Finché exit non ci separi. Conseguenze giuridiche di un’ipotetica uscita dall’euro Noah Vardi In Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 1/2016, 237 Abstract L’articolo esamina alcune conseguenze giuridiche che potrebbero derivare da un’ipotetica uscita dall’euro di uno Stato membro. Data l’assenza di norme specifiche in materia, viene innanzitutto brevemente analizzata la questione della base giuridica su cui tale procedimento di ritiro dovrebbe avvenire. Si prendono quindi in considerazione possibili provvedimenti sia di politica monetaria che di diritto privato che si renderebbero necessari per regolamentare il passaggio a ritroso dalla moneta unica alla valuta nazionale. Key Words: Withdrawal from the Euro; Exit rules; EMU; Legal consequences; Payments Introduzione. Euro e (inesistenti) regole di uscita. A poco più di un decennio dalla realizzazione della cd. terza fase dell’Unione economica e monetaria europea ed in particolare dal passaggio alla moneta unica, un eventuale ritiro dall’eurozona accompagnato da un’uscita dall’euro è diventato argomento di stringente attualità politica e non più ipotesi scolastica all’epoca paventata da qualche scettico studioso di politica monetaria o da qualche giurista particolarmente pignolo. Il mutamento di importanti circostanze macroeconomiche che hanno permesso la realizzazione dell’Unione economica e monetaria (pur con molti rinvii ed in tempi più lunghi del previsto), la crisi economica e finanziaria innescatasi dopo il 2008, nonché, a detta di molti, il fallimento di una politica monetaria comune e soprattutto l’assenza di una politica fiscale comune, hanno portato alla messa in discussione dell’eurozona e a considerare seriamente quali potrebbero essere le conseguenze per gli Stati membri dell’eventuale ritiro o espulsione di uno di essi dall’Unione monetaria1. Ancor prima di qualsiasi considerazione- evidentemente di natura politica- relativa alla desiderabilità di tale opzione, è necessario vagliare se al di là delle molteplici dichiarazioni negative (anche esse politiche) in tal senso, esista una possibilità legittimamente fondata nei Trattati per esercitare una forma di uscita dall’euro. Il dato ineludibile è che non esiste, allo stato attuale, alcuna disciplina legislativa positiva per le cosiddette “regole di uscita” (le exit 1 Tra le teorie economiche maggiormente accreditate alla base della creazione di un’unione monetaria vi è la nota “Optimum Currency Area” (Vd. R. A. Mundell, A Theory of Optimum Currency Areas, in 51 American Economic Reivew 4, 657, (1961)). E’ stato rilevato che le condizioni poste alla base di questo teorema, tra cui l’esistenza di un’unione politica e fiscale nonché di una sufficiente mobilità e flessibilità nel mercato del lavoro, non sono state rispettate fin dalla creazione dell’UME. Cfr. J. Van Overtveldt, The End of the Euro. The uneasy future of the European Union, Evanston, IL, 2011, p. 5; J.C. Dammann, The Right to Leave the Eurozone, in 48 Texas International Law Journal, 2, 125, (2012-2013), a p.127; F.P. Mongelli, The Mutating Euro Area Crisis. Is the Balance between ‘Sceptics’ and ‘Advocates’ Shifting?, ECB Occasional Paper Series n. 144, 2013, a p. 12. Più in generale, per una ricostruzione delle diverse teorie (in particolare quattro “modelli”) a spiegazione della crisi economica e finanziaria in corso dal 2008, si veda G.M. Ruotolo, La costituzione economica dell’Unione europea al tempo della crisi globale, in Studi sull’integrazione europea, vol .7, 2012, p. 433, a pp. 433-435. 1 rules) dall’euro. Questo vuoto normativo, frutto di una precisa scelta politica, non impedisce tuttavia che il problema si ponga e che debba essere affrontato, seppur necessariamente attraverso una ricostruzione ipotetica. E’ evidente fin da ora che vanno distinti due scenari: il primo è quello in cui vi sia un ritiro negoziato o concordato con gli altri Stati membri e con le istituzioni comunitarie; il secondo è quello di un ritiro volontario non negoziato (un ritiro cd. unilaterale) con il conseguente problema di una violazione dei Trattati. Si intendono qui prendere in considerazione gli aspetti strettamente giuridici che deriverebbero dalle diverse ipotesi di questo tipo, tralasciando, nell’immediato, le considerazioni di politica economica. Dal punto di vista teorico infatti il procedimento dovrebbe essere inverso a quello che portò all’elaborazione delle basi giuridiche per il passaggio alla moneta unica; se non fosse che ci si muove non solo in un ambito ipotetico e privo di fonti che regolino questa possibilità, ma anche e soprattutto in presenza dei Trattati dell’Unione che hanno dato vita a un sistema monetario europeo al tempo concepito come “irrevocabile”. Il vuoto normativo si estende, evidentemente, anche alla legislazione secondaria necessaria per garantire che un’ipotetica uscita dall’euro avvenga con una transizione altrettanto fluida come quella che ebbe luogo tra il 1999 ed il 20012. Sono principalmente tre gli aspetti che verranno qui considerati: a) i profili di diritto internazionale e comunitario; b) alcuni profili monetari strettamente legati alla circolazione dei capitali; c) i profili di diritto privato. Ammesso che sia ipotizzabile un ritiro dall’euro senza violare i Trattati, si devono infatti esaminare anche i provvedimenti di politica monetaria necessari per ristabilire la “vecchia” valuta nazionale dello Stato uscente o per istituirne una del tutto nuova. Vanno considerati, infine, gli effetti di questa transizione sugli strumenti di diritto privato: obbligazioni pecuniarie, strumenti di pagamento, strumenti finanziari. 1. Ritiro negoziato e ritiro unilaterale dall’euro: il problema dei Trattati. Posta la fondamentale distinzione tra l’ipotesi di un ritiro concordato di uno Stato membro dall’eurozona (ivi compreso un eventuale ritiro imposto per mancato rispetto dei parametri economici di permanenza nell’Unione monetaria, equiparabile di fatto ad un’espulsione) ed un ritiro unilaterale non negoziato, si devono da una parte ricostruire le eventuali fasi di modifica dei Trattati che permetterebbero o sancirebbero la prima ipotesi (ritiro concordato); dall’altra immaginare le possibili sanzioni nel caso di ritiro unilaterale. 1.1. Ritiro negoziato. Muovendo dalla prima ipotesi, ovvero un ritiro concordato di uno o più Stati membri dall’euro, va rilevato innanzitutto che i Trattati nulla prevedono in proposito e che come è stato ripetutamente sottolineato, il processo di realizzazione dell’Unione economica e 2 Ancor prima di citare il lungo processo durato quasi trent’anni che portò alla realizzazione dell’Unione economica e monetaria, si può solamente ricordare che nell’ultima fase, e quindi nei primi anni 2000, lo sforzo collettivo veniva convogliato al fine di assicurare che il passaggio alla moneta unica fosse una transizione fluida e senza incertezze giuridiche, in attuazione del principio di continuità per quanto riguarda gli strumenti finanziari e le obbligazioni pecuniarie. All’uopo venivano adottati importanti strumenti legislativi che definirono i vari passaggi con i quali le valute nazionali sarebbero state sostituite dalla moneta unica (In particolare per quel che riguarda l’ultima fase cfr.: Regolamento 1103/97/CE del Consiglio relativo a talune disposizioni per l’introduzione dell’euro del 17.6.1997, in G.U. L162, del 19.6.1997, p.1; Regolamento 974/98/CE del Consiglio relativo all’introduzione dell’euro del 3.5.1998, in G.U. L139 dell’11.5.1998, p.0001; Regolamento 2866/98/CE del Consiglio sui tassi di conversione tra l’euro e le monete degli Stati membri che adottano l’euro del 31.12.1998, in G.U. L359 del 31.12.1998, p.1). 2 monetaria è stato concepito come processo “irrevocabile” quando ne furono approvate le varie fasi di attuazione (come risulta dai Trattati stessi: articoli 4(2), 118, 123(4) Trattato che istituisce la Comunità Europea (Maastricht) e articolo 140(3) TFUE, nonché il Protocollo sulla transizione alla terza fase dell’Unione Economica e Monetaria). Ancora prima che dall’Unione economica e monetaria, si constatava, fino al Trattato di Lisbona, l’assenza di una esplicita clausola di ritiro anche dalla stessa Unione europea; assenza evidentemente interpretata in vario modo3. Tra le molteplici letture, ad esempio, da una parte si è sostenuto che tale assenza non escludesse la possibilità per gli Stati aderenti di esercitare un diritto di ritiro “unilaterale” dall’Unione, in quanto rientrante nell’esercizio di quella sovranità, mai ceduta, degli Stati membri4. La maggiore contestazione a tale tesi si fonda sulla rilevazione dello speciale ordinamento che si è creato con l’Unione e che implica una contrazione significativa della sovranità statale5. Opposta la lettura che riconduceva l’assenza di tale esplicita possibilità ad indice di una intenzione di attuare un processo di integrazione e unione irreversibili6. Il Trattato di Lisbona ha successivamente introdotto nel suo articolo 50 la possibilità per uno Stato membro di uscire dall’Unione europea in toto. L’articolo tuttavia non contiene disposizioni specifiche relative ai requisiti e alle condizioni di uscita per uno Stato membro che abbia adottato l’euro. Questa norma pone almeno due quesiti. Il primo è se un’uscita dall’Unione europea comporti anche un’automatica uscita dall’eurozona e dall’euro. Una risposta affermativa, su cui concorda ampia dottrina, deriva dalla lettera dello stesso articolo 50 che si riferisce a qualsiasi “Stato membro” (includendo giocoforza gli Stati appartenenti all’eurozona) e dal fatto che diverse disposizioni dei Trattati si riferiscono all’euro come alla valuta di Stati membri dell’Unione europea (articolo 128 TFUE; articolo 282 TFUE, articolo 1 Statuto del SEBC e articolo 1 Statuto della BCE)7. Muovendo quindi dalla considerazione per cui il più comprende necessariamente il meno, sembrerebbe pacifico affermare innanzitutto che una possibile, per quanto estrema, modalità di ritiro dall’euro passi attraverso l’uscita dall’Unione stessa. Data la drasticità di tale soluzione, il secondo quesito, che qui interessa maggiormente, è se l’uscita dall’Unione monetaria sia vincolata ad una contestuale uscita dall’Unione europea 3 Sul dibattito cfr. ad esempio già P.D. Dagtoglou, How Indissoluble is the Community?, in P.D. Dagtoglou (ed.), Basic Problems of the European Community, Oxford, 1975, a p. 258 e ss., per un’opinione scettica sul carattere indissolubile della Comunità; H. Smit & P. Herzog, The Law of the European Community. A Commentary on the EEC Treaty, New York, 1976, §240; N. Feinberg, Unilateral Withdrawal from an International Organization, in British Yearbook of International Law, vol.39, 1963, p.189; J.A. Hill, The European Economic Community: The Right of Member State Withdrawal, in 12 Georgia Journal of International & Comparative Law, 335,(1982); J.H.H. Weiler, Alternatives to Withdrawal from an International Organization: The Case of the European Economic Community, in Israel Law Review, vol. 20, 1985, p. 282. 4 Proprio con riferimento alla stabilità monetaria come obiettivo imposto dai Trattati, si veda la nota pronuncia del 1993 della Corte costituzionale federale tedesca (Bundesverfassungsgericht, 2 luglio1993, 204 BVerfGE 89, 155 (Ger.) in cui non si esclude che il mancato perseguimento di tale obiettivo possa autorizzare un ritiro unilaterale di uno Stato membro dall’Unione. Cfr. M. Herdegen, Maastricht and the German Constitutional Court: Constitutional Restraints for an ‘Ever Closer Union’, in 31 Common Market Law Review, 235, (1994) e H. Hofmeister, Goodbye Euro: Legal Aspects of Withdrawal from the Eurozone, in 18 Columbia Journal of European Law, 111 (2011), a p.123. 5 Orientamento costruito inter alia sulla giurisprudenza “costituzionale” della Corte di giustizia con i noti casi Van Gend en Loos c. Administratie der Belastingen (Corte di giustizia, caso C26/62 del 5 febbraio 1963, in ECR 1963/00003) e Costa c. Enel (Corte di giustizia, caso C6/64 del 15 luglio 1964, in ECR 1964/01129). 6 Cfr. la ricostruzione fatta da P. Athanassiou, Withdrawal and Expulsion from EU and EMU: some reflections, ECB Legal Working Paper Series, n.10, 2009, a p. 11 e ss. 7 Cfr. C. Proctor, The euro—fragmentation and the financial markets, in Capital Markets Law Journal, 2010, a pp.4-5. 3 (cd. approccio del “tutto o niente” fondato sulla lettera dell’articolo 140(1)TFUE (ex articoli 121(1), 122(2) Trattato UE) nonché dell’abrogato art. 123(4) Trattato EU)8. Ipotizzando che alla base di un ritiro concordato dall’euro non vi sia anche la volontà politica di uscire dall’Unione europea ai sensi dell’articolo 50 TUE, dal punto di vista procedurale e alla luce del dettato normativo in vigore, sembrerebbe non esserci ampio margine di manovra per evitare il doppio passaggio da qualcuno prospettato, di un’uscita dall’Unione ai sensi dell’articolo 50 Trattato UE seguita immediatamente da una domanda di riammissione all’Unione (ai sensi degli articoli 50 (5) e 49 TUE), ma non all’UEM9. Tale procedura, a tacer d’altro, si presenta indubbiamente macchinosa e poco efficiente in una situazione emergenziale e dai ritmi serrati tipici di una crisi valutaria. Una possibile via d’uscita, sempre e ovviamente de iure condendo, potrebbe essere quella di negoziare un ritiro dalla sola Unione monetaria con appositi Protocolli assimilabili a quelli che furono negoziati con il Regno Unito e la Danimarca, garantendo loro lo status di cd. Stati “opt-out”; oppure, ancora, quello di “declassare” lo Stato uscente allo status di “Stato membro con deroga”10. Si delinea quindi un percorso metodologico, che si tenterà di tracciare nelle brevi considerazioni che seguiranno, volto a ripercorrere a ritroso, e nei limiti del possibile in maniera speculare, il procedimento che portò alla realizzazione della cd. terza fase dell’Unione economica e monetaria11. Questo percorso è ipotizzabile tuttavia se e nei limiti in cui si sia all’interno di un procedimento di ritiro negoziato. 1.2. Ritiro non negoziato (cd. ritiro unilaterale). Lo stesso vuoto normativo che osta ad un ritiro negoziato dall’euro senza una preventiva modifica dei Trattati, impedirebbe allo stato attuale di trovare una base giuridica per un eventuale provvedimento di “espulsione” dall’euro, non essendo questa tra le sanzioni previste per il mancato rispetto dei parametri economici dell’Unione economica e monetaria e del Patto di stabilità12. Per quanto riguarda invece l’ipotesi di un ritiro unilaterale non negoziato, una prospettiva internazionalpubblicistica più volte richiamata soprattutto prima del Trattato di Lisbona e basata sulla tesi (non unanime) secondo cui il diritto comunitario si qualifica come parte del diritto internazionale pubblico, induceva a prospettare conseguenze giuridiche derivanti dalla violazione di un Trattato di diritto internazionale. 8 Cfr. H. Hofmeister, Goodbye Euro…, cit., a p.127. Sulle gravi conseguenze economiche derivanti da tale prospettiva, nonché sulla illogicità di tale soluzione (che obbligherebbe il ricorso al recesso generale dall’UE per poter uscire dall’Unione monetaria), cfr. G. Peroni, Il recesso dall’euro: una via percorribile, ma non auspicabile, in Studi sull’integrazione europea, vol.10, 2015, p.85, a p. 99 e ss. 9 Cfr. C. Proctor, The euro—fragmentation and the financial markets, cit., p.5; E. Dor, Leaving the euro zone: a user’s guide, IESEG Working Paper Series 2011-ECO-06, 2011, a p.2. 10 Ovvero il regime già previsto dagli articoli 139 e seguenti del TFUE per gli Stati che non hanno ancora raggiunto le condizioni per adottare l’euro. 11 Non è questa la sede per ripercorrere la lunga storia che ha portato alla creazione dell’Unione economica e monetaria. Sia consentito rinviare, ex multiis a R.J. Goebel, Legal Framework: European Economic and Monetary Union: Will the EMU Ever Fly?, in 4 Columbia Journal of European Law, 249, (1998); J.A. Usher, The Legal Background of the Euro, in P. Beaumont, N. Walker (eds.), Legal Framework of the Single European Currency, Oxford, 1999, p.7; J.V. Louis, A Legal and Institutional Approach for Building a Monetary Union, in 35 Common Market Law Review, 33, (1998); ID. The Economic and Monetary Union: Law and Institutions, in 41 Common Market Law Review, 575, (2004); F. Snyder, EMU- Integration and Differentiation: Metaphor for European Union, in P. Craig, G. De Búrca (eds.), The Evolution of EU Law, 2ed., Oxford, 2011, p.687. 12 Cfr. Regolamento 1466/97/CE del 7.7.1997, in G.U.L 209 del 2.8.1997, p.1, per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche. 4 La Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati13 stabilisce che un ritiro o una denuncia unilaterale di un Trattato che non prevede la possibilità di un ritiro violerebbe il principio pacta sunt servanda, salvo il verificarsi di due ipotesi riconosciute dal diritto internazionale consuetudinario. Si tratta rispettivamente dell’ipotesi di un diritto di ritiro unilaterale che possa essere dedotto dalle intenzioni delle parti contraenti o dalla natura del trattato (art. 56 Conv. Vienna), oppure dell’ipotesi in cui si possa invocare la clausola rebus sic stantibus per sopravvenuto mutamento fondamentale delle circostanze (art. 62 Conv. Vienna). Appare abbastanza pacifico che alla luce delle dichiarazioni circa il carattere “irrevocabile” del processo di realizzazione dell’Unione economica e monetaria14, il primo presupposto non sia invocabile –in particolare con riferimento all’ipotesi di sola uscita dall’euro– senza secessione dall’Unione europea15. Anche l’eccezione basata sulla clausola rebus sic stantibus pone tuttavia non pochi problemi; si consideri in particolare il rischio di instabilità di un Trattato di natura fortemente “costituzionale” quale quello comunitario16. Va rilevato d’altra parte, che non tutta la dottrina concorda sul fatto che la Convenzione di Vienna sia applicabile al Trattato dell’Unione Europea, soprattutto alla luce dei principi di diritto comunitario consolidatisi da Van Gend en Loos17 e Costa c. Enel18 in poi, che avrebbero contribuito a creare un autonomo ordine giuridico19. Vanno considerate infine, le possibili sanzioni contro uno Stato che decida un ritiro unilaterale di questo tipo. Dato che anche in questo caso le istituzioni comunitarie e gli Stati membri restanti si muoverebbero in assenza di dettati normativi specifici sul punto (ed in assenza di specifiche sanzioni), non è impensabile che possa esserci una sanzione di carattere politico più che giuridico. Si è ipotizzato che tra le sanzioni di fatto si potrebbe inter alia comprendere anche il mancato riconoscimento della “nuova” valuta dello Stato uscente e di tutti i provvedimenti di politica monetaria che la accompagnerebbero20. In seguito al Trattato di Lisbona, queste tesi sono state in parte rimesse in discussione, posto che proprio il citato articolo 50 del Trattato sull’Unione europea costituisce una clausola che autorizza esplicitamente per la prima volta il ritiro dall’Unione21. Il fatto che la norma preveda che sia negoziato un accordo per il ritiro non esclude, secondo alcuni, la sostanza di un recesso unilaterale, in cui i citati accordi servono soprattutto a 13 Firmata a Vienna il 23 maggio1969 in UN, Treaty Series, Vol. 1155, 331. Cfr. Articoli 4(2), 118, 123(4) Trattato che istituisce la Comunità Europea (Maastricht); articolo 140 (3) TFUE; Protocollo sulla transizione alla terza fase dell’Unione Economica e Monetaria. 15 Cfr. H. S. Scott, When the Euro Falls Apart- a Sequel, Harvard Public Law Working Paper No. 12-16, 2012, a p. 10; P. Athanassiou, Withdrawal and Expulsion from EU and EMU: some reflections, cit., a p.13; J.C. Dammann, The Right to Leave the Eurozone, cit., a p. 134. 16 Cfr. H. Smit & P. Herzog, The Law of the European Community. A Commentary on the EEC Treaty, cit., §240.05(c), sulla creazione, da parte dei Trattati, di un sistema “chiuso” e non dipendente sulle regole generali del diritto internazionale pubblico; cfr. anche B. Beutler, R. Bieber, J. Pipkorn, J. Streil, J. H.H. Weiler, L’Unione europea. Istituzioni, ordinamento e politiche, 2ed., Bologna, 2001, pp.53-54. 17 Cfr. supra, n.10. 18 Cfr. supra, n.10. 19 Cfr. P. Athanassiou, Withdrawal and Expulsion from EU and EMU: some reflections, cit., a p. 15; H.S. Scott, When the Euro Falls Apart…, cit., a p.7-8. 20 Con particolare riferimento alla “sorte” degli strumenti monetari e le obbligazioni ridenominate nella nuova valuta, cfr. infra, sub §4. 21 Come già sottolineato e senza poter riportare qui gli estremi di un dibattito molto ampio, la dottrina non escludeva in precedenza la possibilità per uno Stato di decidere un recesso unilaterale dall’Unione, posta la tesi di un mantenimento della propria sovranità e alle condizioni previste dalla Convenzione di Vienna. Storicamente si segnalano i casi di secessione dell’Algeria nel 1962 (parte della CEE fino all’indipendenza dalla Francia nello stesso anno) e della Groenlandia nel 1984. Secondo diverse pronunce emesse da Corti costituzionali nazionali, lo stesso articolo 50 Trattato UE costituisce la conferma implicita che gli Stati membri rimangano i ‘padroni dei Trattati’. Cfr. A.F. Tatham, ‘Don’t Mention Divorce at the Wedding, Darling!’: EU Accession and Withdrawal after Lisbon, in A. Biondi, P. Eeckhout, S. Ripley, EU Law after Lisbon, Oxford, 2012, a p.148. 14 5 regolare le “pendenze” dovute al ritiro22. Questa tesi muove dalle disposizioni di cui al 1° e 3° comma dell’articolo 50 TUE. Il primo comma dispone infatti che la decisione del recesso di uno Stato membro avvenga “conformemente alle proprie norme costituzionali”; mentre il 3° comma dello stesso articolo, in mancanza di accordo, fa salva la cessazione della applicabilità dei Trattati allo Stato interessato al recesso trascorsi “due anni dopo la notifica” al Consiglio europeo23. Con specifico riferimento all’Unione economica e monetaria, l’articolo 50 TUE apre così la via al già segnalato quesito se in tal caso debba prevalere il principio del “tutto o niente” secondo cui per uscire dall’euro sia necessario uscire dall’Unione europea (vd. supra). Infine, l’incertezza legata all’assenza di regole in materia di uscita dall’Unione monetaria è stata esaminata anche da un punto di vista più generale. Si è infatti sostenuto che l’assenza di regole che permettano di uscire dall’euro (con le reiterate dichiarazioni politiche sul carattere irrevocabile dell’Unione monetaria) possono aver costituito una sorta di garanzia implicita da parte degli Stati facenti parte dell’Unione di adottare ogni provvedimento necessario al fine di evitare che uno Stato membro decida un abbandono unilaterale24. Tale garanzia implicita avrebbe dunque contribuito ad incentivare un atteggiamento di moral hazard sia da parte degli Stati, che da parte dei mercati (testimoniato ad esempio dal fatto di considerare allo stesso modo i titoli di stato di paesi con bilanci fortemente differenziati, con conseguente riduzione nella disciplina del mercato, abbassamento dei tassi di interesse ed una maggior facilità di accesso al credito che a loro volta hanno incentivato politiche fiscali eccessivamente permissive)25. E’ anche alla luce di ciò che utilizzando diversi modelli di teoria dei giochi si dimostra come l’adozione di specifiche “regole di uscita” dall’euro possa alterare gli equilibri all’interno dell’Eurozona tra Stati membri cd. “centrali” (economicamente saldi e con debito pubblico sostenibile) e Stati cd. “periferici” (caratterizzati da deficit di bilancio e forte debito pubblico). La mera esistenza di exit rules potrebbe mitigare gli effetti di un comportamento di brinkmanship da parte degli Stati “periferici” e contribuire in tal modo a mantenere la stabilità dell’unione monetaria26. Viene quindi ipotizzato che la semplice vigenza di una regola/procedura che permetta di uscire dall’euro, ancora prima che ne venga analizzato il contenuto, possa di per se disincentivare la pressione politica in favore dell’abbandono. Questa tesi si basa sulle considerazioni che: a) l’esistenza di regole di uscita neutralizzerebbe gli effetti derivanti dalla “garanzia implicita” di permanenza nell’eurozona ed i conseguenti citati effetti del moral hazard che ne derivano; b) le regole di uscita faciliterebbero l’approvazione di una più rigorosa politica fiscale interna agli Stati membri, in quanto la presenza di un’opzione di 22 Cfr. F.G. Pizzetti, Revisione dei Trattati fondativi ed accesso e recesso dall’Unione europea, in P. Bilancia, M. D’Amico, La nuova Europa dopo il Trattato di Lisbona, Milano, 2009, a p. 201-202; J. Herbst, Observations on the Right to Withdraw from the European Union: Who are the “Masters of the Treaty”?, in German Law Journal, vol 6, 2005, 1755, a p.1757. A.F. Tatham, Don’t Mention Divorce…, cit., a p. 152. 23 P. Athanassiou, Withdrawal and Expulsion from EU and EMU: some reflections, cit., a p. 24; J. Herbst, loc. ult. cit.; R. Smits, The European Constitution and EMU: An Appraisal, in 42 Common Market Law Review 425, (2005), a p. 464-5. 24 Si consideri anche l’articolo 125 TFUE (la c.d. no bail out clause), la cui presenza se da un lato sembra finalizzata proprio a scoraggiare aspettative di soccorso da parte di uno Stato in difficoltà, dall’altro ha dato prova di non essere strumento sanzionatorio sufficiente per incentivare il rispetto dei parametri di gestione delle finanze pubbliche concordate all’interno dell’Unione monetaria. Sul punto cfr. S. Cafaro, L’azione della BCE nella crisi dell’area euro alla luce del diritto dell’Unione europea, in G. Adinolfi, M. Vellano (cur.), La crisi del debito sovrano degli stati dell’area euro. Profili giuridici, Torino, 2013, a pp.51-53. Cfr. anche M.L. Tufano, Il principio del no bail-out nel diritto comunitario, in Il diritto dell’Unione europea, 2002, p.505 ss. 25 C. Fahrholz, C. Wójcik, The Eurozone Needs Exit Rules, CESifo Working Paper n. 3845, 2012, a p.17; M.J. Herdegen, Price Stability and Budgetary Restraints in the Economic and Monetary Union: The Law as Guardian of Economic Wisdom, in 35 Common Market Law Review 9, (1998), a p.26; F.P. Mongelli, The Mutating Euro Area Crisis. Is the Balance between ‘Sceptics’ and ‘Advocates’ Shifting?, cit., a p.16. 26 C. Fahrholz, C. Wójcik, The Eurozone Needs Exit Rules, cit., a p. 15. 6 uscita permetterebbe di misurare e percepire i costi di adeguamento fiscale a breve termine di una secessione e, di renderli noti all’opinione pubblica; c) i costi dell’attuale incertezza giuridica circa una possibile uscita dall’euro (con modi ed effetti distributivi solamente ipotizzabili) che si riversano sui mercati creando speculazione, verrebbero fortemente ridotti27. L’opportunità di stabilire delle exit rules, con la conseguente possibilità di bilanciarne gli effetti concreti preventivamente, si confermerebbe, mutatis mutandis, anche nell’ipotesi in cui a premere per un’uscita non sia uno Stato in difficoltà, bensì uno Stato “centrale”, non più disposto ad accollarsi i costi ed i compromessi derivanti dalla perdita di sovranità sulla propria politica monetaria ed economica. 2. Retromarcia a metà? Dall’euro alla “seconda fase” dell’Unione economica e monetaria? Tornando ad esaminare i potenziali strumenti a disposizione per concordare un’uscita negoziata dall’euro, si è già segnalata l’opzione metodologica che porterebbe al percorso a ritroso rispetto a quello che ha condotto alla realizzazione della cd. terza fase dell’Unione economica (percorso che evidentemente presuppone che l’uscita dall’euro non comporti anche un’uscita definitiva dall’UE). Ciò permetterebbe di avvalersi delle regole e delle prassi create in quella fase complessa, tra cui si segnala l’esistenza di almeno due diverse categorie di Stati membri non aderenti all’UEM: i cd. Stati membri con deroga ed i cd. Stati membri “opt-out”. Si possono dunque immaginare innanzitutto dei meccanismi che riportino uno Stato membro che si ritiri dall’euro alla cosiddetta “seconda fase” dell’UEM, ed in particolare a quel regime già previsto dagli articoli 139 e seguenti del TFUE per i cd. “Stati membri con deroga” che non hanno raggiunto le condizioni per adottare l’euro. Queste norme potrebbero ad esempio essere integrate permettendo al Consiglio di estendere la loro portata anche a quegli Stati membri già entrati a far parte dell’euro e che successivamente non soddisfino più i parametri dell’UEM. Diversa è invece l’opzione di equipararne lo status (previa stipula di appositi protocolli) a quello degli Stati membri che pur appartenendo all’UE hanno scelto di rimanere fuori dall’euro fin dall’inizio (i.e. Regno Unito e Danimarca, cui si è aggiunta de facto la Svezia in seguito ad un referendum nel 2003). E’ stata ad esempio sottolineata l’opportunità in tale ipotesi di mantenere ferma la partecipazione di uno Stato uscente al meccanismo dell’ERM II (European Exchange Rate Mechanism)28. Tale partecipazione (opzione più che mai necessaria in una fase delicata di transizione monetaria) permetterebbe di evitare un’eccessiva speculazione sui tassi di cambio (per quanto l’esperienza passata abbia dimostrato la fragilità degli strumenti a disposizione dell’ERM per difendere una valuta da un attacco speculativo29). La permanenza nel meccanismo dell’ERM (definito una sorta di “purgatorio”30) permetterebbe eventualmente persino un successivo rientro, una volta ritrovate le condizioni, nel sistema dell’Unione monetaria. E tuttavia l’alternativa di equiparare ipoteticamente uno Stato uscente dall’euro ai cd. Stati membri con deroga o invece equipararlo ai cd. Stati membri “opt out” implica conseguenze 27 C. Fahrholz, C. Wójcik, The Eurozone Needs Exit Rules, cit., a p. 19. H.S. Scott, When the Euro Falls Apart…, cit., a p. 33-34. 29 Il riferimento è ai ben noti fatti del Black Wednesday del 1992 e dei successivi attacchi ed effetti anche sulla lira italiana. 30 H. S. Scott, When the Euro Falls Apart…, cit., a p. 4. 28 7 ben diverse, soprattutto per quanto riguarda i successivi vincoli in materia di provvedimenti di politica monetaria attuabili. La scelta (e la riflessione è evidentemente condizionata dalla considerazione di quelle che sono le regole attualmente applicabili) si rende necessaria soprattutto alla luce di un monitoraggio relativo al rispetto dei cd. criteri di convergenza (ovvero il raggiungimento di un alto grado di stabilità dei prezzi; la sostenibilità della situazione della finanza pubblica; il rispetto dei margini normali di fluttuazione previsti dal meccanismo di cambio del Sistema monetario europeo per almeno due anni, senza svalutazioni nei confronti dell'euro; i livelli dei tassi di interesse a lungo termine che riflettano la stabilità della convergenza raggiunta dallo Stato membro con deroga e della sua partecipazione al meccanismo di cambio)31. Se lo status di uno Stato ritiratosi dall’euro venisse considerato alla stregua di uno “Stato membro con deroga”, da un lato, una volta raggiunti, i criteri sembrerebbero implicare una “automatica” ammissione (e dunque, in questa ipotesi, ri-ammissione) all’Unione economica e monetaria32. Dall’altro, imponendo vincoli di bilancio e di politica monetaria potrebbero in parte impedire quel risanamento e riacquisizione di competitività da molti invocata, necessaria per ridare “fiato” alle economie fortemente compromesse proprio dai rigori dei patti europei (è pur vero che i cd. Stati membri con deroga, ai sensi dell’articolo 139(2)(b) TFUE, non sono sottoposti alle misure coercitive necessarie per rimediare a disavanzi pubblici eccessivi previsti dall’articolo 126(9) e (11)TFUE). Da questo punto di vista, il fatto che gli obblighi e lo statuto degli Stati membri cd. “opt out” siano stati negoziati con appositi e distinti Protocolli (diversi sono infatti gli obblighi del Regno Unito rispetto a quelli della Danimarca33) potrebbe quindi suggerire l’adozione di una qualifica che permetta di cucire uno status ad hoc e che escluda, soprattutto, ogni automatismo per quanto riguarda il ripristino di una procedura di ammissione (che resta, nonostante la lettera dell’articolo 140(3) TFUE, una decisione prettamente politica, come testimoniato dalla complessa procedura di ammissione prevista dalla stessa norma). Rimane da segnalare una considerazione di ordine generale relativa alla scelta di ammettere e di negoziare dei ritiri “su misura” per uno Stato membro che si voglia ritirare dall’euro. Se da una parte questa sembra costituire lo strumento più efficiente per regolamentare una serie di questioni finora inedite (si immagini, per citarne una, la questione relativa alle modalità di partecipazione di uno Stato uscente al Sistema delle banche centrali europee), dall’altra si creerebbe un pericoloso precedente per quel che riguarda la costruzione di un’Europa à la carte (timore già segnalato da alcuni osservatori di fronte al nuovo articolo 50 inserito nel Trattato dell’Unione dopo Lisbona). Il dato qui forse più spinoso, rispetto ad altri settori della politica comunitaria, è che la politica monetaria, specialmente laddove svincolata da un quadro normativo o pattizio noto, sia particolarmente sensibile alle pressioni dei mercati; questi a loro volta non accolgono certo con favore scenari di lunghe trattative politiche volte a fissare regole di esclusione o di appartenenza (e nel caso con regole nuove), a sistemi valutari articolati. Non va nemmeno sottovalutato, e qui si tratta di questione prettamente politica, il possibile utilizzo della minaccia di uscita dall’euro quale strumento di ricatto da parte di Stati membri in difficoltà (per ottenere misure di rinegoziazione del debito ad esempio) o da parti di Stati membri “centrali” (per imporre misure di rigore economico) e, dei possibili effetti di brinkmanship dovuti al danno di immagine innegabile (che ci concretizza in uno Stato che 31 Articolo 140 (1), TFUE, (ex articolo 109e Trattato CE); i criteri, oltre che nel Trattato furono specificati nell’apposito Protocollo sui criteri di Convergenza del 16.12. 2004, in G.U, 2004 (C310) 339. 32 Cfr. Articolo 140(3) TFUE. 33 Cfr. Protocollo (n.15) su talune disposizioni relative al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, in G.U. C3261 del 26.10.2012, p.284 (versione consolidata Trattato UE); Protocollo (n.16) su talune disposizioni relative alla Danimarca, in G.U. C326 del 26.10.2012, p.287 (versione consolidata Trattato UE); e H. Hofmeister, Goodbye Euro: Legal Aspects of Withdrawal from the Eurozone, cit. a p. 119). 8 esce dalla moneta unica) legato ad un pur parziale fallimento del progetto monetario europeo34. 2.1. Alcuni provvedimenti di politica monetaria. E’ evidente che per la complessità, nonché per le importanti conseguenze di natura economica, un ritiro concordato dovrebbe necessariamente prevedere l’adozione di una serie di misure di carattere preventivo, pena il rischio dell’acuirsi di una crisi monetaria laddove sia questa alla base della decisione di un ritiro, nonché il rischio di scatenare una potenzialmente contagiosa crisi di liquidità nel paese uscente. Tali conseguenze strettamente monetarie potrebbero in ultima istanza indurre all’adozione di misure legislative integranti gli estremi di violazioni del diritto comunitario. Si immagini una “fuga di capitali” dallo Stato uscente verso i paesi ancora appartenenti all’eurozona (dovuta al timore più che giustificato che la “nuova” valuta adottata nello Stato uscente divenga una valuta debole nei confronti dell’euro), nell’ipotesi in cui l’uscita dalla moneta unica sia stata determinata da un fallimento o mancato rispetto dei parametri economici. In questa ipotesi, non è inverosimile che lo Stato uscente possa varare delle misure legislative atte ad impedire o a frenare la fuoriuscita di capitali dai propri confini35; misure che si porrebbero in contrasto tuttavia con le previsioni del Trattato in materia di libera circolazione di capitali (e con lo stesso acquis in materia che impone, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, una lettura restrittiva delle possibili eccezioni all’art. 63 TFUE)36. Altra questione di carattere prettamente economico ed a cui qui non si può che fare brevissimo cenno riguarda le conseguenze di un ritiro dall’euro sugli obblighi di politica economica e sul rispetto dei parametri posti dal Patto di stabilità e le sue successive modifiche ed integrazioni37. La questione dipende inter alia dalla natura dell’uscita dall’euro, ed in 34 Sui possibili effetti che esplicite regole di uscita dall’euro potrebbero avere in questi rapporti di forza si è già detto supra sub §1. Sull’applicazione in generale della teoria dei giochi alla minaccia di ritiro dall’Unione ai sensi dell’articolo 50 del Trattato UE (ed in confronto con il bilanciamento precedentemente richiesto dalle procedure di decisione all’unanimità): S. Lechner and R. Ohr, The right of withdrawal in the Treaty of Lisbon: a game theoretic reflection on different decision processes in the EU, in European Journal of Law and Economics, vol.31, 2011, p. 357. 35 I.e., inter alia, misure volte a congelare i conti correnti nazionali ridenominati nella nuova valuta nazionale, forti restrizioni all’apertura di conti correnti all’estero, etc. Cfr. E. Dor, Leaving the euro zone: a user’s guide, cit. a p. 7. 36 Cfr. H.S.Scott, When the Euro Falls Apart…, cit., p.13. 37 Cfr. sul Patto di stabilità il Regolamento CE n. 1466/97 del Consiglio del 7.7.1997, in GU L209 del 2.8.1997, p. 1, per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche, ed il Regolamento CE n.1467/97 del Consiglio del 7.7.1997, in G.U. L 209, del 2.8.1997, p.6, per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi, emendati nel 2005 rispettivamente dai Regolamenti CE n. 1055/2005 del 27.6.2005, in G.U. L 174 del 7.7.2005, p.1, e n. 1056/2005 del 27.6.2005, in G.U. L 174 del 7.7.2005, p.5. Il PSC è stato successivamente emendato nel 2011 dal Regolamento UE n.1173/2011 del 16.11.2011, in G.U. L 306 del 23.11.2011, p.1, relativo all’effettiva esecuzione della sorveglianza di bilancio nella zona euro, dal Regolamento UE n. 1175/2011 del 16.11.2011 in G.U. L 306, del 23.11.2011, p.33, recante modifiche al Regolamento CE n. 1466/97, dal Regolamento UE n. 1177/2011 del 8.11.2011, in G.U. L 306, del 23.11.2011, p.33, recante modifiche al Regolamento CE n.1467/97, dalla Direttiva n. 2011/85/UE del 8.11.2011, in G.U. L 306, del 23.11.2011, p.41, relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri (cd. provvedimenti del Six Pack) e nel 2013 dal Regolamento UE n.472/2013 del 21.5.2013, in G.U. L 140, del 27.5.2013, p.1, sul rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri nella zona euro che si trovano o rischiano di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria e dal Regolamento UE n.473/2013 del 21.5.2013, in G.U. L 140, del 27.5.2013, p.11, sulle disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti programmatici di bilancio e per la correzione dei disavanzi eccessivi negli Stati membri della zona euro (cd. provvedimenti del Two Pack). Si veda anche il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’unione economica e monetaria (TSCG) del 2012, nonché l’istituzione, per far fronte alle 9 particolare se questa è dettata dalla necessità di permettere il risanamento di una crisi economica ma in un’ottica di transitorietà38, (nel qual caso il rispetto dei parametri potrebbe avere indubbio peso), oppure se la scelta è di natura più prettamente politica ed implicante una prospettiva di definitività39. 3. Ritiro dall’euro e obbligazioni pecuniarie: ridenominazione, strumenti di pagamento, sistemi di pagamento. Sotto il profilo di diritto privato, vanno considerati i parametri di conversione alla “nuova” (o di ritorno alla “vecchia”) valuta nazionale di uno Stato membro uscente, con il conseguente problema della sorte degli strumenti finanziari e delle obbligazioni e dei pagamenti denominati in euro ed in scadenza o maturati dopo il ritiro dalla moneta unica. Nell’ipotesi di un ritiro concordato è verosimile immaginare che venga adottata apposita legislazione nazionale, al pari dei regolamenti comunitari che al momento dell’introduzione dell’euro esplicitarono il principio della continuità dei contratti e fissarono i tassi di conversione “irrevocabili”, decretando l’automatica ridenominazione in euro delle obbligazioni e degli strumenti finanziari espressi in valuta nazionale. Quando si trattò di dare attuazione alla fase finale di passaggio all’euro questi provvedimenti legislativi esplicarono da un lato un’importante funzione di certezza fortemente richiesta dai mercati (in particolare da quelli statunitensi40); dall’altro permisero il richiamo pacifico all’applicazione dei provvedimenti generali in tema di cessazione/cambio del corso legale di una valuta (esempio per tutti: l’articolo 1277, 2 comma, c.c.)41. difficoltà causate dalla crisi economica e finanziaria, di appositi meccanismi quali il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria, il Fondo europeo di stabilità finanziaria, il Meccanismo europeo di stabilità. (Su questi ultimi cfr. G.M. Ruotolo, La costituzione economica dell’Unione europea al tempo della crisi globale, cit., a pp. 448-451). Sono diverse le proposte di introduzione di vincoli alternativi al Patto di stabilità per l’area dell’euro. Si segnala ad esempio la proposta di inserire garanzie incrociate per i titoli di stato in cui il debito pubblico superi il PIL oltre una certa soglia, e la cui emissione richiederebbe comunque un vaglio formale da parte delle autorità dell’eurozona (H. S. Scott, When the Euro falls apart, cit, p.4). Cfr., per una rassegna di qualche tempo fa delle diverse proposte di riforma, L. Jonung, M. Larch, J. Fischer, 101 Proposals to Reform the Stability and Growth Pact. Why So Many? A Survey, European Economy. Economic Papers n.267, 2006; J.V. Louis, The Review of the Stability and Growth Pact, in 43 Common Market Law Review, 85, (2006). 38 Alcuni analisti considerano il ritiro dall’euro come un mezzo che permetterebbe una politica di riduzione del debito attraverso una sua ridenominazione (nella nuova valuta), invece che attraverso una sua ristrutturazione: una tecnica che permetterebbe di spalmare gli effetti della riduzione del debito in maniera generalizzata tra creditori pubblici e privati e senza necessità di una individuale rinegoziazione del debito con i singoli debitori (evitando ulteriori costi di transazione) ed evitando il rischio di un contenzioso promosso dai cd. creditori holdout (solitamente fondi speculativi che avendo acquistato titoli di debito pubblico a prezzi fortemente ribassati rifiutano successivamente gli accordi di ristrutturazione e avviano successivamente azioni legali per il recupero del valore nominale delle obbligazioni). Cfr. H. S. Scott, When the Euro falls apart, cit., a p. 3 e a p.42. 39 Sul punto si veda G. Peroni, Il recesso dall’euro: una via percorribile, ma non auspicabile”, cit., a p. 86 e ss., il quale evidenzia come il riconoscimento di un’uscita dall’euro e l’equiparazione degli Stati fuoriusciti ai cd. Stati con deroga, permetterebbe di essere esonerati non solo dalle norme conseguenti all’adozione della moneta unica (i.e. la procedura di cui all’art. 126(9) e (11) TFUE già segnalata supra) ma anche dal rispetto delle norme della cd. disciplina europea di bilancio, comprensiva del Patto di stabilità e crescita e dalle sue modifiche, approvate proprio per far fronte alla crisi economico-finanziaria tuttora in corso. 40 Cfr. N. Lenihan, The Legal Implications of the European Monetary Union under U.S. and New York Law, in Economic Papers, European Commission Directorate-General for Economic and Financial Affairs, 1998, n.126; J. A. Usher, The Legal Background of the Euro, in SEW, 1, 1999, 12. 41 In un processo di “uscita” tuttavia, a differenza di quanto venne fissato con il Regolamento 974/98/CE del 3 maggio 1998, in G.U. L 139 dell’11.5.1998, p.1, relativo all’introduzione dell’euro, ed il Regolamento 2866/98/CE del 31.12.1998, in G.U. L 359 del 31.12.1998, p.1, sui tassi di conversione tra l’euro e le monete degli Stati membri che adottano l’euro, che congelarono i tassi di cambio tra l’euro e le vecchie valute nazionali, la contestuale coesistenza della valuta sostituita (euro), impedisce che i tassi di cambio possano essere bloccati a 10 Ipotizzando quindi, evidentemente ancora una volta de iure condendo, che venga emanata apposita legislazione che fissi “a ritroso” i nuovi passaggi di cambio, vanno esaminate da una parte quelle che potrebbero essere le caratteristiche della legislazione ad hoc; dall’altra, va analizzata quale sorte spetterebbe ai debiti ed agli strumenti emanati vigente l’euro come valuta “nazionale” e con scadenza in uno scenario futuro post-euro. La questione principale relativa alla ipotetica legislazione nazionale di introduzione della nuova valuta in sostituzione dell’euro è se sia o meno opportuno prevedere un’automatica ridenominazione di tutte le obbligazioni e di tutti gli strumenti finanziari precedentemente denominati in euro. Che tale quesito non sia del tutto pleonastico lo si può evincere ripercorrendo ancora una volta a ritroso il processo che portò alla realizzazione della terza ed ultima fase dell’Unione economica e monetaria. Sotto la pressione principalmente dei mercati, le istituzioni comunitarie adottarono apposito strumento legislativo (Regolamento n.1103/97/CE) per ribadire il principio della continuità dei contratti (pur facendo salva la diversa stipulazione contrattuale delle parti42). In quella particolare congiuntura, la necessità di tale espressa sanzione del principio si fondava sul timore che in sua assenza, all’adozione dell’euro potesse seguire ampio contenzioso davanti alle corti nazionali per chiedere la rinegoziazione dei debiti in base ai principi del sopravvenuto mutamento delle circostanze al momento dell’adempimento (istituto riscontrabile – seppur con discipline diverse – in molti ordinamenti giuridici: si pensi ad esempio alla Wegfall der Geschäftsgrundlage, all’imprévision, alla frustration, alla commercial impracticability, alla risoluzione per eccessiva onerosità). Che tale provvedimento sia stato frutto di eccessiva ed inutile cautela o che sia stato proprio grazie alla sua approvazione, resta il dato che la temuta ondata di ricorsi non ci fu. Assai diversa si prospetta l’ipotesi di un ritiro dall’euro a causa di un dissesto economico, seguito dal ripristino di una nuova valuta nazionale, la cui probabilità di essere fortemente deprezzata sull’euro rimane verosimilmente alta. Che possa esserci, qui sì, ampio contenzioso da parte di creditori che rifiutano di accettare moneta deprezzata in pagamento, facendo leva sulle dottrine della clausola rebus sic stantibus contrattuale nelle sue varie declinazioni nazionali e/o come teorizzato da qualcuno in base alle norme costituzionali a protezione della proprietà43, potrebbe indurre ad una certa cautela nell’applicare una automatica ridenominazione delle obbligazioni e degli strumenti di uno Stato uscente dall’euro. Rispetto alle ipotesi (storicamente avvenute) di un cambiamento nella valuta di uno Stato, che comporta l’estinzione della valuta originaria in favore della nuova con conseguente conversione di ogni obbligazione secondo il tasso di cambio fissato al momento del passaggio di valuta (il cd. recurrent link), l’ipotesi dell’uscita di un solo Stato da un’Unione monetaria che rimane in vigore introduce delle variabili aggiuntive. Trattasi, nello specifico, della possibilità che la nuova valuta, nonostante la fissazione di un recurrent link con la valuta dell’Unione al momento dell’uscita, continui ad oscillare nel suo tasso di cambio con la moneta comune, proprio in considerazione del fatto che questa continua a circolare come valuta per gli altri Stati ancora aderenti all’Unione monetaria44. Evidentemente, la diversa disciplina (laddove prevista, i.e. nel codice italiano agli artt. 1277, c.2 c.c. e 1278 c.c., nel BGB tedesco ai §§ 245 e 244, nel codice civile portoghese agli artt. 556 e 558, per citarne alcuni) in tema di debito contratto in una moneta non avente più corso legale al tempo del pagamento e, debito di somma di moneta non avente corso legale nello tempo indefinito; è dunque verosimile immaginare che la legislazione nazionale di adozione della nuova valuta in sostituzione dell’euro possa sì decretare il principio di continuità dei contratti, utilizzando un tasso di conversione determinato nel giorno del passaggio (il recurrent link), ma tale tasso di cambio potrà evidentemente oscillare contro il valore della moneta europea (così come contro il valore di altre valute) nel futuro. 42 Art. 3 Reg.1103/97/CE del 17.6.1997, in G.U. L 162 del 19.6.97, p.1. 43 H. S. Scott, When the Euro Falls Apart, cit., a p. 25-26. 44 Cfr. C. Protcor, Mann on Legal Aspect of Money, 6ed., Oxford, 2005, a p. 777. 11 Stato (ab origine dunque), limiterebbe la facoltà di scelta del debitore nel pretendere la liberazione attraverso il pagamento nella moneta non più esistente nello Stato ma ancora circolante come valuta esterna (pretesa ovviamente dettata da un calcolo sul cambio più favorevole). Ove manchi questa distinzione ed in assenza di un provvedimento imperativo di ridenominazione automatica di tutte le obbligazioni ancora esigibili nella nuova valuta nazionale, nulla impedirebbe di considerare queste obbligazioni alla stregua di obbligazioni in valuta estera, lasciando di conseguenza che la facultas solutionis relativa alla moneta di pagamento (in capo al debitore) oscilli in linea con il tasso di cambio sostanziale tra vecchia e nuova valuta, indipendentemente da ciò che è stato fissato attraverso il recurrent link al momento dell’uscita dall’unione monetaria. Presupposto sotteso a questa opzione di scelta è che la facultas solutionis per le obbligazioni in valuta estera sia ammissibile per la lex monetae e per la lex obligationis 45. Delle due quindi l’una: o si decreta attraverso apposita legislazione nazionale una ridenominazione automatica di tutte le obbligazioni precedentemente in euro nella nuova valuta dello Stato uscente (provvedimento rientrante nella lex monetae dello stesso Stato) con il rischio di aprire un ampio contenzioso da parte di creditori restii ad accettare il pagamento nella nuova valuta dello Stato uscente; oppure tale automatismo non viene adottato, con la conseguenza che qualche creditore o debitore potrebbe considerare la propria obbligazione al pari di un’obbligazione denominata in moneta estera e pretendere dunque, in linea con la disciplina in tema di obbligazioni in valuta non avente corso legale nello stato, di poter scegliere la valuta di adempimento. Le conseguenze di tale scelta possono essere più agevolmente comprese se si considerano, come si anticipava poc’anzi, le sorti dei debiti e degli strumenti denominati in quello che era al momento la valuta legale (l’euro) in un determinato Stato, ma con scadenza fissata dopo l’ipotizzata introduzione di una nuova valuta nazionale. Se la regola generale impone di identificare quale sia la lex monetae che governa l’obbligazione e di applicarvi di conseguenza le vicende della valuta stessa (ivi compresa una sua modifica con conversione a nuova moneta)46, nella pratica non sempre tale identificazione 45 Tale disciplina è espressamente prevista dal codice tedesco che al §244 del BGB ammette la facultas solutionis per i debiti espressi in valuta diversa dall’euro ed impone la conversione al momento del pagamento al tasso di cambio in vigore nel luogo di pagamento; lo stesso ammettono inoltre il codice civile spagnolo all’art. 1170, c.1; il codice civile greco all’art. 291; il codice civile portoghese all’art. 558. Così non avviene invece per il diritto francese: il Code civil agli artt. 1895-1897 non prevede questa distinzione relativa alla moneta non avente corso legale e impone (apparentemente senza facoltà di scelta) il pagamento nella valuta avente corso legale al momento del pagamento. Famosa la cd. jurisprudence Matter (formulata dall’omonimo procuratore generale nell'affaire Pélissier du Besset (Civ. 17 mai 1927, D.P. 1928 I. 25, nota di Henri Capitant)) che vietava, eccezion fatta per i “contratti commerciali internazionali” l’uso delle clausole monetarie in valuta estera attraverso il requisito della cd. indexation interne. Il parziale superamento per via giurisprudenziale alle fine degli anni ’50 di questo divieto (cfr. Cassation Civ. I, 27 juin 1957, Guyot, J.C.P. G., 1957, 2, 10093bis, D., 1957, 649) venne invece riaffermato con rigidità attraverso provvedimenti ad hoc del legislatore francese (Ordonnance n° 58-1374 du 30 décembre 1958 e Ordonnance n° 59-246 du 4 février 1959, (modificatrice della prima)) che ribadivano la necessità della cd. indexation interne; orientamento tuttora vigente e testimoniato dalla sostituzione delle Ordinanze menzionate con l’art. L112-1 del Code monétaire et financier). Simile a quella francese è la disciplina polacca, ai sensi del art. 358, §1 del codice civile. 46 La lex monetae costituisce infatti un criterio per identificare la legge applicabile alle obbligazioni pecuniarie; il principio, di diretta derivazione dalle cd. teorie statualiste della moneta (che trova nell’opera di G.F. Knapp, Staatliche Theorie Des Geldes, (München- Leipzig, 1918) una tra le più note formulazioni), implica che la scelta di denominare l’oggetto dell’obbligazione (la somma dedotta in pagamento) in una determinata valuta comporta la soggezione dell’obbligazione a tutte le vicende monetarie della stessa valuta. Si ricorda l’importante riconoscimento di questo principio nel famoso caso cd. Serbian and Brazilian Loans, deciso dalla Corte permanente di giustizia internazionale nel 1929 (Permanent Court of International Justice, Serbian and Brazilian Loans Case, PCIJ, Ser. A., No. 20, 1929) Cfr. C. Proctor The euro—fragmentation and the financial markets, cit., a p. 13. 12 appare agevole (la stessa portata della nozione di lex monetae storicamente ha ricevuto interpretazioni tutt’altro che omogenee, arrivando per esempio a comprendere elementi – quali la questione della ammissibilità delle clausole monetarie – attinenti per la verità alla disciplina dell’obbligazione (la cd. lex obligationis)47). Si pensi poi nello specifico all’ipotesi qui particolarmente indicativa di un’obbligazione denominata in una valuta comune (i.e. euro), successivamente sostituita in un solo Stato da una nuova moneta nazionale. Potrebbero quindi diventare determinanti alcuni elementi relativi alla lex obligationis, tra cui il tipo di obbligazione, l’identificazione delle parti (i.e. il luogo di residenza del debitore) e, il luogo di adempimento. Applicando quindi i criteri generali previsti dall’art. 4(2) e 12(1)(a) e (b) del Regolamento 593/2008/CE sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I)48), ed alcune presunzioni derivanti dagli usi dei mercati (tra cui la presunzione secondo cui uno Stato contratta utilizzando la propria moneta e conseguente lex monetae; quella secondo il regolamento di titoli che sono stati quotati in una determinata piazza d’affari viene fatto nella valuta dove ha sede quella borsa; e quella secondo cui in assenza di esplicita scelta delle parti della legge applicabile sarà applicabile la lex monetae del luogo di pagamento49), la valuta di adempimento varierebbe come segue. Fatta salva diversa determinazione delle parti (i.e. attraverso una clausola “effettivo”), un’obbligazione pecuniaria denominata in euro, scaduta ed esigibile in uno Stato uscito dall’euro, dovrebbe essere adempiuta nella nuova valuta nazionale (liquidata secondo il tasso di conversione fissato al momento del passaggio dall’euro alla nuova moneta). La stessa obbligazione, contratta prima dell’uscita dall’euro, in uno Stato poi ritiratosi, ma avente come luogo di adempimento uno Stato estero in cui l’euro è ancora la valuta legale, sarebbe invece estinguibile in euro, essendo determinante la moneta del luogo di adempimento (salvo che, anche qui, altri elementi permettano di dedurre in maniera sufficientemente certa che le parti intendessero che l’obbligazione fosse soggetta alla lex monetae dello Stato uscente). Lo stesso ragionamento dovrebbe applicarsi per la liquidazione di strumenti finanziari denominati in euro emessi da società incorporate in uno Stato membro che si è ritirato dall’euro dopo l’emissione degli strumenti. In questo caso vanno distinte due ipotesi a seconda del luogo di adempimento (dentro o fuori dall’euro) con conseguente variazione della valuta di pagamento. La lex obligationis (che disciplina il contratto obbligatorio) in questo caso determinerà anche la lex monetae, che sarà quella del luogo di pagamento50. I ragionamenti fin qui esposti si fonderebbero in ogni caso su un ritiro dall’euro concordato; diverso il frangente in cui si versi di fronte all’ipotesi di un ritiro unilaterale. In questo secondo scenario, ogni automaticità di conversione degli strumenti denominati in euro nella “nuova” valuta nazionale non solo va esclusa, ma laddove avvenga sulla base di provvedimenti legislativi adottati dallo Stato uscente, potrebbe far sorgere ampio contenzioso da parte dei creditori che si oppongono ad una sostanziale svalutazione (nella verosimile ipotesi di un’uscita dettata da una crisi economica e valutaria insostenibile) dei titoli in loro possesso51. Non è da escludere nemmeno che provvedimenti di questo tipo, adottati unilateralmente, possano integrare gli estremi di una violazione di trattati internazionali a 47 Cfr. la giurisprudenza della Corte suprema statunitense (in particolare i casi Guaranty Trust Co. v. Henwood (307 U.S. 247, (1939) e Bethlehem Co. v. Zurich Insurance Co. (307 U.S. 265, (1939)) dopo la Joint Resolution of Congress del 1934, con cui fu stabilito l’abbandono della convertibilità in oro del dollaro e l’inefficacia delle clausole monetarie oro e oro-valore. 48 Regolamento CE n. 593/2008 del 17.6.2008, in G.U. L177, del 4.7.2008, p. 6 49 Cfr. C. Proctor, The euro—fragmentation and the financial markets, cit., a p. 13; E. Dor, Leaving the euro zone: a user’s guide, cit., a p. 10 e ss. 50 Cfr. C. Proctor, Mann on the Legal Aspect of Money, cit., a p. 778 e ss. 51 B. Eichengreen, The Breakup of the Euro Area, in A. Alesina, F. Giavazzi (Eds.), Europe and the Euro, Chicago, 2010, a p.28; E. Dor, Leaving the euro zone: a user’s guide, cit. a p. 4. 13 protezione di investimenti esteri o di accordi tra lo Stato (uscente) e privati stranieri52. Inoltre, laddove un ritiro unilaterale integri gli estremi di una violazione dei Trattati (vd. supra), il riconoscimento della nuova lex monetae da parte di corti straniere (i.e. nel caso in cui ivi si chieda l’adempimento di un’obbligazione denominata ed inequivocabilmente legata alla lex monetae di uno Stato unilateralmente uscito dall’euro), si porrebbe in contrasto con il disposto di cui all’articolo 21 del Regolamento 593/2008/CE che vieta l’applicazione della legge straniera altrimenti identificata dalle regole della Convenzione laddove si ponga in contrasto con l’ordine pubblico del foro (ordine pubblico cui gli interpreti estendono anche l’ordine pubblico comunitario53). Qualche considerazione aggiuntiva meritano infine i provvedimenti che si dovrebbero adottare in materia di infrastrutture cd. ancillari legate ai pagamenti ed in particolare per ciò che concerne i sistemi di pagamento. Lo Stato membro uscente dall’euro sarebbe giocoforza obbligato a prevedere una piattaforma nazionale per processare i pagamenti effettuati nella nuova valuta nazionale. Non a caso è stata ipotizzata una riesumazione delle vecchie piattaforme nazionali mantenute ai tempi del passaggio alla moneta unica tramite il sistema TARGET54. Al contempo lo Stato potrebbe mantenere la partecipazione alla piattaforma unica europea (i.e. TARGET2) per i pagamenti effettuati in euro (come avviene per gli Stati che non fanno parte dell’UME). 4. Considerazioni conclusive Le brevi riflessioni svolte, con riferimento ad alcuni e limitati ambiti che verrebbero colpiti da un’ipotetica uscita di uno Stato membro dalla moneta unica, dimostrano che un’operazione di questo tipo sarebbe inevitabilmente circondata da un’aurea di incertezza e da forti pressioni esterne, in particolare da parte dei mercati. Sono proprio i costi economici di breve e di lungo termine, legati ad un ritiro dall’eurozona di uno Stato membro implementato “al buio”, in assenza di regole certe per quanto riguarda i parametri economici ancora vincolanti, il possibile ricorso agli strumenti di “salvataggio” messi a punto dall’Unione stessa, i tempi di un eventuale rientro nell’Unione monetaria (se non di vera e propria ri-adozione della moneta unica) a destare preoccupazione. L’incertezza giuridica colpisce anche la legittimità di eventuali misure politiche e finanziarie prese dallo Stato membro uscente per arginare attacchi speculativi contro la propria nuova valuta nazionale e soprattutto per evitare una verosimile fuga di capitali dallo Stato55. Inoltre, la prospettiva di una procedura – il ritiro dall’eurozona – amministrata con i soli strumenti della politica per quanto riguarda tutti gli aspetti coinvolti, rischia di stabilire dei pericolosi precedenti56. Che i timori segnalati non riguardino solo la portata simbolica di un’Unione monetaria che perde pezzi, lo si evince ove si consideri che gli effetti di un ritiro si riverserebbero a cascata partendo dall’impatto politico sulla stessa Unione europea, 52 Si veda per es. nel caso italiano, l’elenco dei cosiddetti “eventi generatori di sinistro” di cui alle lettere d) ed i) dell’articolo 2, delibera CIPE n.93/99, garantiti dalla SACE. Cfr. F. Galgano, F. Marella, Diritto e prassi del commercio internazionale, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia Dir. Da F. Galgano, vol. LIV, Padova, 2010, a p.833 e ss. 53 Cfr. C. Proctor, The Future of the Euro- What Happens if a Member State leaves?, in 17 European Business Law Review, 909, (2006), a p. 933 ed i riferimenti ivi contenuti. 54 Cfr. H. S. Scott, When the Euro Falls Apart, cit., a p. 20 e ss. 55 Anche una ipotetica svalutazione della nuova moneta, conseguenza dei tassi di cambio (a quel punto) flessibili, se nell’immediato potrebbe aumentare la competitività dell’economia dello Stato uscente, a lungo termine non escluderebbe una nuova fase di recessione (conseguenza, spesso, proprio delle distorsioni del mercato causate da politiche monetarie artificiose). Cfr. G. Peroni, Il recesso dall’euro: una via percorribile, ma non auspicabile, cit., a p.106, il quale cita in proposito il fenomeno del cd. “boom and bust” e riporta gli esempi dei default del Messico (1994), della Russia (1999), dell’Argentina (2001) e dell’Urugay (2003). 56 Si è già segnalato il rischio che l’adozione di soluzioni ‘su misura’ negoziate volta per volta possa condurre ad un’Europa à la carte (cfr. supra § 2). 14 passando poi ai condizionamenti sulla politica monetaria non solo dello Stato uscente ma anche degli altri Stati ancora aderenti all’euro, fino ad arrivare ai rapporti di diritto privato aventi per oggetto il pagamento di una somma monetaria. Il delicato equilibrio cui verrebbe chiamato il giurista in vista di un passaggio di questo tipo o al suo immediato indomani, richiede un bilanciamento tra l’opportunità di avere preventivamente delle regole imperative generalmente applicabili e l’esigenza di non stringere l’intero procedimento nelle maglie di una camicia di forza troppo stretta. Noah Vardi noah.vardi@uniroma3.it Dipartimento di giurisprudenza Università degli Studi Roma Tre Via Ostiense 161, 00154 Roma 15