei luoghi”: cioè, della loro destinazione naturalistica ed urbanistica, delle attività normalmente svolte nella zona, del sistema di vita e delle abitudini di chi vi opera, ecc. Non rilevano invece, né le condizioni soggettive di chi utilizza il fondo (es.: un soggetto particolarmente irritabile perché affetto da esaurimento nervoso), né l’attività svolta da quest’ultimo (es.: una guardia notturna che riposa nelle ore diurne). L’immissione che supera la soglia della normale tollerabilità proveniente dall’espletamento di attività produttive sarà ammessa (salvo indennizzo) solo: a) se non sia eliminabile (o quantomeno riducibile) attraverso l’adozione di accorgimenti tecnici non particolarmente onerosi; b) se la cessazione dell’attività produttiva causerebbe alla collettività un danno più grave del sacrificio inflitto ai proprietari dei fondi vicini. Al riguardo si può (ma il criterio è accessorio e facoltativo) anche “tener conto della priorità di un determinato uso” (es.: chi costruisce in adiacenza ad un’officina sa benissimo ex ante a quali immissioni si espone). Le distanze legali. Al fine di impedire che, fra immobili che si fronteggiano da fondi appartenenti a proprietari diversi, possano crearsi anguste intercapedini in cui i rifiuti si accumulino e l’aria ristagni con effetti negativi sulla vivibilità degli edifici e la salute degli utilizzatori , il codice civile dispone che le costruzioni su fondi confinanti se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di 3 metri tra loro. Se l’immobile risulta a distanza inferiore, il vicino può agire per la rimozione dell’opera abusivamente realizzata, nonché per il risarcimento del danno sofferto. Il codice contempla poi tutta una serie di disposizioni aventi ad oggetto i muri che si trovano sul confine o nei pressi del confine tra proprietà limitrofe. Il proprietario confinante ha diritto di acquisire (mediante sentenza costitutiva, ove l’altro proprietario non vi consenta) la comproprietà del muro che si trovi sul confine; il proprietario come abbiamo detto deve lasciare uno spazio di almeno tre metri tra la sua costruzione e quella del fondo confinante (art. 873 c.c.), sempre che le costruzioni non siano unite o aderenti ; ciò vuol dire che è possibile spingersi, esistendo un'altra costruzione, ad un metro e mezzo dal confine, ma se la costruzione del vicino si trova a meno di un metro e mezzo dal confine, il proprietario può entrare nel fondo confinante e edificare in aderenza al muro del suo vicino. Chi acquisisce la comproprietà del muro deve all’altro confinante un importo pari alla metà del valore del muro e del suolo su cui esiste, nonché (nel caso in cui il muro non si trovi sul confine) un importo pari al valore dell’area da occupare con la nuova costruzione. In considerazione del carattere potenzialmente dannoso che assumono rispetto ai fondi vicini, il codice prevede distanze minime di sicurezza dal confine per pozzi, cisterne, fosse e tubi, fabbriche e depositi pericolosi o nocivi, fossati e canali, piantagioni, apiari. Le luci e le vedute. Il codice civile regola in maniera dettagliata anche la possibilità di ottenere luce e aria dal fondo del vicino aprendo delle finestre o balconi sul muro che, oltre a far entrare luce e aria nella costruzione, permettono anche di guardare il fondo del vicino, fatto che non sempre potrebbe essere gradito. In primo luogo si distingue tra luci e vedute (art. 900 c.c.): Luci: danno passaggio alla luce e all'aria, ma non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino Vedute o prospetti: permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente In merito alle luci si stabilisce che devono: essere munite di un'inferriata idonea a garantire la sicurezza del vicino e di una grata fissa in metallo le cui maglie non siano maggiori di tre centimetri quadrati avere il lato inferiore a una altezza non minore di due metri e mezzo dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare luce e aria, se esse sono al piano terreno, e non minore di due metri, se sono ai piani superiori a meno che si tratti di locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l'altezza stessa. Si stabilisce, inoltre, che le luci possono essere aperte dal proprietario del muro contiguo al fondo altrui (art. 903 c.c.), ma se il muro è comune nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso dell'altro. La presenza di luci, tuttavia, non impedisce al vicino di acquistare la comunione del muro medesimo né di costruire in aderenza(art. 904 c.c.) In merito alle vedute è stabilito che: non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo, né si possono parimenti costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere, ma il divieto cessa allorquando tra i due fondi vicini vi è una via pubblica (art. 905 c.c.) . I DIRITTI REALI DI GODIMENTO I diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei diritti reali su cosa altrui (che costituiscono una limitazione del diritto di proprietà) e comprimono il potere di godimento che spetta al proprietario.: si suddividono in diritti reali di godimento Essi sono: la superficie, l’enfiteusi, la servitù prediale, l’abitazione (i quali possono avere ad oggetto solo beni immobili), l’uso, l’usufrutto (i quali possono avere ad oggetto anche beni mobili). e diritti reali di garanzia (pegno e ipoteca) LA SUPERFICIE Occorre ricordare che, per il principio di accessione, tutto ciò che è stabilmente incorporato sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario del suolo medesimo. Peraltro questa regola subisce una deroga, allorquando venga attribuito a persona diversa dal proprietario il diritto di superficie (art. 952 ss. c.c.). La superficie consiste alternativamente: a) Nel diritto di costruire al di sopra del suolo altrui un’opera, di cui il superficiario, quando l’abbia realizzata, acquista a titolo originario la proprietà (proprietà superficiaria) separata da quella del suolo, la quale ultima resta invece al concedente b) Nella proprietà superficiaria di una costruzione già esistente di cui un soggetto diverso dal proprietario diviene titolare, mentre la proprietà del suolo resta al concedente Una separazione analoga si può stabilire per il sottosuolo (es. concedendo a un terzo di realizzare nel sottosuolo del mio immobile un parcheggio sotterraneo, con diritto di conservarne la proprietà, poniamo, per 50 anni) (art. 955 c.c.), ma non per le piantagioni (art. 956 c.c.). È importante tenere distinte le due ipotesi sopra delineate di diritto di superficie. Così ad es.: • Se la costruzione ancora non esiste, non si ha che un diritto reale su cosa altrui, che si estingue se il titolare non costruisce per vent’anni (art. 954, c.c.)  Se la costruzione già esiste, si ha invece una proprietà della costruzione separata da quella del suolo; e quindi non è concepibile l’estinzione per non uso, che non si concilia con la natura del diritto di proprietà. La superficie può essere perpetua oppure a termine: in quest’ultimo caso, alla scadenza la proprietà della costruzione passa, gratuitamente (salvo patto contrario), al proprietario del suolo (953 c.c.). Modi di acquisto della superficie sono il contratto (vuoi a titolo oneroso vuoi gratuito), il testamento e l’usucapione. Per quanto riguarda i poteri del superficiario, egli ha la libera disponibilità della costruzione, che altro non è che una proprietà separata: può alienarla e costituire su di essa diritti reali. Ma, se il diritto di superficie è a tempo determinato, la scadenza dal termine, facendo venir meno i diritti del superficiario, importa da un lato l’estinzione dei diritti costituiti dal superficiario stesso, e dall’altro l’espansione alla costruzione dei diritti reali costituiti sul suolo. Salva diversa pattuizione, il perimetro della costruzione non estingue il diritto di superficie (954, c.c.): ciò si spiega considerando che la costruzione non è che un’estrinsecazione del diritto di superficie e non si confonde con esso. Perciò il superficiario può ricostruire sul suolo in base al diritto di superficie. Il diritto di superficie trova ampia applicazione nella pratica: ad es. negli edifici condominiali; negli immobili di edilizia economico-popolare (in cui, mentre la proprietà del suolo appartiene alla P.A. la proprietà delle singole unità immobiliari appartiene in via esclusiva a ciascun acquirente, per un massimo di novantanove anni); nella realizzazione di parcheggi sotterranei (la cui proprietà del suolo appartiene alla P.A. mentre quella dell’edificio appartiene al privato che lo costruisce, al fine di recuperare l’investimento effettuato attraverso il ricavo della gestione del parcheggio). B) L'ENFITEUSI L’enfiteusi attribuisce alla persona a cui favore è costituita (enfiteuta, o concessionario) lo stesso potere di godimento che, su un bene immobile, spetta al proprietario, salvo l’obbligo di migliorare il fondo e di pagare al proprietario stesso (nudo proprietario, o concedente) un canone periodico che può consistere in denaro o in una quantità fissa di prodotti naturali, nei limiti fissati da leggi speciali. A differenza dell’usufruttuario, l’enfiteuta può anche mutuare la destinazione del fondo, purché non lo deteriori. Il potere di godimento che, per effetto della costituzione di enfiteusi, spetta all’enfiteuta si suole denominare dominio utile: al nudo proprietario compete il dominio diretto che, in concreto, si riduce a ben poca cosa (il diritto al canone). Perciò alcuni giungono ad affermare che, dal punto di vista giuridico, l’enfiteuta si dovrebbe ritenere proprietario del fondo, mentre il diritto che spetta al concedente si configurerebbe come un diritto reale al canone. L’enfiteusi può essere perpetua (a differenza dei diritti di usufrutto, uso e abitazione, che hanno sempre durata temporanea) o a tempo (ma non può mai avere durata inferiore ai vent’anni: se si consentisse un termine più breve, nessuno sarebbe invogliato ad assumere l’obbligo del miglioramento) (art. 958 c.c.). Modi di acquisto dell’enfiteusi sono il contratto, il testamento e l’usucapione. La legge attribuisce:  All’enfiteuta il c.d. potere di affrancazione, per effetto del quale lo stesso enfiteuta acquista la piena proprietà del fondo mediante il pagamento a favore del concedente di una somma di denaro (971 c.c.).  Al concedente il c.d. potere di devoluzione, per effetto del quale lo stesso concedente (in caso di inadempimento, da parte dell’enfiteuta, all’obbligo di non deteriorare il fondo od a quello di migliorarlo, oppure all’obbligo di pagare il canone) libera il fondo dal diritto enfiteutico (972 c.c.). C) L'USUFRUTTO, L'USO E L'ABITAZIONE L’usufrutto consiste nel diritto di godere della cosa altrui con l’obbligo di rispettarne la destinazione economica (art. 981 c.c.). L’usufruttuario può dunque trarre dalla cosa tutte le utilità che ne può trarre il proprietario, ma se, per es., l’usufrutto ha per oggetto un’area, non può costruirvi, né può trasformare un giardino o parco in un orto o in un frutteto ecc. L’usufrutto ha necessariamente durata temporanea, perché non presenterebbe alcuna utilità pratica la proprietà del concedente (nuda proprietà), se la facoltà di godimento le fosse definitivamente sottratta. Così:  Se costituito a favore di una persona fisica, l’usufrutto (se non diversamente previsto) s’intende per tutta la durata della vita dell’usufruttuario; in ogni caso la morte di quest’ultimo determina l’estinzione del diritto, quand’anche non fosse ancora scaduto il termine finale eventualmente previsto.  Se costituito a favore di una persona giuridica, oppure di un ente non personificato (es.: un’associazione non riconosciuta), la durata dell’usufrutto non può essere superiore a trent’anni (979 c.c.). Oggetto dell’usufrutto può essere qualunque specie di bene, con esclusione dei soli beni (corporali) consumabili. Questi ultimi non potrebbero infatti essere restituiti al proprietario alla cessazione dell’usufrutto (es.: cibi, bevande ecc.) Se il godimento di beni consumabili viene attribuito a persona diversa del proprietario, si avrà una situazione che non coincide con quella dell’usufrutto; ma che si suole definire “quasi usufrutto”: in tal caso la proprietà dei beni (consumabili) passa al quasi-usufruttario (quindi il quasi usufrutto non è un diritto reale su cosa altrui) salvo l’obbligo di quest’ultimo di restituire non già gli stessi beni ricevuti (cosa impossibile), bensì il loro valore, oppure altrettanti beni dello stesso genere (995 c.c.). Oggetto di un usufrutto possono essere anche beni deteriorabili (es.: vestiti, autovetture, ecc.): in tal caso l’usufruttuario ha diritto di servirsene secondo l’uso al quale sono destinati (conformemente al limite normale dell’usufrutto). Perciò, se si tratta di abiti di gala, non possono essere indossati ogni giorno, se si tratta di cavalli da gara non possono essere utilizzati come cavali da tiro ecc. ecc. Alla fine dell’usufrutto, l’usufruttuario è tenuto a restituirli nello stato in cui si trovavano (996 c.c.). Possono essere: a) La legge, per quel che riguarda l’usufrutto legale dei beni del figlio minore da parte dei genitori b) La volontà dell’uomo: contratto, testamento ecc. c) L’usucapione (1158 c.c.) d) Il provvedimento del giudice che in relazione alle necessità della prole può costituire, a favore di uno dei coniugi, l’usufrutto su parte dei beni spettanti all’altro coniuge a seguito della divisione dei cespiti già in comunione legale. Quanto alla costituzione dell’usufrutto volontario, è opportuno ricordare che gli atti che costituiscono l’usufrutto su beni immobili devono farsi per iscritto e sono soggetti a trascrizione. È soggetta a trascrizione anche l’accettazione dell’eredità e l’acquisto del legato, che importino l’acquisto dell’usufrutto su detti beni. Fino a tempi relativamente recenti il modo d’acquisto dell’usufrutto più diffuso è stato l’attribuzione di tale diritto al coniuge superstite in sede di successione mortis causa (c.d. usufrutto uxorio). La riforma del diritto di famiglia del ’75 ha peraltro eliminato siffatto istituto contemplando la proprietà piena su la quota di questi All’usufruttuario competono: a) Potere di godimento sul bene  Per conseguirne il possesso, se questo è esercitato da altri, l’usufruttuario può esperire l’actio confessoria. Quest’azione è diretta ad accertare l’esistenza del diritto di usufrutto ed ottenere la condanna del terzo al rilascio del possesso.  L’acquisto dei frutti naturali e civili della cosa. La legge (821 c.c.) distingue tra frutti civili e frutti naturali, se essi appartengono a persona diversa dal proprietario: la proprietà dei frutti naturali si acquista con la separazione, i frutti civili si acquistano giorno per giorno in ragione della durata del diritto. Questa regola si applica anche all’usufruttuario. Tuttavia nel caso dei frutti naturali prodotti da fondo rustico, la ripartizione tra proprietario ed usufruttuario ha luogo in proporzione della durata del rispettivo diritto nell’anno agrario. Vengono ripartite anche le spese necessarie alla produzione. b) Potere di disposizione del diritto di usufrutto e del godimento del bene (solo inter vivos) • L’usufruttuario può di regola cedere ad altri non certo il diritto di proprietà sul bene, ma il proprio diritto d’usufrutto; e può anche concedere ipoteca sull’usufrutto stesso. In ogni caso, la cessione non può danneggiare il nudo proprietario, prolungando la compressione del suo diritto: perciò l’usufrutto si estinguerà egualmente nel termine stabilito nell’atto di costituzione e, in mancanza, con la morte non già dell’acquirente, ma del primo usufruttuario. • L’usufruttuario può concedere in locazione la cosa che forma oggetto del suo diritto, e più in generale, concederla in godimento a terzi. (es. in comodato) Le locazioni concesse dall’usufruttuario dovrebbero estinguersi quando si estingue l’usufrutto. Tuttavia il legislatore ha consentito che le locazioni in corso al momento della cessazione dell’usufrutto possano proseguire per la durata stabilita (per assicurare al conduttore una certa continuità del rapporto), ma a condizione che la locazione e la sua durata risultino da atto pubblico o da scrittura privata con data anteriore, ed in ogni caso per non oltre un quinquennio dalla cessazione dell’usufrutto. Peraltro, se l’estinzione dell’usufrutto si verifica per la scadenza del termine fissato per la sua durata, la locazione non può durare se non per l’anno in corso (999 c.c.). Dovere fondamentale è quello di restituire la cosa al termine del diritto di usufrutto Da ciò deriva che egli è tenuto a: a) Usare la diligenza del buon padre di famiglia nel godimento della cosa b) Non modificare la destinazione c) Fare (salvo dispensa) l’inventario e prestare garanzia a presidio dell’osservanza degli obblighi di conservazione e restituzione dei beni assoggettati ad usufrutto. La ripartizione delle spese inerenti alla produttività della cosa: l’usufruttuario è tenuto alle spese e, in genere, agli oneri relativi alla custodia, all’amministrazione, alla manutenzione ordinaria della cosa, e quindi alle riparazioni ordinarie, alle imposte, ai canoni, alle rendite fondiarie e agli altri pesi che gravano sul reddito. Sono invece a carico del nudo proprietario le riparazioni straordinarie: cioè in genere quelle che superano i limiti della conservazione della cosa e delle sue utilità per la durata della vita umana. Si verifica (1014 c.c.): 1) Per scadenza del termine o morte dell’usufruttuario 2) Per prescrizione estintiva ventennale 3) Per consolidazione (ossia per riunione dell’usufrutto e della nuda proprietà in capo alla stessa persona) 4) Per deperimento totale della cosa 5) Per abuso che l’usufruttuario faccia del suo diritto (es. lasciar perire la cosa per mancanza di ordinarie riparazioni L’estinzione dell’usufrutto importa, in ogni caso, la riespansione della nuda proprietà nella proprietà piena. Nell’interesse generale della produzione la legge non ha vietato all’usufruttuario di eseguire miglioramenti, ma ha limitato il credito dell’usufruttuario per i miglioramenti alla minore somma tra la spesa e l’aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto del miglioramento. Per quanto riguarda le addizioni (opere che vanno ad aggiungersi ad un preesistente contesto, di cui accrescono l'utilità) l’usufruttuario ha lo ius tollendi (diritto di togliere le addizioni al termine dell’usufrutto) esse non devono procurare nocumento alla cosa, tranne che il proprietario non preferisca mantenere le addizioni, nel qual caso deve la minor somma tra la spesa e il miglioramento. Uso ed abitazione. Essi non sono che tipi limitati di usufrutto: a) L’uso consiste nel diritto di servirsi di un bene e, se fruttifero, di raccoglierne i frutti limitatamente ai bisogni propri e della propria famiglia (1021 c.c.) b) L’abitazione consiste nel diritto di abitare una casa limitatamente ai bisogni propri e della propria famiglia (1022 c.c.) I due diritti si distinguono perciò dall’usufrutto soltanto sotto l’aspetto quantitativo: l’usuario ha le stesse facoltà dell’usufruttuario, ma solo entro il limite indicato. Dato il loro carattere personale, i diritti d’uso e abitazione non si possono cedere, né il bene può essere concesso in locazione o altrimenti in godimento a terzi. I due diritti si estinguono con la morte del titolare: pertanto non possono formare oggetto di disposizione testamentaria. D) LE SERVITU' La servitù prediale (dal latino medievale: che riguarda un fondo) consiste nel peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario (art. 1027 c.c.) Ad una compressione delle facoltà del proprietario del fondo servente, corrisponde, quindi, una utilità del fondo dominante Se non posso sopraelevare, il fondo dominante avrà la veduta del mare. È essenziale questa relazione tra i due fondi, per cui il fondo dominante si avvantaggia della limitazione che subisce quello servente e riguarda sempre "il fondo" e non i singoli proprietari. L’utilità può consistere anche nel ottenere maggior comodità o amenità per il proprietario del fondo dominante. Da ciò discende che il contenuto del diritto di servitù può essere il più vario: accanto alle c.d. servitù tipiche, (es.: Il diritto alla presa d'acqua continua) sono altresì ammesse le c.d. servitù atipiche che possono essere liberamente costituite, purché finalizzate all’utilità del fondo dominante. La legge consente esplicitamente anche le c.d. servitù industriali, quelle cioè strumentali agli utilizzi produttivi del fondo stesso (es.: servitù di passaggio per trasportare merci prodotte ecc.). Non costituiscono invece servitù prediali le servitù aziendali, quelle cioè strumentali all’azienda come tale, indipendentemente dal fondo sul quale la stessa viene esercitata (es.: diritto di apporre un’insegna luminosa). Nulla vieta che le servitù possano essere reciproche: poste cioè simultaneamente a favore ed a carico di due o più fondi, a reciproco vantaggio. La servitù, consistendo in una relazione tra due fondi, non può nascere come diritto reale se non quando l’edificio sia costruito. Prima della costruzione il rapporto ha natura obbligatoria ed è soggetto pertanto alla prescrizione decennale. Non costituiscono servitù prediali le c.d. servitù irregolari, in cui il servizio è prestato da un fondo a favore di una persona, (es. quella che attribuisce a una persona il diritto di passare sul fondo altrui per esercitarvi la pesca). La ragione consiste nel fatto che i diritti reali su cose altrui costituiscono un numerus clausus: [(numero chiuso) Espressione latina generalmente usata per indicare che non è ammessa la creazione di altri istituti affini, oltre quelli previsti dall'ordinamento] manca la caratteristica della predialità e inoltre non è riconosciuto alla volontà dei privati il potere di foggiare a loro arbitrio tipi di diritti reali su cose altrui che non siano previsti dalla legge. Quindi la prevalente dottrina esclude l’ ammissibilità della costituzione volontaria di oneri reali.[oneri reali = consistono in una attività a carattere periodico che è dovuta da un soggetto per il fatto che si trova nel godimento di un bene (es. canoni, imposte.)] 1) La servitù può imporre al proprietario del fondo servente un dovere negativo di “non facere” (es.: il proprietario del fondo servente non può elevare la costruzione esistente sul fondo per non togliermi la veduta) o di “pati” (es.: il proprietario del fondo servente deve sopportare che il proprietario del fondo dominante passi sul suo fondo), non un dovere positivo (“facere”). Questi obblighi positivi servono soltanto per rendere possibile od agevole l’esercizio della servitù. Art. 1030 il proprietario del fondo servente non è tenuto a compiere alcun atto per rendere possibile l’esercizio salvo che la legge disponga altrimenti. 2) La servitù presuppone che i fondi appartengano a proprietari diversi 3) I fondi devono trovarsi in una situazione topografica che l’uno (fondo servente) possa arrecare utilità all’altro (fondo dominante). La vicinitas non deve intendersi in senso assoluto, ma relativo al contenuto della servitù (es.: una servitù di passaggio può essere costituita anche quando tra i due fondi non vi sia contiguità fisica e la servitù debba esercitarsi attraverso un fondo intermedio, ecc.) Può avvenire (1031 c.c.): a) In attuazione di un obbligo di legge (servitù coattive) b) Per volontà dell’uomo (servitù volontarie) c) Per usucapione (1061 c.c.) d) Per destinazione del padre di famiglia (1062 c.c.) La destinazione del padre di famiglia ha luogo quando consta, mediante qualunque genere di prova (2697 e seguente), che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù. Se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario, senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa s'intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati In taluni casi la legge, in considerazione della situazione nella quale si trova un fondo, si preoccupa del pregiudizio che lo stesso arrechi alla possibilità di utilizzazione dell’immobile ed attribuisce al proprietario il diritto potestativo (alias 'attribuzione di un potere ad un soggetto allo scopo di tutelare un suo interesse.) di ottenere l’imposizione della servitù sul fondo altrui e così ovviare alla situazione pregiudizievole.(es. servitù di passaggio sul fondo per accedere alla via pubblica). In contropartita del sacrificio che subisce, il proprietario del fondo su cui viene imposta la servitù, ha diritto ad un’indennità. Occorre chiarire in che modo si costituiscono queste servitù: se il mio fondo si trova nelle condizioni previste dalla legge, io non posso coattivamente esercitare la servitù e cominciare a passare sul fondo altrui. La legge mi attribuisce il diritto ad ottenere la servitù ma, per costituirla concretamente, occorrerà: a) Un contratto (se l’altro proprietario acconsente a riconoscere bonariamente il mio diritto) (1032 c.c.)ïƒ servitù coattiva b) Che mi rivolga al giudice, che con una sentenza (costitutiva) farà nascere la servitù, determinando altresì l’indennità che devo pagare al proprietario del fondo servente (1032 c.c.). Finché detto pagamento non sia intervenuto, il proprietario del fondo servente non può opporsi all’esercizio della servitù, si vuol così impedire al proprietario di farsi giustizia da sé e far sì che il giudice accerti se in concreto sussistono i requisiti dalla legge previsti in astratto per l’imposizione della servitù e fissi l’indennità dovuta. c) La legge prevede in talune ipotesi che l’avente diritto ad una servitù coattiva possa richiederne costituzione alla P.A. in forza di un atto amministrativo Il venir meno dei presupposti che avevano giustificato la costituzione della servitù coattiva, ne legittima la richiesta di estinzione. Le figure più importanti di servitù legali (che sono tipiche in quanto previste dalla legge) sono: a) Acquedotto coattivo (1033 ss. c.c.), su cui si modellano l’elettrodo coattivo ed il passaggio coattivo di linee teleferiche. Perciò il proprietario è tenuto a consentire il passaggio delle acque, sia che servano ai bisogni della vita, sia che siano destinate ad usi agrari o industriali. Il diritto all’acquedotto coattivo sussiste anche quando l’acqua non è necessaria, ma utile. (es. ho acqua sufficiente a ne vorrei di più per irrigare meglio il mio fondo in modo che risulti più redditizio) b) Elettrodo coattivo (1056 c.c.): per l’importanza che l’energia elettrica ha assunto nella vita moderna, ogni proprietario è tenuto a dar passaggio per i suoi fondi alle condutture elettriche c) Passaggio coattivo (1051 ss. c.c.): l’accesso di un fondo alla via pubblica è condizione indispensabile per la sua utilizzazione; la sua mancanza legittima l’imposizione della servitù di passaggio sul fondo vicino. Il diritto alla servitù sussiste non soltanto nell’ipotesi più grave in cui il fondo non ha né può avere accesso alla via pubblica ma anche in quella in cui il proprietario non può procurarsi l’uscita senza eccessivo dispendio o disagio (Es. tra il fondo e la strada c’è un fiume e devo costruire un ponte) Come si vede, la legge tiene conto delle ragionevoli esigenze inerenti all’utilizzazione del fondo. Perciò nemmeno il fatto che il fondo abbia già un accesso alla via pubblica (fondo non intercluso) è d’ostacolo alla costituzione della servitù nelle due ipotesi seguenti: a) Vi sia bisogno, ai fini del conveniente uso del fondo, di ampliare l’accesso esistente per il transito dei veicoli anche a trazione meccanica. b) Il passaggio esistente sia inadatto o insufficiente ai bisogni del fondo e non possa essere ampliato. Il sacrificio che con l’imposizione della servitù s’impone al fondo servente dev’essere il minore possibile. Dunque la legge stabilisce i seguenti criteri che il giudice deve tenere presente per la determinazione del luogo del passaggio: maggiore brevità del passaggio e minor danno del fondo su cui la servitù deve essere costituita. Quando un fondo non si trova in quelle condizioni sfavorevoli che giustificano la costituzione di una servitù legale, il proprietario di esso può assicurarsi l’utilità che occorre per il suo migliore sfruttamento mediante la conclusione di un contratto con il proprietario del fondo su cui vorrebbe acquistare la servitù Il contratto, riferendosi ad un diritto reale immobile, deve farsi per iscritto ed è soggetto, sia a l’opponibilità ai terzi, (ovvero che costituisce prova anche nei confronti di soggetti che sono estranei al contratto) sia a trascrizione. (La trascrizione è lo strumento con il quale si da pubblicità legale agli atti riguardanti diritti reali (si trascrivono le compravendite, le divisioni, le domande giudiziali)] La servitù può essere costituita anche per testamento. L’accettazione di eredità che importi l’acquisto di una servitù è soggetta a trascrizione. Servitù apparenti sono quelle al cui esercizio sono destinate opere visibili e permanenti, obiettivamente e strumentalmente destinate all'esercizio della servitù, costituenti il mezzo necessario affinché la servitù sia esercitata e tali da rendere evidente l'esistenza di un peso. Le servitù apparenti si possono costituire anche mediate usucapione (ventennale) o destinazione del padre di famiglia Si pensi ad un ponte, una passerella, una strada: queste opere possono manifestare l'esistenza di una servitù di passaggio e palesare l'intenzione di esercitare la servitù. Ai fini dell' usucapibilità della servitù, devono essere visibili in tutto o in parte, dal fondo servente: ciò è logicamente connesso con la considerazione in base alla quale il proprietario del fondo servente deve essere in grado di rendersi conto della potenziale insorgenza del diritto reale. Servitù non apparenti, sono quelle ove non si hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio. Non sono apparenti servitù come quelle di pascolo e tutte le servitù negative (consistono in un obbligo di non fare del proprietario del fondo servente es. non edificare non sopraelevare). Non possono acquistarsi per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, solo per contratto o testamento precisando al secondo comma che non apparenti Per quanto riguarda la destinazione del padre di famiglia (La destinazione del padre di famiglia è un modo di acquisto a titolo originario, proprio delle servitù apparenti; è il rapporto di servizio stabilito fra due fondi appartenenti allo stesso proprietario. Ad esempio: su uno dei due fondi, c'e' una sorgente d'acqua, e il loro proprietario ha costruito un acquedotto per portare l'acqua all'altro fondo.) occorre tener presente che, non può sorgere alcuna servitù perché non si può costituire servitù sulla cosa propria. Ma se il fondo cessa di appartenere allo stesso proprietario allora è opportuno che lo stato di fatto che consentiva ad una parte del fondo di trarre utilità e vantaggi dalle opere costruite sull’altra parte del fondo possa continuare legittimamente: a tal fine il c.c. prevede che si costituisca ex lege (alias in esecuzione diretta di una norma) una servitù corrispondente allo stato di fatto preesistente; non occorre dunque alcuna manifestazione di volontà negoziale per la costituzione della servitù, il preesistente rapporto di servizio si trasforma automaticamente in una servitù di un fondo a favore dell'altro. L’esercizio delle servitù è regolato dal titolo (contratto, testamento, sentenza); e, in mancanza di esso dalla legge (art. 1063 c.c.). Il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne: cioè sono incluse anche le facoltà accessorie, se indispensabili per l’esercizio della servitù (es.: il diritto di attingere acqua comprende il diritto di passaggio sul fondo in cui la fonte si trova). Si chiama “modo” d’esercizio della servitù, l’elemento che determina come la servitù deve essere esercitata (a piedi, con carro, con camion ecc) Vi è la regola secondo cui le servitù debbono essere esercitate soddisfacendo il bisogno del fondo dominante con il minor aggravio del fondo servente (principio del minimo mezzo). conseguenza di tale principio è il divieto al proprietario del fondo dominante di aggravare ed a quello del fondo servente di diminuire l’esercizio della servitù. Le spese necessarie per l’uso e la conservazione della servitù sono a carico, di regola, del proprietario del fondo dominante. Rinunzia alla servitù: a) Per rinuncia da parte del titolare, fatta per iscritto (tramite contratto se presente un corrispettivo, per atto unilaterale se non c’è contropartita). b) Per scadenza del termine, se la servitù è a tempo. c) Per confusione ovvero il proprietario acquista la proprietà del fondo servente o viceversa d) Per prescrizione estintiva ventennale (c.d. non uso) In quest’ultimo caso bisogna distinguere, a seconda della natura della servitù, da quale momento comincia a decorrere il termine per la prescrizione estintiva: a) Servitù “negative”, quando attribuiscono al proprietario del fondo dominante il potere di vietare al proprietario del fondo servente di fare qualche cosa, di svolgere un’attività sul proprio fondo; a tale potere corrisponde un obbligo di non facere da parte del proprietario del fondo servente b) Servitù. “affermative”, quando attribuiscono al proprietario del fondo dominante il potere di fare qualche cosa, di svolgere un’attività del fondo servente.(es. passare pascolare ecc). Esse si distinguono a loro volta in:  Continue, quando l’attività dell’uomo è antecedente all’esercizio della servitù (es. costruisco l’acquedotto a poi l’acqua scorre naturalmente in base a legge fisica)  Discontinue, quando invece il fatto dell’uomo deve essere concomitante con l’esercizio della servitù (es. esercito la servitù di passaggio perché passo sul fondo altrui) Dunque, se la servitù è negativa, il proprietario del fondo dominante nulla deve fare per esercitare la servitù (posto il divieto, altro non gli rimane che vigilare affinché l’altro non lo violi): la prescrizione non comincia quindi a decorrere se non quando il proprietario del fondo servente ha violato il divieto (es.: ha innalzato la sua costruzione); se la servitù affermativa è continua, si riproduce la stessa situazione (costruito l’acquedotto il proprietario non deve far nulla per ritrarre dalla servitù l’utilità voluta): perciò anche in questo caso la prescrizione non comincia a decorrere se non quando si è verificato un fatto contrario all’esercizio della servitù (es.: allorquando l’acquedotto è stato ostruito); se la servitù è affermativa discontinua la prescrizione estintiva comincia a decorrere dall’ultimo atto di esercizio (es.: dall’ultima volta che sono passato sul fondo servente). L’impossibilità di fatto di utilizzare la servitù, così come la cessazione della sua utilità comportano la sospensione della servitù:ma non l’estinzione,essa si verifica quando sia decorso il termine (ventennale) per la prescrizione. Questo perchè lo stato dei luoghi potrebbe mutare ad es. si inaridisce la sorgente che poi si irriga nuovamente. Il modo di una servitù non è soggetto a prescrizione estintiva (estinzione di un diritto conseguente al suo mancato esercizio il termine prescrizione viene talvolta usato per indicare il fenomeno inverso (nel qual caso si parla di prescrizione acquisitiva, o usucapione): la servitù si conserva per intero, ciò perché per non uso si può estinguere solo il diritto, non il modo, che non ha un valore autonomo (non muore ciò che non ha vita propria). A tutela della servitù è preordinata l’“azione confessoria”, in forza della quale (di fronte ad una contestazione dell’esistenza o consistenza della servitù) chi se ne afferma titolare chiede una pronuncia giudiziale di accertamento del suo diritto e, nell’ipotesi in cui detta contestazione sia tradotta in impedimenti o turbative all’esercizio della servitù stessa, anche di una pronuncia di condanna alla loro cessazione ed alla remissione delle cose in pristino, oltre che al risarcimento del danno. Legittimato attivamente è colui che si afferma titolare della servitù; legittimato passivamente il soggetto che, avendo un rapporto attuale con il fondo servente, contesta l’esercizio della servitù o che, comunque, ne turba o impedisce l’esercizio. L’attore durante l’ Azione confessoria della servitù deve fornire la prova rigorosa dell’esistenza della servitù. A tutela della servitù possono esprimersi le azioni di reintegrazione e di manutenzione. LA COMUNIONE E IL CONDOMINIO A) LA COMUNIONE Un diritto soggettivo può appartenere a più persone, le quali sono tutte contitolari del medesimo (unico) diritto. Il fenomeno della contitolarità, se ha ad oggetto un diritto reale, (es. Tizio e Caio comprano insieme un appartamento) prende il nome di “comunione pro indiviso” . Secondo l’opinione maggiormente accreditata, il diritto di ciascuno dei contitolari investe l’intero bene, seppure il relativo esercizio trovi necessariamente limite nell’esistenza dell’ugual diritto degli altri compartecipi. (es. in un appartamento il diritto non cade su l’una o l’altra parte del bene es. primo e secondo piano ma sull’intero immobile) A ciascuno dei contitolari spetta dunque una quota ideale sull’intero bene: detta quota è di regola disponibile (es.: Tizio potrà vendere in qualsiasi momento la sua quota) e segna la misura di facoltà, diritti ed obblighi dei rispettivi titolari (Tizio e Caio dividono i frutti dell’immobile es la locazione e le spese di gestione es. le imposte ecc.) Nell’ipotesi in cui non sia diversamente previsto, le quote si presumono uguali La comunione si distingue dalla società per il fatto che, mentre i compartecipi alla comunione si limitano ad esercitare in comune il godimento di un determinato bene (2248 c.c.), i compartecipi alla società esercitano in comune un’attività economica volta alla produzione e allo scambio di beni e servizi. La distinzione diviene più labile allorquando si tratti di una comunione che ha come oggetto un bene produttivo (es.: fondo rustico, azienda, ecc.). In tal caso si rimane nell’ambito della comunione se i compartecipi non utilizzino il bene, o lo concedano in godimento a terzi, ovvero si limitano a raccoglierne i frutti naturali, senza che la loro attività possa qualificarsi come “d’impresa”. Così ad es., se il padre che gestiva un’impresa agricola sul fondo di sua proprietà, morendo, lascia la propria azienda ai tre figli, fra questi ultimi verrà a costituirsi una comunione sull’azienda paterna; se poi, due dei tre figli dovessero continuare l’attività del padre, si costituirà tra questi ultimi una società. Quanto ai modi di costituzione, la comunione si distingue in: Volontaria, quando scaturisce dall’accordo dei futuri contitolari Incidentale, quando scaturisce senza un atto dei futuri contitolari (es.: per testamento di Tizio) Forzosa, quando scaturisce dall’esercizio di un diritto potestativo da parte di uno dei futuri contitolari (es. comunione forzosa del muro) Si è soliti distinguere fra:  Comunione ordinaria (1100-1116 c.c.)  Comunioni speciali, che sono quelle figure autonomamente previste e regolate dalla legge. (es condominio negli edifici) Per quel che riguarda la comunione ordinaria, la disciplina prevista dal codice può essere derogata dal titolo. La disciplina della comunione ordinaria risponde alla logica secondo cui il diritto di ciascuno dei contitolari, pur investendo il bene nella sua totalità, incontra un limite nel diritto degli altri compartecipi. Per quanto riguarda i poteri di godimento: a) Ciascuno dei contitolari può servirsi della cosa comune, a condizione però che:  Non ne alteri la destinazione (es.: trasformando la villa comune in un albergo)  Non impedisca agli altri di parimenti utilizzarla in proporzione al diritto di ciascuno (es costruendo un box auto nell’area comune) Anche chi possiede una quota minima può fruire del bene in tutta la sua estensione, cioè l’utilizzazione non è necessariamente proporzionale alla quota. Le parti possono derogare alla regola legale dell’uso promiscuo concordando una divisione del godimento del bene comune nello spazio e/o nel tempo. (es due comproprietari possono accordarsi per abitare uno al primo piano uno al secondo della casa comune) Al singolo contitolare è consentito apportare alla cosa comune modificazioni che ritiene necessarie, sempre nei limiti in cui ciò non importi alterazione della destinazione del bene o impedimento del diritto degli altri partecipanti a parimenti goderne (e purché se ne accolli le relative spese). b) Ciascuno dei contitolari ha diritto di percepire i frutti della cosa in proporzione della rispettiva quota, pur dovendo partecipare in ugual misura alle spese per la gestione, al pagamento delle imposte, ecc. Per quel che riguarda il potere di disposizione, ciascun comproprietario può disporre della propria quota alienandola ipotecandola ecc: non può ovviamente disporre né della quota altrui né dell’intero, che non gli compete. Gli atti di disposizione del bene (alienazione locazione superiore a nove anni) richiedono il consenso di tutti i contitolari. Ciascuno dei compartecipi ha diritto di concorrere all’amministrazione della cosa comune. Il codice prevede che le deliberazioni relative all’amministrazione della cosa comune vengano adottate in base al principio di maggioranza, che si calcola con riferimento al valore delle rispettive quote. Così: per gli atti di ordinaria amministrazione ovvero quelli finalizzati alla conservazione e normale utilizzazione della cosa comune(quote rappresentanti più della metà del valore complessivo della cosa comune); per gli atti di straordinaria amministrazione (quote rappresentanti i due terzi); per le innovazioni (quote rappresentanti i due terzi). Nell’ipotesi in cui non vengano presi i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune, così come nell’ipotesi in cui la decisione adottata non venga eseguita, ciascun compartecipante può ricorrere all’Autorità giudiziaria perché emetta i provvedimenti opportuni, eventualmente anche nominando un amministratore. Può essere formato un regolamento per l'ordinaria amministrazione e l'amministrazione può essere delegata ad uno o più partecipanti, o anche a un estraneo, determinandosi i poteri e gli obblighi dell'amministratore Se non vengono deliberati gli interventi necessari alla conservazione della cosa comune, il singolo può addirittura provvedervi direttamente, dopo aver interpellato gli altri, con diritto al rimborso delle spese sostenute. Le spese deliberate con le maggioranze sopraindicate gravano su ciascun partecipe alla comunione in proporzione della rispettiva quota. La giurisprudenza ritiene che ciascun contitolare sia singolarmente legittimato al compimento di atti di ordinaria amministrazione (rappresentanza), in quanto deve presumersi che agisca con il consenso degli altri.(es. intimare lo sfratto all’inquilino dalla cosa comune) Ugualmente si ritiene che il singolo partecipante sia legittimato a proporre azioni petitorie a difesa del diritto comune, azioni possessorie a difesa della comune situazione possessoria, azioni risarcitorie per i danni sofferti dalla cosa comune. Il nostro codice da un lato, attribuisce a ciascuno dei partecipanti la facoltà di chiedere, lo scioglimento della comunione. in qualsiasi momento ed anche contro la volontà della maggioranza, lo scioglimento. Per evitare, però, che la comunione sia sciolta poco dopo la sua costituzione, i comunisti possono stipulare un patto per rimanere in comunione per un tempo determinato. Tale patto, tuttavia, non può avere durata superiore a dieci anni; nel caso sia stato stipulato per un periodo superiore non sarà invalido, ma il termine originariamente stabilito si riduce a dieci anni. L’eventuale indivisibilità del bene comune (es un cavallo) non preclude lo scioglimento della comunione: il bene infatti può essere alienato a terzi o assegnato a uno dei contitolari. Lo scioglimento della comunione non è consentito solo se ha ad oggetto beni che, se divisi, cesserebbero di servire all’uso cui sono destinati. (es. se il cortile di due immobili che,se diviso, non consentirebbe l’accesso ai suddetti) A) IL CONDOMINIO Il condominio si ha allorquando in un medesimo stabile coesistono più porzioni immobiliari di proprietà esclusiva di singoli condomini e parti comuni strutturalmente e funzionalmente connesse al complesso delle prime (muri maestri il suolo (art. 1117 c.c.). Salvo che sia diversamente previsto nel titolo, le parti comuni appartengono in comunione a tutti i proprietari esclusivi delle singole unità immobiliari site nel condominio in proporzione al valore di ciascuna di dette unità immobiliari rispetto al valore dell’intero edificio. Il singolo condomino: • Può far uso delle parti comuni (entro i limiti della destinazione, dell’esercizio e dei diritti, vantati sulla personale porzione, degli altri condomini) (c.d. uso promiscuo). (es. posso installare un antenna sul tetto ma non un cisterna nel cortile comune) • Deve contribuire, in misura proporzionale alla propria quota, alle spese necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune, nonché per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. Se le cose sono destinate a servire i condomini in misura diversa le spese sono ripartite in proporzione all’uso (es un edificio con più scale destinate a servire una parte sola del fabbricato la manutenzione è a carico dei condomini che ne traggono utilità) • Non può disporre liberamente delle parti comuni nella loro totalità e neppure della propria quota su di esse (es.: non può cedere a terzi la propria quota di comproprietà sul cortile comune), se non congiuntamente alla porzione immobiliare di sua proprietà esclusiva. Per disporre (ad es.: alienandoli) dei beni condominiali occorre l’accordo di tutti i condomini. Poiché le parti comuni sono funzionali ad un miglior sfruttamento delle unità immobiliari di proprietà individuale, ne è sancita la indivisibilità (proprio per ciò la comunione condominiale si dice necessaria). Organi del condominio sono: se i condomini sono più di quattro è obbligatoria la nomina di amministratore (art. 1129 c.c.) cui è affidata la gestione delle parti comuni e se i condomini sono più di dieci è obbligatoria la formazione di un regolamento di condominio che contenga le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione Di competenza dell’assemblea sono: l’adozione del regolamento condominiale la nomina dell’amministratore, l’approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno e la relativa ripartizione tra i condòmini, l’approvazione del rendiconto annuale e l’impiego del residuo attivo di gestione, la decisione in ordine alle opere di manutenzione straordinaria ed alle innovazioni, e la decisione in ordine ad eventuali azioni giudiziarie, attive o passive.) L’assemblea (convocata dall’amministratore con avviso almeno cinque giorni prima) è validamente costituita con l’intervento di tanti condòmini che rappresentino i due terzi non solo del valore dell’intero edificio, ma anche dei partecipanti al condominio (quorum costitutivo). Se non può deliberare per mancato raggiungimento del quorum costitutivo, l’assemblea può essere nuovamente convocata in un giorno successivo, ma non oltre dieci giorni, per deliberare sul medesimo ordine del giorno: in questo caso, l’assemblea (di seconda convocazione) è validamente costituita qualunque sia il numero dei condòmini presenti. Le deliberazioni assembleari sono assunte, in prima convocazione, con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell’edificio; in seconda convocazione, con un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti ed almeno un terzo del valore dell’edificio. (quorum deliberativo) Le deliberazioni assunte dall’assemblea sono vincolanti per tutti i partecipanti al condominio. Pertanto i condòmini assenti all’assemblea o dissenzienti rispetto ad una determinata deliberazione possono impugnarla davanti all’autorità giudiziaria, se contraria alla legge o al regolamento condominiale. Il ricorso deve essere proposto a pena di decadenza per i condomini dissenzienti entro trenta giorni dalla data della deliberazione e, per i condòmini assenti, dalla data in cui è stato comunicato loro il verbale dell’assemblea. Quorum più elevati sono previsti per la nomina e la revoca dell’amministratore o le deliberazioni che concernono la ricostruzione dell’edificio. Le deliberazioni assunte dall’assemblea sono vincolanti per tutti i partecipanti al condominio. Dalle deliberazioni annullabili poiché impugnabili tramite autorità giudiziaria perché contrarie alla legge o al regolamento di condominio occorre tener distinte le deliberazioni nulle: tali debbono qualificarsi le delibere prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nelle competenze assembleari, le delibere che incidono sui diritti individuali dei condòmini sulle cose o servizi comuni (es.: la delibera che assegni in via esclusiva ad un condomino l’uso del cortile condominiale). L’azione di nullità può essere esperita da chiunque vi abbia interesse (non solo dai condòmini assenti o dissenzienti) e non è soggetta a termini di prescrizione o decadenza. All’amministratore (nominato dall’assemblea, dura in carica un anno, può essere revocato in ogni tempo dall’assemblea stessa) compete di eseguire le deliberazioni dell’assemblea, curare l’osservanza del regolamento, disciplinare l’uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi, riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni, compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni. I provvedimenti presi dall’amministratore nell’ambito dei suoi poteri sono obbligatori per i condòmini. Contro detti provvedimenti è peraltro ammesso ricorso all’assemblea. L’amministratore, nei limiti delle sue attribuzioni, ha la rappresentanza del suo condominio; e può agire in giudizio sia contro i condòmini, sia contro i terzi. L’assemblea approva con le maggioranze richieste per le deliberazioni in prima convocazione un regolamento che contenga le norme circa l’uso delle cose comuni, la ripartizione delle spese, la tutela del decoro dell’edificio, l’amministrazione del condominio (1138 c.c.). Né l’assemblea né il regolamento approvato da essa può imporre limitazioni ai diritti dei singoli condòmini sulle unità immobiliari di rispettiva proprietà esclusiva ma solo, eventualmente, obblighi intesi a garantire il reciproco rispetto delle comuni esigenze. Naturalmente, nulla impedisce che i condòmini concordino (all’unanimità) limitazioni a carico delle proprietà esclusive, venendo così a costituire servitù reciproche, rispettivamente a favore ed a carico delle singole unità immobiliari di proprietà di ciascuno: in tal caso, l’accordo avrà natura contrattuale e dovrà essere formalizzato per iscritto. Le clausole che, pur approvate con il consenso totalitario dei partecipanti, si limitino a disciplinare l’uso dei beni comuni possono essere modificate con la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio. (mentre per quelle che limitino i diritti dei condòmini sulle proprietà esclusive o comuni, ovvero siano attributive ad alcuni condòmini di maggiori diritti rispetto ad altri, devono essere modificate all’unanimità). Nell’ipotesi in cui una pluralità di edifici, costituiti in distinti condomini, siano legati tra loro dall’esistenza di talune cose, impianti o servizi comuni (es.: il viale d’accesso, le zone verdi, l’impianto di illuminazione ecc.) in rapporto di accessorietà rispetto a detti singoli condomini , si ha quello che viene comunemente denominato “supercondominio”. Secondo la giurisprudenza al supercondominio sono applicabili: a) Le norme dal codice dettate in tema di condominio, per quanto riguarda le parti comuni caratterizzate da un rapporto di accessorietà che lega alle singole proprietà individuali, delle quali rendono possibile l’esistenza stessa o l’uso (es. le portinerie le reti viarie interne) b) Le norme dal codice dettate in tema di comunione, per quanto riguarda le altre eventuali strutture che invece siano dotate di una propria autonoma utilità (es. le attrezzature sportive gli spazi di intrattenimento) c) C) LA MULTIPROPRIETA' Il termine “multiproprietà” indica un’operazione economica volta ad assicurare al c.d. multiproprietario un potere di godimento, che arieggia a quello che il codice riconosce al proprietario, su di un’unità immobiliare (completamente arredata e normalmente inserita in un più vasto insediamento turistico - residenziale, talora anche alberghiero e commerciale) ma solo per un determinato e normalmente invariabile periodo di ogni anno (es. 1-15 Agosto); mentre analogo potere, per restanti periodi, compete agli altri multiproprietari. Per dar veste giuridica all’operazione la prassi italiana ha fatto ricorso, in via prevalente, all’istituto della comunione:A ciascun multiproprietario viene venduta una quota in comproprietà pro indiviso di un complesso residenziale La chiave di volta del sistema della multiproprietà è rappresentata dalla comproprietà pro indiviso, (un diritto o un bene appartiene e più soggetti senza che esso sia però suddiviso in parti distinte....) il cui regime legale viene derogato dal titolo; in forza cioè di un accordo intercorrente fra tutti i partecipanti attraverso cui ciascuno, pur continuando a rimanere contitolare dell’intero, rinuncia a servirsene nei tempi ed in relazione agli spazi attribuiti in uso agli altri. Pur continuando a non dettare alcuna disciplina sostanziale della multiproprietà, il legislatore italiano è intervenuto introducendo tutta una serie di previsioni volte, principalmente, a garantire che chi effettua un acquisto in multiproprietà sia pienamente edotto dei termini dell’operazione che va a stipulare, e conseguentemente, presti un consenso informato. IL POSSESSO Possesso = è uno stato di fatto che si collega con la detenzione materiale del bene può essere collegato ad altri diritti (per es. i reali di godimento) o semplicemente alla situazione del momento Proprietà = il proprietario ha la facoltà di godere della cosa il che significa che egli può usarla per il soddisfacimento dei propri interessi. assieme alla facoltà di godere sta la facoltà di disporre, la quale si esercita sia trasferendo ad altri la proprietà della cosa, sia conoscendone altri altri il godimento. Il proprietario può anche avere il possesso Diritti reali di godimento = i diritti reali di godimento (usufrutto, uso, abitazione, superficie, enfiteusi, servitù) che conferiscono una serie di diritti tra cui il possesso (es. possesso della servitù ) In diritto si definisce possesso una situazione di fatto che consiste nell'utilizzare una cosa e nel disporne, nei modi e con i poteri che la legge attribuisce ai titolari di diritti reali sulla cosa stessa. Esempio: il soggetto titolare di un diritto di passaggio a titolo di servitù, lo esercita attraversando con regolarità il fondo servente; questa azione di attraversamento indica che essa ha pure il possesso della servitù. Allo stesso modo il possessore - ad immagine della proprietà - di un'auto ne fa uso in modo esclusivo, paga la tassa di possesso, ne cura la manutenzione e così via. Il nucleo fondante del possesso (salvo il concorso di altri elementi in ragione della tesi accolta) consiste, dunque, nello svolgimento, rispetto ad una cosa, di comportamenti propri e peculiari del titolare di un diritto reale, senza che abbia rilievo la titolarità effettiva del diritto stesso (questa concorre all'identificazione della buona o mala fede del possessore, ma non alla qualificazione del possesso in quanto tale). Altro è avere il diritto di godere e disporre di un determinato bene altro è il fatto di effettivamente godere e disporre di detto bene (esercitare cioè di fatto i poteri riconosciuti per legge al proprietario (es. io godo guidandola e dispongo vendendola della mia automobile). Può accadere infatti che il proprietario non sia in grado di fatto di esercitare i poteri riconosciutigli dalla legge (mi rubano l’automobile non posso ne goderne de disporre) ; così come un soggetto, pur non avendo il diritto di proprietà su un bene, si comporta di fatto come se lo avesse. (il ladro che mi ha rubato l’auto) Il codice attribuisce giuridica rilevanza alle situazioni di fatto che si estrinsecano attraverso un’attività corrispondente all’esercizio dei diritti reali e ciò a prescindere dalla circostanza che alle stesse corrisponda o meno la correlativa situazione di diritto. Le ragioni della tutela delle situazioni possessorie sono varie:  Proteggendo il fatto esteriore e facilmente accertabile della situazione possessoria la legge assicura allo stesso proprietario (che di solito è il possessore della cosa) una difesa rapida ed efficace.  Impedendo che si arrechi molestia o violenza al possessore si conserva la pace tra i consociati. Chi contro lo stato di fatto del possesso esercitato da altri vuole opporre il suo diritto deve agire in giudizio e non può farsi giustizia da solo, togliendo all’altro la cosa. A questo punto si può agevolmente intendere la differenza che corre tra ius possessionis e ius possidendi:  Il primo designa l’insieme dei vantaggi che il possesso di per sé genera a favore del possessore  Il secondo designa la situazione di chi ha effettivamente diritto a possedere il bene: diritto che implica il potere di rivendicare il bene stesso presso chiunque lo possieda senza titolo (così ad es. il ladro ha lo ius possessionis, il proprietario lo ius possidendi). Il possesso dunque non è un diritto bensì una situazione di fatto produttiva di effetti giuridici. Oggetto del possesso sono le “cose”, cioè i beni materiali. Non sono oggetto di possesso le cose di cui non si può acquistare la proprietà cioè i beni demaniali ed i beni del patrimonio indisponibile dello Stato e degli altri enti pubblici patrimoniali, che infatti non possono essere acquistati per usucapione. Occorre distinguere:  Possesso pieno che è caratterizzato dal concorso di due elementi costitutivi: l’uno oggettivo, consistente nell’avere la disponibilità di fatto della cosa; l’altro soggettivo, consistente nella volontà del soggetto di comportarsi, con riferimento al bene, come proprietario, ad esclusione di qualsiasi altro (es. il ladro che utilizza la vettura come fosse sua)  Detenzione, che è caratterizzata dal concorso di due elementi costitutivi: l’uno oggettivo, consistente nell’avere la disponibilità di fatto della cosa; l’altro soggettivo consistente nella volontà del soggetto di godere e disporre del bene, ma nel rispetto dei diritti che, sul medesimo bene, riconosce spettare ad altri. (es. l’inquilino dell’immobile riconosce che non ne è proprietario e rispetta il diritto di quest’ultimo pagando il canone non apportando innovazioni non consentitegli ecc.)  Possesso mediato, che è caratterizzato dal solo elemento soggettivo , mentre la disponibilità materiale del bene compete al detentore Il possesso su un determinato bene può essere esercitato congiuntamente da più soggetti ad un medesimo titolo (es.: una casa acquistata in comunione): si parla allora di compromesso, che si concretizza in un’attività corrispondente all’esercizio di diritti (reali in comunione.) N.B. i diritti reali fanno parte della categoria dei diritti assoluti (come il diritto al nome) ma si differenziano dagli altri diritti assoluti perché hanno ad oggetto cose Differenza Possesso e detenzione. Secondo l’ipostazione tradizionale possesso e detenzione sono caratterizzati dal medesimo elemento obiettivo (cioè la materiale disponibilità del bene), si distinguono in base all’elemento soggettivo (animus):. detiendi nella detenzione e possidendi nel possesso. (es. il ladro è possessore l’amico a cui presto l’auto è detentore) I requisiti soggettivi dell’a.p. e dell’a.d. non trovano riscontro alcuno nelle previsioni codicistiche; in realtà, ai fini della qualificazione di una situazione di fatto come “possessoria” o “detentoria”, rileva non già lo stato psicologico soggettivo di chi acquisisce la materiale disponibilità del bene (corpus), bensì il titolo in forza del quale detta acquisizione si verifica. (ad es. lo studente che prende in prestito un libro di una biblioteca diventa detentore sia se ne rispetta il diritto restituendo il libro sia se lo faccia proprio non restituendolo) Invero, ciò che rileva ai fini della distinzione fra possesso e detenzione è non già lo stato psicologico che il soggetto nutre, nel proprio interno, nel momento in cui acquisisce la materiale disponibilità del bene, bensì lo stato psicologico (animus) che, in quel momento il soggetto manifesta all’esterno: e, all’esterno, l’animus manifestato dipende in buona sostanza dal titolo in forza del quale avviene siffatta acquisizione, ovvero delle modalità con cui detta acquisizione si realizza. (tornando al nostro esempio se il libro non viene riportato in biblioteca chi lo ha preso in prestito mostra all’esterno di voler rispettare i diritti della biblioteca nulla rivela se questa volontà coincida o meno con quella effettiva) Nel dubbio l’esercizio del potere di fatto su un bene si presume integrare la fattispecie del possesso: spetta a chi nega la sussistenza del possesso l’onere di provare che, nel caso di specie, ricorre un’ipotesi di semplice detenzione. Art.1141 - Mutamento della detenzione in possesso - Si presume il possesso in colui che esercita il potere di fatto, quando non si prova che ha cominciato a esercitarlo semplicemente come detenzione. A nulla rileva il mutamento psico - comportamentale della detenzione in possesso ovvero se in cuor suo il detentore intenda comportarsi come un vero e proprio proprietario (es. se colui che prenda il libro in biblioteca decida nel suo intimo di non restituirlo più) Il mutamento della detenzione in possesso (interversione del possesso) può avvenire solo se la modificazione dello stato psicologico del detentore venga manifestata all’esterno, in forza: a) Di opposizione del detentore rivolta al possessore: in forza di un atto (giudiziale o stragiudiziale) scritto od orale con cui il detentore manifesti inequivocabilmente l’intenzione di continuare a tenere la cosa per sé non più come detentore bensì come possessore per conto ed in nome proprio (es. dichiarazione alla biblioteca nella quale si neghi di dover restituire il libro) b) Di causa proveniente da un terzo: in forza cioè di un atto con il quale l’attuale possessore (quand’anche non legittimato a disporre del bene) attribuisca al detentore la propria posizione possessoria. (es. il ladro che dopo avermi concesso la detenzione dell’auto perché la esaini e la venda Il possesso si distingue in: a) Possesso legittimo, che si ha allorquando il potere di godere e disporre del bene è esercitato dall’effettivo titolare del diritto di proprietà: in tal caso la situazione di fatto coincide esattamente cin la situazione di diritto (es. il pescatore gode e dispone di fatto del pesce pescato ed ha il diritto di goderne e disporne) b) Possesso illegittimo, che si ha allorquando il potere di godere e disporre del bene è esercitato di fatto da persona diversa dall’effettivo titolare del diritto di proprietà: in tal caso la situazione di fatto non coincide con la situazione di diritto; e si articola a sua volta in:  P.i. di buona fede, dove il possessore ha acquisito la materiale disponibilità del bene ignorando di ledere l’altrui diritto, sempre che detta ignoranza non dipenda da sua colpa grave. La qualifica di possessore di buona fede dipende insomma dalle circostanze nelle quali avviene l’acquisto del possesso (buona fede oggettiva). (es. acquisto un quadro in una casa d’aste senza aver ragione di sospettare che si tratti di refurtiva)  P.i. di mala fede, dove il possessore ha acquisito la materiale disponibilità del bene, conoscendo il difetto del proprio titolo d’acquisto, ovvero dovendolo conoscere con l’ordinaria diligenza (ad es.: occupo abusivamente un appezzamento di terreno)  P.i. vizioso, dove il possessore ha acquisito la materiale disponibilità del bene non solo in mala fede, ma addirittura con violenza, (es.: mediante rapina) ovvero clandestinità (es. mediante furto) In materia di possesso, si presume. la buona fede: grava su chi contesta la buona fede del possessore l’onere di provare la sua mala fede. La detenzione si distingue a sua volta in: a) D. qualificata, quando il detentore ha acquisito la materiale disponibilità del bene nell’interesse proprio (es.: l’inquilino) b) D. non qualificata, quando il detentore ha acquistato la materiale disponibilità del bene per ragioni di ospitalità (es amico che accolgo nel mio appartamento) ovvero di servizio (es. meccanico a cui affido la mia auto per la manutenzione) La legge attribuisce alle diverse distinzioni fra le varie situazioni possessorie una diversa rilevanza giuridica. Il possesso di diritti reali minori. Vi possono essere anche situazioni di fatto che corrispondono all’esercizio di diritti reali cd minori: così ad (es. se su un fondo viene fatto passare un acquedotto, si ha possesso della servitù; se su un fondo esercito i poteri tipici dell’usufruttuario, si avrà possesso dell’usufrutto.) Sul medesimo bene possono coesistere possessi di diverso tipo. (es. la proprietà di tizio può coesistere con l’usufrutto di Caio e la servitù di Sempronio) Il codice limita la figura del possesso alle situazioni di fatto corrispondenti all’esercizio di diritti reali, ad esclusione del diritto di superficie. Chi ha il possesso corrispondente all’esercizio di un diritto reale minore (es. servitù o usufrutto) può modificare il titolo del proprio possesso solo attraverso uno di quei mezzi idonei a consentire la trasformazione della detenzione in possesso (interversione del possesso) es. trasformando l’usufrutto in proprietà cioè: a) L’opposizione fatta dal possessore del titolo di diritto reale minore nei confronti del possessore a titolo di proprietà b) La causa proveniente da un terzo L’acquisto e la perdita del possesso. Può avvenire: a) In modo originario, con l’apprensione della cosa contro o senza la volontà di un eventuale precedente possessore (impossessamento) ed il conseguente esercizio sulla cosa stessa di poteri di fatto corrispondenti a quelli spettanti al titolare di un diritto reale. (es. mi approprio di un autovettura incustodita) Non si ha acquisto del possesso se l’apprensione del bene e il relativo esercizio di fatto del diritto reale si verificano per mera tolleranza del possessore: ossia, quando chi potrebbe impedire l’acquisto del corpus se ne astiene per spirito di amicizia, di gentilezza, di cordialità, di buon vicinato, ecc. (es.: se un amico per mia condiscendenza, si trattiene nella mia villa quando non ci sono, non per questo ne diventa possessore) b) In modo derivativo, con la consegna materiale (es. consegna di un plico al destinatario) o simbolica (es consegna di un appartamento mediante consegna delle chiavi) del bene da parte del precedente al nuovo possessore. Non è necessaria, perché si abbia consegna, la materiale apprensione del bene, essendo sufficiente che quest’ultimo consegua la possibilità attuale ed esclusiva di agire liberamente su di esso. (es. consegna delle merci tramite le chiavi del magazzino dove esse sono depositate) L’esperienza conosce due figure di Traditio Ficta, ( [Consegna fittizia] Modo di trasferimento della proprietà o del possesso, caratterizzato da una fittizia consegna della cosa, mancando in pratica un materiale atto di apprensione o un fisico spostamento della cosa dal precedente, al successivo possessore).  La traditio brevi manu, quando il detentore acquista il possesso del bene (es. l’inquilino che acquista la casa che deteneva ne acquisisce il possesso non mutando la sua relazione con essa)  Il costituto possessorio, quando il possessore acquista la detenzione del bene (es. acquisto un immobile contemporaneamente concedendolo in locazione al venditore egli conserva la relazione materiale a ne perde il possesso) La perdita del possesso si verifica per il venir meno di uno od entrambi gli elementi del possesso: cioè del corpus e/o dell’animus possidendi. (se abbandono il bene viene meno il corpus se cedo il possesso del bene conservandone la detenzione viene meno l’animus) Per la perdita del corpus non è sufficiente una semplice dimenticanza momentanea del bene (es. scordo l’ombrello a casa di amici) e tanto meno un occasionale distacco fisico della cosa, (es lascio la macchina parcheggiata per strada che non precluda al soggetto di ripristinare il rapporto materiale con la stessa) occorrendo invece la sua definitiva irreperibilità od irrecuperabilità da parte del possessore (smarrimento, furto, rapina, ecc). Il possesso degli animali selvatici si perde allorché essi riacquistino la naturale libertà; Per quanto riguarda gli immobili, la dottrina tradizionale ritiene che la conservazione possa avvenire anche per solo effetto della persistenza dell’animus, nonostante si sia perduta la disponibilità fisica, (Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l'anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l'autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo.) Il possessore illegittimo è di norma tenuto a restituire al titolare del diritto non solo il bene ma anche i frutti dal bene prodotti a partire dal momento in cui ha avuto inizio il suo possesso. La regola trova peraltro eccezione in caso di possesso illegittimo di buona fede: in tale ipotesi il possessore ha infatti diritto di tenere per sé i frutti percepiti anteriormente alla proposizione, da parte del titolare del diritto, della relativa domanda giudiziale. Solo i frutti percepiti durante la lite spettano al proprietario. Anzi dal giorno della domanda (ad evitare che il possessore, sapendo di doverli restituire, trascuri la coltivazione o lasci perire i frutti), e fino alla restituzione della cosa, il possessore stesso risponde verso il rivendicante non solo dei frutti percepiti durante la lite, ma anche di quelli che avrebbe potuto percepire usando la diligenza del buon padre di famiglia. Quanto alle spese occorre distinguere fra: a) Spese ordinarie (quelle che servono per la produzione dei frutti ed il loro raccolto, nonché per le riparazioni ordinarie del bene), di cui il possessore ha diritto al rimborso limitatamente al tempo per il quale è tenuto alla restituzione dei frutti: non sarebbe giusto che chi deve restituire i frutti non abbia il diritto al rimborso delle spese effettuate per la loro produzione. b) Spese straordinarie (quelle che servono alle riparazioni straordinarie), di cui il possessore ha sempre diritto al rimborso: non sarebbe giusto che il proprietario si avvantaggiasse di spese che superano il limite della conservazione del bene. c) Spese per i miglioramenti, di cui il possessore ha diritto al rimborso, purché detti miglioramenti sussistano al tempo della restituzione: e la ragione è che, nell’interesse generale della produzione, non si è voluto distogliere chi di fatto si trova ad utilizzare la cosa dal compimento di opere che ne accrescono il valore. Tuttavia, per quanto concerne l’importo del rimborso, bisogna distinguere se il possesso era qualificato da buona o mala fede: al possessore di buona fede l’indennità si deve corrispondere nella misura dell’aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti; a quello di mala fede, nella minor somma tra lo speso ed il migliorato. Al possessore (purché di buona fede) è riconosciuto il diritto di ritenzione: cioè, il diritto di non restituire il bene fino a che non gli siano state corrisposte le indennità dovute per spese, riparazioni e miglioramenti. 183.L’acquisto in forza del possesso: a) la regola “possesso vale titolo”. Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un Titolo idoneo al trasferimento della proprietà. La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal Titolo e vi è la buona fede dell'acquirente. Nello stesso modo si acquistano diritti di usufrutto, di uso e di pegno Se acquisto un bene da chi non ne è il proprietario (acquisto a non domino), non ne divento proprietario, perché chi mi ha alienato il bene non era legittimato a farlo. Tale principio non è applicato rigorosamente in quanto altrimenti per essere sicuri di non restare esposti all’azione di rivendicazione da parte del proprietario, prima di qualsiasi acquisto occorrerebbe indagare se l’alienante è davvero il legittimo proprietario del bene, o se egli ha a sua volta acquistato correttamente a domino, e così via; tutto ciò comporterebbe un grave ostacolo alla circolazione della ricchezza. Ora (se per i beni immobili sono costituiti appositi registri di consultazione) per quel che riguarda i beni mobili il legislatore ha dettato la regola del “possesso vale titolo” (1153 c.c.), in forza della quale chi acquista un bene a non domino, ne diventa proprietario, purché concorrano i seguenti presupposti: a) Che l’acquisto riguardi beni mobili (esclusi quelli registrati e delle universalità di mobili) suscettibili di possesso. b) Che l’acquirente possa vantare un titolo idoneo al trasferimento della proprietà: cioè un contratto non solo astrattamente atto al trasferimento del diritto dominicale ma anche che non presenti vizi (es., una compravendita nulla per difetto di forma). c) Che l’acquirente, oltre ad aver stipulato l’atto d’acquisto del bene mobile, ne abbia altresì acquistato il possesso. d) Che l’acquirente sia in buona fede nel momento in cui il bene gli viene consegnato: peraltro a tale fine non basta che l’acquirente ignori che l’alienante non aveva diritto di disporre della cosa, ma occorre altresì che tale ignoranza non dipenda da sua colpa; colpa che sussisterebbe se le circostanze in cui l’acquisto ha avuto luogo avessero indotto in sospetto l’uomo medio, il buon padre di famiglia. Tuttavia siccome per chi si trova nel possesso di una cosa la buona fede è presunta, incombe su chi intenda contestarne l’acquisto l’onere della prova di mala fede del possessore, adducendo ogni indizio utile a dimostrare che una persona di media diligenza, in quelle circostanze, avrebbe preferito astenersi dall’acquisto, non potendo non avere dei dubbi sulla reale titolarità dell’alienante. La buona fede è esclusa se l’acquirente conosce l’illegittima provenienza della cosa. Quello realizzato in forza dell’applicazione della regola “possesso vale titolo” costituisce acquisto a titolo originario. Art.1153 La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa (se questi non risultano dal titolo e vi è buona fede dell’acquirente). Quindi, se acquisto a non domino, in buona fede, un quadro e chi me lo vende non mi dice che su di esso è costituito un pegno, non soltanto divento proprietario del quadro, ma contro di me non può neppur essere fatto valere il diritto di un pegno dal creditore pignoratizio. Un ulteriore conseguenza della regola “possesso vale titolo” è prevista nel 1155 c.c. Può darsi che taluno alieni il medesimo bene mobile a più persone o costituisca lo stesso diritto a favore di più persone, ovvero cerchi di trasferire a persone diverse diritti tra loro incompatibili. (es. l’usufrutto più persone) Il 1155 c.c. stabilisce che, se taluno con successivi contratti aliena a più persone un bene mobile, tra esse quella che per prima ne acquista in buona fede il possesso è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore. I principi fin qui esaminati non si applicano per le università di beni mobili e dei beni mobili iscritti in pubblici registri: per quanto riguarda le prime (es.: biblioteche, greggi, ecc.) il legislatore preferisce sollecitare l’attenzione di chi voglia acquistare un siffatto complesso di beni, evitando che questi possa accontentarsi dell’apparente titolarità di chi si accinga a compiere atti di disposizione dell’universitas. Ragion per cui, con riferimento alle universalità di mobili, trova applicazione rigorosa il principio secondo cui nessuno può trasferire di diritto più di quanto abbia, con la conseguenza che viene tutelato non già chi per primo acquista il possesso in buona fede, bensì chi può vantare un valido titolo d’acquisto di data anteriore. Per quanto riguarda invece i beni mobili iscritti in pubblici registri (autoveicoli aeromobili ecc.), trovano applicazione i principi relativi alla trascrizione, in base ai quali viene tutelato non già chi per primo acquista il possesso in buona fede, bensì chi per primo provvede alla trascrizione del suo titolo. 184. L’acquisto della proprietà in forza del possesso: b) l’usucapione. Può accadere che un bene abbia per anni un possessore non proprietario e un proprietario non possessore. Al protrarsi di questa situazione la legge ricollega una precisa conseguenza: il proprietario perde il diritto di proprietà, il possessore lo acquista. È irrilevante agli effetti dell’usucapione, che il possesso sia di buona o di mala fede. Questa circostanza può influire solo sulla durata del possesso necessario per l’usucapione. Occorre però che il possesso sia goduto alla luce del sole: se il possesso è stato conseguito con violenza o in modo clandestino, il tempo utile per l’usucapione comincia a decorrere solo da quando sia cessata la violenza o la clandestinità. È cruciale però distinguere la detenzione dal possesso: nel primo caso si tiene l'oggetto soltanto in custodia, ci si comporta cioè come se il possesso fosse altrui e ciò non da inizio ad alcun ciclo di usucapione. Ad esempio un libro preso in prestito da un amico, anche se mai chiesto indietro, non darà mai inizio a un processo di usucapione, se non interverrà un fatto oggettivo con il quale si manifesti la volontà di trasformare la detenzione in possesso vero e proprio. Seguendo il citato esempio solo quando colui che ha preso in prestito il libro comunicherà al prestante la volontà di appropriarsi del libro (per esempio negandone la restituzione in seguito a una richiesta del prestante) avrà inizio il calcolo del tempo di usucapione. Il fondamento dell’usucapione è in un’esigenza di ordine generale, che è quella di eliminare le situazioni di incertezza circa l’appartenenza dei beni: una consolidata situazione di fatto come il possesso di un bene protratto per un certo tempo è di per sé stessa considerata modo di acquisto della proprietà. Chi compera sa di comperare bene se compera da chi ha posseduto la cosa per il tempo necessario per usucapirla. Il possesso protratto per un certo lasso di tempo fa acquistare al possessore la titolarità del diritto reale corrispondente alla situazione di fatto esercitata: l’usucapione costituisce dunque un modo di acquisto a titolo originario della proprietà e dei diritti reali minori. La ratio dell’usucapione va ricercata nell’opportunità dal punto di vista sociale, di favorire chi nel tempo utilizza e rende produttivo il bene a fronte del proprietario che lo trascura. L’usucapione agevola altresì la prova del diritto di proprietà: se non soccorresse l’usucapione, chi si afferma proprietario dovrebbe dare la prova di aver acquistato il suo diritto da un soggetto che era effettivamente proprietario del bene per averlo, a sua volta, acquistato da quello precedente e così via. L’usucapione si distingue dalla prescrizione estintiva (art. 2934 c.c.):  in entrambi gli istituti hanno importanza il fattore tempo e l’inerzia del titolare del diritto: ma nella prescrizione questi elementi danno luogo all’estinzione, nell’usucapione all’acquisto di un diritto;  la prescrizione ha una portata generale, in quanto si riferisce a tutti i diritti, salvo eccezioni; l’usucapione riguarda invece solo la proprietà e i diritti reali minori. Per usucapione possono acquistarsi solo la proprietà ed i diritti reali di godimento che sono il diritto di superficie, l'enfiteusi, l'usufrutto, l'uso, l'abitazione e le servitù. (ad eccezione delle servitù non apparenti), con esclusione quindi dei diritti reali di garanzia. I diritti usucapibili possono avere ad oggetto tutti i beni corporali, ad esclusione dei beni demaniali e dei beni del patrimonio indisponibile dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali. Perché si verifichi l’usucapione, debbono concorrere i seguenti presupposti: a) Il possesso, in buona o mala fede del bene; Se il possesso (illegittimo, di mala fede) viene acquistato con violenza (rapina o clandestinità,) il possesso utile per usucapire decorre solo dal momento un cui sono cessate la violenza e la clandestinità (furto: è da tale momento che il precedente possessore, vittima dell’atto violento o clandestino, potrebbe agire in giudizio per ottenere il recupero del bene; se omette di farlo, deve subire le conseguenze negative della sua colpevole inerzia). b) La continuità del possesso per un certo lasso di tempo : peraltro, al fine di dimostrare la continuità del suo possesso, il soggetto interessato non ha l’onere di fornire la prova di aver posseduto il bene per tutto l’arco richiesto, istante per istante: la legge, infatti lo agevola con la presunzione di possesso intermedio (1142 c.c.), in forza della quale basta che il possessore dimostri di possedere ora e di aver posseduto in un tempo più remoto: ciò è sufficiente per far presumere che abbia posseduto anche nel periodo intermedio; spetterà eventualmente sostenga il contrario di dimostrare il suo assunto. Invece, il solo possesso attuale non fa presumere il possesso anteriore, salvo che il possessore possa invocare un titolo a fondamento del suo possesso (es esibire un atto dal quale risulti una data certa; in tal caso la legge presume che il possesso abbia avuto inizio dalla data del titolo (presunzione di possesso anteriore). c) La non interruzione del possesso, che si ha allorquando, nel lasso di tempo richiesto dalla legge, non intervenga:  Né una causa di interruzione c.d. naturale dell’usucapione, che si verifica allorquando il soggetto perda il possesso del bene (es. per abbandono o trasferimento); con la precisazione, in ipotesi di perdita del possesso in conseguenza del fatto del terzo che se ne appropri, l’interruzione si considera verificata solo se chi si è visto privato del possesso non abbia proposto l’azione diretta a recuperare il perduto possesso entro il termine di un anno dall’avvenuto spoglio;  Né una causa di interruzione c.d. civile dell’usucapione che si verifica allorquando contro il possessore, che pure conserva materialmente il possesso del bene, venga proposta una domanda giudiziale volta a privarlo di esso (es azione di rivendicazione o di spoglio), sempre che si tratti di domanda fondata; ovvero allorquando il possessore abbia effettuato un riconoscimento del diritto del titolare. Le cause di interruzione civile dell’usucapione coincidono con quelle di interruzione della prescrizione. d) Il decorso di un certo lasso di tempo, che il codice fissa in 20 anni (usucapione ordinaria): ai fini del computo del tempo utile ai fini dell’usucapione, chi abbia acquisito il possesso a titolo particolare può sommare al tempo del proprio possesso anche il tempo del possesso dei propri danti causa (accessione del possesso: art. 1146 c.c.), mentre chi ha acquisito il possesso a titolo universale si giova del possesso del suo autore (successione nel possesso: 1146 c.2 c.c.). Peraltro la legge prevede relativamente a talune ipotesi termini di usucapione più brevi (usucapione abbreviata); e precisamente: 1) Di 10 anni per i beni immobili e di 3 anni per i beni mobili registrati, quando oltre a quelli fin qui indicati, concorrono cumulativamente i seguenti presupposti:  Che il possessore possa vantare a suo favore un titolo idoneo a trasferire la proprietà (es. l’usufrutto che và trascritto in appositi registri pubblici) non inficiato da altri vizi se non quello di essere stato stipulato da chi non è legittimato a disporre del bene: si tratta di un’ipotesi di acquisto a non domino;  Che l’acquirente avvia acquistato il possesso del bene in buona fede  Che sia stata effettuata la trascrizione del titolo: il termine utile per l’usucapione decorre proprio dalla data della trascrizione 2) Di 10 anni per le universalità di mobili quando, oltre a quelli fin qui indicati, concorrono cumulativamente i seguenti presupposti:  Che il possessore possa vantare a suo favore un titolo idoneo all’acquisto del diritto Che l’acquirente abbia acquistato il possesso del bene in buona fede 3) Di 10 anni per i beni mobili non registrati quando l’acquirente abbia acquistato il suo possesso in buona fede. 4) Di 15 anni per i fondi rustici con annessi fabbricati situati in comuni che per legge sono classificati come montani, e anche per quelli non situati in comuni montani, ma che abbiano un reddito domenicale iscritto in catasto non superiore a €180,76 (termine che, se concorrono i presupposti della sussistenza di un titolo idoneo della buona fede e della trascrizione del titolo, si riduce a 5 anni dalla trascrizione della stessa)(c.d. usucapione speciale per la piccola proprietà rurale). L’acquisto del diritto in forza di usucapione avviene ex lege, nel momento stesso in cui matura il termine normativamente previsto. Peraltro, l’usucapiente potrebbe avere interesse (es.: per eliminare ogni incertezza relativa al suo acquisto) a promuovere un giudizio di accertamento dell’intervenuta usucapione, che, in ogni caso, si concluderebbe con una sentenza avente valore dichiarativo e non già costitutivo. La tutela delle situazioni possessorie. Ci si può opporre, finché l’altrui azione illecita è in atto (es.: posso oppormi con la forza al tentativo di furto della mia valigetta con i preziosi), ciò in virtù del principio della legittima difesa. Quando l’azione è esaurita, il possessore deve rivolgersi all’Autorità dello Stato attraverso una delle azioni che, proprio perché poste a tutela del possesso, si dicono “possessorie”. Il possessore può agire in giudizio a difesa del suo possesso con le azioni possessorie, senza avere l’onere di dare la prova di essere effettivamente titolare del diritto reale corrispondente Le azioni petitorie sono azioni che spettano al proprietario per difendere il suo diritto contro turbative altrui. . Chi riveste contestualmente la qualità sia di possessore che di titolare del correlativo diritto reale, potrà esperire, quale possessore, le azioni possessorie, oppure, quale titolare del diritto, le azioni petitorie. Le azioni possessorie garantiscono al possessore una tutela efficiente, in quanto semplice e rapida. Innanzitutto, infatti, egli non ha l’onere di dare la prova della titolarità del diritto ma soltanto del suo possesso, cioè della situazione di fatto esistente. Inoltre la procedura è abbreviata e semplificata. L’azione possessoria paralizza quella petitoria (unica eccezione: sentenza della corte costituzionale del 1992). Prima finalità: La finalità principale delle azione possessorie è quella di rafforzare la tutela del titolare del diritto reale. Tutto ciò si fonda sul presupposto razionale secondo cui colui che utilizza una cosa a proprio profitto è, molto probabilmente, anche titolare di un diritto reale su quella cosa. Tuttavia non sempre questo accade, perché talvolta il possessore possiede senza diritto. Nel procedimento possessorio di regola non è possibile accertare se il possessore è titolare del diritto reale corrispondente, oppure se non lo è quindi esercita abusivamente il potere di fatto sulla cosa. Seconda finalità: evitare che il titolare del diritto compia azioni di autotutela, cioè si faccia giustizia da sé, e indurlo a rivolgersi all’autorità giudiziaria per ottenere giustizia. In tali situazioni il risultato ottenuto è solo provvisorio e non definitivo, è tale da non pregiudicare in modo irreversibile gli interessi dell’effettivo titolare del diritto. Se il procedimento possessorio si è concluso con un giudizio a lui sfavorevole, può iniziare un procedimento giudiziario petitorio. (es. se vengo evocato in giudizio con un azione possessoria da colui a cui ho sottratto il bene non posso giustificare la mia condotta adducendo che in realtà sono proprietario del bene debbo attendere la definizione del giudizio possessorio ed eseguire la sentenza che ad es. può condannarmi alla restituzione del bene solo allora potrò avviare l’azione petitoria (nello specifico quella di rivendicazione) La regola legale del divieto del cumulo di giudizio petitorio con quello possessorio soffre deroga nell’ipotesi in cui vi sia il rischio che dalla sua applicazione possa derivare, per il convenuto, un pregiudizio irreparabile. La lesione di situazioni possessorie obbliga il suo autore a risarcire il danno che ne sia derivato al possessore o al detentore. La relativa azione può essere proposta congiuntamente all’azione possessoria. L’azione di reintegrazione (o spoglio). Essa risponde all’esigenza di garantire a chi possiede un bene una sollecita tutela giudiziaria ed è volta a reintegrare nel possesso del bene chi sia rimasto vittima di uno spoglio violento o clandestino. (Lo spoglio è violento se è fatto contro la volontà del possessore, anche se non si ricorre alla violenza ed è considerato occulto o clandestino se il possessore non è a conoscenza dello spoglio) Per spoglio si intende qualsiasi azione che si risolva nella durata della privazione, totale (occupo totalmente il fondo) o parziale, (occupo un parte del fondo) del possesso. Si ritiene che l’azione di reintegrazione sia esperibile solo quando lo spoglio risulti accompagnato dal c.d. animus spoliandi, cioè dall’intenzione del suo autore di privare il possessore o il detentore della disponibilità del bene tranne che ciò non risulti dalle circostanze (es. quando il bene è in stato di abbandono in questo caso manca nell’autore del fatto la coscienza di privare altri del suo possesso) La legittimazione attiva ad esercitare l’azione spetta a qualsiasi possessore, sia esso legittimo (diritti di proprietà) o illegittimo (diritti di godimento), di buona o mala fede; addirittura al possessore che tale sia divenuto con violenza o clandestinità. Spetta altresì al detentore, tranne che al detentore non qualificato (cioè a chi sia tale per ragioni di servizio od ospitalità): in questa ultima ipotesi infatti è logico che l’azione venga intentata, anziché dal detentore precario, dal possessore che è l’unico realmente interessato al recupero del possesso. Il detentore (qualificato) può esperire l’azione di spoglio non solo nei confronti dei terzi, ma anche nei confronti del possessore (si pensi al caso dell’inquilino che, tornato dalle vacanze, scopra che nel frattempo il proprietario si è ripreso la disponibilità dell’appartamento locatogli), purché la sua detenzione sia autonoma (cioè acquisita nel proprio interesse; ad es., l’amico a cui ho affidato un quadro perché lo venda per mio conto non è legittimato ad esperire l’azione di reintegrazione, nell’eventualità in cui io possessore mi sia ripreso il quadro). La legittimazione passiva compete (oltre all’autore materiale dello spoglio, quand’anche nel frattempo abbia trasferito ad altri il possesso del bene) a coloro che debbono rispondere del fatto di quest’ultimo, al c.d. autore morale dello spoglio (cioè a colui che lo abbia approvato, traendone vantaggio) nonché a chi si trovi attualmente nel possesso del bene, in virtù di un acquisto a titolo particolare, fatto con la conoscenza dell’avvenuto spoglio. La proposizione dell’azione è soggetta ad un termine di decadenza di un anno, che decorre dal sofferto spoglio oppure, se questo è clandestino, dal giorno della sua scoperta. Nel caso in cui lo spoglio non sia stato né violento né clandestino, chi l’abbia subito può reagire con l’azione di manutenzione, se ed in quanto ricorrano le più restrittive condizioni previste dalla legge per la proponibilità di tale ultima azione. L’azione di manutenzione. Essa (art. 1170 c.c.) è volta alternativamente a: a) Reintegrare nel possesso del bene chi sia stato vittima di uno spoglio non violento né clandestino. b) Far cessare le molestie o le turbative di cui sia stato vittima il possessore. Per molestia o turbativa s’intende qualunque attività che arrechi al possessore un apprezzabile disturbo, tanto che consista in attentati materiali (es. taglio degli alberi,) quanto che si estrinsechi in atti giuridici. (es. un opposizione a chi intraprende una costruzione in contrasto con la servitù di passaggio) L’azione di manutenzione è esperibile (alias attuabile) solo in presenza del c.d. animus turbandi: cioè della consapevolezza nell’agente che il proprio atto arreca pregiudizio al possesso altrui. La legittimazione attiva non spetta al detentore e neppure a tutti i possessori: spetta soltanto al possessore di un immobile, di un’universalità di mobili o di un diritto reale su un immobile, e solo a condizione che sia possessore da almeno un anno, in modo continuativo e non interrotto (ovvero qualora abbia acquistato il possesso con violenza o clandestinità, da almeno un anno dal giorno in cui queste siano cessate). La legittimazione passiva compete all’autore dello spoglio (non violento o clandestino) o della turbativa, ma anche a coloro che debbono rispondere del fatto di quest’ultimo, nonché al c.d. autore morale. Anche l’azione di manutenzione è soggetta al termine di decadenza di un anno, che decorre dall’avvenuto spoglio, ovvero dal giorno in cui ha avuto inizio l’attività molestatrice. Le azioni di nuova opera e di danno temuto. Possono essere esercitate a tutela della proprietà del possesso o di altro diritto reale di godimento. Esse hanno finalità tipicamente di natura cautelare, in quanto mirano a prevenire un danno o un pregiudizio che può derivare da una nuova opera o dalla cosa altrui, in attesa che successivamente si accerti il diritto alla proibizione. La denuncia di nuova opera spetta al proprietario, al titolare di un diritto reale di godimento o al possessore che abbia ragione di temere che da una nuova opera (es scavi) iniziata da meno di un anno e non terminata stia per derivare danno alla cosa che forma oggetto del suo diritto o del suo possesso. Il giudice può vietare o permettere la continuazione dell’opera, stabilendo le opportune cautele (1171 c.c.). La denuncia di danno temuto è data al proprietario, al titolare di un diritto reale di godimento o al possessore nel caso in cui vi sia pericolo di un danno grave e prossimo derivante da qualsiasi edificio, albero o altra cosa (non quindi da una persona), senza che ricorra l’ipotesi di nuova opera (1172 c.c.). il giudice dispone i provvedimenti necessari per ovviare il pericolo e, se del caso, impone idonea garanzia per gli eventuali danni. Successione nel possesso ed accessione del possesso. Il possesso alla morte del possessore continua in capo al suo successore a titolo universale (erede) ipso iure, cioè, anche in mancanza di una materiale apprensione del bene da parte dell’erede e perfino se questi ignori l’esistenza dello stesso e con tutte le accezioni se il possessore era in malafede lo sarà anche l’erede. Ben diversa dalla successione nel possesso è l’“accessione del possesso” applicabile solo a chi acquista il possesso a titolo particolare (compratore legatario ecc.), egli acquista un possesso nuovo, diverso da quello del suo dante causa. Pertanto può essere in buona fede, benché il dante causa fosse in mala fede, e viceversa. Le qualifiche del possesso vanno valutate cioè nei confronti dell’acquirente senza dare rilievo alla situazione in cui si trovava l’alienante. Il successore a titolo particolare dunque può, se lo ritiene utile, sommare al periodo in cui ha egli stesso posseduto, anche il periodo durante il quale hanno posseduto i suoi danti causa: questa sommatoria dei due periodi può, infatti, risultare utile ai fini dell’usucapione, dell’azione di rivendicazione, dell’azione di manutenzione, ossia ogni volta che assuma rilievo la durata del possesso (es.: se compero un bene mobile da chi so non esserne proprietario mi potrà convenire, invocare ricorso alla regola possesso vale titolo onde poter sommare a quella del mio possesso la durata del possesso del mio dante causa ai fini del computo tempo necessario per l’usucapione). IL RAPPORTO OBBLIGATORIO Nozione Con il termine obbligazione si intende il rapporto tra due soggetti –il soggetto passivo (cd debitore) ed il soggetto attivo (cd creditore) in forza del quale il primo è tenuto nei confronti del secondo ad una determinata prestazione. Il rapporto obbligatorio dà luogo a due posizioni correlate: la posizione di debito (passiva) fa da contraltare a quella di credito (attiva). Al debitore fa capo una determinata obbligazione mentre al creditore fa capo il correlativo diritto di credito che può essere fatto valere solo nei confronti del debitore (si dice, perciò, che è un diritto personale o relativo ). Il debitore risponde dell’inadempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art.2740 c.c.). quindi, in caso di inadempimento, il creditore può invocare misure coercitive sul patrimonio dell’obbligato. (cd responsabilità patrimoniale) Fonti delle obbligazioni Secondo l’art. 1173 c.c., l’obbligazione può sorgere per contratto, fatto illecito ed ogni altro atto o fatto idoneo a produrla secondo l’ordinamento. Tali fattispecie si dicono fonti delle obbligazioni al suo inadempimento conseguono le sanzioni previste in caso di inadempimento dell’obbligazione (risarcimento del danno) e in tema di inadempimento del contratto. (risoluzione dello stesso) L’obbligazione naturale Per obbligazione in senso naturale (art.2034 c.c.), si intende qualunque dovere morale o sociale, in forza del quale un soggetto determinato sia tenuto ad eseguire un’attribuzione patrimoniale a favore di un altro soggetto parimenti determinato. Il debitore naturale, quindi, non è obbligato giuridicamente ad adempiere, ma è obbligato solo in forza di doveri morali e sociali. il creditore naturale, non può ottenerne la restituzione. Perché sia esclusa la restituzione è necessario che: a) la prestazione sia stata spontanea, cioè effettuata senza coazione; (es se pago in adempimento di una sentenza) b) che la prestazione sia stata fatta da persona capace. C la proporzionalità tra la prestazione eseguita i mezzi di cui l’adempiente dispone e l’interesse da soddisfare. Il diritto del destinatario di non restituire il bene è l’unico effetto dell’obbligazione naturale Tale ipotesi di obbligazione naturale sono espressamente previste dalla legge (es il debito di gioco) La sua inosservanza comporterebbe un giudizio di riprovazione e disistima tra i consociati alla luce di un etica sociale corrente in un determinato momento storico. Alla luce di questo criterio costituiscono adempimento all’obbligazione naturale le prestazioni a favore del convivente il pagamento di interessi pattuiti oralmente l’adempimento di una disposizione testamentaria orale ecc. Non costituiscono adempimento all’obbligazione le attribuzioni effettuate per riconoscenza o per speciale remunerazione (es. le mance) GLI ELEMENTI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO I soggetti del rapporto obbligatorio sono almeno due: creditore (o soggetto attivo); debitore (o soggetto passivo.) Essi sono di regola determinati all’epoca in cui l’obbligazione sorge (es nella compravendita creditore del prezzo è il venditore debitore l’acquirente,) ma a volte può accadere che uno dei soggetti del rapporto sia determinato solo successivamente al sorgere del vincolo. (es. prometto un premio a chi mi riporti il cane smarrito) L’obbligazione a soggetto determinabile è distinta dall’obbligazione cd ambulatoria in cui ignoro il soggetto della trasferibilità del credito ovvero a chi dovrò effettuare la prestazione (es. pagherò cambiario) La prestazione cui il debitore è obbligato può consistere in un dare o in un facere. La prestazione si dice infungibile quando assumono rilievo le qualità personali dell’obbligato; fungibile quando per il creditore è irrilevante chi gli procura il risultato cui ha diritto. Non importa che la prestazione corrisponda ad un interesse economico del creditore: anche il soddisfacimento di interessi culturali, sportivi può essere procurato dal debitore. Ma la prestazione dovuta deve avere carattere patrimoniale, vale a dire che deve essere suscettibile di valutazione economica. Perché un’obbligazione sia validamente assunta occorre che la prestazione dovuta sia: a) possibile (ad es. non sorge l’obbligazione di consegnare una cosa inesistente); b) lecita; c) determinata (nel senso che siano determinati i criteri per giungere alla sua specifica determinazione). Le parti possono stabilire che l’oggetto della prestazione sia determinato da un terzo (arbitratore). Questi deve procedere con equo apprezzamento: le parti possono perciò rivolgersi al giudice se la determinazione dell’arbitratore è manifestamente iniqua o erronea (art.1349.1 c.c.). Le parti, peraltro, possono anche rimettersi al mero arbitrio del terzo, lasciandogli carta bianca: in tal caso potranno impugnare la determinazione solo nel caso estremo che si riesca a provare il dolo del terzo. Né è consentito alle parti rivolgersi al giudice, qualora l’arbitratore non provveda: esse possono solo accordarsi per sostituirlo, altrimenti il contratto è nullo (art.1349.2 c.c.). Oggetto dell’obbligazione è la prestazione dovuta (art.1174 c.c.). Nelle obbligazioni di dare, peraltro, pure il bene dovuto viene talvolta indicato come oggetto (mediato) dell’obbligazione. Nelle obbligazioni generiche il debitore è tenuto a dare cose non ancora individuate ed appartenenti ad un genere (10 bottiglie di vino di quel certo tipo); nelle obbligazioni specifiche il debitore è tenuta a dare una cosa determinata (questa auto). In caso di obbligazione generica il debitore deve scegliere di prestare cose di qualità non inferiore alla media (art.1178 c.c.). L’obbligazione divisibile e indivisibile Nell’obbligazione indivisibile, il diritto di richiedere e correlativamente l’obbligo di prestare l’intero derivano dalla natura della prestazione che ha per oggetto una cosa (o un fatto) che non è suscettibile di essere ridotta in parti per sua natura (es. un cavallo vivo; indivisibilità oggettiva) o per la volontà delle parti (indivisibilità soggettiva) L’indivisibilità opera anche nei confronti degli eredi del debitore o di quelli del creditore Le obbligazioni solidali .Nell’obbligazione solidale passiva: -il creditore può rivolgersi per ottenere la prestazione da uno qualsiasi dei obbligati a meno che non vi sia il beneficio di escussione ovvero l’onere di procedere preventivamente nei confronti di un condebitore -gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione hanno effetto anche riguardo gli altri condebitori -la rinuncia da parte del creditore alla solidarietà non incide sulla natura solidale dell’obbligazione degli altri condebitori -il condebitore può opporre al creditore le cd eccezioni comuni (es invalidità inesigibilità ma non quelle personali altrui (che attengono al rapporto creditore –debitore (es. il vizio del consenso) - l’effettuazione integrale della prestazione ad opera di uno dei coobbligati estingue l’obbligazione -la costituzione in mora di uno dei condebitori non vale a costituire in mora gli altri -Ciascun condebitore è tenuto solo per la sua parte, a meno che l’obbligazione sia stata contratta nell’interesse esclusivo di uno dei condebitori (es. nei confronti della banca che ha concesso il mutuo sono solidamente responsabili sia tizio che ha contratto il mutuo che Caio che ha prestato garanzia fidejussoria) -. La parte di ciascun condebitore si presume eguale a quella degli altri, se non risulta diversamente -Il condebitore solidale che abbia pagato l’intero può agire contro gli altri condebitori (azione di regresso) -se uno dei condebitori risulta inadempiente la perdita va ripartita tra tutti gli altri condebitori Le obbligazioni pecuniarie Art. 1282 c.c. obbligazioni pecuniarie: i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto salvo che la legge o il titolo stabilisca diversamente. Per liquido si intende certi nel loro ammontare per esigibile si intende che sia scaduto e quindi maturato dal creditore. Per l’estinzione dell’obbligazione pecuniaria (alias obbligazione generica che ha come oggetto il pagamento di una somma di denaro) occorre utilizzare moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento L’obbligazione si dice a termine, quando va adempiuta dopo un certo intervallo di tempo rispetto al momento in cui è sorta Il principio nominalistico stabilisce che il debitore si libera pagando, alla scadenza, la medesima quantità di moneta inizialmente fissata, nonostante il tempo passato dalla costituzione del debito ed indipendentemente dal fatto che, nel frattempo, il potere d’acquisto del danaro sia più o meno diminuito. Il creditore può cercare di cautelarsi contro le oscillazioni di valore della moneta: il modo più semplice è quello di pattuire degli interessi. Peraltro il principio nominalistico si applica con certezza ai crediti liquidi, ossia già determinati nel loro ammontare; non altrettanto può dirsi per i crediti illiquidi, ossia per quei crediti dei quali non risulti ancora fissato il concreto quorum dovuto. Se il debito pecuniario è espresso in moneta estera, il debitore, di regola, può pagare anche in moneta nazionale, al corso del cambio nel giorno della scadenza ciò non si applica, se nell’obbligazione è indicata la clausola "effettivo" ovvero che il pagamento deve effettuarsi proprio in moneta estera , salvo che alla scadenza dell'obbligazione non sia possibile procurarsi tale moneta. Un particolare tipo di obbligazione pecuniaria è quella relativa agli interessi che si aggiungono al capitale. Gli interessi possono essere: a) legali: sono interessi dovuti in forza di una norma di legge ovvero salvo diversa pattuizione, qualora la cosa venduta e consegnata al compratore produca frutti o altri proventi decorrono gli interessi sul prezzo, anche se il prezzo non è ancora esigibile. Dal 1°gennaio 1999 la misura del tasso dell’interesse legale è stata portata al 2.5% in ragione dell’anno; b) convenzionali: sono quelli dovuti in forza di un accordo tra debitori e creditori, l’accordo può essere sia antecente che successivo al sorgere dell’obbligazione.. Se le parti pattuiscono pure il “saggio” di tali interessi, questi sono dovuti nella misura concordata (che, però, deve essere determinata per iscritto se è fissata ad un livello superiore rispetto al tasso legale); se invece le parti pattuiscono che siano dovuti interessi convenzionali, ma non fissano il saggio di questi ultimi, si applica il tasso legale. La funzione di questi interessi è corrispettiva in quanto rappresentano il corrispettivo del debitore per il godimento di una somma di denaro. Esempio è il mutuo in quanto vi è un contratto in forza del quale la somma di denaro è mutuabile per il godimento per l’acquisto di immobili etc., dietro corresponsione dei relativi interessi. Un'altra funzione è quella compensativa, sono quelli dovuti per le cosiddette obbligazione di valore, obbligo di risarcire il danno, quindi la somma che rappresenta il danno deve essere attualizzato e gli interessi compensativi hanno appunto la funzione di attualizzare la somma c ) moratori: interessi moratori (danni alle obbligazioni pecuniarie): questa norma recita nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno. Se prima della mora erano dovuti interessi di mora in misura superiore a quella legale, gli interessi di mora sono dovuti nella stessa misura. non sono interessi dovuti per un patto tra le parti, il debitore non paga lo costituisco in mora, da quel momento anche se il debitore non era tenuto ad interessi li deve corrispondere a titolo di risarcimento del danno. Al creditore che dimostra di avere subito un danno maggiore spetta un ulteriore risarcimento questo non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori il creditore costituendo in mora il debitore percepisca interessi legali ma potrebbe aver subito danno superiore, basti pensare al fatto che non potendo disporre delle somme sue spettanti non abbia potuto far fronte alle obbligazioni dell’esercizio d’impresa e abbia dovuto ricorrere ad un finanziamento bancario ad interessi più elevati quindi lo scostamento percentuale costituisce un ulteriore danno. Quindi il creditore può pretendere il maggiore danno. Tutto questo fatto salvo non sia convenuto tra le parti che in caso di inadempienza abbiano accordato un determinato interesse di mora. d ) usurari: sono quelli superiori ai tassi medi praticati da banche e intermediari finanziari, rilevati trimestralmente dal Ministro del tesoro, dove risultino sproporzionati; sono invece sempre usurari i tassi che superano del 50% i saggi pubblicati. Dove ci sono interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi (art.1815.2 c.c.). In linea di principio è proibito l’anatocismo,( interessi sugli interessi): ossia la capitalizzazione degli interessi dovuti affinchè questi producano a loro volta altri interessi. gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di una convenzione (contratto) posteriore alla loro scadenza e sempre che si tratti di interessi dovuti per un periodo di almeno sei mesi. Le obbligazioni semplici, alternative e facoltative L’obbligazione semplice nella quale è dedotta un’unica prestazione; l’obbligazione alternativa è l'obbligazione in cui sono dovute al creditore due o più prestazioni e il debitore si libera prestandone una sola. Di regola il potere di scelta spetta al debitore una volta effettuata la scelta l’obbligazione si trasforma in semplice. l’obbligazione facoltativa, obbligazione in cui una sola è la prestazione, ma il debitore ha la facoltà, ove lo voglia, di liberarsi prestandone una diversa. Il diritto di scelta (che spetta al debitore, salvo che, per accordo delle parti, non sia attribuita al creditore o ad un terzo) , una volta esercitata, determina la trasformazione in obbligazione semplice. Le obbligazioni plurisoggettive L’obbligazione può far capo a più soggetti non solo il creditore e il debitore - Obbligazioni solidale: ciascun debitore è obbligato ad effettuare a favore dell’unico creditore l’intera prestazione (obbligazione solidale passiva); es. due coniugi che contraggono un mutuo -ciascun creditore ha diritto nei confronti dell’unico debitore all’intera prestazione (obbligazione solidale attiva) es. se due coniugi hanno un cc cointestato ognuno può prelevare anche l’intera somma -ciascuno dei più debitori è tenuto ad eseguire una parte dell’unitaria prestazione e l’altra parte deve essere eseguita degli altri condebitori (obbligazione parziaria passiva) es. se tizio deve cento alla sua morte gli eredi solveranno in proporzione alla loro quota -ciascuno dei più creditori ha diritto ad una parte dell’unitaria prestazione mentre la restante deve essere eseguita a favore di ciascuno degli altri creditori (obbligazione parziaria attiva) es. se tizio e Caio hanno una casa in comunione pro indiviso a seguito della vendita a sempronio egli dovrà versare il 50% all’uno e il 50% all’altro. L’art. 1294 c.c. stabilisce una presunzione generale di solidarietà passiva nel senso che nel caso di pluralità di debitori, se dalla legge o dal titolo non risulta altrimenti, i condebitori sono tenuti in solido (es. nell’eredità) se non risulta diversamente dalla legge o dal titolo. Questo perchè si tutela il creditore in quanto egli ha, non solo il fastidio di dover chiedere a ciascuno dei debitori la sua parte, ma anche il rischio di insolvenza di uno di essi . In caso di pluralità di creditori la solidarietà ricorre solo nelle ipotesi previste dalla legge o dal titolo MODIFICAZIONE DEI SOGGETTI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO Ai soggetti originari del rapporto obbligatorio possono sostituirsi od aggiungersi altri soggetti può verificarsi nell’ambito di una successione a titolo universale (riguarda tutti i rapporti) o per effetto di una successione a titolo particolare (riguarda il singolo rapporto) MODIFICAZIONI NEL LATO ATTIVO DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO LA CESSIONE DEL CREDITO La cessione del credito indica il contratto con il quale il creditore (cedente) pattuisce con un terzo (cessionario) il trasferimento in capo a quest’ultimo del suo diritto verso il debitore (ceduto); Per quanto riguarda il contratto di cessione, qualunque credito può formare oggetto di cessione , purchè il credito non abbia carattere strettamente personale (crediti, per esempio alimentari o quelli relativi al divorzio, i quali non sono cedibili.) o il trasferimento non sia vietato dalla legge ovvero la cessione non sia stata convenzionalmente esclusa dalle parti Avviene tramite un contratto per mezzo del quale il credito circola liberamente. Le parti possono escludere la cedibilità del credito; ma il patto non è opponibile dal cessionario se non prova che egli lo conoscesse al tempo della cessione. Oggetto di cessione possono essere anche i crediti futuri Il contratto di cessione può avere ad oggetto una somma di denaro o una prestazione di altra natura (es. cedo il credito a fronte di una partita di merci) può invero anche trattarsi di una donazione avere funzione di garanzia o di estinzione di un debito diverso del cedente verso il cessionario (cd cessione solutoria). Per le molteplici funzioni la cessione del credito è detto contratto a causa variabile Affinché la cessione abbia efficacia nei confronti del debitore occorre che a quest’ultimo la cessione venga notificata dal cedente o dal cessionario ovvero sia da lui accettata (cd consenso traslativo.). Il debitore se ha pagato al cedente, non può essere tenuto dal cessionario ad un nuovo pagamento. E poiché la buona fede si presume, incombe al cessionario l’onere di provare che il debitore era a conoscenza dell’avvenuta cessione L’accettazione o la notificazione della cessione servono inoltre ad attribuirle efficacia di fronte ai terzi. (se il cedente ha ceduto lo stesso credito prima ad A e poi a B ed è stata notificata, o è stata accettata per prima, con atto di data certa la cessione fatta a B, è questa che prevale sull’altra (art.1265 c.c.). Quanto agli effetti della cessione, in conseguenza di essa, benché venga ad essere modificato il soggetto attivo del credito, l’obbligazione rimane, per tutto il resto, inalterata: perciò il credito è trasferito al cessionario con i privilegi, con le garanzie personali e reali e gli altri accessori (es. gli interessi) Parimenti, il debitore ceduto può opporre al cessionario le stesse eccezioni che avrebbe potuto opporre al cedente.(es. se il contratto è annullabile per dolo si fa rivalere anche nei confronti del cessionario) Se la cessione è a titolo oneroso, il cedente è tenuto a garantire l’esistenza del credito (se inesistente egli dovrà restituire tutto il ricevuto e risarcire il danno,) ma non risponde affatto se il debitore risulta insolvente (realizzabilità del credito) Il cedente può, peraltro, con apposito patto, garantire anche la solvenza del debitore: in tal caso, qualora il debitore ceduto non adempia, il cedente sarà tenuto a restituire quanto aveva eventualmente ricevuto come corrispettivo della cessione, oltre agli interessi, alle spese della cessione e a quelle sostenute dal cessionario per escutere il debitore, salvo sempre l’obbligo ulteriore del risarcimento del danno, ove ne ricorrano i presupposti. Quando la cessione sia stata effettuata per estinguere un debito del cedente verso il cessionario si presume che la cessione avvenga pro solvendo (il cedente garantisce non solo l’esistenza ma anche la bontà del credito); qualora risulti una diversa volontà delle parti, nel senso che il cessionario si accolla, l’intero rischio della solvenza del debitore ceduto, si parla di cessione pro soluto (la cessione avviene senza alcuna garanzia da parte del cedente.) Se la cessione è a titolo gratuito il cedente garantisce solo se espressamente promesso e non garantendo comunque la realizzabilità del credito IL FACTORING Con il contratto di factoring, un’ imprenditore specializzato (factor) si impegna contro pagamento di una commissione variabile a seconda dell’entità degli obblighi assunti, a gestire per conto di un’impresa cliente, l’amministrazione di tutti o di parte dei crediti di cui quest’ultima diventa titolare verso i propri clienti nella gestione della sua attività imprenditoriale. Spesso il factor concede al cliente anticipazioni finanziarie sull’ammontare dei crediti gestiti, spesso accompagnati dalla cessione di tali crediti, o pro solvendo, e cioè lasciando a carico del cliente il rischio dell’eventuale insolvenza dei debitori ceduti, o pro soluto, e cioè accollandosi il factor il rischio dell’insolvenza dei debitori ceduti, cosicché, in caso di inadempimento di questi ultimi, il factor non potrà pretendere dal cliente che la restituzione degli anticipi versatigli. Solo le le banche o gli intermediari finanziari, possono rendersi cessionari, il cedente deve essere un imprenditore i crediti solo pecuniari e, sorti nell’esercizio dell’impresa, può trattarsi anche di crediti in massa e di crediti futuri (cioè ceduti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgeranno), il cedente deve garantire la realizzabilità del credito. La cessione è opponibile ai terzi LA CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI La cartolarizzazione è la cessione da parte di un cedente di attività o beni attraverso l'emissione di titoli obbligazionari. I beni vengono ceduti a società-veicolo che versano al cedente il corrispettivo economico ottenuto attraverso l'emissione ed il collocamento dei titoli obbligazionari. Se il credito diviene inesigibile, chi compra titoli cartolarizzati perde sia gli interessi che il capitale versato e non può rifarsi sul capitale della società veicolo o da altre operazioni che la stessa abbia in atto. Per lo più i beni ceduti sono costituiti da crediti, tuttavia possono essere immobili, contratti derivati o altro. In pratica tramite la cartolarizzazione un soggetto creditore (spesso una banca o un intermediario finanziario) cede un titolo in cui è inglobato il diritto a riscuotere una somma da un debitore. cedendo questo titolo il creditore rientra subito dell'esposizione invece chi acquista il titolo diviene creditore. Un credito di € 1.000 (sul cui rientro ci possono essere dubbi) viene trasformato in due obbligazioni del valore di € 500 ciascuna vendute sul mercato a € 400 ciascuna. Questo il meccanismo. DELEGAZIONE ATTIVA Altra figure di successione nel lato attivo del rapporto obbligatorio è la delegazione Il c.c. si occupa solo della delegazione passiva. E’ un accordo tra creditore (delegante) , debitore (delegato) e un terzo, (delegatario). con il quale il creditore dà mandato al debitore che accetta, di pagare al terzo (es. tizio creditore di caio volendo gratificare il figlio sempronio trasferisce a lui il credito dovuto) Al creditore originario (delegante) si aggiunge il terzo (delegatario), ma senza estinzione del diritto del primo, cosicché, in caso di successiva inadempienza da parte del debitore, contro quest’ultimo potrà ancora agire pure il primo creditore. (effetto cumulativo) B) MODIFICAZIONI NEL LATO PASSIVO DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO La sostituzione del debitore non è possibile senza l’espressa volontà del creditore: se questa manca, il precedente debitore non viene liberato, ma si aggiunge un nuovo soggetto passivo a quello che già c’era. (questo xchè variare il debitore non è indifferente per il creditore in quanto potrebbe essere una persona non solvibile) LA DELEGAZIONE PASSIVA La delegazione passiva si distingue in delegazione a promettere e delegazione di pagamento La delegazione a promettere consiste in un negozio trilaterale fra debitore (delegante) creditore (delegatario) ed un terzo (delegato) in forza del quale il debitore delega il terzo ad obbligarsi ad effettuare il pagamento a favore del creditore. Il delegante non viene liberato dal debito originario ma resta obbligato insieme al delegato anche se il delegatario può con dichiarazione espressa acconsentire a liberare subito il delegante conservando come unico debitore il delegato. (delegazione liberatoria) La delegazione liberatoria comporta l’estinzione delle garanzie di credito a meno che non diversamente convenuto: qualora il delegato risulti insolvente il delegatario mantiene il suo diritto di credito verso il delegante nonostante la liberazione La delegazione è diversamente regolata se si fa riferimento o meno ai rapporti tra le parti: Il rapporto di debito che c’è tra vecchio e nuovo debitore è detto "rapporto di provvista" , Il rapporto di debito che c’è tra vecchio debitore e creditore è detto "rapporto di valuta". Se nell'accordo di delegazione si fa riferimento al rapporto di valuta o al rapporto di provvista (o ad entrambi), la delegazione si dirà titolata; in caso contrario la delegazione sarà pura Il riferimento nel contratto di delegazione ai rapporti di provvista o valuta consente al delegato di opporre le eccezioni relative a tali rapporti. il delegato può in ogni caso opporre al delegatario tutte le eccezioni relative ai suoi rapporti con lui il delegato non può opporre al delegatario le eccezioni scaturenti dal rapporto di valuta, salvo che non sia stato fatto espresso riferimento il delegato non può opporre al delegatario le eccezioni scaturenti dal rapporto di provvista a meno che le parti non abbiano diversamente convenuto L'eccezione è, in senso proprio, un fatto giuridico introdotto nel processo che estingue, modifica o impedisce l'efficacia dei fatti su cui si fonda la domanda di chi ha esercitato l'azione (es. nullita’) Nella delegazione di pagamento il delegante non ordina al delegato di assumersi un obbligazione, ma gli ordina di pagare, al suo posto. Il rapporto è, quindi, tra delegante e delegato, mentre il delegatario ne è sostanzialmente estraneo. La delegazione di pagamento ha in questo caso effetto immediatamente solutorio (es. la girata dell’assegno bancario) L’ESPROMISSIONE Un terzo può assumere verso il creditore il debito di un altro, promettendo che provvederà lui al pagamento.(es. padre che si fa carico del debito di un figlio) Quest’obbligo può essere assunto spontaneamente, ossia senza il consenso o l’incarico del debitore, dal momento che si tratta di un atto vantaggioso per costui. L’elemento differenziale tra la delegazione e l’espromissione consiste nella spontaneità dell’iniziativa del terzo. Il terzo subentra nella stessa posizione del debitore originario perciò non può opporre al creditore le eccezioni relative ai suoi rapporti con il debitore originario (es. il padre non può opporre in compensazione il credito che egli vanta nei confronti del figlio ma può opporre le eccezioni che quest’ultimo avrebbe potuto opporre al debitore originario) Come la delegazione, anche l’espromissione può essere cumulativa (il terzo è obbligato in solido anche con il debitore originario) o liberatoria, (se il creditore dichiara espressamente di liberare il debitore originario.) L’ACCOLLO L’accollo è un contratto tra il debitore (accollato) e un terzo (accollante), con il quale quest’ultimo assume a proprio carico l’onere di procurare il pagamento al creditore (accollatario). (es. se acquisto con ipoteca l’acquirente si accolla anche il rimborso dell’ipoteca) L'accollo, al pari dell'espromissione, ha quale causa quella di assumersi un debito altrui. Ma mentre con l'espromissione questa funzione viene realizzata da un accordo tra il terzo ed il creditore, nell'accollo l'accordo interviene tra il terzo ed il debitore originario. Distinguiamo due tipi di accollo: a) l’accollo interno semplice che si ha quando le parti non intendono attribuire nessun diritto al creditore verso l’accollante: questi si impegna solo verso l’accollato ha perciò una semplice funzione interna (ovvero mette a disposizione i mezzi perché il debitore provveda all’adempimento dell’ipoteca) b) l’accollo esterno che si ha quando l’accordo tra accollante ed accollato si presenta come un contratto a favore del creditore nel senso che le parti hanno previsto ed accettato che il creditore possa avvantaggiarsi della convenzione, aderirvi con un suo atto unilaterale, e conseguentemente pretendere direttamente dall’accollante l’adempimento del suo credito: cosicché l’accordo tra debitore e terzo può essere modificato o posto nel nulla a seguito di successivi accordi tra loro fin quando il creditore non vi abbia aderito, dopo di che l’impegno assunto dall’accollante diventa irrevocabile, e il terzo risponde dell’adempimento non solo di fronte all’accollato ma anche di fronte all’accollatario. L’accollo esterno può a sua volta essere: a) cumulativo, se il debitore originario resta obbligato in solido con l’accollante b) liberatorio, se il debitore originario resta liberato, rimanendo obbligato in sua vece il solo l’accollante. Perché tale liberazione si verifichi occorre o una dichiarazione espressa del creditore o che la liberazione del debitore originario costituisca condizione espressa dell’accordo. nella.delegazione.il.debitore.“ordina”.al.terzo.di.pagare.il.creditore nell’espromissione il terzo “si accorda” col creditore per pagare al posto del debitore nell’accollo il terzo “si accorda” col debitore per pagare al posto suo L’ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE L’obbligazione è un rapporto tendenzialmente temporaneo destinato perciò ad estinguersi. Tipico fatto estintivo del rapporto obbligatorio è l’adempiento Vi sono poi altri modi di estinzione dell'obbligazione, diversi dall'adempimento [es. morte del debitore quando si tratti di prestazioni infungibili ossia di prestazioni per il cui adepiento sono essenziali le qualità personali dell’obbligato (es. obbligo di dipingere un quadro).] L’ADEMPIMENTO L’adempimento o pagamento consiste nell’esatta realizzazione della prestazione dovuta. Il debitore deve curare con attenzione, prudenza e perizia deve usare la diligeza del buon padre di famiglia per la conformità del risultato da procurare al creditore rispetto al contenuto dell’obbligo assunto. Se il creditore accetta preventivamente di esonerare il debitore da responsabilità per inadempienze che derivino da dolo o colpa grave di quest’ultimo, il patto è nullo . Il creditore può, se vuole, rifiutare un pagamento parziale che il debitore abbia ad offrirgli. Il debitore può adempiere personalmente o a mezzo di ausiliari, del cui comportamento è però sempre responsabile egli stesso di fronte al creditore. Il debitore allorquando effettua la prestazione può richiedere a proprie spese il rilascio della quietanza cioè una dichiarazione scritta in forza della quale il creditore attesta di aver ricevuto l’adempiento. Per quel che riguarda il destinatario dell’adempiento il codice prevede che di regola il debitore esegua il pagamento direttamente al creditore che deve accertarsi che il debitore abbia la capacità legale di ricevere, perché altrimenti potrebbe essere obbligato a pagare una seconda volta a meno che non si provi che l’incapace ha comunque tratto vantaggio dalla prestazione eseguita (quindi talvolta il debitore deve eseguire il pagaento non nelle mani del debitore ma in quelle del rappresentante legale o del tutore) Il debitore può se vuole pagare anziche al creditore ad una persona da lui designata ma in questo caso non si libera dell’obbligazione a meno che il creditore non ratifichi (convalidi) il pagamento Il creditore si libera se paga in buona fede a persona che in base a circostanze univoche appariva creditore (chi ha ricevuto il pagamento è tenuto alla restituzione verso il vero creditore) Luogo dell’adempimento: è di regola determinato nel titolo costitutivo del rapporto: (inserito nel contratto) ovvero è determinato dagli usi o dalla natura della prestazione (es. gli obblighi di un giocatore di una squadra di calcio) Qualora i principi richiamati non soccorrano l’obbligazione di pagare una somma di danaro va adempiuta nel luogo in cui la cosa si trovava quando l’obbligazione è sorta e al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza ; in tutti gli altri casi l’obbligazione và adempiuta al domicilio che il debitore ha al tempo della scadenza. Il termine è spesso indicato nel titolo costitutivo (es nel contratto l’appaltatore ha un termine per ultimare la palazzina) Ma se l’obbligazione è ad esecuzione continuata o periodica (es. locatore, lavoratore dipendente) occorre determinare il momento iniziale e quello finale della prestazione dovuta. Se l’obbligazione è ad esecuzione istantanea occorre determinare il giorno dell’adempimento. Quando per l’adempiento risulta fissato un termine si presume che esso sia a favore del debitore con la conseguenza che il creditore non può esigere il pagamento prima della scadenza mentre il debitore può adempiere prima del termine fissato, se il termine è fissato a favore di entrambi né l’uno né l’altro possono ottenere la prestazione prima del tempo concordato. Di regola le parti sono libere di definire il tempo dell’adempiento Deroga: Nelle obbligazioni al pagamento di una somma di denaro a titolo di corrispettivo per la fornitura di merci o la prestazione di servizi tra imprenditori, tra imprenditori e liberi professionisti, o tra imprenditori liberi professionisti e P.A. (cd transazioni commerciali) detta norma sanziona con la nullità ogni accordo sulla data del pagamento che risulti iniqua in danno del creditore finalità di questa norma è quella di contrastare situazioni di abuso di cui possono rimanere vittime le imprese specie medie e piccole a fronte dello strapotere contrattuale dell altra parte). Negli altri casi: Se il titolo non prevede tempo il creditore può richiedere immediataente l’adempiento Se la natura della prestazione richiede necessariaente un lasso di tempo in mancanza di accordo tra le parti la decisione è rimessa al giudice Il debitore decade dal termine fissato a suo favore qualora sia insolvente o abbia diminuito le garanzie che aveva dato o non abbia dato le garanzie che aveva promesso. Il creditore ha diritto all’esatta esecuzione della prestazione egli può rifiutare o accettare un prestazione diversa anche qualora si tratti di prestazione avente valore uguale o maggiore. Se il creditore accetta la prestazione diversa il debitore resta però comunque obbligato ad eseguire la prestazione originaria (quindi non confondere con la novazione) se non la esegue il creditore può richiederne il pagamento ed il contratto si realizzerà soltanto quando il debitore esegua effettivamente la prestazione sostitutiva. Quando in luogo dell’adempiento è ceduto un credito l’obbligazione si estingue con la riscossione del credito se invece consiste nella proprietà di una cosa il debitore è tenuto alla garanzia per l’evizione e per i vizi della cosa salvo che il creditore preferisca esigere la prestazione originaria e il risarcimento del danno. Di regola per il creditore è indifferente se la prestazione viene eseguita personalmente dal debitore o da un terzo. Quando però, la prestazione sia infungibile, il creditore può rifiutare la prestazione che il debitore gli proponga di far eseguire da un suo sostituto (es. attore scritturato per una piece teatrale) Se invece, la prestazione è fungibile (es. pagamento di una somma di danaro), il creditore non può rifiutare la prestazione che gli venga offerta da un terzo. E il suo eventuale rifiuto potrebbe comportare la mora accipiendi. Solo se il debitore gli ha comunicato la sua opposizione, il creditore può rifiutare l’adempimento offertogli dal terzo pur essendo libero di accettare la prestazione nonostante l’opposizione del debitore. L’adempiento all’obbligo altrui non và confuso con la promessa di adempiere ad un obbligo altrui (accollo espromissione ecc.) In ogni caso il terzo, a meno che sia intervenuto per spirito di liberalità, potrà esperire contro il debitore avvantaggiatosi l’azione di arricchimento Se una persona, che ha più debiti della stessa specie verso la stessa persona, fa un pagamento che non comprenda la titolarità dei debiti, è importante stabilire quale tra i vari debiti venga estinto (ad es il tasso di interesse pu essere diverso) Si riconosce al debitore la facoltà di dichiarare quale debito intende soddisfare: in mancanza il pagamento deve essere imputato al debito scaduto; tra più debiti scaduti, a quello meno garantito; tra più debiti ugualmente garantiti, al più oneroso per il debitore; tra più debiti ugualmente onerosi, al più antico. Se tali criteri non soccorrono, l’imputazione va fatta proporzionalmente ai vari debiti. Se il debitore ha concordato con il creditore quietanza diversa per la solvenza dei debiti egi non puo più pretendere un imputazione diversa. Limitazioni all’uso del contante Sulla base di una direttiva comunitaria anche in Italia è stata introdotta una disciplina per combattere il c.d. riciclaggio del denaro sporco: sono stati così imposti limiti alla circolazione di denaro contante o di titoli di credito al portatore (che possono essere utilizzati solo per effettuare versamenti entro l’importo massimo di lire 20 milioni), 12.500 € mentre per pagamenti superiori a tale limite occorre necessariamente avvalersi di intermediari abilitati (banche, società finanziarie, assicurazioni). Le limitazioni all’uso del contante favoriscono il diffondersi di mezzi di pagamento c.d. alternativi (trasferimenti elettronici di fondi, bonifici bancari,). Ci comporta anche l’aggio di evitare rischi connessi al posseso di contanti (furti rapine ecc..) La surrogazione Il pagamento può anche dar luogo alla sostituzione (surrogazione) del creditore con altra persona La finalità della surrogazione è, quella di agevolare l’adempimento verso il creditore originario con l’attribuire ad un terzo, che rende possibile l’adempimento, i diritti, e soprattutto le garanzie, che erano inerenti al rapporto obbligatorio. La surrogazione può avvenire per volontà del creditore che, ricevendo il pagamento da un terzo, può dichiarare espressamente di volerlo far subentrare nei propri diritti verso il debitore o per volontà del debitore che, prendendo a mutuo una somma di danaro al fine di pagare il debito, può surrogare il mutuante nella posizione del creditore oppure nei casi di legge: 1) a vantaggio di chi, essendo creditore, ancorché chirografario, paga un altro creditore che ha diritto di essergli preferito in ragione dei suoi privilegi, del suo pegno o delle sue ipoteche; 2) a vantaggio dell'acquirente di un immobile che, fino alla concorrenza del prezzo di acquisto, paga.uno.o.più.creditori.a.favore.dei.quali.l'immobile.è.ipotecato 3) a vantaggio dell'erede con beneficio d'inventario che paga con danaro proprio i debiti ereditari Differenza surrogazione e cessione del credito: La surrogazione, come la cessione del credito, dà luogo ad una successione nel lato attivo del rapporto obbligatorio ma la surrogazione suppone che l’obbligazione sia adempiuta; la cessione, che l’adempimento non si sia ancora verificato. LA MORA CREDENDI Normalmente per la realizzazione dell’adempimento è necessaria la cooperazione del creditore (es. se devo consegnare una cosa la consegna non si può effettuare se il creditore non è disposto a riceverla.) Non sempre il creditore ha interesse a liberare il debitore (si pensi al caso in cui gli prema dimostrare il contrario per ottenere la risoluzione del contratto o per far maturare interessi elevati ad es. un creditore che dimentichi di lasciar aperti i magazzini ove il debitore doveva consegnare le merci) La figura della mora credendi ha luogo quando il creditore, senza legittimo motivo, rifiuta di ricevere il pagamento offertogli dal debitore oppure omette di compiere gli atti preparatori per il ricevimento della prestazione (es. di lasciare aperto il agazzino). Il rifiuto, da parte del creditore, di ricevere la prestazione offerta dal debitore è giustificabile solo qualora l'offerta non sia valida, ad es. perché parziale o inesatta. Il debitore costituisce in mora il creditore con l'offerta dell'adempimento; tale offerta può essere di due tipi: a) solenne, ovvero compiuta. da un pubblico ufficiale; se l’obbligazione ha ad oggetto delle res da consegnare a domicilio il pubblico ufficiale le porta con se per eseguire il pagamento se si tratta di bene diverso (es restituzione del immobile locato) l’offerta si fà per intimazione mediante atto b) secondo gli usi, dove gli effetti della mora non si verifichino dal giorno dell’offerta ma da quello del deposito delle cose dovute 1. Effetti della mora. Il primo effetto della costituzione in mora del creditore è quello di impedire l'imputazione al debitore del ritardo nell'adempimento, e quindi di liberarlo dalle conseguenze previste in caso di mora del debitore. Quando il creditore è stato costituito in mora, è a suo carico il rischio che la prestazione diventi impossibile per causa non imputabile al debitore. Inoltre non sono più dovuti dal debitore gli interessi e i frutti della cosa che il creditore non abbia percepito. Il creditore moroso, da parte sua, è tenuto a rimborsare le spese sostenute dal debitore per l'offerta, per la custodia e la conservazione della cosa oggetto dell'obbligazione, quando l'offerta venga successivamente accettata dal creditore o convalidata con sentenza, nonché a risarcire i danni provocati al debitore a causa della mora. La costituzione in mora del creditore non libera il debitore dalla sua obbligazione: egli resta tenuto ad adempiere la prestazione in qualunque momento il creditore moroso la richieda. 2. La liberazione del debitore. Il legislatore ha accordato al debitore la possibilità di liberarsi dall'obbligazione, indipendentemente dalla volontà del creditore. Se costituiscono oggetto dell'obbligazione cose mobili il debitore può liberarsi depositandole presso la Cassa depositi e prestiti o presso un istituto di credito se si tratta di somme di denaro o titoli di credito, e presso uno stabilimento di pubblico deposito se si tratta di altre cose mobili. Per le obbligazioni di fare il legislatore non prevede la possibilità per il debitore di liberarsi in caso di mora del creditore. Si ritiene tuttavia che la costituzione in mora implichi, in questo caso, la liberazione del debitore, fatto salvo a suo favore il risarcimento del mancato guadagno per non aver potuto effettuare la prestazione. Se l’offerta e il deposito non vengono accettate dal creditore è necessario far seguire un giudizio Differenza tra ritardo e mora: In caso di ritardo l'adempimento è ancora possibile, mentre in caso di inadempimento no. Per esempio se io ti devo 1000 euro entro oggi ma non ti pago, posso pur sempre darteli domani. Sarà un adempimento ritardato. Ma se tu ha fissato la scadenza di oggi come un termine essenziale e invalicabile il.superamento.di.questa.scadenza.significa.inadempimento. Di norma, è la volontà del creditore a far sì che il ritardo nell'adempimento si trasformi in inadempimento se io sono in ritardo e tu agisci in giudizio per ottenere la risoluzione del contratto ecco che io non potrò più adempiere e quindi il mio ritardo sarà divenuto un inadempimento vero e proprio e dovrò.restituirti.la.cosa.che.ho.acquistato. Ad es. se pago in ritardo una rata di affitto se il proprietario di casa rimane acquiescente l'inquilino potrà adempiere anche in ritardo, ovviamente con gli interessi di mora; ma se il proprietario gli intima lo sfratto per morosità, il contratto si risolve! Per finire bisogna però ricordare che, la risoluzione del contratto non si può chiedere se il ritardo nell'adempiere.è.di.scarsa.importanza. Differenza tra penale e mora: Mora: situazione qualificata di ritardo nell’adempimento. Penale: facciamo riferimento ad un accordo tra le parti inserito nel contratto in cui stabiliscono l’importo del risarcimento del danno nel caso in cui una parte sia inadempiente. È un obbligo risarcitorio convenzionale. I MODI DI ESTINZIONE DIVERSI DALL’ADEMPIMENTO LA COMPENSAZIONE Quando tra due persone intercorrono rapporti obbligatori reciproci, (un soggetto creditore in un rapporto è al tempo stesso debitore in un altro) questi ultimi possono estinguersi, in modo parziale o totale, senza bisogno di provvedere ai rispettivi adempimenti, mediante compensazione tra i rispettivi crediti. Alcuni crediti non posso essere compensati il più importante è il credito degli alimenti chi ha diritto a riceverli non può provvedere ai propri bisogni se non li riceve e poco gli giova se il debito che lui ha con la controparte viene estinto oppure cose di cui il proprietario si stato ingiustamente spogliato o cose depositate o date in comodato ecc. La compensazione non è amessa tra obbligazione civile e naturale La legge prevede tre tipi di compensazione: 1) Compensazione legale. Perché la compensazione legale operi, è necessario che la parte la eccepisca in giudizio: il giudice non può rilevarla d’ufficio. Tuttavia, i debiti si estinguono non dal giorno della sentenza e per effetto di questa, ma dal momento della loro coesistenza, Essa richiede: a) omogeneità delle prestazioni dovute: i due crediti devono avere per oggetto entrambi o una somma di danaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere; b) liquidità di entrambi i crediti, e cioè che sia già stato determinato il loro ammontare; c) esigibilità dei crediti stessi: essi devono essere suscettibili di richiesta da parte del creditore di immediato adempiento 2) Compensazione giudiziale. Qualora nel corso di un giudizio sia invocato un credito liquido ed esigibile, e l’altra parte opponga in compensazione un controcredito omogeneo ed anch’esso esigibile, ma non ancora liquido, il giudice può dichiarare l’estinzione dei due debiti fino alla quantità corrispondente, a condizione che il credito opposto in compensazione sia di facile e pronta liquidazione. 3)Compensazione volontaria. Quando i debiti reciproci non presentano i requisiti per far luogo alla compensazione legale o giudiziale, la loro estinzione per compensazione può verificarsi solo in forza di uno specifico contratto, con il quale le parti rinunciano scambievolmente, in tutto o in parte, ai rispettivi crediti. Questa specie di compensazione può anche essere anteriore alla scadenza dei crediti. Dalla compensanzione volontaria si distingue la Compensazione facoltativa. Ha luogo quando una parte rinunci ad eccepire un ostacolo che si frapporrebbe alla compensazione legale: consente, per es., che si operi la compensazione, nonostante il credito non sia scaduto LA CONFUSIONE Qualora creditore e debitore sia la stessa persona, l’obbligazione si estingue Ciò può accadere, per es., perché il creditore diventa erede del debitore o viceversa; oppure perché il creditore diventa cessionario dell’azienda del debitore ed il suo credito era relativo all’azienda ceduta. L’obbligazione si estingue perciò per confusione In caso di successione ereditaria, tuttavia, non si ha confusione se l’erede accetta col beneficio d’inventario (art.490 c.c.). L’estinzione per confusione comporta anche la liberazione dei terzi che abbiano prestato garanzia LA NOVAZIONE La novazione è un contratto con il quale i soggetti di un rapporto obbligatorio sostituiscono un nuovo rapporto a quello originario. Se la sostituzione riguarda il debitore, la novazione si dice soggettiva. Se viene modificato l’oggetto o il titolo, la novazione si dice oggettiva (dovevo denaro ed invece stabiliamo che darò grano). Gli elementi che caratterizzano la novazione oggettiva sono due: uno oggettivo, consistente nella modificazione dell’oggetto o del titolo; e uno soggettivo, la volontà di estinguere l’obbligazione precedente, che può risultare, come ogni dichiarazione di volontà, anche tacitamente. Se l’obbligazione originaria era inesistente o nulla, la novazione manca di causa e, perciò, è senza effetto. Può, invece, novarsi un’obbligazione dipendente da titolo annullabile, se il debitore conosceva il vizio che produceva l’annullabilità LA REMISSIONE La remissione è la rinunzia del credito. Essa consiste in un negozio unilaterale recettizio, che produce effetto quando la dichiarazione è comunicata al debitore, il quale, peraltro, può dichiarare di non volerne profittare. Presunzione assoluta di remissione e la restituzione volontaria del titolo. La remissione estingue oggettivamente il debito. Essa fa cadere le garanzie inerenti al credito e, se si tratta di obbligazioni solidali, libera tutti gli altri debitori. Dalla remissione si distingue il pactum de non petendo la remissione estingue il debito invece il pactum de non petendo attiene alle modalità di esigibilità della prestazione ad es. il creditore si obbliga a non chiedere l’adempiento prima di un dato tempo e conserva le garanzie agendo verso gli altri debitori solidali. L’IMPOSSIBILITA’ SOPRAVVENUTA L’impossibilità originaria impedisce il sorgere del rapporto obbligatorio mentre l’impossibilità sopravvenuta estingue l’obbligazione liberando il debitore, se essa dipende da cause a lui non imputabili, ossia se la prestazione è diventata impossibile senza colpa del debitore ovvero una situazione impeditiva non prevedibile e non superabile e che non sia tale da non poter essere superata con lo sforzo diligente cui il debitore è tenuto: il problema è se la situzione è ritenuta superabile o meno (es. è esigibile che l’appaltatore paghi il pizzo per realizzare senza inconvenienti l’opera affidatagli o che il lavoratore si presenti nonostante il grave lutto che lo ha colpito?) L’effetto estintivo si verifica se l’impossibilità ha carattere definitivo. Non costituiscono causa di impossibilità della prestazione fatti che si limitano a rendere difficile per il debitore l’adempimento dell’obbligo. (es. sciopero delle banche o una maggior onerosità dell operazione stessa (es. maggior oneri perché un interruzione della strada mi obbliga a trasportare le merci con un altro percorso procurando un aggravio nei costi) L’ impossibilità può essere: Totale preclude integralmente il soddisfacimento dell interesse (es revoca del permesso di costruire) Parziale preclude solo in parte il soddisfacimento dell interesse (es voglio costruire cinque piani ma il peresso è per tre) il debitore dovrà effettuare la prestazione rimasta possibile (tre piani e negli altri due si avrà impossibilità sopravvenuta) Definitiva determinata da impedimento irreversibile (morte del cavallo) o imprevedibile (improvvisa revoca della concessione all’appaltatore) esse estinguono automaticamente l’obbligazione Temporanee determinata da un impedimento di natura transitoria (es sindrome influenzale che colpisce il lavoratore dipendente) esse determinano l’estinzione solo se il debitore non può più essere ritenuto obbligato ad eseguire la prestazione (cantante con calo di voce non è obbligato ad eseguire il concerto in altra data modificando la sua tournee) o se il creditore non ha più interesse a farla eseguire (es canante scritturato per una festa di paese il tal giorno) diversamente da questi casi l’impossibilta temporanea esonera il debitore dalla responsabilità per il ritardo e la prestazione dovrà essere effettuata senza indugi una volta venuta meno la causa impeditiva (es lavoratore che torna al lavoro dopo l’ influenza). Se la prestazione ha per oggetto una cosa determinata e diviene impossibile per cause imputabili ad un terzo il creditore può esigere dal debitore quanto egli abbia ottenuto a titolo di risarcimento per inadempimento. L’INADEMPIMENTO E LA MORA L’INADEMPIMENTO Il debitore è tenuto ad eseguire esattamente la prestazione dovuta se non lo fa incorre nell’ inadempiento.Perché si abbia inadepiento è necessario che sia già maturato il tempo dell’ inadempiento (es scaduto il termine in cui l’appaltatore doveva consegnare l’immobile) Talora può verificarsi inadempiento ancora prima che sia maturato il tempo dell inadempiento (es. il debitore non ha svolto le attivita preparatorie necessarie per effettuare la prestazione es l’appaltatore non ha impiantato il cantiere x l’avvio dei lavori) o non proceda secondo le condizioni stabilite ed a regola d’arte o quando si è certi che il debitore non sarà in grado di eseguire la prestazione (es ha alienato il bene che doveva consegnarci) o quando il debitore ha formalmente dichiarato che non è in grado o non intende adempiere. L’inadempiento è totale se la prestazione è mancata interamente,invece si ha inadempimento parziale quando la prestazione eseguita differisce quantitativamente o qualitativamente da quella dovuta. (es medico che esgue correttamente l’intervento ma lascia una garza nell addome o fornitore che i consegna 100 quintali di grano invece che 50). Si ha inadempimento assoluto quando non soltanto la prestazione non è stata ancora adempiuta, ma ormai l’adempimento non potrà più verificarsi (es fotografo che non si presenti il giorno delle nozze) . Si ha invece inadempimento relativo quando il debitore non ha ancora eseguito la prestazione dovuta, ma l’adempimento, sebbene in ritardo, può ancora verificarsi.(es debitore che non si presenta x versare una somma di denaro) L’inadempiento che in questo caso è tardivo può sfociare in una definitiva risoluzione nel qual caso il creditore non abbia più interesse a conseguirla. L’inadempimento è imputabile al debitore, che ne risponde con l’obbligo di risarcire i danni che la mancata esecuzione della prestazione provoca al creditore. Il debitore può evitare la responsabilità che il mancato adempimento dell’obbligazione fa sorgere a suo carico solo qualora sia in grado di dare la prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. (art.1218) L’art 1218 c.c. non detta il criterio per individuare le cause di giustificazione ma rinvia ad una pluralità di criteri variamente rintracciabili nell ordinamento il regime della responsabilità contrattuale varia perciò a seconda del tipo di obbligazione presa in considerazione. Inanzitutto il debitore risponde solo se egli non abbia impiegato diligenza perizia e prudenza (es. l’obbligo del conduttore della cosa locata di servirsene x l’uso determinato nel contratto) Ma qual’è il grado di diligenza concretamente richiesto nel singolo caso? L’art. 1176 ci dice che il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia cioè da persona onesta preparata e coscienziosa. Ma la diligenza varia a seconda dell’attività dovuta, all’operatore professionale si richiede una diligenza superiore a quella dell operatore occasionale . Oppure a chi effettua la prestazione a titolo gratuito si richiede un impegno meno gravoso. Vi sono dei casi in cui il debitore risponde anche se nessuna negligenza può essergli imputata (es il vettore risponde anche se la merce è andata distrutta senza sua colpa ad es in un incidente stradale provocato da terzi) il vettore si libera solo dimostrando il caso fortuito ovvero la sopravvenienza di una circostanza anomala estranea alla sfera della sua attività di impresa (es attentato terroristico che distrugge il suo mezzo). In alcuni casi il debitore risponde anche in assenza di colpa dei rischi tipici prevedibili e calcolabili conessi alla sua attivita. (es. la responsabilità dell’albergatore del deterioramento, della distruzione o sottrazione delle cose portate dal cliente in albergo). Anche il debito di una somma di denaro risponde in assenza di una condotta colpevole (es crack della banca) salvo che l’inadepienza sia determinata da sopravvenienze straordinarie e imprevedibili (es terremoto) Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si vale dell'opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro. Il creditore che agisca in giudizio ha l’onere di fornire la prova del suo credito senza doverne fornire dimostrazione il debitore dovrà dimostrare di aver esattamente eseguito la prestazione. In caso di obbligazioni negative (es il lavoratore non sottosta all’obbligo di non svolgere attività concorrenziale) il creditore ha l’onere di fornire la prova del suo diritto di credito e dell’ inadempiento dell obbligato. In ogni caso grava sul debitore l’onere di fornire la prova di un eventuale causa di giustificazione atta ad esonerarlo da responsabilità contrattuale. Il risarcimento del danno La conseguenza sanzionatoria principale dell’inadempimento del debitore è l’obbligo a suo carico, di risarcire il danno arrecatogli a meno che egli non incorra in impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Se l’inadempimento è assoluto, la prestazione risarcitoria si sostituisce a quella originariamente dovuta (la quale ormai non potrebbe più essere eseguita); Se l’inadempimento è relativo la prestazione risarcitoraria si aggiunge a quella originariamente dovuta (che è già stata eseguita,seppur in ritardo, o deve essere ancora eseguita). si verifica quando, pur essendo il debitore inadempiente, la prestazione può ancora essere eseguita: in questo caso il debitore continua a essere tenuto alla prestazione originariamente dovuta, ma a essa si aggiunge l'obbligo di risarcire il danno provocato dal ritardo. Il risarcimento deve comprendere sia la perdita subita dal creditore che il mancato guadagno (es se mi danno una partita avariata dovranno risarcirmi sia quanto ho speso per procurari la merce altrove sia il lucro che avrei tratto dalla fornitura se corretamente eseguita) La liquidazione del danno si dice convenzionale quando le parti si mettono d’accordo al riguardo; o giudiziale quando il creditore è costretto a richiedere al giudice di stabilire l’importo dovutogli. Peraltro è risarcibile soltanto il danno che sia conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento. (es se il creditore cessa l’attività perché esasperato dall’inadempienza del debitore il risarcimento non è dovuto per questo dato che questa è una sua libera scelta). Inoltre, se l’inadempimento o il ritardo dipendono da colpa del debitore, ma non da dolo (ovvero dipendono non da una libera scelta del debitore ma sono provocati da negligenza e imperizia) il risarcimento è circoscritto a quello previsto questo per evitare che il debitore inadempiente non sia esposto a conseguenza più gravi di quelle calcolate per il rischio di non riuscire ad adempiere. In ogni caso il creditore ha l’onere di provare le singole voci di danno (es. se ha organizzato un concerto quanto è costata la sala la pubblicità della serata ecc) Il creditore può pattuire con il debitore una clausola penale in forza della quale le parti pattuiscono quanto il debitore dovrà in caso di insolvenza. Per il caso in cui il creditore offra prove sufficienti di avere certamente subito il danno, ma senza che riesca a dare la prova del suo preciso ammontare, il giudice può provvedere alla liquidazione con valutazione equitativa. Il debitore che non abbia puntualmente fatto fronte alle obbligazioni pecuniarie è tenuto automaticamente (e cioè senza bisogno che il creditore provi di aver sofferto alcun danno) a pagare dal giorno della mora (in aggiunta al capitale che avrebbe dovuto versare) gli interessi moratori che possono essere decisi ex ante. Gli interessi sono dovuti (se non diversamente disposto) al tasso legale poiché la legge presuppone che il creditore se avesse ricevuto tempestivaente la somma cui aveva diritto l’avrebbe impiegata in modo da trarne un utile non inferiore alla misura degli interessi legali. Ma se il creditore non si accontenta di pretendere gli interessi legali, ma sostiene di aver subito un danno maggiore grava su di lui, l’onere di fornire le prove del supposto maggior danno di cui chiede il risarcimento. (es dimostrare che se avesse avuto quella somma avrebbe concluso un affare vantaggioso che avrebbe assicurato un lucro superiore). Il legislatore ammette che per il lavoratore subordinato e per l’assegno al coniuge divorziato la somma spettante venga rivalutata in conseguenza del deprezzamento del denaro negli altri casi il creditore deve dimostare che il denaro sarebbe stato utilizzato in modo da evitare le cause negative dell’inflazione. La liquidazione deve essere diminuita se a determinare il danno ha concorso il fatto colposo del creditore, Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza ovvero: se ad es. la mancata fornitura blocca il mio sabilimento devo procurarmi materiale altrove non posso tenere chiuso e poi richiedere i danni per la chiusura LA MORA DEBENDI Il ritardo o “inadempimento relativo” va distinto dalla mora del debitore (cd. mora debendi). Essa.si.ha.allorquando.sussistano.3.requisiti: Il.ritardo.nell’adempimento; L’imputabilità.di.detto.ritardo.al.debitore; L’intimazione per iscritto da parte del creditore al debitore di adempiere seppure tardivamente. La.mora.del.debitore.può.essere: · ex re ovvero automatica quando non è necessario un atto di costituzione in mora che risulta superflua , essa scatta automaticamente per il solo fatto del ritardo nei seguenti casi: 1. quando il debito deriva da fatto illecito extracontrattuale, in quanto la gravità della lesione causata al diritto altrui ingenera automaticamente l'esigenza di una pronta riparazione; 2. Il.debitore.dichiara.per.iscritto.di.non.voler.adempiere; 3. quando è scaduto il termine, qualora si tratti di prestazione da eseguirsi al domicilio del creditore, come normalmente accade nel caso di obbligazioni pecuniarie; 4. .l’obbligazione nasce a favore del subfornitore nei confronti del committente in forza del cd. Contratto.di.subfornitura 5. l’obbligazione pecuniaria nasce a titolo di corrispettivo da una cd. transazione commerciale. · ex persona quando il creditore richiede per iscritto l'adempimento mediante atto di costituzione in mora.. La costituzione in mora vale anche ad interrompere la prescrizione. La mora debendi può essere considerata solo nelle obbligazioni positive (di fare, di dare). Se l’obbligazione ha carattere negativo (di non facere), basta contravvenire all’obbligo assunto perché si verifichi un inadempimento assoluto e non ha senso parlare perciò di ritardo o mora. Il debitore non è responsabile del ritardo se gli è stato impossibile adempiere per una causa che non era in grado di prevedere e prevenire. L’onere della prova di tale impossibilità grava sul debitore. Il semplice ritardo ovvero quello che non dà luogo alla mora debendi non è improduttivo di conseguenze giuridiche così a prescindere dalla mora il creditore può chiedere il risarcimento del danno la risoluzione per inadempiento il pagamento della penale ecc Gli effetti della mora debendi sono invece: a) l’obbligo al pagamento degli interessi moratori b) il passaggio del rischio. Se il debitore non è in mora, il rischio del imprevisto è a carico del creditore, ovvero se la prestazione diventa impossibile per causa non imputabile al debitore l’obbligazione si estingue. Quando invece il debitore è in mora il rischio passa a suo carico perciò l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore non sussiste e quindi egli è tenuto al risarcimento del danno (se è in mora) a meno che provi che l'oggetto della prestazione sarebbe ugualmente perito presso il creditore. Differenza tra mora debendi e mora credendi Mentre nella mora debendi il ritardo dipende dal comportamento del debitore, nella mora credendi esso dipende dal comportamento del creditore. Il primo degli effetti della mora credendi consiste nell’impedire che il ritardo nell’adempimento sia addebitato al debitore e che quindi scattino a carico di quest’ultimo le conseguenze pregiudizievoli che deriverebbero dalla mora debendi. In quanto è il creditore che rende ipossibile l’adempiento (anzi il debitore non deve più gli interessi, né i frutti della cosa e può pretendere il risarcimento dei danni che il comportamento del creditore gli abbia procurato, oltre il rimborso delle eventuali spese sostenute per la custodia e la conservazione della cosa dovuta.) Inoltre, quando il creditore è in mora, è a suo carico il rischio per l’ipotesi che la prestazione divenga impossibile per causa non imputabile al debitore vale a dire che in tal caso non soltanto il debitore è liberato dell’obbligo, ma il creditore, se il credito deriva da un contratto a prestazioni corrispettive, non può considerarsi a sua volta libero dall’obbligo di eseguire la controprestazione, ma deve egualmente quest’ultima (es se il cantante si presenta x il concerto dovrà essere pagato anche se l’organizzatore non ha predisposto il necessario per lo svolgimento della serata). Naturalmente la mora credendi non estingue di per sé l’obbligazione e neppure elimina o attenua la responsabilità del debitore, se questi una volta cessata la mora del creditore rende impossibile la prestazione per colpa sua, non provvedendo ad adempiere LA RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE DEL DEBITORE Se il debitore non adempie la prestazione dovuta, tutti i suoi beni, sia quelli che aveva al momento in cui sorse l’obbligazione, sia quelli che egli ha successivamente acquistato, possono essere espropriati dal creditore in forza di un accertamento giudiziale (cioè vende i beni del debitore per soddisfarsi sul danaro ricavato) anche se il denaro non costituiva oggetto della prestazione originariamente dovuta ma magari merci, il debitore deve essere titolare dei beni e il creditore deve riuscire ad individuarli al fine di sottoporli a pignoramento. Si suol dire che tutto il patrimonio del debitore costituisce la garanzia generica del creditore. Se vi sono più creditori, tutti hanno uguale diritto di soddisfarsi con il ricavato della vendita dei beni del debitore in proporzione al dovuto se un creditore deve avere 100 l’altro 50 e il debitore ha 135 uno prende 90 l’altro 45 ovvero ogni creditore perde il 10%. Tuttavia, ad alcuni creditori la legge assicura il soddisfacimento in maniera preferenziale ovvero una prelazione (es il primo avrebbe ottenuto100 l’altro 35) Le cause legittime di prelazione, sono i privilegi, il pegno e l’ipoteca. Se la cosa soggetta a pegno, ipoteca o a privilegio perisce o è deteriorata, il creditore perde la possibilità di esercitare il diritto di prelazione. Tuttavia, se il debitore si era assicurato contro i danni, si verifica la c.d. surrogazione reale ovvero l’assicurazione non paga all’assicurato ma ai creditorrei privilegiati. Il privilegio Il privilegio è una tra le cause di prelazione che costituisce garanzia patrimoniale su determinati beni del debitore in relazione alla causa del credito. I privilegi non sono pattuiti dalle parti come nel caso del pegno o dell’ipoteca, ma sono tipizzati dalla legge stessa la quale attribuisce tale prelazione a determinati tipi di crediti che appaiono degni di una maggiore tutela in via generale e astratta Alcuni creditori sono preferiti nella distribuzione di quanto venga ricavato dalla vendita forzata dei beni del debitore, al contrario dei creditori chirografari, ovvero non assistiti cioè da cause di prelazione. Tra i crediti privilegiati l’ordine di preferenza è stabilito dalla legge che accorda maggior protezione ai crediti derivanti da rapporti di lavoro ed assimilati. Il privilegio è generale (su tutti i beni mobili del debitore) o speciale (su determinati beni mobili e immobili) Il privilegio generale non attribuisce il diritto di sequela (diritto di sottoporre il bene ad un'esecuzione forzata, anche se divenuto di proprietà di un terzo) Il privilegio speciale costituisce un diritto reale di garanzia perciò chi acquista la cosa dopo che è già sorto il privilegio deve subirla. Tuttavia, in alcuni casi l’esistenza del privilegio è fatta dipendere dalla condizione che la cosa si trovi in un determinato luogo Il pegno è preferito al privilegio speciale sui mobili, Il privilegio speciale sugli immobili è preferito all’ipoteca I DIRITTI REALI DI GARANZIA (PEGNO ED IPOTECA) Oltre i privilegi, sono cause legittime di prelazione anche il pegno e l’ipoteca. Tali istituti hanno un tratto caratteristico comune: sono diritti reali ovvero attribuiscono al creditore, relativamente ai beni su cui sono stati costituiti, il c.d. diritto di sequela: cioè il potere di esercitare la garanzia, espropriando il bene e soddisfacendosi sul prezzo ricavato dalla vendita, anche se la loro proprietà sia passata ad altri. Appartengono alla categoria dei diritti reali su cosa altrui, ma si distinguono da essi in quanto finiscono con il limitare il potere di disposizione del proprietario, in quanto l’eventuale acquirente deve tener conto del debito che il bene garantisce a favore del creditore. Pegno ed ipoteca non hanno mai carattere generale, ma concernono sempre beni determinati La differenza tra pegno ed ipoteca e privilegio speciale consiste: a) I privilegi sono stati stabiliti dalla legge per la causa del credito, e quindi il credito è privilegiato o meno fin dal momento della nascita. b) Il pegno e l’ipoteca richiedono un proprio titolo costitutivo; quindi soggette alla volontà privata. Ciò spiega come, mentre il privilegio cade sempre su un bene del debitore, pegno ed ipoteca possono essere concessi anche da un terzo (c.d. terzo datore di pegno o di ipoteca). Egli garantisce il debito di un terzo, ma solo con il bene su cui è costituito il pegno o l’ipoteca. Pegno ed ipoteca danno luogo a rapporti accessori, nel senso che presuppongono un credito (anche futuro od eventuale o condizionato) di cui garantiscono l’adempimento: perciò ne seguono la sorte e si estinguono con l’estinguersi di esso. Essi sono funzionali ad assicurare al creditore il soddisfacimento del proprio credito: dunque, qualora la cosa data in pegno o sottoposta ad ipoteca perisca o si deteriori, il creditore sia pignoratizio che ipotecario, può chiedere che gli sia prestata altra idonea garanzia e, in mancanza, può esigere l’immediato pagamento del debito (regola della decadenza del termine). Il pegno e l’ipoteca attribuiscono al creditore: a) La facoltà di far espropriare la cosa, se il debitore non paga. b) La preferenza rispetto agli altri creditori in ordine alla distribuzione di quanto venga ricavato dalla vendita forzata del bene oggetto della garanzia. c) Il diritto di sequela, ossia il diritto di sottoporre il bene ad esecuzione forzata, anche se divenuto di proprietà di terzi. Il legislatore vuole tutelare il debitore contro il rischio che, confidando di poter riuscire a pagare il debito, lo stesso accetti di pattuire ex ante, per il caso di mancato adempimento, l’automatico trasferimento in favore del creditore della proprietà del bene concesso in garanzia. Ha perciò sancito la nullità di un simile patto (c.d. patto commissorio). Il legislatore vuole che la cosa ipotecata o costituita in pegno, se il debitore non paga, sia venduta agli incanti e sul ricavato il creditore si soddisfi nel limite del suo credito: la gara tra gli aspiranti varrà a garantire l’interesse del debitore a che il prezzo sia il più elevato possibile, in modo che possano eventualmente essere soddisfatti pure altri creditori. Differenze tra Pegno ed ipoteca La differenza sta innanzitutto nella diversità dell’oggetto: il pegno ha per oggetto beni mobili (non registrati), universalità di beni mobili e crediti, l’ipoteca ha invece per oggetto beni immobili, taluni diritti reali immobiliari (usufrutto, superficie, enfiteusi), beni mobili registrati e rendite dello Stato. In più con il pegno si trasferisce materialmente il bene al creditore, sottraendone il godimento al proprietario; l'ipoteca, invece, ha per oggetto beni immobili, diritti reali immobiliari o beni mobili registrati e, a differenza del pegno, il bene oggetto di ipoteca rimane in godimento del proprietario, A questo bisogna aggiungere che il pegno si costituisce per contratto (che deve risultare per atto scritto, tra debitore e creditore o terzo) e si perfezione con la consegna della cosa; mentre l'ipoteca per la sua costituzione richiede una specifica formalità: ovvero l'iscrizione in pubblici registri. IL PEGNO Esso è un diritto reale su beni mobili (non registrati) del debitore o di un terzo, che il creditore può acquistare mediante un apposito accordo con il proprietario a garanzia del suo credito. Possono essere concessi in pegno anche crediti, universalità di beni mobili e altri diritti reali mobiliari. È vietato il suppegno: ossia il pegno che abbia per oggetto un altro diritto di pegno dal momento che il creditore pignoratizio non può né usare la cosa, né disporne, concedendone ad altri il godimento o dandola a sua volta in pegno. Il pegno attribuisce al creditore una prelazione: egli ha diritto di soddisfarsi con priorità, rispetto agli altri creditori, sul ricavato della vendita coatta del bene costituito in pegno; e ciò perfino se nel frattempo la cosa sia stata trasferita in proprietà di terzi (diritto di sequela) Scaduta l’obbligazione, se il debitore non adempie spontaneamente, il creditore per consentire quanto gli è dovuto, può far vendere coattivamente la cosa ricevuta in pegno previa intimazione al debitore di pagare il debito e gli accessori. La vendita può essere effettuata, alternativamente, o ai pubblici incanti o, se la cosa ha un prezzo di mercato, anche a prezzo corrente, a mezzo di privati autorizzati (agenti di scambio, mediatori, ecc.). il creditore può anche domandare al giudice che la cosa gli venga assegnata in pagamento fino alla concorrenza del suo credito, al valore stimato da un perito o secondo il prezzo corrente se la cosa ha un prezzo corrente di mercato. Un diritto di pegno (regolare) deve essere costituito mediante apposito accordo contrattuale, in quanto deve essere reso opponibile ai terzi (in quanto l’effetto principale è una prelazione rispetto agli altri eventuali creditori) per questo è necessario: a) Che il contratto costitutivo del pegno risulti da atto scritto b) Che la scrittura abbia data certa c) Che nella scrittura risultino specificatamente indicati sia il credito garantito ed il suo ammontare, sia il bene costituito in pegno. Infine, per la costituzione del pegno occorre lo spossessamento del debitore (o del terzo costituente), nel senso che la cosa oggetto del pegno deve essere consegnata al creditore, o ad un terzo di comune fiducia. Può anche essere mantenuta in custodia di entrambe le parti, ma a condizione che il costituente sia nell’impossibilità di disporne senza la cooperazione del creditore. Solo con queste condizioni il crditore acquisisce il diritto di essere preferito agli altri creditori nella distribuzione del ricavato dell’eventuale vendita coattiva del bene costituito in pegno. Per il pegno su un credito occorrono, ai fini della prelazione, l’atto scritto e la notifica al debitore della costituzione del pegno ovvero l’accettazione da parte di quest’ultimo con un atto di data certa. Si applica cioè la stessa regola che disciplina l’efficacia della cessione del credito rispetto ai terzi ciò è giustificato dalla considerazione che la preferenza deve esercitarsi appunto in relazione agli altri creditori che, essendo estranei al rapporto di pegno, debbono considerarsi terzi. a) Il creditore, se la cosa data in pegno non è affidata alla custodia di un terzo, ha diritto di trattenerla, ma per controverso, ha l’obbligo di custodirla se perde il possesso può esercitare l’azione di spoglio e anche l’azione petitoria di rivendicazione, se questa spetta al costituente b) il pegno non può attribuire poteri che vanno al di là della funzione di garanzia: perciò il creditore non può usare o disporre della cosa; se viola questo divieto, il costituente può ottenere il sequestro della cosa stessa. Peraltro il creditore può fare suoi i frutti della cosa. Egli deve restituire la cosa quando il debito è stato interamente pagato c) Il creditore, per il conseguimento di quanto gli è dovuto può chiedere che il bene sia venduto ai pubblici incanti, previa intimazione al debitore, e può anche domandare al giudice che la cosa gli venga assegnata in pagamento, fino alla concorrenza del debito, secondo la stima del bene stesso. È in questa fase che si realizza il più importante degli effetti dell’istituto, il diritto di soddisfarsi con prelazione rispetto agli altri creditori sul prezzo ricavato dall’espropriazione. Pegno irregolare. Talora a garanzia del soddisfacimento di un credito vengono consegnate al potenziale creditore cose fungibili (solitamente una somma di denaro o titoli di credito). Il creditore ne acquista la disponibilità e diviene debitore della somma: si parla, in tal caso, di cauzione (o deposito cauzionale). Se sorge il credito, il creditore lo compensa, in tutto o in parte, con il debito che ha verso chi ha prestato la cauzione. (es cauzione di chi paga l’affitto).Nell’ipotesi esaminata si è evidentemente fuori dalla figura del pegno, che dà luogo ad un diritto reale su cosa determinata della quale il creditore può disporre. Invece nell’ipotesi in esame passa al creditore la proprietà della quantità di cose fungibili ricevuta, con l’obbligo di restituirne il tantundem. L’istituto assume il nome di pegno irregolare. L’IPOTECA È un diritto reale di garanzia, che attribuisce al creditore il potere di espropriare il bene sul quale l’ipoteca è costituita e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall’espropriazione. Attribuisce al titolare di essa il diritto di sequela. Presenta in comune con il pegno i seguenti ulteriori caratteri: a) Specialità, in quanto non può cadere se non su beni determinati: non sono ammesse ipoteche generali. Inoltre è necessaria la determinazione della somma per cui è concessa ipoteca: essa permette ai terzi di conoscere l’entità del vincolo che esiste sul bene; e consente al debitore di ottenere nuovi prestiti se il valore della cosa è sufficiente a garantirli b) Indivisibilità: in quanto l’ipoteca grava per intero sopra tutti i beni vincolati, sopra ciascuno di essi e sopra ogni loro parte; il che significa che se a garanzia di un credito sono ipotecati piu beni il creditore può far espropriare uno qualsiasi di essi e soddisfarvi l’intero credito l’ipoteca garantisce il credito fino a quando non è estinto anche se il debitore ne solvisca una parte. Oggetto dell’ipoteca sono Immobili, mobili registrati e le rendite dello Stato ma anche usufrutto su beni immobili, diritto di superficie, nuda proprietà, il diritto dell’enfiteuta e quello del concedente sul fondo enfiteutico. Non le servitù, che non possono formare oggetto di espropriazione separatamente dal fondo dominante, né i diritti d’uso e di abitazione, di cui non è ammessa la circolazione. Se il diritto reale di godimento si estingueïƒ se si tratta di ipoteca costituita sull’usufrutto, la garanzia si estingue con il cessare dell’usufrutto stesso; se di ipoteca costituita sulla nuda proprietà l’estinzione dell’usufrutto determina, per il principio dell’elasticità del dominio (consolidazione), l’acquisto della proprietà piena a favore di chi ha concesso l’ipoteca e conseguentemente l’ipoteca si estende alla proprietà piena. Un’altra vicenda che può subire l’ipoteca è la riduzione, che ha luogo quando il valore del bene risulta eccessivo rispetto al credito garantito. Anche la quota di un bene indiviso può formare oggetto di ipoteca. Poiché la cosa accessoria segue il destino della cosa principale l’ipoteca si estende ai miglioramenti, alle costruzioni e alle altre accessioni dell’immobile ipotecato. Proprio per la gravità del vincolo che ne discende, carattere essenziale dell’ipoteca è la sua pubblicità: non esistono ipoteche occulte.chiunque deve sapere se un bene è ipotecato se è convieniente acquistarlo. La pubblicità dell’ipoteca ha carattere costitutivo: il diritto d’ipoteca si costituisce mediante iscrizione nei pubblici registri immobiliari. Questa è essenziale per il sorgere dell’ipoteca: L’ordine di preferenza tra le varie ipoteche relativamente al medesimo bene è determinato non già dalla data del titolo, ma da quella dell’iscrizione. L’ipoteca prende grado dal momento della sua iscrizione. Ogni iscrizione riceve un numero d’ordine esso rappresenta il grado dell’ipoteca. E importante perché può darsi che due o più persone si presentino contemporaneamente a chiedere l’iscrizione contro la stessa persona e sul medesimo immobile: le iscrizioni sono eseguite sotto lo stesso numero e i creditori concorrono tra loro in proporzione dell’importo dei rispettivi crediti. Non è vietato lo scambio del grado tra creditori ipotecari, purchè esso non leda i creditori aventi gradi successivi. Pubblicità costitutiva significa sì, che senza la pubblicità l’ipoteca non nasce, ma non vuole affatto dire che la pubblicità valga a sanare i vizi da cui sia eventualmente affetto l’atto di concessione d’ipoteca Se il negozio è annullabile o nullo lo è anche l’iscrizione La pubblicità ipotecaria si attua mediante: a) Iscrizione b) Annotazione c) Rinnovazione d) Cancellazione L’iscrizione è l’atto con il quale l’ipoteca prende vita. Si esegue presso l’Ufficio dell’Agenzia del Territorio del luogo in cui si trova l’immobile. Se il negozio che concede l’ipoteca risulta da scrittura privata, questa deve essere autenticata o accertata giudizialmente. L’iscrizione dell’ipoteca a garanzia di un determinato credito fa collocare nello stesso grado, oltre il credito principale, i seguenti crediti accessori: a) Le spese dell’atto di costituzione d’ipoteca, quelle di iscrizione e rinnovazione b) Le spese ordinarie occorrenti per l’intervento nel processo di esecuzione c) Gli interessi, purchè ne sia enunciata la misura. L’annotazione serve a rendere pubblico il trasferimento dell’ipoteca a favore di altra persona.Anche l’annotazione ha efficacia costitutiva: la trasmissione dell’ipoteca non ha effetto finchè l’annotazione non sia eseguita. Resa pubblica l’annotazione, la cancellazione dell’ipoteca non si può eseguire senza il consenso dei titolari dei diritti indicati nell’annotazione. La rinnovazione.L’iscrizione dell’ipoteca conserva il suo effetto per 20 anni dalla sua data. La rinnovazione serve appunto ad evitare che si verifichi l’estinzione dell’iscrizione: essa deve eseguirsi precedentemente all’estinzione ventennale, pena una necessaria nuova iscrizione e la perdita del grado. Chi ha lasciato trascorrere il ventennio corre anche il rischio che se il bene è acquistato da un terzo il quale ha trascritto il suo titolo, non si potrà effettuare una nuova iscrizione né a carico del terzo acquirente (estraneo a l’ipoteca né a carico del suo dante causa. (che non ha più diritti sul bene). La cancellazione estingue l’ipoteca e vi si ricorre, di regola, quando il credito è estinto. Essa può: a) Essere consentita dal creditore, nel qual caso l’atto di consenso alla cancellazione deve provenire da persona capace e rivestire le stesse forme richieste per il negozio di concessione dell’ipoteca. b) Essere ordinata dal giudice: in questo caso peraltro la cancellazione non può essere effettuata se la sentenza non è passata in giudicato. L’ipoteca può essere iscritta in forza: a) Di una norma di legge (ipoteca legale) b) Di una sentenza (ipoteca giudiziale) c) Di un atto di volontà del debitore (ipoteca volontaria) o di un terzo che la costituisce a garanzia altrui. L’ipoteca legale attribuisce a determinati creditori, in vista della causa del credito meritevole di particolare protezione, il diritto di ottenere unilateralmente l’iscrizione dell’ipoteca (quindi anche senza o contro la volontà del debitore) sui beni del debitore medesimo. Anche in questo caso l’ipoteca non nasce se non è iscritta. L’ipoteca legale spetta 1) All’alienante (sopra gli immobili alienati) a garanzia dell’adempimento degli obblighi derivanti a carico dell’acquirente, dall’atto di alienazione (es.: per il pagamento del prezzo) 2) Ai coeredi, ai soci e agli altri condividenti a garanzia del pagamento dei conguagli dovuti dall’assegnatario in forza dell’atto di divisione: cioè a garanzia del pagamento delle somme dovute da chi nella divisione ha ricevuto un bene il cui valore è maggiore della quota spettantegli, per compensare l’altro o gli altri condividenti L’ipoteca giudiziale: Il legislatore concede al creditore di chiedere unilateralmente l’iscrizione di un’ipoteca a carico di beni del debitore ed a garanzia del suo credito, quand’anche già scaduto ed esigibile, quando ottenga una sentenza, anche se non ancora passata in giudicato, ed anche se non ancora esecutiva, che condanni il debitore a pagargli una somma di denaro, ovvero all’adempimento di altra obbligazione, ovvero al risarcimento di danni da liquidarsi successivamente. Il creditore ha diritto all’iscrizione di ipoteca giudiziale anche se la condanna del debitore al pagamento di una somma di denaro risulti da un provvedimento giudiziale diverso da una sentenza, (es decreto ingiuntivo ovvero da un lodo arbitrale o da una sentenza straniera. L’ipoteca volontaria può essere iscritta in base a contratto o anche a dichiarazione unilaterale di volontà del concedente. Si esclude il testamento, per non dar modo al debitore di alterare la situazione dei suoi creditori con riferimento all’epoca in cui cesserà di vivere: la legge infatti tende a garantire dopo l’apertura della successione la par condicio dei creditori del defunto. È richiesta la forma scritta ad substantiam. Nell’atto devono essere contenute le indicazioni idonee ad individuare l’immobile su cui si concede ipoteca. Legittimato alla concessione è il proprietario del bene. L’ipoteca su cosa altrui ha efficacia obbligatoria: chi l’ha concessa è tenuto a procurare al creditore l’acquisto del diritto di ipoteca; e cioè ad acquistare la cosa su cui ha fatto gravare ipoteca prima di acquistarla definitivamente: L’iscrizione in ogni caso può essere validamente effettuata solo quando il bene è entrato nel patrimonio del costituente. Analogo regime si applica in relazione all’ipoteca su cosa futura: anche qui l’ipoteca può essere validamente iscritta soltanto quando la cosa sia venuta ad esistenza. Prima di quel momento il negozio ha soltanto efficacia obbligatoria: il concedente ha l’obbligo di fare in modo che la cosa venga ad esistenza, perché l’ipoteca vi possa essere iscritta. Come abbiamo visto l’ipoteca ha efficacia anche nei confronti di chi acquista l’immobile dopo l’iscrizione (cd terzo acquirente del bene ipotecato.) Costui (Il terzo non è obbligato personalmente con tutti i suoi beni verso i creditori che abbiano iscritto ipoteca sull’immobile acquistato) questi ultimi possono soltanto fare espropriare il bene ipotecato, anche dopo il trasferimento. Il terzo è esposto all’espropriazione del bene soltanto per averlo acquistato gravato da ipoteca. Perciò la legge lo ritiene meritevole di considerazione, senza peraltro sacrificare i diritti del creditore. Infatti l’acquirente del bene ipotecato può evitare l’espropriazione esercitando a sua scelta una delle seguenti facoltà: a) Pagare i crediti a garanzia dei quali è iscritta l’ipoteca b) Rilasciare i beni ipotecati in modo che l’espropriazione non avvenga contro di lui, ma contro l’amministratore dei beni stessi che sarà nominato dal tribunale c) Liberare l’immobile dalle ipoteche mediante lo speciale procedimento di purgazione delle ipoteche, nel quale egli offrirà ai creditori il prezzo stipulato per l’acquisto o il valore da lui stesso dichiarato, se si tratta di beni pervenutigli a titolo gratuito Il terzo datore di ipoteca non può avvalersi delle facoltà che la legge concede al terzo acquirente, appunto per la sua posizione di persona estranea alla costituzione dell’ipoteca. Egli non può neppure opporre, se non si è convenuto diversamente, il beneficium excussionis: non può cioè dire al creditore di fare espropriare prima i beni del debitore e poi quelli ipotecati. Se paga i crediti iscritti o subisce l’espropriazione, può rivolgersi contro il debitore per farsi rimborsare (diritto di regresso). L'ipoteca si estingue con la sua cancellazione dal registro. Anche per la cancellazione occorre un titolo: • • • • • l'estinzione dell'obbligazione garantita, la rinuncia espressa e redatta per iscritto del creditore all'ipoteca, la vendita forzata della cosa ipotecata il perimento della cosa lo spirare del termine ventennale senza rinnovazione Il conservatore dei registri non può procedere d'ufficio alla cancellazione. I MEZZI DI CONSERVAZIONE DELLA GARANZIA PATRIMONIALE Come sappiamo, il patrimonio del debitore costituisce per il creditore la garanzia generica del soddisfacimento delle obbligazioni gravanti sul debitore medesio Per impedire che il patrimonio del debitore possa per negligenza o dolo subire diminuzioni che incidano sulla garanzia anzidetta, la legge riconosce al creditore taluni rimedi, volti ad assicurare la conservazione di tale garanzia: si tratta dell’azione surrogatoria dell’azione revocatoria e del sequestro conservativo L’AZIONE SURROGATORIA In linea di principio i creditori non hanno diritto di sindacare sul modo in cui i debitori amministrano il loro patrimonio però qualora il debitore dovesse compiere atti che diminuiscono il suo patrimonio (es. non riscuotendo crediti o impedendo il maturarsi di un usucapione) arrecando con tale inerzia un pregiudizio a carico del patrimonio ed una più rischiosa meno agevole e onerosa realizzazione dei diritti dei creditori la legge consente a ciscuno di essi di surrogarsi al debitore inattivo per esercitare i diritti e le azioni che gli spettano. Percio perché si possa esperire un’azione surrogatoria, non basta l’inerzia del debitore, ma occorre che da questa inerzia derivi un pregiudizio per le ragioni dei creditori, pregiudizio consistente nel rendere insufficiente la garanzia generica dei creditori, costituita dal patrimonio del debitore. L’azione anche se esercitata da un singolo creditore che agisce in surrogatoria manifesta i suoi effetti a tutti i creditori del debitore: il creditore puo compiere gli atti che avrebbe compiuto quest ultimo (riscuotre un credito, citare in giudizio un terzo nb in questo caso al procedimento deve partecipare anche il debitore) ovvero il creditore evoca in giudizio il terzo e il debitore. I benefici rimangono nel patrimonio del debitore e il creditore se ne avvantaggia soltanto nel senso di conservare e migliorare le garanzie del suo credito. La surroga dei crediti deve avere contenuto patrimoniale: Solo i diritti patrimoniali concorrono a formare la garanzia generica del creditore. Anche perchè egli non ha interesse ad esercitare diritti di natura diversa (es promuovere il disconoscimento della paternità) e anche se ne avesse un vantaggio (es se disconosco la paternità non devo più versare gli alimenti) non sarebbe comunque consentita l’azione surrogatoria in quanto l’esercizio dei diritti personali è rimesso esclusivamente al titolare dei medesimi Legittimato ad agire è il creditore anche a termine o sotto condizione. L’AZIONE REVOCATORIA È un mezzo legale di conservazione della garanzia patrimoniale, il quale consiste nel potere del creditore (revocante) di agire in giudizio per far dichiarare inefficace, nei suoi confronti, gli atti di disposizione patrimoniale coi quali il debitore arrechi pregiudizio alle sue ragioni. Oltre che con l’inerzia il debitore puo peggiorare la situazione dei suoi creditori anche ponendo in essere atti che rendano piu difficile il soddisfacimento dei diritti di questi ultimi. Naturalmente non si può impedire al debitore di compiere atti che modificano la consistenza del suo patrimonio (es acquistare un quadro stipulare un appalto per lavori di manutenzione di un edificio) specie se rientrano nella sua normale attività ma se il debitore dovesse compiere atti che modificano dal punto di vista quantitativo (es dona un appartamento, vende un terreno ad un prezzo inferiore di quello di mercato) o anche qualitativo (scambia il suo appartamento per un altro di pari valore vende un immobile a prezzo di mercato la consistenza del suo patrimonio) fino a rendere incerta o quanto meno difficoltosa la realizzazione coattiva del diritto di credito Al creditore è concessa l’azione revocatoria Per l’esperimento dell’azione revocatoria si richiedono i seguenti presupposti: 1) un atto di disposizione con il quale il debitore modifica la sua situazione patrimoniale, o trasferendo ad altri un diritto che gli appartiene, o assumendo un obbligo nuovo verso terzi, o costituendo diritti (pegno, ipoteca, servitù) a favore di altri su suoi beni; 2) un pregiudizio per il creditore, consistente nel fatto che il patrimonio del debitore come conseguenza dell atto di disposizione divenga insufficiente a soddisfare tutti i creditori; (anche con la vendita a prezzo di mercato il debitore peggiora la sua situazione perché il denaro ottenuto dalla vendita può facilmente essere occultato e sfuggire alle azioni creditorie non costituisce pregiudizio invece saldare un altro debito poichè questo gia incideva sul patrimonio del debitore) 3) la conoscenza del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni del creditore. (ovvero porre a conoscenza il debitore fatto che spetta in ogni caso a chi agisce in revocatoria) Non occorre la specifica intenzione di nuocere da parte del debitore, ma basta che si abbia la consapevolezza che a seguito dell atto dispositivo il patrimonio del debitore divenga incapiente con il rischio di divenire insolvente o di rendere più difficile ed incerta l’esecuzione creditizia a causa dell’atto posto in essere. Se l’atto di disposizione è a titolo gratutito è sufficiente che si ponga a conoscenza dell’azione revocatoria il debitore se è a titolo oneroso occorre per la proponibilità dell’azione che il terzo sia consapevole del pregiudizio che l’atto arrechi al creditore: L’azione revocatoria non elimina l’atto impugnato benchè venga dichiarato revocato Essa non ha effetto restitutorio: il bene non ritorna nel patrimonio del debitore. Inefficacia non significa nullità: l’atto è valido verso chiunque, tranne che verso il creditore agente, che può far valere il suo diritto e far valere le sue ragioni , ad esempio, espropriando il bene in questione. L’inefficacia dell’atto giova solo al creditore che abbia agito, eliminando il pregiudizio che si era creato ai suoi danni: di essa non potrebbe avvalersi né il debitore (che volesse svincolarsi dall atto) né gli altri creditori (non possono farsi valere sul bene oggetto di revocatoria) , né il terzo.(se volesse svincolarsi in quanto l’oggetto di revocatoria non è piu di suo interesse) Nel caso in cui, chi ha acquistato dal debitore ha disposto a sua volta del bene oggetto del negozio fraudolento a favore di terzi (subacquirenti), la legge non accorda alcuna protezione all’acquisto a titolo gratuito, perché ritiene più giusto evitare il pregiudizio al creditore. Se invece, l’acquisto è a titolo oneroso, e in buona fede allora creditore e terzo si trovano alla pari La prescrizione è di cinque anni IL SEQUESTRO CONSERVATIVO Il sequestro conservativo è una misura preventiva e cautelare, che il creditore può chiedere al giudice, quando ha fondato timore di perdere le garanzie del proprio credito (es. xchè ritiene che il debitore stia vendendo un immobile che è l’unico cespite di valore del suo patrimonio) Il giudice autorizza il sequestro conseravativo se: a) si hanno elementi che consentano di ritenere fondato il diritto di credito cui la parte si ritiene titolare b) il rischio che nel lasso di tempo in cui il creditore può ottenere il provvedimento il debitore depauperi il suo patrimonio Il sequestro ha per scopo di impedire la disposizione del bene da parte del debitore che viene colpito con sanzioni penali, se sottrae o danneggia i beni sequestrati. La disciplina del sequestro conservativo appartiene al diritto processuale Il diritto di ritenzione Il diritto di ritenzione è il diritto di rifiutare la consegna di una cosa di proprietà del debitore, fin quando il debitore non adempia all’obbligazione, connessa con la cosa. Il diritto di ritenzione è un forma di autotutela e sappiamo che l’ordinamento giuridico non permette di farsi giustizia da se quindi è consentito soltanto nei casi espressamente previsti. Conseguentemente le disposizioni che prevedono il diritto di detenzione non sono suscettibili di applicazione per analogia. I CONTRATTI IN GENERALE IL CONTRATTO Il contratto è la figura più importante del negozio giuridico Art.1321 c.c. il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale. Quindi essenza del contratto è l’accordo ovvero incontro della volontà di due soggetti volta a produrre effetti giuridici questi effetti giuridici riguardano sia diritti reali (acquisto di una proprietà) che rapporti obbligatori (contratto di lavoro subordinato). Attraverso il contratto i privati operano sul mercato scambiando beni e servizi (acquistano case locano immobili ricevono donazioni ecc.) Il contratto è il fondamentale strumento di esplicazione della liberta o meglio dell’autonomia dei privati (autonomia ovvero condotta delle parti che dettano una regola che compiono in un atto di disciplina nei reciproci rapporti giuridici) quindi il contratto è espressione della liberta dei singoli nella gestione dei loro interessi (assumendo obbligazioni acquistando diritti reali divenendo creditori vs terzi ecc) Il contratto è tale se produce effetti rilevanti per l’ordinamento giuridico (ovvero se viola norme o difetta di un requisito di forma per esempio è verbale quando doveva essere per iscritto è nullo e non produce effetto.) Non parliamo di contratti neanche se una cerchia di amici decide di passare una serata insieme dal momento che questa intesa non produce alcun effetto obbligatorio ovvero non è rilevante per l’ordinamento giuridico si tratta di un accordo giuridicamente irrilevante e non di un contratto. Il contratto non è un semplice atto (come ad esempio l’atto illecito) bensì è un negozio ossia una manifestazione di volontà e in più essendo un accordo il contratto non può nascere dalla volontà di un solo soggetto ed esiste in quanto due o più parti concordino nel volere la produzione di effetti giuridici (la vendita esige che il venditore voglia trasferire la proprietà a fronte del prezzo e che il compratore voglia acquistare impegnandosi a pagarne il prezzo) L’ordinamento conosce una pluralità di altre ipotesi di accordi che non sono quantificabili come contratti ad es. il matrimonio non è un contratto (quantomeno perche privo di contenuto patrimoniale) o la separazione tra coniugi che avviene in forza di un consenso e non di un contratto o ancora i genitori separati raggiungono accordi nella regolazione del rapporto con i figli e non contratti Anche quando si occupa di profili patrimoniali il codice per quel che concerne il diritto familiare preferisce utilizzare il termine convenzione e non contratto (es. convenzione sul assetto dei rapporti economici tra coniugi) l’espressione convenzione viene utilizzata anche in altri contesti si pensi alle convenzioni internazionali. Altre volte la legge utilizza il termine patto di solito per alludere ad un accordo parziale o accessorio rispetto ad uno più ampio (es. il patto di non concorrenza nel lavoro subordinato ovvero il patto con il quale si limita lo svolgimento dell`attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo stabilito alla cessazione del contratto, o il patto leolino ovvero è` nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite.) Altre volte ancora la legge utilizza il termine assenso per esprimere una situazione di convergenza delle volontà in una struttura negoziale a carattere unilaterale [(es. voglio riconoscere il figlio nato fuori dal matrimonio se lui ha più di sedici anni occorre il suo assenso la legge intende cosi che l’atto non è bilaterale in quanto il riconoscimento rimane atto unilaterale anche se l’efficacia di tale atto e subordinata alla volontà di un altro soggetto (il figlio che vuole essere riconosciuto)] Molto importante è non confondere il contratto che è l’ accordo tra le parti con il contratto nel senso del documento contrattuale [(la carta ove il contratto è scritto (un contratto può essere concluso anche verbalmente qui sta la differenza)] e con il rapporto contrattuale che attiene agli effetti giuridici prodotti dal contratto (ovvero ad es. con la cessione del credito varia il rapporto contrattuale rimanendo inalterato il contratto.) Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto (autonomia contrattuale), nei limiti imposti dalla legge ovvero ad es. si può stabilire a che prezzo vendere una cosa ma non estendere il tempo di lavoro del lavoratore oltre i limiti contrattuali. Art. 1325 I requisiti del contratto sono: La causa L’oggetto L’accordo tra le parti La forma, (ove risulti prevista dalla legge sotto pena di nullità) Se manca uno di questi elementi il contratto è nullo. Non può nascere un contratto se non c’è accordo tra le parti, oppure se manca un bene che è oggetto del trasferimento; nel contratto di compravendita non può mancare il prezzo. Questa norma indica in generale gli elementi essenziali. Anche la forma è un elemento essenziale, ma la norma sul contratto,prevede che la forma sia elemento essenziale solo nei casi previsti dalla legge. Se manca uno di questi elementi il contratto non nasce proprio, la volontà non è perciò idonea a produrre determinati effetti. Questa norma mi dice il minimo di volontà necessaria perché possa esistere un contratto, un negozio giuridico. Poi ci sono anche degli elementi accidentali (es condizione se l’evento non si verifica, gli effetti non si producono) sono elementi aggiuntivi al contratto, sono aggiunti dalle parti. Sono elementi che ci possono essere o meno (anche il termine è un altro elemento accidentale) sono gli elementi necessari che contano. Le più importanti classificazione dei contratti sono le seguenti: a) contratti tipici e contratti atipici; a seconda che alla singola figura contrattuale , il legislatore dedichi o meno una disciplina specifica; b) contratti con due parti o con più di due parti (contratti plurilaterali); es contratti costitutivi di una societa c) contratti a prestazioni corrispettive o sinallagma (una delle parti trasferisce un diritto e l’altra si obbliga ad effettuare la prestazione a favore di questa) es. il compratore paga quando il venditore trasferisce la proprieta e contratti con obbligazioni a carico di una parte sola; (es. fidejussione e comodato) d) contratti a titolo oneroso e contratti a titolo gratuito; e) contratti di scambio (dove la prestazione di ciascuna parte è a vantaggio della controparte) e contratti associativi (dove la prestazione di ciascuno è diretta al conseguimento di uno scopo comune); f) contratti commutativi (si dicono i contratti in cui i reciproci sacrifici sono certi) e contratti aleatori (sono i contratti nei quali vi è incertezza sui reciproci sacrifici es. assicurazione l’assicurato sa quanto paga l’assicuratore non sa se e quanto dovra pagare ); g) contratti a esecuzione istantanea (la prestazione della parti è concentrata in un dato momento, es. compravendita) e contratti di durata (la prestazione o continua nel tempo, o si ripete periodicamente es. contratto di lavoro subordinato). I contratti ad esecuzione istantanea possono essere ad esecuzione immediata (pago subito o ad esecuzione differita;(pago tra sei esi h) contratti a forma libera e contratti a forma vincolata; i) contratti consensuali (si perfezionano con il semplice consenso o accordo delle parti) e contratti reali (che richiedono oltre al consenso delle parti anche la consegna del bene; es. mutuo, comodato, deposito, pegno); j) contratti a efficacia reale (che realizzano automaticamente, per effetto del solo consenso, il risultato perseguito es. il trasferimento della proprieta ) e contratti a efficacia obbligatoria (che non realizzano automaticamente il risultato perseguito, ma obbligano le parti ad attuarlo ovvero contratti aventi per oggetto cose determinate solo nel genus Differenza tra contratto e negozio giuridico Il contratto è un negozio giuridico (manifestazione di volontà posta in essere per ottenere un determinato effetto giuridico) Il contratto è una delle categorie possibili nelle quali si articola il negozio giuridico nel suo complesso Il codice italiano non detta una disciplina specifica per il negozio giuridico mentre dedica numerose norme ai contratti in generale le quali fungono da termini di riferimento per la discipline dei negozi giuridici. Il negozio giuridico è di natura astratta, tant'è che non è citato nel Codice, mentre il contratto si configura piuttosto come una delle categorie del negozio giuridico. Ad esempio il matrimonio e il testamento sono negozi giuridici e non contratti inoltre il contratto è una fonte di obbligazioni, oltreché un negozio giuridico bilaterale o plurilaterale, mentre è possibile porre in essere anche negozi giuridici unilaterali (vedi testamento). Non esistono, invece, contratti "unilaterali", non ha senso, come recita l' art.1321 ovvero Il contratto è l’accordo di due o parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale. LE TRATTATIVE E LA CONCLUSIONE DEL CONTRATTO Un contratto puo essere concluso verbalmente o sottoscrivendo un unico documento attraverso lo scambio di due dichiarazioni scritte identiche L’atto con il quale il procedimento inizia è la proposta l’altro è l’accettazione: esse costituiscono dichiarazione di volonta unilaterali quando si fondono in una sola nasce la volonta contrattuale. La proposta e l’accettazione possono essere ritirate e private di effetto mediante un atto uguale e contrario che si chiama revoca. La trattativa Spesso è necessario prima un periodo di trattative sia per negoziare gli accordi sia per svolgere accertamenti tecnici e legali.durante queste trattative le parti possono concludere o meno il contratto ma devono farlo in buona fede è un dovere giuridico la parte che violi questo dovere incorrere in un particolare tipo di responsabilità (responsabilità precontrattuale o culpa in contrahendo) Le condotte che danno luogo alla culpa in contrahendo sono varie: a) abbandono ingiustificato della trattativa (quando le trattative raggiungano un punto tale da determinare un ragionevole affidamento e vengano interrotte senza un giustifiato otivo e la parte lesa avra diritto al risarcimento per le spese sostenute in vista della conclusione del contratto b) mancata informazione sulle cause di invalidità del contratto (dovere di informare la controparte di eventuali cause di invalidita del contratto) c) influenza illlecita sulla determinazione negoziale della controparte se un sogetto induce un altro a stipulare un contratto traendolo in inganno ovvero minacciandolo ovvero approfitti di un errore in cui sia incorsa l’altra parte per trarne vantaggio il contratto è annullabile per un vizio della volontà d) induzione della controparte alla stipulazione di un contratto pregiudizievole nel caso in cui una parte abbia tratto in inganno l’altra e quell’inganno non sia stato tale da determinare la volonta di contrarre ma abbia indotto la controparte ad accettare condizioni diverse da quelle che avrebbe sottoscritto se non fosse stata ingannata in questo caso il contratto non è annullabile la controparte lesa ha però diritto al risarcimento del danno (caso valido anche quando si omette un informazione) Vi è l’obbligo per le parti di comportarsi secondo buona fede e correttezza nello svolgimento delle trattative le parti devono essere reciprocamente leali e sincere e devono nutrire reale interesse al raggiungimento di un accordo. Devono inoltre scambiarsi informazioni affinché i termini della trattativa risultino trasparenti. Ove la lealtà e correttezza vengano meno (la parte vuole solo prendere tempo in attesa di recedere, oppure tace un difetto del bene, non ha reale intenzione di pervenire ad un accordo…) si avrà responsabilità della parte per non aver operato in buona fede Qual è la misura di questa responsabilità? Dottrina e giurisprudenza sono unanimi nel ritenere che vada risarcito il c.d. interesse negativo e quindi il danno commisurato per non aver ricevuto la prestazione dovuta e cioè le spese a vuoto sostenute (viaggi ecc) e il tempo e le occasioni perdute (si sarebbe potuto dedicare ad altre contrattazioni da cui avrebbe tratto profitto),invece che in quella non andata a buon fine per la scorrettezza della controparte ma non l’utile che avrebbe potuto ottenere poichè la parte avrebbe avuto diritto all esecuzione solo se il contratto fosse stato stipulato (come nel caso dell inadempimento).In altre parole si risarciscono i danni subiti per essere entrati in trattativa con la parte inaffidabile (danno da affidamento). La proposta La proposta deve essere conforme alla dichiarazione se contiene variazioni equivale ad una nuova . La proposta può essere revocata fino a che il contratto non sia concluso e la revoca non ha effetto se non giunge a conoscenza. Se si revoca la proposta mentre il proponente in buona fede abbia iniziato l’esecuzione (es. acquistando i materiali necessari per la realizzazione) è tenuto ad essere indennizzato delle spese e delle perdite subite. La proposta perde automaticamente efficacia se, prima che il contratto si sia perfezionato, il proponente muore o diventa incapace (intrasmissibilità della proposta). La proposta si può dichiarare irrevocabile Se la proposta irrevocabile non è accompagnata dalla indicazione della durata della irrevocabilità, questa si intende estesa per tutto il tempo ordinariamente necessario per la sua accettazione.come una proposta non irrevocabile. La proposta irrevocabile conserva il suo valore pure in caso di morte o sopravvenuta incapacità del proponente (art.1329 c.c.), di modo che anche in tali ipotesi il destinatario della proposta potrebbe ancora perfezionare il contratto accettando l’offerta, purchè l’accettazione giunga all’altra parte entro il termine di validità della proposta. L’offerta al pubblico è un particolare tipo di poposta essa si ha verso destinatari indeterminati e permette la conclusione per il solo effetto della dichiarazione di accettazione da parte di colui che intende perfezionare il contratto è valida purchè contenga gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta.(es offerta di alloggio in un albergo) L’offerta al pubblico è revocabile come ogni altra proposta contrattuale è efficace anche nei confronti di chi non sia venuto a conoscenza della revoca non è necessario portare a conoscenza il contraente dato che quest’ultimo è indeterminato Talora un regolamento contrattuale può essere aperto all’ adesione di altre parti. Ad es. le organizzazioni a carattere associativo (es partiti politici) che hanno quindi una struttura aperta e orientata a ricevere l’adesione di altri soggetti Non tutti i contratti sono a struttura aperta quelli lucrativi ad es. non lo sono L’accettazione L’accettazione deve pervenire al proponente nel tempo da lui stabilito o in quello necessario secondo la natura e gli usi infatti essa non è efficace a tempo indefinito se il destinatario non risponde entro un termine congruo stabilito dalla parti o dal giudice la proposta perde efficicacia (se il proponente considera un accettazione tardiva deve darne avviso alla controparte) e che sia sia compiuta nella forma richiesta dal proponente: se il proponente richiede che sia effettuata per iscritto non è sufficiente una dichiarazione verbale anche se per il tipo di contratto la legge non richiede forma scritta. L’accettazione perde efficacia se l’accettante muore o diventa incapace nell’intervallo tra la spedizione della dichiarazione di accettazione e l’arrivo di questa al proponente. La conclusione La legge stabilisce che il contratto si considera concluso nel momento in cui il proponente è a conoscenza dell accettazione della proposta counicatagli dalla controparte es. tramite raccomandata Solo in questo momento le parti condividono un regolamento negoziale comune La legge per ovviare alla al contraente che potrebbe fingere di non aver ricevuto la comunicazione magari xchè non più interessato a concludere il contratto per un ad es. sopraggiunto rialzo o ribasso dei prezzi stabilisce che qualsiasi dichiarazione diretta ad una determinata persona si reputa conosciuta non appena giunta all’indirizzo del destinatario. Grava perci sul contraente in buona fede mostrare se egli ha realmente non ricevuto l’avviso. I contratti si possono concludere anche senza bisogno di una formale accettazione dando direttamente esecuzione ad un ordine. Particolare è il contratto con obbligazioni a carico del solo contraente (es fidejussion)e in questo caso lì accettazione è facilente desuibile percio la legge non ritiene necesaria un esplicita dichiarazione di accettazione. Di solito le imprese predispongono moduli contrattuali, nei quali inseriscono clausole uniformi e standardizzate perciò è prassi definirli contratti standard in quanto definscono clausole e regole uniformi e che il cliente non può discutere: o aderisce o rifiuta. (es. i telefoni le banche non si contratta con tutti gli acquirenti) È tuttavia necessario predisporre delle cautele a favore dell’aderente, ad evitare abusi ai suoi danni.:. si prevede già dal ’42 data la diffusione capillare di questi contratti gia a quel tempo a) che nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli le clausole aggiunte prevalgono su quelle del modulo con cui siano incompatibili, anche quando queste ultime non siano state cancellate b) che le c.d. condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci solo se la parte che le ha predisposte abbia fatto in modo da garantire che l’altro contraente, usando l’ordinaria diligenza, sarebbe stato in grado di conoscerle c) che le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli predisposti da uno dei contraenti s’interpretano, in caso di dubbio, a favore dell’altro d) che, in ogni caso, non hanno effetto, se non specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che ha predisposto i moduli contrattuali, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, o sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria Queste ultime clausole (dette vessatorie), devono essere approvate con una sottoscrizione autonoma e distinta rispetto a quella apposta genericamente sul modulo, e che in mancanza di tale specifica approvazione queste clausole vanno considerate inficiate senz’altro da nullità, rilevabile anche d’ufficio dal giudice. I VIZI DELLA VOLONTA Il contratto è espessione di un volere se colui dal quale proviene la manifestazione si trova nella condizione, per eàa o per incapacita di agire o altro l’atto diviene invalido. I vizi della volontà sono: l’errore, il dolo e la violenza essi non producono il grave effetto della nullità del negozio, ma l’annullabilità. La dichiarazione può essere divergente dalla reale volontà del soggetto (es in una lettera per commercianti per distrazione si scrive che si vende 1 € al kilo quando il prezzo di mercato è 100) Vi è contrasto quindi tra volontà e dichiarazione: se la dichiarazione diverge dall interno volere o se questo non si e correttamente fomrato deve essere protetto l’affidamento dei terzi che hanno regolato la loro condotta considerando pienaente attendibile ed efficace quella dichiarazione. valido quando colui che riceve la dichiarazione non era in grado di accorgersi del contrasto usando l'ordinaria diligenza in valido: quando colui che riceve la dichiarazione era in grado di accorgersi o comunque sapeva del contrasto tra la volontà e la dichiarazione Come si vede la teoria dell' affidamento protegge adeguatamente entrambe le parti, ma non protegge mai la malafede; anche nel caso in cui fosse molto difficile accorgersi del contrasto tra volontà e dichiarazione, chi riceve la dichiarazione non è tutelato quando sapeva di detto contrasto. ERRORE L'Errore si ha quando il contraente ignora, oppure conosce in modo sbagliato o insufficiente, situazioni determinanti ai fini della decisione di stipulare o meno il contratto o comunque di stipularlo a certe condizioni. L’errore-vizio è un incidente sul processo interno di formazione della volontà (es. compro un oggetto credendo che sia d’oro, invece è di metallo); l’errore- ostativo è la divergenza tra volontà e dichiarazione (es. voglio scrivere 100, ma per lapsus scrivo 110) o errata dichiarazione per colpa dell’impiegato via telegrafo quindi volontà del dichiarante correttamente formata ma espressa o trasmessa in un modo che non rispecchia l’effettiva volontà della parte. Il contratto viziato da errore è annullabile a condizione: a) che l’errore sia essenziale; b) che l’errore sia riconoscibile dall’altro contraente. Peraltro l’azione di annullamento non può più essere proposta se l’altra parte, prima che alla parte in errore possa derivarne pregiudizio, offra di eseguire il contratto in modo conforme a quanto l’altro contraente riteneva (erroneamente) di aver pattuito. Nei negozi bilaterali e plurilaterali un’altra figura di errore ostativo è costituita dal dissenso, che ha luogo quando le parti, pur sottoscrivendo una identica dichiarazione, non si rendono conto di attribuirle in realtà significati tra loro divergenti. Anche in tal caso la rilevanza del vizio dipende dalla sua essenzialità e riconoscibilità. Un contratto non può essere impugnato solo perchè un parte è incorsa in errore ma soltanto quando l’errore sia di essenziale rilevo rispetto agli interessi realizzati dal contratto L’errore è essenziale quando: 1) deve essere stato tale da aver determinato la parte a concludere il contratto; 2) non ogni errore può considerarsi essenziale, il c.c. qualifica tale solo quello che cade: a) o sull’oggetto del negozio (es. credo che siano viti gli oggetti che voglio comprare ed invece sono chiodi); b) o sulla natura del negozio (es. credo di dare una cosa in locazione invece il contratto è di enfiteusi); c) o su una qualità della cosa, oggetto del negozio che, in relazione alle circostanze, deve ritenersi determinante del consenso (es. si crede che sia lana animale ciò che è lana sintetica); d) o sulla persona e, cioè, sull’identità o sulla qualità dell’altro contraente; (non e indifferente se ad eseguire un operazione è un noto luminare o un anonimo medico) e) può assumere rilevanza anche l’errore sulla quantità della prestazione, sempre che essa sia determinante del consenso e non si riduca ad un errore di calcolo, il quale non dà luogo ad annullabilità ma a semplice rettifica del negozio Non ha carattere di essenzialità l’errore che cade sui motivi se compro una casa xchè credo mi trasferiscano per lavoro e cio non accade il mio erorre è irrilevante. L’errore sul motivo e determinante solo sul testamento e nella donazione (la gratuita spiega la deroga) Perché l’errore produca l’annullabilita del negozio e necessario che sia riconoscibile dall’ altro contraente secondo la teoria dell affidamento L’errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto o alle qualità dei contraenti, la controparte, usando la normale diligenza, avrebbe potuto accorgersene. La legge non bada al fatto che in concreto si abbia capito ma alla possibilità astratta di riconoscerlo comportandosi come una persona di media diligenza. Quanto alla riconoscibilità dell’errore se chiedo cento metri di stoffa per farmi un vestito il commerciante puo presumere l’errore se compro stoffa per rifornire il mio negozio egli non può sapere quanta me ne occorra. Nel caso di errore bilaterale o comune, e cioè quando entrambi i contraenti siano incorsi nello stesso errore, la giurisprudenza ritiene che non vada applicato il principio dell’affidamento, e quindi che sia sufficiente l’ essenzialità dell’errore per l’annullabilità del negozio, non rilevando la riconoscibilità dal momento che ciascuno dei contraenti ha dato luogo all’invalidità del contratto indipendentemente dal comportamento dell’altro. DOLO Un negozio è annullabile ove sia stato posto in essere in conseguenza di raggiri perpetrati ai danni del suo autore. Il dolo cd determinante poichè ha determinato la vittima a stipulare un contratto che se non fosse stata ingannata non avrebbe concluso è quindi un vizio del consenso. Il raggiro è un comportamento non conforme alla buona fede Per l’annullabilità dell’atto devono concorrere: a) il raggiro, ossia un’azione idonea a trarre in inganno la vittima; b) l’errore del raggirato: non è sufficiente che l’autore dell’inganno abbia tentato di farmi credere cose non esatte; se io ho capito come stavano in realtà le cose, non posso trarre a pretesto il comportamento della controparte. Il negozio, cioè, è annullabile solo se l’inganno ha avuto successo, c) la provenienza dell’inganno dalla controparte: se sono vittima di raggiri di terzi, che nulla hanno a che fare con l’altro contraente, l’atto non è impugnabile, a meno che quest’ultimo ne fosse a conoscenza e ne abbia tratto vantaggio Qualora ci sia menzogna nel senso di semplice dichiarazione inveritiera se non accompagnata da veri e propri artefici o raggiri si ritiene che il negozio non sia annullabile qualora il dichiarante usando la normale diligenza arebbe potuto agevolente rendersi conto della verità. Dal dolo determinante distinguiamo: Il dolo omissivo (o reticenza) che si ha quando si tacciono circostanze che avrebbero potuto indurre la controparte a rinunciare alla stipulazione dell’atto. (es. mi assicuro vita e non dico di essere affetto da grave malattia) Esso è sufficiente a far annullare il negozio. Il dolo incidente, invece, incide sulle condizioni contrattuali (la vittima avrebbe stipulato l’atto a condizioni diverse in questo caso il contratto non è annullabile ma la vittima ha diritto al risarcimento) Dal punto di vista civilistico non è rilevante se il comportaento comporti truffa in questo caso interverrà il penale ma secondo la soluzione dominante il contratto rimane annullabile e non nullo per illeceita Il dolo può avere rilevanza in tutti gli atti, tranne quelli in cui, tale rilevanza è esclusa dalla legge. Il dolo, come elemento intenzionale dell’illecito, non indica un particolare tipo di azione, un fatto che si verifica nel mondo esterno, ma costituisce soltanto un elemento soggettivo o psicologico, ossia l’intenzione dell’agente di realizzare un determinato risultato e si concreta, quindi, nella corrispondenza tra un programma perseguito deliberatamente da una persona e l’azione da essa posta in essere; il dolo quale vizio della volontà, invece, denota proprio l’azione di chi inganna e che si concreta, quindi, in un determinato fatto esterno e non meraente in un atteggiamento psicologico o interno. Differenza Dolo ed Errore: Il dolo è intenzionale VIOLENZA La violenza consiste nella minaccia di un male ingiusto e notevole volta ad ottenere una dichiarazione.negoziale dal minacciato La legge richiede che si tratti di una minaccia tale da fare impressione su una persona media anche se, ovviamente, per stabilire se la violenza esercitata presentava tale caratteristica si deve guardare in concreto alle circostanze del caso (età, sesso, condizione delle persone.). Il male minacciato deve essere ingiusto e notevole e deve riguardare la vittima stessa , il coniuge, il discendente, un ascendente o i rispettivi beni. La violenza di cui parliamo è una forma di coazione della volontà che menoma la libertà di determinazione; è causa di annullabilità del negozio, sia che provenga dall'altra parte del negozio sia che provenga.da.un.terzo. Potrebbe sembrare strano che conseguenza della violenza sia l'annullabilità e non la nullità; è facile pensare, infatti, che chi è minacciato non vuole concludere il negozio, ma, a ben guardare, si scopre che il soggetto minacciato vuole la conclusione del negozio perché tra lo svantaggio che subirebbe dalla attuazione della minaccia e quello della conclusione del negozio "sceglie" e quindi vuole il.male.minore,.cioè.la.conclusione.del.negozio. Esistendo.una.volontà,.per.quanto.viziata,.si.spiega.l'annullabilità. Diversamente accadrebbe se la violenza non fosse psichica ma fisica volta ad ottenere meccanicamente la dichiarazione negoziale, come nel caso , per la verità un po' improbabile, in cui si trascini la mano per far apporre una firma in calce ad un contratto; in questo caso vi sarà nullità del negozio e non annullabilità perché manca la volontà. Quindi: violenza psichica consiste in una minaccia e provoca l'annullabilità del negozio violenza fisica consiste in una coazione fisica del dichiarante e provoca la nullità del negozio Non è causa di annullamento, invece, il timore reverenziale, quel particolare timore, cioè, che una persona incute ad un'altra a causa della sua posizione sociale, di potere, personale etc. Si ritiene, tuttavia, che se tale timore è consapevolmente sfruttato per svolgere un'attività intimidatoria per la conclusione di un contratto, questo sarà annullabile in quanto concluso ricorrendo a violenza. La violenza si distingue dallo stato di pericolo Nella fattispecie della violenza il timore che spinge il soggetto ad emettere la dichiarazione negoziale è provocato dalla minaccia altrui; nello stato di pericolo vi è una situazione di paura, ma non determinata dalla minaccia di altra persona diretta a far concludere il negozio, bensì da una stato di fatto oggettivo, nella maggior parte dei casi da forze naturali (un incendio pone in pericolo la vita di una persona cara ed io accedo alla richiesta esosa fatta da chi ha la possibilità di intervenire per cercare di salvarla). Se per effetto dello stato di pericolo una persona ha assunto obbligazioni a condizioni inique, il negozio non è annullabile, ma rescindibile. LA FORMA DEL CONTRATTO La forma del contratto è la modalità attraverso la quale la volontà dei contraenti si manifesta. Essa è, pertanto, elemento di perfezionamento del contratto, perché rende esteriormente visibile la volontà dei soggetti, rendendola idonea ad assumere rilevanza giuridica. Essa non può mancare, pena l’inesistenza del contratto. Uun contratto se la legge non dispone liberamente il rispetto di una determinata forma può essere concluso mediante qualsiasi validità: parlando scrivendo con i gesti (alzo la mano ad un asta) o tenendo un comportaento concludente (colloco l’auto negli spazi adibiti ai parcheggi a pagamento) Se la legge impone una certa forma il contratto espresso in forme diverse ne determina la nullità Piu di frequente la legge impone la forma scritta che può essere l’atto pubblico o la scrittura privata esse rendono maggiormente certa l’espressione della volontà. 1. L’atto pubblico è “ il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli fede nel luogo in cui l’atto è formato” “Esso fà piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l’ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti” 2. La scrittura privata va intesa come il documento scritto con qualsiasi mezzo (penna, dattilografia, stampa) e sottoscritto dai contraenti. La sua sottoscrizione ne rappresenta il connotato essenziale, perché costituisce il mezzo di identificazione e, al tempo stesso, un indizio del carattere definitivo della dichiarazione. Essa deve essere effettuata personalmente dal dichiarante, con l’indicazione del nome e cognome, o anche del cognome o dello pseudonimo ma non è necessario che il documento sia scritto di pugno del dichiarante (che sia autografo), potendo anche essere formato da un’altra persona e poi sottoscritto dal dichiarante. Per il principio della cosiddetta conversione formale, l’atto pubblico, privo di qualche suo requisito, vale come scrittura privata. I contratti della Pubblica Amministrazione di norma richiedono la forma solenne ed in particolare quella di atto pubblico. Tuttavia è frequente anche l’uso della scrittura privata autenticata. Le parti possono con apposito accordo scritto pattuire di adottare una determinata forma per la conclusione del contratto Es le parti per garantire maggior certezza per le future pattuizioni possono decidere che qualsiasi modificazione del contratto sarà efficace solo se convenuta per iscritto LA RAPPRESENTANZA Nell’attività negoziale può accadere che la volontà di un soggetto non sia espresso da questo, ma da un terzo incaricato. È necessaraia la rappresentanza se un imprenditore deve riscuotere una somma in un paese lontano o per i soggetti incapaci che non potrebbero esercitare diritti soggettivi. E’ un istituto in base al quale ad un soggetto, rappresentante, viene attribuito negozialmente o per legge il potere di sostituirsi ad un altro soggetto, rappresentato, nel compimento di un’attività giuridica i cui effetti si ripercuotono direttamente sul rappresentato. (mandato) I poteri di rappresentanza possono essere attribuiti per il compimento di una qualsiasi attività. La rappresentanza differisce dal nuncius che è colui che trasmette materialmente la dichiarazione altrui è un portavoce anche un bambino puo fare il nuncius sepmlicemente esprime una volonta altrui. Es. sottoscrivo un contratto d’acquisto di una Ferrari per nome e conto di Tizio. Il contratto produce immediatamente effetti in capo al rappresentato ïƒ rappresentanza diretta. Si usa, cioè, un soggetto terzo per compiere una certa attività i cui effetti giuridici ricadono immediatamente nella sfera giuridica del rappresentato. Il rappresentato cede al rappresentante poteri negoziali, quindi quest ultimo può esercitare in nome e per conto del rappresentato, ossia della persona che gli ha conferito il potere negoziale. Il contratto concluso dal rappresentante può avere effetti reali o effetti obbligatori per questo, occorre la spendita del nome, ossia alla stipula del contratto devo dire che lo stipulo in nome e per conto di Tizio La rappresentazione indiretta, si ha quando non c’è la spendita del nome. Es. compro una Ferrari per Tizio che non vuole comparire perché ad esempio è un evasore, non dico alla stipula che sto agendo per suo nome e conto. La conseguenza è che il contratto che stipulo produce effetti nella mia sfera (rappresentante). La rappresentazione indiretta concretizza un altro istituto: l’interposizione reale di persona, che è diversa dall’interposizione fittizia (o simulazione). interposizione reale di persona: per la conclusione di un contratto interpongo un’altra persona, ossia mando un mio rappresentante a concludere un affare, lo interpongo realmente dandogli un mandato e per questo agisce per mio interesse. L’operazione è reale: ho dato il mandato di concludere per mio interesse. interposizione fittizia: non c’è un rappresentante effettivo; si fa finta che il terzo acquisti. È simulazione, creazione di un’apparenza. Il terzo “appare” come acquirente. C’è un problema di “apparenza negoziale”, in quanto faccio apparire una certa situazione. Non c’è un mandato, un potere di rappresentanza, ma una volontà delle parti di costituire un’apparenza giuridica. Figura particolare, che si avvicina alla rappresentanza indiretta, è l’autorizzazione, con cui una persona (autorizzante) conferisce ad un'altra (autorizzato) il potere di compiere negozi giuridici, diretti ad influire nella sfera dell’autorizzante, in nome dell’autorizzato essa ha luogo per la formazione dei negozi giuridici degli incapaci. Non in tutti i negozi è ammessa la rappresentanza: essa, di regola, è esclusa nei negozi che, per la loro natura, si vogliono riservare esclusivamente alla persona interessata ovvero, in quelli di diritto familiare (es. matrimonio). Nel matrionio per procura la figura è quella del nuncius non del rappresentante Una persona, per potere agire in nome altrui, deve averne il potere. Questo potere può derivare dalla legge (rappresentanza legale) o essere conferito dall’interessato (rappresentanza volontaria). La rappresentanza legale ricorre quando il soggetto è incapace o minore o intedetto traite il tutore o l’ainistratore di sostegno per il beneficiario di amministrazione. La rappresentanza organica, ossia il potere di rappresentare un ente che spetta all’organo che ha la competenza ad esternare la volontà dell’ente. (es gli amministratori) La rappresentanza organica non si deve confondere con il potere gestorio che riguarda la direzione interna dell’ ente Il negozio compiuto da chi ha agito come rappresentante senza averne il potere (difetto di potere) o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli (eccesso di potere) non produce alcun effetto nella sfera giuridica dell’interessato. (es. compro una cosa per tizio che la cercava facendo presente al venditore l’acquisto a nome di tizio mio amico) Il negozio è perciò inefficace. Infatti esso non può dirsi nullo, perché la nullità opera in maniera definitiva, ed invece, l’interessato può ratificare, con effetti retroattivi, il negozio stipulato per lui non è nemmeno annullabile, perché prima della ratifica il negozio concluso senza rappresentanza o eccedendo dei poteri conferiti al rappresentante non produce effetti per l’interessato. Questi può, per altro, con una propria dichiarazione di volontà, approvare ciò che è stato fatto da altri senza che egli avesse attribuito il potere di rappresentarlo. Questa dichiarazione si chiama ratifica. La ratifica può essere espressa o tacita: essa deve rivestire le forme previste dalla legge per la conclusione del negozio. Il negozio si considera dopo la ratifica come posto in essere da persona dotata di procura La ratifica ha effetto retroattivo, ma non può, pregiudicare i diritti acquistati dai terzi. Se il contratto, mancando la ratifica del rappresentato, rimane definitivamente inefficace, vi è da chiedersi se il terzo possa chiedere il risarcimento dei danni allo pseudo-rappresentante. L’art.1398 c.c. subordina un simile diritto del terzo alla condizione che questi abbia confidato senza sua colpa nella validità del contratto: se sapeva che colui che agiva in nome altrui non aveva il relativo potere, non può pretendere alcun risarcimento; se invece è stato ingannato, non si è accorto di aver a che fare con persona in realtà priva del potere di spendere, il nome del rappresentato, allora avrà diritto di chiedere il risarcimento del danno subito. Non sempre è riprovevole lo svolgimento dell’interesse altrui senza averne titolo idoneo (es. il proprietario è assente perché è al fronte e si impedisce che egli subisca un danno facendo una riparazione o vendendo i frutti di un raccolto) La legge nel caso in cui taluno, spontaneamente assume la gestione di affari altrui, stabilisce che, il gestore non può dismettere la gestione ma deve continuarla finche l’interessato non possa riprendere in mano il governo dei sui interessi. E l’interessato una volta ripresa la gestione deve adempiere le obbligazioni assunte in suo nome Non si deve guardare perciò, al risultato, cioè se dall’atto il rappresentato ha tratto vantaggio, ma occorre, invece, tener conto dell’utilità iniziale e vedere, se l’affare stesso si prevedeva necessario o utile, in base alla valutazione che il rappresentato come buon padre di famiglia avrebbe fatto al momento in cui fu intrapreso. La gestione di affari altrui può avere ad oggetto anche alienazioni. In genere l’atto di rappresentanza è conferito nell interesse del rappresentato ma non si esclude che possa essere conferito consapevolmente dall’interessato anche nell interesse del rappresentante (es. il debitore che incarica parte dei creditori di vendere i suoi beni per liquidare i debiti essi saranno in quanto essi stessi creditori interessati al pari del debitore di effettuare l’operazione) Si ha in questo caso conflitto d’interessi tra rappresentato e rappresentante. L’atto posto in essere dal rappresentante in conflitto di interessi è viziato, indipendentemente dal fatto che il rappresentato sia stato effettivamente danneggiato. Se il rappresentante agisce in conflitto d’interessi con il rappresentato, il negozio è annullabile su domanda del rappresentato. Ma il negozio è annullabile solo se il conflitto era conosciuto o poteva essere conosciuto con l’ordinaria diligenza dal terzo (protezione del terzo contraente in buona fede) Rientra nello schema del conflitto di interessi la figura del contratto con se stesso (unico soggetto che svolge contemporaneamente due parti es. procuratore che rappresenta sia il compratore che il venditore). Questo contratto è, di regola, annullabile: è valido quando il rappresentato abbia autorizzato espressamente la conclusione del contratto oppure il contenuto del contratto sia stato determinato preventivamente dallo stesso rappresentato in guisa da escludere la possibilità di conflitto (es., il commesso di negozio può acquistare merci nell’azienda a cui è addetto, corrispondendo il prezzo stabilito dal principale per la vendita al pubblico.) Il negozio concluso dal rappresentante sarà annullabile, se egli versava in errore, o è stato costretto alla sua conclusione da violenza … Si fa eccezione nel caso in cui l’anomalia della volontà o lo stato soggettivo influente si riferiscano ad un elemento predeterminato dal rappresentato, cioè, incidano sulle istruzioni da lui date. (es mi fa vendere un quadro falso) l’errore giova ai fini dell annullamento anche se di esso non sia partecipe il rappresentante. L’ufficio privato, invece, consiste nel potere di svolgere una attività nell’interesse altrui e con effetti diritti nella sfera giuridica del soggetto sostituito, in adempimento di una funzione prevista dalla legge (esecutore testamentaria). Nel momento della conclusione di un contratto una parte può riservarsi la facoltà di nominare la persona nella cui sfera giuridica il negozio deve produrre effetti può dire cioè: acquisto l’immobile, ma per persona che mi riservo di nominare. Se segue entro 3 gg. la dichiarazione di nomina, accompagnata dalla dichiarazione di accettazione da parte della persona indicata, si producono gli stessi effetti che si sarebbero verificati se fosse stata conferita la procura anteriormente al negozio l’acquisto si intende, cioè, fatto fin da principio dalla persona indicata. Se manca la dichiarazione di nomina, il negozio produce effetti direttamente nei confronti di colui che ha stipulato il contratto. Le parti possono convenire che la dichiarazione di nomina possa essere effettuata entro un termine maggiore di 3 gg. fissato dalla legge, purchè si tratti di un termine certo e determinato. Il contratto per persona da nominare si distingue dalla rappresentanza indiretta, in quanto non occorre un nuovo negozio perché gli effetti si producano a favore dell’interessato: basta la dichiarazione unilaterale di nomina, purchè fatta nei termini. Si distingue dall’interposizione fittizia o simulata, perché in questa, con l’intesa dell’altra parte, il contraente dichiara apparentemente di agire in nome proprio, ma, in realtà, chi contrae è l’interponente; nel caso del contratto per persona da nominare il contraente, invece, dichiara di contrarre per persona da nominare. Il contratto per persona da nominare si distingue dal contratto per conto di chi spetti erogato in tema di assicurazione. Qui, infatti, è definito il nome del contraente, ma potrebbe non essere ancora definito il nome del soggetto beneficiario dell'assicurazione, da individuarsi successivamente in relazione alla situazione specifica che si verrà a creare. LA PROCURA Il negozio con il quale una persona conferisce ad un’altra il potere di rappresentanza si chiama procura, e il rappresentante volontario si chiama procuratore. La procura serve a rendere noto ai terzi, con i quali il rappresentante dovrà venire a contatto per assolvere l’incarico, che egli da me autorizzato a trattare in mio nome. Perciò, la procura consiste in un negozio unilaterale che va distinto dal rapporto interno tra rappresentante e rappresentato: questo rapporto interno può derivare da amicizia, da un contratto di lavoro ecc. La procura può essere espressa o tacita, Per la procura non è richiesta alcuna forma particolare. Le conseguenze dell’atto compiuto dal procuratore si ripercuotono direttamente sul patrimonio del rappresentato, che è il vero interessato all’atto. Perciò, per la vendita del negozio concluso mediante rappresentanza, è necessaria la capacità legale del rappresentato. La procura può riguardare un solo affare o più affari determinati (procura speciale), o può riguardare tutti gli affari del rappresentato (procura generale). Poiché in genere la procura è conferita nell’interesse del rappresentato, questi può modificarne l’oggetto o i limiti e può anche togliere al rappresentante il potere che gli aveva conferito. L’atto con il quale il rappresentato fa cessare gli effetti della procura si chiama revoca della procura. Anche la revoca è negozio unilaterale: come è sufficiente una dichiarazione dell’interessato per conferire il potere di rappresentanza, allo stesso modo una sua dichiarazione basta a toglierlo. La procura, basandosi sulla fiducia personale che il procuratore ispira, cessa, di regola, anche per la morte sia del rappresentante che del rappresentato. La revoca e le modificazioni della procura devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei se non si è fatto il negozio resta valido altrimenti il terzo ha l’onere di provare che il terzo al momento della conclusione del contratto era a conoscenza della modificazione della procura. IL CONTRATTO PRELIMINARE ED I VINCOLI A CONTRARRE Contratto preliminare è un particolare contratto con il quale le parti si obbligano vicendevolmente alla stipula di un futuro contratto (il contratto definitivo).di cui devono aver gia determinato il contenuto essenziale. Il preliminare non produce gli effetti tipici del contratto ma già obbliga le parti a stipulare il definitivo che produrrà tutti gli effetti che fin da ora sono stati fissati. Nella pratica si parla di compromesso ma è una terminologia errata in quanto si usa quando le parti decidono di affidare la soluzione di una lite al giudizio di uno o piu arbitri. Il preliminare per non essere invalido deve gia precisare in modo sufficiente il contenuto del contratto definitivo la sue conclusione e non deve richiedere nessuna ulteriore discussione per decidere in ordine agli elementi dell accordo da sottoscrivere. Il cc non definisce la tipologia del preliminare parla solo dei requisiti di forma (il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma che la legge prevede per il definitivo) e di tutela dei diritti delle parti (se l'obbligato a stipulare il contratto definitivo non adempie alla sua obbligazione, l'altra parte può rivolgersi al giudice affiche questo pronunci una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso; se però si tratta di contratti che hanno ad oggetto il trasferimento della proprietà di cosa determinata o di un altro diritto, la parte che intende ottenere il trasferimento con la sentenza deve eseguire la sua prestazione o offrirsi di eseguirla nei modi di legge) Il contratto preliminare puo vincolare una parte o ambedue Se si inadepie ad un contratto preliminare si ha diritto oltre che alla prestazione anche al risarcimento del danno. La sentenza è possibile se non sia stata esclusa dal titolo ovvero se entrambe le parti abbiano pattuito un esclusione convenzionale di tale mezzo. La promessa di vendita di beni immobili deve essere fatta per iscritto Il contratto preliminare è trascrivibile (es per evitare una successiva alienazione a prezzi+ favorevoli) Il preliminare trascritto non produce il trasferimento del diritto reale ma anticipa l’opponibilita ai terzi degli effetti del definitivo fin dalla data della trascrizione del preliminare (l’acquirente è così protetto da eventuali vendite successive) Una tale prevalenza non puo durare all’ infinito andrebbe contro la libera circolazione dei beni: quindi l’ operazione deve avvenire entro un anno dalla conclusione tra le parti e entro tre anni dalla trascrizione del preliminare dopo questo tempo la trascrizione si considera come mai avvenuta La trascrizione del preliminare è ammessa pure per gli edifici da costruire o in corso di costruzione a condizione che siano indicati la superficie utile dell edificio e la quota del diritto spettante al promissario acquirente relativa all’intero costruendo edificio espressa in millesimi L’opzione Con il contratto di opzione le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria proposta e l’altra abbia facoltà di accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile. In sostanza una delle parti si vincola a tenere ferma la propria proposta per un determinato periodo di tempo, mentre l'altra parte è libera di decidere, entro lo stesso periodo, se accettare o meno. In caso di accettazione, il contratto si conclude. L'opzione, non va confusa con il contratto preliminare che e un contratto reciproco e non va confusa con la prelazione con cui una parte si impegna a preferire un benefciario di un patto a parità di condizioni qualora si stipuli un futuro contratto. La prelazione La prelazione è il contratto col quale una parte attribuisce all'altra il diritto ad essere preferito ad altre parti, in genere a parità di condizioni, nel caso in cui ci si determini a stipulare un determinato contratto. Ad esempio, Tizio stipula un contratto di prelazione con Caio obbligandosi, nel caso decida di vendere un immobile di sua proprietà, a cedere il bene a Caio, pur in presenza di altre offerte, e con lo sconto del 10% sulla più alta tra le offerte stesse. Nulla impone al soggetto che si obbliga di addivenire necessariamente alla stipula del successivo contratto, ma ove dovesse decidersi, dovrà preferire quale contraente il soggetto con il diritto di prelazione. Il soggetto vincolato dalla prelazione deve comunicare se intende o meno esercitare il suo diritto di preferenza.La prestazione è volontaria se pattuita dalle parti legale se accordata da una norma di legge. (es coeredi hanno il diritto di prelazione se una parte vuole vendere a terzi per tutelare gli interessi dei coerdei alla comunione ereditaria) Altro caso di prelazione è quello dello Stato nell’ acquisto dei beni culturali alienati a titolo oneroso. Spesso, come nel caso dell'opzione, l'accordo di prelazione viene inserito quale clausola all'interno di un diverso contratto. In caso di inadempineto del patto di prelazione, il soggetto obbligato sarà tenuto al risarcimento dei danni a colui che ha il diritto di prelazione mentre il terzo non corre rischi ha acquistato in modo efficace la sua titolarietà L’OGGETTO DEL CONTRATTO L’oggetto del contratto deve essere possibile lecito determinato o determinabile La norma non prevede una definizione di oggetto cioè ha dato diverse letture: a) l’oggetto sono le prestazioni b) l’oggetto è il bene dovuto c) l’oggetto è il contenuto del contratto Aldilà delle letture passiamo ai requisiti dell’ oggetto esso deve essere: possibile cioè suscettibile di esecuzione (es. non si puo consegnare una cosa inesistente) e và applicata in se per se non in relazione al soggetto (è possibile dare una somma di denaro quand’anche chi deve fornirla sia privo di mezzi) lecito l’oggetto del contratto è illecito quando la prestazione e contraria all’ordine pubblico e al buon costume determinato e determinabile occorre che sia chiaro a che cosa le parti si impegnino (non è valida la vendita di un appartamento tra i molti che fanno parte di un edificio) La legge ammette che il contratto possa avere per oggetto cose future se ciò non è vietato dalla legge Le parti possono stablire che l‘oggetto della prestazione sia determinato da un terzo (es possono stabilire che il prezzo della cosa oggetto della vendita sia fissato da uno stimatore esperto) Questa persona si chiama arbitratore (da non confondere con arbitro che è il privato a cui le parti affidano la risoluzione di una controversia tra loro insorta invece che sottoporla ai giudici di stato e la sua attivita si chiama arbitraggio) Le parti possono rivolgersi al giudice se la determinazione dell’arbitratore e iniqua o erronea oppure rimettersi al mero arbitrio dell’arbitratore ma in questo caso possono impugnare la determinazione solo se si riesca a provare la sua malafede (es si e fatto corrompere da una delle parti) Se l’arbitratore non provvede le parti non possono chiamare in causa il giudice ma possono di pari accordo sostituirlo con un altra arbitratore altrimenti il contratto è nullo. LA CAUSA DEL CONTRATTO Elemento essenziale di ogni negozio giuridico è la sua causa. Ogni negozio deve avere la sua causa perchè ad ogni negozio deve corrispondere uno scopo socialmente apprezzabile. In primo luogo si parla di causa dell’obbligazione per indicare “il titolo” da cui il debito deriva, la sua “fonte” e ovviamente il riferimento ad un attribuzione patrimoniale. Quindi la causale ha importanza ove l’autonomia dei privati può influire sul contenuto non ha quindi importanza per il patrimonio l’adozione ec. Quando il contenuto del negozio dipende dalla libera scelta del privato è necessario che gli effetti complessivamente perseguiti siano giustificati dal punto di vista dell’ ordinamento giuridico L’esigenza della causa lecita indica la necessità che siano leciti non soltanto i singoli effetti perseguiti (es. trasferimento di una proprietà), ma soprattutto la loro combinazione, cioè non sempre un certo risultato può realizzarsi solo perché voluto e promesso: un “nudo” consenso non è sufficiente per dare luogo ad effetti giuridici.(es generica promessa di mantenere un parente povero) In parole povere le promesse che le parti si scambiano non hanno valore se le parti non ne potranno pretendere l’esecuzione coattiva agendo in giudizio. Và comunque verificato il controllo e l’esistenza della liceità della causa ad es. se mi assicuro per incendio quando sò che la mia macchina è gia bruciata in questo caso il contratto è nullo per assenza della causa e xchè non ha giustificazione l’assicurazione per un danno gia verificatosi Per i contratti tipici, che sono quelli disciplinati specificatamente dal legislatore (compravendita, locazione…), l’esistenza e la liceità della causa è già valutata positivamente in linea di principio. Per i contratti atipici, che sono quelli che la pratica pone in essere pur in assenza di uno schema legislativo, essi sono meritevoli di tutela se diretti a realizzarla secondo l'ordinamento giuridico. Una categoria di contratti atipici sono i contratti misti la cui causa è costituita dalla fusione delle cause di due o piu contratti tipici es. se vendo ad un prezzo irrisorio una casa la vendita è esclusa e dobbiamo vedere se siamo di fronte ad un contratto misto o ad una donazione o ad es una locazione dove dietro corrispettivo lavo anche la biancheria e do il cibo quindi e come stesse in pensione contratto atipico) Ai contratti atipici si applica la disciplina in cui il contratto ha funzione prevalente (teoria dell’assorbimento) Vi sono poi i contratti collegati le parti stipulano negozi che sono preordinati dalle parti per la realizzazione di un disegno unitario se un contratto non si può produrre anche l’altro viene meno. Ricordiamo poi il subcontratto che ricorre quando colui che ha stipulato un contratto ne stipula un altro con un terzo che contiene un regolamento di interessi omogeneo a quello del contratto principale e che dipende da quest’ultimo es. l’appaltatore che si impegna a costruire una palazzina e che subappalta ad un terzo l’esecuzione di parte dei lavori In alcuni negozi, gli effetti si producono prescindendosi dalla causa,la quale resta, per così dire “accantonata.” Tali negozi sono detti astratti in contrapposizione agli altri che sono detti causali. Es. la cambiale se firmo delle cambiali che vengono girate ad un terzo non posso esimermi di saldarle eccependo che la causa non esiste in quanto il prestito non mi è stato erogato. Un altro caso di negozio astratto è la delegazione pura il delegato non puo sollevare eccezioni relative ai rapporti di valuta e provvista. Distinguiamo ora, l’astrazione sostanziale da quella processuale. Nell’astrazione sostanziale il negozio nel suo funzionamento resta svincolato dalla causa (negozio astratto) Nell’astrazione processuale il negozio è causale: chi agisce per ottenere la prestazione, derivante a suo favore da siffatto negozio, non ha l’onere di dimostrare l’esistenza e la liceità della causa, ma chi è chiamato in giudizio deve provarne l’eventuale mancanza o l’illiceità, se vuol sottrarsi alla condanna. La legge prevede l’astrazione processuale a proposito della promessa di pagamento e della ricognizione di debito: basta dimostrare che vi è stata questa promessa, perché colui, a cui favore la dichiarazione è stata fatta, sia dispensato dall’onere di provare il rapporto che giustifica la promessa o il riconoscimento La causa può mancare fin dall’ origine Difetto genetico della causa: Nei negozi tipici la causa esiste sempre perché il legislatore l’ha prevista nel dettare le regole di quel determinato tipo di contratto. Essa può, peraltro, mancare quando, per la situazione in cui dovrebbe operare, il negozio non può esplicare la sua funzione. Se compro una cosa che è già mia (supponendo che non si sappia che ma appartiene,), il negozio non può realizzare il risultato di trasferirmi la proprietà di una cosa che è già di mia proprietà, e, se io ho pagato il prezzo, ho diritto a riaverlo, perché, altrimenti, l’attribuzione patrimoniale non avrebbe giustificazione, sarebbe senza causa. La mancanza originaria della causa produce la nullita del negozio.Nei negozi atipici la causa manca, quando il negozio non è diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela Può darsi che la causa manchi originariamente solo in parte (difetto genetico parziale della causa). Ciò può avvenire nei contratti a prestazioni corrispettive, nei quali al sacrificio patrimoniale di una parte fa riscontro quello dell’altra (es. vendita, nella quale il venditore trasferisce la cosa e il compratore paga il prezzo). Perché la causa debba ritenersi in parte mancante basterebbe che le due prestazioni non siano equivalenti: ma, per la sicurezza delle contrattazioni, la legge attribuisce rilevanza al difetto di causa solo se lo squilibrio tra la prestazione di una parte e il corrispettivo assuma proporzioni inique o notevoli. E sia frutto del perturbamento della volonta di una delle parti (contratto concluso in stato di pericolo o bisogno in questo caso il contratto viene viene rescisso. Possono sopravvenire circostanze che impediscono alla causa di funzionare (difetto sopravvenuto o funzionale della causa). Es. compro una merce con pagamento a termine e sopraggiunge una svalutazione monetaria lo scambio diviene imperfetto perché una delle prestazioni diventa sproporzionata rispetto all altra. In tutti i casi impossibilità sopravvenuta o di eccessiva onerosità sopravvenuta il contratto non è nullo, ma la parte può agire per la risoluzione del contratto e così sciogliersi dal vincolo. La causa è illecita quando è contraria alla legge e all’ordine pubblico (cd negozio illegale) e al buon costume (cd negozio immorale) Buon costume: principi etici che costituiscono la morale sociale in quanto ad essi uniforma il suo comportaento la generalità delle persone oneste corrette di buona fede e di sani principi in un determinato ambiente e in una determinata epoca L’illiceità della causa produce la nullità del negozio Se è stata eseguita una prestazione in esecuzione di un negozio avente causa illecita, essendo il negozio nullo, chi l’ha eseguita avrebbe diritto ad ottenere la restituzione di ciò che ha dato (ripetizione dell’indebito). Invece, la ripetizione non è sempre ammessa. Bisogna tener presente a riguardo che l’immoralità può essere unilaterale o bilaterale: se per liberare una persona a me cara che è stata sequestrata, pago la somma richiesta, non commetto un’azione immorale; l’immoralità è solo dalla parte dei banditi ed in questo caso il diritto di chiedere la restituzione di quanto sia stato pagato è ovviamente riconosciuto all’interessato. Tale diritto, invece, deve essere negato se il pagamento deve considerarsi immorale anche in relazione a chi effettua la prestazione (es. di colui che dà danaro per corrompere un pubblico funzionario). Il motivo che spinge un soggetto a porre in essere un negozio giuridico è lo scopo pratico, individuale, da lui perseguito e che lo “motiva” al compimento dell’atto e non viene comunicato alla controparte; ed anche se le viene comunicato rimane per questa del tutto indifferente (motivi giuridicamente irrilevanti). Compro una casa per me o per rivenderla. I motivi diventano rilevanti quando la loro realizzazione divenga espressamente oggetto di un patto contrattuale: ad es. acquisto il terreno a condizione di potervi edificare questo determinato tipo di edificio e quindi il contratto diventerà efficace solo se il comune competente rilascerà una concessione ad aedificandum conforme ai miei scopi. Perché il contratto sia colpito da nullità per illeceità (il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe) occorre: che l’accordo abbia per entrambe le parti lo stesso motivo e che esso sia illecito; (contrario al buon costume (ti dò la mia casa per farne casa di appuntamenti). Il motivo illecito comune deve essere stato esclusivo e quindi determinante del consenso.(ti do la mia cassetta di sicurezza per farti nascondere della refurtiva) Con il negozio contrario alla legge le parti mirano direttamente ad un risultato vietato; invece, il negozio in frode, ha luogo quando il contratto pur rispettando la lettera della legge costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa e cioè per raggiungere un risultato praticamente equivalente a quello vietato (es. inserendo apposite clausole in un contratto tipico) Spesso è necessaria una sequenza di atti coordinati per ottenere un risultato equivalente a quello vietato dalla norma imperativa.La frode alla legge costituisce un vizio della causa dell’atto, che si concreta in un abuso della funzione strumentale tipica del negozio: questo viene impiegato per un fine che contrasta con la funzione sociale (causa) che gli è propria. La frode alla legge si distingue dalla frode ai creditori che è diretta a danneggiare costoro, stru,ento di difesa è l’azione revocatoria. Il negozio in frode alla legge si distingue anche dal negozio simulato: la simulazione consiste nel dichiarare ufficialmente cosa diversa da quella realmente voluta; nel negozio in frode alla legge, invece, la dichiarazione negoziale è effettivamente voluta, ma ha una particolare finalità antigiuridica; eludere le disposizioni di una norma imperativa. Simulazione fraudolenta: per eludere norme imperative di legge ad es. vendita per attuare in modo mascherato una donazione ad un pubblico funzionario che è vietata dalla legge. Differenza Causa e Oggetto: Causa valutazione complessiva dello scambio Oggetto si rivolge alle singole prestazioni L’INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO L’interpretazione del contratto è volta a determinare quali effetti il negozio sia idoneo a produrre (e non la volontà delle parti che può essere divergente non riconoscibile o irrilevante) Le regole di interpretazione si distinguono in due gruppi: a) regole di interpretazione soggettiva, quelle che sono dirette a ricercare il punto di vista dei soggetti del negozio. b) regole di interpretazione oggettiva, che intervengono quando non riesca possibile attribuire un senso al negozio nonostante il ricorso alle norme di interpretazione soggettiva Il punto di riferimento dell’attività dell’interprete deve essere il testo della dichiarazione negoziale: ma non ci si deve limitare al senso letterale delle parole occorre invece ricercare quale sia stato il risultato perseguito con il compimento dell’atto, e, quando si tratti di un contratto, quale sia stata “la comune intenzione delle parti”, ossia il significato che entrambe attribuivano all’accordo. In materia di interpretazione del contratto vale comunque la teroia dell’affidamento : esso deve essere interpretato secondo buona fede Valgono ancora come sussidiari i seguenti principi: a) gli usi interpretativi ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso o, se una delle parti è un imprenditore, nel luogo in cui si trova la sede dell’impresa; b) la regola secondo cui le espressioni che possono avere più sensi devono, nel dubbio, essere intese in quello più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto c) la clausola predisposta da una delle parti nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari, nel dubbio si interpreta contro chi ha predisposto la clausola Se nonostante il ricorso alle regole il contratto non risulti chiaro si applica il principio della conservazione del negozio:ovvero nel dubbio il negozio deve interpretarsi nel senso in cui esso possa avere qualche effetto anziche in quello secondo cui non ne avrebbe alcuno. Vi è da ultimo una regola finale che si applica quando tutte le altre si siano dimostrate inefficienti: l’art.1371 c.c. stabilisce che il negozio deve essere inteso nel senso meno gravoso per l’obbligato, se è a titolo gratuito, e nel senso che esso realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti, se è a titolo oneroso. GLI EFFETTI DEL CONTRATTO Si dice che il contratto ha forza di legge in quanto le parti, dal momento in cui esso si perfeziona, sono obbligate ad osservarlo (prima sono libere o meno di addivenire). Le parti sono libere con un atto di comune volontà di sciogliere o modificare il contratto (cd mutuo consenso delle parti) Il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità. Il recesso (diritto di liberarsi degli obblighi assunti con il contratto) è amissibile soltanto quando attribuito dalla legge o da un apposito patto tra le parti (recesso convenzionale) esso deve essere esercitato prima che abbia inizio l’esecuzione del contratto. Spesso un diritto di recesso è attribuito ad una parte a fronte di un corrispettivo, rappresentato di solito da una somma di danaro.(es. la caparra per un viaggio che si consegna nel caso si voglia recedere ovviamente e salvo patto contrario). Talvolta è la stessa legge che attribuisce ad una della parti il diritto di recedere da un contratto ove si verifichino determinati presupposti (es. nei contratti a tempo indeterminato è normale che ciascuna parte possa liberamente recedere salvo l’onere di dare all’altra parte un congruo preavviso). A volte la legge permette ad una parte di recedere in qualsiasi momento all’altra solo per giusta causa (es. contratto di lavoro a tepo indeterminato) Diverso dal recesso è la disdetta di un contratto per il quale sia previsto un automatico rinnovo alla scadenza (es. locazioni il contratto si rinnova automaticamente a meno che una parte intimi disdetta) La legislazione permette la rescissione del contratto se ad. Esempio le modalità di conclusione del contratto stesso siano state tali da impedirgli una valutazione adeguataente ponderata (es. vendite porta a porta o contratti negoziati fuori dai locali commerciali) Per stabilire quali effetti un negozio è idoneo a produrre occorre non soltanto averlo interpretato a anche aver proceduto alla qualificazione dell’atto e l’integrazione dei suoi effetti Qualificazione ovvero che sia inserito sotto la fattispecie legale appropriata Integrazione ovvero la verifica che siano applicate le eventuali norme dispositive gli usi el’equità. L’integrazione risolve anche i problei delle eventuali lacune del diritto che possono essere colate da nore dispositive: es. il corrispettivo può essere determinato dal giudice applicando usi ed equità La legge interviene non solo con funzione integratrice della volontà privata, ma pure con funzione imperativa, che annulla ogni contraria pattuizione dei privati. (es. giudice che decide secondo equita’) Quindi importante è l’intervento legislativo che impone clausole o prezzi che si sostituiscono a quelli pattuiti dai contraenti un tempo vi era la fissazione autoritativa di alcuni prezzi (giornali benzina) oggi si tende alla liberalizzazione ma vi sono ancora casi in cui vi sia l’intervento legislativo per fissare un prezzo massimo e nel caso in cui un terzo abbia pagato un prezzo superiore a quello massimo non ha la nullità del suo contratto ma ha il diritto di richiederne restituzione o di rifiutare il pagamento se ancora non corrisposto Infine va ricordato che il principio fondamentale in tema di esecuzione del contratto, come in tema di interpretazione, deve essere il rispetto della buona fede. Gli effetti del contratto sono limitati alle parti: esso non può di regola né danneggiare né giovare al terzo Se ti prometto che un terzo assumerà il tuo debito o svolgerà una determinata attività a tuo favore, il terzo è naturalmente libero di compiere o meno quanto io ho promesso: obbligato sono soltanto io a persuadere il terzo a fare quanto ho promesso. Se il terzo non aderisce alle mie premure, l’unica conseguenza della promessa dell’obbligazione sarà che io dovrò indennizzare colui a cui ho fatto la promessa, anche quando mi sia adoperato con ogni mezzo per indurre il terzo L’art.1411 c.c. ammette in via generale la figura del contratto con cui la volontà delle parti sia di attibuire diritti ad un terzo , subordinandone la validità soltanto alla condizione che lo stipulante abbia un interesse, anche se solamente morale, all’attribuzione di tale vantaggio al terzo. Perché si abbia un contratto a favore di terzi è indispensabile l’attribuzione al terzo della titolarità di un diritto a poter pretendere l’esecuzione di una prestazione: con la conseguenza che il terzo, occorrendo, potrà agire in giudizio contro l’obbligato, indipendentemente dalle iniziative e dal comportamento dello stipulante. Il promittente può porre al terzo le eccezioni fondate sul contratto dal quale il terzo deriva il suo diritto, ma non quelle fondate su altri rapporti tra promittente e stipulante. Figure particolari di contratti a favore del terzo sono costituite dal contratto di assicurazione sulla vita a favore del terzo, dal contratto di trasporto di cose (il contratto è tra mittente e vettore ma genera diritti a favore del destinatario) La disciplina fondamentale a favore del terzo è: a) il terzo acquista il diritto verso chi ha fatto la promessa, fin dal momento della stipulazione del contratto a suo favore ma questo acquisto non è definitivo perché non può negarsi al terzo la facoltà di rinunziare al beneficio: è giusto che anche lo stipulante possa revocare o modificare la stipulazione a favore del terzo. Solo quando il terzo, esercitando il potere attribuitogli dalla legge, dichiari di volerne approfittare, la facoltà di revoca o di modificazioni è preclusa se però la prestazione deve eseguirsi dopo la morte dello stipulante, (es assicurazione sulla vita) la revoca è sempre possibile,. b) causa dell’acquisto del diritto a favore del terzo è il contratto a suo favore: perciò chi ha promesso la prestazione può opporre al terzo tutte le eccezioni fondate su questo contratto. I contratti ad effetti reali e ad effetti obbligatori I contratti possono essere ad effetti reali se determinano la trasmissione o la costituzione di un diritto reale e ad effetti obbligatori quando danno luogo alla nascita di un rapporto obbligatorio I principi fissati dalla legge sono: a) se si tratta di cosa determinata, la proprietà passa per effetto del consenso manifestato nelle forme di legge: se si tratta di immobili, basta che le parti abbiano firmato il contratto; se si tratta di mobili, basta che le parti abbiano raggiunto, anche verbalmente, l’accordo; (non è necessario consegna passaggio ecc. b) se si tratta di cose determinate solo nel genere (cose generiche o fungibili), la proprietà si trasmette con l’individuazione delle cose mediante pesatura o misurazione quindi dato che non è possibile identificare prima pesatura o misurazione ne consegue che il contratto che ha ad oggetto cose identificate solo nel genus è un contratto ad effetti obbligatori (mi obbligo ad adempiere a quanto concordato e non reali) c) Se l’oggetto del trasferimento è una determinata massa di cose (ti vendo non tanto quintali di vino, ma tutto il vino della mia cantina), è chiaro che non c’è bisogno di individuazione: perciò la proprietà si trasmette per il semplice consenso Se una persona concede lo stesso diritto prima ad A e poi con un successivo contratto a B, tra A e B, dovrebbe essere preferito colui a cui il diritto è stato concesso per primo. In ogni caso, il contraente che viene sacrificato ha diritto al risarcimento dei danni verso l’altra parte, la quale, attribuendo lo stesso diritto ad altri, ha violato il contratto (una volta che il titolare si è spogliato del diritto non puo più disporne a favore di altri) Se taluno, con successivi contratti aliena a più persone un bene mobile non registrato, quella tra esse che ne ha acquistato in buona fede il possesso, è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore. Se il conflitto riguarda diritti reali ed alcuni diritti personali su beni immobili o mobili registrati, si applicano le regole della trascrizione. Se il diritto di utilizzare lo stesso bene (es. loco un immobile ad A e B) è stato concesso a più persone, tra i vari aventi diritto è preferito chi per primo ha conseguito il godimento della cosa; se nessuno ha conseguito tale godimento, si applica la regola generale: la preferenza spetta a colui che può dimostrare di aver concluso il contratto in data anteriore. LA PENALE E LA CAPARRA In caso di inadempimento, il creditore ha diritto, come sappiamo, ad essere risarcito dei danni subìti ma ha l’onere di provare il danno cosa che spesso non è semplice e richiede molto tempo e spese perciò le parti possono stabilire nel contratto una clausola con cui stabiliscono ex ante, quanto il debitore dovrà pagare, a titolo di penale, ove dovesse rendersi inadempiente. In tal caso la parte inadempiente è tenuta a pagare la penale stabilita, senza che il creditore debba dare la prova di aver subìto effettivamente un danno di misura corrispondente: e perciò si dice che tale clausola penale contiene una liquidazione convenzionale anticipata del danno. E’ chiara la funzione della penale dato che chi dovrà corrispondere l’intera cifra in caso di inadempienza sarà sollecitato a non rendersi inadempiente ed a portare a conclusione il contratto. Il creditore non può richiedere più di quanto previsto dalla penale nemmeno se il danno risulti maggiore (ovviamente le parti sono libere di prevedere nel contratto anche il risarcimento del maggior danno) La penale può essere prevista sia per inadempimento assoluto dove il creditore, se pretende la penale, non può più pretendere la prestazione principale, che per il semplice ritardo dove può pretendere sia la penale che la prestazione contrattualmente prevista. Il giudice può ridurre l’ammontare della penale ove la ritenga eccessiva oppure se il debitore abbia eseguito almeno in parte la prestazione dovuta. La clausola penale non và confusa con la caparra la penale è fonte di un obbligazione mentre la caparra è l’effettiva consegna di un quantum di denaro o cose fungibili La caparra: il c.c. disciplina due tipi di caparra: La caparra confirmatoria Si provvede a consegnare all’altra parte, nel momento stesso del perfezionamento dell’accordo, una somma di danaro o una quantità di cose fungibili. La caparra, una volta eseguito il contratto, deve essere restituita o trattenuta a titolo di acconto sul prezzo. Se la parte che ha dato la caparra si rende inadempiente l’altra parte può trattenerla e chiedere l'esecuzione del contratto o il risarcimento del danno subito oppure recedere dal contratto tenendo comunque la caparra. Se la parte che ha ricevuto la caparra si rende inadempiente l’altra parte può chiedere l'esecuzione del contratto o il risarcimento del danno subito o recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra. La caparra penitenziale La somma versata a titolo di caparra ha solo la funzione di corrispettivo di un diritto di recesso che le parti possono riservarsi.: vale a dire che chi ha versato la caparra può rinunciarvi ed il contratto è sciolto, senza che la controparte possa pretendere altro (esecuzione del contratto o risarcimento dei danni) parimenti chi ha ricevuto la caparra può recedere dal contratto restituendo il doppio della caparra ricevuta. LA CESSIONE DEL CONTRATTO L’appaltatore ha l’obbligo di eseguire l’opera ed è creditore del corrispettivo Si ha cessione di un contratto quando una parte (il cedente) di un contratto originario, purchè a prestazioni corrispettive da ambo le parti non ancora eseguite, stipula con un terzo (il cessionario) un nuovo contratto (di cessione), con il quale cedente e cessionario si accordano per trasferire a quest’ultimo il contratto (originario), ossia tutti i rapporti attivi e passivi determinati dal contratto ceduto verso il contraente (ceduto).Il consenso alla cessione da parte del contraente ceduto può essere dato anche in via preventiva: in tal caso la cessione del contratto diventa efficace con la semplice notificazione al ceduto dell’accordo di cessione tra cedente e cessionario. Per effetto della cessione il cedente è liberato dalle sue obbligazioni verso il contraente ceduto e non è neppure responsabile verso quest’ultimo dell’eventuale inadempimento contrattuale da parte del cessionario.. Se il ceduto vuole evitare questa conseguenza, deve dichiarare espressamente che con il suo consenso alla cessione non intende liberare il cedente: in tal caso quest’ultimo risponde in proprio qualora il cessionario si renda inadempiente agli obblighi contrattuali assunti. Parimenti il cedente non è responsabile verso il cessionario qualora il ceduto non adempia agli obblighi derivanti dal contratto ceduto. In ogni caso il cedente è tenuto a garantire al cessionario esclusivamente la validità del contratto. La cessione del contratto può essere stipulata senza prevedere alcun corrispettivo a carico dell’uno o dell’altro dei contraenti: in tal caso le parti considerano equilibrati i rispettivi oneri e vantaggi. Ma la cessione del contratto può anche essere stipulata prevedendo un corrispettivo o a carico del cessionario e a favore del cedente (pago perché avrò un utile maggiore alla fine dei lavori xchè mi interessa l’appalto o a carico del cedente e a favore del cessionario.(il cedente teme di non portare a termine il contratto treaendone un utile quindi paga il cessionario per liberarsi dalla preoccupazione di dover effettuare dei lavori in perdita) Occorre distinguere la cessione del contratto dal subcontratto o contratto derivato. Nella cessione si ha sostituzione di un nuovo soggetto ad uno dei contraenti originari e tutti i rapporti contrattuali restano invariati, nel subcontratto, invece, i rapporti tra i contraenti originari continuano a sussistere, ma accanto ad essi si creano nuovi rapporti tra uno dei contraenti originari ed un terzo Es. tra subconduttore e inquilino c’è rapporto diverso e canone diverso che tra inquilino e locatore GLI ELEMENTI ACCIDENTALI DEL CONTRATTO LA CONDIZIONE La condizione è un avvenimento futuro e incerto dal quale le parti fanno dipendere o la produzione degli effetti del negozio (condizione sospensiva) o l’eliminazione degli effetti che il negozio ha già prodotto (condizione risolutiva). Es. condizione sospensiva mi impegno a comprare il tuo fondo se entro un anno il comune mi permettera’ di costruirci Se alieno il bene durante il periodo in cui vigeva la condizione sospensiva la vendita è valida in quanto ritenuta fatta da chi era proprietario e poteva disporre dell’immobile (cd retroattività reale) Es. condizione risolutiva compro il tuo fondo subito ma se entro un anno il comune non mi perettera’ di costruirci il contratto sara’ nullo L’apposizione della condizione è inopponibile per il matrimonio e tutti i negozi di diritto familiare La condizione è casuale se dipende dal caso (se la nave giunge in Asia) potestativa se dipende dalla volontà di una delle parti mista se dipende da entrambe. La condizione è illecita quando è contraria a norme imperative all’ordine pubblico e al buon costume (es. illecito è il testatore che dichiari di lasciare l’eridità ad una persona a patto che ne sposi un'altra) La condizione è impossibile se consiste in un avvenimento irrealizzabile dal punto di vista naturale (toccare il cielo con un dito) o giuridico (se sposerai tua sorella) La condizione si dice avverata quando si verifica l’evento dedotto (la nave giunge in Asia) e a questo punto si producono tutte le conseguenze del negozio TERMINE Il termine consiste in un avvenimento futuro e certo dal quale o fino al quale debbano prodursi gli effetti del negozio. Si divide in determinato (il cinque agosto dell’ottanta) e indeterminato (il giorno della mia morte) Alcuni negozi non tollerano l’apposizione di termini ad esempio il matrionio Il negozio con termine rimesso alla volontà del debitore è valido spetterà al giudice fissare il momento in cui il negozio comincerà ad avere efficacia In relazione al termine si distinguono due momenti: pendenza e scadenza Durante la pendenza il diritto non può essere esercitato ma un conto è ricevere una somma oggi un conto è tra un anno quindi il debitore se ignorava l’esistenza del termine può chiedere di essere rimborsato del vantaggio che ha ricevuto l’altra parte per aver ottenuto prima la prestazione. Con la scedenza cessano gli effetti del contratto senza valore retroattivo. MODO Il modo od onere è una clausola accessoria che si appone ad una liberalità (erede, legato) allo scopo di limitarla imponendo un determinato dovere di condotta o di astensione a carico del beneficiario della liberalità. Dobbiamo distinguere tra questo onere e il comportamento che la parte deve tenere per conseguire un effetto giuridico (es. onere di comunicare il prodotto viziato entro otto giorni.) La limitazione può consistere in un obbligo in dare (ti istituisco erede se darai ogni anno una somma in beneficenza) di fare (ti dono un immobile se costruirai un ospedale nel mio paese) o di non fare (ti lascio un terreno se non vi costruirai) Quindi il modo si può appore ai negozi a titolo gratuito Il modo si distingue dalla raccomandazione che è un semplice dovere morale Il modo si differenzia dalla condizione sospensiva in quanto questa non produce un obbligo ovvero ti dono un milione di euro se costruisci un ospizio sei libero o meno di costruire l’ospizio ma avrai il milione se lo farai. La risoluzione ha luogo quando il modo ha assunto un tale rilievo per cui la risoluzione è prevista nell’atto come conseguenza dell’inadempimento. LA MANCANZA DI VOLONTA’ E LA SIMULAZIONE E’ un classico problema del negozio giuridico quello in cui una dichiarazione esteriorizzata non corrisponda ad un effettiva volontà del dichiarante. E’ applicando la teoria dell’affidamento che si risolvono i casi di mancanza di volontà o di divergenza tra volontà e dichiarazione. Dobbiamo distinguere le dichiarazioni fatte nello scherzo, ossia in condizioni tali che ciascuno intenda che non si agisce sul serio; e le dichiarazioni fatte per ischerzo, ossia con intenzione non seria, senza, però, che ciò risulti all’altra parte. Nella prima il negozio è nullo, nella seconda è valido se la controparte non poteva avvedersi dello scherzo La riserva mentale consiste nel dichiarare intenzionalmente cosa diversa da quel che si vuole effettivamente, senza che l’altra parte sia in condizione di scoprire la divergenza. E, siccome chi riceve la dichiarazione non è tenuto ad indagare sulle reali intenzioni del dichiarante, questo rimane vincolato dagli atti del negozio giuridico. La violenza fisica si ha quando manca del tutto la volontà; la violenza psichica, invece, consiste in una minaccia che fa deviare la volontà inducendo il soggetto ad emettere una dichiarazione che, senza la minaccia, non avrebbe emesso. Il negozio concluso per violenza fisica è nullo. LA SIMULAZIONE Si considera “simulato” un contratto quando le parti ne documentano la stipulazione, al fine di poterlo invocare di fronte ai terzi, ma sono tra loro d’accordo che gli effetti previsti dall’atto simulato non si devono verificare. Così, la situazione giuridica che dovrebbe essere effetto del contratto è solo apparente, mentre la situazione giuridica reale rimane quella anteriore all’atto. (es per sfuggire ai creditori fingo una vendita essa è reale per la legislazione ma non ha effetti per il terzo che non acquista la proprietà né è tenuto a pagarne il prezzo) La divergenza tra la dichiarazione e la reale volontà delle parti non soltanto è consapevole ma è addirittura concordata. Lo scopo per cui le parti ricorrono alla simulazione si chiama causa simulandi. Essa può avvenire per cause fraudolente (evadere il fisco) o anche per ragioni di riservatezza (voglio regalare una cosa non voglio che si sappia allora simulo una vendita ). Occorre quindi tener presente due piani la volontà delle parti di porre in essere un contratto che attesti una determinata situazione giuridica e l’accordo riservato in forza del quale le parti considerino inefficace il suddetto accordo. simulazione assoluta simulazione relativa le parti vogliono solo fingere di porre in essere un contratto ma non vogliono nessuno come nel caso in cui si finge di vendere una casa ma questa rimane di proprietà del finto venditore. Il contratto simulato non ha effetto tra le parti le parti fingono di stipulare un contratto mentre, in realtà ne pongono in essere un altro: si simula di vendere una casa, ma questa viene donata al finto acquirente. In questo caso vale il negozio dissimulato, cioè la donazione, mentre non ha effetto la finta vendita La simulazione si dice assoluta se le parti si limitano ad escludere la rilevanza, nei loro rapporti, del contratto apparentemente simulato; Il negozio simulato non produce effetto tra le parti. Se davanti al giudice dimostro che Tizio era d’accordo con me quindi richiedo un azione di accertamento la giurisprudenza qualificherà il contratto come nullo. Si dice invece relativa qualora le parti concordino che nei loro rapporti interni assuma rilevanza un diverso negozio, che si dice dissimulato Se la simulazione è relativa, il contratto simulato non può produrre effetti tra le parti in quanto queste si sono accordate perché non si verifichino ma produce gli effetti richiesti dal contratto dissimulato. Es. voglio vendere gratuitamente ma non voglio farlo sapere trattasi di simulazione relativa (o dissimulata) invece simulo per frodare la legge trattasi di simulazione assoluta. La simulazione relativa può essere oggettiva o soggettiva, a seconda che il negozio dissimulato differisca da quello simulato per quanto riguarda l’oggetto dell’atto, (es. dichiarazione di un prezzo inferiore per versare meno imposte) o il soggetto come nell’ interposizione fittizia di persona che è la figura più importante di simulazione relativa essa ricorre quando il contratto simulato in accordo con l’alienante viene stipulato tra Tizio e Caio, ma entrambi sono d’accordo con Sempronio che, in realtà, gli effetti dell’atto si verificheranno nei confronti di quest’ultimo. (es. Sempronio che vuole acquistare un immobile per sfuggire ai creditori effettua un acquisto simulato in cui risulta Caio (cd prestanome) ad aver acquistato l’immobile da Tizio. L’interposizione fittizia di persona si distingue dall’interposizione reale dove l’alienante non partecipa agli accordi tra acquirente (persona interposta) e terzo, cosicchè l’alienazione non è simulata, ma realmente voluta e gli effetti dell’atto si producono regolarmente in capo all’acquirente, restando indifferente per l’alienante che quest’ultimo non intende acquistare per sé, ma per conto di un terzo, con cui l’alienante non entra in rapporto e verso il quale né assume obblighi né acquista diritti. L’azione tendente all’accertamento della simulazione è imprescrittibile mentre le azioni volte ad ottenere l’adempiento del contratto dissimulato sono suscettibili di prescrizione. Le parti del contratto simulato possono darne prova con ogni mezzo compresi testimoni e presunzioni (es. in caso di vendita che essa si avvenuta tra persone in stretta confidenza o che l’acquirente non avesse denaro sufficiente per la transazione). I terzi estranei al contratto simulato, se ne sono pregiudicati, possono farne accertare la nullità. (es. eredi che vogliono dimostrare la simulazione di una vendita che celava una donazione lesiva dei loro diritti in quanto legittimari) L’art.1415.1 c.c. dispone che la simulazione non può essere opposta né dalle parti contraenti né dagli aventi causa o dai creditori del simulato alienante, ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente. (es. stò in affitto da chi ha simulato l’acquisto) Per quanto riguarda l’onere della prova della buona fede, si applica il principio dell’art.1147 c.c., in base al quale la buona fede si presume. Perciò spetta a chi vuole opporre la simulazione fornire la prova che il terzo acquirente è in mala fede. È importante chiarire che il terzo non solo è chi ha acquistato a titolo oneroso, ma anche chi ha acquistato a titolo gratuito. terzi che sono sono gli aventi causa del simulato alienante (del finto venditore) come i suoi eredi; questi, pregiudicati senza limitazione di mezzi di prova, possono far valere la realtà sulla finzione che appare dalla dal contratto simulato simulazione sono coloro che in base al contratto simulato hanno acquistato diritti dal finto acquirente terzi che hanno del bene; in questo caso bisogna distinguere: 1. acquisto dei terzi avvenuto in buona fede: l'acquisto è fatto salvo nonostante che il acquistato diritti negozio da cui i terzi derivano il loro diritto sia solo simulato; dal titolare 2. acquisto dei terzi avvenuto in mala fede: in tal caso i terzi sapevano della simulazione ed apparente il loro acquisto non può essere opposto a coloro, parti o aventi causa, che intendono far valere la realtà sull'apparenza del contratto simulato Un discorso a parte deve essere fatto in merito agli effetti della simulazione nei confronti dei creditori delle parti; ne avremo, infatti, due categorie: i creditori del simulato alienante che avranno tutto l'interesse a far valere la simulazione poiché vogliono far tornare nel patrimonio del loro debitore quello che (apparentemente) ne era uscito per riacquistare una garanzia reale i creditori del simulato acquirente che avranno un interesse opposto ai primi in quanto vorranno far considerare efficace l'atto di acquisto del loro debitore in modo da essere più garantiti vogliono acquistare una garanzia reale. I creditori del simulato alienante sono: i creditori di colui che ha finto di vendere, mantre i creditori del simulato acquirente sono i creditori di colui che ha finto di acquistare! Potrebbe accadere, infatti, che entrambe le categorie di creditori intendano soddisfarsi sul bene oggetto del contratto simulato in questo caso prevarranno i creditori del simulato alienante in quanto deve prevalere la realtà sulla finzione (il bene non è mai uscito dal patrimonio del loro debitore) ma quando il loro credito è sorto dopo la finta alienazione prevarranno i creditori del simulato acquirente. Il negozio simulato và distinto da altre situazioni negoziali apparentemente affini La simulazione non va confusa con: • La figura dell’intestazione di un bene a norme d’altri ricorre tutte le volte in cui un bene viene intestato (non simulaneamente) a favore di un soggetto, e i mezzi per il suo acquisto siano stati forniti da un soggetto diverso. Es. donazione indiretta • il negozio indiretto quando un determinato effetto giuridico non viene realizzato direttamente, ma ponendo in essere atti diretti ad altri effetti, ma che con la loro combinazione realizzano egualmente il risultato perseguito. Es. per estinguere un debito conferisco al creditore la possibilita di riscuotere un canone di locazione fino a copertura del debito La categoria più importante di negozi indiretti è costituita dai c.d. negozi fiduciari cioè quando un soggetto detto fiduciante, trasferisce (senza corrispettivo), o fa trasferire da un terzo (pagando lui il correlativo prezzo), ad un fiduciario la titolarità di un bene (mobile), ma con il patto che l’intestatario utilizzerà il bene esclusivamente in conformità alle istruzioni che il fiduciante gli ha impartito o si riserva di impartirgli successivaente Nel negozio fiduciario le parti vogliono che il fiduciario acquisti la titolarieta del bene (al contrario della simulazione) ma vogliono che al contempo egli non utilizzi questa titolarietà nel proprio interesse ma nell’ interesse del fiduciante (es. si trasferisce un pacchetto azionario, con l'accordo che l'acquirente dovrà votare all'assemblea dei soci nel modo indicato dall'alienante. .Il negozio fiduciario non è regolato dal c.c. ed è valido se non intende perseguire scopi illeciti. L'istituto della fiducia non è regolato nel nostro ordinamento, ma diversamente accade per per l'ordinamento anglosassone dove esiste la figura del trust ( fiducia, in italiano) dove una parte detto trustee ( e cioè un amministratore fiduciario), acquista la proprietà di un bene, che però, essendo stata acquistata per un fine specifico, come ad esempio il finanziamento di un'attività di ricerca, forma una sorta di bene patrimoniale autonomo rispetto al patrimonio del trustee, tanto che il beneficiario ha particolari azioni a difesa del suo diritto. il bene oggetto del trust non entra a far parte del patrimonio del fiduciario, cioè del trustee, rimanendone distinto. Differenza tra simulazione e frode alla legge o ai creditori Nella simulazione l’atto negoziale non è voluto, nella frode sono voluti sia pure con un intento di frode INVALIDITA’ ED INEFFICACIA DEL CONTRATTO Differenza fondamentale tra NULLITA’ e ANNULLABILITA’. NULLITA’= può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse; ANNULLABILITA’= può essere fatta valere da una delle parti del negozio che è tutelata dalla norma. Il negozio giuridico è invalido quando, per l’inosservanza dei limiti stessi, il negozio è viziato, difettoso, e dunque inidoneo ad acquistare pieno ed inattaccabile valore giuridico L’invalidità può assumere due aspetti distinti: la nullità e l’annullabilità. E’controversa la categoria dell’inesistenza che sia ha quando un negozio ha una deficienza talmente grave da ipedirne l’identificazione (es. un matrionio tra due persone dello stesso sesso non è non nullo ma inesistente questo perché un matrionio nullo produce effetti nella parte in buona fede e verso la prole mentre un atrionio inesistente non è preso in considerazione neanche nei limitati effetti del matrionio putativo ( ovvero se i coniugi hanno contratto il matrimonio in buona fede l'annullamento opera soltanto ex nunc, (da ora.). per cui sono fatti salvi tutti gli effetti nel frattempo prodottisi) A livello contrattuale il negozio è inesistente quando non sia confrontabile con la fattispecie legale (es. mandami il carbone ti manderò la pasta richiesta) Bisogna ricordare che un negozio è valido se è efficace cioè se si realizza la mia dichiarazione di volontà (acquistare la proprietà del bene) Però ci sono delle eccezioni: un negozio valido ma non efficace Es. ti loco un immobile…. tra un mese, un testamento prima della morte del testatore Un negozio non valido ma efficace Es. un contratto annullabile produce comunque i suoi effetti benché si impugnabile e fino a che non venga annullato L’atto nullo è invece sempre invalido ed inefficace LA NULLITA` Un atto si dice nullo quando và valutato come inidoneo a produrre i suoi effetti tipici. Il cc qualifica spesso un atto come nullo (matrionio del coniuge di chi è stato erroneaente dichiarato morto presunto) La nullità è la piu grave delle sanzioni che possono colpire il negozio perché ne elide gli effetti rendendo vano il tentativo dei privati di dare una certa sistemazione ai loro interessi (es. se una vendita è nulla il copratore non acquista la proprieta della cosa) Per affermare la nullità di un negozio occorre individuare la causa che giustifica l’inidoneità dell’atto a produrre i suoi effetti. Tali cause possono raggrupparsi in tre categorie: a) specificazione della nullità contenuta in una norma di legge b) quando l’atto è contrario alla legge c) mancanza o vizio di uno degli elementi essenziali del negozio;(es. la forma quando richiesta ad susbstantiam) Nel diritto italiano, il Codice Civile afferma che un contratto che richiede la forma ad substantiam necessita, per essere valido ed efficace, della forma indicata dalla legge. Il vizio che determina la nullità può riguardare l’intero negozio (nullità totale) o solo una o più clausole dell’atto (nullità parziale): in quest’ultimo caso l’intero negozio è parimenti travolto dalla nullità se risulta che i contraenti non l’avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità. Il negozio nullo non produce alcun effetto giuridico, ma questo non significa che non possa essere eseguito (ad es. è certamente nullo il contratto con cui un killer si impegna ad ammazzare una persona contro un compenso in danaro, ma la carenza di qualsiasi effetto giuridico non esclude affatto che quel patto venga tuttavia eseguito) Dobbiamo anche valuatre che possiamo trovarci di fronte ad un atto valido ed efficace, ma non eseguito (es il mio fornitore non mi ha recapitato la merce) , e viceversa un atto nullo ed inefficace che può essere stato in toto o in parte eseguito. (es. il serial killer di cui sopra) Ciascuna delle parti ha diritto alla restituzione della prestazione eseguita a meno che non si tartti di una prestazione immorale. Qualora si voglia chiedere la restituzione di una prestazione effettuata in esecuzione di un atto nullo (ho pagato il prezzo di un immobile acquistato in forza di un contratto verbale e quindi nullo per vizio di forma) o rifiutare l’esecuzione di una prestazione, assumendo che sia nullo il negozio che la prevede; è necessario rivolgersi al giudice per far accertare e dichiarare la nullità del negozio in questione. L’azione di nullità presenta alcune caratteristiche significative: a) è imprescrittibile (l’azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione); mentre nel negozio annullabile la prescrizione è sempre possibile b) il negozio nullo è insanabile cioè non può essere convalidato, né confermato (ovvero le parti non ne possono confermare o consolidare gli effetti rinunciando a far valere il vizio che infetta il negozio se esplicassero di voler effettuare questa rinuncia essa è invalida) .La convalida non va, confusa con la “conversione” del negozio nullo, né con una “rinnovazione” dell’atto, effettuata evitando di ricorrere nuovamente nella stessa causa di nullità; c) l’azione di nullità è di mero accertamento, in quanto la sentenza che accoglie la domanda non modifica la situazione giuridica preesistente, limitandosi ad accertare, in modo non più controvertibile, che il negozio è nullo; (il negozio era nullo prima e tale rimane) d) la legittimazione attiva a far valere la nullità di un negozio è riconosciuta a chiunque vi abbia interesse (la c.d. assolutezza dell’azione di nullità); (es sia i contraenti sia il fideiussore ) e) la nullità di un atto può essere rilevata d’ufficio dal giudice al contrario di quanto accade per l’annullabilità ovvero se un negozio viene invocato da una parte in giudizio se ne può dichiarare la nullità anche in assenza di domanda in tal senso dall’altra parte la regola si spiega relativamente alla gravità delle nullità questo perché se ad es. paradossalmente potrebbe avvenire che un giudice si trovi a pronunciare una sentenza che faccia produrre effetti ad un negozio giuridico (es. una vendita gravata da vizi) se la vendita era relativa ad un immobile abusivo e nessuna delle parti invochi la nullità della vendita se egli non potesse verificare d’ufficio la nullità si troverebbe a dover denunciare una sentenza attuativa di una garanzia nascente da un atto nullo. Il negozio nullo non può, appunto stante la sua nullità, produrre gli effetti per i quali era stato posto in essere. La legge, però, ammette che, talvolta, possa attuarsi un fenomeno automatico di trasformazione/limitazione di quanto pattuito, denominato conversione. Sebbene la conversione si realizzi in casi davvero rari anche perché le parti solitamente sono in lite tra loro (altrimenti sarebbe più facile una “rinnovazione” dell’atto) L’art.1424 c.c. ne dichiara a tal fine i seguenti presupposti: a) che sia stato stipulato un negozio nullo; b) che il negozio nullo presenti tutti i requisiti, sia di sostanza che di forma, di un diverso negozio c) che sia possibile che le parti, qualora al momento della conclusione del negozio nullo fossero state consapevoli della nullità, avrebbero allora accettato di concludere, in luogo del primo, quel diverso negozio che sarebbe stato idoneo a produrre i suoi effetti. d) che il vizio non comporti l’illeceita’ del contratto Vi è la conversione che esige un indagine da parte del giudice sulla volontà delle parti (es. una servitù stipulata verbalmente: la parte ha un interesse che quell’accordo inidoneo a costituire un diritto reale possa effettuare una conversione e quindi che il proprietario del fondo assuma un valido impegno a tollerare l’esercizio della servitù) e la conversione formale che invece opera automaticaente (es. il documento formato se sottoscritto dalle parti di modo che non possa qualificarsi come atto pubblico costituisce scrittura privata) Diversa dalla conversione è la rinnovazione in questo caso le parti pongono in essere un nuovo negozio privo dei vizi che davano luogo alla nullità. Il negozio nullo non produce effetti ma talvolta il legislatore apporta delle deroghe considerando anche la rilevanza del negozio nullo di fronte ai terzi Deroga: la nullita del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto di lavoro ha avuto esecuzione a meno che la nullità non derivi da illeceità di oggetto o causa. Comunque aldilà delle deroghe se il negozio nullo sia stato eseguito, si può pretendere la restituzione delle prestazioni eseguite. Si applicano, al riguardo, le regole sulla ripetizione di indebito. L’azione di nullita è imprescrittibile ma restano salvi gli effetti dell’usucapione e dell’azione di ripetizione ovvero se ho venduto un bene in forza di un contratto nullo devo agire prima che si maturata l’usucapione e analogalmente se ho eseguito una prestazione e intendo ottenerne la restituzione devo agire entro il termine di prescrizione dell’azione di ripetizione del indebito L’ANNULLABILITA` L’annullabilità costituisce un anomalia di minor gravità dell’annullabilità L’annullabilità deriva dall’inosservanza di regole che, pur dettate nell’interesse generale, mirano a proteggere particolarmente uno dei soggetti (art.1425 c.c.). Le generali cause di annullabilit sono l’incapacit del soggetto (legale o natuale) e i vizi della volontà (violenza e dolo) Il negozio annullabile produce tutti gli effetti a cui era diretto (c.d. efficacia precaria del negozio annullabile), ma questi effetti vengono meno se viene proposta ed accolta l’azione di annullamento. L’annullabilità del negozio presenta i seguenti aspetti: a) l’azione di annullamento è un’azione costitutiva, in quanto non si limita a far accertare la situazione preesistente, ma mira a modificarla: il negozio aveva prodotto i suoi effetti, la sentenza di annullamento li elimina; b) salvo diversa disposizione di legge, la legittimazione a chiedere l’annullamento dell’atto spetta solo alla parte nel cui interesse l’invalidità è prevista dalla legge; (cioè si può intentare solo dalla persona che la legge intende proteggere) c) l’annullabilità di un atto non può essere rilevata d’ufficio dal giudice; egli non ne può dichiarare l’annullabilità se non è richiesto da una delle parti d) l’azione di annullamento al contrario di quella di nullità è soggetta a prescrizione: di regola il termine di prescrizione è di 5 anni, La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui è cessata la causa che ha dato luogo al vizio; (es. contratto emesso dal minore comincia a decorrere da quando egli diventa aggiorenne, dal giorno in cui si è scoperto l’errore in caso di negozio viziato negli altri casi la prescrizione comincia dal giorno in cui il negozio è stato concluso) e) mentre l’annullaento è soggetto a prescrizione l’eccezione può essere sollevata in ogni tempo dalla parte che sia stata convenuta in giudizio per l’esecuzione del contratto (se così non fosse la parte non legittimata a far valere l’invalidità es. colui che ha contrattato con un incapace potrebbe attendere la prescrizione senza mai far valere l’atto viziato e pretenderne l’adempiento passati i cinque anni acquisto un immobile da un minorenne nessuna delle due parti adempie dopo 5 anni invoco il contratto chiedendo l’adempiento in questo caso il minorenne si può difendere opponendo l’eccezione di annullamento.) f) l’annullabilità è sempre sanabile, o attraverso la prescrizione dell’azione di annullamento o attraverso la convalida Se l’azione dell’annullamento viene accolta dal giudice, l’annullamento ha effetto retroattivo: si considera come se il negozio non avesse prodotto alcun effetto e deve essere restituita la prestazione eventualmente eseguita Tuttavia, se il negozio è annullato per incapacità di uno dei contraenti l’incapace è tenuto a restituire la prestazione ricevuta solo nei limiti in cui essa è stata rivolta a suo vantaggio. Il principio dell’efficacia retroattiva dell’annullamento derivante da incapacità legale è applicato anche di fronte ai terzi. Se un minore vende un bene e quest’ultimo lo rivende a terzi l’annullabilità colpisce anche i terzi , se invece la causa di nullita è diversa dall’incapacit legale (es. un vizio della volontà essa non pregiudica i terzi acquirenti in buona fede che ignoravano l’esistenza del vizio). Il negozio annullabile può essere sanato, oltre che per effetto della prescrizione, con la convalida La convalida è un negozio con il quale la parte legittimata a proporre l’azione di annullamento si preclude la possibilità di far valere il vizio. La convalida per spiegare i suoi effetti deve pervenire da chi è in grado di concludere il contratto (es. il minorenne una volta diventato maggiorenne) La convalida può essere espressa, cioè deve contenere la menzione del negozio annullabile, del motivo di annullabilità, e la dichiarazione che s’intende counque convalidare il negozio; e tacita, qualora venga data esecuzione volontaria al negozio annullabile. LA RESCISSIONE E LA RISOLUZIONE DEL CONTRATTO La rescissione del contratto può chiedersi per anomalie genetiche ovvero: a) perché è stato concluso in stato di pericolo; b) per lesione. Per poter sperimentare l’azione di rescissione di un contratto stipulato in condizioni di pericolo occorrono i seguenti presupposti: a) lo stato di pericolo in cui uno dei contraenti o altra persona si trovava. Deve ricorrere un pericolo attuale di un danno grave alla persona, non è sufficiente un pericolo riguardante esclusivamente delle cose; b) l’iniquità delle condizioni a cui il contraente ha dovuto soggiacere (richiesta di somma esorbitante per effettuare il salvataggio). c) Il fatto che lo stato di pericolo fosse noto alla controparte Il c.c. ha voluto offrire un rimedio contro i contratti nei quali vi sia una sproporzione abnorme tra due prestazioni e vi ha provveduto con un’azione di carattere generale, esperibile rispetto a qualsiasi contratto. Si richiedono: a) la lesione, ossia una sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell’altra: la lesione deve essere tale che il valore della prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata, risulti superiore al doppio del valore della controprestazione La lesione deve perdurare fino al tempo in cui la domanda è proposta; b) lo stato di bisogno della parte danneggiata. Stato di bisogno significa difficoltà economica, tale da incidere sulla libera determinazione a contrarre e da funzionare come motivo dell’accettazione della sproporzione fra le prestazioni da parte del contraente danneggiato. Lo stato di bisogno è una situazione di difficoltà quello di pericolo è più grave perché implica la necessità di salvare se o altri da un pericolo attuale di un danno grave alla persona c) l’approfittamento dello stato di bisogno della parte danneggiata. Il contraente contro cui è proposta l’azione di rescissione può evitarla eliminando lo squilibrio che ne costituisce il fondamento, cioè offrendo un aumento della sua prestazione o, comunque, una modificazione del contratto sufficiente per ricondurlo ad equità. (non si possono applicare le regole della convalida) La rescissione non ha efficacia retroattiva: perciò non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salva l’applicazione dei principi sulla trascrizione della domanda. L’azione si prescrive di regola, in un anno dalla conclusione del contratto. È prevista la risoluzione del contratto per anomalie del sinallagma (due prestazioni legate tra loro da un nesso che le rende interdipendenti) ( es. la locazione, se il proprietario non rende abitabile l'immobile il conduttore non è tenuto al pagamento del canone) ossia lo scioglimento del vincolo contrattuale: a) per inadempimento; b) per impossibilità sopravvenuta; c) per eccessiva onerosità. Di fronte all’inadempimento dell’altra parte, al contraente non inadempiente è lasciata la facoltà di scegliere fra queste due vie: o insistere per l’adempimento degli accordi, chiedendo la c.d. manutenzione del contratto e quindi la condanna della controparte ad eseguire la prestazione non adempiuta, o esercitare il diritto potestativo di chiedere la risoluzione del contratto, ossia che il contratto venga sciolto e considerato come se non fosse mai stato stipulato. In entrambi i casi il contraente ha il diritto di pretendere il risarcimento dei danni subìti, che vanno però calcolati in modo ben diverso nelle due ipotesi. Difatti, se egli insiste per la manutenzione del contratto, questo significa che l’adempimento della controparte è ancora possibile e che ci troviamo di fronte ad un semplice ritardo: perciò il contraente potrà pretendere sia l’esecuzione della prestazione originariamente dovuta, sia il risarcimento del danno che gli deriva dal ritardo nel conseguire l’adempimento e correlativamente sarà tenuto ad eseguire la controprestazione. Quando, viceversa, il creditore non intende più restare vincolato dal contratto stipulato, di cui, pertanto, non solo non vuole la manutenzione, ma vuole lo scioglimento (risoluzione), il risarcimento cui ha diritto non si aggiunge al diritto nascente dal contratto, ma si sostituisce a quello, è perciò è commisurato non al semplice danno da ritardo, ma al pregiudizio che il contraente ha subìto per non aver ricevuto la prestazione promessa. La risoluzione dunque è lo strumento che consente al contraente vittima dell’inadempimento di sciogliersi da un vincolo contrattuale che non ha “funzionato” non sortendo gli effetti voluti. Se viene richiesto prima l’adempimento è possibile richiedere in un secondo momento la risoluzione, non è possibile il contrario (questo perché la parte che richiede la risoluzione in qualche modo “dispensa” la controparte che si sentira liberata dall’onere cosicchè se in un secondo momento dovesse invece adempiere a quell’obbligazione si potrebbero opporre dei limiti come ad es. le mutate condizioni di mercato) D’altra parte, una volta che sia stata chiesta la risoluzione, l’inadempiente non può più rimediare alla precedente violazione del contratto con una tardiva esecuzione della prestazione da lui dovuta a meno che l’altra parte accetti rinunciando alla risoluzione. Per ottenere la risoluzione occorre proporre una domanda giudiziale, e spetterà al giudice, in caso di contestazione, accertare se, veramente vi sia stato inadempimento del contratto e se di tale inadempimento sia responsabile il convenuto. Inoltre il giudice, per dichiarare risolto il contratto, deve anche accertare che l’inadempimento non abbia scarsa importanza ovvero la risoluzione si giustifica solo di fronte ad un inadempienza grave. Il creditore è tenuto a provare la fonte del suo diritto (contratto) il debitore ha l’onere di provare il fatto estintivo (ovvero il suo adempimento) La risoluzione ha efficacia retroattiva il che significa che non soltanto il contratto risolto non produce più effetti per l’avvenire, ma pure che le prestazioni già eseguite devono essere restituite, salvo che per i contratti a esecuzione periodica o continuata. (es. consegna di merci quelle già consegnate e pagate non devono essere restituite) La regola della retroattività opera esclusivamente “tra le parti” sono salvi quindi i diritti acquisiti da terzi (es. il compratore cha prima della risoluzione abbia venduto a favore di terzi) ovviamente se la domanda di risoluzione è stata trascritta essa è opponibile ai terzi che successivamente abbiano acquistato diritti sulla cosa. Eccezione di inadempimento Nei contratti a prestazioni corrispettive, qualora termini diversi siano stabiliti dalle parti la parte tenuta ad adempiere successivamente può legittimamente rifiutare di eseguire la prestazione da lei dovuta, qualora l’altra parte non abbia ancora eseguito la propria. L’eccezione di inadempimento è una forma di autotutela una delle poche permesse nel nostro ordinamento (rifiuto di eseguire una prestazione proteggendo quindi i miei interessi dato che viene a mancare la corrispettiva prestazione della controparte L’impossibilità sopravvenuta della prestazione, estingue l’obbligazione. Se la prestazione è divenuta solo parzialmente impossibile (impossibilità parziale), il corrispettivo è giustificato solo per la parte corrispondente e dev’essere ridotto. Se poi la prestazione che è residuata non offra un interesse apprezzabile per il creditore, egli può recedere dal contratto. Per quanto riguarda i contratti ad effetti reali, occorre tener presente il momento in cui avviene il trasferimento della proprietà: se il perimento della cosa avviene dopo che la proprietà è passata all’acquirente, anche se la cosa ancora non è stata consegnata è comunque quest’ultimo che deve sopportarne il rischio. Il legislatore ha concesso diritto alla risoluzione del contratto anche per eccessiva onerosità ovvero quando fatti sopravvenuti straordinari ed imprevedibili (es. scoppio di una guerra o forte svalutazione monetaria) rendano la prestazione di una delle parti eccessivamente onerosa, determinando un sacrificio sproporzionato di una parte a vantaggio dell’altra (ovviamente deve trattarsi di contratti per i quali è previsto il decorso di un intervallo di tempo tra la stipulazione dell’accordo e la sua esecuzione). La risoluzione del contratto non può essere concessa quando l’onerosità sopravvenuta superi l’alea normale che ogni operazione economica protratta nel tempo presenta. La risoluzione per eccessiva onerosità non si applica ai contratti aleatori, per i quali è normale l’accettazione di un rischio particolare. Comunque, la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto (offerta di riduzione di equità). La clausola del solve et repete Una delle parti può assicurarsi, mediante un’apposita clausola (clausola solve et repete.), una protezione ai fini dell’adempimento della prestazione. Può, cioè, essere stabilito che una delle parti non può opporre eccezioni al fine di evitare o ritardare la prestazione dovuta. (es. nel contratto di locazione è inserito che l’inquilino non può per nessun motivo ritardare il pagamento della pigione qualora ad es. lo faccia perché il proprietario non ha effettuato le riparazioni dovute l’inquilino deve comunque pagare la pigione e poi agire in giudizio per ottenerne la restituzione) La clausolo solve et repete è diretta a rafforzare il vincolo contrattuale La clausola stabilisce dei limiti: a) essa non ha effetto per le eccezioni di nullità, di annullabilità e di rescissione del contratto in quanto esse mettono in dubbio la validità o l’efficiacia dell’intero negozio e quindi anche di questa clausola b) il giudice, se riconosce che concorrono gravi motivi, può sospendere l’adempimento della prestazione.(es. se consta che un eccezione ad. Es. la nullità presenta elementi di fondatezza) La presupposizione La figura della presupposizione non è prevista dalla legge ma costituisce uno strumento elaborato dalla dottrina e recepito dalla prassi giurisprudenziale come strumento per porre rimedio a taluni anomali sviluppi che possano influire sull’assetto dei rapporti tra le parti del contratto. Si parla di presupposizione quando le parti, nel concludere un negozio giuridico, fanno riferimento ad una circostanza attuale o futura, che, senza essere espressamente menzionata nel negozio, ne costituisce il presupposto oggettivo. Es. compro un terreno perché lo penso edificabile ma non menziono nel contratto che lo acquisto per questo Se in realtà non è edificabile il contratto è valido? Oppure pago qualcuno perché mi faccia affacciare dal suo balcone durante il palio di siena ma non menziono che questo è il motivo contrattuale se poi il palio non si svolge il contratto è valido? Dottrina e giurisprudenza sono al riguardo incerte e oscillanti Da un lato vale il principio dell’irrilevanza dei motivi non dichiarati e della mancanza di qualsiasi norma di legge che attribuisca importanza alla presupposizione dall’altro il rispetto della buona fede esige di accordare tutela alla parte il cui consenso era strettamente condizionato ad un presupposto noto alla controparte. Perciò secondo un diffuso indirizzo di pensiero vi è pressuposizione se: a) essa è determinante nell’economia del contratto, b) comune ossia tenuta presente da entrambi i contraenti, c) oggettiva ed esterna al contratto (non ci sarebbe presupposizione se la circostanza potesse essere inserita nel contratto) In assenza della circostanza ma in presenza dei suddetti requisiti il negozio è inefficace La risoluzione del contratto può intervenire non soltanto per effetto di una sentenza del giudice, ma anche di diritto, in tre casi espressamente regolati dal c.c.: 1) clausola risolutiva espressa con la quale le parti prevedono espressamente che il contratto dovrà considerarsi automaticamente risolto qualora una determinata obbligazione non venga adempiuta affatto o comunque non venga eseguita rispettando le modalità pattuite. Quando in un contratto figura tale clausola, la risoluzione del contratto si verifica solo quando la parte non inadempiente comunichi all’altra parte che intende avvalersi della clausola risolutiva. Da quel momento un’offerta di adempimento tardivo può essere legittimamente rifiutata dal contraente che ha scelto la risoluzione, il quale, non potrebbe più cambiare la sua decisione e tornare a pretendere la manutenzione del contratto. 2) Diffida ad adempiere La parte non inadempiente diffida ad adempiere mediante una dichiarazione scritta, con la quale intima all’altro contraente di provvedere all’adempimento entro un termine congruo (che di regola non può essere inferiore a 15 gg.: con espressa avvertenza che, ove il termine fissato dovesse decorrere senza che si faccia luogo all’adempimento, il contratto, a partire da quel momento, si intenderà risolto. 3) Termine essenziale Il termine per l’adempimento di una prestazione si dice essenziale quando la prestazione diventa inutile per il creditore, qualora non venga eseguita entro il termine stabilito. L’ essenzialità del termine si dice oggettiva quando risulta dalla natura stessa della prestazione; si dice soggettiva quando dalle pattuizioni contrattuali risulti escluso l’interesse del creditore all’esecuzione della prestazione oltre il termine indicato. A ciascun contraente di un contratto a prestazioni corrispettive è attribuita la facoltà di sospendere l’esecuzione della prestazione da lui dovuta, se le condizioni patrimoniali dell’altro sono divenute tali da porre in pericolo il conseguimento della controprestazione. Naturalmente, se viene prestata idonea garanzia, cessa il pericolo che la prestazione non sia conseguita e la mancata controprestazione non ha alcuna giustificazione. I SINGOLI CONTRATTI I CONTRATTI DEL CONSUMATORE Il Codice del consumo è stato emanato nel 2005 ed è relativo al riassetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori che comprende la maggior parte delle disposizioni emanate dall'Unione Europea nel corso degli ultimi 25 anni per la protezione del consumatore. Per gli obblighi derivanti dalla partecipazione all’Unione tali norme sono state lentamente recepite anche dallo Stato italiano.Questa raccolta, sostituisce tutti i precedenti provvedimenti nel tempo emanati sotto forma di leggi, decreti e modifiche al Codice Civile. Il Codice è composto di 146 articoli che armonizzano e riordinano la normativa legata ai molti eventi in cui il consumatore è coinvolto come soggetto attivo o passivo. Il codice non si propone solo di innovare rispetto alle precedenti normative, ma di conseguirne la loro "armonizzazione e riordino" per rendere più semplice il reperimento delle regole scritte in tutti questi anni a tutela dei consumatori; un corpo unico di regole a cui i tecnici del diritto, ma anche gli stessi consumatori magari assistiti dalle relative associazioni, potranno far riferimento. Il codice, si rivolge anche, e non poteva essere diversamente, ai professionisti ( imprese per la maggior parte), l'altro soggetto del rapporto di consumo, precisando anche i loro diritti e doveri. Ai professionisti si applica l'ordinaria disciplina del codice civile che, quindi, assume carattere residuale per le materie non regolate dal codice, anche per quanto riguarda le regole del codice civile che tutelano i consumatori. Il consumatore è più tutelato poiché il suo acquisto è determinato da fattori emotivi, da suggestioni spesso create ad arte dal professionista attraverso la pubblicità o approfittando di particolari luoghi (come le fiere) che lo spingono emotivamente alla spesa; può poi accadere che cessata la suggestione ci si accorga che il bene non risponde a quello che si pensava, che ci si penta dell'acquisto; in questi casi non c'è tutela per il consumatore secondo le ordinarie regole del codice civile, poiché risultano inapplicabili, visto che in questi casi non c'è errore e tanto meno dolo o violenza. Il professionista, invece, quando esegue un acquisto è spinto da motivazioni razionali. Se si determina a comprare un computer non lo farà per il colore del case o per le suggestioni pubblicitarie, ma per la sua utilità in relazione alla sua attività d'impresa o professionale. Essendo, quindi, meno" suggestionabile" è anche meno protetto rispetto al consumatore; è certo, però, che considerare i " professionisti" sullo stesso piano nei loro reciproci rapporti non è sempre giusto; un agente di commercio che usa l'autovettura per lavoro non può essere messo sullo stesso piano del produttore del veicolo; insomma esistono pur sempre contraenti "forti" e contraenti "deboli" , ma è fuor di dubbio che tra tutti i contraenti "deboli" il consumatore lo è più di tutti gli altri. Vediamo ora come l'art. 2 del codice individua i fondamentali diritti dei consumatori. tutela della salute sicurezza e qualità dei prodotti e dei servizi adeguata informazione e corretta pubblicità fondamentali diritti educazione al consumo correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali dei consumatori promozione e sviluppo dell'associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza Educazione del consumo.: vi dovranno essere soggetti pubblici o privati che senza finalità promozionali, avranno il compito di esplicare le caratteristiche di beni e servizi e rendere chiaramente percepibili benefici e costi conseguenti alla loro scelta; questi soggetti dovranno poi prendere in particolare considerazione le categorie di consumatori maggiormente vulnerabili. associazioni di consumatori e utenti le formazioni sociali che abbiano per scopo statutario esclusivo la tutela dei diritti e degli interessi dei consumatori o degli utenti L'art. 137 prevede l'istituzione a livello nazionale presso il ministero delle attività produttive di un elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale. Queste associazioni sono legittimate ad agire in generale per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti e, in particolare, sono legittimate ad agire nelle ipotesi di violazione degli interessi collettivi dei consumatori contemplati nelle materie disciplinate dal codice. Tra i diversi compiti delle associazioni spicca quello relativo alla legittimazione ad agire in sede processuale riconosciuto, però, solo alle associazioni iscritte presso nell'elenco tenuto presso il ministero delle attività produttive. Per quanto riguarda l'erogazione dei servizi pubblici, abbiamo già detto che gli enti pubblici devono erogare i servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza. Questa attività si svolge anche grazie alla creazione di "carte di servizi" che la legge stabilisce per determinati enti erogatori di servizi pubblici. In ogni caso il rapporto di utenza deve svolgersi nel rispetto di standard di qualità predeterminati e adeguatamente resi pubblici e agli utenti è garantita, attraverso forme rappresentative, la partecipazione alle procedure di definizione e di valutazione degli standard di qualità previsti dalle leggi. Le indicazioni dei prodotti Il codice, per favorire la corretta informazione del consumatore, ha reso obbligatorie particolari indicazioni sui prodotti, pena il divieto del loro commercio in Italia. La necessità di una corretta informazione contenuta nel prodotto stesso è essenziale; denominazione legale o merceologica del prodotto nome o ragione sociale o marchio e sede legale del produttore o di un contenuto minimo delle importatore stabilito nella Unione europea o del paese di origine se situato fuori informazioni che devono dell’Unione europea essere riportate sui eventuale presenza di materiali o sostanze che possono arrecare danno all’uomo, prodotti o sulle loro alle cose o all’ambiente confezioni in maniera materiali impiegati ed ai metodi di lavorazione ove questi siano determinanti per chiaramente visibile e la qualità le caratteristiche merceologiche del prodotto leggibile le istruzioni, e le eventuali precauzioni e alla destinazione d’uso ove utili ai fini di fruizione e sicurezza del prodotto Le informazioni di qualsiasi tipo destinate agli utenti e ai consumatori devono essere rese chiaramente almeno in lingua italiana. Non per tutti i prodotti è necessario riportare queste informazioni; sono infatti esclusi i prodotti oggetto di specifiche disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie.. Se non si seguono le regole stabilite dal codice in merito alle indicazioni sui prodotti: divieto di commercio sul territorio nazionale di qualsiasi prodotto o confezione di prodotto che non riporti, in italiano in forme chiaramente visibili e leggibili, le indicazioni riportante nella precedente tabella salvo che il fatto non costituisca reato, per quanto attiene alle responsabilità del produttore, ai contravventori al divieto sanzioni che si applicano di cui all’articolo 11, si applica una sanzione amministrativa da 516 euro a in seguito alla violazione 25.823 euro. La misura della sanzione è determinata, in ogni singolo caso, del divieto di commercio facendo riferimento al prezzo di listino di ciascun prodotto ed al numero delle unità poste in vendita divieto di commercializzazione Il consumatore non solo deve essere correttamente informato sul contenuto del prodotto, (anche su sicurezza composizione e qualità del prodotto) ma anche sul prezzo di vendita in relazione all’unità di misura. Sul prezzo di vendita, ad esempio, si stabilisce che questo si deve riferire al prezzo finale valido per una unità di prodotto o per una determinata quantità del prodotto, comprensivo dell'IVA e di ogni altra imposta; Il prezzo per unità di misura, invece, è necessario indicare il prezzo finale, comprensivo dell'IVA e di ogni altra imposta, valido per una quantità di un chilogrammo, di un litro, di un metro, di un metro quadrato o di un metro cubo del prodotto o per una singola unità di quantità diversa, se essa è impiegata generalmente e abitualmente per la commercializzazione di prodotti specifici; La pubblicità ingannevole e comparativa Per pubblicità si intende qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi oppure la prestazione di opere o di servizi La pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale ed è quindi pubblicità occulta la ostentazione di marchi o prodotti che spesso si vede in film e spettacoli televisivi.Si riteneva fosse lecito esaltare le qualità dei propri prodotti senza che ciò producesse l'annullamento del contratto per dolo; Questo tipo di esaltazione della propria merce, però, era riferita a un tipo di vendita individuale, quella, per intenderci, che si pratica nei piccoli negozi e nei mercati rionali, ma non certo alle vendite di massa dove l'esaltazione della merce non è fatta direttamente dal venditore, ma dalla pubblicità che, rivolgendosi a un numero indeterminato ed elevato di persone, deve necessariamente essere palese, veritiera e corretta .Il codice del consumo è intervenuto per disciplinare gli aspetti più deteriori della informazione pubblicitaria, non tanto per inibire l' esaltazione del prodotto (che del resto oggi avviene in forme molto sofisticate e indirette) quanto per vietare la pubblicità che possa danneggiare il consumatore o un produttore concorrente. L'art. 19 del codice, infatti espone gli scopi voluti dal codice. finalità delle norme sulla pubblicità le disposizioni sulla pubblicità contenute nel codice del consumo hanno lo scopo di tutelare dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali i soggetti che esercitano un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, i consumatori e, in genere, gli interessi del pubblico nella fruizione di messaggi pubblicitari, nonché di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa Occorre proteggere il consumatore dalla pubblicità ingannevole: pubblicità ingannevole qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione sia idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea ledere un concorrente Il concetto di pubblicità ingannevole in realtà ne racchiude in sé tre poiché si considera:la pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione sia idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche; la pubblicità che possa a causa del suo carattere ingannevole, pregiudicare il loro comportamento economico; la pubblicità che essendo ingannevole possa pregiudicare il comportamento economico dei consumatori potendo ledere in tal modo un concorrente di chi ha usato tale tipo di pubblicità. La pubblicità ingannevole realizza una fattispecie più simile al dolo che all'errore; c'è un'attività ingannatoria e, di conseguenza, sarà ingannevole la pubblicità che sia idonea a indurre in errore, senza che questo debba avere le caratteristiche che lo renderebbero esenziale secondo il codice civile. Di conseguenza se la pubblicità rappresenta una realtà falsata sarà comunque ingannevole ; sottolineiamo, comunque, che la pubblicità è ingannevole anche quando non riesca a sortire l'effetto sperato. Il codice del consumo, non puntualizza specificamente tutte le ipotesi in cui una pubblicità è ingannevole, lasciando all'interprete l'individuazioni dei casi concreti, per facilitare questo compito, però, fornisce alcuni elementi di valutazione per determinare se la pubblicità sia ingannevole se ne devono considerare tutti gli elementi, con riguardo in particolare ai suoi riferimenti: alle caratteristiche dei beni o dei servizi, quali la loro disponibilità, la natura, l'esecuzione, la composizione, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, l'idoneità allo elementi di scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l'origine geografica o commerciale, o i risultati valutazione che si possono ottenere con il loro uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di della pubblicità prove o controlli effettuati sui beni o sui servizi ingannevole al prezzo o al modo in cui questo viene calcolato, ed alle condizioni alle quali i beni o i ( art. 21) servizi vengono forniti alla categoria, alle qualifiche e ai diritti dell'operatore pubblicitario, quali l'identità, il patrimonio, le capacità, i diritti di proprietà intellettuale e industriale, ogni altro diritto su beni immateriali relativi all'impresa ed i premi o riconoscimenti È anche ingannevole la pubblicità che: riguardando prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, ometta di darne notizia in modo da indurre i consumatori a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza in quanto suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, possa, anche indirettamente, minacciare la loro sicurezza o che abusi della loro naturale credulità o mancanza di esperienza o che, impiegando bambini ed adolescenti in messaggi pubblicitari,abusi dei naturali sentimenti degli adulti per i più giovani Una disciplina particolare è prevista in merito alle televendite soprattutto in riferimento ai ben noti casi in cui sedicenti maghi e guaritori promettono vincite al lotto o guarigioni miracolose. Le televendite devono evitare ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità o della paura, non devono contenere scene di violenza fisica o morale o tali da offendere il gusto e la sensibilità dei consumatori per indecenza, volgarità o ripugnanza. In ogni caso la televendita non deve indurre in errore il consumatore attraverso esagerazioni, ambiguità e omissioni. È poi vietata la televendita con caratteristiche razziste e discriminatorie. Contro la pubblicità ingannevole è possibile rivolgersi alla Autorità garante della concorrenza e del mercato che è compente a decidere i ricorsi contro l'operatore pubblicitario della pubblicità ingannevole. L'Autorità possiede ampi poteri potendo giungere a sospendere e poi vietare il messaggio ingannevole oltre ad irrogare notevoli sanzioni ( fino a 100.000 euro) al trasgressore. La pubblicità comparativa, è stata ammessa nel nostro ordinamento con lo scopo di favorire il consumatore; a dire il vero, però, è davvero poco usata e questo rafforza l'idea che il nostro sistema economico sia in realtà dominato da intese sotterranee tra i grossi produttori a tutto discapito del mercato e dei consumatori. In ogni caso il codice definisce la pubblicità comparativa come: qualsiasi pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente. Vi è la necessità che la pubblicità comparativa non ingeneri confusione e non getti discredito sul concorrente, oltre a non essere ingannevole. Le clausole vessatorie L'art. 33 definisce vessatorie nei contratti tra consumatore e professionista le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto L'art. 34 illustra, invece, le regole fondamentali per l'accertamento della vessatorietà delle clausole. Quando non sia la legge stessa a definire vessatoria una clausola il giudice dovrà valutarne la vessatorietà tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende. Ciò non vuol dire che il giudice debba valutare l'equilibrio economico delle prestazioni o decidere circa la determinazione dell'oggetto del contratto ( qui probabilmente inteso come prestazione), poiché se così fosse si violerebbe l'autonomia contrattuale delle parti. In altre parole lo squilibrio che si vuole evitare è giuridico e non economico. Esisono 3 tipi di clausole vessatorie: a) Clausole dove il giudice dovrà verificarne la vessatorietà poiché determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; l'onere della prova circa la loro vessatorietà spetterà a chi la invoca secondo le regole generali, al consumatore, quindi. b) Clausole che si presumono vessatorie sino a prova contraria; essendovi una presunzione relativa, l'onere della prova circa la loro non vessatorietà spetterà al professionista, mentre il consumatore potrà semplicemente invocarle in base alla previsione dell'art. 33. c) Clausole considerate dalla legge vessatorie senza che sia possibile fornire prova contraria; non sarà possibile fornire prova contraria e il giudice dovrà solo verificarne l'esistenza. Ma in che cosa consiste la prova contraria? Non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale. Se non si riesce a provare l'esistenza della trattativa individuale (e questa prova incomberà sempre sul professionista) la clausola sarà considerata vessatoria o perché crea uno squilibrio giuridico tra le parti o perché è oggetto di presunzione ex art. 33 con l'inevitabile conseguenza della nullità della clausola. La nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. La nullità, inoltre colpisce solo le clausole, mentre il resto del contratto resta valido Gli altri elementi del rapporto di consumo Le attività commerciali sono improntate al rispetto dei principi di buona fede, di correttezza e di lealtà, valutati anche alla stregua delle esigenze di protezione delle categorie di consumatori In che cosa consiste questa protezione che il professionista deve garantire al consumatore? In un maggior obbligo di informazione. Il consumatore deve essere informato dei suoi diritti, e la prima fonte d'informazione non può essere altri che l'altra parte contrattuale; in certi casi il professionista che omette certe informazioni (pensiamo al diritto di recesso) si vedrà esposto a sanzioni amministrative anche di notevole entità. Questo obbligo d'informazione risulta ancora più evidente per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali e nei contratti a distanza. Occupiamoci, allora di queste due ipotesi. sono quei contratti tra un professionista ed un consumatore, riguardanti la fornitura di beni o la prestazione di servizi, in qualunque forma conclusi, stipulati: durante la visita del professionista al domicilio del consumatore o di un altro consumatore ovvero sul posto di lavoro del consumatore o nei locali nei quali il consumatore si trovi, anche temporaneamente, per motivi di contratti negoziati fuori dei lavoro, di studio o di cura locali commerciali durante una escursione organizzata dal professionista al di fuori dei propri (art. 45) locali commerciali in area pubblica o aperta al pubblico, mediante la sottoscrizione di una nota d'ordine, comunque denominata per corrispondenza o, comunque, in base ad un catalogo che il consumatore ha avuto modo di consultare senza la presenza del professionista Altra categoria assimilabile, a quella dei contratti negoziati al di fuori dei contratti commerciali è quella dei contratti a distanza. contratto a distanza (art. 50) il contratto avente per oggetto beni o servizi stipulato tra un professionista e un consumatore nell'ambito di un sistema di vendita o di prestazione di servizi a distanza organizzato dal professionista che, per tale contratto, impiega esclusivamente una o più tecniche di comunicazione a distanza fino alla conclusione del contratto. Per "tecnica di comunicazione a distanza" s'intende qualunque mezzo che, senza la presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore, possa impiegarsi per la conclusione di un contratto Bene, ma perché ci occupiamo di questi di contratti? Il motivo lo troviamo nel fatto che in entrambi i casi è riconosciuto per legge al consumatore il diritto di recesso. Per i contratti e per le proposte contrattuali a distanza ovvero negoziati fuori dai locali commerciali, il consumatore ha diritto di recedere senza alcuna penalità e senza specificarne il motivo, entro il termine di dieci giorni lavorativi. Con l'esercizio del diritto di recesso secondo le regole previste dalla legge le parti sono sciolte dalle rispettive obbligazioni, ma se le obbligazioni sono state in tutto o in parte eseguite, vi sarà l’ obbligo di restituzione del bene ricevuto, bene che dev'essere restituito sostanzialmente integro e in normale stato di conservazione. Il professionista non dovrà solo subire il recesso del consumatore che non voglia più il bene, ma dovrà anche informarlo del suo diritto. Si obbliga il professionista a fornire questa informazione e nel caso in cui ometta di farlo si vedrà esposto ad una sanzione amministrativa fino a 5.165 euro, sanzione che potrà essere raddoppiata in caso di recidiva. Abbiamo parlato della sola informazione relativa al diritto di recesso, ma il professionista deve fornire altre e numerose informazioni al consumatore e omettere tali informazioni predisposte a protezione del consumatore, oltre all'illecito amministrativo, costituiranno illecito civile poiché sarà violato l'obbligo di buona fede così come inteso dal codice del consumo. Per quel che concerne il commercio elettronico sono previsti obblighi informativi in ordine all’identità, alla qualità del soggetto che offre i serviz,i alla natura dell’offerta e alle modalità di conclusione del contratto. Contratti di godimento ripartito di beni immobili e multiproprietà Il codice del consumo si occupa di particolari contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento ripartito di beni immobili; uno o più contratti della durata di almeno tre anni con i quali, verso pagamento Contratto relativo di un prezzo globale, si costituisce, si trasferisce o si promette di costituire o all’acquisizione di un trasferire, direttamente o indirettamente, un diritto reale ovvero un altro diritto diritto di godimento avente ad oggetto il godimento di uno o più beni immobili, per un periodo ripartito di beni immobili determinato o determinabile dell'anno non inferiore ad una settimana Da questa definizione possiamo isolare due tipi di contratti; 1. contratti che trasferiscono o costituiscono un diritto reale per un tempo determinato; 2. contratti che trasferiscono o costituiscono un diritto di godimento per un tempo determinato. Solo per i primi è possibile parlare di "multiproprietà" Il Codice del Consumo disciplina solo il contratto con cui il consumatore acquista il diritto oggetto di multiproprietà. Il termine multiproprietà è utilizzabile solo quando il diritto oggetto del contratto sia un diritto reale I pacchetti turistici L'acquisto dei pacchetti turistici è fenomeno molto diffuso nell'odierno modo di viaggiare; accade sempre più spesso, infatti, che il turista non voglia sobbarcarsi l'onere, una volta giunto a destinazione, di cercare un albergo, informarsi sui luoghi da visitare, scegliere le persone che lo devono assistere, e ciò è tanto più frequente quando si scelgano mete lontane in paesi molto diversi dal nostro. In merito alla forma del contratto avente ad oggetto il pacchetto turistico l'art. 85 dispone che esso è redatto in forma scritta in termini chiari e precisi, ma non è detto che la forma scritta è richiesta a pena di nullità. Prima della conclusione del contratto il consumatore è informato del pacchetto attraverso un opuscolo informativo In generale è fatto divieto di fornire informazioni ingannevoli sulle modalità del servizio offerto, sul prezzo e sugli altri elementi del contratto qualunque sia il mezzo mediante il quale dette informazioni vengono comunicate al consumatore. Al consumatore è riconosciuto il diritto di recesso quando vi sia una modifica delle condizioni contrattuali, una revisione del prezzo se non già prevista dal contratto; Ogni mancanza nell'esecuzione del contratto deve essere contestata dal consumatore senza ritardo con reclamo da inviarsi attraverso raccomandata a.r. ma il difetto del reclamo non comporta decadenza dal diritto al risarcimento del danno. I CONTRATTI TIPICI E ATIPICI Il titolo 3° del libro 4° del c.c. contiene la disciplina dei contratti tipici ossia di quei contratti che sono stati specificatamente regolati dal legislatore. Non tutti i contratti sono però compresi in questo titolo. L’ordine con cui questi contratti sono esaminati è: 1) il principale contratto di scambio: la compravendita; 2) gli altri contratti di scambio che realizzano un do ut des (permuta, contratti di borsa, riporto, contratto estimatorio, somministrazione); 3) gli altri contratti di scambio che realizzano un do ut facias (locazione, leasing, appalto, trasporto); 4) i contratti di cooperazione nell’altrui attività giuridica (mandato, commissione, spedizione, agenzia, mediazione); 5) i principali contratti reali (deposito, comodato e mutuo); 6) i contratti bancari (deposito, apertura di credito, sconto, cassette di sicurezza); 7) i contratti aleatori (rendita, assicurazioni, gioco e scommessa); 8) i contratti diretti a costituire una garanzia (fideiussione e anticresi); 9) i contratti diretti a dirimere una controversia (transazione e cessione dei beni ai creditori). 10) i contratti agrari LA COMPRAVENDITA La compravendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo che è elemento essenziale della vendita e consiste in un corrispettivo in danaro. (ciò la distingue dalla permuta) La vendita viene attuata: a) o dal produttore che può collocare sul mercato la propria produzione e direttamente presso i consumatori o presso i rivenditori (commercianti); b) o da un intermediario nella circolazione dei beni che può a sua volta attuare il commercio direttamente presso il pubblico, oppure tramite altri rivenditori (commercio all’ingrosso); c) o da un venditore non professionale, che dispone del cespite (auto, tv..) non nell’esercizio di un’attività continuativa, ma con carattere di occasionalità e con riguardo, di regola, a beni già usati. La vendita è un contratto consensuale: per il suo perfezionamento non occorre la consegna della cosa, che, invece, costituisce una delle obbligazioni del venditore. La vendita è un contratto ad effetti reali, cioè la proprietà o il diritto oggetto dello scambio si trasmettono automaticamente per effetto del consenso delle parti. Il prezzo deve essere determinato o determinabile: in difetto il contratto è nullo. Le obbligazioni principali del venditore sono: 1) fare acquistare al compratore la proprietà della cosa o la titolarità del diritto oggetto dello scambio; 2) consegnare la cosa al compratore: la consegna deve avvenire nel tempo e nel luogo fissati dal contratto. In mancanza di pattuizione essa deve essere fatta appena è avvenuto il trasferimento del diritto e nel luogo in cui la cosa si trovava quando l’obbligazione è sorta; 3) garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa. L’obbligazione principale del compratore invece consiste nel dovere di pagare il prezzo nel termine e nel luogo fissati dal contratto. Di regola il prezzo è oggetto di libero negoziato tra le parti, che di solito, concordano per il prezzo di mercato. Le parti possono anche affidare la determinazione del prezzo ad un terzo eletto nel contratto o da eleggere posteriormente. Sarebbe nulla, per mancanza di un elemento essenziale, la vendita in cui il prezzo non sia stato né espressamente né implicitamente determinato né risulti determinabile in altro modo Vendita ad effetti reali e vendita obbligatoria La vendita ha di regola effetti reali, ossia produce, in virtù del consenso, il trasferimento della proprietà della cosa. In alcune ipotesi, peraltro, questo effetto non può immediatamente realizzarsi e il contratto ha, quindi, efficacia obbligatoria la proprietà non passa immediatamente ma sorge dal contratto. Le figure più importanti di vendita obbligatoria sono: a) la vendita alternativa, in cui il trasferimento non si verifica se non quando sia stata effettuata la scelta tra le due o più cose dedotte in obbligazione; b) la vendita di cosa futura; occorre che essa venga ad esistenza c) la vendita di cose generiche (benzina, stoffa) è necessaria l’individuazione degli specifici pezzi d) la vendita di cose altrui: questa non è né nulla né annullabile. (essa produce l’obbligo del venditore di acquistare la cosa dal proprietario per rivenderla al compratore qualora il venditore non riesca risponde del suo inadempimento e il compratore qualora venga a conoscenza dell’altruità della res se nel frattempo non ne ha acquistato la proprietà può richiedere il risarcimento del danno la restituzione della somma ed eventuali rimborsi) La vendita di beni immobili deve farsi per atto scritto ed è soggetta a trascrizione. A questa pubblicità soggiace anche la vendita di beni mobili registrati.(auto,navi) La garanzia per i vizi Vizi di una cosa sono le imperfezioni o alterazioni del bene, dovute alla sua produzione o alla sua conservazione. Il venditore è tenuto alla garanzia quando i vizi siano tali da rendere il bene inidoneo all’uso a cui è destinato o quanto meno da diminuire in modo apprezzabile il valore. La garanzia non è dovuta se, al momento del contratto, il compratore, trattandosi di vendita di cosa specifica, conosceva i vizi della cosa o si trattava di vizi facilmente riconoscibili. Il compratore, peraltro, se intende far valere la garanzia cui il venditore è tenuto, ha l’onere di denunciare l’esistenza dei vizi entro 8 gg., che decorrono dalla consegna se si tratta di vizi apparenti o dalla scoperta se si tratta di vizi occulti. Il vizio si dice apparente quando, con un esame diretto della cosa condotto con criteri di diligenza, avrebbe dovuto accorgersene. Ove ricorrano i requisiti indicati, il compratore ha diritto di chiedere, a sua scelta, o la risoluzione del contratto, restituendo il bene e facendosi restituire il prezzo pagato o liberandosi dall’obbligo di pagarlo, ovvero la riduzione del prezzo, salvo in ogni caso il diritto al risarcimento del danno, a meno che il venditore provi di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa. La scelta tra le due azioni è rimessa al compratore essa è irrevocabile se fatta con domanda giudiziale. L’azione del compratore è soggetta ad un termine di prescrizione di un anno, che decorre dal momento della consegna. L’eccezione è invece imprescrittibile quindi il compratore deve denunciare il vizio della cosa entro il termine di decadenza. Un patto particolare è la garanzia di buon funzionamento essa si ha quando il venditore ha garantito per un certo tempo il funzionamento della cosa venduta in questo caso il venditore che denuncia il difetto lo può fare entro trenta giorni pena decadenza e l’azione si prescrive in sei mesi. Il giudice diversamente dagli altri casi può assegnare al venditore un termine per sostituire o riparare la cosa salvi i risarcimenti dovuti al compratore stesso L’evizione La legge attribuisce al compratore particolare tutela nel caso in cui sia disturbato nel godimento di un bene da terzi che ne facciano valere pretese Al riguardo vanno distinte due ipotesi: 1) Evizione totale Il compratore convenuto in giudizio da un terzo che vanti dei diritti sul bene ha l’onere di chiamare in causa il venditore, in quanto quest’ultimo può essere in grado di fornire le prove necessarie per dimostrare che l’azione intentata dal terzo è infondata. Se non chiama in giudizio il venditore perde la garanzia se il venditore dimostra che se fosse stato chiamato in giudizio avrebbe potuto addurre ragioni sufficienti per far respingere la domanda di evizione. Se il compratore subisce l’evizione ha diritto di pretendere dal venditore la restituzione del prezzo e delle spese subìte ed ha altresì diritto al risarcimento dei danni se ignorava l’altruità della cosa. Costituiscono evizione per il compratore pure l’espropriazione forzata del bene o la sua espropriazione per causa di pubblica utilità,. 2) Evizione parziale. In questo caso, il compratore ha diritto alla risoluzione del contratto qualora debba ritenersi che non avrebbe acquistato la cosa senza la parte per la quale ha subìto evizione; altrimenti può ottenere solo una riduzione del prezzo, salva l’azione per il risarcimento dei danni qualora ignorasse l’altruità parziale della cosa. 3) Cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi. Se la cosa venduta è gravata da oneri o da diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento, il compratore che non ne abbia avuto conoscenza può domandare la risoluzione del contratto, qualora debba ritenersi che non avrebbe acquistato la cosa se ne fosse stato a conoscenza, oppure una riduzione del prezzo, oltre al diritto al risarcimento dei danni.. La vendita con patto di riscatto La vendita con patto di riscatto è una vendita sottoposta a condizione risolutiva potestativa: il venditore si riserva il diritto di riavere la cosa venduta mediante la restituzione del prezzo e i rimborsi stabiliti dalla legge. Vi si ricorre di solito quando il venditore è indotto a vendere per realizzare denaro liquido, ma spera di poter, entro un certo termine, avere la somma necessaria per farsi restituire la cosa venduta. La vendita produce i suoi effetti, ma questi si eliminano se il venditore dichiara di voler riscattare la cosa venduta restituendo il prezzo e comprendo le spese effettuate per la vendita. Basta questa dichiarazione a far rientrare la cosa nel patrimonio del venditore. L’esercizio del diritto di riscatto è sottoposto ad un breve termine di decadenza due anni per i beni mobili cinque per gli immobili. La condizione ha effetto retroattivo quindi il riscatto ha effetto sui sub acquirenti che sono tenuti a rilasciare la cosa. La vendita di beni di consumo Per bene di consumo si intende qualsiasi bene mobile anche da assemblare tranne quelli oggetti di vendita forzata (acqua gas energia elletrica ecc.) Il venditore ha l’obbligo di consegnare al compratore un bene conforme a quello stabilito dal contratto. Un bene è conforme quando è idoneo all’uso al quale è destinato corrisponde alla descrizione fatta dal venditore o al bene che il venditore ha presentato al consumatore come campione o modello. La garanzia non opera quando il compratore era a conoscenza del difetto o poteva conoscerlo impiegando l’ordinaria diligenza. E’ consentito al compratore chiedere la riparazione o la sostituzione del bene che devono essere effettuate entro un congruo termine dalla richiesta. (il venditore non è tenuto a farlo se ciò gli arreca spese irragionevoli e può scegliere la risoluzione). La risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo a scelta del venditore possono essere attivati soltanto in via subordinata alla riparazione o sostituzione ovvero se il venditore offre la sostituzione della res con un'altra priva di difetti il compratore non può opporsi richiedendo la restituzione del prezzo. Il venditore è responsabile quando il difetto di conformità si manifesta entro due anni. Sussiste l’onere di denunciare il difetto a pena di decadenza entro due mesi e non entro otto giorni come previsto dalla disciplina generale della vendita. I difetti che si presentino entro sei mesi dalla consegna si presumono esistenti alla data della consegna. Anche il termine della prescrizione èè più lungo: 26 mesi dalla consegna del bene, anche in questo caso l’eccezione è imprescribile a meno che il vizio sia stato tempestivamente denunciato. La vendita su documenti Quando la merce deve viaggiare, il venditore riceve dal vettore i titoli che attestano che la merce è in viaggio. A questo punto i contraenti possono stabilire di sostituire l'obbligo della consegna della merce con quello della consegna dei titoli rappresentativi della merce rilasciati dal vettore. Al momento della consegna dei titoli, il compratore pagherà il prezzo. La particolarità di questo tipo di vendita consiste nel fatto che questi titoli possono circolare all'ordine o al.portatore. In tal modo il compratore potrà, a sua volta, rivendere la merce congegnando i titoli al nuovo acquirente che provvederà a ritirarla nel suo luogo di destinazione. La vendita di cose mobili Nella vendita mobiliare ricorre spesso il patto volto a garantire al compratore “il buon funzionamento” della cosa venduta e a garantire la presenza nelle cose vendute delle qualità desiderate dal compratore. Figure particolari di vendite mobiliari sono: 1) la vendita con riserva di gradimento che costituisce un opzione il contratto si perfeziona solo qualora il compratore comunichii che la cosa è di suo gradimento. 2) la vendita a prova, nella quale la cosa venduta debba avere le qualità pattuite o sia idonea all’uso a cui era destinata della merce, pena la risoluzione del contratto 3) la vendita su campione il compratore acquista la merce su di un esemplare (cd campione) la merce dovra non differire dal campione pena nullità differisce dalla vendita su tipo di campione in quanto su quest’ultima si fa riferimento ad un esemplare ma approssimativo quindi il contratto si risolve solo se la difformità è notevole. 4) vendita cif (cost, insurance, freight). Cioè, la somma pagata dal compratore comprende il prezzo vero e proprio della merce (cost), le spese di assicurazione (insurance) e del trasporto (freight); si usa nei trasporti via nave 5) la vendita a termine di titoli di credito che trova frequente applicazione nelle contrattazioni che avvengono in borsa La vendita con riserva di proprieta` Nella vendita a rate le parti stabiliscono che il prezzo debba essere pagato frazionatamente entro un certo tempo e che la proprietà passi al compratore solo quando sarà pagata l’ultima rata del prezzo stesso Chi compra a rate non può alienare la cosa fin quando non ne ha acquistato la proprietà. Se il compratore non paga le rate, alle scadenze pattuite, il venditore può ottenere la risoluzione del contratto. Non può però ottenerla per il mancato pagamento di una sola rata che non superi l'ottava parte del prezzo,nonostante ogni patto contrario. (questa clausola è valevole anche per i crediti al consumo che sono crediti concessi sotto forma di finanziamento o dilazione di pagamento a favore di un consumatore). In caso di risoluzione contrattuale il venditore esigerà la restituzione delle cosa, ma dovrà a sua volta restituire le rate già riscosse, salvo il diritto a trattenerne una quota a titolo di compenso per l'uso che il compratore ha fatto della cosa. La vendita con riserba di proprietà è una vendita a credito garantita dalla proprietà del bene : quindi la vendita con riserva di proprietà assolve una funzione empirica di garanzia reale a favore del creditore che può rifarsi sul bene stesso. La vendita immobiliare La vendita di immoli deve farsi per iscritto ed è soggetta a trascrizione. Per i beni immobili la vendita può essere a misura o a corpo, secondo rispettivamente che in contratto si faccia o meno riferimento all'estensione superficiaria del bene per la determinazione del prezzo. Se, ad esempio, la vendita avviene per un corrispettivo di X lire per metro quadrato, si tratta di una vendita a misura, diversamente è una vendita a corpo. La circostanza rileva anche in ordine ad eventuali successive compensazioni del prezzo, che possono essere richieste anche dopo la conclusione del contratto, qualora si riscontri una differenza rispetto alla superficie dichiarata. Si noti che anche nella vendita a corpo, però, può aversi titolo ad una richiesta di compensazione qualora la misura sia comunque indicata (e ciò anche se la vendita sia dichiaratamente a corpo), se la differenza fra il valore indicato e quello effettivamente riscontrato sia maggiore di un ventesimo (5%), in più o in meno. Tutela contro l’inadempimento: Se il compratore non si presenta per ricevere la cosa acquistata, il venditore può depositarla, per conto e a spese del compratore in un locale di pubblico oppure in altro locale idoneo del luogo.in.cui.la.consegna.doveva.essere.fatta. Il venditore deve dare al compratore pronta notizia del deposito eseguito. Se il compratore non adempie l'obbligazione di pagare il prezzo il venditore può far vendere la cosa.per.suo.conto la vendita è fatta all'incanto a mezzo di una persona autorizzata e il venditore deve dare tempestiva notizia al compratore del giorno, del luogo e dell'ora in cui la vendita.sarà.eseguita. Se la cosa ha un prezzo corrente la vendita può essere fatta senza incanto, il venditore deve darne.al.compratore.pronta.notizia. Il venditore ha diritto alla differenza tra il prezzo convenuto e il ricavo netto della vendita, oltre al risarcimento del maggior danno. Se.a.rendersi,inadempiente.è.il.venditore. e la vendita ha per oggetto cose fungibili che hanno prezzo corrente il compratore può fare acquistare le cose, a spese del venditore, da un intermediario. Il compratore ha diritto alla differenza tra l'ammontare della spesa occorsa per l'acquisto e il prezzo convenuto, oltre al risarcimento del maggior danno Ricordiamo che dal 1° dicembre 1988 è entrata in vigore anche in Italia la “Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili”, che detta una disciplina internazionale uniforme, applicabile a tutti i casi in cui siano compravendute merci tra le parti “le cui sedi di affari si trovano in Stati differenti”. GLI ALTRI CONTRATTI DI SCAMBIO CHE REALIZZANO UN DO UT DES LA PERMUTA La permuta differisce dalla vendita in quanto lo scambio non è caratterizzato dall’intervento di un prezzo, ma ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose o della titolarità di altri diritti. IL RIPORTO Con il riporto una persona (riportato) trasferisce all’altro contraente (riportatore) la proprietà di una data quantità di titoli di credito di massa contro contestuale pagamento di un prezzo; al tempo stesso, il riportatore si obbliga a trasferire al riportato, alla scadenza del termine fissato nell’accordo iniziale, la proprietà di altrettanti titoli della stessa specie contro rimborso del prezzo, che però può essere, a seconda del patto, maggiore di quanto a suo tempo ricevuto (ipotesi normale) o inferiore (deporto), oppure uguale (riporto alla pari) Il riporto proroga consiste invece, nella proroga dell’esecuzione di un contratto a termine non potendosi o non volendosi far luogo alla consegna dei titoli, il compratore, che li dovrebbe ricevere, concorda il rinvio della consegna dando a riporto all’altra parte quei titoli che questa gli dovrebbe consegnare. IL CONTRATTO ESTIMATAORIO è il contratto con il quale una parte (tradens) consegna determinate cose mobili, stimate per un certo prezzo, all’altra (accipiens), che le riceve e si obbliga a pagarne il prezzo, con facoltà di liberarsi restituendo.le.cose.entro.un.termine.stabilito. Il contratto estimatorio è di frequente uso in settori di vendita al dettaglio, per regolare i rapporti tra fornitore e dettagliante, e per non addossare i rischi della mancata vendita a quest’ultimo. Nel contratto estimatorio si rivengono i tratti della compravendita e del contratto di deposito, ma si tratta comunque di contratto autonomo e tipico, reale (che si perfeziona cioè con la materiale consegna), ad efficacia traslativa(trasmette il diritto di proprietà), a titolo oneroso (poiché comporta un’arricchimento da.entrambe.le.parti). L’accipiens è soggetto ad un’obbligazione facoltativa; difatti, in obbligazione è il pagamento del prezzo, mentre in soluzione facoltativa c’è la restituzione della cosa. LA SOMMINISTRAZIONE La somministrazione è il contratto con il quale una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, ad eseguire a favore dell’altra prestazioni periodiche di cose (art.1559 c.c.). Esso dà luogo ad una pluralità di prestazioni. Poiché queste prestazioni non devono compiersi in un unico momento, ma ad intervalli periodici di tempo, la somministrazione è un contratto di durata. pur essendo unico il contratto,il prezzo è pagato alla singola prestazione se non dopo che questa sia stata adempiuta. il contratto può essere (e di solito è) a tempo indeterminato. In tal caso ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dando preavviso nel termine pattuito o in quello stabilito dagli usi o, in mancanza, in un termine congruo avuto riguardo alla natura della somministrazione l'inadempimento di singole prestazioni fa nascere nel somministrante il diritto alla risoluzione del contratto solo quando ha una notevole importanza ed è tale da menomare la fiducia nell'esattezza dei successivi adempimenti.È comunque possibile il patto contrario se l'inadempimento è di lieve entità, il somministrante non può sospendere l'esecuzione del contratto senza dare congruo preavviso il somministrato può convenire con il somministrante di preferirlo nel caso in cui intenda stipulare un nuovo contratto per lo stesso oggetto. Il patto non può avere durata superiore a 5 anni I contratti di borsa e l’intermediazione finanziaria. La vendita a termine di titoli di credito Attualmente la Borsa è affidata alla gestione della Borsa italiana s.p.a., società di diritto privato. Ferme le responsabilità di controllo e vigilanza attribuite alla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB), si è attuato un sistema di autoregolamentazione, in quanto la società di gestione della Borsa ha approvato l’organizzazione e la gestione del mercato con proprio regolamento, sia pure soggetto all’approvazione della Consob. Su questi mercati possono operare solo intermediari specializzati (agenti di cambio…). Con i contratti di borsa si trasferiscono dagli alienanti agli acquirenti titoli di serie, e quindi cose generiche, la cui proprietà passa all’acquirente solo al momento della consegna. Si distinguono contratti “per contanti”, ”a termine” e “ premio”. Di particolare importanza è il divieto del c.d. insider trading ossia di uno sfruttamento abusivo, con vantaggi personali, di notizie riservate che una persona conosca ed utilizzi per anticipare i movimenti di mercato che si può prevedere avverranno nel momento in cui quelle notizie diverranno pubbliche. I CONTRATTI DI SCAMBIO CHE REALIZZANO UN DO UT FACIAS LA LOCAZIONE E L’AFFITTO La locazione è il contratto con il quale una parte (locatore) si obbliga a far utilizzare ad un altro soggetto (affittuario) una cosa per un dato tempo, in cambio di un corrispettivo. Per il c.c. il contratto di locazione: a) può essere a tempo determinato o non; in questo secondo caso ciascuna della parti può recedere in qualsiasi momento dal contratto, dandone disdetta con un congruo preavviso; nel primo caso il rapporto cessa con lo spirare del termine senza necessità di disdetta: la locazione si ha per rinnovata se scaduto il termine pattuito il conduttore è lasciato nella detenzione della cosa. b) l’alienazione del bene locato non determina lo scioglimento del contratto, purchè la locazione abbia data certa anteriore al trasferimento; c) il locatore ha l’obbligo di consegnare e di mantenere la cosa in stato da servire all’uso convenuto, provvedendo a far eseguire tutte le riparazioni necessarie, eccetto quelle di piccola manutenzione che sono a carico dell’affittuario; d) l’affittuario ha l’obbligo di servirsi della cosa secondo l’uso pattuito e con la diligenza del buon padre di famiglia; e) salvo patto contrario l’affittuario ha la facoltà di sublocare il bene, ma non può cedere il contratto senza il consenso del locatore. La locazione di immobili urbani La legge 9/12/98 n°431 distingue tra contratti liberi e contratti tipo. Per i primi la determinazione del canone e della relativa dinamica nel tempo (aumenti periodici) è interamente lasciata alla libera negoziazione delle parti, ferma una durata minima quadriennale del contratto, con previsione vincolante di rinnovo alla scadenza un eguale ulteriore periodo. Per i secondi, invece, le parti aderiscono, beneficiando di sgravi fiscali, ad un contratto tipo le cui condizioni sono fissate mediante accordi stipulati in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori (affittuari) maggiormente rappresentative, sulla base di indicazioni contenute in una Convenzione nazionale da promuovere a cura del Ministro dei lavori pubblici. Per questo tipo di contratti la durata non può essere inferiore a 3 anni, con proroga di diritto per altri 2 anni, ove alla scadenza le parti non si accordino sul rinnovo del contratto. Per le locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione: principi importanti: 1) la durata della locazione di immobili adibiti ad attività industriali, commerciali, artigianali, turistiche o professionali non può essere inferiore a 6 anni, a 9 anni se adibiti ad attività alberghiera; 2) il conduttore può recedere dal contratto anche prima della scadenza ove ricorrano gravi motivi o il locatore gli abbia concesso contrattualmente tale facoltà 3) il contratto si rinnova tacitamente alla sua scadenza per un ulteriore identico periodo; 4) il conduttore può sia sublocare l’immobile che cedere il contratto di locazione a terzi senza bisogno del consenso del locatore, purchè venga insieme ceduta o locata l’azienda; 5) il canone iniziale di locazione può essere liberamente determinato dalle parti, ma per gli anni successivi gli aumenti sono sottratti alla disponibilità delle parti e sono consentiti dalla legge con frequenza annuale nel limite del 75% della variazione dell’indice dei prezzi al consumo; 6) in caso di cessazione del rapporto che non sia dovuta a risoluzione per inadempimento del conduttore o a suo recesso, a quest’ultimo è dovuta una indennità per la perdita dell’avviamento; 7) nel caso in cui il locatore intenda vendere l’immobile locato il conduttore ha un diritto di prelazione per l’acquisto. IL LEASING Il contratto atipico di leasing, altimenti denominato come “locazione finanziaria”, può atteggiarsi in una pluralità di forme pur sempre conservando nel rapporto causale che lega le parti taluni elementi distintivi.comuni. Da un lato si pone l’impresa concedente il bene produttivo, che si obbliga a consentire all’utilizzatore il godimento del bene oggetto del contratto per un tempo determinato (di norma inferiore alla presumibile vita.economica.dello.stesso).Dall’altro vi è l’utilizzatore, che assume i rischi relativi alla cosa quali, ad esempio, il suo perimento o deterioramento, si obbliga a corrispondere all’impresa di leasing un canone periodico, che rapportato alla durata del contratto, comprende non solo il valore del bene ma anche le quote di rischio e di profitto.dell’impresa.concedente. Tra le molteplici species del complesso ed articolato genus del leasing, viene in rilievo innanzitutto la ripartizione fondata essenzialmente sul numero delle parti che intervengono nel contratto tra “leasing operativo” e “leasing finanziario”, figure delle quali appresso, non senza notevole semplificazione, si tracciano i principali elementi distintivi Il “leasing finanziario” è caratterizzato dalla trilateralità del rapporto contrattuale: il concedente ovvero l’impresa di leasing si frappone tra fornitore del bene e suo utilizzatore; acquista o fa costruire dal produttore il bene, mobile o immobile, scelto dall’utilizzatore e quindi, restandone proprietaria, lo concede in godimento all’utilizzatore che assume su di se tutti i rischi e i benefici connessi con la proprietà del bene. Di solito, la durata del contratto è quasi coincidente con la vita utile del bene e il valore attuale dei canoni dovuti in base al contratto tende ad eguagliare il costo del bene all’inizio del rapporto contrattuale. L’utilizzatore, alla scadenza prestabilita, può avere la facoltà di esercitare l’opzione di riscatto del bene stesso, acquisendolo in proprietà dietro pagamento di un modesto importo, generalmente inferiore al valore del bene in quel momento. Nel “leasing operativo” (o leasing diretto) i soggetti sono invece solamente due: l’utilizzatore ed il produttore del bene che assume altresì il ruolo di concedente. In genere, la durata del contratto è breve e l’ammontare del canone è proporzionato all’utilizzo del bene piuttosto che al suo costo. Spesso a tale contratto accede anche un contratto di assistenza tecnica e di manutenzione, mentre è solitamente prevista la facoltà di esercitare l’opzione finale.di.acquisto.del.bene.locato. Nel “leasing di godimento” ( o tradizionale) l’utilizzazione della res da parte del concessionario si inquadra in una funzione di finanziamento a scopo di godimento del bene per la durata del contratto, per cui i canoni versati costituiscono esclusivamente il corrispettivo di tale godimento. L’interesse principale dell’utilizzatore è quello di ottenere la disponibilità del bene stesso e il potere di sfruttamento, senza esborso di capitali rilevanti e fino alla sua pressoché totale obsolescenza. Il valore residuale del bene è minimo e corrisponde all’altrettanto modesto prezzo di opzione per l’acquisto della proprietà allo scadere.del.contratto. Nel “Leasing traslativo” le parti prevedono che il bene, avuto riguardo alla sua natura, all’uso programmato ed alla durata del rapporto, sia destinato a conservare, alla scadenza contrattuale, un valore residuo particolarmente apprezzabile per l’utilizzatore. L’elemento principale che permette di individuare questa tipologia del leasing è costituito infatti dal considerevole valore economico residuo dei beni oggetto del contratto alla scadenza, valore di norma superiore al prezzo pattuito per l’opzione. Ne consegue che nel caso del leasing traslativo il trasferimento della proprietà del bene, dal concedente all’utilizzatore, rientra nella funzione assegnata al contratto dalle.parti. L’importo dei canoni contiene infatti anche una quota del prezzo finale per cui il valore globale dei canoni corrisponde al valore complessivo del bene mentre la conservazione della proprietà del bene in capo al finanziatore fino alla scadenza del contratto indica lo scopo di garanzia rispetto alla riscossione di.tutti.i.canoni. La suddetta suddivisione fra le due tipologie di contratto di leasing ha permesso alla giurisprudenza di legittimità di applicare, a seconda dei casi, le norme che regolano i contratti tipici che più si attagliano a ciascuna.fattispecie. Diverso dal leasing è il contratto di leaseback: il proprietario di un bene (di solito un immobile) lo aliena ad una finanziaria, che però glielo lascia in godimento, contro pagamento di un canone per il periodo fissato, e con la facoltà per il concessionario, alla scadenza, di riacquistare la proprietà con il pagamento di un prezzo finale, oppure di prorogare il godimento continuando a pagare i canoni per un ulteriore periodo, oppure ancora di consegnare definitivamente il bene alla finanziaria. L’APPALTO L’appalto è il contratto con il quale un committente affida ad un appaltatore o il compimento di un’opera o lo svolgimento di un servizio, verso un corrispettivo in danaro Gli appalti si distinguono in privati e pubblici. Caratteristica dell’appalto è la gestione a rischio dell’appaltatore, il quale deve provvedere ad organizzare tutti i mezzi necessari per l’esecuzione del contratto. L’oggetto dell’appalto deve essere determinato o determinabile. Il corrispettivo può essere stabilito o a forfait, per tutta l’opera nel suo complesso, o a misura (tanto al mt quadro…). Se le parti non hanno fissato il corrispettivo né hanno determinato i criteri per calcolarlo, il compenso va stabilito con riferimento alle tariffe esistenti o agli usi, o, in mancanza, deve essere determinato dal giudice. L’appaltatore ha anche diritto ad un ulteriore compenso se nel corso dell’opera si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendano più onerosa la prestazione dell’appaltatore. Ultimati i lavori, il committente ha diritto di verificare l’opera compiuta. La verifica si chiama collaudo. L’appaltatore è tenuto a garantire il committente per eventuali vizi dell’opera. La garanzia non è dovuta se il committente ha accettato l’opera e i vizi erano da lui conosciuti; se invece non ha accettato l’opera o se i vizi erano occulti, il committente ha l’onere di denunciare i vizi entro 60 gg. dalla scoperta. Il committente ha diritto che l’appaltatore elimini a sue spese i vizi oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito. Frequente è la stipulazione di subappalti sebbene il subappalto richieda una specifica autorizzazione da parte del committente. LA SUBFORNITURA La subfornitura consiste nell’affidamento da parte di imprese più grandi, della predisposizione di talune parti di un prodotto finale o dello svolgimento di talune fasi di un processo produttivo, donde la dipendenza del subfornitore dalle direttive impartite dall’impresa committente. La disciplina si concreta prevalentemente: a) nell’obbligatorietà della forma scritta ad substantiam per la valida stipulazione del contratto, al fine di assicurare certezza e trasparenza al rapporto; b) il committente non può dilazionare il pagamento del corrispettivo per un termine superiore a 60gg.ed in caso di ritardo si applicano a suo carico interessi moratori nella misura del tasso ufficiale di sconto maggiorato del 5%; c) è vietato ogni eventuale abuso dello stato di dipendenza economica in cui possa trovarsi l’impresa subfornitrice. (imposizione di un contratto con condizioni gravose o discriminatorie il patto attraverso il quale si realizzi questo abuso è nullo. IL CONTRATTO DI TRASPORTO Con il contratto di trasporto, una parte (vettore) si obbliga verso corrispettivo a trasferire persone o cose da un luogo all’altro. Distinguiamo il trasporto terrestre, il trasporto per acqua e il trasporto per aria. Ad evitare abusi e per assicurare il servizio alla generalità del pubblico, sono stabiliti a carico delle imprese concessionarie due obblighi: a) quello di contrarre chiunque ne faccia richiesta; b) quello di osservare la parità di trattamento secondo le condizioni stabilite nell’atto di concessione. La differenza fondamentale che sussiste tra il trasporto di persone e quello di cose è: nel trasporto di cose queste sono affidate al vettore, che ha l’obbligo di provvedere alla custodia di esse durante il trasporto; nel trasporto di persone manca invece, questo affidamento perché in tal caso si parla di esseri umani dotti di intelligenza, i quali devono cooperare con il vettore sia per evitare danni a sé stessi sia per lo stesso buon esito del viaggio. Le cose che il viaggiatore porta con sé durante il viaggio, siccome restano nella sua sfera di detenzione, non formano oggetto di affidamento al vettore, il quale non ha l’obbligo della custodia. I CONTRATTI DI COOPERAZIONE NELL’ALTRUI ATTIVITA’ GIURIDICA IL MANDATO Il mandato è il contratto con cui una parte (mandatario) assume l’obbligo di compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra parte (mandante) (art.1703 c.c.). Il mandato può essere con rappresentanza (gli effetti giuridici degli atti compiuti dal mandatario si verificano direttamente in capo al mandante) o senza rappresentanza (il mandatario agisce in nome proprio e acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dal negozio e i terzi non hanno rapporto con il mandante. Il mandatario ha poi l’obbligo di trasferire con un successivo negozio al mandante il diritto acquistato in norme proprio, ma nell’interesse del mandante). Il mandato senza rappresentanza è applicato dalla legge solo per gli immobili o i beni mobili iscritti in pubblici registri: il mandatario che li abbia acquistati in nome proprio, ma nell’interesse del mandante, ne diventa proprietario, ma ha l’obbligo di ritrasferirne la proprietà al mandante; in caso di inadempimento di quest’obbligo, si applicano gli stessi principi che vigono nell’ipotesi di inadempimento del contratto preliminare: il mandante può chiedere che il giudice attui il trasferimento mediante sentenza costitutiva. Se il bene mobile è acquistato, sì, nel nome del mandatario, ma nell’interesse del mandante, a quest’ultimo è concesso di rivendicare i beni stessi, se non gli sono stati trasferiti dal mandatario, sia contro il mandatario, sia contro i terzi. Naturalmente, ove nel frattempo il mandatario abbia già alienato ad un terzo, che abbia acquistato in buona fede e sia entrato in possesso dei beni, si applica il principio stabilito dall’art.1153 c.c.: la rivendicazione del mandante non può perciò essere accolta. Il trasferimento degli immobili esige la forma scritta ad substantiam, ed è soggetto, per la tutela dei terzi, a pubblicità (trascrizione); perciò la proprietà non può essere attribuita al mandante senza un nuovo atto scritto di trasferimento da sottoporsi a pubblicità. Nessun ostacolo si oppone, invece, all’acquisto immediato della proprietà dei beni mobili a favore del mandante: occorre solo proteggere la buona fede dei terzi subacquirenti e per questo è sufficiente l’applicazione della regola generale “possesso vale titolo”. Per quanto riguarda i crediti nascenti dal rapporto posto in essere dal mandatario, il mandante può esercitare i diritti nascenti dal rapporto obbligatorio sostituendosi al mandatario. Il mandato si dice collettivo, se è conferito ad una stessa persona da più mandanti per un interesse comune a questi ultimi; congiuntivo, se è conferito a più mandatari, perché attendano congiuntivamente ad un medesimo affare. Il mandato si presume oneroso. L’obbligo fondamentale del mandatario consiste nell’eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia. Il mandante dal suo canto, è tenuto a fornirgli i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato, a rimborsargli le spese, a pagargli il compenso, e a risarcirgli i danni che questi abbia subìto a causa dell’incarico. La morte, l’interdizione o l’inabilitazione del mandante o del mandatario, determinano l’estinzione del mandato tranne che si tratti di mandato conferito nell’interesse del mandatario o di un terzo. L’estinzione può verificarsi anche per dichiarazione unilaterale del mandante (revoca) o del mandatario (rinunzia), comunicata all’altra parte (dichiarazione recettizia). La revoca può essere espressa o tacita. Essa non è ammessa se il mandato è conferito anche nell’interesse del mandatario o di terzi. Quando il mandato si estingue per rinunzia del mandatario, salvo l’obbligo di corrispondere i danni, se la rinuncia non è fondata su giusta causa, oppure se, trattandosi di mandato a tempo indeterminato, non è preceduta da congruo preavviso. LA COMMISSIONE La commissione è un mandato senza rappresentanza, che ha per oggetto l’acquisto e la vendita di beni per conto di una parte (committente), e in nome dell’altra (commissionario) (art.1731 c.c.). A questo contratto si applicano le regole generali per il mandato senza rappresentanza. Il compenso che spetta al commissionario si chiama provvigione. Se il commissionario assume verso il committente la garanzia del buon esito dell’affare, ossia risponde con il proprio patrimonio nel caso le persone con le quali ha concluso il contratto siano inadempienti, si dice che egli è tenuto allo “star del credere” ed ha diritto ad una maggiore provvigione. IL CONTRATTO DI SPEDIZIONE Il contratto di spedizione è un mandato senza rappresentanza. Con esso, una parte (spedizioniere) assume l’obbligo di concludere, in nome proprio e per conto del mandante, un contratto di trasporto e di compiere le operazioni accessorie (imballaggio, presa a domicilio, assicurazione…). IL CONTRATTO DI AGENZIA Con il contratto di agenzia, un’impresa affida ad un agente l’incarico, con carattere di stabilità, di promuovere, nella zona assegnatagli, la stipulazione di contratti con i terzi relativi ai prodotti del preponente. L’agente, pertanto, non provvede a stipulare lui direttamente i contratti con i clienti per conto dell’imprenditore, ma si limita a trasmettere a quest’ultimo gli ordini che raccoglie nella sua zona, e che il preponente, peraltro, è libero di accettare o meno. Talvolta all’agente viene conferito anche un potere di rappresentanza dell’imprenditore: nel qual caso, più che di agente si parla di rappresentante di commercio. Di regola, la retribuzione dell’agente è calcolata a “provvigione” sugli affari conclusi per suo tramite. L’agente sopporta in proprio tutte le spese per la propria organizzazione. Non è raro che il ruolo di agente sia svolto non da una persona fisica, ma da una società. Di regola per l’agenzia vale, a favore e a carico di entrambe le parti, una esclusiva (art.1743 c.c.), sia nel senso che l’agente non può assumere incarichi per più imprese in concorrenza tra loro, sia nel senso che l’imprenditore non può nominare altri agente nella zona assegnata ad un agente e deve corrispondere a questo la provvigione anche per gli affari che l’impresa abbia concluso direttamente, senza l’intervento dell’agente, purchè debbano essere eseguiti nella zona assegnata a quest’ultimo. Il contratto di agenzia può essere stipulato a tempo determinato o a tempo indeterminato. IL FRANCHISING E’ a tutti noto il fenomeno delle catene di negozi, composte da una molteplicità di imprese commerciali di vendita al dettaglio che distribuiscono esclusivamente i prodotti di un determinato produttore (contrassegnati da un certo marchio), che adottano gli stessi segni distintivi (ditta, insegna) e sono tra loro spesso identici anche nell’arredamento dei locali. Tali catene sono, nella quasi totalità dei casi, costituite mediante contratti di franchising. I negozi non appartengono al produttore dei beni, e coloro che li gestiscono non sono suoi dipendenti. Si tratta, invece, di autonomi imprenditori commerciali, i quali, stipulando un contratto di franchising, sono entrati nella catena, acquistando il privilegio di vendere i beni di un determinato produttore, utilizzando il suo marchio e esponendo la sua insegna. Il franchising, in sostanza, si presenta come un contratto a prestazioni corrispettive, con cui un imprenditore (un produttore di beni di consumo detto franchisor) attribuisce ad un altro imprenditore (commerciante affiliato detto franchisee), il diritto di vendere i suoi prodotti, usando il suo marchio e i suoi segni distintivi, e gli fornisce un’assistenza commerciale sia per avviare l’unità di vendita che per tutta la successiva durata del contratto. in cambio, la controparte deve pagare un corrispettivo all’atto della stipulazione del contratto con il quale entra nella catena ed un canone periodico. LA MEDIAZIONE Carattere fondamentale della mediazione è l’intervento di una persona (o di un’agenzia) estranea alle parti (il mediatore) che, pur non essendo legato a nessuna di esse da rapporti di collaborazione o di dipendenza, le mette in relazione tra loro per provocare o agevolare la conclusione di un affare (art.1754 c.c.). Il legislatore ha istituito un apposito ruolo, al quale sono tenuti ad iscriversi quanti intendono svolgere attività di mediazione, anche se in modo discontinuo ed occasionale; e solo chi sia scritto in tale ruolo ha diritto a percepire la provvigione. Anche le società di mediazione devono essere iscritte a ruolo, nel quale devono iscriversi pure il rappresentante legale della società e quanti svolgono per conto di questa attività di mediazione. La legge in questione non si applica agli agenti di cambio, ai mediatori marittimi, agli intermediari nei servizi turistici e assicurativi. Il mediatore ha diritto ad una provvigione da entrambe le parti, anche se abbia agito per incarico di una sola di esse, ma la provvigione gli spetta solo se l’affare è concluso per effetto del suo intervento. La misura della provvigione e la ripartizione di essa tra le parti, ove non sia fissata pattizialmente, può essere desunta da tariffe professionali, dagli usi o dal giudice. LE VENDITE PIRAMIDALI La legge tutela il rapporto tra l’imprenditore e il soggetto incaricato alla vendita ad es. la legge vieta di imporre all’incaricato l’obbligo di acquistare una certa quantità di prodotti o di partecipare a pagamento a corsi di formazione. La vendita piramidale consiste nella creazione di strutture di vendita nelle quali l’incentivo economico si fonda sul reclutamento di nuovi soggetti piuttosto che sulla capacità di vendere. In questi casi l’accesso alla struttura comporta un onere e dilatandosi la piramide coloro che ne sono al vertice riescono a realizzare notevoli guadagni mentre gli ultimi sono esposti al rischio di subire costi d’ingresso senza trarne benefici. Queste forme di organizzazione sono espressamente vietate. I PRINCIPALI CONTRATTI REALI Il deposito regolare Il deposito è il contratto reale con il quale una parte (depositario) riceve dall’altra (depositante) un cosa mobile con l’obbligo di custodirla e di restituirla in natura, quando il depositante gliela richiede (es. il deposito del bagaglio presso la stazione; art.1766 c.c.). Il depositario detiene la cosa solo nel mio interesse e non ne può disporre e nemmeno servirsene. Se l’alienasse, si renderebbe responsabile del delitto di appropriazione indebita. Il deposito si presume gratuito. Il depositario non può pretendere che il depositante provi di essere proprietario della cosa. Altra figura peculiare del deposito è il sequestro convenzionale che ha luogo quando v’è controversia tra due o più persone circa la proprietà di una cosa; fin quando la controversia non sarà decisa, la cosa resta affidata ad un terzo perché la custodisca e la restituisca a quella cui spetterà quando la controversia sarà decisa. Dato che questo è difficile da verificarsi, si ricorre al sequestro giudiziario. Il deposito irregolare Il deposito irregolare ha per oggetto una quantità di danaro o altre cose fungibili, delle quali viene concessa al depositario la facoltà di servirsi. Il depositario acquista allora la proprietà delle cose e può farne quel che crede; egli è tenuto a restituire non le stesse cose, ma la stessa quantità di esse. Se depositaria è una banca e il deposito irregolare ha per oggetto una somma di danaro, si ha il deposito bancario. Il deposito nei magazzini generali Una figura caratteristica di deposito è il deposito nei magazzini generali o nei depositi franchi I magazzini generali sono locali in cui i commercianti possono depositare le merci; l’impresa che li gestisce provvede verso compenso alla custodia ed alla conservazione. I depositanti traggono quest’utilità da questo tipo di deposito: su loro richiesta vengono rilasciati titoli che rappresentano le merci (fedi di deposito e note di pegno o warrant). Trasferendo la fede di deposito, il commerciante trasferisce la proprietà della merce, senza bisogno di spostarla dal magazzino; con la nota di pegno riesce ad avere sovvenzioni costituendo un pegno sulla merce che rimane nel magazzino. I depositi franchi sono una sottospecie dei magazzini generali: la merce ivi depositata è franca, esente da dogana. Il comodato Il comodato è il contratto con il quale una parte (comodante) consegna all’altra (comodatario) una cosa mobile o immobile, affinchè questa se ne serva per un tempo o un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta, ma senza essere tenuta a pagare alcun corrispettivo. Solo le cose inconsumabili possono formare oggetto del comodato, non le cose consumabili. Il comodato è un contratto essenzialmente gratuito (art.1803 c.c.), altrimenti diventerebbe un contratto di locazione. Peraltro il requisito della gratuità del comodato non viene meno se non sono poste a carico del comodatario prestazioni accessorie, purchè non siano tali da assumere il carattere di un vero corrispettivo. Il mutuo Il mutuo è il contratto con il quale una parte (mutuante) consegna all’altra (mutuatario) una determinata quantità di danaro, o di altre cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità. Il mutuo si presume oneroso: salva diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante. Se le parti non hanno pattuito il tasso di interesse dovuto, si applica il tasso legale. I CONTRATTI BANCARI Le operazioni di banca. Le regole generali sui contratti bancari Le banche sono imprese che esercitano l’attività bancaria. Per attività bancaria si intende la raccolta del risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito. Le banche possono operare solo se abbiano ottenuto l’autorizzazione e siano state iscritte nell’apposito Albo, curato dalla Banca d’Italia. La normativa comunitaria ha stabilito il principio del c.d. “mutuo riconoscimento”, vale a dire che le banche dei Paesi della Comunità, una volta ottenuta l’autorizzazione ad operare nel Paese d’origine, sono automaticamente autorizzate ad operare in tutto il territorio della CEE senza bisogno di alcun’altra autorizzazione. Le banche svolgono anche numerose altre attività, direttamente o tramite partecipazioni in società controllate, quali il leasing finanziario, il factoring, servizi di pagamento, emissioni di assegni, cambiali... Le operazioni bancarie si distinguono in operazioni passive, con cui le banche si indebitano verso la clientela raccogliendo fondi, operazioni attive, con cui le banche diventano creditrici dei clienti cui concedono finanziamenti, ed operazioni accessorie, che consistono nei servizi che le banche prestano utilizzando la propria organizzazione (trasferimento di fondi, acquisto e custodia di titoli…). Le banche sono tenute alla pubblicità nei locali ove svolgono la loro attività, a tutti gli elementi di costo dei servizi e prodotti offerti alla clientela, mentre i singoli contratti devono essere stipulati per iscritto (consegnandone copia al cliente). Il conto corrente e le operazioni bancarie in conto corrente C/c ordinario è il contratto col quale due parti, avendo plurimi rapporti da cui derivano crediti pecuniari reciproci, si accordano per considerare inesigibili temporaneamente le rispettive ragioni di credito, inserendole in un apposito conto unitario, ed accettandone la compensazione integrale, fino a concorrenza, cosicchè, alle scadenze pattuite (o, in mancanza, al termine di ogni semestre) tutte le partite risultino sistemate con il pagamento del solo saldo. Il c/c bancario, invece, è un contratto col quale si stabilisce di far confluire in medesimo conto accrediti ed addebiti, ma con il quale il correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito. Di regola, il c/c bancario è utilizzato anche per l’esecuzione degli incarichi che il cliente affida alla banca (mandati di pagamento, ordini di acquisto, cambio di valute,…). La banca è tenuta ad inviare estratti conto periodici, ma questi si ritengono tacitamente approvati in mancanza di opposizione scritta da parte del cliente entro 60 gg. dal ricevimento. Il deposito bancario Il deposito bancario costituisce la tipica operazione bancaria passiva e rappresenta lo strumento tradizionale di raccolta del risparmio, essenziale per lo svolgimento della funzione di intermediazione che le banche assolvono. Di regola il deposito è remunerato dalla banca, con un riconoscimento di interessi a favore del depositante. Per lo più il rapporto è regolato in c/c, consentendo al cliente prelievi e versamenti in qualsiasi momento, nonché l’utilizzo di assegni bancari. A richiesta del cliente la banca rilascia al depositante un libretto, sul quale si annotano tutti i versamenti e i prelevamenti. I libretti di risparmio possono essere nominativi se vengono intestati ad una o più persone; al portatore se il depositante preferisce che possano risultare legittimati ad operare anche altre persone. La normativa contro il riciclaggio ha comportato che il saldo dei libretti di risparmio al portatore non può essere superiore a 20 milioni. I prestiti alla clientela Con il danaro raccolto le banche provvedono a concedere prestiti alla clientela. Le forme tecniche con cui possono essere concessi affidamenti sono: l’apertura di credito, l’anticipazione bancaria, lo sconto. L’apertura di credito è il contratto con il quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’affidato, per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato, l’importo pattuito, con diritto dell’altra parte, di ritirare o no, in tutto o in parte, le somme poste a sua disposizione e di procedere successivamente con piena libertà a prelievi e versamenti in c/c, sempre nei limiti di quanto la banca gli ha accordato. L’anticipazione bancaria va distinta dall’apertura di credito per la circostanza che nell’anticipazione bancaria il prestito è sempre accompagnato dall’accensione di un pegno a favore della banca su titoli o merci. Il pegno costituito a garanzia dell’anticipazione bancaria può essere regolare o irregolare; è regolare e, pertanto, la banca non può disporre delle cose ricevute in pegno, se essa ha rilasciato un documento nel quale le cose stesse sono individuate; è irregolare se manca l’individuazione delle cose consegnate oppure è stata conferita alla banca la facoltà di disporne. In questa seconda ipotesi, la banca acquista la proprietà delle cose ricevute in pegno e deve restituire solo la somma o la parte delle merci che eccedono l’ammontare dei crediti garantiti. Sconto Lo sconto è il contratto con il quale la banca, alla quale viene ceduto il credito non ancora scaduto che il cliente ha verso terzi, anticipa a quest’ultimo l’importo del credito. Lo sconto, pertanto, è una cessione di credito contro corrispettivo. La cessione avviene pro solvendo, per cui, se il debitore non paga alla scadenza, la banca può rivolgersi anche a colui a cui favore ha concesso lo sconto e farsi restituire la somma versata. Inoltre, la banca deduce dall’importo del credito ceduto gli interessi per l’anticipazione fatta. Lo sconto si configura in sostanza come un prestito che la banca fa al cliente. I crediti che più frequentemente formano oggetto di sconto sono quelli derivanti da cambiali Cassette di sicurezza Uno tra i più importanti servizi bancari accessori è costituito dalle cassette di sicurezza. Queste sono recipienti collocati in stanze corazzate, predisposte dalle banche: il cliente vi può deporre ciò che crede (denaro, gioielli, titoli). Con questo contratto il cliente realizza due finalità: un elevato grado di sicurezza contro i furti e una totale riservatezza, perché l’utente può introdurre nella cassetta a propria esclusiva discrezione i valori che preferisce, senza che la banca debba o possa venirne a conoscenza. Per la natura giuridica di questo contratto, si ritiene preferibile qualificarlo come contratto misto o complesso, nel senso che in esso sono presenti prestazioni tipiche di più contratti. I CONTRATTI ALEATORI A) LA RENDITA Con l’espressione rendita si intende qualunque prestazione periodica (ogni anno, ogni mese,...), avente per oggetto danaro o una certa quantità di cose fungibili (grano, vino, …). La rendita perpetua Con il contratto di rendita perpetua una parte conferisce all’altra (e da questa ai suoi eredi) il diritto di esigere in perpetuo una prestazione, del genere ora accennato, quale corrispettivo dell’alienazione di un immobile o della cessazione di un capitale, oppure quale onere dell’alienazione gratuita di un immobile o della cessazione gratuita di un capitale. Il debitore ha la facoltà di sciogliersi dal vincolo mediante una dichiarazione unilaterale di volontà, accompagnata dal pagamento di una somma che risulta dalla capitalizzazione della rendita annua sulla base dell’interesse legale. La rendita si dice fondiaria, se è costituita mediante alienazione di un immobile; semplice, se mediante cessione di un capitale La rendita vitalizia Col termine “vitalizia” si vuol dire che l’obbligazione di corrispondere la rendita dura finchè dura la vita di una persona designata dalle parti, la quale può essere sia il beneficiario della rendita che un terzo. La rendita vitalizia ha natura aleatoria. L’alea è un requisito essenziale: se manca, il contratto è nullo. La rendita vitalizia può costituirsi, oltre che per contratto, anche per testamento o a favore di un terzo. B) LE ASSICURAZIONI L’assicurazione è un contratto con il quale una parte (assicuratore), verso pagamento di una somma, detta premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, dal danno ad esso prodotto da un sinistro (assicurazione contro i danni), ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana (assicurazione sulla vita) (art.1882 c.c.), ovvero a risarcire a terzi il danno che dovrebbe essere risarcito dall’assicurato (assicurazione contro la responsabilità civile) (art.1917 c.c.). Il contratto di assicurazione costituisce, pertanto, un atto di previdenza per l’assicurato ed una speculazione per l’impresa assicuratrice. Esso appartiene alla categoria dei contratti aleatori: il rischio costituisce un elemento essenziale; se manca, il contratto è nullo (art.1896 c.c.). Inoltre l’assicuratore deve essere in condizione di apprezzare il rischio per decidere se è opportuno o no concludere il contratto e quale premio gli conviene chiedere per compensare con gli altri rischi omogenei la prestazione che contrattualmente è tenuto a corrispondere (proporzione del premio al rischio). Le risposte inesatte o reticenti dell’assicurato danno luogo all’annullabilità del contratto soltanto nell’ipotesi di dolo o colpa grave dell’assicurato. Altrimenti, l’assicuratore ha la facoltà di recedere dal contratto e l’indennità, nel caso che il sinistro si verifichi prima della dichiarazione di recesso o della conoscenza dell’inesattezza o della reticenza da parte dell’assicurato, è ridotta in proporzione. L’assicuratore è obbligato a rilasciare al contraente un documento, la polizza, che può essere all’ordine o al portatore. Il contratto di assicurazione è, di regola, un contratto per adesione: la polizza contiene le condizioni generali di contratto. L’assicurazione contro i danni Alle assicurazioni contro i danni si applica il c.d. principio indennitario effetto del quale l’indennizzo dovuto dall’assicuratore non può mai superare l’importo del danno sofferto dall’assicurato: l’assicurazione è regolata e tutelata dal legislatore come atto di previdenza e, cioè, come mezzo di conservazione del patrimonio e non può, quindi, diventare fonte di arricchimento o di speculazione. E l’assicuratore che ha pagato l’indennità può esercitare le azioni che spettano all’assicurato contro i terzi responsabili del danno arrecato alla cosa (surrogazione legale: art.1916 c.c.). Inoltre, non ci si può assicurare per un bene altrui, la cui perdita o il cui deterioramento è del tutto indifferente per il nostro patrimonio. L’assicurazione della responsabilita` civile. Le assicurazioni obbligatorie Un particolare tipo di assicurazione contro i danni è rappresentato dalla c.d. assicurazione della responsabilità civile: con tale contratto l’assicuratore si obbliga a tener indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare ad un terzo, in dipendenza dalla responsabilità dedotta nel contratto (art.1917 c.c.). Sono esclusi i danni derivanti da fatti posti in essere dall’assicurato con dolo. Si tratta di una forma di assicurazione molto diffusa e nota soprattutto per quanto riguarda la circolazione dei veicoli. Anzi, per questi rischi, è stato introdotto anche in Italia il principio che l’assicurazione della responsabilità civile è obbligatoria per tutti i veicoli e per i natanti. La legge consente al danneggiato di rivolgersi per il risarcimento dei danni subìti anche direttamente contro l’assicuratore. Inoltre è stato costituito un fondo di garanzia per le vittime della strada, dal quale il danneggiato potrà farsi risarcire il danno subìto qualora questo sia stato provocato da un veicolo o natante non identificato oppure non coperto da assicurazione. L’assicurazione sulla vita Alla categoria delle assicurazioni sulla vita appartengono tutte quelle forme di assicurazione in cui la prestazione dell’assicuratore dipende dalla durata della vita umana. L’assicurazione può anche essere contratta sulla vita di un terzo. Per evitare che una siffatta forma di assicurazione costituisca un incentivo all’omicidio (per lucrare l’indennità), si è stabilita la necessità del consenso della persona sulla cui vita l’assicurazione è contratta) Una figura frequente di assicurazione sulla vita è l’assicurazione a favore di un terzo: le parti stabiliscono che alla morte dell’assicurato l’indennità sia attribuita ad un terzo designato dalla persona che contrae l’assicurazione (beneficiario). La riassicurazione La riassicurazione è il contratto con il quale l’assicuratore assicura presso un’altra impresa i rischi che ne ha assunto (art.1928 c.c.). Esso non costituisce una forma di cessione del contratto di assicurazione, perché nella cessione si sostituisce al contraente originario un terzo; invece il contratto di riassicurazione non crea rapporti tra l’assicurato e il riassicuratore . C) GIUOCO E SCOMMESSA Gioco e scommessa sono contratti aleatori per eccellenza. Essi si distinguono dall’assicurazione perché non hanno, come questa, finalità previdenziale per una delle parti, ma scopo di lucro per entrambe. Se il gioco o la scommessa sono proibiti, il negozio è illecito e nessun diritto sorge a favore del vincitore, il quale è anche tenuto a restituire ciò che il perdente abbia eventualmente pagato. Se, invece, il gioco è lecito, il vincitore non ha azione, ma il perdente non può ripetere quanto abbia spontaneamente pagato (obbligazione naturale). L’azione è, invece, ammessa se si tratti di giochi o scommesse relative a competizioni sportive (es. totocalcio) o di lotterie autorizzate. L’irripetibilità si applica a tutti i debiti che sono contratti tra giocatori per iniziare o proseguire il gioco (es. prestito fatto da un giocatore all’altro a tal fine). Queste regole si applicano anche al gioco esercitato nelle case da gioco organizzate da comuni e all’uopo autorizzate, in quanto l’autorizzazione governativa ha il solo effetto di togliere valore alle sanzioni penali stabilite per i giochi d’azzardo, ma non incide sul regime privatistico del gioco. I CONTRATTI DIRETTI A COSTITUIRE UNA GARANZIA La fideiussione. Il mandato di credito Fideiussore, dice l’art.1936 c.c. è colui che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui. La garanzia è personale, perché il creditore può soddisfarsi sopra il patrimonio di una persona diversa dal debitore, e non dà luogo a nessun diritto reale ma riguarda tutto il patrimonio del fideiussore (art.2740 c.c.). Il fideiussore risponde con tutti i suoi beni laddove il terzo datore di pegno o d’ipoteca risponde soltanto con la cosa data in pegno o in ipoteca. Ma la fideiussione non attribuisce diritto di seguito: la garanzia sussiste se ed in quanto nel patrimonio del fideiussore si trovano dei beni: se ne escono, il creditore non può rivolgersi contro il terzo acquirente. La fideiussione può essere anche spontanea, cioè essere assunta anche se il debitore non ne ha conoscenza. La fideiussione ha natura accessoria: la garanzia intanto sussiste in quanto esista l’obbligazione principale. Il fideiussore che ha pagato il debito è surrogato nei diritti che il creditore aveva contro il debitore; egli può cioè valersi contro il debitore o gli eventuali condebitori che erano a disposizione del debitore. Oltre tale surrogazione nei diritti e nelle ragioni del creditore, il fideiussore ha un’azione specifica (azione di regresso) contro il debitore, anche se questi fosse ignaro dalla prestata fideiussione: con essa può farsi rimborsare tutto ciò che abbia pagato per il debitore principale. La fideiussione omnibus. La fideiussione per obbligazione futura Si parla di fideiussione omnibus per indicare un impegno assunto da un soggetto (privato, società o altra banca) verso una banca, e con cui si garantisce l’adempimento di tutti i debiti, compresi quelli che potranno sorgere successivamente al rilascio della fideiussione, che un terzo (beneficiario della garanzia, debitore principale della banca) risulterà avere verso la banca nel momento della scadenza pattuita ovvero nel momento in cui la banca chiederà di recedere dal rapporto e di ottenere il saldo dei propri crediti. Ove il debitore principale, in tutto o in parte, non sia in grado di provvedere alla estinzione dei suoi debiti, la banca potrà rivolgersi al fideiussore omnibus, il quale non potrà opporre di non essere a conoscenza dell’entità dei debiti del garantito/beneficiario. Con tale formula, quindi, si evita di dover richiedere una nuova garanzia ad ogni nuova operazione; peraltro il fideiussore corre il rischio di ignorare di quanto si stia espandendo il totale dei debiti del soggetto in cui favore ha rilasciato la garanzia omnibus. La c.d. garanzia « a prima richiesta » L’accordo tra garante (di regola una banca o una compagnia di assicurazione) e garantito, si inserisce in un’operazione complessa per rendere sicuro l’incasso di una determinata somma di danaro da parte del beneficiario/garantito, a richiesta di quest’ultimo. Difatti il debitore della prestazione (il garante), che opera su ordine di un suo cliente, si impegna a versa re al beneficiario l’importo stabilito alla sola condizione che costui gliene faccia richiesta, essendo pertanto stabilito che il garante rinuncia formalmente ad opporgli qualsiasi tipo di eccezione. Naturalmente il garante, quando versa l’importo al beneficiario, lo addebita al suo mandante, mentre questi lo conteggia a carico della controparte nei loro rapporti diretti. L’anticresi In forza del contratto di anticresi (= scambio di godimento), il debitore o un terzo si obbliga a consegnare un immobile al creditore a garanzia del credito, affinchè il creditore ne percepisca i frutti, imputandoli agli interessi, se dovuti, e quindi al capitale (art.1960 c.c.): il debitore gode il danaro prestatogli, il creditore il fondo. La differenza tra anticresi e ipoteca è che questa non richiede il passaggio del possesso del fondo al creditore: l’immobile continua, invece, ad essere posseduto dal debitore che ne percepisce i frutti. Il divieto del patto commissorio si estende, per analogia di ragioni, all’anticresi. L’anticresi richiede ad substantiam la forma scritta (art.1350.7 c.c.). I CONTRATTI DIRETTI A DIRIMERE UNA CONTROVERSIA La transazione La transazione è il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già cominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro (art.1965 c.c.). Senza il reciproco sacrificio, le spese ed il rischio di un processo, non v’è transazione. Di fronte al rischio di perdere la lite, entrambi gli interessati preferiscono pervenire ad un regolamento contrattuale che rende inammissibile e irrilevante l’accertamento di chi avesse ragione o torto e di quale fosse la reale situazione giuridica antecedente all’accordo transattivo, ormai superata dal contratto concluso, che si pone quale fonte esclusiva della nuova disciplina tra le parti. La transazione non può riguardare diritti indisponibili (es. non si può transigere una lite relativa alla legittimità di un figlio) e deve essere stipulata da chi abbia la capacità di disporre dei propri diritti. È nulla ovviamente, la transazione relativa ad un contratto illecito. In linea di principio la transazione non può essere impugnata dalla parte che si convinca che avrebbe potuto affrontare vittoriosamente un giudizio sulla lite, invece di accettare di comporla. Tuttavia, se una delle parti era consapevole non solo di aver torto, ma addirittura che la lite era, per parte sua, temeraria, l’altra parte può chiedere l’annullamento della transazione. La cessione dei beni ai creditori La cessione dei beni ai creditori è il contratto con il quale il debitore incarica i suoi creditori o alcuni di essi di alienare tutti o alcuni suoi beni e di ripartirne fra loro il ricavato in soddisfacimento dei loro crediti (art.1977 c.c.). La cessione, salvo patto contrario, s’intende pro solvendo: il debitore è liberato verso i creditori solo dal giorno in cui essi ricevono la parte loro spettante sul ricavato della liquidazione e nei limiti di quanto hanno ricevuto. È richiesta ad substantiam la forma scritta. Per effetto della cessione il debitore perde la disponibilità dei beni ceduti, ma ha diritto di esercitare il controllo sulla gestione e di ottenere l’eventuale residuo della liquidazione. Con il pagamento del capitale, degli interessi e delle spese vien meno la ragione d’essere della cessione e pertanto è attribuito al debitore di recedere dal contratto offrendo tale pagamento. Ai creditori è concessa l’azione di annullamento, se il debitore, pur dichiarando di cedere tutti i beni, ha dissimulato, cioè nascosto, una parte notevole di essi. I CONTRATTI AGRARI I contratti agrari Tipologia Il c.c. del 1942 distingueva l’affitto di fondo rustico dal caso dell’affitto a coltivatore diretto. La legge n° 203/1982 ha invece previsto come unico contratto agrario il contratto di affitto stabilendo la conversione in affitto di tutti i contratti associativi (mezzadria, colonia parziaria e soccida). Tale conversione doveva essere richiesta dal concedente entro 4 anni dall’entrata in vigore della legge, mentre per chi non avesse chiesto la conversione questi contratti continuano sino alla loro scadenza. La legge 203 ha inoltre previsto la riconduzione in affitto per i contratti che si caratterizzano per il conferimento in godimento di un fondo rustico, da precisare che questa legge opera automaticamente. La 203 si applica quando venga concesso in godimento temporaneamente e in cambio di un corrispettivo, un fondo rustico in grado di produrre un reddito agrario. Caratteri del contratto di affitto di fondi rustici L’affitto di fondi rustici è un contratto bilaterale, oneroso e commutativo, dal quale sorgono a favore delle parti i diritti rispettivamente di godimento della cosa affittata con percezione di frutti, e del pagamento del canone. Bilaterale in quanto i contraenti si obbligano l’uno versoi l’altro e il contratto si perfeziona per l’effetto dell’incontro delle due parti; Oneroso in quanto ciascun contraente intende procurarsi un vantaggio mediante un corrispettivo. La durata del contratto La l. 203 ha determinato in 15 anni la durata minima dei contratti di affitto di fondo rustico indipendentemente dalla qualifica dell’imprenditore agricolo. Al fine di stabilire la scadenza del contratto deve essere preso in considerazione il momento in cui il conduttore si sia in concreto installato sul fondo, indipendentemente dalla stipulazione di successivi accordi. La durata massima non può essere superiore ai 30 anni. La disdetta e la rinnovazione tacita La legge ha stabilito all’art. 4 che in mancanza di disdetta di una della parti, il contratto di affitto s’intende tacitamente rinnovato per la durata del periodo minimo legale. Da precisare è che la disdetta deve pervenire almeno un anno prima della scadenza del contratto mediante lettera raccomandata; l’anno di riferimento è quello agrario che termina l’11 Novembre. La forma del contratto L’art. 41 della legge 203 stabilisce che i contratti agrari ultranovennali sono validi e opponibili a terzi, anche se verbali e non trascritti e anche se già in corso alla data di entrata in vigore della legge. Nel caso di conduttore non coltivatore diretto la legge richiede, invece, la forma scritta. Regime dei miglioramenti Secondo il c.c. l’affittuario deve curare la gestione del fondo in conformità con la destinazione economica, che non può modificare. Di conseguenza l’affittuario può eseguire migliorie rispettando l’originaria destinazione del fondo. Ad esempio, l’affittuario che riceva un seminativo potrà installarvi una piantagione che rappresenti uno sviluppo, non potrà, al contrario spiantare un frutteto per intraprendere altre coltivazioni, essendo chiara la destinazione del fondo. La legge ammette che ciascuna delle parti possa apportare miglioramenti e trasformazioni purché non modifichino la destinazione agricola del fondo nel rispetto dei programmi regionali di sviluppo. Sul conduttore grava l’obbligo di restituire “la cosa” nel medesimo stato in cui l’ha ricevuta. Il concedente può chiedere la risoluzione del contratto per grave inadempimento quando il conduttore non rispetti queste condizioni. Le obbligazioni scaturenti dal contratto di affitto Le obbligazioni del concedente sono:  La consegna del fondo rustico: per il quale non s’intende il terreno nudo, ma il fondo attrezzato con gli accessori e le pertinenze per la produzione cui è destinato e nell’estensione prevista dal contratto.  Adoperarsi affinché sia garantito all’affittuario l’esercizio dell’impresa. L’affitto di fondi rustici è un contratto di durata ad esecuzione continuata: la durata è infatti adeguata allo svolgimento di almeno un ciclo produttivo, allo scopo di garantire un assetto stabile all’impresa che l’affittuario deve condurre. Come detto prima, il legislatore ha disposto una durata massima del rapporto di 30 anni e una minima di 15 anni. Inoltre si dispone una tacita rinnovazione del contratto in caso di mancata disdetta di una delle due parti. Infine il concedente può chiedere la risoluzione del contratto per grave inadempimento dell’affittuario, intendendo ogni violazione degli obblighi di pagamento del canone o di razionale coltivazione del fondo. Le obbligazioni dell’affittuario sono quelle, in primo luogo di corrispondere un canone al concedente per il godimento del fondo rustico e di apportare i miglioramenti già spiegati. Il canone è determinato corrisposto in denaro, tale determinazione è fatta sulla base di 3 tipi di coefficienti: 1. Coefficienti di moltiplicazione del reddito dominicale: variano in funzione della qualità e della zona agraria del fondo e sono elaborati da apposite Commissioni tecniche provinciali. 2. Coefficienti aggiuntivi: elaborati dalle medesime Commissioni in aggiunta ai coeff. di moltiplicazione per tener conto delle strutture che accrescono la produttività delle aziende, che possono essere fabbricati per uso abitativo o aziendale o investimenti fissi. 3. Coefficienti di adeguamento: stabiliti di anno in anno al fine di aggiornare il canone in funzione della svalutazione monetaria secondo i dati ISTAT. La successione nel contratto di affitto La legge 203 prevede i seguenti casi:  Morte dell’affittuario: la norma prevede lo scioglimento del contratto, salvo che fra gli eredi vi sia qualcuno che continui ad esercitare tale attività in qualità di coltivatore diretto o IATP;  Morte del concedente per a quale i contratti agrari non si sciolgono;  Morte del proprietario: in tal caso gli eredi in possesso delle qualifiche di coltivatore diretto o IATP, possono continuare l’attività agricola anche nelle porzioni comprese nelle quote dei coeredi, in cambio di un canone, instaurando un contratto di affitto. L’affitto a coltivatore diretto L’art. 7 della l. 203 puntualizza che vengono equiparati ai coltivatori diretti anche le di società di persone in possesso di tale qualifica. Ai fini della qualifica di coltivatore diretto in favore dell’affittuario di fondo rustico, occorre che questo si dedichi in modo stabile e continuativo ai lavori agricoli del fondo, e che la prestazione del lavoro da parte dell’affittuario e della propria famiglia sia in misura non inferiore ad â…“ delle forze normalmente occorrenti alla coltivazione del fondo. Poiché il contratto di affitto a coltivatore diretto è un contratto diverso da quello di affitto a non coltivatore diretto, nel caso in cui venga meno la qualificasi verifica lo scioglimento del contratto stesso per grave inadempienza. La prelazione agraria La prelazione agraria è un diritto a favore degli affittuari coltivatori diretti in caso di vendita del fondo rustico. È stata introdotta allo scopo di favorire l’acquisto della proprietà del fondo da parte di che ne è coltivatore; le stesse norme hanno esteso questo diritto a chi è proprietario dei fondi confinanti dal almeno 2 anni. La prelazione si applica in caso di vendita: il proprietario che intende vendere il fondo deve darne comunicazione all’affittuario che ha 30 giorni per accettare o rinunciare. Decorsi i 30 giorni senza che vi sia stata accettazione, il proprietario può vendere il fondo a chi crede. I contratti associativi I contratti associativi sono caratterizzati dalla comunanza di scopo. Le parti del contratto si associano per uno scopo comune rappresentato dall’esercizio dell’impresa. Ciò comporta che anche il rischio dell’attività ricade su ambedue le parti che sono tenute a partecipare alle spese e alle perdite. I contratti associativi sono la mezzadria, la colonia parziaria e la soccida; tuttavia la legge n° 203 ha vietato la nuova stipulazione di tali contratti e ha previsto la loro conversione in affitto. Mezzadria Nella mezzadria il concedente ed il mezzadro si associano per la coltivazione in comune del podere e per l’esercizio delle attività connesse al fine di dividerne gli utili. La ripartizione degli utili viene stabilita ne 42% a favore del concedente e nel 58% del mezzadro. Colonia parziaria È quel contratto con cui il concedente ed uno o più coloni si associano, dando vita ad una gestione in comune del fondo al fine di dividerne gli utili. La ripartizione è del 60% al colono e del 40% al concedente, quando le spese vengono divise al 50%. Il dato che accomuna la mezzadria e la colonia parziaria è l’esercizio in comune dell’impresa agricola, mentre differiscono per la presenza di un’accorta organizzazione del fondo nella mezzadria, che manca nella colonia parziaria; inoltre nel caso della mezzadria la famiglia colonica si insedia sul fondo, cosa che non è tenuta a fare nella colonia parziaria. Soccida La soccida è il contratto nel quale il soccidante ed il soccidario si associano per l’allevamento e lo sfruttamento del bestiame e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di ripartire l’accrescimento del bestiame e gli altri utili che ne derivano. Le parti del contratto sono:  Il soccidante, che è tenuto al conferimento del bestiame;  Il soccidario, che è tenuto al conferimento della prestazione lavorativa, effettuata eventualmente con la collaborazione dei familiari, con il consenso del soccidante. La durata minima del contratto è di tre anni vi è anche una rinnovazione tacita in mancanza di disdetta di una delle parti. In sintesi il soccidante attribuisce al soccidario il potere e dovere di curare il bestiame, ma si riserva un potere di direzione dell’impresa. Si possono distinguere tre tipi di soccida:  Soccida semplice: nella quale il bestiame viene conferito interamente dal soccidante che ne conserva la proprietà, assumendosi il rischio di diminuzione del valore;  Soccida parziaria: il bestiame viene conferito da entrambe le parti , con la conseguenza che sia la titolarità, che i rischi spettano ad entrambi.  Soccida con conferimento di pascolo: il soccidante è tenuto conferire il fondo, mentre il soccidario al conferimento del bestiame e della prestazione lavorativa. La legge 203 ha stabilito la convertibilità in affitto delle soccide parziarie e con conferimento di pascolo quando l’apporto di bestiame da parte del soccidante sia inferiore al 20% del valore dell’intero bestiame conferito. Cause di scioglimento sono la disdetta o la risoluzione per inadempimento. Contratti associativi e loro conversione in affitto A partire dal dopoguerra, però, questi contratti associativi sono apparsi sempre più inadeguati alla crescente meccanizzazione in agricoltura. Di conseguenza con la l. n° 203/1982 si è intervenuto per adeguare i contratti agrari. La legge prevede ora la conversione in affitto dei contratti di mezzadria e colonia parziaria, in contratti di affitto. Questa conversione poteva essere richiesta da una delle due parti entro 4 anni dall’entrata in vigore della legge. Inoltre è prevista la conversione di tutti i contratti non convertiti entro un breve periodo di anni. LE PROMESSE UNILATERALI La promessa unilaterale avente ad oggetto un determinato comportamento futuro del promittente, è vincolante se inserita in un contratto, a condizione che questo abbia una valida causa, ovvero, sia rivestita dalla forma solenne richiesta per la donazione. Viceversa si è sempre considerata insufficiente per il sorgere di un vincolo giuridico una semplice promessa unilaterale (nudo patto). Il problema sorge quando il promittente non intende più rispettare la promessa fatta. Mentre i contratti possono essere vincolanti sia quando rientrano nei tipi espressamente previsti, sia quando costituiscono accordi atipici, le promesse unilaterali vincolanti non possono invece che essere tipiche. Ove non rientrino nei casi ammessi dalla legge, potranno al più far sorgere un obbligazione naturale. Promessa di pagamento e ricognizione di debito. Occorre distinguere la promessa di pagamento dalla ricognizione di debito la promessa di pagamento è un atto unilaterale con il quale un soggetto promette di effettuare un pagamento ad un altro soggetto la ricognizione di debito è un atto unilaterale con il quale un soggetto riconosce di essere debitore di un altro soggetto L’art. 1988 c.c. attribuisce alla promessa di pagamento (prometto di restituirti 100) e alla ricognizione di debito (riconosco di doverti 100) rilevanza solo sul piano processuale: infatti colui che può vantare, a proprio favore, una promessa di pagamento o un riconoscimento di debito è dispensato dall’onere di provare il rapporto Sarà l’autore della promessa di pagamento o della ricognizione di debito a dover fornire la prova contraria, ossia che il debito che ha promesso di pagare o di cui ha riconosciuto l’esistenza, in realtà non è mai esistito. Peraltro la ricognizione di debito e la promessa di pagamento possono in concreto presentarsi: a) In forma pura, per tale intendendosi la dichiarazione che ha ad oggetto solo ed esclusivamente l’affermazione solenne di un debito (“sono debitore di tot” e “prometto di pagarti 100 di cui ti sono debitore”) ovvero la consapevolezza di dover adempiere un debito, senza che venga fatto riferimento alla sua causa debendi,. b) In forma titolata, cioè la dichiarazione che ha ad oggetto la consapevolezza del dichiarante di dover adempiere un debito di cui riconosce l’esistenza, accompagnata però dall’indicazione della relativa causa debendi (“sono debitore di 100 a titolo di mutuo e “prometto di pagarti 100 di cui ti sono debitore a titolo di mutuo”( Nel primo caso l’autore ha l’arduo compito di fornire prova negativa, dimostrando che, tra la sua persona e quella del destinatario della promessa non si è verificato mai alcuno di quei fatti. Nel secondo caso l’autore ha l’onere di fornire la prova dell’inesistenza tra le parti solo di rapporti riconducibili al tipo di atto indicato nella dichiarazione. Ancora diverso è il caso in cui la dichiarazione titolata enunci, oltre che la causa debendi, anche il fatto costitutivo del debito oggetto di asseverazione o che si promette di adempiere (prometto di pagarti 100, di cui ti sono debitore in restituzione della somma che mi hai consegnato a titolo di mutuo il giorno 01/02/80”). In questo caso la ricognizione di debito e la promessa di pagamento risultano accompagnate dalla confessione del fatto costitutivo del debito, la quale potrà essere vinta solo provando l’errore di fatto che ha determinato la dichiarazione. Promessa al pubblico. E’ una promessa di una prestazione rivolta al pubblico fatta a favore di chi si trovi in una determinata situazione o abbia compiuto una determinata azione. (es. prometto una ricompensa al primo acquirente di un nuovo prodotto) La promessa acquista efficacia vincolante non appena resa pubblica attraverso vari mezzi di pubblicità. Si distingue dall’offerta al pubblico in quanto mentre questa è una proposta di contratto che per divenire vincolante richiede l’accettazione da parte dell’oblato, pertanto è revocabile finchè l’accettazione non sia portata a conoscenza del proponente; la promessa al pubblico è invece vincolante indipendentemente da qualsiasi accettazione.. Pertanto essa è revocabile solo per giusta causa, purchè la revoca sia resa pubblica nella stessa forma o in forma equivalente della promessa. La revoca non può avere effetto se la situazione prevista nella promessa si è già verificata o se l’azione è già stata compiuta. Se alla promessa non è apposto un termine o questo non risulta dalla natura o dallo scopo della dichiarazione del promittente, il vincolo cessa qualora entro l’anno della promessa non gli sia stato comunicato l’avveramento della situazione o il compimento dell’azione prevista nella promessa. Titoli di credito Nella categoria confluiscono i titoli di Stato o del debito pubblico, le obbligazioni emesse da spa, ecc. Si ammette pure l’emissione di titoli “atipici”, che non formano cioè oggetto di specifiche previsioni normative. Nei titoli di credito il documento non costituisce soltanto una prova del rapporto, in quanto esso è addirittura necessario per poter far valere il diritto documentario dal titolo: il debitore non può pagare validamente a chi non gli esibisca il documento; e per converso, il portatore (o possessore) del titolo, ha diritto alla prestazione in esso indicata. Conseguentemente può essere legittimato a pretendere la prestazione anche chi non sia titolare del diritto: difatti il debitore che senza dolo o colpa grave adempia la prestazione nei confronti del possessore, è liberato anche se questi non ne è titolare (nb proprietario) del diritto. Con i titoli di credito, si rendono inopponibili al terzo acquirente del titolo le eccezioni personali che il debitore avrebbe potuto opporre al primo prenditore: il titolo di credito si caratterizza dunque per l’autonomia del diritto che circola in esso incorporato. All’acquirente di buona fede di un titolo di credito, purchè l’abbia acquistato in conformità alle norme che ne disciplinano la circolazione, non è opponibile il difetto di titolarità del suo dante causa, proprio come accade per i beni mobili in forza del principio possesso vale titolo. Dai titoli di credito vanno tenuti distinti: a) I documenti di legittimazione, di largo utilizzo nelle contrattazioni di massa, che servono all’identificazione dei soggetti aventi diritto alla prestazione. b) I titoli impropri, che consentono il trasferimento del diritto senza l’osservanza delle forme proprie della cessione. Per entrambe queste figure non può parlarsi di titoli di credito, in quanto non si verifica il fenomeno della incorporazione del diritto nel documento. Di fatti, in caso di smarrimento di questo, proprio perché il titolo non è necessario, il titolare potrà egualmente pretendere la prestazione dovutagli, offrendo in altro modo la prova della sua titolarità e non avrà bisogno di ricorrere alla complicata procedura di ammortamento, che invece è indispensabile per i titoli di credito. I diritti incorporati nei titoli di credito possono consistere innanzitutto in crediti pecuniari Il codice parla invece di titoli rappresentativi per indicare documenti che incorporano il diritto alla consegna delle merci in esso specificate. Questi titoli attribuiscono al possessore non solo il diritto ad ottenere la consegna delle merci dall’emittente, ma pure il potere di disporne mediante trasferimento del titolo: vale a dire che nei titoli rappresentativi vi è incorporato un diritto di credito (alla consegna) ma pure un diritto reale sulle merci che devono essere consegnate. Ancora diverso è il diritto incorporato nei titoli di partecipazione (es.: azioni emesse da spa): i quali attribuiscono al possessore, oltre al diritto di disposizione sul titolo stesso, anche i c.d. diritti corporativi o associativi (es.: diritto di riscuotere i dividendi, di prendere parte alle assemblee sociali, ecc.). Titoli al portatore, all’ordine e nominativi. Il requisito del possesso del titolo è in ogni caso indispensabile per l’esercizio del diritto in esso contenuto. Talora però sono richiesti ulteriori requisiti: a) Titoli al portatore (es.: buoni del tesoro, obbligazioni emesse da enti pubblici o da spa, ecc.), per il cui trasferimento è sufficiente la consegna del titolo b) Titoli all’ordine (es.: cambiale), per il cui trasferimento sono richieste la consegna del titolo e la “girata”. Il titolo nella sua originaria formulazione è intestato ad una persona. La girata consiste nell’ordine che l’intestatario dà al debitore di eseguire la prestazione ad una persona diversa (es.: “per me pagate al sig. X”, segue la firma di chi fa la girata, detto girante). La girata può essere piena, se contiene l’indicazione della persona a favore della quale è fatta (giratario) o in bianco (se consiste nella sola firma). Il giratario può a sua volta trasferire il titolo a favore di un’altra persona mediante nuova girata. c) Titoli nominativi (es.: titoli azionari), che sono intestati ad un determinato soggetto. L’intestazione è peraltro contenuta anche nel registro dell’emittente, ossia del debitore che ha emesso il titolo. La circolazione del titolo è un po’ più complicata che nelle ipotesi precedenti: il trasferimento della legittimazione avviene mediante l’annotazione del nome dell’acquirente sul titolo e nel registro dell’emittente, o con il rilascio di un nuovo titolo intestato al nuovo titolare. Queste operazioni si chiamano transfert. Il titolo nominativo può essere trasferito anche mediante girata, ma quest’ultima deve essere piena e autenticata da un notaio o da un agente di cambio: questa forma di trasferimento ha peraltro efficacia solo inter partes. Caratteristiche del titolo di credito. a) Letteralità: è il tenore letterale del titolo (cioè quel che in esso è scritto) che determina la quantità, la qualità e la modalità del diritto attribuito al possessore legittimo del documento. Essa serve a tutelare il terzo di buona fede che ha fatto affidamento sul tenore testuale del documento: perciò l’obbligazione nascente da un titolo di credito si chiama cartolare, in quanto è immedesimata o incorporata nel documento. Il debitore non può richiamarsi a circostanze non risultanti dal titolo; a sua volta il titolare del diritto non può far valere pretese più ampie di quelle risultanti dal tenore della scrittura. b) Autonomia: questa caratteristica è in connessione con la precedente e serve anch’essa a tutelare l’affidamento del terzo cui il diritto venga trasferito. Colui a cui viene trasferito il titolo di credito acquista un diritto del precedente titolare: il debitore non gli può opporre le eccezioni personali che avrebbe potuto opporre a quest’ultimo (es.: se il compratore ha rilasciato una cambiale in relazione al debito del prezzo e questa viene girata, egli non può opporre al terzo giratario l’eccezione di mancata consegna della merce; deve pagare, salvo rivolgersi poi al venditore per essere rimborsato). Non è invece comune a tutti i titoli di credito il requisito dell’astrattezza. Vi sono titoli di credito “causali”, nei quali l’adempimento della prestazione promessa è subordinato (anche di fronte a terzi) alla sorte ed allo svolgimento del rapporto indicato sul documento: “causali” sono ad es. l’azione, Titoli “astratti” sono invece quelli nei quali il rapporto fondamentale non è enunciato nel titolo ed è irrilevante nei confronti del terzo possessore in buona fede, il quale ha diritto alla prestazione anche se il rapporto fondamentale non sussiste. Eccezioni opponibili dal debitore al possessore del titolo Si distinguono in: a) Reali (o assolute): si possono opporre a qualunque possessore es. le eccezioni come la compensazione b) Personali (o relative): soltanto ad un possessore determinato es. le eccezioni di forma, (manca la denominazione “cambiale) quelle che sono fondate sul contesto letterale del titolo, (la somma richiesta è superiore a quella del titolo) quelle che dipendono da falsità della propria firma, da difetto di capacità o di rappresentanza al momento dell'emissione, o dalla mancanza delle condizioni necessarie per l'esercizio dell'azione Il debitore può opporre al possessore del titolo le eccezioni fondate sui rapporti personali con i precedenti possessori, soltanto se, nell'acquistare il titolo, il possessore ha agito intenzionalmente a danno del debitore medesimo ovvero si supponga che il primo prenditore di una cambiale possa opporre l’eccezione che il rapporto è nullo per illiceità della causa ed il possessore per impedire che gli venga opposta questa eccezione eviti l’ostacolo girando la cambiale ad un'altra persona con la quale è d’accordo. È chiaro che in quest’ipotesi viene meno la ragione che esclude l’opponibilità delle eccezioni personali al terzo: manca la buona fede, anzi si è addirittura in dolo. L’ammortamento dei titoli di credito all’ordine e nominativi Cosa avviene se un titolo all’ordine o nominativo è smarrito o sottratto o distrutto? La legge predispone un particolare procedimento (ammortamento) con il quale si mira a distruggere l’efficacia del titolo smarrito o sottratto o distrutto ed a procurare a chi ha perduto il possesso del titolo un documento che di questo faccia le veci (ricostruzione della legittimazione). Oltre alla denuncia occorre presentare un ricorso al presidente del tribunale del luogo in cui il titolo dovrebbe essere pagato, indicando nel ricorso i requisiti essenziali del titolo ed i fatti che ne hanno provocato lo smarrimento, la distruzione o la sottrazione. Il presidente del tribunale pronuncia con decreto l’ammortamento e autorizza il pagamento del titolo alla scadenza o, dove si tratti di titolo già scaduto, dopo 30 giorni dalla data di pubblicazione del decreto in GU. Chi al momento della pubblicazione in GU del decreto di ammortamento, si trovi in possesso del titolo, può proporre opposizione, entro 30 giorni, facendo valere i diritti che egli ritenga di avere sul titolo dichiarato ammortato e chiedendo la revoca del decreto. Solo se l’opposizione non è proposta entro il termine o è respinta, il titolo perde la sua efficacia e chi ha subito lo smarrimento o la sottrazione può ottenere il pagamento o, se il titolo non è ancora scaduto la duplicazione. La procedura di ammortamento non è ammessa per i titoli al portatore; denunciando all’emittente lo smarrimento o la sottrazione e fornendone la prova, chi lo ha smarrito può ottenere la prestazione soltanto se nessuno si presenta a chiedere il pagamento entro il termine stabilito dalla legge per la prescrizione. LA CAMBIALE La cambiale è un titolo di credito all’ordine. Si distinguono due figure di cambiali: la tratta e il vaglia cambiario (o pagherò cambiario). La prima contiene l’ordine che una persona (traente) dà ad un’altra (trattario) di pagare ad un terzo (prenditore) una somma di danaro. Il vaglia cambiario contiene la promessa fatta da una persona (emittente) di pagare una somma di danaro direttamente nelle mani del prenditore. Entrambi sono negozi giuridici unilaterali. Figure particolari di cambiali sono: a)la cambiale ipotecaria, il cui pagamento è garantito da ipoteca che si trasferisce con la girata del titolo di credito; b)la cambiale agraria, che garantisce i prestiti agrari di esercizio o di miglioramento di un fondo. La cambiale presenta anzitutto caratteristiche comuni con gli altri titoli di credito: letteralità e autonomia. Per il principio di autonomia, la cambiale può essere trasferita mediante girata. Perciò può avvenire che sullo stesso documento cambiario siano contenute più firme di soggetti diversi. L’autonomia caratterizza i singoli rapporti cambiari: ciascuna delle obbligazioni cartolari è indipendente dall’altra, è valida anche se l’altra è invalida. Accanto a questi caratteri comuni agli altri titoli di credito la cambiale presenta anche le seguenti caratteristiche: a) astrattezza. Il rapporto che dà luogo all’emissione della cambiale può essere di varia natura e può perfino mancare: ciò non ha importanza; una volta che ho sottoscritto una cambiale, io non posso eccepire la mancanza di causa, o riferirmi a vizi per sottrarmi all’obbligo di pagare la cambiale, se il pagamento mi viene chiesto dal terzo giratario. Si deve ricordare che l’astrattezza di un negozio non esclude l’azione di ripetizione, quando sia dimostrata la mancanza di causa. Chi risulta debitore in base a un negozio astratto deve adempiere l’obbligazione nei confronti del terzo acquirente del titolo. Se poi il pagamento mi viene chiesto dalla controparte , allora io posso opporre le eccezioni nascenti dal rapporto. L’astrattezza, quindi, funziona solo nei confronti dei terzi. Applicando i principi esposti, risulta che la cambiale di favore, ossia quella creata soltanto per procurare, mediante la girata, credito ad una determinata persona, è valida. b) efficacia esecutiva del titolo cambiario: vuol dire che non c’è bisogno di una sentenza di condanna del debitore per iniziare l’esecuzione, basta all’uopo la cambiale. Per questo effetto, essa deve essere in regola con il bollo fin dall’inizio, ossia dal momento in cui si perfeziona il negozio cambiario. I requisiti essenziali, in mancanza dei quali il documento non vale come cambiale sono: 1) la denominazione di cambiale: “per questa mia cambiale pagherò o pagherete”; 2) se è una tratta, l’ordine, se è un pagherò, la promessa di pagare una somma determinata, senza alcuna condizione; la condizione toglierebbe al documento il carattere di cambiale; 3) il nome del trattario, se trattasi di cambiale tratta; 4) il nome del primo prenditore; 5) l’indicazione della data di emissione; La scadenza della cambiale può essere: a) a giorno fisso (1/12/00); b) a certo tempo data (ad un anno dalla data di emissione); c) a vista (in questo caso la cambiale è pagabile al momento della presentazione). Se non vi è indicazione di scadenza, la cambiale si considera pagabile a vista. Se è indicato come luogo di pagamento il domicilio di un terzo, cioè di una persona diversa dal trattario o dall’emittente, la cambiale si dice domiciliata; 6) la sottoscrizione del traente o dell’emittente. In ordine alla capacità a porre in essere i negozi cambiari, possono sottoscrivere validamente cambiali, il minore emancipato autorizzato all’esercizio di un’impresa commerciale ed il genitore o il tutore o l’inabilitato autorizzati alla continuazione dell’esercizio di un’impresa commerciale per conto del minore o dell’interdetto. La cambiale può essere anche scritta per procura. Una deroga alle norme comuni è stabilita nel caso di negozio cambiario concluso da chi assume di essere dotato del potere di rappresentare altra persona, mentre né è sprovvisto. In questo caso il negozio non produce effetti né per il rappresentante né per il rappresentato ed è soltanto sancita eventualmente la responsabilità del rappresentante sprovvisto di procura. La cambiale incompleta quando fu emessa (detta cambiale in bianco), può essere completata in conformità degli accordi intercorsi tra i soggetti del negozio cambiario (c.d. negozio di riempimento). Se tali accordi non vengono osservati, l’eccezione di abusivo riempimento non può essere opposta al terzo portatore, salvo che questi abbia acquistato la cambiale in mala fede ovvero abbia commesso colpa grave acquistandola. La facoltà di riempimento è sottoposta ad un termine di decadenza di 3 anni dall’emissione del titolo; la decadenza non è però opponibile al portatore di buona fede al quale il titolo sia pervenuto già completo. Con la cambiale tratta una persona (traente) rivolge ad un’altra (trattario) l’ordine di pagare ad una terza persona (beneficiario o prenditore) la somma indicata nella cambiale stessa. La cambiale può essere tratta anche a favore dello stesso traente: se il beneficiario è un terzo, il traente assume già con l’emissione un obbligo cambiario verso il prenditore; se è tratta a favore dello steso traente, questi assume un obbligo cambiario soltanto quando trasmette la cambiale ad un terzo. Il rapporto che giustifica l’ordine impartito dal traente al trattario si chiama rapporto di provvista. Quale che sia il rapporto di provvista tra traente e trattario questi, anche se si sia obbligato verso il traente ad aderire all’ordine contenuto nella cambiale, non assume alcun obbligo cambiario se non quando provveda ad apporre una dichiarazione scritta sulla cambiale di adesione all’ordine impartitogli dal traente: l’accettazione.L’accettazione è espressa con la parola “accettato”, “visto” o con altre equivalenti. Non è ammessa l’apposizione di condizioni; è valida peraltro l’accettazione limitata ad una parte soltanto della somma. Se l’accettazione è rifiutata, il portatore della cambiale può rivolgersi contro il traente e i giranti (azione di regresso). L’accettazione può essere fatta anche da persona diversa dal trattario (accettazione per intervento). Questa persona può anche essere indicata all’uopo sulla cambiale (al bisogno) dal trattario o dal traente (indicato al bisogno). La cambiale può essere trasferita mediante girata. Ossia mediante l’ordine, scritto direttamente sul retro del documento, con cui il prenditore del titolo, o un successivo giratario, ingiunge al debitore di pagare l’importo dovuto al beneficiario dell’ordine, detto giratario. Il trasferimento mediante girata costituisce la circolazione normale, regolare del titolo, ma non è vietato che la cambiale si trasferisca in base alle regole della cessione. Infatti, il traente può imprimere alla cambiale una circolazione anomala vietandone con le parole “non all’ordine” o altre equivalenti, il trasferimento mediante girata: in questo caso la cambiale si trasferisce solo con la forma e con gli effetti di una cessione ordinaria. Anche il girante può vietare una nuova girata. La girata deve essere scritta sulla cambiale o, nel caso che questa contenga già tante firme da non potersene apporre altre, su un foglio ad essa attaccato che si chiama allungamento. La girata può essere piena (per me pagate al sig. X) o in bianco: quest’ultima non contiene l’indicazione del giratario ed è costituita dalla sola firma del girante. Nel caso di girata in bianco il giratario può riempirla con il proprio nome o con quello di altra persona, girare la cambiale di nuovo in bianco o a persona determinata, trasmettere la cambiale ad un terzo, senza riempire la girata in bianco e senza girarla. Figure particolari di girata sono: la girata per incasso o per procura (il giratario non può girare il titolo se non per procura e a lui possono essere opposte le eccezioni opponibili al girante) e la girata a titolo di pegno (attribuisce al giratario un diritto di pegno sulla cambiale).Un’obbligazione cambiaria può essere garantita anche con un’ulteriore obbligazione cambiaria. Questa obbligazione cambiaria si chiama avallo. La persona che garantisce si chiama avallante; la persona a cui favore la garanzia è prestata, avallato. L’obbligazione di avallare la cambiale deve essere scritta sulla cambiale; di solito si scrive “per avallo” seguita dalla firma dell’avallante, la quale può essere scritta sia sulla parte anteriore che posteriore della cambiale. Le persone obbligate al pagamento della cambiale si distinguono in due categorie: obbligati principali (emittente del pagherò; accettante della tratta) ed obbligati in via di regresso (giranti del vaglia, traente e giranti nella tratta). Solo il pagamento compiuto dall’obbligato principale estingue la cambiale, non quello degli obbligati di regresso, in quanto costoro, se pagano la cambiale, vengono surrogati nei diritti del portatore e possono, a loro volta, agire contro gli obbligati principali. Tutti gli obbligati cambiari sono tenuti in solido. Il pagamento della cambiale deve essere effettuato nel luogo e nell’indirizzo indicato nel titolo, che è, di solito, la residenza dell’accettante o dell’emittente, ma può avvenire al domicilio di un terzo (cambiale domiciliata).In deroga ai principi generali, il portatore non può rifiutare un pagamento parziale perché questo libera, sia pure parzialmente, gli obbligati in via di regresso.Il portatore di una cambiale può servirsi di essa come titolo esecutivo ed iniziare senz’altro l’esecuzione, o promuovere un ordinario giudizio di cognizione od ottenere decreto ingiuntivo. L’azione cambiaria è di due specie: diretta (contro gli obblighi principali), di regresso (contro gli obbligati di regresso). Quest’ultima può essere esercitata dopo la scadenza, per mancato pagamento; prima della scadenza, per rifiuto dell’accettazione…L’azione principale è soggetta a prescrizione triennale, l’azione di regresso a prescrizioni più brevi. Il protesto è un atto pubblico con il quale si accerta il rifiuto di accettazione o il rifiuto di pagamento nel termine fissato dalla legge. Il protesto, in entrambi i casi, non è necessario quando vi sia la clausola “senza spese” “senza pretesto” e può essere sostituito da una dichiarazione di rifiuto dell’accettazione o del pagamento, scritta e datata sulla cambiale e firmata dal trattario. Indipendentemente dal protesto, il portatore ha l’obbligo di avvisare il proprio girante e gli eventuali avvallanti della mancata accettazione o del mancato pagamento ed ogni girante deve informare il precedente. Gli avvisi servono solo ad informare gli obbligati in via di regresso che la cambiale non è stata pagata e che quindi provvedano al pagamento. Se le eccezioni cambiarie opponibili dal convenuto, richiedono una lunga indagine, il giudice, su istanza del creditore, può, intanto emettere sentenza provvisoria di condanna con riserva di esame delle eccezioni (condanna con riserva). Pur concedendo questa particolare tutela al creditore cambiario, la legge offre un rimedio che consente di tener conto della situazione del debitore. Infatti, quando concorrono gravi ragioni, il giudice può anche sospendere l’esecuzione iniziata dal creditore in base alla cambiale. GLI ASSEGNI L’assegno è uno strumento di pagamento e mira a procurare al portatore l’immediata disponibilità di una somma di danaro. Gli assegni sono pagabili a vista e non se ne può quindi dilazionare l’adempimento; essi prevedono l’intervento di una banca. Le due più importanti figure di assegno sono l’assegno bancario e l’assegno circolare. L’assegno bancario ha la stessa struttura della cambiale tratta: vale a dire che consiste in un documento sul quale unilateralmente l’emittente (o traente) sottoscrive un ordine incondizionato rivolto alla banca di pagare una somma di danaro determinata a favore del beneficiario indicato sul titolo. L’emissione di assegni bancari deve essere autorizzata dalla banca, la quale, quando stipula con un cliente una c.d. convenzione di assegni, gli consegna un libretto con i moduli prestampati. Se invece un assegno viene emesso senza l’autorizzazione della banca trattaria, il traente commette un reato. L’emissione dell’assegno presuppone l’esistenza, presso la banca, di una adeguata provvista, cioè di fondi disponibili, attingendo ai quali la banca potrà provvedere a pagare al beneficiario l’importo indicato. Chiunque emetta un assegno che non venga pagato per mancanza di sufficiente provvista commette un reato ed è inoltre tenuto a pagare al portatore del titolo che agisca contro di lui, oltre all’importo del titolo, un ulteriore 10% a titolo di penale. A sua volta la banca trattaria, qualora per l’assegno non pagato sia stato elevato il protesto, deve revocare al traente l’autorizzazione ad emettere assegni, invitandolo a restituire tutti i moduli di assegni che abbia ancora in suo possesso. Se la banca non adempie a ciò, diventa responsabile, nella misura di 10 milioni per assegno, degli eventuali assegni che il protestato dovesse continuare ad emettere senza provvista. L’assegno può essere emesso con la specifica indicazione del nome del beneficiario, ovvero a favore del portatore, e cioè di chi lo presenterà all’incasso. Un assegno può anche essere emesso anche a favore dello stesso traente. L’assegno è un titolo all’ordine e si trasferisce quindi per mezzo della girata, ma se è emesso al portatore può essere trasferito anche mediante semplice consegna. L’assegno circolare non può essere emesso se non da una banca, solo se essa ha ottenuto specifica autorizzazione dalla Banca d’Italia. Naturalmente gli assegni circolari sono emessi dalle banche in quanto un cliente ne faccia richiesta e versi il relativo importo, ovvero previo addebito a suo carico dell’importo per il quale il titolo è emesso. L’emissione non può essere fatta al portatore, ma necessariamente all’ordine di uno specifico nominativo: o quello di un terzo, al quale il cliente, dopo averlo ritirato dalla banca si ripromette di riconsegnare l'assegno, o dello stesso cliente, il quale si ripromette di incassarlo altrove o di girarlo a favore di terzi. La struttura dell’assegno circolare è quella del pagherò: la banca si impegna incondizionatamente a pagare a vista l’importo per cui il titolo è emesso, o all’intestatario dell’assegno o ad un giratario. Per la circolazione e il pagamento dell’assegno circolare valgono gli stessi principi del pagherò. LE OBBLIGAZIONI NASCENTI DALLA LEGGE Figure di obbligazioni nascenti dalla legge sono: la gestione di affari; la ripetizione d’indebito; l’arricchimento senza causa. Gestione di affari Si ha gestione di affari altrui nell’ipotesi in cui taluno, senza esservi obbligato, si intromette negli affari di un altro, che non sia in grado di provvedervi. (es. perché scomparso) La legge ne fa derivare un obbligo a carico del gestore di continuare la gestione intrapresa fino a quando il dominus non possa intervenire direttamente A sua volta il dominus è tenuto ad adempiere le obbligazioni che il gestore ha assunto in nome di lui e deve tenere indenne il gestore per quelle che questi abbia assunto, rimborsandogli altresì tutte le spese necessarie od utili effettuate nel suo interesse. La ripetizione di indebito Se si è fatto un pagamento senza che preesista un debito, chi l’ha fatto ha diritto alla restituzione di ciò che ha pagato, mentre non era dovuto. Distinguiamo due diverse figure d’indebito: a) si ha l’indebito oggettivo quando viene effettuato un pagamento benchè non esista alcun debito; b) si ha indebito soggettivo quando chi non è debitore, credendosi erroneamente tale, paga al creditore quanto è, in realtà, dovuto a quest’ultimo da un terzo. Si ha indebito, in tal caso, soltanto se colui che paga il debito altrui è in errore: altrimenti deve ritenersi che abbia inteso eseguire il pagamento in sostituzione del debitore. Non dà luogo a ripetizione d’indebito, l’adempimento di un’obbligazione naturale. Parimenti non ha diritto di pretendere la restituzione chi abbia eseguito una prestazione che costituisca offesa al buon costume.. La ripetizione comprende non solo ciò che si è pagato, ma anche i frutti e gli interessi. L’azione di ripetizione dell’indebito è un’azione personale: se chi ha ricevuto indebitamente una cosa determinata l’ha successivamente alienata, chi ha pagato non può pretendere la restituzione dal terzo acquirente, ma soltanto chiedergli il corrispettivo qualora sia ancora dovuto. L’ingiustificato arricchimento Si ha ingiustificato arricchimento quando una persona vede aumentare il valore del suo patrimonio a danno del patrimonio di un altro soggetto senza che vi sia una giusta causa .E’ ovvio che se ho subito un danno e ricevo il relativo risarcimento è chiaro che il mio patrimonio aumenterà a danno del patrimonio del debitore. Il problema sorge quando vi sia questo arricchimento senza che vi sia una valida giustificazione giuridica che lo sorregga. I casi possono essere i più svariati, pensiamo, ad esempio all' ipotesi in cui per errore si esegua la semina su un terreno agricolo altrui credendolo proprio. Così la legge ha stabilito, come rimedio generale, l’azione d’ingiustificato arricchimento. L'azione di arricchimento ha carattere sussidiario perché si può esperire solo quando non sia possibile nessuna altra azione A chi riesce a portare a termine con successo l’azione di ingiustificato arricchimento spetta un'indennità per la perdita subita. Questa è calcolata tenendo conto dei valori di mercato dell'arricchimento e dell'impoverimento e procedendo alla liquidazione della minore somma tra queste due entità. Se, invece, l'arricchimento ha per oggetto una cosa determinata sorgerà, invece, l'obbligo della restituzione, sempre che sia ancora esistente al tempo della domanda Questa azione è esperibile sempre in seguito ad attività lecita, è ciò lo capiamo anche dal fatto che si prevede una indennità e non un risarcimento LA RESPONSABILITA’ EXTRACONTRATTUALE Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. Si deduce che, perché il danneggiante sia obbligato a risarcire il pregiudizio arrecato al danneggiato, debbono concorrere i seguenti presupposti: a) Il fatto b) L’illiceità del fatto c) L’imputabilità del fatto al danneggiante d) Il dolo o la colpa del danneggiante e) Il nesso causale fra fatto e danno f)Il danno La responsabilità che grava sul danneggiante viene definita “extracontrattuale” (in contrapposizione a quella contrattuale che consegue a quel particolare fatto costituito dall’inadempimento di un’obbligazione). Il fatto Per fatto si intende ciò che cagiona il danno. Solitamente si tratta di un comportamento dell’uomo. La condotta del danneggiante può essere commissiva (un facere) o omissiva (un non facere) Questo secondo caso rileva quella condotta omissiva che risulti posta in essere in violazione di un obbligo giuridico di intervenire imposto dall’ordinamento (es.: condotta di chi non si ferma a prestare soccorso al ciclista investito da un pirata della strada, la quale viola l’obbligo di soccorso) Peraltro l’evento produttivo di danno può anche consistere in un mero fatto materiale (es.: smottamento di terreno che travolge un’abitazione ed i suoi occupanti) L’illiceità del fatto. Talora è la legge ad indicare espressamente che un determinato fatto è illecito e, in quanto tale, obbliga chi lo pone in essere a risarcire il danno che dovesse derivare a terzi. Gli illeciti penali sono definiti in modo preciso dalla legge non altrettanto può dirsi con riferimento agli illeciti civili: qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno (trattasi di una clausola, essa non esplicita né quali siano i danni ingiusti né i criteri per stabilire se un determinato danno è ingiusto o meno). È quindi necessario all’interno delle lesioni di interessi altrui, identificare quelle che costituiscono danno ingiusto: gli atti che li cagionano saranno atti illeciti, la condotta che li determina sarà antigiuridica. La giurisprudenza è giunta ad ammettere la risarcibilità non solo della lesione di diritti ma anche della lesione di situazioni di fatto. Così è ormai pacificamente riconosciuta la risarcibilità del danno da spoglio violento o clandestino del possesso o della detenzione. Nella stessa ottica è stata affermata la risarcibilità del danno sofferto da chi (es.: convivente more uxorio), pur non potendo vantare un diritto soggettivo al riguardo, si veda privare del sostegno economico di cui fruiva stabilmente da parte di un soggetto di cui il terzo cagioni la morte. Ancora più di recente si è ammessa la risarcibilità del danno da lesione di un interesse legittimo, derivante cioè dalla violazione da parte della PA di una regola di comportamento posta nell’interesse generale e che solo indirettamente tutela l’interesse del privato. A lungo la giurisprudenza ha invece negato la risarcibilità della lesione dei diritti di credito ma oggi è pacificamente riconosciuta la risarcibilità del danno da c.d. induzione all’inadempimento: derivante cioè dalla condotta del terzo che determini il debitore a non adempiere. È ingiusto inoltre il danno che si traduce nella lesione di un interesse che, seppure non protetto come diritto soggettivo, risulta comunque tutelato dall’ordinamento giuridico. In quest’ottica la giurisprudenza afferma l’ingiustizia, oltre che della lesione di talune situazioni di fatto o di interessi legittimi, anche della turbativa delle trattative precontrattuali. L’imputabilità del fatto al danneggiante Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità di intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso. Nessuna rilevanza ha quindi ai fini della responsabilità extracontrattuale la circostanza che il danneggiante abbia o meno la capacità di agire. Capacità di rispondere degli atti illeciti: Anche il minore, pur non avendo la capacità di porre in essere negozi giuridici, ha la capacità di obbligarsi se è in condizioni tali da consentirgli un’adeguata valutazione di tutte le circostanze in cui si trova ad agire e quindi, di tutti i rischi della propria condotta. Al pari del minore anche l’interdetto, l’inabilitato, il beneficiario dell’amministrazione di sostegno rispondono del fatto illecito compiuto, se le loro condizioni sono tali da non privarli, della sufficiente capacità di intendere e di volere. In tutti questi, come in ogni altro caso, l’accertamento della capacità o meno del danneggiante andrà effettuata dal giudice in concreto: valutando cioè, caso per caso, età, sviluppo intellettivo e volitivo, maturità, forza di carattere del soggetto; presenza di eventuali malattie, di situazioni anche transitorie di affievolimento delle capacità psichiche; tipologia del fatto illecito, modalità dell’azione, ecc. Se il danno è provocato da persona incapace (e come tale esente da responsabilità) il legislatore stabilisce che il danneggiato può pretendere il risarcimento dal soggetto tenuto alla sorveglianza dell’incapace stesso. Nel caso in cui essa non vi fosse, ovvero abbia dato la prova di non aver potuto impedire il fatto, oppure la persona tenuta alla sorveglianza non sia in grado di risarcire il danno, il danneggiato può chiedere al giudice di condannare l’incapace al pagamento di un’equa indennità, che andrà stabilita tenendo conto delle condizioni economiche delle parti. Il dolo e la colpa. Per dolo si intende l’intenzionalità della condotta, nella consapevolezza che la stessa può determinare l’evento dannoso. Non è necessario che l’autore ponga in essere quella determinata condotta proprio alla fine di produrre l’evento dannoso: c.d. dolo diretto (si pensi al sicario che intende proprio provocare la morte della vittima designata). È sufficiente che l’autore pur non agendo al fine specifico di realizzare l’evento dannoso si sia rappresentato il suo verificarsi come possibile conseguenza della sua condotta: c.d. dolo eventuale (si pensi a chi spara in direzione del ladro introdottosi nel suo appartamento al solo fine di intimidirlo ed indurlo alla fuga, ma lo colpisce a morte). Di regola il dolo non è essenziale perché l’autore dell’illecito incorra in responsabilità extracontrattuale, essendo normalmente sufficiente la colpa. In taluni casi tuttavia si ha responsabilità solo se la condotta è dolosa (si pensi agli atti emulativi, che sono tali solo se posti in essere allo specifico scopo di nuocere o recare molestia ad altri). Il dolo, quale presupposto della responsabilità extracontrattuale non va confuso con il dolo quale vizio della volontà: nel primo caso il termine indica l’elemento psicologico (cioè la volontarietà) che caratterizza la condotta dell’agente; nel secondo caso la condotta (cioè i raggiri) tenuta dal soggetto. Per colpa si intende invece il difetto della diligenza, della prudenza, della perizia richieste, ovvero l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. In particolare la negligenza consiste nella mancanza dell’attenzione richiesta; l’imprudenza consiste nella mancanza di cautela; l’imperizia consiste invece nell’inosservanza delle regole tecniche di una determinata attività. Diligenza, prudenza e perizia si valutano alla luce di un parametro oggettivo, costituito da quanto è legittimo attendersi in quelle determinate circostanze dal buon padre di famiglia. Il giudizio implica l’analisi di tutte le circostanze di fatto verificatesi nel caso concreto, onde accertare se il danneggiante avrebbe potuto o dovuto agire diversamente, in base alle regole che vanno osservate dalla persona normale e attenta. Di regola irrilevante è il grado della colpa: grave, lieve, lievissima. Così come è irrilevante se l’evento dannoso sia stato cagionato con colpa o con dolo: in sede di responsabilità extracontrattuale (diversamente da quella contrattuale) va integralmente risarcito sia che il danneggiante sia in dolo sia che versi in colpa. Di norma la prova del dolo o della colpa del danneggiante deve essere fornita dal danneggiato. Peraltro la prova della colpa del danneggiante può essere dal danneggiato offerta anche a mezzo di presunzioni semplici (es.: la caduta del vaso appoggiato sul davanzale della finestra farà presumere una mancanza di prudenza nella sua sistemazione). Il codice prevede non poche ipotesi in cui l’autore risponde dell’evento dannoso anche in assenza di dolo e colpa: si parla in tali casi di responsabilità oggettiva (contrapposta a quella soggettiva che ha come presupposto il dolo o quanto meno la colpa del danneggiante): a) Responsabilità del preponente (es.: il datore di lavoro) per i danni cagionati a terzi da suoi preposti (es.: i dipendenti) nell’esercizio delle incombenze cui sono adibiti. b) Responsabilità del proprietario di un edificio o di altra costruzione per i danni cagionati dalla loro rovina dovuta a vizio di costruzione, quand’anche non manifestatosi con segni percepibili all’esterno. Anche qui il responsabile non può esonerarsi da responsabilità dimostrando di essere del tutto estraneo al difetto di costruzione; egli è chiamato a rispondere a prescindere da qualsiasi sua colpa, per il fatto in sé di essere proprietario. c) Responsabilità del proprietario e del conducente per i danni cagionati dalla circolazione del veicolo stesso, anche se condotto da terzi. d) Responsabilità dell’esercente di un impianto nucleare, circa ogni danno alle persone o alle cose causato da un incidente nucleare avvenuto nell’impianto nucleare o connesso con lo stesso. e) Responsabilità del produttore circa il danno cagionato da difetti del suo prodotto. Al fine del danno sofferto, il danneggiato ha l’onere di provare: 1) il difetto del prodotto; 2) il danno patito; 3) la connessione causale tra difetto e danno; non deve invece fornire la prova della colpa del produttore. Per sottrarsi a responsabilità il produttore può solo fornire la dimostrazione di una delle circostanze relative non tanto alla mancanza di colpa nel suo agire, quanto alla mancanza di nesso causale tra fatto del produttore ed evento dannoso. Laddove vi sia invece un nesso di causalità fra la messa in circolazione di un prodotto difettoso ed il pregiudizio offerto da terzi, il produttore risponde del danno, quand’anche nessuna colpa possa essergli imputata. Il legislatore prevede tutta una serie di ulteriori ipotesi in cui la posizione del danneggiato viene più intensamente tutelata (cd responsabilità aggravata). In tali casi l’aggravamento della posizione del danneggiante si realizza sotto due distinti profili: a) Non è il danneggiato a dover fornire la prova della colpa del danneggiante, ma è quest’ultimo a dover fornirne la prova liberatoria (c.d. presunzione di colpa). b) La prova liberatoria richiesta al danneggiante non si riduce, di regola, alla sola dimostrazione di aver operato con diligenza, prudenza e perizia: Vediamo le ipotesi di responsabilità aggravata: A) In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace. Essi possono liberarsi dalla responsabilità provando di non aver potuto impedire il fatto e la giurisprudenza richiede la dimostrazione di aver adottato tutte le cautele normalmente appropriate in relazione allo stato ed alle condizioni dell’incapace, alle circostanze di tempo, luogo, ambiente, pericolo, in cui è maturato l’atto dannoso, all’eventuale professionalità del sorvegliante. B) Ai genitori richiede la dimostrazione non solo di aver vigilato sulla condotta del minore in misura adeguata all’ambiente in cui vive, alle sue abitudini, al suo carattere, ma anche di averlo educato ed istruito in modo consono alle sue condizioni familiari e sociali. C) Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, e l’esercente di detta attività può liberarsi da responsabilità solo provando di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Per attività pericolose si intendono non solo quelle espressamente qualificate e disciplinate dalla legge, ma tutte quelle attività che implicano un’elevata possibilità di recar danno a terzi. D) Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, e il custode può liberarsi da responsabilità solo provando il caso fortuito.. Il danno può essere cagionato da qualunque res: non importa se allo stato solido, liquido o gassoso, se mobile o immobile, se inerte o in movimento, se dotata di intrinseca pericolosità o meno. La relativa responsabilità ricade sul custode, cioè il soggetto che ha il governo della cosa: ossia ha un effettivo potere (di diritto o di fatto) che gli consente di vigilarla e mantenerne il controllo in modo che non produca danno. E) Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia sia che fosse smarrito o fuggito; detti soggetti possono liberarsi da responsabilità solo provando il caso fortuito. L’indole mansueta o meno dell’animale è irrilevante ai fini della responsabilità del padrone. La responsabilità ricade sull’utilizzatore dell’animale: dunque sul proprietario, o sul terzo che ha un potere effettivo di governo sull’animale; invero se il proprietario continua a far uso dell’animale, sia pure tramite un terzo, ma conservando un’ingerenza sulla gestione dell’animale stesso, la responsabilità continua a gravare su di lui. F) Il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina; egli può scaricarsi da responsabilità provando che la rovina non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione. Se il danno deriva da vizi di costruzione, sul proprietario grava sempre e comunque, per il solo fatto di essere tale, una responsabilità oggettiva per l’evento pregiudizievole verificatosi. In tutte le altre ipotesi, per esonerare il proprietario dall’obbligo risarcitorio, la giurisprudenza richiede che lo stesso fornisca la dimostrazione positiva della causa di forza maggiore, ovvero del fatto che, per imprevedibilità, eccezionalità ed inevitabilità, sfugga a qualsiasi potere di controllo da parte del proprietario. G) Il conducente di un veicolo è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo; il conducente può liberarsi da responsabilità fornendo la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno (evento imprevedibile, improvviso ed esorbitante dalla normalità). In ogni caso il conducente risponde dei danni derivanti da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo. Il disposto trova applicazione quando concorrono i presupposti: a) della circolazione su strada pubblica o aperta al pubblico; b) di veicoli purchè senza guida di rotaie. Il conducente (cioè colui che è alla guida del veicolo), risponde del danno prodotto a persone o a cose, compreso il trasportato. Il nesso causale tra fatto e danno Tra fatto e danno: per addossare ad un soggetto l’obbligo di risarcire un determinato danno è necessario verificare che proprio la sua condotta sia la causa di quel danno. Vi sono due teorie al riguardo: la teoria della condicio sine qua non Detta anche dell'equivalenza causale considera tutte le cause idonee a produrre un certo effetto meno rigorosa dal punto di vista scientifico, ma più idonea e seguita dal punto la teoria della di vista giuridico, questa teoria prende in considerazione come causa di un causalità adeguata certo fatto solo quella che appare normalmente idonea a produrlo L’obbligo del risarcimento quindi non grava su tutti i soggetti: ciascuno risponde solo dei danni che siano conseguenza immediata e diretta della sua condotta. Nel caso di un sinistro stradale, il comportamento colposo dell'automobilista può provocare il danneggiamento di un altro veicolo, ma anche, in seguito un ingorgo stradale, e , magari, a causa di questo ingorgo, una autoambulanza che trasportava un malato grave giunge troppo tardi all'ospedale. Al fine di non estendere la responsabilità a tutti gli eventi possibili sono risarcibili i danni che siano conseguenze "immediate e dirette" dell'atto. Quindi si prende in considerazione come causa di un certo fatto solo quella che appare normalmente idonea a produrlo, escludendo, quindi, quegli eventi sopravvenuti che possono considerarsi eccezionali. Il danno Se non vi è danno, non vi è responsabilità. Per danno si intende qualsiasi alterazione negativa della situazione del soggetto che non si sarebbe avuta senza il verificarsi del fatto illecito. Si fa rientrare nella nozione di danno anche la c.d. perdita di chance, per tale intendendosi la perdita di una concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato utile. Il danno si distingue in: a) Patrimoniale, che si concretizza nella lesione di interessi economici del danneggiato b) Non patrimoniale, che si concretizza nella lesione di interessi della persona non connotati da rilevanza economica La lesione di un medesimo interesse tutelato dall’ordinamento giuridico può comportare al contempo un danno sia patrimoniale che non. Il medesimo fatto illecito può causare danno a soggetti diversi. In questi casi si parla di danno riflesso,ovvero di un medesimo fatto dannoso che lede contestualmente le situazioni giuridiche di più soggetti diversi. Ovviamente risarcibili saranno solo i danni che siano conseguenza immediata e diretta del fatto illecito: Laddove concorrano tutti i presupposti per il sorgere della responsabilità extracontrattuale, in capo al danneggiante nasce l’obbligo del risarcimento del danno, nelle due forme: a) Del risarcimento per equivalente, consistente nella dazione al danneggiato di una somma di danaro in misura tale da compensarlo del pregiudizio sofferto b) Del risarcimento in forma specifica, consistente nella rimozione diretta del pregiudizio verificatosi (es.: la riparazione della vettura sinistrata). Il danno deve essere riparato integralmente: la vittima dell’illecito non deve riceverne né più né meno di quanto necessario a reintegrare la sua situazione rispetto a quella che si sarebbe avuta ove l’illecito non si fosse verificato. L’illecito extracontrattuale obbliga il responsabile al risarcimento non solo del danno prevedibile, ma anche di quello imprevedibile: chi reca un danno ad altri in via extracontrattuale è tenuto a risarcire tutti, senza distinzione, i danni che siano conseguenza immediata e diretta di tale condotta. Non sono ammessi i c.d. danni punitivi, cioè le prestazioni che, non strettamente correlate al danno sofferto dalla vittima dell’illecito. Il danno patrimoniale. Consiste nell’alterazione negativa della situazione patrimoniale del soggetto leso, rispetto a quella che si sarebbe avuta in assenza del fatto illecito. Esso comprende: a) Il danno emergente, cioè la diminuzione del patrimonio del danneggiato b) Il lucro cessante, cioè il guadagno che la vittima dell’illecito avrebbe presumibilmente conseguito senza l’illecito sofferto. Il risarcimento ha ad oggetto sia il danno già sofferto (s. spese mediche) sia il danno futuro.(es. guadagni futuri di un pianista che ha perso l’uso della mano) Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso Particolarmente delicato si presenta il problema della quantificazione del danno da lucro cessante, conseguente a perdita o diminuzione della capacità lavorativa e reddituale del danneggiato. A tal fine soccorre il Codice delle assicurazioni private, il quale prevede che nel caso di danno alla persona, il reddito di lavoro qualificabile della persona danneggiata si determina: per il lavoro dipendente, sulla base del reddito più elevato degli ultimi tre anni, maggiorato dei redditi esenti e al lordo delle detrazioni e delle ritenute di legge, e per il lavoro autonomo, sulla base del reddito netto che risulta il più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche negli ultimi tre anni è in ogni caso ammessa la prova contraria. Il reddito che occorre considerare ai fini del risarcimento non può essere inferiore a tre volte l’ammontare annuo della pensione sociale. Il reddito futuro del giovane che, per la sua età, ancora non svolga alcuna attività lavorativa, va determinato in base ad un criterio probabilistico, che tenga conto degli studi intrapresi, della posizione economica e sociale della famiglia, del tipo di attività lavorativa che il giovane presumibilmente avrebbe esercitato in futuro. Il danno non patrimoniale. Esso deve essere risarcito solo nei casi previsti dalla legge. Per lungo tempo corrente era l’affermazione secondo cui il danno non patrimoniale sarebbe risarcibile in buona sostanza solo quando il fatto illecito che lo ha cagionato integra gli estremi del reato. Dall’altro lato corrente era la tendenza a far coincidere il danno non patrimoniale con il c.d. danno morale determinato dall’illecito. Oggi la giurisprudenza è giunta, ad affermare che, oltre che nelle ipotesi espressamente previste dalla legge, la risarcibilità del danno non patrimoniale deve essere ammessa in tutti i casi in cui la lesione incida su valori della persona costituzionalmente garantiti. Quanto alla nozione di danno non patrimoniale, la giurisprudenza è orientata a ritenere che essa non si esaurisca nel danno morale ma ricomprenda altresì qualsiasi danno da lesione di valori inerenti la persona, sempre che non connotati da rilevanza economica. Alla nozione di danno non patrimoniale così intesa, risultano riconducibili, oltre che il danno morale anche talune figure già da tempo elaborate da dottrina e giurisprudenza: a) Quella del danno biologico (lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito). b) Quella del danno esistenziale (lesione di interessi riconosciuti a livello costituzionale, che, quand’anche non si traduca nell’alterazione dello stato di salute o nell’insorgere di una malattia, comporti però modificazioni negative dell’attività attraverso cui il soggetto esplica la propria personalità, imponendo la necessità di adottare abitudini o stili di vita diversi dal passato). Sia la risarcibilità del danno esistenziale che del danno biologico non escludono la contestuale risarcibilità degli altri tipi di danno eventualmente concorrenti. Il danno non patrimoniale risulta di difficile liquidazione. Quest’ultima è rimessa alla equitativa valutazione del giudice. Ciò non assicura l’uniformità di trattamento tra casi analoghi nei vari tribunali. Proprio per questo il legislatore è intervenuto prevedendo la predisposizione di tabelle, valevoli su tutto il territorio della Repubblica, in base alle quali procedere alla quantificazione in termini monetari delle menomazioni all’integrità psico-fisica; peraltro lasciando al giudice il potere di discostarsi, entro limiti predefiniti, dal risultato che discenderebbe dall’automatica applicazione delle tabelle. Il legislatore ha dettato anche i criteri per la quantificazione del risarcimento dei danni c.d. micro permanenti. Risarcimento per equivalente e risarcimento in forma specifica. Si verifica quando il debitore non esegue, esegue in maniera inesatta o ritarda l'esecuzione della prestazione e consiste nella corresponsione di una somma di danaro equivalente al danno subito (risarcimento per equivalente) o alla rimozione diretta del danno (risarcimento in forma specifica). Se il danno consiste nella distruzione, alterazione, danneggiamento di un bene, il risarcimento in forma specifica potrebbe realizzarsi, rispettivamente, nella dazione di una cosa eguale a quella distrutta, nell’esecuzione delle opere necessarie a ricondurre la cosa nel pristino stato, nella riparazione materiale del bene danneggiato. In quest’ultimo caso il risarcimento in forma specifica può consistere anche nell’obbligo di prestare una somma pari ai costi concorrenti per la riparazione. Se il danneggiato richiede il risarcimento in forma specifica il giudice può negarglielo solo se la reintegrazione in forma specifica risulti, in tutto o in parte, impossibile, ovvero eccessivamente onerosa per il debitore, per tale intendendosi quella che comporti per quest’ultimo esborsi manifestamente sproporzionati rispetto a quelli che dovrebbe affrontare in caso di risarcimento per equivalente. Il concorso di cause. Un medesimo evento dannoso può essere cagionato da condotte illecite di più soggetti distinti e le condotte che concorrono nella causa del danno possono costituire illecito extracontrattuale, altre illecito contrattuale. Al fine di agevolare e rafforzare la posizione del danneggiato, la legge gli consente di rivolgersi per l’intero risarcimento a ciascuno dei responsabili, senza dover individuare l’incidenza causale della condotta di ognuno sul danno verificatosi, senza dover affrontare l’incomodo di perseguire ciascun corresponsabile pro quota: se il fatto dannoso è imputabile a più persone tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. Il danneggiato potrà dunque scegliere a quale (o quali) tra i responsabili rivolgersi, ed egli non potrà conseguire più dell’entità globale del risarcimento che gli compete. Una volta risarcito il danneggiato, chi ha effettuato il relativo rimborso potrà esercitare l’azione di regresso nei confronti degli altri coobbligati, con il rimborso da commisurarsi alla gravità della rispettiva colpa ed all’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio le singole colpe si presumono uguali. Il concorso del fatto colposo del danneggiato. Può accadere che a cagionare l’evento dannoso, concorra la condotta non di un terzo, ma dello stesso danneggiato (si pensi all’automobilista che sfrecciando ad alta velocità investe il ciclista che ha improvvisamente cambiato direzione di marcia, tagliandogli la strada). In tal caso trova applicazione il principio secondo cui il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa del danneggiato e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. L’onere della prova del concorso del fatto del danneggiato grava sul danneggiante. Da non confondersi con tale ipotesi è quella di concorso del danneggiato nell’‘aggravamento’ (e non nella causa) del danno: nel primo caso il fatto del danneggiato incide sul nesso di causalità dell’evento dannoso; nel secondo caso il fatto del danneggiato incide sull’entità del danno che quest’ultimo è chiamato a risarcire. La legge impone al danneggiato l’onere di attivarsi per ridurre per quanto possibile il danno conseguente al fatto del danneggiante; il mancato assolvimento di detto onere importa la non risarcibilità del pregiudizio che il danneggiato avrebbe potuto evitare (es. tappeto bagnato che provoca infiltrazione all’appartamento sotto potevo spostarlo in un altra stanza) L’onere di provare che il danno avrebbe potuto essere dal danneggiato evitato, in tutto o in parte, con l’ordinaria diligenza grava sul danneggiante. La responsabilità per fatto altrui. Di regola l’obbligo di risarcire il danno grava su chi lo ha cagionato con fatto proprio. Talora però il codice prevede, che detto obbligo gravi su determinati soggetti, anche se il pregiudizio è causato da altri. Solitamente la responsabilità indiretta del terzo si aggiunge a quella diretta dell’autore dell’illecito: ciò al fine di favorire il danneggiato che, in tal modo, potrà far conto a garanzia del proprio credito risarcitorio, non solo sul patrimonio di chi gli ha cagionato il pregiudizio, ma anche su quello di un altro soggetto. Alcune ipotesi sono: a) Del danno cagionato dal soggetto incapace di volere o di intendere risponde chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace. In questo caso la responsabilità del sorvegliante non si aggiunge a quella di chi ha direttamente cagionato il pregiudizio, ma interviene ad evitare che la vittima dell’illecito rimanga, a causa dell’incapacità del danneggiante, senza un soggetto cui potersi rivolgere per essere risarcita. b) Del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati e della persona sottoposta a tutela rispondono, rispettivamente, i genitori (in solido) ed il tutore. Presupposto della responsabilità di genitori e tutore è la convivenza con l’autore dell’illecito: altrimenti non sarebbero in condizione di svolgere quell’attività di vigilanza e di educazione il cui mancato assolvimento giustifica la loro responsabilità. c) Dei danni cagionati dal fatto illecito commessa da allievi ed apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza rispondono anche i precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte e anche coloro cui il minore è affidato a fini di istruzione. La responsabilità di detti soggetti è limitata agli illeciti commessi dagli allievi nel periodo in cui sono sotto la loro sorveglianza. Anche in tal caso la responsabilità indiretta di insegnanti e maestri d’arte si aggiunge, in via solidale, a quella del minore, chiamato a rispondere del fatto proprio in quanto capace di intendere e di volere, nonché a quella dei genitori, chiamati a rispondere in via indiretta dell’illecito dei figli, ove lo stesso sia conseguenza dell’inadeguatezza dell’educazione loro impartita. In ipotesi di omessa o carente vigilanza relativamente ai danni cagionati a terzi da alunni di scuola statale da parte del relativo personale direttivo, docente, educativo e non docente, la vittima dell’illecito non può rivolgersi, per il risarcimento direttamente al soggetto cui è imputabile la culpa in vigilando, ma solo allo Stato; la responsabilità del personale scolastico è meramente interna. d) Dei danni cagionati da fatto illecito di domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti rispondono i rispettivi padroni e committenti. Tra chi è chiamato a rispondere in via indiretta e l’autore dell’illecito deve intercorrere quello che, nella prassi, si definisce come rapporto di preposizione: quello in forza del quale un soggetto (preponente) si appropria delle utilità lavorativa di altro soggetto (preposto), che non operi con autonomia organizzativa e gestionale, bensì sotto il potere di direzione e sorveglianza del preponente. Perché il preponente risponda del fatto illecito del preposto debbono concorrere i seguenti presupposti: a. Compimento da parte del preposto di un atto illecito che cagioni ad altri un danno ingiusto; b. Compimento da parte del preposto dell’atto illecito nell’esercizio dell’attività lavorativa Essenziale è solo che la connessione fra esercizio attività lavorativa ed illecito dannoso non sia del tutto anomala e causale, ma sia un qualche modo collegata alla natura e alle modalità dell’incarico affidato. Il preponente non è ammesso a fornire una prova liberatoria in senso tecnico: la responsabilità gli viene accollata oggettivamente per il solo fatto di avvantaggiarsi dell’attività del preposto. La responsabilità del preponente si aggiunge a quella del preposto. Tra obbligazione risarcitoria del preposto e quella del preponente corre il vincolo della solidarietà: sicché la vittima dell’illecito potrà rivolgersi, per l’intero, all’uno o all’altro, o ad entrambi. Una volta risarcito il danneggiato, il preponente avrà azione di regresso nei confronti del preposto per l’intera somma sborsata. e) Dei danni cagionati da rovina di edificio imputabili a vizio di costruzione risponde chi ne è proprietario al momento della rovina. Peraltro se il vizio di costruzione è addebitabile a coloro che hanno progettato o diretto o eseguito i lavori di costruzione dell’immobile, il proprietario che abbia risarcito il terzo danneggiato avrà diritto di rivalsa nei confronti di questi ultimi. f) Dei danni derivanti da vizi di costruzione di veicoli senza guida di rotaie rispondono per responsabilità oggettiva il conducente ed il proprietario del veicolo stesso. In solido con loro risponde anche il costruttore. Ovviamente al conducente così come al proprietario che abbia risarcito la vittima dell’evento dannoso compete azione di regresso nei confronti del costruttore del veicolo. g) Dei danni cagionati dalla circolazione di veicoli senza guida di rotaie risponde, in solido con il conducente, anche chi è proprietario del veicolo al momento del sinistro. Presupposto della responsabilità indiretta del proprietario è la responsabilità del conducente: nell’ipotesi in cui quest’ultimo non dovesse essere tenuto al risarcimento, non lo sarà neppure il proprietario. A quest’ultimo è concessa la prova liberatoria che può però avere ad oggetto solo la circostanza che la circolazione è avvenuta contro la sua volontà. E la giurisprudenza non si accontenta né della dimostrazione che la circolazione è avvenuta senza il suo consenso, né della dimostrazione che la circolazione è avvenuta contro un suo espresso divieto: richiede la prova che siano state concretamente adottate tutte le misure idonee ad impedire la circolazione del veicolo. Ovviamente una volta risarcita la vittima del sinistro, il proprietario avrà azione di regresso nei confronti del conducente. La prescrizione. La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da illecito extracontrattuale è più breve di quella ordinaria: in genere 5 anni dal giorno in cui si è verificato il fatto; dal momento cioè in cui la produzione del danno è divenuta oggettivamente percepibile e riconoscibile dall’esterno. Se il danno è prodotto da circolazione di veicoli di ogni specie, il termine di prescrizione è di 2 anni. Se il fatto è considerato dalla legge come reato, e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile. La responsabilità per danno ambientale. Per tale si intende qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima. Chiunque realizzi un fatto illecito in tale direzione è obbligato al ripristino della precedente situazione e, in mancanza, al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato. La legittimazione attiva ad agire compete solo al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio. Peraltro, i soggetti direttamente danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, conservano il diritto di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei loro diritti ed interessi lesi. L’autore dell’illecito è tenuto al risarcimento in forma specifica, e nel caso in cui non vi possa provvedere, al risarcimento per equivalente. La responsabilità per danno da prodotto difettoso. Per prodotto si intende ogni bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile o immobile, purchè messo in circolazione, ossia consegnato all’acquirente, all’utilizzatore, o a un ausiliario di questi, anche in visione o in prova. Difettoso è il prodotto che non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze. Per ottenere il risarcimento la vittima del danno deve provare: a) il danno sofferto; b) il difetto del prodotto; c) la connessione causale tra difetto e danno. Di detto danno è chiamato a rispondere il produttore (cioè il fabbricante e qualsiasi altra persona fisica o giuridica che si presenta come produttore, identificando il bene con il proprio nome, marchio, o altro segno distintivo) se egli opera fuori dall’UE dei danni ne risponde l’importatore. Se il produttore non è individuato, la responsabilità ricade sul fornitore, salvo che lo stesso comunichi identità e domicilio del produttore. Questa è un’evidente ipotesi di responsabilità per fatto altrui. Il produttore si esonera dalla responsabilità solo fornendo prova di non aver immesso il prodotto in circolazione, che il difetto non esisteva,che non ha fabbricato per la vendita,che lo stato di conoscenze scientifiche al momento della circolazione del prodotto non permettevano di considerarlo difettoso. Se il danno è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento. La vittima del sinistro non può chiedere il risarcimento di qualunque danno abbia sofferto, ma solo: a) del danno alla persona, cagionato da morte o da lesioni personali; b) del danno a cosa diversa dal prodotto difettoso, sempre che detta cosa sia normalmente destinata all’uso o consumo privato. Il diritto al risarcimento di detti danni è soggetto a un termine di prescrizione di 3 anni. In ogni caso il diritto al risarcimento deve essere azionato entro 10 anni dal giorno in cui il produttore o l’importatore ha messo in circolazione il prodotto che ha cagionato il danno. Responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale. La differenza di fondo risiede nel fatto che la prima sanziona l’inadempimento di un’obbligazione già esistente, la seconda sanziona invece un fatto illecito dannoso in violazione del generico obbligo di non ledere l'altrui sfera giuridica. Peraltro vi sono differenze anche in quanto a disciplina: a)La RC non presuppone la capacità di intendere e di volere dell’obbligato; la RE. invece la richiede. b) La RC. comporta la risarcibilità del solo danno prevedibile nel tempo in cui è sorta l’obbligazione, salvo che nelle ipotesi di dolo del debitore la RE invece prevede anche la risarcibilità dei danni imprevedibili. (ovvero il danneggiante dovrà risarcire non solo ai danni che si potevano prevedere al momento della produzione del danno, ma anche a quelli che non si potevano prevedere, ma che si sono comunque prodotti.) c)Il diritto al risarcimento del danno da inadempimento è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale; il diritto al risarcimento del danno da illecito extracontrattuale è invece soggetto a prescrizione quinquennale d) Nella RC. il creditore danneggiato che agisce per il risarcimento ha l’onere di provare il suo credito, e il debitore deve dare prova contraria di corretta prestazione o di causa a lui non imputabile; nella RE. il danneggiato che agisce per il risarcimento ha invece l’onere di provare non solo il danno di cui chiede il ristoro e il nesso causale fra danno ed illecito ma anche la colpa o il dolo del danneggiante. Un medesimo fatto può costituire sia inadempimento di un’obbligazione sia atto illecito dannoso.( es. medico contrattualmente assunto la sua imperizia è RC per il contratto e RE per i danni fisici procurati) La giurisprudenza ammette pacificamente il concorso tra RC e RE lasciando al danneggiato la facoltà di agire in via contrattuale o in via extracontrattuale. L’esercizio di un’azione non comporta rinuncia all’altra (il rigett dell’una dunque non esclude il possibile ricorso all’altra). Ovviamente il risarcimento ottenuto per una via fa venir meno qualsiasi ulteriore pretesa creditoria. TRASFORMAZIONI SOCIALI E RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA La famiglia e la riforma. S riconosce generalmente che la famiglia soddisfa bisogni fondamentali dell’individuo: il completamento della sua personalità con la scelta di un “compagno” con cui affrontare le difficoltà dell’esistenza, la procreazione e l’educazione della prole. Non essendovi un modello universale ed immutabile il codice non definisce la famiglia. La Cost. proclama solennemente che la Repubblica non attribuisce, ma riconosce i diritti della famiglia come società naturale. Non si può sottovalutare ad ogni modo l’influsso esercitato dal modello famiglia che il sistema giuridico presenta alla collettività (si pensi alla ricaduta sul costume sociale dell’introduzione del divorzio nel nostro ordinamento). Nella società di un tempo la famiglia tendeva ad organizzarsi come unità produttiva, sia verso l’esterno (per il mercato) sia rivolta all’interno della comunità familiare stessa (produzione di cibo, istruzione, ecc.). la famiglia conseguentemente aveva scarsa mobilità (famiglia patriarcale), accentramento gerarchico (poteri del paterfamilias su moglie e figli), rigida distribuzione di ruoli (specie tra uomini e donne). Con il processo di industrializzazione e lo spostamento dei luoghi di lavoro all’esterno delle famiglie, si è avviato il processo di disgregazione della famiglia antica, sia sul piano della composizione numerica, sia su quello della contrazione dei poteri del capofamiglia, sia sul piano della riduzione delle funzioni svolte all’interno della famiglia. Esemplare in proposito è l’evoluzione della posizione giuridica e sociale della donna. Nel 1970 si registrava un intervento normativo di speciale rilevanza, giuridica e sociale: l’introduzione del divorzio. Cinque anni dopo veniva approvata la L. 151/1975, con la quale il diritto di famiglia subiva una profonda opera di riforma, dalla quale è scaturito l’assetto attuale dei rapporti familiari. La riforma non ha ovviamente dettato una disciplina definitiva. L’assetto giuridico dei rapporti familiari è anzi costantemente sollecitato a rinnovarsi, sotto la spinta del costume e del sentimento sociale e delle nuove esigenze poste da una società in continuo cambiamento. Famiglia legittima e famiglia di fatto. La famiglia legittima è quella fondata sul matrimonio (art. 29 Cost.). Anche i figli si dicono legittimi in quanto concepiti da genitori uniti in matrimonio (artt. 231 ss. c.c.). La famiglia di fatto è quella costituita da persone che, pur non essendo legate tra loro dal vincolo matrimoniale convivono more uxorio insieme agli eventuali figli nati dalla loro unione (art. 317-bis c.c.). Mancando un atto formale, la famiglia di fatto non sempre può essere agevolmente individuata, distinguendola da coabitazioni occasionali ovvero da gruppi anche stabili ma uniti tramite vincoli e funzioni di diversa natura (convivenze tra parenti o amici, ecc.). Il solenne riconoscimento dei diritti della famiglia contenuto nel 29 Cost. si rivolge solo alla famiglia fondata sul matrimonio, di cui afferma la superiore dignità. Peraltro anche la stabile convivenza tra coppie non coniugate pur non essendo oggetto di una disciplina organica, ha acquistato, negli anni recenti, profili di rilevanza giuridica (che si ritiene trovino copertura sul piano costituzionale nella più generale tutela di cui all’art.2). Sul piano normativo non è ravvisabile una disciplina della convivenza, ma una serie di interventi sistematici. Si esclude invece una generale applicabilità analogica, alle coppie di conviventi, delle norme specificamente dettate per le famiglie legittime. Altro delicato tema è quello dell’ammissibilità di una disciplina contrattuale del rapporto di convivenza al di fuori del matrimonio. Manca allo stato una disciplina positiva, tuttavia l’evoluzione del pensiero giuridico è sicuramente nel senso di un più aperto favore verso l’ammissibilità di una disciplina pattizia, volta a regolare gli apporti dei singoli conviventi alle esigenze della vita comune ed eventualmente quelli successivi alla cessazione della convivenza. L’efficacia di simili accordi è in ogni caso limitata ai soli aspetti economici, essendo quelli inerenti gli status personali, dei conviventi ed eventualmente dei loro figli, indisponibili dall’autonomia privata. MATRIMONIO: LA FORMAZIONE DEL VINCOLO ïƒ Il matrimonio civile. Nozioni generali. Il matrimonio è un istituto che assume rilievo sia dal punto di vista religioso, sia dal punto di vista dell’ordinamento giuridico dello Stato. Per il diritto italiano il termine matrimonio è adoperato per indicare l’atto (le nozze) mediante il quale viene fondata la società coniugale (matrimonio in fieri), quanto il rapporto che ne deriva per gli sposi(matrimonio in facto). La legge non dà una definizione di matrimonio. Il fine essenziale del matrimonio civile sembra identificabile nella costituzione di una comunione di vita spirituale e materiale tra i coniugi. Sul piano del diritto il matrimonio si limita a produrre delle conseguenze giuridiche, e cioè la costituzione di un rapporto, di un vincolo tra gli sposi, che ha cessato di essere indissolubile sin dall’introduzione del divorzio nel 1970. Esso peraltro è esclusivo (monogamico), indisponibile (è esclusa la liceità di qualsiasi disciplina convenzionale, in deroga o aggiunta al regime legale), e di durata indeterminata, non essendo consentito pattuire un matrimonio ad tempus. Mentre la disciplina del rapporto è unica, quanto agli effetti la celebrazione dell’atto può avere luogo con forme diverse. La promessa di matrimonio. Il principio fondamentale in questa materia è la libertà delle parti fino al momento della perfezione del matrimonio. La promessa non obbliga a contrarre il matrimonio né ad eseguire ciò che si fosse convenuto per il caso di non adempimento (incoercibilità della promessa di matrimonio). Tuttavia se la promessa è fatta per iscritto (atto pubblico, scrittura privata), da una persona maggiore di età o da un minore emancipato, o se risulta dalle pubblicazioni, il promittente, qualora senza giusto motivo ricusi successivamente di dare esecuzione alla promessa e di contrarre le nozze, è tenuto al risarcimento dei danni. Questi sono peraltro limitati alle spese fatte e alle obbligazioni contratte a causa di quella promessa. Non si ammette la risarcibilità di danni ulteriori. In ogni caso di rottura del fidanzamento, inoltre, può essere richiesta la restituzione dei doni fatti a causa della promessa di matrimonio. Tali sono i regali d’uso tra fidanzati, di valore adeguato alle condizioni sociali ed economiche del donante, determinati dalla promessa di matrimonio e non costituenti semplice manifestazione di affetto o di amicizia indipendentemente dagli sponsali. L’azione per il risarcimento dei danni e quella per la restituzione dei doni sono soggette ad un breve termine di decadenza: un anno dal giorno del rifiuto di celebrare il matrimonio oppure, per la restituzione dei doni, da quello della morte di uno dei promittenti. Capacità e impedimenti. Per contrarre matrimonio occorre che ciascuno dei nubendi abbia la piena capacità di sposarsi e che non sussistano ostacoli (impedimenti) relativi alla coppia, riguardanti cioè l’idoneità dei due a contrarre le nozze in particolare tra loro. Sotto il primo profilo sono necessari per ciascuno degli sposi: a) La libertà di stato: non è ammessa la bigamia. b) L’età minima: diciotto anni. L’art.84 c.c. prevede la possibilità che l’autorità giudiziaria ammetta al matrimonio, se ricorrono gravi motivi, un minorenne di minimo sedici anni, di cui venga accertata dal tribunale la maturità psico-fisica. c) La capacità di intendere e di volere: incapacità naturale. d) L’assenza di rischio di commixtio sanguinis: il requisito riguarda esclusivamente la donna che sia già stata sposata, la quale non può contrarre nuove nozze se non dopo che siano trascorsi 300 giorni dallo scioglimento od annullamento del matrimonio precedente, ovvero dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, eccettuato il caso in cui il matrimonio sia stato dichiarato nullo per impotenza di uno dei coniugi. L’inosservanza del divieto non dà luogo ad invalidità del matrimonio, ma solo ad un’ammenda per i coniugi e per l’ufficiale dello stato civile. Sotto il profilo degli impedimenti, non possono contrarre matrimonio tra loro: 1) Gli ascendenti e discendenti in linea retta, legittimi o naturali 2) I fratelli e le sorelle, legittimi o naturali 3) Lo zio e la nipote, la zia e il nipote 4) Gli affini in linea retta (suocero-nuora, genero-suocera) 5) Gli affini in linea collaterale in secondo grado (cognati) 6) L’adottante, l’adottato e i suoi discendenti 7) I figli adottivi della stessa persona 8) L’adottato e i figli dell’adottante 9) L’adottato e il coniuge dell’adottante, l’adottante e il coniuge dell’adottato I divieti di cui al 3) 4) e 5) sono suscettibili di dispensa. Non possono contrarre matrimonio tra loro le persone delle quali l’una è stata condannata per omicidio consumato o tentato e l’altra sia il coniuge della vittima. Alle disposizioni citate sono soggetti sia il cittadino italiano che contragga matrimonio in un paese straniero, sia lo straniero che contragga matrimonio in Italia, esclusi per quest’ultimo taluni degli impedimenti di cui all’87 c.c. Pubblicazione e celebrazione. La celebrazione del matrimonio deve essere preceduta dall’esecuzione di alcune formalità preliminari come le definisce il codice. Le norme del codice dedicate a tali formalità preliminari sono integrate e in parte anche sostituite dalla nuova disciplina dell’ordinamento dello stato civile, introdotta dal DPR n.396/2000. La pubblicazione consiste nell’affissione di un atto, contenente le generalità degli sposi, alla porta della casa comunale per almeno otto giorni, ed è fatta a cura dell’ufficiale dello stato civile. La celebrazione non può avvenire prima del quarto giorno successivo al compimento della pubblicazione. La pubblicazione serve perciò sia a prevenire richieste di nozze precipitose, sia a rendere noto il proposito che i nubendi hanno di contrattare nozze e mettere così ogni interessato in grado di fare eventuali opposizioni. La pubblicazione può essere omessa per gravi motivi, previa autorizzazione giudiziale. La pubblicazione deve essere richiesta all’ufficiale di stato civile del comune di residenza di uno dei nubendi, dai nubendi stessi o da persona che ne abbia avuto speciale incarico. Se l’ufficiale dello stato civile si rifiuta di procedere alla pubblicazione, è dato ricorso al tribunale. Prescinde dalla pubblicazione il matrimonio in immediato pericolo di vita. Se manca una delle condizioni richieste per la celebrazione del matrimonio può essere fatta opposizione dalle persone indicate dall’art. 102 c.c. o dal pubblico ministero. Il presidente del tribunale del luogo dove è stata fatta la pubblicazione, il quale ha ricevuto l’opposizione, convoca le parti innanzi al tribunale e può anche sospendere la celebrazione del matrimonio sino a che non sia stata rimossa l’opposizione. Se invece l’opposizione viene respinta, l’opponente (che non sia un ascendente di uno degli sposi o un pubblico ministero) può essere condannato al risarcimento del danno. La celebrazione deve avvenire pubblicamente nella casa comunale davanti all’ufficiale di stato civile al quale fu fatta richiesta di pubblicazione con le formalità stabilite nell’art.107 c.c. Immediatamente dopo la celebrazione deve essere compilato l’atto di matrimonio, che verrà poi iscritto nell’apposito registro di stato civile. È ammessa la celebrazione per procura per i militari in tempo di guerra, o quando uno degli sposi risieda all’estero e concorrano gravi motivi, da valutarsi dal tribunale nella cui circoscrizione risiede l’altro coniuge. Caso del matrimonio celebrato davanti un apparente ufficiale di stato civile: ai fini della tutela del vincolo matrimoniale, la norma attribuisce validità al matrimonio celebrato davanti ad una persona che, senza avere la qualità di ufficiale dello stato civile, ne esercita le funzioni. Occorrono però due condizioni: 1) l’esercizio delle funzioni deve avvenire pubblicamente, ossia in modo palese a tutti; 2) la buona fede di almeno uno degli sposi. In tal caso il matrimonio è valido. Invalidità del matrimonio. Per aversi matrimonio (sia pure invalido) è indispensabile che per lo meno vi sia stata una celebrazione, nel corso della quale i nubendi, di sesso diverso, abbiano manifestato il loro consenso. La terminologia utilizzata dal legislatore in sede di disciplina dei casi di invalidità del matrimonio, non rispecchia la rigorosa distinzione tra le categorie della nullità e dell’annullamento stabilita in tema di contratti. Le ragioni sono di ordine storico e dipendono da una duplice suggestione che ha influito sul legislatore italiano: quella del diritto canonico, che conosce soltanto la categoria della nullità e quella del diritto francese, il quale, anche in materia contrattuale, adotta la categoria unitaria della nullità. Le cause di invalidità del matrimonio sono le seguenti: 1) Vincolo di precedente matrimonio di uno dei coniugi: può essere impugnato in qualunque momento da chiunque abbia un interesse legittimo a riguardo. Le nuove nozze, ove siano state contratte prima dello scioglimento del vincolo precedente, rimangono affette da nullità insanabile (invalidità assoluta). Nel caso in cui viene dichiarata la morte presunta del coniuge scomparso, l’altro coniuge può contrarre nuovo matrimonio, ma qualora la persona di cui sia stata dichiarata la morte presunta ritorni o ne sia accertata la sopravvivenza, le seconde nozze del coniuge sono colpite da invalidità assoluta e imprescrittibile. 2) Impedimentum criminis: invalidità assoluta e insanabile. 3) Interdizione giudiziale di uno dei coniugi: può essere impugnato dal tutore, dal pm o da chiunque abbia interesse legittimo. Invalidità sanabile con la coabitazione per un anno. 4) Incapacità naturale di uno dei coniugi: il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi che, sebbene non interdetto, abbia contratto le nozze in un momento in cui era incapace di intendere o di volere. L’azione non può essere più proposta se vi è coabitazione per un anno dopo che l’incapace ha riacquisito le piene facoltà mentali. 5) Difetto di età: può essere impugnato dai coniugi, da ciascuno dei genitori del minorenne e dal pubblico ministero. L’azione deve essere respinta nel caso in cui il minorenne raggiunga la maggiore età ovvero vi sia stato concepimento o procreazione e sia accertata la volontà del minore di mantenere il vincolo matrimoniale. Lo stesso minore non può impugnare le nozze qualora sia trascorso un anno dal momento in cui ha compiuto la maggiore età. 6) Vincolo di parentela, affinità, adozione o affiliazione: l’invalidità non può più essere fatta valere dopo un anno dalla celebrazione quando vi sia la possibilità di ottenere l’autorizzazione giudiziaria alle nozze; in ogni caso il vizio è insanabile e l’impugnativa può essere proposta da chiunque vi abbia interesse. 7) Vizi del consenso: i casi nei quali è ammissibile l’impugnativa del matrimonio per vizio del consenso, sono i seguenti: a) violenza; b) timore di eccezionale gravità; c) errore: sull’identità del partner, sulle sue qualità personali (malattia fisica o psichica o un’anomalia o deviazione sensuale; una sentenza di condanna alla reclusione non inferiore a cinque anni per delitto non colposo, salvo che sia intervenuta la riabilitazione prima della celebrazione del matrimonio; dichiarazione di delinquenza abituale o professionale; sentenza di condanna a pena non inferiore a due anni per delitti concernenti la prostituzione; uno stato di gravidanza causato da terzi). Tutte queste cause sono sanabili quando la coabitazione sia continuata per un anno dopo la cessazione delle cause che le hanno determinate. Il matrimonio può essere impugnato da ciascuno dei coniugi per simulazione, che ricorre quando questi abbiano contratto le nozze con l’accordo di non adempiere gli obblighi e di non esercitare i diritti che ne derivano (divieto di beneficio di qualche conseguenza derivante dallo status di coniuge). L’impugnativa non può più essere proposta dopo che sia decorso un anno dalla celebrazione del matrimonio, ovvero dopo che i coniugi abbiano convissuto come tali (more uxorio), sia pure per breve tempo dopo le nozze. L’azione di impugnazione del matrimonio è personale e intrasmissibile agli eredi in coerenza con il carattere personale e con l’intrasmissibilità dello status di coniuge. Perciò l’azione stessa non può essere proposta dagli eredi e non può essere promossa, per mancanza di interesse dal pubblico ministero dopo la morte di uno dei coniugi. È sottoposta a brevi termini di decadenza. In pendenza del giudizio di impugnazione può essere disposta la separazione dei coniugi. Questa separazione in pendenza del giudizio di nullità o annullamento si distingue dall’istituto della separazione personale. La separazione in pendenza del giudizio di nullità o di annullamento serve ad ovviare al disagio della coabitazione tra i coniugi, mentre è in corso il giudizio di annullamento o di nullità: è perciò rimesso alla prudente valutazione del giudice disporla o meno. Ciò spiega anche come il giudice possa ordinare tale separazione anche di ufficio, se ambedue i coniugi o uno di essi sono minori o interdetti. Il matrimonio putativo. L’annullamento del matrimonio ha effetti retroattivi, ma la legge tempera questo rigore, eliminando in certi casi l’efficacia retroattiva dell’annullamento. Se i coniugi sono in buona fede, il matrimonio è valido fino alla pronuncia della sentenza di annullamento che opera ex nunc (perciò si parla di matrimonio putativo, da putare, ossia da credere: matrimonio che i coniugi credevano valido). I figli, nati o concepiti durante un matrimonio poi annullato, si considerano figli legittimi. Se in buona fede è uno solo dei coniugi, gli effetti del matrimonio putativo si verificano soltanto in favore suo e dei figli. Se entrambi i coniugi sono in malafede, i figli si considerano egualmente legittimi, a meno che la nullità dipenda da bigamia o incesto. In queste ultime due ipotesi ai figli spetta lo status di figli naturali riconosciuti nei casi in cui il riconoscimento è consentito (i figli nati da matrimonio nullo per bigamia potranno acquisire lo stato di figli naturali, mentre nel caso di incesto no). La legge estende le stesse regole alle ipotesi di violenza e timore, in cui a rigore non si potrebbe parlare di buona fede. Senonchè l’estensione è giustificata dalla considerazione che la volontà del coniuge non è stata libera. La buona fede si presume e deve sussistere soltanto nel momento della creazione del vincolo matrimoniale, a nulla rilevando la conoscenza successivamente intervenuta della causa che ne vizia la validità. Non può ricorrere la figura del matrimonio putativo nel caso in cui il matrimonio sia addirittura inesistente o comunque del tutto privo di effetti nell’ordinamento giuridico italiano perché, essendo stato celebrato religiosamente, non è stato trascritto. ïƒ Il matrimonio concordatario e il matrimonio celebrato davanti a ministri di altri culti. Nozioni generali. Il matrimonio in quanto atto contempla una varietà di forme. Accanto al matrimonio civile può aversi quello concordatario, cioè quello religioso che, in base agli accordi tra Stato e Chiesa, può produrre effetti sia religiosi che civili. Si tratta di un matrimonio canonico, retto, dunque, quanto alla disciplina dell’atto, dal diritto canonico, che riceve effetti anche nell’ordinamento dello Stato. Della validità del vincolo è competente a decidere l’autorità giurisdizionale ecclesiastica, le cui sentenze diventano efficaci di fronte all’ordinamento dello Stato previa deliberazione della Corte d’appello. Le modalità per il riconoscimento dell’efficacia civile del matrimonio canonico. Anche la celebrazione del matrimonio canonico deve essere preceduta dalle pubblicazioni, mediante affissione di un avviso con le generalità degli sposi alle porte della chiesa parrocchiale, dopo che il parroco si sia accertato che non esistono impedimenti. Ma perché il matrimonio consegua gli effetti civili occorrono anche le pubblicazioni alla porta della casa comunale, a norma dell’ordinamento dello stato civile. Eseguite le pubblicazioni può avvenire la celebrazione da parte del ministro del culto. La trascrizione del matrimonio canonico. L’atto fondamentale perché il matrimonio religioso consegua effetti civili è la sua trascrizione negli atti dello stato civile: questa infatti non svolge una mera funzione di pubblicità dichiarativa, bensì ha carattere costitutivo. Tuttavia gli effetti civili si producono dal giorno della celebrazione: la trascrizione ha cioè efficacia retroattiva. Il matrimonio canonico è in trascrivibile quando: a) gli sposi non rispondano ai requisiti della legge civile circa l’età richiesta per la celebrazione; b) fra gli sposi sussiste un impedimento che la legge civile considera inderogabile. La scelta di celebrare il matrimonio concordatario è impugnabile qualora sia stata effettuata da persona incapace. Se la trascrizione del matrimonio canonico sia stata omessa, qualunque ne sia stata la causa, può essere chiesta in ogni tempo la trascrizione tardiva, purchè la richiesta sia fatta da entrambi i coniugi o anche da uno solo di essi, purchè l’altro ne sia a conoscenza e non faccia opposizione. Anche la trascrizione tardiva ha effetto retroattivo fino al momento della celebrazione. IL MATRIMONIO: IL REGIME DEL VINCOLO Diritti e doveri personali dei coniugi. Per l’art. 29 Cost. il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Ciò rappresenta una rottura col passato in cui il codice civile del 1865 era improntato alla supremazia del marito, titolare di una potestà maritale nei confronti della moglie. La riforma del 1975 ha perciò affermato come primo e fondamentale principio regolatore dei rapporti coniugali quello per cui con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. L’attuale disciplina impegna i coniugi a concordare tra loro l’indirizzo della vita familiare e la residenza della famiglia che va fissata secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa. Costituisce eccezione alla rigida regola dell’eguaglianza tra i coniugi la norma che, in ossequio ad una antica tradizione e per salvaguardare l’identificazione unitaria della famiglia, prevede l’aggiunta del cognome maritale a quello della moglie, così come i figli nati all’interno del matrimonio assumono il cognome paterno. Dal matrimonio derivano l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza, alla collaborazione e alla coabitazione. La fedeltà coniugale non è più oggetto di considerazione da parte del diritto penale. È da ritenere tuttavia che la fedeltà costituisca contenuto di un vero e proprio obbligo giuridico, pur se sfornito di apposita specifica sanzione, e conservi un suo rilievo non soltanto quale presupposto per l’eventuale applicazione dell’imputazione ad un coniuge della responsabilità della separazione, ma prima ancora quale elemento caratterizzante il modello di matrimonio che il legislatore propone ai cittadini, ed in cui la comunione di vita coniugale implica una relazione personale tra gli sposi a carattere esclusivo. Anche la violazione del dovere di assistenza (morale e materiale) può essere causa di addebito della separazione. Nuovo è invece l’obbligo della collaborazione nell’interesse della famiglia. Infine, per quanto riguarda i doveri a contenuto non patrimoniale, dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla coabitazione. Presupposto è che i coniugi abbiano fissato di comune accordo la residenza della famiglia, ove entrambi sono tenuti a convivere. L’abbandono ingiustificato della residenza familiare può dar luogo a sanzioni a carico dell’inadempiente. Tutti gli obblighi fin qui trattati sono di carattere personale ed insuscettibili di coercizione: tuttavia il giudice può dichiarare a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio. Di recente il legislatore ha avvertito la necessità di intensificare la protezione delle posizioni soggettive all’interno della famiglia con l’introduzione di specifiche misure preventive e sanzionatorie (ordini di protezione) contro la violenza nelle relazioni familiari. Sono previste sia sanzioni penali che strumenti civilistici a carico di chi si renda responsabile di violenze a danno del coniuge o del convivente. La riforma del ’75 ha ribadito la parificazione tra i coniugi anche sul piano dei rapporti patrimoniali, affermando che essi sono tenuti entrambi in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia. La separazione personale dei coniugi. Dal divorzio la separazione differisce nettamente, perché giuridicamente non comporta la cessazione degli effetti del matrimonio, ma un nuovo modo di essere del rapporto. Cessa infatti tra i coniugi l’obbligo di convivenza, e anche gli altri obblighi (assistenza, collaborazione, sostegno economico) vengono ad essere diversamente regolati. Tale situazione è peraltro vista dalla legge come transitoria. Il codice si occupa solo della separazione legale: si può anche avere una separazione di fatto, ossia un’interruzione della convivenza coniugale non sanzionata da alcun provvedimento giudiziale, ma voluta ed attuata deliberatamente per l’appunto in via di mero fatto, non già per cause indipendenti dalla volontà dei coniugi, bensì sulla base di un previo accordo informale dei coniugi, o per il rifiuto unilaterale a proseguire la vita in comune, o semplicemente perché ciascun membro della coppia segue il proprio destino disinteressandosi dell’altro. La separazione di fatto non determina automatiche conseguenze giuridiche. La separazione legale può essere giudiziale o consensuale. La riforma ha radicalmente cambiato soprattutto la prima. Difatti, secondo le vecchie norme, la separazione giudiziale poteva essere ottenuta da un coniuge soltanto adducendo una colpa dell’altro. Il nuovo testo dell’art. 151 c.c. invece consente di chiedere la separazione per il fatto solo che la prosecuzione della convivenza sia diventata intollerabile, ovvero tale da recare grave pregiudizio alla educazione della prole, e ciò anche quando questi presupposti si siano verificati indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi. Qualora peraltro sia possibile far risalire la responsabilità del fallimento della vita in comune a comportamenti contrari ai doveri che derivano dal matrimonio, il giudice, purchè gli sia chiesto, può dichiarare nella sentenza a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione. Qualora uno dei coniugi non abbia redditi propri adeguati a consentirgli di conservare il precedente tenore di vita, il giudice può imporre all’altro l’obbligo di versarne un assegno periodico, la cui entità dev’essere determinata tenendo conto dei redditi del coniuge obbligato e dei bisogni dell’altro. Peraltro quest’assegno non può essere attribuito al coniuge cui sia stata addebitata la responsabilità della separazione, al quale, ricorrendone i presupposti, può semmai essere riconosciuto soltanto il diritto agli alimenti, cioè a ricevere periodicamente una somma nei limiti di quanto necessario al suo sostentamento. Il coniuge cui sia stata addebitata la responsabilità della separazione vede gravemente limitati anche i suoi diritti successori nei confronti del patrimonio dell’altro coniuge. Le situazioni contenute nella sentenza di separazione possono essere in qualsiasi momento, per giustificati motivi, revocate o modificate dal tribunale (revisione delle condizioni di separazione). La separazione può essere anche consensuale, per la quale però non è sufficiente il solo consenso dei coniugi, che si mettono d’accordo tra loro sulle condizioni della separazione: perché tale accordo produca effetti giuridici occorre anche l’omologazione del tribunale, soprattutto perché l’accordo dei coniugi non può essere omologato qualora sia in contrasto con l’interesse dei figli. Quanto agli effetti, cessano per entrambi i coniugi l’obbligo di convivenza e di assistenza in tutte le forme che presuppongono la convivenza; non è ritenuto di per sé illecito il comportamento del coniuge separato che evada l’obbligo di fedeltà. Non cessa l’obbligo della collaborazione, specie con riguardo ai figli. Cessa la presunzione di paternità. Si scioglie la comunione legale. Gli effetti della separazione cessano in caso di riconciliazione dei coniugi, che non richiede alcuna forma solenne, tuttavia occorre la ricostituzione di una vera comunione di vita tra i coniugi. In caso di riconciliazione, precisa la legge, la separazione può essere nuovamente pronunciata soltanto per fatti posteriori alla riconciliazione stessa. La riconciliazione comporta la ricostituzione della comunione legale eventualmente esistente tra i coniugi prima della separazione. Provvedimenti riguardo ai figli. Le nuove norme, benché inserite nella disciplina della separazione personale dei coniugi, si applicano a tutti i casi di dissoluzione della coppia genitoriale e quindi anche in caso di divorzio e di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. La legge n. 54/2006 pone come regola fondamentale l’affidamento condiviso. Anche in caso di separazione i figli hanno diritto di conservare un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere da entrambi cura, educazione e istruzione, e di conservare altresì rapporti con gli ascendenti e i parenti di ciascun ramo genitoriale. Il giudice deve considerare prioritariamente la possibilità che il figlio sia affidato ad entrambi: il giudice può disporre l’affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori soltanto quando ritenga, con provvedimento motivato, che il rapporto con l’altro sia contrario all’interesse del minore. Ciascun coniuge ha sì diritto di chiedere in qualsiasi momento l’affidamento esclusivo ma se la domanda risulta manifestamente infondata il giudice ne può tenere conto ai fini dei provvedimenti da adottare nella disciplina dei rapporti tra i genitori e i figli, oltre a poter eventualmente condannare l’istante al risarcimento dei danni per lite temeraria. Il giudice deve, nel dettare i provvedimenti relativi alla prole, provvedere sulla residenza dei figli, precisando presso quale dei genitori gli stessi sono collocati, ossia vivono abitualmente. Il provvedimento del giudice deve determinare tempi e modi della presenza dei figli presso ciascun genitore. Per favorire intese tra i genitori, il giudice prende atto degli eventuali accordi tra i genitori, se non contrari agli interessi dei figli. La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori, ai quali può essere attribuito il potere di assumere singolarmente le decisioni di minore momento, mentre devono concordare quelle di maggiore interesse per i figli, relative alla loro istruzione, educazione e salute, tenendo conto delle inclinazioni e aspirazioni dei figli stessi. In caso di disaccordo provvede il giudice. I provvedimenti relativi ai figli sono sempre modificabili. Ai fini dell’emanazione dei provvedimenti relativi alla prole il giudice può assumere anche d’ufficio i mezzi di prova che ritiene necessari; deve inoltre disporre l’audizione del minore che abbia compiuto 12 anni, o anche quello di età inferiore, se dotato di discernimento. Quanto ai provvedimenti economici la legge concede rilevanza primaria agli accordi liberamente sottoscritti dai coniugi; in ogni caso ciascun genitore deve provvedere al mantenimento della prole in misura proporzionale al proprio reddito; se necessario è il giudice a fissare la misura dell’assegno di mantenimento. Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo primariamente conto dell’interesse dei figli. Inoltre il giudice deve tenere conto dell’assegnazione della casa familiare ai fini della regolazione dei rapporti economici tra i genitori. Il provvedimento di assegnazione è espressamente suscettibile di trascrizione ai fini della sua opponibilità ai terzi che dovessero acquistare diritti sull’immobile. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso in cui l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare, oppure conviva stabilmente more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Qualora uno dei coniugi cambi residenza o domicilio, l’altro può chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità dell’affidamento, la revisione degli accordi o dei provvedimenti in precedenza adottati, ivi compresi quelli relativi economici. Lo scioglimento del matrimonio. Il divorzio. Causa morte del coniuge: la condizione di vedovo non è equiparabile in tutto e per tutto a quella di non coniugato, in quanto il matrimonio sebbene sciolto continua a produrre i suoi effetti (basti pensare ai diritti successori spettanti al coniuge superstite). Alla morte è equiparata la dichiarazione di morte presunta, che consente al coniuge superstite di contrarre legittimamente nuove nozze. Tuttavia qualora la persona della quale fu dichiarata morte presunta ritorna, o ne sia accertata l’esistenza, il nuovo matrimonio è invalido. Per quanto riguarda il divorzio, il nostro ordinamento non ammette né il divorzio consensuale, fondato cioè esclusivamente sulla volontà concorde dei coniugi, né il divorzio-sanzione, ossia giustificato come reazione ad una colpa di un coniuge verso l’altro. Dunque il divorzio si atteggia soltanto come rimedio al fallimento coniugale, ed è quindi ammissibile solamente quando la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita. L’accertamento di tale mancanza però è ammissibile esclusivamente quando ricorra una delle cause indicate dall’art. 2 della legge 898/1970. Tra queste cause quella statisticamente e socialmente di gran lunga più importante è costituita dalla separazione personale dei coniugi, protrattasi ininterrottamente per almeno 3 anni. Deve però trattarsi o di separazione giudiziale, o di separazione consensuale omologata. I tre anni decorrono non già dalla data del passaggio in giudicato della sentenza stessa, bensì dalla data dell’udienza iniziale del procedimento, ossia dall’udienza in cui i coniugi sono comparsi innanzi al presidente del tribunale per l’esperimento del tentativo di conciliazione. La separazione deve essere ininterrotta. Peraltro l’interruzione della separazione deve essere eccepita (e dimostrata) dalla parte convenuta nel giudizio di divorzio. È invece irrilevante la semplice separazione di fatto. Le altre cause che rendono ammissibile il divorzio sono: una condanna penale, passata in giudicato, di particolare gravità; una condanna penale per reati in danno del coniuge o di un figlio; l’assunzione per vizio totale di mente da uno dei delitti per i quali la condanna comporterebbe causa sufficiente a giustificare la domanda di divorzio; l’annullamento del matrimonio o il divorzio ottenuti all’estero dal coniuge straniero; la mancata consumazione del matrimonio; il passaggio in giudicato della sentenza che rettifichi l’attribuzione del sesso di uno dei coniugi. Ricorrendo una di tali fattispecie, uno dei coniugi o anche entrambi congiuntamente, possono chiedere al giudice di pronunciare lo scioglimento del matrimonio contratto a norma del codice civile, ovvero nel caso di matrimonio concordatario, la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio. In tutti i casi il giudice deve esperire pregiudizialmente un tentativo di conciliazione. Con la sentenza di divorzio il tribunale può disporre l’obbligo per un coniuge di corrispondere all’altro un assegno periodico, purchè quest’ultimo non abbia mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive. La misura dell’assegno è determinata discrezionalmente, tenendo conto di numerosi fattori. L’assegno post-matrimoniale deve essere adeguato a consentire al coniuge di conservare un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio. Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in un’unica soluzione, purchè l’attribuzione sia ritenuta equa dal tribunale: l’avente diritto all’assegno che pattuisca un’attribuzione in un’unica soluzione, non può reclamare altre provvidenze, neppure in caso di sopravvenute sue ulteriori esigenze economiche. Il coniuge al quale non spetta l’assistenza sanitaria per nessun altro titolo, conserva il diritto nei confronti dell’ente mutualistico da cui sia assistito l’altro coniuge. L’obbligo di corresponsione dell’assegno, peraltro, cessa se il coniuge beneficiario passa a nuove nozze. Se invece il beneficiario dell’assegno instaura una convivenza more uxorio nell’ambito della quale riceva dal partner sostegno economico, ciò può rilevare come elemento di fatto idoneo a giustificare una revisione dei provvedimenti economici, ma non comporta una perdita definitiva del diritto all’assegno. Pertanto, qualora la convivenza cessasse, l’ex coniuge che venisse nuovamente a trovarsi in stato di bisogno potrebbe domandare il ripristino del trattamento economico a suo favore. IL REGIME PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA Principi generali. I rapporti patrimoniali nel c.c. del ’42 erano, sinteticamente, disciplinati in questo modo: il marito aveva il dovere di mantenere la moglie; la moglie doveva contribuire al mantenimento del marito solo quando questi si trovasse in condizioni di bisogno; il regime legale dei rapporti tra i coniugi era quello della separazione dei beni, cioè ciascun coniuge rimaneva titolare esclusivo dei beni acquistati durante il matrimonio, senza alcun diritto sui beni dell’altro coniuge. Tra le convenzioni matrimoniali, l’unica ad avere una certa applicazione era quella volta a costituire una dote. La riforma del ’75 ha inteso equiparare la posizione giuridica dei coniugi prescrivendo un obbligo di entrambi di contribuire alle esigenze della famiglia, ma ha ritenuto anche necessario introdurre un nuovo regime legale di tali rapporti (applicabile in mancanza di un’apposita convenzione matrimoniale), sostituendo a quello di separazione dei beni il regime di comunione, volto a determinare la condivisione, da parte dei coniugi, degli incrementi di ricchezza conseguiti dai componenti della coppia, anche per effetto dell’attività separata di ciascuno di essi, durante il matrimonio (principio di solidarietà economica). Anche il regime vigente prevede che i coniugi possano comunque accordarsi per adottare un regime di separazione dei beni; ma in mancanza di un simile accordo o di altra convenzione matrimoniale, si applica automaticamente il regime della comunione legale. L’obbligo di contribuzione per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia Ad entrambi i coniugi è imposto l’obbligo di contribuire, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, ai bisogni della famiglia (art. 143 c.c.). Ciascun coniuge deve adempiere all’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole in proporzione delle rispettive sostanze e secondo la sua capacità di lavoro professionale o casalingo. Entrambi i coniugi hanno il dovere di attivarsi per porre a frutto la loro capacità di lavoro, prospettandosi l’eventuale loro inerzia come inadempimento agli obblighi che derivano dal matrimonio; dall’altro lato un’attività casalinga, sebbene non produttiva di reddito, costituisce un modo per contribuire al soddisfacimento de bisogni della famiglia. Non si deve tener conto soltanto dei redditi, ossia di quanto ciascun coniuge percepisce quale remunerazione della propria attività lavorativa o a titolo di frutti dei propri beni, ma anche delle sostanze, ossia dei cespiti patrimoniali di cui ciascun coniuge è titolare, e che è tenuto a mettere a disposizione delle esigenze familiari. La legge non precisa quale sia il “tutto”, cui ciascun coniuge deve contribuire. In proposito sono possibili due tesi. Secondo la prima i bisogni della famiglia costituiscono un dato obiettivo determinabile a priori, ed al cui soddisfacimento i coniugi, ciascuno in proporzione ai propri redditi e beni, devono provvedere, liberi poi di conservare a proprio esclusivo favore ogni eventuale eccedenza. Per la seconda tesi, i bisogni della famiglia non costituiscono un dato obiettivo, ma sono tutti quelli (attuali e futuri, collettivi e individuali) che i redditi e i beni della coppia possono comunque soddisfare, cosicchè in questa prospettiva i coniugi avrebbero il dovere di porre a disposizione del menage familiare tutti i loro redditi e beni, dovendosi poi concordare tra i coniugi il relativo impiego (soluzione più consona al concetto di comunione di vita). La differenza tra le due tesi è rilevante per i casi in cui la coppia sia dilaniata da discordie: soltanto la seconda, moralmente di certo più avanzata, parrebbe idonea ad assicurare la realizzazione degli scopi della riforma. Per l’ipotesi che la coppia non abbia mezzi sufficienti a provvedere al mantenimento dei figli, la legge impone ai loro ascendenti di fornire i mezzi necessari affinchè possano essere adempiuti i doveri nei confronti della prole. Qualora uno dei coniugi non contribuisca adeguatamente al soddisfacimento dei bisogni familiari, il tribunale può imporre che una quota dei redditi del coniuge inadempiente sia versata direttamente all’altro coniuge o a chi provvede al mantenimento dei figli. Regime patrimoniale legale. Le convenzioni matrimoniali. Con la riforma il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione stipulata a norma dell’art.162 c.c., è costituito dalla comunione dei beni. La nuova disciplina ha trovato applicazione automatica solo per le coppie sposatesi dopo l’entrata in vigore della legge di riforma. Per le coppie già unite in matrimonio a quella data una norma transitoria ha previsto un periodo di pendenza di due anni a partire dall’entrata in vigore della riforma: se durante questo periodo uno qualsiasi dei coniugi ha dichiarato di non volere il regime di comunione legale, la coppia è rimasta assoggettata, come prima, al regime di separazione dei beni. Per le coppie unite in matrimonio successivamente all’entrata in vigore della riforma, la scelta del regime di separazione dei beni non può essere frutto di una dichiarazione unilaterale di uno dei coniugi, ma deve essere convenuta mediante un accordo stipulato per atto pubblico o risultante dall’atto di celebrazione del matrimonio. Mediante atto pubblico i coniugi possono anche accordarsi per la costituzione del fondo patrimoniale o per dar luogo ad una comunione convenzionale. Nessun’altra convenzione è consentita. Le convenzioni matrimoniali possono essere stipulate anche dopo la celebrazione del matrimonio. Le convenzioni matrimoniali non possono essere opposte ai terzi quando non risultino annotate a margine dell’atto di matrimonio. Esse devono essere fatte per atto pubblico sotto pena di nullità. Il minore ammesso a contrarre matrimonio è pure capace di partecipare validamente ad ogni relativa convenzione matrimoniale, purchè sia assistito dai genitori esercenti la potestà su di lui o da un curatore speciale. Analoga è la situazione dell’inabilitato. La comunione legale. Essa non è una comunione universale, ma ha per oggetto gli acquisti compiuti in costanza di matrimonio, e neppure tutti: occorre pertanto chiarire quali siano i beni in comunione e quali rimangano personali, di pertinenza esclusiva di ciascun coniuge. Nell’ambito del regime di comunione possiamo distinguere tre categorie di beni: I beni che divengono oggetto di comunione (contitolarità) dei coniugi fin dal loro acquisto (comunione immediata) I beni che cadono in comunione soltanto al momento dello scioglimento della comunione stessa (comunione de residuo) I beni che rimangono in ogni caso di titolarità esclusiva del singolo coniuge (beni personali). In base al codice civile riformato cadono automaticamente in comunione: a) Gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali. b) Le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio c) Gli utili e gli incrementi di aziende gestite da entrambi i coniugi ma appartenenti ad uno solo di essi anteriormente al matrimonio I redditi personali dei coniugi non cadono automaticamente in comunione. Si considerano oggetto della comunione ai soli fini della sua divisione, qualora non siano stati consumati al momento dello scioglimento della comunione stessa. Difatti si tratta specificamente di risparmi (redditi personali non consumati o investiti o accantonati). I risparmi, anche quelli formalmente appartenenti solo al marito o alla moglie devono essere anch’essi divisi tra entrambi i coniugi al momento in cui la commissione si scioglie per qualsiasi causa. Lo stesso principio vale anche per i beni destinati all’esercizio di un’impresa costituita da uno dei coniugi (e da lui esclusivamente gestita) dopo il matrimonio e per gli incrementi di un’impresa di uno dei coniugi costituita precedentemente al matrimonio. Sono invece esclusi dalla comunione e rimangono beni personali di ciascun coniuge: a) I beni di cui il coniuge era già titolare prima del matrimonio b) I beni da lui acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione in suo favore, salvo che siano espressamente attribuiti alla comunione c) I beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge d) I beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla condizione di un’azienda facente parte della comunione e) I beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa f) I beni acquisiti con il prezzo del trasferimento di altri beni personali o col loro scambio purchè ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto. L’acquisto di un bene immobile o mobile registrato è escluso dalla comunione quando a tale esclusione consenta l’altro coniuge partecipando all’atto di acquisto e confermando che si rientra in una delle ipotesi di cui alle precedenti lettere c), d) ed f). L’amministrazione dei beni della comunione spetta disgiuntamente ad entrambi i coniugi. Tuttavia il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, la stipula dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, e la rappresentanza in giudizio per le relative azioni, spettano congiuntamente ad entrambi i coniugi. Se uno dei coniugi rifiuta il suo consenso per la stipula di uno di tali atti l’altro coniuge può rivolgersi al giudice per ottenere l’autorizzazione a stipulare egualmente l’atto, quando questo sia necessario per la famiglia. Del pari un coniuge può farsi autorizzare dal giudice al compimento di tali atti qualora l’altro coniuge sia lontano o impedito. Se uno dei coniugi è minore o non può amministrare per lontananza o impedimenti ovvero ha male amministrato, l’altro coniuge può chiedere al giudice di escluderlo dall’amministrazione. Gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro coniuge, e da questo non convalidati, sono annullabili se riguardano beni immobili o beni iscritti in pubblici registri; se invece riguardano beni mobili, il coniuge che li ha compiuti senza il consenso dell’altro è obbligato a ricostituire la comunione nello stato in cui era in precedenza ovvero, qualora ciò non sia possibile, a pagare alla comunione l’equivalente. Per quanto riguarda gli obblighi gravanti sulla comunione, i beni della comunione rispondono: a) di tutti i pesi ed oneri gravanti su di essi al momento dell’acquisto (es.: acquisto di un immobile gravato da servitù od ipoteche) b) di tutti i carichi dell’amministrazione c) di ogni obbligazione contratta dai coniugi, anche se separatamente, nell’interesse della famiglia d) di ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi I creditori particolari dei coniugi non possono soddisfarsi sui beni della comunione se non in quanto i beni personali del loro debitore siano capienti: in tal caso possono soddisfarsi sui beni della comunione solo limitatamente al valore della quota del loro debitore, ossia alla metà, purchè non vengano in conflitto con i creditori della comunione, i quali sono ad essi sempre preferiti. I creditori della comunione inoltre possono agire in via sussidiaria sui beni personali di ciascuno dei coniugi, nella misura della metà del credito, quando i beni della comunione non sono sufficienti a soddisfare i debiti gravanti su di essa. Scioglimento della comunione. La comunione legale viene a sciogliersi per effetto delle seguenti cause: a) Morte di uno dei coniugi b) Sentenza di divorzio c) Dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi d) Annullamento del matrimonio e) Separazione personale legale tra i coniugi f) Fallimento di uno dei coniugi g) Convenzione tra i coniugi per abbandonare il regime di comunione, sostituendolo con un altro dei regimi patrimoniali ammessi h) Separazione giudiziale dei beni A sua volta la separazione giudiziale dei beni può essere pronunciata dal tribunale a richiesta di uno dei coniugi quando ricorra una delle seguenti cause: 1) Interdizione di uno dei coniugi 2) Inabilitazione di uno dei coniugi 3) Cattiva amministrazione della comunione 4) Disordine negli affari personali di un coniuge, tale da mettere in pericolo gli interessi dell’altro o della comunione o della famiglia 5) Condotta tenuta da uno dei coniugi nell’amministrazione della comunione tale da creare la situazione di pericolo di cui al numero precedente 6) Mancata o insufficiente contribuzione da parte di uno dei coniugi al soddisfacimento dei bisogni familiari, in relazione all’entità delle sue sostanze e alle sue capacità di lavoro La sentenza di separazione dei beni retroagisce al giorno in cui è stata proposta la domanda ed ha l’effetto di instaurare, a partire da quel momento, il regime di separazione dei beni. Verificatosi lo scioglimento della comunione, si procede alla divisione dei beni comuni (contitolarità dei cespiti precedentemente acquistati): occorre perciò procedere alla divisione dei beni comuni, da effettuare sempre in parti eguali tra moglie e marito o loro eredi. La partecipazione dei coniugi alla comunione in quote eguali infatti è principio inderogabile. La divisione potrà essere convenzionale o giudiziale; dovrà effettuarsi tenendo conto anche delle passività gravanti sui beni comuni; in ciascuna porzione se possibile dovrà essere compresa un’identica quantità di mobili, immobili e crediti, salva la facoltà di compensare eventuali squilibri con conguagli in danaro. Da notare che il giudice, in relazione alle necessità della prole e all’affidamento di essa, può costituire a favore di uno dei coniugi un usufrutto su beni attribuiti all’altro. Da notarsi altresì che, salva prova contraria, si presume che i beni mobili in possesso dei coniugi non siano di proprietà individuale, ma facciano parte della comunione. Comunione convenzionale. Il legislatore ha previsto che i coniugi possano convenire, con apposita stipulazione matrimoniale, non già di escludere il regime di comunione, bensì soltanto di disciplinarlo diversamente, dando luogo ad una comunione, per l’appunto, convenzionale. Non sarebbe peraltro valida una pattuizione che mirasse a modificare il regime di comunione legale per: a) Derogare al principio che le quote spettanti ai coniugi nella comunione devono essere eguali b) Derogare al principio che l’amministrazione della comunione spetta ad entrambi i coniugi con pari poteri c) Ricomprendere in comunione i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge, i beni che servono all’esercizio della professione di un coniuge, i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno o la pensione ottenuta per la perdita totale o parziale della capacità lavorativa. La stipulazione di un apposito accordo tra i coniugi per dar vita ad una comunione convenzionale può soprattutto mirare o a ricomprendere nella comunione anche beni personali, ad eccezione di quelli che non possono essere ricompresi in comunione, ovvero a ricomprendere automaticamente nella comunione tutti i redditi di pertinenza individuale di ciascun coniuge. La separazione dei beni. Quel regime in forza del quale ciascun coniuge rimane esclusivo titolare dei beni di sua pertinenza e di ogni acquisto che abbia ad effettuare anche in costanza di matrimonio, con diritto ad amministrare il suo patrimonio senza ingerenze dell’altro coniuge. Tale convenzione può essere stipulata in qualsiasi momento con atto pubblico o anche mediante una semplice dichiarazione inserita nell’atto di celebrazione del matrimonio. Ogni coniuge conserva il godimento e l’amministrazione dei beni di cui è titolare esclusivo. Peraltro anche quando i coniugi abbiano optato per il regime di separazione dei beni, la convivenza tra loro genera comunque una situazione di utilizzo comune di un esteso insieme di beni, indipendentemente da quale dei coniugi ne sia titolare. Se di fatto in regime di separazione un coniuge ha il godimento di beni dell’altro è soggetto a tutte le obbligazioni in cui sarebbe tenuto se non fosse usufruttuario. Inoltre qualora sorga controversia tra i coniugi circa la titolarità di determinati cespiti, si presume che si tratti di beni comuni ad entrambi per pari quota, a meno che uno di essi non riesca a dare, con ogni mezzo di prova, dimostrazione di essene il proprietario esclusivo o titolare di una quota maggiore. Il fondo patrimoniale. La riforma prevede la possibilità che venga costituito un fondo patrimoniale, con uno speciale regime, per far fronte ai bisogni della famiglia. Il fondo patrimoniale può essere costituito da ciascuno dei coniugi, da entrambi o anche da un terzo. La costituzione deve avvenire con atto pubblico o anche mediante testamento (se il costituente è un terzo). Possono far parte del fondo solo beni immobili, beni mobili iscritti o titoli di credito. La proprietà dei beni che costituiscono il fondo, salva diversa disposizione nell’atto costitutivo, spetta ad entrambi i coniugi. L’amministrazione del fondo è regolata dalle stesse norme che disciplinano l’amministrazione della comunione legale. I frutti dei beni del fondo non possono essere utilizzati che per i bisogni della famiglia. I beni del fondo non possono essere alienati, concessi in garanzia o comunque vincolati, se non con il consenso di entrambi i coniugi e, qualora vi siano figli minori, previa autorizzazione giudiziale. La legge prevede che i beni del fondo e i relativi frutti non possano essere sottoposti ad esecuzione forzata per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia (il fondo patrimoniale è separato o destinato ad uno scopo). Il conferimento di beni al fondo patrimoniale, se attuato in frode ai creditori, può essere sottoposto all’azione revocatoria, e per di più con applicazione del più severo regime previsto per gli atti a titolo gratuito. L’impresa familiare. Assoluta novità della riforma del ’75. La norma mira a tutelare i familiari dell’imprenditore che prestino di fatto in modo continuativo la loro attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa del loro congiunto (soprattutto imprese artigianali ed agricole) e trova applicazione soltanto quando non sia espressamente pattuita una diversa disciplina volta a regolare l’apporto di collaborazione del familiare. In precedenza infatti l’attività lavorativa di un familiare nell’impresa era considerata affectionis causa e pertanto non dava diritto al riconoscimento di alcun diritto di ordine economico. I familiari tutelati con la norma sono il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo grado dell’imprenditore. A costoro viene riconosciuto il diritto al mantenimento ed il diritto di partecipare agli utili dell’impresa ed agli incrementi dell’azienda. L’entità della partecipazione agli utili è dal legislatore fissata in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato (concetto molto elastico). Si tende a ritenere che non rilevi l’attività domestica svolta in esecuzione del generico dovere di collaborazione, ma quella che, permettendo ai familiari di dedicarsi integralmente all’impresa, offra un contributo esterno alla conduzione della stessa, in base ad implicita regola di divisione del lavoro. La norma aggiunge, correndo il rischio di trasformare l’impresa in una specie di società di fatto, che le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestazione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa devono essere adottate a maggioranza dai familiari che partecipano all’impresa stessa: ma è da ritenere che si tratti solo di un consenso dei familiari che prestano il loro lavoro nell’impresa o nella famiglia a decisioni che soltanto l’imprenditore è legittimato ad assumere, che sono valide ed efficaci nei rapporti con i terzi e fonte soltanto di responsabilità interna ai rapporti tra l’imprenditore e i familiari. Il diritto di partecipazione è intrasferibile, a meno che sia ceduto a favore di un altro familiare con il consenso di tutti i partecipanti. In caso di cessazione della prestazione del lavoro e in caso di alienazione dell’azienda il diritto di partecipazione spettante ai familiari dell’imprenditore può essere liquidato in denaro e il pagamento può essere dilazionato in più annualità. I partecipanti hanno diritto di prelazione sull’azienda in caso di cessione o di divisione ereditaria. Le comunioni tacite familiari nell’esercizio dell’agricoltura continuano ad essere regolate dagli usi, a condizione che questi non siano in contrasto con le altre disposizioni dell’art. 230-bis c.c. LA FILIAZIONE LEGITTIMA Filiazione legittima. Il figlio è legittimo quando è stato concepito da genitori uniti in matrimonio. È invece naturale quando è stato concepito da genitori non sposati. Riguardo alla legittimità la legge interviene con due presunzioni. Con la prima si stabilisce che deve ritenersi concepito durante il matrimonio il figlio nato in qualsiasi momento intercorrente nel periodo che comincia a decorrere dopo trascorsi 180 giorni dalla celebrazione delle nozze e che termina quando siano trascorsi 300 giorni dallo scioglimento o dall’annullamento del matrimonio. Con la seconda si stabilisce che se il figlio è stato concepito in costanza di matrimonio, il padre deve ritenersi che sia il marito della madre. Se il figlio nasce dopo le nozze, ma prima che siano trascorsi 180 giorni dalla celebrazione del matrimonio, è chiaro che è stato concepito prima delle nozze. Ciò nonostante la legge stabilisce che il figlio è egualmente reputato legittimo, ma entrambi i coniugi ed il figlio stesso possono intentare azione per il disconoscimento della paternità, azione che però in tal caso non è subordinata ai normali presupposti di quell’azione. In caso di nascita successiva alla cessazione della presunzione di paternità, ciascuno dei coniugi ed i loro eredi, o il figlio stesso, possono ottenere che il figlio sia considerato legittimo se riescono a provare che si è trattato di una gravidanza eccezionalmente lunga, cosicchè il concepimento era già avvenuto durante il matrimonio. Prova della filiazione legittima. Lo status di figlio legittimo si prova di regola con l’atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile. Questo è redatto dall’ufficiale dello stato civile che raccoglie la dichiarazione di nascita. La legge precisa che chi compie la dichiarazione deve rispettare l’eventuale volontà della madre di non essere nominata; in tal caso il nato non acquisterà lo status di figlio legittimo. Lo stato di figlio legittimo potrà essere dimostrato, ove eccezionalmente manchi l’atto di nascita, mediante il possesso continuo dello stato di figlio legittimo. Si parla di possesso di stato ad indicare il fatto che una persona è sempre stata considerata come figlio legittimo di quei genitori. Ad integrare il possesso di stato di figlio legittimo devono concorrere i seguenti elementi: nomen (possesso del cognome del padre), tractatus (la persona deve essere sempre essere stata trattata dal padre come figlio); fama (la persona deve essere sempre stata considerata come figlio nei rapporti sociali e nell’ambito della famiglia). Infine, ove manchino sia l’atto di nascita che il possesso di stato, la prova della filiazione legittima può darsi nell’ambito di un’azione di reclamo della legittimità, anche per testimoni. L’azione di disconoscimento della paternità e le azioni di contestazione e di reclamo della legittimità. Mediante l’azione di disconoscimento di paternità si può far cadere lo status di figlio legittimo. Mentre nel testo originario questa azione poteva essere esercitata solo dal presunto padre, dopo la riforma può essere esperita anche dalla madre o dal figlio che abbia raggiunto la maggiore età. L’azione di disconoscimento di paternità è consentita solo nei seguenti casi: 1) Se i coniugi non hanno coabitato nel periodo in cui deve aver avuto luogo il concepimento 2) Se durante tale periodo il marito era affetto da impotenza 3) Se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la propria gravidanza e la nascita del figlio Mentre nei primi due casi la prova della non coabitazione o dell’impotenza costituiscono condizioni sufficienti per ottenere una pronuncia di disconoscimento della paternità, nel terzo caso la prova dell’adulterio, ovvero del celamento della gravidanza e della nascita non è sufficiente per ottenere il disconoscimento, neppure se accompagnata da una conferma della madre che di chiari che il figlio non è stato concepito col marito, occorrendo raggiungere la concreta prova del fatto che il nato non è figlio del marito della madre (es.: prove del DNA). L’azione di disconoscimento deve essere proposta, a pena di decadenza: a) Dal marito nel termine di un anno dal giorno della nascita; entro un anno dal giorno del suo ritorno se era lontano; entro un anno dal giorno in cui ne ha avuto notizia se ha dato prova di aver ignorato la nascita; dal giorno in cui il marito è venuto a conoscenza dell’adulterio della moglie; dal giorno in cui il marito sia venuto a conoscenza della propria impotenza di generare. b)Dalla madre nel termine di sei mesi dalla nascita del figlio; dal giorno in cui essa sia venuta a conoscenza dell’impotentia generandi del marito c) Dal figlio nel termine di un anno dal compimento della maggiore età o dal momento in cui venga successivamente a conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento; già a partire dal compimento del sedicesimo anno può fare istanza al giudice affinchè gli nomini un curatore speciale che promuova l’azione, mentre quando ancora non abbia sedici anni, l’istanza per la nomina del curatore speciale può essere proposta dal pubblico ministero. Se il titolare dell’azione di disconoscimento muore senza averla promossa, ma prima di essere decaduto dal diritto di intentarla, l’azione può ancora essere esercitata in sua vece dai suoi discendenti e dai suoi ascendenti, se si tratta del presunto padre o della madre, dal coniuge o dai discendenti se si tratta del figlio. In tema di filiazione legittima sono previste altre due azioni di stato: a) Azione di contestazione della legittimità: dall’atto di nascita un figlio può risultare legittimo senza esserlo, e ciò per ragioni diverse da quelle che si fanno valere con l’azione di disconoscimento della paternità. In queste ipotesi chiunque vi abbia interesse, ed in primo luogo chi dall’atto di nascita del figlio appare, senza esserlo, suo genitore, può agire in giudizio per contestarne la legittimità. L’azione è imprescrittibile e richiede la presenza in giudizio di entrambi i genitori e del figlio b)Azione di reclamo della legittimità: se manchi un titolo che documenti lo status di figlio legittimo di determinati genitori e difetti anche il possesso di stato, il figlio può chiedere di far accertare giudizialmente tale status. L’azione è imprescrittibile; se l’interessato non l’ha promossa ed è morto in età minore o prima che siano trascorsi cinque anni dal raggiungimento della maggiore età, può essere promosse dai suoi discendenti. c) Manca 607 Rapporti tra genitori e figli. Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. Tale dovere perdura fino a quando non abbiano raggiunto una propria autonomia ed indipendenza economica. I figli devono rispettare i genitori e devono anch’essi contribuire al mantenimento della famiglia, fin quando vi convivono, naturalmente in proporzione alle proprie sostanze e al proprio reddito. Il figlio è soggetto alla potestà dei genitori, fino al raggiungimento della maggiore età o al matrimonio, qualora si sposi prima di diventare maggiorenne. La potestà deve essere esercitata dai genitori di comune accordo: in caso di contrasti, purchè si tratti di questioni di particolare importanza, ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice, il quale sentiti i genitori, ed anche il figlio se ha già raggiunto i quattordici anni, suggerisce le determinazioni più utili nell’interesse del figlio e della unità familiare se però il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene più idoneo a curare l’interesse del figlio. Qualora un incombente pericolo di grave pregiudizio non consenta di attendere il tempo necessario per dirimere il contrasto tra i genitori (es.: urge decidere se dare il consenso ad un difficile intervento chirurgico), il padre può adottare i provvedimenti urgenti ed indifferibili, giustificato dall’esigenza di salvaguardare l’interesse del figlio. Se uno dei genitori è lontano, incapace o impedito la potestà è esercitata da solo dall’altro genitore. In caso di separazione personale, di annullamento del matrimonio o di divorzio, l’esercizio della potestà è regolato secondo quanto detto al paragrafo sui “provvedimenti riguardo ai figli” (art. 155 ss. c.c.). I genitori rappresentano i figli minori in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni. Gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore, salvo, in caso di disaccordo, l’intervento del giudice nei limiti giù illustrati. Gli atti di straordinaria amministrazione possono essere compiuti solo per necessità od utilità evidente del figlio, previa autorizzazione del giudice tutelare. Se sorge conflitto di interessi patrimoniali tra i figli soggetti alla stessa potestà o tra essi e i genitori, il giudice tutelare nomina ai figli un curatore speciale. Se il conflitto sorge tra i figli ed uno solo dei genitori, la rappresentanza dei figli viene attribuita esclusivamente all’altro (la legge ha presunto la imperitura imparzialità del genitore che conserva la rappresentanza dei figli). In tutti i casi in cui i genitori non possono o non vogliono compiere atti di interesse del figlio eccedenti l’ordinaria amministrazione, il giudice, su richiesta del figlio stesso, del pm o di uno dei parenti che vi abbia interesse, può nominare al figlio, sentiti i genitori, un curatore speciale, autorizzandolo al compimento di tali atti. Gli atti eventualmente compiuti senza l’osservanza delle norme che si sono esposte possono essere annullati su istanza dei genitori esercenti la potestà o del figlio o dei suoi eredi o aventi causa. I genitori esercenti la potestà sui figli non possono in nessun caso acquistare beni o diritti dei minori soggetti alla loro potestà: anche in tal caso l’atto è annullabile. Ai genitori spetta l’usufrutto legale sui beni del figlio, tranne quelli specificamente esclusi dal 324 c.c. I frutti dei beni del minore devono essere destinati dai genitori al mantenimento della famiglia e all’istruzione ed educazione dei figli. L’usufrutto legale, a differenza di quello ordinario, non può essere alienato né costituito in garanzia né sottoposto ad azione esecutiva da parte dei creditori dei genitori. Il giudice può pronunciare la decadenza dalla potestà quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio e può anche, per gravi motivi, ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o del convivente responsabile dei maltrattamenti. Qualora invece gli abusi e i maltrattamenti non siano così gravi da determinare la decadenza dalla potestà, il giudice può adottare i provvedimenti opportuni e, anche in tal caso, ordinare l’allontanamento dalla casa familiare del figlio o del responsabile dei maltrattamenti. Il genitore che sia stato dichiarato decaduto può essere reintegrato nella potestà, quando siano cessate le ragioni che avevano portato alla decadenza. Quando il patrimonio del minore è male amministrato, il tribunale può stabilire le condizioni a cui i genitori devono attenersi nell’amministrazione; può rimuovere dall’amministrazione stessa uno di essi o entrambi, sostituendoli con un curatore o privarli, in tutto o in parte, dell’usufrutto legale. La tutela. Se entrambi i genitori sono morti o per altre cause non possono esercitare la potestà sui figli, si apre la tutela. Organi di tutela sono il giudice tutelare, il tutore e il protutore (nominati dal giudice tutelare). Il tutore ha la cura del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni; il protutore rappresenta il minore dei casi in cui l’interesse di questo è in opposizione con l’interesse del tutore e, in via provvisoria, per gli atti conservativi ed urgenti, quando il tutore è venuto a mancare o ha abbandonato l’ufficio. Il tutore deve procedere all’inventario dei beni del minore, provvedere circa l’educazione e l’istruzione di costui, investirne i capitali. Il tutore non può compiere atti di amministrazione straordinaria senza l’autorizzazione del giudice tutelare e atti di alienazione senza l’autorizzazione del tribunale. Quando cessa dalle funzioni il tutore deve rendere il conto. Le azioni del minore contro il tutore e quelle del tutore contro il minore relative alla tutela, si prescrivono in cinque anni decorrenti, in generale, dalla cessazione della tutela. L’ADOZIONE L’adozione. Premesse. L’istituto è sopravvissuto dal codice del 42, visto come realizzazione di un vero e proprio diritto del minore ad avere una famiglia, intesa come luogo per conseguire ogni opportuna cura ed educazione, in linea con i pincìpi enunciati dalle fonti internazionali. L’adozione dei minori. Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia: pertanto l’adozione non può che rappresentare un rimedio eccezionale a situazioni di emergenza, utilizzabile in quanto non siano accessibili altri strumenti di tutela nell’ambito della famiglia di origine, da prendere in considerazione sempre in via prioritaria. L’adozione perciò costituisce uno strumento per superare una situazione valutata come patologica, da cui sollevare la vittima, assicurandogli la sostituzione della famiglia d’origine con una nuova che diventa quella legittima dell’adottato. L’adozione del minore è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità derivante dalla situazione di abbandono. Questa ricorre quando sia privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi. Per la situazione di abbandono non occorre una colpa dei genitori: quand’anche l’abbandono non sia in alcun modo loro imputabile, il minore va comunque protetto. La competenza a dichiarare lo stato di adottabilità è attribuita al tribunale per i minorenni, il quale, d’ufficio o ricevuta la segnalazione dello stato di abbandono in cui si trovi un minore, deve intervenire d’urgenza e, al termine di una complessa proceduta, nella quale è assicurato il diritto di difesa dei genitori, e compiuti gli opportuni accertamenti, quando verifichi che effettivamente sussiste una situazione di abbandono irreversibile, emette la dichiarazione in questione. In particolare, per effetto della recente riforma, la dichiarazione di adottabilità può essere pronunciata, con sentenza, quando: a) i genitori e i parenti, convocati dal tribunale, non si siano presentati senza giustificato motivo; b) l’audizione di genitori e parenti abbia dimostrato il persistere della situazione di abbandono; c) le prescrizioni eventualmente impartite dal tribunale ai genitori nel corso del procedimento siano rimaste inadempiute senza giustificato motivo. Contro la sentenza può essere proposta impugnazione, che può svolgersi per più gradi di giudizio. L’adozione è consentita, anche in numero plurimo e con atti successivi, solo a coniugi, uniti in matrimonio da almeno tre anni (o che abbiano stabilmente e continuativamente convissuto, prima del matrimonio, per un periodo di almeno tre anni), non separati (neppure soltanto di fatto), idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendano adottare. L’età di entrambi gli adottanti deve superare di almeno diciotto anni l’età dell’adottato; la legge stabilisce inoltre che l’età degli adottanti non deve superare di più di quarantacinque anni l’età del minore adottando. Eccezioni ai limiti di età: la legge di riforma del 2001 ammette che la deroga ai limiti di legge, quando il tribunale accerti che dalla mancata adozione deriverebbe un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore, ed altresì in alcune ipotesi tipiche, in cui il limite di età sia superato, di non più di dieci anni, da uno solo degli aspiranti adottanti, ovvero quando la coppia abbia almeno un figlio minore, o ancora quando l’adozione riguardi un fratello o una sorella di un altro minore già adottato dalla stessa coppia. Dichiarato in stato di adottabilità il minore viene collocato in affidamento preadottivo alla coppia ritenuta idonea. L’affidamento preadottivo instaura una specie di adozione provvisoria che deve durare almeno un anno. In caso di esito favorevole della prova (con risultati accertati), il tribunale pronuncia la sentenza di adozione, ovvero il contrario. In entrambi i casi la sentenza è impugnabile. L’adozione ha per effetto l’acquisto, da parte del minore, dello status di figlio legittimo degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome, mentre cessa ogni rapporto con la famiglia di origine, salvi i divieti matrimoniali, al chiaro scopo di evitare i casi di incesto. L’adottato ha diritto di essere reso edotto circa la propria condizione (conoscenza delle proprie origini), nei modi e nei termini che i genitori ritengono più opportuni. Per converso è assicurata la riservatezza nei confronti dei terzi, in quanto le attestazioni dello stato civile non devono far riferimento alla vicenda adottiva e i pubblici ufficiali possono rilasciare notizie e documenti al riguardo soltanto previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Anche le informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi soltanto su autorizzazione del tribunale per i minorenni e per gravi motivi e, comunque, previa adeguata preparazione e assistenza del minore. L’adottato può accedere alle informazioni relative alla sua origine e all’identità dei genitori biologici dopo il raggiungimento dei 25 anni di età, se sussistano motivi attinenti la salute psico-fisica dell’interessato. L’accesso a tali notizie è comunque escluso nel caso in cui l’adottato non sia stato riconosciuto dalla madre naturale, ovvero se anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di voler rimanere anonimo o abbia prestato il proprio consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo. L’autorizzazione non è richiesta per l’adottato maggiorenne quando entrambi i genitori biologici sono deceduti o divenuti irreperibili. Pur se il minore non sia abbandonato o quando l’adozione sia irrealizzabile, può farsi egualmente luogo all’adozione, ricorrendo i seguenti casi particolari: a) Caso di minore orfano b) Caso di minore figlio del coniuge dell’adottante c) Caso di minore orfano di padre e di madre affetto da handicap d) Caso di minore per il quale risulti impossibile l’affidamento preadottivo In questi casi il minore non acquista lo stato di figlio legittimo degli o dell’adottante, ma gli spettano tutti i diritti propri del rapporto di filiazione, e quindi innanzitutto il diritto al mantenimento, all’educazione e all’istruzione. Non cessano invece i rapporti con la famiglia di origine, anche se occorre, ovviamente, tenere conto pure dei nuovi rapporti con l’adottante. L’adozione internazionale. Casi del minore straniero adottato da coniugi italiani, del minore straniero adottato da coniugi stranieri residenti in Italia e del minore italiano adottato da coniugi residenti all’estero. Con la convenzione dell’Aja si è mirato all’eliminazione del mercato delle adozioni e di ogni intervento interessato di intermediai, garantendo che il consenso dei genitori naturali sia libero, informato e non condizionato da compensi. A tale fine è prevista la costituzione presso il governo di una Commissione per le adozioni internazionali, che ha varie funzioni di organizzazione e di controllo. Si è attuata una piena eguaglianza rispetto alla normativa interna, sia per l’adottato straniero che per gli aspiranti adottanti, per i quali valgono le stesse condizioni richieste per l’adozione di un bambino italiano. L’idoneità all’adozione è legata alla dichiarazione di disponibilità presentata dalle coppie residenti in Italia al tribunale per i minorenni, il quale emette un decreto di idoneità dopo gli opportuni accertamenti. L’affidamento di minori. L’affidamento consiste in un rimedio di carattere temporaneo (che non consegue necessariamente con l’adozione) ad una situazione nella quale un minore si venga a trovare, nonostante gli interventi pubblici di sostegno alla famiglia. Il minore viene affidato ad una famiglia preferibilmente con figli minori o anche ad una persona singola (e in tale differente dall’adozione). Ove ciò non sia possibile il minore può essere inserito in una comunità di tipo familiare o in un istituto di assistenza; i minori di età inferiore a sei anni possono essere inseriti soltanto in comunità di tipo familiare. La procedura che conduce all’affidamento varia a seconda che i genitori abbiano prestato o meno consenso all’affidamento stesso: nel primo caso è disposto dal servizio sociale locale, sentito il minore, e poi reso esecutivo dal giudice tutelare; nel secondo caso è disposto dal tribunale per i minorenni. Il provvedimento di affidamento deve essere motivato e deve precisare i modi dell’esercizio dei poteri attribuiti all’affidatario e le modalità dei rapporti tra il minore e i genitori e gli altri componenti della famiglia di origine. Il provvedimento deve anche indicare la durata dell’affidamento, non superiore a 2 anni e prorogabile dal tribunale per i minorenni. L’affidamento cessa con provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto, quando sia venuta meno la situazione di temporanea difficoltà della famiglia o quando la prosecuzione dell’affidamento possa recare pregiudizio al minore. L’affidamento, si è detto, ha natura temporanea e tende al reinserimento del minore nella famiglia di appartenenza: se sopravvenga una situazione di abbandono si deve far luogo alla procedura di adottabilità. L’adozione di maggiorenni. È preclusa l’adozione a chi abbia figli minorenni o maggiorenni non consenzienti. L’esigenza del consenso dei figli dell’adottante si spiega per tradizione con l’intento di evitare che l’adozione divenga uno strumento per eludere le norme in tema di successione, ed in particolare di protezione e intangibilità della legittima. Può adottare una persona da sola ovvero una coppia di coniugi. L’adottante deve aver compiuto i 35 anni: ma essendo stata limitata questa forma di adozione ai soli maggiorenni ed essendo necessaria una differenza di età tra adottante ed adottato di almeno diciotto anni, non è immaginabile che l’adottante abbia un’età inferiore ai 36 anni. Non esiste invece alcun limite massimo di età né per adottare né per essere adottato. Chiunque può essere adottato. L’unico divieto riguarda i figli naturali dell’adottante; se questi sono stati riconosciuti la ratio del divieto mira ad evitare la sovrapposizione di status incompatibili; nel caso in cui lo status di figlio naturale non sia stato costituito, il divieto si giustifica in base ad un favor veritatis. La norma osta altresì all’adozione dei figli naturali non riconoscibili dell’adottante. Per l’adozione si richiedono il consenso dell’adottante e dell’adottando, nonché dell’assenso dei genitori dell’adottando e del coniuge dell’adottante e dell’adottando. Il tribunale, assunte le opportune informazioni, verifica se tutte le condizioni prescritte dalla legge siano state adempiute e se l’adozione convenga all’adottando. In caso positivo di sentenza, l’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio; se è figlio naturale non riconosciuto dei propri genitori assume solo quello dell’adottante. L’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine e non diventa parente dei parenti dell’adottante. L’adottato assume nei confronti dell’adottante gli stessi diritti di successione che spetterebbero ai figli legittimi di quest’ultimo, il quale invece non acquista alcun diritto di successione nei confronti dell’adottato. L’adozione può essere revocata per indegnità dell’adottato. LA FILIAZIONE NATURALE Il riconoscimento dei figli naturali. I figli procreati da genitori non uniti in matrimonio tra loro si chiamano figli naturali. Il figlio naturale concepito da genitore che, all’epoca del concepimento, era legato da matrimonio con persona diversa dall’altro genitore, si chiama figlio adulterino.; il figlio naturale concepito da persone tra le quali esiste un rapporto di parentela, anche soltanto naturale, o in linea retta (padre-figlia, madre-figlio, nonnonipote) o in linea collaterale di secondo grado (fratello-sorella) ovvero un vincolo di affinità in linea retta (suocero-nuora, genero-suocera), si definisce figlio incestuoso. Il codice oggi permette il riconoscimento del figlio adulterino, ma non di quello incestuoso (salvo per i genitori in buona fede, per cui è stata introdotta la previsione di un’autorizzazione giudiziale del riconoscimento; è inoltre consentito liberamente l’accertamento giudiziale della filiazione incestuosa). Rimane il divieto di riconoscere come figlio naturale colui che abbia lo status di figlio legittimo o legittimato di altri (a meno di precedente disconoscimento di paternità). La dichiarazione di riconoscere un figlio naturale come proprio deve essere fatta ad substantiam: o nell’atto alla nascita, o in una dichiarazione davanti ad un ufficiale dello stato civile, o in un atto pubblico, o in un testamento. Il riconoscimento una volta effettuato è sempre irrevocabile, perfino se, essendo contenuto in un testamento, questo viene revocato. La capacità di effettuare il riconoscimento di un figlio naturale si acquista con il compimento del sedicesimo anno di età. Se il genitore non ha ancora compiuto i sedici anni, e dunque non può riconoscere il figlio, questo non è posto in stato di adottabilità fino al raggiungimento da parte del genitore dell’età necessaria per il compimento, purchè nel frattempo il minore sia assistito dal genitore naturale o dai parenti fino al quarto grado. Se la persona riconosciuta ha già compiuto a sua volta sedici anni, ne occorre l’assenso affinchè il riconoscimento produca i suoi effetti. Il riconoscimento può essere fatto sia da entrambi i genitori, sia da uno solo di essi. Il riconoscimento è un actus legitimus: non si può cioè sottoporlo a termini o condizioni. Un riconoscimento può essere impugnato in qualsiasi momento (e perciò tale azione è imprescrittibile) qualora si sostenga che in realtà il riconoscimento non corrisponde a verità, che cioè il riconoscimento non è stato procreato da chi ha dichiarato solennemente di esserne il genitore. L’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità può essere intentata sia dall’autore del riconoscimento sia da colui che è stato riconosciuto, sia da chiunque vi abbia interesse. Colui che è stato riconosciuto non può durante la miniore età o lo stato di interdizione per infermità mentale, impugnare il riconoscimento; tuttavia il giudice, su istanza del minore ultrasedicenne, del tutore o dell’altro genitore che abbia validamente riconosciuto il figlio può autorizzare l’impugnazione, nominando al figlio un curatore speciale. È previsto inoltre che il tribunale per i minorenni possa promuovere anche d’ufficio l’impugnazione del riconoscimento, al fine di evitare che, attraverso falsi riconoscimenti, si possano aggirare le norme sull’adozione. Il riconoscimento può altresì essere impugnato se l’autore del riconoscimento vi è stato costretto con la violenza ovvero l’ha compiuto in stato di interdizione giudiziale. In questi casi l’azione deve essere accolta anche se il riconoscimento corrisponde a verità. Non assumono invece rilevanza invece gli altri classici vizi del volere, errore e dolo: difatti o il riconoscimento corrisponde a verità e allora prevale l’interesse a lasciar fermo l’acquisto dello status di figlio riconosciuto; oppure il riconoscimento non corrisponde a verità, e allora sarà impugnabile semplicemente per difetto di veridicità. Lo status di figlio naturale riconosciuto. La Cost. stabilisce che la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La riforma si è preoccupata di equiparare la posizione dei figli naturali riconosciuti a quella dei figli legittimi, anche se rimane la differenza fondamentale, corrispondente alla mancanza di un rapporto di coniugio tra i genitori del figlio naturale, per cui mentre il figlio legittimo ha uno status che gli garantisce un rapporto giuridico con la coppia dei genitori e quindi l’appartenenza a una famiglia, il figlio naturale assume uno status soltanto nei confronti di ciascun genitore, ed anche quando sia riconosciuto da entrambi, la mancanza di un rapporto coniugale tra i genitori determina la costituzione di due rapporti, indipendenti tra loro, con ciascun genitore. Il riconoscimento di un figlio naturale comporta da parte del genitore l’assunzione di tutti gli stessi doveri e diritti che si hanno nei confronti di un figlio legittimo. La legge regola l’attribuzione del cognome al figlio naturale se il figlio viene riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori assume il cognome del padre, altrimenti assume il cognome del genitore che lo ha riconosciuto per primo. Se il riconoscimento da parte del padre segue quello effettuato dalla madre, il figlio può assumere il cognome paterno aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre: nel caso di minore età del figlio tale decisione è affidata al giudice. Al genitore che ha riconosciuto il figlio naturale spetta la potestà su di lui. Se il riconoscimento è fatto da entrambi i genitori, l’esercizio della potestà spetta congiuntamente ad entrambi, se sono conviventi. Se non convivono, l’esercizio della potestà spetta al genitore con il quale il figlio convive ovvero, se non convive con alcuno di essi, al primo che ha fatto riconoscimento. Il giudice, nell’esclusivo interesse del figlio, può anche disporre diversamente e giungere ad escludere entrambi i genitori dall’esercizio della potestà, nominando un tutore. In caso di interruzione della convivenza, si applicano le disposizioni sull’affidamento condiviso, derogabile solo se il rapporto con uno dei genitori sia contrario all’interesse del figlio. Qualora il riconoscimento di un figlio naturale minorenne sia effettuato da una persona sposata, il giudice, valutate le circostanze, decide se affidare il minore al genitore ed adotta ogni provvedimento idoneo a tutelare l’interesse morale e materiale del figlio. Il figlio naturale non può essere inserito nella casa coniugale se non quando vi sia il consenso del coniuge, nonché dei figli legittimi del genitore che ha effettuato il riconoscimento, e con lui conviventi, che abbiano più di sedici anni, e dell’altro genitore naturale. Se una persona si sposa dopo che aveva già riconosciuto un figlio naturale, questi può essere inserito nella casa coniugale se già convive con il genitore che lo aveva riconosciuto, ovvero se l’altro coniuge ne conosceva l’esistenza o concede il suo consenso; in ogni caso è necessario anche il consenso dell’altro genitore naturale, se pure questi aveva effettuato il riconoscimento. La dichiarazione giudiziale della paternità o della maternità naturale. Se i genitori non hanno provveduto al riconoscimento, il figlio può agire in giudizio per ottenere l’accertamento del rapporto di filiazione e la conseguente attribuzione dello status che spetta al figlio naturale riconosciuto (azione di dichiarazione giudiziale della paternità o maternità naturale). La riforma del 75 ha stabilito che l’azione di dichiarazione giudiziale sia di paternità che di maternità può sempre essere liberamente esperita (mentre il codice ammetteva senza limitazioni solo l’azione per la dichiarazione giudiziale della maternità), tranne nel caso in cui non è ammesso neppure il riconoscimento: ossia quando si tratti di persone che risultino figli legittimi o legittimati di altri genitori. La prova della filiazione può essere data con ogni mezzo e dunque anche in via indiretta. È stato dichiarato incostituzionale il giudizio preventivo di ammissibilità dell’azione. La prova della filiazione può essere data con ogni mezzo e dunque anche in via indiretta o per mezzo di presunzioni. Ma mentre la prova della maternità è agevole ed è sempre sufficiente dimostrare la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna che si assume sia la madre, la prova della paternità è meno semplice (oggi risolta nella pratica per vie scientifiche; peraltro il presunto genitore può rifiutarsi di prestarsi alle indagini ematologiche e genetiche; secondo la giurisprudenza però il giudice può trarre dal rifiuto un elemento atto a concorrere a fondare il convincimento del giudice circa la fondatezza della domanda). L’azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la paternità o la maternità naturale può essere intentata dal figlio o dal genitore che esercita su di lui la potestà, oppure previa autorizzazione giudiziale dal tutore. Se il figlio ha già compiuto sedici anni deve prestare il proprio consenso a che l’azione sia promossa o proseguita. Nel caso di azione proposta nell’interesse di minore infrasedicenne l’azione è ammessa solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all’interesse del figlio. L’azione è imprescrittibile per il figlio. In caso di morte dell’interessato, l’azione può essere proseguita o promossa dai suoi discendenti legittimi, legittimati o naturali riconosciuti. L’azione deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in mancanza di lui, nei confronti dei suoi eredi. Chiunque vi abbia interesse può intervenire nel giudizio per resistere alla domanda. La sentenza che dichiara la paternità o la maternità naturale produce così gli stessi effetti del riconoscimento spontaneo. I figli naturali non riconosciuti o non riconoscibili. Il figlio naturale non riconosciuto non è, per il diritto, figlio dei suoi genitori naturali, rispetto ai quali è estraneo. Naturalmente il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale della filiazione potrebbero sopravvenire in qualsiasi momento. Il figlio naturale può anche essere non riconoscibile, ipotesi limitata oggi al solo caso dei figli incestuosi di genitori in mala fede. Se uno dei genitori era in buona fede al momento del concepimento, il riconoscimento è consentito a lui soltanto. Il riconoscimento nei casi in cui è consentito dalla legge, deve altresì essere autorizzato dal giudice, nell’interesse del figlio. Attualmente è ammissibile l’accertamento giudiziale della filiazione naturale, anche in caso di incesto, mentre è tuttora inibito un atto di riconoscimento, da parte dei genitori, dei figli incestuosi. Nel sistema delineato dalla riforma del 75 il figlio non riconoscibile poteva far valere sui genitori il suo diritto ad essere mantenuto, istruito, ecc. Essendo oggi caduto il divieto di dichiarazione giudiziale del rapporto di filiazione, per la dichiarazione di illegittimità della relativa norma (art. 278 c.c.), cosicchè i figli incestuosi sono legittimati a proporre l’azione di dichiarazione giudiziale della paternità o maternità naturale (269 c.c.), ci si domanda quale rilevanza abbia ancora l’art.279 c.c. (responsabilità per il mantenimento e l’educazione). Inoltre al figlio naturale non riconoscibile spettano anche diritti successori, ovviamente in quanto sia data la prova del rapporto di filiazione con il defunto. Secondo un orientamento i diritti di cui agli artt. 279, 580 e 594 c.c. concessi ai figli naturali non riconoscibili, possono essere rivendicati pure dai figli naturali non riconosciuti, i quali avanzino pretese nei confronti del genitore naturale (mantenimento, alimenti ecc.) o nei confronti dei suoi eredi. La legittimazione. Con la legittimazione il figlio nato fuori dal matrimonio acquista la qualità di figlio legittimo. Data la pressoché completa equiparazione che la riforma ha introdotto tra la posizione del figlio naturale riconosciuto o dichiarato e quella del figlio legittimo, la legittimazione ha perduto parte della sua importanza. Occorre però tenere presente che con lo status di legittimità si instaura un pieno rapporto, oltre che con i genitori, anche con la famiglia legittima, il che assume rilevanza soprattutto in sede successoria, in quanto la successione ex lege tra collaterali è prevista soltanto nell’ipotesi in cui il rapporto di parentela risulti di filiazione legittima. La legittimazione può avvenire per susseguente matrimonio dei genitori naturali o per provvedimento del giudice. La legittimazione per susseguente matrimonio si verifica automaticamente. La legittimazione può essere concessa dal giudice soltanto se corrisponde agli interessi del figlio e concorrano le seguenti condizioni: 1) che sia domandata dai genitori o almeno da uno di essi; 2) che vi sia l’impossibilità o un gravissimo ostacolo a legittimare il figlio per susseguente matrimonio; 3) che vi sia l’assenso dell’altro coniuge se il richiedente sia sposato e non legalmente separato; 4) che vi sia il consenso del figlio legittimando se ha compiuto i 16 anni ovvero, se è di minore età, il consenso dell’altro genitore o di un curatore speciale. La legittimazione giudiziale può essere richiesta pure dal figlio qualora il genitore sia morto dopo aver espresso in un testamento o in un atto pubblico la volontà di legittimarlo, se sussisteva un’impossibilità o un gravissimo ostacolo a procedere alla legittimazione mediante matrimonio tra i genitori naturali. L’OBBLIGAZIONE DEGLI ALIMENTI Fondamento e natura. Il gruppo familiare crea il dovere della reciproca assistenza e della solidarietà in relazione ai bisogni essenziali per la vita. Questo dovere sussiste anche rispetto ai vincoli che nascono dalla filiazione naturale e al legame civile creato con l’adozione. L’ordinamento giuridico ha attribuito rilievo, in questa materia, anche al sentimento di gratitudine che deve o dovrebbe animare chi ha ricevuto un beneficio: ciò spiega l’obbligo alimentare del donatario (437 c.c.). L’obbligazione legale degli alimenti non sorge se la persona non si trova in stato di bisogno. L’obbligato non è tenuto oltre il valore della donazione ricevuta, tuttora esistente nel suo patrimonio. L’obbligazione non ha una durata prestabilita ed una misura determinata. Essa ha carattere strettamente personale. Non possono chiedersi prestazioni arretrate: il soccorso deve operare per il futuro. L’obbligato ha la facoltà di scelta circa le modalità delle prestazioni alimentari, facoltà che non è tuttavia assoluta (possibilità dell’intervento del giudice). Se l’avente diritto agli alimenti fosse debitore verso l’obbligato, questi non potrebbe opporre la compensazione tramite gli alimenti. LA SUCCESSIONE PER CAUSA DI MORTE: PRINCIPI GENERALI Premesse. Con il termine successione si designa il fenomeno per cui un soggetto subentra ad un altro nella titolarità di uno o più diritti. Per un verso la ricchezza non è più come una volta, prevalentemente individuale (i patrimoni più cospicui appartengono oggi ad enti, società, associazioni, ecc.). Per altro verso l’elevazione del reddito medio ha fatto sì che la titolarità di un certo patrimonio al momento della morte non costituisca più un caso raro, appannaggio delle classi più elevate. Riguardo le eredità, mentre una volta assumevano importanza quasi esclusivamente gli immobili, attualmente grande rilievo possono facilmente rivestire anche i cespiti mobiliari. Vi è poi da considerare la maggiore facilità di sfaldamento della famiglia nucleare, non più compatta come quella antica patriarcale. Infine occorre sottolineare la sempre maggiore importanza che vanno assumendo istituti che, pur ricollegandosi alla morte dell’individuo, sono del tutto indipendenti dalla successione nell’eredità del defunto (es.: regola in tema di liquidazione ai superstiti delle indennità dovute al lavoratore defunto). La morte dell’individuo determina il sorgere di quella che è stata definita l’esigenza negativa che un patrimonio non resti privo di titolare. Gli interessi coinvolti nel fenomeno successorio sono numerosi. In primo luogo emerge l’interesse dello stesso ereditando, preoccupato della sorte post mortem dei suoi beni in funzione della rete di legami affettivi in cui ogni persona si colloca. In secondo luogo vi è da tenere presente l’interesse dei familiari del de cuius. In terzo luogo sono interessati alla sorte del patrimonio ereditario i creditori del de cuius. Infine vi è un indubbio interesse dello Stato a colpire i trasferimenti di ricchezza che si verificano mortis causa, o addirittura ad acquisire, in determinate circostanze, l’intero patrimonio ereditario, per destinarlo a vantaggio della collettività. L’eredità infatti si devolve allo Stato soltanto quando nessun altro soggetto è chiamato, ex lege o ex testamento, alla successione ovvero quando il diritto di tutti i chiamati risulti già estinto per rinuncia o prescrizione. Escluso almeno di solito un intervento pubblico, la sorte del patrimonio ereditario è lasciata anzitutto alle decisioni discrezionali dello stesso ereditando, che può disporre dei propri beni mediante testamento. Qualora al de cuius sopravvivano stretti congiunti, il legislatore limita la libertà del testatore, in quanto riserva a favore di costoro una quota del patrimonio del defunto (la legittima o quota indisponibile), variabile a seconda del numero e della qualità degli aventi diritto e determinata e tenendo conto pure delle donazioni effettuate in vita del de cuius. Per la parte disponibile del suo patrimonio l’ereditando può provvedere come preferisce l’art. 42 ult. c. Cost. rimette al legislatore ordinario soltanto la determinazione dei limiti della successione legittima e testamentaria, la cui soppressione sarebbe nell’attuale sistema inammissibile. Ove tuttavia l’ereditando non abbia provveduto a disporre mediante testamento dei propri beni, è la legge stessa a dettare i criteri per la devoluzione del patrimonio relitto. Il legislatore colloca tra i successibili ex lege il coniuge, i discendenti legittimi e naturali, gli ascendenti legittimi, i collaterali, gli altri parenti e infine lo Stato. Alla successione legittima si ricorre quando manca qualsiasi testamento o, pur essendovi un testamento, questo dispone soltanto legati, o ancora, quando il testamento contenga un’istituzione di erede che non esaurisca l’asse ereditario. L’interesse dei creditori del de cuius è protetto da vari strumenti. Anzitutto dalla trasmissione, in capo all’erede, della responsabilità per i debiti ereditari; inoltre mediante diritto dei creditori di chiedere la cosiddetta separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede; ed ancora attraverso la possibilità dei creditori di provocare, in caso di eredità beneficiata, talune procedure formali di liquidazione del patrimonio ereditario. Eredità e legato. Il complesso dei rapporti patrimoniali trasmissibili, attivi e passivi, facenti capo al de cuius al momento della sua morte, costituisce la sua eredità, intesa in senso oggettivo. Il patrimonio ereditario non è mai suscettibile di essere considerato atomisticamente quale una semplice accozzaglia di rapporti privi di connessione tra loro, essendo numerose le norme che postulano un trattamento unitario del patrimonio ereditario. In realtà l’eredità non è assoggettata ad un regolamento tipico ed unitario, ma ad una varietà di statuti in funzione di un’ampia casistica: cosicchè molto più utile di una definizione unitaria ed aprioristica dell’eredità come universitas, di sapore puramente classificatorio e dogmatico, appare l’esame analitico delle varie fattispecie ipotizzate dal legislatore in relazione alle situazioni in cui può venirsi a trovare in concreto il patrimonio del de cuius dopo l’apertura della successione. La successione mortis causa può avvenire a titolo universale (e allora si parla di eredità ed erede o coeredi) o a titolo particolare (ed allora si parla di legato, e del relativo beneficiario quale legatario). La contrapposizione si fonda sul diverso titolo con cui opera la vocazione (o chiamata) alla successione: infatti, mentre nel caso di legato la chiamata concerne esclusivamente rapporti determinati, nel caso di chiamata a titolo universale la vocazione comprende complessivamente la situazione patrimoniale del soggetto venuto a mancare, ponendo il beneficiario nella condizione di poter subentrare in tutti i rapporti trasmissibili, attivi e passivi, facenti capo al de cuius al momento della morte, ad eccezione soltanto di quelli per i quali sia diversamente disposto dalla legge o dal testamento, ma compresi gli stessi rapporti di cui neppure il defunto conosceva l’esistenza o che addirittura sono sorti in un momento successivo a quello in cui il de cuius abbia, nel caso di istituzione ex testamento, redatto il proprio atto di ultima volontà, formulando la chiamata. Disciplina: a) L’erede succede nel possesso del defunto; è tenuto ipso iure al pagamento dei debiti e pesi ereditari; al solo erede è concessa la hereditas petitio per ottenere la restituzione dei beni ereditari posseduti da altri a titolo di erede o senza titolo; solo l’erede subentra in ogni rapporto come se ne fosse stato parte ab initio e perfino in quelli in via di formazione al momento della morte del de cuius; soltanto l’erede succede nel processo in cui era parte il defunto. b) Per il legatario si ha il fenomeno dell’accessio possessionis; non è tenuto al pagamento dei debiti e pesi ereditari Il compito dell’interprete è facile quando al chiamato siano attribuiti tutti i beni del testatore, ovvero una quota del complessivo patrimonio ereditario; difficoltà di interpretazione della dichiarazione del testatore nell’ottica della distinzione tra legato ed eredità, sorgono quando la disposizione contenga l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni. Di fronte all’attribuzione di beni determinati occorre vedere quale sia stata l’intenzione del testatore, se di attribuire quei beni e soltanto quelli come cespiti determinati e singoli, ed allora si avrà legato; oppure se, pur indicando nominativamente quei beni, il testatore abbia inteso lasciarli quale porzione del suo patrimonio, ed allora si avrà successione a titolo universale e istituzione di erede, con conseguente applicabilità della disciplina prevista per gli eredi Nel caso risulti l’intento del testatore di assegnare i beni specificamente indicati quale quota del suo patrimonio (institutio ex re certa), la determinazione della quota ereditaria da riconoscere al chiamato avverrà anziché a priori, sulla base della semplice indicazione di una frazione aritmetica, a posteriori, calcolando il rapporto tra il valore dei beni specificamente assegnati e il totale del patrimonio di cui il testatore ha disposto (operazione di apporzionamento). Ovviamente l’interpretazione della mens testantis pone spesso gravi difficoltà per l’ignoranza da parte del testatore delle sottili distinzioni giuridiche relative al titolo della vocazione. Quando la successione si devolve per legge, il problema non si pone perché la vocazione è configurata dal legislatore quasi sempre come chiamata a titolo universale, sia pure di solito tra più aventi diritto per quote, mentre le ipotesi di legato disposto dalla legge sono tipiche e tassative (es.: al coniuge superstite spetta a titolo di legato il diritto di abitazione nella casa familiare e di uso dei relativi arredi; ai figli naturali non riconoscibili e al coniuge dichiarato responsabile della separazione giudiziale spetta il diritto ad un assegno vitalizio). Nel caso di pluralità di successibili, la chiamata è comunque a titolo universale per ciascun coerede; ne consegue l’instaurazione di un regime di comunione, che investe, in ragione delle quote spettanti a ciascun coerede, tutti gli elementi che compongono l’asse ereditario. Per quanto riguarda le situazioni giuridiche non patrimoniali, essendo in genere intrasmissibili, non si verifica successione. Tuttavia in talune ipotesi la legge riconosce espressamente la trasmissione all’erede della legittimazione attiva o passiva in relazione ad interessi non patrimoniali. Intrasmissibile è anche il cosiddetto diritto morale d’autore. Nel campo dei rapporti patrimoniali la regola è invece la successione. Sono tuttavia intrasmissibili tutti i rapporti strettamente personali, come usufrutto, uso, abitazione, rendita vitalizia, diritto alimentare ecc. La morte è poi causa di scioglimento dei contratti caratterizzati dall’intuitus personae (in primo luogo il contratto di lavoro subordinato e quello stipulato con un professionista). L’erede subentra nei diritti potestativi spettanti al de cuius: diritto di riscatto di recesso, di ratifica, di impugnazione, ecc. Si rammenta che la morte del proponente non è sufficiente ad impedire la possibilità che si pervenga alla stipulazione del contratto quando si tratti di proposta irrevocabile ovvero fatta nell’esercizio di un’impresa. Apertura della successione. La morte di una persona determina la apertura della successione. L’art. 456 c.c. stabilisce che la successione si apre al momento della morte, nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto. La giurisprudenza e la dottrina prevalente ritengono equiparata alla morte naturale la morte presunta; in caso di assenza invece, coloro che, verificandosi la morte dell’assente, sarebbero suoi eredi, possono soltanto domandare l’immissione nel possesso temporaneo dei beni. Patti successori. Aperta la successione occorre vedere a chi spettano il patrimonio ereditario o i singoli beni. Si parla allora di vocazione ereditaria, che significa indicazione di colui che è chiamato all’eredità. Il nostro codice preferisce parlare di delazione dell’eredità e cioè di offerta dell’eredità ad una persona che, se vuole, la può acquistare. La delazione del successibile può avvenire per legge (successione legittima) o per testamento (successione testamentaria). È esclusa la successione per contratto. La legge vieta esplicitamente varie tipologie di patti successori. Se ne convengono tre specie: confermativi o istitutivi (con cui Tizio conviene con Caio di lasciargli la propria eredità); dispositivi (vendo a Caio i beni che dovrebbero provenirmi dall’eredità di X); rinunciativi (convengo con Caio di rinunciare all’eredità di X non ancora devoluta). Inoltre, i patti istitutivi, vincolando il de cuius, gli toglierebbero quella libertà di disporre che la legge riconosce ad ogni persona fino al momento della morte; quanto ai patti rinunciativi e dispositivi, deve ritenersi che il legislatore abbia voluto impedire che un soggetto possa disporre con leggerezza, sottovalutandole, di sostanze che non gli appartengono ancora e di cui, anzi, l’acquisto non può mai essere sicuro (ante mortem). È vietata anche la donazione mortis causa, in cui la morte del donante funziona come causa dell’attribuzione patrimoniale: anch’essa è in contrasto con il principio fondamentale della revocabilità delle disposizioni mortis causa. È invece valida la donazione fatta sotto la condizione sospensiva (condizione di premorienza del donante). È invece valida la donazione fatta sotto la condizione sospensiva “se il donante morirà prima del donatario” (condizione di premorienza del donante), perché retroagendo la condizione al momento della conclusione della donazione, l’attribuzione patrimoniale dipende da un atto inter vivos e non mortis causa. Giacenza dell’eredità. Con la morte del de cuius colui che è chiamato all’eredità non acquista senz’altro la qualità di erede né la titolarità dei beni e dei diritti. Occorre una sua dichiarazione di volontà (accettazione di eredità). L’accettazione retroagisce al momento dell’apertura della successione, ossia opera in modo che non si verifichi soluzione di continuità tra il de cuius e l’erede. Nell’intervallo tra la morte dell’ereditando e l’accettazione del chiamato il patrimonio ereditario rimane senza un titolare attuale dei rapporti attivi e passivi che di esso fanno parte. Per assicurare la gestione del patrimonio ereditario durante quella fase, il c.c. prevedono la specifica figura dell’eredità giacente, che ricorre soltanto quando concorrono tutte le seguenti condizioni: a) Non sia ancora intervenuta l’accettazione da parte del chiamato b) Il chiamato non si trovi nel possesso dei beni ereditari c) Sia stato nominato, su istanza di qualsiasi interessato, o anche d’ufficio, un curatore dell’eredità giacente. La nomina di un curatore deve essere motivata da qualche concreta esigenza di provvedere ad atti di gestione del patrimonio ereditario che non possano essere rinviati in attesa che venga a cessare la situazione di incertezza, per effetto dell’accettazione da parte di uno dei chiamati. il curatore non è un rappresentante del chiamato o del futuro erede o dei creditori del de cuius, e neppure della stessa eredità: si tratta di un amministratore di un patrimonio, con funzioni prevalentemente conservative, anche se non sono esclusi poteri dispositivi. Il curatore provvede all’amministrazione e alla conservazione del patrimonio ereditario; è legittimato ad agire in giudizio sia attivamente che passivamente; può anche provvedere al pagamento dei debiti ereditari e dei legati, previa autorizzazione del tribunale, purchè non vi sia opposizione da parte di alcuno dei creditori o dei legatari. Se vi è opposizione si deve procedere alla liquidazione dell’eredità, secondo le norme stabilite in tema di beneficio di inventario: le funzioni del curatore cessano quando il chiamato all’eredità accetta. Se non sia stato nominato un curatore, non si verifica giacenza, bensì una situazione di mera vacanza dell’eredità, in quanto il patrimonio ereditario è privo di un dominus. In tal caso sono concessi alcuni limitati poteri al chiamato all’eredità, in funzione della conservazione del patrimonio ereditario (azioni possessorie (in caso di spoglio o turbativa del possesso), atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea). La capacità di succedere. Qualunque persona fisica che al momento dell’apertura della successione sia già nata e sia ancora in vita è senz’altro capace di succedere. Qualora si ignori se il chiamato sia vivo (il c.d. assente) il legislatore ammette che la successione si devolva a favore di coloro ai quali sarebbe spettata in mancanza dell’assente, impregiudicati i rimedi a favore di quest’ultimo, ove ritorni prima che sia maturata la prescrizione del suo diritto di accettare l’eredità. Il legislatore concede la c.d. capacità di succedere anche a coloro che al tempo dell’apertura della successione erano soltanto concepiti. Naturalmente la chiamata è subordinata alla nascita. Nell’ambito della successione testamentaria possono essere chiamati alla successione mediante testamento anche i figli (legittimi, legittimati e naturali riconosciuti) non ancora concepiti di una determinata persona vivente al momento dell’apertura della successione (allargamento della capacità di succedere). Se alla successione è chiamato un concepito, nel periodo di incertezza circa l’attribuzione definitiva l’amministrazione dei beni spetta al padre e, in mancanza di questo, alla madre (norma discriminatoria non modificata). Se invece alla successione sono chiamati (ex testamento) nascituri non ancora concepiti, l’amministrazione dell’eredità nel (lungo) periodo di incertezza è affidata a coloro cui l’eredità o la quota di eredità sarebbe devoluta qualora i nascituri chiamati alla successione non dovessero venire ad esistenza, salvo il diritto della persona indicata nel testamento di rappresentare i nascituri e tutelarne le aspettative. Nessun dubbio sussiste sulla capacità di succedere per testamento delle persone giuridiche le quali dovevano necessariamente munirsi, per poter accettare, della prescritta autorizzazione governativa (non necessaria per le società). Il c.c. negava però la capacità di succedere agli enti non riconosciuti. La norma è stata oggi abrogata e l’art. 473 c.c. dispone che l’accettazione delle eredità devolute alle persone giuridiche o ad associazioni, fondazioni ed enti non riconosciuti si deve fare con il beneficio di inventario (non è più necessaria l’autorizzazione). L’indegnità. Essa ha un fondamento diverso dall’incapacità di succedere. Questa consiste nella inidoneità del soggetto a subentrare nei rapporti che facevano capo al defunto; l’indegnità invece si basa sull’incompatibilità morale del successibile. Effetti: l’incapacità importa la mancanza di un soggetto idoneo all’acquisto dei diritti ereditari, e dunque la radicale assenza di un effetto acquisitivo. Invece l’indegnità funziona come una causa di esclusione che intanto produce effetti, in quanto sia pronunciata dal giudice, la cui sentenza ha carattere costitutivo. Perciò mentre l’azione per far dichiarare l’incapacità di succedere è imprescrittibile, l’azione per fare pronunciare l’indegnità si prescrive nel termine ordinario (10 anni) che decorre dal giorno dell’apertura della successione. Inoltre l’incapacità di succedere non ammette rimedi di sorta. Invece l’indegnità può essere rimossa con la riabilitazione. Le cause di indegnità sono tassativamente indicate nel codice, e si possono così raggruppare: a) Atti compiuti contro la persona fisica (omicidio doloso, tentativo di omicidio) o contro la personalità morale (calunnia, falsa testimonianza) del de cuius, oppure del coniuge o del discendente o dell’ascendente di lui. b) Atti diretti con violenza o dolo contro la libertà di testare del de cuius c) Decadenza della potestà genitoriale; l’indegnità non sussiste se il genitore sia stato reintegrato nella potestà alla data di apertura della successione. La ratio della norma consiste evidentemente nella finalità di impedire al genitore che abbia commesso omissioni dei propri doveri nei confronti del figlio, ovvero abusi o maltrattamenti, di gravità tale da giustificare la decadenza della potestà, di succedere al figlio stesso. L’indegnità non si comunica al figlio dell’indegno: non si vuole che gli innocenti siano colpiti per colpe commesse da altri. La legge tuttavia vuole escludere che l’indegno riceva un vantaggio, anche indiretto, dalla successione della persona verso la quale egli si è reso colpevole: perciò all’indegno non spettano né il potere di amministrazione né l’usufrutto legale sui beni che sono pervenuti ai suoi figli dalla successione dalla quale egli si è escluso. La sentenza che pronunzia l’indegnità ha effetto retroattivo all’apertura della successione. L’indegno può essere riabilitato o con dichiarazione espressa (atto pubblico) o con testamento (riabilitazione totale), ovvero mediante la contemplazione nel testamento (riabilitazione parziale); nel qual caso è ammesso a succedere nei limiti della disposizione, ma non può ricevere niente come successore legittimo e neppure può agire per lesione di legittima, se quanto ha ricevuto è inferiore alla quota di riserva. Non va confusa con l’indegnità a succedere la diseredazione, ossia la clausola testamentaria con cui il de cuius dichiari di non volere che alla sua successione abbia a partecipare un determinato soggetto il quale avrebbe, in forza delle norme sulla successione legittima, titolo a parteciparvi. La rappresentazione. È l’istituto in forza del quale i discendenti legittimi o naturali (c.d. rappresentanti) subentrano al loro ascendente nel diritto di accettare un lascito qualora il chiamato (rappresentato) non può (es.: per premorienza) o non vuole (per rinuncia) accettare l’eredità o il legato. Essa può avere luogo soltanto quando il chiamato che non può o non vuole accettare sia o un figlio ovvero un fratello o una sorella del defunto. La rappresentazione è dunque esclusa se il chiamato sia, rispetto al de cuius, un estraneo ovvero anche un parente, ma non un figlio o un fratello (es.: cugino). È inoltre esclusa nel caso di successione testamentaria, quando il testatore abbia già provveduto con una sostituzione. È esclusa infine quando si tratti di legato o usufrutto o di altro diritto di natura personale, in quanto costituiscono attribuzioni strettamente legate alla persona indicata dal testatore. In luogo di colui che non accetta succedono i discendenti (rappresentanti) i quali succedono direttamente al de cuius, cosicchè hanno diritto di partecipare alla successione di quest’ultimo anche nell’ipotesi che abbiano rinunciato all’eredità del loro ascendente o che siano indegni o incapaci nei suoi confronti. La rappresentazione opera sia quando la chiamata a favore del rappresentato, al momento dell’apertura della successione non possa più verificarsi (es.: il fratello del de cuius gli è premorto; per rappresentazione è direttamente chiamato alla successione il nipote, figlio ex fratre), sia quando vi sia stata una prima vocazione, ma questa sia caduta, ad es. per indegnità o per rinuncia. Quando si applica la rappresentazione, la divisione si fa per stirpi: ossia i discendenti subentrano tutti in luogo del capostipite, indipendentemente dal loro numero, e lo stesso criterio si applica anche qualora uno stipite abbia prodotto più rami (es.: i due figli del de cuius sono premorti e hanno lasciato uno un solo figlio (A) e l’altro due (B e C); l’eredità si divide in due parti, tante quante sono le stirpi). L’accrescimento. Può aversi solo nel caso di chiamata congiuntiva: in tal caso, qualora uno dei chiamati non possa o non voglia accettare l’eredità, ove non ricorrano le condizioni per farsi luogo alla rappresentazione, e ove nella successione testamentaria il testatore non abbia disposto una sostituzione, la quota devoluta al chiamato che non abbia potuto o voluto accettare si devolve a favore degli altri beneficiari della chiamata congiuntiva (la cui quota pertanto si accresce). Il fondamento dell’istituto sta nella presunta volontà del de cuius (presumibilmente intendeva beneficiare in modo eguale tra le persone considerate). Perciò l’accrescimento non si verifica quando il de cuius ha diversamente disposto. La vocazione congiuntiva si verifica: a) nella successione legittima, quando più persone sono chiamate ex lege nello stesso grado b) nella successione testamentaria occorre distinguere: 1) se si tratta di istituzione di erede, quando gli eredi siano stati chiamati con uno stesso testamento e il testatore non abbia fatto determinazione di parti, oppure pur determinando le parti, abbia chiamato i coeredi in parti uguali; in tal caso per l’accrescimento è necessaria la coniunctio re et verbis; se le parti sono disuguali è chiara la ragione per cui non ha luogo il diritto di accrescimento; qualora manchino pure i presupposti dell’accrescimento, la porzione dell’erede mancante si devolve agli eredi legittimi. 2) se si tratta di legato, basta la coniunctio re, ossia che sia stato legato lo stesso oggetto a più persone; in mancanza dell’accrescimento la porzione di legato non attribuita va a profitto dell’onerato, e cioè di colui (erede o legatario) a carico del quale è stato posto il legato L’accrescimento opera di diritto, senza bisogno di accettazione da parti di colui a cui profitta. Le sostituzioni. Può darsi che il testatore abbia preveduto l’ipotesi che il chiamato non possa o non voglia accettare l’eredità o il legato, designando altra persona in sua vece: la clausola relativa si chiama sostituzione ordinaria o volgare. Prevale in questo caso, così sul diritto di rappresentazione come sull’accrescimento, la volontà del testatore. La legge ammette più sostituti ad una sola persona e viceversa; la sostituzione può operare anche tra soggetti chiamati come coeredi, qualora uno di essi non possa o voglia accettare. Il sostituto subentra anche nelle obbligazioni poste a carico del primo istituito, a meno che il testatore abbia altrimenti disposto ovvero che si tratti di obbligazione di carattere personale. Dalla sostituzione volgare si distingue la sostituzione fedecommissaria: il testatore istituisce erede, per es., il figlio, vincolando i beni ereditari affinchè alla morte di questo possano automaticamente passare ad un’altra persona, indicata dal testatore. Si ha sostituzione fedecommissaria quando ricorrono le seguenti condizioni: 1) doppia istituzione: il testatore nomina Caio erede e che alla morte di questi l’eredità passi a Sempronio; 2) ordo successivus: occorre che il passaggio dal primo al secondo istituito si verifichi alla morte del primo; 3) vincolo di conservare per restituire, in forza del quale il primo chiamato non ha una piena titolarità dei beni trasmessigli e non può disporne, ma ne ha soltanto l’usufrutto. Disciplina della sostituzione: la riforma del diritto di famiglia ha fatto sì che la norma escluda la validità di una sostituzione fedecommissaria in tutti i casi, con la sola eccezione che sia disposta dai genitori, dagli ascendenti in linea retta o dal coniuge dell’interdetto o del minore incapace, a favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell’istituito. Il soggetto istituito può godere dei beni a lui assegnati, ma non può alienarli; alla sua posizione si applicano le norme dettate per l’usufruttuario. Per la stessa ragione per cui è stabilito che l’usufrutto non può durare oltre la vita dell’usufruttuario, la disposizione vale soltanto a favore di coloro che, all’apertura della successione, sono i primi chiamati a goderne. L’ACQUISTO DELL’EREDITA’ E LA RINUNCIA L’accettazione dell’eredità. La trasmissione del diritto di accettare l’eredità. La vendita di eredità. L’accettazione dell’eredità da parte del chiamato è necessaria. Quanto agli effetti si distinguono due tipi di accettazione: pura e semplice, o con beneficio di inventario. Per effetto della prima si verifica la confusione tra il patrimonio del defunto e quello dell’erede, che diventano un patrimonio solo. L’erede succede sia nell’attivo che nel passivo. Se invece il chiamato all’eredità accetta con beneficio di inventario, non si produce la confusione dei patrimoni. Quanto alla morfologia dell’atto, sono ricomprese nell’accettazione varie fattispecie, tra loro eterogenee, in quanto non implicano tutte una consapevole decisione e manifestazione di intento del chiamato. A) Accettazione espressa. Può essere pura e semplice o con beneficio di inventario. Mentre in quest’ultimo caso l’accettazione deve essere fatta mediante dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, l’accettazione pura e semplice può essere fatta mediante atto pubblico o scrittura privata. L’accettazione delle eredità devolute alle persone giuridiche, associazioni, fondazioni ed enti non riconosciuti, non può farsi che col beneficio di inventario; lo stesso principio vale per i minori e gli incapaci; peraltro i minori e gli incapaci non si considerano decaduti dal beneficio dell’inventario qualora provvedano ai relativi adempimenti entro un anno dal compimento della maggiore età o dalla cessazione dello stato di incapacità. Il contenuto dell’atto deve implicare la manifestazione di una scelta consapevole da parte del chiamato, diretta all’acquisto dell’eredità. E in questo senso va condivisa l’opinione dominante secondo cui l’accettazione (espressa) dell’eredità costituisce un negozio giuridico. Essa è un actus legitimus: ad essa non possono infatti apporsi condizioni o termini che rendono nulla l’intera dichiarazione. Parimenti nulla è ogni accettazione parziale. B) Accettazione tacita. È tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede. In realtà la legge non configura una dichiarazione tacita nello stesso senso in cui si parla, in generale, della possibilità di manifestare con un comportamento concludente una scelta negoziale. Difatti rilevante non è una volontà di accettare desumibile, anziché da una dichiarazione espressa, rebus ipsis et factis, considerando innanzitutto che una volontà di accettare espressa verbalmente è del tutto irrilevante. In secondo luogo non qualsiasi comportamento può costituire accettazione di un’eredità, ma solo la concretizzazione dell’acquisto dell’eredita in un atto che il chiamato non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede. La vendita o donazione dei diritti di successione ad un terzo o ad un altro chiamato importa accettazione dell’eredità; la rinuncia all’eredità operata verso corrispettivo o a favore di alcuni soltanto dei chiamati importa accettazione: un tale atto difatti non è in realtà vera rinuncia ai diritti successori, ma disposizione degli stessi. C) Accettazione presunta. In altre ipotesi l’acquisto dell’eredità avviene automaticamente, in forza della legge, o per il solo fatto che non si è provveduto ad uno specifico atto imposto dalla legge, ovvero al contrario, perché si è tenuto un determinato comportamento che preclude la rinuncia all’eredità e rende colui che lo compie erede puro e semplice. Si è spesso parlato per queste ipotesi di accettazione presunta: ma in realtà l’acquisto dell’eredità non si ricollega affatto ad una presunzione della volontà di accettare, che è considerata del tutto irrilevante, bensì ad una fattispecie legale tipica, automaticamente sufficiente a determinare l’effetto previsto dal legislatore. Rimane indispensabile la consapevolezza del chiamato della delazione e dell’appartenenza dei beni posseduti al compendio ereditario. Inoltre una tale modalità di acquisto dell’eredità non è applicabile al minore o all’incapace. L’accettazione dell’eredità è soggetta a trascrizione. In caso di accettazione tacita la trascrizione avviene sulla base dell’atto implicante appunto accettazione tacita, qualora esso risulti da una sentenza o da un atto pubblico o da una scrittura privata autenticata. Se il chiamato muore senza averla accettata, il diritto di accettarla si trasmette ai suoi eredi. La trasmissione ai successori del chiamato si distingue dalla rappresentazione: quest’ultimo istituto presuppone che il chiamato non possa o non voglia accettare l’eredità, mentre la trasmissione del ius delationis presuppone che il chiamato non abbia ancora dichiarato se intende accettare quando è sopravvenuta la morte. Il rappresentante subentra ope legis nel luogo e nel grado dell’ascendente e succede direttamente al de cuius, del quale può accettare l’eredità anche nel caso che abbia rinunciato all’eredità del rappresentato o sia indegno di succedergli. Invece nel caso previsto dalla trasmissione del ius delationis, il chiamato che muore senza aver accettato l’eredità trasmette ai suoi eredi, insieme al suo patrimonio, il diritto di accettarla; perciò costoro in tanto possono acquistare tale diritto in quanto abbiano accettato l’eredità del trasmittente. Ciò spiega la regola secondo la quale la rinuncia all’eredità propria del trasmittente include rinuncia all’eredità al medesimo devoluta. Il diritto di accettare l’eredità è soggetto alla prescrizione ordinaria decorrente dalla data dell’apertura della successione (ancorchè, diversamente dalla prescrizione generale, il termine non è suscettibile di interruzione, occorrendo che il diritto venga esercitato entro il termine in questione). Anche nei confronti dei chiamati ulteriori, ossia coloro nei cui confronti la vocazione opera in subordine rispetto ad altri, il termine decorre dalla data della apertura della successione. Ma può darsi che qualcuno abbia interesse a che il chiamato si decida entro uno spazio più limitato di tempo a dichiarare se intende o no accettare l’eredità. In tal caso si può fare ricorso ad una speciale azione (actio interrogatoria) con cui si chiede che l’autorità giudiziaria fissi un termine, trascorso il quale il chiamato perde il diritto di accettar; si tratta in questo caso dell’ipotesi di decadenza. È consentito anche al testatore stabilire un termine per l’accettazione dell’eredità. L’accettazione si può impugnare per violenza o dolo, ma non per errore perché l’errore non potrebbe cadere che sull’ammontare dell’attivo rispetto al passivo, ma per questo c’è l’accettazione con beneficio di inventario. Per effetto dell’acquisto dell’eredità, all’erede si trasmette anche il potere di disporre dei beni ereditari. Oggetto della vendita è il complesso di beni che fanno parte dell’eredità. L’erede continua a rispondere dei debiti ereditari verso i creditori del defunto (accollo cumulativo tra erede ed acquirente, in forza del quale quest’ultimo è obbligato, salvo patto contrario, in solido con il venditore a pagare i debiti ereditari). Appunto perché la vendita avviene in blocco, l’erede non è tenuto alla garanzia per evizione secondo le regole comuni: egli è tenuto a garantire solo la qualità di erede. Data l’importanza dell’atto, è prevista a pena di nullità la forma scritta, anche se il complesso ereditario non contenga beni immobili. Accettazione con beneficio d’inventario. Effetti: 1) L’erede che ha accettato con bdi conserva verso l’eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il defunto, laddove nell’ipotesi di accettazione pura e semplice, i rapporti obbligatori tra defunto ed erede si estinguono in proporzione della quota spettante all’erede 2) L’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati ultra vires (oltre il valore dei beni a lui pervenuti) 3) I creditori del defunto ed i legatari hanno preferenza sul patrimonio ereditario di fronte ai creditori dell’erede; però questi ultimi, se non vogliono perdere tale preferenza nel caso in cui l’erede decada dal beneficio, hanno l’onere di domandare la separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede. La facoltà di accettare con beneficio di inventario ha carattere personale. Perciò sebbene i creditori dell’erede possano essere pregiudicati dall’accettazione pura e semplice, perché per effetto della confusione del patrimonio del defunto con quello dell’erede sono costretti a subire il concorso dei creditori del defunto sul patrimonio dell’erede, essi non possono accettare con beneficio d’inventario in luogo del loro debitore. L’azione surrogatoria che consente ai creditori di esercitare i diritti del proprio debitore è in questa maniera esclusa, trattandosi di un diritto che può per sua natura essere esercitato soltanto dal suo titolare. La legge stabilisce che gli incapaci, assoluti e relativi, le persone giuridiche e gli enti non riconosciuti, non possono efficacemente accettare un’eredità se non con il beneficio di inventario. L’accettazione con beneficio di inventario, disposta nell’interesse dei minori, vale a limitare la responsabilità intra vires hereditatis. L’accettazione con beneficio di inventario esige ad substantiam una forma particolare (dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione) ed è sottoposta anche ad un regime particolare di pubblicità-notizia (la dichiarazione, inserita nel registro delle successioni conservato presso il tribunale, deve essere trascritta entro un mese presso l’ufficio dei registri immobiliari), e deve essere preceduta o eseguita dall’inventario, che deve essere redatto con particolari forme, previste dal c.p.c.; anche la data di compimento dell’inventario deve essere indicata nel registro delle successioni. Devono anche essere osservati i termini particolari prescritti dalla legge. Occorre dunque distinguere se il chiamato abbia o no il possesso dei beni ereditari. Se il chiamato è nel possesso dei beni ereditari deve fare l’inventario entro tre mesi dall’apertura della successione o dalla notizia della devoluzione dell’eredità ed entro i quaranta giorni successivi deve, se non l’abbia già fatto prima, deliberare se accetta o rinuncia all’eredità. Trascorso il termine di tre mesi o quello eventualmente prorogato senza aver compiuto, ossia portato a termine, l’inventario, o quello di quaranta giorni senza che abbia deliberato se accettare l’eredità, il chiamato è considerato erede puro e semplice (per accettazione presunta). Invece il chiamato che non sia nel possesso dei beni ereditari può fare la dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario fino a quando non sia prescritto il diritto di accettare (10 anni), e poi redigere l’inventario nei tre mesi successivi: se omette tale adempimento è considerato erede puro e semplice. Se ha fatto l’inventario senza aver accettato, deve accettare entro quaranta giorni; in caso di omissione, il chiamato perde il diritto di accettare l’eredità. Nel caso sia stata esercitata l’actio interrogatoria contro il chiamato che non sia nel possesso dei beni ereditari, egli deve fare nel termine fissato dal giudice tanto l’inventario che la dichiarazione. Se omette la dichiarazione perde il diritto di accettare; se fa la dichiarazione ma non l’inventario è erede puro e semplice. L’erede che abbia accettato con bdi diviene amministratore del patrimonio ereditario. Gli è vietata l’alienazione dei beni ereditari senza autorizzazione del giudice: se viola questo divieto, decade dal beneficio e diventa erede puro e semplice. La decadenza è comminata anche per omissioni e infedeltà nell’inventario. Accettata l’eredità con bdi il pagamento dei creditori del defunto può avvenire in uno dei tre modi seguenti: a) L’erede paga i creditori e i legatari a misura che si presentano. I creditori insoddisfatti possono rivalersi contro i legatari nei limiti del legato. b) Se vi è opposizione dei creditori a questo modo di pagamento si può procedere alla liquidazione dei beni ereditari. Sono chiamati a concorrervi tutti i creditori; i beni vengono alienati e il ricavato p distribuito tra i creditori secondo uno stato di graduazione, ossia vengono pagati per primi i creditori con prelazione o preferenza. L’erede che paga i debiti nonostante l’opposizione dei creditori, ovvero che non rispetti le procedure di liquidazione, decade dal bdi. c) L’erede può anche rilasciare i beni ereditari a favore dei creditori e dei legatari. La separazione del patrimonio del defunto. L’accettazione con bdi, oltre giovare al chiamato all’eredità, giova anche ai creditori del defunto perché assicura ad essi la preferenza sul patrimonio ereditario di fronte ai creditori dell’erede. Questa rpeferenza dipenda dall’iniziativa dell’erede, il quale, se è oberato di debiti, non ha nessun interesse all’accettazione con bdi; dall’altro essa può venir meno se l’erede decada dal bdi o vi rinunci. Per venire incontro ai creditori del defunto, i quali hanno fatto affidamento sul patrimonio di quest’ultimo nel fargli credito, ed ai legatari, che non è giusto siano danneggiati dal concorso dei creditori dell’erede, è apprestato un altro rimedio: la separazione del patrimonio del defunto da quello dell’erede. Anche la separazione impedisce la confusione dei due patrimoni, quello del defunto quello dell’erede, ma opera a favore dei creditori del defunto e dei legatari, i quali si assicurano il soddisfacimento sui beni del defunto, a preferenza dei creditori dell’erede. L’utilità dell’istituto si manifesta nel caso che i creditori del defunto si trovino di fronte ad un erede oberato dai debiti: nel qual caso essi, ricorrendo alla separazione, escludono il concorso dei creditori dell’erede sul patrimonio del defunto. La preferenza dei creditori del defunto e dei legatari nel concorso sui beni ereditari non spetta a tutti i creditori del de cuius e a tutti i legatari, ma solo a coloro che abbiano esercitato il diritto di ottenere la separazione (creditori separatisti). La separazione inoltre non impedisce ai creditori e ai legatari, che l’hanno esercitata, di soddisfarsi anche sui beni propri dell’erede. Infine la separazione ha carattere particolare e non universale: essa opera non sull’intera massa del patrimonio ereditario, ma sui singoli beni per i quali sia stata fatta valere specificamente. L’istituto della separazione si distingue dunque nettamente dal bdi. Ciò spiega come il bdi non dispensi i creditori del defunto dal chiedere la separazione, se vogliono conservare la preferenza anche nell’ipotesi che l’erede decada dal bdi o vi rinunci; ma la separazione giova non soltanto rispetto ai creditori dell’erede, ma anche agli altri creditori del defunto non separatisti. Difatti i creditori e i legatari che hanno esercitato la separazione hanno diritto di soddisfarsi sui beni separati con preferenza anche rispetto ai creditori e legatari non separatisti; un tale diritto di preferenza è concesso peraltro solo nel caso in cui la parte di patrimonio non separata sarebbe stata sufficiente a soddisfare i creditori e i legatari non separatisti. In tal caso i creditori e legatari che sono rimasti inerti e non hanno esercitato la separazione vengono posposti ai creditori e legatari che sono stati maggiormente diligenti. Qualora la separazione sia stata esercitata dai creditori e da legatari, i primi sono preferiti ai secondi. Il diritto alla separazione deve essere esercitato entro un breve termine di decadenza (tre mesi dall’apertura della successione). Modo di esecuzione: per i mobili occorre una domanda giudiziale; per gli immobili l’iscrizione del credito o del legato sopra ciascun bene su cui il legatario o creditore fa valere il suo diritto. L’azione di petizione ereditaria. Acquistata l’eredità l’erede può rivolgersi contro chiunque possegga, a titolo di erede o senza alcun titolo, beni ereditari per: a) farsi riconoscere la qualità di erede e b) farsi consegnare o rilasciare i beni. Si tratta dell’azione di petizione ereditaria. L’attore deve in primo luogo dimostrare la propria qualità di erede; deve inoltre dimostrare che i singoli beni specificamente da lui reclamati nei confronti del convenuto appartengono all’asse ereditario. L’azione può essere proposta non contro chiunque possieda beni ereditari, ma solo contro colui il quale possiede tutti o parte dei beni ereditari affermando di essere lui l’erede, o contro il possessore senza titolo. L’azione non si può perciò proporre contro colui che possieda per un titolo particolare che non implica l’attribuzione della qualità di erede (es.: contratto di compravendita inter vivos). In tal caso si deve agire con l’azione di rivendicazione. L’azione è imprescrittibile. Benché imprescrittibile non assorbe quella di annullamento del testamento, che deve essere proposta nel relativo termine di prescrizione. Se l’azione viene accolta, il convenuto è condannato a restituire le cose possedute. Le disposizioni di tale azione distinguono tra l’ipotesi in cui il possessore sia in buona fede e quella in cui sia in mala fede. È possessore di buona fede dell’eredità colui che ha acquistato il possesso dei beni ereditari, ritenendo per errore che non dipenda da colpa grave, di essere erede. Se il possessore ha alienato in buona fede una cosa dell’eredità, l’erede vero ha diritto soltanto ad ottenere il prezzo o il corrispettivo ricevuto dal possessore medesimo. È sufficiente che la buona fede sussista al momento dell’acquisto del possesso dei beni ereditari. Perciò la mancata conoscenza in siffatto momento dell’esistenza di eredi legittimi di grado anteriore o che avevano diritto di farsi dichiarare tali è sufficiente a qualificare in buona fede i congiunti del de cuius che si siano immessi nel possesso dei beni ereditari. Gli acquisti dall’erede apparente. L’erede può agire con la petizione di eredità non soltanto contro il possessore, ma anche contro le persone a cui costui abbia alienato le cose possedute. Tuttavia il legislatore non poteva non prendere in considerazione la posizione di coloro i quali hanno acquistato i beni ereditari facendo affidamento sulla qualità di erede di chi li ha venduti. La legge ha ritenuto opportuno, anche per facilitare la circolazione dei beni, di dare in questa materia importanza all’apparenza della qualità di erede e alla buona fede del terzo acquirente. Sono perciò salvi i diritti acquistati per effetto di convenzione con l’erede apparente, purchè ricorrano le seguenti condizioni: 1) si tratti di convenzioni a titolo oneroso; 2) il terzo sia in buona fede. Non ha invece importanza che l’erede apparente abbia o non abbia un titolo e non ha rilevanza nemmeno la sua buona o mala fede. È decisiva, invece, la buona fede dell’acquirente. L’acquisto dell’avente causa dall’erede apparente è fatto salvo soltanto se l’acquisto a titolo di erede da parte dell’erede apparente, e il successivo trasferimento dall’erede apparente al terzo, sono stati entrambi trascritti anteriormente alla trascrizione dell’acquisto da parte del vero erede o del vero legatario, oppure della domanda giudiziale di petizione dell’eredità contro l’erede apparente. La rinuncia all’eredità. Consiste in una dichiarazione unilaterale non recettizia, con la quale il chiamato all’eredità manifesta la sua decisione di non acquistare l’eredità. Richiede una forma particolare: deve essere ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione. È soggetta anche a pubblicità, mediante inserzione nel registro delle successioni. La rinuncia non può farsi da chi si trovi nel possesso dei beni ereditari dopo tre mesi dall’apertura della successione o della notizia della devoluzione dell’eredità. Chi abbia sottratto o nascosto i beni decade dalla facoltà di rinunciare. Costoro sono considerati eredi puri e semplici. La rinuncia è un actus legitimus. È nulla la rinuncia che si riferisca ad una parte soltanto dell’eredità; il rinunciante però può trattenere le donazioni a lui fatte o domandare l’esecuzione del legato disposto a suo favore, fino a concorrenza della quota disponibile dell’asse ereditario. La rinuncia all’eredità fatta verso corrispettivo, ovvero a favore soltanto di alcuni degli altri chiamati, importa accettazione dell’eredità. Gli effetti della rinuncia sono diversi secondo che sia legittima o testamentaria. Nel primo caso, se non ha luogo la rappresentazione, la parte di colui che rinuncia va a favore di coloro che avrebbero concorso con il rinunciante. Nel secondo caso si deve distinguere tra l’ipotesi in cui il testatore abbia previsto il caso della rinuncia ed abbia disposto una sostituzione e quella in cui il testatore non abbia disposto nulla. Nel primo caso la quota del rinunciante va a favore della persona indicata dal testatore (sostituto); nel secondo, se ricorre uno dei casi previsti per la rappresentazione, si applicano le norme già considerate. Se mancano i presupposti per la rappresentazione, la parte del rinunciante va a favore dei suoi coeredi, se istituiti senza determinazione di parti o in parti uguali; altrimenti va a favore degli eredi legittimi. A differenza dell’accettazione, la rinuncia è revocabile: chi ha rinunciato può tornare sulla decisione presa ed accettare l’eredità, con due limiti: non deve essere trascorso il termine decennale per la prescrizione della facoltà di accettazione e l’eredità non deve essere già stata accettata da un altro chiamato. Come l’accettazione, la rinuncia può essere impugnata solo per violenza o dolo. L’impugnativa per errore è esclusa. I creditori del rinunciante possono essere pregiudicati dalla rinuncia. La legge stabilisce la facoltà di impugnativa della rinuncia da parte dei creditori. Essi possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e in luogo del rinunciante unicamente allo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari. LA SUCCESSIONE LEGITTIMA Fondamento e presupposto. Fondamento della successione legittima è, accanto alla presunta volontà del de cuius, la solidarietà familiare. Essa ha come presupposto la mancanza totale del testamento o la circostanza che il testatore non abbia disposto di tutti i beni: nel primo caso interviene totalmente il regime stabilito dal legislatore; nel secondo l’applicazione delle regole relative alla successione legittima si limita a quei beni di cui il testatore non abbia disposto. Le categorie di successibili. Coniuge, discendenti legittimi e naturali, ascendenti legittimi, collaterali, genitori del figlio naturale (art. 578 c.c.), gli altri parenti, lo Stato (565 c.c.). Per quanto riguarda la successione legittima del coniuge, oggi la legge con la riforma del diritto di famiglia, ha attribuito al coniuge una quota in proprietà dell’asse ereditario, conferendogli quindi, a tutti gli effetti, la qualità di erede (allorchè con il codice del ’42 il coniuge non poteva considerarsi erede, ma semplice legatario ex lege). A lui spetta infatti la metà del patrimonio del defunto, se in concorso con un solo figlio, 1/3 se concorre alla successione con più figli, 2/3 se concorre con ascendenti legittimi o con fratelli e sorelle. In mancanza di tali soggetti al coniuge si devolve l’intera eredità. In caso di separazione il coniuge conserva i diritti ereditari, tranne che nell’ipotesi in cui sia a lui addebitata la separazione. In tal caso ha diritto soltanto ad un assegno vitalizio se, al momento dell’apertura della successione, godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. L’assegno è commisurato alle sostanze ereditarie, nonché alla qualità e al numero degli eredi legittimi; non deve comunque essere di entità superiore a quella della prestazione alimentare precedentemente goduta. In caso di divorzio l’ex coniuge non ha titolo per partecipare alla successione, ma ha solo il diritto ad un assegno di mantenimento nel caso in cui godeva dell’assegno divorzile (sempre commisurato). Tra gli altri suscettibili possono distinguersi diversi ordini: 1) I figli legittimi e naturali, i legittimati e gli adottivi. Succedono in parti uguali ed escludono gli ascendenti e i collaterali. In caso di premorte succedono a loro per rappresentazione i discendenti. 2) I genitori, i fratelli e sorelle, nonché i discendenti di questi ultimi, gli ascendenti. I genitori succedono in parti uguali, come anche i fratelli. I fratelli e le sorelle unilaterali, consanguinei (figli di stesso padre ma di diversa madre) o uterini (stessa madre, padre diverso) conseguono la metà della quota che di fatto conseguono i fratelli germani (stessa madre, stesso padre). I genitori concorrono con i fratelli del de cuius. Ai fratelli unilaterali spetta una quota pari alla metà di quella attribuita agli altri concorrenti. Gli ascendenti succedono soltanto in assenza dei genitori. Gli ascendenti più prossimi escludono quelli di grado più remoto; se di ugual grado, succedono per una metà gli ascendenti della linea paterna, per l’altra quelli della linea materna. Gli ascendenti concorrono con i fratelli e le sorelle del de cuius. 3) I collaterali dal terzo al sesto grado, che hanno diritto di venire alla successione solo quando non vi siano altri successibili, e per i quali vale il principio che il più vicino in grado esclude il più remoto, mentre quelli di pari grado concorrono per quote uguali. La successione non ha luogo tra i parenti oltre il sesto grado. Il principio della sostanziale equiparazione ai fini successori dei discendenti legittimi e naturali è da annoverare tra le più significative innovazioni introdotte dalla riforma del diritto di famiglia. La riforma del 75n fa tuttavia salva la facoltà dei figli legittimi di soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali, solo di quelli che non vi si oppongono. Ai figli naturali non riconoscibili spetta invece un assegno vitalizio pari all’ammontare della rendita della quota di eredità alla quale avrebbero diritto, se la filiazione fosse stata dichiarata o riconosciuta. Su loro richiesta è prevista la capitalizzazione di detto assegno in denaro, ovvero, a scelta dei legittimi, in beni ereditari. La Cost. ha stabilito di rimettere alla discrezionalità del legislatore la definizione dell’ordine dei successibili. I figli naturali succedono solo in assenza degli ultimi suscettibili ad ereditare ex lege (parenti di sesto grado) e prima dello Stato. I parenti naturali non sono successibili. Il convivente more uxorio non è contemplato tra i successibili. La successione dello Stato. La successione dello Stato ha particolari caratteristiche: in primo luogo l’acquisto opera di diritto e non può farsi luogo a rinuncia. Lo Stato non risponde mai dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni acquistati. La finalità non è quella di conseguire arricchimenti all’Erario, bensì quella di assicurare la gestione dei rapporti giuridici riferibili a persone defunte che non abbiano lasciato eredi. LA SUCCESSIONE NECESSARIA Fondamento e natura. L’erede può disporre nel modo che egli ritiene più opportuno dei suoi beni ereditari, purchè egli non leda i diritti che la legge assicura ai congiunti più stretti tassativamente indicati dalla legge stessa. Ripugna alla coscienza collettiva che tutti i beni del de cuius siano lasciati o donati ad un estraneo e che qualcuno dei figli o il coniuge non riceva nulla. La legge stabilisce dunque che quando vi siano determinate categorie di successibili, una parte dei beni del de cuius deve essere attribuita ai successibili. La quota che la legge riserva a costoro si chiama appunto quota di legittima o riserva; i successori necessari non devono assolutamente essere confusi con quelli legittimi, ossia con coloro ai quali l’eredità viene devoluta ex lege mancando il testamento. I principi della successione necessaria sono ispirati alla tutela dei più stretti vincoli familiari, di fronte alla quale resta limitata la facoltà di disporre del testatore. Esse hanno perciò carattere inderogabile. Categorie di legittimari Sono il coniuge, i figli legittimi (e come loro i legittimati e gli adottivi), i figli naturali, gli ascendenti legittimi. La riserva a favore dei figli legittimi o naturali non è fissa. Quando manca il coniuge la riserva a favore dei legittimi è di metà del patrimonio se il genitore lascia un solo figlio, di 2/3 se i figli sono di più. Ciascuno dei legittimari ha ovviamente diritto ad una propria quota di riserva, e la divisione deve essere fatta in parti uguali. Per i figli naturali già prima della nuova legge sul diritto di famiglia la Corte cost. aveva affermato il loro diritto alla stessa tutela dei figli legittimi, quantomeno nei casi in cui non concorressero con questi ultimi o il coniuge. Oggi i figli legittimi e naturali sono perfettamente equiparati rispetto alla successione del comune genitore: tuttavia i primi possono soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la prozione spettante ai secondi, purchè questi ultimi non vi si oppongano. La riserva a favore degli ascendenti legittimi opera soltanto se il defunto non lascia figli: in tal caso è di 1/3, ma si riduce a ¼ se con gli ascendenti concorre il coniuge. Il legislatore attuale ha riservato al coniuge una quota di piena titolarità dell’eredità, che è della metà in assenza di figli e ascendenti; in caso contrario varia a seconda della qualità e del numero di soggetti con i quali concorre. La presenza del coniuge, come sopra accennato, incide anche sulla misura della legittima spettante agli altri legittimari. Conviene perciò ricapitolare: - In presenza di un coniuge ed un figlio, a ciascuno di essi spetta 1/3 dell’eredità, il residuo terzo è liberamente disponibile. - In presenza di coniuge e due o più figli, al coniuge spetta 1/4, ai figli complessivamente la metà, il residuo quarto è liberamente disponibile. - In presenza di coniuge e ascendenti, al coniuge spetta la metà del patrimonio, agli ascendenti ¼, il residuo quarto è liberamente disponibile. - Al coniuge inoltre è riservato in ogni caso il diritto di abitazione nella casa adibita a residenza familiare e di uso sui beni mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni; si tratta di un legato ex lege. - È da sottolineare che tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente su quella spettante ai figli. Questi diritti sono garantiti anche al coniuge separato cui non sia stata addebitata la responsabilità del fallimento familiare. Per il coniuge cui sia stata addebitata la separazione la legge riconosce il diritto ad un assegno vitalizio se al momento dell’apertura godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. I figli naturali non riconoscibili hanno diritto allo stesso assegno vitalizio di cui è già stato detto a proposito della successione legittima. La quota legittima. Quando vi siano dei legittimari, il patrimonio ereditario si distingue idealmente in “disponibile” e “legittima”. Il legittimario ha diritto ad ottenere la propria quota in natura ed il testatore non può imporre alcun peso o alcuna condizione sulla legittima. Tuttavia il testatore può disporre il soddisfacimento della legittima mediante denaro esistente nell’asse o beni determinati, corrispondenti al valore della legittima. Dunque l’intangibilità della legittima deve intendersi in senso quantitativo e non qualitativo. Tuttavia vi è un temperamento alla impossibilità di imposizione di pesi da parte del testatore sulla legittima: si tratta della c.d. cautela sociniana. Si supponga che Tizio lasci un figlio e che, possedendo un patrimonio di 100, abbia legato ad un estraneo l’usufrutto di un fondo del valore di 70. Il figlio acquista in tal caso il diritto ad un reddito inferiore a quello che ricaverebbe da un capitale pari all’intera quota di riserva (ossia pari a 50), che gli spetterebbe a titolo di legittima; ma come nuda proprietà ottiene una parte maggiore di quella che gli competerebbe (nell’esempio fatto l’intero, e non la metà). Occorrerebbe capitalizzare l’usufrutto di regola, per vedere se vi sia lesione di legittima, ma poiché la durata dell’usufrutto è incerta (tanto è la durata della vita dell’usufruttuario) è incerta anche la valutazione; appunto l’art. 550 c.c. nega in tal caso l’azione di riduzione al legittimario e gli consente la scelta: o eseguire la disposizione (e prendere così la nuda proprietà dell’intero patrimonio, oltre al reddito che resta dopo soddisfatto il legato) oppure ottenere la proprietà piena della quota di riserva (la metà), abbandonando a favore del legatario quella disponibile. Altro temperamento è costituito dal c.d. legato in sostituzione di legittima, per cui viene attribuito al legittimario un legato di somma di beni determinati di valore o uguale o superiore alla legittima, a condizione che questo rinunci ad ogni altra pretesa sull’eredità. Il legittimario può rinunciare al legato e chiedere la legittima, oppure conseguire il legato; in questo caso perde il diritto di chiedere un supplemento e non acquista la qualità di erede. Il legato in sostituzione di legittima si acquista automaticamente senza bisogno di accettazione; è valida la rinuncia, che va fatta per iscritto. Il legato in sostituzione di legittima si distingue da quello in conto di legittima. Con il primo il testatore intende escludere il legittimario da ogni partecipazione alla divisione dell’eredità. Nel secondo il testatore fa al legittimario un’attribuzione di beni, che deve essere calcolata ai fini della legittima, con la conseguenza che il legittimario può chiedere il supplemento, se i beni attribuitigli non raggiungono l’entità della legittima. Si supponga che un padre lasci un patrimonio di 100 e attribuisca a titolo di legato all’unico figlio beni per un valore di 45. Se il legato è fatto in sostituzione di legittima, il figlio può rinunciare al legato e chiedere la legittima oppure contentarsi del legato. Se invece il legato è in conto della legittima il legatario può chiedere l’integrazione della legittima stessa (50 - 45 = 5). Lo stesso principio si applica alle donazioni fatte in conto della legittima. Il lascito di un legato a favore di un legittimario non può ritenersi fatto in sostituzione di legittima, se ciò non risulta da chiara ed univoca manifestazione di volontà del testatore: in difetto di tale manifestazione il legato va considerato in conto di legittima. La riunione fittizia. Serve per stabilire se il de cuius ha leso i diritti che spettavano a qualcuno dei legittimari. Occorre dunque calcolare l’entità del suo patrimonio all’epoca dell’apertura della successione. Si chiama fittizia perché i beni vengono riuniti soltanto fittiziamente, sulla carta. Dalla somma dei valori dei beni al momento dell’apertura (relictum) si detraggono i debiti, dovendosi determinare l’effettiva misura dell’attivo ereditario. Al risultato si aggiungono i beni di cui il testatore abbia eventualmente disposto in vita a titolo di donazione (donatum = ciò che è stato donato), di regola secondo il valore che avevano al tempo dell’apertura della successione. Sull’asse determinato all’esito dei conteggi sopra descritti si calcola la quota di cui il testatore poteva disporre (disponibile). Per stabilire se vi sia stata lesione di legittima, occorre tener conto anche dei legati e delle donazioni fatte al legittimario, salvo che il testatore lo abbia da tale imputazione dispensato. Quindi se la legittima è di 50 e il legittimario ha ricevuto per donazioni e legati 10, egli potrà chiedere 40 e non 50 per integrare la sua legittima. La legge infatti parte dal presupposto che il testatore abbia donato 10 quale anticipo sulla legittima. Poiché la rappresentazione fa subentrare il rappresentante nel luogo e nel grado dell’ascendente, si spiega la regola secondo la quale il legittimario che succede per rappresentazione deve anche imputare le donazioni e i legati fatti senza espressa dispensa del suo ascendente. Ciò ci rende chiara altresì la ragione della norma secondo la quale la rappresentazione ha luogo anche nel caso di unicità di stirpe. Per la determinazione delle donazioni e dei legati che debbono formare oggetto dell’imputazione la legge rimanda a ciò che è stabilito circa la collazione. L’azione di riduzione. Se le disposizioni testamentarie e le donazioni eccedono la quota disponibile, i legittimari possono chiedere la loro riduzione. Questa azione è irrinunciabile dai legittimari finchè il donante è in vita. Se il legittimario agisce contro estranei, la legge stabilisce uno speciale onere per il promovimento dell’azione: l’accettazione con bdi. Avviene spesso che il de cuius abbia posto in essere simultaneamente un atto a titolo oneroso per nascondere la donazione. In tal caso, per ottenere la riduzione, è necessario prima agire per la dichiarazione di simulazione, dopodiché si può conseguire la riduzione. La riduzione si opera in questo modo: sono colpite per prime le disposizioni testamentarie, che vengono diminuite proporzionalmente. Se la riduzione delle disposizioni testamentarie non vale ad integrare la legittima si procede alla riduzione delle donazioni, cominciando dall’ultima in ordine di tempo, che è quella che ha provocato la lesione. Se l’azione di riduzione è accolta, il donatario o il beneficiario della disposizione testamentaria deve restituire in tutto o in parte il bene, il quale deve essere restituito libero da ogni peso o ipoteca ed i frutti sono dovuti dalla domanda giudiziale. Se il bene è divisibile si procede separando la parte occorrente per integrare la quota di riserva; se non è divisibile esso si lascia per intero nell’eredità qualora il legatario o donatario abbia nell’immobile un’eccedenza superiore al ¼ della porzione disponibile, altrimenti il legatario o donatario può ritenere il bene compensando in denaro i legittimari. Se il beneficiario della disposizione sottoposta a riduzione è anche legittimario, egli può ritenere tutto l’immobile, purchè il suo valore non sia superiore alla somma della porzione disponibile e della quota che gli spetta come legittimario. L’azione di riduzione è un’azione, totale o parziale, di risoluzione dell’acquisto compiuto dai beneficiari del testamento o del donatario ed ha carattere personale; ha efficacia erga omnes. Le disposizioni lesive della legittima non sono nulle, ma soltanto impugnabili con l’azione di riduzione. La domanda di riduzione è soggetta a trascrizione se ha per oggetto immobili o mobili registrati. L’azione di riduzione è soggetta a prescrizione ordinaria decennale. L’azione di restituzione. La riducibilità delle disposizioni lesive della legittima ha una pesante ricaduta sulla circolazione dei beni. Nel caso il donatario non possa pagare il legittimario che ha esperito l’azione di riduzione, quest’ultimo ha diritto di rivolgersi contro l’eventuale terzo subacquirente del bene, proponendo una nuova ed autonoma azione giudiziaria per ottenere dal terzo acquirente il rilascio del bene. Ciò comporta ovviamente una giustificata diffidenza da parte di chi si accinge ad acquistare un bene pervenuto al venditore a titolo di donazione. Per quanto riguarda gli immobili, si è previsto che l’azione di restituzione dei confronti del terzo acquirente del bene donato non possa essere proposta dopo il decorso di 20 anni dalla trascrizione della donazione oggetto di riduzione (limitazione temporale introdotta per attenuare il rigore del regime di restituzione). Anche per quanto riguarda i mobili l’azione non può essere proposta dopo il decorso del termine ventennale; l’acquirente ignaro della pregressa donazione potrà avvalersi del principio possesso vale titolo quale ben più efficace strumento di tutela del proprio acquisto. I legittimari possono notificare e trascrivere nei confronti del donatario e dei suoi aventi causa un atto di opposizione alla donazione, che ha l’effetto di sospendere nei loro confronti il decorso del termine ventennale. La ratio della norma è che siccome durante la vita del de cuius l’azione di riduzione non è proponibile, qualora il donante sopravvivesse per venti anni alla donazione, i suoi legittimari rimarrebbero privi di qualsiasi possibilità di tutela contro l’acquirente del bene donato. Il diritto dell’opponente è personale e rinunciabile; deve essere rinnovato prima che siano trascorsi 20 anni dalla sua trascrizione pena la perdita di efficacia. Il terzo acquirente oggetto dell’azione di restituzione ha la facoltà di pagare in denaro l’equivalente dei beni anziché restituirli in natura. Il patto di famiglia. Si propone di consentire a colui che sia titolare un’attività economica di dare, essendo ancora in vita, una destinazione stabile all’impresa a favore dei propri discendenti, prevenendo eventuali dispute successorie e, soprattutto, il rischio che queste conducano ad una frammentazione della titolarità del complesso aziendale, con la conseguente disgregazione della struttura produttiva, o il pericolo di una crisi dell’impresa a causa di una gestione litigiosa da parte dei contitolari. Il patto di famiglia è un contratto con il quale, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce in tutto o in parte le proprie quote ad uno o più discendenti. Dunque gli assegnatari del complesso produttivo possono essere esclusivamente i discendenti dell’imprenditore. Al contratto devono comunque partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari, per neutralizzare le pretese degli altri legittimari, in modo che questi non possono rimettere in discussione l’attribuzione dopo la morte del disponente. Costoro possono radicalmente rinunciare ai loro diritti relativi all’impresa; qualora non vi rinuncino, i partecipanti al patto non assegnatari hanno diritto di essere liquidati dagli assegnatari con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dal codice. Inoltre i contraenti possono convenire che la liquidazione, in tutto o in parte, avvenga in natura. Gli eventuali beni assegnati ai non assegnatari sono imputati alle quote di legittima loro spettanti, secondo il valore attribuito in contratto. La legge ammette che l’assegnazione dei beni ai partecipanti non assegnatari possa avvenire con un successivo contratto che sia espressamente dichiarato collegato al primo e purchè vi intervengano i medesimi soggetti che hanno partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti. Quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o riduzione. I legittimari sopravvenuti (non partecipanti al contratto) possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma prevista dal codice. I beneficiari sono sì gli assegnatari dell’azienda, ma anche gli altri partecipanti al patto che abbiano ricevuto la liquidazione. È ammessa l’impugnazione per vizi del consenso. Il termine di prescrizione dell’azione di annullamento è di un anno. Il patto può essere anche sciolto in due casi: 1) per un successivo contratto, concluso dalle medesime persone che hanno partecipato al patto di famiglia, avente le medesime caratteristiche e i medesimi presupposti ( applicazione del mutuo dissenso); 2) per effetto di recesso, che deve però essere previsto dal contratto stesso. Il recesso deve essere esercitato mediante una dichiarazione destinata agli altri contraenit certificata da un notaio. LA SUCCESSIONE TESTAMENTARIA Il testamento. È un atto col quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, delle proprie sostanze. Esso è revocabile sino all’ultimo istante di vita. Il principio della revocabilità è inderogabile: l’ordinamento vuole che sia garantita la libertà umana e individuale di disporre delle proprie sostanze post mortem. Ogni clausola contraria alla revoca o alle mutazioni testamentarie non ha effetto. Così non sono ammessi i patti successori e la donazione mortis causa. Caratteristica fondamentale è il suo contenuto patrimoniale. Tuttavia il testamento può contenere anche disposizioni di carattere non patrimoniale, quali la designazione di un tutore o il riconoscimento dei figli naturali (quest’ultimo è però revocabile). Il testamento è un tipico negozio unilaterale, non recettizio, espressione della volontà del solo testatore, che non ha bisogno dell’adesione di alcuno e neppure di essere rivolto o portato a conoscenza di persone determinate. È un atto strettamente personale (non è ammessa la rappresentanza né volontaria né legale): non può aversi testamento perciò di un incapace ad opera del genitore o tutore. Sempre per questo carattere non è consentito il testamento congiuntivo, fatto da due o più persone nel medesimo atto né a vantaggio di un terzo né con disposizione reciproca. Diverso dal testamento congiuntivo è quello simultaneo: il primo è un unico atto sottoscritto da 2 o più persone; il secondo consta di due atti distinti, ciascuno sottoscritto da una sola persona, ma scritti su uno stesso foglio. I testamenti simultanei non sono nulli. Nulla vieta a due persone di disporre, in atti distinti, a favore di un terzo o l’uno a favore dell’altro, a meno che non sia intervenuto tra i due testatori un patto successorio. È perciò nulla la disposizione a titolo universale fatta dal testatore a condizione di essere a sua volta avvantaggiato nel testamento dell’erede o del legatario. Il testamento è inoltre un negozio solenne, in quanto è richiesta ad substantiam una forma determinata. Il testamento come negozio giuridico. Non è ammessa una sostituzione per rappresentanza, neppure legale, trattandosi di atto personalissimo. La capacità è la regola, l’incapacità è l’eccezione. I casi di incapacità di testare sono tassativi e non è possibile il ricorso all’analogia. Sono incapaci: 1) i minorenni; 2) gli interdetti per infermità mentale; 3) gli incapaci naturali. Il testamento in tal caso è annullabile; l’impugnativa può essere proposta da chiunque ne abbia interesse (annullabilità assoluta): l’azione si prescrive in 5 anni dall’esecuzione del testamento. I valori predominanti nell’interpretazione del testamento (che non è regolata dalla legge) sono la ricerca della volontà intima del disponente, che si deve ricostruire quanto più fedelmente possibile anche mediante il ricorso ad elementi extracontrattuali, e il principio di conservazione del negozio, che si impone proprio a causa della impossibilità di una rinnovazione dell’atto di autonomia. Sono applicabili anche al testamento le norme sull’impugnabilità dei negozi giuridici a causa di un c.d. vizio della volontà, e cioè per errore, violenza e dolo. Per quanto riguarda il dolo, si suole parlare di captazione e i raggiri sono rilevanti da chiunque provengano; parimenti per l’errore, a causa della unilateralità del negozio, è inapplicabile al testamento il principio per cui la rilevanza dell’errore è subordinata alla sua riconoscibilità. Mentre nei contratti e nei negozi unilaterali recettizi l’eventuale errore del dichiarante sui motivi dell’atto resta irrilevante, l’errore sul motivo è causa di annullamento della disposizione testamentaria, ma subordinatamente a due condizioni che restringono fortemente l’impugnabilità dell’atto: a) a condizione che il motivo (erroneo) risulti dal testamento, vale a dire che vi sia espressamente menzionato (es.: “nomino erede Tizio perché mi ha salvato la vita”, ma è stata salvata da Caio); b) nonché a condizione che il motivo erroneo sia il solo che ha determinato il testatore a disporre (se magari Caio (e non Tizio) è nominato anche perché cognato, il motivo erroneo non è l’unico). Il motivo illecito rende nulla la disposizione soltanto quando quel motivo risulta dal testamento ed è il solo che ha determinato il testatore a disporre. In caso di erronea indicazione del beneficiario, la disposizione è comunque valida quando dal contesto del testamento, o altrimenti, sia possibile ricostruire in modo non equivoco quale persona il testatore voleva nominare. La dottrina ammette la simulazione del testamento in taluni casi. L’incapacità di ricevere può dipendere, oltre che dall’incapacità di succedere, dalla tutela della libertà testamentaria, che determina l’incapacità (assoluta) di ricevere per testamento delle persone che potrebbero abusare della funzione esercitata (tutore, protutore, notaio, testimone, interprete, persona che ha scritto il testamento segreto). Le incapacità previste per il tutore e il protutore si applicano anche all’amministratore di sostegno. Sono in ogni caso valide le disposizioni in favore dell’amministratore di sostegno che sia parente entro il quarto grado del beneficiario dell’amministrazione, ovvero che sia il coniuge o altra persona chiamata alla funzione in quanto stabilmente convivente. La disposizione a favore di una persona incapace di ricevere è nulla senza che vi sia bisogno di fornire la prova di eventuali indebite pressioni esercitate sul testatore. Il legislatore vuole anche evitare che, per aggirare la legge, il lascito sia fatto apparentemente a persona diversa (persona interposta) che curi poi la trasmissione del vantaggio ricevuto a quella incapace di ricevere. E mentre in ogni altro caso occorre che chi vi ha interesse fornisca la prova dell’interposizione, la legge presume l’interposizione allorchè la disposizione sia fatta a favore di congiunti strettissimi della persona incapace e la dichiara senz’altro nulla. Disposizione fiduciaria: se il testatore, rimettendosi alla coscienza di una persona nella quale riponeva fiducia, abbia disposto a favore di quella persona dandole l’incarico di trasmettere ad un terzo tutti o parte dei beni lasciatigli, la persona che il testatore ha voluto effettivamente beneficiare non potrà fare nulla per ottenere i beni, a meno che la persona istituita esegua spontaneamente la disposizione fiduciaria trasferendo i beni alla persona voluta dal testatore. È nulla la disposizione a favore della persona incerta, e si può far luogo pertanto alla successione legittima. Sono nulle (nullità assoluta) le disposizioni testamentarie rimesse all’arbitrio di un terzo, mentre è valida la clausola di un contratto che attribuisce ad un terzo la determinazione della prestazione dedotta nel contratto stesso. Gli elementi accidentali del testamento. Il testamento può contenere taluni elementi accidentali. Le disposizioni a titolo universale e particolare possono essere sottoposte a condizione, sospensiva o risolutiva. Gli effetti della condizione operano retroattivamente, pertanto in caso di avveramento della condizione, l’erede istituito sotto condizione sospensiva si considera tale dalla data dell’apertura della successione; quello istituito sotto condizione risolutiva si considera come se non fosse mai stato erede, ma è tenuto alla restituzione dei frutti dei beni ereditari solo dal giorno in cui la condizione si è avverata. Le condizioni impossibili e illecite si considerano sempre come non apposte. Il termine si considera come non apposto ad una disposizione a titolo universale. Può invece apporsi ai legati. L’onere è un elemento accidentale che può essere apposto ai negozi gratuiti e consiste nell’imposizione all’erede o al legatario dell’obbligo di compiere una determinata prestazione. L’erede gravato da onere è erede solo perché abbia accettato l’eredità, indipendentemente dall’adempimento dell’onere. Forme del testamento. Il testamento orale non è consentito. Si distinguono forme ordinarie e forme speciali; il testamento ordinario dà luogo a due figure: testamento olografo e testamento per atto di notaio; quest’ultimo è pubblico o segreto. Il testamento olografo. Esso dev’essere scritto per intero, datato e sottoscritto di pugno dal testatore. I requisiti pertanto sono: autografia, data, sottoscrizione. L’autografia consiste appunto nel fatto che il testamento sia scritto integralmente dalla mano del testatore, a garanzia dell’integrale autenticità dell’espressione di volontà. Non produce nullità la collaborazione intellettuale: la preparazione della minuta dell’atto da parte di un terzo (es.: notaio o avvocato a cui il testatore si sia rivolto per una consulenza). Il testamento olografo è una scrittura privata: in tanto può far prova. La data consiste nel giorno-mese-anno in cui il testamento fu scritto. Serve ad accertare se il testatore era capace il giorno in cui il testamento fu scritto e per risolvere questioni tra più testamenti. La mancanza determina annullabilità dell’atto. Si ammette peraltro che la data incompleta possa essere integrata con elementi desunti dalla stessa scheda. Se la data risulti incompleta (previo caso di cui sopra), cancellata o interlineata, il testamento dovrà ritenersi annullabile. L’accertamento della veridicità è limitato all’ipotesi in cui si sostiene che il testamento fu redatto prima di un altro testamento, o in un’epoca in cui il testatore era incapace. La falsità della data non produce di per sé annullabilità del testamento. La sottoscrizione serve ad individuare il testatore; dev’essere posta in calce alle disposizioni: l’inosservanza conduce all’invalidità dell’atto. Il testamento pubblico. A differenza del testamento olografo è nella sua natura un atto pubblico, redatto con le richieste formalità da un notaio. Presenta minore semplicità formale, ma risponde all’esigenza di accertamento dell’ultima volontà del soggetto, quanto alla sua provenienza, con la particolare forza probatoria di cui è dotato l’atto e che il relativo documento sia preservato nella sua integrità. I requisiti specifici di forma e contenuto richiesti sono: I) Dichiarazione di volontà orale al notaio: il testatore dichiara anzitutto al notaio la propria volontà, che viene da quest’ultimo indagata per precisare eventuali espressioni dubbie e per verificare l’identità personale del testatore. II) Presenza di testimoni: il testamento pubblico è ricevuto dal notaio in presenza di due testimoni. III) Redazione in iscritto della volontà a cura del notaio. IV) Lettura dell’atto al testatore e ai testimoni a opera del notaio. V) Sottoscrizione del testatore, dei testimoni e del notaio. VI) La data, che deve comprendere anche l’ora (a differenza dell’olografo). VII) La menzione dell’osservanza delle formalità enunciate: in mancanza della menzione l’atto è invalido. Il testamento segreto. Rispetto al precedente ha il vantaggio che il testatore può, se vuole, mantenere completamente riservato il contenuto delle disposizioni e, rispetto all’olografo, una maggiore garanzia di conservazione del documento. Esso consta di due elementi: da un lato la scheda testamentaria, predisposta dal testatore e costituita da uno o più fogli su cui vengono scritte le volontà relative alla successione ereditaria; dall’altro un atto di ricevimento, con cui un notaio documenta che il testatore, alla presenza di due testimoni, gli ha consegnato personalmente la scheda e gli ha dichiarato che ivi sono scritte le sue volontà testamentarie. La scheda viene sigillata dal notaio che poi fa sottoscrivere l’atto di ricevimento pure al testatore ed ai due testimoni, oltre a sottoscriverlo anch’egli. Dunque il vero momento perfezionativo è l’atto di ricevimento steso dal notaio. La scheda può non essere autografata: può essere quindi scritta anche da un terzo o con mezzi meccanici. È essenziale che il testatore sappia o possa leggere per poter controllare ciò che è stato scritto: chi non sa leggere (per es. il cieco) può servirsi soltanto della forma del testamento pubblico. Essa deve essere sottoscritta dal testatore alla fine delle disposizioni, se sa e può sottoscrivere, altrimenti deve essere fatta menzione nell’atto di ricevimento della causa che ha impedito al testatore di sottoscrivere. Se la scheda è scritta, in tutto o in parte, da altri o da mezzi meccanici, è prescritta la sottoscrizione in ciascun mezzo del foglio. Data del testamento segreto è quella dell’atto di ricevimento. Se il testamento segreto manca di qualche requisito, ma è scritto datato e sottoscritto di mano del testatore, vale come olografo. Il testamento segreto può essere ritirato in ogni tempo dalle mani del notaio; ciò comporta revocazione del testamento, a meno che esso non possa valere come olografo. Il testamento internazionale. Consiste nella consegna al notaio di un documento su cui risultano scritte le disposizioni testamentarie e nella dichiarazione, resa al notaio da parte del testatore in presenza di due testimoni, che il documento consegnato è il suo testamento e che egli è a conoscenza di quanto in esso contenuto. Il vero e proprio testamento dunque è la dichiarazione resa al notaio da parte del testatore, mentre la scheda testamentaria a lui consegnata rappresenta soltanto il punto di riferimento della dichiarazione del testatore, al pari di quanto abbiamo visto a proposito del testamento segreto. Tale testamento risolve il problema dell’applicabilità in Italia del testamento di uno straniero, o anche di un cittadino italiano quando l’atto fosse redatto all’estero. Testamenti speciali. Forme di testamento nelle quali non è consentito o non è agevole ricorrere al notaio (malattie contagiose, calamità pubbliche, infortuni, testamenti di militari, ecc.). Questi testamenti perdono la loro efficacia tre mesi dopo la cessazione della causa che ha impedito al testatore di avvalersi delle forme ordinarie o dopo che il testatore sia venuto a trovarsi in un luogo in cui è possibile fare testamento nelle forme ordinarie. Invalidità del testamento per vizi di forma. Quanto ai vizi di forma, essendo la forma richiesta ad substantiam, la mancanza di elementi senza i quali non v’è la certezza della provenienza del testamento dalla persona a cui si vuole sostituirlo determina nullità assoluta ed imprescrittibile dell’atto, mentre l’inosservanza di tutte le altre formalità prescritte dà luogo ad annullabilità deducibile da chiunque vi abbia interesse. Sanatoria del testamento nullo. La nullità è sanabile nel caso in cui avvenga la conferma o la esecuzione volontaria di disposizioni testamentarie nulle. La sanatoria può potenzialmente operare per qualunque causa di nullità, compreso il testamento nuncupativo (verbale). La sanatoria non è tuttavia applicabile se le disposizioni sono illecite, e neppure se il testamento è lesivo della legittima, perché la lesione di legittima non dà luogo a nullità della disposizione. Nulla vieta peraltro che il legittimario leso rinunci all’azione di riduzione. L’esecuzione volontaria non esclude la possibilità di impugnare il testamento ove se ne assuma addirittura la falsità. La revoca del testamento. Il testamento è revocabile fino all’ultimo momento di vita del testatore. La revoca può essere espressa o tacita. La prima può farsi solo o con un atto che abbia gli stessi requisiti formali richiesti per un valido testamento, indipendentemente dal fatto che nell’atto sia manifestata solamente la volontà di revocare un testamento precedente oppure siano anche contenute nuove disposizioni testamentarie; ovvero con un apposito atto notarile, destinato esclusivamente alla revoca. La seconda si verifica in vari casi: con un testamento posteriore; con distruzione, lacerazione o cancellazione dell’olografo da parte del testatore (che abbia anche la volontà di farlo); il ritiro del testamento segreto, a meno che esso non possa valere come olografo; con alienazione o trasformazione della cosa legata. Si ha revoca di diritto quando, si revoca di diritto il testamento fatto da chi non aveva o ignorava di avere figli. La revoca di un testamento può essere a sua volta revocata, determinando la reviviscenza delle volontà revocate, ma a condizione che la revoca della revoca sia fatta in forma espressa. La pubblicazione del testamento. Morto il testatore è in ogni caso opportuno che sia resa possibile la conoscenza del contenuto. La pubblicazione ha luogo su richiesta di chiunque vi abbia interesse, ad opera di un notaio. Il procedimento per la pubblicazione consta delle seguenti formalità: 1) Presenza di due testimoni 2) Verbale redatto nella forma degli atti pubblici e contenente: la descrizione dello stato del testamento; la riproduzione del suo contenuto; l’eventuale menzione dell’apertura del testa memento, se sigillato. 3) Sottoscrizione della persona che presenta il testamento 4) Allegati al testamento: la carta in cui è scritto il testamento; l’estratto dell’atto di morte del testatore La pubblicazione non costituisce un elemento di validità del testamento, ma è indispensabile qualora se ne voglia pretendere il rispetto ed esibirlo a chi lo contesti o, occorrendo, al giudice. Diversa dalla pubblicazione è l’iscrizione del testamento nel Registro generale dei testamenti, in cui devono essere iscritti a cura dei notai i testamenti pubblici, segreti, olografi depositati presso un notaio, i verbali di pubblicazione di testamenti olografi, nonché il ritiro dei testamenti depositati o gli atti di revocazione dei testamenti, e può essere consultato da chiunque creda di avervi interesse, mediante apposita richiesta al conservatore del registro, ma soltanto dopo la morte del testatore. L’esecuzione del testamento. Per l’esecuzione il testatore può nominare uno o più esecutori testamentari. Può essere un esecutore anche un erede o legatario; è richiesta la capacità di obbligasi, ossia la capacità di agire. Questi hanno il compito di curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto. Di regola gli esecutori hanno il possesso dei beni ereditari e devono amministrarli da buon padre di famiglia. Possono alienare i beni quando necessario (es.: beni deperibili), previa autorizzazione del giudice. Nel caso in cui commettano gravi irregolarità nell’adempimento dei loro doveri o qualsiasi atto che possa menomare la fiducia in loro, possono essere esonerati dall’ufficio dall’autorità giudiziaria, su istanza di qualsiasi interessato. Alla fine devono rendere conto della loro gestione e consegnare i beni all’erede. La dottrina ritiene che essi esercitino un ufficio di diritto privato, che è di regola gratuito, ma il testatore può stabilire una retribuzione a carico dell’eredità.. in ogni caso le spese sostenute per l’esercizio dell’ufficio sono a carico dell’eredità. Il testatore può anche attribuire all’esecutore, che non sia erede o legatario, l’incarico di procedere alla divisione dell’eredità. IL LEGATO Nozione. È una disposizione a titolo particolare che non comprende l’universalità o una quota dei beni del testatore. L’essenza del legato consiste in un’attribuzione patrimoniale relativa a beni determinati, e che normalmente importa un beneficio economico per la persona designata dal testatore. Il legato è di regola disposto con testamento ma può anche derivare dalla legge (assegno vitalizio a favore dei figli naturali non riconoscibili, ecc.). Si dice legatario la persona a cui favore la disposizione è fatta. Il legatario non risponde dei beni ereditari. S’intende che se l’immobile legato è ipotecato, l’ipoteca attribuisce al creditore il diritto di espropriarlo anche nei confronti del terzo acquirente e quindi anche rispetto al legatario. Inoltre il testatore può mettere a suo carico il pagamento di debiti particolari. Si dice onerata la persona che è tenuta alla prestazione, oggetto del legato. Tale persona può essere tanto l’erede che un altro legatario (sublegato). Il sublegato si distingue dal prelegato, che è il legato a favore del coerede e a carico dell’eredità. Per es. Tizio istituisce eredi Caio e Sempronio, ciascuno per la metà: a C lascia anche altri beni, con un prelegato che grava sulle quote di tutti gli altri coeredi. Ciò significa che l’erede beneficiato dal prelegato risponderà dei debiti ereditari soltanto in proporzione della quota ereditaria. Il prelegato si considera come legato per l’intero. Ciò vuol dire che il coerede prelegatario ha diritto a conseguire il legato per intero in anteparte. Se invece il prelegato non si considerasse legato per l’intero esso dovrebbe diminuirsi della quota che sarebbe dovuta dal prelegatario quale erede. Il legato limita l’attribuzione patrimoniale a titolo gratuito che vien fatta all’erede. Il legato si distingue dal modo o onere che dà luogo anch’esso alla limitazione di una liberalità, ma questa limitazione non è rivolta a favore di una persona determinata. Un terzo può ricevere vantaggio dal modo, ma soltanto in via diretta. Si osserva che mentre il legatario è diretto successore del de cuius, il beneficiario di un onere acquista un diritto nei confronti dell’erede o del legatario, che sono gravati dall’obbligo di adempiere il modus. Oggetto del legato può essere o il diritto di proprietà o altro diritto reale su cosa determinata già appartenente al testatore (legato di specie), oppure di cose determinate solo bel genere (legato di genere; es.: denaro, grano). Il legatario di cosa di specie diviene immediatamente proprietario della cosa legata, mentre il legato di cose di genere dà luogo ad un rapporto obbligatorio: il legatario è un creditore dell’erede, che è obbligato alla prestazione che costituisce oggetto del legato. La distinzione pertanto dipende dall’oggetto. Acquisto del legato. Esso si acquista di diritto, senza bisogno di accettazione; il legatario ha però facoltà di rinunciare (con rinuncia espressa o tacita; per iscritto se ha per oggetto beni immobili). Siccome agli eredi può interessare conoscere se il legatario intende o meno rinunciare, il codice civile dispone che il giudice gli può fissare un termine (actio interrogatoria). Se il legato è di specie, la proprietà o il diritto si trasmette dal testatore al legatario ipso jure al momento della morte del testatore. Il legatario ha l’onere di domandare alla persona onerata il possesso della cosa legatagli. Tipi particolare di legati. Legato di cosa altrui: è una figura che può incontrarsi rispetto al legato di specie. Se però la cosa legata apparteneva a terzi o allo stesso onerato, bisogna distinguere se il testatore ignorava che la cosa non era sua (e il legato è allora nullo), o se invece dal testamento o da altra dichiarazione scritta del testatore risulta che egli ne fosse a conoscenza (allora il legato avrà effetti obbligatori, e non reali; l’onerato è obbligato ad acquistare la proprietà della cosa e a trasferirla al legatario, oppure può liberarsi dall’obbligazione pagando il giusto prezzo). Legato di genere: comporta la nascita in capo all’onerato di un’obbligazione, avente per oggetto una quantità di cose del genere stabilito dal testatore. La scelta, se non diversamente disposto dal testatore, è affidata all’onerato. Legato alternativo: si applicano i princìpi stabiliti per le obbligazioni alternative. Legato di credito. Legato di liberazione da un debito. Legato a favore del creditore. Legato alimentare. LA DIVISIONE DELL’EREDITÀ La comunione ereditaria. Il retratto successorio. Se l’eredità è acquistata da più persone, si forma sui beni ereditari tra i coeredi medesimi una comunione, che investe tutti i beni relitti. Alla comunione ereditaria si applicano le regole stabilite in generale per la comunione (1100 c.c.). Tuttavia mentre nella ordinaria ciascun partecipante può liberamente alienare la propria quota, in quella ereditaria è sembrato opportuno al legislatore evitare che nei rapporti tra coeredi il più delle volte legati tra loro da vincoli di affetto, i quali possono agevolare la risoluzione di contrasti che eventualmente sorgono tra di loro, s’intromettano estranei animanti da un intento di speculazione. Perciò i coeredi hanno diritto di essere preferiti agli estranei, qualora uno di essi intenda alienare la sua quota o parte di essa (diritto di prelazione). Il coerede deve notificare l’eventuale proposta di alienazione agli altri coeredi indicandone il prezzo. Entro due mesi gli altri coeredi si devono decidere se acquistare al prezzo indicato oppure lasciare che il notificante venda liberamente ad estranei. Se viene omessa la notificazione e il coerede procede ugualmente alla vendita, gli altri coeredi possono ottenere essi (riscattare) la quota per il prezzo pagato (retratto successorio) sostituendosi all’acquirente nel negozio di alienazione. Esso ha dunque effetto reale. La divisione. Lo stato di comunione cessa con la divisione. Questo atto sostituisce allo stato di comunione una situazione diversa: ciascuno dei soggetti ottiene la titolarità esclusiva su una parte determinata del bene o dei beni che erano in comune. Ogni coerede può sempre domandare la divisione. A questo principio possono derogare le parti, pattuendo di rimanere nello stato di comunione per non più di 10 anni, o il testatore, disponendo, se tutti o alcuno degli istituti siano minorenni, che l’eredità resti indivisa fino ad un anno dopo il compimento della maggiore età del minore, o se non vi sono minori, per 5 anni. È attribuito al giudice il potere di stabilire una congrua dilazione (non superiore a 5 anni) nel caso che lo scioglimento possa pregiudicare gli interessi degli altri in comunione. Natura della divisione. La divisione ha natura dichiarativa ed effetto retroattivo (come se i beni divisi fossero sempre stati divisi in tale maniera in comunione). Se ad uno degli eredi viene assegnato l’unico immobile indivisibile ed all’altro il diritto al conguaglio in denaro, l’acquisto della proprietà a favore dell’uno non è subordinato al pagamento del conguaglio e non sono applicabili la risoluzione per inadempimento o la relativa eccezione, perché non si tratta di contratto a prestazioni corrispettive. Regole particolari sono dettate per il caso di costituzione di ipoteca su beni divisi. In primo luogo l’ipoteca costituita da uno dei partecipanti alla comunione sulla propria quota produce direttamente effetto sui beni che sono stati a lui assegnati in sede di divisione. Se invece il coerede abbia iscritto un’ipoteca su uno specifico bene ereditario e poi, in sede di divisione, gli siano stati assegnati beni diversi da quello ipotecato, l’ipoteca si trasferisce sui beni effettivamente assegnati al coerede. La divisione può essere fatta dal testatore nel proprio atto di ultime volontà, ovvero d’accordo tra i coeredi o, se le parti non sono d’accordo, per opera del giudice. La divisione contrattuale. Se il contratto di divisione riguarda beni immobili, è richiesta ad substantiam la forma scritta. Ed il contratto medesimo è soggetto a trascrizione (per beni immobili o mobili registrati). Il contratto di divisione può essere annullato per violenza o dolo, ma non per errore. Se si sia proceduto ad una divisione in base a legge, mentre esisteva un testamento, ancorchè non ancora scoperto al tempo della divisione, ricorre un errore sul presupposto della divisione, che dà luogo a nullità assoluta, radicale, dichiarabile in ogni tempo. La divisione è altresì nulla quando non vi abbiano partecipato tutti i coeredi. Se per errore sono stati omessi dei beni, v’è un apposito rimedio: il supplemento di divisione. Se vi è stato errore nella stima dei beni v’è la rescissione per lesione, distinguendosi da quella generale di rescissione per lesione dei contratti in quanto: a) è escluso ogni profilo soggettivo (non si richiede che una delle parti abbia profittato dello stato di bisogno dell’altra); b) il valore della parte assegnata deve essere inferiore di oltre ¼ al valore della quota. L’azione di rescissione per lesione è applicabile ad ogni atto che ha per effetto la cessazione della comunione della comunione ereditaria. Il coerede contro il quale è promossa l’azione di rescissione può troncarne il corso e impedire una nuova divisione, dando il supplemento della porzione ereditaria in denaro o in natura. La divisione giudiziale. Il giudizio di divisione può essere promosso da ciascuno dei coeredi, per ottenere lo scioglimento della comunione ereditaria, e ad esso devono essere chiamati a partecipare tutti i condividenti. Si procede dapprima alla stima dei beni, quindi alla formazione delle proporzioni. Se la parte non può essere data in natura perché i beni sono indivisibili, questi sono venduti all’incanto e il denaro è diviso tra i coeredi. Chi ha ricevuto troppo rispetto alla sua dovuta quota ereditaria, deve pagare agli altri la differenza (conguaglio). La stima dei beni per la formazione delle quote nella divisione ereditaria deve farsi con riferimento al loro stato e valore venale al tempo della divisione. Divisione fatta dal testatore. Il codice vigente ha soppresso la divisione per atto inter vivos ed ha riconosciuto ad ogni testatore la facoltà di dettare norme e criteri per la formazione delle porzioni e di dividere nel testamento i suoi beni tra i coeredi. La divisione è nulla se il testatore non abbia compreso qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti. Se il testatore nel fare le porzioni lede la quota di legittima spettante ad alcuno dei coeredi, questi può sempre agire con l’azione di riduzione. I beni ereditari. I debiti e i pesi ereditari devono essere sopportati da ogni erede in proporzione alla propria quota ereditaria, salvo diversa disposizione del testatore. Ciascun creditore del de cuius non può pretendere dal singolo coerede, a meno che si tratti di obbligazione indivisibile, più di quanto proporzionalmente è imputabile alla quota ereditaria a quello devoluta ed in caso di insolvenza di uno dei coeredi questa inadempienza non può essere invocata nei confronti degli altri (regola dunque che vale sia nei rapporti interni che esterni). Il creditore che vanti un’ipoteca su un cespite ereditario può pretendere l’intero dal singolo coerede cui quel bene sia stato assegnato, stante il principio che l’ipoteca è opponibile perfino al terzo acquirente non debitore. Inoltre sempre nel caso di debiti ipotecari, la quota di debito ipotecario del coerede insolvente viene ripartita in proporzione tra tutti gli altri. Il coerede che abbia pagato l’intero potrà agire in regresso contro gli altri coeredi solo nei limiti in cui ciascuno degli altri è tenuto a contribuire al pagamento dei debiti ereditari. Qualora il bene oggetto del legato fosse gravato da ipoteca il creditore conserva l’azione ipotecaria e il legatario che abbia pagato il debito garantito dall’ipoteca subentra nelle ragioni del creditore contro gli eredi. La garanzia per evizione. Se un terzo assume che il de cuius non era proprietario di uno o più beni compresi nella porzione attribuita ad uno dei coeredi, ed il coerede è costretto a rilasciare i beni richiesti, ecco che viene a mancare la corrispondenza della porzione con la quota ereditaria. Il danno subito dal coerede per l’evizione deve essere ripartito tra tutti gli altri. La collazione. Se il de cuius in vita ha fatto donazioni ai figli legittimi o naturali ai loro discendenti legittimi o naturali o al coniuge, la legge presume che il defunto, facendo la donazione o le donazioni, non abbia voluto alterare il trattamento che egli ha stabilito per testamento, nel caso di successione testamentaria, o che è disposto per legge in quello di successione legittima, ma soltanto attribuire loro un anticipo sulla futura successione. Perciò i beni donati devono essere compresi o conferiti nella massa attiva del patrimonio ereditario (donde il nome collazione), per essere divisi tra i coeredi in proporzione alle quote spettanti a ciascuno. La funzione della collazione dunque consiste nel mantenere tra i discendenti e il coniuge del de cuius chiamati a succedergli la proporzione stabilita nel testamento o nella legge. Poiché fondamento dell’istituto è la presunta volontà del donante, la disciplina legislativa ha carattere dispositivo: alla collazione perciò non si fa luogo quando il donante abbia altrimenti disposto. Non sono soggette a collazione le spese ordinarie fatte dal padre a favore del figlio, che rappresentano l’adempimento di un obbligo e non una liberalità. È invece soggetto a collazione ciò che il defunto ha speso a favore dei suoi discendenti per assegnazioni fatte a causa di matrimonio, per avviarli all’esercizio di un’attività produttiva o professionale, per soddisfare premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita a loro favore o per pagare i loro debiti. Non sono invece soggette a collazione le donazioni di modico valore fatte al coniuge. I frutti delle cose donate e gli interessi sulle somme soggette a collazione sono dovuti con decorrenza dal giorno in cui si è aperta la successione. Riguardo alla collazione dell’usufrutto si deve aver riguardo al valore capitale che l’usufrutto ha al momento dell’apertura della successione. Non ha invece rilevanza il valore che l’usufrutto medesimo aveva al momento della donazione: ciò che ha formato oggetto di godimento prima della morte del donante non deve essere conferito. I soggetti obbligati a conferire sono: il coniuge e i figli, o altri discendenti. Le persone nei cui confronti costoro hanno l’obbligo sono: il coniuge e gli altri figli o discendenti: la collazione ha cioè luogo reciprocamente tra il coniuge e i discendenti, non rispetto agli estranei. Oggetto della collazione sono le donazioni dirette e indirette. La collazione si distingue dalla riduzione, perché la prima serve a mantenere tra gli aventi diritto la proporzione stabilita nel testamento o nella legge; la finalità della riduzione è invece quella di salvaguardare la quota di legittima. La collazione si fa per gli immobili o cedendo alla massa ereditaria il bene ricevuto in donazione (collazione in senso stretto, cioè collazione in natura: si ha riduzione della donazione) o con l’imputazione del valore, ossia prendendo dalla massa tanti beni in meno quanto è il valore di quelli donati (collazione per imputazione: conferimento ideale dell’equivalente pecuniario del bene donato). Per i mobili la collazione si fa soltanto per imputazione. LA DONAZIONE Il contratto di donazione. La donazione è un contratto (art. 769 c.c.).Ha struttura bilaterale e richiede per la sua perfezione il consenso tra la volontà di due parti: è necessaria l’accettazione del donatario. Con la donazione una delle parti, per spirito di liberalità, arricchisce l’altra, o disponendo a favore di questa di un suo diritto ovvero assumendo verso la stessa un’obbligazione (purchè di dare e non di fare). Elementi denotativi sono pertanto: a) Lo spirito di liberalità: costituisce la causa del contratto, che non s’identifica con il motivo. Rientra nello schema del contratto di donazione anche la donazione rimuneratoria, ossia la liberalità fatta o per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale remunerazione. Peraltro la donazione rimuneratoria è irrevocabile, non obbliga a prestare gli alimenti al donante, ma comporta a carico del donante la garanzia per evizione. Non va qualificata donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi (gratifiche ai dipendenti) e la liberalità elargite in conformità agli usi (regali a parenti e amici in occasioni di feste e ricorrenze). b) L’arricchimento, ossia l’incremento del patrimonio del donatario. L’arricchimento può realizzarsi o disponendo a favore di un altro di un diritto o assumendo un’obbligazione verso il donatario purchè non si tratti di un facere. Rispetto alla donazione è inammissibile la figura del contratto preliminare. Infatti la donazione deve essere spontanea. Donazione, negozi gratuiti, liberà non donative. Non bisogna credere che qualsiasi negozio a titolo gratuito costituisca una donazione. La gratuità non implica necessariamente l’arricchimento dell’altra parte, che è elemento essenziale al concetto di donazione. Il codice contempla una serie di casi di contratti tipici diversi dalla donazione, che sono o possono essere a titolo gratuito: il mandato, il deposito, il mutuo, il trasporto possono essere, a seconda della volontà delle parti, tanto gratuiti quanto onerosi. A queste ipotesi si aggiungono figure di negozio gratuito atipico (non rientranti fra quelle espressamente previste dalla legge), che comporta l’esecuzione di attribuzioni o di prestazioni non remunerate, ma neppure giustificate da un intento liberale: si pensi alle attività materiali svolte gratuitamente per fini di solidarietà o a favore di organizzazioni politiche, religiose, culturali ecc. Non si tratta ivi di contratto di donazione. A maggior ragione va distinta sia dalla donazione che dalla generale figura dei contratti gratuiti l’adempimento dell’obbligazione naturale, che comporta un’attribuzione patrimoniale volontaria ma non liberale. Dall’altro punto di vista esistono atti di liberalità che non integrano il tipo della donazione: è il caso della donazione indiretta, ossia della liberalità attuata mediante un negozio diverso da un contratto di donazione tipico. La donazione indiretta. L’arricchimento dell’altro si raggiunge con un contratto caratterizzato da una causa diversa, e non con il contratto di donazione. Così se voglio aiutare uno studente povero e meritevole, e gli pago le tasse universitarie, compio un atto (pagamento del debito altrui) la cui causa consiste nell’estinzione del debito, ma che avvantaggia lo studente allo stesso modo che se gli donassi la somma necessaria per il pagamento delle tasse (causa liberale). Un altro esempio è la rinuncia all’usufrutto o alle servitù. La donazione indiretta rientra dunque nella figura generale del negozio o procedimento indiretto: si ha donazione indiretta quando le parti, per raggiungere l’intento di liberalità, anziché utilizzare lo schema negoziale all’uopo apprestato dalla legge (contratto di donazione), ne abbiano adottato uno caratterizzato da causa diversa. Anche la vendita a prezzo inferiore al valore della cosa viene ricondotta alla figura della donazione indiretta (donazione mista). Qualora, pur dicendo di voler vendere, in realtà pattuisco un prezzo simbolico, che non ha neppure importanza venga davvero versato oppure no, allora difetta il prezzo quale elemento strutturale necessario della vendita, e ci troviamo di fronte ad una donazione non soltanto indiretta, ma vera e propria, sia pure esteriormente rappresentata come contratto di vendita (del quale però manca l’elemento essenziale del prezzo). La donazione mista non ha ovviamente nulla a che fare con la simulazione perché le manifestazioni di volontà delle parti non presentano alcunché di fittizio, né esistono patti occulti o riservati tra le parti contrari o diversi da quelli resi ostensibili. È bene precisare che per aversi negozio misto con donazione non basta che vi sia la sproporzione tra le due prestazioni, ma anche che questa sproporzione sia voluta da colui che la subisce allo scopo di attuare una liberalità e che questa finalmente sia nota ed accettata dall’altra parte. Requisiti e disciplina. Non possono fare donazioni i minorenni, l’interdetto, l’inabilitato, l’incapace naturale. Un’eccezione è fatta per le donazioni a causa di matrimonio. Essa si spiega in base alla loro finalità, purchè esse siano fatte con l’assistenza delle persone che esercitano la potestà o la tutela o la curatela. Le persone giuridiche sono capaci di far donazioni, se tale capacità è riconosciuta dal loro statuto o dall’atto costitutivo e nei limiti del riconoscimento medesimo. Del pari sono valide le liberalità fatte da società commerciali a scopo promozionale o di rappresentanza (dono ai clienti) o per consuetudine (gratifiche ai dipendenti). La donazione è un atto personale del donante: è pertanto nullo il mandato a donare. Poiché per la donazione è richiesto l’atto pubblico ad substantiam, la procura a donare deve essere fatta ugualmente per atto pubblico e sempre con l’intervento dei testimoni. È consentito rimettere ad un terzo la scelta del donatario tra determinate categorie di persone o dell’oggetto tra più cose indicate dal donante: la deroga è giustificata dai limiti angusti entro i quali è attribuita la facoltà di scelta. La disciplina della donazione presenta alcune analogie con quella del testamento; uno degli aspetti di questo parallelismo riguarda la capacità di ricevere per donazione. Per la capacità giuridica è necessaria la nascita del soggetto: dunque a favore del figlio di una determinata persona vivente al tempo della donazione, benché non ancora concepito, può essere fatta validamente una donazione. Capaci di ricevere sono anche le persone giuridiche: oggi gli enti di qualsiasi natura, riconosciuti o meno, hanno piena capacità di acquistare per successione e donazione, senza necessità di autorizzazioni amministrative. È stata abrogata la norma che stabiliva la nullità delle donazioni fatte ad un figlio naturale non riconoscibile. È stato dichiarato costituzionale il divieto di donazione tra coniugi. A ragioni di doverosa protezione degli incapaci contro il rischio di abusi si ispira il divieto di donazione a favore del tutore o del protutore. Oggetto della donazione non può essere un bene futuro, salvo che si tratti di frutti non ancora separati: non può essere consentito infatti che taluno si privi senza corrispettivo di una cosa che non è ancora venuta ad esistenza. È vietata peraltro la donazione avente per oggetto beni altrui, intendendo così con “bene futuro” l’aspetto oggettivo (non esistente in natura) ma anche soggettivo (che non fa parte del patrimonio del disponente). La donazione universale (di tutti i beni presenti) non è vietata: l’obbligo degli alimenti posto a carico del donatario sopperisce all’eventuale indigenza del donante. La donazione richiede per la sua validità (ad substantiam) una forma particolare: l’atto pubblico, sia per immobili che per mobili. Inoltre è indispensabile la presenza di due testimoni. Questo rigore formale induce il donante a riflettere sulla gravità dell’atto che compie e che lo spoglia di un diritto senza alcun corrispettivo. Se la donazione ha per oggetto cose mobili, nell’atto deve essere contenuta la specificazione del loro valore. Non è richiesta forma solenne, ma occorre che sia avvenuta la consegna (traditio) della cosa, che è indispensabile perché ci sia donazione. Il contratto è di tipo reale. La donazione può essere sottoposta a condizione. Un particolare tipo di donazione sottoposta a condizione è la donazione obnuziale: fatta in riguardo a un futuro matrimonio, sia dagli sposi tra loro, sia dagli altri, assai spesso dai genitori degli sposi, a favore di uno o di entrambi gli sposi, o dei figli nascituri di questi. Questo tipo di donazione è un atto unilaterale: non è necessaria l’accettazione del donatario, ma la donazione non produce effetto finchè non venga celebrato il matrimonio; inoltre l’annullamento del matrimonio comporta nullità della donazione. Altra particolare condizione è quella di riversibilità: si tratta in sostanza di una condizione risolutiva, stabilendosi che i beni ritornino al donante nel caso che il donatario (o i suoi discendenti) muoia prima del donante medesimo. La donazione può essere gravata di un onere o modo, al cui adempimento il donatario è tenuto entro i limiti del valore della cosa donata. Si distingue dal negozio di donazione mista, in cui v’è sempre un corrispettivo, quand’anche tenue. Dalla donazione modale invece esula l’idea di corrispettivo. Per l’adempimento del modo possono agire il donante e qualsiasi interessato, anche durante la vita del donante. L’onere illecito o impossibile si considera non apposto, a meno che non abbia avuto rilievo esclusivo determinante la donazione, nel qual caso è travolto l’intero atto. Le sostituzioni sono consentite nelle donazioni nei casi e nei limiti stabiliti per gli atti di ultima volontà. La donazione può avere ad oggetto la nuda proprietà con riserva dell’usufrutto a favore del donante. Questi può anche stabilire che dopo di lui l’usufrutto sia riservato ad un’altra persona o anche a più persone congiuntamente, ma non successivamente. L’inadempimento del donante agli obblighi derivanti dalla donazione è sottoposto, data la natura gratuita dell’atto, ad una disciplina meno rigorosa di quelle di ogni contratto: il donante è responsabile solo per dolo o colpa grave. Per quanto riguarda la garanzia per evizione, occorre che essa sia espressamente promessa, altrimenti il donante risponde soltanto se è in dolo o se si tratti di donazioni modali o remunerato rie. La responsabilità del donante per vizi della cosa sussiste soltanto nel caso in cui sia stata specialmente pattuita o di dolo del donante medesimo. Invalidità della donazione. L’errore sul motivo della donazione rende annullabile la donazione (come il testamento), se il motivo risulti dall’atto e sia il solo che ah determinato il donante a compiere liberalità. L’illiceità del motivo è rilevante quando il motivo ha avuto valore determinante esclusivo ed è comune ad entrambe le parti (come per il testamento, ma meno rigorosa: il motivo deve sì aver avuto efficacia determinante esclusiva, ma non è necessario che sia comune ad entrambe le parti, basta che risulti da atto). La nullità non è sanabile e non è suscettibile di conferma, con le deroghe riscontrate per il testamento. La conferma espressa o tacita (esecuzione volontaria) deve aver luogo dopo la morte del donante. La revoca della donazione. La donazione non può sciogliersi se non per le cause ammesse dalla legge. Tuttavia, in presenza di due gravi ragioni la legge prevede che la donazione possa essere revocata. Tali cause sono: 1) ingratitudine del donatario 2) sopravvenienza di figli (del donante) Le ragioni che giustificano la revoca non ricorrono rispetto alle donazioni rimuneratorie, dettate da sentimenti di riconoscenza, e alle donazioni obnuziali, effettuate per il benessere di una nuova famiglia. La revoca dipende da un’iniziativa unilaterale: è dunque un diritto potestativo di togliere efficacia alla donazione nei casi da essa previsti; basta che il donante proponga la domanda. La revocazione delle donazioni ha carattere personale e quindi non può essere proposta dai creditori del donante in sostituzione del donante stesso. La sentenza che pronuncia la revocazione condanna il donatario alla restituzione dei beni. Essa non pregiudica i terzi che hanno acquistato diritti anteriormente alla domanda, salvi gli effetti della trascrizione della domanda stessa. LA TRASCRIZIONE La trascrizione è un mezzo di pubblicità che si riferisce agli immobili o ai mobili registrati. Essa serve a far conoscere ai terzi le vicende giuridiche di un immobile o di un mobile registrato. Come potrebbe chi intende acquistare diritti reali su un bene sapere se l’alienante non li abbia già trasferiti ad altri? Egli non sarebbe mai sicuro. A questo problema, l’ordinamento giuridico soccorre con l’adozione di due criteri diversi. Per i mobili non registrati, il conflitto tra più acquirenti dal medesimo titolare è risolto in base al principio del possesso vale titolo. Invece, il conflitto tra più acquirenti dello stesso diritto viene risolto in base alla trascrizione: colui che per primo ha fatto trascrivere in pubblici registri il trasferimento è preferito rispetto a colui che non ha trascritto affatto o ha trascritto successivamente il suo titolo d’acquisto. La trascrizione non è un elemento della fattispecie negoziale (divento proprietario dell’immobile aldilà della trascrizione), essa attua esclusivamente una forma di pubblicità dichiarativa. Eccezionalmente, in alcuni casi la trascrizione ha efficacia costitutiva. Tra di essi, il più importante è rappresentato dall’iscrizione di ipoteca e dall’ usucapione abbreviata. Perché tale usucapione si maturi occorrono la buona fede dell’acquirente e la trascrizione del titolo d’acquisto. In questo caso, se non ho trascritto il titolo, non posso vantare nei confronti di nessuno il mio diritto di proprietà. La trascrizione non elimina i vizi da cui il negozio giuridico è affetto e costituisce un onere quando non obbligatoria si attua per rendere opponibile l’atto ai terzi costituisce un obbligo per alcuni pubblici ufficiali tra cui i notai. L’efficacia della trascrizione è duplice: a) efficacia negativa: gli atti non trascritti si presumono ignoti ai terzi e quindi l’atto non trascritto non spiega la sua efficacia verso i terzi; b) efficacia positiva: gli atti trascritti si presumono conosciuti e quindi l’atto trascritto è efficace contro qualunque terzo. Sappia o non sappia il soggetto che la trascrizione è stata effettuata, per la legge è come se lo sapesse. L'art.2643c.c.stabilisce.quali.sono.gli.atti.che.devono.essere.trascritti.eccone.alcuni; I contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili, o diritti reali di godimento sulla proprietà, la comunione Ricordiamo, ancora, i contratti di locazione di beni immobili che hanno durata superiore a nove.anni. Ancora devono essere trascritte le divisioni, la trascrizione dell'eredità e del legato se ha ad oggetto beni immobili e da ultimo, la trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche trascrizione che secondo alcuni avrebbe introdotto in Italia l'istituto del trust. Il nostro ordinamento si basa su un criterio personale con partite intestate nei registri a nome della singola persona interessata. (se voglio sapere le vicende giuridiche di un immobile devo ricostruire gli atti indagando in base ai soggetti e non partendo dal bene.) Il Conservatore non deve fare, quando gli viene richiesto di procedere alla trascrizione di un atto, alcuna indagine in ordine alla validità ed efficacia sostanziale di tale atto, ma si limita a verificare che il titolo di cui si chiede trascrizione sia un atto pubblico, o una scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. Per cercare di indurre i soggetti a trascrivere, il legislatore introduce il principio della continuità delle trascrizioni. (Le successive trascrizioni non hanno effetto se non è stato trascritto l’atto anteriore. Quindi, chi acquista diritti reali su beni immobili, per essere tranquillo, non ha soltanto l’onere di curare la trascrizione del proprio titolo d’acquisto, ma deve anche preoccuparsi di accertare se risulti trascritto il titolo di acquisto del suo dante causa e se ravvisa, a questo riguardo, una omissione e, pertanto, una lacuna nella serie di trascrizioni che lo devono proteggere, deve preoccuparsi, per rendere inattacabile il suo acquisto, di fare in modo che venga ripristinata la continuità delle trascrizioni, e che quindi anche il titolo di acquisto del suo dante causa venga anch’esso trascritto. Ciò è applicabile anche all’acquisto mortis causa, cosicchè non ci si può avvalere della priorità della propria trascrizione fino a quando non siano stati trascritti tutti i precedenti acquisti facenti capo ai propri dante causa. Modalita` per eseguire la trascrizione. La trascrizione degli immobili deve essere richiesta presso l’ufficio dei registri immobiliari nella cui circoscrizione si trova il bene. Si può ottenerla soltanto in forza di sentenza oppure di atto pubblico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. Per la trascrizione di una domanda giudiziale, occorre presentare copia autenticata del documento che la contiene, munita della relazione di notifica alla controparte. Chi domanda la trascrizione di un atto d’acquisto mortis causa deve presentare l’atto di accettazione di eredità, il certificato di morte dell’autore della successione e una copia o un estratto autentico del testamento e una nota in doppio originale con le indicazioni elencate nell’art.2660 cc. ( il cognome e il nome, il luogo e la data di nascita dell'erede o legatario e del defunto;la data di morte; ecc.) Le omissioni o inesattezze contenute nelle note determinano nullità della trascrizione soltanto se inducono incertezza sulle persone o sul rapporto giuridico, a cui l’atto si riferisce. Per quanto riguarda la trascrizione delle divisioni, dobbiamo tener presente l’art.1113 c.c. e l’elenco dei soggetti aventi diritto ad intervenire nella divisione. A questa, difatti, devono partecipare non solo tutti i comunisti, ma pure i creditori e gli aventi causa i quali, trattandosi di dividere beni immobili, abbiano non solo notificato un’opposizione anteriormente alla divisione, ma abbiano anche trascritta tale opposizione prima della trascrizione dell’atto di divisione e, se si tratta di divisione giudiziale, prima della trascrizione relativa domanda. Devono poi essere trascritti, se hanno per oggetto beni immobili, la costituzione del fondo patrimoniale, le convenzioni matrimoniali che escludono i beni stessi della comunione tra i coniugi, gli atti e i provvedimenti di scioglimento della comunione. Il legislatore assoggetta all’onere della trascrizione anche numerose domande giudiziali (artt.2652-2653 c.c.). In questi casi la trascrizione serve a mettere in grado i terzi di conoscere che in ordine a quel bene è stata mossa una contestazione il cui esito, a seguito della trascrizione, diventa opponibile pure agli aventi causa dal convenuto. In questi casi, se la domanda trascritta verrà successivamente accolta, la stessa sentenza di accoglimento verrà considerata opponibile ai terzi ovvero si vuol evitare che il convenuto disponga dei beni mentre è in atto la domanda giudiziale e i terzi acquirenti a seguito della domanda di accoglimento non potranno vantare diritti successivi alla trascrizione della domanda giudiziale. L’annotazione Sia l'annotazione che la trascrizione sono mezzi per attuare la pubblicità immobiliare. La trascrizione è lo strumento con il quale si da pubblicità legale agli atti riguardanti diritti reali (si trascrivono le compravendite, le divisioni, le domande giudiziali). L' annotazione è lo strumento con il quale si da pubblicità legale agli eventi che riguardano un atto già trascritto (si annota la sentenza di annullamento di un atto, l'avveramento di condizione dedotto in un atto, la risoluzione di un atto trascritto, la cancellazione di una iscrizione etc). Quindi, in linea generale, l'annotamento è lo strumento che si usa per rendere pubbliche le vicende di un atto che è stato già trascritto