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RIASSUNTI TORRENTE XVIII edizione

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NOZIONI PRELIMINARI
L’ORDINAMENTO GIURIDICO
Il sistema di regole, modelli e schemi mediante i quali è organizzata una collettività viene chiamato
“ordinamento”. L’ordinamento di una collettività costituisce il suo diritto.
La finalità dell’ordinamento giuridico (che si dice originario quando la sua organizzazione non è soggetta ad un
controllo di validità da parte di un’altra organizzazione) è quella di “ordinare” la realtà sociale questo perché la
cooperazione tra gli uomini rende realizzabili risultati che sarebbero altrimenti irraggiungibili per il singolo;
Occorre però che il coordinamento degli apporti individuali non sia lasciato al caso o alla buona volontà di
ciascuno, ma venga disciplinato da regole di condotta; che queste regole siano decise da appositi organi ai quali
tale compito sia affidato in base a precise regole di struttura o di competenza o organizzative; che tanto le regole
di condotta quanto quelle di struttura vengano effettivamente osservate.
Gli uomini perciò danno vita a collettività di vario tipo: si pensi alle chiese o ai partiti politici, ai sindacati o alle
organizzazioni culturali ma tra tutte le forme di collettività, importanza preminente ha sempre avuto la Società
politica.
La Società politica è rivolta alla soddisfazione non dei vari bisogni dei consociati, ma all’assicurare i presupposti
necessari affinché le varie attività promosse dai bisogni stessi possano svolgersi in modo ordinato e pacifico; mira
quindi ad impedire le aggressioni tra gli stessi componenti e a potenziare la difesa dell’intera collettività contro i
pericoli esterni.
Nozione di Stato: Una certa comunità di individui stanziata in un certo territorio ed organizzata in base ad un
certo sistema di regole, ossia un ordinamento giuridico.
L’Unione Europea
Nel 1950 con la dichiarazione di Robert Schuman ministro degli affari esteri Francese nasce l’Europa.
Nel 1951 con il Trattato di Parigi nasce la CECA – Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio –
Nel 1957, a Roma, i sei Paesi fondatori – Belgio, Francia, Germania, Italia Lussemburgo e Paesi Bassi firmano
il Trattato che istituisce la CEE - Comunità Economica Europea .
Il 7 Febbraio del 1992 è stato firmato il Trattato di Maastricht, un trattato destinato a segnare il passaggio dalla
Comunità Economica Europea all’ Unione Europea, dando la possibilità ai Paesi membri di consolidare la loro
unione politica, economica e monetaria.
Il 2 ottobre 1997 è stato firmato il Trattato di Amsterdam, che si propone tra l’altro di delineare la politica
sociale e promuovere un più alto livello occupazionale.
Il Trattato di Nizza, firmato nel 2001, apporta cambiamenti al funzionamento delle Istituzioni dell’Unione
Europea e rappresenta la proclamazione dei Diritti fondamentali dei cittadini europei.
Il 1° gennaio 2002 sono state introdotte le banconote e le monete in Euro.
Attualmente l’Unione Europea è composta da 27 Stati membri:
Ancora aperta anche la vicenda del trattato costituzionale dell’unione europea firmato a Roma il 29/10/04 che
sarebbe entrato in vigore il 01/11/06 se tutti gli stati avessero ratificato cosa che non è accaduta.
Il 1° gennaio 2007 entrano a far parte dell'Unione europea anche la Bulgaria e la Romania , che hanno firmato i
trattati di adesione a Lussemburgo il 25 aprile 2005.
L’ordinamento di una collettività è costituito da un sistema di regole.
Ciascuna di queste regole, proprio perché concorre a disciplinare la vita organizzata della comunità, si chiama
norma; e poiché il sistema di regole da cui è assicurato l’ordine di una società rappresenta il diritto di quella
società, ciascuna di tali norme si dice giuridica.
La norma giuridica non va mai confusa con la norma morale, nemmeno quando l’una e l’altra abbiano identico
contenuto. Difatti, mentre ciascuna regola morale è assoluta, nel senso che trova solo nel suo contenuto la propria
validità, la regola giuridica deriva la propria forza vincolante dal fatto di essere prevista da un atto dotato di
autorità nell’ambito dell’organizzazione di una collettività.
Di solito la norma viene consacrata in un documento normativo. In tal caso occorre non confondere la “formula”
(il testo) della disposizione, con il “precetto” (il significato) che a quel testo viene attribuito dall’interprete. La
differenza tra norma di legge e la norma morale risiede nel fatto che la prima è la fonte in un atto che fa nascere la
legge mentre la norma morale è assoluta e personale.
Non bisogna confondere il concetto di “norma giuridica” con quello di “legge”. Per un verso infatti, la legge è un
atto o documento normativo, che contiene norme giuridiche, e che quindi sta con queste in rapporto da contenente
a contenuto; per altro verso, accanto a norme aventi “forza di legge”, ogni ordinamento conosce tante altre norme
giuridiche frutto di altri atti normativi es. la Consuetudine; per altro verso ancora, una medesima legge può
contenere molte norme, ma una norma può anche risultare soltanto dal “combinato disposto” di più disposizioni
legislative, ciascuna delle quali può regolare anche un solo aspetto del problema complesso.
I caratteri essenziali della norma giuridica avente forza di legge sono la generalità e la astrattezza
Con il carattere della generalità si intende sottolineare che la legge non deve essere dettata per singoli individui,
bensì o per tutti i consociati o per classi generiche di soggetti.
Con il carattere della astrattezza si intende sottolineare che la legge non deve essere dettata per specifiche
situazioni concrete, bensì per fattispecie (stato di cose) astratte, ossia per situazioni individuate ipoteticamente.
Importante, per caratterizzare la norma avente valore di legge,è il“principio di eguaglianza”(art. 3 Cost.).
Dal principio di eguaglianza va tenuto distinto il principio per cui i pubblici uffici devono rispettare il criterio
della imparzialità (art. 97 Cost.), ossia l’obbligo di applicare le leggi in modo eguale.
Nell’art. 3 della Cost. è invece codificato il vero principio di eguaglianza, che ha due profili:
a) il primo è di carattere formale (art. 3.1) ed importa che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono
eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni sociali e personali”.
b) il secondo è di carattere sostanziale (art. 3.2) ed impegna la Repubblica a ”rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese”.
Il controllo del rispetto del principio di eguaglianza è affidato alla corte Costituzionale, la quale può dichiarare
l’illegittimità di una norma avente forza di legge quando ritenga “irragionevole” o “incongruente” o
“contraddittoria” o “arbitraria” una differenziazione normativa di situazioni che, in realtà, siano omogenee,
ovvero un’assimilazione di trattamento nei confronti di situazioni che, in realtà, siano diverse, ovvero a parità di
condizioni deve corrispondere un trattamento eguale e a condizioni diverse un trattamento differenziato.
In qualche ipotesi può avvenire che l’applicazione del comando al caso concreto dia luogo a conseguenze che
urtano contro il sentimento di giustizia.
La norma si esprime con una ipotesi di fatto (si ipotizza una fattispecie).
La norma si struttura come un periodo ipotetico che si compone della previsione di un accadimento eventuale e di
una conseguenza giuridica; la parte della norma che descrive l’evento da regolare si definisce fattispecie.
La struttura della norma giuridica è articolata nella previsione di una fattispecie “astratta”, un’ipotesi d’evento,
al verificarsi del quale la legge ricollega determinati effetti giuridici (es. ogni descrizione di un contratto indica
gli elementi essenziali per il perfezionamento dell’accordo).
Per fattispecie “concreta” s’intende non più un modello configurato ipoteticamente, ma un complesso di fatti
realmente verificatisi, e rispetto ai quali occorre accertare se e quali effetti giuridici ne siano derivati.
Mentre l’individuazione della fattispecie astratta si risolve in una pura operazione intellettuale, l’indagine sulla
fattispecie concreta consiste nell’accertamento del fatto storico, quale realmente verificatosi, da porre poi a
confronto con l’ipotesi astratta prevista dalla legge.
La fattispecie può constare di un solo fatto (es. la nascita di tizio la norma che disciplina la capacità
giuridica, la fattispecie che la determina è la nascita del soggetto) e si chiama allora fattispecie semplice. Se
invece la fattispecie è costituita da effetti giuridici che si producono solo con il soddisfacimento di più
condizioni/fatti giuridici (per alienare i beni di un incapace occorrono l’autorizzazione del tribunale e il
consenso del rappresentante legale) essa si dice fattispecie complessa.
La fattispecie a formazione progressiva è un particolare tipo di fattispecie complessa le cui condizioni,
affinché si verifichi l'effetto tipico previsto dall'ordinamento, sono soggette ad un particolare ordine
logico o cronologico. (es. i beni che devono arrivare con una nave dall’estero ovvero il negozio su cosa
futura non si può attuare il passaggio di proprietà perché la cosa non è venuta ad esistenza ma il
venditore è vincolato sul piano obbligatorio quindi una vendita sotto condizione sospensiva, ad esempio,
si realizza solo con il soddisfacimento della suddetta condizione).
Il giusnaturalismo ("diritto naturale") è il termine generale che racchiude quelle dottrine filosofico-giuridiche
che affermano l'esistenza di un diritto naturale, cioè di un insieme di norme di comportamento dedotte dalla
"natura" e conoscibili dall'essere umano. si contrappone al cosiddetto positivismo giuridico (“diritto positivo”)
basato sul complesso delle norme che costituiscono l’ordinamento giuridico di una società. e che considera come
unico possibile diritto il diritto positivo, prodotto dal legislatore.
La dottrina del giuspositivismo si presenta in opposizione a quella del giusnaturalismo
La differenza consiste nel fatto che:
• il giuspositivismo è una concezione monista del diritto, che ritiene che il diritto positivo sia l'unico
diritto degno di questo nome;
• il giusnaturalismo è una concezione dualista: sostiene cioè l'esistenza di due ordini di diritto:
Un diritto naturale: insieme di principi eterni e universali;
Un diritto positivo: che si trova in relazione subordinata: prodotto storico che promana dalla volontà del
legislatore.
Per i giusnaturalisti il diritto positivo, per essere valido, deve essere giusto e quindi conforme ai principi del
diritto naturale. Il giusnaturalismo stabilisce una correlazione necessaria tra il diritto storicamente vigente e la
morale, come insieme di principi razionali che governano la vita associata.
Il giuspositivismo, invece, esclude che tra i due debba esservi una relazione necessaria e ammette in alcune sue
forme che il diritto possa essere anche ingiusto, scindendo la sua validità dalla sua giustizia. Secondo alcune
scuole di pensiero il diritto naturale non può essere considerato un vero e proprio diritto, perché, a differenza del
diritto positivo, manca del carattere della coercibilità, cioè della possibilità di essere fatto valere con la forza. Per
la scienza del diritto, unico diritto è il diritto valido, prodotto secondo i criteri stabiliti dalla Costituzione e dalle
altre norme di produzione.
In sintesi il giuspositivismo è una concezione che identifica il diritto con la legge dello stato
Mentre il diritto positivo ha un fondamento obiettivo che consente di non elevare al rango di norma giuridica
qualsiasi contenuto emanato da chi ha potere, il diritto naturale non ha fondamento obiettivo in quanto ognuno
vorrebbe un ordinamento conforme alle proprie personali concezioni. Esso costituisce un monito sia al legislatore
che all’interprete. Il concetto di diritto evoca quello di giustizia in nessun ordinamento si verifica un sistema di
rapporti “giusto” poiché l’uomo è un essere imperfetto” ma appare comunque biasimevole rinunciare ad una
valutazione critica dell’ordinamento nel quale si vive per realizzare una società che sia la migliore possibile.
Le norme giuridiche si caratterizzano per il fatto di essere suscettibili di attuazione forzata (coercizione) o sono
comunque garantite dalla predisposizione, per l’ipotesi di trasgressione, di una conseguenza in danno del
trasgressore, chiamata “sanzione”, la cui minaccia favorirebbe l’osservanza spontanea della norma.
Ogni norma ha quindi solitamente ha una sanzione, una sua coercibilità. L’ordinamento giuridico pone delle regole di
comportamento e se queste vengono violate si interviene con una sanzione.
COERCIBILITA’: agire esecutivamente (es. se il debitore non adempie alla prestazione che è un pagamento in denaro il
creditore può rivolgersi al giudice il quale può richiedere l’espropriazione dei beni del debitore e la vendita di questi in modo
tale che il creditore possa soddisfarsi tramite il ricavato della vendita.)
COERCIBILITA’ IN FORMA SPECIFICA: es. le parti si sono impegnate a stipulare un contratto come può essere il
preliminare di compravendita, se una delle parti si rifiuta di stipulare il contratto allora si ha l’obbligo di concludere il
contratto e quindi la coercibilità è specifica cioè la parte adempiente può ottenere una sentenza che gli permette di ottenere
gli stessi diritti che avrebbe avuto nel caso in cui il contratto si fosse concluso.
Spesso, accanto a “norme di condotta” (dette primarie), il legislatore prevede una “risposta” o una “reazione”
dell’ordinamento (dette secondarie), da far scattare in caso di inosservanza del comportamento prescritto.
Vi è peraltro da rilevare che la difesa dell’ordinamento non viene perseguita soltanto attraverso misure repressive
di una situazione preesistente illegittimamente violata, ma anche mediante misure preventive, di vigilanza e di
dissuasione, e perfino con l’ausilio di norme che si limitano ad affermazioni di principio, che svolgono
un’importante funzione “esemplare”, indipendentemente dalla previsione di qualsiasi sanzione.
Di recente sono frequenti anche norme che stabiliscono “premi” e “incentivi a favore dei soggetti che si vengano
a trovare in particolari situazioni (ad es. a favore di imprese che intraprendono nuove attività in zone considerate
depresse o sottosviluppate).
La sanzione può operare in modo diretto [(realizzando il risultato che la legge prescrive) es. viene distrutto a
spese dell’obbligato ciò che è stato fatto in violazione di un obbligo] , o in modo indiretto: in questo caso
l’ordinamento si avvale di altri mezzi per ottenere l’osservanza della norma o per reagire alla sua violazione.
Nel diritto privato, la sanzione non opera, di regola, direttamente.
L’equità è stata definita la giustizia del caso singolo.
L’ordinamento giuridico sacrifica spesso la giustizia del caso singolo all’esigenza della certezza del diritto, in
quanto ritiene pericoloso affidarsi alla valutazione soggettiva del giudice e preferisce che i singoli possano
prevedere esattamente quali saranno le conseguenze dei loro comportamenti ( principio della certezza del diritto).
Perciò, nel diritto privato, il ricorso all’equità è ammesso solo in casi eccezionali e precisamente in quelli in cui la
stessa norma giuridica rinvia all’equità., il che avviene nelle cause di minor valore attribuite alla competenza del
giudice di Pace, ovvero nel caso in cui siano le controparti ad attribuire al giudice di decidere secondo equità.
IL DIRITTO PRIVATO E LE SUE FONTI
Il diritto pubblico disciplina l’organizzazione dello Stato e degli altri enti pubblici, regola la loro azione, interna
e di fronte ai privati, ed impone a questi ultimi il comportamento cui sono tenuti per rispettare la vita associata e il
reperimento dei mezzi finanziari necessari per il perseguimento delle finalità pubbliche.
Il diritto privato, invece, si limita a disciplinare le relazioni interindividuali, sia dei singoli che degli enti privati,
non affidandone la cura ad organi pubblici, ma lasciando alla iniziativa personale anche l’attuazione delle norme.
Molto spesso, un medesimo fatto è disciplinato sia da norme di diritto privato che da norme di diritto pubblico
(es. l’investimento di un pedone da parte di un automobilista fa scattare sia la sanzione penale per lesioni colpose
sia la sanzione civile del risarcimento del danno)
Le Norme di Diritto privato: Norme derogabili (dispositive) e Norme inderogabili (cogenti).
-
Il codice civile detta le disposizione alle quali le parti possono derogare, ad esempio la disciplina
dei vizi della compravendita è una norma derogabile a favore dell’acquirente.
L’ applicazione può essere evitata mediante un accordo delle parti
-
Per le norme inderogabili invece le parti non hanno disponibilità in certe materie, ad esempio nella
locazione di immobili destinati ad uso abitativo è stabilito che la durata minima è di 4 anni e
pertanto non si può stabilire una durata inferiore. Se le parti derogano si avrà l’effetto della nullità
della pattuizione e verrà sostituita la clausola nulla.
L’ applicazione è imposta dall’ordinamento.
NORME SUPPLETIVE: Sono norme che intervengono là dove non viene espressa la volontà delle parti,
ad esempio se un soggetto ha più debito nei confronti di un altro soggetto ed effettua un pagamento, il
debitore può dichiarare a quale debito imputare il pagamento; se il debitore non fa questa dichiarazione di
imputazione è la legge stessa che stabilisce a quale debito vada imputato il pagamento. La norma quindi
interviene là dove non viene espresso nulla.
Sebbene le norme di diritto pubblico siano quasi sempre cogenti, e quelle di diritto privato per la maggior parte
dispositive, possono anche aversi norme di diritto pubblico suscettibili di deroga o norme di diritto privato
cogenti.
Con la norma dispositiva il legislatore enuncia una regola conforme alla disciplina che viene adottata di solito
dalle parti stesse, e perciò può considerarsi “tipica”, potendosi presumere che, se l’ipotesi fosse stata contemplata,
la volontà comune dei contraenti si sarebbe indirizzata verso quella soluzione (es. se le parti non hanno convenuto
diversamente il mutuario deve corrispondere gli interessi al mutuante art. 1815 del c.c. anche se le parti possono
escludere l’operatività di tale regola e pattuire un mutuo gratuito)
Fonti delle norme giuridiche
FONTI LEGALI: Atti o fatti che producono o sono idonei a produrre norme.
Quando parliamo di fonti parliamo di gerarchia.
Dalle fonti di produzione si distinguono le fonti di “cognizione”, ossia i documenti e le pubblicazioni ufficiali da
cui si può prendere conoscenza del testo di un atto normativo (es. Gazzetta ufficiale)
Le fonti si possono distinguere in materiali e formali quest’ultime non contengono norme di diritto propriamente
dette (es. la buona fede, l’equità, la ragionevolezza.)
Rispetto a ciascuna fonte, quando si tratti di un “atto”, si può distinguere:
a) l’Autorità investita del potere di emanarlo (es. il Parlamento, il Governo);
b) il procedimento formativo dell’atto; (es. procedimento di emanazione di una legge costituzionale o regionale
c) il documento normativo (la legge considerata nella sua lettera o nel suo testo);
d) i precetti ricavabili dal documento.
E’ chiaro che ogni ordinamento deve stabilire le norme sulla produzione giuridica, ossia a quali Autorità, a quali
organi, e con quali procedure, sia affidato il potere di emanare norme giuridiche.
Nel nostro Paese la gerarchia delle fonti viene così ricostruita:
L'articolo 1 delle Disposizioni sulla legge in generale (preleggi ovvero 31 articoli posti come premessa del
Codice civile nel ‘42) anteposte al Codice Civile afferma che sono fonti del diritto: 1. Le leggi 2. I
regolamenti 3. Le norme corporative 4. Gli usi. L'articolo dà un elenco un po' diverso da quello che
effettivamente vige in realtà, questo perché il testo del Codice Civile risale al 1942, ancora in periodo
fascista, e quindi non considera quella che è la fonte del diritto per eccellenza, cioè la Costituzione. Anche
l'ordinamento corporativo è stato soppresso nel 1944 dopo la caduta del regime. Oggi si può parlare
nell'ordine di cinque diverse fonti di produzione: la Costituzione, le leggi, le leggi regionali, i regolamenti,
gli usi.
L'ordine in cui sono scritte non è casuale, ma implica una gerarchia ben precisa delle fonti (alla sommità
della scala si collocano i principi “fondamentali”) del diritto: la fonte di grado inferiore non può per nessun
motivo contrastare con quella di grado superiore.
1) COSTITUZIONE
Una legge ordinaria non può né modificare la Costituzione o altra legge di rango costituzionale, né contenere
disposizioni in qualsiasi modo in contrasto con norme costituzionali. A presidio di questa rigidità della nostra
Carta costituzionale è stato istituito un apposito organo, la Corte costituzionale, cui è affidato il compito di
controllare se le disposizioni di una legge ordinaria siano in conflitto con norme costituzionali.
Se la Corte ritiene illegittima una norma, dichiara con sentenza la incostituzionalità della disposizione viziata,
che cessa la sua efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione cui i cittadini non possono
rivolgersi direttamente ma la questione di costituzionalità deve essere sollevata dal giudice il quale, durante un
procedimento lo sospende sottoponendo alla Corte Costituzionale la questione di illegittimità. Nel caso in cui la
Corte accolga l’illegittimità allora avviene l’abrogazione della norma reputata incostituzionale;
2) FONTI COMUNITARIE ( Regolamenti e Direttive);
Ha valore prevalente rispetto alle stesse leggi ordinarie statali tutta la normativa comunitaria
Le fonti normative di matrice comunitaria si distinguono in:
a) regolamenti ossia norme applicabili dai giudici dei singoli Stati ebri come se fossero leggi dello stato (in caso
di contrasto prevale la norma regolamentare)
b) direttive che hanno lo scopo di armonizzare le legislazioni interne dei singoli paesi a differenza dei regolamenti
le direttive non sono immediatamente efficaci a devono essere attuate mediante l’emanazione di apposite leggi.
Uno stato che non adempie all’obbligo di attuare una direttiva può essere sanzionato dagli organi comunitari.
Quindi si evince come l’adesione alla comunità europea abbia comportato l’accettazione di una limitazione della
prerogativa sovrana dello stato
3) LEGGI ORDINARIE;
Le leggi statali ordinarie sono approvate dal parlamento (approvazione di un testo da entrambe le camere
promulgazione da parte del Presidente della Repubblica pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
La legge ordinaria può abrogare o modificare qualsiasi norma non avente valore di legge, mentre non può essere
modificata o abrogata se non da una legge successiva.
Vi sono materie che non possono essere regolate se non mediante leggi (cd riserva di legge) quindi non possono
essere disciplinate da fonti normative di rango inferiore.
Alle leggi statali sono equiparati sia i decreti legislativi delegati che i decreti legge di urgenza, sebbene emanati
dal Governo e non dal Parlamento, ma a condizione che, rispettivamente, o si mantengano rispettosi della legge
di delega ( nel 1° caso) o siano convertiti in legge dal Parlamento entro 60 gg.( nel 2° caso).
La legge ordinaria può essere abrogata con referendum popolare
4) LEGGI REGIONALI
L’art. 117 conferisce un potere legislativo regionale (leggi regionali) nell’abito di una serie di materie che non
siano competenza esclusiva dello stato (es. norme processuali ordinamento civile e penale ecc.)
5) FONTI CONSUETUDINARIE (Regolamenti,usi e consuetudini)
Nel diritto italiano, il termine Regolamento indica una fonte normativa secondaria, sott’ordinata rispetto alla
legge nel sistema della gerarchia delle fonti, la cui emanazione costituisce una facoltà riconosciuta al potere
esecutivo (governo ministri e altre autorità)
I regolamenti regolano specifiche materie in forza di una delega o autorizzazione contenuta in una legge (es.
regolamenti della Consob in materia di disciplina dei mercati finanziari)
Affinché sussista una Consuetudine è necessario che siano soddisfatte tre condizioni:
1) che un certo tipo di comportamento osservabile sia generalmente e costantemente ripetuto in un certo
ambiente per un tempo adeguatamente protratto
2) che il comportamento ripetuto sia giudicato nell’ambiente sociale come doveroso e non semplicemente
conforme a prassi
In dottrina si usa distinguere tre tipi di consuetudini secondo gli Usi:
a) si dicono consuetudini secundum legem quelle che operano “in accordo” con la legge;
b) si dicono consuetudini praeter legem quelle che operano “al di là” della legge;
c) si dicono consuetudini contra legem quelle che operano contro la legge.
La consuetudine non è prevista e disciplinata dalla Costituzione.
Ovvero gli usi hanno efficacia solo in quanto dalla legge richiamati (secundum legem il rinvio è precluso nelle
materie coperte da riserva di legge.)
Per le materie non disciplinate da fonti scritte si ricorre alla consuetudine (praeter legem) solo se il caso non
possa essere deciso tramite analogia e che non ricada in alcun principio generale
Si ha consuetudine contra legem, invece quando è contraria a norme di legge e si pone in posizione abrogativa
rispetto a norme di legge. Non è ammissibile nel nostro ordinamento in quanto la consuetudine è fonte
strutturalmente subordinata alla legge e può operare solo nei limiti in cui la legge lo consente
La prova della consuetudine può essere fornita da documenti testimonianze ecc. poiché il giudice potrebbe non
essere a conoscenza di quest’ultima
Il codice civile
Il codice civile costituisce, insieme alla Costituzione ed alle leggi speciali una delle fonti del diritto civile. La
codificazione del diritto civile in Italia è stata influenzata in modo decisivo dalla codificazione francese. Negli
anni del dominio napoleonico in Italia fu vigente un codice civile che era la traduzione italiana del Code
Napoléon; successivamente, dopo la caduta dell'impero e la restaurazione, quasi tutti gli stati italiani emanarono
codici civili, in gran parte modellati sull'esempio del Code Napoléon. Il primo codice civile italiano unitario fu
elaborato negli anni successivi all'unità d'Italia, ed entrò in vigore nel 1865.
Il codice civile oggi vigente in Italia che ha sostituito quello del 1865, è stato emanato nel 1942.
Il codice civile ha una particolarità unica tra i codici civili europei: contiene sia la disciplina del diritto civile sia
la disciplina del diritto commerciale, che in precedenza erano dettate in due codici diversi. I codici oggi in vigore
in Italia risalgono all'epoca fascista, e il codice civile non fa eccezione:
Si è continuato ad usare il codice del 1942 durante la repubblica perché la sua impostazione era sostanzialmente
liberale; naturalmente si sono espunte le parti più apertamente fasciste, come i riferimenti alle norme corporative,
e un'ulteriore lavoro di lima è stato fatto dalla Corte Costituzionale. Svariati interventi legislativi sommati a
accordi internazionali e normativa comunitaria hanno pesantemente modificato e integrato il codice, o si sono
semplicemente aggiunti.
STRUTTURA .DEL .CODICE .CIVILE
- Libro Primo: Delle Persone e della Famiglia, artt. 1-455 - contiene la disciplina della capacità delle persone, dei
diritti della personalità, delle organizzazioni collettive, della famiglia;
- Libro Secondo: Delle Successioni, artt. 456-809 - contiene la disciplina delle successioni a causa di morte e del
contratto di donazione;
- Libro Terzo: Della Proprietà, artt. 810-1172 - contiene la disciplina della proprietà e degli altri diritti reali;
- Libro Quarto: Delle Obbligazioni, artt. 1173-2059 - contiene la disciplina delle obbligazioni e delle loro fonti,
cioè principalmente dei contratti e dei fatti illeciti (la cosiddetta Responsabilità civile);
- Libro Quinto: Del Lavoro, artt. 2060-2642 - contiene la disciplina dell'impresa in generale, del lavoro
subordinato e autonomo, delle società aventi scopo di lucro e della concorrenza;
- Libro Sesto: Della Tutela dei Diritti, artt. 2643-2969 - contiene la disciplina della trascrizione, delle prove, della
responsabilità patrimoniale del debitore e delle cause di prelazione, della prescrizione.
L’EFFICACIA TEMPORALE DELLE LEGGI
Per l’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi si richiede oltre all’approvazione da parte delle due Camere:
a)
la promulgazione della legge da parte del Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione
(Art.73 Cost.);
b)
la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica (Art.73.3 Cost.);
c) il decorso di un periodo di tempo, detto vacatio legis, che va dalla pubblicazione all’entrata in vigore della
legge, e che di regola è di 15 giorni
Con la pubblicazione la legge si reputa conosciuta e diventa obbligatoria per tutti, anche per chi, in realtà, non ne
abbia conoscenza. Vale, infatti, il principio per cui ignorantia iuris non excusat, cosicché nessuno può invocare a
propria scusa, per evitare una sanzione, di aver ignorato l’esistenza di una disposizione di legge. La Corte
costituzionale ha tuttavia stabilito che l’ignoranza della legge è scusabile quando l’errore di un soggetto in ordine
all’esistenza o al significato di una legge penale sia stato inevitabile.
Si ha abrogazione della legge per Illegittimità Costituzionale
Successioni della legge nel tempo: es. Riforma de diritto di famiglia ( prima non si potevano riconoscere i figli
adulterini, oggi è permesso).
Nei periodi di passaggio delle riforme esistono le Norme transitorie
Una disposizione di legge viene abrogata quando un nuovo atto dispone che ne cessi l’efficacia (anche se una
norma, pur dopo abrogata può continuare ad essere applicata ai fatti verificatisi anteriormente).
Per abrogare una disposizione occorre sempre l’intervento di una disposizione nuova di pari valore gerarchico: e
così una legge non può essere abrogata che da una legge posteriore.
L’abrogazione può essere espressa o tacita.
Espressa quando la legge posteriore dichiara esplicitamente abrogata una legge anteriore.
Tacita se manca, nella legge successiva, una tale dichiarazione formale, ma le disposizioni posteriori:
a) o sono incompatibili con una o più disposizioni antecedenti;
b) o costituiscono una regolamentazione dell’intera materia già regolata dalla legge precedente, la quale, pertanto,
deve ritenersi assorbita e sostituita integralmente dalle disposizioni più recenti anche in assenza di una vera e
propria incompatibilità tra la vecchia e la nuova disciplina.
Fenomeno simile ma diverso è quello della Deroga: essa si ha quando una nuova norma sostituisce, ma solo per
specifici casi, la disciplina prevista dalla norma precedente, che continua però ad essere applicabile a tutti gli altri
casi.
Un’altra figura di abrogazione espressa può essere realizzata mediante un referendum popolare, quando ne
facciano richiesta almeno 500.000 elettori o 5 Consigli regionali, e la proposta di abrogazione si considera
approvata se alla votazione partecipi la maggioranza degli aventi diritto purché la proposta di abrogazione
consegua la maggioranza dei voti espressi (Art.75 Cost.).
Anche la dichiarazione di incostituzionalità di una legge ne fa cessare l’efficacia. Ma mentre l’abrogazione ha
effetto solo per l’avvenire (la legge, benché abrogata, può e deve essere ancora applicata ai fatti verificatisi
quando era in vigore), la dichiarazione di incostituzionalità, invece, annulla la disposizione illegittima ex tunc,
come se non fosse mai stata emanata, cosicché non può più essere applicata neppure nei giudizi ancora in corso e
neppure ai fatti già verificatisi in precedenza.
L’abrogazione di una norma che, a sua volta, aveva abrogato una norma precedente non fa rivivere quest’ultima,
salvo che sia espressamente disposto: in tal caso la norma si chiama ripristinatoria.
L’art.11.1 delle preleggi stabilisce che “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.
Si dice, quindi, retroattiva una norma la quale attribuisca conseguenze giuridiche a fattispecie (concrete)
verificatesi in momenti anteriori alla sua entrata in vigore. Nel nostro ordinamento solo la norma penale non può
essere retroattiva: “nessuno può essere punito per un fatto che non costituiva reato. Efficacia retroattiva hanno,
poi, le c.d. “leggi interpretative”, ossia emanate per chiarire il significato di norme antecedenti e che, quindi, si
applicano a tutti i fatti regolati da queste ultime.
[Per indicare la retroattività si dice che il negozio ha efficacia "ex tunc" (da allora), mentre per indicare la
situazione ordinaria si dice che il negozio ha efficacia "ex nunc" (da ora).]L’applicazione del principio di
irretroattività non è sempre agevole in alcuni casi interviene il legislatore a regolare il passaggio tra la vecchia e
quella nuova con specifiche norme, che si chiamano disposizioni transitorie.
La legge nuova non può colpire i diritti quesiti, che, cioè, sono già entrati nel patrimonio di un soggetto (Un
esempio è il diploma: non appena entra nel patrimonio del maturato esso diviene quesito in quanto indiscutibile).
Nella pratica divenne spesso problematico individuare i diritti quesiti per via delle numerose eccezioni
riscontrabili nelle legislazioni transitorie, col risultato che a volte la legge li rispettava, altri li travalicava. Proprio
l’indeterminatezza della nozione di diritto quesito fece sì che si affermasse la diversa teoria del fatto compiuto, in
virtù della quale le nuove norme non estendono la loro efficacia ai fatti compiuti sotto il vigore della legge
precedente, benché dei fatti stessi siano pendenti gli effetti Quest’ultima teoria è maggiormente seguita
L’APPLICAZIONE E L’INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE
Per applicazione della legge s’intende la concreta realizzazione, nella vita della collettività, di quanto è ordinato
dalle regole che compongono il diritto dello Stato.
E’ compito dello Stato attraverso i suoi organi, curare l’applicazione delle norme di diritto pubblico. Viceversa
l’applicazione delle norme di diritto privato non è imposta in modo autoritario, ma è lasciata alla prudenza e al
buon senso dei singoli.
Anche se è proprio la previsione di una lite giudiziale che induce molti a prestarsi spontaneamente al
soddisfacimento di interessi altrui.
Interpretare un testo normativo non vuol dire solo conoscere quanto il testo in sé già esprimerebbe, bensì decidere
che cosa si ritiene che il testo effettivamente possa significare e, conseguentemente, come vadano risolti i conflitti
che insorgono nelle sua applicazione.
L’attività di interpretazione non può mai esaurirsi nel solo esame dei dati testuali.
In primo luogo, infatti, non tutti i vocaboli contenuti nelle leggi possono essere definiti nelle leggi stesse:
pertanto il significato che viene loro attribuito in ciascun contesto va ricavato da elementi extra-testuali.
In secondo luogo le leggi, nel disciplinare rapporti sociali, si riferiscono, in generale a classi di rapporti: spetterà
all’interprete, di fronte a rapporti concreti, decidere se considerarli inclusi nella disciplina della singola norma,
oppure no, ed a tal fine l’interprete dovrà impiegare particolari tecniche di “estensione” o di “integrazione” delle
disposizioni della legge, attingendo a criteri di decisione extra-legislativi.
In terzo luogo le formulazioni delle leggi sono spesso in conflitto tra loro: conflitti che si superano ricorrendo a
criteri di gerarchia tra le fonti, a criteri cronologici, a criteri di specialità.
In quarto luogo, di fronte a ciascun caso singolo difficilmente si può applicare un’unica norma, ma occorre
utilizzare un’ampia combinazione di disposizioni, ritagliate e ricomposte per adattarle al caso: operazione
complessa che si avvale di nozioni sistematiche a carattere dottrinario ed extra-testuali.
L’attribuzione da parte dell’interprete a un documento legislativo viene detta interpretazione “dichiarativa”.
Quando invece il processo interpretativo attribuisce ad una disposizione un significato diverso da quello che il
suo tono letterale potrebbe suggerire si parla di interpretazione “correttiva”.
Dal punto di vista dei soggetti che svolgono l’attività interpretativa si distingue tra interpretazione giudiziale,
dottrinale e autentica.
L’attività interpretativa assume valore vincolante solo quando è compiuta dai giudici dello Stato nell’esercizio
della funzione giurisdizionale (c.d. interpretazione giudiziale).
L’interpretazione dottrinale è costituita dagli apporti di studio dei cultori delle materie giuridiche, i quali si
preoccupano di raccogliere il materiale utile alla interpretazione delle varie disposizioni, di illustrarne i possibili
significati, di sottolineare le conseguenze delle varie soluzioni interpretative.
Non costituisce, infine, vera attività interpretativa la c.d. interpretazione autentica, ossia quella che proviene dallo
stesso legislatore, che emana apposite norme per chiarire il significato di norme preesistenti. Questa ha efficacia
retroattiva: infatti essa chiarisce anche per il passato il valore da attribuire alla legge precedente, troncando i
dubbi che erano sorti sulla sua interpretazione.
Il c.c. impone di valutare non solo il significato proprio delle parole (c.d. interpretazione letterale), ma anche
l’intenzione del legislatore.
Altri criteri cui l’interprete e il giudice si rivolge, sono:
a)
il criterio logico, volto ad escludere dalla norma quanto non vi appare espressamente, volto ad estendere la
norma per comprendervi anche fenomeni simili a quelli risultanti dal contenuto letterale della disposizione, volto
ad estendere la norma in modo da includervi fenomeni che a maggior ragione meritano il trattamento riservato a
quello risultante dal contenuto letterale della disposizione),volto ad escludere quella interpretazione che dia luogo
ad una norma assurda);
b) il criterio storico: nessuna disposizione spunta all’improvviso in un ordinamento;
c) il criterio sistematico: per determinare il significato di una disposizione è indispensabile collocarla nel
quadro complessivo delle norme in cui va inserita, onde evitare contraddizioni e ripetizioni;
d) il criterio sociologico: la conoscenza degli aspetti economico-sociali dei rapporti regolati è spesso
illuminante per pervenire ad una interpretazione congruente con la realtà disciplinata e su cui quelle regole sono
destinate e svolgere una influenza:
e) il criterio equitativo: volto ad evitare interpretazioni che contrastino col senso di giustizia della comunità.
Il giudice quando non riesce a risolvere il caso su cui deve pronunciarsi deve procedere applicando “per
Analogia” le disposizioni che regolino casi simili, e qualora il caso rimanga ancora dubbio, applicando “i principi
generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”.
Ricorrere ad un ragionamento per analogia significa applicare ad un caso non regolato (in quanto per esso non si
è trovato nessuna norma che lo contempli le cd lacune dell’ordinamento ) una norma non scritta ricopiata da una
norma scritta, la quale, però, risulta dettata per regolare un caso diverso, sebbene simile a quello da decidere.
Individuare tra due fattispecie diverse, una regolata ed un’altra non regolata, un rapporto di somiglianza, significa
che di due entità può dirsi che sono simili se hanno qualche elemento in comune. Deve trattarsi proprio
dell’elemento che giustifica la disciplina accordata al caso: l’identità di quell’elemento ci fa concludere che pur il
caso non regolato merita identica disciplina.
Vi è il ricorso quindi sia all’analogia legis (applicazione in via analogica ad un caso non regolato da disposizioni
atte a regolare quella fattispecie) che all’analogia iuris ossia si ricava una norma estrapolandola dai generali
orientamenti del sistema legislativo
Il ricorso all’analogia è sottoposto, nel nostro ordinamento a limiti: essa non è consentita né per le leggi penali, né
per quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi.
Il divieto si giustifica in relazione alle norme penali, per il principio di stretta legalità che caratterizza le norme
incriminatrici: nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto
compiuto, per le norme eccezionali si giustifica in quanto non si vogliono allargare le deroghe privilegiando la
disciplina normale a quella eccezionale
I CONFLITTI DI LEGGI NELLO SPAZIO
Il diritto internazionale privato
Al mondo non esiste un solo Diritto uniforme perciò in ciascun Paese, vengono elaborate norme di diritto
internazionale privato: ossia regole che stabiliscono quale tra varie leggi nazionali vada applicata nelle singole
ipotesi, scegliendo dal punto di vista spaziale, la legge più idonea a disciplinare quella fattispecie, ossia la legge
vigente nello Stato ove il rapporto appaia meglio localizzato.
Il diritto internazionale privato:
a) sebbene venga tradizionalmente denominato così, non è in realtà un diritto internazionale: (tale è il c.d.
diritto internazionale pubblico, ossia il diritto che ha fonte in accordi tra soggetti internazionali, mentre il diritto
internazionale privato, è invece il diritto interno, ciascun ordinamento stabilisce il proprio);
b)
non abbraccia solo norme relative a rapporti di diritto privato, ma comprende pure altri tipi di rapporti
soprattutto quelli di tipo processuale;
c) è costituito non da norme materiali, ossia che disciplinano esse stesse la sostanza di taluni rapporti, bensì da
regole strumentali, che si limitano cioè ad individuare a quale ordinamento debba farsi capo, per giungere poi,
applicando l’ordinamento così individuato, a stabilire come quel rapporto vada disciplinato (tecnica del rinvio)
Per stabilire quale sia l’ordinamento da applicare occorre in primo luogo procedere alla qualificazione del
rapporto in questione, evidenziandone la natura.
Fatto ciò, occorre che la norma di diritto internazionale privato precisi un elemento del rapporto per elevarlo a
momento di collegamento, ossia al momento decisivo per l’individuazione dell’ordinamento competente a
regolare il rapporto in oggetto.
Per quanto riguarda la capacità giuridica delle persone fisiche si applica la legge nazionale della persona.
Se questa ha più cittadinanze si applica la legge di quello tra gli Stati di appartenenza con il quale essa ha il
collegamento più stretto. Se tra le cittadinanze vi è quella italiana, questa prevale.
La capacità d’agire delle persone fisiche è anch’essa regolata dalla loro legge nazionale.
Gli enti, le società, le associazioni e le fondazioni sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è
stato perfezionato il procedimento di costituzione. Tuttavia si applica la legge italiana se la sede
dell’amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l’oggetto principale di tali enti.
Per quanto riguarda il matrimonio si distingue tra:
a) la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio, sono regolata dalla legge nazionale
di ciascun nubendo al momento del matrimonio;
b) per la forma del matrimonio vale la legge del luogo di celebrazione, ma può applicarsi pure la legge
nazionale di almeno uno dei coniugi al momento della celebrazione o la legge dello Stato di comune residenza in
quel momento;
c) per i rapporti personali tra coniugi si applica la legge nazionale se hanno uguale cittadinanza o, se hanno
diversa cittadinanza, la legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è localizzata;
d)
i rapporti patrimoniali tra coniugi vanno regolati dalla legge applicabile ai rapporti personali a meno che i
coniugi abbiano convenuto per iscritto l’applicabilità della legge dello Stato di cui almeno uno di essi è cittadino
o nel quale almeno uno di essi risiede.
e) La separazione personale si applica la legge dello stato nel quale la vita matrimoniale risulta localizzata
qualora la legge straniera non preveda la separazione o il divorzio questi sono regolati dalla legge italiana
f)
Per i giudizi di nullità annullamento separazione personale e divorzio si usa sempre adire (n.b. Significato:
Contattare un'autorità giudiziaria per i propri diritti SINONIMO ricorrere: ad es. in tribunale) il giudice italiano
se uno dei coniugi è cittadino italiano o il matrimonio è stato celebrato in Italia
Lo stato di figlio è determinato dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita. Il riconoscimento di
un figlio naturale è regolato dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita o dalla legge nazionale del
soggetto che fa il riconoscimento, nel momento in cui questo avviene.
L’adozione è regolata dal diritto nazionale dell’adottato o degli adottanti se comune o, in mancanza, del
diritto dello stato nel quale gli adottanti sono entrambi residenti al momento dell’adozione.
La successione mortis causa è regolata dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta al momento
della morte.
Per i beni immateriali si applica la legge dello Stato di utilizzazione.
Le obbligazioni contrattuali sono regolate dalla Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni
contrattuali del 19/06/80 essa fonda un Diritto internazionale privato uniforme ovvero alle obbligazioni
contrattuali si applica la legge dello stato ove il contratto presenta il collegamento più stretto collegamento che si
presume sussista nel paese in cui la parte che deve fornire la prestazione caratteristica (opera fornitura ecc. o ove
si trovi la residenza abituale o la propria amministrazione centrale)
La responsabilità per il fatto illecito è regolata dalla legge dello Stato in cui si è verificato l’evento.
L’art.31 delle preleggi disponeva che “in nessun caso le leggi e gli atti di uno Stato estero possono avere effetto
nel territorio dello Stato, quando siano contrari all’ordine pubblico o al buon costume.
L’ordine pubblico in questione non è il c.d. ordine pubblico interno, (costituito da tutte le disposizioni che non
possono essere derogate ai privati bensì quello internazionale, che abbraccia solo i fondamentali principi cui
l’ordinamento pubblico giuridico italiano è ispirato.(es. non si può consentire l’applicazione di una norma
straniera che ammetta la schiavitù)
La nuova disciplina stabilisce che non è più onere della parte che voglia far valere un diritto fondato su norme di
un ordinamento straniero provare l’esistenza delle norme della legge straniera evocate a proprio favore ma spetta
al giudice stesso anche interpellando il ministero della giustizia accertare il contenuto della legge straniera
applicabile: nel caso in cui non sia possibile accertare la legge straniera il giudice deciderà in base a quella
italiana
Tra gli stranieri occorre distinguere i c.d. cittadini comunitari dai c.d. extracomunitari. Per i primi si applica
l’art.8 del Trattato Istitutivo della CE che ha introdotto la “cittadinanza dell’Unione”, attribuita a chiunque abbia
la cittadinanza di uno Stato membro. Ai cittadini comunitari non solo va riconosciuto il godimento degli stessi
diritti civili attribuiti al cittadino nazionale, ma spettano perfino alcuni limitati diritti politici, quali il voto delle
elezioni comunali.
Per gli extracomunitari è applicabile sia il diritto d’asilo, sia l’inammissibilità della estradizione per reati politici.
Inoltre allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti
fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno. Pure all’extracomunitario è assicurato il
godimento dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano a meno che le convenzioni internazionali in
vigore per Italia dispongano diversamente.
Attiene al Diritto privato invece la condizione di reciprocità, ossia la concessione di un diritto allo straniero a
condizione che nella medesima fattispecie ad un italiano, nel paese di cui quello straniero è cittadino, quel diritto
sarebbe parimenti riconosciuto, la ricorrenza di tale reciprocità deve essere accertata secondo criteri da statuirsi in
un apposito regolamento di attuazione.
A tutti i lavoratori stranieri, infine, è garantita parità di trattamento e piena eguaglianza di diritti rispetto ai
lavoratori italiani.
L’ATTIVITA` GIURIDICA
E LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI
LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE
Il Diritto Privato regola le relazioni fra soggetti,Soggetto Attivo,Soggetto Passivo e Terzi
Il rapporto giuridico è la relazione tra soggetti, regolata dal ordinamento giuridico.
Soggetto attivo è colui a cui l’ordinamento giuridico attribuisce il potere (o diritto soggettivo) (per es. di
pretendere il pagamento).
Soggetto passivo è colui a carico del quale sta il dovere (per es. di pagare).
Quando si vuole alludere alle persone tra le quali intercorre un rapporto giuridico si usa l’espressione “parti”.
Contrapposto al concetto di parte è quello di terzo. Terzo è chi non è parte o non è soggetto di un rapporto
giuridico. Regola generale è che il rapporto giuridico non produce effetti né a favore, né a danno del terzo.
Il rapporto giuridico è la figura più importante di una categoria pi ampia: la situazione giuridica
Il Diritto Soggettivo è la signoria del volere il potere di agire per il soddisfacimento di un proprio interesse
individuale protetto dall’ordinamento giuridico
Con l’attribuzione del diritto soggettivo si realizza la più ampia protezione dell’interesse del singolo al quale, al
tempo stesso si riconosce una situazione di libertà, interesse e tutela (di chiedere o non chiedere il risarcimento
del danno se mi investono secondo una mia personale valutazione di opportunità l’interesse tutelato è l’integrità
fisica e ho una tutela perché posso agire,sono libero o meno di farlo). La norma penale invece scatta
indipendentemente dalla volontà del soggetto.
In alcuni casi il potere non è attribuito al singolo nell’interesse proprio, ma per realizzare un interesse altrui. Le
figure di poteri che al tempo stesso sono doveri (poteri-doveri) si chiamano potestà (es. l’ufficio del tutore di una
persona incapace) mentre l’esercizio del diritto soggettivo è libero, in quanto il titolare può perseguire i fini che
ritiene più opportuni, l’esercizio della potestà deve sempre ispirarsi al fine della cura dell’interesse altrui.
Le facoltà sono, invece, manifestazioni del diritto soggettivo ovvero la situazione giuridica soggettiva del
soggetto di diritto che può tenere un determinato comportamento consentito dalla norma. Le facoltà non si
estinguono se non si estingue il diritto di cui fanno parte. (es. la facoltà del proprietario terriero di far apporre i
confini al suo terreno o meno).
Può avvenire che l’acquisto di un diritto derivi dal concorso di più elementi successivi. Se di questi alcuni si siano
verificati ed altri no, si ha la figura dell’aspettativa (si pensi per es. all’ipotesi di un’eredità lasciata a taluno a
condizione che prenda la laurea. Egli non acquisterà il diritto all’eredità se non quando avrà preso la laurea:
intanto si trova in una posizione di attesa che viene tutelata dall’ordinamento). ).Nel periodo tra la stipula e il
verificarsi della condizione il contraente gode di Aspettativa. ES:ho acquistato un diritto,non si è verificata la
condizione,però l’altro contraente pone in essere un comportamento non corretto che mette a rischio il mio
acquisto,posso chiedere al giudice di emettere un provvedimento a carattere conservativo(sequestro giudiziario).
Ci sono delle situazioni e degli interessi che non sono però protetti dall’ordinamento (es. aspettativa che il figlio
ha sui beni del padre; se quest’ultimo decide finchè è in vita di bruciarsi tutti i suoi avere il figlio non può
opporsi).
L’Aspettativa trova quindi la tutela del legislatore
Si parla, di fattispecie a formazione progressiva, invece per dire che il risultato si realizza per gradi e l’aspettativa
attribuita al singolo costituisce un effetto anticipato della fattispecie. (es. perché si formi l’usucapione
abbreviata è necessario un titolo astrattamente idoneo la trascrizione del titolo e il possesso per 10 anni.
E' necessario che la progressione sia esattamente questa perché si verifichi la fattispecie).
A volte alcuni diritti e doveri si ricollegano alla qualità di una persona, la quale deriva dalla sua posizione in un
gruppo sociale. Status è, pertanto, una qualità giuridica che si ricollega alla posizione dell’individuo in una
collettività a cui vengono collegati una serie di diritti e doveri
Lo status può essere di diritto pubblico (es. stato di cittadino) o di diritto privato (es. stato di figlio).
Colui al quale l’ordinamento giuridico attribuisce il diritto soggettivo si chiama titolare del diritto medesimo.
Come si esercita il diritto soggettivo?
Godendo del bene, questo potere trova un limite nell’abuso del diritto. Se esercito un mio diritto non ledo alcuno
però, in alcuni casi, il legislatore si preoccupa che questo non sconfini nell’abuso del diritto. (es. non posso
piantare alberi nel mio terreno se non mi reca utilità solo per togliere la veduta panoramica al mio vicino altro es.
è l’abuso di posizione dominante come condotta vietata a tutela della concorrenza)
L’esercizio del diritto soggettivo deve essere distinto dalla sua realizzazione, che consiste nella soddisfazione
dell’interesse protetto, sebbene spesso i due fenomeni possono coincidere.
La realizzazione dell’interesse può essere spontanea o coattiva: quest’ultima si verifica quando occorre far
ricorso ai mezzi che l’ordinamento predispone per la tutela del diritto soggettivo (il debitore non adempie; il
creditore, per conseguire quanto gli è dovuto, fa espropriare i beni del debitore).
Diritti assoluti: garantiscono al titolare un potere che egli può far valere verso tutti i consociati (senza la
cooperazione di un altro soggetto).Correlata a questa situazione vi è il dovere, ovvero i consociati hanno il
dovere di astenersi dal ledere il mio diritto.
I caratteri sono l’immediatezza (il mio diritto lo esercito con un contatto immediato sulla cosa ( il diritto di
proprietà ne è il classico esempio) e l’assolutezza. (questo mio interesse è tutelato nei confronti della
generalità dei consociati)
Tipici diritti assoluti sono i diritti reali e i diritti della personalità
Azioni a tutela: se il diritto di proprietà è disturbato si ha la rivendica e altre azioni a difesa chiamate di
petizione.
Se un soggetto viola l’obbligo trova applicazione la responsabilità extra contrattuale.
Diritti relativi: garantiscono al titolare un potere che egli può far valere solo verso un determinato soggetto
(soggetto passivo) (esempio: se vanto un credito nei confronti di un altro soggetto, posso soddisfare il mio
diritto solo se il debitore paga).
Correlata a questa situazione è l’obbligo di cooperare (l’esempio è appunto è il diritto di credito).
I caratteri sono la mediatezza (necessità della collaborazione del debitore) e la relatività (posso far valere il
diritto di credito esclusivamente nei confronti del debitore il quale è l’unico che può soddisfare o ledere il
mio diritto.
Tipici diritti relativi sono i diritti di credito
Azioni a tutela: condanna per inadempimento, risoluzione del contratto per inadempimento a quel
contratto.
Se il debitore viola l’obbligo trova applicazione la responsabilità contrattuale
ART. 1218 RESPONSABILITA’ DEL DEBITORE
“Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non
prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da
causa a lui non imputabile”.
ART. 2043 RISARCIMENTO DEL FATTO ILLECITO
“ Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso
il fatto a risarcire il danno.”.
•
Il rovescio, sia nei diritti assoluti che reali, è costituito dalla Soggezione es. se richiedo la divisione di un
bene indiviso gli altri proprietari non possono opporsi parliamo di Diritti potestativi essi consistono nel
potere di operare il mutamento della situazione giuridica di un altro soggetto (es. il proprietario di un
fondo può richiedere la comunione forzosa o la prelazione) il soggetto passivo si trova in uno stato di
soggezione,non può fare nulla,subisce l’iniziativa del titolare del diritto. Quando esercito questo diritto il
soggetto non è tenuto ad alcun comportamento ma subisce l’esercizio del mio diritto; posso mutare la sua
situazione con una mia dichiarazione
I diritti personali di godimento godono invece di una duplice natura sono diritti assoluti perchè nessuno deve
turbare tale godimento della cosa e relativi verso chi ha concesso il godimento
L’ordinamento stesso protegge provvisoriamente contro la violenza e il dolo altrui anche la situazione di fatto in
cui il soggetto può trovarsi rispetto ad un bene ed attribuisce anche ad essa alcuni effetti.
Le situazioni di fatto possono essere altresì rilevanti in tema di società, di pre-uso di un marchio, di famiglia, di
rapporti di lavoro, di mezzadria.
La figura del dovere generico di astensione incombe su tutti come rovescio della figura del diritto assoluto;
all’obbligo è tenuto il soggetto passivo di un rapporto obbligatorio, a cui fa riscontro nel soggetto attivo la
pretesa, ossia il potere di esigere il comportamento; la soggezione invece, corrisponde al diritto potestativo.
Da queste situazioni passive si deve distinguere la figura dell’onere. La norma impone al soggetto di tenere un
certo comportamento,cui è subordinato l’esercizio di un diritto,sono titolare del diritto,ho un potere,però ho anche
un onere,se non faccio una cosa non esercito il diritto. Quest’ultimo ricorre quando ad un soggetto è attribuito un
potere, ma l’esercizio di tale potere è condizionato ad un adempimento (che però, essendo previsto nell’interesse
dello stesso soggetto, non è obbligatorio e quindi non prevede sanzioni per l’ipotesi che resti non attuato).
Es. Clausola risolutiva espressa:si verifica l’inadempimento dell’obbligazione,il contratto è irrisolto. Perchè si
verifichi però c’è bisogno di una dichiarazione dell’altro contraente di doversi avvalere della clausola risolutiva
stessa,non basta l’inadempimento dell’obbligazione.La dichiarazione costituisce l’onere,può non farlo,ma se non
lo fa non ottiene la risoluzione del contratto.
Altro es. il compratore che intende avvalersi della garanzia per i vizi della cosa vendutagli ha l’onere di
denunciare i vizi della cosa entro otto giorni.
L’onere è quindi il comportamento cui la parte è tenuta perché si verifichi un certo assetto di interesse.
L’onere è diverso dal dovere, dall’obbligo, dalla facoltà; l’onere è un comportamento imposto per il
raggiungimento di certi effetti.
ONERE DELLA PROVA: è un concetto diverso che non ha nulla a che vedere con l’onere di cui sopra, è più un
procedimento. Se formulo una domanda al giudice per tutelare un mio diritto devo dare la prova dell’esistenza di
una fattispecie concreta.
Esempio: mi rivolgo al giudice e dico che ho stipulato un contratto di somministrazione ed il somministrato non
mi ha pagato, chiedo la risoluzione del contratto per inadempimento. Ho l’onere di dimostrare che: 1) ho stipulato
il contratto 2) ho eseguito la prestazione (questo è l’onere della prova); dal canto suo il somministrato deve, di
fronte a questa prospettazione, dimostrare di aver adempiuto ( anche questo è l’onere della prova). La prova
incombe a colui il quale fa un’affermazione.
Le parti in giudizio vengono chiamate Attore ( deve dimostrare i diritti ) e Convenuto (deve dimostrare i fatti
esecutivi).
Il rapporto giuridico si costituisce quando un soggetto attivo acquista il diritto soggettivo. L’acquisto può
essere di due specie:
A titolo derivativo il diritto che apparteneva ad una persona passa ad un'altra questo fenomeno si chiama
successione colui che per effetto di esso perde il diritto si chiama autore o dante causa; chi lo acquista si
chiama successore o avente causa.
Se compro un immobile da chi è proprietario compio un acquisto a titolo derivativo.
L’acquisto può essere Derivativo Traslativo,quando passa da un soggetto all’altro lo stesso
diritto(Trasferimento di proprietà) oppure Derivativo Costitutivo,quando il diritto è di natura differente.
(Trasferimento di godimento o usufrutto)
In entrambi i casi il nuovo soggetto ha lo stesso diritto che aveva il precedente titolare.
La successione può essere:
- a titolo universale, (nell’ordinamento italiano si verifica solo nel caso di fusione tra società e morte di
una persona) quando una persona subentra in tutti i rapporti di un’altra persona, e, cioè, sia nella posizione
attiva (es. diritti di proprietà) sia in quella passiva (es. onorare i debiti);
- a titolo particolare, quando una persona subentra solo in un determinato diritto o rapporto (es. il legatario
che subentra nella titolarità dei diritti di un defunto solo in determinati rapporti).
A titolo originario quando il diritto soggettivo sorge a favore di una persona senza essere trasmesso da
nessuno ovvero non c’è collegamento con altro titolare di diritto. Per es. il pescatore che fa propri i pesci
caduti nella rete fa un acquisto a titolo originario;
quale la titolarità del diritto passa da un soggetto “dante causa” ad un soggetto “avente causa”.
La vicenda finale di un rapporto è la sua estinzione.
Il rapporto si estingue quando il titolare perde il diritto senza che questo sia trasmesso ad altri (es. un animale
lasciato in libertà, o le merci gettate in mare per salvare la nave in pericolo di affondare)
Non di tutti i diritti soggettivi è consentito al titolare disfarsi o trasferendoli ad altri o rinunziandovi. Oltre ai
diritti disponibili ci sono i diritti indisponibili che sono in genere i rapporti che servono a soddisfare un interesse
superiore: tali le potestà e i diritti familiari.
Gli interessi legittimi
In taluni casi, l’osservanza di una disposizione interessa determinati individui non più genericamente quali
cittadini, bensì specificamente come portatori di interessi coinvolti dall’azione pubblica. In questi casi al privato
viene riconosciuto uno specifico potere di controllo sull’attività della pubblica amministrazione nonché un potere
di impugnare gli atti eventualmente viziati.
L’interesse legittimo è l’interesse che ci sia rispetto delle regole di funzionamento da parte della Pubblica
Amministrazione E’ diverso dal Dir Soggettivo perché il privato non è titolare di un diritto protetto da norme di
relazione ma richiede un rispetto delle regole ricordando che nei confronti del potere, accordato laddove prevale
l’interesse pubblico, il privato si trova in una situazione di soggezione.. La situazione giuridica dei portatori di tali
interessi qualificati viene definita come “interesse legittimo” (il candidato ad un concorso non ha diritto di
vincerlo, ma ha un interesse legittimo al regolare svolgimento della gara e può quindi chiedere l’annullamento di
tutti gli atti che siano illegittimi per i relativi vizi che possono essere di incompetenza di violazione della legge o
di eccesso di potere.)
Anche la lesione di un interesse legittimo può costituire fonte di danno risarcibile
IL SOGGETTO DEL RAPPORTO GIURIDICO
Le situazioni giuridiche soggettive fanno capo ai soggetti.
L’idoneità ad essere titolari di situazioni giuridiche soggettive viene definita capacità giuridica: essa
compete alle persone fisiche agli enti (si distinguono tra enti che sono persone giuridiche (società di capitali
associazioni riconosciute ecc ovvero che hanno autonomia patrimoniale perfetta cioè delle obbligazioni risponde
solo l’ente con il suo patrimonio) e enti non dotati di personalità (ad es. associazioni non riconosciute società di
persone ad altre strutture organizzate)
La capacità giuridica è l'attitudine di un soggetto ad essere titolare di diritti e doveri o più in generale di
situazioni giuridiche soggettive.
La capacità giuridica è tutelata dall’art. 22 della Costituzione, secondo cui “nessuno può essere privato della
capacità giuridica per motivi politici”.
La capacità giuridica compete a tutti gli uomini indifferentemente sembrerebbe un ovvietà ma si tratta di una
conquista relativamente recente (ancora nel periodo della rivoluzione francese il diritto distingueva tra i soggetti
appartenenti a diverse religioni tra soggetti nobili e plebei ecc.)
La personalità giuridica consiste nell'avere il diritto all'esercizio della capacità giuridica.
Esistono delle limitazioni alla capacità giuridica legate all’età, alle condizioni di salute, alla sussistenza di
condanne penali e all’esercizio di diritti detti “personalissimi” (ovvero attivabili solo da chi ne è titolare e non da
un eventuale sostituto) che fanno decorrere la capacità giuridica a partire da un momento successivo. È necessario
ad esempio avere compiuto sedici anni per contrarre matrimonio
L’incapacità speciale è la preclusione del soggetto rispetto a determinati rapporti giuridici può essere:
Assoluta = Al soggetto è precluso quel atto es. non posso avere un rapporto di lavoro prima dei 15 anni
Relativa = Al soggetto è precluso quel atto solo con determinate persone
es. il mio tutore se persona estranea alla mia genie parentale non può succedermi per testamento, oppure un
avvocato che assista una controparte in una controversia che ha ad oggetto un bene immobile, l’avvocato non può
diventare il proprietario dell’immobile (nemmeno per interposta persona); questa è limitazione della capacità
giuridica; poiché limita appunto la possibilità di acquistare un diritto.
Si chiamano speciali in quanto il rapporto non è accessibile neanche tramite l’intervento di un rappresentante e
l’atto diviene nullo o annullabile questo per porre un divieto a persone che hanno una certa potestà di carattere
pubblico, non posso rendersi cessionari di questi beni (si evitano abusi).
La capacità di agire è l'idoneità di un soggetto a porre in essere atti giuridicamente validi che consentano al
soggetto di acquisire ed esercitare diritti o assumere ed adempiere obblighi
Con la maggiore età di acquista la capacità di compiere tutti gli atti. (Soprattutto atti negoziali)
Si distingue quindi capacità giuridica generale di essere titolare dei diritti e la capacità di esercitare questi diritti.
(es. il bimbo di 3 anni può essere proprietario di un immobile ma non lo può vendere)
Due deroghe: a) rapporto di lavoro a 16 anni
b) se lavoro a 16 anni posso esercitare i diritti che nascono dal contratto di lavoro.
I genitori sono i legali rappresentanti del minore (potestà = diritto/dovere) l’atto deve essere nell’interesse dei
figli.
Oltre alla capacità d’agire occorre la capacità negoziale ovvero l’idoneità a porre in essere in proprio atti
negoziali (vendere, comprare) da non confondere con la capacità extranegoziale che riguarda l’idoneità a
rispondere delle conseguenze dannose degli atti posti in essere.
La capacità di agire può essere limitata a causa di infermità: Interdizione, Inabilitazione, Amministrazione di
sostegno.
La legittimazione è l’idoneità del soggetto ad esercitare e/o disporre di un determinato diritto. Legittimato è chi
ha il potere di disposizione rispetto ad un determinato diritto, o, chi è qualificato o ha veste per esercitarlo (es.
sono proprietario di un bene lo posso vendere)
Non sempre il difetto di legittimazione invalida l’atto a volte ci si accontenta dell’apparenza (es. se acquisto un
bene mobile da chi non ne è proprietario acquisto ugualmente la proprietà anche se senza mia colpa ignoravo che
il bene non appartenesse al venditore)
A) LA PERSONA FISICA
La capacità giuridica si acquista alla nascita si perde alla morte.
Si ha nascita con l’ inizio della respirazione polmonare
Il nascituro và dichiarato entro 10 giorni all’ufficiale dello stato civile per la formazione dell’atto di nascita
La capacità giuridica si acquisisce anche senza vitalità ossia idoneità fisica alla sopravvivenza è sufficiente che
staccato il feto dal grembo materno ci sia stato un respiro. Se “nasce morto” non ha acquistato diritti.
Talune posizioni giuridiche sono tutelate anche a favore di chi seppur non ancora nato sia però concepito:si
presume concepito al tempo dell’apertura della successione che è nato entro 300 gg. dalla morte della persona
della cui successione di tratta.
Il concepito può ricevere per donazione e può essere titolare di diritti risarcitori una volta nato (es. condotta
imperita dell’ostetrico oppure diritto al risarcimento del danno per l’assassinio del genitore)
I diritti che la legge riconosce sono ovviamente subordinati all’evento della nascita.
Ricordiamo che possono inoltre ricevere per testamento e per donazione i figli di una determinata persona vivente
al tempo della morta del testatore, benché non ancora concepiti.
Si ha morte con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo
Il morto và dichiarato entro 24 ore all’ufficiale dello stato civile per la formazione dell’atto di morte
Entro le 24 ore la morte è dichiarata all’ufficiale dello stato civile per la formazione dell’atto di morte, Con la
morte alcuni rapporti facenti capo al defunto si estinguono (es. il matrimonio).
L’accertamento del momento della morte è importante ai fini della disciplina dei trapianti.
Se due persone muoiono nello stesso sinistro, può avere talora rilevanza stabilire quale delle sue sia morta prima
Commorienza: La legge stabilisce che, quando un effetto giuridico dipende dalla sopravvivenza di una persona a
un'altra e non consta quale di esse sia morta prima, tutte si considerano morte nello stesso momento. La norma ha
rilievo quando i beneficiari di una assicurazione vita o infortuni vengono indicati nelle persone degli "eredi
legittimi e/o testamentari".
Nel diritto civile, con l’espressione “incapacità legale” si indicano le situazioni in presenza delle quali si
presume legalmente che un soggetto non sia in grado di avere quella capacità di discernimento tipica di un
individuo adulto
La minore età, l’interdizione giudiziale e l’interdizione legale sono incapacità assolute precludono cioè il
compimento di qualsiasi atto negoziale
L’inabilitazione, l’emancipazione e l’amministrazione di sostegno sono incapacità relative lasciano permanere
una capacità negoziale
L’incapacità è detta “legale” in quanto deriva da situazioni stabilite dalla legge e sussiste indipendentemente dal
fatto che nella realtà un minore sia ad esempio particolarmente maturo e quindi capace di valutare gli effetti
giuridici delle proprie azioni oppure un interdetto sia momentaneamente lucido.
Ricordiamo che:
Incapacità assoluta- nullità
Incapacità relativa- annullabilità
Differenza fondamentale tra NULLITA’ e ANNULLABILITA’.
NULLITA’= può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse;
ANNULLABILITA’= può essere fatta valere da una delle parti del negozio che è tutelata dalla norma.
Sono istituiti a loro protezione gli istituti:
•
•
•
•
•
•

della minore età
dell’interdizione giudiziale e legale
dell’inabilitazione
dell’ emancipazione
dell’ amministrazione di sostegno
dell’incapacità naturale
La minore età
Con la legge 8 marzo 1975 la maggiore età è fissata al compimento del 18° anno.
Con essa si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non è richiesta un’età diversa
Gli atti posti in essere da un minorenne sono, di regola, annullabili, a meno che il minore abbia, non soltanto
dichiarato, falsamente, di essere maggiorenne, ma addirittura abbia con raggiri occultato la sua minore età.
L’atto annullabile può essere impugnato entro 5 anni dal rappresentante legale del minore o dallo stesso
minorenne quando sia divenuto maggiorenne. Non può mai, viceversa, essere impugnato dalla controparte
maggiorenne (si parla perciò di negozi claudicanti).
I minori possono comunque stipulare contratti (comprare biglietti dell’autobus ecc.) altrimenti si avrebbe una
dannosa emarginazione dal contesto sociale.
La gestione del patrimonio spetta ai genitori (il genitore che stipula atti negoziali nell’interesse del minore
sostituisce il minore e quindi è un tutore ) congiuntamente per gli atti straordinari es. vendere la casa del minore
(occorre comunque l’autorizzazione del giudice tutelare) e disgiuntamente per gli ordinari (es. riscuotere il
canone di locazione dell’abitazione di cui il minore è proprietario)
Se entrambi i genitori sono morti viene nominato un tutore a cui occorre l’autorizzazione del giudice tutelare per
alcuni atti (es. acquistare beni non necessari alla vita quotidiana riscuotere capitali accettare o meno un eredità) e
l’ autorizzazione del tribunale per altri (es. alienare beni o costituire ipoteche).
Si può procedere con la pratica per l’interdizione o l’inabilitazione già un anno prima che il minore diventi
maggiorenne e nel caso di accoglimento l’effetto si avrà dal 1° giorno successivo al compimento della maggiore
età.
 L’interdizione giudiziale
“Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li
rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro
adeguata protezione.”
In condizione di abituale infermità di mente = questo differenzia l’interdizione da altri istituti come
l’amministrazione di sostegno (infermità psichica o fisica provvisoria)
Incapacità di provvedere ai propri interessi = capacità di intendere e di voler, incapacità di autodeterminazione;
Possono richiedere l’ interdizione qualora lo ritengano necessario, il coniuge o i parenti entro il 4° grado, o gli
affini entro il 2° grado, o il tutore o il curatore, ovvero il Pubblico Ministero.
Rappresentante = colui il quale pone in essere un negozio giuridico in nome e per conto di un altro soggetto.
Gli atti compiuti dall’interdetto, dopo la sentenza di interdizione possono essere annullati (I contratti sono sempre
annullabili perché la sentenza è pubblica quindi è a carico del contraente controllare che l’altro soggetto non sia
interdetto: vi è un sistema di pubblicità.) egli come il minore può compiere solo atti necessari a soddisfare le
esigenze della propria vita quotidiana.
Annullabile: il contratto produce i suoi effetti che vengono poi annullati a seguito della sentenza del giudice; il
tutore può rimuovere gli effetti di un atto così come gli eredi (questi subentrano nella stessa posizione); il tutore e
gli eredi quindi pongono nel nulla gli effetti dell’atto posto in essere dall’interdetto.
L’interdizione preclude al soggetto il matrimonio il riconoscimento dei figli naturali la possibilità di fare
testamento.
L’interdizione giudiziale è perciò l’effetto di un provvedimento del giudice che accerta lo stato di inidoneità della
persona a curare i propri interessi sia economici che extrapatrimoniali (es. la cura della propria salute)
L’ interdetto non può compiere atti né di ordinaria né di straordinaria amministrazione.
Questa norma individua quali sono i soggetti che possono agire per interdire o inabilitare un soggetto. Quando c’è
una domanda di interdizione o inabilitazione si avvia un processo, si apre un’istruttoria, durante il quale il giudice
fa degli accertamenti, visita direttamente il soggetto che deve essere assoggettato al procedimento, si può
avvalere di un consulente tecnico d’ufficio.
Soggetto che in primo luogo è assistito da amministratore dopo invece si preferisce lo stato di interdizione. Sono
infatti provvedimenti che fa il giudice di volontaria giurisdizione, si chiama a cavallo di amministrazione e
giudizio perchè il giudice è amministratore e giudice allo steso tempo perchè non và a risolvere un conflitto di
interesse ma gli viene fatta una richiesta. L’ interesse è unico quello del soggetto privo di autonomia quindi è un
tutore di giurisdizione
L’inabilitazione e l’interdizione producono i loro effetti dal giorno della pubblicazione della sentenza
se il procedimento si conclude con un rigetto il curatore o il tutore restano in carica fino a quando il rigetto passa
in giudicato (non c’è più possibilità di gravame, cioè non si può più fare appello), questo perché esistono tre gradi
di appelli
L’interdizione può essere revocata se manchino i presupposti, con sentenza del tribunale e produce i suoi effetti
solo con il passaggio in giudicato.
Il tutore è il legale rappresentante dell’interdetto.
TUTORE = Colui che sostituisce la volontà del soggetto interdetto. Ogni volta che il tutore compie un atto deve
avere l’autorizzazione del giudice;
 L’inabilitazione
“ Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quali non è talmente grave da far luogo all’interdizione, può
essere inabilitato. Possono anche essere inabilitati coloro che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande
alcooliche o di stupefacenti, espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. Possono infine essere
inabilitati il sordomuto e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto un’educazione
sufficiente, salva l’applicazione dell’articolo 414 quando risulta che essi sono del tutto incapaci di provvedere ai
propri interessi.”
Se l’infermità non è grave il giudice pronuncia l’inabilitazione.
Possono essere inabilitati anche coloro che abusano di alcool o di stupefacenti poiché questa prodigalità
(propensione a spendere in maniera esagerata rispetto alle proprie condizioni economiche) espone gli stessi e la
loro famiglia a gravi danni economici.
Possono essere inabilitati il sordomuto o il cieco ma se questi non del tutto incapaci di provvedere ai propri
interessi allora saranno interdetti.
Dalla norma si evince che, se anche il provvedimento è iniziato per chiedere l’interdizione il giudice può, fatti i
dovuti accertamenti, reputare che il soggetto non abbia un’infermità talmente grave e può procedere pertanto
all’inabilitazione; nel caso in cui con il provvedimento si richieda l’inabilitazione, il giudice riscontrando una
grave infermità può richiedere l’interdizione; nel caso in cui il giudice non riscontri né interdizione né
inabilitazione può richiedere l’amministrazione di sostegno. Il codice è stato novellato nel 2004 con la figura
dell’amministrazione di sostegno.
“ Non si può pronunziare l’interdizione o l’inabilitazione senza che si sia proceduto all’esame dell’interdicendo o
dell’inabilitando.
Il giudice incontra il soggetto del procedimento, fa le sue valutazioni e nel caso lo ritenga opportuno può farsi
assistere da un consulente tecnico. Quando il procedimento di interdizione o inabilitazione è ritenuto abbastanza
urgente dalla persone che ne hanno fatta domanda sono direttamente loro a portare, in prima udienza, le persone
che il giudice può ascoltare.
Il giudice si muove come meglio crede, interroga d’ufficio e indaga con ogni strumento che ritenga opportuno.
Dopo l’indagine si nomina un tutore per l’intedetto o un curatore per l’inabilitato.
Per ottenere l’annullamento degli atti deve risultare la malafede.
Questa azione di annullamento si prescrive in 5 anni
Il curatore è il rappresentante dell’interdetto.
CURATORE = Integra la volontà dell’inabilitato; perché quest’ultimo ponga in essere un negozio giuridico
valido, deve partecipare nell’atto anche la volontà del curatore.
 L’amministrazione di sostegno
L’amministratore di sostegno è una figura istituita per quelle persone che, per effetto di un’infermità o di una
menomazione fisica o psichica,(non si parla di fisica nell’interdizione giudiziale ma solo psichica) si trovano
nell’impossibilità, anche parziale o temporanea,(quindi l’amministratore di sostegno può essere istituito a tempo
determinato) di dover provvedere ai propri interessi
A differenza del interdetto che diventa incapace di agire il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli
atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno che è
nominato dal giudice tutelare nel luogo in cui egli ha la residenza o il domicilio.
E’ un istituto introdotto con la legge n 6 del 2004 quindi attraverso la tecnica della novellazione, cioè questo
nuovo istituto è entrato direttamente nel c.c. attraverso modifiche dello stesso.
L’amministratore di sostegno è un tutore delle persone dichiarate non autonome, anziane o disabili. Viene
nominato dal giudice tutelare e scelto, dove è possibile, nello stesso ambito familiare dell’assistito.
I poteri dell'amministratore di sostegno vengono annotati a margine dei registri di stato civile, al fine di consentire
a terzi il controllo sul suo operato. Dura dieci anni, ma può essere rinnovato.
Si presenta la richiesta al giudice tutelare della propria zona di residenza o anche domicilio e entro sessanta giorni
dalla data di presentazione della richiesta, il giudice provvederà alla nomina dell'amministratore. Il suo decreto
diventa immediatamente esecutivo gli atti da lui posti in essere in violazione delle disposizioni di legge vengono
annullati. Inoltre i responsabili dei servizi sanitari e sociali, se a conoscenza di fatti tali da rendere necessario il
procedimento di amministrazione di sostegno, devono fornirne notizia al pubblico ministero. I giudici tutelari si
trovano presso ogni Procura della Repubblica. Esiste anche il registro comunale degli amministratori di sostengo,
il primo registro è nato a Roma dopo una fase di sperimentazione.
 L’incapacità naturale
Incapacità naturale è l’ incapacità di intendere o di volere sottolineiamo o comporta che è sufficiente una delle
particolarità affinché la disciplina del 428 sia applicabile
INTENDERE inidoneità di comprendere il valore dell’atto che si sta compiendo
VOLERE inidoneità di volere gli effetti dal atto che si pone in essere
basta una delle due per rendere applicabile l’incapacità naturale
Può essere transitoria o permanente
permanente es. : handicap ma i genitori non hanno mai richiesto l’ interdizione o l’ amministratore di sostegno
così se compie un atto interviene il 428. Molte volte si ritiene che l’ Incapace naturale sia solo transitorio, ad
esempio perchè una sera ci si sia ubriacato o assume stupefacenti ….
L’ordinamento quindi tutela il soggetto incapace di capire ciò che sta facendo.
Il contratto del incapace naturale non è invalido. L ‘incapace che non è stato interdetto o perchè nessuno lo ha
richiesto o perchè transitorio in questo caso il contratto è annullabile solo se vi è la malafede dell’ altro
contraente che si era reso conto del ‘incapacità e ha comunque stipulato il contratto .
La buonafede è tutelata per il principio della libera circolazione dei beni altrimenti vi sarebbero incertezza ed
ostacoli (ogni volta non si sà se il contratto è valido o invalido).
L’onere della prova lo ha il contraente che deve dimostrare di non essere in malafede
L’impugnabilità degli ’atti:
a) per gli atti unilaterali (es. accettazione di una eredità dannosa), per l’invalidità dell’atto occorre altre
all’incapacità di intendere o di volere, che da questi atti sia derivato un grave pregiudizio a danno dell’incapace.
b) per i contratti, per l’invalidità dell’atto occorre oltre all’incapacità di intendere e di volere la malafede
dell’altro contraente.
c)
In altri atti (matrimonio,donazione e testamento) l’annullabilità è sempre accettata basta dimostrare che al
momento si era incapaci di intendere e/o volere non occorre mostrare il pregiudizio.
L’annullamento una volta riacquistata la capacità naturale può essere richiesto entro cinque anni dal compimento
 L’interdizione legale
Il codice penale, oltre all’incapacità d’agire del minore e quella dell’interdetto giudiziale, prevede un altro caso di
incapacità d’agire come pena accessoria e quindi sanzionatoria di una condanna alla reclusione per reati non
colposi (n.b. L’azione colposa è un AZIONE PREVEDIBILE MA NON VOLUTA se vado a cento all’ora con
l’auto potrei uccidere qualcuno
un azione dolosa è una AZIONE PREVEDIBILE E VOLUTA cioè scelta da chi ha commesso il delitto). non
inferiore a cinque anni per indicare questa ipotesi si parla di interdizione legale. Il condannato è in stato di
interdizione legale fino a quando dura la pena. All’interdetto legale si applicano, per la disponibilità e
l’amministrazione dei suoi beni, le norme dettate per l’interdetto giudiziale (non può compiere atti dispositivi del
suo patrimonio se lo fà sono annullabili)
Per quanto riguarda gli atti a carattere personale (matrimonio testamento ecc. nessuna incapacità
consegue all’interdetto legale)
 L’emancipazione
Emancipazione è lo status di limitata capacità di agire che un minorenne avendo compiuto i 16 anni si trova per
essere stato ammesso a contrarre matrimonio. Si ha capacità di agire per gli atti di ordinaria amministrazione per
quelli straordinari occorre l’assistenza di un curatore se effettuati sono annullabili. Se l’emancipato è sposato con
una persona maggiorenne ella ne è il curatore altrimenti di solito i genitori; con l’annullamento del matrimonio
non cessa l’emancipazione
L’emancipazione cessa con il raggiungimento della maggiore età.
___________________________________________________________________________________
Le vicende più importanti della persona fisica sono documentate in appositi registri (archivi dello stato civile),
tenuti presso ogni comune.
I registri sono 4:
a)
b)
c)
d)
di cittadinanza
di nascita
di matrimonio
di morte.
Essi sono pubblici chiunque può chiedere estratti e certificati.
La rettifica di un atto la ricostruzione o la cancellazione possono avvenire soltanto in forza di un decreto motivato
dal tribunale.
I registri dello stato civile adempiono, pertanto, anche alla funzione di pubblicità-notizia delle vicende principali
della persona fisica.
LA SEDE
Il luogo in cui la persona fisica vive e svolge la sua attività ha molto rilievo specie in ambito processuale (es. per
la determinazione della competenza territoriale a anche in ambito sostanziale (es. la successione si apre nel luogo
dell’ultimo domicilio del defunto)
In relazione alle persone fisiche la legge distingue:
Il domicilio (luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi , non solo
patrimoniali ) si distingue in legale se fissato dalla legge (es. L’interdetto ha domicilio del tutore e il minore
quello del luogo di residenza della famiglia o del tutore) e volontario se eletto dall’interessato
La residenza (luogo in cui la persona ha la dimora abituale)
La dimora (luogo in cui la persona attualmente si trova).
Se i genitori non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore con il quale convive Inoltre, per
determinati affari si può stabilire un luogo diverso (domicilio speciale es. posso per un procedimento giudiziale
eleggere a domicilio lo studio del mio avvocato) da quello in cui è la sede principale dei propri affari (domicilio
generale). Mentre unico è il domicilio generale, si possono avere più domicili speciali.
LA CITTADINANZA
La cittadinanza è la situazione di appartenenza di un individuo ad un determinato Stato.
- è cittadino per nascita il figlio di madre o padre con cittadinanza italiana (acquisto originario). Anche i figli
adottivi, se stranieri, acquistano la cittadinanza italiana ove l’adottante o uno degli adottanti sia cittadino italiano,
ma naturalmente l’acquisto avviene non per nascita per effetto di adozione;
- è cittadino chi è nato nel territorio della repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi;
- acquista la cittadinanza il coniuge straniero o apolide, di cittadino italiano purché ne faccia richiesta e in quanto
o risieda da almeno 6 mesi in Italia o sia unita in matrimonio da almeno 3 anni;
- per naturalizzazione: la cittadinanza può essere concessa al cittadino di uno dei Paesi della CEE che risieda per
almeno 4 anni in Italia; all’apolide che risieda in Italia da almeno 5 anni; a qualsiasi straniero che risieda in Italia
da almeno 10 anni.
Con la nuova disciplina si è ammessa la possibilità che un cittadino abbia anche contemporaneamente un’altra
cittadinanza e si è ammessa la possibilità di riacquistare la cittadinanza anche avendola in precedenza perduta.
Art. 22 nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici
LA PERSONA NELLA FAMIGLIA
La parentela è il vincolo che unisce le persone che discendono dalla stessa persona e quindi dallo stesso stipite Ai
fini della determinazione dell’intensità del vincolo occorre considerare le linee e i gradi.
La linea retta unisce le persone di cui l’una discende dall’altra (nonno-nipote, padre-figlio);
La linea collaterale quella che, pur avendo uno stipite comune non discendono l’una dall’altra (es. fratelli, zionipote).
I gradi si contano calcolando le persone e togliendo lo stipite. Così tra padre e figlio vi è parentela di primo
grado; tra fratelli, di secondo grado tra nonno e nipote vi è parentela di secondo grado tra cugini vi è parentela di
4°grado …..
Di regola, la legge riconosce effetti alla parentela solo fino al 6° grado
L’affinità è il vincolo che unisce un coniuge e i parenti dell’altro coniuge.
Per stabilire il grado di affinità si tiene conto del grado di parentela con cui l’affine è legato al coniuge; così
suocera e nuora sono affini in primo grado; i cognati sono affini di secondo grado. Di regola la morte di uno dei
coniugi, anche se non vi sia prole, non estingue l’affinità. Questa cessa, invece, se il matrimonio è stato dichiarato
nullo.
Rimane fermo il divieto di matrimonio tra gli affini di linea retta
Tra coniugi non v’è né rapporto di parentela né di affinità ma di coniugio.
SCOMPARSA – ASSENZA – MORTE PRESUNTA
La Persona scomparsa è quella rispetto alla quale concorrono questi due elementi: l’allontanamento dal luogo
del suo ultimo domicilio o residenza e la mancanza di notizie oltre il lasso di tempo giustificato dagli ordinari
spostamenti per ragioni di lavoro svago ecc. Accertati questi requisiti, il tribunale dell’ultimo domicilio o
residenza può nominare un curatore il quale rappresenterà lo scomparsi negli atti che siano necessari per la
conservazione del suo patrimonio.
L’assenza è la situazione che si verifica quando la scomparsa della persona si protrae da oltre due anni . Essa è
dichiarata con sentenza, trascorsi due anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia della persona.
Il tribunale ordina l’apertura dei testamenti, se vi sono, e i presunti eredi, legittimi o testamentari, sono immessi
nel possesso temporaneo dei beni non possono alienarli o sottoporli ad ipoteca ma li possono amministrare e
godere con il diritto di far propri frutti e rendite.
La dichiarazione di assenza non scioglie però il matrimonio dell’assente se l’assente ritorna ha diritto alla
restituzione dei suoi beni.
La morte presunta viene pronunciata con sentenza del tribunale quando la scomparsa si protrae per un periodo di
tempo pari a 10 anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia dell’assente (termini minori sono richiesti nell’ipotesi
di scomparsa in operazioni belliche, prigionia di guerra, infortunio: in quest’ultimo caso sono sufficienti due
anni).
Gli aventi diritto possono disporre liberamente dei beni; il coniuge può contrarre nuovo matrimonio. Si applicano
i principi che l’art.128 c.c. stabilisce per il matrimonio putativo (si parla di esso quando vi è una sentenza di
annullamento del matrimonio, che ha di regola effetto retroattivo e che i coniugi ritenevano valido).
Essa tuttavia da luogo solo ad una presunzione di morte, quindi, se la persona ritorna e se ne prova l’esistenza,
recupera i beni nello stato in cui si trovano ed ha diritto di conseguire il prezzo di quelli alienati il nuovo
matrimonio contratto dal suo coniuge è invalido.
B) I DIRITTI DELLA PERSONALITA`
DIRITTI DELLA PERSONALITA’: sono un sottoinsieme dei diritti soggettivi assoluti, sono diritti previsti nel
codice civile anche se sono nati nella seconda metà del ‘900 (prima infatti esisteva una concezione
patrimonialista del codice civile e quindi tutto era incentrato sul diritto di proprietà.)
ART. 2 DELLA COSTITUZIONE
“ La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni
sociali, ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economia e sociale.”
I diritti della personalità sono:
Necessari: competono a tutte le persone
Imprescrittibili: il non uso prolungato non ne determina l’estinzione
Assoluti: in quanto implicano un dovere di astensione da parte dei consociati a lederli e sono tutelati dalla
giurisdizione.
Non patrimoniali: tutelano valori della persona non suscettibili di valutazione economica
Indisponibili: non vi si può rinunciare
DIRITTO ALLA VITA
Il diritto alla vita è il fondamentale interesse della persona umana alla propria esistenza fisica
Il diritto a nascere trova tutela immediata nei soggetti diversi dalla madre (è sanzionato chiunque cagioni
l’interruzione di gravidanza senza il consenso della donna).
Nei confronti della madre l’interruzione della gravidanza entro i primi 90 giorni è rimessa alla sua libera
determinazione mentre l’interruzione della gravidanza dopo novanta giorni è possibile se la continuazione della
gravidanza comporti un grave pericolo per la vita della donna.
Nel nostro ordinamento, il tentativo di suicidio non è sanzionabile mentre è punita la istigazione al suicidio.
( colui che con la sua condotta rafforzi i propositi suicidi) è invece punibile.
Anche chi cagioni la morte altrui con il consenso della persona interessata è punibile penalmente.
Ampiamente discussa più sul piano etico che giuridico è oggi l’ipotesi dell’eutanasia ovvero la morte cagionata a
persona affetta da malattia incurabile con il suo consenso [và quindi prendendo corpo nel nostro paese un
movimento di opinione che riconosca efficacia alle dichiarazioni rese preventivaente dal paziente (testamento
biologico)]
DIRITTO ALLA SALUTE
Art. .32 Cost. ”La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. “nessuno può essere obbligato ad un determinato
trattamento sanitario se non per disposizione di legge”: ma un trattamento sanitario può diventare obbligatorio
solo dove si tratti di neutralizzare una malattia diffusa considerata pericolosa per le sorti della collettività e di
ciascun individuo (es. vaccinazione antipoliomelitica).
Vi è un indennizzo a carico dello Stato a favore dei soggetti che siano “danneggiati da complicazioni di tipo
irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni, somministrazioni di emoderivati “.
Il singolo può acconsentire a diminuzioni transitorie della propria integrità fisica (es. trasfusione di sangue), ma
sono vietati atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità
fisica (es. un espianto di un organo).
Il paziente deve venire correttamente informato in ordine a natura ed esiti possibili dei trattamenti prospettatogli
(cd consenso informato).
La legge consente l’espianto da vivente del rene e di parti del fegato e la modificazione dei caratteri sessuali se
per pulsioni sessuali o al livello psicologico si avverta di appartenere al sesso opposto.
Il diritto alla salute compete anche al nascituro egli ha diritto di nascere sano e se vi è incuria dei medici nel
segnalare che egli non lo sarà (es. errore dell’ecografo che non segnali malformazioni congenite) la struttura
ospedaliera ne dovrà rispondere alla madre e al figlio nato con handicap
E’ consentito, il prelievo di organi e di tessuti, purché da un soggetto di cui sia stata accertata la morte e che abbia
previamente concesso il suo assenso ( che può anche solo essere presunto, dove il cittadino non abbia espresso
volontà contraria).
Il prelievo deve essere effettuato in modo da evitare mutilazioni non necessarie e dopo il prelievo il cadavere
deve essere ricomposto con la massima cura. Gli espianti devono essere finalizzati a trapianti a favore di soggetti
che ne abbiano necessità, assicurando, per la relativa scelta, criteri di trasparenza e di pari opportunità tra i
cittadini.
Le parti staccate dal corpo sono beni autonomi di proprietà del soggetto a cui appartenevano possono perciò
essere oggetto di atti di disposizione (posso vendere i capelli per farci confezionare extension)
Se si è in stato di incoscienza il medico deve provvedere a fare quanto necessario per salvargli la vita
La persona può disporre della propria salma per testamento o attraverso l’iscrizione ad associazioni riconosciute.
DIRITTO AL NOME
Il nome si comprende il prenome e il cognome esso svolge funzione di identificazione sociale della persona
Il figlio legittimo assume il cognome del padre
Il figlio naturale acquisisce il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto
I bambini non riconosciuti acquisiscono il nome a loro attribuito dall’ ufficiale dello stato civile
Il figlio adottivo acquisisce il nome del padre adottivo
La moglie aggiunge al suo cognome quello del marito lo conserva anche in vedovanza lo perde a nuove nozze e
in caso di divorzio può chiedere al giudice di mantenerlo quando sussista un interesse (ad es. è nota nell’ambiente
lavorativo con il nome del marito).
Il nome è tendenzialmente immodificabile: il mutamento di cognome può essere concesso dal ministero
dell’interno il mutamento del prenome può invece essere concesso dal Prefetto del luogo di residenza
(quest’ultima procedura semplificata si applica anche al cognome se ridicolo o vergognoso o perché rileva
l’origine naturale)
Il Nome è tutelato contro:
•
la contestazione un terzo copie atti che ostacolano l’utilizzo del nome es. il marito separato non
vuole far usare il cognome maritale
•
l’usurpazione es. un terzo utilizza un nome altrui per indicare la propria persona es. per accreditarsi
nel mondo degli affari
•
l’utilizzazione abusiva un terzo utilizza il nome altrui per identificare un personaggio di fantasia o
un prodotto commerciale
Esempio: nomi che vengono usati soprattutto nei film quando si deve ricostruire la vita di un personaggio
esistente come quelli politici, i papi, Falcone e Borsellino…molto spesso i familiari contestano come la
descrizione fatta dallo sceneggiatore non sia veritiera rispetto alla vita del personaggio si chiede così l’inibizione,
quindi o il film viene censurato o inibito o ancora si scrive che il riferimento ai personaggi è meramente casuale.
Oltre all’azione inibitoria che evita che il film venga prodotto si richiede anche un risarcimento per il danno
prodotto anche ai familiari.
In caso di contestazione per queste tre cause il soggetto può richiedere la cessazione del fatto lesivo il
risarcimento del danno e la pubblicazione su uno o più giornali della sentenza che accerta l’illecito.
Anche Lo pseudonimo (nome in cui si è conosciuti in certi ambienti) usato da una persona in modo che abbia
acquistato l'importanza del nome, è tutelato come il nome.
L’avente diritto al nome ne può concedere l’utilizzo a titolo oneroso per fini commerciali
DIRITTO ALL’INTEGRITA’ MORALE
Sotto il punto di vista dell’integrità morale, ha importanza il diritto all’onore, (insieme dei valori morali di un
soggetto) al decoro (insieme dei valori intellettuali fisici e altre qualità dell’individuo e alla reputazione
(opinione che altri hanno del soggetto) protetto oltre che sul piano penale, anche sul piano civile, specie con
l’obbligo di risarcire la vittima (anche con la pubblicazione della sentenza su uno o più giornali) se così asserisce
il giudice per ogni danno arrecato illecitamente, compresi quelli c.d. “non patrimoniali” o morali (art.2059 c.c.).
Il Diritto all’onere al decoro e alla reputazione è destinato a venire in conflitto con i diritti di cronaca e critica
giornalista: il diritto all’integrità morale cede se concorrano i presupposti della veridicità della notizia, dell’utilità
sociale dell’informazione e inoltre devono essere utilizzati toni non eccedenti lo scopo informativo ovvero privi
di insinuazioni sottintesi ecc.
Notizie lesive possono essere pubblicate se vi è l’assenso dell’avente diritto
DIRITTO ALL’IMMAGINE
E’ tutelato il diritto alla propria immagine (art.10 c.c.), intendendosi per tale sia le sembianze fisiche del soggetto
che possono essere riprese da un ritratto, sia le caratteristiche individuanti di una persona che possono risultare da
una rappresentazione cinematografica o televisiva [vietato perciò anche la rappresentazione tramite un attore un
sosia o di oggetti notoriamente utilizzati da un personaggio per caratterizzare la sua persona (es. copricapo a
zucchetto di Lucio Dalla)]
Qualora l’immagine di una persona sia esposta o pubblicata senza il consenso di questa, l’autorità giudiziaria può
disporre che cessi l’abuso (azione inibitoria), oltre al diritto del soggetto leso al risarcimento degli eventuali
danni.
Tuttavia non occorre il consenso dell’interessato quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla
notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici o culturali,
ovvero, quando la riproduzione è collegata a fatti di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
Anche il Diritto all’immagine è destinato a venire in conflitto con i diritti di cronaca e critica giornalista
(ovviamente il titolare può prestare la sua immagine a scopi sia gratuiti che onerosi).
Anche il ritratto non può essere esposto o messo in commercio in nessun caso qualora ciò rechi pregiudizio
all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata (n.b. invece l’atto in sé del ritrarre se leso
non lede il diritto all’immagine ma quello alla riservatezza)
DIRITTO ALLA RISERVATEZZA
A ciascuno va anche riconosciuto il diritto di escludere ogni invadenza estranea nella sfera della propria intimità
personale e familiare (c.d. diritto alla riservatezza).
Questo a meno che non concorra l’interesse pubblico che lo giustifichi
Con il d.lgs del 30/06/03 l’interessato può vietare il trattamento dei dati personali e ha anche il diritto di vigilare
sul loro utilizzo
Per il trattamento dei dati personali occorre il consenso espresso dell’interessato che è validamente espresso se
documentato per iscritto e se sono state fornite finalità e modalità di trattamento cui i dati sono destinati (diritto
di informativa) l’interessato ha il diritto di chiedere a chiunque conferma se detiene o meno i dati che lo
riguardano con l’indicazione dell’ origine dei dati detenuti (diritto di accesso) ha anche diritto di aggiornare
rettificare o integrare i dati che lo riguardano.
In ogni caso i dati personali devono essere trattati in modo lecito e secondo correttezza: essi sono custoditi e
controllati per prevenire i rischi di distruzione e perdita (diritto alla sicurezza dei dati)
Chiunque cagioni danni per l’esercizio improprio dell’utilizzo dei Dati personali è tenuto al risarcimento.
DIRITTO ALL’IDENTITA’ PERSONALE
Il diritto all’identità personale è il diritto a vedersi rappresentato con i propri reali caratteri (es. illegittimo è
attribuire ad un soggetto orientamenti politici diversi da quelli condivisi)
La differenza con il principio della riservatezza e con quello dell’integrità morale è che qualora essi siano
rappresentati devono esserlo nel principio della verità.
C) GLI ENTI
Tutte le situazioni giuridiche possono far capo ad un ente senza particolari limitazioni.
C’è una Soggettività dell’ente, ha una capacità giuridica.
L’ente può essere associativo, composto da una pluralità di soggetti ma si distingue dall’interesse dei soggetti e
l’interesse dell’ente (ad esempio posso diffamare un ente, ovvio che si sentiranno offese le persone che
partecipano all’ente ma c’è un interesse distinto dell’ente che è un’entità a sé, autonoma).
Gli enti possono avere la personalità giuridica (una cosa è la soggettività e una cosa è la personalità giuridica).
Personalità giuridica (si acquista con il riconoscimento): non tutti gli enti ce l’hanno, è propria di quegli enti che
hanno un’autonomia patrimoniale perfetta (autonomia patrimoniale perfetta rispetto ai soggetti che partecipano o
hanno creato l’ente). Esempio: le fondazioni riconosciute oltre ad avere un proprio patrimonio queste rispondono
solo con il proprio patrimonio.
L’ente può o non avere la personalità giuridica.
Nel nostro ordinamento dotati di soggettività giuridica sono le persone fisiche e gli enti.
E’ dotata di soggettività giuridica quel organizzazione cui l’ordinamento attribuisce la capacità giuridica di essere
titolare di situazioni giuridiche soggettive
Mentre le persone fisiche acquisiscono la personalità giuridica alla nascita solo gli enti che godono di autonomia
patrimoniale perfetta (ovvero enti dotati di un patrimonio e che rispondono delle loro obbligazioni sono con detto
patrimonio) ne sono dotate
L’ente ha una piena capacità giuridica, una piena capacità d’agire tramite gli organi rappresentativi.
Gli organi dell’ente possono essere esterni ed interni a seconda che abbiano o meno il potere di assumere impegni
con terzi in nome e per conto dell’ente stesso.
Il potere di gestione è quello di decidere una determinata operazione (acquistare o meno un macchinario) il potere
di rappresentanza è il potere di porre in essere l’operazione decisa (stipulare il contratto di acquisto del
macchinario)
Alcuni diritti della personalità (diritto alla vita e alla salute) sono propri solo della persona fisica altri (diritto al
nome all’integrità morale all’identità personale alla protezione dei dati personali) compete anche agli enti. Sia
dotati che non di personalità giuridica.
Si discute se competa o meno agli enti il diritto all’immagine: la risposta è negativa se si ritiene che quest’ultimo
abbia ad oggetto solo le sembianze esteriori della persona è positiva se si ritiene che esso possa avere ad oggetto
qualunque elemento visibile (ad. Es. uno stemma o un marchio)
Gli enti si distinguono in base ai diversi criteri di classificazione:
Persone giuridiche pubbliche e Persone giuridiche private
Tra le prime vi è innanzitutto lo Stato e poi gli altri enti pubblici territoriali (regioni, province, comuni), nonché
altri numerosi enti pubblici (Inps Inail Aci…); Gli enti pubblici possono operare attraverso strumenti di potere
pubblicistici (ad es. il comune può indennizzarmi ed espropriare la mia proprietà se necessario ai fini sociali) o
anche di strumenti privatistici (il comune può stipulare un contratto di compravendita per l’acquisto del mio
terreno).
Tra gli enti privati suddividiamo:
•
enti registrati (art. 34 e 2200 c.c. associazioni riconosciute fondazioni ecc. iscritte in un pubblico
registro accessibile a chiunque) ed enti “non registrati” (quali le associazioni non riconosciute, le società
semplici);
•
enti dotati di personalità giuridica che hanno autonomia patrimoniale perfetta ed enti privi di
personalità
•
enti a struttura associativa (organizzazione con la partecipazione di una pluralità di persone per
l’esercizio di un attività volta al perseguimento di uno scopo comune es. distribuzione degli utili) ed enti a
struttura istituzionale, ovvero organizzazioni stabili per la gestione di un patrimonio finalizzata al perseguimento
di scopi altruistici es. fondazioni che amministrano un patrimonio con le cui rendite vengono erogate borse di
studio ai meno abbienti
Tra gli enti a struttura associativa distinguiamo enti con finalità economiche,disciplinate nel libro quinto in cui
cioè gli operatori intendono appropriarsi degli eventuali utili ricavati, ed enti senza finalità economiche,
(ricordiamo tra queste le associazioni riconosciute e non, le fondazioni, i comitati riconosciuti e non e le altre
istituzioni a carattere privato )disciplinate nel libro primo in cui gli operatori, invece, si impegnano a non
distribuirsi gli utili, ma o a reinvestirli nell’impresa o a destinarli ad altri scopi non lucrativi
IL FENOMENO ASSOCIATIVO
Nell’Ottocento gli enti senza finalità economiche erano visti con una certa reticenza: questo perché si pensava che
l’accumulo di patrimoni presso organizzazioni con finalità diverse dallo scopo di lucro potesse risolversi con un
loro inefficace inutilizzo: per questo il codice predispose due modelli: quello delle associazioni riconosciute
(avevano posizione giuridica favorevole) e non riconosciute.
Le associazioni non riconosciute avevano delle limitazioni es. gli acquisti mortis causa erano preclusi e gli
ordinamenti erano rimessi agli accordi degli associati senza regolamentazione normativa esterna
Scenario del tutto diverso con la costituzione del 1948
Art. 18 “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente senza autorizzazione”
Le associazioni non riconosciute diventano ora un perno importante nella vita sociale in quanto considerate
strumento privilegiato per la partecipazione dei cittadini alla vita politica e sindacale del paese vengono perciò
tutelate e promosse (es. partiti sindacati) anche perché le associazioni non riconosciute subiscono minor
intrusione da parte dello Stato assicurando maggior libertà e democraticità all’ente stesso
Differenza tra associazione e società = L’associazione è un organizzazione collettiva che ha come scopo il
perseguimento di finalità non economiche si distingue dalla società che è finalizzata a scopi lucrativi (divisione
degli utili conseguiti attraverso l’esercizio in comune di un attività economica).
Gli associati non traggono perciò benefici economici dalla loro attività ( A volte accade indirettamente come nel
caso dei lavoratori che fruiscono dell’aumento salariale dato dalle conquiste sindacali).
Le associazioni possono svolgere attività economica per procurarsi entrate da destinare al perseguimento del loro
scopo ideale solo se saltuariamente escludendo il lucro soggettivo ovvero che gli utili vengano distribuiti tra gli
associati
L’ASSOCIAZIONE RICONOSCIUTA
L’associazione riconosciuta prende vita in forza di un vero e proprio contratto che deve rivestire la forma di atto
pubblico (è l’atto redatto generalmente dal notaio è una forma solenne, la più solenne)
L’atto costitutivo deve contenere la denominazione dell’ente, lo scopo, il patrimonio la sede norme sul
ordinamento e sul amministrazione diritti ed obblighi degli associati condizioni di ammissione: tutto questo deve
essere contenuto in un documento detto statuto
L’atto costitutivo và presentato alla prefettura unitamente alla richiesta di riconoscimento dell’associazione come
persona giuridica: la prefettura verificherà:
a) che siano soddisfatte le condizioni previste dalle norme di legge per la costituzione dell’ente
b)
che lo scopo sia possibile e lecito
c)
che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo
se il controllo risulta positivo il prefetto provvede all’iscrizione dell’associazione nel registro delle persone
giuridiche (con l’iscrizione si acquista la personalità giuridica)
Questi non sono controlli sulla meritevolezza, questi non sono consentiti, ma sono dei controlli di vera
leggittimità al fin di verificare che ci siano i requisiti minimi soprattutto in riferimento all’ autonomia
patrimoniale dell’ente.
Nel lasso di tempo tra la stipula e l’iscrizione l’associazione può operare ma come “non riconosciuta”
L’ordinamento interno deve prevedere l’assemblea (ha competenza per le modifiche dell’atto costitutivo e dello
statuto e per l’approvazione del bilancio essa delibera a maggioranza di voti in prima convocazione con la
presenza di almeno la metà degli associati in seconda con qualsiasi numero degli intervenuti maggioranze
qualificate sono richieste per le modifiche dell’atto costitutivo e per lo scioglimento dell’associazione ) degli
associati e gli amministratori (rappresentano l’associazione nei confronti dei terzi nei limiti inseriti in Statuto(es.
se occorre un immobile da locare è l’amministratore che decide quale adibire allo scopo e finalizzare la
transazione)
L’associazione ha un suo patrimonio e può effettuare liberamente qualsiasi tipo di acquisto
Gli associati non hanno diritto sul patrimonio dell’associazione
La responsabilità delle obbligazioni verte sul patrimonio della società quindi sulle obbligazioni del singolo non
risponde la società e sulle obbligazioni della società non risponde il singolo
All’accordo associativo si può aderire in un secondo momento si dice perciò che l’associazione è aperta
all’adesione di terzi l’accoglimento della domanda è subordinato a valutazione degli organi competenti
L’associato ha diritto a rimanere nell’associazione può essere escluso per gravi motivi ed in forza di una delibera
motivata dall’assemblea
Per esigenze di tutela della libertà individuale l’associato può recedere in qualsiasi momento; se ha assunto
l’obbligo di rimanere per un tempo determinato deve motivare il recesso anticipato solo se ricorra giusta causa
L’associazione si estingue per delibera assembleare per raggiungimento dello scopo impossibilità della sua
realizzazione o venir meno di tutti gli associati.
Il verificarsi di una delle cause di estinzione è accertata dal prefetto su istanza di chiunque interessato che ne
faccia richiesta o anche d’ufficio.
Una volta dichiarata l’estinzione si procede alla liquidazione del patrimonio con il pagamento de debiti esistente
chiusa la procedura di cancellazione si procede alla cancellazione dell’ente dal registro delle persone giuridiche.
L’ASSOCIAZIONE NON RICONOSCIUTA
Le associazioni non riconosciute prendono vita in forza di un atto di autonomia tra i fondatori non sono richiesti
né requisiti né forma né contenuti specifici, l’iter costitutivo si perfeziona perciò con il solo accordo tra i
fondatori.
Non deve necessariamente esserci l’atto pubblico.
Sono comunque soggetti di diritto, autonomi rispetto agli associati, dotati di patrimonio (eventuale) che prende il
nome di fondo comune.
Teoricamente l’ associazione non riconosciuta può costituirsi anche oralmente, la forma di costituzione è libera,
non ha personalità giuridica (in quanto ha un’autonomia patrimoniale imperfetta) ma soggettività giuridica (è cioè
un centro di imputazione di situazioni soggettive giuridiche) ed è titolare di un fondo patrimoniale.
L’ordinamento interno e l’amministrazione vengono integralmente rimessi agli accordi degli associati.
I contributi degli associati ed i beni acquistati con essi costituiscono il fondo comune dell’associazione Questo
fondo comune è destinato a soddisfare i creditori dell’associazione; gli associati non possono chiederne la
divisione ne pretenderne una quota parte in caso di recesso. L’associazione può effettuare liberamente qualsiasi
tipo di acquisto.
Vi è un’autonomia patrimoniale imperfetta. L’autonomia è imperfetta in quanto per le obbligazioni
dell’associazione rispondono anche, personalmente e solidalmente, non tutti gli associati ma le persone che hanno
agito in nome e per conto dell’associazione quand’anche non membri della stessa
(es. a fronte di una bolletta non pagata posso rifarmi al fondo comune e a colui o coloro che hanno stipulato il
contratto di somministrazione)
Importante è ricordare che il debitore non ha l’obbligo di escutere in prima istanza il fondo comune può anche
rivalersi in prima ipotesi su chi ha agito in nome e per conto dell’associazione.
DIFFERENZA TRA ASSOCIAZIONE RICONOSCIUTA E NON RICONOSCIUTA
Associazioni riconosciute sono quelle che hanno chiesto e ottenuto il riconoscimento dello Stato: allo Stato spetta
cioè di emettere un provvedimento, il riconoscimento appunto, che concede specifiche prerogative alle
associazioni che lo hanno chiesto e che si trovino in determinate condizioni.
Le prerogative principali che l'associazione acquista col riconoscimento sono due: la prima consiste nella
cosiddetta autonomia patrimoniale, in base alla quale il patrimonio dell'associazione si presenta distinto e
autonomo rispetto a quello degli associati e degli amministratori, e la seconda si può ritrovare nella concessione
di una limitazione di responsabilità degli amministratori per le obbligazioni assunte per conto dell'associazione.
Le associazioni non riconosciute non possono godere di tali prerogative: la loro autonomia patrimoniale non è
perfetta, inoltre per le obbligazioni assunte in nome e per conto dell'associazione rispondono anche le persone che
le hanno contratte.
Occorre quindi vedere caso per caso, a seconda di quelli che sono gli scopi dell'associazione, il numero degli
associati, l'attività che si presuma debba svolgere la complessità delle operazioni che verranno affrontate, l'entità
dei contributi che saranno versati ecc., se convenga costituire un'associazione che miri al riconoscimento o
un'associazione che di tale provvedimento possa farne a meno."
LA FONDAZIONE
La fondazione è un organizzazione stabile che si avvale di un patrimonio per il perseguimento di uno scopo
non economico.
L’atto di fondazione deve contenere: denominazione dell’ente,scopo,patrimonio,sede,norme sull’ordinamento e
sull’ammissione,criteri e modalità di erogazione delle rendite il documento contenente queste informazioni è lo
statuto.
Non esistono fondazioni di fatto; la fondazione deve essere costituita con atto solenne, l’atto pubblico è
indispensabile affinché venga riconosciuta.
In mancanza di riconoscimento le fondazioni non possono operare come fondazioni non riconosciute
Il legale rappresentante di una fondazione non può compiere atti prima dell’ottenimento del riconoscimento
questo appunto perché, come già detto, non esistono fondazioni di fatto.
Un’ altro modo per costituire una fondazione è il testamento; ovviamente diventa efficace con la morte del
soggetto, se strappo il testamento o ne faccio uno successivo, la fondazione non viene ad esistere.
Dotazione: la fondazione abbiamo visto deve avere un fondo e abbiamo detto che ruota attorno ad un fondo
patrimoniale che è assoggettato al vincolo di destinazione (cd atto di dotazione) ovvero il perseguimento dello
scopo indicato dal fondatore)
Tradizionalmente si fanno le fondazioni per tramandare il ricordo della famiglia e allora si destinano dei beni (che
possono essere immobili, denaro) destinati ad un certo scopo.
Le università ne hanno molte di dotazioni.
Le fondazioni, come le associazioni, non possono esercitare attività di impresa.
La fondazione è gestita da un organo amministrativo e di regola non ha assemblea essa ha un suo patrimonio con
cui risponde solo con quest’ultimo delle obbligazioni (autonomia patrimoniale perfetta).
La fondazione può essere trasformata perché lo scopo può diventare non perseguibile, questo però solo se lo
statuto lo prevede, in caso contrario la fondazione viene estinta, si apre la fase della liquidazione in cui avviene la
dismissione di quanto di proprietà dell’ente che non può proseguire la sua attività.
Il fondatore può prevedere che nel verificarsi delle cause di scioglimento siano devoluti i beni della fondazione a
terze persone in mancanza di questo sarà l’autorità governativa d’ufficio ad attribuire i beni ad altri enti che
hanno fini analoghi.
Le fondazioni un tempo svolgevano esclusivamente attività che si limitavano alla mera gestione del patrimonio
con il devolvere delle rendite alle finalità previste (cd fondazioni di erogazione); oggi è pacificamente ammesso
che esse svolgano anche attività di impresa o per ricavare utili destinati allo scopo non lucrativo o per realizzare
immediatamente il proprio scopo istituzionale.
Fino a tempi relativamente recenti la fondazione ha avuto importanza marginale mentre ai giorni d’oggi la rinata
disponibilità di cittadini ed imprese a destinare risorse a fini d’utilità sociale senza la mediazione politica ha
trovato nella fondazione uno strumento duttile ed efficiente (es. La Fondazione TELETHON) in più nell’ambito
delle privatizzazioni si è imposto il fenomeno della trasformazione di singoli enti pubblici in fondazioni (es. il
centro sperimentale per la cinematografia si è trasformato nell’omonima fondazione) e di intere categorie di enti
pubblici in fondazioni (es. gli enti lirici e le istituzioni concertistiche divenute fondazioni liriche-sinfoniche).
Aggiungiamo che la legge prevede che possano assumere la veste di fondazioni anche i cd fondi pensione e le
casse di previdenza sociale ed assistenza
COMITATO
Il comitato è un organizzazione di più persone che attraverso una raccolta pubblica di fondi costituisce un
patrimonio con il quale realizza finalità di natura altruistica
Il comitato nasce da un accordo di tipo associativo in forza del quale più soggetti (promotori)si vincolano
all’esercizio in comune di un attività di raccolta tra il pubblico di mezzi con cui successivamente realizzeranno il
programma enunciato..
L’attività del comitato si articola in due fasi:
a)
i promotori annunciano al pubblico la volontà di perseguire un determinato scopo (es. soccorrere i
terremotati) invitando gli interessati (sottoscrittori) ad effettuare offerte in denaro o in altri beni (es. medicinali
per i terremotati) le cd oblazioni
b)
i stessi promotori normalmente indicati nel programma gestiscono i fondi raccolti
Il patrimonio del comitato è composto dai fondi pubblicamente raccolti: su questi fondi grava il vincolo di
destinazione allo scopo programmato (solo l’autorità governativa può dare alle oblazioni un'altra destinazione)
Art. 39 lo scopo del comitato deve essere di pubblico interesse o comunque altruistico,non è necessario che sia di
durata limitata nel tempo anche se spesso questo si verifica.
Il comitato può vivere sia come ente non riconosciuto (degli obbligazioni rispondono anche i componenti del
comitato)che riconosciuto ottenendo così la personalità giuridica dotandosi perciò di autonomia patrimoniale
perfetta.
I sottoscrittori sono tenuti solo ad effettuare le oblazioni promesse (art.41)
•
Art. 42 Qualora i fondi raccolti siano insufficienti allo scopo, o questo non sia più attuabile, o,
raggiunto lo scopo, si abbia un residuo di fondi, l'autorità governativa stabilisce la devoluzione dei beni, se questa
non è stata disciplinata al momento della costituzione.
ALTRE ISTITUZIONI
Personalità giuridica è riconosciuta agli enti ecclesiastici appartenenti alla chiesa cattolica.
Poiché la legge annovera tra gli enti privati anche le altre istituzioni di carattere privato l’opinione prevalente
sembra ammettere la possibilità della costituzione di enti caratterizzati dalla combinazione di più modelli
organizzativi tipici (es. associazione e fondazione)
E’ sempre più frequente il ricorso alla Fondazione di partecipazione si pone come figura intermedia tra le
fondazioni e le associazioni, perché coniuga l’aspetto patrimoniale, proprio delle prime con quello personale delle
seconde.
Infatti, a fianco dell’esistenza di un patrimonio vincolato ad uno scopo, esiste in questa particolare tipologia di
Fondazione la possibilità che l’elemento patrimoniale si associ con l’elemento personale e, quindi, con la
possibilità di nuove adesioni: è possibile, infatti, anche in un momento successivo rispetto a quello dell’atto
costitutivo della Fondazione, diventare “soci” della medesima, conferendo contributi in denaro ovvero in servizi,
ovvero anche solo attraverso la prestazione di un’attività professionale, o prestazioni di lavoro volontario o beni
materiali o immateriali, nella misura e nelle forme determinate dal Consiglio di gestione.
IL TERZO SETTORE
Il terzo settore consiste nella realizzazione di attività di utilità sociale ad opera di enti senza fini di lucro (cd
enti no profit) espressione della cd società civile.
Sono stati molti gli interventi normativi atti a promuovere e sostenere il terzo settore si ricordano: le associazioni
di volontariato le cooperative sociali le ONLUS (organizzazioni non lucrative di utilità sociale) che possono
assumere qualsiasi forma giuridica (comitato fondazione associazione ecc.)
Và ricordato in questo ambito il principio della sussidiarietà:In tale ambito viene indicato con principio di
sussidiarietà quel principio sociale e giuridico amministrativo che stabilisce che l'intervento degli Enti pubblici
territoriali (Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni), nei confronti dei cittadini debba essere attuato
esclusivamente come sussidio (ovvero come aiuto) nel caso in cui il cittadino o l'entità sottostante sia
impossibilitata ad agire per conto proprio o il livello di servizio offerto dai privati sia inferiore al minimo
essenziale.
Si parla di sussidiarietà verticale quando i bisogni dei cittadini sono soddisfatti dall'azione degli enti
amministrativi pubblici, e di sussidiarietà orizzontale quando tali bisogni sono soddisfatti dai cittadini stessi,
magari in forma associata e\o volontaristica.
L’OGGETTO DEL RAPPORTO GIURIDICO
IL BENE
Cosa è una parte di materia; non ogni cosa è un bene
Sono beni solo le cose che possono formare oggetto di diritti, cioè quelle suscettibili di appropriazione e di
utilizzo.
Quindi non sono beni le cose da cui non si può trarre vantaggio (le stelle o il fondo del mare qual’ora non
raggiungibili e sfruttabili) né le cose di cui tutti possono fruire senza impedire la pari fruizione ad altri (la luce del
sole,i venti ecc.)
Quindi il termine bene designa un genus assai ampio diviene sinonimo di “diritto” in ambito codici stico non solo
indicando i diritti sulla res ma anche altri diritti (es. i crediti)
Le cose oggetto dei diritti reali si caratterizzano per la loro corporeità oltre che per la loro suscettibilità di
valutazione economica. Tra i beni materiali ritroviamo pure le energie naturali (energia elettrica) purché
anch’esse abbiano valore economico (art.814 c.c.).
Tra i beni immateriali vanno considerati gli stessi diritti quando possono formare oggetto di negoziazione (es. un
credito ceduto a fronte di un corrispettivo)
Le opere di ingegno (poesia, brani musicali, quadri,…) sono considerate beni immateriali (in alcuni casi vi è sia
diritto sulla res che sull’opera dell’ingegno ad es. l’autore che vende un quadro non è più proprietario della tela
ma può impedire che esso venga riprodotto)così come gli strumenti finanziari i dati personali e i contenuti della
banche dati
Sono considerati beni anche marchi le invenzioni e il know-how (patrimonio di conoscenze e informazioni
necessarie per attuare un processo produttivo).
Immobile è il suolo e tutto ciò che naturalmente (es. alberi) o artificialmente (es. edifici) è incorporato ad esso
(art.812. c.c.). L’art.812.2 c.c. considera immobili anche alcuni beni che non sono incorporati al suolo: i mulini, i
bagni e gli edifici galleggianti, quando siano uniti saldamente per destinazione permanente alla riva.
Tutti gli altri beni sono mobili
I beni registrati sono oggetto di iscrizione in registri pubblici che chiunque può liberamente consultare. Nel
nostro ordinamento sono istituiti: il registro immobiliare il pubblico registro automobilistico (PRA) il registro
relativo alle navi e ai galleggianti e il registro aereonautico nazionale (RAN)
Fungibile è il bene che può essere sostituito indifferentemente con un altro, in quanto non interessa avere proprio
quel bene, ma una data quantità di beni di quel genere. (es. banconote)
Per adempiere l’obbligazione di dare una quantità di beni fungibile e renderne proprietaria un’altra persona è
necessaria la separazione, la quale consiste nella numerazione, nella pesatura o nella misura della parte dovuta
(es. se compro un metro di stoffa ne divento proprietario quand’essa viene misurata e tagliata)
I beni infungibili sono quelli indicati nella loro specifica identità (es. l’immobile di via verdi 3)
Molto importante per i beni fungibili è ricordare l’importanza dell’aforisma “Genus numquam perit” (il genere
non si esaurisce mai) sta a significare che il diritto di credito che si vanta esula dalla reale proprietà del bene (se
mi sono obbligato a vendere un certo quantitativo di beni fungibili (es. vino) ed essi vanno perduti io non mi
libero dall’obbligazione poiché non vi è un impossibilità assoluta posso procurarmi altro vino anche
acquistandolo a mia volta per onorare l’obbligazione)
Consumabili sono quei beni che non possono prestare utilità all’uomo senza perdere la loro individualità ovvero
senza che il soggetto se ne privi (es. danaro).
Gli altri beni sono inconsumabili ovvero sono suscettibili di plurime utilizzazioni senza essere distrutti nella loro
consistenza ancorché soventemente si deteriorino con l’uso (es. i vestiti). I beni consumabili, siccome capaci di
una sola utilizzazione, sono anche detti beni di utilità (o fecondità) semplice;i beni inconsumabili, in quanto
suscettibili di una serie di utilizzazioni, sono invece detti beni di utilità (o fecondità permanente)
Altro aspetto della distinzione tra beni consumabili e inconsumabili è nella distinzione tra comodato e mutuo.
Con il comodato si consegna una cosa con l’obbligo di riconsegnare la stessa cosa ricevuta non è concepibile
rispetto ai beni consumabili (es. prestito di un libro ad un amico con l’obbligo di restituirlo) mentre con il mutuo
si ha l’obbligo di riconsegnare non la stessa cosa ricevuta ma la stessa quantità di beni dello stesso genere.
Eccezionalmente si può avere la figura del comodato di beni consumabili (es. presto denaro ad un amico che vuol
fare vedere un portafoglio rigonfio alla persona su cui vuole fare colpo)
Divisibili sono le cose suscettibili di essere ridotte in parti omogenee senza che se ne alteri la destinazione
economica (es. un edificio, un animale morto); è indivisibile, invece, il suo contrario (es. un animale vivo, un
appartamento.)
La nozione di bene divisibile assume rilievo in caso di contitolari età di diritti sul bene, se un bene è divisibile si
può sempre ottenere lo scioglimento della comunione se non lo è ciò può avere luogo solo con l’attribuzione
dell’intero ai condividenti che ne facciano richiesta con addebito dell’eccedenza a beneficio degli esclusi.
Presenti sono i beni già presenti in natura; solo questi possono formare oggetto di proprietà o di diritti reali.
Futuri sono invece i beni non ancora presenti in natura essi possono formare oggetto di rapporti obbligatori salvo
i casi in cui ciò non sia vietato dalla legge.
La ragione per cui non è concepibile un rapporto di natura reale su un bene futuro è ovvia: non si può esercitare
un potere immediato su una cosa che non esiste. Comunque può darsi che chi acquista un bene futuro non voglia
assumere nessun rischio: è perciò stabilito che, se esso non viene ad esistenza, il contratto non produce effetto e
nessun corrispettivo è dovuto dall’altra parte (es. l’acquirente dei frutti di un fondo nulla deve pagare a titolo di
prezzo se i frutti non sono prodotti.)
Del tutto diversa è, invece, l’ipotesi in cui le parti si affidano alla sorte (e perciò il contratto è detto aleatorio):
comprano ciò che si ricaverà dal getto della rete, e quindi lo stesso prezzo sarà dovuto sia nel caso che la rete esca
dal mare piena di pesci sia in quello in cui risulti vuota.
Bene semplice è quella i cui elementi sono talmente compenetrati tra di loro che non possono staccarsi senza
distruggere o alterare la fisionomia del tutto (es. un animale, un minerale, un fiore).
Bene composto è, invece, quella risultante dalla connessione, materiale o fisica, di più cose, ciascuna delle quali
potrebbe essere staccata dal tutto ed avere autonoma rilevanza giuridica ed economica (es. un autovettura è
composta dal motore la carrozzeria ecc)
Se vendo un bene composto la vendita riguarda tutti gli elementi ciò non esclude l’individualità dei singoli
elementi (nell’esempio sopra ho facoltà di vendere solo il motore della macchina).
Quando più cose appartenenti a diversi proprietari siano state unite sino a formare una cosa unica e non sono più
separabili se non con notevole deterioramento, la proprietà della cosa composta diventa, in via generale, comune
in proporzione del valore delle cose originarie, salvo il caso in cui una delle cose possa considerarsi come
principale e di maggior valore rispetto alla cosa accessoria, nel qual caso la proprietà della cosa composta è del
proprietario della cosa principale che è unicamente tenuto a corrispondere il valore della cosa accessoria al
proprietario.
Nel bene composto i vari elemento diventano parti di un tutto (es. non sussiste macchina senza motore)
Se invece una cosa è posta a servizio o ad ornamento di un’altra, senza costituirne parte integrante e senza
rappresentare elemento indispensabile per la sua esistenza, ma in guisa da accrescerne l’utilità o il pregio, si ha la
figura della pertinenza.
Per la costituzione del rapporto di pertinenza occorrono sia l’elemento oggettivo (ornamento tra cosa e cosa) sia
l’elemento soggettivo (volontà di effettuare la destinazione dell’una cosa a servizio od ornamento dell’altra)
ovvero vi è un rapporto di subordinazione.
Esempi di pertinenza di immobile ad immobile: il box di una casa
Esempi di pertinenza di mobile ad immobile: il bestiame di un fondo
Esempi di pertinenza di mobile a mobile: le scialuppe di una nave
La destinazione di una cosa al servizio o all’ornamento dell’altra fa sì che l’una cosa abbia carattere accessorio
rispetto all’altra, che assume posizione principale.
Se manca il vincolo di accessorietà, non vi è figura della pertinenza.
Il vincolo che sussiste tra due cose deve essere durevole, ossia non occasionale e deve essere posto in essere da
chi è proprietario della cosa principale ovvero ha diritto reale su di essa e non occorre che la cosa accessoria
appartenga al proprietario della cosa principale anche se spesso vi è la convinzione che il proprietario sia il
medesimo.
La cessazione della pertinenza non può essere opposta ai terzi che abbiano acquistato diritti sulla cosa principale
ovvero se un soggetto ha un diritto sulla cosa principale, non potrà perdere i diritti sulla pertinenza in caso che
questa cessi di esserlo. In pratica, se ho un diritto (ad esempio abitazione) su un appartamento con giardino,
l'appartamento è la cosa principale, il giardino una pertinenza. Se il proprietario vende il giardino (e solo quello,
art. 818 CC: "Le pertinenze possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici"), ma il mio diritto
sull'abitazione e le sue pertinenze è precedente alla vendita, ho diritto che questo resti così com'era al momento
della nascita del mio diritto di abitazione. Ovvero, la pertinenza resta tale finchè esiste il mio diritto sulla cosa
principale.
Le pertinenze seguono, di regola, lo stesso destino della cosa principale, a meno che non sia diversamente
disposto.
Se io vendo , dono , permuto un bene, il negozio si riferisce , anche alle pertinenze , pur se di queste non si fa
cenno nell'atto e naturalmente purché le parti non manifestino una diversa volontà ovvero se hai già venduto il
bene principale senza specificare che non veniva trasferita anche la pertinenza, viene tutelata la posizione del
nuovo proprietario e non puoi più rivenderla separatamente.
L’universalità di mobili è la pluralità di cose mobili che appartengono alla stessa persona e hanno una
destinazione unitaria (es. i libri di una biblioteca, le pecore di un gregge).
L’universalità di mobili si distingue dalla cosa composta perché non vi è coesione fisica tra le varie cose; si
distingue dal complesso di pertinenza in quanto le cose non si trovano l’una rispetto all’altra in rapporto di
subordinazione: l’una non è posta a servizio o a ornamento dell’altra, ma tutte insieme costituiscono una entità
nuova dal punto di vista economico-sociale: la biblioteca, il gregge.
I beni che formano l’universalità possono essere considerati a volte separatamente a volte come un tut tuno. Ciò
dipende dalla volontà delle parti (posso vendere il libro singolo o l’intera biblioteca)
Il principio “possesso vale titolo” non si applica all’universalità di mobili
Se acquisto un universalità di mobili da chi non ne è proprietario ne acquisto il possesso trascorsi 10 anni
(usucapione).
Inoltre, il possesso di un’universalità di mobili può essere tutelato con l’azione di manutenzione (art.1170 c.c.),
che non è concessa, invece, per i beni mobili.
La dottrina distingue tra universalità di fatto che è costituita da più beni mobili unitariamente considerati dal
proprietario (es. una biblioteca) ed universalità di diritto che è costituita da più beni in cui la riduzione ad unità è
operata dalla legge che considera e regola unitariamente l’insieme di detti beni e rapporti (es. l’eredità).
Il legislatore ha individuato una particolare categoria di beni i cd prodotti finanziari per assoggettarli ad una
specifica disciplina a tutela degli investitori a sua volta strumentale al buon funzionamento del mercato dei
capitali.
Tra i prodotti finanziari una posizione di particolare rilievo occupano i cd strumenti finanziari (azioni ed
obbligazioni emesse dalle società di capitali, titoli di stato ecc.)
La legge impone a chiunque intenda effettuare un offerta al pubblico di strumenti finanziari l’obbligo di
predisporre un prospetto informativo contenente in una forma facilmente analizzabile e comprensibile tutte le
informazioni necessarie affinché gli investitori possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione
patrimoniale e finanziaria e sulle prospettive dell’emittente.; il prospetto contiene anche una nota di sintesi
recante i rischi e le caratteristiche essenziali dell’offerta. Detto prospetto sottoposto al controllo della Consob
deve essere reso conoscibile al pubblico tramite pubblicazione.
Di beni pubblici si parla in due sensi:
a) beni appartenenti ad un ente pubblico ovvero ad una società denominata Patrimonio dello stato spa istituita dal
ministero dell’economia e delle finanze (beni pubblici in senso soggettivo);
b) beni assoggettati ad un regime speciale, per favorire il raggiungimento dei fini pubblici cui quei cespiti sono
destinati (ovvero fa riferimento alla natura del bene; un bene pur appartenente al patrimonio di un ente pubblico
ma non utilizzato per fini di pubblica utilità non è un bene pubblico il regime speciale si riferisce ad una
particolare legge/regolamento/atto con cui si stabilisce la particolare destinazione alla pubblica utilità di un bene
che fino a quel momento ne era sprovvisto) es. villa certosa residenza ufficiale :-)
Sotto questo secondo profilo sono pubblici i beni demaniali, e i beni del patrimonio indisponibile
I beni demaniali si distinguono in:
Beni del demanio necessario che appartengono solo ad enti pubblici territoriali. E così vi appartengono:
1)
il demanio marittimo (spiaggia, porti);
2)
il demanio militare (fortificazioni, impianti militari)
3)
il demanio idrico (fiumi, torrenti, laghi).
Beni del demanio accidentale possono appartenere ai privati e sono demaniali se appartengono allo stato ovvero
alla patrimonio dello stato spa
1) il demanio stradale (strade, autostrade);
2) il demanio aeronautico (aerodromi acquedotti)
3)
il demanio culturale, immobili riconosciuti di interesse storico archeologico ed artistico raccolte dei musei
delle pinacoteche ecc.
I beni demaniali sono inalienabili non possono formare oggetto di possesso e non possono essere acquistati per
usucapione da privati. Essi sono disciplinati dal diritto pubblico.
I beni che non appartengono al demanio, ma sono pubblici. si chiamano beni patrimoniali.
Si distinguono in due categorie:
a) beni del patrimonio indisponibile (foreste, miniere, edifici destinati a sedi di uffici pubblici …), che non
possono essere sottratti alle loro destinazioni;
b) beni del patrimonio disponibile che non sono destinati direttamente ed immediatamente a pubblici servizi e
sono soggetti, salvo leggi speciali, alle norme del c.c. .
Da oltre un decennio è stato avviato un processo di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico ovvero lo
stato è abilitato a costituire Srl cui trasferire a titolo oneroso beni facenti parte del patrimonio immobiliare
pubblico affinchè queste vengano alienate sul mercato (la differenza con la costituzione di srl è che le srl
costituite dallo stato non hanno il solo scopo dell’alienazione ma hanno un oggetto sociale più ampio possono
anche solo svolgere attività di valorizzazione e gestione degli stessi) per il pagamento del corrispettivo le società
si devono procurare la provvista necessaria mediante cartolarizzazione.
Le chiese possono appartenere anche a privati e sono soggette alla disciplina del diritto privato, possono essere
quindi alienate, usucapite…, ma finché non siano sconsacrate secondo le regole del diritto canonico, non possono
essere sottratte alla loro destinazione e al culto.
I frutti
I frutti si distinguono in: frutti naturali e frutti civili.
I frutti naturali provengono direttamente da altro bene, con o senza l’opera dell’uomo, come i prodotti agricoli, i
prodotti delle miniere.
Finché non avviene la separazione dal bene che li produce i frutti naturali si dicono pendenti: essi formano parte
della cosa madre, non hanno ancora esistenza autonoma. Si può tuttavia disporre di essi come di beni futuri chi li
vende non trasferisce al compratore il diritto di proprietà su di essi, ma si obbliga a trasferirlo allorché verranno
ad esistenza.(cd rapporti obbligatori)
Solo con la separazione i frutti naturali acquistano una loro individualità (cd frutti separati); solo quando questa
si sarà verificata, si acquisirà il diritto di proprietà sui frutti.
Frutti civili sono i redditi che si conseguono da un bene, come corrispettivo del godimento che ne venga
concesso ad altri. Tali sono gli interessi di capitali, i dividendi azionari, le rendite vitalizie, il corrispettivo delle
locazioni.
I frutti civili devono avere il requisito della periodicità. Essi si acquistano giorno per giorno in ragione alla durata
del diritto: così ad es. se viene venduta la cosa locata, il canone in corso di maturazione va diviso tra alienante ed
acquirente in proporzione della durata dei rispettivi diritti.
L’azienda
Art. 2555 cc L’azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio
dell’impresa:ossia per la produzione di beni o di servizi ovvero per lo scambio di beni o di servizi.
Disputata è la natura giuridica dell’azienda; si tratta di una figura sui generis non inquadrabile in una qualche
categoria essa non è un bene unitario suscettibile di diritti reali ma può formare oggetto unitario di negozi
giuridici o di rapporti obbligatori o di provvedimenti.
Tra gli elementi che formano l’azienda ha particolare importanza l’avviamento che si può definire come la
capacità di profitto dell’azienda. Secondo la cassazione, l’avviamento è una qualità dell’azienda, che può anche
mancare come accade nel caso di un’azienda di nuova costituzione, o di azienda già in esercizio che abbia cessato
temporaneamente di funzionare.
Uno dei fattori che costituiscono l’avviamento , la sede, è tutelata dalla giurisprudenza che ha previsto il diritto a
conseguire da parte dell’imprenditore un indennità nel caso venga a cessare la locazione dell’immobile purché
non a seguito di sua inadempienza o recesso
Per quanto riguarda l’impresa, il c.c. non dà la definizione, ma dà quella dell’imprenditore, che, secondo
l’art.2082 c.c., è chi esercita professionalmente (cioè non occasionalmente)un’attività economica organizzata al
fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi
Ha dato luogo a dispute il rapporto tra le nozioni di impresa e azienda:e possiamo dire che
L’impresa, , è l’attività economica svolta dall’imprenditore; l’azienda è, invece, il complesso dei beni di cui
l'imprenditore si avvale per svolgere l’attività di impresa.
Il patrimonio
Si chiama patrimonio il complesso dei rapporti attivi e passivi suscettibili di valutazione economica facenti capo
ad un soggetto. (diverso nella nozione comune anche se il patrimonio di una persona è fatto di soli debiti è cmq
soggetto passivo di rapporti giuridici)
Ogni soggetto di regola ha un patrimonio ed un patrimonio solo con il quale risponde dei propri debiti ovvero non
può distaccarne una parte ad es. per riservarla ad alcuni creditori ciò è previsto solo nei casi previsti dalla legge
(cd patrimonio separato esso continua a far capo al soggetto vi si distacca semplicemente una parte)
Diverso è il patrimonio autonomo che è quello che viene attribuito ad un nuovo soggetto mediante la creazione di
una persona giuridica. (es. società di capitali associazione riconosciuta ecc.)
IL FATTO, L’ATTO ED IL NEGOZIO GIURIDICO
I fatti giuridici
Per fatto giuridico si indica un avvenimento o una situazione prevista dalla fattispecie di una norma
(se un fiume si costituisce in un nuovo letto quello abbandonato rimane assoggettato al regime del demanio
pubblico).
Si distinguono fatti materiali quando si verifica un mutamento della situazione preesistente nel mondo esterno,
percepibile dall’uomo con i sensi (es. abbattimento di un albero) e fatti in senso ampio, comprensivi sia di
omissioni (es. mancato esercizio di un diritto che se si protrae oltre il tempo di legge cade in prescrizione) che di
c.d. fatti interni o psicologici
(es. L’azione revocatoria è un mezzo di tutela del credito e costituisce ulteriore rafforzamento delle garanzie
patrimoniali a difesa delle legittime aspettative del creditore)
Si parla di fatti giuridici in senso stretto o naturali quando le conseguenze giuridiche sono ricollegate ad un
evento in cui non sia intervenuto l’uomo (morte per cause naturali di una persona, un’inondazione, i frutti civili).
Spesso i fatti presi in considerazione dalle norme per ricollegarli a conseguenze giuridiche sono fatti già
qualificati legalmente (es. il contratto,il matrimonio,la sentenza ecc.)
Gli atti giuridici
Per atto giuridico si indica un avvenimento o una situazione prevista dalla fattispecie di una norma ove
l’evento causativo postula un intervento umano ( i reati, i contratti, le sentenze).
Gli atti giuridici si distinguono in due categorie: atti conformi alle prescrizioni dell’ordinamento giuridico (atti
leciti) e atti compiuti in violazione di doveri giuridici e che producono la lesione del diritto soggettivo altrui (atti
illeciti.).
Gli atti leciti si distinguono in operazioni che consistono in modificazioni del mondo esterno (es. la presa di
possesso di una cosa), e dichiarazioni, che sono atti diretti a comunicare ad altri il proprio pensiero. Tra le
dichiarazioni la maggior importanza và ai negozi giuridici ossia le dichiarazioni coni quali i privati esprimono la
volontà di regolare in un determinato modo i propri interessi
Si dicono invece dichiarazioni di scienza di atti con quali si comunica ad altri di essere a conoscenza di un atto o
di una situazione del passato(es. nella confessione).
Tutti gli atti umani consapevoli e volontari, che non siano negozi giuridici, sono denominati atti giuridici in
senso stretto, essi sono disposti dall’ordinamento giuridico senza riguardo all’intenzione di colui che li pone in
essere (es. se un creditore intima al debitore di saldare quanto dovuto questi è costituito in mora anche se il
creditore non aveva intenzione di provocare questi effetti)
Per ogni atto giuridico si esige la capacità di intendere e di volere
Il negozio giuridico
È una manifestazioni di volontà poste in essere per ottenere un determinato effetto giuridico
Il negozio giuridico è un fatto giuridico
Nel negozio giuridico principe sono il contratto , il testamento, il matrimonio.
Il negozio giuridico, categoria essenzialmente non nominata nel c.c., ma a cui fa riferimento la dottrina, è l'atto
che rileva non solo in quanto consapevole e volontario (come l'atto giuridico in senso stretto), ma anche in quanto
vi è anche la volontà degli effetti collegati all'atto stesso; in parole povere, le parti si rappresentano e vogliono gli
effetti giuridici che conseguono alla loro manifestazione di volontà (cosa che non accade nell'atto in senso stretto,
dove l'effetto si verifica con il semplice porre in esser l'atto). In tal senso, è giusto definire, come fatto da
autorevole dottrina, il negozio giuridico quale atto con cui si dispone della propria sfera giuridica, e quindi atto di
autonomia privata
Gli elementi del negozio giuridico si distinguono in elementi essenziali, senza i quali il negozio è nullo ed
elementi accidentali (es. la condizione il termine e il modo), che le parti sono libere di apporre o meno.
Gli elementi essenziali si dicono generali, se si riferiscono ad ogni tipo di contratto (es. la volontà, la
dichiarazione, la causa); particolari, se si riferiscono a quel particolare tipo considerato (es. elemento essenziale
particolare della vendita è il prezzo).
Dagli elementi essenziali distinguiamo i presupposti del negozio, che sono circostanze estrinseche al negozio,
indispensabili perché il negozio sia valido. Tali sono la capacità della persona che pone in essere il negozio,
l’idoneità dell’oggetto, la legittimazione del negozio.
Distinguiamo anche i c.d. elementi naturali. In realtà si tratta di effetti naturali del negozio: essi si producono
senza bisogno di previsione delle parti, salva la loro contraria volontà manifestata (es. se acquisto un bene da chi
non e è proprietario anche se il contratto non contiene clausole in merito sono comunque garantito dalla garanzia
per evizione.
(L'evizione è la garanzia che la cosa venduta non appartiene ad altri che la possano rivendicare)
La volontà del soggetto diretta a produrre effetti giuridici deve essere dichiarata
A seconda dei modi con cui la dichiarazione avviene, essa si distingue in dichiarazione espressa (se fatta con
parole, cenni, alfabeto Morse…) e dichiarazione tacita comportamento che secondo il comune modo di pensare
risulti incompatibile con la volontà contraria (es. se chiedo una dilazione di un debito caduto in prescrizione
rinuncio tacitamente alla prescrizione)
N.B. la prescrizione produce l'estinzione di un diritto per effetto dell'inerzia del titolare del diritto stesso che non
lo esercita o non lo usa per il tempo stabilito dalla legge.
In alcuni casi l’ordinamento giuridico richiede per forza una dichiarazione espressa, per evitare le incertezze circa
l’esistenza della dichiarazione (es. prestazione di una fidejussione)
Il silenzio può avere valore di dichiarazione tacita di volontà solo in concorso di determinate circostanze; oppure
se, in basa alle regole della correttezza e della buona fede, il silenzio, dati i rapporti tra le parti, ha il valore di
consenso. (es. se un librario manda un cliente dei libri ed egli mantiene solo quelli che acquista la mancata
restituzione ne comporta l’acquisto se invece un editore con cui non ho rapporti mi manda un periodico anche se
vi aggiunge l’avvertenza che chi non restituisce la copia è considerato abbonato la mancata restituzione non
significa accettazione della proposta di abbonamento).
La dichiarazione deve avere una forma.
(il principio generale del nostro ordinamento è che la forma è libera, non si prevedono dei formalismi rigidi,
tranne quando si parla di forma solenne, la prescrizione di una forma specifica è imposta dall’ordinamento per
una questione di conoscibilità dell’atto.)
Talvolta si ha la necessità di subordinare la validità di un atto a forme solenni:
si pensi al matrimonio o al testamento.
Nel caso del contratto specifici vincoli risultano imposti in relazione all’oggetto del contratto (per gli atti relativi
ai diritti reali su beni immobili è richiesta la forma scritta)al tipo (es. il contratto di donazione deve essere
perfezionato mediante atto pubblico e alla presenza di sue testimoni) o ai connotati di una certa categoria di
contratti (es. i contratti relativi alle operazioni bancarie devono essere stipulati per iscritto)
In alcuni casi il requisito della forma è richiesto ai fini processuali in quanto l’atto può essere provato solo
mediante l’esibizione del relativo documento.
Per molti negozi lo Stato, per ragioni fiscali, impone l’uso della carta bollata.
Le parti acquistandola versano all’erario l’importo dei valori bollati acquistati. L’inosservanza di tale prescrizione
non dà luogo, tuttavia, alla nullità del negozio, ma ad una sanzione pecuniaria notevole. Solo la cambiale e
l’assegno bancario, se non sono stati regolarmente bollati al momento della emissione, pur essendo validi a tutti
gli altri effetti, non hanno efficacia a titolo esecutivo.
Anche la registrazione serve prevalentemente a scopi fiscali. La registrazione ha notevole importanza sotto
l’aspetto del diritto privato essa è il mezzo di prova più comune per rendere certa, mediante l’attestazione
dell’ufficio stesso sul documento, la data di una scrittura privata di fronte ai terzi
Determinati fatti per avere conseguenze giuridiche rilevanti devono essere conosciuti o conoscibili da chi è
interessato, la legge soddisfa questa esigenza con l’iscrizione del negozio in registri tenuti dalla pubblica
amministrazione, che chiunque può consultare, o in giornali ufficiali, bollettini…La pubblicità serve, pertanto, a
dare ai terzi la possibilità di conoscere l’esistenza ed il contenuto di un negozio giuridico o lo stato delle persone
fisiche e le vicende delle persone giuridiche.
Distinguiamo tre tipi di pubblicità:
Si distinguono tre tipi di pubblicità giuridica:
La pubblicità notizia serve a dare semplice notizia di determinati fatti, ma la sua omissione non influisce né sulla
validità né sull'efficacia dei fatti stessi. È prevista solo una sanzione in caso di omissione. Gli imprenditori che
hanno l'obbligo di iscrizione alla sezione speciale del Registro delle imprese sono iscritti, di regola, con pubblicità
notizia, Altri esempi di pubblicità notizia sono le pubblicazioni matrimoniali (art. 93 c.c.) e l'annotazione a
margine dell'atto di nascita della sentenza di interdizione (art. 423 c.c.).
La pubblicità dichiarativa serve a far sì che l'atto sia opponibile a chiunque. Senza tale pubblicità l'atto esiste
comunque ed è valido, ma diminuisce i suoi effetti: i suoi effetti, cioè, non sono opponibili ai terzi. Gli
imprenditori iscritti nella sezione ordinaria del Registro delle imprese sono iscritti con pubblicità legale
dichiarativa, escluse le società di capitali. Altri esempi di pubblicità legale dichiarativa sono la residenza (art. 19
c.c.) e le trascrizioni immobiliari (art. 2644 c.c.).
La pubblicità costitutiva, infine, condiziona sia la validità che l'efficacia dell'atto, e in mancanza di essa non si
produrranno effetti neppure tra le parti. Altri esempi sono l'iscrizione dell'ipoteca nei registri immobiliari.
Classificazioni dei negozi giuridici
Se il negozio giuridico è perfezionato con la dichiarazione di una sola parte, il negozio si dice unilaterale (es. il
testamento) non si confonda il concetto con quello di persona, più persone possono effettuare un negozio
unilaterale es. più persone che effettuano una procura a vendere costituiscono un negozio unilaterale (si parla di
negozi pluri-personali)
Se le parti sono più di una, si ha il negozio bilaterale (se sono due) o plurilaterale (se sono più di due). Non deve
essere confuso con il caso di un contratto bilaterale a struttura plurisoggettiva (es. se due coniugi acquistano una
casa da destinare ad abitazione comune il contratto rimane cmq bilaterale).
Se le dichiarazioni di volontà sono dirette a formare la volontà di un a collettività organizzata di individui si ha
l’atto collegiale (es. deliberazione dell’assemblea di una s.p.a.). nell’atto collegiale si applica il principio della
maggioranza: la deliberazione è valida ed efficace anche se è approvata dalla maggioranza e non da tutti coloro
che hanno diritto di partecipazione alla formazione della volontà della persona giuridica.
L’atto collegiale differisce dall’atto complesso (volontà di più parti che si fondono in modo da formarne una sola)
la distinzione con l’atto collegiale è che nel atto complesso se vi è un vizio di una sola parte vizia la dichiarazione
complessa mentre nell’atto collegiale se una dichiarazione di voto ad es. viziata si procede se vi è maggioranza
escludendo quel voto.
I negozi giuridici unilaterali si distinguono in recettizi, se, per produrre effetto, la dichiarazione negoziale deve
pervenire a conoscenza di una determinata persona, alla quale, pertanto, deve essere comunicata o notificata (es.
disdetta di un contratto)e non recettizi, se producono effetto indipendentemente dalla comunicazione ad uno
specifico destinatario (es. riconoscimento di un figlio naturale)
Ulteriori distinzioni del negozio giuridico si ricollegano alla sua funzione (o causa)
Si distinguono così i negozi mortis causa (unico es. il testamento), i cui effetti presuppongono la morte di una
persona dai negozi inter vivos, che prescindono da tale presupposto (es. vendita).
Secondo che si riferiscano ad interessi economici o meno si distinguono i negozi apatrimoniali (es. i negozi di
diritto familiare in cui prevale sull’interesse del singolo l’interesse superiore del nucleo familiare) dai negozi
patrimoniali che a loro volta si distinguono in negozi di accertamento (che si propongono solo di eliminare
controversie, dubbi sulla situazione esistente) e negozi di attribuzione patrimoniale (spostamento di diritti
patrimoniali da un soggetto ad un altro (es. vendita).
I negozi di attribuzione patrimoniale, a loro volta, si distinguono in negozi di obbligazione (che danno luogo solo
alla nascita di una obbligazione diretta al trasferimento di un bene (es. vendita di cosa altrui nella quale il
venditore si obbliga ad acquistare la cosa dal proprietario in maniera che il compratore possa, di conseguenza,
diventarne a sua volta immediatamente proprietario) e negozi di disposizione (che importano una immediata
diminuzione del patrimonio mediante alienazione o rinuncia).
I negozi di disposizione si distinguono in negozi traslativi (se attuano il trasferimento o la limitazione del diritto a
favore di altri) o traslativo-costitutivi (se costituiscono un diritto reale limitato su di un bene del disponente) e
abdicativi.
Es. di Negozio abdicativo è la rinunzia, che è la dichiarazione unilaterale del titolare di un diritto soggettivo,
diretta a dismettere il diritto stesso senza trasferirlo ad altri.
Se la rinunzia ha per oggetto un diritto di credito si chiama remissione.
I vari negozi patrimoniali si distinguono in negozi a titolo gratuito e negozi a titolo oneroso.
Un negozio a titolo oneroso si ha quando un soggetto, per acquistare qualsiasi tipo di diritto, accetta un
correlativo sacrificio; mentre si dice a titolo gratuito il negozio per effetto del quale un soggetto acquisisce un
vantaggio senza alcun correlativo sacrificio.
In genere l’acquirente a titolo gratuito è protetto meno intensamente dall’acquirente a titolo oneroso.
La gratuità non coincide con la liberalità che rappresenta la causa della donazione: la gratuità è categoria più
ampia poiché comprende tutti i casi a fronte dei quali non si ponga una controprestazione da parte del destinatario
che sono sorrette da un intento non liberale del disponente
L’INFLUENZA DEL TEMPO SULLE VICENDE GIURIDICHE
Tra i fatti giuridici naturali particolare importanza ha il tempo; spesso le attività giuridiche si devono compiere
entro periodi di tempo determinati da ciò la necessità di regole che stabiliscano come i termini devono essere
calcolati; soccorre in proposito l’art. 2963 del cc:
Art. 2963. Computo dei termini di prescrizione.
I termini di prescrizione contemplati dal presente codice e dalle altre leggi si computano secondo il calendario
comune.(calendario gregoriano)
Non si computa il giorno nel corso del quale cade il momento iniziale del e la prescrizione si verifica con lo
spirare dell'ultimo istante del giorno finale (es. se conto un termine di 5 giorni da oggi la giornata di oggi non è
compresa nel calcolo)
Se il termine scade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo.
La prescrizione a mesi si verifica nel mese di scadenza e nel giorno di questo corrispondente al giorno del mese
iniziale.(es. a scadenza un mese a decorrere dal 2 ottobre scade il 2 novembre e non l’1 come sarebbe se
calcolassimo trenta giorni)
Se nel mese di scadenza manca tale giorno, il termine si compie con l'ultimo giorno dello stesso mese. (es.
termine di un mese dal 31 gennaio è il 28 febbraio)
Il decorso di un determinato periodo di tempo insieme con altri elementi può dar luogo all’acquisto o
all’estinzione di un diritto soggettivo. Se il decorso del tempo serve a far acquistare un diritto soggettivo, l’istituto
che viene in considerazione è l’usucapione; invece, l’estinzione del diritto soggettivo per decorso del tempo
forma oggetto di altri due istituti: la prescrizione estintiva e la decadenza.
LA PRESCRIZIONE ESTINTIVA
La prescrizione estintiva produce l’estinzione del diritto soggettivo per l’inerzia del titolare del diritto
stesso che non lo esercita o non ne usa per il tempo determinato dalla legge.
Le parti non possono rinunciare preventivamente alla prescrizione in quanto trattasi di istituto di ordine pubblico
le cui norme sono inderogabili né prolungare né abbreviare i termini stabiliti dalla legge questo perché se fosse
consentito rinunziare alla prescrizione una tale rinunzia diverrebbe una clausola apposta in tutti i contratti e le
disposizioni sulla prescrizione diverrebbero lettera morta.
E’ possibile rinunziare alla prescrizione (sia in maniera espressa che tacita) ma solo successivamente al decorso
del suo termine (es. in altre parole potrebbe darsi che il diritto sia effettivamente estinto, ma il debitore in
ossequio ad una sua regola morale, decida di adempiere lo stesso. Ciò può farlo rinunziando espressamente alla
prescrizione, oppure dimostrando nei fatti la sua volontà di rinunzia come, ad esempio, il pagamento di un
acconto.)
Il debitore che paga spontaneamente il debito, non può farsi restituire quanto ha pagato.
Si verifica così, una ipotesi di obbligazione naturale (art.2034 c.c.).
Tutti i diritti sono soggetti a prescrizione estintiva; ne sono esclusi i diritti indisponibili come gli status
personali, la potestà dei genitori sui figli minori,ecc … (diritti imprescrittibili).
La ragione dell’esclusione è che questi diritti sono attribuiti al titolare nell’interesse generale e costituiscono,
spesso, oltre che un potere anche un dovere.
Anche il diritto di proprietà non è soggetto a prescrizione estintiva perché anche il non uso è un espressione della
libertà riconosciuta al proprietario: inoltre la prescrizione ha sempre come finalità il soddisfacimento di un
interesse, la dove l’estinzione del diritto di proprietà per non uso non avvantaggerebbe nessuno anche se
ricordiamo che il proprietario può perdere il suo diritto qualora un terzo usucapisca il bene.
Sono inoltre imprescrittibili sia l’azione di petizione di eredità (art.533.2 c.c. ovvero l'azione che l'erede può
esercitare per vedere riconosciuta la sua qualità di erede contro chiunque possiede in tutto o in parte i beni
ereditari a titolo di erede o senza titolo alcuno, scopo ultimo dell'azione è la restituzione dei beni ereditari) sia
l’azione per far dichiarare la nullità di un negozio giuridico.
Non sono prescrittibili nemmeno le singole facoltà che formano il contenuto di un diritto soggettivo (il
proprietario non perde mai la facoltà di chiudere il proprio fondo)
La prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto avrebbe potuto essere esercitato; quindi se il
diritto deriva da un negozio sottoposto a condizione o a termine, la prescrizione decorre dal giorno in cui la
condizione si è verificata o il termine è scaduto.(se acquisto una casa a Roma a condizione che mi trasferisca
entro un anno il venditore può far agire le sue ragioni successivamente a quel termine).
Rispetto alla durata si distinguono la prescrizione ordinaria e le prescrizioni brevi.
La prescrizione ordinaria è applicata in tutti i casi in cui la legge non dispone diversamente dura 10 anni
Il periodo più lungo (20 anni) è stabilito in armonia con il termine per l’usucapione e per l’estinzione dei diritti
reali su cosa altrui.
Le prescrizioni brevi riguardano diritti particolari ad es. il diritto al risarcimento del danno conseguentemente ad
un atto illecito extracontrattuale che si prescrive in 5 anni (si riducono a 2 nel caso di danni derivanti dalla
circolazione di veicoli), i diritti a prestazioni periodiche sempre 5 anni (es. i corrispettivi di affitti e locazioni)
N.B. il termine locazione si usa per gli edifici adibiti ad abitazione mentre il termine affitto si usa per gli edifici
destinati ad usi commerciali (es. negozi, uffici etc.)
Un anno è la prescrizione dei diritti derivanti da taluni rapporti commerciali (società, spedizione, trasporto,
assicurazione).
Le prescrizione presuntive si basano sulla considerazione che vi sono rapporti della vita quotidiana nei quali
l’estinzione del debito può avvenire senza che il debitore abbia cura di richiedere e conservare una quietanza che
gli garantisca la possibilità di provare anche a distanza di tempo, di avere già provveduto ad estinguere il debito
(es. somministrazione cibi al ristorante o acquisto medicinali in farmacia)
A sua tutela perciò, la legge, trascorso un breve periodo sei mesi un anno o tre anni a seconda dei casi , presume
che il debito si sia già estinto.
Si noti bene: non è che il debito si estingua, ma si presume che si sia estinto ossia il debitore è esonerato
dall’onere di fornire in giudizio la prova dell’estinzione.
Il creditore, il quale abbia lasciato trascorrere imprudentemente l’intero periodo prescrizionale prima di
pretendere il pagamento, ove la prescrizione presuntiva sia stata posta in giudizio, può cercare di vincerla solo
ottenendo dal debitore la confessione che il debito, in realtà, non è stato pagato altrimenti occorre deferire all’altra
parte il giuramento decisorio ossia l’invito ad assumere tutte le responsabilità inerenti ad una dichiarazione
solenne davanti al giudice con la quale il debitore confermi che l’obbligazione sia davvero estinta e il creditore
può qualora abbia elementi da cui risulti la falsità del giuramento denunciare la controparte per il reato di falso in
giuramento.
Il debitore è esonerato dall’onere di provare quale fatto avrebbe determinato l’estinzione del debito: il giudice
deve assolverlo dalla domanda di pagamento, senza bisogno che dimostri di avere effettivamente già pagato
ovvero che si sia davvero verificata la causa di estinzione del debito.
La prescrizione non opera allorché sopraggiunga una causa che giustifichi l’inerzia stessa.
Entrano qui in gioco gli istituti della sospensione e dell’interruzione.
La sospensione è determinata o da particolari rapporti fra le parti (tra i coniugi, tra il genitore che esercita la
potestà sue figli minori), o dalla condizione del titolare (minori non emancipati o interdetti per infermità di mente
o militari in servizio attivo in tempo di guerra).
Le cause sono tassative, cosicché i semplici impedimenti di fatto non valgono ad impedire il decorso della
prescrizione.
L’interruzione ha luogo o perché il titolare compie un atto (es. costituisce in mora il debitore) con il quale
esercita il diritto o perché il diritto viene riconosciuto dal soggetto passivo del rapporto (es. mi riconosco debitore
promettendo il pagamento il prima possibile)
Nella sospensione l’inerzia del titolare del diritto continua a durare, ma è giustificata;
Nell’interruzione invece è l’inerzia stessa che viene a mancare o perché il diritto è stato esercitato, o perché esso è
stato riconosciuto dall’altra parte.
La differenza tra la sospensione e l’interruzione è
La sospensione spiega i suoi effetti per tutto il periodo per il quale gioca la causa giustificativa dell’inerzia
(quindi per esempio finché dura la minore età), ma non toglie valore al periodo eventualmente trascorso; nella
sospensione quindi, il tempo anteriore al verificarsi della causa di sospensione non perde la sua efficacia e si
somma con il periodo successivo.
L’interruzione, facendo venir meno l’inerzia, toglie ogni valore al tempo anteriormente trascorso: una volta
terminata l’interruzione (es. la sentenza passa in giudicato) comincia a decorrere un nuovo periodo di prescrizione
LA DECADENZA
La decadenza produce l’estinzione del diritto in virtù del fatto oggettivo del decorso del tempo, esclusa, in
genere, ogni considerazione relativa alla situazione soggettiva del titolare.
La decadenza provoca l'estinzione di un diritto per non aver svolto determinate attività previste dalla legge o dalle
parti nel termine stabilito
La decadenza implica, quindi, l’onere di esercitare il diritto esclusivamente entro il tempo prescritto dalla legge.
La decadenza può, quindi, essere impedita solo dall’esercizio del diritto mediante il compimento dell’atto
previsto
Con l’esercizio del diritto cade, infatti, la stessa ragione d’essere della decadenza.
A differenza della prescrizione la decadenza può essere iscritta in un contratto e non è suscettibile di applicazione
per analogia.
N.B. Differenza prescrizione e decadenza:
Sia la prescrizione che la decadenza sono due cause di estinzione di un diritto per il mancato esercizio dello
stesso entro un termine indicato dalla legge.
Per la decadenza però a differenza della prescrizione non è previsto alcun tipo di interruzione del termine per poi
ricominciare a decorrere e alcun tipo di sospensione. Inoltre i termini per la decadenza sono molto più brevi
rispetto a quelli della prescrizione e possono essere stabiliti non soltanto per legge ma anche per volontà delle
parti attraverso l'indicazione dei termini in un contratto.
Le fattispecie della prescrizione sono numerose visto che sono previste, oltre alla prescrizione ordinaria di 10
anni, anche prescrizioni brevi (di 5, 3 o 1 anno) e prescrizioni lunghe (20 anni per i diritti reali di godimento su
cosa altrui).
Nella prescrizione si ha riguardo alle condizioni soggettive del titolare del diritto, mentre nella decadenza si ha
riguardo solo al fatto obiettivo del trascorrere del tempo.
Altra differenza è quella secondo cui mentre la prescrizione comporta la perdita di un diritto che era già nella
sfera del soggetto, la decadenza impedisce, invece, l'acquisto di un nuovo diritto e cioè comporta la perdita della
possibilità dell'acquisto di un diritto.
Uno stesso diritto può essere soggetto a decadenza e prescrizione, è il caso, ad esempio, la garanzia
art. 1495 c.c. - che prevede un termine per la denuncia del vizio di 8 giorni dalla scoperta a pena di decadenza e la
prescrizione del diritto al risarcimento in un anno dalla denunzia.
Questo articolo spiega correttamente quanto sopra: entro 8 giorni il compimento di un'attività per esercitare il
diritto ed estinzione dello stesso entro un anno se non viene esercitato.
Altro es.
Termini di prescrizione dei crediti del rapporto di lavoro
I termini entro i quali è possibile contestare il contenuto della busta paga sono;
• un anno per gli errori di calcolo;
• cinque anni per le interpretazioni delle norme contrattuali e di legge.
I crediti del rapporto di lavoro si prescrivono entro 5 anni, (con la sola eccezione dei diritti connessi alla persona
(ad esempio: la salute), i quali sono per legge imprescrittibili)
Il lavoratore quindi deve contestare entro un anno un errore di calcolo (decadenza) ed entro 5 iniziare il
procedimento di risarcimento nei confronti del datore di lavoro debitore perché non cada in prescrizione
LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI
Se il diritto soggettivo non è spontaneamente rispettato dai consociati solo in casi eccezionali l’ordinamento
ammette che il suo titolare possa provvedere direttamente alla sua tutela (cd autotutela) di regola il soggetto deve
rivolgersi al giudice ipotesi eccezionali di difesa consentita al privato sono il diritto di ritenzione, l’eccezione di
inadempimento, la diffida di adempimento, la difesa del possesso e finché la violenza dell’aggressore è in atto la
legittima difesa.
Il cittadino ha diritto di rivolgersi agli organi all’uopo istituiti per ottenere la giustizia che non può
assicurarsi da sé questo diritto si chiama azione.
Chi esercita l’azione proponendo la domanda giudiziale si chiama attore (perché agisce), colui contro il quale
l’azione si propone convenuto (perché è invitato nel suo interesse a presentarsi, se lo crede, nel giudizio e ad
esporre le sue ragioni). Il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti non può essere soppresso o
limitato nei confronti di nessuno e per nessuna ragione ed i meno abbienti hanno assicurati i mezzi idonei per
essere ugualmente difesi davanti un giudice..
Se tra me e un’altra persona sorge controversia circa la sussistenza di un diritto soggettivo a mio favore,
s’instaura un processo di cognizione che ha il compito di individuare il comando contenuto nella norma di diritto
sostanziale sia applicabile al caso concreto (ovvero il giudice afferma in base a quale articolo ho la ragione o il
torto)
Se io ho ottenuto la sentenza con cui Tizio viene condannato a pagarmi i danni e, ciò nonostante, egli non
ottempera a quest’obbligo, io posso instaurare contro di lui un processo di esecuzione, la cui finalità consiste nel
realizzare il comando contenuto nella sentenza (in questo caso, mediante l’espropriazione dei beni di Tizio e la
loro vendita; sul danaro ricavato io soddisferò il mio credito). Per impedire che, nel corso del processo di
cognizione, Tizio si spogli dei suoi beni, io posso avvalermi del processo cautelare (per es. posso chiedere ed
ottenere il sequestro conservativo di quei beni), infatti, la finalità di tale processo è quella di conservare lo stato di
fatto esistente per rendere possibile l’esecuzione della sentenza.
Il processo di cognizione può tendere ad una di queste tre finalità:
1) all’accertamento dell’esistenza o dell’inesistenza di un rapporto giuridico incerto e controverso (se Tizio sia o
meno proprietario di una cosa: azione e sentenza di mero accertamento);
2) all’emanazione di un comando, che il giudice rivolgerà alla parte soccombente di eseguire la prestazione che
egli stesso riconosce dovuta all’attore (azione e sentenza di condanna);
3) alla costituzione, modificazione o estinzione di rapporti giuridici ovvero il giudice non si limita ad accertare la
situazione giuridica o ad esprimere un comando completo ma modifica la situazione fino a quel momento
vigente. (es. la separazione coniugale i coniugi prima erano tenuti alla coabitazione e all’assistenza reciproca per
effetto della sentenza questi obblighi cessano o si modificano.)
E’ concesso alle parti di promuovere il riesame della lite impugnando la decisione a questo riesame non può
andare all’infinito verificatesi certe condizioni (decorso dei termini esaurimento dei mezzi di impugnativa) il
comando contenuto nella sentenza non può più essere modificato.
Ad eventuali ulteriori tentativi di una delle parti di proseguire il dibattito si può opporre la cosa giudicata o il
passaggio in giudicato della sentenza
L’efficacia del giudicato concerne anzitutto il processo, esso preclude ogni ulteriore riesame ed impugnazione
della sentenza. La cosa giudicata ha anche un valore sostanziale: non solo non si può impugnare la sentenza, ma,
se in essa è stato riconosciuto il mio diritto di proprietà o di credito, ciò non può formare più oggetto di riesame
tra me e l’altra parte in futuri processi.
Art. 2909 dice che l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti
i loro eredi ed aventi causa
Se non viene adempiuto il comando contenuto nella sentenza, colui a cui favore è stato emesso può iniziare il
processo esecutivo.
Solo in alcuni casi detto procedimento riesce ad assicurare coattivamente proprio quel risultato voluto dal
comando di quella sentenza. Quindi o può avere per oggetto la consegna di una cosa determinata mobile o
immobile(es. l’obbligo dell’inquilino di riconsegnare l’appartamento) ed l’avente diritto otterrà tramite
l’intervento dell’ufficiale giudiziario la consegna o il rilascio del bene medesimo. Se si tratta di un facere
infungibile,(es. l’obbligo dell’appaltatore di ultimare l’edificio) nel qual caso può soltanto ottenere il risarcimento
del danno.Se l’obbligo riguarda quel particolare facere infungibile il processo esecutivo si conclude con la
conclusione del contratto (es. il venditore che si impegna con un contratto preliminare a vendere l’immobile ad
un determinato acquirente) in questo caso il giudice può emettere una sentenza che produca gli effetti del
contratto non concluso.
Se non è stato adempiuto un obbligo di non facere, l’avente diritto può ottenere la distruzione a spese
dell’obbligato (es. il vicino sopraeleva un muro ove non potesse)
La forma più importante di processo esecutivo è quella che ha per oggetto l’espropriazione dei beni del debitore,
nel caso che egli non adempia l’obbligazione di pagare una somma di danaro (espropriazione forzata).i beni
vengono venduti all’incanto e con gli introiti pagati i creditori
L’ espropriazione forzata ha inizio con il pignoramento, l’atto con il quale si assoggetta il bene all’azione
esecutiva.
L’art. 2913 c.c. stabilisce che gli atti di disposizione del bene pignorato non hanno effetto nei confronti del
creditore precedente e dei creditori intervenuti.. (ovviamente la legge tiene conto dei terzi che in buona fede
abbiano acquistato ad es. se l’immobile non è iscritto “possesso vale titolo”)
LA PROVA DEI FATTI GIURIDICI
Tutte le volte che su una circostanza le parti forniscano ricostruzioni diverse, il giudice è tenuto, per poter arrivare
a definire la lite, a scegliere tra le contrapposte versioni.
Nel giudizio civile, sono le parti che devono preoccuparsi di indicare quali siano i mezzi di prova, ossia gli
elementi in base ai quali ciascuna di esse ritiene che la propria versione dei fatti litigiosi risulti più convincente di
quella della controparte. Al giudice spetta valutare anzitutto se i mezzi di prova che le parti offrono siano
ammissibili (es. è inammissibile la testimonianza di un soggetto che ha un diretto interesse nella controversia),
cioè conformi alla legge; e rilevabili, cioè abbiano ad oggetto fatti che possano influenzare la decisione della lite.
Dopo aver ammesso e assunto le prove, egli valuterà, con la sentenza, la loro concludenza, ossia la loro idoneità o
meno a dimostrare i fatti sui quali vertevano.
In ogni caso, comunque, il giudice deve motivare la sua decisione, spiegando le ragioni del suo convincimento.
Può darsi che, riguardo ai fatti oggetto di opposte versioni delle parti, nel processo siano del tutto mancanti mezzi
di prova. In questo caso, il giudice, non potendo rifiutarsi di decidere, dovrà per forza scegliere una soluzione.
La regola di giudizio che il legislatore gli offre si chiama “onere della prova” in ordine a ciascun fatto grava
sempre su una sola delle parti l’onere di persuadere il giudice, ossia, se il giudice non considera convincente o
provata la versione offerta dalla parte gravata dall’onere, dovrà dare ragione, su quel punto, alla controparte,
anche se consideri parimenti non convincente la versione che a quel fatto è stata data da quest’ultima. L’onere
della prova, quindi, è una regola da applicare al termine del giudizio, risolvendosi nel rischio che sia accolta la
versione sostenuta dalla controparte, se il soggetto gravato dall’onere non riesce ad offrire al giudice elementi di
prova sufficientemente convincenti.
Il problema più delicato rimane quello di accertare su quale delle due parti grava l’onere della prova la legge
stabilisce che la buona fede è presunta (art. 1147 ovvero il giudice fa ricadere su chi vuol contestare gli effetti
della buonafede l’onere di provare la malafede dell’altra parte e non su questi ultimi l’onere di provare la propria
buonafede) Quindi l’onere della prova può ben definirsi come il rischio per la mancata prova di un fatto rimasto
incerto nel giudizio.
Per mezzo di prova s’intende qualsiasi elemento (un documento una fotografia) idoneo ad influenzare la scelta
che il giudice deve fare per stabilire quale tra le contrapposte versioni di un fatto sostenute dalle parti in lite sia
più convincente. Il principio fondamentale è quello della loro libera valutazione da parte del giudice. (art. 116 del
codice di procedura civile il giudice deve valutare secondo il suo prudente apprezzamento)
Vi sono deroghe al principio del libero apprezzamento le cd prove legali (es. atto pubblico confessione…) la cui
rilevanza è già predeterminata dalla legge, cosicché il giudice non ha alcuna discrezionalità nel valutarle egli non
ne potrebbe decidere in contrasto in quanto si considerano pienamente provate
I mezzi di prova si distinguono in due specie: prova precostituita o documentale (atto pubblico, scrittura privata),
detta precostituita perché esiste già prima del giudizio; e prova costituenda (prova testimoniale, confessioni,
presunzioni, giuramenti), detta costituenda perché deve formarsi nel corso del giudizio.
Per “documento” s’intende ogni cosa idonea a rappresentare un fatto, in modo da consentirne la presa di
conoscenza a distanza di tempo.
Importanza preminente tra i documenti, rivestono l’atto pubblico e la scrittura privata:
L’atto pubblico è il documento redatto, con particolari formalità stabilite dalla legge, da un notaio o da altro
pubblico ufficiale autorizzato ad attribuire all’atto quella particolare fiducia nella sua veridicità che si chiama
“pubblica fede” es. i rogiti notarili i verbali di udienza del cancelliere del tribunale ecc
L’atto pubblico fa piena prova della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha sottoscritto e di
tutto quanto egli attesta essere avvenuto alla sua presenza (art. 2700 c.c.).
Ciò significa che il giudice è vincolato a considerare senz’altro vere le circostanze, senza che siano possibile
alternative, dubbi o controprove. Se una parte intende contrastare tale speciale forza probatoria privilegiata deve
fare necessariamente ricorso ad un particolare procedimento che si avvia mediante una querela di falso: ossia
mediante la richiesta che il giudice accerti, ,che quel documento è in realtà oggettivamente falso.
L’atto pubblico se nullo per difetto di qualche formalità può avere la stessa efficacia della scrittura privata se
sottoscritto da una o più parti (conversione formale)
Scrittura privata è qualsiasi documento che risulti sottoscritto da un privato essenziale è la sottoscrizione
tramite la quale ci si assume la paternità del testo., quindi, la responsabilità in quanto in esso sia dichiarato. La
scrittura privata, proprio perché non proviene da un pubblico ufficiale, non ha la stessa efficacia probatoria
dell’atto pubblico. Essa, infatti, fà prova soltanto contro chi ha sottoscritto il documento e non a suo favore. Se,
invece, la sottoscrizione è autenticata o è riconosciuta, da un notaio o da un altro pubblico ufficiale essa, come
l’atto pubblico fa piena prova legale fino a querela di falso, ma della sola provenienza delle dichiarazioni di chi
ha sottoscritto. Elemento importante della scrittura privata è la data, ossia l’indicazione del giorno in cui la
scrittura è stata sottoscritta. La legge stabilisce che la data della sottoscrizione (cd data certa) se si tratta di
scrittura privata autenticata consiste nella data dell’autenticazione se la scrittura è registrata nella data della
registrazione.
Efficacia probatoria è riconosciuta al telegramma alle carte e i registri domestici i libri e le scritture contabili
dell’impresa e il fax se colui contro il quale è prodotto non lo contesta.
Quanto ai documenti informatici occorre distinguere tra quelli con firma elettronica che è liberamente valutabile
in giudizio e quelli sottoscritti con firma digitale (firma ottenuta attraverso una procedura informatica che
garantisce la connessione univoca al firmatario) che al pari di qualsiasi scrittura privata costituisce piena prova
(se autenticati dal notaio costituiscono scrittura privata autenticata).
Quando la forma è richiesta ad substantiam, essa costituisce un elemento essenziale del negozio, cosicché ove
il requisito formale non sia osservato l’atto è irrimediabilmente nullo. (es. una vendita immobiliare stipulata con
contratto verbale è nulla)
Il legislatore non consente sia provata per testimoni o giuramento unica eccezione è se perduto senza sua colpa
(es. incendio o infortunio) occorre dimostrare quindi l’originaria esistenza, la perdita incolpevole e il suo
contenuto.
Il legislatore impone quindi come abbiamo visto alla parte l’onere di custodire il documento onde poterle in
qualsiasi momento, esibire al giudice: altrimenti, mancando il documento o, in alternativa, la prova della sua
perdita incolpevole, il giudice deve presumere che esso non sia mai stato formato.
Diversa è la situazione, invece, quando l’osservanza di una forma sia stabilita ad probationem
In tal caso, infatti, l’atto compiuto senza l’osservanza della forma stabilita dalla legge non è nullo (es. transazioni
non immobiliari) l’unica conseguenza della inosservanza della forma è il divieto della forma testimoniale e di
quella presuntiva.
La mancanza del documento non pregiudica la possibilità di provare atto e contenuto: se la formazione del
negozio costituisce fatto non contestato il giudice deve considerarlo provato se invece sia contestato la parte che
intenda dimostrare il perfezionamento dell’atto (ovvero quale ne sia il vero contenuto) può chiedere
l’interrogatorio nella speranza di ottenere una confessione (giuramento decisorio)
Per presunzione (o prova indiretta) si intende ogni argomento, illazione, attraverso cui, essendo già provata una
determinata circostanza (c.d. fatto base o indizio), si giunge a considerare provata altresì un'altra circostanza,
sfornita di prova diretta (così ad es., dalla circostanza che sia decorso già un certo periodo di tempo dal momento
in cui si poteva pretendere il pagamento di certi debiti, per i quali doveva avvenire entro breve tempo, si trae la
presunzione che il debito sia già stato pagato o comunque si sia già estinto, sebbene manchino prove dirette del
pagamento o del verificarsi di un'altra causa di estinzione dell’obbligo: prescrizione presuntiva).
Le presunzioni si dicono legali quando è la stessa legge che attribuisce ad un fatto, valore di prova in ordine ad un
altro fatto, che quindi viene presunto (es. presunzione che chi ha il possesso di una cosa altrui sia in buona fede).
Le presunzioni legali, a loro volta, possono essere assolute se non ammettono prova contraria (es. durata della
gestazione) o relative se ammettono prova contraria. (es. art 1142 il possessore attuale che ha posseduto in tempo
più remoto si presume che abbia posseduto anche nel tempo intermedio)
Le presunzioni si dicono invece semplici quando non sono prestabilite dalla legge, ma sono lasciate al prudente
apprezzamento del giudice, il quale non deve ritenere provato un fatto, di cui manchino prove dirette, se non
quando ricorrano indizi gravi, precisi e concordanti (art.2729 c.c.).
La testimonianza (detta anche prova orale) è la narrazione fatta al giudice di una persona estranea alla causa in
relazione a fatti controversi di cui il teste abbia conoscenza. (è considerata con diffidenza dal legislatore sia per il
rischio di testi interessati o compiacenti sia per il rischio di deformazioni nello sforzo di ricordare avvenimenti
del passato)
La prova testimoniale incontra limiti legali di ammissibilità:
a) essa non è ammissibile quando sia: invocata per provare il perfezionamento o il contenuto di un contratto
avente un valore superiore alle 5000 lire ovvero 2,58 € e se la parte è in impossibilità morale o materiale di
procurarsi una prova scritta (es. contratto tra familiari stretti e quando la parte ha perduto senza sua colpa il
documento che forniva la prova)
b)
essa non è ammissibile se tende a dimostrare che anteriormente, contemporaneamente o successivamente
alla stipulazione di un accordi scritto siano stati stipulati altri patti, non risulti però dal documento (art.2722,
2723);
c) non è ammissibile se tende a provare un contratto che, deve essere stipulato o anche solo provato per
iscritto.(in questo caso la prova è ammissibile solo se il documento che forniva la prova è perduto senza colpa)
Il giuramento è un mezzo di prova di cui si può chiedere l’acquisizione nel corso di un giudizio civile. Vi sono
due tipi di giuramento: il decisorio e il suppletorio. Quello decisorio si chiama così perché deve riguardare
circostanze che abbiano valore decisorio in ordine ad una quaestio facti su cui il giudice è chiamato a
pronunciarsi, cosicché l’esito del giuramento preclude ogni ulteriore accertamento al riguardo.
Il giuramento è ammissibile solo quando sia relativo ad un fatto proprio della parte cui è definito, ovvero quando
sia relativo alla conoscenza che essa ha di un fatto altrui..
Se la parte si rifiuta di giurare o non si presenta, senza giustificato motivo, all’udienza fissata, la sua versione del
fatto non può più essere considerata vera dal giudice. Se invece presta il giuramento, il giudice deve
definitivamente considerare vera la sua affermazione e decidere in conformità la questione per la quale il
giuramento è stato ammesso.
Non si possono fornire prove contrarie si può denunciare penalmente chi attesti il falso chiedendo risarcimento
dei danni se sia intervenuta condanna penale ma non la revocazione della sentenza civile pronunciata in base al
falso giuramento
Il legislatore richiedeva che il giudice ammonisse la parte sull’importanza religiosa e orale dell’atto ma la corte
costituzionale con una sentenza del ‘96 ha eliminato il richiamo ai valori religiosi ed etici sicché il significato
del giuramento è divenuto orale-individuale
Il giuramento non è ammissibile quando si tratti:
a) di diritti indisponibili (es. questioni di stato);
b) di fatto illecito (qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto;
c) di atto per cui sia richiesta la forma scritta ad substantiam;
d) di contestare l’attestazione, contenuta in un atto pubblico, che un determinato fatto è alla presenza del pubblico
ufficiale che lo ha firmato.
Il giuramento suppletorio può essere deferito in base ad un potere discrezionale dello stesso giudice, quando
questi si trovi di fronte ad un fatto rimasto incerto, ma per il quale la parte che aveva l’onere di provarlo abbia
fornito elementi abbastanza rilevanti, sebbene non definitivamente persuasivi: in tal caso il giudice può offrirle di
perfezionare la prova, già quasi raggiunta, confermando con il giuramento che i fatti affermati sono veri.
Una particolare specie di giuramento suppletorio è il giuramento estimatorio, che può essere deferito per stabilire
il valore di una cosa quando non sia possibile accertarlo diversamente.
La confessione è la dichiarazione che la parte fa della verità di fatti all’altra parte
Essa è una dichiarazione di scienza.
Essa è giudiziale, se resa in giudizio e, in questo caso, fa piena prova stragiudiziale, se resa fuori dal giudizio. Se
la confessione stragiudiziale è fatta alla parte o al suo rappresentante, ha lo stesso valore di quella giudiziale; se è
fatta ad un terzo, può essere apprezzata liberamente dal giudice.
A differenza della giudiziale, la confessione stragiudiziale deve essere, a sua volta, dimostrata.
La confessione può essere revocata solo se si dimostri che essa è stata determinata da errore di fatto o da
violenza.
La confessione si dice qualificata quando la parte riconosce la verità dei fatti a sé sfavorevoli, ma vi aggiunge
altri fatti o circostanze tendenti a modificarne o ad estinguerne gli effetti (ammetto che abbiamo concluso un
contratto ma aggiungo che è simulato). In questo caso bisogna distinguere:
a) se l’altra parte non contesta la verità dei fatti o delle circostanze aggiunte, le dichiarazioni fanno piena prova
nella loro integrità;
b) se l’altra parte contesta è rimesso al giudice di apprezzare, secondo le circostanze, l’efficacia probatoria delle
dichiarazioni (art.2734 c.c.).
Diversa dalla dichiarazione confessoria è la dichiarazione ricognitiva essa ha ad oggetto l’asseverazione (N.B. Le
asseverazioni vengono rilasciate dal Tribunale ai fini di attestare il giuramento) di diritti o rapporti giuridici (es.
dichiaro di essere tuo debitore di euro mille)
.
I DIRITTI REALI
DIRITTI REALI IN GENERALE E LA PROPRIETA’
A) I DIRITTI REALI
Diritto reale è un diritto che ha per oggetto una cosa (in latino res) e la segue indipendentemente dal suo
proprietario. Nel nostro sistema giuridico sono a numero chiuso, e tra di essi spicca
•
il diritto di proprietà (il diritto reale fondamentale),
affiancata dai cosiddetti "diritti reali minori" (o "diritti reali su cosa altrui"), che si distinguono in:
•
diritti reali di godimento:
o l'enfiteusi,
o il diritto di superficie,
o l'usufrutto,
o il diritto reale d'uso,
o il diritto reale di abitazione,
o le servitù (o servitù prediali);
•
diritti reali di garanzia:
o il pegno,
o l'ipoteca.
I diritti reali sono caratterizzati:
1.
Immediatezza: possibilità che il titolare eserciti direttamente il potere sulla cosa, senza necessità della
cooperazione di terzi (es. il proprietario può utilizzare il bene senza la collaborazione di altri e sufficiente che
questi ultimi non vi frappongono ostacolo)
2.
Assolutezza: dovere di tutti i consociati di astenersi dall’interferire nel rapporto fra il titolare del diritto
reale ed il bene che ne è oggetto e, correlativamente, dalla possibilità per il titolare di agire in giudizio contro
chiunque contesti o pregiudichi il suo diritto (c.d. efficacia erga omnes)
3.
Inerenza: opponibilità del diritto a chiunque possieda o vanti diritti sulla cosa (es.: il proprietario può
agire nei confronti di chiunque possieda il bene per ottenerne la restituzione)
I diritti reali costituiscono un numerus clausus (sia cioè precluso ai privati di creare diritti reali diversi da quelli
disciplinati dalla legge) e contestualmente sono connotati dal carattere della tipicità (sia cioè precluso ai privati di
modificare la disciplina dei singoli diritti reali) questo perché si vuole impedire che i privati possano moltiplicare
limiti e vincoli destinati a comprimere i poteri del proprietario e tutelare i terzi che volendo acquisire i diritti sulla
cosa devono essere posti in grado di conoscere con esattezza i vincoli che gravano su di essa.
Nell’ambito dei diritti reali si è soliti distinguere tra la proprietà privata (in re propria) e i diritti reali che
gravano su beni di proprietà altrui e che sono destinati a coesistere (in re aliena) comprimendo così i diritti del
proprietario (es.: su un medesimo fondo possono gravare il diritto di proprietà di Tizio ed una servitù di passaggio
a favore di Caio: è evidente che quest’ultimo diritto limitarà il potere del primo, il quale potrà sì utilizzare il
proprio fondo, ma gli saranno precluse tutte quelle attività che impediscano a Caio l’esercizio del suo diritto).
I diritti reali in re aliena si distinguono in diritti reali di godimento (superficie, enfiteusi, usufrutto, uso,
abitazione, servitù prediali) e diritti reali di garanzia (pegno ed ipoteca): i primi attribuiscono al loro titolare il
diritto di trarre dal bene talune delle utilità che lo stesso è in grado di fornire; i secondi attribuiscono al loro
titolare il diritto di farsi assegnare, con prelazione rispetto agli altri creditori, il ricavato dell’eventuale alienazione
forzata del bene, in caso di mancato adempimento dell’obbligo garantito.
Da non confondere con i diritti reali sono le obbligazioni propter rem (o obbligazioni reali) che si caratterizzano
per il fatto che l’obbligato viene individuato in base alla titolarità di un diritto reale su un determinato bene es.
l’obbligo di sostenere le spese necessarie per la conservazione e il godimento della cosa comune grava su ciascun
comproprietario.
Da non confondere con l’obbligazione reale è l’onere reale, in forza del quale il creditore, per il pagamento di
somme di denaro o altre cose generiche da prestarsi periodicamente in relazione ad un determinato bene
immobile, può soddisfarsi sul bene stesso, chiunque ne diventi proprietario o acquisti diritti reali di godimento o
di garanzia su di esso. Si ritiene che non sia dato ai privati costituire oneri reali al di fuori delle ipotesi
espressamente previste dalla legge.
L’unica ipotesi di onere reale prevista dal nostro ordinamento è costituita dai contributi consorziali.
LA PROPRIETA’
La proprietà è un diritto reale che ha per contenuto la facoltà di godere e di disporre delle cose in modo
pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi previsti dall'ordinamento giuridico.
Tutte le proprietà sono inviolabili art. 29 dello Statuto Albertino del 1848
Nella formula dello Statuto la proprietà privata (espressione generale del principio di libertà) sarebbe un diritto
innato, che i poteri pubblici possono soltanto eccezionalmente comprimere, ma sempre rispettandone la priorità
rispetto alla stessa organizzazione dello stato.
La proprietà attribuisce al titolare:
1.
Il potere di godimento del bene (se, come e quando utilizzarlo; direttamente (abitando la casa di
proprietà) o indirettamente (concedendo un appartamento in locazione)
2.
Il potere di disposizione del bene (cedere ad altri, in tutto o in parte, es. l’immobile posso locarlo
venderlo donarlo ecc. )
Entrambi i poteri sono pieni ed esclusivi.
Da qui l’idea che la proprietà sia caratterizzata dai connotati:
1.
Assolutezza (diritto del proprietario di fare sulla cosa tutto ciò che vuole anche distruggerla)
2.
Esclusività (diritto del proprietario di vietare ogni ingerenza di terzi)
Le caratteristiche della assolutezza e della esclusività sono tipiche ormai solo della proprietà dei beni di uso
strettamente personale. Quanto agli altri beni l’ordinamento non rimette integralmente al proprietario le scelte in
ordine al loro utilizzo. Già il codice civile detta una disciplina differenziata per le proprietà dei beni di interesse
storico e artistico, per la proprietà rurale, per la proprietà edilizia, per la proprietà fondiaria: elaborando per
ciascuna categoria di beni una serie di previsioni miranti a conciliare l’interesse egoistico del proprietario con
l’interesse degli altri proprietari o della collettività.
Con l’avvento della Carta costituzionale, inoltre, la proprietà non solo non viene più dichiarata inviolabile, ma
non viene neppure disciplinata fra i principi fondamentali, né fra i diritti di libertà: essa è contemplata nel titolo
relativo ai rapporti economici.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge: tale garanzia implica che non è consentito al legislatore
ordinario di sopprimere l’istituto della proprietà privata, e che sarebbe altresì in contrasto con i principi
costituzionali un’eventuale trasformazione del nostro sistema in un ordinamento in cui i beni siano
prevalentemente collettivizzati.
Tuttavia l’art. 43 Cost. espressamente prevede che a fini di utilità generale il legislatore ben potrebbe escludere
l’ammissibilità della proprietà privata per quanto riguarda una determinata categoria di beni che si riferiscano a
servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente
interesse generale (es. nel 1962 si è proceduto alla nazionalizzazione delle imprese elettriche con la fondazione
dell’ ENEL anche se ricordiamo che oggi è stato trasformato in spa con titoli diffusi tra il pubblico).
A ciò si aggiunge l’art. 42 Cost. demanda espressamente al legislatore ordinario il compito di determinare i modi
di acquisto, di godimento ed i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
In altre parole il legislatore è legittimato ad intervenire per delineare, con riferimento a singole categorie di beni,
il contenuto dei poteri (di godimento e di disposizione) che competono al proprietario; e ciò al fine di garantire
che il relativo esercizio seppur com’è normale abbia finalità egoistiche comunque realizzi una funzione sociale
(da ricollegarsi sia all’esigenza di realizzare uno sfruttamento economicamente efficiente dei beni, sia
all’esigenza di instaurare più equi rapporti sociali.
La proprietà si ritiene tradizionalmente caratterizzata:
1. Imprescrittibilità (la proprietà non decade mai non si può perdere per “non uso” si può rivendicare solo
per usucapione, art. 948 c.c.)
2. Perpetuità è opinione diffusa che un proprietà ad tempus sia una nozione contraddittoria qualora ci sia
non si parla più di proprietà ma di diritto parziale
3. Elasticità i poteri che normalmente competono al proprietario possono essere compressi in virtù della
coesistenza sul bene di altrui diritti reali (es. usufrutto servitù ecc.)o di vincoli di carattere pubblicistico;
tali poteri sono però destinati a riespandersi automaticamente non appena dovesse venire meno il diritto
reale o il vincolo pubblicistico concorrente (es. a termine dell’usufrutto il proprietario si riappropria in
toto dei suoi poteri di godimento del bene)
Modi di acquisto della proprietà.
1.
Modi di acquisto “a titolo derivativo”, che importano la successione nello stesso diritto già appartenente
ad altro soggetto, per cui gli eventuali vizi che inficiavano il titolo del precedente proprietario si riversano anche
sul successore
2.
Modi di acquisto “a titolo originario”, che determinano invece la nascita di un diritto nuovo, del tutto
indipendente rispetto a quello eventualmente spettante sullo stesso bene ad altro precedente proprietario.
I modi di acquisto della proprietà a titolo derivativo più importanti sono (art. 922 c.c.) il contratto e la successione
a causa di morte.
Modi di acquisto della proprietà a titolo originario sono:
a)
L’occupazione (art. 923 ss. c.c.): consiste nella presa di possesso con l’intenzione di acquisirla in
via permanente e definitiva, di cose mobili che non sono in proprietà di alcuno (es. i pesci che vivono allo stato
naturale) o abbandonate (es. gli oggetti lasciati nei cestini dei rifiuti). Non sono invece suscettibili di occupazione
i beni immobili, in quanto se non sono di proprietà di alcuno (sono, cioè, vacanti) spettano al patrimonio dello
Stato. Eccezionalmente possono acquistarsi per occupazione, , mammiferi e gli uccelli facenti parte della fauna
selvatica; gli sciami d’api e gli animali mansuefatti sfuggiti al proprietario, di cui chi li ritrova acquista la
titolarità, se non vengono reclamati tempestivamente; i conigli, i pesci ed i colombi che passano ad altra
conigliera, peschiera o colombaia; nonché i frutti spontanei (funghi, tartufi etc.)
b)
L’invenzione (art 927 ss. c.c.): riguarda solo le cose mobili smarrite (di cui, cioè, il proprietario ignori il
luogo in cui si trovano). Queste debbono essere restituite al proprietario o, qualora non se ne conosca l’identità,
consegnate al sindaco ; trascorso un anno, se la cosa è stata consegnata al sindaco e non si presenta il proprietario,
la proprietà spetta a colui che l’ha trovata. Se invece si presenta il proprietario, questi deve al ritrovatore un
premio proporzionale al valore della cosa smarrita.
Una particolare forma di invenzione è quella che riguarda il tesoro, per tale intendendosi una cosa mobile di
pregio, nascosta o sotterrata, di cui nessuno può provare di essere proprietario: esso diviene immediatamente di
proprietà del titolare del fondo in cui si trova; ma, se è trovato, per solo effetto del caso, nel fondo altrui, spetta
per metà al proprietario e per metà al ritrovatore. I c.d. beni culturali, da chiunque e in qualunque modo ritrovati
nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e al proprietario dell’immobile dove è avvenuto il
ritrovamento e allo scopritore fortuito compete un premio (d.lgs. 42/2004).
c)
L’accessione (art. 934 ss. c.c.): opera in caso di stabile incorporazione (per opera dell’uomo od
anche per evento naturale) di beni di proprietari diversi: in tale ipotesi di regola il proprietario della cosa
principale acquista la proprietà delle cose che vengono in essa incorporate.(es. se si vende un terreno e si tace
circa le costruzioni su essa esistenti, il compratore acquista a titolo derivativo il terreno, e a titolo originario (per
accessione) le costruzioni.
Al riguardo occorre distinguere fra:
a) L’accessione da mobile ad immobile (934 ss. c.c.): importa che di regola qualunque piantagione,
costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo. Il proprietario del suolo
acquista ex lege la proprietà di quanto nello stesso luogo venga da chiunque incorporato: il suolo è sempre
considerato “cosa principale”, quand’anche le cose incorporate dovessero avere un valore di mercato maggiore.
Siffatta regola (peraltro derogabile per volontà delle parti) importa la necessità di contemperare i contrapposti
interessi del proprietario del suolo con quelli del proprietario di questi ultimi, se diverso:
La regola secondo cui “superficies solo cedit” viene peraltro derogata (anzi, ribaltata, nel senso che è il suolo a
cedere a quanto in esso impiantato) in ipotesi di c.d. “accessione invertita” (938 c.c.), che si configura
allorquando nel realizzare una costruzione, il proprietario sconfina sul fondo altrui, sicché l’edificio viene ad
insistere a cavallo tra due fondi: se la parte realizzata sul terreno altrui non ha una propria autonomia funzionale,
se l’autore dello sconfinamento opera nel ragionevole convincimento di edificare sul proprio suolo (buona fede),
se il proprietario del fondo occupato non fa opposizione entro 3 mesi dal giorno in cui la costruzione sul suo
fondo ha avuto inizio, il proprietario sconfinante può chiedere che il giudice gli trasferisca la proprietà del suolo
occupato a fronte del pagamento, a favore del confinante, di una somma pari al doppio del valore della superficie
occupata.
b) L’accessione di immobile ad immobile (941 ss. c.c.), che si articola nelle seguenti figure:
1)
l’“alluvione”, che consiste nell’accrescimento dei fondi rivieraschi di fiumi e torrenti per l’azione
dell’acqua corrente: siffatti terreni alluvionali appartengono al proprietario del fondo incrementato;
2)
l’“avulsione”, che consiste nell’unione al fondo rivierasco di porzioni di terreno, considerevoli e
riconoscibili staccatesi da altro fondo per forza istantanea dell’acqua corrente: dette porzioni di terreno
appartengono al proprietario del fondo incrementato, che è peraltro tenuto a pagare all’altro proprietario
un’indennità nei limiti del maggior valore recato al suo fondo dall’avulsione. In altre parole la corrente stacca da
un fondo e trasporta più a valle o sull'altra riva una parte considerevole e riconoscibile di suolo: chi ha ricevuto
l'incremento ne diventa proprietario, ma deve un'indennità all'altro proprietario
Non costituiscono più oggi ipotesi di accessione né quella dei terreni abbandonati dalle acque correnti né quella
dell’alveo derelitto (cioè, i terreni abbandonati dalle acque di un fiume che si forma in un nuovo letto), né quella
delle isole che si formano nel letto di fiumi o torrenti: detti beni sono, ora, parte del demanio pubblico.
c) L’accessione da mobile a mobile (art. 939 ss. c.c.), che dà luogo alle seguenti figure:
1)
l’“unione”, che consiste nella congiunzione di beni mobili appartenenti a proprietari diversi che
vengono a formare un tutto inseparabile senza dar luogo ad una “cosa nuova”: la proprietà diventa comune. Se
però, una delle due cose si può considerare principale o è molto superiore per valore, il suo proprietario acquista
la proprietà del tutto e deve corrispondere una somma di denaro alla controparte Egli ha l'obbligo di pagare
all'altro il valore della cosa che vi è unita o mescolata; ma se l'unione o la mescolanza è avvenuta senza il suo
consenso ad opera del proprietario della cosa accessoria, egli non e obbligato a corrispondere che la somma
minore tra l'aumento di valore apportato alla cosa principale e il valore della cosa accessoria. E' inoltre dovuto il
risarcimento dei danni in caso di colpa grave.;
2)
la “specificazione”, che consiste nella creazione di una cosa del tutto nuova con beni mobili
appartenenti ad altri (es.: produzione di sapone con materie prime altrui): qui si ha trasformazione della materia
mediante l’opera umana. Il codice ha dato conseguentemente importanza all’elemento “lavoro”: infatti, se è
superiore il valore della mano d’opera, la proprietà spetta allo specificatore (salvo l’obbligo di pagare al
proprietario il prezzo della materia); altrimenti prevale il diritto del proprietario della materia (che peraltro deve
pagare il prezzo della mano d’opera).
Azioni a difesa della proprietà.
“Azioni petitorie” (hanno natura reale, in quanto volte a far valere un diritto reale):
a) L’“azione di rivendicazione” (c.d. reivindicatio)(art. 948 c.c.): è concessa a chi si afferma proprietario di
un bene, ma non ne ha il possesso, al fine di ottenere, da un lato, l’accertamento del suo diritto di proprietà sul
bene stesso e, dall’altro, la condanna di chi lo possiede o detiene alla sua restituzione.
“Legittimato attivamente” è perciò chi sostiene di essere proprietario del bene senza trovarsi nel possesso della
cosa. “Legittimato passivamente” è colui che, avendo il possesso o la detenzione della cosa, ha la c.d. facultas
restituendi. È sufficiente che il convenuto possieda o detenga la cosa al momento della domanda giudiziale: se
successivamente abbia cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa (es.: perché l’ha ceduta a terzi),
l’azione può essere legittimamente proseguita nei suoi confronti, anche se non potrà più avere l’effetto restitutorio
del possesso che le è proprio. Il convenuto sarà obbligato a recuperare la cosa per l’attore a proprie spese, oppure,
in mancanza, a corrispondergliene il valore, oltre a dovergli in ogni caso risarcire il danno. Comunque il
proprietario può sempre rivolgersi direttamente contro il nuovo possessore, al fine di ottenerne direttamente da
quest’ultimo la restituzione del bene.
Per quel che riguarda la prova, l’attore ha l’onere di dimostrare il suo diritto di proprietà. Se l’acquisto è a titolo
originario, gli sarà sufficiente fornire la prova di tale titolo. Se invece l’acquisto è a titolo derivativo (es.:
usucapione), non basterà la produzione in giudizio del suo titolo di acquisto (in quanto l’alienante potrebbe non
essere stato il proprietario del bene e quindi legittimato a trasferirne la titolarità), sicché l’attore dovrà dare la
prova anche del titolo di acquisto dei precedenti titolari fino ad arrivare ad un acquisto a titolo originario: in
questo caso la prova sarebbe, se non impossibile, estremamente difficile (“probatio diabolica”).
Soccorrono peraltro due istituti:

Rispetto ai beni mobili sarà sufficiente che l’attore provi che, quand’anche avesse acquistato da chi
non era legittimo proprietario del avrebbe comunque acquisito la proprietà della cosa per effetto della regola del
“possesso vale titolo” (art. 1153 c.c.), avendo a suo tempo ricevuto, in buona fede ed in base ad un titolo idoneo
al trasferimento della proprietà, il possesso del bene di cui ora lamenta di non avere il godimento;

Rispetto ai beni immobili (e ai beni mobili relativamente ai quali non possa dimostrarsi l’operatività
della regola “possesso vale titolo”) occorrerà invece che l’attore provi che, quand’anche avesse acquistato a non
domino, avrebbe comunque acquisito la proprietà della cosa per usucapione (art. 1158 c.c.), avendone avuto il
possesso continuato per il tempo necessario a maturarsi dall’usucapione stessa.
L’”azione di rivendicazione” è imprescrittibile, perché anche il non uso è una manifestazione dell’ampiezza di
poteri che spettano al proprietario. Essa deve essere però rigettata se il convenuto dimostra di avere acquistato la
proprietà della cosa per usucapione.
Dall’azione di rivendicazione si distingue l’azione di restituzione: la prima presuppone che colui che si
afferma proprietario pretenda la consegna del bene proprio per il fatto di esserne proprietario; l’azione di
restituzione, invece, che l’attore agisca in giudizio vantando un diritto alla restituzione nascente da un rapporto
contrattuale, oppure dalla sua risoluzione, dalla sua scadenza, etc.: nell’azione di restituzione non occorre,
ovviamente, la prova del diritto di proprietà; basta quella dell’obbligo di restituzione.(es. diritto alla restituzione
del veicolo consegnato al meccanico per la riparazione)
b) L’“azione di mero accertamento della proprietà” è dalla giurisprudenza riconosciuta a chi (abbia o non
abbia il possesso della cosa) ha interesse (es.: perché da altri contestato) ad una pronuncia giudiziale che affermi,
con l’efficacia del giudicato, il suo diritto di proprietà su un determinato bene: l’azione è rivolta non già a
recuperare la cosa (che, magari, è già nel possesso dell’attore), ma semplicemente a rimuovere la situazione di
incertezza venutasi a creare in ordine alla proprietà di essa.
c) L’“azione negatoria” (art. 949c.c.) è concessa al proprietario di un bene al fine di ottenere l’accertamento
dell’inesistenza di diritti reali vantati da terzi sul bene stesso (es.: Tizio sostiene di essere titolare di una servitù di
passaggio sul mio fondo), oltre che (nell’ipotesi in cui le relative pretese si siano tradotte nel compimento di atti
corrispondenti di detti diritti) la condanna alla cessazione delle conseguenti molestie e turbative ed al
risarcimento del danno. Per quel che riguarda la prova (poiché l’azione negatoria è diretta non già
all’accertamento della proprietà di chi agisce, ma solo al riconoscimento della libertà del bene da diritti di terzi)
l’attore non deve fornire la prova rigorosa della proprietà sul bene stesso, come accade invece in caso di
rivendicazione, ma è sufficiente che dimostri un valido titolo di acquisto (es. il rogito notarile dell’acquisto
dell’immobile). Sarà il convenuto a dover, se vuole ottenere il rigetto dell’azione, dimostrare l’esistenza del
diritto che vanta. Anche l’azione negatoria è imprescrittibile. Ma dovrà essere rigettata, qualora il convenuto
dovesse dimostrare di aver acquistato il diritto vantato per usucapione.
d) L’“azione di regolamento di confini” presuppone l’incertezza del confine tra due fondi: i rispettivi titoli
di proprietà delle parti non sono contestati; incerta è solo l’estensione delle proprietà contigue; si ha dunque un
“conflitto tra fondi”, non già un “conflitto di titoli”. L’azione (che spetta al proprietario nei confronti del
confinante) è volta appunto ad accertare giudizialmente il confine tra due fondi contigui, ed eventualmente ad
ottenere la condanna alla restituzione della striscia di terreno, che dalla fissazione della linea di confine dovesse
risultare posseduta dal non proprietario. La prova dell’ubicazione del confine può essere fornita con ogni mezzo
(art. 950 c.2 c.c.); in mancanza di altri elementi il giudice si atterrà al confine allineato dalle mappe catastali,
prova (art. 950 c.3 c.c.). Anche l’azione di regolamento di confini è imprescrittibile.
e) L’“azione per apposizione di termini” (art. 951 c.c.): a differenza del precedente presuppone la certezza
del confine e serve a far apporre o a ristabilire i segni lapidei, simboli del confine tra due fondi, che manchino o
siano divenuti irriconoscibili.
Le azioni fin qui esaminate si distinguono dalle azioni a tutela del possesso, c.d. “azioni possessorie”.
Espropriazione e indennizzo
Art. 42, la proprietà privata può esser, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi
d’interesse generale (interesse della collettività ad utilizzare il bene del proprietario, ove occorra, a fini di
pubblico interesse:realizzazione di ponti scuole ospedali ecc.).
La Costituzione prevede che la posizione del privato possa essere sacrificata solo in presenza:
a) di un interesse generale;
b) di una previsione legislativa che lo consenta (cd riserva di legge);
c) di un indennizzo che compensi il privato del sacrificio che subisce nell’interesse della collettività.
Nozione ormai superata di “espropriazione” è che fosse il trasferimento della titolarità di un bene dal precedente
proprietario ad un altro soggetto, pubblico o privato (cd espropriazione traslativa);
La Corte Costituzionale ha invece ritenuto che rientrassero nella nozione d’espropriazione anche quelle
limitazioni che pur non determinando per il proprietario la perdita del suo diritto siano tali da svuotare di
contenuto il diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene tanto profondamente da renderlo inutilizzabile
relativamente alla destinazione inerente alla natura del bene stesso o determinando il venir meno o una penetrante
incisione del suo valore di scambio (cd espropriazione larvata). In sostanza, in simili ipotesi il soggetto in
questione è ancora formalmente proprietario di un bene ma, in virtù di dette limitazioni, non può goderne
appieno. Si potrebbe concludere quindi che, in questa ipotesi non sussiste vera e propria espropriazione (che
incide sulla TITOLARITA' del diritto di proprietà), ma piuttosto una forma di espropriazione "attenuata", che
interessa e incide sull'ESERCIZIO del diritto; un esempi,o sono le c.d. servitù militari (che concedevano alle
autorità militari poteri discrezionali di imporre vincoli, senza indennizzo, sulle proprietà vicine ad opere militari sono state poi dichiarate incostituzionali)..
La Corte Costituzionale tende a distinguere da un lato fra disposizioni che si riferiscono ad intere categorie di
beni, sottoponendo tutti i beni appartenenti alla categoria ad un particolare regime di godimento, dall’ altro di
disposizioni che si riferiscono invece a singoli cespiti, restringendo i poteri del proprietario rispetto a quelli
riconosciuti in via generale agli altri titolari di beni appartenenti a quella medesima categoria oppure
annullandone o diminuendone in modo apprezzabile il valore di scambio: le prime non rientrano nel concetto di
espropriazione, bensì in quello di “conformazione” del contenuto del diritto di proprietà sui beni appartenenti a
quella determinata categoria e, conseguentemente, non comportano indennizzo (es. le restrizioni ai poteri di
godimento a cui sono sottoposti i proprietari dei cd beni culturali) ; le seconde rientrano invece nel concetto di
“espropriazione” e necessitano di indennizzo (es. proprietario agricolo il cui fondo è gravato da vincoli alla
coltivazione a tutela della sicurezza dei voli che si effettuano nel limitrofo aeroporto)
Su questa linea, il DPR 327/2001 prevede che nella nozione di espropriazione di beni immobili rientri non solo
l’ipotesi di passaggio del diritto di proprietà dall’espropriato al beneficiario dell’espropriazione, ma anche quella
del vincolo sostanzialmente espropriativo, cioè quella in cui il fondo sia gravato da una servitù o subisca una
permanente diminuzione di valore per la perdita o la ridotta possibilità di esercizio del diritto di proprietà
Quanto al problema relativo ai criteri di determinazione dell’indennizzo da parte del legislatore, la Corte Cost. ha
escluso che l’indennizzo debba necessariamente consistere unicamente nel integrale risarcimento del
pregiudizio economico sofferto dall’espropriato in base al solo valore venale (di mercato) del bene ; di contro ha
escluso anche che l’indennizzo possa essere dal legislatore stabilito in termini meramente simbolici o irrisori,
dovendo piuttosto rappresentare un serio ristoro del pregiudizio conseguente all’espropriazione. Il già citato DPR
del 2001 ha stabilito dei criteri di valutazione dell’indennizzo relativi all’espropriazione di aree non edificabili
(l’indennizzo è pari al valore agricolo più un indennità aggiuntiva se il proprietario è coltivatore diretto) aree
edificabili, (l’indennizzo è pari all’importo diviso per due e ridotto nella misura del 40% risultante dalla somma
del valore venale del bene e del reddito dominicale netto rivalutato moltiplicato per dieci) costruzioni
legittimamente edificate (l’indennizzo è pari al valore venale) e vincoli sostanzialmente espropriativi.
(l’indennizzo è commisurato al danno effettivamente prodotto)
Al fine di incentivare la cessione volontaria della proprietà del bene dall’espropriando al beneficiario senza
necessità di addivenire ad un formale decreto di esproprio, la legge prevede che il corrispettivo della cessione sia,
di regola, maggiore rispetto all’indennizzo (es. per la cessione volontaria del di un area edificabile non è prevista
la riduzione del 40%)
In relazione al caso in cui la PA abbia realizzato un’opera pubblica su un fondo privato occupato
illegittimamente, senza un provvedimento espropriativo o d’occupazione d’urgenza la giurisprudenza ritenne che
la p.a. acquisisse ex lege la proprietà della stessa (cd acquisizione acquisitiva) con l’obbligo di risarcire il danno
in conseguenza della perdita del diritto domenicale, Il DPR del 2001 ha previsto invece che l’acquisto del fondo
al patrimonio indisponibile dell’ente pubblico si verifichi non già automaticamente, bensì in forza di un atto di
acquisizione rimesso alla discrezionalità della PA, che deve altresì determinare la misura del risarcimento del
danno che compete al proprietario. Con la riforma dell’articolo V acceso è il dibattito se ed in che misura
l’espropriazione sia competenza legislativa esclusiva dello stato o residuale singole regioni
La proprietà dei beni culturali.
Beni culturali: cose, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico, archivistico,
bibliografico, o che comunque costituiscono testimonianze aventi valore di civiltà.
Art. 19 c.c. La repubblica tutela il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Art. 839 c.c.: postula un particolare regime dominicale per le cose di proprietà privata, immobili o mobili, che
presentano interesse artistico, storico o etnografico.
D.lgs. 42/2004: impone al proprietario, cui sia stata notificata dal Ministero per i beni e le attività culturali, la c.d.
dichiarazione dell’interesse culturale, tutta una serie di limiti relativi al potere di godimento (es.: i beni culturali
non possono essere distrutti, danneggiati, o adibiti ad usi incompatibili con il loro carattere storico o artistico,
oppure tali da arrecare pregiudizio alla loro conservazione) e al potere di disposizione (es.: obbligo di denuncia al
Ministero per i beni e le attività culturali degli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la
proprietà o la detenzione di detti beni e il diritto di prelazione dello stato nel caso di alienazioni a titolo oneroso).
La proprietà edilizia.
DPR 380/2001: l’attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio è subordinata:
a)
al previo rilascio, da parte dell’autorità comunale, di un permesso di costruire, quanto agli interventi di
maggiore impatto (es. nuova costruzione, ristrutturazione urbanistica). Tale permesso può essere rilasciato solo se
l’intervento sia conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici e della disciplina urbanistico-edilizia vigente,
e comporta l’obbligo a favore del Comune di un contributo di costruzione,commisurato che consenta
all’amministrazione municipale di provvedere alle indispensabili opere di urbanizzazione primaria (strade
parcheggi ecc.) e secondaria. (asili scuole chiese)
b)
Alla denuncia di inizio di attività (D.I.A) da presentarsi all’autorità comunale da parte del proprietario
dell’immobile, almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori, accompagnata da una relazione a firma
del progettista che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici.
Al fine di evitare l’abusivismo edilizio la legge fa ricorso a strumenti di tipo amministrativo (es. sospensione dei
lavori sanzione pecuniaria,) ma anche di tipo privatistico ovvero:
a) sanzione di nullità per gli atti aventi ad oggetto il trasferimento o la costruzione di diritti reali su terreni, ove
agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica;
b) sanzione di nullità per gli atti aventi ad oggetto il trasferimento o la costruzione di diritti reali su edifici, la cui
costruzione sia iniziata dopo il 17 marzo 1985, ove dagli stessi atti non risultino, per dichiarazione dell’alienante,
gli estremi del permesso per costruire;
c) divieto alle aziende erogatrici di servizi pubblici, di somministrare (contratto con il quale una parte si obbliga,
verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell’altra, prestazioni periodiche o continuative di beni o
servizi) le loro forniture per l’esecuzione di opere prive di permesso di costruire;
d) imposizione a chi abbia violato le disposizioni che regolamentano l’attività edilizia dell’obbligo di risarcire i
danni che i terzi ne abbiano eventualmente sofferto, e, se si tratta di disposizioni tese a disciplinare le distanze tra
costruzioni, permesso ai terzi “vicini” di chiedere la riduzione in pristino (eliminazione delle opere abusive).
L’art. 117, Cost. demanda oggi alla potestà legislativa concorrente dello stato e delle regioni ordinarie la materia
del governo del territorio, che sicuramente ricomprende l’urbanistica (disciplina dell’assetto e dell’utilizzazione
del territorio.)
Tuttora fondamentale rimane la L. 1150/1942 (Legge urbanistica), la quale prevede che la pianificazione del
territorio (dove, che cosa e come si può fare su di esso) avvenga principalmente attraverso due strumenti ad
iniziativa pubblica: il “piano regolatore generale” (P.R.G) esso indica la divisione in zone del territorio comunale
i vincoli da osservare le aree destinate a formare spazi di uso pubblico ecc. e, in sua attuazione, il “piano
particolareggiato di esecuzione” (P.P). indica in dettaglio le reti stradali i dati altimetrici di ciascuna zona ecc.
Tuttavia la legge oggi, accanto a strumenti di pianificazione attuativa ad iniziativa pubblica, ne conosci altri che
fanno invece ricorso a meccanismi di tipo privatistico: in particolare, la “convenzione di lottizzazione”, in forza
della quale, a fronte dell’autorizzazione da parte del Comune di un piano di lottizzazione proposto dai proprietari
delle aree interessate, questi ultimi si assumono una serie di impegni nei confronti del Comune stesso. (es.
cessione gratuita di aree per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria assunzione di parte di oneri per la
realizzazione delle stesse ecc.)
La proprietà fondiaria.
Secondo una suggestiva definizione medievale in linea verticale la proprietà fondiaria (proprietà della terra) si
estenderebbe sia nel sottosuolo che nello spazio aereo soprastante, cioè all’infinito.
Peraltro L’art. 840 dispone che il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale
profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante, che egli non abbia interesse ad escluderle (es.:
il proprietario non può opporsi all’escavazione di una galleria che non pregiudichi la statica del suo edificio o al
passaggio di aeroplani su di esso).
Dunque la proprietà del suolo si estende a quella sola parte del sottosuolo suscettibile di utilizzazione secondo un
criterio di normalità, tanto quanto per il soprassuolo. Una limitazione all’estensione della proprietà si ha quando
venga costituito un diritto di superficie.
In senso orizzontale, invece, ciascuna proprietà fondiaria si estende nell’ambito dei propri confini. Il proprietario
ha la facoltà, da un lato, di cintare in qualsiasi momento il proprio fondo (art. 841 c.c.) e, da altro lato, di
impedirne l’accesso a chiunque (salvo esercizio per la caccia, 842 c.c.; per la costruzione o riparazione di un
muro od altra sua opera che si trovi sul confine o presso di esso, 843 c.c. per riprendere la cosa sua che vi si trovi
accidentalmente o l’animale che vi sia riparato sfuggendo alla custodia, 843 c.c.).
Le consuetudini consentono talora l’accesso ai fondi altri per passeggiarvi, raccogliere fiori o funghi, sciare ecc.
I rapporti di vicinato.
Le singole proprietà immobili sono necessariamente destinate a convivere fianco a fianco. L’eventuale
riconoscimento, in capo a ciascuno dei titolari, di un potere di godere in modo pieno del proprio fondo (art. 832
c.c.) darebbe inevitabilmente luogo a conflitti tra i loro contrapposti interessi. (es. voglio svolgere un attività
produttiva sul mio fondo ma allo stesso tempo il mio vicino non vuole subire immissione di fumi o rumori
durante lo svolgimento dell’attività)
Proprio al fine di contemplare i contrapposti interessi dei proprietari di fondi contigui, disciplinando i “rapporti di
vicinato”, il codice detta tutta una serie di regole in materia di: a) atti emulativi (immissioni (844 c.c.); c) distanze
(873, 878 ss. c.c.); d) muri (874 ss. c.c.); e) luci e vedute (900 ss. c.c.); f) acque (908 ss.). Tradizionalmente, dette
regole venivano intese come volte ad imporre alla proprietà immobiliare limiti legali nell’interesse privato
(nell’interesse cioè dei proprietari dei fondi contigui). Viene superata quindi la concezione che la proprietà è un
diritto che, indifferente alla natura del bene su cui ricade, attribuisce sempre e comunque al suo titolare un potere
di godimento pieno sul bene stesso. In realtà, le norme in discussione sono semplicemente tese a conformare la
proprietà immobiliare, in modo da assicurare un coordinamento fra i diritti riconosciuti ai singoli titolari.
Gli atti emulativi.
Al proprietario sono preclusi gli atti di emulazione, per tali intendendosi quelli che non hanno altro scopo che
quello di nuocere o arrecare molestia ad altri. (cd abuso del diritto soggettivo)
Perché l’atto di godimento di un bene sia vietato, debbono concorrere due elementi:
a) l’uno oggettivo, ossia l’assenza di utilità per il proprietario;
b) l’altro soggettivo, ossia la sola l’intenzione di nuocere o arrecare molestia ad altri (non posso
piantare
alberi solo per togliere la veduta panoramica al mio vicino)
Si ritiene non incorra invece nel divieto di atti emulativi un comportamento omissivo del proprietario,
quand’anche finalizzato a nuocere al vicino (es. faccio crescere arbusti spontanei per togliere la veduta
panoramica al mio vicino)
Le immissioni.
Il diritto di godere del bene in modo esclusivo (832 c.c.) importa che lo stesso è legittimato ad opporsi a qualsiasi
attività materiale di terzi che abbia a svolgersi sul suo fondo (es. scarico di rifiuti smaltimento di liquami le cd
“immissioni materiali”). Egli non può invece opporsi, almeno di regola, ad attività che si svolgono sul fondo del
vicino.
E’ peraltro frequente che talune attività importino la produzione di fumi, calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e
simili, destinati a propagarsi nelle proprietà circostanti (cd “immissioni immateriali”). In questo caso occorre
distinguere
:a) se le immissioni rimangono al di sotto della soglia della normale tollerabilità, chi le subisce deve sopportarle;
b) se le immissioni superano la soglia della normale tollerabilità, ma sono giustificate da esigenze della
produzione (es. immissioni sonore degli impianti industriali che superino il cd rumore di fondo della zona).
L’interesse collettivo in termini di produzione e occupazione impone il mantenimento dell’attività , chi le subisce
non ha diritto di farle cessare, ma può solo ottenere un indennizzo in denaro per il pregiudizio eventualmente
sofferto;
c) se le immissioni superano la soglia della normale tollerabilità senza essere giustificate da esigenze della
produzione, (es. il vicino suona la chitarra emettendo emissioni sonore che superando il cd rumore di fondo della
zona chi la subisce ha diritto che, per il futuro, ne venga inibita la prosecuzione e, per il passato, che gli sia
riconosciuto l’integrale risarcimento del danno eventualmente sofferto.)
La soglia della “normale tollerabilità” di un’immissione non coincide con i limiti variamente previsti da leggi e
regolamenti a tutela di interessi di carattere generale (es. salute quiete pubblica ecc ). La tollerabilità o meno di
un’immissione va valutata caso per caso, dal punto di vista del fondo che la subisce, tenendo conto della
“condizione dei luoghi”: cioè, della loro destinazione naturalistica ed urbanistica, delle attività normalmente
svolte nella zona, del sistema di vita e delle abitudini di chi vi opera, ecc. Non rilevano invece, né le condizioni
soggettive di chi utilizza il fondo (es.: un soggetto particolarmente irritabile perché affetto da esaurimento
nervoso), né l’attività svolta da quest’ultimo (es.: una guardia notturna che riposa nelle ore diurne).
L’immissione che supera la soglia della normale tollerabilità proveniente dall’espletamento di attività produttive
sarà ammessa (salvo indennizzo) solo: a) se non sia eliminabile (o quantomeno riducibile) attraverso l’adozione
di accorgimenti tecnici non particolarmente onerosi; b) se la cessazione dell’attività produttiva causerebbe alla
collettività un danno più grave del sacrificio inflitto ai proprietari dei fondi vicini.
Al riguardo si può (ma il criterio è accessorio e facoltativo) anche “tener conto della priorità di un determinato
uso” (es.: chi costruisce in adiacenza ad un’officina sa benissimo ex ante a quali immissioni si espone).
Le distanze legali.
Al fine di impedire che, fra immobili che si fronteggiano da fondi appartenenti a proprietari diversi, possano
crearsi anguste intercapedini in cui i rifiuti si accumulino e l’aria ristagni con effetti negativi sulla vivibilità degli
edifici e la salute degli utilizzatori , il codice civile dispone che le costruzioni su fondi confinanti se non sono
unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di 3 metri tra loro.
Se l’immobile risulta a distanza inferiore, il vicino può agire per la rimozione dell’opera abusivamente realizzata,
nonché per il risarcimento del danno sofferto.
Il codice contempla poi tutta una serie di disposizioni aventi ad oggetto i muri che si trovano sul confine o nei
pressi del confine tra proprietà limitrofe. Il proprietario confinante ha diritto di acquisire (mediante sentenza
costitutiva, ove l’altro proprietario non vi consenta) la comproprietà del muro che si trovi sul confine; il
proprietario come abbiamo detto deve lasciare uno spazio di almeno tre metri tra la sua costruzione e quella del
fondo confinante (art. 873 c.c.), sempre che le costruzioni non siano unite o aderenti ; ciò vuol dire che è possibile
spingersi, esistendo un'altra costruzione, ad un metro e mezzo dal confine, ma se la costruzione del vicino si trova
a meno di un metro e mezzo dal confine, il proprietario può entrare nel fondo confinante e edificare in aderenza al
muro del suo vicino.
Chi acquisisce la comproprietà del muro deve all’altro confinante un importo pari alla metà del valore del muro e
del suolo su cui esiste, nonché (nel caso in cui il muro non si trovi sul confine) un importo pari al valore dell’area
da occupare con la nuova costruzione.
In considerazione del carattere potenzialmente dannoso che assumono rispetto ai fondi vicini, il codice prevede
distanze minime di sicurezza dal confine per pozzi, cisterne, fosse e tubi, fabbriche e depositi pericolosi o nocivi,
fossati e canali, piantagioni, apiari.
Le luci e le vedute.
Il codice civile regola in maniera dettagliata anche la possibilità di ottenere luce e aria dal fondo del vicino
aprendo delle finestre o balconi sul muro che, oltre a far entrare luce e aria nella costruzione, permettono anche di
guardare il fondo del vicino, fatto che non sempre potrebbe essere gradito. In primo luogo si distingue tra luci e
vedute (art. 900 c.c.):
Luci: danno passaggio alla luce e all'aria, ma non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino
Vedute o prospetti: permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente
In merito alle luci si stabilisce che devono: essere munite di un'inferriata idonea a garantire la sicurezza del vicino
e di una grata fissa in metallo le cui maglie non siano maggiori di tre centimetri quadrati avere il lato inferiore a
una altezza non minore di due metri e mezzo dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare luce e
aria, se esse sono al piano terreno, e non minore di due metri, se sono ai piani superiori a meno che si tratti di
locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di
osservare
l'altezza
stessa.
Si stabilisce, inoltre, che le luci possono essere aperte dal proprietario del muro contiguo al fondo altrui (art. 903
c.c.), ma se il muro è comune nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso dell'altro. La presenza di
luci, tuttavia, non impedisce al vicino di acquistare la comunione del muro medesimo né di costruire in
aderenza(art. 904 c.c.) In merito alle vedute è stabilito che: non si possono aprire vedute dirette verso il fondo
chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in
cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo, né si possono parimenti costruire balconi
o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino,
se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere, ma il divieto cessa
allorquando tra i due fondi vicini vi è una via pubblica (art. 905 c.c.) .
I DIRITTI REALI DI GODIMENTO
I diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei diritti reali su cosa altrui (che costituiscono una
limitazione del diritto di proprietà) e comprimono il potere di godimento che spetta al proprietario.: si
suddividono in diritti reali di godimento Essi sono: la superficie, l’enfiteusi, la servitù prediale, l’abitazione (i
quali possono avere ad oggetto solo beni immobili), l’uso, l’usufrutto (i quali possono avere ad oggetto anche
beni mobili). e diritti reali di garanzia (pegno e ipoteca)
LA SUPERFICIE
Occorre ricordare che, per il principio di accessione, tutto ciò che è stabilmente incorporato sopra o sotto il suolo
appartiene al proprietario del suolo medesimo.
Peraltro questa regola subisce una deroga, allorquando venga attribuito a persona diversa dal proprietario il diritto
di superficie (art. 952 ss. c.c.).
La superficie consiste alternativamente:
a) Nel diritto di costruire al di sopra del suolo altrui un’opera, di cui il superficiario, quando l’abbia
realizzata, acquista a titolo originario la proprietà (proprietà superficiaria) separata da quella del suolo, la
quale ultima resta invece al concedente
b) Nella proprietà superficiaria di una costruzione già esistente di cui un soggetto diverso dal proprietario
diviene titolare, mentre la proprietà del suolo resta al concedente
Una separazione analoga si può stabilire per il sottosuolo (es. concedendo a un terzo di realizzare nel sottosuolo
del mio immobile un parcheggio sotterraneo, con diritto di conservarne la proprietà, poniamo, per 50 anni) (art.
955 c.c.), ma non per le piantagioni (art. 956 c.c.).
È importante tenere distinte le due ipotesi sopra delineate di diritto di superficie. Così ad es.:
•
Se la costruzione ancora non esiste, non si ha che un diritto reale su cosa altrui, che si
estingue se il titolare non costruisce per vent’anni (art. 954, c.c.)
 Se la costruzione già esiste, si ha invece una proprietà della costruzione separata da quella del suolo;
e quindi non è concepibile l’estinzione per non uso, che non si concilia con la natura del diritto di
proprietà.
La superficie può essere perpetua oppure a termine: in quest’ultimo caso, alla scadenza la proprietà della
costruzione passa, gratuitamente (salvo patto contrario), al proprietario del suolo (953 c.c.).
Modi di acquisto della superficie sono il contratto (vuoi a titolo oneroso vuoi gratuito), il testamento e
l’usucapione.
Per quanto riguarda i poteri del superficiario, egli ha la libera disponibilità della costruzione, che altro non è che
una proprietà separata: può alienarla e costituire su di essa diritti reali. Ma, se il diritto di superficie è a tempo
determinato, la scadenza dal termine, facendo venir meno i diritti del superficiario, importa da un lato l’estinzione
dei diritti costituiti dal superficiario stesso, e dall’altro l’espansione alla costruzione dei diritti reali costituiti sul
suolo.
Salva diversa pattuizione, il perimetro della costruzione non estingue il diritto di superficie (954, c.c.): ciò si
spiega considerando che la costruzione non è che un’estrinsecazione del diritto di superficie e non si confonde con
esso. Perciò il superficiario può ricostruire sul suolo in base al diritto di superficie.
Il diritto di superficie trova ampia applicazione nella pratica: ad es. negli edifici condominiali; negli immobili di
edilizia economico-popolare (in cui, mentre la proprietà del suolo appartiene alla P.A. la proprietà delle singole
unità immobiliari appartiene in via esclusiva a ciascun acquirente, per un massimo di novantanove anni); nella
realizzazione di parcheggi sotterranei (la cui proprietà del suolo appartiene alla P.A. mentre quella dell’edificio
appartiene al privato che lo costruisce, al fine di recuperare l’investimento effettuato attraverso il ricavo della
gestione del parcheggio).
B) L'ENFITEUSI
L’enfiteusi attribuisce alla persona a cui favore è costituita (enfiteuta, o concessionario) lo stesso potere di
godimento che, su un bene immobile, spetta al proprietario, salvo l’obbligo di migliorare il fondo e di pagare al
proprietario stesso (nudo proprietario, o concedente) un canone periodico che può consistere in denaro o in una
quantità fissa di prodotti naturali, nei limiti fissati da leggi speciali. A differenza dell’usufruttuario, l’enfiteuta può
anche mutuare la destinazione del fondo, purché non lo deteriori.
Il potere di godimento che, per effetto della costituzione di enfiteusi, spetta all’enfiteuta si suole denominare
dominio utile: al nudo proprietario compete il dominio diretto che, in concreto, si riduce a ben poca cosa (il diritto
al canone). Perciò alcuni giungono ad affermare che, dal punto di vista giuridico, l’enfiteuta si dovrebbe ritenere
proprietario del fondo, mentre il diritto che spetta al concedente si configurerebbe come un diritto reale al canone.
L’enfiteusi può essere perpetua (a differenza dei diritti di usufrutto, uso e abitazione, che hanno sempre durata
temporanea) o a tempo (ma non può mai avere durata inferiore ai vent’anni: se si consentisse un termine più
breve, nessuno sarebbe invogliato ad assumere l’obbligo del miglioramento) (art. 958 c.c.).
Modi di acquisto dell’enfiteusi sono il contratto, il testamento e l’usucapione.
La legge attribuisce:
 All’enfiteuta il c.d. potere di affrancazione, per effetto del quale lo stesso enfiteuta acquista la piena
proprietà del fondo mediante il pagamento a favore del concedente di una somma di denaro (971
c.c.).
 Al concedente il c.d. potere di devoluzione, per effetto del quale lo stesso concedente (in caso di
inadempimento, da parte dell’enfiteuta, all’obbligo di non deteriorare il fondo od a quello di
migliorarlo, oppure all’obbligo di pagare il canone) libera il fondo dal diritto enfiteutico (972 c.c.).
C) L'USUFRUTTO, L'USO E L'ABITAZIONE
L’usufrutto consiste nel diritto di godere della cosa altrui con l’obbligo di rispettarne la destinazione economica
(art. 981 c.c.). L’usufruttuario può dunque trarre dalla cosa tutte le utilità che ne può trarre il proprietario, ma se,
per es., l’usufrutto ha per oggetto un’area, non può costruirvi, né può trasformare un giardino o parco in un orto o
in un frutteto ecc.
L’usufrutto ha necessariamente durata temporanea, perché non presenterebbe alcuna utilità pratica la proprietà del
concedente (nuda proprietà), se la facoltà di godimento le fosse definitivamente sottratta.
Così:
 Se costituito a favore di una persona fisica, l’usufrutto (se non diversamente previsto) s’intende per
tutta la durata della vita dell’usufruttuario; in ogni caso la morte di quest’ultimo determina
l’estinzione del diritto, quand’anche non fosse ancora scaduto il termine finale eventualmente
previsto.
 Se costituito a favore di una persona giuridica, oppure di un ente non personificato (es.:
un’associazione non riconosciuta), la durata dell’usufrutto non può essere superiore a trent’anni
(979 c.c.).
Oggetto dell’usufrutto può essere qualunque specie di bene, con esclusione dei soli beni (corporali) consumabili.
Questi ultimi non potrebbero infatti essere restituiti al proprietario alla cessazione dell’usufrutto (es.: cibi,
bevande ecc.)
Se il godimento di beni consumabili viene attribuito a persona diversa del proprietario, si avrà una situazione che
non coincide con quella dell’usufrutto; ma che si suole definire “quasi usufrutto”: in tal caso la proprietà dei beni
(consumabili) passa al quasi-usufruttario (quindi il quasi usufrutto non è un diritto reale su cosa altrui) salvo
l’obbligo di quest’ultimo di restituire non già gli stessi beni ricevuti (cosa impossibile), bensì il loro valore,
oppure altrettanti beni dello stesso genere (995 c.c.).
Oggetto di un usufrutto possono essere anche beni deteriorabili (es.: vestiti, autovetture, ecc.): in tal caso
l’usufruttuario ha diritto di servirsene secondo l’uso al quale sono destinati (conformemente al limite normale
dell’usufrutto). Perciò, se si tratta di abiti di gala, non possono essere indossati ogni giorno, se si tratta di cavalli
da gara non possono essere utilizzati come cavali da tiro ecc. ecc. Alla fine dell’usufrutto, l’usufruttuario è tenuto
a restituirli nello stato in cui si trovavano (996 c.c.).
Possono essere:
a) La legge, per quel che riguarda l’usufrutto legale dei beni del figlio minore da parte dei genitori
b) La volontà dell’uomo: contratto, testamento ecc.
c) L’usucapione (1158 c.c.)
d) Il provvedimento del giudice che in relazione alle necessità della prole può costituire, a favore di uno dei
coniugi, l’usufrutto su parte dei beni spettanti all’altro coniuge a seguito della divisione dei cespiti già in
comunione legale.
Quanto alla costituzione dell’usufrutto volontario, è opportuno ricordare che gli atti che costituiscono l’usufrutto
su beni immobili devono farsi per iscritto e sono soggetti a trascrizione. È soggetta a trascrizione anche
l’accettazione dell’eredità e l’acquisto del legato, che importino l’acquisto dell’usufrutto su detti beni.
Fino a tempi relativamente recenti il modo d’acquisto dell’usufrutto più diffuso è stato l’attribuzione di tale diritto
al coniuge superstite in sede di successione mortis causa (c.d. usufrutto uxorio). La riforma del diritto di famiglia
del ’75 ha peraltro eliminato siffatto istituto contemplando la proprietà piena su la quota di questi
All’usufruttuario competono:
a) Potere di godimento sul bene
 Per conseguirne il possesso, se questo è esercitato da altri, l’usufruttuario può esperire l’actio
confessoria. Quest’azione è diretta ad accertare l’esistenza del diritto di usufrutto ed ottenere la
condanna del terzo al rilascio del possesso.
 L’acquisto dei frutti naturali e civili della cosa. La legge (821 c.c.) distingue tra frutti civili e frutti
naturali, se essi appartengono a persona diversa dal proprietario: la proprietà dei frutti naturali si
acquista con la separazione, i frutti civili si acquistano giorno per giorno in ragione della durata del
diritto. Questa regola si applica anche all’usufruttuario. Tuttavia nel caso dei frutti naturali prodotti
da fondo rustico, la ripartizione tra proprietario ed usufruttuario ha luogo in proporzione della durata
del rispettivo diritto nell’anno agrario. Vengono ripartite anche le spese necessarie alla produzione.
b) Potere di disposizione del diritto di usufrutto e del godimento del bene (solo inter vivos)
• L’usufruttuario può di regola cedere ad altri non certo il diritto di proprietà sul bene, ma il proprio
diritto d’usufrutto; e può anche concedere ipoteca sull’usufrutto stesso. In ogni caso, la cessione non
può danneggiare il nudo proprietario, prolungando la compressione del suo diritto: perciò l’usufrutto
si estinguerà egualmente nel termine stabilito nell’atto di costituzione e, in mancanza, con la morte
non già dell’acquirente, ma del primo usufruttuario.
• L’usufruttuario può concedere in locazione la cosa che forma oggetto del suo diritto, e più in
generale, concederla in godimento a terzi. (es. in comodato)
Le locazioni concesse dall’usufruttuario dovrebbero estinguersi quando si estingue l’usufrutto.
Tuttavia il legislatore ha consentito che le locazioni in corso al momento della cessazione
dell’usufrutto possano proseguire per la durata stabilita (per assicurare al conduttore una certa
continuità del rapporto), ma a condizione che la locazione e la sua durata risultino da atto pubblico o
da scrittura privata con data anteriore, ed in ogni caso per non oltre un quinquennio dalla cessazione
dell’usufrutto. Peraltro, se l’estinzione dell’usufrutto si verifica per la scadenza del termine fissato
per la sua durata, la locazione non può durare se non per l’anno in corso (999 c.c.).
Dovere fondamentale è quello di restituire la cosa al termine del diritto di usufrutto
Da ciò deriva che egli è tenuto a:
a) Usare la diligenza del buon padre di famiglia nel godimento della cosa
b) Non modificare la destinazione
c) Fare (salvo dispensa) l’inventario e prestare garanzia a presidio dell’osservanza degli obblighi di
conservazione e restituzione dei beni assoggettati ad usufrutto.
La ripartizione delle spese inerenti alla produttività della cosa: l’usufruttuario è tenuto alle spese e, in genere, agli
oneri relativi alla custodia, all’amministrazione, alla manutenzione ordinaria della cosa, e quindi alle riparazioni
ordinarie, alle imposte, ai canoni, alle rendite fondiarie e agli altri pesi che gravano sul reddito. Sono invece a
carico del nudo proprietario le riparazioni straordinarie: cioè in genere quelle che superano i limiti della
conservazione della cosa e delle sue utilità per la durata della vita umana.
Si verifica (1014 c.c.):
1) Per scadenza del termine o morte dell’usufruttuario
2) Per prescrizione estintiva ventennale
3) Per consolidazione (ossia per riunione dell’usufrutto e della nuda proprietà in capo alla stessa persona)
4) Per deperimento totale della cosa
5) Per abuso che l’usufruttuario faccia del suo diritto (es. lasciar perire la cosa per mancanza di ordinarie
riparazioni
L’estinzione dell’usufrutto importa, in ogni caso, la riespansione della nuda proprietà nella proprietà piena.
Nell’interesse generale della produzione la legge non ha vietato all’usufruttuario di eseguire miglioramenti, ma ha
limitato il credito dell’usufruttuario per i miglioramenti alla minore somma tra la spesa e l’aumento di valore
conseguito dalla cosa per effetto del miglioramento.
Per quanto riguarda le addizioni (opere che vanno ad aggiungersi ad un preesistente contesto, di cui accrescono
l'utilità) l’usufruttuario ha lo ius tollendi (diritto di togliere le addizioni al termine dell’usufrutto) esse non devono
procurare nocumento alla cosa, tranne che il proprietario non preferisca mantenere le addizioni, nel qual caso
deve la minor somma tra la spesa e il miglioramento.
Uso ed abitazione.
Essi non sono che tipi limitati di usufrutto:
a) L’uso consiste nel diritto di servirsi di un bene e, se fruttifero, di raccoglierne i frutti limitatamente ai
bisogni propri e della propria famiglia (1021 c.c.)
b) L’abitazione consiste nel diritto di abitare una casa limitatamente ai bisogni propri e della propria
famiglia (1022 c.c.)
I due diritti si distinguono perciò dall’usufrutto soltanto sotto l’aspetto quantitativo: l’usuario ha le stesse facoltà
dell’usufruttuario, ma solo entro il limite indicato.
Dato il loro carattere personale, i diritti d’uso e abitazione non si possono cedere, né il bene può essere concesso
in locazione o altrimenti in godimento a terzi. I due diritti si estinguono con la morte del titolare: pertanto non
possono formare oggetto di disposizione testamentaria.
D) LE SERVITU'
La servitù prediale (dal latino medievale: che riguarda un fondo) consiste nel peso imposto sopra un fondo per
l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario (art. 1027 c.c.)
Ad una compressione delle facoltà del proprietario del fondo servente, corrisponde, quindi, una utilità del fondo
dominante Se non posso sopraelevare, il fondo dominante avrà la veduta del mare.
È essenziale questa relazione tra i due fondi, per cui il fondo dominante si avvantaggia della limitazione che
subisce quello servente e riguarda sempre "il fondo" e non i singoli proprietari.
L’utilità può consistere anche nel ottenere maggior comodità o amenità per il proprietario del fondo dominante.
Da ciò discende che il contenuto del diritto di servitù può essere il più vario: accanto alle c.d. servitù tipiche, (es.:
Il diritto alla presa d'acqua continua) sono altresì ammesse le c.d. servitù atipiche che possono essere liberamente
costituite, purché finalizzate all’utilità del fondo dominante.
La legge consente esplicitamente anche le c.d. servitù industriali, quelle cioè strumentali agli utilizzi produttivi
del fondo stesso (es.: servitù di passaggio per trasportare merci prodotte ecc.). Non costituiscono invece servitù
prediali le servitù aziendali, quelle cioè strumentali all’azienda come tale, indipendentemente dal fondo sul quale
la stessa viene esercitata (es.: diritto di apporre un’insegna luminosa).
Nulla vieta che le servitù possano essere reciproche: poste cioè simultaneamente a favore ed a carico di due o più
fondi, a reciproco vantaggio.
La servitù, consistendo in una relazione tra due fondi, non può nascere come diritto reale se non quando l’edificio
sia costruito. Prima della costruzione il rapporto ha natura obbligatoria ed è soggetto pertanto alla prescrizione
decennale.
Non costituiscono servitù prediali le c.d. servitù irregolari, in cui il servizio è prestato da un fondo a favore di una
persona, (es. quella che attribuisce a una persona il diritto di passare sul fondo altrui per esercitarvi la pesca). La
ragione consiste nel fatto che i diritti reali su cose altrui costituiscono un numerus clausus: [(numero chiuso)
Espressione latina generalmente usata per indicare che non è ammessa la creazione di altri istituti affini, oltre
quelli previsti dall'ordinamento] manca la caratteristica della predialità e inoltre non è riconosciuto alla volontà
dei privati il potere di foggiare a loro arbitrio tipi di diritti reali su cose altrui che non siano previsti dalla legge.
Quindi la prevalente dottrina esclude l’ ammissibilità della costituzione volontaria di oneri reali.[oneri reali =
consistono in una attività a carattere periodico che è dovuta da un soggetto per il fatto che si trova nel godimento
di un bene (es. canoni, imposte.)]
1) La servitù può imporre al proprietario del fondo servente un dovere negativo di “non facere” (es.: il
proprietario del fondo servente non può elevare la costruzione esistente sul fondo per non togliermi la veduta) o
di “pati” (es.: il proprietario del fondo servente deve sopportare che il proprietario del fondo dominante passi sul
suo fondo), non un dovere positivo (“facere”). Questi obblighi positivi servono soltanto per rendere possibile od
agevole l’esercizio della servitù. Art. 1030 il proprietario del fondo servente non è tenuto a compiere alcun atto
per rendere possibile l’esercizio salvo che la legge disponga altrimenti.
2)
La servitù presuppone che i fondi appartengano a proprietari diversi
3) I fondi devono trovarsi in una situazione topografica che l’uno (fondo servente) possa arrecare utilità
all’altro (fondo dominante). La vicinitas non deve intendersi in senso assoluto, ma relativo al contenuto della
servitù (es.: una servitù di passaggio può essere costituita anche quando tra i due fondi non vi sia contiguità fisica
e la servitù debba esercitarsi attraverso un fondo intermedio, ecc.)
Può avvenire (1031 c.c.):
a) In attuazione di un obbligo di legge (servitù coattive)
b) Per volontà dell’uomo (servitù volontarie)
c) Per usucapione (1061 c.c.)
d) Per destinazione del padre di famiglia (1062 c.c.) La destinazione del padre di famiglia ha luogo quando
consta, mediante qualunque genere di prova (2697 e seguente), che due fondi, attualmente divisi, sono
stati posseduti dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale
risulta la servitù. Se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario, senza alcuna
disposizione relativa alla servitù, questa s'intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra
ciascuno dei fondi separati
In taluni casi la legge, in considerazione della situazione nella quale si trova un fondo, si preoccupa del
pregiudizio che lo stesso arrechi alla possibilità di utilizzazione dell’immobile ed attribuisce al proprietario il
diritto potestativo (alias 'attribuzione di un potere ad un soggetto allo scopo di tutelare un suo interesse.) di
ottenere l’imposizione della servitù sul fondo altrui e così ovviare alla situazione pregiudizievole.(es. servitù di
passaggio sul fondo per accedere alla via pubblica). In contropartita del sacrificio che subisce, il proprietario del
fondo su cui viene imposta la servitù, ha diritto ad un’indennità.
Occorre chiarire in che modo si costituiscono queste servitù: se il mio fondo si trova nelle condizioni previste
dalla legge, io non posso coattivamente esercitare la servitù e cominciare a passare sul fondo altrui. La legge mi
attribuisce il diritto ad ottenere la servitù ma, per costituirla concretamente, occorrerà:
a) Un contratto (se l’altro proprietario acconsente a riconoscere bonariamente il mio diritto) (1032 c.c.)
servitù coattiva
b) Che mi rivolga al giudice, che con una sentenza (costitutiva) farà nascere la servitù, determinando altresì
l’indennità che devo pagare al proprietario del fondo servente (1032 c.c.). Finché detto pagamento non
sia intervenuto, il proprietario del fondo servente non può opporsi all’esercizio della servitù, si vuol così
impedire al proprietario di farsi giustizia da sé e far sì che il giudice accerti se in concreto sussistono i
requisiti dalla legge previsti in astratto per l’imposizione della servitù e fissi l’indennità dovuta.
c) La legge prevede in talune ipotesi che l’avente diritto ad una servitù coattiva possa richiederne
costituzione alla P.A. in forza di un atto amministrativo
Il venir meno dei presupposti che avevano giustificato la costituzione della servitù coattiva, ne legittima la
richiesta di estinzione.
Le figure più importanti di servitù legali (che sono tipiche in quanto previste dalla legge) sono:
a) Acquedotto coattivo (1033 ss. c.c.), su cui si modellano l’elettrodo coattivo ed il passaggio coattivo di
linee teleferiche. Perciò il proprietario è tenuto a consentire il passaggio delle acque, sia che servano ai
bisogni della vita, sia che siano destinate ad usi agrari o industriali.
Il diritto all’acquedotto coattivo sussiste anche quando l’acqua non è necessaria, ma utile. (es. ho acqua
sufficiente a ne vorrei di più per irrigare meglio il mio fondo in modo che risulti più redditizio)
b) Elettrodo coattivo (1056 c.c.): per l’importanza che l’energia elettrica ha assunto nella vita moderna, ogni
proprietario è tenuto a dar passaggio per i suoi fondi alle condutture elettriche
c) Passaggio coattivo (1051 ss. c.c.): l’accesso di un fondo alla via pubblica è condizione indispensabile per
la sua utilizzazione; la sua mancanza legittima l’imposizione della servitù di passaggio sul fondo vicino.
Il diritto alla servitù sussiste non soltanto nell’ipotesi più grave in cui il fondo non ha né può avere accesso alla
via pubblica ma anche in quella in cui il proprietario non può procurarsi l’uscita senza eccessivo dispendio o
disagio (Es. tra il fondo e la strada c’è un fiume e devo costruire un ponte)
Come si vede, la legge tiene conto delle ragionevoli esigenze inerenti all’utilizzazione del fondo.
Perciò nemmeno il fatto che il fondo abbia già un accesso alla via pubblica (fondo non intercluso) è d’ostacolo
alla costituzione della servitù nelle due ipotesi seguenti:
a) Vi sia bisogno, ai fini del conveniente uso del fondo, di ampliare l’accesso esistente per il transito dei
veicoli anche a trazione meccanica.
b) Il passaggio esistente sia inadatto o insufficiente ai bisogni del fondo e non possa essere ampliato.
Il sacrificio che con l’imposizione della servitù s’impone al fondo servente dev’essere il minore possibile. Dunque
la legge stabilisce i seguenti criteri che il giudice deve tenere presente per la determinazione del luogo del
passaggio: maggiore brevità del passaggio e minor danno del fondo su cui la servitù deve essere costituita.
Quando un fondo non si trova in quelle condizioni sfavorevoli che giustificano la costituzione di una servitù
legale, il proprietario di esso può assicurarsi l’utilità che occorre per il suo migliore sfruttamento mediante la
conclusione di un contratto con il proprietario del fondo su cui vorrebbe acquistare la servitù Il contratto,
riferendosi ad un diritto reale immobile, deve farsi per iscritto ed è soggetto, sia a l’opponibilità ai terzi, (ovvero
che costituisce prova anche nei confronti di soggetti che sono estranei al contratto) sia a trascrizione. (La
trascrizione è lo strumento con il quale si da pubblicità legale agli atti riguardanti diritti reali (si trascrivono le
compravendite, le divisioni, le domande giudiziali)]
La servitù può essere costituita anche per testamento. L’accettazione di eredità che importi l’acquisto di una
servitù è soggetta a trascrizione.
Servitù apparenti sono quelle al cui esercizio sono destinate opere visibili e permanenti, obiettivamente e
strumentalmente destinate all'esercizio della servitù, costituenti il mezzo necessario affinché la servitù sia
esercitata e tali da rendere evidente l'esistenza di un peso. Le servitù apparenti si possono costituire anche mediate
usucapione (ventennale) o destinazione del padre di famiglia Si pensi ad un ponte, una passerella, una strada:
queste opere possono manifestare l'esistenza di una servitù di passaggio e palesare l'intenzione di esercitare la
servitù. Ai fini dell' usucapibilità della servitù, devono essere visibili in tutto o in parte, dal fondo servente: ciò è
logicamente connesso con la considerazione in base alla quale il proprietario del fondo servente deve essere in
grado di rendersi conto della potenziale insorgenza del diritto reale.
Servitù non apparenti, sono quelle ove non si hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio. Non
sono apparenti servitù come quelle di pascolo e tutte le servitù negative (consistono in un obbligo di non fare del
proprietario del fondo servente es. non edificare non sopraelevare). Non possono acquistarsi per usucapione o per
destinazione del padre di famiglia, solo per contratto o testamento precisando al secondo comma che non
apparenti
Per quanto riguarda la destinazione del padre di famiglia (La destinazione del padre di famiglia è un modo di
acquisto a titolo originario, proprio delle servitù apparenti; è il rapporto di servizio stabilito fra due fondi
appartenenti allo stesso proprietario. Ad esempio: su uno dei due fondi, c'e' una sorgente d'acqua, e il loro
proprietario ha costruito un acquedotto per portare l'acqua all'altro fondo.) occorre tener presente che, non può
sorgere alcuna servitù perché non si può costituire servitù sulla cosa propria. Ma se il fondo cessa di appartenere
allo stesso proprietario allora è opportuno che lo stato di fatto che consentiva ad una parte del fondo di trarre
utilità e vantaggi dalle opere costruite sull’altra parte del fondo possa continuare legittimamente: a tal fine il c.c.
prevede che si costituisca ex lege (alias in esecuzione diretta di una norma) una servitù corrispondente allo stato
di fatto preesistente; non occorre dunque alcuna manifestazione di volontà negoziale per la costituzione della
servitù, il preesistente rapporto di servizio si trasforma automaticamente in una servitù di un fondo a favore
dell'altro.
L’esercizio delle servitù è regolato dal titolo (contratto, testamento, sentenza); e, in mancanza di esso dalla legge
(art. 1063 c.c.).
Il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne: cioè sono incluse anche le facoltà accessorie,
se indispensabili per l’esercizio della servitù (es.: il diritto di attingere acqua comprende il diritto di passaggio sul
fondo in cui la fonte si trova).
Si chiama “modo” d’esercizio della servitù, l’elemento che determina come la servitù deve essere esercitata (a
piedi, con carro, con camion ecc)
Vi è la regola secondo cui le servitù debbono essere esercitate soddisfacendo il bisogno del fondo dominante con
il minor aggravio del fondo servente (principio del minimo mezzo). conseguenza di tale principio è il divieto al
proprietario del fondo dominante di aggravare ed a quello del fondo servente di diminuire l’esercizio della servitù.
Le spese necessarie per l’uso e la conservazione della servitù sono a carico, di regola, del proprietario del fondo
dominante.
Rinunzia alla servitù:
a) Per rinuncia da parte del titolare, fatta per iscritto (tramite contratto se presente un corrispettivo, per atto
unilaterale se non c’è contropartita).
b) Per scadenza del termine, se la servitù è a tempo.
c) Per confusione ovvero il proprietario acquista la proprietà del fondo servente o viceversa
d) Per prescrizione estintiva ventennale (c.d. non uso)
In quest’ultimo caso bisogna distinguere, a seconda della natura della servitù, da quale momento comincia a
decorrere il termine per la prescrizione estintiva:
a) Servitù “negative”, quando attribuiscono al proprietario del fondo dominante il potere di vietare al
proprietario del fondo servente di fare qualche cosa, di svolgere un’attività sul proprio fondo; a tale
potere corrisponde un obbligo di non facere da parte del proprietario del fondo servente
b) Servitù. “affermative”, quando attribuiscono al proprietario del fondo dominante il potere di fare qualche
cosa, di svolgere un’attività del fondo servente.(es. passare pascolare ecc).
Esse si distinguono a loro volta in:
 Continue, quando l’attività dell’uomo è antecedente all’esercizio della servitù (es. costruisco
l’acquedotto a poi l’acqua scorre naturalmente in base a legge fisica)
 Discontinue, quando invece il fatto dell’uomo deve essere concomitante con l’esercizio della servitù
(es. esercito la servitù di passaggio perché passo sul fondo altrui)
Dunque, se la servitù è negativa, il proprietario del fondo dominante nulla deve fare per esercitare la servitù
(posto il divieto, altro non gli rimane che vigilare affinché l’altro non lo violi): la prescrizione non comincia
quindi a decorrere se non quando il proprietario del fondo servente ha violato il divieto (es.: ha innalzato la sua
costruzione); se la servitù affermativa è continua, si riproduce la stessa situazione (costruito l’acquedotto il
proprietario non deve far nulla per ritrarre dalla servitù l’utilità voluta): perciò anche in questo caso la
prescrizione non comincia a decorrere se non quando si è verificato un fatto contrario all’esercizio della servitù
(es.: allorquando l’acquedotto è stato ostruito); se la servitù è affermativa discontinua la prescrizione estintiva
comincia a decorrere dall’ultimo atto di esercizio (es.: dall’ultima volta che sono passato sul fondo servente).
L’impossibilità di fatto di utilizzare la servitù, così come la cessazione della sua utilità comportano la sospensione
della servitù:ma non l’estinzione,essa si verifica quando sia decorso il termine (ventennale) per la prescrizione.
Questo perchè lo stato dei luoghi potrebbe mutare ad es. si inaridisce la sorgente che poi si irriga nuovamente.
Il modo di una servitù non è soggetto a prescrizione estintiva (estinzione di un diritto conseguente al suo mancato
esercizio il termine prescrizione viene talvolta usato per indicare il fenomeno inverso (nel qual caso si parla di
prescrizione acquisitiva, o usucapione): la servitù si conserva per intero, ciò perché per non uso si può estinguere
solo il diritto, non il modo, che non ha un valore autonomo (non muore ciò che non ha vita propria).
A tutela della servitù è preordinata l’“azione confessoria”, in forza della quale (di fronte ad una contestazione
dell’esistenza o consistenza della servitù) chi se ne afferma titolare chiede una pronuncia giudiziale di
accertamento del suo diritto e, nell’ipotesi in cui detta contestazione sia tradotta in impedimenti o turbative
all’esercizio della servitù stessa, anche di una pronuncia di condanna alla loro cessazione ed alla remissione delle
cose in pristino, oltre che al risarcimento del danno.
Legittimato attivamente è colui che si afferma titolare della servitù; legittimato passivamente il soggetto che,
avendo un rapporto attuale con il fondo servente, contesta l’esercizio della servitù o che, comunque, ne turba o
impedisce l’esercizio.
L’attore durante l’ Azione confessoria della servitù deve fornire la prova rigorosa dell’esistenza della servitù. A
tutela della servitù possono esprimersi le azioni di reintegrazione e di manutenzione.
LA COMUNIONE E IL CONDOMINIO
A) LA COMUNIONE
Un diritto soggettivo può appartenere a più persone, le quali sono tutte contitolari del medesimo (unico) diritto. Il
fenomeno della contitolarità, se ha ad oggetto un diritto reale, (es. Tizio e Caio comprano insieme un
appartamento) prende il nome di “comunione pro indiviso” .
Secondo l’opinione maggiormente accreditata, il diritto di ciascuno dei contitolari investe l’intero bene, seppure il
relativo esercizio trovi necessariamente limite nell’esistenza dell’ugual diritto degli altri compartecipi. (es. in un
appartamento il diritto non cade su l’una o l’altra parte del bene es. primo e secondo piano ma sull’intero
immobile)
A ciascuno dei contitolari spetta dunque una quota ideale sull’intero bene: detta quota è di regola disponibile (es.:
Tizio potrà vendere in qualsiasi momento la sua quota) e segna la misura di facoltà, diritti ed obblighi dei
rispettivi titolari (Tizio e Caio dividono i frutti dell’immobile es la locazione e le spese di gestione es. le imposte
ecc.)
Nell’ipotesi in cui non sia diversamente previsto, le quote si presumono uguali
La comunione si distingue dalla società per il fatto che, mentre i compartecipi alla comunione si limitano ad
esercitare in comune il godimento di un determinato bene (2248 c.c.), i compartecipi alla società esercitano in
comune un’attività economica volta alla produzione e allo scambio di beni e servizi.
La distinzione diviene più labile allorquando si tratti di una comunione che ha come oggetto un bene produttivo
(es.: fondo rustico, azienda, ecc.). In tal caso si rimane nell’ambito della comunione se i compartecipi non
utilizzino il bene, o lo concedano in godimento a terzi, ovvero si limitano a raccoglierne i frutti naturali, senza che
la loro attività possa qualificarsi come “d’impresa”. Così ad es., se il padre che gestiva un’impresa agricola sul
fondo di sua proprietà, morendo, lascia la propria azienda ai tre figli, fra questi ultimi verrà a costituirsi una
comunione sull’azienda paterna; se poi, due dei tre figli dovessero continuare l’attività del padre, si costituirà tra
questi ultimi una società.
Quanto ai modi di costituzione, la comunione si distingue in:
Volontaria, quando scaturisce dall’accordo dei futuri contitolari
Incidentale, quando scaturisce senza un atto dei futuri contitolari (es.: per testamento di Tizio)
Forzosa, quando scaturisce dall’esercizio di un diritto potestativo da parte di uno dei futuri contitolari (es.
comunione forzosa del muro)
Si è soliti distinguere fra:

Comunione ordinaria (1100-1116 c.c.)

Comunioni speciali, che sono quelle figure autonomamente previste e regolate dalla legge. (es
condominio negli edifici)
Per quel che riguarda la comunione ordinaria, la disciplina prevista dal codice può essere derogata dal titolo. La
disciplina della comunione ordinaria risponde alla logica secondo cui il diritto di ciascuno dei contitolari, pur
investendo il bene nella sua totalità, incontra un limite nel diritto degli altri compartecipi.
Per quanto riguarda i poteri di godimento:
a) Ciascuno dei contitolari può servirsi della cosa comune, a condizione però che:
 Non ne alteri la destinazione (es.: trasformando la villa comune in un albergo)
 Non impedisca agli altri di parimenti utilizzarla in proporzione al diritto di ciascuno (es costruendo
un box auto nell’area comune)
Anche chi possiede una quota minima può fruire del bene in tutta la sua estensione, cioè l’utilizzazione non è
necessariamente proporzionale alla quota.
Le parti possono derogare alla regola legale dell’uso promiscuo concordando una divisione del godimento
del bene comune nello spazio e/o nel tempo. (es due comproprietari possono accordarsi per abitare uno al
primo piano uno al secondo della casa comune)
Al singolo contitolare è consentito apportare alla cosa comune modificazioni che ritiene necessarie, sempre
nei limiti in cui ciò non importi alterazione della destinazione del bene o impedimento del diritto degli altri
partecipanti a parimenti goderne (e purché se ne accolli le relative spese).
b) Ciascuno dei contitolari ha diritto di percepire i frutti della cosa in proporzione della rispettiva quota, pur
dovendo partecipare in ugual misura alle spese per la gestione, al pagamento delle imposte, ecc.
Per quel che riguarda il potere di disposizione, ciascun comproprietario può disporre della propria quota
alienandola ipotecandola ecc: non può ovviamente disporre né della quota altrui né dell’intero, che non gli
compete.
Gli atti di disposizione del bene (alienazione locazione superiore a nove anni) richiedono il consenso di tutti i
contitolari.
Ciascuno dei compartecipi ha diritto di concorrere all’amministrazione della cosa comune.
Il codice prevede che le deliberazioni relative all’amministrazione della cosa comune vengano adottate in base al
principio di maggioranza, che si calcola con riferimento al valore delle rispettive quote. Così: per gli atti di
ordinaria amministrazione ovvero quelli finalizzati alla conservazione e normale utilizzazione della cosa
comune(quote rappresentanti più della metà del valore complessivo della cosa comune); per gli atti di
straordinaria amministrazione (quote rappresentanti i due terzi); per le innovazioni (quote rappresentanti i due
terzi).
Nell’ipotesi in cui non vengano presi i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune, così
come nell’ipotesi in cui la decisione adottata non venga eseguita, ciascun compartecipante può ricorrere
all’Autorità giudiziaria perché emetta i provvedimenti opportuni, eventualmente anche nominando un
amministratore. Può essere formato un regolamento per l'ordinaria amministrazione e l'amministrazione può
essere delegata ad uno o più partecipanti, o anche a un estraneo, determinandosi i poteri e gli obblighi
dell'amministratore
Se non vengono deliberati gli interventi necessari alla conservazione della cosa comune, il singolo può addirittura
provvedervi direttamente, dopo aver interpellato gli altri, con diritto al rimborso delle spese sostenute.
Le spese deliberate con le maggioranze sopraindicate gravano su ciascun partecipe alla comunione in proporzione
della rispettiva quota.
La giurisprudenza ritiene che ciascun contitolare sia singolarmente legittimato al compimento di atti di ordinaria
amministrazione (rappresentanza), in quanto deve presumersi che agisca con il consenso degli altri.(es. intimare lo
sfratto all’inquilino dalla cosa comune)
Ugualmente si ritiene che il singolo partecipante sia legittimato a proporre azioni petitorie a difesa del diritto
comune, azioni possessorie a difesa della comune situazione possessoria, azioni risarcitorie per i danni sofferti
dalla cosa comune.
Il nostro codice da un lato, attribuisce a ciascuno dei partecipanti la facoltà di chiedere, lo scioglimento della
comunione. in qualsiasi momento ed anche contro la volontà della maggioranza, lo scioglimento. Per evitare,
però, che la comunione sia sciolta poco dopo la sua costituzione, i comunisti possono stipulare un patto per
rimanere in comunione per un tempo determinato. Tale patto, tuttavia, non può avere durata superiore a dieci
anni; nel caso sia stato stipulato per un periodo superiore non sarà invalido, ma il termine originariamente stabilito
si riduce a dieci anni.
L’eventuale indivisibilità del bene comune (es un cavallo) non preclude lo scioglimento della comunione: il bene
infatti può essere alienato a terzi o assegnato a uno dei contitolari. Lo scioglimento della comunione non è
consentito solo se ha ad oggetto beni che, se divisi, cesserebbero di servire all’uso cui sono destinati. (es. se il
cortile di due immobili che,se diviso, non consentirebbe l’accesso ai suddetti)
A) IL CONDOMINIO
Il condominio si ha allorquando in un medesimo stabile coesistono più porzioni immobiliari di proprietà
esclusiva di singoli condomini e parti comuni strutturalmente e funzionalmente connesse al complesso delle
prime (muri maestri il suolo (art. 1117 c.c.).
Salvo che sia diversamente previsto nel titolo, le parti comuni appartengono in comunione a tutti i proprietari
esclusivi delle singole unità immobiliari site nel condominio in proporzione al valore di ciascuna di dette unità
immobiliari rispetto al valore dell’intero edificio.
Il singolo condomino:
• Può far uso delle parti comuni (entro i limiti della destinazione, dell’esercizio e dei diritti,
vantati sulla personale porzione, degli altri condomini) (c.d. uso promiscuo). (es. posso installare un
antenna sul tetto ma non un cisterna nel cortile comune)
• Deve contribuire, in misura proporzionale alla propria quota, alle spese necessarie per la
conservazione ed il godimento delle parti comuni, per la prestazione dei servizi nell’interesse
comune, nonché per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. Se le cose sono destinate a servire i
condomini in misura diversa le spese sono ripartite in proporzione all’uso (es un edificio con più scale
destinate a servire una parte sola del fabbricato la manutenzione è a carico dei condomini che ne
traggono utilità)
• Non può disporre liberamente delle parti comuni nella loro totalità e neppure della propria quota su di
esse (es.: non può cedere a terzi la propria quota di comproprietà sul cortile comune), se non
congiuntamente alla porzione immobiliare di sua proprietà esclusiva.
Per disporre (ad es.: alienandoli) dei beni condominiali occorre l’accordo di tutti i condomini. Poiché le parti
comuni sono funzionali ad un miglior sfruttamento delle unità immobiliari di proprietà individuale, ne è sancita la
indivisibilità (proprio per ciò la comunione condominiale si dice necessaria).
Organi del condominio sono: se i condomini sono più di quattro è obbligatoria la nomina di amministratore (art.
1129 c.c.) cui è affidata la gestione delle parti comuni e se i condomini sono più di dieci è obbligatoria la
formazione di un regolamento di condominio che contenga le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione
delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro
dell'edificio e quelle relative all'amministrazione
Di competenza dell’assemblea sono: l’adozione del regolamento condominiale la nomina dell’amministratore,
l’approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno e la relativa ripartizione tra i condòmini,
l’approvazione del rendiconto annuale e l’impiego del residuo attivo di gestione, la decisione in ordine alle opere
di manutenzione straordinaria ed alle innovazioni, e la decisione in ordine ad eventuali azioni giudiziarie, attive o
passive.)
L’assemblea (convocata dall’amministratore con avviso almeno cinque giorni prima) è validamente costituita con
l’intervento di tanti condòmini che rappresentino i due terzi non solo del valore dell’intero edificio, ma anche dei
partecipanti al condominio (quorum costitutivo).
Se non può deliberare per mancato raggiungimento del quorum costitutivo, l’assemblea può essere nuovamente
convocata in un giorno successivo, ma non oltre dieci giorni, per deliberare sul medesimo ordine del giorno: in
questo caso, l’assemblea (di seconda convocazione) è validamente costituita qualunque sia il numero dei
condòmini presenti.
Le deliberazioni assembleari sono assunte, in prima convocazione, con un numero di voti che rappresenti la
maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell’edificio; in seconda convocazione, con un
numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti ed almeno un terzo del valore dell’edificio. (quorum
deliberativo)
Le deliberazioni assunte dall’assemblea sono vincolanti per tutti i partecipanti al condominio. Pertanto i
condòmini assenti all’assemblea o dissenzienti rispetto ad una determinata deliberazione possono impugnarla
davanti all’autorità giudiziaria, se contraria alla legge o al regolamento condominiale.
Il ricorso deve essere proposto a pena di decadenza per i condomini dissenzienti entro trenta giorni dalla data
della deliberazione e, per i condòmini assenti, dalla data in cui è stato comunicato loro il verbale dell’assemblea.
Quorum più elevati sono previsti per la nomina e la revoca dell’amministratore o le deliberazioni che concernono
la ricostruzione dell’edificio.
Le deliberazioni assunte dall’assemblea sono vincolanti per tutti i partecipanti al condominio.
Dalle deliberazioni annullabili poiché impugnabili tramite autorità giudiziaria perché contrarie alla legge o al
regolamento di condominio occorre tener distinte le deliberazioni nulle: tali debbono qualificarsi le delibere prive
degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale
o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nelle competenze assembleari, le delibere che incidono
sui diritti individuali dei condòmini sulle cose o servizi comuni (es.: la delibera che assegni in via esclusiva ad un
condomino l’uso del cortile condominiale). L’azione di nullità può essere esperita da chiunque vi abbia interesse
(non solo dai condòmini assenti o dissenzienti) e non è soggetta a termini di prescrizione o decadenza.
All’amministratore (nominato dall’assemblea, dura in carica un anno, può essere revocato in ogni tempo
dall’assemblea stessa) compete di eseguire le deliberazioni dell’assemblea, curare l’osservanza del regolamento,
disciplinare l’uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi, riscuotere i contributi ed erogare le spese
occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni,
compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni.
I provvedimenti presi dall’amministratore nell’ambito dei suoi poteri sono obbligatori per i condòmini. Contro
detti provvedimenti è peraltro ammesso ricorso all’assemblea.
L’amministratore, nei limiti delle sue attribuzioni, ha la rappresentanza del suo condominio; e può agire in
giudizio sia contro i condòmini, sia contro i terzi.
L’assemblea approva con le maggioranze richieste per le deliberazioni in prima convocazione un regolamento che
contenga le norme circa l’uso delle cose comuni, la ripartizione delle spese, la tutela del decoro dell’edificio,
l’amministrazione del condominio (1138 c.c.).
Né l’assemblea né il regolamento approvato da essa può imporre limitazioni ai diritti dei singoli condòmini sulle
unità immobiliari di rispettiva proprietà esclusiva ma solo, eventualmente, obblighi intesi a garantire il reciproco
rispetto delle comuni esigenze.
Naturalmente, nulla impedisce che i condòmini concordino (all’unanimità) limitazioni a carico delle proprietà
esclusive, venendo così a costituire servitù reciproche, rispettivamente a favore ed a carico delle singole unità
immobiliari di proprietà di ciascuno: in tal caso, l’accordo avrà natura contrattuale e dovrà essere formalizzato per
iscritto. Le clausole che, pur approvate con il consenso totalitario dei partecipanti, si limitino a disciplinare l’uso
dei beni comuni possono essere modificate con la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore
dell’edificio. (mentre per quelle che limitino i diritti dei condòmini sulle proprietà esclusive o comuni, ovvero
siano attributive ad alcuni condòmini di maggiori diritti rispetto ad altri, devono essere modificate all’unanimità).
Nell’ipotesi in cui una pluralità di edifici, costituiti in distinti condomini, siano legati tra loro dall’esistenza di
talune cose, impianti o servizi comuni (es.: il viale d’accesso, le zone verdi, l’impianto di illuminazione ecc.) in
rapporto di accessorietà rispetto a detti singoli condomini , si ha quello che viene comunemente denominato
“supercondominio”.
Secondo la giurisprudenza al supercondominio sono applicabili:
a) Le norme dal codice dettate in tema di condominio, per quanto riguarda le parti comuni caratterizzate da
un rapporto di accessorietà che lega alle singole proprietà individuali, delle quali rendono possibile
l’esistenza stessa o l’uso (es. le portinerie le reti viarie interne)
b) Le norme dal codice dettate in tema di comunione, per quanto riguarda le altre eventuali strutture che
invece siano dotate di una propria autonoma utilità (es. le attrezzature sportive gli spazi di
intrattenimento)
c)
C) LA MULTIPROPRIETA'
Il termine “multiproprietà” indica un’operazione economica volta ad assicurare al c.d. multiproprietario un
potere di godimento, che arieggia a quello che il codice riconosce al proprietario, su di un’unità immobiliare
(completamente arredata e normalmente inserita in un più vasto insediamento turistico - residenziale, talora anche
alberghiero e commerciale) ma solo per un determinato e normalmente invariabile periodo di ogni anno (es. 1-15
Agosto); mentre analogo potere, per restanti periodi, compete agli altri multiproprietari.
Per dar veste giuridica all’operazione la prassi italiana ha fatto ricorso, in via prevalente, all’istituto della
comunione:A ciascun multiproprietario viene venduta una quota in comproprietà pro indiviso di un complesso
residenziale
La chiave di volta del sistema della multiproprietà è rappresentata dalla comproprietà pro indiviso, (un diritto o
un bene appartiene e più soggetti senza che esso sia però suddiviso in parti distinte....) il cui regime legale viene
derogato dal titolo; in forza cioè di un accordo intercorrente fra tutti i partecipanti attraverso cui ciascuno, pur
continuando a rimanere contitolare dell’intero, rinuncia a servirsene nei tempi ed in relazione agli spazi attribuiti
in uso agli altri.
Pur continuando a non dettare alcuna disciplina sostanziale della multiproprietà, il legislatore italiano è
intervenuto introducendo tutta una serie di previsioni volte, principalmente, a garantire che chi effettua un
acquisto in multiproprietà sia pienamente edotto dei termini dell’operazione che va a stipulare, e
conseguentemente, presti un consenso informato.
IL POSSESSO
Possesso = è uno stato di fatto che si collega con la detenzione materiale del bene può essere collegato ad altri
diritti (per es. i reali di godimento) o semplicemente alla situazione del momento
Proprietà = il proprietario ha la facoltà di godere della cosa il che significa che egli può usarla per il
soddisfacimento dei propri interessi. assieme alla facoltà di godere sta la facoltà di disporre, la quale si esercita sia
trasferendo ad altri la proprietà della cosa, sia conoscendone altri altri il godimento. Il proprietario può anche
avere il possesso
Diritti reali di godimento = i diritti reali di godimento (usufrutto, uso, abitazione, superficie, enfiteusi, servitù) che
conferiscono una serie di diritti tra cui il possesso (es. possesso della servitù )
In diritto si definisce possesso una situazione di fatto che consiste nell'utilizzare una cosa e nel disporne,
nei modi e con i poteri che la legge attribuisce ai titolari di diritti reali sulla cosa stessa.
Esempio: il soggetto titolare di un diritto di passaggio a titolo di servitù, lo esercita attraversando con
regolarità il fondo servente; questa azione di attraversamento indica che essa ha pure il possesso della
servitù. Allo stesso modo il possessore - ad immagine della proprietà - di un'auto ne fa uso in modo
esclusivo, paga la tassa di possesso, ne cura la manutenzione e così via. Il nucleo fondante del possesso
(salvo il concorso di altri elementi in ragione della tesi accolta) consiste, dunque, nello svolgimento,
rispetto ad una cosa, di comportamenti propri e peculiari del titolare di un diritto reale, senza che abbia
rilievo la titolarità effettiva del diritto stesso (questa concorre all'identificazione della buona o mala fede del
possessore, ma non alla qualificazione del possesso in quanto tale).
Altro è avere il diritto di godere e disporre di un determinato bene altro è il fatto di effettivamente godere e
disporre di detto bene (esercitare cioè di fatto i poteri riconosciuti per legge al proprietario (es. io godo
guidandola e dispongo vendendola della mia automobile). Può accadere infatti che il proprietario non sia in grado
di fatto di esercitare i poteri riconosciutigli dalla legge (mi rubano l’automobile non posso ne goderne de disporre)
; così come un soggetto, pur non avendo il diritto di proprietà su un bene, si comporta di fatto come se lo avesse.
(il ladro che mi ha rubato l’auto)
Il codice attribuisce giuridica rilevanza alle situazioni di fatto che si estrinsecano attraverso un’attività
corrispondente all’esercizio dei diritti reali e ciò a prescindere dalla circostanza che alle stesse corrisponda o
meno la correlativa situazione di diritto.
Le ragioni della tutela delle situazioni possessorie sono varie:

Proteggendo il fatto esteriore e facilmente accertabile della situazione possessoria la legge assicura
allo stesso proprietario (che di solito è il possessore della cosa) una difesa rapida ed efficace.

Impedendo che si arrechi molestia o violenza al possessore si conserva la pace tra i consociati. Chi
contro lo stato di fatto del possesso esercitato da altri vuole opporre il suo diritto deve agire in giudizio e
non può farsi giustizia da solo, togliendo all’altro la cosa.
A questo punto si può agevolmente intendere la differenza che corre tra ius possessionis e ius possidendi:

Il primo designa l’insieme dei vantaggi che il possesso di per sé genera a favore del possessore

Il secondo designa la situazione di chi ha effettivamente diritto a possedere il bene: diritto che
implica il potere di rivendicare il bene stesso presso chiunque lo possieda senza titolo (così ad es. il ladro
ha lo ius possessionis, il proprietario lo ius possidendi).
Il possesso dunque non è un diritto bensì una situazione di fatto produttiva di effetti giuridici.
Oggetto del possesso sono le “cose”, cioè i beni materiali. Non sono oggetto di possesso le cose di cui non si può
acquistare la proprietà cioè i beni demaniali ed i beni del patrimonio indisponibile dello Stato e degli altri enti
pubblici patrimoniali, che infatti non possono essere acquistati per usucapione.
Occorre distinguere:

Possesso pieno che è caratterizzato dal concorso di due elementi costitutivi: l’uno oggettivo,
consistente nell’avere la disponibilità di fatto della cosa; l’altro soggettivo, consistente nella volontà del
soggetto di comportarsi, con riferimento al bene, come proprietario, ad esclusione di qualsiasi altro (es. il
ladro che utilizza la vettura come fosse sua)

Detenzione, che è caratterizzata dal concorso di due elementi costitutivi: l’uno oggettivo, consistente
nell’avere la disponibilità di fatto della cosa; l’altro soggettivo consistente nella volontà del soggetto di
godere e disporre del bene, ma nel rispetto dei diritti che, sul medesimo bene, riconosce spettare ad altri.
(es. l’inquilino dell’immobile riconosce che non ne è proprietario e rispetta il diritto di quest’ultimo
pagando il canone non apportando innovazioni non consentitegli ecc.)

Possesso mediato, che è caratterizzato dal solo elemento soggettivo , mentre la disponibilità
materiale del bene compete al detentore
Il possesso su un determinato bene può essere esercitato congiuntamente da più soggetti ad un medesimo titolo
(es.: una casa acquistata in comunione): si parla allora di compromesso, che si concretizza in un’attività
corrispondente all’esercizio di diritti (reali in comunione.)
N.B. i diritti reali fanno parte della categoria dei diritti assoluti (come il diritto al nome)
ma si differenziano dagli altri diritti assoluti perché hanno ad oggetto cose
Differenza Possesso e detenzione.
Secondo l’ipostazione tradizionale possesso e detenzione sono caratterizzati dal medesimo elemento obiettivo
(cioè la materiale disponibilità del bene), si distinguono in base all’elemento soggettivo (animus):. detiendi nella
detenzione e possidendi nel possesso. (es. il ladro è possessore l’amico a cui presto l’auto è detentore)
I requisiti soggettivi dell’a.p. e dell’a.d. non trovano riscontro alcuno nelle previsioni codicistiche; in realtà, ai fini
della qualificazione di una situazione di fatto come “possessoria” o “detentoria”, rileva non già lo stato
psicologico soggettivo di chi acquisisce la materiale disponibilità del bene (corpus), bensì il titolo in forza del
quale detta acquisizione si verifica. (ad es. lo studente che prende in prestito un libro di una biblioteca diventa
detentore sia se ne rispetta il diritto restituendo il libro sia se lo faccia proprio non restituendolo)
Invero, ciò che rileva ai fini della distinzione fra possesso e detenzione è non già lo stato psicologico che il
soggetto nutre, nel proprio interno, nel momento in cui acquisisce la materiale disponibilità del bene, bensì lo
stato psicologico (animus) che, in quel momento il soggetto manifesta all’esterno: e, all’esterno, l’animus
manifestato dipende in buona sostanza dal titolo in forza del quale avviene siffatta acquisizione, ovvero delle
modalità con cui detta acquisizione si realizza. (tornando al nostro esempio se il libro non viene riportato in
biblioteca chi lo ha preso in prestito mostra all’esterno di voler rispettare i diritti della biblioteca nulla rivela se
questa volontà coincida o meno con quella effettiva)
Nel dubbio l’esercizio del potere di fatto su un bene si presume integrare la fattispecie del possesso: spetta a chi
nega la sussistenza del possesso l’onere di provare che, nel caso di specie, ricorre un’ipotesi di semplice
detenzione.
Art.1141 - Mutamento della detenzione in possesso - Si presume il possesso in colui che esercita il potere di fatto,
quando non si prova che ha cominciato a esercitarlo semplicemente come detenzione.
A nulla rileva il mutamento psico - comportamentale della detenzione in possesso ovvero se in cuor suo il
detentore intenda comportarsi come un vero e proprio proprietario (es. se colui che prenda il libro in biblioteca
decida nel suo intimo di non restituirlo più)
Il mutamento della detenzione in possesso (interversione del possesso) può avvenire solo se la modificazione
dello stato psicologico del detentore venga manifestata all’esterno, in forza:
a) Di opposizione del detentore rivolta al possessore: in forza di un atto (giudiziale o stragiudiziale) scritto
od orale con cui il detentore manifesti inequivocabilmente l’intenzione di continuare a tenere la cosa per
sé non più come detentore bensì come possessore per conto ed in nome proprio (es. dichiarazione alla
biblioteca nella quale si neghi di dover restituire il libro)
b) Di causa proveniente da un terzo: in forza cioè di un atto con il quale l’attuale possessore (quand’anche
non legittimato a disporre del bene) attribuisca al detentore la propria posizione possessoria. (es. il ladro
che dopo avermi concesso la detenzione dell’auto perché la esaini e la venda
Il possesso si distingue in:
a) Possesso legittimo, che si ha allorquando il potere di godere e disporre del bene è esercitato dall’effettivo
titolare del diritto di proprietà: in tal caso la situazione di fatto coincide esattamente cin la situazione di
diritto (es. il pescatore gode e dispone di fatto del pesce pescato ed ha il diritto di goderne e disporne)
b) Possesso illegittimo, che si ha allorquando il potere di godere e disporre del bene è esercitato di fatto da
persona diversa dall’effettivo titolare del diritto di proprietà: in tal caso la situazione di fatto non coincide
con la situazione di diritto; e si articola a sua volta in:
 P.i. di buona fede, dove il possessore ha acquisito la materiale disponibilità del bene ignorando di
ledere l’altrui diritto, sempre che detta ignoranza non dipenda da sua colpa grave. La qualifica di
possessore di buona fede dipende insomma dalle circostanze nelle quali avviene l’acquisto del
possesso (buona fede oggettiva). (es. acquisto un quadro in una casa d’aste senza aver ragione di
sospettare che si tratti di refurtiva)
 P.i. di mala fede, dove il possessore ha acquisito la materiale disponibilità del bene, conoscendo il
difetto del proprio titolo d’acquisto, ovvero dovendolo conoscere con l’ordinaria diligenza (ad es.:
occupo abusivamente un appezzamento di terreno)
 P.i. vizioso, dove il possessore ha acquisito la materiale disponibilità del bene non solo in mala fede,
ma addirittura con violenza, (es.: mediante rapina) ovvero clandestinità (es. mediante furto)
In materia di possesso, si presume. la buona fede: grava su chi contesta la buona fede del possessore l’onere di
provare la sua mala fede.
La detenzione si distingue a sua volta in:
a) D. qualificata, quando il detentore ha acquisito la materiale disponibilità del bene nell’interesse proprio
(es.: l’inquilino)
b) D. non qualificata, quando il detentore ha acquistato la materiale disponibilità del bene per ragioni di
ospitalità (es amico che accolgo nel mio appartamento) ovvero di servizio (es. meccanico a cui affido la
mia auto per la manutenzione)
La legge attribuisce alle diverse distinzioni fra le varie situazioni possessorie una diversa rilevanza giuridica.
Il possesso di diritti reali minori.
Vi possono essere anche situazioni di fatto che corrispondono all’esercizio di diritti reali cd minori: così ad (es. se
su un fondo viene fatto passare un acquedotto, si ha possesso della servitù; se su un fondo esercito i poteri tipici
dell’usufruttuario, si avrà possesso dell’usufrutto.)
Sul medesimo bene possono coesistere possessi di diverso tipo. (es. la proprietà di tizio può coesistere con
l’usufrutto di Caio e la servitù di Sempronio)
Il codice limita la figura del possesso alle situazioni di fatto corrispondenti all’esercizio di diritti reali, ad
esclusione del diritto di superficie.
Chi ha il possesso corrispondente all’esercizio di un diritto reale minore (es. servitù o usufrutto) può modificare il
titolo del proprio possesso solo attraverso uno di quei mezzi idonei a consentire la trasformazione della
detenzione in possesso (interversione del possesso) es. trasformando l’usufrutto in proprietà cioè:
a) L’opposizione fatta dal possessore del titolo di diritto reale minore nei confronti del possessore a titolo di
proprietà
b) La causa proveniente da un terzo
L’acquisto e la perdita del possesso.
Può avvenire:
a) In modo originario, con l’apprensione della cosa contro o senza la volontà di un eventuale precedente
possessore (impossessamento) ed il conseguente esercizio sulla cosa stessa di poteri di fatto
corrispondenti a quelli spettanti al titolare di un diritto reale. (es. mi approprio di un autovettura
incustodita)
Non si ha acquisto del possesso se l’apprensione del bene e il relativo esercizio di fatto del diritto reale si
verificano per mera tolleranza del possessore: ossia, quando chi potrebbe impedire l’acquisto del corpus se ne
astiene per spirito di amicizia, di gentilezza, di cordialità, di buon vicinato, ecc. (es.: se un amico per mia
condiscendenza, si trattiene nella mia villa quando non ci sono, non per questo ne diventa possessore)
b) In modo derivativo, con la consegna materiale (es. consegna di un plico al destinatario) o simbolica (es
consegna di un appartamento mediante consegna delle chiavi) del bene da parte del precedente al nuovo
possessore. Non è necessaria, perché si abbia consegna, la materiale apprensione del bene, essendo
sufficiente che quest’ultimo consegua la possibilità attuale ed esclusiva di agire liberamente su di esso.
(es. consegna delle merci tramite le chiavi del magazzino dove esse sono depositate)
L’esperienza conosce due figure di Traditio Ficta, ( [Consegna fittizia] Modo di trasferimento della proprietà o
del possesso, caratterizzato da una fittizia consegna della cosa, mancando in pratica un materiale atto di
apprensione o un fisico spostamento della cosa dal precedente, al successivo possessore).

La traditio brevi manu, quando il detentore acquista il possesso del bene (es. l’inquilino che acquista
la casa che deteneva ne acquisisce il possesso non mutando la sua relazione con essa)
 Il costituto possessorio, quando il possessore acquista la detenzione del bene (es. acquisto un
immobile contemporaneamente concedendolo in locazione al venditore egli conserva la relazione
materiale a ne perde il possesso)
La perdita del possesso si verifica per il venir meno di uno od entrambi gli elementi del possesso: cioè del corpus
e/o dell’animus possidendi. (se abbandono il bene viene meno il corpus se cedo il possesso del bene
conservandone la detenzione viene meno l’animus)
Per la perdita del corpus non è sufficiente una semplice dimenticanza momentanea del bene (es. scordo l’ombrello
a casa di amici) e tanto meno un occasionale distacco fisico della cosa, (es lascio la macchina parcheggiata per
strada che non precluda al soggetto di ripristinare il rapporto materiale con la stessa) occorrendo invece la sua
definitiva irreperibilità od irrecuperabilità da parte del possessore (smarrimento, furto, rapina, ecc).
Il possesso degli animali selvatici si perde allorché essi riacquistino la naturale libertà;
Per quanto riguarda gli immobili, la dottrina tradizionale ritiene che la conservazione possa avvenire anche per
solo effetto della persistenza dell’animus, nonostante si sia perduta la disponibilità fisica, (Chi è stato
violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l'anno dal sofferto spoglio, chiedere contro
l'autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo.)
Il possessore illegittimo è di norma tenuto a restituire al titolare del diritto non solo il bene ma anche i
frutti dal bene prodotti a partire dal momento in cui ha avuto inizio il suo possesso.
La regola trova peraltro eccezione in caso di possesso illegittimo di buona fede: in tale ipotesi il possessore ha
infatti diritto di tenere per sé i frutti percepiti anteriormente alla proposizione, da parte del titolare del diritto, della
relativa domanda giudiziale. Solo i frutti percepiti durante la lite spettano al proprietario. Anzi dal giorno della
domanda (ad evitare che il possessore, sapendo di doverli restituire, trascuri la coltivazione o lasci perire i frutti),
e fino alla restituzione della cosa, il possessore stesso risponde verso il rivendicante non solo dei frutti percepiti
durante la lite, ma anche di quelli che avrebbe potuto percepire usando la diligenza del buon padre di famiglia.
Quanto alle spese occorre distinguere fra:
a) Spese ordinarie (quelle che servono per la produzione dei frutti ed il loro raccolto, nonché per le
riparazioni ordinarie del bene), di cui il possessore ha diritto al rimborso limitatamente al tempo per il
quale è tenuto alla restituzione dei frutti: non sarebbe giusto che chi deve restituire i frutti non abbia il
diritto al rimborso delle spese effettuate per la loro produzione.
b) Spese straordinarie (quelle che servono alle riparazioni straordinarie), di cui il possessore ha sempre
diritto al rimborso: non sarebbe giusto che il proprietario si avvantaggiasse di spese che superano il limite
della conservazione del bene.
c) Spese per i miglioramenti, di cui il possessore ha diritto al rimborso, purché detti miglioramenti
sussistano al tempo della restituzione: e la ragione è che, nell’interesse generale della produzione, non si
è voluto distogliere chi di fatto si trova ad utilizzare la cosa dal compimento di opere che ne accrescono il
valore. Tuttavia, per quanto concerne l’importo del rimborso, bisogna distinguere se il possesso era
qualificato da buona o mala fede: al possessore di buona fede l’indennità si deve corrispondere nella
misura dell’aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti; a quello di mala fede,
nella minor somma tra lo speso ed il migliorato.
Al possessore (purché di buona fede) è riconosciuto il diritto di ritenzione: cioè, il diritto di non restituire il bene
fino a che non gli siano state corrisposte le indennità dovute per spese, riparazioni e miglioramenti.
183.L’acquisto in forza del possesso: a) la regola “possesso vale titolo”.
Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il
possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un Titolo idoneo al trasferimento della
proprietà. La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal Titolo e vi è la
buona fede dell'acquirente. Nello stesso modo si acquistano diritti di usufrutto, di uso e di pegno
Se acquisto un bene da chi non ne è il proprietario (acquisto a non domino), non ne divento proprietario, perché
chi mi ha alienato il bene non era legittimato a farlo.
Tale principio non è applicato rigorosamente in quanto altrimenti per essere sicuri di non restare esposti all’azione
di rivendicazione da parte del proprietario, prima di qualsiasi acquisto occorrerebbe indagare se l’alienante è
davvero il legittimo proprietario del bene, o se egli ha a sua volta acquistato correttamente a domino, e così via;
tutto ciò comporterebbe un grave ostacolo alla circolazione della ricchezza.
Ora (se per i beni immobili sono costituiti appositi registri di consultazione) per quel che riguarda i beni mobili il
legislatore ha dettato la regola del “possesso vale titolo” (1153 c.c.), in forza della quale chi acquista un bene a
non domino, ne diventa proprietario, purché concorrano i seguenti presupposti:
a) Che l’acquisto riguardi beni mobili (esclusi quelli registrati e delle universalità di mobili) suscettibili di
possesso.
b) Che l’acquirente possa vantare un titolo idoneo al trasferimento della proprietà: cioè un contratto non
solo astrattamente atto al trasferimento del diritto dominicale ma anche che non presenti vizi (es., una
compravendita nulla per difetto di forma).
c) Che l’acquirente, oltre ad aver stipulato l’atto d’acquisto del bene mobile, ne abbia altresì acquistato il
possesso.
d) Che l’acquirente sia in buona fede nel momento in cui il bene gli viene consegnato: peraltro a tale fine
non basta che l’acquirente ignori che l’alienante non aveva diritto di disporre della cosa, ma occorre
altresì che tale ignoranza non dipenda da sua colpa; colpa che sussisterebbe se le circostanze in cui
l’acquisto ha avuto luogo avessero indotto in sospetto l’uomo medio, il buon padre di famiglia. Tuttavia
siccome per chi si trova nel possesso di una cosa la buona fede è presunta, incombe su chi intenda
contestarne l’acquisto l’onere della prova di mala fede del possessore, adducendo ogni indizio utile a
dimostrare che una persona di media diligenza, in quelle circostanze, avrebbe preferito astenersi
dall’acquisto, non potendo non avere dei dubbi sulla reale titolarità dell’alienante. La buona fede è
esclusa se l’acquirente conosce l’illegittima provenienza della cosa.
Quello realizzato in forza dell’applicazione della regola “possesso vale titolo” costituisce acquisto a titolo
originario.
Art.1153 La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa (se questi non risultano dal titolo e vi è buona
fede dell’acquirente). Quindi, se acquisto a non domino, in buona fede, un quadro e chi me lo vende non mi dice
che su di esso è costituito un pegno, non soltanto divento proprietario del quadro, ma contro di me non può
neppur essere fatto valere il diritto di un pegno dal creditore pignoratizio.
Un ulteriore conseguenza della regola “possesso vale titolo” è prevista nel 1155 c.c.
Può darsi che taluno alieni il medesimo bene mobile a più persone o costituisca lo stesso diritto a favore di più
persone, ovvero cerchi di trasferire a persone diverse diritti tra loro incompatibili. (es. l’usufrutto più persone) Il
1155 c.c. stabilisce che, se taluno con successivi contratti aliena a più persone un bene mobile, tra esse quella che
per prima ne acquista in buona fede il possesso è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore.
I principi fin qui esaminati non si applicano per le università di beni mobili e dei beni mobili iscritti in pubblici
registri: per quanto riguarda le prime (es.: biblioteche, greggi, ecc.) il legislatore preferisce sollecitare l’attenzione
di chi voglia acquistare un siffatto complesso di beni, evitando che questi possa accontentarsi dell’apparente
titolarità di chi si accinga a compiere atti di disposizione dell’universitas. Ragion per cui, con riferimento alle
universalità di mobili, trova applicazione rigorosa il principio secondo cui nessuno può trasferire di diritto più di
quanto abbia, con la conseguenza che viene tutelato non già chi per primo acquista il possesso in buona fede,
bensì chi può vantare un valido titolo d’acquisto di data anteriore.
Per quanto riguarda invece i beni mobili iscritti in pubblici registri (autoveicoli aeromobili ecc.), trovano
applicazione i principi relativi alla trascrizione, in base ai quali viene tutelato non già chi per primo acquista il
possesso in buona fede, bensì chi per primo provvede alla trascrizione del suo titolo.
184. L’acquisto della proprietà in forza del possesso: b) l’usucapione.
Può accadere che un bene abbia per anni un possessore non proprietario e un proprietario non possessore. Al
protrarsi di questa situazione la legge ricollega una precisa conseguenza: il proprietario perde il diritto di
proprietà, il possessore lo acquista. È irrilevante agli effetti dell’usucapione, che il possesso sia di buona o di mala
fede. Questa circostanza può influire solo sulla durata del possesso necessario per l’usucapione. Occorre però che
il possesso sia goduto alla luce del sole: se il possesso è stato conseguito con violenza o in modo clandestino, il
tempo utile per l’usucapione comincia a decorrere solo da quando sia cessata la violenza o la clandestinità. È
cruciale però distinguere la detenzione dal possesso: nel primo caso si tiene l'oggetto soltanto in custodia, ci si
comporta cioè come se il possesso fosse altrui e ciò non da inizio ad alcun ciclo di usucapione. Ad esempio un
libro preso in prestito da un amico, anche se mai chiesto indietro, non darà mai inizio a un processo di usucapione,
se non interverrà un fatto oggettivo con il quale si manifesti la volontà di trasformare la detenzione in possesso
vero e proprio. Seguendo il citato esempio solo quando colui che ha preso in prestito il libro comunicherà al
prestante la volontà di appropriarsi del libro (per esempio negandone la restituzione in seguito a una richiesta del
prestante) avrà inizio il calcolo del tempo di usucapione.
Il fondamento dell’usucapione è in un’esigenza di ordine generale, che è quella di eliminare le situazioni di
incertezza circa l’appartenenza dei beni: una consolidata situazione di fatto come il possesso di un bene protratto
per un certo tempo è di per sé stessa considerata modo di acquisto della proprietà. Chi compera sa di comperare
bene se compera da chi ha posseduto la cosa per il tempo necessario per usucapirla.
Il possesso protratto per un certo lasso di tempo fa acquistare al possessore la titolarità del diritto reale
corrispondente alla situazione di fatto esercitata: l’usucapione costituisce dunque un modo di acquisto a titolo
originario della proprietà e dei diritti reali minori.
La ratio dell’usucapione va ricercata nell’opportunità dal punto di vista sociale, di favorire chi nel tempo utilizza e
rende produttivo il bene a fronte del proprietario che lo trascura.
L’usucapione agevola altresì la prova del diritto di proprietà: se non soccorresse l’usucapione, chi si afferma
proprietario dovrebbe dare la prova di aver acquistato il suo diritto da un soggetto che era effettivamente
proprietario del bene per averlo, a sua volta, acquistato da quello precedente e così via.
L’usucapione si distingue dalla prescrizione estintiva (art. 2934 c.c.):

in entrambi gli istituti hanno importanza il fattore tempo e l’inerzia del titolare del diritto: ma nella
prescrizione questi elementi danno luogo all’estinzione, nell’usucapione all’acquisto di un diritto;

la prescrizione ha una portata generale, in quanto si riferisce a tutti i diritti, salvo eccezioni;
l’usucapione riguarda invece solo la proprietà e i diritti reali minori.
Per usucapione possono acquistarsi solo la proprietà ed i diritti reali di godimento che sono il diritto di superficie,
l'enfiteusi, l'usufrutto, l'uso, l'abitazione e le servitù. (ad eccezione delle servitù non apparenti), con esclusione
quindi dei diritti reali di garanzia.
I diritti usucapibili possono avere ad oggetto tutti i beni corporali, ad esclusione dei beni demaniali e dei beni del
patrimonio indisponibile dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali.
Perché si verifichi l’usucapione, debbono concorrere i seguenti presupposti:
a) Il possesso, in buona o mala fede del bene; Se il possesso (illegittimo, di mala fede) viene acquistato con
violenza (rapina o clandestinità,) il possesso utile per usucapire decorre solo dal momento un cui sono
cessate la violenza e la clandestinità (furto: è da tale momento che il precedente possessore, vittima
dell’atto violento o clandestino, potrebbe agire in giudizio per ottenere il recupero del bene; se omette di
farlo, deve subire le conseguenze negative della sua colpevole inerzia).
b) La continuità del possesso per un certo lasso di tempo : peraltro, al fine di dimostrare la continuità del suo
possesso, il soggetto interessato non ha l’onere di fornire la prova di aver posseduto il bene per tutto
l’arco richiesto, istante per istante: la legge, infatti lo agevola con la presunzione di possesso intermedio
(1142 c.c.), in forza della quale basta che il possessore dimostri di possedere ora e di aver posseduto in
un tempo più remoto: ciò è sufficiente per far presumere che abbia posseduto anche nel periodo
intermedio; spetterà eventualmente sostenga il contrario di dimostrare il suo assunto. Invece, il solo
possesso attuale non fa presumere il possesso anteriore, salvo che il possessore possa invocare un titolo a
fondamento del suo possesso (es esibire un atto dal quale risulti una data certa; in tal caso la legge
presume che il possesso abbia avuto inizio dalla data del titolo (presunzione di possesso anteriore).
c) La non interruzione del possesso, che si ha allorquando, nel lasso di tempo richiesto dalla legge, non
intervenga:
 Né una causa di interruzione c.d. naturale dell’usucapione, che si verifica allorquando il soggetto
perda il possesso del bene (es. per abbandono o trasferimento); con la precisazione, in ipotesi di
perdita del possesso in conseguenza del fatto del terzo che se ne appropri, l’interruzione si considera
verificata solo se chi si è visto privato del possesso non abbia proposto l’azione diretta a recuperare
il perduto possesso entro il termine di un anno dall’avvenuto spoglio;
 Né una causa di interruzione c.d. civile dell’usucapione che si verifica allorquando contro il
possessore, che pure conserva materialmente il possesso del bene, venga proposta una domanda
giudiziale volta a privarlo di esso (es azione di rivendicazione o di spoglio), sempre che si tratti di
domanda fondata; ovvero allorquando il possessore abbia effettuato un riconoscimento del diritto
del titolare. Le cause di interruzione civile dell’usucapione coincidono con quelle di interruzione
della prescrizione.
d) Il decorso di un certo lasso di tempo, che il codice fissa in 20 anni (usucapione ordinaria): ai fini del
computo del tempo utile ai fini dell’usucapione, chi abbia acquisito il possesso a titolo particolare può
sommare al tempo del proprio possesso anche il tempo del possesso dei propri danti causa (accessione
del possesso: art. 1146 c.c.), mentre chi ha acquisito il possesso a titolo universale si giova del possesso
del suo autore (successione nel possesso: 1146 c.2 c.c.).
Peraltro la legge prevede relativamente a talune ipotesi termini di usucapione più brevi (usucapione abbreviata); e
precisamente:
1) Di 10 anni per i beni immobili e di 3 anni per i beni mobili registrati, quando oltre a quelli fin qui
indicati, concorrono cumulativamente i seguenti presupposti:
 Che il possessore possa vantare a suo favore un titolo idoneo a trasferire la proprietà (es. l’usufrutto
che và trascritto in appositi registri pubblici) non inficiato da altri vizi se non quello di essere stato
stipulato da chi non è legittimato a disporre del bene: si tratta di un’ipotesi di acquisto a non domino;
 Che l’acquirente avvia acquistato il possesso del bene in buona fede
 Che sia stata effettuata la trascrizione del titolo: il termine utile per l’usucapione decorre proprio dalla
data della trascrizione
2) Di 10 anni per le universalità di mobili quando, oltre a quelli fin qui indicati, concorrono
cumulativamente i seguenti presupposti:
 Che il possessore possa vantare a suo favore un titolo idoneo all’acquisto del diritto Che l’acquirente
abbia acquistato il possesso del bene in buona fede
3) Di 10 anni per i beni mobili non registrati quando l’acquirente abbia acquistato il suo possesso in
buona fede.
4) Di 15 anni per i fondi rustici con annessi fabbricati situati in comuni che per legge sono classificati come
montani, e anche per quelli non situati in comuni montani, ma che abbiano un reddito domenicale iscritto in
catasto non superiore a €180,76 (termine che, se concorrono i presupposti della sussistenza di un titolo idoneo
della buona fede e della trascrizione del titolo, si riduce a 5 anni dalla trascrizione della stessa)(c.d. usucapione
speciale per la piccola proprietà rurale).
L’acquisto del diritto in forza di usucapione avviene ex lege, nel momento stesso in cui matura il termine
normativamente previsto. Peraltro, l’usucapiente potrebbe avere interesse (es.: per eliminare ogni incertezza
relativa al suo acquisto) a promuovere un giudizio di accertamento dell’intervenuta usucapione, che, in ogni caso,
si concluderebbe con una sentenza avente valore dichiarativo e non già costitutivo.
La tutela delle situazioni possessorie.
Ci si può opporre, finché l’altrui azione illecita è in atto (es.: posso oppormi con la forza al tentativo di furto della
mia valigetta con i preziosi), ciò in virtù del principio della legittima difesa.
Quando l’azione è esaurita, il possessore deve rivolgersi all’Autorità dello Stato attraverso una delle azioni che,
proprio perché poste a tutela del possesso, si dicono “possessorie”.
Il possessore può agire in giudizio a difesa del suo possesso con le azioni possessorie, senza avere l’onere di dare
la prova di essere effettivamente titolare del diritto reale corrispondente
Le azioni petitorie sono azioni che spettano al proprietario per difendere il suo diritto contro turbative altrui.
. Chi riveste contestualmente la qualità sia di possessore che di titolare del correlativo diritto reale, potrà esperire,
quale possessore, le azioni possessorie, oppure, quale titolare del diritto, le azioni petitorie.
Le azioni possessorie garantiscono al possessore una tutela efficiente, in quanto semplice e rapida. Innanzitutto,
infatti, egli non ha l’onere di dare la prova della titolarità del diritto ma soltanto del suo possesso, cioè della
situazione di fatto esistente. Inoltre la procedura è abbreviata e semplificata. L’azione possessoria paralizza quella
petitoria (unica eccezione: sentenza della corte costituzionale del 1992). Prima finalità: La finalità principale delle
azione possessorie è quella di rafforzare la tutela del titolare del diritto reale. Tutto ciò si fonda sul presupposto
razionale secondo cui colui che utilizza una cosa a proprio profitto è, molto probabilmente, anche titolare di un
diritto reale su quella cosa. Tuttavia non sempre questo accade, perché talvolta il possessore possiede senza
diritto. Nel procedimento possessorio di regola non è possibile accertare se il possessore è titolare del diritto reale
corrispondente, oppure se non lo è quindi esercita abusivamente il potere di fatto sulla cosa. Seconda finalità:
evitare che il titolare del diritto compia azioni di autotutela, cioè si faccia giustizia da sé, e indurlo a rivolgersi
all’autorità giudiziaria per ottenere giustizia. In tali situazioni il risultato ottenuto è solo provvisorio e non
definitivo, è tale da non pregiudicare in modo irreversibile gli interessi dell’effettivo titolare del diritto. Se il
procedimento possessorio si è concluso con un giudizio a lui sfavorevole, può iniziare un procedimento
giudiziario petitorio.
(es. se vengo evocato in giudizio con un azione possessoria da colui a cui ho sottratto il bene non posso
giustificare la mia condotta adducendo che in realtà sono proprietario del bene debbo attendere la definizione del
giudizio possessorio ed eseguire la sentenza che ad es. può condannarmi alla restituzione del bene solo allora
potrò avviare l’azione petitoria (nello specifico quella di rivendicazione)
La regola legale del divieto del cumulo di giudizio petitorio con quello possessorio soffre deroga nell’ipotesi in
cui vi sia il rischio che dalla sua applicazione possa derivare, per il convenuto, un pregiudizio irreparabile.
La lesione di situazioni possessorie obbliga il suo autore a risarcire il danno che ne sia derivato al possessore o al
detentore. La relativa azione può essere proposta congiuntamente all’azione possessoria.
L’azione di reintegrazione (o spoglio).
Essa risponde all’esigenza di garantire a chi possiede un bene una sollecita tutela giudiziaria ed è volta a
reintegrare nel possesso del bene chi sia rimasto vittima di uno spoglio violento o clandestino. (Lo spoglio è
violento se è fatto contro la volontà del possessore, anche se non si ricorre alla violenza ed è considerato occulto o
clandestino se il possessore non è a conoscenza dello spoglio)
Per spoglio si intende qualsiasi azione che si risolva nella durata della privazione, totale (occupo totalmente il
fondo) o parziale, (occupo un parte del fondo) del possesso.
Si ritiene che l’azione di reintegrazione sia esperibile solo quando lo spoglio risulti accompagnato dal c.d. animus
spoliandi, cioè dall’intenzione del suo autore di privare il possessore o il detentore della disponibilità del bene
tranne che ciò non risulti dalle circostanze (es. quando il bene è in stato di abbandono in questo caso manca
nell’autore del fatto la coscienza di privare altri del suo possesso)
La legittimazione attiva ad esercitare l’azione spetta a qualsiasi possessore, sia esso legittimo (diritti di proprietà)
o illegittimo (diritti di godimento), di buona o mala fede; addirittura al possessore che tale sia divenuto con
violenza o clandestinità. Spetta altresì al detentore, tranne che al detentore non qualificato (cioè a chi sia tale per
ragioni di servizio od ospitalità): in questa ultima ipotesi infatti è logico che l’azione venga intentata, anziché dal
detentore precario, dal possessore che è l’unico realmente interessato al recupero del possesso. Il detentore
(qualificato) può esperire l’azione di spoglio non solo nei confronti dei terzi, ma anche nei confronti del
possessore (si pensi al caso dell’inquilino che, tornato dalle vacanze, scopra che nel frattempo il proprietario si è
ripreso la disponibilità dell’appartamento locatogli), purché la sua detenzione sia autonoma (cioè acquisita nel
proprio interesse; ad es., l’amico a cui ho affidato un quadro perché lo venda per mio conto non è legittimato ad
esperire l’azione di reintegrazione, nell’eventualità in cui io possessore mi sia ripreso il quadro).
La legittimazione passiva compete (oltre all’autore materiale dello spoglio, quand’anche nel frattempo abbia
trasferito ad altri il possesso del bene) a coloro che debbono rispondere del fatto di quest’ultimo, al c.d. autore
morale dello spoglio (cioè a colui che lo abbia approvato, traendone vantaggio) nonché a chi si trovi attualmente
nel possesso del bene, in virtù di un acquisto a titolo particolare, fatto con la conoscenza dell’avvenuto spoglio.
La proposizione dell’azione è soggetta ad un termine di decadenza di un anno, che decorre dal sofferto spoglio
oppure, se questo è clandestino, dal giorno della sua scoperta. Nel caso in cui lo spoglio non sia stato né violento
né clandestino, chi l’abbia subito può reagire con l’azione di manutenzione, se ed in quanto ricorrano le più
restrittive condizioni previste dalla legge per la proponibilità di tale ultima azione.
L’azione di manutenzione.
Essa (art. 1170 c.c.) è volta alternativamente a:
a) Reintegrare nel possesso del bene chi sia stato vittima di uno spoglio non violento né clandestino.
b) Far cessare le molestie o le turbative di cui sia stato vittima il possessore.
Per molestia o turbativa s’intende qualunque attività che arrechi al possessore un apprezzabile disturbo, tanto che
consista in attentati materiali (es. taglio degli alberi,) quanto che si estrinsechi in atti giuridici. (es. un opposizione
a chi intraprende una costruzione in contrasto con la servitù di passaggio)
L’azione di manutenzione è esperibile (alias attuabile) solo in presenza del c.d. animus turbandi: cioè della
consapevolezza nell’agente che il proprio atto arreca pregiudizio al possesso altrui.
La legittimazione attiva non spetta al detentore e neppure a tutti i possessori: spetta soltanto al possessore di un
immobile, di un’universalità di mobili o di un diritto reale su un immobile, e solo a condizione che sia possessore
da almeno un anno, in modo continuativo e non interrotto (ovvero qualora abbia acquistato il possesso con
violenza o clandestinità, da almeno un anno dal giorno in cui queste siano cessate).
La legittimazione passiva compete all’autore dello spoglio (non violento o clandestino) o della turbativa, ma
anche a coloro che debbono rispondere del fatto di quest’ultimo, nonché al c.d. autore morale.
Anche l’azione di manutenzione è soggetta al termine di decadenza di un anno, che decorre dall’avvenuto spoglio,
ovvero dal giorno in cui ha avuto inizio l’attività molestatrice.
Le azioni di nuova opera e di danno temuto.
Possono essere esercitate a tutela della proprietà del possesso o di altro diritto reale di godimento.
Esse hanno finalità tipicamente di natura cautelare, in quanto mirano a prevenire un danno o un pregiudizio che
può derivare da una nuova opera o dalla cosa altrui, in attesa che successivamente si accerti il diritto alla
proibizione.
La denuncia di nuova opera spetta al proprietario, al titolare di un diritto reale di godimento o al possessore che
abbia ragione di temere che da una nuova opera (es scavi) iniziata da meno di un anno e non terminata stia per
derivare danno alla cosa che forma oggetto del suo diritto o del suo possesso. Il giudice può vietare o permettere
la continuazione dell’opera, stabilendo le opportune cautele (1171 c.c.).
La denuncia di danno temuto è data al proprietario, al titolare di un diritto reale di godimento o al possessore nel
caso in cui vi sia pericolo di un danno grave e prossimo derivante da qualsiasi edificio, albero o altra cosa (non
quindi da una persona), senza che ricorra l’ipotesi di nuova opera (1172 c.c.). il giudice dispone i provvedimenti
necessari per ovviare il pericolo e, se del caso, impone idonea garanzia per gli eventuali danni.
Successione nel possesso ed accessione del possesso.
Il possesso alla morte del possessore continua in capo al suo successore a titolo universale (erede) ipso iure, cioè,
anche in mancanza di una materiale apprensione del bene da parte dell’erede e perfino se questi ignori l’esistenza
dello stesso e con tutte le accezioni se il possessore era in malafede lo sarà anche l’erede.
Ben diversa dalla successione nel possesso è l’“accessione del possesso” applicabile solo a chi acquista il
possesso a titolo particolare (compratore legatario ecc.), egli acquista un possesso nuovo, diverso da quello del
suo dante causa. Pertanto può essere in buona fede, benché il dante causa fosse in mala fede, e viceversa. Le
qualifiche del possesso vanno valutate cioè nei confronti dell’acquirente senza dare rilievo alla situazione in cui si
trovava l’alienante.
Il successore a titolo particolare dunque può, se lo ritiene utile, sommare al periodo in cui ha egli stesso
posseduto, anche il periodo durante il quale hanno posseduto i suoi danti causa: questa sommatoria dei due
periodi può, infatti, risultare utile ai fini dell’usucapione, dell’azione di rivendicazione, dell’azione di
manutenzione, ossia ogni volta che assuma rilievo la durata del possesso (es.: se compero un bene mobile da chi
so non esserne proprietario mi potrà convenire, invocare ricorso alla regola possesso vale titolo onde poter
sommare a quella del mio possesso la durata del possesso del mio dante causa ai fini del computo tempo
necessario per l’usucapione).
IL RAPPORTO OBBLIGATORIO
Nozione
Con il termine obbligazione si intende il rapporto tra due soggetti –il soggetto passivo (cd
debitore) ed il soggetto attivo (cd creditore) in forza del quale il primo è tenuto nei confronti del
secondo ad una determinata prestazione.
Il rapporto obbligatorio dà luogo a due posizioni correlate: la posizione di debito (passiva) fa da
contraltare a quella di credito (attiva).
Al debitore fa capo una determinata obbligazione mentre al creditore fa capo il correlativo diritto di
credito che può essere fatto valere solo nei confronti del debitore (si dice, perciò, che è un diritto
personale o relativo ).
Il debitore risponde dell’inadempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri
(art.2740 c.c.). quindi, in caso di inadempimento, il creditore può invocare misure coercitive sul
patrimonio dell’obbligato. (cd responsabilità patrimoniale)
Fonti delle obbligazioni
Secondo l’art. 1173 c.c., l’obbligazione può sorgere per contratto, fatto illecito ed ogni altro atto o fatto
idoneo a produrla secondo l’ordinamento.
Tali fattispecie si dicono fonti delle obbligazioni al suo inadempimento conseguono le sanzioni previste
in caso di inadempimento dell’obbligazione (risarcimento del danno) e in tema di inadempimento del
contratto. (risoluzione dello stesso)
L’obbligazione naturale
Per obbligazione in senso naturale (art.2034 c.c.), si intende qualunque dovere morale o sociale, in forza
del quale un soggetto determinato sia tenuto ad eseguire un’attribuzione patrimoniale a favore di un
altro soggetto parimenti determinato.
Il debitore naturale, quindi, non è obbligato giuridicamente ad adempiere, ma è obbligato solo in forza
di doveri morali e sociali. il creditore naturale, non può ottenerne la restituzione.
Perché sia esclusa la restituzione è necessario che:
a) la prestazione sia stata spontanea, cioè effettuata senza coazione; (es se pago in adempimento di
una sentenza)
b) che la prestazione sia stata fatta da persona capace.
C la proporzionalità tra la prestazione eseguita i mezzi di cui l’adempiente dispone e l’interesse da
soddisfare.
Il diritto del destinatario di non restituire il bene è l’unico effetto dell’obbligazione naturale
Tale ipotesi di obbligazione naturale sono espressamente previste dalla legge (es il debito di gioco)
La sua inosservanza comporterebbe un giudizio di riprovazione e disistima tra i consociati alla luce di
un etica sociale corrente in un determinato momento storico.
Alla luce di questo criterio costituiscono adempimento all’obbligazione naturale le prestazioni a favore
del convivente il pagamento di interessi pattuiti oralmente l’adempimento di una disposizione
testamentaria orale ecc.
Non costituiscono adempimento all’obbligazione le attribuzioni effettuate per riconoscenza o per
speciale remunerazione (es. le mance)
GLI ELEMENTI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
I soggetti del rapporto obbligatorio sono almeno due:
creditore (o soggetto attivo);
debitore (o soggetto passivo.)
Essi sono di regola determinati all’epoca in cui l’obbligazione sorge (es nella compravendita creditore del prezzo
è il venditore debitore l’acquirente,) ma a volte può accadere che uno dei soggetti del rapporto sia determinato
solo successivamente al sorgere del vincolo. (es. prometto un premio a chi mi riporti il cane smarrito)
L’obbligazione a soggetto determinabile è distinta dall’obbligazione cd ambulatoria in cui ignoro il soggetto della
trasferibilità del credito ovvero a chi dovrò effettuare la prestazione (es. pagherò cambiario)
La prestazione cui il debitore è obbligato può consistere in un dare o in un facere.
La prestazione si dice infungibile quando assumono rilievo le qualità personali dell’obbligato; fungibile quando
per il creditore è irrilevante chi gli procura il risultato cui ha diritto.
Non importa che la prestazione corrisponda ad un interesse economico del creditore: anche il soddisfacimento di
interessi culturali, sportivi può essere procurato dal debitore. Ma la prestazione dovuta deve avere carattere
patrimoniale, vale a dire che deve essere suscettibile di valutazione economica.
Perché un’obbligazione sia validamente assunta occorre che la prestazione dovuta sia:
a)
possibile (ad es. non sorge l’obbligazione di consegnare una cosa inesistente);
b)
lecita;
c)
determinata (nel senso che siano determinati i criteri per giungere alla sua specifica determinazione).
Le parti possono stabilire che l’oggetto della prestazione sia determinato da un terzo (arbitratore). Questi deve
procedere con equo apprezzamento: le parti possono perciò rivolgersi al giudice se la determinazione
dell’arbitratore è manifestamente iniqua o erronea (art.1349.1 c.c.).
Le parti, peraltro, possono anche rimettersi al mero arbitrio del terzo, lasciandogli carta bianca: in tal caso
potranno impugnare la determinazione solo nel caso estremo che si riesca a provare il dolo del terzo. Né è
consentito alle parti rivolgersi al giudice, qualora l’arbitratore non provveda: esse possono solo accordarsi per
sostituirlo, altrimenti il contratto è nullo (art.1349.2 c.c.).
Oggetto dell’obbligazione è la prestazione dovuta (art.1174 c.c.). Nelle obbligazioni di dare, peraltro, pure il bene
dovuto viene talvolta indicato come oggetto (mediato) dell’obbligazione. Nelle obbligazioni generiche il debitore
è tenuto a dare cose non ancora individuate ed appartenenti ad un genere (10 bottiglie di vino di quel certo tipo);
nelle obbligazioni specifiche il debitore è tenuta a dare una cosa determinata (questa auto). In caso di
obbligazione generica il debitore deve scegliere di prestare cose di qualità non inferiore alla media (art.1178 c.c.).
L’obbligazione divisibile e indivisibile
Nell’obbligazione indivisibile, il diritto di richiedere e correlativamente l’obbligo di prestare l’intero derivano
dalla natura della prestazione che ha per oggetto una cosa (o un fatto) che non è suscettibile di essere ridotta in
parti per sua natura (es. un cavallo vivo; indivisibilità oggettiva) o per la volontà delle parti (indivisibilità
soggettiva)
L’indivisibilità opera anche nei confronti degli eredi del debitore o di quelli del creditore
Le obbligazioni solidali
.Nell’obbligazione solidale passiva:
-il creditore può rivolgersi per ottenere la prestazione da uno qualsiasi dei obbligati a meno che non vi sia il
beneficio di escussione ovvero l’onere di procedere preventivamente nei confronti di un condebitore
-gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione hanno effetto anche riguardo gli altri condebitori
-la rinuncia da parte del creditore alla solidarietà non incide sulla natura solidale dell’obbligazione degli altri
condebitori
-il condebitore può opporre al creditore le cd eccezioni comuni (es invalidità inesigibilità ma non quelle personali
altrui (che attengono al rapporto creditore –debitore (es. il vizio del consenso)
- l’effettuazione integrale della prestazione ad opera di uno dei coobbligati estingue l’obbligazione
-la costituzione in mora di uno dei condebitori non vale a costituire in mora gli altri
-Ciascun condebitore è tenuto solo per la sua parte, a meno che l’obbligazione sia stata contratta nell’interesse
esclusivo di uno dei condebitori (es. nei confronti della banca che ha concesso il mutuo sono solidamente
responsabili sia tizio che ha contratto il mutuo che Caio che ha prestato garanzia fidejussoria)
-. La parte di ciascun condebitore si presume eguale a quella degli altri, se non risulta diversamente
-Il condebitore solidale che abbia pagato l’intero può agire contro gli altri condebitori (azione di regresso)
-se uno dei condebitori risulta inadempiente la perdita va ripartita tra tutti gli altri condebitori
Le obbligazioni pecuniarie
Art. 1282 c.c. obbligazioni pecuniarie: i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di
pieno diritto salvo che la legge o il titolo stabilisca diversamente. Per liquido si intende certi nel loro ammontare
per esigibile si intende che sia scaduto e quindi maturato dal creditore.
Per l’estinzione dell’obbligazione pecuniaria (alias obbligazione generica che ha come oggetto il pagamento di
una somma di denaro) occorre utilizzare moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento
L’obbligazione si dice a termine, quando va adempiuta dopo un certo intervallo di tempo rispetto al momento in
cui è sorta
Il principio nominalistico stabilisce che il debitore si libera pagando, alla scadenza, la medesima quantità di
moneta inizialmente fissata, nonostante il tempo passato dalla costituzione del debito ed indipendentemente dal
fatto che, nel frattempo, il potere d’acquisto del danaro sia più o meno diminuito. Il creditore può cercare di
cautelarsi contro le oscillazioni di valore della moneta: il modo più semplice è quello di pattuire degli interessi.
Peraltro il principio nominalistico si applica con certezza ai crediti liquidi, ossia già determinati nel loro
ammontare; non altrettanto può dirsi per i crediti illiquidi, ossia per quei crediti dei quali non risulti ancora fissato
il concreto quorum dovuto.
Se il debito pecuniario è espresso in moneta estera, il debitore, di regola, può pagare anche in moneta nazionale,
al corso del cambio nel giorno della scadenza ciò non si applica, se nell’obbligazione è indicata la clausola
"effettivo" ovvero che il pagamento deve effettuarsi proprio in moneta estera , salvo che alla scadenza
dell'obbligazione non sia possibile procurarsi tale moneta.
Un particolare tipo di obbligazione pecuniaria è quella relativa agli interessi che si aggiungono al capitale.
Gli interessi possono essere:
a) legali: sono interessi dovuti in forza di una norma di legge ovvero salvo diversa pattuizione, qualora la cosa
venduta e consegnata al compratore produca frutti o altri proventi decorrono gli interessi sul prezzo, anche se il
prezzo non è ancora esigibile. Dal 1°gennaio 1999 la misura del tasso dell’interesse legale è stata portata al 2.5%
in ragione dell’anno;
b) convenzionali: sono quelli dovuti in forza di un accordo tra debitori e creditori, l’accordo può essere sia
antecente che successivo al sorgere dell’obbligazione.. Se le parti pattuiscono pure il “saggio” di tali interessi,
questi sono dovuti nella misura concordata (che, però, deve essere determinata per iscritto se è fissata ad un
livello superiore rispetto al tasso legale); se invece le parti pattuiscono che siano dovuti interessi convenzionali,
ma non fissano il saggio di questi ultimi, si applica il tasso legale.
La funzione di questi interessi è corrispettiva in quanto rappresentano il corrispettivo del debitore per il
godimento di una somma di denaro. Esempio è il mutuo in quanto vi è un contratto in forza del quale la somma di
denaro è mutuabile per il godimento per l’acquisto di immobili etc., dietro corresponsione dei relativi interessi.
Un'altra funzione è quella compensativa, sono quelli dovuti per le cosiddette obbligazione di valore, obbligo di
risarcire il danno, quindi la somma che rappresenta il danno deve essere attualizzato e gli interessi compensativi
hanno appunto la funzione di attualizzare la somma
c ) moratori: interessi moratori (danni alle obbligazioni pecuniarie): questa norma recita nelle obbligazioni che
hanno per oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non erano
dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno. Se prima della mora erano
dovuti interessi di mora in misura superiore a quella legale, gli interessi di mora sono dovuti nella stessa misura.
non sono interessi dovuti per un patto tra le parti, il debitore non paga lo costituisco in mora, da quel momento
anche se il debitore non era tenuto ad interessi li deve corrispondere a titolo di risarcimento del danno.
Al creditore che dimostra di avere subito un danno maggiore spetta un ulteriore risarcimento questo non è dovuto
se è stata convenuta la misura degli interessi moratori il creditore costituendo in mora il debitore percepisca
interessi legali ma potrebbe aver subito danno superiore, basti pensare al fatto che non potendo disporre delle
somme sue spettanti non abbia potuto far fronte alle obbligazioni dell’esercizio d’impresa e abbia dovuto
ricorrere ad un finanziamento bancario ad interessi più elevati quindi lo scostamento percentuale costituisce un
ulteriore danno. Quindi il creditore può pretendere il maggiore danno. Tutto questo fatto salvo non sia convenuto
tra le parti che in caso di inadempienza abbiano accordato un determinato interesse di mora.
d ) usurari: sono quelli superiori ai tassi medi praticati da banche e intermediari finanziari, rilevati
trimestralmente dal Ministro del tesoro, dove risultino sproporzionati; sono invece sempre usurari i tassi che
superano del 50% i saggi pubblicati. Dove ci sono interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi
(art.1815.2 c.c.).
In linea di principio è proibito l’anatocismo,( interessi sugli interessi): ossia la capitalizzazione degli interessi
dovuti affinchè questi producano a loro volta altri interessi. gli interessi scaduti possono produrre interessi solo
dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di una convenzione (contratto) posteriore alla loro scadenza e
sempre che si tratti di interessi dovuti per un periodo di almeno sei mesi.
Le obbligazioni semplici, alternative e facoltative
L’obbligazione semplice nella quale è dedotta un’unica prestazione;
l’obbligazione alternativa è l'obbligazione in cui sono dovute al creditore due o più prestazioni e il debitore si
libera prestandone una sola. Di regola il potere di scelta spetta al debitore una volta effettuata la scelta
l’obbligazione si trasforma in semplice.
l’obbligazione facoltativa, obbligazione in cui una sola è la prestazione, ma il debitore ha la facoltà, ove lo voglia,
di liberarsi prestandone una diversa. Il diritto di scelta (che spetta al debitore, salvo che, per accordo delle parti,
non sia attribuita al creditore o ad un terzo) , una volta esercitata, determina la trasformazione in obbligazione
semplice.
Le obbligazioni plurisoggettive
L’obbligazione può far capo a più soggetti non solo il creditore e il debitore
- Obbligazioni solidale: ciascun debitore è obbligato ad effettuare a favore dell’unico
creditore l’intera prestazione (obbligazione solidale passiva); es. due coniugi che contraggono un mutuo
-ciascun creditore ha diritto nei confronti dell’unico debitore all’intera prestazione (obbligazione solidale attiva)
es. se due coniugi hanno un cc cointestato ognuno può prelevare anche l’intera somma
-ciascuno dei più debitori è tenuto ad eseguire una parte dell’unitaria prestazione e l’altra parte deve essere
eseguita degli altri condebitori (obbligazione parziaria passiva) es. se tizio deve cento alla sua morte gli eredi
solveranno in proporzione alla loro quota
-ciascuno dei più creditori ha diritto ad una parte dell’unitaria prestazione mentre la restante deve essere eseguita
a favore di ciascuno degli altri creditori (obbligazione parziaria attiva) es. se tizio e Caio hanno una casa in
comunione pro indiviso a seguito della vendita a sempronio egli dovrà versare il 50% all’uno e il 50% all’altro.
L’art. 1294 c.c. stabilisce una presunzione generale di solidarietà passiva nel senso che nel caso di pluralità di
debitori, se dalla legge o dal titolo non risulta altrimenti, i condebitori sono
tenuti in solido (es. nell’eredità) se non risulta diversamente dalla legge o dal titolo. Questo perchè si tutela il
creditore in quanto egli ha, non solo il fastidio di dover chiedere a ciascuno dei debitori la sua parte, ma anche il
rischio di insolvenza di uno di essi .
In caso di pluralità di creditori la solidarietà ricorre solo nelle ipotesi previste dalla legge o dal titolo
MODIFICAZIONE DEI SOGGETTI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
Ai soggetti originari del rapporto obbligatorio possono sostituirsi od aggiungersi altri soggetti può
verificarsi nell’ambito di una successione a titolo universale (riguarda tutti i rapporti) o per effetto di
una successione a titolo particolare (riguarda il singolo rapporto)
MODIFICAZIONI NEL LATO ATTIVO DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
LA CESSIONE DEL CREDITO
La cessione del credito indica il contratto con il quale il creditore (cedente) pattuisce con un terzo
(cessionario) il trasferimento in capo a quest’ultimo del suo diritto verso il debitore (ceduto);
Per quanto riguarda il contratto di cessione, qualunque credito può formare oggetto di cessione , purchè
il credito non abbia carattere strettamente personale (crediti, per esempio alimentari o quelli relativi al
divorzio, i quali non sono cedibili.) o il trasferimento non sia vietato dalla legge ovvero la cessione non
sia stata convenzionalmente esclusa dalle parti
Avviene tramite un contratto per mezzo del quale il credito circola liberamente.
Le parti possono escludere la cedibilità del credito; ma il patto non è opponibile dal cessionario se non
prova che egli lo conoscesse al tempo della cessione.
Oggetto di cessione possono essere anche i crediti futuri
Il contratto di cessione può avere ad oggetto una somma di denaro o una prestazione di altra natura (es.
cedo il credito a fronte di una partita di merci) può invero anche trattarsi di una donazione avere
funzione di garanzia o di estinzione di un debito diverso del cedente verso il cessionario (cd cessione
solutoria). Per le molteplici funzioni la cessione del credito è detto contratto a causa variabile
Affinché la cessione abbia efficacia nei confronti del debitore occorre che a quest’ultimo la cessione
venga notificata dal cedente o dal cessionario ovvero sia da lui accettata (cd consenso traslativo.).
Il debitore se ha pagato al cedente, non può essere tenuto dal cessionario ad un nuovo pagamento. E
poiché la buona fede si presume, incombe al cessionario l’onere di provare che il debitore era a
conoscenza dell’avvenuta cessione
L’accettazione o la notificazione della cessione servono inoltre ad attribuirle efficacia di fronte ai terzi.
(se il cedente ha ceduto lo stesso credito prima ad A e poi a B ed è stata notificata, o è stata accettata per
prima, con atto di data certa la cessione fatta a B, è questa che prevale sull’altra (art.1265 c.c.).
Quanto agli effetti della cessione, in conseguenza di essa, benché venga ad essere modificato il soggetto
attivo del credito, l’obbligazione rimane, per tutto il resto, inalterata: perciò il credito è trasferito al
cessionario con i privilegi, con le garanzie personali e reali e gli altri accessori (es. gli interessi)
Parimenti, il debitore ceduto può opporre al cessionario le stesse eccezioni che avrebbe potuto opporre
al cedente.(es. se il contratto è annullabile per dolo si fa rivalere anche nei confronti del cessionario)
Se la cessione è a titolo oneroso, il cedente è tenuto a garantire l’esistenza del credito (se inesistente egli
dovrà restituire tutto il ricevuto e risarcire il danno,) ma non risponde affatto se il debitore risulta
insolvente (realizzabilità del credito)
Il cedente può, peraltro, con apposito patto, garantire anche la solvenza del debitore: in tal caso, qualora
il debitore ceduto non adempia, il cedente sarà tenuto a restituire quanto aveva eventualmente ricevuto
come corrispettivo della cessione, oltre agli interessi, alle spese della cessione e a quelle sostenute dal
cessionario per escutere il debitore, salvo sempre l’obbligo ulteriore del risarcimento del danno, ove ne
ricorrano i presupposti.
Quando la cessione sia stata effettuata per estinguere un debito del cedente verso il cessionario si
presume che la cessione avvenga pro solvendo (il cedente garantisce non solo l’esistenza ma anche la
bontà del credito); qualora risulti una diversa volontà delle parti, nel senso che il cessionario si accolla,
l’intero rischio della solvenza del debitore ceduto, si parla di cessione pro soluto (la cessione avviene
senza alcuna garanzia da parte del cedente.)
Se la cessione è a titolo gratuito il cedente garantisce solo se espressamente promesso e non garantendo
comunque la realizzabilità del credito
IL FACTORING
Con il contratto di factoring, un’ imprenditore specializzato (factor) si impegna contro pagamento di una
commissione variabile a seconda dell’entità degli obblighi assunti, a gestire per conto di un’impresa
cliente, l’amministrazione di tutti o di parte dei crediti di cui quest’ultima diventa titolare verso i propri
clienti nella gestione della sua attività imprenditoriale. Spesso il factor concede al cliente anticipazioni
finanziarie sull’ammontare dei crediti gestiti, spesso accompagnati dalla cessione di tali crediti, o pro
solvendo, e cioè lasciando a carico del cliente il rischio dell’eventuale insolvenza dei debitori ceduti, o
pro soluto, e cioè accollandosi il factor il rischio dell’insolvenza dei debitori ceduti, cosicché, in caso di
inadempimento di questi ultimi, il factor non potrà pretendere dal cliente che la restituzione degli
anticipi versatigli.
Solo le le banche o gli intermediari finanziari, possono rendersi cessionari, il cedente deve essere un
imprenditore i crediti solo pecuniari e, sorti nell’esercizio dell’impresa, può trattarsi anche di crediti in
massa e di crediti futuri (cioè ceduti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgeranno), il
cedente deve garantire la realizzabilità del credito.
La cessione è opponibile ai terzi
LA CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI
La cartolarizzazione è la cessione da parte di un cedente di attività o beni attraverso l'emissione di titoli
obbligazionari.
I beni vengono ceduti a società-veicolo che versano al cedente il corrispettivo economico ottenuto
attraverso l'emissione ed il collocamento dei titoli obbligazionari. Se il credito diviene inesigibile, chi
compra titoli cartolarizzati perde sia gli interessi che il capitale versato e non può rifarsi sul capitale
della società veicolo o da altre operazioni che la stessa abbia in atto. Per lo più i beni ceduti sono
costituiti da crediti, tuttavia possono essere immobili, contratti derivati o altro.
In pratica tramite la cartolarizzazione un soggetto creditore (spesso una banca o un intermediario
finanziario) cede un titolo in cui è inglobato il diritto a riscuotere una somma da un debitore. cedendo
questo titolo il creditore rientra subito dell'esposizione invece chi acquista il titolo diviene creditore.
Un credito di € 1.000 (sul cui rientro ci possono essere dubbi) viene trasformato in due obbligazioni del
valore di € 500 ciascuna vendute sul mercato a € 400 ciascuna.
Questo il meccanismo.
DELEGAZIONE ATTIVA
Altra figure di successione nel lato attivo del rapporto obbligatorio è la delegazione
Il c.c. si occupa solo della delegazione passiva.
E’ un accordo tra creditore (delegante) , debitore (delegato) e un terzo, (delegatario). con il quale il
creditore dà mandato al debitore che accetta, di pagare al terzo (es. tizio creditore di caio volendo
gratificare il figlio sempronio trasferisce a lui il credito dovuto)
Al creditore originario (delegante) si aggiunge il terzo (delegatario), ma senza estinzione del diritto del
primo, cosicché, in caso di successiva inadempienza da parte del debitore, contro quest’ultimo potrà
ancora agire pure il primo creditore. (effetto cumulativo)
B) MODIFICAZIONI NEL LATO PASSIVO DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
La sostituzione del debitore non è possibile senza l’espressa volontà del creditore: se questa manca, il
precedente debitore non viene liberato, ma si aggiunge un nuovo soggetto passivo a quello che già c’era.
(questo xchè variare il debitore non è indifferente per il creditore in quanto potrebbe essere una persona
non solvibile)
LA DELEGAZIONE PASSIVA
La delegazione passiva si distingue in delegazione a promettere e delegazione di pagamento
La delegazione a promettere consiste in un negozio trilaterale fra debitore (delegante) creditore
(delegatario) ed un terzo (delegato) in forza del quale il debitore delega il terzo ad obbligarsi ad
effettuare il pagamento a favore del creditore.
Il delegante non viene liberato dal debito originario ma resta obbligato insieme al delegato anche se il
delegatario può con dichiarazione espressa acconsentire a liberare subito il delegante conservando come
unico debitore il delegato. (delegazione liberatoria)
La delegazione liberatoria comporta l’estinzione delle garanzie di credito a meno che non diversamente
convenuto: qualora il delegato risulti insolvente il delegatario mantiene il suo diritto di credito verso il
delegante nonostante la liberazione
La delegazione è diversamente regolata se si fa riferimento o meno ai rapporti tra le parti:
Il rapporto di debito che c’è tra vecchio e nuovo debitore è detto "rapporto di provvista" ,
Il rapporto di debito che c’è tra vecchio debitore e creditore è detto "rapporto di valuta".
Se nell'accordo di delegazione si fa riferimento al rapporto di valuta o al rapporto di provvista (o ad
entrambi), la delegazione si dirà titolata; in caso contrario la delegazione sarà pura
Il riferimento nel contratto di delegazione ai rapporti di provvista o valuta consente al delegato di
opporre le eccezioni relative a tali rapporti.
il delegato può in ogni caso opporre al delegatario tutte le eccezioni relative ai suoi
rapporti con lui
il delegato non può opporre al delegatario le eccezioni scaturenti dal rapporto di valuta,
salvo che non sia stato fatto espresso riferimento
il delegato non può opporre al delegatario le eccezioni scaturenti dal rapporto di provvista
a meno che le parti non abbiano diversamente convenuto
L'eccezione è, in senso proprio, un fatto giuridico introdotto nel processo che estingue, modifica o
impedisce l'efficacia dei fatti su cui si fonda la domanda di chi ha esercitato l'azione (es. nullita’)
Nella delegazione di pagamento il delegante non ordina al delegato di assumersi un obbligazione, ma gli
ordina di pagare, al suo posto.
Il rapporto è, quindi, tra delegante e delegato, mentre il delegatario ne è sostanzialmente estraneo.
La delegazione di pagamento ha in questo caso effetto immediatamente solutorio (es. la girata
dell’assegno bancario)
L’ESPROMISSIONE
Un terzo può assumere verso il creditore il debito di un altro, promettendo che provvederà lui al
pagamento.(es. padre che si fa carico del debito di un figlio)
Quest’obbligo può essere assunto spontaneamente, ossia senza il consenso o l’incarico del debitore, dal
momento che si tratta di un atto vantaggioso per costui.
L’elemento differenziale tra la delegazione e l’espromissione consiste nella spontaneità dell’iniziativa
del terzo.
Il terzo subentra nella stessa posizione del debitore originario perciò non può opporre al creditore le
eccezioni relative ai suoi rapporti con il debitore originario (es. il padre non può opporre in
compensazione il credito che egli vanta nei confronti del figlio ma può opporre le eccezioni che
quest’ultimo avrebbe potuto opporre al debitore originario)
Come la delegazione, anche l’espromissione può essere cumulativa (il terzo è obbligato in solido anche
con il debitore originario) o liberatoria, (se il creditore dichiara espressamente di liberare il debitore
originario.)
L’ACCOLLO
L’accollo è un contratto tra il debitore (accollato) e un terzo (accollante), con il quale quest’ultimo
assume a proprio carico l’onere di procurare il pagamento al creditore (accollatario).
(es. se acquisto con ipoteca l’acquirente si accolla anche il rimborso dell’ipoteca)
L'accollo, al pari dell'espromissione, ha quale causa quella di assumersi un debito altrui.
Ma mentre con l'espromissione questa funzione viene realizzata da un accordo tra il terzo ed il creditore,
nell'accollo l'accordo interviene tra il terzo ed il debitore originario.
Distinguiamo due tipi di accollo:
a) l’accollo interno semplice che si ha quando le parti non intendono attribuire nessun diritto al
creditore verso l’accollante: questi si impegna solo verso l’accollato ha perciò una semplice funzione
interna (ovvero mette a disposizione i mezzi perché il debitore provveda all’adempimento dell’ipoteca)
b) l’accollo esterno che si ha quando l’accordo tra accollante ed accollato si presenta come un
contratto a favore del creditore nel senso che le parti hanno previsto ed accettato che il creditore possa
avvantaggiarsi della convenzione, aderirvi con un suo atto unilaterale, e conseguentemente pretendere
direttamente dall’accollante l’adempimento del suo credito: cosicché l’accordo tra debitore e terzo può
essere modificato o posto nel nulla a seguito di successivi accordi tra loro fin quando il creditore non vi
abbia aderito, dopo di che l’impegno assunto dall’accollante diventa irrevocabile, e il terzo risponde
dell’adempimento non solo di fronte all’accollato ma anche di fronte all’accollatario.
L’accollo esterno può a sua volta essere:
a) cumulativo, se il debitore originario resta obbligato in solido con l’accollante
b) liberatorio, se il debitore originario resta liberato, rimanendo obbligato in sua vece il solo
l’accollante. Perché tale liberazione si verifichi occorre o una dichiarazione espressa del creditore o che
la liberazione del debitore originario costituisca condizione espressa dell’accordo.
nella.delegazione.il.debitore.“ordina”.al.terzo.di.pagare.il.creditore
nell’espromissione il terzo “si accorda” col creditore per pagare al posto del debitore
nell’accollo il terzo “si accorda” col debitore per pagare al posto suo
L’ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE
L’obbligazione è un rapporto tendenzialmente temporaneo destinato perciò ad estinguersi.
Tipico fatto estintivo del rapporto obbligatorio è l’adempiento
Vi sono poi altri modi di estinzione dell'obbligazione, diversi dall'adempimento [es. morte del debitore quando si
tratti di prestazioni infungibili ossia di prestazioni per il cui adepiento sono essenziali le qualità personali
dell’obbligato (es. obbligo di dipingere un quadro).]
L’ADEMPIMENTO
L’adempimento o pagamento consiste nell’esatta realizzazione della prestazione dovuta.
Il debitore deve curare con attenzione, prudenza e perizia deve usare la diligeza del buon padre di famiglia per la
conformità del risultato da procurare al creditore rispetto al contenuto dell’obbligo assunto.
Se il creditore accetta preventivamente di esonerare il debitore da responsabilità per inadempienze che derivino
da dolo o colpa grave di quest’ultimo, il patto è nullo .
Il creditore può, se vuole, rifiutare un pagamento parziale che il debitore abbia ad offrirgli. Il debitore può
adempiere personalmente o a mezzo di ausiliari, del cui comportamento è però sempre responsabile egli stesso di
fronte al creditore.
Il debitore allorquando effettua la prestazione può richiedere a proprie spese il rilascio della quietanza cioè una
dichiarazione scritta in forza della quale il creditore attesta di aver ricevuto l’adempiento.
Per quel che riguarda il destinatario dell’adempiento il codice prevede che di regola il debitore esegua il
pagamento direttamente al creditore che deve accertarsi che il debitore abbia la capacità legale di ricevere, perché
altrimenti potrebbe essere obbligato a pagare una seconda volta a meno che non si provi che l’incapace ha
comunque tratto vantaggio dalla prestazione eseguita (quindi talvolta il debitore deve eseguire il pagaento non
nelle mani del debitore ma in quelle del rappresentante legale o del tutore)
Il debitore può se vuole pagare anziche al creditore ad una persona da lui designata ma in questo caso non si
libera dell’obbligazione a meno che il creditore non ratifichi (convalidi) il pagamento
Il creditore si libera se paga in buona fede a persona che in base a circostanze univoche appariva creditore (chi ha
ricevuto il pagamento è tenuto alla restituzione verso il vero creditore)
Luogo dell’adempimento: è di regola determinato nel titolo costitutivo del rapporto: (inserito nel contratto)
ovvero è determinato dagli usi o dalla natura della prestazione (es. gli obblighi di un giocatore di una squadra di
calcio)
Qualora i principi richiamati non soccorrano l’obbligazione di pagare una somma di danaro va adempiuta nel
luogo in cui la cosa si trovava quando l’obbligazione è sorta e al domicilio che il creditore ha al tempo della
scadenza ; in tutti gli altri casi l’obbligazione và adempiuta al domicilio che il debitore ha al tempo della
scadenza.
Il termine è spesso indicato nel titolo costitutivo (es nel contratto l’appaltatore ha un termine per ultimare la
palazzina)
Ma se l’obbligazione è ad esecuzione continuata o periodica (es. locatore, lavoratore dipendente) occorre
determinare il momento iniziale e quello finale della prestazione dovuta.
Se l’obbligazione è ad esecuzione istantanea occorre determinare il giorno dell’adempimento.
Quando per l’adempiento risulta fissato un termine si presume che esso sia a favore del debitore con la
conseguenza che il creditore non può esigere il pagamento prima della scadenza mentre il debitore può adempiere
prima del termine fissato, se il termine è fissato a favore di entrambi né l’uno né l’altro possono ottenere la
prestazione prima del tempo concordato.
Di regola le parti sono libere di definire il tempo dell’adempiento
Deroga: Nelle obbligazioni al pagamento di una somma di denaro a titolo di corrispettivo per la fornitura di merci
o la prestazione di servizi tra imprenditori, tra imprenditori e liberi professionisti, o tra imprenditori liberi
professionisti e P.A. (cd transazioni commerciali) detta norma sanziona con la nullità ogni accordo sulla data del
pagamento che risulti iniqua in danno del creditore finalità di questa norma è quella di contrastare situazioni di
abuso di cui possono rimanere vittime le imprese specie medie e piccole a fronte dello strapotere contrattuale dell
altra parte).
Negli altri casi:
Se il titolo non prevede tempo il creditore può richiedere immediataente l’adempiento
Se la natura della prestazione richiede necessariaente un lasso di tempo in mancanza di accordo tra le parti la
decisione è rimessa al giudice
Il debitore decade dal termine fissato a suo favore qualora sia insolvente o abbia diminuito le garanzie che aveva
dato o non abbia dato le garanzie che aveva promesso.
Il creditore ha diritto all’esatta esecuzione della prestazione egli può rifiutare o accettare un prestazione diversa
anche qualora si tratti di prestazione avente valore uguale o maggiore.
Se il creditore accetta la prestazione diversa il debitore resta però comunque obbligato ad eseguire la prestazione
originaria (quindi non confondere con la novazione) se non la esegue il creditore può richiederne il pagamento ed
il contratto si realizzerà soltanto quando il debitore esegua effettivamente la prestazione sostitutiva.
Quando in luogo dell’adempiento è ceduto un credito l’obbligazione si estingue con la riscossione del credito se
invece consiste nella proprietà di una cosa il debitore è tenuto alla garanzia per l’evizione e per i vizi della cosa
salvo che il creditore preferisca esigere la prestazione originaria e il risarcimento del danno.
Di regola per il creditore è indifferente se la prestazione viene eseguita personalmente dal debitore o da un terzo.
Quando però, la prestazione sia infungibile, il creditore può rifiutare la prestazione che il debitore gli proponga di
far eseguire da un suo sostituto (es. attore scritturato per una piece teatrale)
Se invece, la prestazione è fungibile (es. pagamento di una somma di danaro), il creditore non può rifiutare la
prestazione che gli venga offerta da un terzo. E il suo eventuale rifiuto potrebbe comportare la mora accipiendi.
Solo se il debitore gli ha comunicato la sua opposizione, il creditore può rifiutare l’adempimento offertogli dal
terzo pur essendo libero di accettare la prestazione nonostante l’opposizione del debitore.
L’adempiento all’obbligo altrui non và confuso con la promessa di adempiere ad un obbligo altrui (accollo
espromissione ecc.) In ogni caso il terzo, a meno che sia intervenuto per spirito di liberalità, potrà esperire contro
il debitore avvantaggiatosi l’azione di arricchimento
Se una persona, che ha più debiti della stessa specie verso la stessa persona, fa un pagamento che non comprenda
la titolarità dei debiti, è importante stabilire quale tra i vari debiti venga estinto (ad es il tasso di interesse pu
essere diverso) Si riconosce al debitore la facoltà di dichiarare quale debito intende soddisfare: in mancanza il
pagamento deve essere imputato al debito scaduto; tra più debiti scaduti, a quello meno garantito; tra più debiti
ugualmente garantiti, al più oneroso per il debitore; tra più debiti ugualmente onerosi, al più antico. Se tali criteri
non soccorrono, l’imputazione va fatta proporzionalmente ai vari debiti.
Se il debitore ha concordato con il creditore quietanza diversa per la solvenza dei debiti egi non puo più
pretendere un imputazione diversa.
Limitazioni all’uso del contante
Sulla base di una direttiva comunitaria anche in Italia è stata introdotta una disciplina per combattere il c.d.
riciclaggio del denaro sporco: sono stati così imposti limiti alla circolazione di denaro contante o di titoli di
credito al portatore (che possono essere utilizzati solo per effettuare versamenti entro l’importo massimo di lire 20
milioni), 12.500 € mentre per pagamenti superiori a tale limite occorre necessariamente avvalersi di intermediari
abilitati (banche, società finanziarie, assicurazioni). Le limitazioni all’uso del contante favoriscono il diffondersi
di mezzi di pagamento c.d. alternativi (trasferimenti elettronici di fondi, bonifici bancari,). Ci comporta anche
l’aggio di evitare rischi connessi al posseso di contanti (furti rapine ecc..)
La surrogazione
Il pagamento può anche dar luogo alla sostituzione (surrogazione) del creditore con altra persona
La finalità della surrogazione è, quella di agevolare l’adempimento verso il creditore originario con l’attribuire ad
un terzo, che rende possibile l’adempimento, i diritti, e soprattutto le garanzie, che erano inerenti al rapporto
obbligatorio.
La surrogazione può avvenire per volontà del creditore che, ricevendo il pagamento da un terzo, può dichiarare
espressamente di volerlo far subentrare nei propri diritti verso il debitore o per volontà del debitore che,
prendendo a mutuo una somma di danaro al fine di pagare il debito, può surrogare il mutuante nella posizione del
creditore oppure nei casi di legge:
1) a vantaggio di chi, essendo creditore, ancorché chirografario, paga un altro creditore che ha diritto di essergli
preferito
in
ragione
dei
suoi
privilegi,
del
suo
pegno
o
delle
sue
ipoteche;
2) a vantaggio dell'acquirente di un immobile che, fino alla concorrenza del prezzo di acquisto,
paga.uno.o.più.creditori.a.favore.dei.quali.l'immobile.è.ipotecato
3) a vantaggio dell'erede con beneficio d'inventario che paga con danaro proprio i debiti ereditari
Differenza surrogazione e cessione del credito:
La surrogazione, come la cessione del credito, dà luogo ad una successione nel lato attivo del rapporto
obbligatorio ma la surrogazione suppone che l’obbligazione sia adempiuta; la cessione, che l’adempimento
non si sia ancora verificato.
LA MORA CREDENDI
Normalmente per la realizzazione dell’adempimento è necessaria la cooperazione del creditore (es. se devo
consegnare una cosa la consegna non si può effettuare se il creditore non è disposto a riceverla.)
Non sempre il creditore ha interesse a liberare il debitore (si pensi al caso in cui gli prema dimostrare il contrario
per ottenere la risoluzione del contratto o per far maturare interessi elevati ad es. un creditore che dimentichi di
lasciar aperti i magazzini ove il debitore doveva consegnare le merci)
La figura della mora credendi ha luogo quando il creditore, senza legittimo motivo, rifiuta di ricevere il pagamento
offertogli dal debitore oppure omette di compiere gli atti preparatori per il ricevimento della prestazione (es. di
lasciare aperto il agazzino).
Il rifiuto, da parte del creditore, di ricevere la prestazione offerta dal debitore è giustificabile solo qualora l'offerta
non sia valida, ad es. perché parziale o inesatta.
Il debitore costituisce in mora il creditore con l'offerta dell'adempimento; tale offerta può essere di due tipi:
a)
solenne, ovvero compiuta. da un pubblico ufficiale; se l’obbligazione ha ad oggetto delle res da consegnare
a domicilio il pubblico ufficiale le porta con se per eseguire il pagamento se si tratta di bene diverso (es
restituzione del immobile locato) l’offerta si fà per intimazione mediante atto
b)
secondo gli usi, dove gli effetti della mora non si verifichino dal giorno dell’offerta ma da quello del
deposito delle cose dovute
1. Effetti della mora. Il primo effetto della costituzione in mora del creditore è quello di impedire l'imputazione al
debitore del ritardo nell'adempimento, e quindi di liberarlo dalle conseguenze previste in caso di mora del debitore.
Quando il creditore è stato costituito in mora, è a suo carico il rischio che la prestazione diventi impossibile per causa
non imputabile al debitore. Inoltre non sono più dovuti dal debitore gli interessi e i frutti della cosa che il creditore
non abbia percepito. Il creditore moroso, da parte sua, è tenuto a rimborsare le spese sostenute dal debitore per
l'offerta, per la custodia e la conservazione della cosa oggetto dell'obbligazione, quando l'offerta venga
successivamente accettata dal creditore o convalidata con sentenza, nonché a risarcire i danni provocati al debitore a
causa della mora. La costituzione in mora del creditore non libera il debitore dalla sua obbligazione: egli resta tenuto
ad adempiere la prestazione in qualunque momento il creditore moroso la richieda.
2. La liberazione del debitore. Il legislatore ha accordato al debitore la possibilità di liberarsi dall'obbligazione,
indipendentemente dalla volontà del creditore. Se costituiscono oggetto dell'obbligazione cose mobili il debitore può
liberarsi depositandole presso la Cassa depositi e prestiti o presso un istituto di credito se si tratta di somme di
denaro o titoli di credito, e presso uno stabilimento di pubblico deposito se si tratta di altre cose mobili. Per le
obbligazioni di fare il legislatore non prevede la possibilità per il debitore di liberarsi in caso di mora del creditore. Si
ritiene tuttavia che la costituzione in mora implichi, in questo caso, la liberazione del debitore, fatto salvo a suo
favore il risarcimento del mancato guadagno per non aver potuto effettuare la prestazione.
Se l’offerta e il deposito non vengono accettate dal creditore è necessario far seguire un giudizio
Differenza tra ritardo e mora:
In caso di ritardo l'adempimento è ancora possibile, mentre in caso di inadempimento no.
Per esempio se io ti devo 1000 euro entro oggi ma non ti pago, posso pur sempre darteli domani. Sarà un
adempimento ritardato. Ma se tu ha fissato la scadenza di oggi come un termine essenziale e invalicabile
il.superamento.di.questa.scadenza.significa.inadempimento.
Di norma, è la volontà del creditore a far sì che il ritardo nell'adempimento si trasformi in inadempimento se io
sono in ritardo e tu agisci in giudizio per ottenere la risoluzione del contratto ecco che io non potrò più adempiere
e quindi il mio ritardo sarà divenuto un inadempimento vero e proprio e dovrò.restituirti.la.cosa.che.ho.acquistato.
Ad es. se pago in ritardo una rata di affitto se il proprietario di casa rimane acquiescente l'inquilino potrà
adempiere anche in ritardo, ovviamente con gli interessi di mora; ma se il proprietario gli intima lo sfratto per
morosità, il contratto si risolve!
Per finire bisogna però ricordare che, la risoluzione del contratto non si può chiedere se il ritardo
nell'adempiere.è.di.scarsa.importanza.
Differenza tra penale e mora:
Mora: situazione qualificata di ritardo nell’adempimento.
Penale: facciamo riferimento ad un accordo tra le parti inserito nel contratto in cui stabiliscono l’importo del
risarcimento del danno nel caso in cui una parte sia inadempiente. È un obbligo risarcitorio convenzionale.
I MODI DI ESTINZIONE DIVERSI DALL’ADEMPIMENTO
LA COMPENSAZIONE
Quando tra due persone intercorrono rapporti obbligatori reciproci, (un soggetto creditore in un rapporto è al
tempo stesso debitore in un altro) questi ultimi possono estinguersi, in modo parziale o totale, senza bisogno di
provvedere ai rispettivi adempimenti, mediante compensazione tra i rispettivi crediti.
Alcuni crediti non posso essere compensati il più importante è il credito degli alimenti chi ha diritto a riceverli
non può provvedere ai propri bisogni se non li riceve e poco gli giova se il debito che lui ha con la controparte
viene estinto oppure cose di cui il proprietario si stato ingiustamente spogliato o cose depositate o date in
comodato ecc.
La compensazione non è amessa tra obbligazione civile e naturale
La legge prevede tre tipi di compensazione:
1)
Compensazione legale.
Perché la compensazione legale operi, è necessario che la parte la eccepisca in giudizio: il giudice non può
rilevarla d’ufficio. Tuttavia, i debiti si estinguono non dal giorno della sentenza e per effetto di questa, ma dal
momento della loro coesistenza,
Essa richiede:
a)
omogeneità delle prestazioni dovute: i due crediti devono avere per oggetto entrambi o una somma di
danaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere;
b)
liquidità di entrambi i crediti, e cioè che sia già stato determinato il loro ammontare;
c)
esigibilità dei crediti stessi: essi devono essere suscettibili di richiesta da parte del creditore di immediato
adempiento
2)
Compensazione giudiziale.
Qualora nel corso di un giudizio sia invocato un credito liquido ed esigibile, e l’altra parte opponga in
compensazione un controcredito omogeneo ed anch’esso esigibile, ma non ancora liquido, il giudice può
dichiarare l’estinzione dei due debiti fino alla quantità corrispondente, a condizione che il credito opposto in
compensazione sia di facile e pronta liquidazione.
3)Compensazione volontaria.
Quando i debiti reciproci non presentano i requisiti per far luogo alla compensazione legale o giudiziale, la loro
estinzione per compensazione può verificarsi solo in forza di uno specifico contratto, con il quale le parti
rinunciano scambievolmente, in tutto o in parte, ai rispettivi crediti.
Questa specie di compensazione può anche essere anteriore alla scadenza dei crediti.
Dalla compensanzione volontaria si distingue la Compensazione facoltativa. Ha luogo quando una parte rinunci
ad eccepire un ostacolo che si frapporrebbe alla compensazione legale: consente, per es., che si operi la
compensazione, nonostante il credito non sia scaduto
LA CONFUSIONE
Qualora creditore e debitore sia la stessa persona, l’obbligazione si estingue
Ciò può accadere, per es., perché il creditore diventa erede del debitore o viceversa; oppure perché il creditore
diventa cessionario dell’azienda del debitore ed il suo credito era relativo all’azienda ceduta. L’obbligazione si
estingue perciò per confusione
In caso di successione ereditaria, tuttavia, non si ha confusione se l’erede accetta col beneficio d’inventario
(art.490 c.c.).
L’estinzione per confusione comporta anche la liberazione dei terzi che abbiano prestato garanzia
LA NOVAZIONE
La novazione è un contratto con il quale i soggetti di un rapporto obbligatorio sostituiscono un nuovo rapporto a
quello originario.
Se la sostituzione riguarda il debitore, la novazione si dice soggettiva.
Se viene modificato l’oggetto o il titolo, la novazione si dice oggettiva
(dovevo denaro ed invece stabiliamo che darò grano).
Gli elementi che caratterizzano la novazione oggettiva sono due: uno oggettivo, consistente nella modificazione
dell’oggetto o del titolo; e uno soggettivo, la volontà di estinguere l’obbligazione precedente, che può risultare,
come ogni dichiarazione di volontà, anche tacitamente.
Se l’obbligazione originaria era inesistente o nulla, la novazione manca di causa e, perciò, è senza effetto. Può,
invece, novarsi un’obbligazione dipendente da titolo annullabile, se il debitore conosceva il vizio che produceva
l’annullabilità
LA REMISSIONE
La remissione è la rinunzia del credito.
Essa consiste in un negozio unilaterale recettizio, che produce effetto quando la dichiarazione è comunicata al
debitore, il quale, peraltro, può dichiarare di non volerne profittare.
Presunzione assoluta di remissione e la restituzione volontaria del titolo.
La remissione estingue oggettivamente il debito. Essa fa cadere le garanzie inerenti al credito e, se si tratta di
obbligazioni solidali, libera tutti gli altri debitori.
Dalla remissione si distingue il pactum de non petendo la remissione estingue il debito invece il pactum de non
petendo attiene alle modalità di esigibilità della prestazione ad es. il creditore si obbliga a non chiedere
l’adempiento prima di un dato tempo e conserva le garanzie agendo verso gli altri debitori solidali.
L’IMPOSSIBILITA’ SOPRAVVENUTA
L’impossibilità originaria impedisce il sorgere del rapporto obbligatorio mentre l’impossibilità sopravvenuta
estingue l’obbligazione liberando il debitore, se essa dipende da cause a lui non imputabili, ossia se la prestazione
è diventata impossibile senza colpa del debitore ovvero una situazione impeditiva non prevedibile e non
superabile e che non sia tale da non poter essere superata con lo sforzo diligente cui il debitore è tenuto: il
problema è se la situzione è ritenuta superabile o meno (es. è esigibile che l’appaltatore paghi il pizzo per
realizzare senza inconvenienti l’opera affidatagli o che il lavoratore si presenti nonostante il grave lutto che lo ha
colpito?)
L’effetto estintivo si verifica se l’impossibilità ha carattere definitivo.
Non costituiscono causa di impossibilità della prestazione fatti che si limitano a rendere difficile per il debitore
l’adempimento dell’obbligo. (es. sciopero delle banche o una maggior onerosità dell operazione stessa (es.
maggior oneri perché un interruzione della strada mi obbliga a trasportare le merci con un altro percorso
procurando un aggravio nei costi)
L’ impossibilità può essere:
Totale preclude integralmente il soddisfacimento dell interesse (es revoca del permesso di costruire)
Parziale preclude solo in parte il soddisfacimento dell interesse (es voglio costruire cinque piani ma il peresso è
per tre) il debitore dovrà effettuare la prestazione rimasta possibile (tre piani e negli altri due si avrà impossibilità
sopravvenuta)
Definitiva determinata da impedimento irreversibile (morte del cavallo) o imprevedibile (improvvisa revoca della
concessione all’appaltatore) esse estinguono automaticamente l’obbligazione
Temporanee determinata da un impedimento di natura transitoria (es sindrome influenzale che colpisce il
lavoratore dipendente) esse determinano l’estinzione solo se il debitore non può più essere ritenuto obbligato ad
eseguire la prestazione (cantante con calo di voce non è obbligato ad eseguire il concerto in altra data
modificando la sua tournee) o se il creditore non ha più interesse a farla eseguire (es canante scritturato per una
festa di paese il tal giorno) diversamente da questi casi l’impossibilta temporanea esonera il debitore dalla
responsabilità per il ritardo e la prestazione dovrà essere effettuata senza indugi una volta venuta meno la causa
impeditiva (es lavoratore che torna al lavoro dopo l’ influenza). Se la prestazione ha per oggetto una cosa
determinata e diviene impossibile per cause imputabili ad un terzo il creditore può esigere dal debitore quanto egli
abbia ottenuto a titolo di risarcimento per inadempimento.
L’INADEMPIMENTO E LA MORA
L’INADEMPIMENTO
Il debitore è tenuto ad eseguire esattamente la prestazione dovuta se non lo fa incorre nell’ inadempiento.Perché si
abbia inadepiento è necessario che sia già maturato il tempo dell’ inadempiento (es scaduto il termine in cui
l’appaltatore doveva consegnare l’immobile)
Talora può verificarsi inadempiento ancora prima che sia maturato il tempo dell inadempiento (es. il debitore non
ha svolto le attivita preparatorie necessarie per effettuare la prestazione es l’appaltatore non ha impiantato il
cantiere x l’avvio dei lavori) o non proceda secondo le condizioni stabilite ed a regola d’arte o quando si è certi
che il debitore non sarà in grado di eseguire la prestazione (es ha alienato il bene che doveva consegnarci) o
quando il debitore ha formalmente dichiarato che non è in grado o non intende adempiere.
L’inadempiento è totale se la prestazione è mancata interamente,invece si ha inadempimento parziale quando la
prestazione eseguita differisce quantitativamente o qualitativamente da quella dovuta. (es medico che esgue
correttamente l’intervento ma lascia una garza nell addome o fornitore che i consegna 100 quintali di grano invece
che 50).
Si ha inadempimento assoluto quando non soltanto la prestazione non è stata ancora adempiuta, ma ormai
l’adempimento non potrà più verificarsi (es fotografo che non si presenti il giorno delle nozze) . Si ha invece
inadempimento relativo quando il debitore non ha ancora eseguito la prestazione dovuta, ma l’adempimento,
sebbene in ritardo, può ancora verificarsi.(es debitore che non si presenta x versare una somma di denaro)
L’inadempiento che in questo caso è tardivo può sfociare in una definitiva risoluzione nel qual caso il creditore
non abbia più interesse a conseguirla.
L’inadempimento è imputabile al debitore, che ne risponde con l’obbligo di risarcire i danni che la mancata
esecuzione della prestazione provoca al creditore.
Il debitore può evitare la responsabilità che il mancato adempimento dell’obbligazione fa sorgere a suo carico
solo qualora sia in grado di dare la prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità
della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. (art.1218)
L’art 1218 c.c. non detta il criterio per individuare le cause di giustificazione ma rinvia ad una pluralità di criteri
variamente rintracciabili nell ordinamento il regime della responsabilità contrattuale varia perciò a seconda del
tipo di obbligazione presa in considerazione.
Inanzitutto il debitore risponde solo se egli non abbia impiegato diligenza perizia e prudenza
(es. l’obbligo del conduttore della cosa locata di servirsene x l’uso determinato nel contratto)
Ma qual’è il grado di diligenza concretamente richiesto nel singolo caso?
L’art. 1176 ci dice che il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia cioè da persona onesta
preparata e coscienziosa.
Ma la diligenza varia a seconda dell’attività dovuta, all’operatore professionale si richiede una diligenza superiore
a quella dell operatore occasionale .
Oppure a chi effettua la prestazione a titolo gratuito si richiede un impegno meno gravoso.
Vi sono dei casi in cui il debitore risponde anche se nessuna negligenza può essergli imputata (es il vettore
risponde anche se la merce è andata distrutta senza sua colpa ad es in un incidente stradale provocato da terzi) il
vettore si libera solo dimostrando il caso fortuito ovvero la sopravvenienza di una circostanza anomala estranea
alla sfera della sua attività di impresa (es attentato terroristico che distrugge il suo mezzo).
In alcuni casi il debitore risponde anche in assenza di colpa dei rischi tipici prevedibili e calcolabili conessi alla
sua attivita. (es. la responsabilità dell’albergatore del deterioramento, della distruzione o sottrazione delle cose
portate dal cliente in albergo).
Anche il debito di una somma di denaro risponde in assenza di una condotta colpevole (es crack della banca)
salvo che l’inadepienza sia determinata da sopravvenienze straordinarie e imprevedibili (es terremoto)
Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si vale dell'opera di terzi,
risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.
Il creditore che agisca in giudizio ha l’onere di fornire la prova del suo credito senza doverne fornire
dimostrazione il debitore dovrà dimostrare di aver esattamente eseguito la prestazione.
In caso di obbligazioni negative (es il lavoratore non sottosta all’obbligo di non svolgere attività concorrenziale) il
creditore ha l’onere di fornire la prova del suo diritto di credito e dell’ inadempiento dell obbligato.
In ogni caso grava sul debitore l’onere di fornire la prova di un eventuale causa di giustificazione atta ad
esonerarlo da responsabilità contrattuale.
Il risarcimento del danno
La conseguenza sanzionatoria principale dell’inadempimento del debitore è l’obbligo a suo carico, di risarcire il
danno arrecatogli a meno che egli non incorra in impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non
imputabile.
Se l’inadempimento è assoluto, la prestazione risarcitoria si sostituisce a quella originariamente dovuta (la quale
ormai non potrebbe più essere eseguita);
Se l’inadempimento è relativo la prestazione risarcitoraria si aggiunge a quella originariamente dovuta (che è già
stata eseguita,seppur in ritardo, o deve essere ancora eseguita). si verifica quando, pur essendo il debitore
inadempiente, la prestazione può ancora essere eseguita: in questo caso il debitore continua a essere tenuto alla
prestazione originariamente dovuta, ma a essa si aggiunge l'obbligo di risarcire il danno provocato dal ritardo.
Il risarcimento deve comprendere sia la perdita subita dal creditore che il mancato guadagno (es se mi danno una
partita avariata dovranno risarcirmi sia quanto ho speso per procurari la merce altrove sia il lucro che avrei tratto
dalla fornitura se corretamente eseguita)
La liquidazione del danno si dice convenzionale quando le parti si mettono d’accordo al riguardo; o giudiziale
quando il creditore è costretto a richiedere al giudice di stabilire l’importo dovutogli.
Peraltro è risarcibile soltanto il danno che sia conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento. (es se il
creditore cessa l’attività perché esasperato dall’inadempienza del debitore il risarcimento non è dovuto per questo
dato che questa è una sua libera scelta).
Inoltre, se l’inadempimento o il ritardo dipendono da colpa del debitore, ma non da dolo (ovvero dipendono non
da una libera scelta del debitore ma sono provocati da negligenza e imperizia) il risarcimento è circoscritto a
quello previsto questo per evitare che il debitore inadempiente non sia esposto a conseguenza più gravi di quelle
calcolate per il rischio di non riuscire ad adempiere.
In ogni caso il creditore ha l’onere di provare le singole voci di danno (es. se ha organizzato un concerto quanto è
costata la sala la pubblicità della serata ecc)
Il creditore può pattuire con il debitore una clausola penale in forza della quale le parti pattuiscono quanto il
debitore dovrà in caso di insolvenza.
Per il caso in cui il creditore offra prove sufficienti di avere certamente subito il danno, ma senza che riesca a dare
la prova del suo preciso ammontare, il giudice può provvedere alla liquidazione con valutazione equitativa.
Il debitore che non abbia puntualmente fatto fronte alle obbligazioni pecuniarie è tenuto automaticamente (e cioè
senza bisogno che il creditore provi di aver sofferto alcun danno) a pagare dal giorno della mora (in aggiunta al
capitale che avrebbe dovuto versare) gli interessi moratori che possono essere decisi ex ante.
Gli interessi sono dovuti (se non diversamente disposto) al tasso legale poiché la legge presuppone che il creditore
se avesse ricevuto tempestivaente la somma cui aveva diritto l’avrebbe impiegata in modo da trarne un utile non
inferiore alla misura degli interessi legali.
Ma se il creditore non si accontenta di pretendere gli interessi legali, ma sostiene di aver subito un danno
maggiore grava su di lui, l’onere di fornire le prove del supposto maggior danno di cui chiede il risarcimento. (es
dimostrare che se avesse avuto quella somma avrebbe concluso un affare vantaggioso che avrebbe assicurato un
lucro superiore).
Il legislatore ammette che per il lavoratore subordinato e per l’assegno al coniuge divorziato la somma spettante
venga rivalutata in conseguenza del deprezzamento del denaro negli altri casi il creditore deve dimostare che il
denaro sarebbe stato utilizzato in modo da evitare le cause negative dell’inflazione.
La liquidazione deve essere diminuita se a determinare il danno ha concorso il fatto colposo del creditore,
Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza
ovvero: se ad es. la mancata fornitura blocca il mio sabilimento devo procurarmi materiale altrove non posso
tenere chiuso e poi richiedere i danni per la chiusura
LA MORA DEBENDI
Il ritardo o “inadempimento relativo” va distinto dalla mora del debitore (cd. mora debendi).
Essa.si.ha.allorquando.sussistano.3.requisiti:
Il.ritardo.nell’adempimento;
L’imputabilità.di.detto.ritardo.al.debitore;
L’intimazione per iscritto da parte del creditore al debitore di adempiere seppure tardivamente.
La.mora.del.debitore.può.essere:
· ex re ovvero automatica quando non è necessario un atto di costituzione in mora che risulta superflua , essa
scatta automaticamente per il solo fatto del ritardo nei seguenti casi:
1. quando il debito deriva da fatto illecito extracontrattuale, in quanto la gravità della lesione causata al
diritto altrui ingenera automaticamente l'esigenza di una pronta riparazione;
2. Il.debitore.dichiara.per.iscritto.di.non.voler.adempiere;
3. quando è scaduto il termine, qualora si tratti di prestazione da eseguirsi al domicilio del creditore, come
normalmente accade nel caso di obbligazioni pecuniarie;
4. .l’obbligazione nasce a favore del subfornitore nei confronti del committente in forza del cd.
Contratto.di.subfornitura
5. l’obbligazione pecuniaria nasce a titolo di corrispettivo da una cd. transazione commerciale.
· ex persona quando il creditore richiede per iscritto l'adempimento mediante atto di costituzione in mora..
La costituzione in mora vale anche ad interrompere la prescrizione.
La mora debendi può essere considerata solo nelle obbligazioni positive (di fare, di dare). Se l’obbligazione ha
carattere negativo (di non facere), basta contravvenire all’obbligo assunto perché si verifichi un inadempimento
assoluto e non ha senso parlare perciò di ritardo o mora.
Il debitore non è responsabile del ritardo se gli è stato impossibile adempiere per una causa che non era in grado
di prevedere e prevenire. L’onere della prova di tale impossibilità grava sul debitore.
Il semplice ritardo ovvero quello che non dà luogo alla mora debendi non è improduttivo di conseguenze
giuridiche così a prescindere dalla mora il creditore può chiedere il risarcimento del danno la risoluzione per
inadempiento il pagamento della penale ecc
Gli effetti della mora debendi sono invece:
a) l’obbligo al pagamento degli interessi moratori
b) il passaggio del rischio. Se il debitore non è in mora, il rischio del imprevisto è a carico del creditore,
ovvero se la prestazione diventa impossibile per causa non imputabile al debitore l’obbligazione si estingue.
Quando invece il debitore è in mora il rischio passa a suo carico perciò l’impossibilità della prestazione derivante
da causa non imputabile al debitore non sussiste e quindi egli è tenuto al risarcimento del danno (se è in mora) a
meno che provi che l'oggetto della prestazione sarebbe ugualmente perito presso il creditore.
Differenza tra mora debendi e mora credendi
Mentre nella mora debendi il ritardo dipende dal comportamento del debitore, nella mora credendi esso dipende
dal comportamento del creditore.
Il primo degli effetti della mora credendi consiste nell’impedire che il ritardo nell’adempimento sia addebitato al
debitore e che quindi scattino a carico di quest’ultimo le conseguenze pregiudizievoli che deriverebbero dalla
mora debendi. In quanto è il creditore che rende ipossibile l’adempiento (anzi il debitore non deve più gli
interessi, né i frutti della cosa e può pretendere il risarcimento dei danni che il comportamento del creditore gli
abbia procurato, oltre il rimborso delle eventuali spese sostenute per la custodia e la conservazione della cosa
dovuta.)
Inoltre, quando il creditore è in mora, è a suo carico il rischio per l’ipotesi che la prestazione divenga impossibile
per causa non imputabile al debitore vale a dire che in tal caso non soltanto il debitore è liberato dell’obbligo, ma
il creditore, se il credito deriva da un contratto a prestazioni corrispettive, non può considerarsi a sua volta libero
dall’obbligo di eseguire la controprestazione, ma deve egualmente quest’ultima (es se il cantante si presenta x il
concerto dovrà essere pagato anche se l’organizzatore non ha predisposto il necessario per lo svolgimento della
serata).
Naturalmente la mora credendi non estingue di per sé l’obbligazione e neppure elimina o attenua la responsabilità
del debitore, se questi una volta cessata la mora del creditore rende impossibile la prestazione per colpa sua, non
provvedendo ad adempiere
LA RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE DEL DEBITORE
Se il debitore non adempie la prestazione dovuta, tutti i suoi beni, sia quelli che aveva al momento
in cui sorse l’obbligazione, sia quelli che egli ha successivamente acquistato, possono essere
espropriati dal creditore in forza di un accertamento giudiziale (cioè vende i beni del debitore per
soddisfarsi sul danaro ricavato) anche se il denaro non costituiva oggetto della prestazione
originariamente dovuta ma magari merci, il debitore deve essere titolare dei beni e il creditore
deve riuscire ad individuarli al fine di sottoporli a pignoramento.
Si suol dire che tutto il patrimonio del debitore costituisce la garanzia generica del creditore.
Se vi sono più creditori, tutti hanno uguale diritto di soddisfarsi con il ricavato della vendita dei
beni del debitore in proporzione al dovuto se un creditore deve avere 100 l’altro 50 e il debitore ha
135 uno prende 90 l’altro 45 ovvero ogni creditore perde il 10%.
Tuttavia, ad alcuni creditori la legge assicura il soddisfacimento in maniera preferenziale ovvero
una prelazione (es il primo avrebbe ottenuto100 l’altro 35)
Le cause legittime di prelazione, sono i privilegi, il pegno e l’ipoteca. Se la cosa soggetta a
pegno, ipoteca o a privilegio perisce o è deteriorata, il creditore perde la possibilità di esercitare il
diritto di prelazione. Tuttavia, se il debitore si era assicurato contro i danni, si verifica la c.d.
surrogazione reale ovvero l’assicurazione non paga all’assicurato ma ai creditorrei privilegiati.
Il privilegio
Il privilegio è una tra le cause di prelazione che costituisce garanzia patrimoniale su determinati
beni del debitore in relazione alla causa del credito. I privilegi non sono pattuiti dalle parti come
nel caso del pegno o dell’ipoteca, ma sono tipizzati dalla legge stessa la quale attribuisce tale
prelazione a determinati tipi di crediti che appaiono degni di una maggiore tutela in via generale e
astratta
Alcuni creditori sono preferiti nella distribuzione di quanto venga ricavato dalla vendita forzata dei
beni del debitore, al contrario dei creditori chirografari, ovvero non assistiti cioè da cause di
prelazione. Tra i crediti privilegiati l’ordine di preferenza è stabilito dalla legge che accorda
maggior protezione ai crediti derivanti da rapporti di lavoro ed assimilati.
Il privilegio è generale (su tutti i beni mobili del debitore) o speciale (su determinati beni mobili e
immobili)
Il privilegio generale non attribuisce il diritto di sequela (diritto di sottoporre il bene ad
un'esecuzione forzata, anche se divenuto di proprietà di un terzo)
Il privilegio speciale costituisce un diritto reale di garanzia perciò chi acquista la cosa dopo che è
già sorto il privilegio deve subirla.
Tuttavia, in alcuni casi l’esistenza del privilegio è fatta dipendere dalla condizione che la cosa si
trovi in un determinato luogo
Il pegno è preferito al privilegio speciale sui mobili,
Il privilegio speciale sugli immobili è preferito all’ipoteca
I DIRITTI REALI DI GARANZIA
(PEGNO ED IPOTECA)
Oltre i privilegi, sono cause legittime di prelazione anche il pegno e l’ipoteca.
Tali istituti hanno un tratto caratteristico comune: sono diritti reali ovvero attribuiscono al creditore,
relativamente ai beni su cui sono stati costituiti, il c.d. diritto di sequela: cioè il potere di esercitare la
garanzia, espropriando il bene e soddisfacendosi sul prezzo ricavato dalla vendita, anche se la loro
proprietà sia passata ad altri.
Appartengono alla categoria dei diritti reali su cosa altrui, ma si distinguono da essi in quanto finiscono
con il limitare il potere di disposizione del proprietario, in quanto l’eventuale acquirente deve tener
conto del debito che il bene garantisce a favore del creditore.
Pegno ed ipoteca non hanno mai carattere generale, ma concernono sempre beni determinati
La differenza tra pegno ed ipoteca e privilegio speciale consiste:
a) I privilegi sono stati stabiliti dalla legge per la causa del credito, e quindi il credito è privilegiato
o meno fin dal momento della nascita.
b) Il pegno e l’ipoteca richiedono un proprio titolo costitutivo; quindi soggette alla volontà privata.
Ciò spiega come, mentre il privilegio cade sempre su un bene del debitore, pegno ed ipoteca possono
essere concessi anche da un terzo (c.d. terzo datore di pegno o di ipoteca). Egli garantisce il debito di un
terzo, ma solo con il bene su cui è costituito il pegno o l’ipoteca.
Pegno ed ipoteca danno luogo a rapporti accessori, nel senso che presuppongono un credito (anche
futuro od eventuale o condizionato) di cui garantiscono l’adempimento: perciò ne seguono la sorte e si
estinguono con l’estinguersi di esso.
Essi sono funzionali ad assicurare al creditore il soddisfacimento del proprio credito: dunque, qualora la
cosa data in pegno o sottoposta ad ipoteca perisca o si deteriori, il creditore sia pignoratizio che
ipotecario, può chiedere che gli sia prestata altra idonea garanzia e, in mancanza, può esigere
l’immediato pagamento del debito (regola della decadenza del termine).
Il pegno e l’ipoteca attribuiscono al creditore:
a) La facoltà di far espropriare la cosa, se il debitore non paga.
b) La preferenza rispetto agli altri creditori in ordine alla distribuzione di quanto venga ricavato
dalla vendita forzata del bene oggetto della garanzia.
c) Il diritto di sequela, ossia il diritto di sottoporre il bene ad esecuzione forzata, anche se divenuto
di proprietà di terzi.
Il legislatore vuole tutelare il debitore contro il rischio che, confidando di poter riuscire a pagare il
debito, lo stesso accetti di pattuire ex ante, per il caso di mancato adempimento, l’automatico
trasferimento in favore del creditore della proprietà del bene concesso in garanzia. Ha perciò sancito la
nullità di un simile patto (c.d. patto commissorio).
Il legislatore vuole che la cosa ipotecata o costituita in pegno, se il debitore non paga, sia venduta agli
incanti e sul ricavato il creditore si soddisfi nel limite del suo credito: la gara tra gli aspiranti varrà a
garantire l’interesse del debitore a che il prezzo sia il più elevato possibile, in modo che possano
eventualmente essere soddisfatti pure altri creditori.
Differenze tra Pegno ed ipoteca
La differenza sta innanzitutto nella diversità dell’oggetto: il pegno ha per oggetto beni mobili (non
registrati), universalità di beni mobili e crediti, l’ipoteca ha invece per oggetto beni immobili, taluni
diritti reali immobiliari (usufrutto, superficie, enfiteusi), beni mobili registrati e rendite dello Stato.
In più con il pegno si trasferisce materialmente il bene al creditore, sottraendone il godimento al
proprietario; l'ipoteca, invece, ha per oggetto beni immobili, diritti reali immobiliari o beni mobili
registrati e, a differenza del pegno, il bene oggetto di ipoteca rimane in godimento del proprietario,
A questo bisogna aggiungere che il pegno si costituisce per contratto (che deve risultare per atto scritto,
tra debitore e creditore o terzo) e si perfezione con la consegna della cosa; mentre l'ipoteca per la sua
costituzione richiede una specifica formalità: ovvero l'iscrizione in pubblici registri.
IL PEGNO
Esso è un diritto reale su beni mobili (non registrati) del debitore o di un terzo, che il creditore può
acquistare mediante un apposito accordo con il proprietario a garanzia del suo credito.
Possono essere concessi in pegno anche crediti, universalità di beni mobili e altri diritti reali mobiliari.
È vietato il suppegno: ossia il pegno che abbia per oggetto un altro diritto di pegno dal momento che il creditore
pignoratizio non può né usare la cosa, né disporne, concedendone ad altri il godimento o dandola a sua volta in
pegno.
Il pegno attribuisce al creditore una prelazione: egli ha diritto di soddisfarsi con priorità, rispetto agli altri
creditori, sul ricavato della vendita coatta del bene costituito in pegno; e ciò perfino se nel frattempo la cosa sia
stata trasferita in proprietà di terzi (diritto di sequela)
Scaduta l’obbligazione, se il debitore non adempie spontaneamente, il creditore per consentire quanto gli è
dovuto, può far vendere coattivamente la cosa ricevuta in pegno previa intimazione al debitore di pagare il debito
e gli accessori. La vendita può essere effettuata, alternativamente, o ai pubblici incanti o, se la cosa ha un prezzo
di mercato, anche a prezzo corrente, a mezzo di privati autorizzati (agenti di scambio, mediatori, ecc.). il creditore
può anche domandare al giudice che la cosa gli venga assegnata in pagamento fino alla concorrenza del suo
credito, al valore stimato da un perito o secondo il prezzo corrente se la cosa ha un prezzo corrente di mercato.
Un diritto di pegno (regolare) deve essere costituito mediante apposito accordo contrattuale, in quanto deve essere
reso opponibile ai terzi (in quanto l’effetto principale è una prelazione rispetto agli altri eventuali creditori) per
questo è necessario:
a) Che il contratto costitutivo del pegno risulti da atto scritto
b) Che la scrittura abbia data certa
c) Che nella scrittura risultino specificatamente indicati sia il credito garantito ed il suo ammontare, sia il
bene costituito in pegno.
Infine, per la costituzione del pegno occorre lo spossessamento del debitore (o del terzo costituente), nel senso che
la cosa oggetto del pegno deve essere consegnata al creditore, o ad un terzo di comune fiducia. Può anche essere
mantenuta in custodia di entrambe le parti, ma a condizione che il costituente sia nell’impossibilità di disporne
senza la cooperazione del creditore.
Solo con queste condizioni il crditore acquisisce il diritto di essere preferito agli altri creditori nella distribuzione
del ricavato dell’eventuale vendita coattiva del bene costituito in pegno.
Per il pegno su un credito occorrono, ai fini della prelazione, l’atto scritto e la notifica al debitore della
costituzione del pegno ovvero l’accettazione da parte di quest’ultimo con un atto di data certa. Si applica cioè la
stessa regola che disciplina l’efficacia della cessione del credito rispetto ai terzi ciò è giustificato dalla
considerazione che la preferenza deve esercitarsi appunto in relazione agli altri creditori che, essendo estranei al
rapporto di pegno, debbono considerarsi terzi.
a) Il creditore, se la cosa data in pegno non è affidata alla custodia di un terzo, ha diritto di trattenerla, ma
per controverso, ha l’obbligo di custodirla se perde il possesso può esercitare l’azione di spoglio e anche
l’azione petitoria di rivendicazione, se questa spetta al costituente
b) il pegno non può attribuire poteri che vanno al di là della funzione di garanzia: perciò il creditore non
può usare o disporre della cosa; se viola questo divieto, il costituente può ottenere il sequestro della cosa
stessa. Peraltro il creditore può fare suoi i frutti della cosa.
Egli deve restituire la cosa quando il debito è stato interamente pagato
c) Il creditore, per il conseguimento di quanto gli è dovuto può chiedere che il bene sia venduto ai pubblici
incanti, previa intimazione al debitore, e può anche domandare al giudice che la cosa gli venga assegnata
in pagamento, fino alla concorrenza del debito, secondo la stima del bene stesso.
È in questa fase che si realizza il più importante degli effetti dell’istituto, il diritto di soddisfarsi con prelazione
rispetto agli altri creditori sul prezzo ricavato dall’espropriazione.
Pegno irregolare.
Talora a garanzia del soddisfacimento di un credito vengono consegnate al potenziale creditore cose fungibili
(solitamente una somma di denaro o titoli di credito). Il creditore ne acquista la disponibilità e diviene debitore
della somma: si parla, in tal caso, di cauzione (o deposito cauzionale). Se sorge il credito, il creditore lo
compensa, in tutto o in parte, con il debito che ha verso chi ha prestato la cauzione. (es cauzione di chi paga
l’affitto).Nell’ipotesi esaminata si è evidentemente fuori dalla figura del pegno, che dà luogo ad un diritto reale su
cosa determinata della quale il creditore può disporre. Invece nell’ipotesi in esame passa al creditore la proprietà
della quantità di cose fungibili ricevuta, con l’obbligo di restituirne il tantundem.
L’istituto assume il nome di pegno irregolare.
L’IPOTECA
È un diritto reale di garanzia, che attribuisce al creditore il potere di espropriare il bene sul quale l’ipoteca è
costituita e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall’espropriazione. Attribuisce al titolare di
essa il diritto di sequela. Presenta in comune con il pegno i seguenti ulteriori caratteri:
a) Specialità, in quanto non può cadere se non su beni determinati: non sono ammesse ipoteche generali.
Inoltre è necessaria la determinazione della somma per cui è concessa ipoteca: essa permette ai terzi di
conoscere l’entità del vincolo che esiste sul bene; e consente al debitore di ottenere nuovi prestiti se il
valore della cosa è sufficiente a garantirli
b) Indivisibilità: in quanto l’ipoteca grava per intero sopra tutti i beni vincolati, sopra ciascuno di essi e
sopra ogni loro parte; il che significa che se a garanzia di un credito sono ipotecati piu beni il creditore
può far espropriare uno qualsiasi di essi e soddisfarvi l’intero credito l’ipoteca garantisce il credito fino a
quando non è estinto anche se il debitore ne solvisca una parte.
Oggetto dell’ipoteca sono Immobili, mobili registrati e le rendite dello Stato ma anche usufrutto su beni immobili,
diritto di superficie, nuda proprietà, il diritto dell’enfiteuta e quello del concedente sul fondo enfiteutico. Non le
servitù, che non possono formare oggetto di espropriazione separatamente dal fondo dominante, né i diritti d’uso
e di abitazione, di cui non è ammessa la circolazione.
Se il diritto reale di godimento si estingue se si tratta di ipoteca costituita sull’usufrutto, la garanzia si estingue
con il cessare dell’usufrutto stesso; se di ipoteca costituita sulla nuda proprietà l’estinzione dell’usufrutto
determina, per il principio dell’elasticità del dominio (consolidazione), l’acquisto della proprietà piena a favore di
chi ha concesso l’ipoteca e conseguentemente l’ipoteca si estende alla proprietà piena. Un’altra vicenda che può
subire l’ipoteca è la riduzione, che ha luogo quando il valore del bene risulta eccessivo rispetto al credito
garantito. Anche la quota di un bene indiviso può formare oggetto di ipoteca. Poiché la cosa accessoria segue il
destino della cosa principale l’ipoteca si estende ai miglioramenti, alle costruzioni e alle altre accessioni
dell’immobile ipotecato.
Proprio per la gravità del vincolo che ne discende, carattere essenziale dell’ipoteca è la sua pubblicità: non
esistono ipoteche occulte.chiunque deve sapere se un bene è ipotecato se è convieniente acquistarlo. La
pubblicità dell’ipoteca ha carattere costitutivo: il diritto d’ipoteca si costituisce mediante iscrizione nei pubblici
registri immobiliari. Questa è essenziale per il sorgere dell’ipoteca:
L’ordine di preferenza tra le varie ipoteche relativamente al medesimo bene è determinato non già dalla data del
titolo, ma da quella dell’iscrizione. L’ipoteca prende grado dal momento della sua iscrizione.
Ogni iscrizione riceve un numero d’ordine esso rappresenta il grado dell’ipoteca.
E importante perché può darsi che due o più persone si presentino contemporaneamente a chiedere l’iscrizione
contro la stessa persona e sul medesimo immobile: le iscrizioni sono eseguite sotto lo stesso numero e i creditori
concorrono tra loro in proporzione dell’importo dei rispettivi crediti.
Non è vietato lo scambio del grado tra creditori ipotecari, purchè esso non leda i creditori aventi gradi successivi.
Pubblicità costitutiva significa sì, che senza la pubblicità l’ipoteca non nasce, ma non vuole affatto dire che la
pubblicità valga a sanare i vizi da cui sia eventualmente affetto l’atto di concessione d’ipoteca
Se il negozio è annullabile o nullo lo è anche l’iscrizione
La pubblicità ipotecaria si attua mediante:
a) Iscrizione
b) Annotazione
c) Rinnovazione
d) Cancellazione
L’iscrizione è l’atto con il quale l’ipoteca prende vita. Si esegue presso l’Ufficio dell’Agenzia del Territorio del
luogo in cui si trova l’immobile. Se il negozio che concede l’ipoteca risulta da scrittura privata, questa deve essere
autenticata o accertata giudizialmente.
L’iscrizione dell’ipoteca a garanzia di un determinato credito fa collocare nello stesso grado, oltre il credito
principale, i seguenti crediti accessori:
a) Le spese dell’atto di costituzione d’ipoteca, quelle di iscrizione e rinnovazione
b) Le spese ordinarie occorrenti per l’intervento nel processo di esecuzione
c) Gli interessi, purchè ne sia enunciata la misura.
L’annotazione serve a rendere pubblico il trasferimento dell’ipoteca a favore di altra persona.Anche
l’annotazione ha efficacia costitutiva: la trasmissione dell’ipoteca non ha effetto finchè l’annotazione non sia
eseguita. Resa pubblica l’annotazione, la cancellazione dell’ipoteca non si può eseguire senza il consenso dei
titolari dei diritti indicati nell’annotazione.
La rinnovazione.L’iscrizione dell’ipoteca conserva il suo effetto per 20 anni dalla sua data. La rinnovazione
serve appunto ad evitare che si verifichi l’estinzione dell’iscrizione: essa deve eseguirsi precedentemente
all’estinzione ventennale, pena una necessaria nuova iscrizione e la perdita del grado.
Chi ha lasciato trascorrere il ventennio corre anche il rischio che se il bene è acquistato da un terzo il quale ha
trascritto il suo titolo, non si potrà effettuare una nuova iscrizione né a carico del terzo acquirente (estraneo a
l’ipoteca né a carico del suo dante causa. (che non ha più diritti sul bene).
La cancellazione estingue l’ipoteca e vi si ricorre, di regola, quando il credito è estinto.
Essa può:
a) Essere consentita dal creditore, nel qual caso l’atto di consenso alla cancellazione deve provenire da
persona capace e rivestire le stesse forme richieste per il negozio di concessione dell’ipoteca.
b) Essere ordinata dal giudice: in questo caso peraltro la cancellazione non può essere effettuata se la
sentenza non è passata in giudicato.
L’ipoteca può essere iscritta in forza:
a) Di una norma di legge (ipoteca legale)
b) Di una sentenza (ipoteca giudiziale)
c) Di un atto di volontà del debitore (ipoteca volontaria) o di un terzo che la costituisce a garanzia altrui.
L’ipoteca legale attribuisce a determinati creditori, in vista della causa del credito meritevole di particolare
protezione, il diritto di ottenere unilateralmente l’iscrizione dell’ipoteca (quindi anche senza o contro la volontà
del debitore) sui beni del debitore medesimo.
Anche in questo caso l’ipoteca non nasce se non è iscritta.
L’ipoteca legale spetta
1) All’alienante (sopra gli immobili alienati) a garanzia dell’adempimento degli obblighi derivanti a
carico dell’acquirente, dall’atto di alienazione (es.: per il pagamento del prezzo)
2) Ai coeredi, ai soci e agli altri condividenti a garanzia del pagamento dei conguagli dovuti
dall’assegnatario in forza dell’atto di divisione: cioè a garanzia del pagamento delle somme dovute da
chi nella divisione ha ricevuto un bene il cui valore è maggiore della quota spettantegli, per compensare
l’altro o gli altri condividenti
L’ipoteca giudiziale: Il legislatore concede al creditore di chiedere unilateralmente l’iscrizione di un’ipoteca a
carico di beni del debitore ed a garanzia del suo credito, quand’anche già scaduto ed esigibile, quando ottenga una
sentenza, anche se non ancora passata in giudicato, ed anche se non ancora esecutiva, che condanni il debitore a
pagargli una somma di denaro, ovvero all’adempimento di altra obbligazione, ovvero al risarcimento di danni da
liquidarsi successivamente.
Il creditore ha diritto all’iscrizione di ipoteca giudiziale anche se la condanna del debitore al pagamento di una
somma di denaro risulti da un provvedimento giudiziale diverso da una sentenza, (es decreto ingiuntivo ovvero da
un lodo arbitrale o da una sentenza straniera.
L’ipoteca volontaria può essere iscritta in base a contratto o anche a dichiarazione unilaterale di volontà del
concedente.
Si esclude il testamento, per non dar modo al debitore di alterare la situazione dei suoi creditori con riferimento
all’epoca in cui cesserà di vivere: la legge infatti tende a garantire dopo l’apertura della successione la par
condicio dei creditori del defunto.
È richiesta la forma scritta ad substantiam.
Nell’atto devono essere contenute le indicazioni idonee ad individuare l’immobile su cui si concede ipoteca.
Legittimato alla concessione è il proprietario del bene.
L’ipoteca su cosa altrui ha efficacia obbligatoria: chi l’ha concessa è tenuto a procurare al creditore l’acquisto del
diritto di ipoteca; e cioè ad acquistare la cosa su cui ha fatto gravare ipoteca prima di acquistarla definitivamente:
L’iscrizione in ogni caso può essere validamente effettuata solo quando il bene è entrato nel patrimonio del
costituente.
Analogo regime si applica in relazione all’ipoteca su cosa futura: anche qui l’ipoteca può essere validamente
iscritta soltanto quando la cosa sia venuta ad esistenza. Prima di quel momento il negozio ha soltanto efficacia
obbligatoria: il concedente ha l’obbligo di fare in modo che la cosa venga ad esistenza, perché l’ipoteca vi possa
essere iscritta.
Come abbiamo visto l’ipoteca ha efficacia anche nei confronti di chi acquista l’immobile dopo l’iscrizione (cd
terzo acquirente del bene ipotecato.)
Costui (Il terzo non è obbligato personalmente con tutti i suoi beni verso i creditori che abbiano iscritto ipoteca
sull’immobile acquistato) questi ultimi possono soltanto fare espropriare il bene ipotecato, anche dopo il
trasferimento.
Il terzo è esposto all’espropriazione del bene soltanto per averlo acquistato gravato da ipoteca. Perciò la legge lo
ritiene meritevole di considerazione, senza peraltro sacrificare i diritti del creditore. Infatti l’acquirente del bene
ipotecato può evitare l’espropriazione esercitando a sua scelta una delle seguenti facoltà:
a) Pagare i crediti a garanzia dei quali è iscritta l’ipoteca
b) Rilasciare i beni ipotecati in modo che l’espropriazione non avvenga contro di lui, ma contro
l’amministratore dei beni stessi che sarà nominato dal tribunale
c) Liberare l’immobile dalle ipoteche mediante lo speciale procedimento di purgazione delle ipoteche, nel
quale egli offrirà ai creditori il prezzo stipulato per l’acquisto o il valore da lui stesso dichiarato, se si
tratta di beni pervenutigli a titolo gratuito
Il terzo datore di ipoteca non può avvalersi delle facoltà che la legge concede al terzo acquirente, appunto per la
sua posizione di persona estranea alla costituzione dell’ipoteca.
Egli non può neppure opporre, se non si è convenuto diversamente, il beneficium excussionis: non può cioè dire
al creditore di fare espropriare prima i beni del debitore e poi quelli ipotecati.
Se paga i crediti iscritti o subisce l’espropriazione, può rivolgersi contro il debitore per farsi rimborsare (diritto di
regresso).
L'ipoteca si estingue con la sua cancellazione dal registro.
Anche per la cancellazione occorre un titolo:
•
•
•
•
•
l'estinzione dell'obbligazione garantita,
la rinuncia espressa e redatta per iscritto del creditore all'ipoteca,
la vendita forzata della cosa ipotecata
il perimento della cosa
lo spirare del termine ventennale senza rinnovazione
Il conservatore dei registri non può procedere d'ufficio alla cancellazione.
I MEZZI DI CONSERVAZIONE DELLA GARANZIA PATRIMONIALE
Come sappiamo, il patrimonio del debitore costituisce per il creditore la garanzia generica del
soddisfacimento delle obbligazioni gravanti sul debitore medesio
Per impedire che il patrimonio del debitore possa per negligenza o dolo subire diminuzioni che incidano
sulla garanzia anzidetta, la legge riconosce al creditore taluni rimedi, volti ad assicurare la
conservazione di tale garanzia: si tratta dell’azione surrogatoria dell’azione revocatoria e del
sequestro conservativo
L’AZIONE SURROGATORIA
In linea di principio i creditori non hanno diritto di sindacare sul modo in cui i debitori amministrano il
loro patrimonio però qualora il debitore dovesse compiere atti che diminuiscono il suo patrimonio (es.
non riscuotendo crediti o impedendo il maturarsi di un usucapione) arrecando con tale inerzia un
pregiudizio a carico del patrimonio ed una più rischiosa meno agevole e onerosa realizzazione dei diritti
dei creditori la legge consente a ciscuno di essi di surrogarsi al debitore inattivo per esercitare i diritti e
le azioni che gli spettano.
Percio perché si possa esperire un’azione surrogatoria, non basta l’inerzia del debitore, ma occorre che
da questa inerzia derivi un pregiudizio per le ragioni dei creditori, pregiudizio consistente nel rendere
insufficiente la garanzia generica dei creditori, costituita dal patrimonio del debitore.
L’azione anche se esercitata da un singolo creditore che agisce in surrogatoria manifesta i suoi effetti a
tutti i creditori del debitore: il creditore puo compiere gli atti che avrebbe compiuto quest ultimo
(riscuotre un credito, citare in giudizio un terzo nb in questo caso al procedimento deve partecipare
anche il debitore) ovvero il creditore evoca in giudizio il terzo e il debitore.
I benefici rimangono nel patrimonio del debitore e il creditore se ne avvantaggia soltanto nel senso di
conservare e migliorare le garanzie del suo credito.
La surroga dei crediti deve avere contenuto patrimoniale: Solo i diritti patrimoniali concorrono a
formare la garanzia generica del creditore. Anche perchè egli non ha interesse ad esercitare diritti di
natura diversa (es promuovere il disconoscimento della paternità) e anche se ne avesse un vantaggio (es
se disconosco la paternità non devo più versare gli alimenti) non sarebbe comunque consentita l’azione
surrogatoria in quanto l’esercizio dei diritti personali è rimesso esclusivamente al titolare dei medesimi
Legittimato ad agire è il creditore anche a termine o sotto condizione.
L’AZIONE REVOCATORIA
È un mezzo legale di conservazione della garanzia patrimoniale, il quale consiste nel potere del
creditore (revocante) di agire in giudizio per far dichiarare inefficace, nei suoi confronti, gli atti di
disposizione patrimoniale coi quali il debitore arrechi pregiudizio alle sue ragioni.
Oltre che con l’inerzia il debitore puo peggiorare la situazione dei suoi creditori anche ponendo in essere
atti che rendano piu difficile il soddisfacimento dei diritti di questi ultimi.
Naturalmente non si può impedire al debitore di compiere atti che modificano la consistenza del suo
patrimonio (es acquistare un quadro stipulare un appalto per lavori di manutenzione di un edificio)
specie se rientrano nella sua normale attività ma se il debitore dovesse compiere atti che modificano dal
punto di vista quantitativo (es dona un appartamento, vende un terreno ad un prezzo inferiore di quello
di mercato) o anche qualitativo (scambia il suo appartamento per un altro di pari valore vende un
immobile a prezzo di mercato la consistenza del suo patrimonio) fino a rendere incerta o quanto meno
difficoltosa la realizzazione coattiva del diritto di credito
Al creditore è concessa l’azione revocatoria
Per l’esperimento dell’azione revocatoria si richiedono i seguenti presupposti:
1) un atto di disposizione con il quale il debitore modifica la sua situazione patrimoniale, o
trasferendo ad altri un diritto che gli appartiene, o assumendo un obbligo nuovo verso terzi, o
costituendo diritti (pegno, ipoteca, servitù) a favore di altri su suoi beni;
2) un pregiudizio per il creditore, consistente nel fatto che il patrimonio del debitore come
conseguenza dell atto di disposizione divenga insufficiente a soddisfare tutti i creditori; (anche con la
vendita a prezzo di mercato il debitore peggiora la sua situazione perché il denaro ottenuto dalla vendita
può facilmente essere occultato e sfuggire alle azioni creditorie non costituisce pregiudizio invece
saldare un altro debito poichè questo gia incideva sul patrimonio del debitore)
3) la conoscenza del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni del creditore. (ovvero porre a
conoscenza il debitore fatto che spetta in ogni caso a chi agisce in revocatoria)
Non occorre la specifica intenzione di nuocere da parte del debitore, ma basta che si abbia la
consapevolezza che a seguito dell atto dispositivo il patrimonio del debitore divenga incapiente con il
rischio di divenire insolvente o di rendere più difficile ed incerta l’esecuzione creditizia a causa dell’atto
posto in essere.
Se l’atto di disposizione è a titolo gratutito è sufficiente che si ponga a conoscenza dell’azione
revocatoria il debitore se è a titolo oneroso occorre per la proponibilità dell’azione che il terzo sia
consapevole del pregiudizio che l’atto arrechi al creditore:
L’azione revocatoria non elimina l’atto impugnato benchè venga dichiarato revocato
Essa non ha effetto restitutorio: il bene non ritorna nel patrimonio del debitore.
Inefficacia non significa nullità: l’atto è valido verso chiunque, tranne che verso il creditore agente, che
può far valere il suo diritto e far valere le sue ragioni , ad esempio, espropriando il bene in questione.
L’inefficacia dell’atto giova solo al creditore che abbia agito, eliminando il pregiudizio che si era creato
ai suoi danni: di essa non potrebbe avvalersi né il debitore (che volesse svincolarsi dall atto) né gli altri
creditori (non possono farsi valere sul bene oggetto di revocatoria) , né il terzo.(se volesse svincolarsi in
quanto l’oggetto di revocatoria non è piu di suo interesse)
Nel caso in cui, chi ha acquistato dal debitore ha disposto a sua volta del bene oggetto del negozio
fraudolento a favore di terzi (subacquirenti), la legge non accorda alcuna protezione all’acquisto a titolo
gratuito, perché ritiene più giusto evitare il pregiudizio al creditore. Se invece, l’acquisto è a titolo
oneroso, e in buona fede allora creditore e terzo si trovano alla pari
La prescrizione è di cinque anni
IL SEQUESTRO CONSERVATIVO
Il sequestro conservativo è una misura preventiva e cautelare, che il creditore può chiedere al giudice,
quando ha fondato timore di perdere le garanzie del proprio credito (es. xchè ritiene che il debitore stia
vendendo un immobile che è l’unico cespite di valore del suo patrimonio)
Il giudice autorizza il sequestro conseravativo se:
a) si hanno elementi che consentano di ritenere fondato il diritto di credito cui la parte si ritiene titolare
b) il rischio che nel lasso di tempo in cui il creditore può ottenere il provvedimento il debitore depauperi
il suo patrimonio
Il sequestro ha per scopo di impedire la disposizione del bene da parte del debitore che viene colpito con
sanzioni penali, se sottrae o danneggia i beni sequestrati.
La disciplina del sequestro conservativo appartiene al diritto processuale
Il diritto di ritenzione
Il diritto di ritenzione è il diritto di rifiutare la consegna di una cosa di proprietà del debitore, fin quando
il debitore non adempia all’obbligazione, connessa con la cosa.
Il diritto di ritenzione è un forma di autotutela e sappiamo che l’ordinamento giuridico non permette di
farsi giustizia da se quindi è consentito soltanto nei casi espressamente previsti.
Conseguentemente le disposizioni che prevedono il diritto di detenzione non sono suscettibili di
applicazione per analogia.
I CONTRATTI IN GENERALE
IL CONTRATTO
Il contratto è la figura più importante del negozio giuridico
Art.1321 c.c. il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un
rapporto giuridico patrimoniale.
Quindi essenza del contratto è l’accordo ovvero incontro della volontà di due soggetti volta a produrre effetti
giuridici questi effetti giuridici riguardano sia diritti reali (acquisto di una proprietà) che rapporti obbligatori
(contratto di lavoro subordinato).
Attraverso il contratto i privati operano sul mercato scambiando beni e servizi (acquistano case locano immobili
ricevono donazioni ecc.)
Il contratto è il fondamentale strumento di esplicazione della liberta o meglio dell’autonomia dei privati
(autonomia ovvero condotta delle parti che dettano una regola che compiono in un atto di disciplina nei reciproci
rapporti giuridici) quindi il contratto è espressione della liberta dei singoli nella gestione dei loro interessi
(assumendo obbligazioni acquistando diritti reali divenendo creditori vs terzi ecc)
Il contratto è tale se produce effetti rilevanti per l’ordinamento giuridico (ovvero se viola norme o difetta di un
requisito di forma per esempio è verbale quando doveva essere per iscritto è nullo e non produce effetto.)
Non parliamo di contratti neanche se una cerchia di amici decide di passare una serata insieme dal momento che
questa intesa non produce alcun effetto obbligatorio ovvero non è rilevante per l’ordinamento giuridico si tratta di
un accordo giuridicamente irrilevante e non di un contratto.
Il contratto non è un semplice atto (come ad esempio l’atto illecito) bensì è un negozio ossia una manifestazione
di volontà e in più essendo un accordo il contratto non può nascere dalla volontà di un solo soggetto ed esiste in
quanto due o più parti concordino nel volere la produzione di effetti giuridici (la vendita esige che il venditore
voglia trasferire la proprietà a fronte del prezzo e che il compratore voglia acquistare impegnandosi a pagarne il
prezzo)
L’ordinamento conosce una pluralità di altre ipotesi di accordi che non sono quantificabili come contratti ad es. il
matrimonio non è un contratto (quantomeno perche privo di contenuto patrimoniale) o la separazione tra coniugi
che avviene in forza di un consenso e non di un contratto o ancora i genitori separati raggiungono accordi nella
regolazione del rapporto con i figli e non contratti
Anche quando si occupa di profili patrimoniali il codice per quel che concerne il diritto familiare preferisce
utilizzare il termine convenzione e non contratto (es. convenzione sul assetto dei rapporti economici tra coniugi)
l’espressione convenzione viene utilizzata anche in altri contesti si pensi alle convenzioni internazionali.
Altre volte la legge utilizza il termine patto di solito per alludere ad un accordo parziale o accessorio rispetto ad
uno più ampio (es. il patto di non concorrenza nel lavoro subordinato ovvero il patto con il quale si limita lo
svolgimento dell`attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo stabilito alla cessazione del contratto, o
il patto leolino ovvero è` nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o
alle perdite.)
Altre volte ancora la legge utilizza il termine assenso per esprimere una situazione di convergenza delle volontà
in una struttura negoziale a carattere unilaterale [(es. voglio riconoscere il figlio nato fuori dal matrimonio se lui
ha più di sedici anni occorre il suo assenso la legge intende cosi che l’atto non è bilaterale in quanto il
riconoscimento rimane atto unilaterale anche se l’efficacia di tale atto e subordinata alla volontà di un altro
soggetto (il figlio che vuole essere riconosciuto)]
Molto importante è non confondere il contratto che è l’ accordo tra le parti con il contratto nel senso del
documento contrattuale [(la carta ove il contratto è scritto (un contratto può essere concluso anche verbalmente
qui sta la differenza)] e con il rapporto contrattuale che attiene agli effetti giuridici prodotti dal contratto (ovvero
ad es. con la cessione del credito varia il rapporto contrattuale rimanendo inalterato il contratto.)
Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto (autonomia contrattuale), nei limiti imposti
dalla legge ovvero ad es. si può stabilire a che prezzo vendere una cosa ma non estendere il tempo di lavoro del
lavoratore oltre i limiti contrattuali.
Art. 1325 I requisiti del contratto sono:
La causa
L’oggetto
L’accordo tra le parti
La forma, (ove risulti prevista dalla legge sotto pena di nullità)
Se manca uno di questi elementi il contratto è nullo. Non può nascere un contratto se non c’è accordo tra le
parti, oppure se manca un bene che è oggetto del trasferimento; nel contratto di compravendita non può mancare
il prezzo. Questa norma indica in generale gli elementi essenziali.
Anche la forma è un elemento essenziale, ma la norma sul contratto,prevede che la forma sia elemento essenziale
solo nei casi previsti dalla legge.
Se manca uno di questi elementi il contratto non nasce proprio, la volontà non è perciò idonea a produrre
determinati effetti. Questa norma mi dice il minimo di volontà necessaria perché possa esistere un contratto, un
negozio giuridico.
Poi ci sono anche degli elementi accidentali (es condizione se l’evento non si verifica, gli effetti non si
producono) sono elementi aggiuntivi al contratto, sono aggiunti dalle parti. Sono elementi che ci possono essere o
meno (anche il termine è un altro elemento accidentale) sono gli elementi necessari che contano.
Le più importanti classificazione dei contratti sono le seguenti:
a) contratti tipici e contratti atipici; a seconda che alla singola figura contrattuale , il legislatore dedichi o
meno una disciplina specifica;
b) contratti con due parti o con più di due parti (contratti plurilaterali); es contratti costitutivi di una societa
c) contratti a prestazioni corrispettive o sinallagma (una delle parti trasferisce un diritto e l’altra si obbliga ad
effettuare la prestazione a favore di questa) es. il compratore paga quando il venditore trasferisce la proprieta e
contratti con obbligazioni a carico di una parte sola; (es. fidejussione e comodato)
d) contratti a titolo oneroso e contratti a titolo gratuito;
e)
contratti di scambio (dove la prestazione di ciascuna parte è a vantaggio della controparte) e contratti
associativi (dove la prestazione di ciascuno è diretta al conseguimento di uno scopo comune);
f)
contratti commutativi (si dicono i contratti in cui i reciproci sacrifici sono certi) e contratti aleatori (sono i
contratti nei quali vi è incertezza sui reciproci sacrifici es. assicurazione l’assicurato sa quanto paga l’assicuratore
non sa se e quanto dovra pagare );
g) contratti a esecuzione istantanea (la prestazione della parti è concentrata in un dato momento, es.
compravendita) e contratti di durata (la prestazione o continua nel tempo, o si ripete periodicamente es. contratto
di lavoro subordinato). I contratti ad esecuzione istantanea possono essere ad esecuzione immediata (pago subito
o ad esecuzione differita;(pago tra sei esi
h) contratti a forma libera e contratti a forma vincolata;
i)
contratti consensuali (si perfezionano con il semplice consenso o accordo delle parti) e contratti reali (che
richiedono oltre al consenso delle parti anche la consegna del bene; es. mutuo, comodato, deposito, pegno);
j)
contratti a efficacia reale (che realizzano automaticamente, per effetto del solo consenso, il risultato
perseguito es. il trasferimento della proprieta ) e contratti a efficacia obbligatoria (che non realizzano
automaticamente il risultato perseguito, ma obbligano le parti ad attuarlo ovvero contratti aventi per oggetto cose
determinate solo nel genus
Differenza tra contratto e negozio giuridico
Il contratto è un negozio giuridico (manifestazione di volontà posta in essere per ottenere un determinato effetto
giuridico)
Il contratto è una delle categorie possibili nelle quali si articola il negozio giuridico nel suo complesso
Il codice italiano non detta una disciplina specifica per il negozio giuridico mentre dedica numerose norme ai
contratti in generale le quali fungono da termini di riferimento per la discipline dei negozi giuridici.
Il negozio giuridico è di natura astratta, tant'è che non è citato nel Codice, mentre il contratto si configura
piuttosto come una delle categorie del negozio giuridico.
Ad esempio il matrimonio e il testamento sono negozi giuridici e non contratti inoltre il contratto è una fonte di
obbligazioni, oltreché un negozio giuridico bilaterale o plurilaterale, mentre è possibile porre in essere anche
negozi giuridici unilaterali (vedi testamento).
Non esistono, invece, contratti "unilaterali", non ha senso, come recita l' art.1321 ovvero Il contratto è l’accordo
di due o parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale.
LE TRATTATIVE E LA CONCLUSIONE DEL CONTRATTO
Un contratto puo essere concluso verbalmente o sottoscrivendo un unico documento attraverso lo scambio di due
dichiarazioni scritte identiche
L’atto con il quale il procedimento inizia è la proposta l’altro è l’accettazione: esse costituiscono dichiarazione di
volonta unilaterali quando si fondono in una sola nasce la volonta contrattuale.
La proposta e l’accettazione possono essere ritirate e private di effetto mediante un atto uguale e contrario che si
chiama revoca.
La trattativa
Spesso è necessario prima un periodo di trattative sia per negoziare gli accordi sia per svolgere accertamenti
tecnici e legali.durante queste trattative le parti possono concludere o meno il contratto ma devono farlo in buona
fede è un dovere giuridico la parte che violi questo dovere incorrere in un particolare tipo di responsabilità
(responsabilità precontrattuale o culpa in contrahendo)
Le condotte che danno luogo alla culpa in contrahendo sono varie:
a) abbandono ingiustificato della trattativa (quando le trattative raggiungano un punto tale da determinare un
ragionevole affidamento e vengano interrotte senza un giustifiato otivo e la parte lesa avra diritto al risarcimento
per le spese sostenute in vista della conclusione del contratto
b) mancata informazione sulle cause di invalidità del contratto (dovere di informare la controparte di eventuali
cause di invalidita del contratto)
c) influenza illlecita sulla determinazione negoziale della controparte se un sogetto induce un altro a stipulare un
contratto traendolo in inganno ovvero minacciandolo ovvero approfitti di un errore in cui sia incorsa l’altra parte
per trarne vantaggio il contratto è annullabile per un vizio della volontà
d) induzione della controparte alla stipulazione di un contratto pregiudizievole nel caso in cui una parte abbia
tratto in inganno l’altra e quell’inganno non sia stato tale da determinare la volonta di contrarre ma abbia indotto
la controparte ad accettare condizioni diverse da quelle che avrebbe sottoscritto se non fosse stata ingannata in
questo caso il contratto non è annullabile la controparte lesa ha però diritto al risarcimento del danno (caso
valido anche quando si omette un informazione)
Vi è l’obbligo per le parti di comportarsi secondo buona fede e correttezza nello svolgimento delle trattative le
parti devono essere reciprocamente leali e sincere e devono nutrire reale interesse al raggiungimento di un
accordo. Devono inoltre scambiarsi informazioni affinché i termini della trattativa risultino trasparenti. Ove la
lealtà e correttezza vengano meno (la parte vuole solo prendere tempo in attesa di recedere, oppure tace un difetto
del bene, non ha reale intenzione di pervenire ad un accordo…) si avrà responsabilità della parte per non aver
operato in buona fede Qual è la misura di questa responsabilità? Dottrina e giurisprudenza sono unanimi nel
ritenere che vada risarcito il c.d. interesse negativo e quindi il danno commisurato per non aver ricevuto la
prestazione dovuta e cioè le spese a vuoto sostenute (viaggi ecc) e il tempo e le occasioni perdute (si sarebbe
potuto dedicare ad altre contrattazioni da cui avrebbe tratto profitto),invece che in quella non andata a buon fine
per la scorrettezza della controparte ma non l’utile che avrebbe potuto ottenere poichè la parte avrebbe avuto
diritto all esecuzione solo se il contratto fosse stato stipulato (come nel caso dell inadempimento).In altre parole si
risarciscono i danni subiti per essere entrati in trattativa con la parte inaffidabile (danno da affidamento).
La proposta
La proposta deve essere conforme alla dichiarazione se contiene variazioni equivale ad una nuova .
La proposta può essere revocata fino a che il contratto non sia concluso e la revoca non ha effetto se non giunge a
conoscenza.
Se si revoca la proposta mentre il proponente in buona fede abbia iniziato l’esecuzione (es. acquistando i materiali
necessari per la realizzazione) è tenuto ad essere indennizzato delle spese e delle perdite subite. La proposta perde
automaticamente efficacia se, prima che il contratto si sia perfezionato, il proponente muore o diventa incapace
(intrasmissibilità della proposta).
La proposta si può dichiarare irrevocabile
Se la proposta irrevocabile non è accompagnata dalla indicazione della durata della irrevocabilità, questa si
intende estesa per tutto il tempo ordinariamente necessario per la sua accettazione.come una proposta non
irrevocabile.
La proposta irrevocabile conserva il suo valore pure in caso di morte o sopravvenuta incapacità del proponente
(art.1329 c.c.), di modo che anche in tali ipotesi il destinatario della proposta potrebbe ancora perfezionare il
contratto accettando l’offerta, purchè l’accettazione giunga all’altra parte entro il termine di validità della
proposta.
L’offerta al pubblico è un particolare tipo di poposta essa si ha verso destinatari indeterminati e permette la
conclusione per il solo effetto della dichiarazione di accettazione da parte di colui che intende perfezionare il
contratto è valida purchè contenga gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta.(es offerta di
alloggio in un albergo)
L’offerta al pubblico è revocabile come ogni altra proposta contrattuale è efficace anche nei confronti di chi non
sia venuto a conoscenza della revoca non è necessario portare a conoscenza il contraente dato che quest’ultimo è
indeterminato
Talora un regolamento contrattuale può essere aperto all’ adesione di altre parti.
Ad es. le organizzazioni a carattere associativo (es partiti politici) che hanno quindi una struttura aperta e
orientata a ricevere l’adesione di altri soggetti
Non tutti i contratti sono a struttura aperta quelli lucrativi ad es. non lo sono
L’accettazione
L’accettazione deve pervenire al proponente nel tempo da lui stabilito o in quello necessario secondo la natura e
gli usi infatti essa non è efficace a tempo indefinito se il destinatario non risponde entro un termine congruo
stabilito dalla parti o dal giudice la proposta perde efficicacia (se il proponente considera un accettazione
tardiva deve darne avviso alla controparte) e che sia sia compiuta nella forma richiesta dal proponente: se il
proponente richiede che sia effettuata per iscritto non è sufficiente una dichiarazione verbale anche se per il tipo
di contratto la legge non richiede forma scritta.
L’accettazione perde efficacia se l’accettante muore o diventa incapace nell’intervallo tra la spedizione della
dichiarazione di accettazione e l’arrivo di questa al proponente.
La conclusione
La legge stabilisce che il contratto si considera concluso nel momento in cui il proponente è a conoscenza dell
accettazione della proposta counicatagli dalla controparte es. tramite raccomandata
Solo in questo momento le parti condividono un regolamento negoziale comune
La legge per ovviare alla al contraente che potrebbe fingere di non aver ricevuto la comunicazione magari xchè
non più interessato a concludere il contratto per un ad es. sopraggiunto rialzo o ribasso dei prezzi stabilisce che
qualsiasi dichiarazione diretta ad una determinata persona si reputa conosciuta non appena giunta all’indirizzo del
destinatario.
Grava perci sul contraente in buona fede mostrare se egli ha realmente non ricevuto l’avviso.
I contratti si possono concludere anche senza bisogno di una formale accettazione dando direttamente esecuzione
ad un ordine.
Particolare è il contratto con obbligazioni a carico del solo contraente (es fidejussion)e in questo caso lì
accettazione è facilente desuibile percio la legge non ritiene necesaria un esplicita dichiarazione di accettazione.
Di solito le imprese predispongono moduli contrattuali, nei quali inseriscono clausole uniformi e
standardizzate perciò è prassi definirli contratti standard in quanto definscono clausole e regole uniformi e
che il cliente non può discutere: o aderisce o rifiuta. (es. i telefoni le banche non si contratta con tutti gli
acquirenti)
È tuttavia necessario predisporre delle cautele a favore dell’aderente, ad evitare abusi ai suoi danni.:. si
prevede già dal ’42 data la diffusione capillare di questi contratti gia a quel tempo
a) che nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli le clausole aggiunte prevalgono su
quelle del modulo con cui siano incompatibili, anche quando queste ultime non siano state cancellate
b) che le c.d. condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci solo se la
parte che le ha predisposte abbia fatto in modo da garantire che l’altro contraente, usando l’ordinaria
diligenza, sarebbe stato in grado di conoscerle
c) che le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli predisposti da uno dei
contraenti s’interpretano, in caso di dubbio, a favore dell’altro
d) che, in ogni caso, non hanno effetto, se non specificamente approvate per iscritto, le condizioni che
stabiliscono, a favore di colui che ha predisposto i moduli contrattuali, limitazioni di responsabilità,
facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, o sanciscono a carico dell’altro
contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale
nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe
alla competenza dell’autorità giudiziaria
Queste ultime clausole (dette vessatorie), devono essere approvate con una sottoscrizione autonoma e
distinta rispetto a quella apposta genericamente sul modulo, e che in mancanza di tale specifica
approvazione queste clausole vanno considerate inficiate senz’altro da nullità, rilevabile anche d’ufficio dal
giudice.
I VIZI DELLA VOLONTA
Il contratto è espessione di un volere se colui dal quale proviene la manifestazione si trova nella
condizione, per eàa o per incapacita di agire o altro l’atto diviene invalido.
I vizi della volontà sono: l’errore, il dolo e la violenza essi non producono il grave effetto della nullità
del negozio, ma l’annullabilità.
La dichiarazione può essere divergente dalla reale volontà del soggetto (es in una lettera per
commercianti per distrazione si scrive che si vende 1 € al kilo quando il prezzo di mercato è 100)
Vi è contrasto quindi tra volontà e dichiarazione: se la dichiarazione diverge dall interno volere o se
questo non si e correttamente fomrato deve essere protetto l’affidamento dei terzi che hanno regolato la
loro condotta considerando pienaente attendibile ed efficace quella dichiarazione.
valido quando colui che riceve la dichiarazione non era in grado di accorgersi del contrasto usando
l'ordinaria diligenza
in valido: quando colui che riceve la dichiarazione era in grado di accorgersi o comunque sapeva del
contrasto tra la volontà e la dichiarazione
Come si vede la teoria dell' affidamento protegge adeguatamente entrambe le parti, ma non protegge
mai la malafede; anche nel caso in cui fosse molto difficile accorgersi del contrasto tra volontà e
dichiarazione, chi riceve la dichiarazione non è tutelato quando sapeva di detto contrasto.
ERRORE
L'Errore si ha quando il contraente ignora, oppure conosce in modo sbagliato o insufficiente,
situazioni determinanti ai fini della decisione di stipulare o meno il contratto o comunque di
stipularlo a certe condizioni.
L’errore-vizio è un incidente sul processo interno di formazione della volontà (es. compro un oggetto
credendo che sia d’oro, invece è di metallo); l’errore- ostativo è la divergenza tra volontà e
dichiarazione (es. voglio scrivere 100, ma per lapsus scrivo 110) o errata dichiarazione per colpa
dell’impiegato via telegrafo quindi volontà del dichiarante correttamente formata ma espressa o
trasmessa in un modo che non rispecchia l’effettiva volontà della parte.
Il contratto viziato da errore è annullabile a condizione:
a) che l’errore sia essenziale;
b) che l’errore sia riconoscibile dall’altro contraente.
Peraltro l’azione di annullamento non può più essere proposta se l’altra parte, prima che alla parte in
errore possa derivarne pregiudizio, offra di eseguire il contratto in modo conforme a quanto l’altro
contraente riteneva (erroneamente) di aver pattuito.
Nei negozi bilaterali e plurilaterali un’altra figura di errore ostativo è costituita dal dissenso, che ha
luogo quando le parti, pur sottoscrivendo una identica dichiarazione, non si rendono conto di attribuirle
in realtà significati tra loro divergenti. Anche in tal caso la rilevanza del vizio dipende dalla sua
essenzialità e riconoscibilità.
Un contratto non può essere impugnato solo perchè un parte è incorsa in errore ma soltanto
quando l’errore sia di essenziale rilevo rispetto agli interessi realizzati dal contratto
L’errore è essenziale quando:
1) deve essere stato tale da aver determinato la parte a concludere il contratto;
2) non ogni errore può considerarsi essenziale, il c.c. qualifica tale solo quello che cade:
a) o sull’oggetto del negozio (es. credo che siano viti gli oggetti che voglio comprare ed invece
sono chiodi);
b) o sulla natura del negozio (es. credo di dare una cosa in locazione invece il contratto è di
enfiteusi);
c) o su una qualità della cosa, oggetto del negozio che, in relazione alle circostanze, deve
ritenersi determinante del consenso (es. si crede che sia lana animale ciò che è lana sintetica);
d) o sulla persona e, cioè, sull’identità o sulla qualità dell’altro contraente; (non e indifferente se
ad eseguire un operazione è un noto luminare o un anonimo medico)
e) può assumere rilevanza anche l’errore sulla quantità della prestazione, sempre che essa sia
determinante del consenso e non si riduca ad un errore di calcolo, il quale non dà luogo ad
annullabilità ma a semplice rettifica del negozio
Non ha carattere di essenzialità l’errore che cade sui motivi se compro una casa xchè credo mi
trasferiscano per lavoro e cio non accade il mio erorre è irrilevante.
L’errore sul motivo e determinante solo sul testamento e nella donazione (la gratuita spiega la deroga)
Perché l’errore produca l’annullabilita del negozio e necessario che sia riconoscibile dall’ altro
contraente secondo la teoria dell affidamento
L’errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto o alle
qualità dei contraenti, la controparte, usando la normale diligenza, avrebbe potuto accorgersene.
La legge non bada al fatto che in concreto si abbia capito ma alla possibilità astratta di riconoscerlo
comportandosi come una persona di media diligenza.
Quanto alla riconoscibilità dell’errore se chiedo cento metri di stoffa per farmi un vestito il
commerciante puo presumere l’errore se compro stoffa per rifornire il mio negozio egli non può sapere
quanta me ne occorra.
Nel caso di errore bilaterale o comune, e cioè quando entrambi i contraenti siano incorsi nello stesso
errore, la giurisprudenza ritiene che non vada applicato il principio dell’affidamento, e quindi che sia
sufficiente l’ essenzialità dell’errore per l’annullabilità del negozio, non rilevando la riconoscibilità dal
momento che ciascuno dei contraenti ha dato luogo all’invalidità del contratto indipendentemente dal
comportamento dell’altro.
DOLO
Un negozio è annullabile ove sia stato posto in essere in conseguenza di raggiri perpetrati ai danni
del suo autore.
Il dolo cd determinante poichè ha determinato la vittima a stipulare un contratto che se non fosse stata
ingannata non avrebbe concluso è quindi un vizio del consenso.
Il raggiro è un comportamento non conforme alla buona fede
Per l’annullabilità dell’atto devono concorrere:
a) il raggiro, ossia un’azione idonea a trarre in inganno la vittima;
b) l’errore del raggirato: non è sufficiente che l’autore dell’inganno abbia tentato di farmi
credere cose non esatte; se io ho capito come stavano in realtà le cose, non posso trarre a
pretesto il comportamento della controparte.
Il negozio, cioè, è annullabile solo se l’inganno ha avuto successo,
c) la provenienza dell’inganno dalla controparte: se sono vittima di raggiri di terzi, che nulla
hanno a che fare con l’altro contraente, l’atto non è impugnabile, a meno che quest’ultimo ne
fosse a conoscenza e ne abbia tratto vantaggio
Qualora ci sia menzogna nel senso di semplice dichiarazione inveritiera se non accompagnata da veri e
propri artefici o raggiri si ritiene che il negozio non sia annullabile qualora il dichiarante usando la
normale diligenza arebbe potuto agevolente rendersi conto della verità.
Dal dolo determinante distinguiamo:
Il dolo omissivo (o reticenza) che si ha quando si tacciono circostanze che avrebbero potuto indurre la
controparte a rinunciare alla stipulazione dell’atto. (es. mi assicuro vita e non dico di essere affetto da
grave malattia) Esso è sufficiente a far annullare il negozio.
Il dolo incidente, invece, incide sulle condizioni contrattuali (la vittima avrebbe stipulato l’atto a
condizioni diverse in questo caso il contratto non è annullabile ma la vittima ha diritto al risarcimento)
Dal punto di vista civilistico non è rilevante se il comportaento comporti truffa in questo caso interverrà
il penale ma secondo la soluzione dominante il contratto rimane annullabile e non nullo per illeceita
Il dolo può avere rilevanza in tutti gli atti, tranne quelli in cui, tale rilevanza è esclusa dalla legge.
Il dolo, come elemento intenzionale dell’illecito, non indica un particolare tipo di azione, un fatto che si
verifica nel mondo esterno, ma costituisce soltanto un elemento soggettivo o psicologico, ossia
l’intenzione dell’agente di realizzare un determinato risultato e si concreta, quindi, nella corrispondenza
tra un programma perseguito deliberatamente da una persona e l’azione da essa posta in essere; il dolo
quale vizio della volontà, invece, denota proprio l’azione di chi inganna e che si concreta, quindi, in un
determinato fatto esterno e non meraente in un atteggiamento psicologico o interno.
Differenza Dolo ed Errore: Il dolo è intenzionale
VIOLENZA
La violenza consiste nella minaccia di un male ingiusto e notevole volta ad ottenere una
dichiarazione.negoziale dal minacciato
La legge richiede che si tratti di una minaccia tale da fare impressione su una persona media anche se,
ovviamente, per stabilire se la violenza esercitata presentava tale caratteristica si deve guardare in
concreto alle circostanze del caso (età, sesso, condizione delle persone.). Il male minacciato deve essere
ingiusto e notevole e deve riguardare la vittima stessa , il coniuge, il discendente, un ascendente o i
rispettivi beni.
La violenza di cui parliamo è una forma di coazione della volontà che menoma la libertà di
determinazione; è causa di annullabilità del negozio, sia che provenga dall'altra parte del negozio sia che
provenga.da.un.terzo.
Potrebbe sembrare strano che conseguenza della violenza sia l'annullabilità e non la nullità;
è facile pensare, infatti, che chi è minacciato non vuole concludere il negozio, ma, a ben guardare, si
scopre che il soggetto minacciato vuole la conclusione del negozio perché tra lo svantaggio che
subirebbe dalla attuazione della minaccia e quello della conclusione del negozio "sceglie" e quindi vuole
il.male.minore,.cioè.la.conclusione.del.negozio.
Esistendo.una.volontà,.per.quanto.viziata,.si.spiega.l'annullabilità.
Diversamente accadrebbe se la violenza non fosse psichica ma fisica volta ad ottenere meccanicamente
la dichiarazione negoziale, come nel caso , per la verità un po' improbabile, in cui si trascini la mano per
far apporre una firma in calce ad un contratto; in questo caso vi sarà nullità del negozio e non
annullabilità perché manca la volontà.
Quindi:
violenza psichica consiste in una minaccia e provoca l'annullabilità del negozio
violenza fisica consiste in una coazione fisica del dichiarante e provoca la nullità del negozio
Non è causa di annullamento, invece, il timore reverenziale, quel particolare timore, cioè, che una
persona incute ad un'altra a causa della sua posizione sociale, di potere, personale etc.
Si ritiene, tuttavia, che se tale timore è consapevolmente sfruttato per svolgere un'attività intimidatoria
per la conclusione di un contratto, questo sarà annullabile in quanto concluso ricorrendo a violenza.
La violenza si distingue dallo stato di pericolo
Nella fattispecie della violenza il timore che spinge il soggetto ad emettere la dichiarazione negoziale è
provocato dalla minaccia altrui; nello stato di pericolo vi è una situazione di paura, ma non determinata
dalla minaccia di altra persona diretta a far concludere il negozio, bensì da una stato di fatto oggettivo,
nella maggior parte dei casi da forze naturali (un incendio pone in pericolo la vita di una persona cara ed
io accedo alla richiesta esosa fatta da chi ha la possibilità di intervenire per cercare di salvarla). Se per
effetto dello stato di pericolo una persona ha assunto obbligazioni a condizioni inique, il negozio non è
annullabile, ma rescindibile.
LA FORMA DEL CONTRATTO
La forma del contratto è la modalità attraverso la quale la volontà dei contraenti si manifesta.
Essa è, pertanto, elemento di perfezionamento del contratto, perché rende esteriormente visibile la
volontà dei soggetti, rendendola idonea ad assumere rilevanza giuridica. Essa non può mancare,
pena l’inesistenza del contratto.
Uun contratto se la legge non dispone liberamente il rispetto di una determinata forma può essere
concluso mediante qualsiasi validità: parlando scrivendo con i gesti (alzo la mano ad un asta) o tenendo
un comportaento concludente (colloco l’auto negli spazi adibiti ai parcheggi a pagamento)
Se la legge impone una certa forma il contratto espresso in forme diverse ne determina la nullità
Piu di frequente la legge impone la forma scritta che può essere l’atto pubblico o la scrittura privata esse
rendono maggiormente certa l’espressione della volontà.
1. L’atto pubblico è “ il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro
pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli fede nel luogo in cui l’atto è formato”
“Esso fà piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che
l’ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta
essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”
2. La scrittura privata va intesa come il documento scritto con qualsiasi mezzo (penna, dattilografia,
stampa) e sottoscritto dai contraenti. La sua sottoscrizione ne rappresenta il connotato essenziale, perché
costituisce il mezzo di identificazione e, al tempo stesso, un indizio del carattere definitivo della
dichiarazione. Essa deve essere effettuata personalmente dal dichiarante, con l’indicazione del nome e
cognome, o anche del cognome o dello pseudonimo ma non è necessario che il documento sia scritto di
pugno del dichiarante (che sia autografo), potendo anche essere formato da un’altra persona e poi
sottoscritto dal dichiarante.
Per il principio della cosiddetta conversione formale, l’atto pubblico, privo di qualche suo requisito, vale
come scrittura privata.
I contratti della Pubblica Amministrazione di norma richiedono la forma solenne ed in particolare quella
di atto pubblico. Tuttavia è frequente anche l’uso della scrittura privata autenticata.
Le parti possono con apposito accordo scritto pattuire di adottare una determinata forma per la
conclusione del contratto Es le parti per garantire maggior certezza per le future pattuizioni possono
decidere che qualsiasi modificazione del contratto sarà efficace solo se convenuta per iscritto
LA RAPPRESENTANZA
Nell’attività negoziale può accadere che la volontà di un soggetto non sia espresso da questo, ma da un
terzo incaricato. È necessaraia la rappresentanza se un imprenditore deve riscuotere una somma in un paese
lontano o per i soggetti incapaci che non potrebbero esercitare diritti soggettivi.
E’ un istituto in base al quale ad un soggetto, rappresentante, viene attribuito negozialmente o per legge il potere
di sostituirsi ad un altro soggetto, rappresentato, nel compimento di un’attività giuridica i cui effetti si
ripercuotono direttamente sul rappresentato. (mandato)
I poteri di rappresentanza possono essere attribuiti per il compimento di una qualsiasi attività.
La rappresentanza differisce dal nuncius che è colui che trasmette materialmente la dichiarazione altrui è un
portavoce anche un bambino puo fare il nuncius sepmlicemente esprime una volonta altrui.
Es. sottoscrivo un contratto d’acquisto di una Ferrari per nome e conto di Tizio. Il contratto produce
immediatamente effetti in capo al rappresentato  rappresentanza diretta.
Si usa, cioè, un soggetto terzo per compiere una certa attività i cui effetti giuridici ricadono immediatamente nella
sfera giuridica del rappresentato.
Il rappresentato cede al rappresentante poteri negoziali, quindi quest ultimo può esercitare in nome e per conto del
rappresentato, ossia della persona che gli ha conferito il potere negoziale.
Il contratto concluso dal rappresentante può avere effetti reali o effetti obbligatori per questo, occorre la spendita
del nome, ossia alla stipula del contratto devo dire che lo stipulo in nome e per conto di Tizio
La rappresentazione indiretta, si ha quando non c’è la spendita del nome.
Es. compro una Ferrari per Tizio che non vuole comparire perché ad esempio è un evasore, non dico alla stipula
che sto agendo per suo nome e conto. La conseguenza è che il contratto che stipulo produce effetti nella mia sfera
(rappresentante).
La rappresentazione indiretta concretizza un altro istituto: l’interposizione reale di persona, che è diversa
dall’interposizione fittizia (o simulazione).
interposizione reale di persona: per la conclusione di un contratto interpongo un’altra persona,
ossia mando un mio rappresentante a concludere un affare, lo interpongo realmente dandogli un mandato e per
questo agisce per mio interesse. L’operazione è reale: ho dato il mandato di concludere per mio interesse.
interposizione fittizia: non c’è un rappresentante effettivo; si fa finta che il terzo acquisti. È
simulazione, creazione di un’apparenza. Il terzo “appare” come acquirente. C’è un problema di “apparenza
negoziale”, in quanto faccio apparire una certa situazione. Non c’è un mandato, un potere di rappresentanza, ma
una volontà delle parti di costituire un’apparenza giuridica.
Figura particolare, che si avvicina alla rappresentanza indiretta, è l’autorizzazione, con cui una persona
(autorizzante) conferisce ad un'altra (autorizzato) il potere di compiere negozi giuridici, diretti ad influire nella
sfera dell’autorizzante, in nome dell’autorizzato essa ha luogo per la formazione dei negozi giuridici degli
incapaci.
Non in tutti i negozi è ammessa la rappresentanza: essa, di regola, è esclusa nei negozi che, per la loro natura,
si vogliono riservare esclusivamente alla persona interessata ovvero, in quelli di diritto familiare (es.
matrimonio).
Nel matrionio per procura la figura è quella del nuncius non del rappresentante
Una persona, per potere agire in nome altrui, deve averne il potere. Questo potere può derivare dalla legge
(rappresentanza legale) o essere conferito dall’interessato (rappresentanza volontaria).
La rappresentanza legale ricorre quando il soggetto è incapace o minore o intedetto traite il tutore o l’ainistratore
di sostegno per il beneficiario di amministrazione.
La rappresentanza organica, ossia il potere di rappresentare un ente che spetta all’organo che ha la competenza
ad esternare la volontà dell’ente. (es gli amministratori)
La rappresentanza organica non si deve confondere con il potere gestorio che riguarda la direzione interna dell’
ente
Il negozio compiuto da chi ha agito come rappresentante senza averne il potere (difetto di potere) o
eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli (eccesso di potere) non produce alcun effetto nella sfera giuridica
dell’interessato. (es. compro una cosa per tizio che la cercava facendo presente al venditore l’acquisto a nome di
tizio mio amico)
Il negozio è perciò inefficace. Infatti esso non può dirsi nullo, perché la nullità opera in maniera definitiva, ed
invece, l’interessato può ratificare, con effetti retroattivi, il negozio stipulato per lui non è nemmeno annullabile,
perché prima della ratifica il negozio concluso senza rappresentanza o eccedendo dei poteri conferiti al
rappresentante non produce effetti per l’interessato. Questi può, per altro, con una propria dichiarazione di
volontà, approvare ciò che è stato fatto da altri senza che egli avesse attribuito il potere di rappresentarlo. Questa
dichiarazione si chiama ratifica. La ratifica può essere espressa o tacita: essa deve rivestire le forme previste
dalla legge per la conclusione del negozio.
Il negozio si considera dopo la ratifica come posto in essere da persona dotata di procura
La ratifica ha effetto retroattivo, ma non può, pregiudicare i diritti acquistati dai terzi.
Se il contratto, mancando la ratifica del rappresentato, rimane definitivamente inefficace, vi è da chiedersi se il
terzo possa chiedere il risarcimento dei danni allo pseudo-rappresentante. L’art.1398 c.c. subordina un simile
diritto del terzo alla condizione che questi abbia confidato senza sua colpa nella validità del contratto: se sapeva
che colui che agiva in nome altrui non aveva il relativo potere, non può pretendere alcun risarcimento; se invece è
stato ingannato, non si è accorto di aver a che fare con persona in realtà priva del potere di spendere, il nome del
rappresentato, allora avrà diritto di chiedere il risarcimento del danno subito.
Non sempre è riprovevole lo svolgimento dell’interesse altrui senza averne titolo idoneo (es. il proprietario è
assente perché è al fronte e si impedisce che egli subisca un danno facendo una riparazione o vendendo i frutti di
un raccolto)
La legge nel caso in cui taluno, spontaneamente assume la gestione di affari altrui, stabilisce che, il gestore non
può dismettere la gestione ma deve continuarla finche l’interessato non possa riprendere in mano il governo dei
sui interessi. E l’interessato una volta ripresa la gestione deve adempiere le obbligazioni assunte in suo nome
Non si deve guardare perciò, al risultato, cioè se dall’atto il rappresentato ha tratto vantaggio, ma occorre, invece,
tener conto dell’utilità iniziale e vedere, se l’affare stesso si prevedeva necessario o utile, in base alla valutazione
che il rappresentato come buon padre di famiglia avrebbe fatto al momento in cui fu intrapreso. La gestione di
affari altrui può avere ad oggetto anche alienazioni.
In genere l’atto di rappresentanza è conferito nell interesse del rappresentato ma non si esclude che possa
essere conferito consapevolmente dall’interessato anche nell interesse del rappresentante (es. il debitore che
incarica parte dei creditori di vendere i suoi beni per liquidare i debiti essi saranno in quanto essi stessi creditori
interessati al pari del debitore di effettuare l’operazione)
Si ha in questo caso conflitto d’interessi tra rappresentato e rappresentante.
L’atto posto in essere dal rappresentante in conflitto di interessi è viziato, indipendentemente dal fatto che il
rappresentato sia stato effettivamente danneggiato.
Se il rappresentante agisce in conflitto d’interessi con il rappresentato, il negozio è annullabile su domanda del
rappresentato. Ma il negozio è annullabile solo se il conflitto era conosciuto o poteva essere conosciuto con
l’ordinaria diligenza dal terzo (protezione del terzo contraente in buona fede)
Rientra nello schema del conflitto di interessi la figura del contratto con se stesso (unico soggetto che svolge
contemporaneamente due parti es. procuratore che rappresenta sia il compratore che il venditore). Questo
contratto è, di regola, annullabile: è valido quando il rappresentato abbia autorizzato espressamente la
conclusione del contratto oppure il contenuto del contratto sia stato determinato preventivamente dallo stesso
rappresentato in guisa da escludere la possibilità di conflitto (es., il commesso di negozio può acquistare merci
nell’azienda a cui è addetto, corrispondendo il prezzo stabilito dal principale per la vendita al pubblico.)
Il negozio concluso dal rappresentante sarà annullabile, se egli versava in errore, o è stato costretto alla sua
conclusione da violenza … Si fa eccezione nel caso in cui l’anomalia della volontà o lo stato soggettivo influente
si riferiscano ad un elemento predeterminato dal rappresentato, cioè, incidano sulle istruzioni da lui date. (es mi fa
vendere un quadro falso) l’errore giova ai fini dell annullamento anche se di esso non sia partecipe il
rappresentante.
L’ufficio privato, invece, consiste nel potere di svolgere una attività nell’interesse altrui e con effetti diritti nella
sfera giuridica del soggetto sostituito, in adempimento di una funzione prevista dalla legge (esecutore
testamentaria).
Nel momento della conclusione di un contratto una parte può riservarsi la facoltà di nominare la persona
nella cui sfera giuridica il negozio deve produrre effetti può dire cioè: acquisto l’immobile, ma per persona
che mi riservo di nominare. Se segue entro 3 gg. la dichiarazione di nomina, accompagnata dalla dichiarazione di
accettazione da parte della persona indicata, si producono gli stessi effetti che si sarebbero verificati se fosse stata
conferita la procura anteriormente al negozio l’acquisto si intende, cioè, fatto fin da principio dalla persona
indicata.
Se manca la dichiarazione di nomina, il negozio produce effetti direttamente nei confronti di colui che ha
stipulato il contratto.
Le parti possono convenire che la dichiarazione di nomina possa essere effettuata entro un termine maggiore di 3
gg. fissato dalla legge, purchè si tratti di un termine certo e determinato.
Il contratto per persona da nominare si distingue dalla rappresentanza indiretta, in quanto non occorre un nuovo
negozio perché gli effetti si producano a favore dell’interessato: basta la dichiarazione unilaterale di nomina,
purchè fatta nei termini.
Si distingue dall’interposizione fittizia o simulata, perché in questa, con l’intesa dell’altra parte, il contraente
dichiara apparentemente di agire in nome proprio, ma, in realtà, chi contrae è l’interponente; nel caso del
contratto per persona da nominare il contraente, invece, dichiara di contrarre per persona da nominare.
Il contratto per persona da nominare si distingue dal contratto per conto di chi spetti erogato in tema di
assicurazione. Qui, infatti, è definito il nome del contraente, ma potrebbe non essere ancora definito il nome del
soggetto beneficiario dell'assicurazione, da individuarsi successivamente in relazione alla situazione specifica che
si verrà a creare.
LA PROCURA
Il negozio con il quale una persona conferisce ad un’altra il potere di rappresentanza si chiama procura, e
il rappresentante volontario si chiama procuratore.
La procura serve a rendere noto ai terzi, con i quali il rappresentante dovrà venire a contatto per assolvere
l’incarico, che egli da me autorizzato a trattare in mio nome.
Perciò, la procura consiste in un negozio unilaterale che va distinto dal rapporto interno tra rappresentante e
rappresentato: questo rapporto interno può derivare da amicizia, da un contratto di lavoro ecc.
La procura può essere espressa o tacita,
Per la procura non è richiesta alcuna forma particolare.
Le conseguenze dell’atto compiuto dal procuratore si ripercuotono direttamente sul patrimonio del rappresentato,
che è il vero interessato all’atto. Perciò, per la vendita del negozio concluso mediante rappresentanza, è necessaria
la capacità legale del rappresentato.
La procura può riguardare un solo affare o più affari determinati (procura speciale), o può riguardare tutti gli
affari del rappresentato (procura generale).
Poiché in genere la procura è conferita nell’interesse del rappresentato, questi può modificarne l’oggetto o i limiti
e può anche togliere al rappresentante il potere che gli aveva conferito. L’atto con il quale il rappresentato fa
cessare gli effetti della procura si chiama revoca della procura. Anche la revoca è negozio unilaterale: come è
sufficiente una dichiarazione dell’interessato per conferire il potere di rappresentanza, allo stesso modo una sua
dichiarazione basta a toglierlo.
La procura, basandosi sulla fiducia personale che il procuratore ispira, cessa, di regola, anche per la morte sia del
rappresentante che del rappresentato.
La revoca e le modificazioni della procura devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei se non
si è fatto il negozio resta valido altrimenti il terzo ha l’onere di provare che il terzo al momento della conclusione
del contratto era a conoscenza della modificazione della procura.
IL CONTRATTO PRELIMINARE ED I VINCOLI A CONTRARRE
Contratto preliminare è un particolare contratto con il quale le parti si obbligano vicendevolmente alla stipula di
un futuro contratto (il contratto definitivo).di cui devono aver gia determinato il contenuto essenziale.
Il preliminare non produce gli effetti tipici del contratto ma già obbliga le parti a stipulare il definitivo che
produrrà tutti gli effetti che fin da ora sono stati fissati.
Nella pratica si parla di compromesso ma è una terminologia errata in quanto si usa quando le parti decidono di
affidare la soluzione di una lite al giudizio di uno o piu arbitri.
Il preliminare per non essere invalido deve gia precisare in modo sufficiente il contenuto del contratto definitivo
la sue conclusione e non deve richiedere nessuna ulteriore discussione per decidere in ordine agli elementi dell
accordo da sottoscrivere.
Il cc non definisce la tipologia del preliminare parla solo dei requisiti di forma (il contratto preliminare è nullo
se non è fatto nella stessa forma che la legge prevede per il definitivo) e di tutela dei diritti delle parti (se
l'obbligato a stipulare il contratto definitivo non adempie alla sua obbligazione, l'altra parte può rivolgersi al
giudice affiche questo pronunci una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso; se però si tratta di
contratti che hanno ad oggetto il trasferimento della proprietà di cosa determinata o di un altro diritto, la parte che
intende ottenere il trasferimento con la sentenza deve eseguire la sua prestazione o offrirsi di eseguirla nei modi
di legge)
Il contratto preliminare puo vincolare una parte o ambedue
Se si inadepie ad un contratto preliminare si ha diritto oltre che alla prestazione anche al risarcimento del danno.
La sentenza è possibile se non sia stata esclusa dal titolo ovvero se entrambe le parti abbiano pattuito un
esclusione convenzionale di tale mezzo.
La promessa di vendita di beni immobili deve essere fatta per iscritto
Il contratto preliminare è trascrivibile (es per evitare una successiva alienazione a prezzi+ favorevoli)
Il preliminare trascritto non produce il trasferimento del diritto reale ma anticipa l’opponibilita ai terzi degli
effetti del definitivo fin dalla data della trascrizione del preliminare (l’acquirente è così protetto da eventuali
vendite successive)
Una tale prevalenza non puo durare all’ infinito andrebbe contro la libera circolazione dei beni: quindi l’
operazione deve avvenire entro un anno dalla conclusione tra le parti e entro tre anni dalla trascrizione del
preliminare dopo questo tempo la trascrizione si considera come mai avvenuta
La trascrizione del preliminare è ammessa pure per gli edifici da costruire o in corso di costruzione a condizione
che siano indicati la superficie utile dell edificio e la quota del diritto spettante al promissario acquirente relativa
all’intero costruendo edificio espressa in millesimi
L’opzione
Con il contratto di opzione le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria proposta e l’altra
abbia facoltà di accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile. In
sostanza una delle parti si vincola a tenere ferma la propria proposta per un determinato periodo di tempo, mentre
l'altra parte è libera di decidere, entro lo stesso periodo, se accettare o meno. In caso di accettazione, il contratto si
conclude. L'opzione, non va confusa con il contratto preliminare che e un contratto reciproco e non va confusa
con la prelazione con cui una parte si impegna a preferire un benefciario di un patto a parità di condizioni qualora
si stipuli un futuro contratto.
La prelazione
La prelazione è il contratto col quale una parte attribuisce all'altra il diritto ad essere preferito ad altre parti, in
genere a parità di condizioni, nel caso in cui ci si determini a stipulare un determinato contratto.
Ad esempio, Tizio stipula un contratto di prelazione con Caio obbligandosi, nel caso decida di vendere un
immobile di sua proprietà, a cedere il bene a Caio, pur in presenza di altre offerte, e con lo sconto del 10% sulla
più alta tra le offerte stesse. Nulla impone al soggetto che si obbliga di addivenire necessariamente alla stipula del
successivo contratto, ma ove dovesse decidersi, dovrà preferire quale contraente il soggetto con il diritto di
prelazione.
Il soggetto vincolato dalla prelazione deve comunicare se intende o meno esercitare il suo diritto di preferenza.La
prestazione è volontaria se pattuita dalle parti legale se accordata da una norma di legge. (es coeredi hanno il
diritto di prelazione se una parte vuole vendere a terzi per tutelare gli interessi dei coerdei alla comunione
ereditaria) Altro caso di prelazione è quello dello Stato nell’ acquisto dei beni culturali alienati a titolo oneroso.
Spesso, come nel caso dell'opzione, l'accordo di prelazione viene inserito quale clausola all'interno di un diverso
contratto.
In caso di inadempineto del patto di prelazione, il soggetto obbligato sarà tenuto al risarcimento dei danni a colui
che ha il diritto di prelazione mentre il terzo non corre rischi ha acquistato in modo efficace la sua titolarietà
L’OGGETTO DEL CONTRATTO
L’oggetto del contratto deve essere possibile lecito determinato o determinabile
La norma non prevede una definizione di oggetto cioè ha dato diverse letture:
a) l’oggetto sono le prestazioni
b) l’oggetto è il bene dovuto
c) l’oggetto è il contenuto del contratto
Aldilà delle letture passiamo ai requisiti dell’ oggetto esso deve essere:
possibile cioè suscettibile di esecuzione (es. non si puo consegnare una cosa inesistente) e và applicata
in se per se non in relazione al soggetto (è possibile dare una somma di denaro quand’anche chi deve
fornirla sia privo di mezzi)
lecito l’oggetto del contratto è illecito quando la prestazione e contraria all’ordine pubblico e al buon
costume
determinato e determinabile occorre che sia chiaro a che cosa le parti si impegnino (non è valida la
vendita di un appartamento tra i molti che fanno parte di un edificio)
La legge ammette che il contratto possa avere per oggetto cose future se ciò non è vietato dalla legge
Le parti possono stablire che l‘oggetto della prestazione sia determinato da un terzo (es possono stabilire
che il prezzo della cosa oggetto della vendita sia fissato da uno stimatore esperto)
Questa persona si chiama arbitratore (da non confondere con arbitro che è il privato a cui le parti
affidano la risoluzione di una controversia tra loro insorta invece che sottoporla ai giudici di stato e la
sua attivita si chiama arbitraggio)
Le parti possono rivolgersi al giudice se la determinazione dell’arbitratore e iniqua o erronea oppure
rimettersi al mero arbitrio dell’arbitratore ma in questo caso possono impugnare la determinazione solo
se si riesca a provare la sua malafede (es si e fatto corrompere da una delle parti)
Se l’arbitratore non provvede le parti non possono chiamare in causa il giudice ma possono di pari
accordo sostituirlo con un altra arbitratore altrimenti il contratto è nullo.
LA CAUSA DEL CONTRATTO
Elemento essenziale di ogni negozio giuridico è la sua causa.
Ogni negozio deve avere la sua causa perchè ad ogni negozio deve corrispondere uno scopo socialmente
apprezzabile.
In primo luogo si parla di causa dell’obbligazione per indicare “il titolo” da cui il debito deriva, la sua “fonte” e
ovviamente il riferimento ad un attribuzione patrimoniale.
Quindi la causale ha importanza ove l’autonomia dei privati può influire sul contenuto non ha quindi importanza
per il patrimonio l’adozione ec.
Quando il contenuto del negozio dipende dalla libera scelta del privato è necessario che gli effetti
complessivamente perseguiti siano giustificati dal punto di vista dell’ ordinamento giuridico
L’esigenza della causa lecita indica la necessità che siano leciti non soltanto i singoli effetti perseguiti (es.
trasferimento di una proprietà), ma soprattutto la loro combinazione, cioè non sempre un certo risultato può
realizzarsi solo perché voluto e promesso: un “nudo” consenso non è sufficiente per dare luogo ad effetti
giuridici.(es generica promessa di mantenere un parente povero)
In parole povere le promesse che le parti si scambiano non hanno valore se le parti non ne potranno pretendere
l’esecuzione coattiva agendo in giudizio.
Và comunque verificato il controllo e l’esistenza della liceità della causa ad es. se mi assicuro per incendio
quando sò che la mia macchina è gia bruciata in questo caso il contratto è nullo per assenza della causa e xchè
non ha giustificazione l’assicurazione per un danno gia verificatosi
Per i contratti tipici, che sono quelli disciplinati specificatamente dal legislatore (compravendita, locazione…),
l’esistenza e la liceità della causa è già valutata positivamente in linea di principio.
Per i contratti atipici, che sono quelli che la pratica pone in essere pur in assenza di uno schema legislativo, essi
sono meritevoli di tutela se diretti a realizzarla secondo l'ordinamento giuridico.
Una categoria di contratti atipici sono i contratti misti la cui causa è costituita dalla fusione delle cause di due o
piu contratti tipici es. se vendo ad un prezzo irrisorio una casa la vendita è esclusa e dobbiamo vedere se siamo di
fronte ad un contratto misto o ad una donazione o ad es una locazione dove dietro corrispettivo lavo anche la
biancheria e do il cibo quindi e come stesse in pensione contratto atipico)
Ai contratti atipici si applica la disciplina in cui il contratto ha funzione prevalente (teoria dell’assorbimento)
Vi sono poi i contratti collegati le parti stipulano negozi che sono preordinati dalle parti per la realizzazione di un
disegno unitario se un contratto non si può produrre anche l’altro viene meno.
Ricordiamo poi il subcontratto che ricorre quando colui che ha stipulato un contratto ne stipula un altro con un
terzo che contiene un regolamento di interessi omogeneo a quello del contratto principale e che dipende da
quest’ultimo es. l’appaltatore che si impegna a costruire una palazzina e che subappalta ad un terzo l’esecuzione
di parte dei lavori
In alcuni negozi, gli effetti si producono prescindendosi dalla causa,la quale resta, per così dire “accantonata.”
Tali negozi sono detti astratti in contrapposizione agli altri che sono detti causali.
Es. la cambiale se firmo delle cambiali che vengono girate ad un terzo non posso esimermi di saldarle eccependo
che la causa non esiste in quanto il prestito non mi è stato erogato. Un altro caso di negozio astratto è la
delegazione pura il delegato non puo sollevare eccezioni relative ai rapporti di valuta e provvista.
Distinguiamo ora, l’astrazione sostanziale da quella processuale.
Nell’astrazione sostanziale il negozio nel suo funzionamento resta svincolato dalla causa (negozio astratto)
Nell’astrazione processuale il negozio è causale: chi agisce per ottenere la prestazione, derivante a suo favore da
siffatto negozio, non ha l’onere di dimostrare l’esistenza e la liceità della causa, ma chi è chiamato in giudizio
deve provarne l’eventuale mancanza o l’illiceità, se vuol sottrarsi alla condanna. La legge prevede l’astrazione
processuale a proposito della promessa di pagamento e della ricognizione di debito: basta dimostrare che vi è
stata questa promessa, perché colui, a cui favore la dichiarazione è stata fatta, sia dispensato dall’onere di provare
il rapporto che giustifica la promessa o il riconoscimento
La causa può mancare fin dall’ origine
Difetto genetico della causa: Nei negozi tipici la causa esiste sempre perché il legislatore l’ha prevista nel dettare
le regole di quel determinato tipo di contratto. Essa può, peraltro, mancare quando, per la situazione in cui
dovrebbe operare, il negozio non può esplicare la sua funzione. Se compro una cosa che è già mia (supponendo
che non si sappia che ma appartiene,), il negozio non può realizzare il risultato di trasferirmi la proprietà di una
cosa che è già di mia proprietà, e, se io ho pagato il prezzo, ho diritto a riaverlo, perché, altrimenti, l’attribuzione
patrimoniale non avrebbe giustificazione, sarebbe senza causa. La mancanza originaria della causa produce la
nullita del negozio.Nei negozi atipici la causa manca, quando il negozio non è diretto a realizzare interessi
meritevoli di tutela
Può darsi che la causa manchi originariamente solo in parte (difetto genetico parziale della causa). Ciò può
avvenire nei contratti a prestazioni corrispettive, nei quali al sacrificio patrimoniale di una parte fa riscontro
quello dell’altra (es. vendita, nella quale il venditore trasferisce la cosa e il compratore paga il prezzo). Perché la
causa debba ritenersi in parte mancante basterebbe che le due prestazioni non siano equivalenti: ma, per la
sicurezza delle contrattazioni, la legge attribuisce rilevanza al difetto di causa solo se lo squilibrio tra la
prestazione di una parte e il corrispettivo assuma proporzioni inique o notevoli. E sia frutto del perturbamento
della volonta di una delle parti (contratto concluso in stato di pericolo o bisogno in questo caso il contratto viene
viene rescisso. Possono sopravvenire circostanze che impediscono alla causa di funzionare (difetto sopravvenuto
o funzionale della causa). Es. compro una merce con pagamento a termine e sopraggiunge una svalutazione
monetaria lo scambio diviene imperfetto perché una delle prestazioni diventa sproporzionata rispetto all altra.
In tutti i casi impossibilità sopravvenuta o di eccessiva onerosità sopravvenuta il contratto non è nullo, ma la parte
può agire per la risoluzione del contratto e così sciogliersi dal vincolo.
La causa è illecita quando è contraria alla legge e all’ordine pubblico (cd negozio illegale) e al buon
costume (cd negozio immorale)
Buon costume: principi etici che costituiscono la morale sociale in quanto ad essi uniforma il suo comportaento la
generalità delle persone oneste corrette di buona fede e di sani principi in un determinato ambiente e in una
determinata epoca
L’illiceità della causa produce la nullità del negozio
Se è stata eseguita una prestazione in esecuzione di un negozio avente causa illecita, essendo il negozio nullo,
chi l’ha eseguita avrebbe diritto ad ottenere la restituzione di ciò che ha dato (ripetizione dell’indebito). Invece, la
ripetizione non è sempre ammessa. Bisogna tener presente a riguardo che l’immoralità può essere unilaterale o
bilaterale: se per liberare una persona a me cara che è stata sequestrata, pago la somma richiesta, non commetto
un’azione immorale; l’immoralità è solo dalla parte dei banditi ed in questo caso il diritto di chiedere la
restituzione di quanto sia stato pagato è ovviamente riconosciuto all’interessato. Tale diritto, invece, deve essere
negato se il pagamento deve considerarsi immorale anche in relazione a chi effettua la prestazione (es. di colui
che dà danaro per corrompere un pubblico funzionario).
Il motivo che spinge un soggetto a porre in essere un negozio giuridico è lo scopo pratico, individuale, da lui
perseguito e che lo “motiva” al compimento dell’atto e non viene comunicato alla controparte; ed anche se le
viene comunicato rimane per questa del tutto indifferente (motivi giuridicamente irrilevanti). Compro una casa
per me o per rivenderla. I motivi diventano rilevanti quando la loro realizzazione divenga espressamente oggetto
di un patto contrattuale: ad es. acquisto il terreno a condizione di potervi edificare questo determinato tipo di
edificio e quindi il contratto diventerà efficace solo se il comune competente rilascerà una concessione ad
aedificandum conforme ai miei scopi. Perché il contratto sia colpito da nullità per illeceità (il contratto è illecito
quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe)
occorre: che l’accordo abbia per entrambe le parti lo stesso motivo e che esso sia illecito; (contrario al buon
costume (ti dò la mia casa per farne casa di appuntamenti). Il motivo illecito comune deve essere stato esclusivo e
quindi determinante del consenso.(ti do la mia cassetta di sicurezza per farti nascondere della refurtiva)
Con il negozio contrario alla legge le parti mirano direttamente ad un risultato vietato;
invece, il negozio in frode, ha luogo quando il contratto pur rispettando la lettera della legge costituisce il mezzo
per eludere l’applicazione di una norma imperativa e cioè per raggiungere un risultato praticamente equivalente a
quello vietato (es. inserendo apposite clausole in un contratto tipico)
Spesso è necessaria una sequenza di atti coordinati per ottenere un risultato equivalente a quello vietato dalla
norma imperativa.La frode alla legge costituisce un vizio della causa dell’atto, che si concreta in un abuso della
funzione strumentale tipica del negozio: questo viene impiegato per un fine che contrasta con la funzione sociale
(causa) che gli è propria. La frode alla legge si distingue dalla frode ai creditori che è diretta a danneggiare
costoro, stru,ento di difesa è l’azione revocatoria. Il negozio in frode alla legge si distingue anche dal negozio
simulato: la simulazione consiste nel dichiarare ufficialmente cosa diversa da quella realmente voluta; nel
negozio in frode alla legge, invece, la dichiarazione negoziale è effettivamente voluta, ma ha una particolare
finalità antigiuridica; eludere le disposizioni di una norma imperativa.
Simulazione fraudolenta: per eludere norme imperative di legge ad es. vendita per attuare in modo mascherato
una donazione ad un pubblico funzionario che è vietata dalla legge.
Differenza Causa e Oggetto:
Causa valutazione complessiva dello scambio Oggetto si rivolge alle singole prestazioni
L’INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO
L’interpretazione del contratto è volta a determinare quali effetti il negozio sia idoneo a produrre
(e non la volontà delle parti che può essere divergente non riconoscibile o irrilevante)
Le regole di interpretazione si distinguono in due gruppi:
a) regole di interpretazione soggettiva, quelle che sono dirette a ricercare il punto di vista dei
soggetti del negozio.
b) regole di interpretazione oggettiva, che intervengono quando non riesca possibile attribuire un
senso al negozio nonostante il ricorso alle norme di interpretazione soggettiva
Il punto di riferimento dell’attività dell’interprete deve essere il testo della dichiarazione negoziale: ma
non ci si deve limitare al senso letterale delle parole occorre invece ricercare quale sia stato il risultato
perseguito con il compimento dell’atto, e, quando si tratti di un contratto, quale sia stata “la comune
intenzione delle parti”, ossia il significato che entrambe attribuivano all’accordo.
In materia di interpretazione del contratto vale comunque la teroia dell’affidamento : esso deve essere
interpretato secondo buona fede
Valgono ancora come sussidiari i seguenti principi:
a) gli usi interpretativi ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso o,
se una delle parti è un imprenditore, nel luogo in cui si trova la sede dell’impresa;
b) la regola secondo cui le espressioni che possono avere più sensi devono, nel dubbio, essere intese
in quello più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto
c) la clausola predisposta da una delle parti nelle condizioni generali di contratto o in moduli o
formulari, nel dubbio si interpreta contro chi ha predisposto la clausola
Se nonostante il ricorso alle regole il contratto non risulti chiaro si applica il
principio della conservazione del negozio:ovvero nel dubbio il negozio deve interpretarsi nel senso in
cui esso possa avere qualche effetto anziche in quello secondo cui non ne avrebbe alcuno.
Vi è da ultimo una regola finale che si applica quando tutte le altre si siano dimostrate inefficienti:
l’art.1371 c.c. stabilisce che il negozio deve essere inteso nel senso meno gravoso per l’obbligato, se è a
titolo gratuito, e nel senso che esso realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti, se è a
titolo oneroso.
GLI EFFETTI DEL CONTRATTO
Si dice che il contratto ha forza di legge in quanto le parti, dal momento in cui esso si perfeziona, sono obbligate
ad osservarlo (prima sono libere o meno di addivenire). Le parti sono libere con un atto di comune volontà di
sciogliere o modificare il contratto (cd mutuo consenso delle parti)
Il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne
derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità.
Il recesso (diritto di liberarsi degli obblighi assunti con il contratto) è amissibile soltanto quando attribuito dalla
legge o da un apposito patto tra le parti (recesso convenzionale) esso deve essere esercitato prima che abbia
inizio l’esecuzione del contratto.
Spesso un diritto di recesso è attribuito ad una parte a fronte di un corrispettivo, rappresentato di solito da una
somma di danaro.(es. la caparra per un viaggio che si consegna nel caso si voglia recedere ovviamente e salvo
patto contrario).
Talvolta è la stessa legge che attribuisce ad una della parti il diritto di recedere da un contratto ove si verifichino
determinati presupposti (es. nei contratti a tempo indeterminato è normale che ciascuna parte possa liberamente
recedere salvo l’onere di dare all’altra parte un congruo preavviso).
A volte la legge permette ad una parte di recedere in qualsiasi momento all’altra solo per giusta causa (es.
contratto di lavoro a tepo indeterminato)
Diverso dal recesso è la disdetta di un contratto per il quale sia previsto un automatico rinnovo alla scadenza (es.
locazioni il contratto si rinnova automaticamente a meno che una parte intimi disdetta)
La legislazione permette la rescissione del contratto se ad. Esempio le modalità di conclusione del contratto
stesso siano state tali da impedirgli una valutazione adeguataente ponderata (es. vendite porta a porta o contratti
negoziati fuori dai locali commerciali)
Per stabilire quali effetti un negozio è idoneo a produrre occorre non soltanto averlo interpretato a anche aver
proceduto alla qualificazione dell’atto e l’integrazione dei suoi effetti
Qualificazione ovvero che sia inserito sotto la fattispecie legale appropriata
Integrazione ovvero la verifica che siano applicate le eventuali norme dispositive gli usi el’equità.
L’integrazione risolve anche i problei delle eventuali lacune del diritto che possono essere colate da nore
dispositive: es. il corrispettivo può essere determinato dal giudice applicando usi ed equità
La legge interviene non solo con funzione integratrice della volontà privata, ma pure con funzione imperativa,
che annulla ogni contraria pattuizione dei privati. (es. giudice che decide secondo equita’)
Quindi importante è l’intervento legislativo che impone clausole o prezzi che si sostituiscono a quelli pattuiti dai
contraenti un tempo vi era la fissazione autoritativa di alcuni prezzi (giornali benzina) oggi si tende alla
liberalizzazione ma vi sono ancora casi in cui vi sia l’intervento legislativo per fissare un prezzo massimo e nel
caso in cui un terzo abbia pagato un prezzo superiore a quello massimo non ha la nullità del suo contratto ma ha il
diritto di richiederne restituzione o di rifiutare il pagamento se ancora non corrisposto
Infine va ricordato che il principio fondamentale in tema di esecuzione del contratto, come in tema di
interpretazione, deve essere il rispetto della buona fede.
Gli effetti del contratto sono limitati alle parti: esso non può di regola né danneggiare né giovare al terzo Se ti
prometto che un terzo assumerà il tuo debito o svolgerà una determinata attività a tuo favore, il terzo è
naturalmente libero di compiere o meno quanto io ho promesso: obbligato sono soltanto io a persuadere il terzo a
fare quanto ho promesso. Se il terzo non aderisce alle mie premure, l’unica conseguenza della promessa
dell’obbligazione sarà che io dovrò indennizzare colui a cui ho fatto la promessa, anche quando mi sia adoperato
con ogni mezzo per indurre il terzo
L’art.1411 c.c. ammette in via generale la figura del contratto con cui la volontà delle parti sia di attibuire
diritti ad un terzo , subordinandone la validità soltanto alla condizione che lo stipulante abbia un interesse,
anche se solamente morale, all’attribuzione di tale vantaggio al terzo.
Perché si abbia un contratto a favore di terzi è indispensabile l’attribuzione al terzo della titolarità di un diritto a
poter pretendere l’esecuzione di una prestazione: con la conseguenza che il terzo, occorrendo, potrà agire in
giudizio contro l’obbligato, indipendentemente dalle iniziative e dal comportamento dello stipulante.
Il promittente può porre al terzo le eccezioni fondate sul contratto dal quale il terzo deriva il suo diritto, ma non
quelle fondate su altri rapporti tra promittente e stipulante.
Figure particolari di contratti a favore del terzo sono costituite dal contratto di assicurazione sulla vita a favore
del terzo, dal contratto di trasporto di cose (il contratto è tra mittente e vettore ma genera diritti a favore del
destinatario)
La disciplina fondamentale a favore del terzo è:
a)
il terzo acquista il diritto verso chi ha fatto la promessa, fin dal momento della stipulazione del contratto a
suo favore ma questo acquisto non è definitivo perché non può negarsi al terzo la facoltà di rinunziare al
beneficio: è giusto che anche lo stipulante possa revocare o modificare la stipulazione a favore del terzo. Solo
quando il terzo, esercitando il potere attribuitogli dalla legge, dichiari di volerne approfittare, la facoltà di revoca
o di modificazioni è preclusa se però la prestazione deve eseguirsi dopo la morte dello stipulante, (es
assicurazione sulla vita) la revoca è sempre possibile,.
b)
causa dell’acquisto del diritto a favore del terzo è il contratto a suo favore: perciò chi ha promesso la
prestazione può opporre al terzo tutte le eccezioni fondate su questo contratto.
I contratti ad effetti reali e ad effetti obbligatori
I contratti possono essere ad effetti reali se determinano la trasmissione o la costituzione di un diritto reale e ad
effetti obbligatori quando danno luogo alla nascita di un rapporto obbligatorio
I principi fissati dalla legge sono:
a) se si tratta di cosa determinata, la proprietà passa per effetto del consenso manifestato nelle forme di legge:
se si tratta di immobili, basta che le parti abbiano firmato il contratto; se si tratta di mobili, basta che le parti
abbiano raggiunto, anche verbalmente, l’accordo; (non è necessario consegna passaggio ecc.
b) se si tratta di cose determinate solo nel genere (cose generiche o fungibili), la proprietà si trasmette con
l’individuazione delle cose mediante pesatura o misurazione quindi dato che non è possibile identificare prima
pesatura o misurazione ne consegue che il contratto che ha ad oggetto cose identificate solo nel genus è un
contratto ad effetti obbligatori (mi obbligo ad adempiere a quanto concordato e non reali)
c)
Se l’oggetto del trasferimento è una determinata massa di cose (ti vendo non tanto quintali di vino, ma
tutto il vino della mia cantina), è chiaro che non c’è bisogno di individuazione: perciò la proprietà si trasmette per
il semplice consenso
Se una persona concede lo stesso diritto prima ad A e poi con un successivo contratto a B, tra A e B, dovrebbe
essere preferito colui a cui il diritto è stato concesso per primo.
In ogni caso, il contraente che viene sacrificato ha diritto al risarcimento dei danni verso l’altra parte, la quale,
attribuendo lo stesso diritto ad altri, ha violato il contratto (una volta che il titolare si è spogliato del diritto non
puo più disporne a favore di altri)
Se taluno, con successivi contratti aliena a più persone un bene mobile non registrato, quella tra esse che ne ha
acquistato in buona fede il possesso, è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore.
Se il conflitto riguarda diritti reali ed alcuni diritti personali su beni immobili o mobili registrati, si applicano le
regole della trascrizione.
Se il diritto di utilizzare lo stesso bene (es. loco un immobile ad A e B) è stato concesso a più persone, tra i vari
aventi diritto è preferito chi per primo ha conseguito il godimento della cosa; se nessuno ha conseguito tale
godimento, si applica la regola generale: la preferenza spetta a colui che può dimostrare di aver concluso il
contratto in data anteriore.
LA PENALE E LA CAPARRA
In caso di inadempimento, il creditore ha diritto, come sappiamo, ad essere risarcito dei danni subìti ma ha
l’onere di provare il danno cosa che spesso non è semplice e richiede molto tempo e spese perciò le parti possono
stabilire nel contratto una clausola con cui stabiliscono ex ante, quanto il debitore dovrà pagare, a titolo di penale,
ove dovesse rendersi inadempiente. In tal caso la parte inadempiente è tenuta a pagare la penale stabilita, senza
che il creditore debba dare la prova di aver subìto effettivamente un danno di misura corrispondente: e perciò si
dice che tale clausola penale contiene una liquidazione convenzionale anticipata del danno.
E’ chiara la funzione della penale dato che chi dovrà corrispondere l’intera cifra in caso di inadempienza sarà
sollecitato a non rendersi inadempiente ed a portare a conclusione il contratto.
Il creditore non può richiedere più di quanto previsto dalla penale nemmeno se il danno risulti maggiore
(ovviamente le parti sono libere di prevedere nel contratto anche il risarcimento del maggior danno)
La penale può essere prevista sia per inadempimento assoluto dove il creditore, se pretende la penale, non può più
pretendere la prestazione principale, che per il semplice ritardo dove può pretendere sia la penale che la
prestazione contrattualmente prevista. Il giudice può ridurre l’ammontare della penale ove la ritenga eccessiva
oppure se il debitore abbia eseguito almeno in parte la prestazione dovuta.
La clausola penale non và confusa con la caparra la penale è fonte di un obbligazione mentre la caparra è
l’effettiva consegna di un quantum di denaro o cose fungibili
La caparra: il c.c. disciplina due tipi di caparra:
La caparra confirmatoria
Si provvede a consegnare all’altra parte, nel momento stesso del perfezionamento dell’accordo, una somma di
danaro o una quantità di cose fungibili. La caparra, una volta eseguito il contratto, deve essere restituita o
trattenuta a titolo di acconto sul prezzo.
Se la parte che ha dato la caparra si rende inadempiente l’altra parte può trattenerla e chiedere l'esecuzione del
contratto o il risarcimento del danno subito oppure recedere dal contratto tenendo comunque la caparra.
Se la parte che ha ricevuto la caparra si rende inadempiente l’altra parte può chiedere l'esecuzione del contratto o
il risarcimento del danno subito o recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.
La caparra penitenziale
La somma versata a titolo di caparra ha solo la funzione di corrispettivo di un diritto di recesso che le parti
possono riservarsi.: vale a dire che chi ha versato la caparra può rinunciarvi ed il contratto è sciolto, senza che la
controparte possa pretendere altro (esecuzione del contratto o risarcimento dei danni) parimenti chi ha ricevuto la
caparra può recedere dal contratto restituendo il doppio della caparra ricevuta.
LA CESSIONE DEL CONTRATTO
L’appaltatore ha l’obbligo di eseguire l’opera ed è creditore del corrispettivo
Si ha cessione di un contratto quando una parte (il cedente) di un contratto originario, purchè a prestazioni
corrispettive da ambo le parti non ancora eseguite, stipula con un terzo (il cessionario) un nuovo contratto (di
cessione), con il quale cedente e cessionario si accordano per trasferire a quest’ultimo il contratto (originario),
ossia tutti i rapporti attivi e passivi determinati dal contratto ceduto verso il contraente (ceduto).Il consenso alla
cessione da parte del contraente ceduto può essere dato anche in via preventiva: in tal caso la cessione del
contratto diventa efficace con la semplice notificazione al ceduto dell’accordo di cessione tra cedente e
cessionario. Per effetto della cessione il cedente è liberato dalle sue obbligazioni verso il contraente ceduto e non
è neppure responsabile verso quest’ultimo dell’eventuale inadempimento contrattuale da parte del cessionario.. Se
il ceduto vuole evitare questa conseguenza, deve dichiarare espressamente che con il suo consenso alla cessione
non intende liberare il cedente: in tal caso quest’ultimo risponde in proprio qualora il cessionario si renda
inadempiente agli obblighi contrattuali assunti. Parimenti il cedente non è responsabile verso il cessionario
qualora il ceduto non adempia agli obblighi derivanti dal contratto ceduto. In ogni caso il cedente è tenuto a
garantire al cessionario esclusivamente la validità del contratto. La cessione del contratto può essere stipulata
senza prevedere alcun corrispettivo a carico dell’uno o dell’altro dei contraenti: in tal caso le parti considerano
equilibrati i rispettivi oneri e vantaggi. Ma la cessione del contratto può anche essere stipulata prevedendo un
corrispettivo o a carico del cessionario e a favore del cedente (pago perché avrò un utile maggiore alla fine dei
lavori xchè mi interessa l’appalto o a carico del cedente e a favore del cessionario.(il cedente teme di non portare
a termine il contratto treaendone un utile quindi paga il cessionario per liberarsi dalla preoccupazione di dover
effettuare dei lavori in perdita) Occorre distinguere la cessione del contratto dal subcontratto o contratto
derivato. Nella cessione si ha sostituzione di un nuovo soggetto ad uno dei contraenti originari e tutti i rapporti
contrattuali restano invariati, nel subcontratto, invece, i rapporti tra i contraenti originari continuano a sussistere,
ma accanto ad essi si creano nuovi rapporti tra uno dei contraenti originari ed un terzo
Es. tra subconduttore e inquilino c’è rapporto diverso e canone diverso che tra inquilino e locatore
GLI ELEMENTI ACCIDENTALI DEL CONTRATTO
LA CONDIZIONE
La condizione è un avvenimento futuro e incerto dal quale le parti fanno dipendere o la produzione
degli effetti del negozio (condizione sospensiva) o l’eliminazione degli effetti che il negozio ha già
prodotto (condizione risolutiva).
Es. condizione sospensiva mi impegno a comprare il tuo fondo se entro un anno il comune mi
permettera’ di costruirci
Se alieno il bene durante il periodo in cui vigeva la condizione sospensiva la vendita è valida in quanto
ritenuta fatta da chi era proprietario e poteva disporre dell’immobile (cd retroattività reale)
Es. condizione risolutiva compro il tuo fondo subito ma se entro un anno il comune non mi perettera’ di
costruirci il contratto sara’ nullo
L’apposizione della condizione è inopponibile per il matrimonio e tutti i negozi di diritto familiare
La condizione è casuale se dipende dal caso (se la nave giunge in Asia) potestativa se dipende dalla
volontà di una delle parti mista se dipende da entrambe.
La condizione è illecita quando è contraria a norme imperative all’ordine pubblico e al buon costume
(es. illecito è il testatore che dichiari di lasciare l’eridità ad una persona a patto che ne sposi un'altra)
La condizione è impossibile se consiste in un avvenimento irrealizzabile dal punto di vista naturale
(toccare il cielo con un dito) o giuridico (se sposerai tua sorella)
La condizione si dice avverata quando si verifica l’evento dedotto (la nave giunge in Asia) e a questo
punto si producono tutte le conseguenze del negozio
TERMINE
Il termine consiste in un avvenimento futuro e certo dal quale o fino al quale debbano prodursi gli effetti
del negozio.
Si divide in determinato (il cinque agosto dell’ottanta) e indeterminato (il giorno della mia morte)
Alcuni negozi non tollerano l’apposizione di termini ad esempio il matrionio
Il negozio con termine rimesso alla volontà del debitore è valido spetterà al giudice fissare il momento
in cui il negozio comincerà ad avere efficacia
In relazione al termine si distinguono due momenti: pendenza e scadenza
Durante la pendenza il diritto non può essere esercitato ma un conto è ricevere una somma oggi un conto
è tra un anno quindi il debitore se ignorava l’esistenza del termine può chiedere di essere rimborsato del
vantaggio che ha ricevuto l’altra parte per aver ottenuto prima la prestazione.
Con la scedenza cessano gli effetti del contratto senza valore retroattivo.
MODO
Il modo od onere è una clausola accessoria che si appone ad una liberalità (erede, legato) allo scopo di
limitarla imponendo un determinato dovere di condotta o di astensione a carico del beneficiario della
liberalità. Dobbiamo distinguere tra questo onere e il comportamento che la parte deve tenere per
conseguire un effetto giuridico (es. onere di comunicare il prodotto viziato entro otto giorni.)
La limitazione può consistere in un obbligo in dare (ti istituisco erede se darai ogni anno una somma in
beneficenza) di fare (ti dono un immobile se costruirai un ospedale nel mio paese) o di non fare (ti lascio
un terreno se non vi costruirai)
Quindi il modo si può appore ai negozi a titolo gratuito
Il modo si distingue dalla raccomandazione che è un semplice dovere morale
Il modo si differenzia dalla condizione sospensiva in quanto questa non produce un obbligo ovvero ti
dono un milione di euro se costruisci un ospizio sei libero o meno di costruire l’ospizio ma avrai il
milione se lo farai.
La risoluzione ha luogo quando il modo ha assunto un tale rilievo per cui la risoluzione è prevista
nell’atto come conseguenza dell’inadempimento.
LA MANCANZA DI VOLONTA’ E LA SIMULAZIONE
E’ un classico problema del negozio giuridico quello in cui una dichiarazione esteriorizzata non
corrisponda ad un effettiva volontà del dichiarante.
E’ applicando la teoria dell’affidamento che si risolvono i casi di mancanza di volontà o di divergenza
tra volontà e dichiarazione.
Dobbiamo distinguere le dichiarazioni fatte nello scherzo, ossia in condizioni tali che ciascuno intenda
che non si agisce sul serio; e le dichiarazioni fatte per ischerzo, ossia con intenzione non seria, senza,
però, che ciò risulti all’altra parte. Nella prima il negozio è nullo, nella seconda è valido se la
controparte non poteva avvedersi dello scherzo
La riserva mentale consiste nel dichiarare intenzionalmente cosa diversa da quel che si vuole
effettivamente, senza che l’altra parte sia in condizione di scoprire la divergenza. E, siccome chi riceve
la dichiarazione non è tenuto ad indagare sulle reali intenzioni del dichiarante, questo rimane vincolato
dagli atti del negozio giuridico.
La violenza fisica si ha quando manca del tutto la volontà; la violenza psichica, invece, consiste in una
minaccia che fa deviare la volontà inducendo il soggetto ad emettere una dichiarazione che, senza la
minaccia, non avrebbe emesso. Il negozio concluso per violenza fisica è nullo.
LA SIMULAZIONE
Si considera “simulato” un contratto quando le parti ne documentano la stipulazione, al fine di poterlo
invocare di fronte ai terzi, ma sono tra loro d’accordo che gli effetti previsti dall’atto simulato non si
devono verificare.
Così, la situazione giuridica che dovrebbe essere effetto del contratto è solo apparente, mentre la
situazione giuridica reale rimane quella anteriore all’atto.
(es per sfuggire ai creditori fingo una vendita essa è reale per la legislazione ma non ha effetti per il
terzo che non acquista la proprietà né è tenuto a pagarne il prezzo)
La divergenza tra la dichiarazione e la reale volontà delle parti non soltanto è consapevole ma è
addirittura concordata. Lo scopo per cui le parti ricorrono alla simulazione si chiama causa simulandi.
Essa può avvenire per cause fraudolente (evadere il fisco) o anche per ragioni di riservatezza (voglio
regalare una cosa non voglio che si sappia allora simulo una vendita ).
Occorre quindi tener presente due piani la volontà delle parti di porre in essere un contratto che attesti
una determinata situazione giuridica e l’accordo riservato in forza del quale le parti considerino
inefficace il suddetto accordo.
simulazione
assoluta
simulazione
relativa
le parti vogliono solo fingere di porre in essere un contratto ma non vogliono nessuno
come nel caso in cui si finge di vendere una casa ma questa rimane di proprietà del finto
venditore. Il contratto simulato non ha effetto tra le parti
le parti fingono di stipulare un contratto mentre, in realtà ne pongono in essere un altro:
si simula di vendere una casa, ma questa viene donata al finto acquirente. In questo caso
vale il negozio dissimulato, cioè la donazione, mentre non ha effetto la finta vendita
La simulazione si dice assoluta se le parti si limitano ad escludere la rilevanza, nei loro rapporti, del
contratto apparentemente simulato; Il negozio simulato non produce effetto tra le parti.
Se davanti al giudice dimostro che Tizio era d’accordo con me quindi richiedo un azione di
accertamento la giurisprudenza qualificherà il contratto come nullo.
Si dice invece relativa qualora le parti concordino che nei loro rapporti interni assuma rilevanza un
diverso negozio, che si dice dissimulato
Se la simulazione è relativa, il contratto simulato non può produrre effetti tra le parti in quanto queste si
sono accordate perché non si verifichino ma produce gli effetti richiesti dal contratto dissimulato.
Es. voglio vendere gratuitamente ma non voglio farlo sapere trattasi di simulazione relativa
(o dissimulata) invece simulo per frodare la legge trattasi di simulazione assoluta.
La simulazione relativa può essere oggettiva o soggettiva, a seconda che il negozio dissimulato
differisca da quello simulato per quanto riguarda l’oggetto dell’atto, (es. dichiarazione di un prezzo
inferiore per versare meno imposte) o il soggetto come nell’ interposizione fittizia di persona che è la
figura più importante di simulazione relativa essa ricorre quando il contratto simulato in accordo con
l’alienante viene stipulato tra Tizio e Caio, ma entrambi sono d’accordo con Sempronio che, in realtà,
gli effetti dell’atto si verificheranno nei confronti di quest’ultimo. (es. Sempronio che vuole acquistare
un immobile per sfuggire ai creditori effettua un acquisto simulato in cui risulta Caio (cd prestanome)
ad aver acquistato l’immobile da Tizio.
L’interposizione fittizia di persona si distingue dall’interposizione reale dove l’alienante non partecipa
agli accordi tra acquirente (persona interposta) e terzo, cosicchè l’alienazione non è simulata, ma
realmente voluta e gli effetti dell’atto si producono regolarmente in capo all’acquirente, restando
indifferente per l’alienante che quest’ultimo non intende acquistare per sé, ma per conto di un terzo, con
cui l’alienante non entra in rapporto e verso il quale né assume obblighi né acquista diritti.
L’azione tendente all’accertamento della simulazione è imprescrittibile mentre le azioni volte ad
ottenere l’adempiento del contratto dissimulato sono suscettibili di prescrizione.
Le parti del contratto simulato possono darne prova con ogni mezzo compresi testimoni e presunzioni
(es. in caso di vendita che essa si avvenuta tra persone in stretta confidenza o che l’acquirente non
avesse denaro sufficiente per la transazione).
I terzi estranei al contratto simulato, se ne sono pregiudicati, possono farne accertare la nullità. (es. eredi
che vogliono dimostrare la simulazione di una vendita che celava una donazione lesiva dei loro diritti in
quanto legittimari)
L’art.1415.1 c.c. dispone che la simulazione non può essere opposta né dalle parti contraenti né dagli
aventi causa o dai creditori del simulato alienante, ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal
titolare apparente. (es. stò in affitto da chi ha simulato l’acquisto)
Per quanto riguarda l’onere della prova della buona fede, si applica il principio dell’art.1147 c.c., in base
al quale la buona fede si presume. Perciò spetta a chi vuole opporre la simulazione fornire la prova che
il terzo acquirente è in mala fede.
È importante chiarire che il terzo non solo è chi ha acquistato a titolo oneroso, ma anche chi ha
acquistato a titolo gratuito.
terzi che sono
sono gli aventi causa del simulato alienante (del finto venditore) come i suoi eredi; questi,
pregiudicati
senza limitazione di mezzi di prova, possono far valere la realtà sulla finzione che appare
dalla
dal contratto simulato
simulazione
sono coloro che in base al contratto simulato hanno acquistato diritti dal finto acquirente
terzi che hanno del bene; in questo caso bisogna distinguere:
1. acquisto dei terzi avvenuto in buona fede: l'acquisto è fatto salvo nonostante che il
acquistato diritti
negozio da cui i terzi derivano il loro diritto sia solo simulato;
dal titolare
2. acquisto dei terzi avvenuto in mala fede: in tal caso i terzi sapevano della simulazione ed
apparente
il loro acquisto non può essere opposto a coloro, parti o aventi causa, che intendono far
valere la realtà sull'apparenza del contratto simulato
Un discorso a parte deve essere fatto in merito agli effetti della simulazione nei confronti dei creditori delle parti;
ne avremo, infatti, due categorie:
i creditori del simulato alienante che avranno tutto l'interesse a far valere la simulazione poiché vogliono far
tornare nel patrimonio del loro debitore quello che (apparentemente) ne era uscito per riacquistare una garanzia
reale
i creditori del simulato acquirente che avranno un interesse opposto ai primi in quanto vorranno far
considerare efficace l'atto di acquisto del loro debitore in modo da essere più garantiti vogliono acquistare una
garanzia reale.
I creditori del simulato alienante sono: i creditori di colui che ha finto di vendere, mantre i creditori del
simulato acquirente sono i creditori di colui che ha finto di acquistare!
Potrebbe accadere, infatti, che entrambe le categorie di creditori intendano soddisfarsi sul bene oggetto del
contratto simulato in questo caso prevarranno i creditori del simulato alienante in quanto deve prevalere la realtà
sulla finzione (il bene non è mai uscito dal patrimonio del loro debitore) ma quando il loro credito è sorto dopo la
finta alienazione prevarranno i creditori del simulato acquirente.
Il negozio simulato và distinto da altre situazioni negoziali apparentemente affini
La simulazione non va confusa con:
• La figura dell’intestazione di un bene a norme d’altri ricorre tutte le volte in cui un bene
viene intestato (non simulaneamente) a favore di un soggetto, e i mezzi per il suo acquisto
siano stati forniti da un soggetto diverso. Es. donazione indiretta
• il negozio indiretto quando un determinato effetto giuridico non viene realizzato
direttamente, ma ponendo in essere atti diretti ad altri effetti, ma che con la loro
combinazione realizzano egualmente il risultato perseguito. Es. per estinguere un debito
conferisco al creditore la possibilita di riscuotere un canone di locazione fino a copertura
del debito
La categoria più importante di negozi indiretti è costituita dai c.d. negozi fiduciari cioè quando un
soggetto detto fiduciante, trasferisce (senza corrispettivo), o fa trasferire da un terzo (pagando lui il
correlativo prezzo), ad un fiduciario la titolarità di un bene (mobile), ma con il patto che
l’intestatario utilizzerà il bene esclusivamente in conformità alle istruzioni che il fiduciante gli ha
impartito o si riserva di impartirgli successivaente
Nel negozio fiduciario le parti vogliono che il fiduciario acquisti la titolarieta del bene (al contrario
della simulazione) ma vogliono che al contempo egli non utilizzi questa titolarietà nel proprio
interesse ma nell’ interesse del fiduciante (es. si trasferisce un pacchetto azionario, con l'accordo
che l'acquirente dovrà votare all'assemblea dei soci nel modo indicato dall'alienante.
.Il negozio fiduciario non è regolato dal c.c. ed è valido se non intende perseguire scopi illeciti.
L'istituto della fiducia non è regolato nel nostro ordinamento, ma diversamente accade per per
l'ordinamento
anglosassone
dove
esiste
la
figura
del
trust
( fiducia, in italiano) dove una parte detto trustee ( e cioè un amministratore fiduciario), acquista la
proprietà di un bene, che però, essendo stata acquistata per un fine specifico, come ad esempio il
finanziamento di un'attività di ricerca, forma una sorta di bene patrimoniale autonomo rispetto al
patrimonio del trustee, tanto che il beneficiario ha particolari azioni a difesa del suo diritto.
il bene oggetto del trust non entra a far parte del patrimonio del fiduciario, cioè del trustee,
rimanendone distinto.
Differenza tra simulazione e frode alla legge o ai creditori
Nella simulazione l’atto negoziale non è voluto, nella frode sono voluti sia pure con un intento di frode
INVALIDITA’ ED INEFFICACIA DEL CONTRATTO
Differenza fondamentale tra NULLITA’ e ANNULLABILITA’.
NULLITA’= può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse;
ANNULLABILITA’= può essere fatta valere da una delle parti del negozio che è tutelata dalla norma.
Il negozio giuridico è invalido quando, per l’inosservanza dei limiti stessi, il negozio è viziato, difettoso, e
dunque inidoneo ad acquistare pieno ed inattaccabile valore giuridico
L’invalidità può assumere due aspetti distinti: la nullità e l’annullabilità.
E’controversa la categoria dell’inesistenza che sia ha quando un negozio ha una deficienza talmente grave da
ipedirne l’identificazione (es. un matrionio tra due persone dello stesso sesso non è non nullo ma inesistente
questo perché un matrionio nullo produce effetti nella parte in buona fede e verso la prole mentre un atrionio
inesistente non è preso in considerazione neanche nei limitati effetti del matrionio putativo ( ovvero se i coniugi
hanno contratto il matrimonio in buona fede l'annullamento opera soltanto ex nunc, (da ora.). per cui sono fatti
salvi tutti gli effetti nel frattempo prodottisi)
A livello contrattuale il negozio è inesistente quando non sia confrontabile con la fattispecie legale (es. mandami
il carbone ti manderò la pasta richiesta)
Bisogna ricordare che un negozio è valido se è efficace cioè se si realizza la mia dichiarazione di volontà
(acquistare la proprietà del bene)
Però ci sono delle eccezioni:
un negozio valido ma non efficace
Es. ti loco un immobile…. tra un mese, un testamento prima della morte del testatore
Un negozio non valido ma efficace
Es. un contratto annullabile produce comunque i suoi effetti benché si impugnabile e fino a che non venga
annullato
L’atto nullo è invece sempre invalido ed inefficace
LA NULLITA`
Un atto si dice nullo quando và valutato come inidoneo a produrre i suoi effetti tipici.
Il cc qualifica spesso un atto come nullo (matrionio del coniuge di chi è stato erroneaente dichiarato morto
presunto)
La nullità è la piu grave delle sanzioni che possono colpire il negozio perché ne elide gli effetti rendendo vano il
tentativo dei privati di dare una certa sistemazione ai loro interessi (es. se una vendita è nulla il copratore non
acquista la proprieta della cosa)
Per affermare la nullità di un negozio occorre individuare la causa che giustifica l’inidoneità dell’atto a produrre i
suoi effetti.
Tali cause possono raggrupparsi in tre categorie:
a) specificazione della nullità contenuta in una norma di legge
b) quando l’atto è contrario alla legge
c) mancanza o vizio di uno degli elementi essenziali del negozio;(es. la forma quando richiesta ad
susbstantiam)
Nel diritto italiano, il Codice Civile afferma che un contratto che richiede la forma ad substantiam
necessita, per essere valido ed efficace, della forma indicata dalla legge.
Il vizio che determina la nullità può riguardare l’intero negozio (nullità totale) o solo una o più clausole dell’atto
(nullità parziale): in quest’ultimo caso l’intero negozio è parimenti travolto dalla nullità se risulta che i contraenti
non l’avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità.
Il negozio nullo non produce alcun effetto giuridico, ma questo non significa che non possa essere eseguito (ad
es. è certamente nullo il contratto con cui un killer si impegna ad ammazzare una persona contro un compenso in
danaro, ma la carenza di qualsiasi effetto giuridico non esclude affatto che quel patto venga tuttavia eseguito)
Dobbiamo anche valuatre che possiamo trovarci di fronte ad un atto valido ed efficace, ma non eseguito (es il mio
fornitore non mi ha recapitato la merce) , e viceversa un atto nullo ed inefficace che può essere stato in toto o in
parte eseguito. (es. il serial killer di cui sopra)
Ciascuna delle parti ha diritto alla restituzione della prestazione eseguita a meno che non si tartti di una
prestazione immorale.
Qualora si voglia chiedere la restituzione di una prestazione effettuata in esecuzione di un atto nullo (ho pagato il
prezzo di un immobile acquistato in forza di un contratto verbale e quindi nullo per vizio di forma) o rifiutare
l’esecuzione di una prestazione, assumendo che sia nullo il negozio che la prevede; è necessario rivolgersi al
giudice per far accertare e dichiarare la nullità del negozio in questione.
L’azione di nullità presenta alcune caratteristiche significative:
a) è imprescrittibile (l’azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione); mentre nel negozio
annullabile la prescrizione è sempre possibile
b) il negozio nullo è insanabile cioè non può essere convalidato, né confermato (ovvero le parti non ne
possono confermare o consolidare gli effetti rinunciando a far valere il vizio che infetta il negozio se esplicassero
di voler effettuare questa rinuncia essa è invalida)
.La convalida non va, confusa con la “conversione” del negozio nullo, né con una “rinnovazione” dell’atto,
effettuata evitando di ricorrere nuovamente nella stessa causa di nullità;
c) l’azione di nullità è di mero accertamento, in quanto la sentenza che accoglie la domanda non modifica la
situazione giuridica preesistente, limitandosi ad accertare, in modo non più controvertibile, che il negozio è nullo;
(il negozio era nullo prima e tale rimane)
d) la legittimazione attiva a far valere la nullità di un negozio è riconosciuta a chiunque vi abbia interesse (la
c.d. assolutezza dell’azione di nullità); (es sia i contraenti sia il fideiussore )
e) la nullità di un atto può essere rilevata d’ufficio dal giudice al contrario di quanto accade per l’annullabilità
ovvero se un negozio viene invocato da una parte in giudizio se ne può dichiarare la nullità anche in assenza di
domanda in tal senso dall’altra parte
la regola si spiega relativamente alla gravità delle nullità questo perché se ad es. paradossalmente potrebbe
avvenire che un giudice si trovi a pronunciare una sentenza che faccia produrre effetti ad un negozio giuridico
(es. una vendita gravata da vizi) se la vendita era relativa ad un immobile abusivo e nessuna delle parti invochi la
nullità della vendita se egli non potesse verificare d’ufficio la nullità si troverebbe a dover denunciare una
sentenza attuativa di una garanzia nascente da un atto nullo.
Il negozio nullo non può, appunto stante la sua nullità, produrre gli effetti per i quali era stato posto in essere. La
legge, però, ammette che, talvolta, possa attuarsi un fenomeno automatico di trasformazione/limitazione di
quanto pattuito, denominato conversione.
Sebbene la conversione si realizzi in casi davvero rari anche perché le parti solitamente sono in lite tra loro
(altrimenti sarebbe più facile una “rinnovazione” dell’atto)
L’art.1424 c.c. ne dichiara a tal fine i seguenti presupposti:
a)
che sia stato stipulato un negozio nullo;
b) che il negozio nullo presenti tutti i requisiti, sia di sostanza che di forma, di un diverso negozio
c)
che sia possibile che le parti, qualora al momento della conclusione del negozio nullo fossero state
consapevoli della nullità, avrebbero allora accettato di concludere, in luogo del primo, quel diverso negozio che
sarebbe stato idoneo a produrre i suoi effetti.
d) che il vizio non comporti l’illeceita’ del contratto
Vi è la conversione che esige un indagine da parte del giudice sulla volontà delle parti (es. una servitù stipulata
verbalmente: la parte ha un interesse che quell’accordo inidoneo a costituire un diritto reale possa effettuare una
conversione e quindi che il proprietario del fondo assuma un valido impegno a tollerare l’esercizio della servitù) e
la conversione formale che invece opera automaticaente (es. il documento formato se sottoscritto dalle parti di
modo che non possa qualificarsi come atto pubblico costituisce scrittura privata)
Diversa dalla conversione è la rinnovazione in questo caso le parti pongono in essere un nuovo negozio privo dei
vizi che davano luogo alla nullità.
Il negozio nullo non produce effetti ma talvolta il legislatore apporta delle deroghe considerando anche la
rilevanza del negozio nullo di fronte ai terzi
Deroga: la nullita del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto di lavoro ha avuto
esecuzione a meno che la nullità non derivi da illeceità di oggetto o causa.
Comunque aldilà delle deroghe se il negozio nullo sia stato eseguito, si può pretendere la restituzione delle
prestazioni eseguite. Si applicano, al riguardo, le regole sulla ripetizione di indebito.
L’azione di nullita è imprescrittibile ma restano salvi gli effetti dell’usucapione e dell’azione di ripetizione
ovvero se ho venduto un bene in forza di un contratto nullo devo agire prima che si maturata l’usucapione e
analogalmente se ho eseguito una prestazione e intendo ottenerne la restituzione devo agire entro il termine di
prescrizione dell’azione di ripetizione del indebito
L’ANNULLABILITA`
L’annullabilità costituisce un anomalia di minor gravità dell’annullabilità
L’annullabilità deriva dall’inosservanza di regole che, pur dettate nell’interesse generale, mirano a proteggere
particolarmente uno dei soggetti (art.1425 c.c.).
Le generali cause di annullabilit sono l’incapacit del soggetto (legale o natuale) e i vizi della volontà (violenza e
dolo)
Il negozio annullabile produce tutti gli effetti a cui era diretto (c.d. efficacia precaria del negozio annullabile), ma
questi effetti vengono meno se viene proposta ed accolta l’azione di annullamento. L’annullabilità del negozio
presenta i seguenti aspetti:
a) l’azione di annullamento è un’azione costitutiva, in quanto non si limita a far accertare la situazione
preesistente, ma mira a modificarla: il negozio aveva prodotto i suoi effetti, la sentenza di annullamento li
elimina;
b) salvo diversa disposizione di legge, la legittimazione a chiedere l’annullamento dell’atto spetta solo alla
parte nel cui interesse l’invalidità è prevista dalla legge; (cioè si può intentare solo dalla persona che la legge
intende proteggere)
c) l’annullabilità di un atto non può essere rilevata d’ufficio dal giudice; egli non ne può dichiarare
l’annullabilità se non è richiesto da una delle parti
d) l’azione di annullamento al contrario di quella di nullità è soggetta a prescrizione: di regola il termine di
prescrizione è di 5 anni, La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui è cessata la causa che ha dato
luogo al vizio; (es. contratto emesso dal minore comincia a decorrere da quando egli diventa aggiorenne, dal
giorno in cui si è scoperto l’errore in caso di negozio viziato negli altri casi la prescrizione comincia dal giorno in
cui il negozio è stato concluso)
e) mentre l’annullaento è soggetto a prescrizione l’eccezione può essere sollevata in ogni tempo dalla parte
che sia stata convenuta in giudizio per l’esecuzione del contratto (se così non fosse la parte non legittimata a far
valere l’invalidità es. colui che ha contrattato con un incapace potrebbe attendere la prescrizione senza mai far
valere l’atto viziato e pretenderne l’adempiento passati i cinque anni acquisto un immobile da un minorenne
nessuna delle due parti adempie dopo 5 anni invoco il contratto chiedendo l’adempiento in questo caso il
minorenne si può difendere opponendo l’eccezione di annullamento.)
f)
l’annullabilità è sempre sanabile, o attraverso la prescrizione dell’azione di annullamento o attraverso la
convalida
Se l’azione dell’annullamento viene accolta dal giudice, l’annullamento ha effetto retroattivo: si considera come
se il negozio non avesse prodotto alcun effetto e deve essere restituita la prestazione eventualmente eseguita
Tuttavia, se il negozio è annullato per incapacità di uno dei contraenti l’incapace è tenuto a restituire la
prestazione ricevuta solo nei limiti in cui essa è stata rivolta a suo vantaggio.
Il principio dell’efficacia retroattiva dell’annullamento derivante da incapacità legale è applicato anche di fronte
ai terzi. Se un minore vende un bene e quest’ultimo lo rivende a terzi l’annullabilità colpisce anche i terzi , se
invece la causa di nullita è diversa dall’incapacit legale (es. un vizio della volontà essa non pregiudica i terzi
acquirenti in buona fede che ignoravano l’esistenza del vizio).
Il negozio annullabile può essere sanato, oltre che per effetto della prescrizione, con la convalida
La convalida è un negozio con il quale la parte legittimata a proporre l’azione di annullamento si preclude la
possibilità di far valere il vizio.
La convalida per spiegare i suoi effetti deve pervenire da chi è in grado di concludere il contratto (es. il
minorenne una volta diventato maggiorenne)
La convalida può essere espressa, cioè deve contenere la menzione del negozio annullabile, del motivo di
annullabilità, e la dichiarazione che s’intende counque convalidare il negozio; e tacita, qualora venga data
esecuzione volontaria al negozio annullabile.
LA RESCISSIONE E LA RISOLUZIONE DEL CONTRATTO
La rescissione del contratto può chiedersi per anomalie genetiche ovvero:
a) perché è stato concluso in stato di pericolo;
b) per lesione.
Per poter sperimentare l’azione di rescissione di un contratto stipulato in condizioni di pericolo occorrono i
seguenti presupposti:
a) lo stato di pericolo in cui uno dei contraenti o altra persona si trovava.
Deve ricorrere un pericolo attuale di un danno grave alla persona, non è sufficiente un pericolo riguardante
esclusivamente delle cose;
b)
l’iniquità delle condizioni a cui il contraente ha dovuto soggiacere (richiesta di somma esorbitante per
effettuare il salvataggio).
c)
Il fatto che lo stato di pericolo fosse noto alla controparte
Il c.c. ha voluto offrire un rimedio contro i contratti nei quali vi sia una sproporzione abnorme tra due prestazioni
e vi ha provveduto con un’azione di carattere generale, esperibile rispetto a qualsiasi contratto.
Si richiedono:
a) la lesione, ossia una sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell’altra: la lesione deve essere
tale che il valore della prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata, risulti superiore al doppio del
valore della controprestazione
La lesione deve perdurare fino al tempo in cui la domanda è proposta;
b) lo stato di bisogno della parte danneggiata. Stato di bisogno significa difficoltà economica, tale da incidere
sulla libera determinazione a contrarre e da funzionare come motivo dell’accettazione della sproporzione fra le
prestazioni da parte del contraente danneggiato.
Lo stato di bisogno è una situazione di difficoltà quello di pericolo è più grave perché implica la necessità di
salvare se o altri da un pericolo attuale di un danno grave alla persona
c) l’approfittamento dello stato di bisogno della parte danneggiata.
Il contraente contro cui è proposta l’azione di rescissione può evitarla eliminando lo squilibrio che ne costituisce
il fondamento, cioè offrendo un aumento della sua prestazione o, comunque, una modificazione del contratto
sufficiente per ricondurlo ad equità. (non si possono applicare le regole della convalida)
La rescissione non ha efficacia retroattiva: perciò non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salva l’applicazione
dei principi sulla trascrizione della domanda.
L’azione si prescrive di regola, in un anno dalla conclusione del contratto.
È prevista la risoluzione del contratto per anomalie del sinallagma (due prestazioni legate tra loro da un nesso
che le rende interdipendenti) ( es. la locazione, se il proprietario non rende abitabile l'immobile il conduttore non
è tenuto al pagamento del canone) ossia lo scioglimento del vincolo contrattuale:
a)
per inadempimento; b) per impossibilità sopravvenuta; c) per eccessiva onerosità.
Di fronte all’inadempimento dell’altra parte, al contraente non inadempiente è lasciata la facoltà di scegliere fra
queste due vie: o insistere per l’adempimento degli accordi, chiedendo la c.d. manutenzione del contratto e quindi
la condanna della controparte ad eseguire la prestazione non adempiuta, o esercitare il diritto potestativo di
chiedere la risoluzione del contratto, ossia che il contratto venga sciolto e considerato come se non fosse mai stato
stipulato. In entrambi i casi il contraente ha il diritto di pretendere il risarcimento dei danni subìti, che vanno però
calcolati in modo ben diverso nelle due ipotesi. Difatti, se egli insiste per la manutenzione del contratto, questo
significa che l’adempimento della controparte è ancora possibile e che ci troviamo di fronte ad un semplice
ritardo: perciò il contraente potrà pretendere sia l’esecuzione della prestazione originariamente dovuta, sia il
risarcimento del danno che gli deriva dal ritardo nel conseguire l’adempimento e correlativamente sarà tenuto ad
eseguire la controprestazione.
Quando, viceversa, il creditore non intende più restare vincolato dal contratto stipulato, di cui, pertanto, non solo
non vuole la manutenzione, ma vuole lo scioglimento (risoluzione), il risarcimento cui ha diritto non si aggiunge
al diritto nascente dal contratto, ma si sostituisce a quello, è perciò è commisurato non al semplice danno da
ritardo, ma al pregiudizio che il contraente ha subìto per non aver ricevuto la prestazione promessa.
La risoluzione dunque è lo strumento che consente al contraente vittima dell’inadempimento di sciogliersi da un
vincolo contrattuale che non ha “funzionato” non sortendo gli effetti voluti.
Se viene richiesto prima l’adempimento è possibile richiedere in un secondo momento la risoluzione, non è
possibile il contrario (questo perché la parte che richiede la risoluzione in qualche modo “dispensa” la controparte
che si sentira liberata dall’onere cosicchè se in un secondo momento dovesse invece adempiere a
quell’obbligazione si potrebbero opporre dei limiti come ad es. le mutate condizioni di mercato)
D’altra parte, una volta che sia stata chiesta la risoluzione, l’inadempiente non può più rimediare alla precedente
violazione del contratto con una tardiva esecuzione della prestazione da lui dovuta a meno che l’altra parte accetti
rinunciando alla risoluzione.
Per ottenere la risoluzione occorre proporre una domanda giudiziale, e spetterà al giudice, in caso di
contestazione, accertare se, veramente vi sia stato inadempimento del contratto e se di tale inadempimento sia
responsabile il convenuto.
Inoltre il giudice, per dichiarare risolto il contratto, deve anche accertare che l’inadempimento non abbia scarsa
importanza ovvero la risoluzione si giustifica solo di fronte ad un inadempienza grave.
Il creditore è tenuto a provare la fonte del suo diritto (contratto) il debitore ha l’onere di provare il fatto estintivo
(ovvero il suo adempimento)
La risoluzione ha efficacia retroattiva il che significa che non soltanto il contratto risolto non produce più effetti
per l’avvenire, ma pure che le prestazioni già eseguite devono essere restituite, salvo che per i contratti a
esecuzione periodica o continuata. (es. consegna di merci quelle già consegnate e pagate non devono essere
restituite)
La regola della retroattività opera esclusivamente “tra le parti” sono salvi quindi i diritti acquisiti da terzi (es. il
compratore cha prima della risoluzione abbia venduto a favore di terzi) ovviamente se la domanda di risoluzione
è stata trascritta essa è opponibile ai terzi che successivamente abbiano acquistato diritti sulla cosa.
Eccezione di inadempimento
Nei contratti a prestazioni corrispettive, qualora termini diversi siano stabiliti dalle parti la parte tenuta ad
adempiere successivamente può legittimamente rifiutare di eseguire la prestazione da lei dovuta, qualora l’altra
parte non abbia ancora eseguito la propria.
L’eccezione di inadempimento è una forma di autotutela una delle poche permesse nel nostro ordinamento
(rifiuto di eseguire una prestazione proteggendo quindi i miei interessi dato che viene a mancare la corrispettiva
prestazione della controparte
L’impossibilità sopravvenuta della prestazione, estingue l’obbligazione. Se la prestazione è divenuta solo
parzialmente impossibile (impossibilità parziale), il corrispettivo è giustificato solo per la parte corrispondente e
dev’essere ridotto. Se poi la prestazione che è residuata non offra un interesse apprezzabile per il creditore, egli
può recedere dal contratto.
Per quanto riguarda i contratti ad effetti reali, occorre tener presente il momento in cui avviene il trasferimento
della proprietà: se il perimento della cosa avviene dopo che la proprietà è passata all’acquirente, anche se la cosa
ancora non è stata consegnata è comunque quest’ultimo che deve sopportarne il rischio.
Il legislatore ha concesso diritto alla risoluzione del contratto anche per eccessiva onerosità ovvero quando fatti
sopravvenuti straordinari ed imprevedibili (es. scoppio di una guerra o forte svalutazione monetaria) rendano la
prestazione di una delle parti eccessivamente onerosa, determinando un sacrificio sproporzionato di una parte a
vantaggio dell’altra (ovviamente deve trattarsi di contratti per i quali è previsto il decorso di un intervallo di
tempo tra la stipulazione dell’accordo e la sua esecuzione).
La risoluzione del contratto non può essere concessa quando l’onerosità sopravvenuta superi l’alea normale che
ogni operazione economica protratta nel tempo presenta.
La risoluzione per eccessiva onerosità non si applica ai contratti aleatori, per i quali è normale l’accettazione di
un rischio particolare.
Comunque, la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le
condizioni del contratto (offerta di riduzione di equità).
La clausola del solve et repete
Una delle parti può assicurarsi, mediante un’apposita clausola (clausola solve et repete.), una protezione ai fini
dell’adempimento della prestazione. Può, cioè, essere stabilito che una delle parti non può opporre eccezioni al
fine di evitare o ritardare la prestazione dovuta. (es. nel contratto di locazione è inserito che l’inquilino non può
per nessun motivo ritardare il pagamento della pigione qualora ad es. lo faccia perché il proprietario non ha
effettuato le riparazioni dovute l’inquilino deve comunque pagare la pigione e poi agire in giudizio per ottenerne
la restituzione)
La clausolo solve et repete è diretta a rafforzare il vincolo contrattuale
La clausola stabilisce dei limiti:
a) essa non ha effetto per le eccezioni di nullità, di annullabilità e di rescissione del contratto in quanto esse
mettono in dubbio la validità o l’efficiacia dell’intero negozio e quindi anche di questa clausola
b) il giudice, se riconosce che concorrono gravi motivi, può sospendere l’adempimento della prestazione.(es.
se consta che un eccezione ad. Es. la nullità presenta elementi di fondatezza)
La presupposizione
La figura della presupposizione non è prevista dalla legge ma costituisce uno strumento elaborato dalla dottrina e
recepito dalla prassi giurisprudenziale come strumento per porre rimedio a taluni anomali sviluppi che possano
influire sull’assetto dei rapporti tra le parti del contratto.
Si parla di presupposizione quando le parti, nel concludere un negozio giuridico, fanno riferimento ad una
circostanza attuale o futura, che, senza essere espressamente menzionata nel negozio, ne costituisce il
presupposto oggettivo.
Es. compro un terreno perché lo penso edificabile ma non menziono nel contratto che lo acquisto per questo
Se in realtà non è edificabile il contratto è valido?
Oppure pago qualcuno perché mi faccia affacciare dal suo balcone durante il palio di siena ma non menziono che
questo è il motivo contrattuale se poi il palio non si svolge il contratto è valido?
Dottrina e giurisprudenza sono al riguardo incerte e oscillanti
Da un lato vale il principio dell’irrilevanza dei motivi non dichiarati e della mancanza di qualsiasi norma di legge
che attribuisca importanza alla presupposizione dall’altro il rispetto della buona fede esige di accordare tutela alla
parte il cui consenso era strettamente condizionato ad un presupposto noto alla controparte.
Perciò secondo un diffuso indirizzo di pensiero vi è pressuposizione se:
a) essa è determinante nell’economia del contratto,
b) comune ossia tenuta presente da entrambi i contraenti,
c) oggettiva ed esterna al contratto (non ci sarebbe presupposizione se la circostanza potesse essere inserita nel
contratto)
In assenza della circostanza ma in presenza dei suddetti requisiti il negozio è inefficace
La risoluzione del contratto può intervenire non soltanto per effetto di una sentenza del giudice, ma anche di
diritto, in tre casi espressamente regolati dal c.c.:
1) clausola risolutiva espressa con la quale le parti prevedono espressamente che il contratto dovrà
considerarsi automaticamente risolto qualora una determinata obbligazione non venga adempiuta affatto o
comunque non venga eseguita rispettando le modalità pattuite. Quando in un contratto figura tale clausola, la
risoluzione del contratto si verifica solo quando la parte non inadempiente comunichi all’altra parte che intende
avvalersi della clausola risolutiva. Da quel momento un’offerta di adempimento tardivo può essere
legittimamente rifiutata dal contraente che ha scelto la risoluzione, il quale, non potrebbe più cambiare la sua
decisione e tornare a pretendere la manutenzione del contratto.
2) Diffida ad adempiere La parte non inadempiente diffida ad adempiere mediante una dichiarazione scritta,
con la quale intima all’altro contraente di provvedere all’adempimento entro un termine congruo (che di regola
non può essere inferiore a 15 gg.: con espressa avvertenza che, ove il termine fissato dovesse decorrere senza che
si faccia luogo all’adempimento, il contratto, a partire da quel momento, si intenderà risolto.
3) Termine essenziale Il termine per l’adempimento di una prestazione si dice essenziale quando la
prestazione diventa inutile per il creditore, qualora non venga eseguita entro il termine stabilito. L’ essenzialità
del termine si dice oggettiva quando risulta dalla natura stessa della prestazione; si dice soggettiva quando dalle
pattuizioni contrattuali risulti escluso l’interesse del creditore all’esecuzione della prestazione oltre il termine
indicato.
A ciascun contraente di un contratto a prestazioni corrispettive è attribuita la facoltà di sospendere l’esecuzione
della prestazione da lui dovuta, se le condizioni patrimoniali dell’altro sono divenute tali da porre in pericolo il
conseguimento della controprestazione. Naturalmente, se viene prestata idonea garanzia, cessa il pericolo che la
prestazione non sia conseguita e la mancata controprestazione non ha alcuna giustificazione.
I SINGOLI CONTRATTI
I CONTRATTI DEL CONSUMATORE
Il Codice del consumo è stato emanato nel 2005 ed è relativo al riassetto delle disposizioni vigenti in materia di
tutela dei consumatori che comprende la maggior parte delle disposizioni emanate dall'Unione Europea nel corso
degli ultimi 25 anni per la protezione del consumatore. Per gli obblighi derivanti dalla partecipazione all’Unione
tali norme sono state lentamente recepite anche dallo Stato italiano.Questa raccolta, sostituisce tutti i precedenti
provvedimenti nel tempo emanati sotto forma di leggi, decreti e modifiche al Codice Civile. Il Codice è composto
di 146 articoli che armonizzano e riordinano la normativa legata ai molti eventi in cui il consumatore è coinvolto
come soggetto attivo o passivo. Il codice non si propone solo di innovare rispetto alle precedenti normative, ma di
conseguirne la loro "armonizzazione e riordino" per rendere più semplice il reperimento delle regole scritte in
tutti questi anni a tutela dei consumatori; un corpo unico di regole a cui i tecnici del diritto, ma anche gli stessi
consumatori magari assistiti dalle relative associazioni, potranno far riferimento. Il codice, si rivolge anche, e non
poteva essere diversamente, ai professionisti ( imprese per la maggior parte), l'altro soggetto del rapporto di
consumo, precisando anche i loro diritti e doveri.
Ai professionisti si applica l'ordinaria disciplina del codice civile che, quindi, assume carattere residuale per le
materie non regolate dal codice, anche per quanto riguarda le regole del codice civile che tutelano i consumatori.
Il consumatore è più tutelato poiché il suo acquisto è determinato da fattori emotivi, da suggestioni spesso create
ad arte dal professionista attraverso la pubblicità o approfittando di particolari luoghi (come le fiere) che lo
spingono emotivamente alla spesa; può poi accadere che cessata la suggestione ci si accorga che il bene non
risponde a quello che si pensava, che ci si penta dell'acquisto; in questi casi non c'è tutela per il consumatore
secondo le ordinarie regole del codice civile, poiché risultano inapplicabili, visto che in questi casi non c'è errore
e tanto meno dolo o violenza.
Il professionista, invece, quando esegue un acquisto è spinto da motivazioni razionali.
Se si determina a comprare un computer non lo farà per il colore del case o per le suggestioni pubblicitarie, ma
per la sua utilità in relazione alla sua attività d'impresa o professionale. Essendo, quindi, meno" suggestionabile"
è anche meno protetto rispetto al consumatore; è certo, però, che considerare i " professionisti" sullo stesso
piano nei loro reciproci rapporti non è sempre giusto; un agente di commercio che usa l'autovettura per lavoro
non può essere messo sullo stesso piano del produttore del veicolo; insomma esistono pur sempre contraenti
"forti" e contraenti "deboli" , ma è fuor di dubbio che tra tutti i contraenti "deboli" il consumatore lo è più di tutti
gli altri.
Vediamo ora come l'art. 2 del codice individua i fondamentali diritti dei consumatori.
tutela della salute
sicurezza e qualità dei prodotti e dei servizi
adeguata informazione e corretta pubblicità
fondamentali diritti educazione al consumo
correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali
dei consumatori
promozione e sviluppo dell'associazionismo libero, volontario e democratico tra i
consumatori e gli utenti
erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza
Educazione del consumo.: vi dovranno essere soggetti pubblici o privati che senza finalità promozionali,
avranno il compito di esplicare le caratteristiche di beni e servizi e rendere chiaramente percepibili benefici e
costi conseguenti alla loro scelta; questi soggetti dovranno poi prendere in particolare considerazione le categorie
di consumatori maggiormente vulnerabili.
associazioni di
consumatori e utenti
le formazioni sociali che abbiano per scopo statutario esclusivo la tutela dei
diritti e degli interessi dei consumatori o degli utenti
L'art. 137 prevede l'istituzione a livello nazionale presso il ministero delle attività produttive di un elenco delle
associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale. Queste associazioni sono
legittimate ad agire in generale per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti e, in
particolare, sono legittimate ad agire nelle ipotesi di violazione degli interessi collettivi dei consumatori
contemplati nelle materie disciplinate dal codice. Tra i diversi compiti delle associazioni spicca quello relativo
alla legittimazione ad agire in sede processuale riconosciuto, però, solo alle associazioni iscritte presso nell'elenco
tenuto presso il ministero delle attività produttive.
Per quanto riguarda l'erogazione dei servizi pubblici, abbiamo già detto che gli enti pubblici devono erogare i
servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza. Questa attività si svolge anche grazie alla creazione di
"carte di servizi" che la legge stabilisce per determinati enti erogatori di servizi pubblici. In ogni caso il rapporto
di utenza deve svolgersi nel rispetto di standard di qualità predeterminati e adeguatamente resi pubblici e agli
utenti è garantita, attraverso forme rappresentative, la partecipazione alle procedure di definizione e di
valutazione degli standard di qualità previsti dalle leggi.
Le indicazioni dei prodotti
Il codice, per favorire la corretta informazione del consumatore, ha reso obbligatorie particolari indicazioni sui
prodotti, pena il divieto del loro commercio in Italia. La necessità di una corretta informazione contenuta nel
prodotto stesso è essenziale;
denominazione legale o merceologica del prodotto
nome o ragione sociale o marchio e sede legale del produttore o di un
contenuto minimo delle
importatore stabilito nella Unione europea o del paese di origine se situato fuori
informazioni che devono
dell’Unione europea
essere riportate sui
eventuale presenza di materiali o sostanze che possono arrecare danno all’uomo,
prodotti o sulle loro
alle cose o all’ambiente
confezioni in maniera
materiali impiegati ed ai metodi di lavorazione ove questi siano determinanti per
chiaramente visibile e
la qualità le caratteristiche merceologiche del prodotto
leggibile
le istruzioni, e le eventuali precauzioni e alla destinazione d’uso ove utili
ai fini di fruizione e sicurezza del prodotto
Le informazioni di qualsiasi tipo destinate agli utenti e ai consumatori devono essere rese chiaramente almeno in
lingua italiana. Non per tutti i prodotti è necessario riportare queste informazioni; sono infatti esclusi i prodotti
oggetto di specifiche disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie..
Se non si seguono le regole stabilite dal codice in merito alle indicazioni sui prodotti:
divieto di commercio sul territorio nazionale di qualsiasi prodotto o confezione di
prodotto che non riporti, in italiano in forme chiaramente visibili e leggibili, le
indicazioni riportante nella precedente tabella
salvo che il fatto non costituisca reato, per quanto attiene alle responsabilità del
produttore, ai contravventori al divieto
sanzioni che si applicano
di cui all’articolo 11, si applica una sanzione amministrativa da 516 euro a
in seguito alla violazione
25.823 euro. La misura della sanzione è determinata, in ogni singolo caso,
del divieto di commercio facendo riferimento al prezzo di listino di ciascun prodotto ed al numero delle
unità poste in vendita
divieto di
commercializzazione
Il consumatore non solo deve essere correttamente informato sul contenuto del prodotto, (anche su sicurezza
composizione e qualità del prodotto) ma anche sul prezzo di vendita in relazione all’unità di misura. Sul prezzo di
vendita, ad esempio, si stabilisce che questo si deve riferire al prezzo finale valido per una unità di prodotto o per
una determinata quantità del prodotto, comprensivo dell'IVA e di ogni altra imposta; Il prezzo per unità di misura,
invece, è necessario indicare il prezzo finale, comprensivo dell'IVA e di ogni altra imposta, valido per una
quantità di un chilogrammo, di un litro, di un metro, di un metro quadrato o di un metro cubo del prodotto o per
una singola unità di quantità diversa, se essa è impiegata generalmente e abitualmente per la commercializzazione
di prodotti specifici;
La pubblicità ingannevole e comparativa
Per pubblicità si intende qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell'esercizio di
un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili
o immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi oppure la prestazione di opere o di
servizi
La pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale ed è quindi pubblicità occulta la ostentazione di
marchi o prodotti che spesso si vede in film e spettacoli televisivi.Si riteneva fosse lecito esaltare le qualità dei
propri prodotti senza che ciò producesse l'annullamento del contratto per dolo; Questo tipo di esaltazione della
propria merce, però, era riferita a un tipo di vendita individuale, quella, per intenderci, che si pratica nei piccoli
negozi e nei mercati rionali, ma non certo alle vendite di massa dove l'esaltazione della merce non è fatta
direttamente dal venditore, ma dalla pubblicità che, rivolgendosi a un numero indeterminato ed elevato di
persone, deve necessariamente essere palese, veritiera e corretta .Il codice del consumo è intervenuto per
disciplinare gli aspetti più deteriori della informazione pubblicitaria, non tanto per inibire l' esaltazione del
prodotto (che del resto oggi avviene in forme molto sofisticate e indirette) quanto per vietare la pubblicità che
possa danneggiare il consumatore o un produttore concorrente. L'art. 19 del codice, infatti espone gli scopi voluti
dal codice.
finalità delle
norme sulla
pubblicità
le disposizioni sulla pubblicità contenute nel codice del consumo hanno lo scopo di
tutelare dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali i soggetti che
esercitano un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, i consumatori
e, in genere, gli interessi del pubblico nella fruizione di messaggi pubblicitari, nonché di
stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa
Occorre proteggere il consumatore dalla pubblicità ingannevole:
pubblicità
ingannevole
qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione sia idonea ad
indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge
e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento
economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea ledere un concorrente
Il concetto di pubblicità ingannevole in realtà ne racchiude in sé tre poiché si considera:la pubblicità
che in qualunque modo, compresa la sua presentazione sia idonea ad indurre in errore le persone fisiche
o giuridiche; la pubblicità che possa a causa del suo carattere ingannevole, pregiudicare il loro
comportamento economico; la pubblicità che essendo ingannevole possa pregiudicare il comportamento
economico dei consumatori potendo ledere in tal modo un concorrente di chi ha usato tale tipo di pubblicità.
La pubblicità ingannevole realizza una fattispecie più simile al dolo che all'errore; c'è un'attività ingannatoria e, di
conseguenza, sarà ingannevole la pubblicità che sia idonea a indurre in errore, senza che questo debba avere le
caratteristiche che lo renderebbero esenziale secondo il codice civile. Di conseguenza se la pubblicità rappresenta
una realtà falsata sarà comunque ingannevole ; sottolineiamo, comunque, che la pubblicità è ingannevole anche
quando non riesca a sortire l'effetto sperato. Il codice del consumo, non puntualizza specificamente tutte le ipotesi
in cui una pubblicità è ingannevole, lasciando all'interprete l'individuazioni dei casi concreti, per facilitare questo
compito, però, fornisce alcuni elementi di valutazione
per determinare se la pubblicità sia ingannevole se ne devono considerare tutti gli
elementi, con riguardo in particolare ai suoi riferimenti:
alle caratteristiche dei beni o dei servizi, quali la loro disponibilità, la natura, l'esecuzione,
la composizione, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, l'idoneità allo
elementi di scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l'origine geografica o commerciale, o i risultati
valutazione che si possono ottenere con il loro uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di
della pubblicità prove o controlli effettuati sui beni o sui servizi
ingannevole al prezzo o al modo in cui questo viene calcolato, ed alle condizioni alle quali i beni o i
( art. 21)
servizi vengono forniti
alla categoria, alle qualifiche e ai diritti dell'operatore pubblicitario, quali l'identità,
il patrimonio, le capacità, i diritti di proprietà intellettuale e industriale, ogni altro
diritto su beni immateriali relativi all'impresa ed i premi o riconoscimenti
È anche ingannevole la pubblicità che:
riguardando prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, ometta di darne
notizia in modo da indurre i consumatori a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza
in quanto suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, possa, anche indirettamente, minacciare la loro
sicurezza o che abusi della loro naturale credulità o mancanza di esperienza o che, impiegando bambini ed
adolescenti in messaggi pubblicitari,abusi dei naturali sentimenti degli adulti per i più giovani
Una disciplina particolare è prevista in merito alle televendite soprattutto in riferimento ai ben noti casi in cui
sedicenti maghi e guaritori promettono vincite al lotto o guarigioni miracolose. Le televendite devono evitare
ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità o della paura, non devono contenere scene di
violenza fisica o morale o tali da offendere il gusto e la sensibilità dei consumatori per indecenza, volgarità o
ripugnanza. In ogni caso la televendita non deve indurre in errore il consumatore attraverso esagerazioni,
ambiguità e omissioni. È poi vietata la televendita con caratteristiche razziste e discriminatorie.
Contro la pubblicità ingannevole è possibile rivolgersi alla Autorità garante della concorrenza e del mercato che è
compente a decidere i ricorsi contro l'operatore pubblicitario della pubblicità ingannevole. L'Autorità possiede
ampi poteri potendo giungere a sospendere e poi vietare il messaggio ingannevole oltre ad irrogare notevoli
sanzioni ( fino a 100.000 euro) al trasgressore.
La pubblicità comparativa, è stata ammessa nel nostro ordinamento con lo scopo di favorire il
consumatore; a dire il vero, però, è davvero poco usata e questo rafforza l'idea che il nostro sistema
economico sia in realtà dominato da intese sotterranee tra i grossi produttori a tutto discapito del
mercato e dei consumatori. In ogni caso il codice definisce la pubblicità comparativa come: qualsiasi
pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un
concorrente. Vi è la necessità che la pubblicità comparativa non ingeneri confusione e non getti
discredito sul concorrente, oltre a non essere ingannevole.
Le clausole vessatorie
L'art. 33 definisce vessatorie nei contratti tra consumatore e professionista
le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio
dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto
L'art. 34 illustra, invece, le regole fondamentali per l'accertamento della vessatorietà delle clausole. Quando non
sia la legge stessa a definire vessatoria una clausola il giudice dovrà valutarne la vessatorietà tenendo conto della
natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento
della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende.
Ciò non vuol dire che il giudice debba valutare l'equilibrio economico delle prestazioni o decidere circa la
determinazione dell'oggetto del contratto ( qui probabilmente inteso come prestazione), poiché se così fosse si
violerebbe l'autonomia contrattuale delle parti. In altre parole lo squilibrio che si vuole evitare è giuridico e non
economico.
Esisono 3 tipi di clausole vessatorie:
a) Clausole dove il giudice dovrà verificarne la vessatorietà poiché determinano a carico del consumatore un
significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; l'onere della prova circa la loro
vessatorietà spetterà a chi la invoca secondo le regole generali, al consumatore, quindi.
b) Clausole che si presumono vessatorie sino a prova contraria; essendovi una presunzione relativa, l'onere della
prova circa la loro non vessatorietà spetterà al professionista, mentre il consumatore potrà semplicemente
invocarle in base alla previsione dell'art. 33.
c) Clausole considerate dalla legge vessatorie senza che sia possibile fornire prova contraria; non sarà possibile
fornire prova contraria e il giudice dovrà solo verificarne l'esistenza.
Ma in che cosa consiste la prova contraria?
Non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale.
Se non si riesce a provare l'esistenza della trattativa individuale (e questa prova incomberà sempre sul
professionista) la clausola sarà considerata vessatoria o perché crea uno squilibrio giuridico tra le parti o perché è
oggetto di presunzione ex art. 33 con l'inevitabile conseguenza della nullità della clausola.
La nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. La nullità,
inoltre colpisce solo le clausole, mentre il resto del contratto resta valido
Gli altri elementi del rapporto di consumo
Le attività commerciali sono improntate al rispetto dei principi di buona fede, di correttezza e di lealtà,
valutati anche alla stregua delle esigenze di protezione delle categorie di consumatori
In che cosa consiste questa protezione che il professionista deve garantire al consumatore?
In un maggior obbligo di informazione.
Il consumatore deve essere informato dei suoi diritti, e la prima fonte d'informazione non può essere altri che
l'altra parte contrattuale; in certi casi il professionista che omette certe informazioni (pensiamo al diritto di
recesso) si vedrà esposto a sanzioni amministrative anche di notevole entità.
Questo obbligo d'informazione risulta ancora più evidente per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali e
nei contratti a distanza. Occupiamoci, allora di queste due ipotesi.
sono quei contratti tra un professionista ed un consumatore, riguardanti la
fornitura di beni o la prestazione di servizi, in qualunque forma conclusi,
stipulati:
durante la visita del professionista al domicilio del consumatore o di un
altro consumatore ovvero sul posto di lavoro del consumatore o nei locali
nei quali il consumatore si trovi, anche temporaneamente, per motivi di
contratti negoziati fuori dei lavoro, di studio o di cura
locali commerciali
durante una escursione organizzata dal professionista al di fuori dei propri
(art. 45)
locali commerciali
in area pubblica o aperta al pubblico, mediante la sottoscrizione di una nota
d'ordine, comunque denominata
per corrispondenza o, comunque, in base ad un catalogo che il
consumatore ha avuto modo di consultare senza la presenza del
professionista
Altra categoria assimilabile, a quella dei contratti negoziati al di fuori dei contratti commerciali è quella dei
contratti a distanza.
contratto a distanza
(art. 50)
il contratto avente per oggetto beni o servizi stipulato tra un professionista e
un consumatore nell'ambito di un sistema di vendita o di prestazione di
servizi a distanza organizzato dal professionista che, per tale contratto,
impiega esclusivamente una o più tecniche di comunicazione a distanza fino
alla conclusione del contratto.
Per "tecnica di comunicazione a distanza" s'intende qualunque mezzo che, senza la presenza fisica e simultanea
del professionista e del consumatore, possa impiegarsi per la conclusione di un contratto
Bene, ma perché ci occupiamo di questi di contratti?
Il motivo lo troviamo nel fatto che in entrambi i casi è riconosciuto per legge al consumatore il diritto di recesso.
Per i contratti e per le proposte contrattuali a distanza ovvero negoziati fuori dai locali commerciali, il
consumatore ha diritto di recedere senza alcuna penalità e senza specificarne il motivo, entro il termine di
dieci giorni lavorativi.
Con l'esercizio del diritto di recesso secondo le regole previste dalla legge le parti sono sciolte dalle rispettive
obbligazioni, ma se le obbligazioni sono state in tutto o in parte eseguite, vi sarà l’ obbligo di restituzione del
bene ricevuto, bene che dev'essere restituito sostanzialmente integro e in normale stato di conservazione.
Il professionista non dovrà solo subire il recesso del consumatore che non voglia più il bene, ma dovrà anche
informarlo del suo diritto. Si obbliga il professionista a fornire questa informazione e nel caso in cui ometta di
farlo si vedrà esposto ad una sanzione amministrativa fino a 5.165 euro, sanzione che potrà essere raddoppiata in
caso di recidiva. Abbiamo parlato della sola informazione relativa al diritto di recesso, ma il professionista deve
fornire altre e numerose informazioni al consumatore e omettere tali informazioni predisposte a protezione del
consumatore, oltre all'illecito amministrativo, costituiranno illecito civile poiché sarà violato l'obbligo di buona
fede così come inteso dal codice del consumo.
Per quel che concerne il commercio elettronico sono previsti obblighi informativi in ordine all’identità, alla
qualità del soggetto che offre i serviz,i alla natura dell’offerta e alle modalità di conclusione del contratto.
Contratti di godimento ripartito di beni immobili e multiproprietà
Il codice del consumo si occupa di particolari contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento ripartito
di beni immobili;
uno o più contratti della durata di almeno tre anni con i quali, verso pagamento
Contratto relativo
di un prezzo globale, si costituisce, si trasferisce o si promette di costituire o
all’acquisizione di un
trasferire, direttamente o indirettamente, un diritto reale ovvero un altro diritto
diritto di godimento
avente ad oggetto il godimento di uno o più beni immobili, per un periodo
ripartito di beni immobili
determinato o determinabile dell'anno non inferiore ad una settimana
Da questa definizione possiamo isolare due tipi di contratti;
1. contratti che trasferiscono o costituiscono un diritto reale per un tempo determinato;
2. contratti che trasferiscono o costituiscono un diritto di godimento per un tempo determinato.
Solo per i primi è possibile parlare di "multiproprietà" Il Codice del Consumo disciplina solo il contratto con cui
il consumatore acquista il diritto oggetto di multiproprietà. Il termine multiproprietà è utilizzabile solo quando il
diritto oggetto del contratto sia un diritto reale
I pacchetti turistici
L'acquisto dei pacchetti turistici è fenomeno molto diffuso nell'odierno modo di viaggiare; accade sempre più
spesso, infatti, che il turista non voglia sobbarcarsi l'onere, una volta giunto a destinazione, di cercare un albergo,
informarsi sui luoghi da visitare, scegliere le persone che lo devono assistere, e ciò è tanto più frequente quando
si scelgano mete lontane in paesi molto diversi dal nostro. In merito alla forma del contratto avente ad oggetto il
pacchetto turistico l'art. 85 dispone che esso è redatto in forma scritta in termini chiari e precisi, ma non è detto
che la forma scritta è richiesta a pena di nullità.
Prima della conclusione del contratto il consumatore è informato del pacchetto attraverso un opuscolo
informativo
In generale è fatto divieto di fornire informazioni ingannevoli sulle modalità del servizio offerto, sul prezzo e
sugli altri elementi del contratto qualunque sia il mezzo mediante il quale dette informazioni vengono comunicate
al consumatore. Al consumatore è riconosciuto il diritto di recesso quando vi sia una modifica delle condizioni
contrattuali, una revisione del prezzo se non già prevista dal contratto; Ogni mancanza nell'esecuzione del
contratto deve essere contestata dal consumatore senza ritardo con reclamo da inviarsi attraverso raccomandata
a.r. ma il difetto del reclamo non comporta decadenza dal diritto al risarcimento del danno.
I CONTRATTI TIPICI E ATIPICI
Il titolo 3° del libro 4° del c.c. contiene la disciplina dei contratti tipici ossia di quei contratti che
sono stati specificatamente regolati dal legislatore. Non tutti i contratti sono però compresi in
questo titolo.
L’ordine con cui questi contratti sono esaminati è:
1) il principale contratto di scambio: la compravendita;
2) gli altri contratti di scambio che realizzano un do ut des (permuta, contratti di borsa, riporto,
contratto estimatorio, somministrazione);
3) gli altri contratti di scambio che realizzano un do ut facias (locazione, leasing, appalto,
trasporto);
4) i contratti di cooperazione nell’altrui attività giuridica (mandato, commissione, spedizione,
agenzia, mediazione);
5) i principali contratti reali (deposito, comodato e mutuo);
6) i contratti bancari (deposito, apertura di credito, sconto, cassette di sicurezza);
7) i contratti aleatori (rendita, assicurazioni, gioco e scommessa);
8) i contratti diretti a costituire una garanzia (fideiussione e anticresi);
9) i contratti diretti a dirimere una controversia (transazione e cessione dei beni ai creditori).
10) i contratti agrari
LA COMPRAVENDITA
La compravendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il
trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo che è elemento essenziale della vendita e
consiste in un corrispettivo in danaro. (ciò la distingue dalla permuta)
La vendita viene attuata:
a) o dal produttore che può collocare sul mercato la propria produzione e direttamente presso i consumatori o
presso i rivenditori (commercianti);
b) o da un intermediario nella circolazione dei beni che può a sua volta attuare il commercio direttamente
presso il pubblico, oppure tramite altri rivenditori (commercio all’ingrosso);
c) o da un venditore non professionale, che dispone del cespite (auto, tv..) non nell’esercizio di un’attività
continuativa, ma con carattere di occasionalità e con riguardo, di regola, a beni già usati.
La vendita è un contratto consensuale: per il suo perfezionamento non occorre la consegna della cosa, che,
invece, costituisce una delle obbligazioni del venditore. La vendita è un contratto ad effetti reali, cioè la proprietà
o il diritto oggetto dello scambio si trasmettono automaticamente per effetto del consenso delle parti.
Il prezzo deve essere determinato o determinabile: in difetto il contratto è nullo.
Le obbligazioni principali del venditore sono:
1) fare acquistare al compratore la proprietà della cosa o la titolarità del diritto oggetto dello scambio;
2) consegnare la cosa al compratore: la consegna deve avvenire nel tempo e nel luogo fissati dal contratto.
In mancanza di pattuizione essa deve essere fatta appena è avvenuto il trasferimento del diritto e nel
luogo in cui la cosa si trovava quando l’obbligazione è sorta;
3) garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa.
L’obbligazione principale del compratore invece consiste nel dovere di pagare il prezzo nel termine e nel luogo
fissati dal contratto. Di regola il prezzo è oggetto di libero negoziato tra le parti, che di solito, concordano per il
prezzo di mercato. Le parti possono anche affidare la determinazione del prezzo ad un terzo eletto nel contratto o
da eleggere posteriormente. Sarebbe nulla, per mancanza di un elemento essenziale, la vendita in cui il prezzo
non sia stato né espressamente né implicitamente determinato né risulti determinabile in altro modo
Vendita ad effetti reali e vendita obbligatoria
La vendita ha di regola effetti reali, ossia produce, in virtù del consenso, il trasferimento della proprietà della
cosa. In alcune ipotesi, peraltro, questo effetto non può immediatamente realizzarsi e il contratto ha, quindi,
efficacia obbligatoria la proprietà non passa immediatamente ma sorge dal contratto.
Le figure più importanti di vendita obbligatoria sono:
a)
la vendita alternativa, in cui il trasferimento non si verifica se non quando sia stata effettuata la scelta tra le
due o più cose dedotte in obbligazione;
b) la vendita di cosa futura; occorre che essa venga ad esistenza
c) la vendita di cose generiche (benzina, stoffa) è necessaria l’individuazione degli specifici pezzi
d) la vendita di cose altrui: questa non è né nulla né annullabile. (essa produce l’obbligo del venditore di
acquistare la cosa dal proprietario per rivenderla al compratore qualora il venditore non riesca risponde del suo
inadempimento e il compratore qualora venga a conoscenza dell’altruità della res se nel frattempo non ne ha
acquistato la proprietà può richiedere il risarcimento del danno la restituzione della somma ed eventuali rimborsi)
La vendita di beni immobili deve farsi per atto scritto ed è soggetta a trascrizione. A questa pubblicità soggiace
anche la vendita di beni mobili registrati.(auto,navi)
La garanzia per i vizi
Vizi di una cosa sono le imperfezioni o alterazioni del bene, dovute alla sua produzione o alla sua conservazione.
Il venditore è tenuto alla garanzia quando i vizi siano tali da rendere il bene inidoneo all’uso a cui è destinato o
quanto meno da diminuire in modo apprezzabile il valore. La garanzia non è dovuta se, al momento del contratto,
il compratore, trattandosi di vendita di cosa specifica, conosceva i vizi della cosa o si trattava di vizi facilmente
riconoscibili.
Il compratore, peraltro, se intende far valere la garanzia cui il venditore è tenuto, ha l’onere di denunciare
l’esistenza dei vizi entro 8 gg., che decorrono dalla consegna se si tratta di vizi apparenti o dalla scoperta se si
tratta di vizi occulti.
Il vizio si dice apparente quando, con un esame diretto della cosa condotto con criteri di diligenza, avrebbe
dovuto accorgersene.
Ove ricorrano i requisiti indicati, il compratore ha diritto di chiedere, a sua scelta, o la risoluzione del contratto,
restituendo il bene e facendosi restituire il prezzo pagato o liberandosi dall’obbligo di pagarlo, ovvero la
riduzione del prezzo, salvo in ogni caso il diritto al risarcimento del danno, a meno che il venditore provi di avere
ignorato senza colpa i vizi della cosa.
La scelta tra le due azioni è rimessa al compratore essa è irrevocabile se fatta con domanda giudiziale.
L’azione del compratore è soggetta ad un termine di prescrizione di un anno, che decorre dal momento della
consegna. L’eccezione è invece imprescrittibile quindi il compratore deve denunciare il vizio della cosa entro il
termine di decadenza.
Un patto particolare è la garanzia di buon funzionamento essa si ha quando il venditore ha garantito per un certo
tempo il funzionamento della cosa venduta in questo caso il venditore che denuncia il difetto lo può fare entro
trenta giorni pena decadenza e l’azione si prescrive in sei mesi. Il giudice diversamente dagli altri casi può
assegnare al venditore un termine per sostituire o riparare la cosa salvi i risarcimenti dovuti al compratore stesso
L’evizione
La legge attribuisce al compratore particolare tutela nel caso in cui sia disturbato nel godimento di un bene da
terzi che ne facciano valere pretese
Al riguardo vanno distinte due ipotesi:
1) Evizione totale Il compratore convenuto in giudizio da un terzo che vanti dei diritti sul bene ha l’onere di
chiamare in causa il venditore, in quanto quest’ultimo può essere in grado di fornire le prove necessarie per
dimostrare che l’azione intentata dal terzo è infondata. Se non chiama in giudizio il venditore perde la garanzia se
il venditore dimostra che se fosse stato chiamato in giudizio avrebbe potuto addurre ragioni sufficienti per far
respingere la domanda di evizione.
Se il compratore subisce l’evizione ha diritto di pretendere dal venditore la restituzione del prezzo e delle spese
subìte ed ha altresì diritto al risarcimento dei danni se ignorava l’altruità della cosa. Costituiscono evizione per il
compratore pure l’espropriazione forzata del bene o la sua espropriazione per causa di pubblica utilità,.
2) Evizione parziale. In questo caso, il compratore ha diritto alla risoluzione del contratto qualora debba
ritenersi che non avrebbe acquistato la cosa senza la parte per la quale ha subìto evizione; altrimenti può ottenere
solo una riduzione del prezzo, salva l’azione per il risarcimento dei danni qualora ignorasse l’altruità parziale
della cosa.
3) Cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi. Se la cosa venduta è gravata da oneri o da diritti
reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento, il compratore che non ne abbia avuto
conoscenza può domandare la risoluzione del contratto, qualora debba ritenersi che non avrebbe acquistato la
cosa se ne fosse stato a conoscenza, oppure una riduzione del prezzo, oltre al diritto al risarcimento dei danni..
La vendita con patto di riscatto
La vendita con patto di riscatto è una vendita sottoposta a condizione risolutiva potestativa: il venditore si riserva
il diritto di riavere la cosa venduta mediante la restituzione del prezzo e i rimborsi stabiliti dalla legge. Vi si
ricorre di solito quando il venditore è indotto a vendere per realizzare denaro liquido, ma spera di poter, entro un
certo termine, avere la somma necessaria per farsi restituire la cosa venduta. La vendita produce i suoi effetti, ma
questi si eliminano se il venditore dichiara di voler riscattare la cosa venduta restituendo il prezzo e comprendo le
spese effettuate per la vendita. Basta questa dichiarazione a far rientrare la cosa nel patrimonio del venditore.
L’esercizio del diritto di riscatto è sottoposto ad un breve termine di decadenza due anni per i beni mobili cinque
per gli immobili.
La condizione ha effetto retroattivo quindi il riscatto ha effetto sui sub acquirenti che sono tenuti a rilasciare la
cosa.
La vendita di beni di consumo
Per bene di consumo si intende qualsiasi bene mobile anche da assemblare tranne quelli oggetti di vendita forzata
(acqua gas energia elletrica ecc.)
Il venditore ha l’obbligo di consegnare al compratore un bene conforme a quello stabilito dal contratto.
Un bene è conforme quando è idoneo all’uso al quale è destinato corrisponde alla descrizione fatta dal venditore o
al bene che il venditore ha presentato al consumatore come campione o modello.
La garanzia non opera quando il compratore era a conoscenza del difetto o poteva conoscerlo impiegando
l’ordinaria diligenza.
E’ consentito al compratore chiedere la riparazione o la sostituzione del bene che devono essere effettuate entro
un congruo termine dalla richiesta. (il venditore non è tenuto a farlo se ciò gli arreca spese irragionevoli e può
scegliere la risoluzione).
La risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo a scelta del venditore possono essere attivati soltanto in via
subordinata alla riparazione o sostituzione ovvero se il venditore offre la sostituzione della res con un'altra priva
di difetti il compratore non può opporsi richiedendo la restituzione del prezzo.
Il venditore è responsabile quando il difetto di conformità si manifesta entro due anni.
Sussiste l’onere di denunciare il difetto a pena di decadenza entro due mesi e non entro otto giorni come previsto
dalla disciplina generale della vendita.
I difetti che si presentino entro sei mesi dalla consegna si presumono esistenti alla data della consegna.
Anche il termine della prescrizione èè più lungo: 26 mesi dalla consegna del bene, anche in questo caso
l’eccezione è imprescribile a meno che il vizio sia stato tempestivamente denunciato.
La vendita su documenti
Quando la merce deve viaggiare, il venditore riceve dal vettore i titoli che attestano che la merce è in viaggio. A
questo punto i contraenti possono stabilire di sostituire l'obbligo della consegna della merce con quello della
consegna
dei
titoli
rappresentativi
della
merce
rilasciati
dal
vettore.
Al
momento
della
consegna
dei
titoli,
il
compratore
pagherà
il
prezzo.
La particolarità di questo tipo di vendita consiste nel fatto che questi titoli possono circolare all'ordine o
al.portatore. In tal modo il compratore potrà, a sua volta, rivendere la merce congegnando i titoli al nuovo
acquirente che provvederà a ritirarla nel suo luogo di destinazione.
La vendita di cose mobili
Nella vendita mobiliare ricorre spesso il patto volto a garantire al compratore “il buon funzionamento” della cosa
venduta e a garantire la presenza nelle cose vendute delle qualità desiderate dal compratore.
Figure particolari di vendite mobiliari sono:
1)
la vendita con riserva di gradimento che costituisce un opzione il contratto si perfeziona solo qualora il
compratore comunichii che la cosa è di suo gradimento.
2)
la vendita a prova, nella quale la cosa venduta debba avere le qualità pattuite o sia idonea all’uso a cui era
destinata della merce, pena la risoluzione del contratto
3)
la vendita su campione il compratore acquista la merce su di un esemplare (cd campione) la merce dovra
non differire dal campione pena nullità differisce dalla vendita su tipo di campione in quanto su quest’ultima si
fa riferimento ad un esemplare ma approssimativo quindi il contratto si risolve solo se la difformità è notevole.
4) vendita cif (cost, insurance, freight). Cioè, la somma pagata dal compratore comprende il prezzo vero e
proprio della merce (cost), le spese di assicurazione (insurance) e del trasporto (freight); si usa nei trasporti via
nave
5)
la vendita a termine di titoli di credito che trova frequente applicazione nelle contrattazioni che avvengono
in borsa
La vendita con riserva di proprieta`
Nella vendita a rate le parti stabiliscono che il prezzo debba essere pagato frazionatamente entro un certo tempo e
che la proprietà passi al compratore solo quando sarà pagata l’ultima rata del prezzo stesso Chi compra a rate non
può alienare la cosa fin quando non ne ha acquistato la proprietà.
Se il compratore non paga le rate, alle scadenze pattuite, il venditore può ottenere la risoluzione del contratto.
Non può però ottenerla per il mancato pagamento di una sola rata che non superi l'ottava parte del
prezzo,nonostante ogni patto contrario. (questa clausola è valevole anche per i crediti al consumo che sono crediti
concessi sotto forma di finanziamento o dilazione di pagamento a favore di un consumatore).
In caso di risoluzione contrattuale il venditore esigerà la restituzione delle cosa, ma dovrà a sua volta restituire le
rate già riscosse, salvo il diritto a trattenerne una quota a titolo di compenso per l'uso che il compratore ha fatto
della cosa.
La vendita con riserba di proprietà è una vendita a credito garantita dalla proprietà del bene : quindi la vendita
con riserva di proprietà assolve una funzione empirica di garanzia reale a favore del creditore che può rifarsi sul
bene stesso.
La vendita immobiliare
La vendita di immoli deve farsi per iscritto ed è soggetta a trascrizione.
Per i beni immobili la vendita può essere a misura o a corpo, secondo rispettivamente che in contratto si faccia o
meno riferimento all'estensione superficiaria del bene per la determinazione del prezzo. Se, ad esempio, la vendita
avviene per un corrispettivo di X lire per metro quadrato, si tratta di una vendita a misura, diversamente è una
vendita a corpo. La circostanza rileva anche in ordine ad eventuali successive compensazioni del prezzo, che
possono essere richieste anche dopo la conclusione del contratto, qualora si riscontri una differenza rispetto alla
superficie dichiarata. Si noti che anche nella vendita a corpo, però, può aversi titolo ad una richiesta di
compensazione qualora la misura sia comunque indicata (e ciò anche se la vendita sia dichiaratamente a corpo),
se la differenza fra il valore indicato e quello effettivamente riscontrato sia maggiore di un ventesimo (5%), in più
o in meno.
Tutela contro l’inadempimento:
Se il compratore non si presenta per ricevere la cosa acquistata, il venditore può depositarla, per conto e a spese
del
compratore
in
un
locale
di
pubblico
oppure
in
altro
locale
idoneo
del
luogo.in.cui.la.consegna.doveva.essere.fatta.
Il venditore deve dare al compratore pronta notizia del deposito eseguito.
Se il compratore non adempie l'obbligazione di pagare il prezzo il venditore può far vendere la cosa.per.suo.conto
la vendita è fatta all'incanto a mezzo di una persona autorizzata e il venditore deve dare tempestiva notizia al
compratore
del
giorno,
del
luogo
e
dell'ora
in
cui
la
vendita.sarà.eseguita.
Se la cosa ha un prezzo corrente la vendita può essere fatta senza incanto, il venditore deve
darne.al.compratore.pronta.notizia.
Il venditore ha diritto alla differenza tra il prezzo convenuto e il ricavo netto della vendita, oltre al risarcimento
del maggior danno.
Se.a.rendersi,inadempiente.è.il.venditore. e la vendita ha per oggetto cose fungibili che hanno prezzo corrente il
compratore può fare acquistare le cose, a spese del venditore, da un intermediario.
Il compratore ha diritto alla differenza tra l'ammontare della spesa occorsa per l'acquisto e il prezzo convenuto,
oltre al risarcimento del maggior danno
Ricordiamo che dal 1° dicembre 1988 è entrata in vigore anche in Italia la “Convenzione di Vienna sui contratti
di vendita internazionale di beni mobili”, che detta una disciplina internazionale uniforme, applicabile a tutti i
casi in cui siano compravendute merci tra le parti “le cui sedi di affari si trovano in Stati differenti”.
GLI ALTRI CONTRATTI DI SCAMBIO CHE REALIZZANO UN DO UT DES
LA PERMUTA
La permuta differisce dalla vendita in quanto lo scambio non è caratterizzato dall’intervento di un prezzo, ma ha
per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose o della titolarità di altri diritti.
IL RIPORTO
Con il riporto una persona (riportato) trasferisce all’altro contraente (riportatore) la proprietà di una data quantità
di titoli di credito di massa contro contestuale pagamento di un prezzo; al tempo stesso, il riportatore si obbliga a
trasferire al riportato, alla scadenza del termine fissato nell’accordo iniziale, la proprietà di altrettanti titoli della
stessa specie contro rimborso del prezzo, che però può essere, a seconda del patto, maggiore di quanto a suo
tempo ricevuto (ipotesi normale) o inferiore (deporto), oppure uguale (riporto alla pari)
Il riporto proroga consiste invece, nella proroga dell’esecuzione di un contratto a termine non potendosi o non
volendosi far luogo alla consegna dei titoli, il compratore, che li dovrebbe ricevere, concorda il rinvio della
consegna dando a riporto all’altra parte quei titoli che questa gli dovrebbe consegnare.
IL CONTRATTO ESTIMATAORIO
è il contratto con il quale una parte (tradens) consegna determinate cose mobili, stimate per un certo prezzo,
all’altra (accipiens), che le riceve e si obbliga a pagarne il prezzo, con facoltà di liberarsi
restituendo.le.cose.entro.un.termine.stabilito.
Il contratto estimatorio è di frequente uso in settori di vendita al dettaglio, per regolare i rapporti tra fornitore e
dettagliante,
e
per
non
addossare
i
rischi
della
mancata
vendita
a
quest’ultimo.
Nel contratto estimatorio si rivengono i tratti della compravendita e del contratto di deposito, ma si tratta
comunque di contratto autonomo e tipico, reale (che si perfeziona cioè con la materiale consegna), ad efficacia
traslativa(trasmette il diritto di proprietà), a titolo oneroso (poiché comporta un’arricchimento
da.entrambe.le.parti).
L’accipiens è soggetto ad un’obbligazione facoltativa; difatti, in obbligazione è il pagamento del prezzo, mentre
in soluzione facoltativa c’è la restituzione della cosa.
LA SOMMINISTRAZIONE
La somministrazione è il contratto con il quale una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, ad eseguire a
favore dell’altra prestazioni periodiche di cose (art.1559 c.c.). Esso dà luogo ad una pluralità di prestazioni.
Poiché queste prestazioni non devono compiersi in un unico momento, ma ad intervalli periodici di tempo, la
somministrazione è un contratto di durata.
pur essendo unico il contratto,il prezzo è pagato alla singola prestazione se non dopo che questa sia stata
adempiuta.
il contratto può essere (e di solito è) a tempo indeterminato. In tal caso ciascuna delle parti può recedere dal
contratto, dando preavviso nel termine pattuito o in quello stabilito dagli usi o, in mancanza, in un termine
congruo avuto riguardo alla natura della somministrazione
l'inadempimento di singole prestazioni fa nascere nel somministrante il diritto alla risoluzione del contratto solo
quando ha una notevole importanza ed è tale da menomare la fiducia nell'esattezza dei successivi adempimenti.È
comunque possibile il patto contrario
se l'inadempimento è di lieve entità, il somministrante non può sospendere l'esecuzione del contratto senza dare
congruo preavviso
il somministrato può convenire con il somministrante di preferirlo nel caso in cui intenda stipulare un nuovo
contratto per lo stesso oggetto. Il patto non può avere durata superiore a 5 anni
I contratti di borsa e l’intermediazione finanziaria. La vendita a termine di titoli di credito
Attualmente la Borsa è affidata alla gestione della Borsa italiana s.p.a., società di diritto privato. Ferme le
responsabilità di controllo e vigilanza attribuite alla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa
(CONSOB), si è attuato un sistema di autoregolamentazione, in quanto la società di gestione della Borsa ha
approvato l’organizzazione e la gestione del mercato con proprio regolamento, sia pure soggetto all’approvazione
della Consob. Su questi mercati possono operare solo intermediari specializzati (agenti di cambio…). Con i
contratti di borsa si trasferiscono dagli alienanti agli acquirenti titoli di serie, e quindi cose generiche, la cui
proprietà passa all’acquirente solo al momento della consegna. Si distinguono contratti “per contanti”, ”a
termine” e “ premio”.
Di particolare importanza è il divieto del c.d. insider trading ossia di uno sfruttamento abusivo, con vantaggi
personali, di notizie riservate che una persona conosca ed utilizzi per anticipare i movimenti di mercato che si può
prevedere avverranno nel momento in cui quelle notizie diverranno pubbliche.
I CONTRATTI DI SCAMBIO CHE REALIZZANO UN DO UT FACIAS
LA LOCAZIONE E L’AFFITTO
La locazione è il contratto con il quale una parte (locatore) si obbliga a far utilizzare ad un altro soggetto
(affittuario) una cosa per un dato tempo, in cambio di un corrispettivo. Per il c.c. il contratto di locazione:
a) può essere a tempo determinato o non; in questo secondo caso ciascuna della parti può recedere in qualsiasi
momento dal contratto, dandone disdetta con un congruo preavviso; nel primo caso il rapporto cessa con lo
spirare del termine senza necessità di disdetta: la locazione si ha per rinnovata se scaduto il termine pattuito il
conduttore è lasciato nella detenzione della cosa.
b)
l’alienazione del bene locato non determina lo scioglimento del contratto, purchè la locazione abbia data
certa anteriore al trasferimento;
c) il locatore ha l’obbligo di consegnare e di mantenere la cosa in stato da servire all’uso convenuto,
provvedendo a far eseguire tutte le riparazioni necessarie, eccetto quelle di piccola manutenzione che sono a
carico dell’affittuario;
d)
l’affittuario ha l’obbligo di servirsi della cosa secondo l’uso pattuito e con la diligenza del buon padre di
famiglia;
e)
salvo patto contrario l’affittuario ha la facoltà di sublocare il bene, ma non può cedere il contratto senza il
consenso del locatore.
La locazione di immobili urbani
La legge 9/12/98 n°431 distingue tra contratti liberi e contratti tipo. Per i primi la determinazione del canone e
della relativa dinamica nel tempo (aumenti periodici) è interamente lasciata alla libera negoziazione delle parti,
ferma una durata minima quadriennale del contratto, con previsione vincolante di rinnovo alla scadenza un eguale
ulteriore periodo. Per i secondi, invece, le parti aderiscono, beneficiando di sgravi fiscali, ad un contratto tipo le
cui condizioni sono fissate mediante accordi stipulati in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e
le organizzazioni dei conduttori (affittuari) maggiormente rappresentative, sulla base di indicazioni contenute in
una Convenzione nazionale da promuovere a cura del Ministro dei lavori pubblici. Per questo tipo di contratti la
durata non può essere inferiore a 3 anni, con proroga di diritto per altri 2 anni, ove alla scadenza le parti non si
accordino sul rinnovo del contratto.
Per le locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione: principi importanti:
1)
la durata della locazione di immobili adibiti ad attività industriali, commerciali, artigianali, turistiche o
professionali non può essere inferiore a 6 anni, a 9 anni se adibiti ad attività alberghiera;
2) il conduttore può recedere dal contratto anche prima della scadenza ove ricorrano gravi motivi o il locatore
gli abbia concesso contrattualmente tale facoltà
3)
il contratto si rinnova tacitamente alla sua scadenza per un ulteriore identico periodo;
4)
il conduttore può sia sublocare l’immobile che cedere il contratto di locazione a terzi senza bisogno del
consenso del locatore, purchè venga insieme ceduta o locata l’azienda;
5)
il canone iniziale di locazione può essere liberamente determinato dalle parti, ma per gli anni successivi gli
aumenti sono sottratti alla disponibilità delle parti e sono consentiti dalla legge con frequenza annuale nel limite
del 75% della variazione dell’indice dei prezzi al consumo;
6)
in caso di cessazione del rapporto che non sia dovuta a risoluzione per inadempimento del conduttore o a
suo recesso, a quest’ultimo è dovuta una indennità per la perdita dell’avviamento;
7)
nel caso in cui il locatore intenda vendere l’immobile locato il conduttore ha un diritto di prelazione per
l’acquisto.
IL LEASING
Il contratto atipico di leasing, altimenti denominato come “locazione finanziaria”, può atteggiarsi in una pluralità
di forme pur sempre conservando nel rapporto causale che lega le parti taluni elementi distintivi.comuni.
Da un lato si pone l’impresa concedente il bene produttivo, che si obbliga a consentire all’utilizzatore il
godimento del bene oggetto del contratto per un tempo determinato (di norma inferiore alla presumibile
vita.economica.dello.stesso).Dall’altro vi è l’utilizzatore, che assume i rischi relativi alla cosa quali, ad esempio,
il suo perimento o deterioramento, si obbliga a corrispondere all’impresa di leasing un canone periodico, che
rapportato alla durata del contratto, comprende non solo il valore del bene ma anche le quote di rischio e di
profitto.dell’impresa.concedente. Tra le molteplici species del complesso ed articolato genus del leasing, viene in
rilievo innanzitutto la ripartizione fondata essenzialmente sul numero delle parti che intervengono nel contratto tra “leasing operativo” e “leasing finanziario”, figure delle quali appresso, non senza notevole semplificazione, si
tracciano i principali elementi distintivi
Il “leasing finanziario” è caratterizzato dalla trilateralità del rapporto contrattuale: il concedente ovvero
l’impresa di leasing si frappone tra fornitore del bene e suo utilizzatore; acquista o fa costruire dal produttore il
bene, mobile o immobile, scelto dall’utilizzatore e quindi, restandone proprietaria, lo concede in godimento
all’utilizzatore che assume su di se tutti i rischi e i benefici connessi con la proprietà del bene. Di solito, la durata
del contratto è quasi coincidente con la vita utile del bene e il valore attuale dei canoni dovuti in base al contratto
tende ad eguagliare il costo del bene all’inizio del rapporto contrattuale. L’utilizzatore, alla scadenza prestabilita,
può avere la facoltà di esercitare l’opzione di riscatto del bene stesso, acquisendolo in proprietà dietro pagamento
di un modesto importo, generalmente inferiore al valore del bene in quel momento.
Nel “leasing operativo” (o leasing diretto) i soggetti sono invece solamente due: l’utilizzatore ed il produttore
del bene che assume altresì il ruolo di concedente. In genere, la durata del contratto è breve e l’ammontare del
canone è proporzionato all’utilizzo del bene piuttosto che al suo costo. Spesso a tale contratto accede anche un
contratto di assistenza tecnica e di manutenzione, mentre è solitamente prevista la facoltà di esercitare l’opzione
finale.di.acquisto.del.bene.locato.
Nel “leasing di godimento” ( o tradizionale) l’utilizzazione della res da parte del concessionario si inquadra in
una funzione di finanziamento a scopo di godimento del bene per la durata del contratto, per cui i canoni versati
costituiscono esclusivamente il corrispettivo di tale godimento. L’interesse principale dell’utilizzatore è quello di
ottenere la disponibilità del bene stesso e il potere di sfruttamento, senza esborso di capitali rilevanti e fino alla
sua pressoché totale obsolescenza. Il valore residuale del bene è minimo e corrisponde all’altrettanto modesto
prezzo
di
opzione
per
l’acquisto
della
proprietà
allo
scadere.del.contratto.
Nel “Leasing traslativo” le parti prevedono che il bene, avuto riguardo alla sua natura, all’uso programmato ed
alla durata del rapporto, sia destinato a conservare, alla scadenza contrattuale, un valore residuo particolarmente
apprezzabile per l’utilizzatore. L’elemento principale che permette di individuare questa tipologia del leasing è
costituito infatti dal considerevole valore economico residuo dei beni oggetto del contratto alla scadenza, valore
di norma superiore al prezzo pattuito per l’opzione. Ne consegue che nel caso del leasing traslativo il
trasferimento della proprietà del bene, dal concedente all’utilizzatore, rientra nella funzione assegnata al contratto
dalle.parti. L’importo dei canoni contiene infatti anche una quota del prezzo finale per cui il valore globale dei
canoni corrisponde al valore complessivo del bene mentre la conservazione della proprietà del bene in capo al
finanziatore fino alla scadenza del contratto indica lo scopo di garanzia rispetto alla riscossione di.tutti.i.canoni.
La suddetta suddivisione fra le due tipologie di contratto di leasing ha permesso alla giurisprudenza di legittimità
di applicare, a seconda dei casi, le norme che regolano i contratti tipici che più si attagliano a ciascuna.fattispecie.
Diverso dal leasing è il contratto di leaseback: il proprietario di un bene (di solito un immobile) lo aliena ad una
finanziaria, che però glielo lascia in godimento, contro pagamento di un canone per il periodo fissato, e con la
facoltà per il concessionario, alla scadenza, di riacquistare la proprietà con il pagamento di un prezzo finale,
oppure di prorogare il godimento continuando a pagare i canoni per un ulteriore periodo, oppure ancora di
consegnare definitivamente il bene alla finanziaria.
L’APPALTO
L’appalto è il contratto con il quale un committente affida ad un appaltatore o il compimento di un’opera o lo
svolgimento di un servizio, verso un corrispettivo in danaro Gli appalti si distinguono in privati e pubblici.
Caratteristica dell’appalto è la gestione a rischio dell’appaltatore, il quale deve provvedere ad organizzare tutti i
mezzi necessari per l’esecuzione del contratto. L’oggetto dell’appalto deve essere determinato o determinabile. Il
corrispettivo può essere stabilito o a forfait, per tutta l’opera nel suo complesso, o a misura (tanto al mt
quadro…). Se le parti non hanno fissato il corrispettivo né hanno determinato i criteri per calcolarlo, il compenso
va stabilito con riferimento alle tariffe esistenti o agli usi, o, in mancanza, deve essere determinato dal giudice.
L’appaltatore ha anche diritto ad un ulteriore compenso se nel corso dell’opera si manifestano difficoltà di
esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendano più onerosa la
prestazione dell’appaltatore. Ultimati i lavori, il committente ha diritto di verificare l’opera compiuta. La verifica
si chiama collaudo. L’appaltatore è tenuto a garantire il committente per eventuali vizi dell’opera. La garanzia
non è dovuta se il committente ha accettato l’opera e i vizi erano da lui conosciuti; se invece non ha accettato
l’opera o se i vizi erano occulti, il committente ha l’onere di denunciare i vizi entro 60 gg. dalla scoperta. Il
committente ha diritto che l’appaltatore elimini a sue spese i vizi oppure che il prezzo sia proporzionalmente
diminuito. Frequente è la stipulazione di subappalti sebbene il subappalto richieda una specifica autorizzazione da
parte del committente.
LA SUBFORNITURA
La subfornitura consiste nell’affidamento da parte di imprese più grandi, della predisposizione di talune parti di
un prodotto finale o dello svolgimento di talune fasi di un processo produttivo, donde la dipendenza del
subfornitore dalle direttive impartite dall’impresa committente. La disciplina si concreta prevalentemente:
a)
nell’obbligatorietà della forma scritta ad substantiam per la valida stipulazione del contratto, al fine di
assicurare certezza e trasparenza al rapporto;
b)
il committente non può dilazionare il pagamento del corrispettivo per un termine superiore a 60gg.ed in
caso di ritardo si applicano a suo carico interessi moratori nella misura del tasso ufficiale di sconto maggiorato
del 5%;
c) è vietato ogni eventuale abuso dello stato di dipendenza economica in cui possa trovarsi l’impresa
subfornitrice. (imposizione di un contratto con condizioni gravose o discriminatorie il patto attraverso il quale si
realizzi questo abuso è nullo.
IL CONTRATTO DI TRASPORTO
Con il contratto di trasporto, una parte (vettore) si obbliga verso corrispettivo a trasferire persone o cose da un
luogo all’altro. Distinguiamo il trasporto terrestre, il trasporto per acqua e il trasporto per aria.
Ad evitare abusi e per assicurare il servizio alla generalità del pubblico, sono stabiliti a carico delle imprese
concessionarie due obblighi:
a)
quello di contrarre chiunque ne faccia richiesta;
b)
quello di osservare la parità di trattamento secondo le condizioni stabilite nell’atto di concessione.
La differenza fondamentale che sussiste tra il trasporto di persone e quello di cose è: nel trasporto di cose queste
sono affidate al vettore, che ha l’obbligo di provvedere alla custodia di esse durante il trasporto; nel trasporto di
persone manca invece, questo affidamento perché in tal caso si parla di esseri umani dotti di intelligenza, i quali
devono cooperare con il vettore sia per evitare danni a sé stessi sia per lo stesso buon esito del viaggio. Le cose
che il viaggiatore porta con sé durante il viaggio, siccome restano nella sua sfera di detenzione, non formano
oggetto di affidamento al vettore, il quale non ha l’obbligo della custodia.
I CONTRATTI DI COOPERAZIONE NELL’ALTRUI ATTIVITA’ GIURIDICA
IL MANDATO
Il mandato è il contratto con cui una parte (mandatario) assume l’obbligo di compiere uno o più atti giuridici per
conto dell’altra parte (mandante) (art.1703 c.c.). Il mandato può essere con rappresentanza (gli effetti giuridici
degli atti compiuti dal mandatario si verificano direttamente in capo al mandante) o senza rappresentanza (il
mandatario agisce in nome proprio e acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dal negozio e i terzi non
hanno rapporto con il mandante. Il mandatario ha poi l’obbligo di trasferire con un successivo negozio al
mandante il diritto acquistato in norme proprio, ma nell’interesse del mandante). Il mandato senza rappresentanza
è applicato dalla legge solo per gli immobili o i beni mobili iscritti in pubblici registri: il mandatario che li abbia
acquistati in nome proprio, ma nell’interesse del mandante, ne diventa proprietario, ma ha l’obbligo di
ritrasferirne la proprietà al mandante; in caso di inadempimento di quest’obbligo, si applicano gli stessi principi
che vigono nell’ipotesi di inadempimento del contratto preliminare: il mandante può chiedere che il giudice attui
il trasferimento mediante sentenza costitutiva. Se il bene mobile è acquistato, sì, nel nome del mandatario, ma
nell’interesse del mandante, a quest’ultimo è concesso di rivendicare i beni stessi, se non gli sono stati trasferiti
dal mandatario, sia contro il mandatario, sia contro i terzi. Naturalmente, ove nel frattempo il mandatario abbia
già alienato ad un terzo, che abbia acquistato in buona fede e sia entrato in possesso dei beni, si applica il
principio stabilito dall’art.1153 c.c.: la rivendicazione del mandante non può perciò essere accolta.
Il trasferimento degli immobili esige la forma scritta ad substantiam, ed è soggetto, per la tutela dei terzi, a
pubblicità (trascrizione); perciò la proprietà non può essere attribuita al mandante senza un nuovo atto scritto di
trasferimento da sottoporsi a pubblicità. Nessun ostacolo si oppone, invece, all’acquisto immediato della proprietà
dei beni mobili a favore del mandante: occorre solo proteggere la buona fede dei terzi subacquirenti e per questo
è sufficiente l’applicazione della regola generale “possesso vale titolo”.
Per quanto riguarda i crediti nascenti dal rapporto posto in essere dal mandatario, il mandante può esercitare i
diritti nascenti dal rapporto obbligatorio sostituendosi al mandatario.
Il mandato si dice collettivo, se è conferito ad una stessa persona da più mandanti per un interesse comune a
questi ultimi; congiuntivo, se è conferito a più mandatari, perché attendano congiuntivamente ad un medesimo
affare. Il mandato si presume oneroso. L’obbligo fondamentale del mandatario consiste nell’eseguire il mandato
con la diligenza del buon padre di famiglia. Il mandante dal suo canto, è tenuto a fornirgli i mezzi necessari per
l’esecuzione del mandato, a rimborsargli le spese, a pagargli il compenso, e a risarcirgli i danni che questi abbia
subìto a causa dell’incarico. La morte, l’interdizione o l’inabilitazione del mandante o del mandatario,
determinano l’estinzione del mandato tranne che si tratti di mandato conferito nell’interesse del mandatario o di
un terzo. L’estinzione può verificarsi anche per dichiarazione unilaterale del mandante (revoca) o del mandatario
(rinunzia), comunicata all’altra parte (dichiarazione recettizia). La revoca può essere espressa o tacita. Essa non è
ammessa se il mandato è conferito anche nell’interesse del mandatario o di terzi. Quando il mandato si estingue
per rinunzia del mandatario, salvo l’obbligo di corrispondere i danni, se la rinuncia non è fondata su giusta causa,
oppure se, trattandosi di mandato a tempo indeterminato, non è preceduta da congruo preavviso.
LA COMMISSIONE
La commissione è un mandato senza rappresentanza, che ha per oggetto l’acquisto e la vendita di beni per conto
di una parte (committente), e in nome dell’altra (commissionario) (art.1731 c.c.).
A questo contratto si applicano le regole generali per il mandato senza rappresentanza.
Il compenso che spetta al commissionario si chiama provvigione. Se il commissionario assume verso il
committente la garanzia del buon esito dell’affare, ossia risponde con il proprio patrimonio nel caso le persone
con le quali ha concluso il contratto siano inadempienti, si dice che egli è tenuto allo “star del credere” ed ha
diritto ad una maggiore provvigione.
IL CONTRATTO DI SPEDIZIONE
Il contratto di spedizione è un mandato senza rappresentanza. Con esso, una parte (spedizioniere) assume
l’obbligo di concludere, in nome proprio e per conto del mandante, un contratto di trasporto e di compiere le
operazioni accessorie (imballaggio, presa a domicilio, assicurazione…).
IL CONTRATTO DI AGENZIA
Con il contratto di agenzia, un’impresa affida ad un agente l’incarico, con carattere di stabilità, di promuovere,
nella zona assegnatagli, la stipulazione di contratti con i terzi relativi ai prodotti del preponente. L’agente,
pertanto, non provvede a stipulare lui direttamente i contratti con i clienti per conto dell’imprenditore, ma si
limita a trasmettere a quest’ultimo gli ordini che raccoglie nella sua zona, e che il preponente, peraltro, è libero di
accettare o meno. Talvolta all’agente viene conferito anche un potere di rappresentanza dell’imprenditore: nel
qual caso, più che di agente si parla di rappresentante di commercio. Di regola, la retribuzione dell’agente è
calcolata a “provvigione” sugli affari conclusi per suo tramite. L’agente sopporta in proprio tutte le spese per la
propria organizzazione. Non è raro che il ruolo di agente sia svolto non da una persona fisica, ma da una società.
Di regola per l’agenzia vale, a favore e a carico di entrambe le parti, una esclusiva (art.1743 c.c.), sia nel senso
che l’agente non può assumere incarichi per più imprese in concorrenza tra loro, sia nel senso che l’imprenditore
non può nominare altri agente nella zona assegnata ad un agente e deve corrispondere a questo la provvigione
anche per gli affari che l’impresa abbia concluso direttamente, senza l’intervento dell’agente, purchè debbano
essere eseguiti nella zona assegnata a quest’ultimo.
Il contratto di agenzia può essere stipulato a tempo determinato o a tempo indeterminato.
IL FRANCHISING
E’ a tutti noto il fenomeno delle catene di negozi, composte da una molteplicità di imprese commerciali di
vendita al dettaglio che distribuiscono esclusivamente i prodotti di un determinato produttore (contrassegnati da
un certo marchio), che adottano gli stessi segni distintivi (ditta, insegna) e sono tra loro spesso identici anche
nell’arredamento dei locali. Tali catene sono, nella quasi totalità dei casi, costituite mediante contratti di
franchising. I negozi non appartengono al produttore dei beni, e coloro che li gestiscono non sono suoi
dipendenti. Si tratta, invece, di autonomi imprenditori commerciali, i quali, stipulando un contratto di franchising,
sono entrati nella catena, acquistando il privilegio di vendere i beni di un determinato produttore, utilizzando il
suo marchio e esponendo la sua insegna. Il franchising, in sostanza, si presenta come un contratto a prestazioni
corrispettive, con cui un imprenditore (un produttore di beni di consumo detto franchisor) attribuisce ad un altro
imprenditore (commerciante affiliato detto franchisee), il diritto di vendere i suoi prodotti, usando il suo marchio
e i suoi segni distintivi, e gli fornisce un’assistenza commerciale sia per avviare l’unità di vendita che per tutta la
successiva durata del contratto. in cambio, la controparte deve pagare un corrispettivo all’atto della stipulazione
del contratto con il quale entra nella catena ed un canone periodico.
LA MEDIAZIONE
Carattere fondamentale della mediazione è l’intervento di una persona (o di un’agenzia) estranea alle parti (il
mediatore) che, pur non essendo legato a nessuna di esse da rapporti di collaborazione o di dipendenza, le mette
in relazione tra loro per provocare o agevolare la conclusione di un affare (art.1754 c.c.). Il legislatore ha istituito
un apposito ruolo, al quale sono tenuti ad iscriversi quanti intendono svolgere attività di mediazione, anche se in
modo discontinuo ed occasionale; e solo chi sia scritto in tale ruolo ha diritto a percepire la provvigione. Anche le
società di mediazione devono essere iscritte a ruolo, nel quale devono iscriversi pure il rappresentante legale della
società e quanti svolgono per conto di questa attività di mediazione. La legge in questione non si applica agli
agenti di cambio, ai mediatori marittimi, agli intermediari nei servizi turistici e assicurativi. Il mediatore ha diritto
ad una provvigione da entrambe le parti, anche se abbia agito per incarico di una sola di esse, ma la provvigione
gli spetta solo se l’affare è concluso per effetto del suo intervento. La misura della provvigione e la ripartizione di
essa tra le parti, ove non sia fissata pattizialmente, può essere desunta da tariffe professionali, dagli usi o dal
giudice.
LE VENDITE PIRAMIDALI
La legge tutela il rapporto tra l’imprenditore e il soggetto incaricato alla vendita ad es. la legge vieta di imporre
all’incaricato l’obbligo di acquistare una certa quantità di prodotti o di partecipare a pagamento a corsi di
formazione.
La vendita piramidale consiste nella creazione di strutture di vendita nelle quali l’incentivo economico si fonda
sul reclutamento di nuovi soggetti piuttosto che sulla capacità di vendere.
In questi casi l’accesso alla struttura comporta un onere e dilatandosi la piramide coloro che ne sono al vertice
riescono a realizzare notevoli guadagni mentre gli ultimi sono esposti al rischio di subire costi d’ingresso senza
trarne benefici.
Queste forme di organizzazione sono espressamente vietate.
I PRINCIPALI CONTRATTI REALI
Il deposito regolare
Il deposito è il contratto reale con il quale una parte (depositario) riceve dall’altra (depositante) un cosa
mobile con l’obbligo di custodirla e di restituirla in natura, quando il depositante gliela richiede (es. il
deposito del bagaglio presso la stazione; art.1766 c.c.). Il depositario detiene la cosa solo nel mio
interesse e non ne può disporre e nemmeno servirsene. Se l’alienasse, si renderebbe responsabile del
delitto di appropriazione indebita. Il deposito si presume gratuito. Il depositario non può pretendere che
il depositante provi di essere proprietario della cosa.
Altra figura peculiare del deposito è il sequestro convenzionale che ha luogo quando v’è controversia tra
due o più persone circa la proprietà di una cosa; fin quando la controversia non sarà decisa, la cosa resta
affidata ad un terzo perché la custodisca e la restituisca a quella cui spetterà quando la controversia sarà
decisa. Dato che questo è difficile da verificarsi, si ricorre al sequestro giudiziario.
Il deposito irregolare
Il deposito irregolare ha per oggetto una quantità di danaro o altre cose fungibili, delle quali viene
concessa al depositario la facoltà di servirsi. Il depositario acquista allora la proprietà delle cose e può
farne quel che crede; egli è tenuto a restituire non le stesse cose, ma la stessa quantità di esse. Se
depositaria è una banca e il deposito irregolare ha per oggetto una somma di danaro, si ha il deposito
bancario.
Il deposito nei magazzini generali
Una figura caratteristica di deposito è il deposito nei magazzini generali o nei depositi franchi I
magazzini generali sono locali in cui i commercianti possono depositare le merci; l’impresa che li
gestisce provvede verso compenso alla custodia ed alla conservazione. I depositanti traggono
quest’utilità da questo tipo di deposito: su loro richiesta vengono rilasciati titoli che rappresentano le
merci (fedi di deposito e note di pegno o warrant). Trasferendo la fede di deposito, il commerciante
trasferisce la proprietà della merce, senza bisogno di spostarla dal magazzino; con la nota di pegno
riesce ad avere sovvenzioni costituendo un pegno sulla merce che rimane nel magazzino.
I depositi franchi sono una sottospecie dei magazzini generali: la merce ivi depositata è franca, esente da
dogana.
Il comodato
Il comodato è il contratto con il quale una parte (comodante) consegna all’altra (comodatario) una cosa
mobile o immobile, affinchè questa se ne serva per un tempo o un uso determinato, con l’obbligo di
restituire la stessa cosa ricevuta, ma senza essere tenuta a pagare alcun corrispettivo. Solo le cose
inconsumabili possono formare oggetto del comodato, non le cose consumabili.
Il comodato è un contratto essenzialmente gratuito (art.1803 c.c.), altrimenti diventerebbe un contratto
di locazione. Peraltro il requisito della gratuità del comodato non viene meno se non sono poste a carico
del comodatario prestazioni accessorie, purchè non siano tali da assumere il carattere di un vero
corrispettivo.
Il mutuo
Il mutuo è il contratto con il quale una parte (mutuante) consegna all’altra (mutuatario) una determinata
quantità di danaro, o di altre cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa
specie e qualità. Il mutuo si presume oneroso: salva diversa volontà delle parti, il mutuatario deve
corrispondere gli interessi al mutuante. Se le parti non hanno pattuito il tasso di interesse dovuto, si
applica il tasso legale.
I CONTRATTI BANCARI
Le operazioni di banca. Le regole generali sui contratti bancari
Le banche sono imprese che esercitano l’attività bancaria. Per attività bancaria si intende la raccolta del
risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito. Le banche possono operare solo se abbiano ottenuto
l’autorizzazione e siano state iscritte nell’apposito Albo, curato dalla Banca d’Italia.
La normativa comunitaria ha stabilito il principio del c.d. “mutuo riconoscimento”, vale a dire che le
banche dei Paesi della Comunità, una volta ottenuta l’autorizzazione ad operare nel Paese d’origine,
sono automaticamente autorizzate ad operare in tutto il territorio della CEE senza bisogno di alcun’altra
autorizzazione.
Le banche svolgono anche numerose altre attività, direttamente o tramite partecipazioni in società
controllate, quali il leasing finanziario, il factoring, servizi di pagamento, emissioni di assegni,
cambiali...
Le operazioni bancarie si distinguono in operazioni passive, con cui le banche si indebitano verso la
clientela raccogliendo fondi, operazioni attive, con cui le banche diventano creditrici dei clienti cui
concedono finanziamenti, ed operazioni accessorie, che consistono nei servizi che le banche prestano
utilizzando la propria organizzazione (trasferimento di fondi, acquisto e custodia di titoli…).
Le banche sono tenute alla pubblicità nei locali ove svolgono la loro attività, a tutti gli elementi di costo
dei servizi e prodotti offerti alla clientela, mentre i singoli contratti devono essere stipulati per iscritto
(consegnandone copia al cliente).
Il conto corrente e le operazioni bancarie in conto corrente
C/c ordinario è il contratto col quale due parti, avendo plurimi rapporti da cui derivano crediti pecuniari
reciproci, si accordano per considerare inesigibili temporaneamente le rispettive ragioni di credito,
inserendole in un apposito conto unitario, ed accettandone la compensazione integrale, fino a
concorrenza, cosicchè, alle scadenze pattuite (o, in mancanza, al termine di ogni semestre) tutte le
partite risultino sistemate con il pagamento del solo saldo.
Il c/c bancario, invece, è un contratto col quale si stabilisce di far confluire in medesimo conto accrediti
ed addebiti, ma con il quale il correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo
credito.
Di regola, il c/c bancario è utilizzato anche per l’esecuzione degli incarichi che il cliente affida alla
banca (mandati di pagamento, ordini di acquisto, cambio di valute,…).
La banca è tenuta ad inviare estratti conto periodici, ma questi si ritengono tacitamente approvati in
mancanza di opposizione scritta da parte del cliente entro 60 gg. dal ricevimento.
Il deposito bancario
Il deposito bancario costituisce la tipica operazione bancaria passiva e rappresenta lo strumento
tradizionale di raccolta del risparmio, essenziale per lo svolgimento della funzione di intermediazione
che le banche assolvono. Di regola il deposito è remunerato dalla banca, con un riconoscimento di
interessi a favore del depositante.
Per lo più il rapporto è regolato in c/c, consentendo al cliente prelievi e versamenti in qualsiasi
momento, nonché l’utilizzo di assegni bancari.
A richiesta del cliente la banca rilascia al depositante un libretto, sul quale si annotano tutti i versamenti
e i prelevamenti. I libretti di risparmio possono essere nominativi se vengono intestati ad una o più
persone; al portatore se il depositante preferisce che possano risultare legittimati ad operare anche altre
persone. La normativa contro il riciclaggio ha comportato che il saldo dei libretti di risparmio al
portatore non può essere superiore a 20 milioni.
I prestiti alla clientela
Con il danaro raccolto le banche provvedono a concedere prestiti alla clientela.
Le forme tecniche con cui possono essere concessi affidamenti sono: l’apertura di credito,
l’anticipazione bancaria, lo sconto.
L’apertura di credito è il contratto con il quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’affidato,
per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato, l’importo pattuito, con diritto dell’altra parte, di
ritirare o no, in tutto o in parte, le somme poste a sua disposizione e di procedere successivamente con
piena libertà a prelievi e versamenti in c/c, sempre nei limiti di quanto la banca gli ha accordato.
L’anticipazione bancaria va distinta dall’apertura di credito per la circostanza che nell’anticipazione
bancaria il prestito è sempre accompagnato dall’accensione di un pegno a favore della banca su titoli o
merci. Il pegno costituito a garanzia dell’anticipazione bancaria può essere regolare o irregolare; è
regolare e, pertanto, la banca non può disporre delle cose ricevute in pegno, se essa ha rilasciato un
documento nel quale le cose stesse sono individuate; è irregolare se manca l’individuazione delle cose
consegnate oppure è stata conferita alla banca la facoltà di disporne. In questa seconda ipotesi, la banca
acquista la proprietà delle cose ricevute in pegno e deve restituire solo la somma o la parte delle merci
che eccedono l’ammontare dei crediti garantiti.
Sconto
Lo sconto è il contratto con il quale la banca, alla quale viene ceduto il credito non ancora scaduto che il
cliente ha verso terzi, anticipa a quest’ultimo l’importo del credito. Lo sconto, pertanto, è una cessione
di credito contro corrispettivo.
La cessione avviene pro solvendo, per cui, se il debitore non paga alla scadenza, la banca può rivolgersi
anche a colui a cui favore ha concesso lo sconto e farsi restituire la somma versata. Inoltre, la banca
deduce dall’importo del credito ceduto gli interessi per l’anticipazione fatta. Lo sconto si configura in
sostanza come un prestito che la banca fa al cliente.
I crediti che più frequentemente formano oggetto di sconto sono quelli derivanti da cambiali
Cassette di sicurezza
Uno tra i più importanti servizi bancari accessori è costituito dalle cassette di sicurezza. Queste sono
recipienti collocati in stanze corazzate, predisposte dalle banche: il cliente vi può deporre ciò che crede
(denaro, gioielli, titoli).
Con questo contratto il cliente realizza due finalità: un elevato grado di sicurezza contro i furti e una
totale riservatezza, perché l’utente può introdurre nella cassetta a propria esclusiva discrezione i valori
che preferisce, senza che la banca debba o possa venirne a conoscenza.
Per la natura giuridica di questo contratto, si ritiene preferibile qualificarlo come contratto misto o
complesso, nel senso che in esso sono presenti prestazioni tipiche di più contratti.
I CONTRATTI ALEATORI
A) LA RENDITA
Con l’espressione rendita si intende qualunque prestazione periodica (ogni anno, ogni mese,...), avente
per oggetto danaro o una certa quantità di cose fungibili (grano, vino, …).
La rendita perpetua
Con il contratto di rendita perpetua una parte conferisce all’altra (e da questa ai suoi eredi) il diritto di
esigere in perpetuo una prestazione, del genere ora accennato, quale corrispettivo dell’alienazione di un
immobile o della cessazione di un capitale, oppure quale onere dell’alienazione gratuita di un immobile
o della cessazione gratuita di un capitale.
Il debitore ha la facoltà di sciogliersi dal vincolo mediante una dichiarazione unilaterale di volontà,
accompagnata dal pagamento di una somma che risulta dalla capitalizzazione della rendita annua sulla
base dell’interesse legale. La rendita si dice fondiaria, se è costituita mediante alienazione di un
immobile; semplice, se mediante cessione di un capitale
La rendita vitalizia
Col termine “vitalizia” si vuol dire che l’obbligazione di corrispondere la rendita dura finchè dura la vita
di una persona designata dalle parti, la quale può essere sia il beneficiario della rendita che un terzo. La
rendita vitalizia ha natura aleatoria. L’alea è un requisito essenziale: se manca, il contratto è nullo. La
rendita vitalizia può costituirsi, oltre che per contratto, anche per testamento o a favore di un terzo.
B) LE ASSICURAZIONI
L’assicurazione è un contratto con il quale una parte (assicuratore), verso pagamento di una somma,
detta premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, dal danno ad esso prodotto da un
sinistro (assicurazione contro i danni), ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un
evento attinente alla vita umana (assicurazione sulla vita) (art.1882 c.c.), ovvero a risarcire a terzi il
danno che dovrebbe essere risarcito dall’assicurato (assicurazione contro la responsabilità civile)
(art.1917 c.c.). Il contratto di assicurazione costituisce, pertanto, un atto di previdenza per l’assicurato
ed una speculazione per l’impresa assicuratrice. Esso appartiene alla categoria dei contratti aleatori: il
rischio costituisce un elemento essenziale; se manca, il contratto è nullo (art.1896 c.c.). Inoltre
l’assicuratore deve essere in condizione di apprezzare il rischio per decidere se è opportuno o no
concludere il contratto e quale premio gli conviene chiedere per compensare con gli altri rischi
omogenei la prestazione che contrattualmente è tenuto a corrispondere (proporzione del premio al
rischio).
Le risposte inesatte o reticenti dell’assicurato danno luogo all’annullabilità del contratto soltanto
nell’ipotesi di dolo o colpa grave dell’assicurato. Altrimenti, l’assicuratore ha la facoltà di recedere dal
contratto e l’indennità, nel caso che il sinistro si verifichi prima della dichiarazione di recesso o della
conoscenza dell’inesattezza o della reticenza da parte dell’assicurato, è ridotta in proporzione.
L’assicuratore è obbligato a rilasciare al contraente un documento, la polizza, che può essere all’ordine
o al portatore. Il contratto di assicurazione è, di regola, un contratto per adesione: la polizza contiene le
condizioni generali di contratto.
L’assicurazione contro i danni
Alle assicurazioni contro i danni si applica il c.d. principio indennitario effetto del quale l’indennizzo
dovuto dall’assicuratore non può mai superare l’importo del danno sofferto dall’assicurato:
l’assicurazione è regolata e tutelata dal legislatore come atto di previdenza e, cioè, come mezzo di
conservazione del patrimonio e non può, quindi, diventare fonte di arricchimento o di speculazione. E
l’assicuratore che ha pagato l’indennità può esercitare le azioni che spettano all’assicurato contro i terzi
responsabili del danno arrecato alla cosa (surrogazione legale: art.1916 c.c.). Inoltre, non ci si può
assicurare per un bene altrui, la cui perdita o il cui deterioramento è del tutto indifferente per il nostro
patrimonio.
L’assicurazione della responsabilita` civile. Le assicurazioni obbligatorie
Un particolare tipo di assicurazione contro i danni è rappresentato dalla c.d. assicurazione della
responsabilità civile: con tale contratto l’assicuratore si obbliga a tener indenne l’assicurato di quanto
questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare ad un terzo,
in dipendenza dalla responsabilità dedotta nel contratto (art.1917 c.c.). Sono esclusi i danni derivanti da
fatti posti in essere dall’assicurato con dolo.
Si tratta di una forma di assicurazione molto diffusa e nota soprattutto per quanto riguarda la
circolazione dei veicoli. Anzi, per questi rischi, è stato introdotto anche in Italia il principio che
l’assicurazione della responsabilità civile è obbligatoria per tutti i veicoli e per i natanti. La legge
consente al danneggiato di rivolgersi per il risarcimento dei danni subìti anche direttamente contro
l’assicuratore. Inoltre è stato costituito un fondo di garanzia per le vittime della strada, dal quale il
danneggiato potrà farsi risarcire il danno subìto qualora questo sia stato provocato da un veicolo o
natante non identificato oppure non coperto da assicurazione.
L’assicurazione sulla vita
Alla categoria delle assicurazioni sulla vita appartengono tutte quelle forme di assicurazione in cui la
prestazione dell’assicuratore dipende dalla durata della vita umana. L’assicurazione può anche essere
contratta sulla vita di un terzo. Per evitare che una siffatta forma di assicurazione costituisca un
incentivo all’omicidio (per lucrare l’indennità), si è stabilita la necessità del consenso della persona sulla
cui vita l’assicurazione è contratta)
Una figura frequente di assicurazione sulla vita è l’assicurazione a favore di un terzo: le parti
stabiliscono che alla morte dell’assicurato l’indennità sia attribuita ad un terzo designato dalla persona
che contrae l’assicurazione (beneficiario).
La riassicurazione
La riassicurazione è il contratto con il quale l’assicuratore assicura presso un’altra impresa i rischi che
ne ha assunto (art.1928 c.c.). Esso non costituisce una forma di cessione del contratto di assicurazione,
perché nella cessione si sostituisce al contraente originario un terzo; invece il contratto di
riassicurazione non crea rapporti tra l’assicurato e il riassicuratore .
C) GIUOCO E SCOMMESSA
Gioco e scommessa sono contratti aleatori per eccellenza. Essi si distinguono dall’assicurazione perché
non hanno, come questa, finalità previdenziale per una delle parti, ma scopo di lucro per entrambe. Se il
gioco o la scommessa sono proibiti, il negozio è illecito e nessun diritto sorge a favore del vincitore, il
quale è anche tenuto a restituire ciò che il perdente abbia eventualmente pagato. Se, invece, il gioco è
lecito, il vincitore non ha azione, ma il perdente non può ripetere quanto abbia spontaneamente pagato
(obbligazione naturale). L’azione è, invece, ammessa se si tratti di giochi o scommesse relative a
competizioni sportive (es. totocalcio) o di lotterie autorizzate. L’irripetibilità si applica a tutti i debiti
che sono contratti tra giocatori per iniziare o proseguire il gioco (es. prestito fatto da un giocatore
all’altro a tal fine). Queste regole si applicano anche al gioco esercitato nelle case da gioco organizzate
da comuni e all’uopo autorizzate, in quanto l’autorizzazione governativa ha il solo effetto di togliere
valore alle sanzioni penali stabilite per i giochi d’azzardo, ma non incide sul regime privatistico del
gioco.
I CONTRATTI DIRETTI A COSTITUIRE UNA GARANZIA
La fideiussione. Il mandato di credito
Fideiussore, dice l’art.1936 c.c. è colui che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce
l’adempimento di un’obbligazione altrui. La garanzia è personale, perché il creditore può soddisfarsi sopra
il patrimonio di una persona diversa dal debitore, e non dà luogo a nessun diritto reale ma riguarda tutto il
patrimonio del fideiussore (art.2740 c.c.). Il fideiussore risponde con tutti i suoi beni laddove il terzo datore
di pegno o d’ipoteca risponde soltanto con la cosa data in pegno o in ipoteca. Ma la fideiussione non
attribuisce diritto di seguito: la garanzia sussiste se ed in quanto nel patrimonio del fideiussore si trovano
dei beni: se ne escono, il creditore non può rivolgersi contro il terzo acquirente. La fideiussione può essere
anche spontanea, cioè essere assunta anche se il debitore non ne ha conoscenza.
La fideiussione ha natura accessoria: la garanzia intanto sussiste in quanto esista l’obbligazione principale.
Il fideiussore che ha pagato il debito è surrogato nei diritti che il creditore aveva contro il debitore; egli può
cioè valersi contro il debitore o gli eventuali condebitori che erano a disposizione del debitore. Oltre tale
surrogazione nei diritti e nelle ragioni del creditore, il fideiussore ha un’azione specifica (azione di
regresso) contro il debitore, anche se questi fosse ignaro dalla prestata fideiussione: con essa può farsi
rimborsare tutto ciò che abbia pagato per il debitore principale.
La fideiussione omnibus. La fideiussione per obbligazione futura
Si parla di fideiussione omnibus per indicare un impegno assunto da un soggetto (privato, società o altra
banca) verso una banca, e con cui si garantisce l’adempimento di tutti i debiti, compresi quelli che potranno
sorgere successivamente al rilascio della fideiussione, che un terzo (beneficiario della garanzia, debitore
principale della banca) risulterà avere verso la banca nel momento della scadenza pattuita ovvero nel
momento in cui la banca chiederà di recedere dal rapporto e di ottenere il saldo dei propri crediti. Ove il
debitore principale, in tutto o in parte, non sia in grado di provvedere alla estinzione dei suoi debiti, la
banca potrà rivolgersi al fideiussore omnibus, il quale non potrà opporre di non essere a conoscenza
dell’entità dei debiti del garantito/beneficiario. Con tale formula, quindi, si evita di dover richiedere una
nuova garanzia ad ogni nuova operazione; peraltro il fideiussore corre il rischio di ignorare di quanto si stia
espandendo il totale dei debiti del soggetto in cui favore ha rilasciato la garanzia omnibus.
La c.d. garanzia « a prima richiesta »
L’accordo tra garante (di regola una banca o una compagnia di assicurazione) e garantito, si inserisce in
un’operazione complessa per rendere sicuro l’incasso di una determinata somma di danaro da parte del
beneficiario/garantito, a richiesta di quest’ultimo. Difatti il debitore della prestazione (il garante), che opera
su ordine di un suo cliente, si impegna a versa re al beneficiario l’importo stabilito alla sola condizione che
costui gliene faccia richiesta, essendo pertanto stabilito che il garante rinuncia formalmente ad opporgli
qualsiasi tipo di eccezione.
Naturalmente il garante, quando versa l’importo al beneficiario, lo addebita al suo mandante, mentre questi
lo conteggia a carico della controparte nei loro rapporti diretti.
L’anticresi
In forza del contratto di anticresi (= scambio di godimento), il debitore o un terzo si obbliga a consegnare
un immobile al creditore a garanzia del credito, affinchè il creditore ne percepisca i frutti, imputandoli agli
interessi, se dovuti, e quindi al capitale (art.1960 c.c.): il debitore gode il danaro prestatogli, il creditore il
fondo.
La differenza tra anticresi e ipoteca è che questa non richiede il passaggio del possesso del fondo al
creditore: l’immobile continua, invece, ad essere posseduto dal debitore che ne percepisce i frutti.
Il divieto del patto commissorio si estende, per analogia di ragioni, all’anticresi. L’anticresi richiede ad
substantiam la forma scritta (art.1350.7 c.c.).
I CONTRATTI DIRETTI A DIRIMERE UNA CONTROVERSIA
La transazione
La transazione è il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine
ad una lite già cominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro (art.1965 c.c.).
Senza il reciproco sacrificio, le spese ed il rischio di un processo, non v’è transazione.
Di fronte al rischio di perdere la lite, entrambi gli interessati preferiscono pervenire ad un
regolamento contrattuale che rende inammissibile e irrilevante l’accertamento di chi avesse
ragione o torto e di quale fosse la reale situazione giuridica antecedente all’accordo transattivo,
ormai superata dal contratto concluso, che si pone quale fonte esclusiva della nuova disciplina tra
le parti.
La transazione non può riguardare diritti indisponibili (es. non si può transigere una lite relativa
alla legittimità di un figlio) e deve essere stipulata da chi abbia la capacità di disporre dei propri
diritti.
È nulla ovviamente, la transazione relativa ad un contratto illecito.
In linea di principio la transazione non può essere impugnata dalla parte che si convinca che
avrebbe potuto affrontare vittoriosamente un giudizio sulla lite, invece di accettare di comporla.
Tuttavia, se una delle parti era consapevole non solo di aver torto, ma addirittura che la lite era, per
parte sua, temeraria, l’altra parte può chiedere l’annullamento della transazione.
La cessione dei beni ai creditori
La cessione dei beni ai creditori è il contratto con il quale il debitore incarica i suoi creditori o
alcuni di essi di alienare tutti o alcuni suoi beni e di ripartirne fra loro il ricavato in
soddisfacimento dei loro crediti (art.1977 c.c.).
La cessione, salvo patto contrario, s’intende pro solvendo: il debitore è liberato verso i creditori
solo dal giorno in cui essi ricevono la parte loro spettante sul ricavato della liquidazione e nei
limiti di quanto hanno ricevuto.
È richiesta ad substantiam la forma scritta.
Per effetto della cessione il debitore perde la disponibilità dei beni ceduti, ma ha diritto di
esercitare il controllo sulla gestione e di ottenere l’eventuale residuo della liquidazione.
Con il pagamento del capitale, degli interessi e delle spese vien meno la ragione d’essere della
cessione e pertanto è attribuito al debitore di recedere dal contratto offrendo tale pagamento.
Ai creditori è concessa l’azione di annullamento, se il debitore, pur dichiarando di cedere tutti i
beni, ha dissimulato, cioè nascosto, una parte notevole di essi.
I CONTRATTI AGRARI
I contratti agrari
Tipologia
Il c.c. del 1942 distingueva l’affitto di fondo rustico dal caso dell’affitto a coltivatore diretto.
La legge n° 203/1982 ha invece previsto come unico contratto agrario il contratto di affitto
stabilendo la conversione in affitto di tutti i contratti associativi (mezzadria, colonia parziaria e
soccida).
Tale conversione doveva essere richiesta dal concedente entro 4 anni dall’entrata in vigore della legge,
mentre per chi non avesse chiesto la conversione questi contratti continuano sino alla loro scadenza.
La legge 203 ha inoltre previsto la riconduzione in affitto per i contratti che si caratterizzano per il
conferimento in godimento di un fondo rustico, da precisare che questa legge opera automaticamente.
La 203 si applica quando venga concesso in godimento temporaneamente e in cambio di un
corrispettivo, un fondo rustico in grado di produrre un reddito agrario.
Caratteri del contratto di affitto di fondi rustici
L’affitto di fondi rustici è un contratto bilaterale, oneroso e commutativo, dal quale sorgono a
favore delle parti i diritti rispettivamente di godimento della cosa affittata con percezione di frutti,
e del pagamento del canone.
Bilaterale in quanto i contraenti si obbligano l’uno versoi l’altro e il contratto si perfeziona per l’effetto
dell’incontro delle due parti;
Oneroso in quanto ciascun contraente intende procurarsi un vantaggio mediante un corrispettivo.
La durata del contratto
La l. 203 ha determinato in 15 anni la durata minima dei contratti di affitto di fondo rustico
indipendentemente dalla qualifica dell’imprenditore agricolo.
Al fine di stabilire la scadenza del contratto deve essere preso in considerazione il momento in cui il
conduttore si sia in concreto installato sul fondo, indipendentemente dalla stipulazione di successivi
accordi.
La durata massima non può essere superiore ai 30 anni.
La disdetta e la rinnovazione tacita
La legge ha stabilito all’art. 4 che in mancanza di disdetta di una della parti, il contratto di affitto
s’intende tacitamente rinnovato per la durata del periodo minimo legale.
Da precisare è che la disdetta deve pervenire almeno un anno prima della scadenza del contratto
mediante lettera raccomandata; l’anno di riferimento è quello agrario che termina l’11 Novembre.
La forma del contratto
L’art. 41 della legge 203 stabilisce che i contratti agrari ultranovennali sono validi e opponibili a
terzi, anche se verbali e non trascritti e anche se già in corso alla data di entrata in vigore della
legge.
Nel caso di conduttore non coltivatore diretto la legge richiede, invece, la forma scritta.
Regime dei miglioramenti
Secondo il c.c. l’affittuario deve curare la gestione del fondo in conformità con la destinazione
economica, che non può modificare.
Di conseguenza l’affittuario può eseguire migliorie rispettando l’originaria destinazione del fondo.
Ad esempio, l’affittuario che riceva un seminativo potrà installarvi una piantagione che rappresenti uno sviluppo,
non potrà, al contrario spiantare un frutteto per intraprendere altre coltivazioni, essendo chiara la destinazione del
fondo.
La legge ammette che ciascuna delle parti possa apportare miglioramenti e trasformazioni purché non
modifichino la destinazione agricola del fondo nel rispetto dei programmi regionali di sviluppo.
Sul conduttore grava l’obbligo di restituire “la cosa” nel medesimo stato in cui l’ha ricevuta.
Il concedente può chiedere la risoluzione del contratto per grave inadempimento quando il
conduttore non rispetti queste condizioni.
Le obbligazioni scaturenti dal contratto di affitto
Le obbligazioni del concedente sono:

La consegna del fondo rustico: per il quale non s’intende il terreno nudo, ma il fondo
attrezzato con gli accessori e le pertinenze per la produzione cui è destinato e nell’estensione prevista
dal contratto.

Adoperarsi affinché sia garantito all’affittuario l’esercizio dell’impresa.
L’affitto di fondi rustici è un contratto di durata ad esecuzione continuata: la durata è infatti adeguata
allo svolgimento di almeno un ciclo produttivo, allo scopo di garantire un assetto stabile all’impresa che
l’affittuario deve condurre.
Come detto prima, il legislatore ha disposto una durata massima del rapporto di 30 anni e una minima di
15 anni. Inoltre si dispone una tacita rinnovazione del contratto in caso di mancata disdetta di una delle
due parti. Infine il concedente può chiedere la risoluzione del contratto per grave inadempimento
dell’affittuario, intendendo ogni violazione degli obblighi di pagamento del canone o di razionale
coltivazione del fondo.
Le obbligazioni dell’affittuario sono quelle, in primo luogo di corrispondere un canone al
concedente per il godimento del fondo rustico e di apportare i miglioramenti già spiegati.
Il canone è determinato corrisposto in denaro, tale determinazione è fatta sulla base di 3 tipi di
coefficienti:
1.
Coefficienti di moltiplicazione del reddito dominicale: variano in funzione della qualità e
della zona agraria del fondo e sono elaborati da apposite Commissioni tecniche provinciali.
2.
Coefficienti aggiuntivi: elaborati dalle medesime Commissioni in aggiunta ai coeff. di
moltiplicazione per tener conto delle strutture che accrescono la produttività delle aziende, che possono
essere fabbricati per uso abitativo o aziendale o investimenti fissi.
3.
Coefficienti di adeguamento: stabiliti di anno in anno al fine di aggiornare il canone in
funzione della svalutazione monetaria secondo i dati ISTAT.
La successione nel contratto di affitto
La legge 203 prevede i seguenti casi:

Morte dell’affittuario: la norma prevede lo scioglimento del contratto, salvo che fra gli eredi
vi sia qualcuno che continui ad esercitare tale attività in qualità di coltivatore diretto o IATP;

Morte del concedente per a quale i contratti agrari non si sciolgono;

Morte del proprietario: in tal caso gli eredi in possesso delle qualifiche di coltivatore diretto
o IATP, possono continuare l’attività agricola anche nelle porzioni comprese nelle quote dei coeredi, in
cambio di un canone, instaurando un contratto di affitto.
L’affitto a coltivatore diretto
L’art. 7 della l. 203 puntualizza che vengono equiparati ai coltivatori diretti anche le di società di
persone in possesso di tale qualifica.
Ai fini della qualifica di coltivatore diretto in favore dell’affittuario di fondo rustico, occorre che
questo si dedichi in modo stabile e continuativo ai lavori agricoli del fondo, e che la prestazione del
lavoro da parte dell’affittuario e della propria famiglia sia in misura non inferiore ad â…“ delle forze
normalmente occorrenti alla coltivazione del fondo.
Poiché il contratto di affitto a coltivatore diretto è un contratto diverso da quello di affitto a non
coltivatore diretto, nel caso in cui venga meno la qualificasi verifica lo scioglimento del contratto stesso
per grave inadempienza.
La prelazione agraria
La prelazione agraria è un diritto a favore degli affittuari coltivatori diretti in caso di vendita del
fondo rustico.
È stata introdotta allo scopo di favorire l’acquisto della proprietà del fondo da parte di che ne è
coltivatore; le stesse norme hanno esteso questo diritto a chi è proprietario dei fondi confinanti dal
almeno 2 anni.
La prelazione si applica in caso di vendita: il proprietario che intende vendere il fondo deve darne
comunicazione all’affittuario che ha 30 giorni per accettare o rinunciare. Decorsi i 30 giorni senza che
vi sia stata accettazione, il proprietario può vendere il fondo a chi crede.
I contratti associativi
I contratti associativi sono caratterizzati dalla comunanza di scopo. Le parti del contratto si
associano per uno scopo comune rappresentato dall’esercizio dell’impresa.
Ciò comporta che anche il rischio dell’attività ricade su ambedue le parti che sono tenute a partecipare
alle spese e alle perdite.
I contratti associativi sono la mezzadria, la colonia parziaria e la soccida; tuttavia la legge n° 203 ha
vietato la nuova stipulazione di tali contratti e ha previsto la loro conversione in affitto.
Mezzadria
Nella mezzadria il concedente ed il mezzadro si associano per la coltivazione in comune del podere
e per l’esercizio delle attività connesse al fine di dividerne gli utili.
La ripartizione degli utili viene stabilita ne 42% a favore del concedente e nel 58% del mezzadro.
Colonia parziaria
È quel contratto con cui il concedente ed uno o più coloni si associano, dando vita ad una gestione
in comune del fondo al fine di dividerne gli utili. La ripartizione è del 60% al colono e del 40% al
concedente, quando le spese vengono divise al 50%.
Il dato che accomuna la mezzadria e la colonia parziaria è l’esercizio in comune dell’impresa agricola,
mentre differiscono per la presenza di un’accorta organizzazione del fondo nella mezzadria, che manca
nella colonia parziaria; inoltre nel caso della mezzadria la famiglia colonica si insedia sul fondo, cosa
che non è tenuta a fare nella colonia parziaria.
Soccida
La soccida è il contratto nel quale il soccidante ed il soccidario si associano per l’allevamento e lo
sfruttamento del bestiame e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di ripartire
l’accrescimento del bestiame e gli altri utili che ne derivano.
Le parti del contratto sono:

Il soccidante, che è tenuto al conferimento del bestiame;

Il soccidario, che è tenuto al conferimento della prestazione lavorativa, effettuata
eventualmente con la collaborazione dei familiari, con il consenso del soccidante.
La durata minima del contratto è di tre anni vi è anche una rinnovazione tacita in mancanza di disdetta
di una delle parti.
In sintesi il soccidante attribuisce al soccidario il potere e dovere di curare il bestiame, ma si riserva un
potere di direzione dell’impresa. Si possono distinguere tre tipi di soccida:

Soccida semplice: nella quale il bestiame viene conferito interamente dal soccidante che ne
conserva la proprietà, assumendosi il rischio di diminuzione del valore;

Soccida parziaria: il bestiame viene conferito da entrambe le parti , con la conseguenza che
sia la titolarità, che i rischi spettano ad entrambi.

Soccida con conferimento di pascolo: il soccidante è tenuto conferire il fondo, mentre il
soccidario al conferimento del bestiame e della prestazione lavorativa.
La legge 203 ha stabilito la convertibilità in affitto delle soccide parziarie e con conferimento di pascolo
quando l’apporto di bestiame da parte del soccidante sia inferiore al 20% del valore dell’intero bestiame
conferito.
Cause di scioglimento sono la disdetta o la risoluzione per inadempimento.
Contratti associativi e loro conversione in affitto
A partire dal dopoguerra, però, questi contratti associativi sono apparsi sempre più inadeguati alla
crescente meccanizzazione in agricoltura. Di conseguenza con la l. n° 203/1982 si è intervenuto per
adeguare i contratti agrari.
La legge prevede ora la conversione in affitto dei contratti di mezzadria e colonia parziaria, in contratti
di affitto.
Questa conversione poteva essere richiesta da una delle due parti entro 4 anni dall’entrata in vigore della
legge. Inoltre è prevista la conversione di tutti i contratti non convertiti entro un breve periodo di anni.
LE PROMESSE UNILATERALI
La promessa unilaterale avente ad oggetto un determinato comportamento futuro del promittente, è vincolante se
inserita in un contratto, a condizione che questo abbia una valida causa, ovvero, sia rivestita dalla forma solenne
richiesta per la donazione. Viceversa si è sempre considerata insufficiente per il sorgere di un vincolo giuridico
una semplice promessa unilaterale (nudo patto).
Il problema sorge quando il promittente non intende più rispettare la promessa fatta. Mentre i contratti possono
essere vincolanti sia quando rientrano nei tipi espressamente previsti, sia quando costituiscono accordi atipici, le
promesse unilaterali vincolanti non possono invece che essere tipiche.
Ove non rientrino nei casi ammessi dalla legge, potranno al più far sorgere un obbligazione naturale.
Promessa di pagamento e ricognizione di debito.
Occorre distinguere la promessa di pagamento dalla ricognizione di debito
la promessa di pagamento è un atto unilaterale con il quale un soggetto promette di effettuare un
pagamento ad un altro soggetto
la ricognizione di debito è un atto unilaterale con il quale un soggetto riconosce di essere debitore
di un altro soggetto
L’art. 1988 c.c. attribuisce alla promessa di pagamento (prometto di restituirti 100) e alla ricognizione di debito
(riconosco di doverti 100) rilevanza solo sul piano processuale: infatti colui che può vantare, a proprio favore,
una promessa di pagamento o un riconoscimento di debito è dispensato dall’onere di provare il rapporto
Sarà l’autore della promessa di pagamento o della ricognizione di debito a dover fornire la prova contraria, ossia
che il debito che ha promesso di pagare o di cui ha riconosciuto l’esistenza, in realtà non è mai esistito.
Peraltro la ricognizione di debito e la promessa di pagamento possono in concreto presentarsi:
a) In forma pura, per tale intendendosi la dichiarazione che ha ad oggetto solo ed esclusivamente
l’affermazione solenne di un debito (“sono debitore di tot” e “prometto di pagarti 100 di cui ti sono
debitore”) ovvero la consapevolezza di dover adempiere un debito, senza che venga fatto riferimento alla
sua causa debendi,.
b) In forma titolata, cioè la dichiarazione che ha ad oggetto la consapevolezza del dichiarante di dover
adempiere un debito di cui riconosce l’esistenza, accompagnata però dall’indicazione della relativa causa
debendi (“sono debitore di 100 a titolo di mutuo e “prometto di pagarti 100 di cui ti sono debitore a titolo
di mutuo”(
Nel primo caso l’autore ha l’arduo compito di fornire prova negativa, dimostrando che, tra la sua persona e quella
del destinatario della promessa non si è verificato mai alcuno di quei fatti. Nel secondo caso l’autore ha l’onere di
fornire la prova dell’inesistenza tra le parti solo di rapporti riconducibili al tipo di atto indicato nella
dichiarazione.
Ancora diverso è il caso in cui la dichiarazione titolata enunci, oltre che la causa debendi, anche il fatto costitutivo
del debito oggetto di asseverazione o che si promette di adempiere (prometto di pagarti 100, di cui ti sono
debitore in restituzione della somma che mi hai consegnato a titolo di mutuo il giorno 01/02/80”). In questo caso
la ricognizione di debito e la promessa di pagamento risultano accompagnate dalla confessione del fatto
costitutivo del debito, la quale potrà essere vinta solo provando l’errore di fatto che ha determinato la
dichiarazione.
Promessa al pubblico.
E’ una promessa di una prestazione rivolta al pubblico fatta a favore di chi si trovi in una determinata situazione o
abbia compiuto una determinata azione. (es. prometto una ricompensa al primo acquirente di un nuovo prodotto)
La promessa acquista efficacia vincolante non appena resa pubblica attraverso vari mezzi di pubblicità.
Si distingue dall’offerta al pubblico in quanto mentre questa è una proposta di contratto che per divenire
vincolante richiede l’accettazione da parte dell’oblato, pertanto è revocabile finchè l’accettazione non sia portata a
conoscenza del proponente; la promessa al pubblico è invece vincolante indipendentemente da qualsiasi
accettazione.. Pertanto essa è revocabile solo per giusta causa, purchè la revoca sia resa pubblica nella stessa
forma o in forma equivalente della promessa. La revoca non può avere effetto se la situazione prevista nella
promessa si è già verificata o se l’azione è già stata compiuta.
Se alla promessa non è apposto un termine o questo non risulta dalla natura o dallo scopo della dichiarazione del
promittente, il vincolo cessa qualora entro l’anno della promessa non gli sia stato comunicato l’avveramento della
situazione o il compimento dell’azione prevista nella promessa.
Titoli di credito
Nella categoria confluiscono i titoli di Stato o del debito pubblico, le obbligazioni emesse da spa, ecc.
Si ammette pure l’emissione di titoli “atipici”, che non formano cioè oggetto di specifiche previsioni normative.
Nei titoli di credito il documento non costituisce soltanto una prova del rapporto, in quanto esso è addirittura
necessario per poter far valere il diritto documentario dal titolo: il debitore non può pagare validamente a chi non
gli esibisca il documento; e per converso, il portatore (o possessore) del titolo, ha diritto alla prestazione in esso
indicata.
Conseguentemente può essere legittimato a pretendere la prestazione anche chi non sia titolare del diritto: difatti il
debitore che senza dolo o colpa grave adempia la prestazione nei confronti del possessore, è liberato anche se
questi non ne è titolare (nb proprietario) del diritto.
Con i titoli di credito, si rendono inopponibili al terzo acquirente del titolo le eccezioni personali che il debitore
avrebbe potuto opporre al primo prenditore: il titolo di credito si caratterizza dunque per l’autonomia del diritto
che circola in esso incorporato.
All’acquirente di buona fede di un titolo di credito, purchè l’abbia acquistato in conformità alle norme che ne
disciplinano la circolazione, non è opponibile il difetto di titolarità del suo dante causa, proprio come accade per i
beni mobili in forza del principio possesso vale titolo.
Dai titoli di credito vanno tenuti distinti:
a) I documenti di legittimazione, di largo utilizzo nelle contrattazioni di massa, che servono
all’identificazione dei soggetti aventi diritto alla prestazione.
b) I titoli impropri, che consentono il trasferimento del diritto senza l’osservanza delle forme proprie della
cessione.
Per entrambe queste figure non può parlarsi di titoli di credito, in quanto non si verifica il fenomeno della
incorporazione del diritto nel documento. Di fatti, in caso di smarrimento di questo, proprio perché il titolo non è
necessario, il titolare potrà egualmente pretendere la prestazione dovutagli, offrendo in altro modo la prova della
sua titolarità e non avrà bisogno di ricorrere alla complicata procedura di ammortamento, che invece è
indispensabile per i titoli di credito.
I diritti incorporati nei titoli di credito possono consistere innanzitutto in crediti pecuniari Il codice parla invece di
titoli rappresentativi per indicare documenti che incorporano il diritto alla consegna delle merci in esso
specificate. Questi titoli attribuiscono al possessore non solo il diritto ad ottenere la consegna delle merci
dall’emittente, ma pure il potere di disporne mediante trasferimento del titolo: vale a dire che nei titoli
rappresentativi vi è incorporato un diritto di credito (alla consegna) ma pure un diritto reale sulle merci che
devono essere consegnate.
Ancora diverso è il diritto incorporato nei titoli di partecipazione (es.: azioni emesse da spa): i quali attribuiscono
al possessore, oltre al diritto di disposizione sul titolo stesso, anche i c.d. diritti corporativi o associativi (es.:
diritto di riscuotere i dividendi, di prendere parte alle assemblee sociali, ecc.).
Titoli al portatore, all’ordine e nominativi.
Il requisito del possesso del titolo è in ogni caso indispensabile per l’esercizio del diritto in esso contenuto. Talora
però sono richiesti ulteriori requisiti:
a) Titoli al portatore (es.: buoni del tesoro, obbligazioni emesse da enti pubblici o da spa, ecc.), per il cui
trasferimento è sufficiente la consegna del titolo
b) Titoli all’ordine (es.: cambiale), per il cui trasferimento sono richieste la consegna del titolo e la “girata”.
Il titolo nella sua originaria formulazione è intestato ad una persona. La girata consiste nell’ordine che
l’intestatario dà al debitore di eseguire la prestazione ad una persona diversa (es.: “per me pagate al sig.
X”, segue la firma di chi fa la girata, detto girante). La girata può essere piena, se contiene l’indicazione
della persona a favore della quale è fatta (giratario) o in bianco (se consiste nella sola firma). Il giratario
può a sua volta trasferire il titolo a favore di un’altra persona mediante nuova girata.
c) Titoli nominativi (es.: titoli azionari), che sono intestati ad un determinato soggetto. L’intestazione è
peraltro contenuta anche nel registro dell’emittente, ossia del debitore che ha emesso il titolo.
La circolazione del titolo è un po’ più complicata che nelle ipotesi precedenti: il trasferimento della
legittimazione avviene mediante l’annotazione del nome dell’acquirente sul titolo e nel registro
dell’emittente, o con il rilascio di un nuovo titolo intestato al nuovo titolare. Queste operazioni si chiamano
transfert.
Il titolo nominativo può essere trasferito anche mediante girata, ma quest’ultima deve essere piena e
autenticata da un notaio o da un agente di cambio: questa forma di trasferimento ha peraltro efficacia solo
inter partes.
Caratteristiche del titolo di credito.
a) Letteralità: è il tenore letterale del titolo (cioè quel che in esso è scritto) che determina la quantità, la
qualità e la modalità del diritto attribuito al possessore legittimo del documento. Essa serve a tutelare il
terzo di buona fede che ha fatto affidamento sul tenore testuale del documento: perciò l’obbligazione
nascente da un titolo di credito si chiama cartolare, in quanto è immedesimata o incorporata nel
documento. Il debitore non può richiamarsi a circostanze non risultanti dal titolo; a sua volta il titolare
del diritto non può far valere pretese più ampie di quelle risultanti dal tenore della scrittura.
b) Autonomia: questa caratteristica è in connessione con la precedente e serve anch’essa a tutelare
l’affidamento del terzo cui il diritto venga trasferito. Colui a cui viene trasferito il titolo di credito
acquista un diritto del precedente titolare: il debitore non gli può opporre le eccezioni personali che
avrebbe potuto opporre a quest’ultimo (es.: se il compratore ha rilasciato una cambiale in relazione al
debito del prezzo e questa viene girata, egli non può opporre al terzo giratario l’eccezione di mancata
consegna della merce; deve pagare, salvo rivolgersi poi al venditore per essere rimborsato).
Non è invece comune a tutti i titoli di credito il requisito dell’astrattezza. Vi sono titoli di credito “causali”, nei
quali l’adempimento della prestazione promessa è subordinato (anche di fronte a terzi) alla sorte ed allo
svolgimento del rapporto indicato sul documento: “causali” sono ad es. l’azione,
Titoli “astratti” sono invece quelli nei quali il rapporto fondamentale non è enunciato nel titolo ed è irrilevante nei
confronti del terzo possessore in buona fede, il quale ha diritto alla prestazione anche se il rapporto fondamentale
non sussiste.
Eccezioni opponibili dal debitore al possessore del titolo
Si distinguono in:
a) Reali (o assolute): si possono opporre a qualunque possessore es. le eccezioni come la compensazione
b) Personali (o relative): soltanto ad un possessore determinato es. le eccezioni di forma, (manca la
denominazione “cambiale) quelle che sono fondate sul contesto letterale del titolo, (la somma richiesta è
superiore a quella del titolo) quelle che dipendono da falsità della propria firma, da difetto di capacità o
di rappresentanza al momento dell'emissione, o dalla mancanza delle condizioni necessarie per l'esercizio
dell'azione
Il debitore può opporre al possessore del titolo le eccezioni fondate sui rapporti personali con i precedenti
possessori, soltanto se, nell'acquistare il titolo, il possessore ha agito intenzionalmente a danno del debitore
medesimo ovvero si supponga che il primo prenditore di una cambiale possa opporre l’eccezione che il rapporto è
nullo per illiceità della causa ed il possessore per impedire che gli venga opposta questa eccezione eviti l’ostacolo
girando la cambiale ad un'altra persona con la quale è d’accordo. È chiaro che in quest’ipotesi viene meno la
ragione che esclude l’opponibilità delle eccezioni personali al terzo: manca la buona fede, anzi si è addirittura in
dolo.
L’ammortamento dei titoli di credito all’ordine e nominativi
Cosa avviene se un titolo all’ordine o nominativo è smarrito o sottratto o distrutto?
La legge predispone un particolare procedimento (ammortamento) con il quale si mira a distruggere l’efficacia del
titolo smarrito o sottratto o distrutto ed a procurare a chi ha perduto il possesso del titolo un documento che di
questo faccia le veci (ricostruzione della legittimazione).
Oltre alla denuncia occorre presentare un ricorso al presidente del tribunale del luogo in cui il titolo dovrebbe
essere pagato, indicando nel ricorso i requisiti essenziali del titolo ed i fatti che ne hanno provocato lo
smarrimento, la distruzione o la sottrazione. Il presidente del tribunale pronuncia con decreto l’ammortamento e
autorizza il pagamento del titolo alla scadenza o, dove si tratti di titolo già scaduto, dopo 30 giorni dalla data di
pubblicazione del decreto in GU.
Chi al momento della pubblicazione in GU del decreto di ammortamento, si trovi in possesso del titolo, può
proporre opposizione, entro 30 giorni, facendo valere i diritti che egli ritenga di avere sul titolo dichiarato
ammortato e chiedendo la revoca del decreto.
Solo se l’opposizione non è proposta entro il termine o è respinta, il titolo perde la sua efficacia e chi ha subito lo
smarrimento o la sottrazione può ottenere il pagamento o, se il titolo non è ancora scaduto la duplicazione.
La procedura di ammortamento non è ammessa per i titoli al portatore; denunciando all’emittente lo smarrimento
o la sottrazione e fornendone la prova, chi lo ha smarrito può ottenere la prestazione soltanto se nessuno si
presenta a chiedere il pagamento entro il termine stabilito dalla legge per la prescrizione.
LA CAMBIALE
La cambiale è un titolo di credito all’ordine.
Si distinguono due figure di cambiali: la tratta e il vaglia cambiario (o pagherò cambiario). La prima contiene
l’ordine che una persona (traente) dà ad un’altra (trattario) di pagare ad un terzo (prenditore) una somma di
danaro.
Il vaglia cambiario contiene la promessa fatta da una persona (emittente) di pagare una somma di danaro
direttamente nelle mani del prenditore. Entrambi sono negozi giuridici unilaterali.
Figure particolari di cambiali sono:
a)la cambiale ipotecaria, il cui pagamento è garantito da ipoteca che si trasferisce con la girata del titolo di
credito;
b)la cambiale agraria, che garantisce i prestiti agrari di esercizio o di miglioramento di un fondo.
La cambiale presenta anzitutto caratteristiche comuni con gli altri titoli di credito: letteralità e autonomia.
Per il principio di autonomia, la cambiale può essere trasferita mediante girata. Perciò può avvenire che sullo
stesso documento cambiario siano contenute più firme di soggetti diversi. L’autonomia caratterizza i singoli
rapporti cambiari: ciascuna delle obbligazioni cartolari è indipendente dall’altra, è valida anche se l’altra è
invalida.
Accanto a questi caratteri comuni agli altri titoli di credito la cambiale presenta anche le seguenti caratteristiche:
a) astrattezza. Il rapporto che dà luogo all’emissione della cambiale può essere di varia natura e può perfino
mancare: ciò non ha importanza; una volta che ho sottoscritto una cambiale, io non posso eccepire la mancanza di
causa, o riferirmi a vizi per sottrarmi all’obbligo di pagare la cambiale, se il pagamento mi viene chiesto dal terzo
giratario. Si deve ricordare che l’astrattezza di un negozio non esclude l’azione di ripetizione, quando sia
dimostrata la mancanza di causa. Chi risulta debitore in base a un negozio astratto deve adempiere l’obbligazione
nei confronti del terzo acquirente del titolo.
Se poi il pagamento mi viene chiesto dalla controparte , allora io posso opporre le eccezioni nascenti dal rapporto.
L’astrattezza, quindi, funziona solo nei confronti dei terzi.
Applicando i principi esposti, risulta che la cambiale di favore, ossia quella creata soltanto per procurare,
mediante la girata, credito ad una determinata persona, è valida.
b) efficacia esecutiva del titolo cambiario: vuol dire che non c’è bisogno di una sentenza di condanna del
debitore per iniziare l’esecuzione, basta all’uopo la cambiale. Per questo effetto, essa deve essere in regola con il
bollo fin dall’inizio, ossia dal momento in cui si perfeziona il negozio cambiario.
I requisiti essenziali, in mancanza dei quali il documento non vale come cambiale sono:
1) la denominazione di cambiale: “per questa mia cambiale pagherò o pagherete”;
2) se è una tratta, l’ordine, se è un pagherò, la promessa di pagare una somma determinata, senza alcuna
condizione; la condizione toglierebbe al documento il carattere di cambiale;
3) il nome del trattario, se trattasi di cambiale tratta;
4)
il nome del primo prenditore;
5) l’indicazione della data di emissione;
La scadenza della cambiale può essere:
a) a giorno fisso (1/12/00);
b) a certo tempo data (ad un anno dalla data di emissione);
c) a vista (in questo caso la cambiale è pagabile al momento della presentazione).
Se non vi è indicazione di scadenza, la cambiale si considera pagabile a vista.
Se è indicato come luogo di
pagamento il domicilio di un terzo, cioè di una persona diversa dal trattario o
dall’emittente, la cambiale si dice domiciliata;
6) la sottoscrizione del traente o dell’emittente.
In ordine alla capacità a porre in essere i negozi cambiari, possono sottoscrivere validamente cambiali, il minore
emancipato autorizzato all’esercizio di un’impresa commerciale ed il genitore o il tutore o l’inabilitato autorizzati
alla continuazione dell’esercizio di un’impresa commerciale per conto del minore o dell’interdetto. La cambiale
può essere anche scritta per procura. Una deroga alle norme comuni è stabilita nel caso di negozio cambiario
concluso da chi assume di essere dotato del potere di rappresentare altra persona, mentre né è sprovvisto. In
questo caso il negozio non produce effetti né per il rappresentante né per il rappresentato ed è soltanto sancita
eventualmente la responsabilità del rappresentante sprovvisto di procura.
La cambiale incompleta quando fu emessa (detta cambiale in bianco), può essere completata in conformità degli
accordi intercorsi tra i soggetti del negozio cambiario (c.d. negozio di riempimento). Se tali accordi non vengono
osservati, l’eccezione di abusivo riempimento non può essere opposta al terzo portatore, salvo che questi abbia
acquistato la cambiale in mala fede ovvero abbia commesso colpa grave acquistandola. La facoltà di riempimento
è sottoposta ad un termine di decadenza di 3 anni dall’emissione del titolo; la decadenza non è però opponibile al
portatore di buona fede al quale il titolo sia pervenuto già completo.
Con la cambiale tratta una persona (traente) rivolge ad un’altra (trattario) l’ordine di pagare ad una terza persona
(beneficiario o prenditore) la somma indicata nella cambiale stessa. La cambiale può essere tratta anche a favore
dello stesso traente: se il beneficiario è un terzo, il traente assume già con l’emissione un obbligo cambiario verso
il prenditore; se è tratta a favore dello steso traente, questi assume un obbligo cambiario soltanto quando trasmette
la cambiale ad un terzo. Il rapporto che giustifica l’ordine impartito dal traente al trattario si chiama rapporto di
provvista. Quale che sia il rapporto di provvista tra traente e trattario questi, anche se si sia obbligato verso il
traente ad aderire all’ordine contenuto nella cambiale, non assume alcun obbligo cambiario se non quando
provveda ad apporre una dichiarazione scritta sulla cambiale di adesione all’ordine impartitogli dal traente:
l’accettazione.L’accettazione è espressa con la parola “accettato”, “visto” o con altre equivalenti. Non è ammessa
l’apposizione di condizioni; è valida peraltro l’accettazione limitata ad una parte soltanto della somma. Se
l’accettazione è rifiutata, il portatore della cambiale può rivolgersi contro il traente e i giranti (azione di regresso).
L’accettazione può essere fatta anche da persona diversa dal trattario (accettazione per intervento). Questa
persona può anche essere indicata all’uopo sulla cambiale (al bisogno) dal trattario o dal traente (indicato al
bisogno). La cambiale può essere trasferita mediante girata. Ossia mediante l’ordine, scritto direttamente sul retro
del documento, con cui il prenditore del titolo, o un successivo giratario, ingiunge al debitore di pagare l’importo
dovuto al beneficiario dell’ordine, detto giratario. Il trasferimento mediante girata costituisce la circolazione
normale, regolare del titolo, ma non è vietato che la cambiale si trasferisca in base alle regole della cessione.
Infatti, il traente può imprimere alla cambiale una circolazione anomala vietandone con le parole “non all’ordine”
o altre equivalenti, il trasferimento mediante girata: in questo caso la cambiale si trasferisce solo con la forma e
con gli effetti di una cessione ordinaria. Anche il girante può vietare una nuova girata.
La girata deve essere scritta sulla cambiale o, nel caso che questa contenga già tante firme da non potersene
apporre altre, su un foglio ad essa attaccato che si chiama allungamento.
La girata può essere piena (per me pagate al sig. X) o in bianco: quest’ultima non contiene l’indicazione del
giratario ed è costituita dalla sola firma del girante. Nel caso di girata in bianco il giratario può riempirla con il
proprio nome o con quello di altra persona, girare la cambiale di nuovo in bianco o a persona determinata,
trasmettere la cambiale ad un terzo, senza riempire la girata in bianco e senza girarla.
Figure particolari di girata sono: la girata per incasso o per procura (il giratario non può girare il titolo se non per
procura e a lui possono essere opposte le eccezioni opponibili al girante) e la girata a titolo di pegno (attribuisce
al giratario un diritto di pegno sulla cambiale).Un’obbligazione cambiaria può essere garantita anche con
un’ulteriore obbligazione cambiaria. Questa obbligazione cambiaria si chiama avallo. La persona che garantisce
si chiama avallante; la persona a cui favore la garanzia è prestata, avallato. L’obbligazione di avallare la cambiale
deve essere scritta sulla cambiale; di solito si scrive “per avallo” seguita dalla firma dell’avallante, la quale può
essere scritta sia sulla parte anteriore che posteriore della cambiale. Le persone obbligate al pagamento della
cambiale si distinguono in due categorie: obbligati principali (emittente del pagherò; accettante della tratta) ed
obbligati in via di regresso (giranti del vaglia, traente e giranti nella tratta). Solo il pagamento compiuto
dall’obbligato principale estingue la cambiale, non quello degli obbligati di regresso, in quanto costoro, se pagano
la cambiale, vengono surrogati nei diritti del portatore e possono, a loro volta, agire contro gli obbligati principali.
Tutti gli obbligati cambiari sono tenuti in solido. Il pagamento della cambiale deve essere effettuato nel luogo e
nell’indirizzo indicato nel titolo, che è, di solito, la residenza dell’accettante o dell’emittente, ma può avvenire al
domicilio di un terzo (cambiale domiciliata).In deroga ai principi generali, il portatore non può rifiutare un
pagamento parziale perché questo libera, sia pure parzialmente, gli obbligati in via di regresso.Il portatore di una
cambiale può servirsi di essa come titolo esecutivo ed iniziare senz’altro l’esecuzione, o promuovere un ordinario
giudizio di cognizione od ottenere decreto ingiuntivo. L’azione cambiaria è di due specie: diretta (contro gli
obblighi principali), di regresso (contro gli obbligati di regresso). Quest’ultima può essere esercitata dopo la
scadenza, per mancato pagamento; prima della scadenza, per rifiuto dell’accettazione…L’azione principale è
soggetta a prescrizione triennale, l’azione di regresso a prescrizioni più brevi. Il protesto è un atto pubblico con il
quale si accerta il rifiuto di accettazione o il rifiuto di pagamento nel termine fissato dalla legge. Il protesto, in
entrambi i casi, non è necessario quando vi sia la clausola “senza spese” “senza pretesto” e può essere sostituito
da una dichiarazione di rifiuto dell’accettazione o del pagamento, scritta e datata sulla cambiale e firmata dal
trattario. Indipendentemente dal protesto, il portatore ha l’obbligo di avvisare il proprio girante e gli eventuali
avvallanti della mancata accettazione o del mancato pagamento ed ogni girante deve informare il precedente. Gli
avvisi servono solo ad informare gli obbligati in via di regresso che la cambiale non è stata pagata e che quindi
provvedano al pagamento. Se le eccezioni cambiarie opponibili dal convenuto, richiedono una lunga indagine, il
giudice, su istanza del creditore, può, intanto emettere sentenza provvisoria di condanna con riserva di esame
delle eccezioni (condanna con riserva). Pur concedendo questa particolare tutela al creditore cambiario, la legge
offre un rimedio che consente di tener conto della situazione del debitore. Infatti, quando concorrono gravi
ragioni, il giudice può anche sospendere l’esecuzione iniziata dal creditore in base alla cambiale.
GLI ASSEGNI
L’assegno è uno strumento di pagamento e mira a procurare al portatore l’immediata disponibilità
di una somma di danaro.
Gli assegni sono pagabili a vista e non se ne può quindi dilazionare l’adempimento; essi
prevedono l’intervento di una banca. Le due più importanti figure di assegno sono l’assegno
bancario e l’assegno circolare.
L’assegno bancario ha la stessa struttura della cambiale tratta: vale a dire che consiste in un
documento sul quale unilateralmente l’emittente (o traente) sottoscrive un ordine incondizionato
rivolto alla banca di pagare una somma di danaro determinata a favore del beneficiario indicato sul
titolo.
L’emissione di assegni bancari deve essere autorizzata dalla banca, la quale, quando stipula con un
cliente una c.d. convenzione di assegni, gli consegna un libretto con i moduli prestampati.
Se invece un assegno viene emesso senza l’autorizzazione della banca trattaria, il traente
commette un reato. L’emissione dell’assegno presuppone l’esistenza, presso la banca, di una
adeguata provvista, cioè di fondi disponibili, attingendo ai quali la banca potrà provvedere a
pagare al beneficiario l’importo indicato.
Chiunque emetta un assegno che non venga pagato per mancanza di sufficiente provvista
commette un reato ed è inoltre tenuto a pagare al portatore del titolo che agisca contro di lui, oltre
all’importo del titolo, un ulteriore 10% a titolo di penale.
A sua volta la banca trattaria, qualora per l’assegno non pagato sia stato elevato il protesto, deve
revocare al traente l’autorizzazione ad emettere assegni, invitandolo a restituire tutti i moduli di
assegni che abbia ancora in suo possesso. Se la banca non adempie a ciò, diventa responsabile,
nella misura di 10 milioni per assegno, degli eventuali assegni che il protestato dovesse continuare
ad emettere senza provvista.
L’assegno può essere emesso con la specifica indicazione del nome del beneficiario, ovvero a
favore del portatore, e cioè di chi lo presenterà all’incasso.
Un assegno può anche essere emesso anche a favore dello stesso traente.
L’assegno è un titolo all’ordine e si trasferisce quindi per mezzo della girata, ma se è emesso al
portatore può essere trasferito anche mediante semplice consegna.
L’assegno circolare non può essere emesso se non da una banca, solo se essa ha ottenuto specifica
autorizzazione dalla Banca d’Italia.
Naturalmente gli assegni circolari sono emessi dalle banche in quanto un cliente ne faccia richiesta
e versi il relativo importo, ovvero previo addebito a suo carico dell’importo per il quale il titolo è
emesso.
L’emissione non può essere fatta al portatore, ma necessariamente all’ordine di uno specifico
nominativo: o quello di un terzo, al quale il cliente, dopo averlo ritirato dalla banca si ripromette di
riconsegnare l'assegno, o dello stesso cliente, il quale si ripromette di incassarlo altrove o di girarlo
a favore di terzi.
La struttura dell’assegno circolare è quella del pagherò: la banca si impegna incondizionatamente
a pagare a vista l’importo per cui il titolo è emesso, o all’intestatario dell’assegno o ad un giratario.
Per la circolazione e il pagamento dell’assegno circolare valgono gli stessi principi del pagherò.
LE OBBLIGAZIONI NASCENTI DALLA LEGGE
Figure di obbligazioni nascenti dalla legge sono: la gestione di affari; la ripetizione d’indebito;
l’arricchimento senza causa.
Gestione di affari
Si ha gestione di affari altrui nell’ipotesi in cui taluno, senza esservi obbligato, si intromette negli affari di un
altro, che non sia in grado di provvedervi. (es. perché scomparso)
La legge ne fa derivare un obbligo a carico del gestore di continuare la gestione intrapresa fino a quando il
dominus non possa intervenire direttamente
A sua volta il dominus è tenuto ad adempiere le obbligazioni che il gestore ha assunto in nome di lui e deve
tenere indenne il gestore per quelle che questi abbia assunto, rimborsandogli altresì tutte le spese necessarie od
utili effettuate nel suo interesse.
La ripetizione di indebito
Se si è fatto un pagamento senza che preesista un debito, chi l’ha fatto ha diritto alla restituzione di ciò che ha
pagato, mentre non era dovuto.
Distinguiamo due diverse figure d’indebito:
a) si ha l’indebito oggettivo quando viene effettuato un pagamento benchè non esista alcun debito;
b) si ha indebito soggettivo quando chi non è debitore, credendosi erroneamente tale, paga al creditore quanto
è, in realtà, dovuto a quest’ultimo da un terzo. Si ha indebito, in tal caso, soltanto se colui che paga il debito altrui
è in errore: altrimenti deve ritenersi che abbia inteso eseguire il pagamento in sostituzione del debitore.
Non dà luogo a ripetizione d’indebito, l’adempimento di un’obbligazione naturale. Parimenti non ha diritto di
pretendere la restituzione chi abbia eseguito una prestazione che costituisca offesa al buon costume..
La ripetizione comprende non solo ciò che si è pagato, ma anche i frutti e gli interessi.
L’azione di ripetizione dell’indebito è un’azione personale: se chi ha ricevuto indebitamente una cosa determinata
l’ha successivamente alienata, chi ha pagato non può pretendere la restituzione dal terzo acquirente, ma soltanto
chiedergli il corrispettivo qualora sia ancora dovuto.
L’ingiustificato arricchimento
Si ha ingiustificato arricchimento quando una persona vede aumentare il valore del suo patrimonio
a danno del patrimonio di un altro soggetto senza che vi sia una giusta causa
.E’ ovvio che se ho subito un danno e ricevo il relativo risarcimento è chiaro che il mio patrimonio aumenterà a
danno del patrimonio del debitore.
Il problema sorge quando vi sia questo arricchimento senza che vi sia una valida giustificazione giuridica che lo
sorregga.
I casi possono essere i più svariati, pensiamo, ad esempio all' ipotesi in cui per errore si esegua la semina su un
terreno agricolo altrui credendolo proprio.
Così la legge ha stabilito, come rimedio generale, l’azione d’ingiustificato arricchimento.
L'azione di arricchimento ha carattere sussidiario perché si può esperire solo quando non sia possibile nessuna
altra azione
A chi riesce a portare a termine con successo l’azione di ingiustificato arricchimento spetta un'indennità per la
perdita subita.
Questa è calcolata tenendo conto dei valori di mercato dell'arricchimento e dell'impoverimento e procedendo alla
liquidazione della minore somma tra queste due entità.
Se, invece, l'arricchimento ha per oggetto una cosa determinata sorgerà, invece, l'obbligo della restituzione,
sempre che sia ancora esistente al tempo della domanda
Questa azione è esperibile sempre in seguito ad attività lecita, è ciò lo capiamo anche dal fatto che si prevede una
indennità e non un risarcimento
LA RESPONSABILITA’ EXTRACONTRATTUALE
Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a
risarcire il danno.
Si deduce che, perché il danneggiante sia obbligato a risarcire il pregiudizio arrecato al danneggiato, debbono
concorrere i seguenti presupposti:
a) Il fatto
b) L’illiceità del fatto
c) L’imputabilità del fatto al danneggiante
d) Il dolo o la colpa del danneggiante
e) Il nesso causale fra fatto e danno
f)Il danno
La responsabilità che grava sul danneggiante viene definita “extracontrattuale” (in contrapposizione a quella
contrattuale che consegue a quel particolare fatto costituito dall’inadempimento di un’obbligazione).
Il fatto
Per fatto si intende ciò che cagiona il danno.
Solitamente si tratta di un comportamento dell’uomo.
La condotta del danneggiante può essere commissiva (un facere) o omissiva (un non facere)
Questo secondo caso rileva quella condotta omissiva che risulti posta in essere in violazione di un obbligo
giuridico di intervenire imposto dall’ordinamento (es.: condotta di chi non si ferma a prestare soccorso al ciclista
investito da un pirata della strada, la quale viola l’obbligo di soccorso)
Peraltro l’evento produttivo di danno può anche consistere in un mero fatto materiale (es.: smottamento di terreno
che travolge un’abitazione ed i suoi occupanti)
L’illiceità del fatto.
Talora è la legge ad indicare espressamente che un determinato fatto è illecito e, in quanto tale, obbliga chi lo
pone in essere a risarcire il danno che dovesse derivare a terzi.
Gli illeciti penali sono definiti in modo preciso dalla legge non altrettanto può dirsi con riferimento agli illeciti
civili: qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il
fatto a risarcire il danno (trattasi di una clausola, essa non esplicita né quali siano i danni ingiusti né i criteri per
stabilire se un determinato danno è ingiusto o meno).
È quindi necessario all’interno delle lesioni di interessi altrui, identificare quelle che costituiscono danno ingiusto:
gli atti che li cagionano saranno atti illeciti, la condotta che li determina sarà antigiuridica.
La giurisprudenza è giunta ad ammettere la risarcibilità non solo della lesione di diritti ma anche della lesione di
situazioni di fatto. Così è ormai pacificamente riconosciuta la risarcibilità del danno da spoglio violento o
clandestino del possesso o della detenzione.
Nella stessa ottica è stata affermata la risarcibilità del danno sofferto da chi (es.: convivente more uxorio), pur non
potendo vantare un diritto soggettivo al riguardo, si veda privare del sostegno economico di cui fruiva stabilmente
da parte di un soggetto di cui il terzo cagioni la morte.
Ancora più di recente si è ammessa la risarcibilità del danno da lesione di un interesse legittimo, derivante cioè
dalla violazione da parte della PA di una regola di comportamento posta nell’interesse generale e che solo
indirettamente tutela l’interesse del privato.
A lungo la giurisprudenza ha invece negato la risarcibilità della lesione dei diritti di credito ma oggi è
pacificamente riconosciuta la risarcibilità del danno da c.d. induzione all’inadempimento: derivante cioè dalla
condotta del terzo che determini il debitore a non adempiere.
È ingiusto inoltre il danno che si traduce nella lesione di un interesse che, seppure non protetto come diritto
soggettivo, risulta comunque tutelato dall’ordinamento giuridico.
In quest’ottica la giurisprudenza afferma l’ingiustizia, oltre che della lesione di talune situazioni di fatto o di
interessi legittimi, anche della turbativa delle trattative precontrattuali.
L’imputabilità del fatto al danneggiante
Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità di intendere o di volere al
momento in cui lo ha commesso.
Nessuna rilevanza ha quindi ai fini della responsabilità extracontrattuale la circostanza che il danneggiante abbia o
meno la capacità di agire.
Capacità di rispondere degli atti illeciti: Anche il minore, pur non avendo la capacità di porre in essere negozi
giuridici, ha la capacità di obbligarsi se è in condizioni tali da consentirgli un’adeguata valutazione di tutte le
circostanze in cui si trova ad agire e quindi, di tutti i rischi della propria condotta. Al pari del minore anche
l’interdetto, l’inabilitato, il beneficiario dell’amministrazione di sostegno rispondono del fatto illecito compiuto,
se le loro condizioni sono tali da non privarli, della sufficiente capacità di intendere e di volere.
In tutti questi, come in ogni altro caso, l’accertamento della capacità o meno del danneggiante andrà effettuata dal
giudice in concreto: valutando cioè, caso per caso, età, sviluppo intellettivo e volitivo, maturità, forza di carattere
del soggetto; presenza di eventuali malattie, di situazioni anche transitorie di affievolimento delle capacità
psichiche; tipologia del fatto illecito, modalità dell’azione, ecc.
Se il danno è provocato da persona incapace (e come tale esente da responsabilità) il legislatore stabilisce che il
danneggiato può pretendere il risarcimento dal soggetto tenuto alla sorveglianza dell’incapace stesso. Nel caso in
cui essa non vi fosse, ovvero abbia dato la prova di non aver potuto impedire il fatto, oppure la persona tenuta alla
sorveglianza non sia in grado di risarcire il danno, il danneggiato può chiedere al giudice di condannare l’incapace
al pagamento di un’equa indennità, che andrà stabilita tenendo conto delle condizioni economiche delle parti.
Il dolo e la colpa.
Per dolo si intende l’intenzionalità della condotta, nella consapevolezza che la stessa può determinare
l’evento dannoso.
Non è necessario che l’autore ponga in essere quella determinata condotta proprio alla fine di produrre l’evento
dannoso: c.d. dolo diretto (si pensi al sicario che intende proprio provocare la morte della vittima designata). È
sufficiente che l’autore pur non agendo al fine specifico di realizzare l’evento dannoso si sia rappresentato il suo
verificarsi come possibile conseguenza della sua condotta: c.d. dolo eventuale (si pensi a chi spara in direzione del
ladro introdottosi nel suo appartamento al solo fine di intimidirlo ed indurlo alla fuga, ma lo colpisce a morte).
Di regola il dolo non è essenziale perché l’autore dell’illecito incorra in responsabilità extracontrattuale, essendo
normalmente sufficiente la colpa.
In taluni casi tuttavia si ha responsabilità solo se la condotta è dolosa (si pensi agli atti emulativi, che sono tali
solo se posti in essere allo specifico scopo di nuocere o recare molestia ad altri).
Il dolo, quale presupposto della responsabilità extracontrattuale non va confuso con il dolo quale vizio della
volontà: nel primo caso il termine indica l’elemento psicologico (cioè la volontarietà) che caratterizza la condotta
dell’agente; nel secondo caso la condotta (cioè i raggiri) tenuta dal soggetto.
Per colpa si intende invece il difetto della diligenza, della prudenza, della perizia richieste, ovvero
l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. In particolare la negligenza consiste nella mancanza
dell’attenzione richiesta; l’imprudenza consiste nella mancanza di cautela; l’imperizia consiste invece
nell’inosservanza delle regole tecniche di una determinata attività.
Diligenza, prudenza e perizia si valutano alla luce di un parametro oggettivo, costituito da quanto è legittimo
attendersi in quelle determinate circostanze dal buon padre di famiglia. Il giudizio implica l’analisi di tutte le
circostanze di fatto verificatesi nel caso concreto, onde accertare se il danneggiante avrebbe potuto o dovuto agire
diversamente, in base alle regole che vanno osservate dalla persona normale e attenta.
Di regola irrilevante è il grado della colpa: grave, lieve, lievissima. Così come è irrilevante se l’evento dannoso
sia stato cagionato con colpa o con dolo: in sede di responsabilità extracontrattuale (diversamente da quella
contrattuale) va integralmente risarcito sia che il danneggiante sia in dolo sia che versi in colpa.
Di norma la prova del dolo o della colpa del danneggiante deve essere fornita dal danneggiato.
Peraltro la prova della colpa del danneggiante può essere dal danneggiato offerta anche a mezzo di presunzioni
semplici (es.: la caduta del vaso appoggiato sul davanzale della finestra farà presumere una mancanza di prudenza
nella sua sistemazione).
Il codice prevede non poche ipotesi in cui l’autore risponde dell’evento dannoso anche in assenza di dolo e
colpa: si parla in tali casi di responsabilità oggettiva (contrapposta a quella soggettiva che ha come presupposto il
dolo o quanto meno la colpa del danneggiante):
a) Responsabilità del preponente (es.: il datore di lavoro) per i danni cagionati a terzi da suoi preposti (es.:
i dipendenti) nell’esercizio delle incombenze cui sono adibiti.
b)
Responsabilità del proprietario di un edificio o di altra costruzione per i danni cagionati dalla loro
rovina dovuta a vizio di costruzione, quand’anche non manifestatosi con segni percepibili all’esterno. Anche
qui il responsabile non può esonerarsi da responsabilità dimostrando di essere del tutto estraneo al difetto di
costruzione; egli è chiamato a rispondere a prescindere da qualsiasi sua colpa, per il fatto in sé di essere
proprietario.
c)
Responsabilità del proprietario e del conducente per i danni cagionati dalla circolazione del veicolo
stesso, anche se condotto da terzi.
d)
Responsabilità dell’esercente di un impianto nucleare, circa ogni danno alle persone o alle cose causato
da un incidente nucleare avvenuto nell’impianto nucleare o connesso con lo stesso.
e)
Responsabilità del produttore circa il danno cagionato da difetti del suo prodotto. Al fine del danno
sofferto, il danneggiato ha l’onere di provare: 1) il difetto del prodotto; 2) il danno patito; 3) la connessione
causale tra difetto e danno; non deve invece fornire la prova della colpa del produttore. Per sottrarsi a
responsabilità il produttore può solo fornire la dimostrazione di una delle circostanze relative non tanto alla
mancanza di colpa nel suo agire, quanto alla mancanza di nesso causale tra fatto del produttore ed evento
dannoso. Laddove vi sia invece un nesso di causalità fra la messa in circolazione di un prodotto difettoso ed il
pregiudizio offerto da terzi, il produttore risponde del danno, quand’anche nessuna colpa possa essergli
imputata.
Il legislatore prevede tutta una serie di ulteriori ipotesi in cui la posizione del danneggiato viene più
intensamente tutelata (cd responsabilità aggravata).
In tali casi l’aggravamento della posizione del danneggiante si realizza sotto due distinti profili:
a) Non è il danneggiato a dover fornire la prova della colpa del danneggiante, ma è quest’ultimo a dover
fornirne la prova liberatoria (c.d. presunzione di colpa).
b) La prova liberatoria richiesta al danneggiante non si riduce, di regola, alla sola dimostrazione di aver operato
con diligenza, prudenza e perizia:
Vediamo le ipotesi di responsabilità aggravata:
A) In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi è
tenuto alla sorveglianza dell’incapace. Essi possono liberarsi dalla responsabilità provando di non aver potuto
impedire il fatto e la giurisprudenza richiede la dimostrazione di aver adottato tutte le cautele normalmente
appropriate in relazione allo stato ed alle condizioni dell’incapace, alle circostanze di tempo, luogo, ambiente,
pericolo, in cui è maturato l’atto dannoso, all’eventuale professionalità del sorvegliante.
B) Ai genitori richiede la dimostrazione non solo di aver vigilato sulla condotta del minore in misura adeguata
all’ambiente in cui vive, alle sue abitudini, al suo carattere, ma anche di averlo educato ed istruito in modo
consono alle sue condizioni familiari e sociali.
C) Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei
mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, e l’esercente di detta attività può liberarsi da responsabilità solo
provando di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Per attività pericolose si intendono non solo
quelle espressamente qualificate e disciplinate dalla legge, ma tutte quelle attività che implicano un’elevata
possibilità di recar danno a terzi.
D) Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, e il custode può liberarsi da
responsabilità solo provando il caso fortuito.. Il danno può essere cagionato da qualunque res: non importa se allo
stato solido, liquido o gassoso, se mobile o immobile, se inerte o in movimento, se dotata di intrinseca
pericolosità o meno. La relativa responsabilità ricade sul custode, cioè il soggetto che ha il governo della cosa:
ossia ha un effettivo potere (di diritto o di fatto) che gli consente di vigilarla e mantenerne il controllo in modo
che non produca danno.
E) Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni
cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia sia che fosse smarrito o fuggito; detti soggetti possono
liberarsi da responsabilità solo provando il caso fortuito. L’indole mansueta o meno dell’animale è irrilevante ai
fini della responsabilità del padrone. La responsabilità ricade sull’utilizzatore dell’animale: dunque sul
proprietario, o sul terzo che ha un potere effettivo di governo sull’animale; invero se il proprietario continua a far
uso dell’animale, sia pure tramite un terzo, ma conservando un’ingerenza sulla gestione dell’animale stesso, la
responsabilità continua a gravare su di lui.
F) Il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina; egli
può scaricarsi da responsabilità provando che la rovina non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di
costruzione. Se il danno deriva da vizi di costruzione, sul proprietario grava sempre e comunque, per il solo fatto
di essere tale, una responsabilità oggettiva per l’evento pregiudizievole verificatosi. In tutte le altre ipotesi, per
esonerare il proprietario dall’obbligo risarcitorio, la giurisprudenza richiede che lo stesso fornisca la
dimostrazione positiva della causa di forza maggiore, ovvero del fatto che, per imprevedibilità, eccezionalità ed
inevitabilità, sfugga a qualsiasi potere di controllo da parte del proprietario.
G) Il conducente di un veicolo è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del
veicolo; il conducente può liberarsi da responsabilità fornendo la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il
danno (evento imprevedibile, improvviso ed esorbitante dalla normalità). In ogni caso il conducente risponde dei
danni derivanti da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo. Il disposto trova applicazione
quando concorrono i presupposti: a) della circolazione su strada pubblica o aperta al pubblico; b) di veicoli
purchè senza guida di rotaie. Il conducente (cioè colui che è alla guida del veicolo), risponde del danno prodotto a
persone o a cose, compreso il trasportato.
Il nesso causale tra fatto e danno
Tra fatto e danno: per addossare ad un soggetto l’obbligo di risarcire un determinato danno è necessario verificare
che proprio la sua condotta sia la causa di quel danno.
Vi sono due teorie al riguardo:
la teoria della
condicio
sine qua non
Detta anche dell'equivalenza causale considera tutte le cause idonee a produrre
un certo effetto
meno rigorosa dal punto di vista scientifico, ma più idonea e seguita dal punto
la teoria della
di vista giuridico, questa teoria prende in considerazione come causa di un
causalità adeguata
certo fatto solo quella che appare normalmente idonea a produrlo
L’obbligo del risarcimento quindi non grava su tutti i soggetti: ciascuno risponde solo dei danni che siano
conseguenza immediata e diretta della sua condotta.
Nel caso di un sinistro stradale, il comportamento colposo dell'automobilista può provocare il danneggiamento di
un altro veicolo, ma anche, in seguito un ingorgo stradale, e , magari, a causa di questo ingorgo, una
autoambulanza
che
trasportava
un
malato
grave
giunge
troppo
tardi
all'ospedale.
Al fine di non estendere la responsabilità a tutti gli eventi possibili sono risarcibili i danni che siano conseguenze
"immediate e dirette" dell'atto. Quindi si prende in considerazione come causa di un certo fatto solo quella che
appare normalmente idonea a produrlo, escludendo, quindi, quegli eventi sopravvenuti che possono considerarsi
eccezionali.
Il danno
Se non vi è danno, non vi è responsabilità.
Per danno si intende qualsiasi alterazione negativa della situazione del soggetto che non si sarebbe avuta
senza il verificarsi del fatto illecito. Si fa rientrare nella nozione di danno anche la c.d. perdita di chance, per
tale intendendosi la perdita di una concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o
risultato utile.
Il danno si distingue in:
a) Patrimoniale, che si concretizza nella lesione di interessi economici del danneggiato
b) Non patrimoniale, che si concretizza nella lesione di interessi della persona non connotati da rilevanza
economica
La lesione di un medesimo interesse tutelato dall’ordinamento giuridico può comportare al contempo un danno
sia patrimoniale che non.
Il medesimo fatto illecito può causare danno a soggetti diversi. In questi casi si parla di danno riflesso,ovvero di
un medesimo fatto dannoso che lede contestualmente le situazioni giuridiche di più soggetti diversi.
Ovviamente risarcibili saranno solo i danni che siano conseguenza immediata e diretta del fatto illecito:
Laddove concorrano tutti i presupposti per il sorgere della responsabilità extracontrattuale, in capo al
danneggiante nasce l’obbligo del risarcimento del danno, nelle due forme:
a) Del risarcimento per equivalente, consistente nella dazione al danneggiato di una somma di danaro in
misura tale da compensarlo del pregiudizio sofferto
b) Del risarcimento in forma specifica, consistente nella rimozione diretta del pregiudizio verificatosi
(es.: la riparazione della vettura sinistrata).
Il danno deve essere riparato integralmente: la vittima dell’illecito non deve riceverne né più né meno di quanto
necessario a reintegrare la sua situazione rispetto a quella che si sarebbe avuta ove l’illecito non si fosse
verificato.
L’illecito extracontrattuale obbliga il responsabile al risarcimento non solo del danno prevedibile, ma anche di
quello imprevedibile: chi reca un danno ad altri in via extracontrattuale è tenuto a risarcire tutti, senza distinzione,
i danni che siano conseguenza immediata e diretta di tale condotta.
Non sono ammessi i c.d. danni punitivi, cioè le prestazioni che, non strettamente correlate al danno sofferto dalla
vittima dell’illecito.
Il danno patrimoniale.
Consiste nell’alterazione negativa della situazione patrimoniale del soggetto leso, rispetto a quella che si sarebbe
avuta in assenza del fatto illecito.
Esso comprende:
a) Il danno emergente, cioè la diminuzione del patrimonio del danneggiato
b) Il lucro cessante, cioè il guadagno che la vittima dell’illecito avrebbe presumibilmente conseguito senza
l’illecito sofferto.
Il risarcimento ha ad oggetto sia il danno già sofferto (s. spese mediche) sia il danno futuro.(es. guadagni futuri di
un pianista che ha perso l’uso della mano)
Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso
Particolarmente delicato si presenta il problema della quantificazione del danno da lucro cessante, conseguente a
perdita o diminuzione della capacità lavorativa e reddituale del danneggiato. A tal fine soccorre il Codice delle
assicurazioni private, il quale prevede che nel caso di danno alla persona, il reddito di lavoro qualificabile della
persona danneggiata si determina: per il lavoro dipendente, sulla base del reddito più elevato degli ultimi tre anni,
maggiorato dei redditi esenti e al lordo delle detrazioni e delle ritenute di legge, e per il lavoro autonomo, sulla
base del reddito netto che risulta il più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell’imposta sul reddito
delle persone fisiche negli ultimi tre anni è in ogni caso ammessa la prova contraria. Il reddito che occorre
considerare ai fini del risarcimento non può essere inferiore a tre volte l’ammontare annuo della pensione sociale.
Il reddito futuro del giovane che, per la sua età, ancora non svolga alcuna attività lavorativa, va determinato in
base ad un criterio probabilistico, che tenga conto degli studi intrapresi, della posizione economica e sociale della
famiglia, del tipo di attività lavorativa che il giovane presumibilmente avrebbe esercitato in futuro.
Il danno non patrimoniale.
Esso deve essere risarcito solo nei casi previsti dalla legge. Per lungo tempo corrente era l’affermazione secondo
cui il danno non patrimoniale sarebbe risarcibile in buona sostanza solo quando il fatto illecito che lo ha
cagionato integra gli estremi del reato. Dall’altro lato corrente era la tendenza a far coincidere il danno non
patrimoniale con il c.d. danno morale determinato dall’illecito.
Oggi la giurisprudenza è giunta, ad affermare che, oltre che nelle ipotesi espressamente previste dalla legge, la
risarcibilità del danno non patrimoniale deve essere ammessa in tutti i casi in cui la lesione incida su valori della
persona costituzionalmente garantiti.
Quanto alla nozione di danno non patrimoniale, la giurisprudenza è orientata a ritenere che essa non si esaurisca
nel danno morale ma ricomprenda altresì qualsiasi danno da lesione di valori inerenti la persona, sempre che non
connotati da rilevanza economica.
Alla nozione di danno non patrimoniale così intesa, risultano riconducibili, oltre che il danno morale anche talune
figure già da tempo elaborate da dottrina e giurisprudenza:
a) Quella del danno biologico (lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona
suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e
sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali
ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito).
b) Quella del danno esistenziale (lesione di interessi riconosciuti a livello costituzionale, che, quand’anche
non si traduca nell’alterazione dello stato di salute o nell’insorgere di una malattia, comporti però
modificazioni negative dell’attività attraverso cui il soggetto esplica la propria personalità, imponendo la
necessità di adottare abitudini o stili di vita diversi dal passato).
Sia la risarcibilità del danno esistenziale che del danno biologico non escludono la contestuale risarcibilità degli
altri tipi di danno eventualmente concorrenti.
Il danno non patrimoniale risulta di difficile liquidazione. Quest’ultima è rimessa alla equitativa valutazione del
giudice. Ciò non assicura l’uniformità di trattamento tra casi analoghi nei vari tribunali. Proprio per questo il
legislatore è intervenuto prevedendo la predisposizione di tabelle, valevoli su tutto il territorio della Repubblica,
in base alle quali procedere alla quantificazione in termini monetari delle menomazioni all’integrità psico-fisica;
peraltro lasciando al giudice il potere di discostarsi, entro limiti predefiniti, dal risultato che discenderebbe
dall’automatica applicazione delle tabelle. Il legislatore ha dettato anche i criteri per la quantificazione del
risarcimento dei danni c.d. micro permanenti.
Risarcimento per equivalente e risarcimento in forma specifica.
Si verifica quando il debitore non esegue, esegue in maniera inesatta o ritarda l'esecuzione della prestazione e
consiste nella corresponsione di una somma di danaro equivalente al danno subito (risarcimento per equivalente)
o alla rimozione diretta del danno (risarcimento in forma specifica).
Se il danno consiste nella distruzione, alterazione, danneggiamento di un bene, il risarcimento in forma specifica
potrebbe realizzarsi, rispettivamente, nella dazione di una cosa eguale a quella distrutta, nell’esecuzione delle
opere necessarie a ricondurre la cosa nel pristino stato, nella riparazione materiale del bene danneggiato. In
quest’ultimo caso il risarcimento in forma specifica può consistere anche nell’obbligo di prestare una somma pari
ai costi concorrenti per la riparazione. Se il danneggiato richiede il risarcimento in forma specifica il giudice può
negarglielo solo se la reintegrazione in forma specifica risulti, in tutto o in parte, impossibile, ovvero
eccessivamente onerosa per il debitore, per tale intendendosi quella che comporti per quest’ultimo esborsi
manifestamente sproporzionati rispetto a quelli che dovrebbe affrontare in caso di risarcimento per equivalente.
Il concorso di cause.
Un medesimo evento dannoso può essere cagionato da condotte illecite di più soggetti distinti e le condotte che
concorrono nella causa del danno possono costituire illecito extracontrattuale, altre illecito contrattuale.
Al fine di agevolare e rafforzare la posizione del danneggiato, la legge gli consente di rivolgersi per l’intero
risarcimento a ciascuno dei responsabili, senza dover individuare l’incidenza causale della condotta di ognuno sul
danno verificatosi, senza dover affrontare l’incomodo di perseguire ciascun corresponsabile pro quota: se il fatto
dannoso è imputabile a più persone tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. Il danneggiato potrà
dunque scegliere a quale (o quali) tra i responsabili rivolgersi, ed egli non potrà conseguire più dell’entità globale
del risarcimento che gli compete. Una volta risarcito il danneggiato, chi ha effettuato il relativo rimborso potrà
esercitare l’azione di regresso nei confronti degli altri coobbligati, con il rimborso da commisurarsi alla gravità
della rispettiva colpa ed all’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio le singole colpe si
presumono uguali.
Il concorso del fatto colposo del danneggiato.
Può accadere che a cagionare l’evento dannoso, concorra la condotta non di un terzo, ma dello stesso danneggiato
(si pensi all’automobilista che sfrecciando ad alta velocità investe il ciclista che ha improvvisamente cambiato
direzione di marcia, tagliandogli la strada).
In tal caso trova applicazione il principio secondo cui il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa
del danneggiato e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate.
L’onere della prova del concorso del fatto del danneggiato grava sul danneggiante.
Da non confondersi con tale ipotesi è quella di concorso del danneggiato nell’‘aggravamento’ (e non nella causa)
del danno: nel primo caso il fatto del danneggiato incide sul nesso di causalità dell’evento dannoso; nel secondo
caso il fatto del danneggiato incide sull’entità del danno che quest’ultimo è chiamato a risarcire. La legge impone
al danneggiato l’onere di attivarsi per ridurre per quanto possibile il danno conseguente al fatto del danneggiante;
il mancato assolvimento di detto onere importa la non risarcibilità del pregiudizio che il danneggiato avrebbe
potuto evitare (es. tappeto bagnato che provoca infiltrazione all’appartamento sotto potevo spostarlo in un altra
stanza)
L’onere di provare che il danno avrebbe potuto essere dal danneggiato evitato, in tutto o in parte, con l’ordinaria
diligenza grava sul danneggiante.
La responsabilità per fatto altrui.
Di regola l’obbligo di risarcire il danno grava su chi lo ha cagionato con fatto proprio. Talora però il codice
prevede, che detto obbligo gravi su determinati soggetti, anche se il pregiudizio è causato da altri.
Solitamente la responsabilità indiretta del terzo si aggiunge a quella diretta dell’autore dell’illecito: ciò al fine di
favorire il danneggiato che, in tal modo, potrà far conto a garanzia del proprio credito risarcitorio, non solo sul
patrimonio di chi gli ha cagionato il pregiudizio, ma anche su quello di un altro soggetto.
Alcune ipotesi sono:
a) Del danno cagionato dal soggetto incapace di volere o di intendere risponde chi è tenuto alla sorveglianza
dell’incapace. In questo caso la responsabilità del sorvegliante non si aggiunge a quella di chi ha
direttamente cagionato il pregiudizio, ma interviene ad evitare che la vittima dell’illecito rimanga, a causa
dell’incapacità del danneggiante, senza un soggetto cui potersi rivolgere per essere risarcita.
b) Del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati e della persona sottoposta a tutela
rispondono, rispettivamente, i genitori (in solido) ed il tutore. Presupposto della responsabilità di genitori
e tutore è la convivenza con l’autore dell’illecito: altrimenti non sarebbero in condizione di svolgere
quell’attività di vigilanza e di educazione il cui mancato assolvimento giustifica la loro responsabilità.
c) Dei danni cagionati dal fatto illecito commessa da allievi ed apprendisti nel tempo in cui sono sotto la
loro vigilanza rispondono anche i precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte e anche coloro
cui il minore è affidato a fini di istruzione. La responsabilità di detti soggetti è limitata agli illeciti
commessi dagli allievi nel periodo in cui sono sotto la loro sorveglianza. Anche in tal caso la
responsabilità indiretta di insegnanti e maestri d’arte si aggiunge, in via solidale, a quella del minore,
chiamato a rispondere del fatto proprio in quanto capace di intendere e di volere, nonché a quella dei
genitori, chiamati a rispondere in via indiretta dell’illecito dei figli, ove lo stesso sia conseguenza
dell’inadeguatezza dell’educazione loro impartita. In ipotesi di omessa o carente vigilanza relativamente
ai danni cagionati a terzi da alunni di scuola statale da parte del relativo personale direttivo, docente,
educativo e non docente, la vittima dell’illecito non può rivolgersi, per il risarcimento direttamente al
soggetto cui è imputabile la culpa in vigilando, ma solo allo Stato; la responsabilità del personale
scolastico è meramente interna.
d) Dei danni cagionati da fatto illecito di domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono
adibiti rispondono i rispettivi padroni e committenti. Tra chi è chiamato a rispondere in via indiretta e
l’autore dell’illecito deve intercorrere quello che, nella prassi, si definisce come rapporto di preposizione:
quello in forza del quale un soggetto (preponente) si appropria delle utilità lavorativa di altro soggetto
(preposto), che non operi con autonomia organizzativa e gestionale, bensì sotto il potere di direzione e
sorveglianza del preponente.
Perché il preponente risponda del fatto illecito del preposto debbono concorrere i seguenti presupposti:
a.
Compimento da parte del preposto di un atto illecito che cagioni ad altri un danno ingiusto;
b.
Compimento da parte del preposto dell’atto illecito nell’esercizio dell’attività lavorativa
Essenziale è solo che la connessione fra esercizio attività lavorativa ed illecito dannoso non sia del tutto
anomala e causale, ma sia un qualche modo collegata alla natura e alle modalità dell’incarico affidato. Il
preponente non è ammesso a fornire una prova liberatoria in senso tecnico: la responsabilità gli viene
accollata oggettivamente per il solo fatto di avvantaggiarsi dell’attività del preposto. La responsabilità del
preponente si aggiunge a quella del preposto. Tra obbligazione risarcitoria del preposto e quella del
preponente corre il vincolo della solidarietà: sicché la vittima dell’illecito potrà rivolgersi, per l’intero,
all’uno o all’altro, o ad entrambi. Una volta risarcito il danneggiato, il preponente avrà azione di regresso nei
confronti del preposto per l’intera somma sborsata.
e) Dei danni cagionati da rovina di edificio imputabili a vizio di costruzione risponde chi ne è proprietario al
momento della rovina. Peraltro se il vizio di costruzione è addebitabile a coloro che hanno progettato o
diretto o eseguito i lavori di costruzione dell’immobile, il proprietario che abbia risarcito il terzo
danneggiato avrà diritto di rivalsa nei confronti di questi ultimi.
f) Dei danni derivanti da vizi di costruzione di veicoli senza guida di rotaie rispondono per responsabilità
oggettiva il conducente ed il proprietario del veicolo stesso. In solido con loro risponde anche il
costruttore. Ovviamente al conducente così come al proprietario che abbia risarcito la vittima dell’evento
dannoso compete azione di regresso nei confronti del costruttore del veicolo.
g) Dei danni cagionati dalla circolazione di veicoli senza guida di rotaie risponde, in solido con il
conducente, anche chi è proprietario del veicolo al momento del sinistro. Presupposto della responsabilità
indiretta del proprietario è la responsabilità del conducente: nell’ipotesi in cui quest’ultimo non dovesse
essere tenuto al risarcimento, non lo sarà neppure il proprietario. A quest’ultimo è concessa la prova
liberatoria che può però avere ad oggetto solo la circostanza che la circolazione è avvenuta contro la sua
volontà. E la giurisprudenza non si accontenta né della dimostrazione che la circolazione è avvenuta
senza il suo consenso, né della dimostrazione che la circolazione è avvenuta contro un suo espresso
divieto: richiede la prova che siano state concretamente adottate tutte le misure idonee ad impedire la
circolazione del veicolo. Ovviamente una volta risarcita la vittima del sinistro, il proprietario avrà azione
di regresso nei confronti del conducente.
La prescrizione.
La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da illecito extracontrattuale è più breve di quella
ordinaria: in genere 5 anni dal giorno in cui si è verificato il fatto; dal momento cioè in cui la produzione del
danno è divenuta oggettivamente percepibile e riconoscibile dall’esterno.
Se il danno è prodotto da circolazione di veicoli di ogni specie, il termine di prescrizione è di 2 anni.
Se il fatto è considerato dalla legge come reato, e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si
applica anche all’azione civile.
La responsabilità per danno ambientale.
Per tale si intende qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o
dell’utilità assicurata da quest’ultima. Chiunque realizzi un fatto illecito in tale direzione è obbligato al ripristino
della precedente situazione e, in mancanza, al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato.
La legittimazione attiva ad agire compete solo al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio. Peraltro, i
soggetti direttamente danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, conservano il diritto di agire in
giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei loro diritti ed interessi lesi.
L’autore dell’illecito è tenuto al risarcimento in forma specifica, e nel caso in cui non vi possa provvedere, al
risarcimento per equivalente.
La responsabilità per danno da prodotto difettoso.
Per prodotto si intende ogni bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile o immobile, purchè messo in
circolazione, ossia consegnato all’acquirente, all’utilizzatore, o a un ausiliario di questi, anche in visione o in
prova.
Difettoso è il prodotto che non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le
circostanze.
Per ottenere il risarcimento la vittima del danno deve provare: a) il danno sofferto; b) il difetto del prodotto; c) la
connessione causale tra difetto e danno.
Di detto danno è chiamato a rispondere il produttore (cioè il fabbricante e qualsiasi altra persona fisica o giuridica
che si presenta come produttore, identificando il bene con il proprio nome, marchio, o altro segno distintivo) se
egli opera fuori dall’UE dei danni ne risponde l’importatore.
Se il produttore non è individuato, la responsabilità ricade sul fornitore, salvo che lo stesso comunichi identità e
domicilio del produttore. Questa è un’evidente ipotesi di responsabilità per fatto altrui.
Il produttore si esonera dalla responsabilità solo fornendo prova di non aver immesso il prodotto in circolazione,
che il difetto non esisteva,che non ha fabbricato per la vendita,che lo stato di conoscenze scientifiche al momento
della circolazione del prodotto non permettevano di considerarlo difettoso.
Se il danno è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento.
La vittima del sinistro non può chiedere il risarcimento di qualunque danno abbia sofferto, ma solo:
a) del danno alla persona, cagionato da morte o da lesioni personali;
b) del danno a cosa diversa dal prodotto difettoso, sempre che detta cosa sia normalmente destinata all’uso o
consumo privato.
Il diritto al risarcimento di detti danni è soggetto a un termine di prescrizione di 3 anni.
In ogni caso il diritto al risarcimento deve essere azionato entro 10 anni dal giorno in cui il produttore o
l’importatore ha messo in circolazione il prodotto che ha cagionato il danno.
Responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale.
La differenza di fondo risiede nel fatto che la prima sanziona l’inadempimento di un’obbligazione già esistente, la
seconda sanziona invece un fatto illecito dannoso in violazione del generico obbligo di non ledere l'altrui
sfera giuridica. Peraltro vi sono differenze anche in quanto a disciplina:
a)La RC non presuppone la capacità di intendere e di volere dell’obbligato; la RE. invece la richiede.
b) La RC. comporta la risarcibilità del solo danno prevedibile nel tempo in cui è sorta l’obbligazione, salvo
che nelle ipotesi di dolo del debitore la RE invece prevede anche la risarcibilità dei danni imprevedibili.
(ovvero il danneggiante dovrà risarcire non solo ai danni che si potevano prevedere al momento della
produzione del danno, ma anche a quelli che non si potevano prevedere, ma che si sono comunque
prodotti.)
c)Il diritto al risarcimento del danno da inadempimento è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale; il
diritto al risarcimento del danno da illecito extracontrattuale è invece soggetto a prescrizione
quinquennale
d) Nella RC. il creditore danneggiato che agisce per il risarcimento ha l’onere di provare il suo credito, e il
debitore deve dare prova contraria di corretta prestazione o di causa a lui non imputabile; nella RE. il
danneggiato che agisce per il risarcimento ha invece l’onere di provare non solo il danno di cui chiede il
ristoro e il nesso causale fra danno ed illecito ma anche la colpa o il dolo del danneggiante.
Un medesimo fatto può costituire sia inadempimento di un’obbligazione sia atto illecito dannoso.( es. medico
contrattualmente assunto la sua imperizia è RC per il contratto e RE per i danni fisici procurati)
La giurisprudenza ammette pacificamente il concorso tra RC e RE lasciando al danneggiato la facoltà di agire in
via contrattuale o in via extracontrattuale. L’esercizio di un’azione non comporta rinuncia all’altra (il rigett
dell’una dunque non esclude il possibile ricorso all’altra). Ovviamente il risarcimento ottenuto per una via fa
venir meno qualsiasi ulteriore pretesa creditoria.
TRASFORMAZIONI SOCIALI E RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA
La famiglia e la riforma.
S riconosce generalmente che la famiglia soddisfa bisogni fondamentali dell’individuo: il
completamento della sua personalità con la scelta di un “compagno” con cui affrontare le difficoltà
dell’esistenza, la procreazione e l’educazione della prole.
Non essendovi un modello universale ed immutabile il codice non definisce la famiglia. La Cost.
proclama solennemente che la Repubblica non attribuisce, ma riconosce i diritti della famiglia come
società naturale.
Non si può sottovalutare ad ogni modo l’influsso esercitato dal modello famiglia che il sistema giuridico
presenta alla collettività (si pensi alla ricaduta sul costume sociale dell’introduzione del divorzio nel
nostro ordinamento).
Nella società di un tempo la famiglia tendeva ad organizzarsi come unità produttiva, sia verso l’esterno
(per il mercato) sia rivolta all’interno della comunità familiare stessa (produzione di cibo, istruzione,
ecc.). la famiglia conseguentemente aveva scarsa mobilità (famiglia patriarcale), accentramento
gerarchico (poteri del paterfamilias su moglie e figli), rigida distribuzione di ruoli (specie tra uomini e
donne).
Con il processo di industrializzazione e lo spostamento dei luoghi di lavoro all’esterno delle famiglie, si
è avviato il processo di disgregazione della famiglia antica, sia sul piano della composizione numerica,
sia su quello della contrazione dei poteri del capofamiglia, sia sul piano della riduzione delle funzioni
svolte all’interno della famiglia. Esemplare in proposito è l’evoluzione della posizione giuridica e
sociale della donna.
Nel 1970 si registrava un intervento normativo di speciale rilevanza, giuridica e sociale: l’introduzione
del divorzio.
Cinque anni dopo veniva approvata la L. 151/1975, con la quale il diritto di famiglia subiva una
profonda opera di riforma, dalla quale è scaturito l’assetto attuale dei rapporti familiari. La riforma non
ha ovviamente dettato una disciplina definitiva. L’assetto giuridico dei rapporti familiari è anzi
costantemente sollecitato a rinnovarsi, sotto la spinta del costume e del sentimento sociale e delle nuove
esigenze poste da una società in continuo cambiamento.
Famiglia legittima e famiglia di fatto.
La famiglia legittima è quella fondata sul matrimonio (art. 29 Cost.). Anche i figli si dicono legittimi in
quanto concepiti da genitori uniti in matrimonio (artt. 231 ss. c.c.).
La famiglia di fatto è quella costituita da persone che, pur non essendo legate tra loro dal vincolo
matrimoniale convivono more uxorio insieme agli eventuali figli nati dalla loro unione (art. 317-bis
c.c.). Mancando un atto formale, la famiglia di fatto non sempre può essere agevolmente individuata,
distinguendola da coabitazioni occasionali ovvero da gruppi anche stabili ma uniti tramite vincoli e
funzioni di diversa natura (convivenze tra parenti o amici, ecc.).
Il solenne riconoscimento dei diritti della famiglia contenuto nel 29 Cost. si rivolge solo alla famiglia
fondata sul matrimonio, di cui afferma la superiore dignità.
Peraltro anche la stabile convivenza tra coppie non coniugate pur non essendo oggetto di una disciplina
organica, ha acquistato, negli anni recenti, profili di rilevanza giuridica (che si ritiene trovino copertura
sul piano costituzionale nella più generale tutela di cui all’art.2).
Sul piano normativo non è ravvisabile una disciplina della convivenza, ma una serie di interventi
sistematici.
Si esclude invece una generale applicabilità analogica, alle coppie di conviventi, delle norme
specificamente dettate per le famiglie legittime.
Altro delicato tema è quello dell’ammissibilità di una disciplina contrattuale del rapporto di convivenza
al di fuori del matrimonio. Manca allo stato una disciplina positiva, tuttavia l’evoluzione del pensiero
giuridico è sicuramente nel senso di un più aperto favore verso l’ammissibilità di una disciplina pattizia,
volta a regolare gli apporti dei singoli conviventi alle esigenze della vita comune ed eventualmente
quelli successivi alla cessazione della convivenza. L’efficacia di simili accordi è in ogni caso limitata ai
soli aspetti economici, essendo quelli inerenti gli status personali, dei conviventi ed eventualmente dei
loro figli, indisponibili dall’autonomia privata.
MATRIMONIO: LA FORMAZIONE DEL VINCOLO
Il matrimonio civile. Nozioni generali.
Il matrimonio è un istituto che assume rilievo sia dal punto di vista religioso, sia dal punto di vista
dell’ordinamento giuridico dello Stato. Per il diritto italiano il termine matrimonio è adoperato per
indicare l’atto (le nozze) mediante il quale viene fondata la società coniugale (matrimonio in fieri),
quanto il rapporto che ne deriva per gli sposi(matrimonio in facto).
La legge non dà una definizione di matrimonio. Il fine essenziale del matrimonio civile sembra
identificabile nella costituzione di una comunione di vita spirituale e materiale tra i coniugi.
Sul piano del diritto il matrimonio si limita a produrre delle conseguenze giuridiche, e cioè la
costituzione di un rapporto, di un vincolo tra gli sposi, che ha cessato di essere indissolubile sin
dall’introduzione del divorzio nel 1970.
Esso peraltro è esclusivo (monogamico), indisponibile (è esclusa la liceità di qualsiasi disciplina
convenzionale, in deroga o aggiunta al regime legale), e di durata indeterminata, non essendo consentito
pattuire un matrimonio ad tempus.
Mentre la disciplina del rapporto è unica, quanto agli effetti la celebrazione dell’atto può avere luogo
con forme diverse.
La promessa di matrimonio.
Il principio fondamentale in questa materia è la libertà delle parti fino al momento della perfezione del
matrimonio. La promessa non obbliga a contrarre il matrimonio né ad eseguire ciò che si fosse
convenuto per il caso di non adempimento (incoercibilità della promessa di matrimonio). Tuttavia se la
promessa è fatta per iscritto (atto pubblico, scrittura privata), da una persona maggiore di età o da un
minore emancipato, o se risulta dalle pubblicazioni, il promittente, qualora senza giusto motivo ricusi
successivamente di dare esecuzione alla promessa e di contrarre le nozze, è tenuto al risarcimento dei
danni. Questi sono peraltro limitati alle spese fatte e alle obbligazioni contratte a causa di quella
promessa. Non si ammette la risarcibilità di danni ulteriori.
In ogni caso di rottura del fidanzamento, inoltre, può essere richiesta la restituzione dei doni fatti a causa
della promessa di matrimonio. Tali sono i regali d’uso tra fidanzati, di valore adeguato alle condizioni
sociali ed economiche del donante, determinati dalla promessa di matrimonio e non costituenti semplice
manifestazione di affetto o di amicizia indipendentemente dagli sponsali.
L’azione per il risarcimento dei danni e quella per la restituzione dei doni sono soggette ad un breve
termine di decadenza: un anno dal giorno del rifiuto di celebrare il matrimonio oppure, per la
restituzione dei doni, da quello della morte di uno dei promittenti.
Capacità e impedimenti.
Per contrarre matrimonio occorre che ciascuno dei nubendi abbia la piena capacità di sposarsi e che non
sussistano ostacoli (impedimenti) relativi alla coppia, riguardanti cioè l’idoneità dei due a contrarre le
nozze in particolare tra loro.
Sotto il primo profilo sono necessari per ciascuno degli sposi:
a) La libertà di stato: non è ammessa la bigamia.
b) L’età minima: diciotto anni. L’art.84 c.c. prevede la possibilità che l’autorità giudiziaria ammetta
al matrimonio, se ricorrono gravi motivi, un minorenne di minimo sedici anni, di cui venga
accertata dal tribunale la maturità psico-fisica.
c) La capacità di intendere e di volere: incapacità naturale.
d) L’assenza di rischio di commixtio sanguinis: il requisito riguarda esclusivamente la donna che
sia già stata sposata, la quale non può contrarre nuove nozze se non dopo che siano trascorsi 300
giorni dallo scioglimento od annullamento del matrimonio precedente, ovvero dalla cessazione
degli effetti civili del matrimonio concordatario, eccettuato il caso in cui il matrimonio sia stato
dichiarato nullo per impotenza di uno dei coniugi. L’inosservanza del divieto non dà luogo ad
invalidità del matrimonio, ma solo ad un’ammenda per i coniugi e per l’ufficiale dello stato
civile.
Sotto il profilo degli impedimenti, non possono contrarre matrimonio tra loro:
1) Gli ascendenti e discendenti in linea retta, legittimi o naturali
2) I fratelli e le sorelle, legittimi o naturali
3) Lo zio e la nipote, la zia e il nipote
4) Gli affini in linea retta (suocero-nuora, genero-suocera)
5) Gli affini in linea collaterale in secondo grado (cognati)
6) L’adottante, l’adottato e i suoi discendenti
7) I figli adottivi della stessa persona
8) L’adottato e i figli dell’adottante
9) L’adottato e il coniuge dell’adottante, l’adottante e il coniuge dell’adottato
I divieti di cui al 3) 4) e 5) sono suscettibili di dispensa.
Non possono contrarre matrimonio tra loro le persone delle quali l’una è stata condannata per omicidio
consumato o tentato e l’altra sia il coniuge della vittima.
Alle disposizioni citate sono soggetti sia il cittadino italiano che contragga matrimonio in un paese
straniero, sia lo straniero che contragga matrimonio in Italia, esclusi per quest’ultimo taluni degli
impedimenti di cui all’87 c.c.
Pubblicazione e celebrazione.
La celebrazione del matrimonio deve essere preceduta dall’esecuzione di alcune formalità preliminari
come le definisce il codice. Le norme del codice dedicate a tali formalità preliminari sono integrate e in
parte anche sostituite dalla nuova disciplina dell’ordinamento dello stato civile, introdotta dal DPR
n.396/2000.
La pubblicazione consiste nell’affissione di un atto, contenente le generalità degli sposi, alla porta della
casa comunale per almeno otto giorni, ed è fatta a cura dell’ufficiale dello stato civile. La celebrazione
non può avvenire prima del quarto giorno successivo al compimento della pubblicazione. La
pubblicazione serve perciò sia a prevenire richieste di nozze precipitose, sia a rendere noto il proposito
che i nubendi hanno di contrattare nozze e mettere così ogni interessato in grado di fare eventuali
opposizioni. La pubblicazione può essere omessa per gravi motivi, previa autorizzazione giudiziale.
La pubblicazione deve essere richiesta all’ufficiale di stato civile del comune di residenza di uno dei
nubendi, dai nubendi stessi o da persona che ne abbia avuto speciale incarico. Se l’ufficiale dello stato
civile si rifiuta di procedere alla pubblicazione, è dato ricorso al tribunale. Prescinde dalla pubblicazione
il matrimonio in immediato pericolo di vita.
Se manca una delle condizioni richieste per la celebrazione del matrimonio può essere fatta opposizione
dalle persone indicate dall’art. 102 c.c. o dal pubblico ministero. Il presidente del tribunale del luogo
dove è stata fatta la pubblicazione, il quale ha ricevuto l’opposizione, convoca le parti innanzi al
tribunale e può anche sospendere la celebrazione del matrimonio sino a che non sia stata rimossa
l’opposizione. Se invece l’opposizione viene respinta, l’opponente (che non sia un ascendente di uno
degli sposi o un pubblico ministero) può essere condannato al risarcimento del danno.
La celebrazione deve avvenire pubblicamente nella casa comunale davanti all’ufficiale di stato civile al
quale fu fatta richiesta di pubblicazione con le formalità stabilite nell’art.107 c.c. Immediatamente dopo
la celebrazione deve essere compilato l’atto di matrimonio, che verrà poi iscritto nell’apposito registro
di stato civile.
È ammessa la celebrazione per procura per i militari in tempo di guerra, o quando uno degli sposi
risieda all’estero e concorrano gravi motivi, da valutarsi dal tribunale nella cui circoscrizione risiede
l’altro coniuge.
Caso del matrimonio celebrato davanti un apparente ufficiale di stato civile: ai fini della tutela del
vincolo matrimoniale, la norma attribuisce validità al matrimonio celebrato davanti ad una persona che,
senza avere la qualità di ufficiale dello stato civile, ne esercita le funzioni. Occorrono però due
condizioni: 1) l’esercizio delle funzioni deve avvenire pubblicamente, ossia in modo palese a tutti; 2) la
buona fede di almeno uno degli sposi. In tal caso il matrimonio è valido.
Invalidità del matrimonio.
Per aversi matrimonio (sia pure invalido) è indispensabile che per lo meno vi sia stata una celebrazione,
nel corso della quale i nubendi, di sesso diverso, abbiano manifestato il loro consenso.
La terminologia utilizzata dal legislatore in sede di disciplina dei casi di invalidità del matrimonio, non
rispecchia la rigorosa distinzione tra le categorie della nullità e dell’annullamento stabilita in tema di
contratti. Le ragioni sono di ordine storico e dipendono da una duplice suggestione che ha influito sul
legislatore italiano: quella del diritto canonico, che conosce soltanto la categoria della nullità e quella
del diritto francese, il quale, anche in materia contrattuale, adotta la categoria unitaria della nullità.
Le cause di invalidità del matrimonio sono le seguenti:
1)
Vincolo di precedente matrimonio di uno dei coniugi: può essere impugnato in qualunque
momento da chiunque abbia un interesse legittimo a riguardo. Le nuove nozze, ove siano state
contratte prima dello scioglimento del vincolo precedente, rimangono affette da nullità insanabile
(invalidità assoluta).
Nel caso in cui viene dichiarata la morte presunta del coniuge scomparso, l’altro coniuge può
contrarre nuovo matrimonio, ma qualora la persona di cui sia stata dichiarata la morte presunta
ritorni o ne sia accertata la sopravvivenza, le seconde nozze del coniuge sono colpite da invalidità
assoluta e imprescrittibile.
2)
Impedimentum criminis: invalidità assoluta e insanabile.
3)
Interdizione giudiziale di uno dei coniugi: può essere impugnato dal tutore, dal pm o da
chiunque abbia interesse legittimo. Invalidità sanabile con la coabitazione per un anno.
4)
Incapacità naturale di uno dei coniugi: il matrimonio può essere impugnato da quello dei
coniugi che, sebbene non interdetto, abbia contratto le nozze in un momento in cui era incapace di
intendere o di volere. L’azione non può essere più proposta se vi è coabitazione per un anno dopo
che l’incapace ha riacquisito le piene facoltà mentali.
5)
Difetto di età: può essere impugnato dai coniugi, da ciascuno dei genitori del minorenne e
dal pubblico ministero. L’azione deve essere respinta nel caso in cui il minorenne raggiunga la
maggiore età ovvero vi sia stato concepimento o procreazione e sia accertata la volontà del minore
di mantenere il vincolo matrimoniale. Lo stesso minore non può impugnare le nozze qualora sia
trascorso un anno dal momento in cui ha compiuto la maggiore età.
6)
Vincolo di parentela, affinità, adozione o affiliazione: l’invalidità non può più essere fatta
valere dopo un anno dalla celebrazione quando vi sia la possibilità di ottenere l’autorizzazione
giudiziaria alle nozze; in ogni caso il vizio è insanabile e l’impugnativa può essere proposta da
chiunque vi abbia interesse.
7)
Vizi del consenso: i casi nei quali è ammissibile l’impugnativa del matrimonio per vizio del
consenso, sono i seguenti: a) violenza; b) timore di eccezionale gravità; c) errore: sull’identità del
partner, sulle sue qualità personali (malattia fisica o psichica o un’anomalia o deviazione sensuale;
una sentenza di condanna alla reclusione non inferiore a cinque anni per delitto non colposo, salvo
che sia intervenuta la riabilitazione prima della celebrazione del matrimonio; dichiarazione di
delinquenza abituale o professionale; sentenza di condanna a pena non inferiore a due anni per
delitti concernenti la prostituzione; uno stato di gravidanza causato da terzi). Tutte queste cause sono
sanabili quando la coabitazione sia continuata per un anno dopo la cessazione delle cause che le
hanno determinate.
Il matrimonio può essere impugnato da ciascuno dei coniugi per simulazione, che ricorre quando questi
abbiano contratto le nozze con l’accordo di non adempiere gli obblighi e di non esercitare i diritti che ne
derivano (divieto di beneficio di qualche conseguenza derivante dallo status di coniuge). L’impugnativa
non può più essere proposta dopo che sia decorso un anno dalla celebrazione del matrimonio, ovvero
dopo che i coniugi abbiano convissuto come tali (more uxorio), sia pure per breve tempo dopo le nozze.
L’azione di impugnazione del matrimonio è personale e intrasmissibile agli eredi in coerenza con il
carattere personale e con l’intrasmissibilità dello status di coniuge. Perciò l’azione stessa non può essere
proposta dagli eredi e non può essere promossa, per mancanza di interesse dal pubblico ministero dopo
la morte di uno dei coniugi. È sottoposta a brevi termini di decadenza.
In pendenza del giudizio di impugnazione può essere disposta la separazione dei coniugi. Questa
separazione in pendenza del giudizio di nullità o annullamento si distingue dall’istituto della
separazione personale. La separazione in pendenza del giudizio di nullità o di annullamento serve ad
ovviare al disagio della coabitazione tra i coniugi, mentre è in corso il giudizio di annullamento o di
nullità: è perciò rimesso alla prudente valutazione del giudice disporla o meno. Ciò spiega anche come il
giudice possa ordinare tale separazione anche di ufficio, se ambedue i coniugi o uno di essi sono minori
o interdetti.
Il matrimonio putativo.
L’annullamento del matrimonio ha effetti retroattivi, ma la legge tempera questo rigore, eliminando in
certi casi l’efficacia retroattiva dell’annullamento.
Se i coniugi sono in buona fede, il matrimonio è valido fino alla pronuncia della sentenza di
annullamento che opera ex nunc (perciò si parla di matrimonio putativo, da putare, ossia da credere:
matrimonio che i coniugi credevano valido). I figli, nati o concepiti durante un matrimonio poi
annullato, si considerano figli legittimi. Se in buona fede è uno solo dei coniugi, gli effetti del
matrimonio putativo si verificano soltanto in favore suo e dei figli.
Se entrambi i coniugi sono in malafede, i figli si considerano egualmente legittimi, a meno che la nullità
dipenda da bigamia o incesto. In queste ultime due ipotesi ai figli spetta lo status di figli naturali
riconosciuti nei casi in cui il riconoscimento è consentito (i figli nati da matrimonio nullo per bigamia
potranno acquisire lo stato di figli naturali, mentre nel caso di incesto no).
La legge estende le stesse regole alle ipotesi di violenza e timore, in cui a rigore non si potrebbe parlare
di buona fede. Senonchè l’estensione è giustificata dalla considerazione che la volontà del coniuge non è
stata libera.
La buona fede si presume e deve sussistere soltanto nel momento della creazione del vincolo
matrimoniale, a nulla rilevando la conoscenza successivamente intervenuta della causa che ne vizia la
validità.
Non può ricorrere la figura del matrimonio putativo nel caso in cui il matrimonio sia addirittura
inesistente o comunque del tutto privo di effetti nell’ordinamento giuridico italiano perché, essendo
stato celebrato religiosamente, non è stato trascritto.
Il matrimonio concordatario e il matrimonio celebrato davanti a ministri di altri culti. Nozioni
generali.
Il matrimonio in quanto atto contempla una varietà di forme. Accanto al matrimonio civile può aversi
quello concordatario, cioè quello religioso che, in base agli accordi tra Stato e Chiesa, può produrre
effetti sia religiosi che civili.
Si tratta di un matrimonio canonico, retto, dunque, quanto alla disciplina dell’atto, dal diritto canonico,
che riceve effetti anche nell’ordinamento dello Stato. Della validità del vincolo è competente a decidere
l’autorità giurisdizionale ecclesiastica, le cui sentenze diventano efficaci di fronte all’ordinamento dello
Stato previa deliberazione della Corte d’appello.
Le modalità per il riconoscimento dell’efficacia civile del matrimonio canonico.
Anche la celebrazione del matrimonio canonico deve essere preceduta dalle pubblicazioni, mediante
affissione di un avviso con le generalità degli sposi alle porte della chiesa parrocchiale, dopo che il
parroco si sia accertato che non esistono impedimenti. Ma perché il matrimonio consegua gli effetti
civili occorrono anche le pubblicazioni alla porta della casa comunale, a norma dell’ordinamento dello
stato civile.
Eseguite le pubblicazioni può avvenire la celebrazione da parte del ministro del culto.
La trascrizione del matrimonio canonico.
L’atto fondamentale perché il matrimonio religioso consegua effetti civili è la sua trascrizione negli atti
dello stato civile: questa infatti non svolge una mera funzione di pubblicità dichiarativa, bensì ha
carattere costitutivo. Tuttavia gli effetti civili si producono dal giorno della celebrazione: la trascrizione
ha cioè efficacia retroattiva.
Il matrimonio canonico è in trascrivibile quando: a) gli sposi non rispondano ai requisiti della legge
civile circa l’età richiesta per la celebrazione; b) fra gli sposi sussiste un impedimento che la legge civile
considera inderogabile.
La scelta di celebrare il matrimonio concordatario è impugnabile qualora sia stata effettuata da persona
incapace.
Se la trascrizione del matrimonio canonico sia stata omessa, qualunque ne sia stata la causa, può essere
chiesta in ogni tempo la trascrizione tardiva, purchè la richiesta sia fatta da entrambi i coniugi o anche
da uno solo di essi, purchè l’altro ne sia a conoscenza e non faccia opposizione.
Anche la trascrizione tardiva ha effetto retroattivo fino al momento della celebrazione.
IL MATRIMONIO: IL REGIME DEL VINCOLO
Diritti e doveri personali dei coniugi.
Per l’art. 29 Cost. il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Ciò
rappresenta una rottura col passato in cui il codice civile del 1865 era improntato alla supremazia del
marito, titolare di una potestà maritale nei confronti della moglie. La riforma del 1975 ha perciò
affermato come primo e fondamentale principio regolatore dei rapporti coniugali quello per cui con il
matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri.
L’attuale disciplina impegna i coniugi a concordare tra loro l’indirizzo della vita familiare e la residenza
della famiglia che va fissata secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa.
Costituisce eccezione alla rigida regola dell’eguaglianza tra i coniugi la norma che, in ossequio ad una
antica tradizione e per salvaguardare l’identificazione unitaria della famiglia, prevede l’aggiunta del
cognome maritale a quello della moglie, così come i figli nati all’interno del matrimonio assumono il
cognome paterno.
Dal matrimonio derivano l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza, alla collaborazione e alla
coabitazione.
La fedeltà coniugale non è più oggetto di considerazione da parte del diritto penale. È da ritenere
tuttavia che la fedeltà costituisca contenuto di un vero e proprio obbligo giuridico, pur se sfornito di
apposita specifica sanzione, e conservi un suo rilievo non soltanto quale presupposto per l’eventuale
applicazione dell’imputazione ad un coniuge della responsabilità della separazione, ma prima ancora
quale elemento caratterizzante il modello di matrimonio che il legislatore propone ai cittadini, ed in cui
la comunione di vita coniugale implica una relazione personale tra gli sposi a carattere esclusivo.
Anche la violazione del dovere di assistenza (morale e materiale) può essere causa di addebito della
separazione.
Nuovo è invece l’obbligo della collaborazione nell’interesse della famiglia.
Infine, per quanto riguarda i doveri a contenuto non patrimoniale, dal matrimonio deriva l’obbligo
reciproco alla coabitazione. Presupposto è che i coniugi abbiano fissato di comune accordo la residenza
della famiglia, ove entrambi sono tenuti a convivere. L’abbandono ingiustificato della residenza
familiare può dar luogo a sanzioni a carico dell’inadempiente.
Tutti gli obblighi fin qui trattati sono di carattere personale ed insuscettibili di coercizione: tuttavia il
giudice può dichiarare a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo
comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.
Di recente il legislatore ha avvertito la necessità di intensificare la protezione delle posizioni soggettive
all’interno della famiglia con l’introduzione di specifiche misure preventive e sanzionatorie (ordini di
protezione) contro la violenza nelle relazioni familiari. Sono previste sia sanzioni penali che strumenti
civilistici a carico di chi si renda responsabile di violenze a danno del coniuge o del convivente.
La riforma del ’75 ha ribadito la parificazione tra i coniugi anche sul piano dei rapporti patrimoniali,
affermando che essi sono tenuti entrambi in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di
lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.
La separazione personale dei coniugi.
Dal divorzio la separazione differisce nettamente, perché giuridicamente non comporta la cessazione
degli effetti del matrimonio, ma un nuovo modo di essere del rapporto. Cessa infatti tra i coniugi
l’obbligo di convivenza, e anche gli altri obblighi (assistenza, collaborazione, sostegno economico)
vengono ad essere diversamente regolati. Tale situazione è peraltro vista dalla legge come transitoria.
Il codice si occupa solo della separazione legale: si può anche avere una separazione di fatto, ossia
un’interruzione della convivenza coniugale non sanzionata da alcun provvedimento giudiziale, ma
voluta ed attuata deliberatamente per l’appunto in via di mero fatto, non già per cause indipendenti dalla
volontà dei coniugi, bensì sulla base di un previo accordo informale dei coniugi, o per il rifiuto
unilaterale a proseguire la vita in comune, o semplicemente perché ciascun membro della coppia segue
il proprio destino disinteressandosi dell’altro. La separazione di fatto non determina automatiche
conseguenze giuridiche.
La separazione legale può essere giudiziale o consensuale. La riforma ha radicalmente cambiato
soprattutto la prima.
Difatti, secondo le vecchie norme, la separazione giudiziale poteva essere ottenuta da un coniuge
soltanto adducendo una colpa dell’altro. Il nuovo testo dell’art. 151 c.c. invece consente di chiedere la
separazione per il fatto solo che la prosecuzione della convivenza sia diventata intollerabile, ovvero tale
da recare grave pregiudizio alla educazione della prole, e ciò anche quando questi presupposti si siano
verificati indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi. Qualora peraltro sia possibile
far risalire la responsabilità del fallimento della vita in comune a comportamenti contrari ai doveri che
derivano dal matrimonio, il giudice, purchè gli sia chiesto, può dichiarare nella sentenza a quale dei
coniugi sia addebitabile la separazione.
Qualora uno dei coniugi non abbia redditi propri adeguati a consentirgli di conservare il precedente
tenore di vita, il giudice può imporre all’altro l’obbligo di versarne un assegno periodico, la cui entità
dev’essere determinata tenendo conto dei redditi del coniuge obbligato e dei bisogni dell’altro.
Peraltro quest’assegno non può essere attribuito al coniuge cui sia stata addebitata la responsabilità della
separazione, al quale, ricorrendone i presupposti, può semmai essere riconosciuto soltanto il diritto agli
alimenti, cioè a ricevere periodicamente una somma nei limiti di quanto necessario al suo
sostentamento. Il coniuge cui sia stata addebitata la responsabilità della separazione vede gravemente
limitati anche i suoi diritti successori nei confronti del patrimonio dell’altro coniuge.
Le situazioni contenute nella sentenza di separazione possono essere in qualsiasi momento, per
giustificati motivi, revocate o modificate dal tribunale (revisione delle condizioni di separazione).
La separazione può essere anche consensuale, per la quale però non è sufficiente il solo consenso dei
coniugi, che si mettono d’accordo tra loro sulle condizioni della separazione: perché tale accordo
produca effetti giuridici occorre anche l’omologazione del tribunale, soprattutto perché l’accordo dei
coniugi non può essere omologato qualora sia in contrasto con l’interesse dei figli.
Quanto agli effetti, cessano per entrambi i coniugi l’obbligo di convivenza e di assistenza in tutte le
forme che presuppongono la convivenza; non è ritenuto di per sé illecito il comportamento del coniuge
separato che evada l’obbligo di fedeltà. Non cessa l’obbligo della collaborazione, specie con riguardo ai
figli. Cessa la presunzione di paternità. Si scioglie la comunione legale.
Gli effetti della separazione cessano in caso di riconciliazione dei coniugi, che non richiede alcuna
forma solenne, tuttavia occorre la ricostituzione di una vera comunione di vita tra i coniugi.
In caso di riconciliazione, precisa la legge, la separazione può essere nuovamente pronunciata soltanto
per fatti posteriori alla riconciliazione stessa. La riconciliazione comporta la ricostituzione della
comunione legale eventualmente esistente tra i coniugi prima della separazione.
Provvedimenti riguardo ai figli.
Le nuove norme, benché inserite nella disciplina della separazione personale dei coniugi, si applicano a
tutti i casi di dissoluzione della coppia genitoriale e quindi anche in caso di divorzio e di nullità del
matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.
La legge n. 54/2006 pone come regola fondamentale l’affidamento condiviso. Anche in caso di
separazione i figli hanno diritto di conservare un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei
genitori, di ricevere da entrambi cura, educazione e istruzione, e di conservare altresì rapporti con gli
ascendenti e i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Il giudice deve considerare prioritariamente la possibilità che il figlio sia affidato ad entrambi: il giudice
può disporre l’affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori soltanto quando ritenga, con
provvedimento motivato, che il rapporto con l’altro sia contrario all’interesse del minore. Ciascun
coniuge ha sì diritto di chiedere in qualsiasi momento l’affidamento esclusivo ma se la domanda risulta
manifestamente infondata il giudice ne può tenere conto ai fini dei provvedimenti da adottare nella
disciplina dei rapporti tra i genitori e i figli, oltre a poter eventualmente condannare l’istante al
risarcimento dei danni per lite temeraria.
Il giudice deve, nel dettare i provvedimenti relativi alla prole, provvedere sulla residenza dei figli,
precisando presso quale dei genitori gli stessi sono collocati, ossia vivono abitualmente.
Il provvedimento del giudice deve determinare tempi e modi della presenza dei figli presso ciascun
genitore. Per favorire intese tra i genitori, il giudice prende atto degli eventuali accordi tra i genitori, se
non contrari agli interessi dei figli.
La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori, ai quali può essere attribuito il potere di
assumere singolarmente le decisioni di minore momento, mentre devono concordare quelle di maggiore
interesse per i figli, relative alla loro istruzione, educazione e salute, tenendo conto delle inclinazioni e
aspirazioni dei figli stessi. In caso di disaccordo provvede il giudice.
I provvedimenti relativi ai figli sono sempre modificabili.
Ai fini dell’emanazione dei provvedimenti relativi alla prole il giudice può assumere anche d’ufficio i
mezzi di prova che ritiene necessari; deve inoltre disporre l’audizione del minore che abbia compiuto 12
anni, o anche quello di età inferiore, se dotato di discernimento.
Quanto ai provvedimenti economici la legge concede rilevanza primaria agli accordi liberamente
sottoscritti dai coniugi; in ogni caso ciascun genitore deve provvedere al mantenimento della prole in
misura proporzionale al proprio reddito; se necessario è il giudice a fissare la misura dell’assegno di
mantenimento.
Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo primariamente conto dell’interesse dei figli. Inoltre
il giudice deve tenere conto dell’assegnazione della casa familiare ai fini della regolazione dei rapporti
economici tra i genitori.
Il provvedimento di assegnazione è espressamente suscettibile di trascrizione ai fini della sua
opponibilità ai terzi che dovessero acquistare diritti sull’immobile.
Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso in cui l’assegnatario non abiti o cessi di
abitare stabilmente nella casa familiare, oppure conviva stabilmente more uxorio o contragga nuovo
matrimonio.
Qualora uno dei coniugi cambi residenza o domicilio, l’altro può chiedere, se il mutamento interferisce
con le modalità dell’affidamento, la revisione degli accordi o dei provvedimenti in precedenza adottati,
ivi compresi quelli relativi economici.
Lo scioglimento del matrimonio. Il divorzio.
Causa morte del coniuge: la condizione di vedovo non è equiparabile in tutto e per tutto a quella di non
coniugato, in quanto il matrimonio sebbene sciolto continua a produrre i suoi effetti (basti pensare ai
diritti successori spettanti al coniuge superstite).
Alla morte è equiparata la dichiarazione di morte presunta, che consente al coniuge superstite di
contrarre legittimamente nuove nozze. Tuttavia qualora la persona della quale fu dichiarata morte
presunta ritorna, o ne sia accertata l’esistenza, il nuovo matrimonio è invalido.
Per quanto riguarda il divorzio, il nostro ordinamento non ammette né il divorzio consensuale, fondato
cioè esclusivamente sulla volontà concorde dei coniugi, né il divorzio-sanzione, ossia giustificato come
reazione ad una colpa di un coniuge verso l’altro.
Dunque il divorzio si atteggia soltanto come rimedio al fallimento coniugale, ed è quindi ammissibile
solamente quando la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o
ricostituita. L’accertamento di tale mancanza però è ammissibile esclusivamente quando ricorra una
delle cause indicate dall’art. 2 della legge 898/1970.
Tra queste cause quella statisticamente e socialmente di gran lunga più importante è costituita dalla
separazione personale dei coniugi, protrattasi ininterrottamente per almeno 3 anni. Deve però trattarsi o
di separazione giudiziale, o di separazione consensuale omologata. I tre anni decorrono non già dalla
data del passaggio in giudicato della sentenza stessa, bensì dalla data dell’udienza iniziale del
procedimento, ossia dall’udienza in cui i coniugi sono comparsi innanzi al presidente del tribunale per
l’esperimento del tentativo di conciliazione.
La separazione deve essere ininterrotta. Peraltro l’interruzione della separazione deve essere eccepita (e
dimostrata) dalla parte convenuta nel giudizio di divorzio.
È invece irrilevante la semplice separazione di fatto.
Le altre cause che rendono ammissibile il divorzio sono: una condanna penale, passata in giudicato, di
particolare gravità; una condanna penale per reati in danno del coniuge o di un figlio; l’assunzione per
vizio totale di mente da uno dei delitti per i quali la condanna comporterebbe causa sufficiente a
giustificare la domanda di divorzio; l’annullamento del matrimonio o il divorzio ottenuti all’estero dal
coniuge straniero; la mancata consumazione del matrimonio; il passaggio in giudicato della sentenza
che rettifichi l’attribuzione del sesso di uno dei coniugi.
Ricorrendo una di tali fattispecie, uno dei coniugi o anche entrambi congiuntamente, possono chiedere
al giudice di pronunciare lo scioglimento del matrimonio contratto a norma del codice civile, ovvero nel
caso di matrimonio concordatario, la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del
matrimonio.
In tutti i casi il giudice deve esperire pregiudizialmente un tentativo di conciliazione.
Con la sentenza di divorzio il tribunale può disporre l’obbligo per un coniuge di corrispondere all’altro
un assegno periodico, purchè quest’ultimo non abbia mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli
per ragioni oggettive. La misura dell’assegno è determinata discrezionalmente, tenendo conto di
numerosi fattori. L’assegno post-matrimoniale deve essere adeguato a consentire al coniuge di
conservare un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio.
Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in un’unica soluzione, purchè l’attribuzione sia
ritenuta equa dal tribunale: l’avente diritto all’assegno che pattuisca un’attribuzione in un’unica
soluzione, non può reclamare altre provvidenze, neppure in caso di sopravvenute sue ulteriori esigenze
economiche. Il coniuge al quale non spetta l’assistenza sanitaria per nessun altro titolo, conserva il
diritto nei confronti dell’ente mutualistico da cui sia assistito l’altro coniuge.
L’obbligo di corresponsione dell’assegno, peraltro, cessa se il coniuge beneficiario passa a nuove nozze.
Se invece il beneficiario dell’assegno instaura una convivenza more uxorio nell’ambito della quale
riceva dal partner sostegno economico, ciò può rilevare come elemento di fatto idoneo a giustificare una
revisione dei provvedimenti economici, ma non comporta una perdita definitiva del diritto all’assegno.
Pertanto, qualora la convivenza cessasse, l’ex coniuge che venisse nuovamente a trovarsi in stato di
bisogno potrebbe domandare il ripristino del trattamento economico a suo favore.
IL REGIME PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA
Principi generali.
I rapporti patrimoniali nel c.c. del ’42 erano, sinteticamente, disciplinati in questo modo: il marito aveva
il dovere di mantenere la moglie; la moglie doveva contribuire al mantenimento del marito solo quando
questi si trovasse in condizioni di bisogno; il regime legale dei rapporti tra i coniugi era quello della
separazione dei beni, cioè ciascun coniuge rimaneva titolare esclusivo dei beni acquistati durante il
matrimonio, senza alcun diritto sui beni dell’altro coniuge. Tra le convenzioni matrimoniali, l’unica ad
avere una certa applicazione era quella volta a costituire una dote.
La riforma del ’75 ha inteso equiparare la posizione giuridica dei coniugi prescrivendo un obbligo di
entrambi di contribuire alle esigenze della famiglia, ma ha ritenuto anche necessario introdurre un
nuovo regime legale di tali rapporti (applicabile in mancanza di un’apposita convenzione matrimoniale),
sostituendo a quello di separazione dei beni il regime di comunione, volto a determinare la condivisione,
da parte dei coniugi, degli incrementi di ricchezza conseguiti dai componenti della coppia, anche per
effetto dell’attività separata di ciascuno di essi, durante il matrimonio (principio di solidarietà
economica).
Anche il regime vigente prevede che i coniugi possano comunque accordarsi per adottare un regime di
separazione dei beni; ma in mancanza di un simile accordo o di altra convenzione matrimoniale, si
applica automaticamente il regime della comunione legale.
L’obbligo di contribuzione per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia
Ad entrambi i coniugi è imposto l’obbligo di contribuire, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e
alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, ai bisogni della famiglia (art. 143 c.c.).
Ciascun coniuge deve adempiere all’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole in proporzione
delle rispettive sostanze e secondo la sua capacità di lavoro professionale o casalingo. Entrambi i
coniugi hanno il dovere di attivarsi per porre a frutto la loro capacità di lavoro, prospettandosi
l’eventuale loro inerzia come inadempimento agli obblighi che derivano dal matrimonio; dall’altro lato
un’attività casalinga, sebbene non produttiva di reddito, costituisce un modo per contribuire al
soddisfacimento de bisogni della famiglia. Non si deve tener conto soltanto dei redditi, ossia di quanto
ciascun coniuge percepisce quale remunerazione della propria attività lavorativa o a titolo di frutti dei
propri beni, ma anche delle sostanze, ossia dei cespiti patrimoniali di cui ciascun coniuge è titolare, e
che è tenuto a mettere a disposizione delle esigenze familiari.
La legge non precisa quale sia il “tutto”, cui ciascun coniuge deve contribuire. In proposito sono
possibili due tesi. Secondo la prima i bisogni della famiglia costituiscono un dato obiettivo
determinabile a priori, ed al cui soddisfacimento i coniugi, ciascuno in proporzione ai propri redditi e
beni, devono provvedere, liberi poi di conservare a proprio esclusivo favore ogni eventuale eccedenza.
Per la seconda tesi, i bisogni della famiglia non costituiscono un dato obiettivo, ma sono tutti quelli
(attuali e futuri, collettivi e individuali) che i redditi e i beni della coppia possono comunque soddisfare,
cosicchè in questa prospettiva i coniugi avrebbero il dovere di porre a disposizione del menage familiare
tutti i loro redditi e beni, dovendosi poi concordare tra i coniugi il relativo impiego (soluzione più
consona al concetto di comunione di vita).
La differenza tra le due tesi è rilevante per i casi in cui la coppia sia dilaniata da discordie: soltanto la
seconda, moralmente di certo più avanzata, parrebbe idonea ad assicurare la realizzazione degli scopi
della riforma.
Per l’ipotesi che la coppia non abbia mezzi sufficienti a provvedere al mantenimento dei figli, la legge
impone ai loro ascendenti di fornire i mezzi necessari affinchè possano essere adempiuti i doveri nei
confronti della prole.
Qualora uno dei coniugi non contribuisca adeguatamente al soddisfacimento dei bisogni familiari, il
tribunale può imporre che una quota dei redditi del coniuge inadempiente sia versata direttamente
all’altro coniuge o a chi provvede al mantenimento dei figli.
Regime patrimoniale legale. Le convenzioni matrimoniali.
Con la riforma il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione
stipulata a norma dell’art.162 c.c., è costituito dalla comunione dei beni.
La nuova disciplina ha trovato applicazione automatica solo per le coppie sposatesi dopo l’entrata in
vigore della legge di riforma. Per le coppie già unite in matrimonio a quella data una norma transitoria
ha previsto un periodo di pendenza di due anni a partire dall’entrata in vigore della riforma: se durante
questo periodo uno qualsiasi dei coniugi ha dichiarato di non volere il regime di comunione legale, la
coppia è rimasta assoggettata, come prima, al regime di separazione dei beni.
Per le coppie unite in matrimonio successivamente all’entrata in vigore della riforma, la scelta del
regime di separazione dei beni non può essere frutto di una dichiarazione unilaterale di uno dei coniugi,
ma deve essere convenuta mediante un accordo stipulato per atto pubblico o risultante dall’atto di
celebrazione del matrimonio.
Mediante atto pubblico i coniugi possono anche accordarsi per la costituzione del fondo patrimoniale o
per dar luogo ad una comunione convenzionale. Nessun’altra convenzione è consentita.
Le convenzioni matrimoniali possono essere stipulate anche dopo la celebrazione del matrimonio. Le
convenzioni matrimoniali non possono essere opposte ai terzi quando non risultino annotate a margine
dell’atto di matrimonio. Esse devono essere fatte per atto pubblico sotto pena di nullità.
Il minore ammesso a contrarre matrimonio è pure capace di partecipare validamente ad ogni relativa
convenzione matrimoniale, purchè sia assistito dai genitori esercenti la potestà su di lui o da un curatore
speciale. Analoga è la situazione dell’inabilitato.
La comunione legale.
Essa non è una comunione universale, ma ha per oggetto gli acquisti compiuti in costanza di
matrimonio, e neppure tutti: occorre pertanto chiarire quali siano i beni in comunione e quali rimangano
personali, di pertinenza esclusiva di ciascun coniuge.
Nell’ambito del regime di comunione possiamo distinguere tre categorie di beni:
I beni che divengono oggetto di comunione (contitolarità) dei coniugi fin dal loro acquisto
(comunione immediata)
I beni che cadono in comunione soltanto al momento dello scioglimento della comunione
stessa (comunione de residuo)
I beni che rimangono in ogni caso di titolarità esclusiva del singolo coniuge (beni personali).
In base al codice civile riformato cadono automaticamente in comunione:
a) Gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad
esclusione di quelli relativi ai beni personali.
b) Le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio
c) Gli utili e gli incrementi di aziende gestite da entrambi i coniugi ma appartenenti ad uno solo di
essi anteriormente al matrimonio
I redditi personali dei coniugi non cadono automaticamente in comunione. Si considerano oggetto della
comunione ai soli fini della sua divisione, qualora non siano stati consumati al momento dello
scioglimento della comunione stessa. Difatti si tratta specificamente di risparmi (redditi personali non
consumati o investiti o accantonati). I risparmi, anche quelli formalmente appartenenti solo al marito o
alla moglie devono essere anch’essi divisi tra entrambi i coniugi al momento in cui la commissione si
scioglie per qualsiasi causa. Lo stesso principio vale anche per i beni destinati all’esercizio di
un’impresa costituita da uno dei coniugi (e da lui esclusivamente gestita) dopo il matrimonio e per gli
incrementi di un’impresa di uno dei coniugi costituita precedentemente al matrimonio.
Sono invece esclusi dalla comunione e rimangono beni personali di ciascun coniuge:
a) I beni di cui il coniuge era già titolare prima del matrimonio
b) I beni da lui acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione in
suo favore, salvo che siano espressamente attribuiti alla comunione
c) I beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge
d) I beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla
condizione di un’azienda facente parte della comunione
e) I beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita parziale
o totale della capacità lavorativa
f) I beni acquisiti con il prezzo del trasferimento di altri beni personali o col loro scambio purchè
ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto.
L’acquisto di un bene immobile o mobile registrato è escluso dalla comunione quando a tale esclusione
consenta l’altro coniuge partecipando all’atto di acquisto e confermando che si rientra in una delle
ipotesi di cui alle precedenti lettere c), d) ed f).
L’amministrazione dei beni della comunione spetta disgiuntamente ad entrambi i coniugi.
Tuttavia il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, la stipula dei contratti con i
quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, e la rappresentanza in giudizio per le
relative azioni, spettano congiuntamente ad entrambi i coniugi. Se uno dei coniugi rifiuta il suo
consenso per la stipula di uno di tali atti l’altro coniuge può rivolgersi al giudice per ottenere
l’autorizzazione a stipulare egualmente l’atto, quando questo sia necessario per la famiglia. Del pari un
coniuge può farsi autorizzare dal giudice al compimento di tali atti qualora l’altro coniuge sia lontano o
impedito.
Se uno dei coniugi è minore o non può amministrare per lontananza o impedimenti ovvero ha male
amministrato, l’altro coniuge può chiedere al giudice di escluderlo dall’amministrazione.
Gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro coniuge, e da questo non
convalidati, sono annullabili se riguardano beni immobili o beni iscritti in pubblici registri; se invece
riguardano beni mobili, il coniuge che li ha compiuti senza il consenso dell’altro è obbligato a
ricostituire la comunione nello stato in cui era in precedenza ovvero, qualora ciò non sia possibile, a
pagare alla comunione l’equivalente.
Per quanto riguarda gli obblighi gravanti sulla comunione, i beni della comunione rispondono:
a) di tutti i pesi ed oneri gravanti su di essi al momento dell’acquisto (es.: acquisto di un immobile
gravato da servitù od ipoteche)
b) di tutti i carichi dell’amministrazione
c) di ogni obbligazione contratta dai coniugi, anche se separatamente, nell’interesse della famiglia
d) di ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi
I creditori particolari dei coniugi non possono soddisfarsi sui beni della comunione se non in quanto i
beni personali del loro debitore siano capienti: in tal caso possono soddisfarsi sui beni della comunione
solo limitatamente al valore della quota del loro debitore, ossia alla metà, purchè non vengano in
conflitto con i creditori della comunione, i quali sono ad essi sempre preferiti. I creditori della
comunione inoltre possono agire in via sussidiaria sui beni personali di ciascuno dei coniugi, nella
misura della metà del credito, quando i beni della comunione non sono sufficienti a soddisfare i debiti
gravanti su di essa.
Scioglimento della comunione.
La comunione legale viene a sciogliersi per effetto delle seguenti cause:
a) Morte di uno dei coniugi
b) Sentenza di divorzio
c) Dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi
d) Annullamento del matrimonio
e) Separazione personale legale tra i coniugi
f) Fallimento di uno dei coniugi
g) Convenzione tra i coniugi per abbandonare il regime di comunione, sostituendolo con un altro
dei regimi patrimoniali ammessi
h) Separazione giudiziale dei beni
A sua volta la separazione giudiziale dei beni può essere pronunciata dal tribunale a richiesta di uno dei
coniugi quando ricorra una delle seguenti cause:
1)
Interdizione di uno dei coniugi
2)
Inabilitazione di uno dei coniugi
3)
Cattiva amministrazione della comunione
4)
Disordine negli affari personali di un coniuge, tale da mettere in pericolo gli interessi
dell’altro o della comunione o della famiglia
5)
Condotta tenuta da uno dei coniugi nell’amministrazione della comunione tale da creare la
situazione di pericolo di cui al numero precedente
6)
Mancata o insufficiente contribuzione da parte di uno dei coniugi al soddisfacimento dei
bisogni familiari, in relazione all’entità delle sue sostanze e alle sue capacità di lavoro
La sentenza di separazione dei beni retroagisce al giorno in cui è stata proposta la domanda ed ha
l’effetto di instaurare, a partire da quel momento, il regime di separazione dei beni.
Verificatosi lo scioglimento della comunione, si procede alla divisione dei beni comuni (contitolarità dei
cespiti precedentemente acquistati): occorre perciò procedere alla divisione dei beni comuni, da
effettuare sempre in parti eguali tra moglie e marito o loro eredi. La partecipazione dei coniugi alla
comunione in quote eguali infatti è principio inderogabile.
La divisione potrà essere convenzionale o giudiziale; dovrà effettuarsi tenendo conto anche delle
passività gravanti sui beni comuni; in ciascuna porzione se possibile dovrà essere compresa un’identica
quantità di mobili, immobili e crediti, salva la facoltà di compensare eventuali squilibri con conguagli in
danaro.
Da notare che il giudice, in relazione alle necessità della prole e all’affidamento di essa, può costituire a
favore di uno dei coniugi un usufrutto su beni attribuiti all’altro. Da notarsi altresì che, salva prova
contraria, si presume che i beni mobili in possesso dei coniugi non siano di proprietà individuale, ma
facciano parte della comunione.
Comunione convenzionale.
Il legislatore ha previsto che i coniugi possano convenire, con apposita stipulazione matrimoniale, non
già di escludere il regime di comunione, bensì soltanto di disciplinarlo diversamente, dando luogo ad
una comunione, per l’appunto, convenzionale.
Non sarebbe peraltro valida una pattuizione che mirasse a modificare il regime di comunione legale per:
a) Derogare al principio che le quote spettanti ai coniugi nella comunione devono essere eguali
b) Derogare al principio che l’amministrazione della comunione spetta ad entrambi i coniugi con
pari poteri
c) Ricomprendere in comunione i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge, i beni che
servono all’esercizio della professione di un coniuge, i beni ottenuti a titolo di risarcimento del
danno o la pensione ottenuta per la perdita totale o parziale della capacità lavorativa.
La stipulazione di un apposito accordo tra i coniugi per dar vita ad una comunione convenzionale può
soprattutto mirare o a ricomprendere nella comunione anche beni personali, ad eccezione di quelli che
non possono essere ricompresi in comunione, ovvero a ricomprendere automaticamente nella
comunione tutti i redditi di pertinenza individuale di ciascun coniuge.
La separazione dei beni.
Quel regime in forza del quale ciascun coniuge rimane esclusivo titolare dei beni di sua pertinenza e di
ogni acquisto che abbia ad effettuare anche in costanza di matrimonio, con diritto ad amministrare il suo
patrimonio senza ingerenze dell’altro coniuge.
Tale convenzione può essere stipulata in qualsiasi momento con atto pubblico o anche mediante una
semplice dichiarazione inserita nell’atto di celebrazione del matrimonio.
Ogni coniuge conserva il godimento e l’amministrazione dei beni di cui è titolare esclusivo.
Peraltro anche quando i coniugi abbiano optato per il regime di separazione dei beni, la convivenza tra
loro genera comunque una situazione di utilizzo comune di un esteso insieme di beni,
indipendentemente da quale dei coniugi ne sia titolare.
Se di fatto in regime di separazione un coniuge ha il godimento di beni dell’altro è soggetto a tutte le
obbligazioni in cui sarebbe tenuto se non fosse usufruttuario.
Inoltre qualora sorga controversia tra i coniugi circa la titolarità di determinati cespiti, si presume che si
tratti di beni comuni ad entrambi per pari quota, a meno che uno di essi non riesca a dare, con ogni
mezzo di prova, dimostrazione di essene il proprietario esclusivo o titolare di una quota maggiore.
Il fondo patrimoniale.
La riforma prevede la possibilità che venga costituito un fondo patrimoniale, con uno speciale regime,
per far fronte ai bisogni della famiglia.
Il fondo patrimoniale può essere costituito da ciascuno dei coniugi, da entrambi o anche da un terzo. La
costituzione deve avvenire con atto pubblico o anche mediante testamento (se il costituente è un terzo).
Possono far parte del fondo solo beni immobili, beni mobili iscritti o titoli di credito.
La proprietà dei beni che costituiscono il fondo, salva diversa disposizione nell’atto costitutivo, spetta
ad entrambi i coniugi. L’amministrazione del fondo è regolata dalle stesse norme che disciplinano
l’amministrazione della comunione legale.
I frutti dei beni del fondo non possono essere utilizzati che per i bisogni della famiglia.
I beni del fondo non possono essere alienati, concessi in garanzia o comunque vincolati, se non con il
consenso di entrambi i coniugi e, qualora vi siano figli minori, previa autorizzazione giudiziale. La
legge prevede che i beni del fondo e i relativi frutti non possano essere sottoposti ad esecuzione forzata
per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia (il
fondo patrimoniale è separato o destinato ad uno scopo). Il conferimento di beni al fondo patrimoniale,
se attuato in frode ai creditori, può essere sottoposto all’azione revocatoria, e per di più con applicazione
del più severo regime previsto per gli atti a titolo gratuito.
L’impresa familiare.
Assoluta novità della riforma del ’75.
La norma mira a tutelare i familiari dell’imprenditore che prestino di fatto in modo continuativo la loro
attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa del loro congiunto (soprattutto imprese artigianali ed
agricole) e trova applicazione soltanto quando non sia espressamente pattuita una diversa disciplina
volta a regolare l’apporto di collaborazione del familiare.
In precedenza infatti l’attività lavorativa di un familiare nell’impresa era considerata affectionis causa e
pertanto non dava diritto al riconoscimento di alcun diritto di ordine economico.
I familiari tutelati con la norma sono il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo
grado dell’imprenditore. A costoro viene riconosciuto il diritto al mantenimento ed il diritto di
partecipare agli utili dell’impresa ed agli incrementi dell’azienda. L’entità della partecipazione agli utili
è dal legislatore fissata in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato (concetto molto
elastico). Si tende a ritenere che non rilevi l’attività domestica svolta in esecuzione del generico dovere
di collaborazione, ma quella che, permettendo ai familiari di dedicarsi integralmente all’impresa, offra
un contributo esterno alla conduzione della stessa, in base ad implicita regola di divisione del lavoro.
La norma aggiunge, correndo il rischio di trasformare l’impresa in una specie di società di fatto, che le
decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestazione
straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa devono essere adottate a
maggioranza dai familiari che partecipano all’impresa stessa: ma è da ritenere che si tratti solo di un
consenso dei familiari che prestano il loro lavoro nell’impresa o nella famiglia a decisioni che soltanto
l’imprenditore è legittimato ad assumere, che sono valide ed efficaci nei rapporti con i terzi e fonte
soltanto di responsabilità interna ai rapporti tra l’imprenditore e i familiari.
Il diritto di partecipazione è intrasferibile, a meno che sia ceduto a favore di un altro familiare con il
consenso di tutti i partecipanti.
In caso di cessazione della prestazione del lavoro e in caso di alienazione dell’azienda il diritto di
partecipazione spettante ai familiari dell’imprenditore può essere liquidato in denaro e il pagamento può
essere dilazionato in più annualità.
I partecipanti hanno diritto di prelazione sull’azienda in caso di cessione o di divisione ereditaria.
Le comunioni tacite familiari nell’esercizio dell’agricoltura continuano ad essere regolate dagli usi, a
condizione che questi non siano in contrasto con le altre disposizioni dell’art. 230-bis c.c.
LA FILIAZIONE LEGITTIMA
Filiazione legittima.
Il figlio è legittimo quando è stato concepito da genitori uniti in matrimonio. È invece naturale quando è
stato concepito da genitori non sposati.
Riguardo alla legittimità la legge interviene con due presunzioni. Con la prima si stabilisce che deve
ritenersi concepito durante il matrimonio il figlio nato in qualsiasi momento intercorrente nel periodo
che comincia a decorrere dopo trascorsi 180 giorni dalla celebrazione delle nozze e che termina quando
siano trascorsi 300 giorni dallo scioglimento o dall’annullamento del matrimonio. Con la seconda si
stabilisce che se il figlio è stato concepito in costanza di matrimonio, il padre deve ritenersi che sia il
marito della madre.
Se il figlio nasce dopo le nozze, ma prima che siano trascorsi 180 giorni dalla celebrazione del
matrimonio, è chiaro che è stato concepito prima delle nozze. Ciò nonostante la legge stabilisce che il
figlio è egualmente reputato legittimo, ma entrambi i coniugi ed il figlio stesso possono intentare azione
per il disconoscimento della paternità, azione che però in tal caso non è subordinata ai normali
presupposti di quell’azione.
In caso di nascita successiva alla cessazione della presunzione di paternità, ciascuno dei coniugi ed i
loro eredi, o il figlio stesso, possono ottenere che il figlio sia considerato legittimo se riescono a provare
che si è trattato di una gravidanza eccezionalmente lunga, cosicchè il concepimento era già avvenuto
durante il matrimonio.
Prova della filiazione legittima.
Lo status di figlio legittimo si prova di regola con l’atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile.
Questo è redatto dall’ufficiale dello stato civile che raccoglie la dichiarazione di nascita.
La legge precisa che chi compie la dichiarazione deve rispettare l’eventuale volontà della madre di non
essere nominata; in tal caso il nato non acquisterà lo status di figlio legittimo.
Lo stato di figlio legittimo potrà essere dimostrato, ove eccezionalmente manchi l’atto di nascita,
mediante il possesso continuo dello stato di figlio legittimo. Si parla di possesso di stato ad indicare il
fatto che una persona è sempre stata considerata come figlio legittimo di quei genitori. Ad integrare il
possesso di stato di figlio legittimo devono concorrere i seguenti elementi: nomen (possesso del
cognome del padre), tractatus (la persona deve essere sempre essere stata trattata dal padre come figlio);
fama (la persona deve essere sempre stata considerata come figlio nei rapporti sociali e nell’ambito della
famiglia).
Infine, ove manchino sia l’atto di nascita che il possesso di stato, la prova della filiazione legittima può
darsi nell’ambito di un’azione di reclamo della legittimità, anche per testimoni.
L’azione di disconoscimento della paternità e le azioni di contestazione e di reclamo della legittimità.
Mediante l’azione di disconoscimento di paternità si può far cadere lo status di figlio legittimo. Mentre
nel testo originario questa azione poteva essere esercitata solo dal presunto padre, dopo la riforma può
essere esperita anche dalla madre o dal figlio che abbia raggiunto la maggiore età.
L’azione di disconoscimento di paternità è consentita solo nei seguenti casi:
1)
Se i coniugi non hanno coabitato nel periodo in cui deve aver avuto luogo il concepimento
2)
Se durante tale periodo il marito era affetto da impotenza
3)
Se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la
propria gravidanza e la nascita del figlio
Mentre nei primi due casi la prova della non coabitazione o dell’impotenza costituiscono condizioni
sufficienti per ottenere una pronuncia di disconoscimento della paternità, nel terzo caso la prova
dell’adulterio, ovvero del celamento della gravidanza e della nascita non è sufficiente per ottenere il
disconoscimento, neppure se accompagnata da una conferma della madre che di chiari che il figlio non
è stato concepito col marito, occorrendo raggiungere la concreta prova del fatto che il nato non è figlio
del marito della madre (es.: prove del DNA).
L’azione di disconoscimento deve essere proposta, a pena di decadenza:
a) Dal marito nel termine di un anno dal giorno della nascita; entro un anno dal giorno del suo ritorno
se era lontano; entro un anno dal giorno in cui ne ha avuto notizia se ha dato prova di aver
ignorato la nascita; dal giorno in cui il marito è venuto a conoscenza dell’adulterio della moglie;
dal giorno in cui il marito sia venuto a conoscenza della propria impotenza di generare.
b)Dalla madre nel termine di sei mesi dalla nascita del figlio; dal giorno in cui essa sia venuta a
conoscenza dell’impotentia generandi del marito
c) Dal figlio nel termine di un anno dal compimento della maggiore età o dal momento in cui venga
successivamente a conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento; già a partire
dal compimento del sedicesimo anno può fare istanza al giudice affinchè gli nomini un curatore
speciale che promuova l’azione, mentre quando ancora non abbia sedici anni, l’istanza per la
nomina del curatore speciale può essere proposta dal pubblico ministero.
Se il titolare dell’azione di disconoscimento muore senza averla promossa, ma prima di essere decaduto
dal diritto di intentarla, l’azione può ancora essere esercitata in sua vece dai suoi discendenti e dai suoi
ascendenti, se si tratta del presunto padre o della madre, dal coniuge o dai discendenti se si tratta del
figlio.
In tema di filiazione legittima sono previste altre due azioni di stato:
a) Azione di contestazione della legittimità: dall’atto di nascita un figlio può risultare legittimo senza
esserlo, e ciò per ragioni diverse da quelle che si fanno valere con l’azione di disconoscimento
della paternità. In queste ipotesi chiunque vi abbia interesse, ed in primo luogo chi dall’atto di
nascita del figlio appare, senza esserlo, suo genitore, può agire in giudizio per contestarne la
legittimità. L’azione è imprescrittibile e richiede la presenza in giudizio di entrambi i genitori e
del figlio
b)Azione di reclamo della legittimità: se manchi un titolo che documenti lo status di figlio legittimo
di determinati genitori e difetti anche il possesso di stato, il figlio può chiedere di far accertare
giudizialmente tale status. L’azione è imprescrittibile; se l’interessato non l’ha promossa ed è
morto in età minore o prima che siano trascorsi cinque anni dal raggiungimento della maggiore
età, può essere promosse dai suoi discendenti.
c) Manca 607
Rapporti tra genitori e figli.
Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole,
tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. Tale dovere perdura
fino a quando non abbiano raggiunto una propria autonomia ed indipendenza economica.
I figli devono rispettare i genitori e devono anch’essi contribuire al mantenimento della famiglia, fin
quando vi convivono, naturalmente in proporzione alle proprie sostanze e al proprio reddito.
Il figlio è soggetto alla potestà dei genitori, fino al raggiungimento della maggiore età o al matrimonio,
qualora si sposi prima di diventare maggiorenne. La potestà deve essere esercitata dai genitori di
comune accordo: in caso di contrasti, purchè si tratti di questioni di particolare importanza, ciascuno dei
genitori può ricorrere senza formalità al giudice, il quale sentiti i genitori, ed anche il figlio se ha già
raggiunto i quattordici anni, suggerisce le determinazioni più utili nell’interesse del figlio e della unità
familiare se però il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori
che, nel singolo caso, ritiene più idoneo a curare l’interesse del figlio.
Qualora un incombente pericolo di grave pregiudizio non consenta di attendere il tempo necessario per
dirimere il contrasto tra i genitori (es.: urge decidere se dare il consenso ad un difficile intervento
chirurgico), il padre può adottare i provvedimenti urgenti ed indifferibili, giustificato dall’esigenza di
salvaguardare l’interesse del figlio.
Se uno dei genitori è lontano, incapace o impedito la potestà è esercitata da solo dall’altro genitore. In
caso di separazione personale, di annullamento del matrimonio o di divorzio, l’esercizio della potestà è
regolato secondo quanto detto al paragrafo sui “provvedimenti riguardo ai figli” (art. 155 ss. c.c.).
I genitori rappresentano i figli minori in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni. Gli atti di ordinaria
amministrazione possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore, salvo, in caso di
disaccordo, l’intervento del giudice nei limiti giù illustrati. Gli atti di straordinaria amministrazione
possono essere compiuti solo per necessità od utilità evidente del figlio, previa autorizzazione del
giudice tutelare.
Se sorge conflitto di interessi patrimoniali tra i figli soggetti alla stessa potestà o tra essi e i genitori, il
giudice tutelare nomina ai figli un curatore speciale. Se il conflitto sorge tra i figli ed uno solo dei
genitori, la rappresentanza dei figli viene attribuita esclusivamente all’altro (la legge ha presunto la
imperitura imparzialità del genitore che conserva la rappresentanza dei figli).
In tutti i casi in cui i genitori non possono o non vogliono compiere atti di interesse del figlio eccedenti
l’ordinaria amministrazione, il giudice, su richiesta del figlio stesso, del pm o di uno dei parenti che vi
abbia interesse, può nominare al figlio, sentiti i genitori, un curatore speciale, autorizzandolo al
compimento di tali atti.
Gli atti eventualmente compiuti senza l’osservanza delle norme che si sono esposte possono essere
annullati su istanza dei genitori esercenti la potestà o del figlio o dei suoi eredi o aventi causa.
I genitori esercenti la potestà sui figli non possono in nessun caso acquistare beni o diritti dei minori
soggetti alla loro potestà: anche in tal caso l’atto è annullabile.
Ai genitori spetta l’usufrutto legale sui beni del figlio, tranne quelli specificamente esclusi dal 324 c.c. I
frutti dei beni del minore devono essere destinati dai genitori al mantenimento della famiglia e
all’istruzione ed educazione dei figli. L’usufrutto legale, a differenza di quello ordinario, non può essere
alienato né costituito in garanzia né sottoposto ad azione esecutiva da parte dei creditori dei genitori.
Il giudice può pronunciare la decadenza dalla potestà quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa
inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio e può anche, per gravi motivi,
ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o del
convivente responsabile dei maltrattamenti. Qualora invece gli abusi e i maltrattamenti non siano così
gravi da determinare la decadenza dalla potestà, il giudice può adottare i provvedimenti opportuni e,
anche in tal caso, ordinare l’allontanamento dalla casa familiare del figlio o del responsabile dei
maltrattamenti.
Il genitore che sia stato dichiarato decaduto può essere reintegrato nella potestà, quando siano cessate le
ragioni che avevano portato alla decadenza.
Quando il patrimonio del minore è male amministrato, il tribunale può stabilire le condizioni a cui i
genitori devono attenersi nell’amministrazione; può rimuovere dall’amministrazione stessa uno di essi o
entrambi, sostituendoli con un curatore o privarli, in tutto o in parte, dell’usufrutto legale.
La tutela.
Se entrambi i genitori sono morti o per altre cause non possono esercitare la potestà sui figli, si apre la
tutela. Organi di tutela sono il giudice tutelare, il tutore e il protutore (nominati dal giudice tutelare).
Il tutore ha la cura del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni; il protutore
rappresenta il minore dei casi in cui l’interesse di questo è in opposizione con l’interesse del tutore e, in
via provvisoria, per gli atti conservativi ed urgenti, quando il tutore è venuto a mancare o ha
abbandonato l’ufficio.
Il tutore deve procedere all’inventario dei beni del minore, provvedere circa l’educazione e l’istruzione
di costui, investirne i capitali.
Il tutore non può compiere atti di amministrazione straordinaria senza l’autorizzazione del giudice
tutelare e atti di alienazione senza l’autorizzazione del tribunale. Quando cessa dalle funzioni il tutore
deve rendere il conto.
Le azioni del minore contro il tutore e quelle del tutore contro il minore relative alla tutela, si
prescrivono in cinque anni decorrenti, in generale, dalla cessazione della tutela.
L’ADOZIONE
L’adozione. Premesse.
L’istituto è sopravvissuto dal codice del 42, visto come realizzazione di un vero e proprio diritto del
minore ad avere una famiglia, intesa come luogo per conseguire ogni opportuna cura ed educazione, in
linea con i pincìpi enunciati dalle fonti internazionali.
L’adozione dei minori.
Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia: pertanto l’adozione
non può che rappresentare un rimedio eccezionale a situazioni di emergenza, utilizzabile in quanto non
siano accessibili altri strumenti di tutela nell’ambito della famiglia di origine, da prendere in
considerazione sempre in via prioritaria.
L’adozione perciò costituisce uno strumento per superare una situazione valutata come patologica, da
cui sollevare la vittima, assicurandogli la sostituzione della famiglia d’origine con una nuova che
diventa quella legittima dell’adottato.
L’adozione del minore è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità derivante dalla
situazione di abbandono. Questa ricorre quando sia privo di assistenza morale e materiale da parte dei
genitori o dei parenti tenuti a provvedervi. Per la situazione di abbandono non occorre una colpa dei
genitori: quand’anche l’abbandono non sia in alcun modo loro imputabile, il minore va comunque
protetto.
La competenza a dichiarare lo stato di adottabilità è attribuita al tribunale per i minorenni, il quale,
d’ufficio o ricevuta la segnalazione dello stato di abbandono in cui si trovi un minore, deve intervenire
d’urgenza e, al termine di una complessa proceduta, nella quale è assicurato il diritto di difesa dei
genitori, e compiuti gli opportuni accertamenti, quando verifichi che effettivamente sussiste una
situazione di abbandono irreversibile, emette la dichiarazione in questione.
In particolare, per effetto della recente riforma, la dichiarazione di adottabilità può essere pronunciata,
con sentenza, quando: a) i genitori e i parenti, convocati dal tribunale, non si siano presentati senza
giustificato motivo; b) l’audizione di genitori e parenti abbia dimostrato il persistere della situazione di
abbandono; c) le prescrizioni eventualmente impartite dal tribunale ai genitori nel corso del
procedimento siano rimaste inadempiute senza giustificato motivo.
Contro la sentenza può essere proposta impugnazione, che può svolgersi per più gradi di giudizio.
L’adozione è consentita, anche in numero plurimo e con atti successivi, solo a coniugi, uniti in
matrimonio da almeno tre anni (o che abbiano stabilmente e continuativamente convissuto, prima del
matrimonio, per un periodo di almeno tre anni), non separati (neppure soltanto di fatto), idonei e capaci
di educare, istruire e mantenere i minori che intendano adottare. L’età di entrambi gli adottanti deve
superare di almeno diciotto anni l’età dell’adottato; la legge stabilisce inoltre che l’età degli adottanti
non deve superare di più di quarantacinque anni l’età del minore adottando.
Eccezioni ai limiti di età: la legge di riforma del 2001 ammette che la deroga ai limiti di legge, quando il
tribunale accerti che dalla mancata adozione deriverebbe un danno grave e non altrimenti evitabile per il
minore, ed altresì in alcune ipotesi tipiche, in cui il limite di età sia superato, di non più di dieci anni, da
uno solo degli aspiranti adottanti, ovvero quando la coppia abbia almeno un figlio minore, o ancora
quando l’adozione riguardi un fratello o una sorella di un altro minore già adottato dalla stessa coppia.
Dichiarato in stato di adottabilità il minore viene collocato in affidamento preadottivo alla coppia
ritenuta idonea. L’affidamento preadottivo instaura una specie di adozione provvisoria che deve durare
almeno un anno.
In caso di esito favorevole della prova (con risultati accertati), il tribunale pronuncia la sentenza di
adozione, ovvero il contrario. In entrambi i casi la sentenza è impugnabile.
L’adozione ha per effetto l’acquisto, da parte del minore, dello status di figlio legittimo degli adottanti,
dei quali assume e trasmette il cognome, mentre cessa ogni rapporto con la famiglia di origine, salvi i
divieti matrimoniali, al chiaro scopo di evitare i casi di incesto.
L’adottato ha diritto di essere reso edotto circa la propria condizione (conoscenza delle proprie origini),
nei modi e nei termini che i genitori ritengono più opportuni.
Per converso è assicurata la riservatezza nei confronti dei terzi, in quanto le attestazioni dello stato civile
non devono far riferimento alla vicenda adottiva e i pubblici ufficiali possono rilasciare notizie e
documenti al riguardo soltanto previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Anche le informazioni
concernenti l’identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi soltanto su
autorizzazione del tribunale per i minorenni e per gravi motivi e, comunque, previa adeguata
preparazione e assistenza del minore. L’adottato può accedere alle informazioni relative alla sua origine
e all’identità dei genitori biologici dopo il raggiungimento dei 25 anni di età, se sussistano motivi
attinenti la salute psico-fisica dell’interessato. L’accesso a tali notizie è comunque escluso nel caso in
cui l’adottato non sia stato riconosciuto dalla madre naturale, ovvero se anche uno solo dei genitori
biologici abbia dichiarato di voler rimanere anonimo o abbia prestato il proprio consenso all’adozione a
condizione di rimanere anonimo. L’autorizzazione non è richiesta per l’adottato maggiorenne quando
entrambi i genitori biologici sono deceduti o divenuti irreperibili.
Pur se il minore non sia abbandonato o quando l’adozione sia irrealizzabile, può farsi egualmente luogo
all’adozione, ricorrendo i seguenti casi particolari:
a) Caso di minore orfano
b) Caso di minore figlio del coniuge dell’adottante
c) Caso di minore orfano di padre e di madre affetto da handicap
d) Caso di minore per il quale risulti impossibile l’affidamento preadottivo
In questi casi il minore non acquista lo stato di figlio legittimo degli o dell’adottante, ma gli spettano
tutti i diritti propri del rapporto di filiazione, e quindi innanzitutto il diritto al mantenimento,
all’educazione e all’istruzione. Non cessano invece i rapporti con la famiglia di origine, anche se
occorre, ovviamente, tenere conto pure dei nuovi rapporti con l’adottante.
L’adozione internazionale.
Casi del minore straniero adottato da coniugi italiani, del minore straniero adottato da coniugi stranieri
residenti in Italia e del minore italiano adottato da coniugi residenti all’estero.
Con la convenzione dell’Aja si è mirato all’eliminazione del mercato delle adozioni e di ogni intervento
interessato di intermediai, garantendo che il consenso dei genitori naturali sia libero, informato e non
condizionato da compensi. A tale fine è prevista la costituzione presso il governo di una Commissione
per le adozioni internazionali, che ha varie funzioni di organizzazione e di controllo.
Si è attuata una piena eguaglianza rispetto alla normativa interna, sia per l’adottato straniero che per gli
aspiranti adottanti, per i quali valgono le stesse condizioni richieste per l’adozione di un bambino
italiano.
L’idoneità all’adozione è legata alla dichiarazione di disponibilità presentata dalle coppie residenti in
Italia al tribunale per i minorenni, il quale emette un decreto di idoneità dopo gli opportuni accertamenti.
L’affidamento di minori.
L’affidamento consiste in un rimedio di carattere temporaneo (che non consegue necessariamente con
l’adozione) ad una situazione nella quale un minore si venga a trovare, nonostante gli interventi pubblici
di sostegno alla famiglia.
Il minore viene affidato ad una famiglia preferibilmente con figli minori o anche ad una persona singola
(e in tale differente dall’adozione). Ove ciò non sia possibile il minore può essere inserito in una
comunità di tipo familiare o in un istituto di assistenza; i minori di età inferiore a sei anni possono essere
inseriti soltanto in comunità di tipo familiare.
La procedura che conduce all’affidamento varia a seconda che i genitori abbiano prestato o meno
consenso all’affidamento stesso: nel primo caso è disposto dal servizio sociale locale, sentito il minore,
e poi reso esecutivo dal giudice tutelare; nel secondo caso è disposto dal tribunale per i minorenni.
Il provvedimento di affidamento deve essere motivato e deve precisare i modi dell’esercizio dei poteri
attribuiti all’affidatario e le modalità dei rapporti tra il minore e i genitori e gli altri componenti della
famiglia di origine.
Il provvedimento deve anche indicare la durata dell’affidamento, non superiore a 2 anni e prorogabile
dal tribunale per i minorenni.
L’affidamento cessa con provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto, quando sia venuta meno
la situazione di temporanea difficoltà della famiglia o quando la prosecuzione dell’affidamento possa
recare pregiudizio al minore.
L’affidamento, si è detto, ha natura temporanea e tende al reinserimento del minore nella famiglia di
appartenenza: se sopravvenga una situazione di abbandono si deve far luogo alla procedura di
adottabilità.
L’adozione di maggiorenni.
È preclusa l’adozione a chi abbia figli minorenni o maggiorenni non consenzienti. L’esigenza del
consenso dei figli dell’adottante si spiega per tradizione con l’intento di evitare che l’adozione divenga
uno strumento per eludere le norme in tema di successione, ed in particolare di protezione e intangibilità
della legittima.
Può adottare una persona da sola ovvero una coppia di coniugi. L’adottante deve aver compiuto i 35
anni: ma essendo stata limitata questa forma di adozione ai soli maggiorenni ed essendo necessaria una
differenza di età tra adottante ed adottato di almeno diciotto anni, non è immaginabile che l’adottante
abbia un’età inferiore ai 36 anni.
Non esiste invece alcun limite massimo di età né per adottare né per essere adottato.
Chiunque può essere adottato. L’unico divieto riguarda i figli naturali dell’adottante; se questi sono stati
riconosciuti la ratio del divieto mira ad evitare la sovrapposizione di status incompatibili; nel caso in cui
lo status di figlio naturale non sia stato costituito, il divieto si giustifica in base ad un favor veritatis. La
norma osta altresì all’adozione dei figli naturali non riconoscibili dell’adottante.
Per l’adozione si richiedono il consenso dell’adottante e dell’adottando, nonché dell’assenso dei genitori
dell’adottando e del coniuge dell’adottante e dell’adottando.
Il tribunale, assunte le opportune informazioni, verifica se tutte le condizioni prescritte dalla legge siano
state adempiute e se l’adozione convenga all’adottando.
In caso positivo di sentenza, l’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio; se è
figlio naturale non riconosciuto dei propri genitori assume solo quello dell’adottante.
L’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine e non diventa parente dei
parenti dell’adottante. L’adottato assume nei confronti dell’adottante gli stessi diritti di successione che
spetterebbero ai figli legittimi di quest’ultimo, il quale invece non acquista alcun diritto di successione
nei confronti dell’adottato.
L’adozione può essere revocata per indegnità dell’adottato.
LA FILIAZIONE NATURALE
Il riconoscimento dei figli naturali.
I figli procreati da genitori non uniti in matrimonio tra loro si chiamano figli naturali. Il figlio naturale
concepito da genitore che, all’epoca del concepimento, era legato da matrimonio con persona diversa
dall’altro genitore, si chiama figlio adulterino.; il figlio naturale concepito da persone tra le quali esiste
un rapporto di parentela, anche soltanto naturale, o in linea retta (padre-figlia, madre-figlio, nonnonipote) o in linea collaterale di secondo grado (fratello-sorella) ovvero un vincolo di affinità in linea
retta (suocero-nuora, genero-suocera), si definisce figlio incestuoso.
Il codice oggi permette il riconoscimento del figlio adulterino, ma non di quello incestuoso (salvo per i
genitori in buona fede, per cui è stata introdotta la previsione di un’autorizzazione giudiziale del
riconoscimento; è inoltre consentito liberamente l’accertamento giudiziale della filiazione incestuosa).
Rimane il divieto di riconoscere come figlio naturale colui che abbia lo status di figlio legittimo o
legittimato di altri (a meno di precedente disconoscimento di paternità).
La dichiarazione di riconoscere un figlio naturale come proprio deve essere fatta ad substantiam: o
nell’atto alla nascita, o in una dichiarazione davanti ad un ufficiale dello stato civile, o in un atto
pubblico, o in un testamento. Il riconoscimento una volta effettuato è sempre irrevocabile, perfino se,
essendo contenuto in un testamento, questo viene revocato.
La capacità di effettuare il riconoscimento di un figlio naturale si acquista con il compimento del
sedicesimo anno di età. Se il genitore non ha ancora compiuto i sedici anni, e dunque non può
riconoscere il figlio, questo non è posto in stato di adottabilità fino al raggiungimento da parte del
genitore dell’età necessaria per il compimento, purchè nel frattempo il minore sia assistito dal genitore
naturale o dai parenti fino al quarto grado.
Se la persona riconosciuta ha già compiuto a sua volta sedici anni, ne occorre l’assenso affinchè il
riconoscimento produca i suoi effetti.
Il riconoscimento può essere fatto sia da entrambi i genitori, sia da uno solo di essi. Il riconoscimento è
un actus legitimus: non si può cioè sottoporlo a termini o condizioni.
Un riconoscimento può essere impugnato in qualsiasi momento (e perciò tale azione è imprescrittibile)
qualora si sostenga che in realtà il riconoscimento non corrisponde a verità, che cioè il riconoscimento
non è stato procreato da chi ha dichiarato solennemente di esserne il genitore.
L’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità può essere intentata sia dall’autore del
riconoscimento sia da colui che è stato riconosciuto, sia da chiunque vi abbia interesse. Colui che è stato
riconosciuto non può durante la miniore età o lo stato di interdizione per infermità mentale, impugnare il
riconoscimento; tuttavia il giudice, su istanza del minore ultrasedicenne, del tutore o dell’altro genitore
che abbia validamente riconosciuto il figlio può autorizzare l’impugnazione, nominando al figlio un
curatore speciale. È previsto inoltre che il tribunale per i minorenni possa promuovere anche d’ufficio
l’impugnazione del riconoscimento, al fine di evitare che, attraverso falsi riconoscimenti, si possano
aggirare le norme sull’adozione.
Il riconoscimento può altresì essere impugnato se l’autore del riconoscimento vi è stato costretto con la
violenza ovvero l’ha compiuto in stato di interdizione giudiziale. In questi casi l’azione deve essere
accolta anche se il riconoscimento corrisponde a verità. Non assumono invece rilevanza invece gli altri
classici vizi del volere, errore e dolo: difatti o il riconoscimento corrisponde a verità e allora prevale
l’interesse a lasciar fermo l’acquisto dello status di figlio riconosciuto; oppure il riconoscimento non
corrisponde a verità, e allora sarà impugnabile semplicemente per difetto di veridicità.
Lo status di figlio naturale riconosciuto.
La Cost. stabilisce che la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale,
compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.
La riforma si è preoccupata di equiparare la posizione dei figli naturali riconosciuti a quella dei figli
legittimi, anche se rimane la differenza fondamentale, corrispondente alla mancanza di un rapporto di
coniugio tra i genitori del figlio naturale, per cui mentre il figlio legittimo ha uno status che gli
garantisce un rapporto giuridico con la coppia dei genitori e quindi l’appartenenza a una famiglia, il
figlio naturale assume uno status soltanto nei confronti di ciascun genitore, ed anche quando sia
riconosciuto da entrambi, la mancanza di un rapporto coniugale tra i genitori determina la costituzione
di due rapporti, indipendenti tra loro, con ciascun genitore.
Il riconoscimento di un figlio naturale comporta da parte del genitore l’assunzione di tutti gli stessi
doveri e diritti che si hanno nei confronti di un figlio legittimo.
La legge regola l’attribuzione del cognome al figlio naturale se il figlio viene riconosciuto
contemporaneamente da entrambi i genitori assume il cognome del padre, altrimenti assume il cognome
del genitore che lo ha riconosciuto per primo. Se il riconoscimento da parte del padre segue quello
effettuato dalla madre, il figlio può assumere il cognome paterno aggiungendolo o sostituendolo a
quello della madre: nel caso di minore età del figlio tale decisione è affidata al giudice.
Al genitore che ha riconosciuto il figlio naturale spetta la potestà su di lui. Se il riconoscimento è fatto
da entrambi i genitori, l’esercizio della potestà spetta congiuntamente ad entrambi, se sono conviventi.
Se non convivono, l’esercizio della potestà spetta al genitore con il quale il figlio convive ovvero, se
non convive con alcuno di essi, al primo che ha fatto riconoscimento. Il giudice, nell’esclusivo interesse
del figlio, può anche disporre diversamente e giungere ad escludere entrambi i genitori dall’esercizio
della potestà, nominando un tutore.
In caso di interruzione della convivenza, si applicano le disposizioni sull’affidamento condiviso,
derogabile solo se il rapporto con uno dei genitori sia contrario all’interesse del figlio.
Qualora il riconoscimento di un figlio naturale minorenne sia effettuato da una persona sposata, il
giudice, valutate le circostanze, decide se affidare il minore al genitore ed adotta ogni provvedimento
idoneo a tutelare l’interesse morale e materiale del figlio. Il figlio naturale non può essere inserito nella
casa coniugale se non quando vi sia il consenso del coniuge, nonché dei figli legittimi del genitore che
ha effettuato il riconoscimento, e con lui conviventi, che abbiano più di sedici anni, e dell’altro genitore
naturale.
Se una persona si sposa dopo che aveva già riconosciuto un figlio naturale, questi può essere inserito
nella casa coniugale se già convive con il genitore che lo aveva riconosciuto, ovvero se l’altro coniuge
ne conosceva l’esistenza o concede il suo consenso; in ogni caso è necessario anche il consenso
dell’altro genitore naturale, se pure questi aveva effettuato il riconoscimento.
La dichiarazione giudiziale della paternità o della maternità naturale.
Se i genitori non hanno provveduto al riconoscimento, il figlio può agire in giudizio per ottenere
l’accertamento del rapporto di filiazione e la conseguente attribuzione dello status che spetta al figlio
naturale riconosciuto (azione di dichiarazione giudiziale della paternità o maternità naturale).
La riforma del 75 ha stabilito che l’azione di dichiarazione giudiziale sia di paternità che di maternità
può sempre essere liberamente esperita (mentre il codice ammetteva senza limitazioni solo l’azione per
la dichiarazione giudiziale della maternità), tranne nel caso in cui non è ammesso neppure il
riconoscimento: ossia quando si tratti di persone che risultino figli legittimi o legittimati di altri genitori.
La prova della filiazione può essere data con ogni mezzo e dunque anche in via indiretta.
È stato dichiarato incostituzionale il giudizio preventivo di ammissibilità dell’azione.
La prova della filiazione può essere data con ogni mezzo e dunque anche in via indiretta o per mezzo di
presunzioni. Ma mentre la prova della maternità è agevole ed è sempre sufficiente dimostrare la identità
di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna che si assume sia la madre, la
prova della paternità è meno semplice (oggi risolta nella pratica per vie scientifiche; peraltro il presunto
genitore può rifiutarsi di prestarsi alle indagini ematologiche e genetiche; secondo la giurisprudenza
però il giudice può trarre dal rifiuto un elemento atto a concorrere a fondare il convincimento del
giudice circa la fondatezza della domanda).
L’azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la paternità o la maternità naturale può essere
intentata dal figlio o dal genitore che esercita su di lui la potestà, oppure previa autorizzazione giudiziale
dal tutore. Se il figlio ha già compiuto sedici anni deve prestare il proprio consenso a che l’azione sia
promossa o proseguita. Nel caso di azione proposta nell’interesse di minore infrasedicenne l’azione è
ammessa solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all’interesse del figlio.
L’azione è imprescrittibile per il figlio.
In caso di morte dell’interessato, l’azione può essere proseguita o promossa dai suoi discendenti
legittimi, legittimati o naturali riconosciuti.
L’azione deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in mancanza di lui, nei confronti dei
suoi eredi. Chiunque vi abbia interesse può intervenire nel giudizio per resistere alla domanda.
La sentenza che dichiara la paternità o la maternità naturale produce così gli stessi effetti del
riconoscimento spontaneo.
I figli naturali non riconosciuti o non riconoscibili.
Il figlio naturale non riconosciuto non è, per il diritto, figlio dei suoi genitori naturali, rispetto ai quali è
estraneo. Naturalmente il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale della filiazione potrebbero
sopravvenire in qualsiasi momento.
Il figlio naturale può anche essere non riconoscibile, ipotesi limitata oggi al solo caso dei figli incestuosi
di genitori in mala fede. Se uno dei genitori era in buona fede al momento del concepimento, il
riconoscimento è consentito a lui soltanto.
Il riconoscimento nei casi in cui è consentito dalla legge, deve altresì essere autorizzato dal giudice,
nell’interesse del figlio.
Attualmente è ammissibile l’accertamento giudiziale della filiazione naturale, anche in caso di incesto,
mentre è tuttora inibito un atto di riconoscimento, da parte dei genitori, dei figli incestuosi.
Nel sistema delineato dalla riforma del 75 il figlio non riconoscibile poteva far valere sui genitori il suo
diritto ad essere mantenuto, istruito, ecc. Essendo oggi caduto il divieto di dichiarazione giudiziale del
rapporto di filiazione, per la dichiarazione di illegittimità della relativa norma (art. 278 c.c.), cosicchè i
figli incestuosi sono legittimati a proporre l’azione di dichiarazione giudiziale della paternità o maternità
naturale (269 c.c.), ci si domanda quale rilevanza abbia ancora l’art.279 c.c. (responsabilità per il
mantenimento e l’educazione).
Inoltre al figlio naturale non riconoscibile spettano anche diritti successori, ovviamente in quanto sia
data la prova del rapporto di filiazione con il defunto.
Secondo un orientamento i diritti di cui agli artt. 279, 580 e 594 c.c. concessi ai figli naturali non
riconoscibili, possono essere rivendicati pure dai figli naturali non riconosciuti, i quali avanzino pretese
nei confronti del genitore naturale (mantenimento, alimenti ecc.) o nei confronti dei suoi eredi.
La legittimazione.
Con la legittimazione il figlio nato fuori dal matrimonio acquista la qualità di figlio legittimo. Data la
pressoché completa equiparazione che la riforma ha introdotto tra la posizione del figlio naturale
riconosciuto o dichiarato e quella del figlio legittimo, la legittimazione ha perduto parte della sua
importanza. Occorre però tenere presente che con lo status di legittimità si instaura un pieno rapporto,
oltre che con i genitori, anche con la famiglia legittima, il che assume rilevanza soprattutto in sede
successoria, in quanto la successione ex lege tra collaterali è prevista soltanto nell’ipotesi in cui il
rapporto di parentela risulti di filiazione legittima.
La legittimazione può avvenire per susseguente matrimonio dei genitori naturali o per provvedimento
del giudice.
La legittimazione per susseguente matrimonio si verifica automaticamente.
La legittimazione può essere concessa dal giudice soltanto se corrisponde agli interessi del figlio e
concorrano le seguenti condizioni: 1) che sia domandata dai genitori o almeno da uno di essi; 2) che vi
sia l’impossibilità o un gravissimo ostacolo a legittimare il figlio per susseguente matrimonio; 3) che vi
sia l’assenso dell’altro coniuge se il richiedente sia sposato e non legalmente separato; 4) che vi sia il
consenso del figlio legittimando se ha compiuto i 16 anni ovvero, se è di minore età, il consenso
dell’altro genitore o di un curatore speciale.
La legittimazione giudiziale può essere richiesta pure dal figlio qualora il genitore sia morto dopo aver
espresso in un testamento o in un atto pubblico la volontà di legittimarlo, se sussisteva un’impossibilità
o un gravissimo ostacolo a procedere alla legittimazione mediante matrimonio tra i genitori naturali.
L’OBBLIGAZIONE DEGLI ALIMENTI
Fondamento e natura.
Il gruppo familiare crea il dovere della reciproca assistenza e della solidarietà in relazione ai bisogni
essenziali per la vita. Questo dovere sussiste anche rispetto ai vincoli che nascono dalla filiazione
naturale e al legame civile creato con l’adozione. L’ordinamento giuridico ha attribuito rilievo, in questa
materia, anche al sentimento di gratitudine che deve o dovrebbe animare chi ha ricevuto un beneficio:
ciò spiega l’obbligo alimentare del donatario (437 c.c.).
L’obbligazione legale degli alimenti non sorge se la persona non si trova in stato di bisogno.
L’obbligato non è tenuto oltre il valore della donazione ricevuta, tuttora esistente nel suo patrimonio.
L’obbligazione non ha una durata prestabilita ed una misura determinata.
Essa ha carattere strettamente personale.
Non possono chiedersi prestazioni arretrate: il soccorso deve operare per il futuro. L’obbligato ha la
facoltà di scelta circa le modalità delle prestazioni alimentari, facoltà che non è tuttavia assoluta
(possibilità dell’intervento del giudice). Se l’avente diritto agli alimenti fosse debitore verso l’obbligato,
questi non potrebbe opporre la compensazione tramite gli alimenti.
LA SUCCESSIONE PER CAUSA DI MORTE: PRINCIPI GENERALI
Premesse.
Con il termine successione si designa il fenomeno per cui un soggetto subentra ad un altro nella
titolarità di uno o più diritti.
Per un verso la ricchezza non è più come una volta, prevalentemente individuale (i patrimoni più
cospicui appartengono oggi ad enti, società, associazioni, ecc.). Per altro verso l’elevazione del reddito
medio ha fatto sì che la titolarità di un certo patrimonio al momento della morte non costituisca più un
caso raro, appannaggio delle classi più elevate.
Riguardo le eredità, mentre una volta assumevano importanza quasi esclusivamente gli immobili,
attualmente grande rilievo possono facilmente rivestire anche i cespiti mobiliari.
Vi è poi da considerare la maggiore facilità di sfaldamento della famiglia nucleare, non più compatta
come quella antica patriarcale.
Infine occorre sottolineare la sempre maggiore importanza che vanno assumendo istituti che, pur
ricollegandosi alla morte dell’individuo, sono del tutto indipendenti dalla successione nell’eredità del
defunto (es.: regola in tema di liquidazione ai superstiti delle indennità dovute al lavoratore defunto).
La morte dell’individuo determina il sorgere di quella che è stata definita l’esigenza negativa che un
patrimonio non resti privo di titolare.
Gli interessi coinvolti nel fenomeno successorio sono numerosi. In primo luogo emerge l’interesse dello
stesso ereditando, preoccupato della sorte post mortem dei suoi beni in funzione della rete di legami
affettivi in cui ogni persona si colloca. In secondo luogo vi è da tenere presente l’interesse dei familiari
del de cuius. In terzo luogo sono interessati alla sorte del patrimonio ereditario i creditori del de cuius.
Infine vi è un indubbio interesse dello Stato a colpire i trasferimenti di ricchezza che si verificano mortis
causa, o addirittura ad acquisire, in determinate circostanze, l’intero patrimonio ereditario, per destinarlo
a vantaggio della collettività.
L’eredità infatti si devolve allo Stato soltanto quando nessun altro soggetto è chiamato, ex lege o ex
testamento, alla successione ovvero quando il diritto di tutti i chiamati risulti già estinto per rinuncia o
prescrizione.
Escluso almeno di solito un intervento pubblico, la sorte del patrimonio ereditario è lasciata anzitutto
alle decisioni discrezionali dello stesso ereditando, che può disporre dei propri beni mediante
testamento.
Qualora al de cuius sopravvivano stretti congiunti, il legislatore limita la libertà del testatore, in quanto
riserva a favore di costoro una quota del patrimonio del defunto (la legittima o quota indisponibile),
variabile a seconda del numero e della qualità degli aventi diritto e determinata e tenendo conto pure
delle donazioni effettuate in vita del de cuius.
Per la parte disponibile del suo patrimonio l’ereditando può provvedere come preferisce l’art. 42 ult. c.
Cost. rimette al legislatore ordinario soltanto la determinazione dei limiti della successione legittima e
testamentaria, la cui soppressione sarebbe nell’attuale sistema inammissibile.
Ove tuttavia l’ereditando non abbia provveduto a disporre mediante testamento dei propri beni, è la
legge stessa a dettare i criteri per la devoluzione del patrimonio relitto. Il legislatore colloca tra i
successibili ex lege il coniuge, i discendenti legittimi e naturali, gli ascendenti legittimi, i collaterali, gli
altri parenti e infine lo Stato.
Alla successione legittima si ricorre quando manca qualsiasi testamento o, pur essendovi un testamento,
questo dispone soltanto legati, o ancora, quando il testamento contenga un’istituzione di erede che non
esaurisca l’asse ereditario.
L’interesse dei creditori del de cuius è protetto da vari strumenti. Anzitutto dalla trasmissione, in capo
all’erede, della responsabilità per i debiti ereditari; inoltre mediante diritto dei creditori di chiedere la
cosiddetta separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede; ed ancora attraverso la possibilità dei
creditori di provocare, in caso di eredità beneficiata, talune procedure formali di liquidazione del
patrimonio ereditario.
Eredità e legato.
Il complesso dei rapporti patrimoniali trasmissibili, attivi e passivi, facenti capo al de cuius al momento
della sua morte, costituisce la sua eredità, intesa in senso oggettivo. Il patrimonio ereditario non è mai
suscettibile di essere considerato atomisticamente quale una semplice accozzaglia di rapporti privi di
connessione tra loro, essendo numerose le norme che postulano un trattamento unitario del patrimonio
ereditario. In realtà l’eredità non è assoggettata ad un regolamento tipico ed unitario, ma ad una varietà
di statuti in funzione di un’ampia casistica: cosicchè molto più utile di una definizione unitaria ed
aprioristica dell’eredità come universitas, di sapore puramente classificatorio e dogmatico, appare
l’esame analitico delle varie fattispecie ipotizzate dal legislatore in relazione alle situazioni in cui può
venirsi a trovare in concreto il patrimonio del de cuius dopo l’apertura della successione.
La successione mortis causa può avvenire a titolo universale (e allora si parla di eredità ed erede o
coeredi) o a titolo particolare (ed allora si parla di legato, e del relativo beneficiario quale legatario).
La contrapposizione si fonda sul diverso titolo con cui opera la vocazione (o chiamata) alla successione:
infatti, mentre nel caso di legato la chiamata concerne esclusivamente rapporti determinati, nel caso di
chiamata a titolo universale la vocazione comprende complessivamente la situazione patrimoniale del
soggetto venuto a mancare, ponendo il beneficiario nella condizione di poter subentrare in tutti i rapporti
trasmissibili, attivi e passivi, facenti capo al de cuius al momento della morte, ad eccezione soltanto di
quelli per i quali sia diversamente disposto dalla legge o dal testamento, ma compresi gli stessi rapporti
di cui neppure il defunto conosceva l’esistenza o che addirittura sono sorti in un momento successivo a
quello in cui il de cuius abbia, nel caso di istituzione ex testamento, redatto il proprio atto di ultima
volontà, formulando la chiamata.
Disciplina:
a) L’erede succede nel possesso del defunto; è tenuto ipso iure al pagamento dei debiti e pesi
ereditari; al solo erede è concessa la hereditas petitio per ottenere la restituzione dei beni
ereditari posseduti da altri a titolo di erede o senza titolo; solo l’erede subentra in ogni rapporto
come se ne fosse stato parte ab initio e perfino in quelli in via di formazione al momento della
morte del de cuius; soltanto l’erede succede nel processo in cui era parte il defunto.
b) Per il legatario si ha il fenomeno dell’accessio possessionis; non è tenuto al pagamento dei debiti
e pesi ereditari
Il compito dell’interprete è facile quando al chiamato siano attribuiti tutti i beni del testatore, ovvero una
quota del complessivo patrimonio ereditario; difficoltà di interpretazione della dichiarazione del
testatore nell’ottica della distinzione tra legato ed eredità, sorgono quando la disposizione contenga
l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni. Di fronte all’attribuzione di beni determinati
occorre vedere quale sia stata l’intenzione del testatore, se di attribuire quei beni e soltanto quelli come
cespiti determinati e singoli, ed allora si avrà legato; oppure se, pur indicando nominativamente quei
beni, il testatore abbia inteso lasciarli quale porzione del suo patrimonio, ed allora si avrà successione a
titolo universale e istituzione di erede, con conseguente applicabilità della disciplina prevista per gli
eredi
Nel caso risulti l’intento del testatore di assegnare i beni specificamente indicati quale quota del suo
patrimonio (institutio ex re certa), la determinazione della quota ereditaria da riconoscere al chiamato
avverrà anziché a priori, sulla base della semplice indicazione di una frazione aritmetica, a posteriori,
calcolando il rapporto tra il valore dei beni specificamente assegnati e il totale del patrimonio di cui il
testatore ha disposto (operazione di apporzionamento).
Ovviamente l’interpretazione della mens testantis pone spesso gravi difficoltà per l’ignoranza da parte
del testatore delle sottili distinzioni giuridiche relative al titolo della vocazione.
Quando la successione si devolve per legge, il problema non si pone perché la vocazione è configurata
dal legislatore quasi sempre come chiamata a titolo universale, sia pure di solito tra più aventi diritto per
quote, mentre le ipotesi di legato disposto dalla legge sono tipiche e tassative (es.: al coniuge superstite
spetta a titolo di legato il diritto di abitazione nella casa familiare e di uso dei relativi arredi; ai figli
naturali non riconoscibili e al coniuge dichiarato responsabile della separazione giudiziale spetta il
diritto ad un assegno vitalizio). Nel caso di pluralità di successibili, la chiamata è comunque a titolo
universale per ciascun coerede; ne consegue l’instaurazione di un regime di comunione, che investe, in
ragione delle quote spettanti a ciascun coerede, tutti gli elementi che compongono l’asse ereditario.
Per quanto riguarda le situazioni giuridiche non patrimoniali, essendo in genere intrasmissibili, non si
verifica successione. Tuttavia in talune ipotesi la legge riconosce espressamente la trasmissione
all’erede della legittimazione attiva o passiva in relazione ad interessi non patrimoniali.
Intrasmissibile è anche il cosiddetto diritto morale d’autore.
Nel campo dei rapporti patrimoniali la regola è invece la successione. Sono tuttavia intrasmissibili tutti i
rapporti strettamente personali, come usufrutto, uso, abitazione, rendita vitalizia, diritto alimentare ecc.
La morte è poi causa di scioglimento dei contratti caratterizzati dall’intuitus personae (in primo luogo il
contratto di lavoro subordinato e quello stipulato con un professionista).
L’erede subentra nei diritti potestativi spettanti al de cuius: diritto di riscatto di recesso, di ratifica, di
impugnazione, ecc.
Si rammenta che la morte del proponente non è sufficiente ad impedire la possibilità che si pervenga
alla stipulazione del contratto quando si tratti di proposta irrevocabile ovvero fatta nell’esercizio di
un’impresa.
Apertura della successione.
La morte di una persona determina la apertura della successione.
L’art. 456 c.c. stabilisce che la successione si apre al momento della morte, nel luogo dell’ultimo
domicilio del defunto.
La giurisprudenza e la dottrina prevalente ritengono equiparata alla morte naturale la morte presunta; in
caso di assenza invece, coloro che, verificandosi la morte dell’assente, sarebbero suoi eredi, possono
soltanto domandare l’immissione nel possesso temporaneo dei beni.
Patti successori.
Aperta la successione occorre vedere a chi spettano il patrimonio ereditario o i singoli beni. Si parla
allora di vocazione ereditaria, che significa indicazione di colui che è chiamato all’eredità. Il nostro
codice preferisce parlare di delazione dell’eredità e cioè di offerta dell’eredità ad una persona che, se
vuole, la può acquistare.
La delazione del successibile può avvenire per legge (successione legittima) o per testamento
(successione testamentaria). È esclusa la successione per contratto.
La legge vieta esplicitamente varie tipologie di patti successori. Se ne convengono tre specie:
confermativi o istitutivi (con cui Tizio conviene con Caio di lasciargli la propria eredità); dispositivi
(vendo a Caio i beni che dovrebbero provenirmi dall’eredità di X); rinunciativi (convengo con Caio di
rinunciare all’eredità di X non ancora devoluta).
Inoltre, i patti istitutivi, vincolando il de cuius, gli toglierebbero quella libertà di disporre che la legge
riconosce ad ogni persona fino al momento della morte; quanto ai patti rinunciativi e dispositivi, deve
ritenersi che il legislatore abbia voluto impedire che un soggetto possa disporre con leggerezza,
sottovalutandole, di sostanze che non gli appartengono ancora e di cui, anzi, l’acquisto non può mai
essere sicuro (ante mortem).
È vietata anche la donazione mortis causa, in cui la morte del donante funziona come causa
dell’attribuzione patrimoniale: anch’essa è in contrasto con il principio fondamentale della revocabilità
delle disposizioni mortis causa. È invece valida la donazione fatta sotto la condizione sospensiva
(condizione di premorienza del donante). È invece valida la donazione fatta sotto la condizione
sospensiva “se il donante morirà prima del donatario” (condizione di premorienza del donante), perché
retroagendo la condizione al momento della conclusione della donazione, l’attribuzione patrimoniale
dipende da un atto inter vivos e non mortis causa.
Giacenza dell’eredità.
Con la morte del de cuius colui che è chiamato all’eredità non acquista senz’altro la qualità di erede né
la titolarità dei beni e dei diritti. Occorre una sua dichiarazione di volontà (accettazione di eredità).
L’accettazione retroagisce al momento dell’apertura della successione, ossia opera in modo che non si
verifichi soluzione di continuità tra il de cuius e l’erede.
Nell’intervallo tra la morte dell’ereditando e l’accettazione del chiamato il patrimonio ereditario rimane
senza un titolare attuale dei rapporti attivi e passivi che di esso fanno parte. Per assicurare la gestione
del patrimonio ereditario durante quella fase, il c.c. prevedono la specifica figura dell’eredità giacente,
che ricorre soltanto quando concorrono tutte le seguenti condizioni:
a) Non sia ancora intervenuta l’accettazione da parte del chiamato
b) Il chiamato non si trovi nel possesso dei beni ereditari
c) Sia stato nominato, su istanza di qualsiasi interessato, o anche d’ufficio, un curatore dell’eredità
giacente. La nomina di un curatore deve essere motivata da qualche concreta esigenza di
provvedere ad atti di gestione del patrimonio ereditario che non possano essere rinviati in attesa
che venga a cessare la situazione di incertezza, per effetto dell’accettazione da parte di uno dei
chiamati.
il curatore non è un rappresentante del chiamato o del futuro erede o dei creditori del de cuius, e neppure
della stessa eredità: si tratta di un amministratore di un patrimonio, con funzioni prevalentemente
conservative, anche se non sono esclusi poteri dispositivi.
Il curatore provvede all’amministrazione e alla conservazione del patrimonio ereditario; è legittimato ad
agire in giudizio sia attivamente che passivamente; può anche provvedere al pagamento dei debiti
ereditari e dei legati, previa autorizzazione del tribunale, purchè non vi sia opposizione da parte di
alcuno dei creditori o dei legatari. Se vi è opposizione si deve procedere alla liquidazione dell’eredità,
secondo le norme stabilite in tema di beneficio di inventario: le funzioni del curatore cessano quando il
chiamato all’eredità accetta.
Se non sia stato nominato un curatore, non si verifica giacenza, bensì una situazione di mera vacanza
dell’eredità, in quanto il patrimonio ereditario è privo di un dominus. In tal caso sono concessi alcuni
limitati poteri al chiamato all’eredità, in funzione della conservazione del patrimonio ereditario (azioni
possessorie (in caso di spoglio o turbativa del possesso), atti conservativi, di vigilanza e di
amministrazione temporanea).
La capacità di succedere.
Qualunque persona fisica che al momento dell’apertura della successione sia già nata e sia ancora in vita
è senz’altro capace di succedere. Qualora si ignori se il chiamato sia vivo (il c.d. assente) il legislatore
ammette che la successione si devolva a favore di coloro ai quali sarebbe spettata in mancanza
dell’assente, impregiudicati i rimedi a favore di quest’ultimo, ove ritorni prima che sia maturata la
prescrizione del suo diritto di accettare l’eredità.
Il legislatore concede la c.d. capacità di succedere anche a coloro che al tempo dell’apertura della
successione erano soltanto concepiti. Naturalmente la chiamata è subordinata alla nascita.
Nell’ambito della successione testamentaria possono essere chiamati alla successione mediante
testamento anche i figli (legittimi, legittimati e naturali riconosciuti) non ancora concepiti di una
determinata persona vivente al momento dell’apertura della successione (allargamento della capacità di
succedere).
Se alla successione è chiamato un concepito, nel periodo di incertezza circa l’attribuzione definitiva
l’amministrazione dei beni spetta al padre e, in mancanza di questo, alla madre (norma discriminatoria
non modificata). Se invece alla successione sono chiamati (ex testamento) nascituri non ancora
concepiti, l’amministrazione dell’eredità nel (lungo) periodo di incertezza è affidata a coloro cui
l’eredità o la quota di eredità sarebbe devoluta qualora i nascituri chiamati alla successione non
dovessero venire ad esistenza, salvo il diritto della persona indicata nel testamento di rappresentare i
nascituri e tutelarne le aspettative.
Nessun dubbio sussiste sulla capacità di succedere per testamento delle persone giuridiche le quali
dovevano necessariamente munirsi, per poter accettare, della prescritta autorizzazione governativa (non
necessaria per le società). Il c.c. negava però la capacità di succedere agli enti non riconosciuti.
La norma è stata oggi abrogata e l’art. 473 c.c. dispone che l’accettazione delle eredità devolute alle
persone giuridiche o ad associazioni, fondazioni ed enti non riconosciuti si deve fare con il beneficio di
inventario (non è più necessaria l’autorizzazione).
L’indegnità.
Essa ha un fondamento diverso dall’incapacità di succedere. Questa consiste nella inidoneità del
soggetto a subentrare nei rapporti che facevano capo al defunto; l’indegnità invece si basa
sull’incompatibilità morale del successibile.
Effetti: l’incapacità importa la mancanza di un soggetto idoneo all’acquisto dei diritti ereditari, e dunque
la radicale assenza di un effetto acquisitivo. Invece l’indegnità funziona come una causa di esclusione
che intanto produce effetti, in quanto sia pronunciata dal giudice, la cui sentenza ha carattere costitutivo.
Perciò mentre l’azione per far dichiarare l’incapacità di succedere è imprescrittibile, l’azione per fare
pronunciare l’indegnità si prescrive nel termine ordinario (10 anni) che decorre dal giorno dell’apertura
della successione.
Inoltre l’incapacità di succedere non ammette rimedi di sorta. Invece l’indegnità può essere rimossa con
la riabilitazione.
Le cause di indegnità sono tassativamente indicate nel codice, e si possono così raggruppare:
a) Atti compiuti contro la persona fisica (omicidio doloso, tentativo di omicidio) o contro la
personalità morale (calunnia, falsa testimonianza) del de cuius, oppure del coniuge o del
discendente o dell’ascendente di lui.
b) Atti diretti con violenza o dolo contro la libertà di testare del de cuius
c) Decadenza della potestà genitoriale; l’indegnità non sussiste se il genitore sia stato reintegrato
nella potestà alla data di apertura della successione. La ratio della norma consiste evidentemente
nella finalità di impedire al genitore che abbia commesso omissioni dei propri doveri nei
confronti del figlio, ovvero abusi o maltrattamenti, di gravità tale da giustificare la decadenza
della potestà, di succedere al figlio stesso.
L’indegnità non si comunica al figlio dell’indegno: non si vuole che gli innocenti siano colpiti per colpe
commesse da altri. La legge tuttavia vuole escludere che l’indegno riceva un vantaggio, anche indiretto,
dalla successione della persona verso la quale egli si è reso colpevole: perciò all’indegno non spettano
né il potere di amministrazione né l’usufrutto legale sui beni che sono pervenuti ai suoi figli dalla
successione dalla quale egli si è escluso.
La sentenza che pronunzia l’indegnità ha effetto retroattivo all’apertura della successione.
L’indegno può essere riabilitato o con dichiarazione espressa (atto pubblico) o con testamento
(riabilitazione totale), ovvero mediante la contemplazione nel testamento (riabilitazione parziale); nel
qual caso è ammesso a succedere nei limiti della disposizione, ma non può ricevere niente come
successore legittimo e neppure può agire per lesione di legittima, se quanto ha ricevuto è inferiore alla
quota di riserva.
Non va confusa con l’indegnità a succedere la diseredazione, ossia la clausola testamentaria con cui il
de cuius dichiari di non volere che alla sua successione abbia a partecipare un determinato soggetto il
quale avrebbe, in forza delle norme sulla successione legittima, titolo a parteciparvi.
La rappresentazione.
È l’istituto in forza del quale i discendenti legittimi o naturali (c.d. rappresentanti) subentrano al loro
ascendente nel diritto di accettare un lascito qualora il chiamato (rappresentato) non può (es.: per
premorienza) o non vuole (per rinuncia) accettare l’eredità o il legato.
Essa può avere luogo soltanto quando il chiamato che non può o non vuole accettare sia o un figlio
ovvero un fratello o una sorella del defunto. La rappresentazione è dunque esclusa se il chiamato sia,
rispetto al de cuius, un estraneo ovvero anche un parente, ma non un figlio o un fratello (es.: cugino).
È inoltre esclusa nel caso di successione testamentaria, quando il testatore abbia già provveduto con una
sostituzione. È esclusa infine quando si tratti di legato o usufrutto o di altro diritto di natura personale, in
quanto costituiscono attribuzioni strettamente legate alla persona indicata dal testatore.
In luogo di colui che non accetta succedono i discendenti (rappresentanti) i quali succedono
direttamente al de cuius, cosicchè hanno diritto di partecipare alla successione di quest’ultimo anche
nell’ipotesi che abbiano rinunciato all’eredità del loro ascendente o che siano indegni o incapaci nei suoi
confronti.
La rappresentazione opera sia quando la chiamata a favore del rappresentato, al momento dell’apertura
della successione non possa più verificarsi (es.: il fratello del de cuius gli è premorto; per
rappresentazione è direttamente chiamato alla successione il nipote, figlio ex fratre), sia quando vi sia
stata una prima vocazione, ma questa sia caduta, ad es. per indegnità o per rinuncia.
Quando si applica la rappresentazione, la divisione si fa per stirpi: ossia i discendenti subentrano tutti in
luogo del capostipite, indipendentemente dal loro numero, e lo stesso criterio si applica anche qualora
uno stipite abbia prodotto più rami (es.: i due figli del de cuius sono premorti e hanno lasciato uno un
solo figlio (A) e l’altro due (B e C); l’eredità si divide in due parti, tante quante sono le stirpi).
L’accrescimento.
Può aversi solo nel caso di chiamata congiuntiva: in tal caso, qualora uno dei chiamati non possa o non
voglia accettare l’eredità, ove non ricorrano le condizioni per farsi luogo alla rappresentazione, e ove
nella successione testamentaria il testatore non abbia disposto una sostituzione, la quota devoluta al
chiamato che non abbia potuto o voluto accettare si devolve a favore degli altri beneficiari della
chiamata congiuntiva (la cui quota pertanto si accresce).
Il fondamento dell’istituto sta nella presunta volontà del de cuius (presumibilmente intendeva
beneficiare in modo eguale tra le persone considerate). Perciò l’accrescimento non si verifica quando il
de cuius ha diversamente disposto.
La vocazione congiuntiva si verifica:
a) nella successione legittima, quando più persone sono chiamate ex lege nello stesso grado
b) nella successione testamentaria occorre distinguere: 1) se si tratta di istituzione di erede, quando
gli eredi siano stati chiamati con uno stesso testamento e il testatore non abbia fatto
determinazione di parti, oppure pur determinando le parti, abbia chiamato i coeredi in parti
uguali; in tal caso per l’accrescimento è necessaria la coniunctio re et verbis; se le parti sono
disuguali è chiara la ragione per cui non ha luogo il diritto di accrescimento; qualora manchino
pure i presupposti dell’accrescimento, la porzione dell’erede mancante si devolve agli eredi
legittimi. 2) se si tratta di legato, basta la coniunctio re, ossia che sia stato legato lo stesso
oggetto a più persone; in mancanza dell’accrescimento la porzione di legato non attribuita va a
profitto dell’onerato, e cioè di colui (erede o legatario) a carico del quale è stato posto il legato
L’accrescimento opera di diritto, senza bisogno di accettazione da parti di colui a cui profitta.
Le sostituzioni.
Può darsi che il testatore abbia preveduto l’ipotesi che il chiamato non possa o non voglia accettare
l’eredità o il legato, designando altra persona in sua vece: la clausola relativa si chiama sostituzione
ordinaria o volgare. Prevale in questo caso, così sul diritto di rappresentazione come sull’accrescimento,
la volontà del testatore.
La legge ammette più sostituti ad una sola persona e viceversa; la sostituzione può operare anche tra
soggetti chiamati come coeredi, qualora uno di essi non possa o voglia accettare. Il sostituto subentra
anche nelle obbligazioni poste a carico del primo istituito, a meno che il testatore abbia altrimenti
disposto ovvero che si tratti di obbligazione di carattere personale.
Dalla sostituzione volgare si distingue la sostituzione fedecommissaria: il testatore istituisce erede, per
es., il figlio, vincolando i beni ereditari affinchè alla morte di questo possano automaticamente passare
ad un’altra persona, indicata dal testatore.
Si ha sostituzione fedecommissaria quando ricorrono le seguenti condizioni: 1) doppia istituzione: il
testatore nomina Caio erede e che alla morte di questi l’eredità passi a Sempronio; 2) ordo successivus:
occorre che il passaggio dal primo al secondo istituito si verifichi alla morte del primo; 3) vincolo di
conservare per restituire, in forza del quale il primo chiamato non ha una piena titolarità dei beni
trasmessigli e non può disporne, ma ne ha soltanto l’usufrutto.
Disciplina della sostituzione: la riforma del diritto di famiglia ha fatto sì che la norma escluda la validità
di una sostituzione fedecommissaria in tutti i casi, con la sola eccezione che sia disposta dai genitori,
dagli ascendenti in linea retta o dal coniuge dell’interdetto o del minore incapace, a favore della persona
o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell’istituito. Il soggetto istituito può
godere dei beni a lui assegnati, ma non può alienarli; alla sua posizione si applicano le norme dettate per
l’usufruttuario.
Per la stessa ragione per cui è stabilito che l’usufrutto non può durare oltre la vita dell’usufruttuario, la
disposizione vale soltanto a favore di coloro che, all’apertura della successione, sono i primi chiamati a
goderne.
L’ACQUISTO DELL’EREDITA’ E LA RINUNCIA
L’accettazione dell’eredità. La trasmissione del diritto di accettare l’eredità. La vendita di eredità.
L’accettazione dell’eredità da parte del chiamato è necessaria. Quanto agli effetti si distinguono due tipi
di accettazione: pura e semplice, o con beneficio di inventario. Per effetto della prima si verifica la
confusione tra il patrimonio del defunto e quello dell’erede, che diventano un patrimonio solo. L’erede
succede sia nell’attivo che nel passivo. Se invece il chiamato all’eredità accetta con beneficio di
inventario, non si produce la confusione dei patrimoni.
Quanto alla morfologia dell’atto, sono ricomprese nell’accettazione varie fattispecie, tra loro eterogenee,
in quanto non implicano tutte una consapevole decisione e manifestazione di intento del chiamato.
A)
Accettazione espressa. Può essere pura e semplice o con beneficio di inventario. Mentre in
quest’ultimo caso l’accettazione deve essere fatta mediante dichiarazione ricevuta da un notaio o dal
cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, l’accettazione pura e
semplice può essere fatta mediante atto pubblico o scrittura privata. L’accettazione delle eredità
devolute alle persone giuridiche, associazioni, fondazioni ed enti non riconosciuti, non può farsi che
col beneficio di inventario; lo stesso principio vale per i minori e gli incapaci; peraltro i minori e gli
incapaci non si considerano decaduti dal beneficio dell’inventario qualora provvedano ai relativi
adempimenti entro un anno dal compimento della maggiore età o dalla cessazione dello stato di
incapacità. Il contenuto dell’atto deve implicare la manifestazione di una scelta consapevole da parte
del chiamato, diretta all’acquisto dell’eredità. E in questo senso va condivisa l’opinione dominante
secondo cui l’accettazione (espressa) dell’eredità costituisce un negozio giuridico. Essa è un actus
legitimus: ad essa non possono infatti apporsi condizioni o termini che rendono nulla l’intera
dichiarazione. Parimenti nulla è ogni accettazione parziale.
B)
Accettazione tacita. È tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone
necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di
erede. In realtà la legge non configura una dichiarazione tacita nello stesso senso in cui si parla, in
generale, della possibilità di manifestare con un comportamento concludente una scelta negoziale.
Difatti rilevante non è una volontà di accettare desumibile, anziché da una dichiarazione espressa,
rebus ipsis et factis, considerando innanzitutto che una volontà di accettare espressa verbalmente è
del tutto irrilevante. In secondo luogo non qualsiasi comportamento può costituire accettazione di
un’eredità, ma solo la concretizzazione dell’acquisto dell’eredita in un atto che il chiamato non
avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede. La vendita o donazione dei diritti di
successione ad un terzo o ad un altro chiamato importa accettazione dell’eredità; la rinuncia
all’eredità operata verso corrispettivo o a favore di alcuni soltanto dei chiamati importa accettazione:
un tale atto difatti non è in realtà vera rinuncia ai diritti successori, ma disposizione degli stessi.
C)
Accettazione presunta. In altre ipotesi l’acquisto dell’eredità avviene automaticamente, in
forza della legge, o per il solo fatto che non si è provveduto ad uno specifico atto imposto dalla
legge, ovvero al contrario, perché si è tenuto un determinato comportamento che preclude la
rinuncia all’eredità e rende colui che lo compie erede puro e semplice. Si è spesso parlato per queste
ipotesi di accettazione presunta: ma in realtà l’acquisto dell’eredità non si ricollega affatto ad una
presunzione della volontà di accettare, che è considerata del tutto irrilevante, bensì ad una fattispecie
legale tipica, automaticamente sufficiente a determinare l’effetto previsto dal legislatore. Rimane
indispensabile la consapevolezza del chiamato della delazione e dell’appartenenza dei beni
posseduti al compendio ereditario. Inoltre una tale modalità di acquisto dell’eredità non è applicabile
al minore o all’incapace.
L’accettazione dell’eredità è soggetta a trascrizione. In caso di accettazione tacita la trascrizione avviene
sulla base dell’atto implicante appunto accettazione tacita, qualora esso risulti da una sentenza o da un
atto pubblico o da una scrittura privata autenticata.
Se il chiamato muore senza averla accettata, il diritto di accettarla si trasmette ai suoi eredi.
La trasmissione ai successori del chiamato si distingue dalla rappresentazione: quest’ultimo istituto
presuppone che il chiamato non possa o non voglia accettare l’eredità, mentre la trasmissione del ius
delationis presuppone che il chiamato non abbia ancora dichiarato se intende accettare quando è
sopravvenuta la morte. Il rappresentante subentra ope legis nel luogo e nel grado dell’ascendente e
succede direttamente al de cuius, del quale può accettare l’eredità anche nel caso che abbia rinunciato
all’eredità del rappresentato o sia indegno di succedergli. Invece nel caso previsto dalla trasmissione del
ius delationis, il chiamato che muore senza aver accettato l’eredità trasmette ai suoi eredi, insieme al suo
patrimonio, il diritto di accettarla; perciò costoro in tanto possono acquistare tale diritto in quanto
abbiano accettato l’eredità del trasmittente. Ciò spiega la regola secondo la quale la rinuncia all’eredità
propria del trasmittente include rinuncia all’eredità al medesimo devoluta.
Il diritto di accettare l’eredità è soggetto alla prescrizione ordinaria decorrente dalla data dell’apertura
della successione (ancorchè, diversamente dalla prescrizione generale, il termine non è suscettibile di
interruzione, occorrendo che il diritto venga esercitato entro il termine in questione).
Anche nei confronti dei chiamati ulteriori, ossia coloro nei cui confronti la vocazione opera in subordine
rispetto ad altri, il termine decorre dalla data della apertura della successione.
Ma può darsi che qualcuno abbia interesse a che il chiamato si decida entro uno spazio più limitato di
tempo a dichiarare se intende o no accettare l’eredità. In tal caso si può fare ricorso ad una speciale
azione (actio interrogatoria) con cui si chiede che l’autorità giudiziaria fissi un termine, trascorso il quale
il chiamato perde il diritto di accettar; si tratta in questo caso dell’ipotesi di decadenza. È consentito
anche al testatore stabilire un termine per l’accettazione dell’eredità.
L’accettazione si può impugnare per violenza o dolo, ma non per errore perché l’errore non potrebbe
cadere che sull’ammontare dell’attivo rispetto al passivo, ma per questo c’è l’accettazione con beneficio
di inventario.
Per effetto dell’acquisto dell’eredità, all’erede si trasmette anche il potere di disporre dei beni ereditari.
Oggetto della vendita è il complesso di beni che fanno parte dell’eredità.
L’erede continua a rispondere dei debiti ereditari verso i creditori del defunto (accollo cumulativo tra
erede ed acquirente, in forza del quale quest’ultimo è obbligato, salvo patto contrario, in solido con il
venditore a pagare i debiti ereditari).
Appunto perché la vendita avviene in blocco, l’erede non è tenuto alla garanzia per evizione secondo le
regole comuni: egli è tenuto a garantire solo la qualità di erede.
Data l’importanza dell’atto, è prevista a pena di nullità la forma scritta, anche se il complesso ereditario
non contenga beni immobili.
Accettazione con beneficio d’inventario.
Effetti:
1)
L’erede che ha accettato con bdi conserva verso l’eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che
aveva verso il defunto, laddove nell’ipotesi di accettazione pura e semplice, i rapporti obbligatori tra
defunto ed erede si estinguono in proporzione della quota spettante all’erede
2)
L’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati ultra vires (oltre il valore
dei beni a lui pervenuti)
3)
I creditori del defunto ed i legatari hanno preferenza sul patrimonio ereditario di fronte ai
creditori dell’erede; però questi ultimi, se non vogliono perdere tale preferenza nel caso in cui
l’erede decada dal beneficio, hanno l’onere di domandare la separazione dei beni del defunto da
quelli dell’erede.
La facoltà di accettare con beneficio di inventario ha carattere personale. Perciò sebbene i creditori
dell’erede possano essere pregiudicati dall’accettazione pura e semplice, perché per effetto della
confusione del patrimonio del defunto con quello dell’erede sono costretti a subire il concorso dei
creditori del defunto sul patrimonio dell’erede, essi non possono accettare con beneficio d’inventario in
luogo del loro debitore. L’azione surrogatoria che consente ai creditori di esercitare i diritti del proprio
debitore è in questa maniera esclusa, trattandosi di un diritto che può per sua natura essere esercitato
soltanto dal suo titolare.
La legge stabilisce che gli incapaci, assoluti e relativi, le persone giuridiche e gli enti non riconosciuti,
non possono efficacemente accettare un’eredità se non con il beneficio di inventario.
L’accettazione con beneficio di inventario, disposta nell’interesse dei minori, vale a limitare la
responsabilità intra vires hereditatis.
L’accettazione con beneficio di inventario esige ad substantiam una forma particolare (dichiarazione
ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione) ed è
sottoposta anche ad un regime particolare di pubblicità-notizia (la dichiarazione, inserita nel registro
delle successioni conservato presso il tribunale, deve essere trascritta entro un mese presso l’ufficio dei
registri immobiliari), e deve essere preceduta o eseguita dall’inventario, che deve essere redatto con
particolari forme, previste dal c.p.c.; anche la data di compimento dell’inventario deve essere indicata
nel registro delle successioni.
Devono anche essere osservati i termini particolari prescritti dalla legge. Occorre dunque distinguere se
il chiamato abbia o no il possesso dei beni ereditari.
Se il chiamato è nel possesso dei beni ereditari deve fare l’inventario entro tre mesi dall’apertura della
successione o dalla notizia della devoluzione dell’eredità ed entro i quaranta giorni successivi deve, se
non l’abbia già fatto prima, deliberare se accetta o rinuncia all’eredità.
Trascorso il termine di tre mesi o quello eventualmente prorogato senza aver compiuto, ossia portato a
termine, l’inventario, o quello di quaranta giorni senza che abbia deliberato se accettare l’eredità, il
chiamato è considerato erede puro e semplice (per accettazione presunta).
Invece il chiamato che non sia nel possesso dei beni ereditari può fare la dichiarazione di accettazione
con beneficio di inventario fino a quando non sia prescritto il diritto di accettare (10 anni), e poi redigere
l’inventario nei tre mesi successivi: se omette tale adempimento è considerato erede puro e semplice. Se
ha fatto l’inventario senza aver accettato, deve accettare entro quaranta giorni; in caso di omissione, il
chiamato perde il diritto di accettare l’eredità.
Nel caso sia stata esercitata l’actio interrogatoria contro il chiamato che non sia nel possesso dei beni
ereditari, egli deve fare nel termine fissato dal giudice tanto l’inventario che la dichiarazione. Se omette
la dichiarazione perde il diritto di accettare; se fa la dichiarazione ma non l’inventario è erede puro e
semplice.
L’erede che abbia accettato con bdi diviene amministratore del patrimonio ereditario. Gli è vietata
l’alienazione dei beni ereditari senza autorizzazione del giudice: se viola questo divieto, decade dal
beneficio e diventa erede puro e semplice.
La decadenza è comminata anche per omissioni e infedeltà nell’inventario.
Accettata l’eredità con bdi il pagamento dei creditori del defunto può avvenire in uno dei tre modi
seguenti:
a) L’erede paga i creditori e i legatari a misura che si presentano. I creditori insoddisfatti possono
rivalersi contro i legatari nei limiti del legato.
b) Se vi è opposizione dei creditori a questo modo di pagamento si può procedere alla liquidazione
dei beni ereditari. Sono chiamati a concorrervi tutti i creditori; i beni vengono alienati e il
ricavato p distribuito tra i creditori secondo uno stato di graduazione, ossia vengono pagati per
primi i creditori con prelazione o preferenza. L’erede che paga i debiti nonostante l’opposizione
dei creditori, ovvero che non rispetti le procedure di liquidazione, decade dal bdi.
c) L’erede può anche rilasciare i beni ereditari a favore dei creditori e dei legatari.
La separazione del patrimonio del defunto.
L’accettazione con bdi, oltre giovare al chiamato all’eredità, giova anche ai creditori del defunto perché
assicura ad essi la preferenza sul patrimonio ereditario di fronte ai creditori dell’erede. Questa
rpeferenza dipenda dall’iniziativa dell’erede, il quale, se è oberato di debiti, non ha nessun interesse
all’accettazione con bdi; dall’altro essa può venir meno se l’erede decada dal bdi o vi rinunci. Per venire
incontro ai creditori del defunto, i quali hanno fatto affidamento sul patrimonio di quest’ultimo nel fargli
credito, ed ai legatari, che non è giusto siano danneggiati dal concorso dei creditori dell’erede, è
apprestato un altro rimedio: la separazione del patrimonio del defunto da quello dell’erede.
Anche la separazione impedisce la confusione dei due patrimoni, quello del defunto quello dell’erede,
ma opera a favore dei creditori del defunto e dei legatari, i quali si assicurano il soddisfacimento sui
beni del defunto, a preferenza dei creditori dell’erede. L’utilità dell’istituto si manifesta nel caso che i
creditori del defunto si trovino di fronte ad un erede oberato dai debiti: nel qual caso essi, ricorrendo alla
separazione, escludono il concorso dei creditori dell’erede sul patrimonio del defunto.
La preferenza dei creditori del defunto e dei legatari nel concorso sui beni ereditari non spetta a tutti i
creditori del de cuius e a tutti i legatari, ma solo a coloro che abbiano esercitato il diritto di ottenere la
separazione (creditori separatisti).
La separazione inoltre non impedisce ai creditori e ai legatari, che l’hanno esercitata, di soddisfarsi
anche sui beni propri dell’erede.
Infine la separazione ha carattere particolare e non universale: essa opera non sull’intera massa del
patrimonio ereditario, ma sui singoli beni per i quali sia stata fatta valere specificamente.
L’istituto della separazione si distingue dunque nettamente dal bdi. Ciò spiega come il bdi non dispensi i
creditori del defunto dal chiedere la separazione, se vogliono conservare la preferenza anche nell’ipotesi
che l’erede decada dal bdi o vi rinunci; ma la separazione giova non soltanto rispetto ai creditori
dell’erede, ma anche agli altri creditori del defunto non separatisti. Difatti i creditori e i legatari che
hanno esercitato la separazione hanno diritto di soddisfarsi sui beni separati con preferenza anche
rispetto ai creditori e legatari non separatisti; un tale diritto di preferenza è concesso peraltro solo nel
caso in cui la parte di patrimonio non separata sarebbe stata sufficiente a soddisfare i creditori e i
legatari non separatisti. In tal caso i creditori e legatari che sono rimasti inerti e non hanno esercitato la
separazione vengono posposti ai creditori e legatari che sono stati maggiormente diligenti.
Qualora la separazione sia stata esercitata dai creditori e da legatari, i primi sono preferiti ai secondi.
Il diritto alla separazione deve essere esercitato entro un breve termine di decadenza (tre mesi
dall’apertura della successione).
Modo di esecuzione: per i mobili occorre una domanda giudiziale; per gli immobili l’iscrizione del
credito o del legato sopra ciascun bene su cui il legatario o creditore fa valere il suo diritto.
L’azione di petizione ereditaria.
Acquistata l’eredità l’erede può rivolgersi contro chiunque possegga, a titolo di erede o senza alcun
titolo, beni ereditari per: a) farsi riconoscere la qualità di erede e b) farsi consegnare o rilasciare i beni.
Si tratta dell’azione di petizione ereditaria.
L’attore deve in primo luogo dimostrare la propria qualità di erede; deve inoltre dimostrare che i singoli
beni specificamente da lui reclamati nei confronti del convenuto appartengono all’asse ereditario.
L’azione può essere proposta non contro chiunque possieda beni ereditari, ma solo contro colui il quale
possiede tutti o parte dei beni ereditari affermando di essere lui l’erede, o contro il possessore senza
titolo. L’azione non si può perciò proporre contro colui che possieda per un titolo particolare che non
implica l’attribuzione della qualità di erede (es.: contratto di compravendita inter vivos). In tal caso si
deve agire con l’azione di rivendicazione.
L’azione è imprescrittibile. Benché imprescrittibile non assorbe quella di annullamento del testamento,
che deve essere proposta nel relativo termine di prescrizione.
Se l’azione viene accolta, il convenuto è condannato a restituire le cose possedute. Le disposizioni di
tale azione distinguono tra l’ipotesi in cui il possessore sia in buona fede e quella in cui sia in mala fede.
È possessore di buona fede dell’eredità colui che ha acquistato il possesso dei beni ereditari, ritenendo
per errore che non dipenda da colpa grave, di essere erede.
Se il possessore ha alienato in buona fede una cosa dell’eredità, l’erede vero ha diritto soltanto ad
ottenere il prezzo o il corrispettivo ricevuto dal possessore medesimo.
È sufficiente che la buona fede sussista al momento dell’acquisto del possesso dei beni ereditari. Perciò
la mancata conoscenza in siffatto momento dell’esistenza di eredi legittimi di grado anteriore o che
avevano diritto di farsi dichiarare tali è sufficiente a qualificare in buona fede i congiunti del de cuius
che si siano immessi nel possesso dei beni ereditari.
Gli acquisti dall’erede apparente.
L’erede può agire con la petizione di eredità non soltanto contro il possessore, ma anche contro le
persone a cui costui abbia alienato le cose possedute. Tuttavia il legislatore non poteva non prendere in
considerazione la posizione di coloro i quali hanno acquistato i beni ereditari facendo affidamento sulla
qualità di erede di chi li ha venduti. La legge ha ritenuto opportuno, anche per facilitare la circolazione
dei beni, di dare in questa materia importanza all’apparenza della qualità di erede e alla buona fede del
terzo acquirente. Sono perciò salvi i diritti acquistati per effetto di convenzione con l’erede apparente,
purchè ricorrano le seguenti condizioni: 1) si tratti di convenzioni a titolo oneroso; 2) il terzo sia in
buona fede.
Non ha invece importanza che l’erede apparente abbia o non abbia un titolo e non ha rilevanza
nemmeno la sua buona o mala fede. È decisiva, invece, la buona fede dell’acquirente.
L’acquisto dell’avente causa dall’erede apparente è fatto salvo soltanto se l’acquisto a titolo di erede da
parte dell’erede apparente, e il successivo trasferimento dall’erede apparente al terzo, sono stati
entrambi trascritti anteriormente alla trascrizione dell’acquisto da parte del vero erede o del vero
legatario, oppure della domanda giudiziale di petizione dell’eredità contro l’erede apparente.
La rinuncia all’eredità.
Consiste in una dichiarazione unilaterale non recettizia, con la quale il chiamato all’eredità manifesta la
sua decisione di non acquistare l’eredità.
Richiede una forma particolare: deve essere ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del
circondario in cui si è aperta la successione. È soggetta anche a pubblicità, mediante inserzione nel
registro delle successioni.
La rinuncia non può farsi da chi si trovi nel possesso dei beni ereditari dopo tre mesi dall’apertura della
successione o della notizia della devoluzione dell’eredità. Chi abbia sottratto o nascosto i beni decade
dalla facoltà di rinunciare. Costoro sono considerati eredi puri e semplici.
La rinuncia è un actus legitimus.
È nulla la rinuncia che si riferisca ad una parte soltanto dell’eredità; il rinunciante però può trattenere le
donazioni a lui fatte o domandare l’esecuzione del legato disposto a suo favore, fino a concorrenza della
quota disponibile dell’asse ereditario.
La rinuncia all’eredità fatta verso corrispettivo, ovvero a favore soltanto di alcuni degli altri chiamati,
importa accettazione dell’eredità.
Gli effetti della rinuncia sono diversi secondo che sia legittima o testamentaria.
Nel primo caso, se non ha luogo la rappresentazione, la parte di colui che rinuncia va a favore di coloro
che avrebbero concorso con il rinunciante.
Nel secondo caso si deve distinguere tra l’ipotesi in cui il testatore abbia previsto il caso della rinuncia
ed abbia disposto una sostituzione e quella in cui il testatore non abbia disposto nulla. Nel primo caso la
quota del rinunciante va a favore della persona indicata dal testatore (sostituto); nel secondo, se ricorre
uno dei casi previsti per la rappresentazione, si applicano le norme già considerate. Se mancano i
presupposti per la rappresentazione, la parte del rinunciante va a favore dei suoi coeredi, se istituiti
senza determinazione di parti o in parti uguali; altrimenti va a favore degli eredi legittimi.
A differenza dell’accettazione, la rinuncia è revocabile: chi ha rinunciato può tornare sulla decisione
presa ed accettare l’eredità, con due limiti: non deve essere trascorso il termine decennale per la
prescrizione della facoltà di accettazione e l’eredità non deve essere già stata accettata da un altro
chiamato.
Come l’accettazione, la rinuncia può essere impugnata solo per violenza o dolo. L’impugnativa per
errore è esclusa.
I creditori del rinunciante possono essere pregiudicati dalla rinuncia. La legge stabilisce la facoltà di
impugnativa della rinuncia da parte dei creditori. Essi possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in
nome e in luogo del rinunciante unicamente allo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari.
LA SUCCESSIONE LEGITTIMA
Fondamento e presupposto.
Fondamento della successione legittima è, accanto alla presunta volontà del de cuius, la solidarietà
familiare. Essa ha come presupposto la mancanza totale del testamento o la circostanza che il testatore
non abbia disposto di tutti i beni: nel primo caso interviene totalmente il regime stabilito dal legislatore;
nel secondo l’applicazione delle regole relative alla successione legittima si limita a quei beni di cui il
testatore non abbia disposto.
Le categorie di successibili.
Coniuge, discendenti legittimi e naturali, ascendenti legittimi, collaterali, genitori del figlio naturale (art.
578 c.c.), gli altri parenti, lo Stato (565 c.c.).
Per quanto riguarda la successione legittima del coniuge, oggi la legge con la riforma del diritto di
famiglia, ha attribuito al coniuge una quota in proprietà dell’asse ereditario, conferendogli quindi, a tutti
gli effetti, la qualità di erede (allorchè con il codice del ’42 il coniuge non poteva considerarsi erede, ma
semplice legatario ex lege).
A lui spetta infatti la metà del patrimonio del defunto, se in concorso con un solo figlio, 1/3 se concorre
alla successione con più figli, 2/3 se concorre con ascendenti legittimi o con fratelli e sorelle. In
mancanza di tali soggetti al coniuge si devolve l’intera eredità.
In caso di separazione il coniuge conserva i diritti ereditari, tranne che nell’ipotesi in cui sia a lui
addebitata la separazione. In tal caso ha diritto soltanto ad un assegno vitalizio se, al momento
dell’apertura della successione, godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. L’assegno è
commisurato alle sostanze ereditarie, nonché alla qualità e al numero degli eredi legittimi; non deve
comunque essere di entità superiore a quella della prestazione alimentare precedentemente goduta.
In caso di divorzio l’ex coniuge non ha titolo per partecipare alla successione, ma ha solo il diritto ad un
assegno di mantenimento nel caso in cui godeva dell’assegno divorzile (sempre commisurato).
Tra gli altri suscettibili possono distinguersi diversi ordini:
1) I figli legittimi e naturali, i legittimati e gli adottivi. Succedono in parti uguali ed escludono gli
ascendenti e i collaterali. In caso di premorte succedono a loro per rappresentazione i
discendenti.
2) I genitori, i fratelli e sorelle, nonché i discendenti di questi ultimi, gli ascendenti. I genitori
succedono in parti uguali, come anche i fratelli. I fratelli e le sorelle unilaterali, consanguinei
(figli di stesso padre ma di diversa madre) o uterini (stessa madre, padre diverso) conseguono la
metà della quota che di fatto conseguono i fratelli germani (stessa madre, stesso padre). I
genitori concorrono con i fratelli del de cuius. Ai fratelli unilaterali spetta una quota pari alla
metà di quella attribuita agli altri concorrenti. Gli ascendenti succedono soltanto in assenza dei
genitori. Gli ascendenti più prossimi escludono quelli di grado più remoto; se di ugual grado,
succedono per una metà gli ascendenti della linea paterna, per l’altra quelli della linea materna.
Gli ascendenti concorrono con i fratelli e le sorelle del de cuius.
3) I collaterali dal terzo al sesto grado, che hanno diritto di venire alla successione solo quando non
vi siano altri successibili, e per i quali vale il principio che il più vicino in grado esclude il più
remoto, mentre quelli di pari grado concorrono per quote uguali.
La successione non ha luogo tra i parenti oltre il sesto grado.
Il principio della sostanziale equiparazione ai fini successori dei discendenti legittimi e naturali è da
annoverare tra le più significative innovazioni introdotte dalla riforma del diritto di famiglia. La riforma
del 75n fa tuttavia salva la facoltà dei figli legittimi di soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari
la porzione spettante ai figli naturali, solo di quelli che non vi si oppongono.
Ai figli naturali non riconoscibili spetta invece un assegno vitalizio pari all’ammontare della rendita
della quota di eredità alla quale avrebbero diritto, se la filiazione fosse stata dichiarata o riconosciuta. Su
loro richiesta è prevista la capitalizzazione di detto assegno in denaro, ovvero, a scelta dei legittimi, in
beni ereditari.
La Cost. ha stabilito di rimettere alla discrezionalità del legislatore la definizione dell’ordine dei
successibili. I figli naturali succedono solo in assenza degli ultimi suscettibili ad ereditare ex lege
(parenti di sesto grado) e prima dello Stato. I parenti naturali non sono successibili. Il convivente more
uxorio non è contemplato tra i successibili.
La successione dello Stato.
La successione dello Stato ha particolari caratteristiche: in primo luogo l’acquisto opera di diritto e non
può farsi luogo a rinuncia.
Lo Stato non risponde mai dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni acquistati.
La finalità non è quella di conseguire arricchimenti all’Erario, bensì quella di assicurare la gestione dei
rapporti giuridici riferibili a persone defunte che non abbiano lasciato eredi.
LA SUCCESSIONE NECESSARIA
Fondamento e natura.
L’erede può disporre nel modo che egli ritiene più opportuno dei suoi beni ereditari, purchè egli non
leda i diritti che la legge assicura ai congiunti più stretti tassativamente indicati dalla legge stessa.
Ripugna alla coscienza collettiva che tutti i beni del de cuius siano lasciati o donati ad un estraneo e che
qualcuno dei figli o il coniuge non riceva nulla.
La legge stabilisce dunque che quando vi siano determinate categorie di successibili, una parte dei beni
del de cuius deve essere attribuita ai successibili. La quota che la legge riserva a costoro si chiama
appunto quota di legittima o riserva; i successori necessari non devono assolutamente essere confusi con
quelli legittimi, ossia con coloro ai quali l’eredità viene devoluta ex lege mancando il testamento.
I principi della successione necessaria sono ispirati alla tutela dei più stretti vincoli familiari, di fronte
alla quale resta limitata la facoltà di disporre del testatore. Esse hanno perciò carattere inderogabile.
Categorie di legittimari
Sono il coniuge, i figli legittimi (e come loro i legittimati e gli adottivi), i figli naturali, gli ascendenti
legittimi.
La riserva a favore dei figli legittimi o naturali non è fissa. Quando manca il coniuge la riserva a favore
dei legittimi è di metà del patrimonio se il genitore lascia un solo figlio, di 2/3 se i figli sono di più.
Ciascuno dei legittimari ha ovviamente diritto ad una propria quota di riserva, e la divisione deve essere
fatta in parti uguali.
Per i figli naturali già prima della nuova legge sul diritto di famiglia la Corte cost. aveva affermato il
loro diritto alla stessa tutela dei figli legittimi, quantomeno nei casi in cui non concorressero con questi
ultimi o il coniuge. Oggi i figli legittimi e naturali sono perfettamente equiparati rispetto alla
successione del comune genitore: tuttavia i primi possono soddisfare in denaro o in beni immobili
ereditari la prozione spettante ai secondi, purchè questi ultimi non vi si oppongano.
La riserva a favore degli ascendenti legittimi opera soltanto se il defunto non lascia figli: in tal caso è di
1/3, ma si riduce a ¼ se con gli ascendenti concorre il coniuge.
Il legislatore attuale ha riservato al coniuge una quota di piena titolarità dell’eredità, che è della metà in
assenza di figli e ascendenti; in caso contrario varia a seconda della qualità e del numero di soggetti con
i quali concorre. La presenza del coniuge, come sopra accennato, incide anche sulla misura della
legittima spettante agli altri legittimari. Conviene perciò ricapitolare:
- In presenza di un coniuge ed un figlio, a ciascuno di essi spetta 1/3 dell’eredità, il residuo
terzo è liberamente disponibile.
- In presenza di coniuge e due o più figli, al coniuge spetta 1/4, ai figli complessivamente la
metà, il residuo quarto è liberamente disponibile.
- In presenza di coniuge e ascendenti, al coniuge spetta la metà del patrimonio, agli ascendenti
¼, il residuo quarto è liberamente disponibile.
- Al coniuge inoltre è riservato in ogni caso il diritto di abitazione nella casa adibita a
residenza familiare e di uso sui beni mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o
comuni; si tratta di un legato ex lege.
- È da sottolineare che tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia
sufficiente, sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente su quella spettante ai figli.
Questi diritti sono garantiti anche al coniuge separato cui non sia stata addebitata la responsabilità del
fallimento familiare. Per il coniuge cui sia stata addebitata la separazione la legge riconosce il diritto ad
un assegno vitalizio se al momento dell’apertura godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto.
I figli naturali non riconoscibili hanno diritto allo stesso assegno vitalizio di cui è già stato detto a
proposito della successione legittima.
La quota legittima.
Quando vi siano dei legittimari, il patrimonio ereditario si distingue idealmente in “disponibile” e
“legittima”.
Il legittimario ha diritto ad ottenere la propria quota in natura ed il testatore non può imporre alcun peso
o alcuna condizione sulla legittima. Tuttavia il testatore può disporre il soddisfacimento della legittima
mediante denaro esistente nell’asse o beni determinati, corrispondenti al valore della legittima. Dunque
l’intangibilità della legittima deve intendersi in senso quantitativo e non qualitativo.
Tuttavia vi è un temperamento alla impossibilità di imposizione di pesi da parte del testatore sulla
legittima: si tratta della c.d. cautela sociniana. Si supponga che Tizio lasci un figlio e che, possedendo
un patrimonio di 100, abbia legato ad un estraneo l’usufrutto di un fondo del valore di 70. Il figlio
acquista in tal caso il diritto ad un reddito inferiore a quello che ricaverebbe da un capitale pari all’intera
quota di riserva (ossia pari a 50), che gli spetterebbe a titolo di legittima; ma come nuda proprietà
ottiene una parte maggiore di quella che gli competerebbe (nell’esempio fatto l’intero, e non la metà).
Occorrerebbe capitalizzare l’usufrutto di regola, per vedere se vi sia lesione di legittima, ma poiché la
durata dell’usufrutto è incerta (tanto è la durata della vita dell’usufruttuario) è incerta anche la
valutazione; appunto l’art. 550 c.c. nega in tal caso l’azione di riduzione al legittimario e gli consente la
scelta: o eseguire la disposizione (e prendere così la nuda proprietà dell’intero patrimonio, oltre al
reddito che resta dopo soddisfatto il legato) oppure ottenere la proprietà piena della quota di riserva (la
metà), abbandonando a favore del legatario quella disponibile.
Altro temperamento è costituito dal c.d. legato in sostituzione di legittima, per cui viene attribuito al
legittimario un legato di somma di beni determinati di valore o uguale o superiore alla legittima, a
condizione che questo rinunci ad ogni altra pretesa sull’eredità. Il legittimario può rinunciare al legato e
chiedere la legittima, oppure conseguire il legato; in questo caso perde il diritto di chiedere un
supplemento e non acquista la qualità di erede.
Il legato in sostituzione di legittima si acquista automaticamente senza bisogno di accettazione; è valida
la rinuncia, che va fatta per iscritto.
Il legato in sostituzione di legittima si distingue da quello in conto di legittima. Con il primo il testatore
intende escludere il legittimario da ogni partecipazione alla divisione dell’eredità. Nel secondo il
testatore fa al legittimario un’attribuzione di beni, che deve essere calcolata ai fini della legittima, con la
conseguenza che il legittimario può chiedere il supplemento, se i beni attribuitigli non raggiungono
l’entità della legittima.
Si supponga che un padre lasci un patrimonio di 100 e attribuisca a titolo di legato all’unico figlio beni
per un valore di 45. Se il legato è fatto in sostituzione di legittima, il figlio può rinunciare al legato e
chiedere la legittima oppure contentarsi del legato. Se invece il legato è in conto della legittima il
legatario può chiedere l’integrazione della legittima stessa (50 - 45 = 5). Lo stesso principio si applica
alle donazioni fatte in conto della legittima.
Il lascito di un legato a favore di un legittimario non può ritenersi fatto in sostituzione di legittima, se
ciò non risulta da chiara ed univoca manifestazione di volontà del testatore: in difetto di tale
manifestazione il legato va considerato in conto di legittima.
La riunione fittizia.
Serve per stabilire se il de cuius ha leso i diritti che spettavano a qualcuno dei legittimari. Occorre
dunque calcolare l’entità del suo patrimonio all’epoca dell’apertura della successione.
Si chiama fittizia perché i beni vengono riuniti soltanto fittiziamente, sulla carta.
Dalla somma dei valori dei beni al momento dell’apertura (relictum) si detraggono i debiti, dovendosi
determinare l’effettiva misura dell’attivo ereditario. Al risultato si aggiungono i beni di cui il testatore
abbia eventualmente disposto in vita a titolo di donazione (donatum = ciò che è stato donato), di regola
secondo il valore che avevano al tempo dell’apertura della successione.
Sull’asse determinato all’esito dei conteggi sopra descritti si calcola la quota di cui il testatore poteva
disporre (disponibile).
Per stabilire se vi sia stata lesione di legittima, occorre tener conto anche dei legati e delle donazioni
fatte al legittimario, salvo che il testatore lo abbia da tale imputazione dispensato. Quindi se la legittima
è di 50 e il legittimario ha ricevuto per donazioni e legati 10, egli potrà chiedere 40 e non 50 per
integrare la sua legittima. La legge infatti parte dal presupposto che il testatore abbia donato 10 quale
anticipo sulla legittima.
Poiché la rappresentazione fa subentrare il rappresentante nel luogo e nel grado dell’ascendente, si
spiega la regola secondo la quale il legittimario che succede per rappresentazione deve anche imputare
le donazioni e i legati fatti senza espressa dispensa del suo ascendente. Ciò ci rende chiara altresì la
ragione della norma secondo la quale la rappresentazione ha luogo anche nel caso di unicità di stirpe.
Per la determinazione delle donazioni e dei legati che debbono formare oggetto dell’imputazione la
legge rimanda a ciò che è stabilito circa la collazione.
L’azione di riduzione.
Se le disposizioni testamentarie e le donazioni eccedono la quota disponibile, i legittimari possono
chiedere la loro riduzione.
Questa azione è irrinunciabile dai legittimari finchè il donante è in vita.
Se il legittimario agisce contro estranei, la legge stabilisce uno speciale onere per il promovimento
dell’azione: l’accettazione con bdi.
Avviene spesso che il de cuius abbia posto in essere simultaneamente un atto a titolo oneroso per
nascondere la donazione. In tal caso, per ottenere la riduzione, è necessario prima agire per la
dichiarazione di simulazione, dopodiché si può conseguire la riduzione.
La riduzione si opera in questo modo: sono colpite per prime le disposizioni testamentarie, che vengono
diminuite proporzionalmente. Se la riduzione delle disposizioni testamentarie non vale ad integrare la
legittima si procede alla riduzione delle donazioni, cominciando dall’ultima in ordine di tempo, che è
quella che ha provocato la lesione.
Se l’azione di riduzione è accolta, il donatario o il beneficiario della disposizione testamentaria deve
restituire in tutto o in parte il bene, il quale deve essere restituito libero da ogni peso o ipoteca ed i frutti
sono dovuti dalla domanda giudiziale.
Se il bene è divisibile si procede separando la parte occorrente per integrare la quota di riserva; se non è
divisibile esso si lascia per intero nell’eredità qualora il legatario o donatario abbia nell’immobile
un’eccedenza superiore al ¼ della porzione disponibile, altrimenti il legatario o donatario può ritenere il
bene compensando in denaro i legittimari. Se il beneficiario della disposizione sottoposta a riduzione è
anche legittimario, egli può ritenere tutto l’immobile, purchè il suo valore non sia superiore alla somma
della porzione disponibile e della quota che gli spetta come legittimario.
L’azione di riduzione è un’azione, totale o parziale, di risoluzione dell’acquisto compiuto dai
beneficiari del testamento o del donatario ed ha carattere personale; ha efficacia erga omnes. Le
disposizioni lesive della legittima non sono nulle, ma soltanto impugnabili con l’azione di riduzione.
La domanda di riduzione è soggetta a trascrizione se ha per oggetto immobili o mobili registrati.
L’azione di riduzione è soggetta a prescrizione ordinaria decennale.
L’azione di restituzione.
La riducibilità delle disposizioni lesive della legittima ha una pesante ricaduta sulla circolazione dei
beni. Nel caso il donatario non possa pagare il legittimario che ha esperito l’azione di riduzione,
quest’ultimo ha diritto di rivolgersi contro l’eventuale terzo subacquirente del bene, proponendo una
nuova ed autonoma azione giudiziaria per ottenere dal terzo acquirente il rilascio del bene. Ciò
comporta ovviamente una giustificata diffidenza da parte di chi si accinge ad acquistare un bene
pervenuto al venditore a titolo di donazione.
Per quanto riguarda gli immobili, si è previsto che l’azione di restituzione dei confronti del terzo
acquirente del bene donato non possa essere proposta dopo il decorso di 20 anni dalla trascrizione della
donazione oggetto di riduzione (limitazione temporale introdotta per attenuare il rigore del regime di
restituzione).
Anche per quanto riguarda i mobili l’azione non può essere proposta dopo il decorso del termine
ventennale; l’acquirente ignaro della pregressa donazione potrà avvalersi del principio possesso vale
titolo quale ben più efficace strumento di tutela del proprio acquisto.
I legittimari possono notificare e trascrivere nei confronti del donatario e dei suoi aventi causa un atto di
opposizione alla donazione, che ha l’effetto di sospendere nei loro confronti il decorso del termine
ventennale. La ratio della norma è che siccome durante la vita del de cuius l’azione di riduzione non è
proponibile, qualora il donante sopravvivesse per venti anni alla donazione, i suoi legittimari
rimarrebbero privi di qualsiasi possibilità di tutela contro l’acquirente del bene donato. Il diritto
dell’opponente è personale e rinunciabile; deve essere rinnovato prima che siano trascorsi 20 anni dalla
sua trascrizione pena la perdita di efficacia.
Il terzo acquirente oggetto dell’azione di restituzione ha la facoltà di pagare in denaro l’equivalente dei
beni anziché restituirli in natura.
Il patto di famiglia.
Si propone di consentire a colui che sia titolare un’attività economica di dare, essendo ancora in vita,
una destinazione stabile all’impresa a favore dei propri discendenti, prevenendo eventuali dispute
successorie e, soprattutto, il rischio che queste conducano ad una frammentazione della titolarità del
complesso aziendale, con la conseguente disgregazione della struttura produttiva, o il pericolo di una
crisi dell’impresa a causa di una gestione litigiosa da parte dei contitolari.
Il patto di famiglia è un contratto con il quale, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa
familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte,
l’azienda e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce in tutto o in parte le proprie quote ad uno o
più discendenti.
Dunque gli assegnatari del complesso produttivo possono essere esclusivamente i discendenti
dell’imprenditore.
Al contratto devono comunque partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari, per
neutralizzare le pretese degli altri legittimari, in modo che questi non possono rimettere in discussione
l’attribuzione dopo la morte del disponente. Costoro possono radicalmente rinunciare ai loro diritti
relativi all’impresa; qualora non vi rinuncino, i partecipanti al patto non assegnatari hanno diritto di
essere liquidati dagli assegnatari con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote
previste dal codice. Inoltre i contraenti possono convenire che la liquidazione, in tutto o in parte,
avvenga in natura.
Gli eventuali beni assegnati ai non assegnatari sono imputati alle quote di legittima loro spettanti,
secondo il valore attribuito in contratto.
La legge ammette che l’assegnazione dei beni ai partecipanti non assegnatari possa avvenire con un
successivo contratto che sia espressamente dichiarato collegato al primo e purchè vi intervengano i
medesimi soggetti che hanno partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti.
Quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o riduzione.
I legittimari sopravvenuti (non partecipanti al contratto) possono chiedere ai beneficiari del contratto
stesso il pagamento della somma prevista dal codice. I beneficiari sono sì gli assegnatari dell’azienda,
ma anche gli altri partecipanti al patto che abbiano ricevuto la liquidazione.
È ammessa l’impugnazione per vizi del consenso. Il termine di prescrizione dell’azione di annullamento
è di un anno.
Il patto può essere anche sciolto in due casi: 1) per un successivo contratto, concluso dalle medesime
persone che hanno partecipato al patto di famiglia, avente le medesime caratteristiche e i medesimi
presupposti ( applicazione del mutuo dissenso); 2) per effetto di recesso, che deve però essere previsto
dal contratto stesso. Il recesso deve essere esercitato mediante una dichiarazione destinata agli altri
contraenit certificata da un notaio.
LA SUCCESSIONE TESTAMENTARIA
Il testamento.
È un atto col quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, delle proprie sostanze.
Esso è revocabile sino all’ultimo istante di vita.
Il principio della revocabilità è inderogabile: l’ordinamento vuole che sia garantita la libertà umana e
individuale di disporre delle proprie sostanze post mortem. Ogni clausola contraria alla revoca o alle
mutazioni testamentarie non ha effetto. Così non sono ammessi i patti successori e la donazione mortis
causa.
Caratteristica fondamentale è il suo contenuto patrimoniale. Tuttavia il testamento può contenere anche
disposizioni di carattere non patrimoniale, quali la designazione di un tutore o il riconoscimento dei figli
naturali (quest’ultimo è però revocabile).
Il testamento è un tipico negozio unilaterale, non recettizio, espressione della volontà del solo testatore,
che non ha bisogno dell’adesione di alcuno e neppure di essere rivolto o portato a conoscenza di persone
determinate.
È un atto strettamente personale (non è ammessa la rappresentanza né volontaria né legale): non può
aversi testamento perciò di un incapace ad opera del genitore o tutore. Sempre per questo carattere non è
consentito il testamento congiuntivo, fatto da due o più persone nel medesimo atto né a vantaggio di un
terzo né con disposizione reciproca.
Diverso dal testamento congiuntivo è quello simultaneo: il primo è un unico atto sottoscritto da 2 o più
persone; il secondo consta di due atti distinti, ciascuno sottoscritto da una sola persona, ma scritti su uno
stesso foglio. I testamenti simultanei non sono nulli.
Nulla vieta a due persone di disporre, in atti distinti, a favore di un terzo o l’uno a favore dell’altro, a
meno che non sia intervenuto tra i due testatori un patto successorio. È perciò nulla la disposizione a
titolo universale fatta dal testatore a condizione di essere a sua volta avvantaggiato nel testamento
dell’erede o del legatario.
Il testamento è inoltre un negozio solenne, in quanto è richiesta ad substantiam una forma determinata.
Il testamento come negozio giuridico.
Non è ammessa una sostituzione per rappresentanza, neppure legale, trattandosi di atto personalissimo.
La capacità è la regola, l’incapacità è l’eccezione. I casi di incapacità di testare sono tassativi e non è
possibile il ricorso all’analogia.
Sono incapaci: 1) i minorenni; 2) gli interdetti per infermità mentale; 3) gli incapaci naturali. Il
testamento in tal caso è annullabile; l’impugnativa può essere proposta da chiunque ne abbia interesse
(annullabilità assoluta): l’azione si prescrive in 5 anni dall’esecuzione del testamento.
I valori predominanti nell’interpretazione del testamento (che non è regolata dalla legge) sono la ricerca
della volontà intima del disponente, che si deve ricostruire quanto più fedelmente possibile anche
mediante il ricorso ad elementi extracontrattuali, e il principio di conservazione del negozio, che si
impone proprio a causa della impossibilità di una rinnovazione dell’atto di autonomia.
Sono applicabili anche al testamento le norme sull’impugnabilità dei negozi giuridici a causa di un c.d.
vizio della volontà, e cioè per errore, violenza e dolo. Per quanto riguarda il dolo, si suole parlare di
captazione e i raggiri sono rilevanti da chiunque provengano; parimenti per l’errore, a causa della
unilateralità del negozio, è inapplicabile al testamento il principio per cui la rilevanza dell’errore è
subordinata alla sua riconoscibilità.
Mentre nei contratti e nei negozi unilaterali recettizi l’eventuale errore del dichiarante sui motivi
dell’atto resta irrilevante, l’errore sul motivo è causa di annullamento della disposizione testamentaria,
ma subordinatamente a due condizioni che restringono fortemente l’impugnabilità dell’atto: a) a
condizione che il motivo (erroneo) risulti dal testamento, vale a dire che vi sia espressamente
menzionato (es.: “nomino erede Tizio perché mi ha salvato la vita”, ma è stata salvata da Caio); b)
nonché a condizione che il motivo erroneo sia il solo che ha determinato il testatore a disporre (se
magari Caio (e non Tizio) è nominato anche perché cognato, il motivo erroneo non è l’unico).
Il motivo illecito rende nulla la disposizione soltanto quando quel motivo risulta dal testamento ed è il
solo che ha determinato il testatore a disporre.
In caso di erronea indicazione del beneficiario, la disposizione è comunque valida quando dal contesto
del testamento, o altrimenti, sia possibile ricostruire in modo non equivoco quale persona il testatore
voleva nominare.
La dottrina ammette la simulazione del testamento in taluni casi.
L’incapacità di ricevere può dipendere, oltre che dall’incapacità di succedere, dalla tutela della libertà
testamentaria, che determina l’incapacità (assoluta) di ricevere per testamento delle persone che
potrebbero abusare della funzione esercitata (tutore, protutore, notaio, testimone, interprete, persona che
ha scritto il testamento segreto). Le incapacità previste per il tutore e il protutore si applicano anche
all’amministratore di sostegno. Sono in ogni caso valide le disposizioni in favore dell’amministratore di
sostegno che sia parente entro il quarto grado del beneficiario dell’amministrazione, ovvero che sia il
coniuge o altra persona chiamata alla funzione in quanto stabilmente convivente.
La disposizione a favore di una persona incapace di ricevere è nulla senza che vi sia bisogno di fornire
la prova di eventuali indebite pressioni esercitate sul testatore.
Il legislatore vuole anche evitare che, per aggirare la legge, il lascito sia fatto apparentemente a persona
diversa (persona interposta) che curi poi la trasmissione del vantaggio ricevuto a quella incapace di
ricevere. E mentre in ogni altro caso occorre che chi vi ha interesse fornisca la prova dell’interposizione,
la legge presume l’interposizione allorchè la disposizione sia fatta a favore di congiunti strettissimi della
persona incapace e la dichiara senz’altro nulla.
Disposizione fiduciaria: se il testatore, rimettendosi alla coscienza di una persona nella quale riponeva
fiducia, abbia disposto a favore di quella persona dandole l’incarico di trasmettere ad un terzo tutti o
parte dei beni lasciatigli, la persona che il testatore ha voluto effettivamente beneficiare non potrà fare
nulla per ottenere i beni, a meno che la persona istituita esegua spontaneamente la disposizione
fiduciaria trasferendo i beni alla persona voluta dal testatore.
È nulla la disposizione a favore della persona incerta, e si può far luogo pertanto alla successione
legittima.
Sono nulle (nullità assoluta) le disposizioni testamentarie rimesse all’arbitrio di un terzo, mentre è
valida la clausola di un contratto che attribuisce ad un terzo la determinazione della prestazione dedotta
nel contratto stesso.
Gli elementi accidentali del testamento.
Il testamento può contenere taluni elementi accidentali.
Le disposizioni a titolo universale e particolare possono essere sottoposte a condizione, sospensiva o
risolutiva. Gli effetti della condizione operano retroattivamente, pertanto in caso di avveramento della
condizione, l’erede istituito sotto condizione sospensiva si considera tale dalla data dell’apertura della
successione; quello istituito sotto condizione risolutiva si considera come se non fosse mai stato erede,
ma è tenuto alla restituzione dei frutti dei beni ereditari solo dal giorno in cui la condizione si è avverata.
Le condizioni impossibili e illecite si considerano sempre come non apposte.
Il termine si considera come non apposto ad una disposizione a titolo universale. Può invece apporsi ai
legati.
L’onere è un elemento accidentale che può essere apposto ai negozi gratuiti e consiste nell’imposizione
all’erede o al legatario dell’obbligo di compiere una determinata prestazione. L’erede gravato da onere è
erede solo perché abbia accettato l’eredità, indipendentemente dall’adempimento dell’onere.
Forme del testamento.
Il testamento orale non è consentito.
Si distinguono forme ordinarie e forme speciali; il testamento ordinario dà luogo a due figure:
testamento olografo e testamento per atto di notaio; quest’ultimo è pubblico o segreto.
Il testamento olografo.
Esso dev’essere scritto per intero, datato e sottoscritto di pugno dal testatore. I requisiti pertanto sono:
autografia, data, sottoscrizione.
L’autografia consiste appunto nel fatto che il testamento sia scritto integralmente dalla mano del
testatore, a garanzia dell’integrale autenticità dell’espressione di volontà.
Non produce nullità la collaborazione intellettuale: la preparazione della minuta dell’atto da parte di un
terzo (es.: notaio o avvocato a cui il testatore si sia rivolto per una consulenza).
Il testamento olografo è una scrittura privata: in tanto può far prova.
La data consiste nel giorno-mese-anno in cui il testamento fu scritto. Serve ad accertare se il testatore
era capace il giorno in cui il testamento fu scritto e per risolvere questioni tra più testamenti. La
mancanza determina annullabilità dell’atto. Si ammette peraltro che la data incompleta possa essere
integrata con elementi desunti dalla stessa scheda. Se la data risulti incompleta (previo caso di cui
sopra), cancellata o interlineata, il testamento dovrà ritenersi annullabile. L’accertamento della veridicità
è limitato all’ipotesi in cui si sostiene che il testamento fu redatto prima di un altro testamento, o in
un’epoca in cui il testatore era incapace. La falsità della data non produce di per sé annullabilità del
testamento.
La sottoscrizione serve ad individuare il testatore; dev’essere posta in calce alle disposizioni:
l’inosservanza conduce all’invalidità dell’atto.
Il testamento pubblico.
A differenza del testamento olografo è nella sua natura un atto pubblico, redatto con le richieste
formalità da un notaio. Presenta minore semplicità formale, ma risponde all’esigenza di accertamento
dell’ultima volontà del soggetto, quanto alla sua provenienza, con la particolare forza probatoria di cui è
dotato l’atto e che il relativo documento sia preservato nella sua integrità.
I requisiti specifici di forma e contenuto richiesti sono:
I) Dichiarazione di volontà orale al notaio: il testatore dichiara anzitutto al notaio la propria volontà, che
viene da quest’ultimo indagata per precisare eventuali espressioni dubbie e per verificare l’identità
personale del testatore.
II) Presenza di testimoni: il testamento pubblico è ricevuto dal notaio in presenza di due testimoni.
III) Redazione in iscritto della volontà a cura del notaio.
IV) Lettura dell’atto al testatore e ai testimoni a opera del notaio.
V) Sottoscrizione del testatore, dei testimoni e del notaio.
VI) La data, che deve comprendere anche l’ora (a differenza dell’olografo).
VII) La menzione dell’osservanza delle formalità enunciate: in mancanza della menzione l’atto è
invalido.
Il testamento segreto.
Rispetto al precedente ha il vantaggio che il testatore può, se vuole, mantenere completamente riservato
il contenuto delle disposizioni e, rispetto all’olografo, una maggiore garanzia di conservazione del
documento.
Esso consta di due elementi: da un lato la scheda testamentaria, predisposta dal testatore e costituita da
uno o più fogli su cui vengono scritte le volontà relative alla successione ereditaria; dall’altro un atto di
ricevimento, con cui un notaio documenta che il testatore, alla presenza di due testimoni, gli ha
consegnato personalmente la scheda e gli ha dichiarato che ivi sono scritte le sue volontà testamentarie.
La scheda viene sigillata dal notaio che poi fa sottoscrivere l’atto di ricevimento pure al testatore ed ai
due testimoni, oltre a sottoscriverlo anch’egli. Dunque il vero momento perfezionativo è l’atto di
ricevimento steso dal notaio.
La scheda può non essere autografata: può essere quindi scritta anche da un terzo o con mezzi
meccanici. È essenziale che il testatore sappia o possa leggere per poter controllare ciò che è stato
scritto: chi non sa leggere (per es. il cieco) può servirsi soltanto della forma del testamento pubblico.
Essa deve essere sottoscritta dal testatore alla fine delle disposizioni, se sa e può sottoscrivere, altrimenti
deve essere fatta menzione nell’atto di ricevimento della causa che ha impedito al testatore di
sottoscrivere. Se la scheda è scritta, in tutto o in parte, da altri o da mezzi meccanici, è prescritta la
sottoscrizione in ciascun mezzo del foglio.
Data del testamento segreto è quella dell’atto di ricevimento.
Se il testamento segreto manca di qualche requisito, ma è scritto datato e sottoscritto di mano del
testatore, vale come olografo.
Il testamento segreto può essere ritirato in ogni tempo dalle mani del notaio; ciò comporta revocazione
del testamento, a meno che esso non possa valere come olografo.
Il testamento internazionale.
Consiste nella consegna al notaio di un documento su cui risultano scritte le disposizioni testamentarie e
nella dichiarazione, resa al notaio da parte del testatore in presenza di due testimoni, che il documento
consegnato è il suo testamento e che egli è a conoscenza di quanto in esso contenuto.
Il vero e proprio testamento dunque è la dichiarazione resa al notaio da parte del testatore, mentre la
scheda testamentaria a lui consegnata rappresenta soltanto il punto di riferimento della dichiarazione del
testatore, al pari di quanto abbiamo visto a proposito del testamento segreto.
Tale testamento risolve il problema dell’applicabilità in Italia del testamento di uno straniero, o anche di
un cittadino italiano quando l’atto fosse redatto all’estero.
Testamenti speciali.
Forme di testamento nelle quali non è consentito o non è agevole ricorrere al notaio (malattie
contagiose, calamità pubbliche, infortuni, testamenti di militari, ecc.).
Questi testamenti perdono la loro efficacia tre mesi dopo la cessazione della causa che ha impedito al
testatore di avvalersi delle forme ordinarie o dopo che il testatore sia venuto a trovarsi in un luogo in cui
è possibile fare testamento nelle forme ordinarie.
Invalidità del testamento per vizi di forma.
Quanto ai vizi di forma, essendo la forma richiesta ad substantiam, la mancanza di elementi senza i
quali non v’è la certezza della provenienza del testamento dalla persona a cui si vuole sostituirlo
determina nullità assoluta ed imprescrittibile dell’atto, mentre l’inosservanza di tutte le altre formalità
prescritte dà luogo ad annullabilità deducibile da chiunque vi abbia interesse.
Sanatoria del testamento nullo.
La nullità è sanabile nel caso in cui avvenga la conferma o la esecuzione volontaria di disposizioni
testamentarie nulle. La sanatoria può potenzialmente operare per qualunque causa di nullità, compreso il
testamento nuncupativo (verbale).
La sanatoria non è tuttavia applicabile se le disposizioni sono illecite, e neppure se il testamento è lesivo
della legittima, perché la lesione di legittima non dà luogo a nullità della disposizione. Nulla vieta
peraltro che il legittimario leso rinunci all’azione di riduzione.
L’esecuzione volontaria non esclude la possibilità di impugnare il testamento ove se ne assuma
addirittura la falsità.
La revoca del testamento.
Il testamento è revocabile fino all’ultimo momento di vita del testatore.
La revoca può essere espressa o tacita.
La prima può farsi solo o con un atto che abbia gli stessi requisiti formali richiesti per un valido
testamento, indipendentemente dal fatto che nell’atto sia manifestata solamente la volontà di revocare
un testamento precedente oppure siano anche contenute nuove disposizioni testamentarie; ovvero con un
apposito atto notarile, destinato esclusivamente alla revoca.
La seconda si verifica in vari casi: con un testamento posteriore; con distruzione, lacerazione o
cancellazione dell’olografo da parte del testatore (che abbia anche la volontà di farlo); il ritiro del
testamento segreto, a meno che esso non possa valere come olografo; con alienazione o trasformazione
della cosa legata.
Si ha revoca di diritto quando, si revoca di diritto il testamento fatto da chi non aveva o ignorava di
avere figli.
La revoca di un testamento può essere a sua volta revocata, determinando la reviviscenza delle volontà
revocate, ma a condizione che la revoca della revoca sia fatta in forma espressa.
La pubblicazione del testamento.
Morto il testatore è in ogni caso opportuno che sia resa possibile la conoscenza del contenuto. La
pubblicazione ha luogo su richiesta di chiunque vi abbia interesse, ad opera di un notaio.
Il procedimento per la pubblicazione consta delle seguenti formalità:
1)
Presenza di due testimoni
2)
Verbale redatto nella forma degli atti pubblici e contenente: la descrizione dello stato del
testamento; la riproduzione del suo contenuto; l’eventuale menzione dell’apertura del testa
memento, se sigillato.
3)
Sottoscrizione della persona che presenta il testamento
4)
Allegati al testamento: la carta in cui è scritto il testamento; l’estratto dell’atto di morte del
testatore
La pubblicazione non costituisce un elemento di validità del testamento, ma è indispensabile qualora se
ne voglia pretendere il rispetto ed esibirlo a chi lo contesti o, occorrendo, al giudice.
Diversa dalla pubblicazione è l’iscrizione del testamento nel Registro generale dei testamenti, in cui
devono essere iscritti a cura dei notai i testamenti pubblici, segreti, olografi depositati presso un notaio, i
verbali di pubblicazione di testamenti olografi, nonché il ritiro dei testamenti depositati o gli atti di
revocazione dei testamenti, e può essere consultato da chiunque creda di avervi interesse, mediante
apposita richiesta al conservatore del registro, ma soltanto dopo la morte del testatore.
L’esecuzione del testamento.
Per l’esecuzione il testatore può nominare uno o più esecutori testamentari.
Può essere un esecutore anche un erede o legatario; è richiesta la capacità di obbligasi, ossia la capacità
di agire.
Questi hanno il compito di curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del
defunto.
Di regola gli esecutori hanno il possesso dei beni ereditari e devono amministrarli da buon padre di
famiglia. Possono alienare i beni quando necessario (es.: beni deperibili), previa autorizzazione del
giudice. Nel caso in cui commettano gravi irregolarità nell’adempimento dei loro doveri o qualsiasi atto
che possa menomare la fiducia in loro, possono essere esonerati dall’ufficio dall’autorità giudiziaria, su
istanza di qualsiasi interessato.
Alla fine devono rendere conto della loro gestione e consegnare i beni all’erede.
La dottrina ritiene che essi esercitino un ufficio di diritto privato, che è di regola gratuito, ma il testatore
può stabilire una retribuzione a carico dell’eredità.. in ogni caso le spese sostenute per l’esercizio
dell’ufficio sono a carico dell’eredità.
Il testatore può anche attribuire all’esecutore, che non sia erede o legatario, l’incarico di procedere alla
divisione dell’eredità.
IL LEGATO
Nozione.
È una disposizione a titolo particolare che non comprende l’universalità o una quota dei beni del
testatore. L’essenza del legato consiste in un’attribuzione patrimoniale relativa a beni determinati, e che
normalmente importa un beneficio economico per la persona designata dal testatore.
Il legato è di regola disposto con testamento ma può anche derivare dalla legge (assegno vitalizio a
favore dei figli naturali non riconoscibili, ecc.).
Si dice legatario la persona a cui favore la disposizione è fatta. Il legatario non risponde dei beni
ereditari. S’intende che se l’immobile legato è ipotecato, l’ipoteca attribuisce al creditore il diritto di
espropriarlo anche nei confronti del terzo acquirente e quindi anche rispetto al legatario. Inoltre il
testatore può mettere a suo carico il pagamento di debiti particolari.
Si dice onerata la persona che è tenuta alla prestazione, oggetto del legato. Tale persona può essere tanto
l’erede che un altro legatario (sublegato).
Il sublegato si distingue dal prelegato, che è il legato a favore del coerede e a carico dell’eredità. Per es.
Tizio istituisce eredi Caio e Sempronio, ciascuno per la metà: a C lascia anche altri beni, con un
prelegato che grava sulle quote di tutti gli altri coeredi. Ciò significa che l’erede beneficiato dal
prelegato risponderà dei debiti ereditari soltanto in proporzione della quota ereditaria. Il prelegato si
considera come legato per l’intero. Ciò vuol dire che il coerede prelegatario ha diritto a conseguire il
legato per intero in anteparte. Se invece il prelegato non si considerasse legato per l’intero esso
dovrebbe diminuirsi della quota che sarebbe dovuta dal prelegatario quale erede.
Il legato limita l’attribuzione patrimoniale a titolo gratuito che vien fatta all’erede.
Il legato si distingue dal modo o onere che dà luogo anch’esso alla limitazione di una liberalità, ma
questa limitazione non è rivolta a favore di una persona determinata. Un terzo può ricevere vantaggio
dal modo, ma soltanto in via diretta. Si osserva che mentre il legatario è diretto successore del de cuius,
il beneficiario di un onere acquista un diritto nei confronti dell’erede o del legatario, che sono gravati
dall’obbligo di adempiere il modus.
Oggetto del legato può essere o il diritto di proprietà o altro diritto reale su cosa determinata già
appartenente al testatore (legato di specie), oppure di cose determinate solo bel genere (legato di genere;
es.: denaro, grano).
Il legatario di cosa di specie diviene immediatamente proprietario della cosa legata, mentre il legato di
cose di genere dà luogo ad un rapporto obbligatorio: il legatario è un creditore dell’erede, che è
obbligato alla prestazione che costituisce oggetto del legato. La distinzione pertanto dipende
dall’oggetto.
Acquisto del legato.
Esso si acquista di diritto, senza bisogno di accettazione; il legatario ha però facoltà di rinunciare (con
rinuncia espressa o tacita; per iscritto se ha per oggetto beni immobili).
Siccome agli eredi può interessare conoscere se il legatario intende o meno rinunciare, il codice civile
dispone che il giudice gli può fissare un termine (actio interrogatoria).
Se il legato è di specie, la proprietà o il diritto si trasmette dal testatore al legatario ipso jure al momento
della morte del testatore.
Il legatario ha l’onere di domandare alla persona onerata il possesso della cosa legatagli.
Tipi particolare di legati.
Legato di cosa altrui: è una figura che può incontrarsi rispetto al legato di specie. Se però la cosa legata
apparteneva a terzi o allo stesso onerato, bisogna distinguere se il testatore ignorava che la cosa non era
sua (e il legato è allora nullo), o se invece dal testamento o da altra dichiarazione scritta del testatore
risulta che egli ne fosse a conoscenza (allora il legato avrà effetti obbligatori, e non reali; l’onerato è
obbligato ad acquistare la proprietà della cosa e a trasferirla al legatario, oppure può liberarsi
dall’obbligazione pagando il giusto prezzo).
Legato di genere: comporta la nascita in capo all’onerato di un’obbligazione, avente per oggetto una
quantità di cose del genere stabilito dal testatore. La scelta, se non diversamente disposto dal testatore, è
affidata all’onerato.
Legato alternativo: si applicano i princìpi stabiliti per le obbligazioni alternative.
Legato di credito.
Legato di liberazione da un debito.
Legato a favore del creditore.
Legato alimentare.
LA DIVISIONE DELL’EREDITÀ
La comunione ereditaria. Il retratto successorio.
Se l’eredità è acquistata da più persone, si forma sui beni ereditari tra i coeredi medesimi una
comunione, che investe tutti i beni relitti.
Alla comunione ereditaria si applicano le regole stabilite in generale per la comunione (1100 c.c.).
Tuttavia mentre nella ordinaria ciascun partecipante può liberamente alienare la propria quota, in quella
ereditaria è sembrato opportuno al legislatore evitare che nei rapporti tra coeredi il più delle volte legati
tra loro da vincoli di affetto, i quali possono agevolare la risoluzione di contrasti che eventualmente
sorgono tra di loro, s’intromettano estranei animanti da un intento di speculazione. Perciò i coeredi
hanno diritto di essere preferiti agli estranei, qualora uno di essi intenda alienare la sua quota o parte di
essa (diritto di prelazione). Il coerede deve notificare l’eventuale proposta di alienazione agli altri
coeredi indicandone il prezzo. Entro due mesi gli altri coeredi si devono decidere se acquistare al prezzo
indicato oppure lasciare che il notificante venda liberamente ad estranei. Se viene omessa la
notificazione e il coerede procede ugualmente alla vendita, gli altri coeredi possono ottenere essi
(riscattare) la quota per il prezzo pagato (retratto successorio) sostituendosi all’acquirente nel negozio di
alienazione. Esso ha dunque effetto reale.
La divisione.
Lo stato di comunione cessa con la divisione. Questo atto sostituisce allo stato di comunione una
situazione diversa: ciascuno dei soggetti ottiene la titolarità esclusiva su una parte determinata del bene
o dei beni che erano in comune.
Ogni coerede può sempre domandare la divisione. A questo principio possono derogare le parti,
pattuendo di rimanere nello stato di comunione per non più di 10 anni, o il testatore, disponendo, se tutti
o alcuno degli istituti siano minorenni, che l’eredità resti indivisa fino ad un anno dopo il compimento
della maggiore età del minore, o se non vi sono minori, per 5 anni.
È attribuito al giudice il potere di stabilire una congrua dilazione (non superiore a 5 anni) nel caso che lo
scioglimento possa pregiudicare gli interessi degli altri in comunione.
Natura della divisione.
La divisione ha natura dichiarativa ed effetto retroattivo (come se i beni divisi fossero sempre stati divisi
in tale maniera in comunione).
Se ad uno degli eredi viene assegnato l’unico immobile indivisibile ed all’altro il diritto al conguaglio in
denaro, l’acquisto della proprietà a favore dell’uno non è subordinato al pagamento del conguaglio e
non sono applicabili la risoluzione per inadempimento o la relativa eccezione, perché non si tratta di
contratto a prestazioni corrispettive.
Regole particolari sono dettate per il caso di costituzione di ipoteca su beni divisi.
In primo luogo l’ipoteca costituita da uno dei partecipanti alla comunione sulla propria quota produce
direttamente effetto sui beni che sono stati a lui assegnati in sede di divisione.
Se invece il coerede abbia iscritto un’ipoteca su uno specifico bene ereditario e poi, in sede di divisione,
gli siano stati assegnati beni diversi da quello ipotecato, l’ipoteca si trasferisce sui beni effettivamente
assegnati al coerede.
La divisione può essere fatta dal testatore nel proprio atto di ultime volontà, ovvero d’accordo tra i
coeredi o, se le parti non sono d’accordo, per opera del giudice.
La divisione contrattuale.
Se il contratto di divisione riguarda beni immobili, è richiesta ad substantiam la forma scritta. Ed il
contratto medesimo è soggetto a trascrizione (per beni immobili o mobili registrati).
Il contratto di divisione può essere annullato per violenza o dolo, ma non per errore. Se si sia proceduto
ad una divisione in base a legge, mentre esisteva un testamento, ancorchè non ancora scoperto al tempo
della divisione, ricorre un errore sul presupposto della divisione, che dà luogo a nullità assoluta,
radicale, dichiarabile in ogni tempo.
La divisione è altresì nulla quando non vi abbiano partecipato tutti i coeredi.
Se per errore sono stati omessi dei beni, v’è un apposito rimedio: il supplemento di divisione.
Se vi è stato errore nella stima dei beni v’è la rescissione per lesione, distinguendosi da quella generale
di rescissione per lesione dei contratti in quanto: a) è escluso ogni profilo soggettivo (non si richiede che
una delle parti abbia profittato dello stato di bisogno dell’altra); b) il valore della parte assegnata deve
essere inferiore di oltre ¼ al valore della quota. L’azione di rescissione per lesione è applicabile ad ogni
atto che ha per effetto la cessazione della comunione della comunione ereditaria.
Il coerede contro il quale è promossa l’azione di rescissione può troncarne il corso e impedire una nuova
divisione, dando il supplemento della porzione ereditaria in denaro o in natura.
La divisione giudiziale.
Il giudizio di divisione può essere promosso da ciascuno dei coeredi, per ottenere lo scioglimento della
comunione ereditaria, e ad esso devono essere chiamati a partecipare tutti i condividenti.
Si procede dapprima alla stima dei beni, quindi alla formazione delle proporzioni. Se la parte non può
essere data in natura perché i beni sono indivisibili, questi sono venduti all’incanto e il denaro è diviso
tra i coeredi.
Chi ha ricevuto troppo rispetto alla sua dovuta quota ereditaria, deve pagare agli altri la differenza
(conguaglio).
La stima dei beni per la formazione delle quote nella divisione ereditaria deve farsi con riferimento al
loro stato e valore venale al tempo della divisione.
Divisione fatta dal testatore.
Il codice vigente ha soppresso la divisione per atto inter vivos ed ha riconosciuto ad ogni testatore la
facoltà di dettare norme e criteri per la formazione delle porzioni e di dividere nel testamento i suoi beni
tra i coeredi. La divisione è nulla se il testatore non abbia compreso qualcuno dei legittimari o degli
eredi istituiti.
Se il testatore nel fare le porzioni lede la quota di legittima spettante ad alcuno dei coeredi, questi può
sempre agire con l’azione di riduzione.
I beni ereditari.
I debiti e i pesi ereditari devono essere sopportati da ogni erede in proporzione alla propria quota
ereditaria, salvo diversa disposizione del testatore. Ciascun creditore del de cuius non può pretendere dal
singolo coerede, a meno che si tratti di obbligazione indivisibile, più di quanto proporzionalmente è
imputabile alla quota ereditaria a quello devoluta ed in caso di insolvenza di uno dei coeredi questa
inadempienza non può essere invocata nei confronti degli altri (regola dunque che vale sia nei rapporti
interni che esterni).
Il creditore che vanti un’ipoteca su un cespite ereditario può pretendere l’intero dal singolo coerede cui
quel bene sia stato assegnato, stante il principio che l’ipoteca è opponibile perfino al terzo acquirente
non debitore. Inoltre sempre nel caso di debiti ipotecari, la quota di debito ipotecario del coerede
insolvente viene ripartita in proporzione tra tutti gli altri.
Il coerede che abbia pagato l’intero potrà agire in regresso contro gli altri coeredi solo nei limiti in cui
ciascuno degli altri è tenuto a contribuire al pagamento dei debiti ereditari.
Qualora il bene oggetto del legato fosse gravato da ipoteca il creditore conserva l’azione ipotecaria e il
legatario che abbia pagato il debito garantito dall’ipoteca subentra nelle ragioni del creditore contro gli
eredi.
La garanzia per evizione.
Se un terzo assume che il de cuius non era proprietario di uno o più beni compresi nella porzione
attribuita ad uno dei coeredi, ed il coerede è costretto a rilasciare i beni richiesti, ecco che viene a
mancare la corrispondenza della porzione con la quota ereditaria. Il danno subito dal coerede per
l’evizione deve essere ripartito tra tutti gli altri.
La collazione.
Se il de cuius in vita ha fatto donazioni ai figli legittimi o naturali ai loro discendenti legittimi o naturali
o al coniuge, la legge presume che il defunto, facendo la donazione o le donazioni, non abbia voluto
alterare il trattamento che egli ha stabilito per testamento, nel caso di successione testamentaria, o che è
disposto per legge in quello di successione legittima, ma soltanto attribuire loro un anticipo sulla futura
successione. Perciò i beni donati devono essere compresi o conferiti nella massa attiva del patrimonio
ereditario (donde il nome collazione), per essere divisi tra i coeredi in proporzione alle quote spettanti a
ciascuno.
La funzione della collazione dunque consiste nel mantenere tra i discendenti e il coniuge del de cuius
chiamati a succedergli la proporzione stabilita nel testamento o nella legge.
Poiché fondamento dell’istituto è la presunta volontà del donante, la disciplina legislativa ha carattere
dispositivo: alla collazione perciò non si fa luogo quando il donante abbia altrimenti disposto.
Non sono soggette a collazione le spese ordinarie fatte dal padre a favore del figlio, che rappresentano
l’adempimento di un obbligo e non una liberalità. È invece soggetto a collazione ciò che il defunto ha
speso a favore dei suoi discendenti per assegnazioni fatte a causa di matrimonio, per avviarli
all’esercizio di un’attività produttiva o professionale, per soddisfare premi relativi a contratti di
assicurazione sulla vita a loro favore o per pagare i loro debiti. Non sono invece soggette a collazione le
donazioni di modico valore fatte al coniuge.
I frutti delle cose donate e gli interessi sulle somme soggette a collazione sono dovuti con decorrenza
dal giorno in cui si è aperta la successione.
Riguardo alla collazione dell’usufrutto si deve aver riguardo al valore capitale che l’usufrutto ha al
momento dell’apertura della successione. Non ha invece rilevanza il valore che l’usufrutto medesimo
aveva al momento della donazione: ciò che ha formato oggetto di godimento prima della morte del
donante non deve essere conferito.
I soggetti obbligati a conferire sono: il coniuge e i figli, o altri discendenti. Le persone nei cui confronti
costoro hanno l’obbligo sono: il coniuge e gli altri figli o discendenti: la collazione ha cioè luogo
reciprocamente tra il coniuge e i discendenti, non rispetto agli estranei.
Oggetto della collazione sono le donazioni dirette e indirette.
La collazione si distingue dalla riduzione, perché la prima serve a mantenere tra gli aventi diritto la
proporzione stabilita nel testamento o nella legge; la finalità della riduzione è invece quella di
salvaguardare la quota di legittima.
La collazione si fa per gli immobili o cedendo alla massa ereditaria il bene ricevuto in donazione
(collazione in senso stretto, cioè collazione in natura: si ha riduzione della donazione) o con
l’imputazione del valore, ossia prendendo dalla massa tanti beni in meno quanto è il valore di quelli
donati (collazione per imputazione: conferimento ideale dell’equivalente pecuniario del bene donato).
Per i mobili la collazione si fa soltanto per imputazione.
LA DONAZIONE
Il contratto di donazione.
La donazione è un contratto (art. 769 c.c.).Ha struttura bilaterale e richiede per la sua perfezione il
consenso tra la volontà di due parti: è necessaria l’accettazione del donatario.
Con la donazione una delle parti, per spirito di liberalità, arricchisce l’altra, o disponendo a favore di
questa di un suo diritto ovvero assumendo verso la stessa un’obbligazione (purchè di dare e non di fare).
Elementi denotativi sono pertanto:
a) Lo spirito di liberalità: costituisce la causa del contratto, che non s’identifica con il motivo.
Rientra nello schema del contratto di donazione anche la donazione rimuneratoria, ossia la liberalità
fatta o per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale remunerazione.
Peraltro la donazione rimuneratoria è irrevocabile, non obbliga a prestare gli alimenti al donante, ma
comporta a carico del donante la garanzia per evizione.
Non va qualificata donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi (gratifiche ai
dipendenti) e la liberalità elargite in conformità agli usi (regali a parenti e amici in occasioni di feste
e ricorrenze).
b) L’arricchimento, ossia l’incremento del patrimonio del donatario. L’arricchimento può
realizzarsi o disponendo a favore di un altro di un diritto o assumendo un’obbligazione verso il
donatario purchè non si tratti di un facere.
Rispetto alla donazione è inammissibile la figura del contratto preliminare. Infatti la donazione deve
essere spontanea.
Donazione, negozi gratuiti, liberà non donative.
Non bisogna credere che qualsiasi negozio a titolo gratuito costituisca una donazione. La gratuità non
implica necessariamente l’arricchimento dell’altra parte, che è elemento essenziale al concetto di
donazione.
Il codice contempla una serie di casi di contratti tipici diversi dalla donazione, che sono o possono
essere a titolo gratuito: il mandato, il deposito, il mutuo, il trasporto possono essere, a seconda della
volontà delle parti, tanto gratuiti quanto onerosi. A queste ipotesi si aggiungono figure di negozio
gratuito atipico (non rientranti fra quelle espressamente previste dalla legge), che comporta l’esecuzione
di attribuzioni o di prestazioni non remunerate, ma neppure giustificate da un intento liberale: si pensi
alle attività materiali svolte gratuitamente per fini di solidarietà o a favore di organizzazioni politiche,
religiose, culturali ecc. Non si tratta ivi di contratto di donazione.
A maggior ragione va distinta sia dalla donazione che dalla generale figura dei contratti gratuiti
l’adempimento dell’obbligazione naturale, che comporta un’attribuzione patrimoniale volontaria ma non
liberale.
Dall’altro punto di vista esistono atti di liberalità che non integrano il tipo della donazione: è il caso
della donazione indiretta, ossia della liberalità attuata mediante un negozio diverso da un contratto di
donazione tipico.
La donazione indiretta.
L’arricchimento dell’altro si raggiunge con un contratto caratterizzato da una causa diversa, e non con il
contratto di donazione. Così se voglio aiutare uno studente povero e meritevole, e gli pago le tasse
universitarie, compio un atto (pagamento del debito altrui) la cui causa consiste nell’estinzione del
debito, ma che avvantaggia lo studente allo stesso modo che se gli donassi la somma necessaria per il
pagamento delle tasse (causa liberale). Un altro esempio è la rinuncia all’usufrutto o alle servitù.
La donazione indiretta rientra dunque nella figura generale del negozio o procedimento indiretto: si ha
donazione indiretta quando le parti, per raggiungere l’intento di liberalità, anziché utilizzare lo schema
negoziale all’uopo apprestato dalla legge (contratto di donazione), ne abbiano adottato uno
caratterizzato da causa diversa.
Anche la vendita a prezzo inferiore al valore della cosa viene ricondotta alla figura della donazione
indiretta (donazione mista).
Qualora, pur dicendo di voler vendere, in realtà pattuisco un prezzo simbolico, che non ha neppure
importanza venga davvero versato oppure no, allora difetta il prezzo quale elemento strutturale
necessario della vendita, e ci troviamo di fronte ad una donazione non soltanto indiretta, ma vera e
propria, sia pure esteriormente rappresentata come contratto di vendita (del quale però manca l’elemento
essenziale del prezzo).
La donazione mista non ha ovviamente nulla a che fare con la simulazione perché le manifestazioni di
volontà delle parti non presentano alcunché di fittizio, né esistono patti occulti o riservati tra le parti
contrari o diversi da quelli resi ostensibili.
È bene precisare che per aversi negozio misto con donazione non basta che vi sia la sproporzione tra le
due prestazioni, ma anche che questa sproporzione sia voluta da colui che la subisce allo scopo di
attuare una liberalità e che questa finalmente sia nota ed accettata dall’altra parte.
Requisiti e disciplina.
Non possono fare donazioni i minorenni, l’interdetto, l’inabilitato, l’incapace naturale.
Un’eccezione è fatta per le donazioni a causa di matrimonio. Essa si spiega in base alla loro finalità,
purchè esse siano fatte con l’assistenza delle persone che esercitano la potestà o la tutela o la curatela.
Le persone giuridiche sono capaci di far donazioni, se tale capacità è riconosciuta dal loro statuto o
dall’atto costitutivo e nei limiti del riconoscimento medesimo. Del pari sono valide le liberalità fatte da
società commerciali a scopo promozionale o di rappresentanza (dono ai clienti) o per consuetudine
(gratifiche ai dipendenti).
La donazione è un atto personale del donante: è pertanto nullo il mandato a donare.
Poiché per la donazione è richiesto l’atto pubblico ad substantiam, la procura a donare deve essere fatta
ugualmente per atto pubblico e sempre con l’intervento dei testimoni. È consentito rimettere ad un terzo
la scelta del donatario tra determinate categorie di persone o dell’oggetto tra più cose indicate dal
donante: la deroga è giustificata dai limiti angusti entro i quali è attribuita la facoltà di scelta.
La disciplina della donazione presenta alcune analogie con quella del testamento; uno degli aspetti di
questo parallelismo riguarda la capacità di ricevere per donazione. Per la capacità giuridica è necessaria
la nascita del soggetto: dunque a favore del figlio di una determinata persona vivente al tempo della
donazione, benché non ancora concepito, può essere fatta validamente una donazione. Capaci di
ricevere sono anche le persone giuridiche: oggi gli enti di qualsiasi natura, riconosciuti o meno, hanno
piena capacità di acquistare per successione e donazione, senza necessità di autorizzazioni
amministrative.
È stata abrogata la norma che stabiliva la nullità delle donazioni fatte ad un figlio naturale non
riconoscibile. È stato dichiarato costituzionale il divieto di donazione tra coniugi.
A ragioni di doverosa protezione degli incapaci contro il rischio di abusi si ispira il divieto di donazione
a favore del tutore o del protutore.
Oggetto della donazione non può essere un bene futuro, salvo che si tratti di frutti non ancora separati:
non può essere consentito infatti che taluno si privi senza corrispettivo di una cosa che non è ancora
venuta ad esistenza. È vietata peraltro la donazione avente per oggetto beni altrui, intendendo così con
“bene futuro” l’aspetto oggettivo (non esistente in natura) ma anche soggettivo (che non fa parte del
patrimonio del disponente).
La donazione universale (di tutti i beni presenti) non è vietata: l’obbligo degli alimenti posto a carico del
donatario sopperisce all’eventuale indigenza del donante.
La donazione richiede per la sua validità (ad substantiam) una forma particolare: l’atto pubblico, sia per
immobili che per mobili. Inoltre è indispensabile la presenza di due testimoni. Questo rigore formale
induce il donante a riflettere sulla gravità dell’atto che compie e che lo spoglia di un diritto senza alcun
corrispettivo.
Se la donazione ha per oggetto cose mobili, nell’atto deve essere contenuta la specificazione del loro
valore.
Non è richiesta forma solenne, ma occorre che sia avvenuta la consegna (traditio) della cosa, che è
indispensabile perché ci sia donazione. Il contratto è di tipo reale.
La donazione può essere sottoposta a condizione. Un particolare tipo di donazione sottoposta a
condizione è la donazione obnuziale: fatta in riguardo a un futuro matrimonio, sia dagli sposi tra loro,
sia dagli altri, assai spesso dai genitori degli sposi, a favore di uno o di entrambi gli sposi, o dei figli
nascituri di questi.
Questo tipo di donazione è un atto unilaterale: non è necessaria l’accettazione del donatario, ma la
donazione non produce effetto finchè non venga celebrato il matrimonio; inoltre l’annullamento del
matrimonio comporta nullità della donazione.
Altra particolare condizione è quella di riversibilità: si tratta in sostanza di una condizione risolutiva,
stabilendosi che i beni ritornino al donante nel caso che il donatario (o i suoi discendenti) muoia prima
del donante medesimo.
La donazione può essere gravata di un onere o modo, al cui adempimento il donatario è tenuto entro i
limiti del valore della cosa donata. Si distingue dal negozio di donazione mista, in cui v’è sempre un
corrispettivo, quand’anche tenue. Dalla donazione modale invece esula l’idea di corrispettivo.
Per l’adempimento del modo possono agire il donante e qualsiasi interessato, anche durante la vita del
donante.
L’onere illecito o impossibile si considera non apposto, a meno che non abbia avuto rilievo esclusivo
determinante la donazione, nel qual caso è travolto l’intero atto.
Le sostituzioni sono consentite nelle donazioni nei casi e nei limiti stabiliti per gli atti di ultima volontà.
La donazione può avere ad oggetto la nuda proprietà con riserva dell’usufrutto a favore del donante.
Questi può anche stabilire che dopo di lui l’usufrutto sia riservato ad un’altra persona o anche a più
persone congiuntamente, ma non successivamente.
L’inadempimento del donante agli obblighi derivanti dalla donazione è sottoposto, data la natura
gratuita dell’atto, ad una disciplina meno rigorosa di quelle di ogni contratto: il donante è responsabile
solo per dolo o colpa grave.
Per quanto riguarda la garanzia per evizione, occorre che essa sia espressamente promessa, altrimenti il
donante risponde soltanto se è in dolo o se si tratti di donazioni modali o remunerato rie.
La responsabilità del donante per vizi della cosa sussiste soltanto nel caso in cui sia stata specialmente
pattuita o di dolo del donante medesimo.
Invalidità della donazione.
L’errore sul motivo della donazione rende annullabile la donazione (come il testamento), se il motivo
risulti dall’atto e sia il solo che ah determinato il donante a compiere liberalità.
L’illiceità del motivo è rilevante quando il motivo ha avuto valore determinante esclusivo ed è comune
ad entrambe le parti (come per il testamento, ma meno rigorosa: il motivo deve sì aver avuto efficacia
determinante esclusiva, ma non è necessario che sia comune ad entrambe le parti, basta che risulti da
atto).
La nullità non è sanabile e non è suscettibile di conferma, con le deroghe riscontrate per il testamento.
La conferma espressa o tacita (esecuzione volontaria) deve aver luogo dopo la morte del donante.
La revoca della donazione.
La donazione non può sciogliersi se non per le cause ammesse dalla legge. Tuttavia, in presenza di due
gravi ragioni la legge prevede che la donazione possa essere revocata. Tali cause sono:
1)
ingratitudine del donatario
2)
sopravvenienza di figli (del donante)
Le ragioni che giustificano la revoca non ricorrono rispetto alle donazioni rimuneratorie, dettate da
sentimenti di riconoscenza, e alle donazioni obnuziali, effettuate per il benessere di una nuova famiglia.
La revoca dipende da un’iniziativa unilaterale: è dunque un diritto potestativo di togliere efficacia alla
donazione nei casi da essa previsti; basta che il donante proponga la domanda.
La revocazione delle donazioni ha carattere personale e quindi non può essere proposta dai creditori del
donante in sostituzione del donante stesso.
La sentenza che pronuncia la revocazione condanna il donatario alla restituzione dei beni. Essa non
pregiudica i terzi che hanno acquistato diritti anteriormente alla domanda, salvi gli effetti della
trascrizione della domanda stessa.
LA TRASCRIZIONE
La trascrizione è un mezzo di pubblicità che si riferisce agli immobili o ai mobili registrati. Essa serve a far
conoscere ai terzi le vicende giuridiche di un immobile o di un mobile registrato.
Come potrebbe chi intende acquistare diritti reali su un bene sapere se l’alienante non li abbia già trasferiti ad
altri? Egli non sarebbe mai sicuro. A questo problema, l’ordinamento giuridico soccorre con l’adozione di due
criteri diversi. Per i mobili non registrati, il conflitto tra più acquirenti dal medesimo titolare è risolto in base al
principio del possesso vale titolo. Invece, il conflitto tra più acquirenti dello stesso diritto viene risolto in base alla
trascrizione: colui che per primo ha fatto trascrivere in pubblici registri il trasferimento è preferito rispetto a colui
che non ha trascritto affatto o ha trascritto successivamente il suo titolo d’acquisto.
La trascrizione non è un elemento della fattispecie negoziale (divento proprietario dell’immobile aldilà della
trascrizione), essa attua esclusivamente una forma di pubblicità dichiarativa.
Eccezionalmente, in alcuni casi la trascrizione ha efficacia costitutiva. Tra di essi, il più importante è
rappresentato dall’iscrizione di ipoteca e dall’ usucapione abbreviata. Perché tale usucapione si maturi occorrono
la buona fede dell’acquirente e la trascrizione del titolo d’acquisto. In questo caso, se non ho trascritto il titolo,
non posso vantare nei confronti di nessuno il mio diritto di proprietà.
La trascrizione non elimina i vizi da cui il negozio giuridico è affetto e costituisce un onere quando non
obbligatoria si attua per rendere opponibile l’atto ai terzi costituisce un obbligo per alcuni pubblici ufficiali tra cui
i notai.
L’efficacia della trascrizione è duplice:
a)
efficacia negativa: gli atti non trascritti si presumono ignoti ai terzi e quindi l’atto non trascritto non spiega
la sua efficacia verso i terzi;
b)
efficacia positiva: gli atti trascritti si presumono conosciuti e quindi l’atto trascritto è efficace contro
qualunque terzo. Sappia o non sappia il soggetto che la trascrizione è stata effettuata, per la legge è come se lo
sapesse.
L'art.2643c.c.stabilisce.quali.sono.gli.atti.che.devono.essere.trascritti.eccone.alcuni;
I contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili, o diritti reali di godimento sulla proprietà, la
comunione Ricordiamo, ancora, i contratti di locazione di beni immobili che hanno durata superiore a nove.anni.
Ancora devono essere trascritte le divisioni, la trascrizione dell'eredità e del legato se ha ad oggetto beni immobili
e da ultimo, la trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a
persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche trascrizione che secondo
alcuni avrebbe introdotto in Italia l'istituto del trust.
Il nostro ordinamento si basa su un criterio personale con partite intestate nei registri a nome della singola
persona interessata. (se voglio sapere le vicende giuridiche di un immobile devo ricostruire gli atti indagando in
base ai soggetti e non partendo dal bene.) Il Conservatore non deve fare, quando gli viene richiesto di procedere
alla trascrizione di un atto, alcuna indagine in ordine alla validità ed efficacia sostanziale di tale atto, ma si limita
a verificare che il titolo di cui si chiede trascrizione sia un atto pubblico, o una scrittura privata con sottoscrizione
autenticata o accertata giudizialmente.
Per cercare di indurre i soggetti a trascrivere, il legislatore introduce il principio della continuità delle
trascrizioni. (Le successive trascrizioni non hanno effetto se non è stato trascritto l’atto anteriore.
Quindi, chi acquista diritti reali su beni immobili, per essere tranquillo, non ha soltanto l’onere di curare la
trascrizione del proprio titolo d’acquisto, ma deve anche preoccuparsi di accertare se risulti trascritto il titolo di
acquisto del suo dante causa e se ravvisa, a questo riguardo, una omissione e, pertanto, una lacuna nella serie di
trascrizioni che lo devono proteggere, deve preoccuparsi, per rendere inattacabile il suo acquisto, di fare in modo
che venga ripristinata la continuità delle trascrizioni, e che quindi anche il titolo di acquisto del suo dante causa
venga anch’esso trascritto.
Ciò è applicabile anche all’acquisto mortis causa, cosicchè non ci si può avvalere della priorità della propria
trascrizione fino a quando non siano stati trascritti tutti i precedenti acquisti facenti capo ai propri dante causa.
Modalita` per eseguire la trascrizione.
La trascrizione degli immobili deve essere richiesta presso l’ufficio dei registri immobiliari nella cui
circoscrizione si trova il bene. Si può ottenerla soltanto in forza di sentenza oppure di atto pubblico o di scrittura
privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. Per la trascrizione di una domanda giudiziale,
occorre presentare copia autenticata del documento che la contiene, munita della relazione di notifica alla
controparte.
Chi domanda la trascrizione di un atto d’acquisto mortis causa deve presentare l’atto di accettazione di eredità, il
certificato di morte dell’autore della successione e una copia o un estratto autentico del testamento e una nota in
doppio originale con le indicazioni elencate nell’art.2660 cc. ( il cognome e il nome, il luogo e la data di nascita
dell'erede o legatario e del defunto;la data di morte; ecc.)
Le omissioni o inesattezze contenute nelle note determinano nullità della trascrizione soltanto se inducono
incertezza sulle persone o sul rapporto giuridico, a cui l’atto si riferisce.
Per quanto riguarda la trascrizione delle divisioni, dobbiamo tener presente l’art.1113 c.c. e l’elenco dei soggetti
aventi diritto ad intervenire nella divisione. A questa, difatti, devono partecipare non solo tutti i comunisti, ma
pure i creditori e gli aventi causa i quali, trattandosi di dividere beni immobili, abbiano non solo notificato
un’opposizione anteriormente alla divisione, ma abbiano anche trascritta tale opposizione prima della trascrizione
dell’atto di divisione e, se si tratta di divisione giudiziale, prima della trascrizione relativa domanda. Devono poi
essere trascritti, se hanno per oggetto beni immobili, la costituzione del fondo patrimoniale, le convenzioni
matrimoniali che escludono i beni stessi della comunione tra i coniugi, gli atti e i provvedimenti di scioglimento
della comunione.
Il legislatore assoggetta all’onere della trascrizione anche numerose domande giudiziali (artt.2652-2653 c.c.). In
questi casi la trascrizione serve a mettere in grado i terzi di conoscere che in ordine a quel bene è stata mossa una
contestazione il cui esito, a seguito della trascrizione, diventa opponibile pure agli aventi causa dal convenuto. In
questi casi, se la domanda trascritta verrà successivamente accolta, la stessa sentenza di accoglimento verrà
considerata opponibile ai terzi ovvero si vuol evitare che il convenuto disponga dei beni mentre è in atto la
domanda giudiziale e i terzi acquirenti a seguito della domanda di accoglimento non potranno vantare diritti
successivi alla trascrizione della domanda giudiziale.
L’annotazione
Sia l'annotazione che la trascrizione sono mezzi per attuare la pubblicità immobiliare.
La trascrizione è lo strumento con il quale si da pubblicità legale agli atti riguardanti diritti reali (si trascrivono le
compravendite,
le
divisioni,
le
domande
giudiziali).
L' annotazione è lo strumento con il quale si da pubblicità legale agli eventi che riguardano un atto già trascritto
(si annota la sentenza di annullamento di un atto, l'avveramento di condizione dedotto in un atto, la risoluzione di
un
atto
trascritto,
la
cancellazione
di
una
iscrizione
etc).
Quindi, in linea generale, l'annotamento è lo strumento che si usa per rendere pubbliche le vicende di un atto che
è stato già trascritto
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