Uploaded by Giulia Zamboni

riassunto compendio diritto costituzionale

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“Compendio di Diritto Costituzionale”
CAPITOLO 1: PROFILO STORICO DEL DIRITTO COSTITUZIONALE ITALIANO
Le origini dello Stato italiano: le vicende territoriali
Lo Stato italiano è nato nel 1861 come Regno d’Italia, in seguito alla trasformazione del già
esistente Regno di Piemonte e Sardegna.
Il territorio della penisola italiana era frammentato in vari Stati:
•
a nord-ovest il Regno di Piemonte e Sardegna sotto i Savoia (attuali Piemonte, Valle d’Aosta,
Liguria e Sardegna)
•
più a oriente le attuali Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia
(facenti parte dell’impero austro ungarico)
al centro il Ducato di Parma, il Gran Ducato di Toscana e lo Stato pontificio (attuali Emilia
Romagna, Marche, Umbria e Lazio)
•
•
a sud il Regno delle due Sicilie sotto i Borboni.
Bisogna ricordare che nel 1821 e nel 1848 i moti rivoluzionari avevano dato luogo alla costituzione
di governi provvisori in varie parti d’Italia, ma solo nel Regno di Piemonte e Sardegna sopravvisse
lo Statuto Albertino (concesso da Re Carlo Alberto nel 1948). L’obiettivo era quello di realizzare
l’unità politica della penisola, in nome del principio nazionale.
La situazione europea e italiana alla metà dell’Ottocento fece sì che l’unificazione della penisola si
realizzasse con l’espansione del Regno sabaudo.
Si arrivò all’unificazione in seguito a 3 guerre di indipendenza: in particolare, nella seconda (1859)
in cui il Regno di Piemonte era alleato con la Francia contro l’Austria, venne annessa la Lombardia e
ceduta la Savoia alla Francia. Avvenne anche l’annessione del Ducato di Parma, del Granducato di
Toscana, di quasi tutto il territorio dello Stato pontificio (ad eccezione di Roma) e i territori delle
due Sicilie (in seguito alla “Spedizione dei Mille” capeggiata da Garibaldi). In quasi tutti questi
territori l’annessione al Regno sabaudo venne ratificata attraverso plebisciti. Così, il 17 marzo del
1861, il Parlamento di Torino proclamò il Regno d’Italia, il quale comprendeva quasi tutta la
penisola italiana, tranne Roma e le Venezia. Poi, nel 1866, la terza guerra d’indipendenza portò
all’annessione di Venezia e del Veneto. Nel 1870 le truppe italiane occuparono Roma; la capitale,
spostata per breve periodo a Firenze, fu riportata lì, dove rimase definitivamente. Sarà poi solo in
seguito alla Prima guerra mondiale che il Trentino e il Friuli-Venezia Giulia, insieme all’Alto Adige,
entreranno a far parte dello Stato italiano.
La storia dell’Italia fu poi segnata:
•
Dall’annessione di territori a est (Fiume e Dalmazia) e di una loro successiva perdita insieme
ad una parte della Venezia Giulia
•
Dall’occupazione dell’Albania nel 1939
•
Trieste prima fu proclamata Territorio libero poi tornò sotto la sovranità italiana (1954).
L’Italia ebbe un ruolo, seppur minore rispetto ad altri Stati, nella storia dell’espansione territoriale.
Essa occupò:
•
l’Eritrea (1890),
•
la Somalia italiana (1892-1896),
•
La Libia (1911)
•
L’Etiopia (1936).
Il sistema costituzionale del Regno d’Italia:
- La nascita dello Stato italiano non coincise con un processo costituente vero e proprio: infatti, lo
Statuto Albertino divenne la prima Costituzione dello Stato italiano.
- Le leggi civili, penali e amministrative del Regno di Piemonte furono estese ai nuovi territori.
- La struttura amministrativa del Regno sabaudo, modellata su quella francese, fortemente
accentrata, divenne senza sostanziali cambiamenti quella del Regno d’Italia (cosiddetta
“piemontizzazione” dell’Italia) .
Stato Italiano:
•
nato dall’unificazione di tanti diversi territori e dall’assorbimento di tanti diversi Stati preunitari, con tradizioni e istituzioni diverse.
•
divenne uno Stato caratterizzato da una quasi completa uniformità legislativa e
amministrativa.
•
I territori confluiti nel nuovo Stato venivano sì da esperienze politiche e istituzionali diverse,
ma quasi mai di autogoverno.
•
Progetti di regionalizzazione amministrativa (es. progetto Minghetti del 1862) vennero
scartati per evitare di mettere a rischio l’unità.
•
Nel 1865 si realizzò un’imponente opera di unificazione legislativa (alcune di quelle leggi
sono tuttora alla base della disciplina di grandi settori della vita amministrativa).
Dal punto di vista costituzionale
tipica monarchia costituzionale.
lo Stato, dopo la concessione dello Statuto del 1948, era una
Parlamento:
Deliberava le leggi, ma con l’assenso e la promulgazione del Re.
•
Facevano ricorso a leggi di delega, che demandavano il potere legislativo al Governo, e a
Decreti-legge.
•
•
Il Potere esecutivo aspettava al Re
Aveva il potere di dettare i regolamenti di esecuzione delle leggi e i poteri inerenti ai
rapporti internazionali, salvo il necessario assenso delle Camere per i trattati che comportassero oneri
finanziari o variazioni territoriali.
•
•
•
Nominava e revocava i Ministri, i quali erano “responsabili”, a differenza del Re, la cui
persona era “sacra e inviolabile”.
Fin dall’inizio, si instaurò un sistema di governo “parlamentare” di stampo inglese.
La carica di Presidente del Consiglio veniva affidata ad un esponente politico che godesse del
consenso della maggioranza della Camera alla quale rispondeva, e a lui spettava di fatto
largamente la direzione dell’esecutivo.
In caso di dissenso tra Re (e Governo) e la maggioranza parlamentare, la Camera dei deputati
poteva essere sciolta anticipatamente.
Il Parlamento era composto da 2 Camere:
•
Camera dei deputati
•
Camera dei senatori
•
Esse avevano quasi gli stessi poteri, ma solo la Camera dei Deputati era elettiva (il Senato
era di nomina regia e la sua maggioranza non era determinante per il sostegno al Governo).
•
La Camera era eletta, all’inizio, a suffragio assai ristretto, più tardi ampliato fino a
raggiungere nel 1919 il suffragio universale maschile.
L’elezione avveniva con un sistema maggioritario a collegio uninominale. Solo nel 1919 venne
introdotto un sistema elettorale proporzionale a scrutinio di lista.
L’amministrazione era organizzata al centro in Ministeri e in periferia affidata ai Prefetti
(rappresentanti del Governo nelle circoscrizioni provinciali) e ad altri organi decentrati.
Il potere giudiziario era esercitato da magistrati in carriera:
- nominati dal Re in base alla legge, che non fruivano complete garanzie di indipendenza
dall’esecutivo.
•
Nello Statuto Albertino:
• La legge, approvata dal Parlamento e sanzionata e promulgata dal Re, era la fonte di diritto
per eccellenza e non incontrava limiti sostanziali. Ciò ha fatto parlare di Costituzione
flessibile (modificabile con una legge ordinaria), anche se lo Statuto non contemplava alcun
procedimento speciale per la revisione espressa delle sue disposizioni.
• Attribuiva ai cittadini i tradizionali diritti di libertà civile (personale, di domicilio, di stampa,
di riunione, ma non di associazione) e di libertà economica (attraverso la garanzia della
proprietà)
• Sanciva l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge senza distinzione e il diritto di accesso
alle cariche civili e militari, salvo eccezioni stabilite dalla legge.
L’assorbimento nel nuovo Stato unitario dello Stato pontificio e l’occupazione di Roma fecero
sorgere la cosiddetta “questione romana” (rimasta aperta per decenni), che deve essere intesa
come la controversia con la Santa Sede che non aveva accettato l’esautoramento del suo potere
temporale.
Lo Stato italiano approvò nel 1871 la legge detta delle “guarentigie”, con cui assicurava, sul piano
del diritto interno, la libertà della Chiesa: ad esempio, lo Stato manteneva un certo controllo sulla
nomina dei Vescovi, ma in compenso garantiva alle istituzioni ecclesiastiche un regime di privilegio.
La Santa Sede mantenne però a lungo ferma la propria opposizione di principio rispetto allo Stato
“usurpatore”, consigliando anche ai cattolici di non partecipare alla vita politica del Regno.
Solo dopo molti anni si arrivò alla riconciliazione, consacrata con i Patti Lateranensi del 1929
stipulati tra la Santa Sede e il Governo fascista dell’epoca. Con essi si chiuse l’annosa questione
romana:
- Venne ceduto alla Chiesa un piccolo territorio attorno alla basilica di San Pietro (che divenne lo
Stato della Città del Vaticano)
- La Santa Sede rinunciava definitivamente alle pretese sul restante territorio del vecchio Stato
pontificio.
- La religione cattolica era riconosciuta come religione di Stato.
- Si definirono i diritti e gli obblighi della Chiesa nello Stato italiano ( privilegi del clero,
riconoscimento civile del matrimonio canonico, insegnamento della religione cattolica nelle scuole
statali, ecc…).
- Con la Convenzione finanziaria si attribuirono alla Santa Sede dei risarcimenti finanziari per
l’avocazione allo Stato dei beni ecclesiastici.
Il sistema politico-costituzionale italiano si sviluppò, fino ai primi anni Venti del Novecento, in linea
con l’evoluzione degli altri Stati “costituzionali” dell’Europa occidentale:
•
Lento allargamento del suffragio.
•
Nascita dei primi partiti di massa
Alle elezioni del 1919, il Partito Socialista (fondato nel 1892) e il Partito Popolare Italiano (fondato
nel 1919 dai cattolici democratici seguaci di don Luigi Sturzo) improntavano la fisionomia
dell’Assemblea rappresentativa riducendo il peso della vecchia classe politica liberale.
Contemporaneamente si pose la questione sociale e del lavoro.
Il regime fascista:
•
Il partito fascista a partire dal 1922 (anno della sua affermazione) fondò la propria dottrina e la
propria prassi sull’esplicito rifiuto e sul pratico abbandono dei principi su cui si fondava il
costituzionalismo liberal-democratico europeo.
•
Il fascismo non varò una nuova Costituzione e, perciò, lo Statuto Albertino continuò a reggere
formalmente lo Stato, anche se le leggi e la politica del regime ne svuotarono quasi
completamente la sostanza.
•
I diritti furono fortemente ridotti.
•
Il pluralismo politico fu abolito con la trasformazione del partito fascista in istituzione statale e
la messa la bando dei partiti antifascisti, la detenzione o il confino dei dirigenti politici
antifascisti non rifugiatasi all’estero.
•
Il Parlamento fu privato dei suoi poteri a favore del Governo e soprattutto del suo capo Benito
Mussolini, “duce del fascismo”.
•
La Camera dei Deputati venne sostanzialmente svuotata attraverso elezioni su lista unica e sena
garanzia di segretezza del voto (1924), poi anche formalmente soppressa e trasformata in
“Camera dei fasci e delle corporazioni”, espressione delle istituzioni create dal fascismo.
•
Venne creato un nuovo organo costituzionale, il “Gran Consiglio del fascismo”.
•
La libertà sindacale venne soppressa con la costituzione di sindacati unici di Stato e il divieto
penale dello sciopero.
•
Scomparvero le istituzioni elettive locali, sostituendosi ai Sindaci i “Podestà” nominati dal
Governo
•
I Tribunali speciali “per la difesa dello Stato” reprimevano le attività di opposizione.
Sopravviveva la monarchia e le istituzioni ad essa legate (come ad es. il Senato).
Negli anni Trenta i regime raggiunse livelli elevati di consenso passivo nel Paese, si dedicò a
imprese nazionalistiche come quella di Etiopia e si avvicinò sempre più al regime nazista tedesco,
importandone le concezioni e le prassi della propaganda e della persecuzione antisemita.
Il crollo del fascismo e la fase costituente
La crisi sopraggiunse con la guerra e la sconfitta militare dell’alleato nazi-fascista. Il 25 luglio 1943
con le truppe alleate già sbarcate in Sicilia, il Re destituì Mussolini e nominò un nuovo Governo,
capeggiato dal maresciallo Badoglio, il quale stipulò un armistizio con gli alleati.
•
Roma e tutto il centro-sud furono occupati dai tedeschi.
•
Il Re e il Governo si rifugiavano a Brindisi.
•
Nel centro-nord aveva inizio la resistenza armata in appoggio con gli alleati.
•
Per 2 anni il territorio italiano fu teatro di guerra.
•
Nel Nord occupato dai tedeschi si costituì una “Repubblica sociale italiana” che riproponeva
il fascismo in versione repubblicana e sempre più legata al nazismo.
•
Nelle aree del Paese non occupate dai tedeschi sembrò dapprima profilarsi una sorta di
restaurazione statutaria, che si limitasse alla semplice eliminazione delle “incrostazioni” del fascismo.
Con il crollo del regime fascista ripresero attivamente la loro presenza i partiti antifascisti (come la
Democrazia Cristiana e il Partito d’Azione), i quali posero con forza la loro candidatura a guidare la
fase politica di transizione verso il nuovo sistema. Ne risultò la cosiddetta “tregua istituzionale”,
con cui il Re e i partiti antifascisti (come la Democrazia Cristiana e il Partito d’Azione”) decisero di
rinviare a dopo la fine della guerra di liberazione la scelta fra la conservazione della Monarchia e
l’instaurazione di una Repubblica.
Nel frattempo, il Re Vittorio Emanuele III si ritirava dalla vita politica, abdicando in favore del figlio
Umberto II, l’ultimo Re d’Italia e il cosiddetto “Re di Maggio”.
Dopo la liberazione di Roma il nuovo Governo (sempre presieduto da Badoglio, ma formato da
esponenti dei partiti antifascisti riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale, CLN) emanò il D.Lgt.
n. 151/1944 che rimetteva ad una Assemblea Costituente, da eleggersi da tutti i cittadini, la
deliberazione sulle nuove istituzioni dello Stato. Per la prima volta nella storia si avviava un
processo costituente dal basso.
A questa si aggiunse, dopo la liberazione e la nomina di un nuovo Governo provvisorio capeggiato
da Ferrucio Parri, presidente del CLN, poi sostituito nel 1945 da Alcide De Gasperi, leader della DC,
e la costituzione di una “Consulta nazionale” come organo paraparlamentare.
Si convenne che la scelta fra Monarchia e Repubblica, anziché essere affidata all’Assemblea
Costituente, fosse rimessa ad un referendum “istituzionale” da svolgersi a suffragio universale e
contemporaneamente alla elezione dell’Assemblea. Fu ciò che accadde il 2 giugno 1946 (data festa
della Repubblica):
•
il referendum diede un risultato favorevole di misura alla Repubblica, caratterizzato da un
centro-nord a maggioranza repubblicana e un centro-sud a maggioranza monarchica.
Il 13 giugno 1946 il Re Umberto lasciava l’Italia e le funzioni di Capo dello Stato furono
provvisoriamente assunte da De Gasperi.
•
L’Assemblea Costituente risultò formata da rappresentanti dei 3 maggiori partiti del CLN: la
DC (35%), il PSI (20%) e il PCI (19%).
•
•
L’Assemblea lavorò per un anno e mezzo. La “Costituzione provvisoria” del 1946 prevedeva
che essa si limitasse a deliberare la nuova Costituzione e che per il resto avesse competenza solo per le
leggi in materia costituzionale, elettorale e per i trattati di internazionali.
•
La legislazione ordinaria restava di competenza del Governo.
L’Assemblea, inoltre, elesse il Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, e accordava e
revocava la fiducia ai Governi.
•
Avvenne la scissione del PS, da cui si staccarono i socialdemocratici capeggiati da Saragat, e
al Governo restò la DC con gli alleati minori del centro, mentre i due partiti della sinistra marxista
finirono all’opposizione. Iniziò da allora l’era del “centrismo” (durata fino ai primi anni ’60).
•
Subito dopo la sua elezione, l’Assemblea Costituente nominò al suo interno la Commissione per la
Costituzione, detta dei “65”, incaricata di redigere il progetto della nuova Carta e presieduta da
Ruini.
A sua volta la Commissione si suddivise in 3 sottocommissioni, destinate ad occuparsi
rispettivamente:
• Dei diritti e doveri dei cittadini.
• Dell’ordinamento della Repubblica.
• Dei diritti e doveri economico-sociali.
Esse elaborarono e approvarono il progetto, presentato all’Assemblea. Seguì poi il dibattito in aula,
prima sul progetto in generale e poi sui singoli titoli ed articoli. Su alcuni temi il progetto venne
modificato anche profondamente, ma l’impianto complessivo rimase invariato. La Costituzione
venne così deliberata (22/12/1947), promulgata (27/12/1947) ed entrò in vigore il 1° gennaio
1948.
Il 18 aprile 1948 si svolsero le prime elezioni per la formazione delle Camere, che vide
l’attribuzione della maggioranza assoluta dei Deputati alla DC con De Gasperi. Il liberale Einaudi fu
eletto P.d.R..
I caratteri fondamentali della Costituzione
CARATTERISTICHE DELLA COSTITUZIONE
•
•
•
•
•
ELASTICA: suscettibile di legittimare e orientare programmi e indirizzi diversi, a fronte di
possibili sviluppi e cambiamenti, grazie a formule ampie che possono essere appunto
interpretate in senso evolutivo.
LONGEVA: la Costituzione rappresenta l’insieme di regole di riferimento per lo sviluppo di
diverse realtà sociali e politiche, in ragione delle mutevoli esigenze che emergono di volta
in volta e di cui il legislatore intende farsi carico. Mira a durare nel tempo.
PROGRAMMATICA: non si limita a disciplinare i profili organizzativi dello Stato e i rapporti
fra i poteri e i cittadini, ma definisce anche alcuni indirizzi seguendo i quali deve essere
orientata l’azione dei poteri medesimi (art. 3, secondo comma, Cost.).
RIGIDA: vengono predisposti strumenti atti a garantirne il rispetto da parte del legislatore
(art. 138 Cost. + Corte costituzionale).
LUNGA: elenco dei diritti riconosciuti ai cittadini + organizzazione dell’ordinamento
(separazione dei poteri).
STRUTTURA DELLA COSTITUZIONE
 una prima parte è dedicata ai principi fondamentali (artt. 1-12), che pur essendo espressi
nei primi dodici articoli emergono anche da altre disposizioni costituzionali. Tali principi,
oltre a costituire il nucleo intangibile della Carta costituzionale che non può essere
modificato neanche attraverso il ricorso alla procedura aggravata di cui all’art. 138 Cost.,
forniscono la chiave di lettura e di interpretazione delle altre disposizioni costituzionali;
 la Parte I è dedicata ai Diritti e doveri dei cittadini (artt. 13-54) ed è a sua volta suddivisa in
diversi Titoli (Rapporti civili, etico sociali, economici, politici); è divisa in 4 titoli:
•
“rapporti civili” (Titolo I, art. 13-28)  l individuo viene considerato come tale.
•
“rapporti etico-sociali” (Titolo II, art. 29-34)  la famiglia, la scuola, la salute.
“rapporti economici” (Titolo III, art. 35-47)  la proprietà privata, la libertà di iniziative
economica, la comunità del lavoro e dell impresa.
•
•
“rapporti politici” (Titolo IV, art. 48-54)  l individuo è visto come costitutivo della più
comprensiva comunità politica, la quale chiede loro l adempimento di doveri che si concretizzano in
specifici obblighi (difesa della patria, concorso alle spese pubbliche attraverso il prelievo fiscale, fedeltà
della Cost. e alle leggi).
 la Parte II è dedicata all’Ordinamento della Repubblica (artt. 55-139) ed è a sua volta
suddivisa in diversi Titoli (il Parlamento; il Presidente della Repubblica; il Governo; la
Magistratura; le Regioni, le Province, i Comuni; le Garanzie Costituzionali); è divisa in 6 titoli:
•
“Il Parlamento”  massima sede della rappresentanza nazionale, cui è dedicato il Titolo I,
diviso in 2 sezioni. La Prima “Le Camere” (art. 55-69) e la seconda “La formazione delle leggi” (art. 7082)
•
“Presidente della repubblica” (art.83-91) con le norme sul modo di elezione, la durata in
carica, le funzioni fondamentali, i rapporti col Governo, la responsabilità.
•
“Il Governo”. Diviso in tre sezioni:
•
•
•
“Il Consiglio dei Ministri” (art. 92-96)
“La pubblica amministrazione” (art. 97-98)
“Gli organi ausiliari” (artt. 99-100)
•
•
•
“La Magistratura”  diviso in 2 sezioni:
“Ordinamento giurisdizionale” (artt. 101-110)
“Norme sulla giurisdizione” (artt. 111-113)
•
“Le Regioni, le Province, i Comuni” (artt. 114-133)
•
•
•
“Garanzie costituzionali”  si divide in 2 sezioni:
“La Corte Costituzionale” (artt. 134-137)
“Revisione della Costituzione e Leggi costituzionali” (artt. 138-139)
((Prima e seconda parte della Costituzione non sono evidentemente isolabili l’una dall’altra,
essendo la struttura della Repubblica, regolata nella seconda parte, posta a garanzia dei diritti e
degli obiettivi enunciati nella prima parte.))
 infine vi sono le Disposizioni transitorie e finali (I - XVIII).
Il “nucleo forte” della Costituzione è rappresentato dai principi del costituzionalismo:
•
La dignità da riconoscere e salvaguardare in ogni essere umano.
•
La concezione per cui l’organizzazione politica è per la persona (e non viceversa).
•
L’idea dello Stato di diritto (riconosciuti i diritti civili e politici, come l’elettorato attivo e
passivo)
L’esistenza di un nucleo intangibile e indisponibile di diritti di libertà dell’individuo e di diritti
collettivi (delle formazioni sociali) che li integrano.
•
il principio di uguaglianza inteso sia come divieto di discriminazione sia come canone
fondamentale di adeguatezza dei trattamenti giuridici alle situazioni.
•
il compito attivo dei poteri pubblici nel promuovere libertà ed uguaglianza.
•
Un potere politico fondato sul consenso e sulla partecipazione dei cittadini della volontà
collettiva nel rispetto dei limiti costituzionali
•
Un’organizzazione “diffusa” dei poteri che assicuri equilibrio e controllo reciproco.
•
•
Un sistema di garanzie che assicuri la giustiziabilità dei diritti di tutti e il rispetto effettivo
delle regole legali.
I PRINCIPI FONDAMENTALI (espressi in buona parte nei primi 12 articoli di essi) rispecchiano
proprio questo patrimonio ideale:

PRINCIPIO DEMOCRATICO (ART. 1)
La sovranità appartiene al popolo (inteso come insieme di tutti gli individui legati allo Stato dal
rapporto di cittadinanza e in grado di esprimere una volontà consapevole), ma che si esercita “nei
limiti della Costituzione” (art. 1 Cost.). Quindi non si parla di potere illimitato della maggioranza: la
costituzione limita ogni forma di potere!!
•
L’esercizio del potere politico è attribuito sia direttamente sia indirettamente al popolo
(democrazia diretta e rappresentativa).
• Principio Democratico informa il principio di separazione dei poteri:
- potere giudiziario: giudici soggetti solo alla legge, espressione della volontà popolare;
giustizia amministrata in nome del popolo;
- potere esecutivo: responsabilità del Governo fatta valere in Parlamento, sede naturale di
rappresentanza del popolo.
N.B.: non tutti i poteri sono organizzati sulla base del principio democratico (garanzia per le
minoranze): per es. la Corte costituzionale.
•
PRINCIPIO PERSONALISTA E SOLIDARISTICO (ART. 2)
I diritti inviolabili sono “riconosciuti” (non attribuiti!!!) e “garantiti” dalla repubblica, anche nelle
formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità (PRINCIPIO PLURALISTA ART.2 E ART. 18), e sono
accompagnati dai doveri “inderogabili” di solidarietà (3 tipi di solidarietà)*. La dignità umana è un
diritto inviolabile alla autenticità e all’integrità fisica e morale della persona (art 13, 32) e lo Stato
ha un dovere di protezione contro le lesioni (art. 3)
NB: L’articolo 2 volta pagina allo stato fascista, in cui i diritti erano ATTRIBUITI DALLO STATO, non
nello stato!!
*accanto al riconoscimento dei diritti la Repubblica richiede l’adempimento dei DOVERI
INDEROGABILI di SOLIDARIETÀ POLITICA, ECONOMICA e SOCIALE. Tale adempimento risponde al
principio di solidarietà e di responsabilità sociale (fedeltà alla Repubblica, voto, difesa, lavoro,
dovere fiscale)
•
PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA (ART. 3)
L’uguaglianza è affermata nei riguardi di tutti i “cittadini” (tutti gli esseri umani)
Divieto
Di discriminazioni ingiustificate
Obbiettivo Superamento o del contenimento delle disuguaglianze di fatto (art. 3 Cost.)
un’uguaglianza di diritti, ma anche di opportunità.
Il primo comma parla di UGUAGLIANZA FORMALE, quindi di parità di diritti e uguaglianza di fronte
alla legge. Il secondo comma tratta di UGUAGLIANZA SOSTANZIALE: intervento statale per rendere
effettivo l’esercizio dei diritti.
PRINCIPIO LAVORISTA (ART. 4)
Il diritto al lavoro è inteso come strumento di realizzazione della personalità (art. 4 Cost.).
 ART 1: la Repubblica è fondata sul lavoro;
 ART. 4: diritto e dovere al lavoro, secondo le proprie possibilità e le proprie scelte, per il
progresso materiale e spirituale della società. Se si lavora si adempie al DOVERE DI
SOLIDARIETA’ (economica).
•
•
PRINCIPIO AUTONOMISTICO (ART. 5)
La struttura e l’azione dei poteri pubblici muovono dal riconoscimento e dalla valorizzazione delle
collettività locali secondo i principi di autonomia e di decentramento.
NB: Il nostro è uno STATO REGIONALE! Con ENTI TERRITORIALI: Comuni, Province, Città
metropolitane, Regioni.
•
•
TUTELA DELLE MINORANZE LINGUISTICHE (ART. 6)
Sono gruppi sociali organizzati e caratterizzati da elementi identificanti quali la lingua, la storia,
la cultura, un legame particolare con il territorio.
ART. 3: Non discriminazione in base alla lingua e alla razza.
PRINCIPIO DI LAICITA’ (ART. 7 E ART. 8)
I rapporti dello Stato con le confessioni religiose sono regolati secondo il principio di laicità, inteso
non come indifferenza o ostilità dello Stato verso la religione, ma come garanzia di libertà
individuale, pluralismo, rispetto delle autonomie sociali ed uguaglianza delle persone senza
distinzioni di appartenenza o non appartenenza religiosa.
NB: non si parla di indifferenza, ma di EQUIDISTANZA dello stato rispetto alle confessioni religiose.
•
PRINCIPIO CULTURALE (ART. 9)
Promozione dello sviluppo della ricerca scientifica e tecnica e tutela del paesaggio e del patrimonio
storico e artistico della Nazione per adempiere al dovere sociale per il suo progresso. (rif ART. 33 E
ART. 34).
La Repubblica non solo respinge la guerra come strumento di risoluzione delle controversie
fra Stati, ma accetta e promuove la cessione di poteri sovrani a favore di ordinamenti ed istituzioni
intesi a realizzare “la pace e la giustizi fra le Nazioni” (ART. 11).
•
La nostra Costituzione non ha “preambolo”, e le norme sui diritti sono parte integrante del testo.
La lenta attuazione della Costituzione
Lenta e non priva di contraddizioni.
L’Assemblea Costituente, prima di sciogliersi, approvò la legge sulla stampa, e leggi
elettorali e gli statuti di 4 delle 5 Regioni speciali.
•
•
Fin dall’inizio trovarono applicazione le nuove regole sul Parlamento, il Governo, il Capo
dello Stato e i rapporti fra di loro (forma di governo).
•
Ma fino al 1956 non entrò in funzione la Corte costituzionale.
•
Il Consiglio superiore della magistratura, che doveva assicurare la piena indipendenza della
magistratura ordinaria dall’esecutivo, fu attuato solo nel 1958.
Rimase in vigore a lungo, largamente invariata, molta parte della legislazione del periodo
fascista e di quello prefascista, compresi i codici e molte grandi leggi amministrative.
•
Solo negli anni ’70 furono varate la legge sul referendum (in concomitanza con
l’approvazione della legge sul divorzio) e le leggi necessarie per istituire le Regioni a statuto ordinario.
•
•
A loro volta tararono per decenni le riforme organiche degli apparati centrali di governo e
di amministrazione.
•
Solo del 1999 è la prima riorganizzazione generale dei Ministri.
Del 1975 è la riforma del diritto di famiglia. Mai approvata fin ora la legge che avrebbe
dovuto regolare i sindacati e la stipulazione dei contratti collettivi.
•
•
Del 1990 è la prima legge che ha disciplinato la radiotelevisione, abbandonando
definitivamente il preesistente monopolio statale.
•
I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica rimasero a lungo congelati dai Patti Lateranensi del
1929, sottoposti a revisione solo nel 1984.
Il sistema dei partiti e i dibattiti sulle
riforme costituzionali
Il Governo restò affidato per vari decenni alla DC alleata con i partiti minori del centro, mentre i 2
partiti della sinistra (comunisti e socialisti) e le formazioni della destra monarchica e neo-fascista
erano all’opposizione.
Fu la fase del cosiddetto centrismo, durata fino al 1963, e seguita poi da quella del centro-sinistra,
in cui la DC collaborò al Governo anche con il PS, e che favorì quello che venne chiamato il disgelo
costituzionale.
Gli anni ’70 videro la crisi del centro-sinistra e il tentativo di dare vita a una coalizione di unità
nazionale.
A partire sempre da questo decennio si cominciò a discutere di riforme costituzionali, ma nessuna
di queste iniziative ebbe effetti pratici:
- 1983-85: BOZZI
- 1992-94: DE MITA – JOTTI
incarica di elaborare la seconda parte della Costituzione
- 1997-98: D’ALEMA
Solo nel 1999 la riforma del Titolo V ( relativo alle Regioni e agli enti locali) fu approvata.
Nel 2006 il referendum costituzionale respinge il progetto di riforma del 2005, riguardante il tema
Regioni e bicameralismo.
Ultimi anni: discussione ancora aperta sul bicameralismo perfetto e sul procedimento di
approvazione delle leggi, per fare in modo di non dover necessariamente ricorrere al decreto
legge.
Il panorama relativamente stabile fino al 1992 (BIPARTITISMO PERFETTO) nel giro di pochi mesi in
seguito alla caduta dei regimi comunisti del’Est europeo: da un lato, un movimento per una
riforma elettorale in senso maggioritario, dall’altro le indagini giudiziarie che misero in luce un
vasto sistema di finanziamento illecito dei partiti e di corruzione nelle pubbliche amministrazioni,
coinvolgendo molti esponenti politico anche di primo piano. Spariscono o si riducono a esili
minoranze i 2 partiti storici di governo, la DC e il PS; altri, come il PC o l’MSI cambiano nome e
fisionomia fino a confluire a loro volta in formazioni politiche nuove.
Successivamente…
•
1996-2001: competizione politica bipolare tra centro-destra e centro-sinistra lascia il campo
al Movimento 5 Stelle, che è stato il partito più votato
•
Fino al 2013: maggiore complessità (nuove formazioni).
DIRITTO INTERNO E DIRITTO
INTERNAZIONALE
Ordinamento interno: ordinamento dello Stato; regola le relazioni fra singoli e gruppi sociali e fra
questi e i pubblici poteri.
Ordinamento internazionale: regola i rapporti fra gli Stati, i quali adattano i propri ordinamenti agli
obblighi che derivano dall’ordinamento internazionale.
I giudici applicano SOLO il diritto nazionale e possono fare riferimento a norme esterne, solo se le
norme interne fanno rinvio ad esse.
Gli altri stati possono intervenire solo ed esclusivamente se uno Stato non rispetta norme
internazionali: non possono immischiarsi nel suo ordinamento interno.
Alla fine della seconda guerra mondiale si ha un mutamento nella concezione dei rapporti fra i due
ordinamenti. L’obiettivo era creazione di un ordine giuridico internazionale che eliminasse il rischio
del ricorso alla guerra (es.: ONU, Consiglio d’Europa nel 1950). Il consiglio d’Europa ha promosso la
stipulazione di diverse convenzioni, come la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, che ha dato vita ad una Corte Europea dei diritti dell’uomo
che risiede a Strasburgo. Di conseguenza, i giudici sovranazionali vincolano il singolo Stato a
seguire la Convenzione: i giudici adesso interni sono tenuti a applicarla.
ART. 10 si ispira al principio di "solidarietà internazionale" ed all'effettivo riconoscimento di
appartenenza ad una dimensione internazionalistica.
Il comma primo stabilisce che il nostro ordinamento giuridico si conforma alle "norme del diritto
internazionale riconosciute", pertanto l'Italia si impegna ad adeguarsi a quelle norme
consuetudinarie, cioè non scritte quindi non contenute in Trattati internazionali, ma che hanno
origine dal perpetuarsi, nel tempo, di comportamenti accettati dalla Comunità internazionale.
Il comma secondo, invece, fa esplicito riferimento ai Trattati internazionali, quindi a norme scritte,
ed analizza la condizione giuridica dello straniero. Innanzitutto precisiamo che con il termine
"straniero" ci si riferisce a colui che non ha nazionalità italiana, quindi ha un'altra nazionalità
oppure è apolide, ovvero non ha alcuna nazionalità. Lo Stato si impegna a garantire allo straniero
la condizione giuridica regolata dalla legge italiana ma in conformità dei Trattati internazionali.
Molto interessante è il terzo comma dell'articolo in esame, in quanto garantisce il diritto d'asilo. La
Repubblica accoglie lo straniero, fuggito dal proprio Paese nel quale impera un regime illiberale, in
quanto perseguitato per le proprie idee liberali e democratiche, ritenute, quindi, sovversive
rispetto al regime.
ART. 26 (COMMA 2) limita la estradizione del cittadino per reati NON politici.
ART. 117 (COMMA 1) anche i trattati internazionali presi in considerazione dallo Stato italiano
sono vincolanti per il legislatore: se una legge li contraddice deve essere dichiarata
incostituzionale. MA se una norma comunitaria contrastasse i principi supremi dell’ordinamento
costituzionale (sono principi sottratti al potere di revisione), non potrebbe ammettersene
l’efficacia all’interno dello Stato!! Si dovrebbe quindi riconoscere l’incostituzionalità delle leggi di
esecuzione dei trattati europei.
ART. 11 sottolinea rifiuto da parte della Repubblica a prendere parte a quei conflitti che
abbiano finalità aggressive di forte lesione dei diritti degli individui e della dignità di un territorio.
Auspica la via diplomatica per la risoluzione delle controversie internazionali. l'Italia si impegna a
prendere parte alle guerre "difensive" mediante l'invio di contingenti destinati a fronteggiare le
aggressioni in atto in un territorio ed a tutelare i civili. Nell'ultima parte dell'articolo si evince la
volontà della Repubblica ad appoggiare e sostenere attivamente, le organizzazioni internazionali
che perseguono tale finalità, in particolare l'ONU.
IL PROCESSO DI INTEGRAZIONE
EUROPEA
Per quanto riguarda gli effetti del diritto europeo (formato da norme dei trattati istitutivi (DIRITTO
PRIMARIO) + regolamenti, direttive, decisioni (DIRITTO DERIVATO)) nell’ordinamento italiano,
quando le norme del primo si rivolgono ai cittadini degli Stati membri, sono vincolanti per loro e
per tutte le autorità interne e prevalgono sulle norme interne, persino a livello costituzionale.
Aderendo ai trattati, l’Italia ha accettato “limitazioni” di sovranità: cede a favore di istituzioni
comunitarie poteri che costituzionalmente spetterebbero agli organi dello Stato, abilitata dall’art.
11.
CAPITOLO 3: LE FORME DI DEMOCRAZIA DIRETTA
La sovranità popolare, il referendum e
l'art. 75 della costituzione.
La costituzione italiana prevede alcuni istituti di democrazia diretta, accostati , in funzione
correttiva ed integrativa, alla democrazia rappresentativa.
L’art. 1 non specifica le “forme” dell’esercizio della sovranità popolare, quindi non è ne
esclusivamente diretta ne esclusivamente rappresentativa.
Tra gli strumenti di democrazia diretta abbiamo:
 Il diritto di petizione (ART. 50): in riferimento alla facoltà dei cittadini di rivolgersi alle
Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità, questi sono
inoltrate al Governo perché siano sottoposte ad esame.
 L’iniziativa legislativa popolare (ART. 71, C. 2): si attribuisce l’iniziativa legislativa al corpo
elettorale, che si presenta come un progetto di legge sottoscritto da parte di almeno 50mila
elettori. Inoltre gli ARTT. 48 E 49 prevedono che i progetti di legge non possono decadere,
MA devono essere presi in considerazione anche nella legislatura successiva.
 REFERENDUM, con cui il corpo elettorale è chiamato a pronunciarsi in merito ad un oggetto
specifico:
•
Referendum consultivo: per variazioni territoriali di Regioni, province e comuni.
•
Referendum costituzionale/eventuale: nel procedimento di revisione costituzionale,
quando non è stata raggiunta la maggioranza dei 2/3 dei componenti di ciascuna Camera alla seconda
deliberazione. Indipendentemente dal numero dei partecipanti, vince l’opzione che ha ricevuto la
maggior parte dei voti.
•
Referendum abrogativo: rappresenta uno strumento di legislazione negativa messo in atto
direttamente dal popolo e viene indetto per l'abrogazione totale o parziale di una legge o di un atto
con forza di legge (decreti legge/decreti legislativi). In questo caso è necessario un QUORUM
•
Referendum a livello regionale: esperibile sia sugli statuti di autonomia sia su
provvedimenti amministrativi regionali.
L'introduzione all'interno della nostra costituzione del referendum abrogativo è il residuo di un
progetto iniziale di democrazia diretta molto più articolato, presentato a suo tempo da Costantino
Mortati, poi sottoposto ad una serie di amputazioni.
In tale progetto originalmente vi erano diversi strumenti:
•
Referendum approvativo di leggi: nel caso di conflitto tra le due camere o nel caso di rinvio
di un disegno di legge da parte del presidente alle camere;.
•
Referendum sospensivo: sospendere il procedimento di formazione di una legge in corso
•
Iniziativa popolare: nel caso in cui il parlamento non approvi il disegno di legge di iniziativa
popolare, questo verrà sottoposto all'approvazione del popolo;.
•
Referendum abrogativo: diretto all'eliminazione di leggi già in vigore.
Di tutte le ipotesi presentate furono approvati solo quello abrogativo, costituzionale e quello per le
variazioni territoriali.
L'attuazione della disposizione
costituzionale attraverso la L. n. 352/1970
Affinché l'istituto del referendum abrogativo potesse avere reali effetti, era necessaria
l'approvazione della legge ordinaria di esecuzione, cosa che avvenne solo nel 1970 con la L. n* 352,
all'interno della quale vi erano tutti i passaggi cui deve essere sottoposta un'iniziativa referendaria
prima di approdare al voto popolare.
Prime esperienze referendarie:
1974: referendum sul divorzio.
1981: referendum sull'aborto
Alcuni referendum però non erano destinati ad eliminare interi testi normativi, ma frammenti di
norme e talvolta singole espressioni lessicali . Questo tipo di referendum aveva scopi manipolativi,
in quanto indirettamente si cercava di modificare il significato del testo. In questo modo il
referendum non è stato solo lo strumento per contestare alcune scelte legislative, ma anche per
immettere nel sistema giuridico nuove normative.
La corte costituzionale si è scontrata contro i referendum “manipolativi” (la costituzione parla solo
di referendum abrogativo!!) e ha ribadito che, quando il referendum riguarda l'abrogazione
parziale di un testo legislativo, esso deve avere ad oggetto parti del testo legislativo dotato di un
autonomo significato normativo, e non può mirare all'abrogazione si mere locuzioni verbali, perche
si proporrebbe al corpo elettorale l’approvazione di un assetto normativo nuovo.
Proposta di referendum:
L’ART 75 stabilisce che l'iniziativa referendaria spetti a:
•
cinque consigli regionali.
•
500.000 elettori.
Si è voluto così escludere l'iniziativa da parte di organi costituzionali, quali il capo dello stato o i
governo, per evitare che il referendum potesse assumere connotati plebiscitari.
L'iniziativa più utilizzata è stata quella spettante al corpo elettorale, spesso messa in moto da
partiti politici, che hanno provveduto ad organizzare la raccolta delle firme degli elettori (ART. 27
legge n. 352/1970).
Per la validità dell'iniziativa regionale occorre che almeno cinque consiglieri regionali abbiamo
deliberato favorevolmente, a maggioranza assoluta dei componenti, rispettando anche in questo
caso uno scadenziario serrato stabilito dalla legge (ARTT. 29 E 30).
E’ vietato presentare le richieste referendarie nell’anno anteriore alla scadenza di una delle
Camere e nei 6 mesi successivi alla elezione di una delle Camere medesime.
Le iniziative referendarie devono essere presentate presso l'Ufficio centrale per il referendum,
costituito presso la corte di cassazione in una data compresa tra il 1° gennaio e il 30 settembre di
ogni anno. Se in pendenza di una richiesta referendaria sopravviene lo scioglimento anticipato
delle Camere il procedimento del referendum è sospeso per 365 giorni: cosi che di fatto la
consultazione slitta di uno o anche di due anni.
Il controllo di legittimità dell'Ufficio
centrale per il referendum:
Dopo il deposito delle richieste si apre la fase di controlli dell'iniziativa referendaria, che si articola
in :
•
un controllo di legittimità svolto dall'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la
Corte di Cassazione, verifica la conformità della richiesta alle regole della legge 352/1970. Durante
questa fase di controllo l'Ufficio è tenuto a verificare il rispetto dei termini previsti dalla legge, il
sufficiente numero delle firme (nel caso di iniziativa del corpo elettorale) o la validità delle
deliberazioni da parte dei Consigli regionali.
Tra i compiti più rilevanti e delicati svolti dall'Ufficio centrale, meritano di essere segnalati:
•
L'unificazione di più richieste referendarie che presentino “uniformità o analogia di
materia” (Art. 32)
•
La decisione in ordine alla interruzione di procedimento referendario, nell'ipotesi in cui il
Parlamento provveda, prima della consultazione popolare, ad abrogare o a modificare le disposizioni
oggetto della richiesta referendaria (Art. 39). Però l’intervento del legislatore sull’oggetto di una
richiesta referendaria NON comporta l’interruzione del procedimento referendario nel caso in cui la
nuova legge approvata dal Parlamento non modifichi i principi ispiratori.
•
La denominazione della richiesta di referendum da riprodurre nelle schede di votazione,
per agevolare l'identificazione dell'oggetto del referendum
Il controllo di legittimità dell'Ufficio centrale deve essere concluso entro il 5 dicembre, con la
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per il controllo di ammissibilità, che a sua volta
deve concludersi entro il 10 febbraio successivo.
Il giudizio di ammisibilità della corte
costituzionale:
La richiesta referendaria viene sottoposta al controllo di ammissibilità della Corte costituzionale
anzitutto per verificare che la legge oggetto del referendum non rientri tra le categorie
esplicitamente escluse da parte dell'ART. 75 Cost o che comunque non sia una legge ad esse
strettamente connessa. La Carta costituzionale, infatti, indica alcune categorie di leggi che non
possono essere sottoposte a referendum abrogativo:
Leggi tributarie e di bilancio.
Leggi di amnistia e indulto.
Leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali.
Uno sviluppo rilevante dell’ultima categoria è dato dalle leggi che danno esecuzione a normative
comunitarie. La giurisprudenza costituzionale tende ad escludere i referendum abrogativi su tali
leggi, perchè la loro eventuale abrogazione determinerebbe un inadempimento dello stato italiano
nei confronti delle istituzioni comunitarie, eventualmente sanzionabili con le apposite procedure
giurisdizionali europee.
•
•
•
Poichè il referendum può servire solo alla abrogazione di leggi o atti aventi forza di legge, la corte
costituzionale ha ritenuto che esso non possa essere sperimentato nei riguardi di:
•
Norme costituzionali.
•
Disposizioni normative a “contenuto costituzionalmente vincolato”, il cui contenuto
normativo appare legato alla norma costituzionale.
Oggi, pur non essendo di per sé inammissibile le richieste di referendum abrogativi sulle leggi
elettorali, esse devono essere formulate in modo tale da non determinare la pura e semplice
abrogazione delle leggi in questione, perché si rischierebbe, la paralisi dell'istituzione interessata,
in caso di esito positivo. É stata esclusa l'ammissibilità di referendum aventi ad oggetto leggi
dotate di “una peculiare resistenza all'abrogazione”
Un altro criterio utilizzato dalla corte è dato dalla “omogeneità” del quesito . La Corte ha
costantemente affermato che i quesiti referendari non possono contenere una pluralità di
domande eterogenee, perchè ciò impedirebbe all'elettore, che può rispondere solo con un si o con
un no, di esprimersi liberamente su ogni singola domanda, recando una lesione alla sua libertà di
voto (ART. 48).
Ci sono anche altre tipi di omogeneità:
•
Omogeneità completezza: richiede che il quesito sottoponga all'abrogazione popolare tutte
le norme che compongono la disciplina che si intende abrogare, e in alcuni casi sono stati dichiarati
inammissibili questi incompleti.
•
Omogeneità interna: richiede che uno stesso quesito non abbracci una pluralità eterogenea
di norme.
•
Inconfondibilità teleologica: dal quesito deve emergere in modo chiaro il fine che il
referendum intendeva perseguire.
Il voto e la proclamazione dei risulatati
Una volta superati entrambi i controlli, il quesito referendario viene sottoposto a voto popolare, in
una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno, previa indicazione da parte del P.r.
Il successo della consultazione popolare è subordinato, per volontà della costituzione(ART.75), al
raggiungimento di due condizioni :
A) è necessario che partecipi alla votazione la maggioranza degli aventi diritto al voto;
B) è necessario che sia favorevole la maggioranza dei voti validamente espressi, escludendo
la rilevanza delle schede bianche o nulle;
Nel caso di esisto positivo, l'abrogazione ha effetto a decorrere dal giorno successivo a quello della
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto del P.R, con cui si proclama l'avvenuta
abrogazione.
Nel caso invece in cui il risultato sia contrario all'abrogazione non può proporsi richiesta di
referendum per l'abrogazione del medesimo atto legislativo prima che siano trascorsi 5 anni.
IL REFERENDUM NELLA PRASSI
Dal 1974 al 1995 l’istituto referendario ha conosciuto un crescente successo presso l’opinione
pubblica e ha contribuito a definire indirizzi politici, ovvero a rendere quasi irreversibili scelte
compiute dal legislatore.
Tra il 1997 e il 2009 6 consultazioni referendarie sono fallite per il mancato raggiungimento del
QUORUM strutturale.
La Corte ha affermato che dall’abrogazione referendaria discende un vincolo giuridico nei confronti
del legislatore, il quale non puo ripristinare la disciplina abrogata fino a quando non siano
determinati mutamenti del quadro politico o delle circostanze.
CAPITOLO 4: I DIRITTI DEI CITTADINI
La cittadinanza
La costituzione in materia di cittadinanza contiene, oltre che contenere norme che sanciscono
diritti e doveri che riguardano i cittadini italiani e quelli che riguardano gli stranieri, soltanto l’ART.
22.
- L'art. 22 afferma che: nessuno può essere priovato della cittadinanza per motivi politici.
- Le norme vigenti in italia sulla cittadinanza sono contenute nella legge 5 febbraio 1992 n91
I criteri principali per l'acquisto della cittadinanza sono:
 ius sanguinis: cioè è cittadino chi nasce da genitore cittadino italiano, indipendentemente
dal luogo di nascita. L'ART 11 afferma che si è cittadini italiani anche se solo un genitore è
italiano. Con questo articolo si è voluto dare rilevanza al principio di parità fra i due sessi,
mentre in passato era cittadino italiano solo chi nasceva da padre cittadino italiano.

ius soli: adottato solo per evitare casi di apolidia. Si stabilisce che è cittadino per nascita
anche chi:
• è nato nel territorio italiano da genitori ignoti o aploidi.
• chi nasce da genitori che hanno rifiutato la cittadinanza ma che avevano tutti
i requisiti per averle.
Altre ipotesi di acquisto della cittadinanza da parte di chi non sia cittadino italiano sono:

Acquisto per iuris communicatio: minore adottato o convivente con un genitore che sia
cittadino italiano; in questo caso la cittadinanza è rinunciabile al compimento della
maggiore età se l’interessato è in possesso di altra cittadinanza.

Acquisto per elezione: lo straniero o l’apolide del quale il padre o la madre o il nonno o la
nonna sia stato cittadino per nascita, lo straniero che presta servizio militare o assume un
impiego statale, o lo straniero che al raggiungimento della maggiore età risiede almeno da
due anni in Italia, ovvero lo straniero nato in Italia che vi risiede senza interruzioni fino al
raggiungimento della maggiore età.

Acquisto a domanda: lo straniero o l’apolide sposato a un cittadino/a italiano/a, dopo sei
mesi di residenza in Italia o dopo tre anni di matrimonio. La domanda può essere respinta
nel caso di persone condannate per determinati delitti. E’ stato abolito invece l’acquisto
della cittadinanza da parte della donna straniera che sposava un cittadino italiano.

Acquisto per concessione: lo straniero residente in Italia da 3 a 10 anni (variabile a seconda
che lo straniero possieda o meno certi requisiti), con decreto del Presidente della
Repubblica, sentito il Consiglio di Stato su proposta del Ministro dell’Interno.
Nella maggior parte dei casi, l’acquisto della cittadinanza italiana si collega alla residenza in Italia.
Negli ultimi anni si è ipotizzato di consentire l’acquisto della cittadinanza italiana da parte di chi
nasca in Italia da un genitore in possesso di permesso di soggiorno permanente (ius temperato),
oppure da parte di chi, nato o arrivato in Italia in tenera età, compia un ciclo scolastico (ius
culturae).
Perdita della cittadinanza
Caso più rilevante: quando un cittadino italiano acquista, possiede o riacquista una cittadinanza
straniera. L'ART. 11 L.91/92 afferma che un cittadino italiano che acquista, possiede o riacquista
una cittadinanza straniere può conservare quella italiana, ma può rinunciarci qual'ora risieda o
stabilisce la residenza all'estero.
NB: si può perdere anche quando un soggetto acquista volontariamente la cittadinanza di un altro
stato? No, perchè lo stato italiano consente il possesso contemporaneo della cittadinanza italiana e
quello di un altro stato.
La perdita della cittadinanza è anche prevista a titolo sanzionatorio per:
 un cittadino che accetti impiego pubblico da uno Stato straniero e, invitato dal Governo ad
abbandonare tale impiego, non ottemperi a tale invito.
 un cittadino, durante la guerra con un altro Stato, accetti impiego pubblico di tale Stato,
presti servizio militare in esso o acquisti la cittadinanza del medesimo Stato.
Riacquisto della cittadinanza
Il riacquisto della cittadinanza è previsto per coloro che l’abbiano perduta e si trovino in
determinate condizioni quali:
•
Residenza in italia
•
servizio militare
•
impiego statale
Il riacquisto della cittadinanza può essere però inibito dal Ministro dell’interno, su parere del
Consiglio di Stato, “per gravi e comprovati motivi”, entro un anno dal verificarsi delle condizioni
previste (art.13 L.91/1992).
La condizione di cittadino attribuisce una particolare serie di diritti e doveri (es. diritti politici come
l’elettorato attivo o passivo oppure doveri pubblici come il dovere di difendere la patria). MA agli
stranieri vanno comunque riconosciuti i diritti inviolabili della persona.
Cittadinanza europea
La cittadinanza europea appartiene a tutti i cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea (come
precisato dall’art. 20 del Trattato sul funzionamento dell’UE) e non sostituisce quella nazionale,
ma la completa. Il cittadino dell’Unione gode dei diritti attribuiti dai Trattati.



Dall’ ART. 3 T UE l’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza, giustizia
senza frontiere interne e assicura la libera circolazione delle persone (il T FUE riconosce il
diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
Dall’ ART. 22 T FUE al cittadino viene assicurato il diritto di elettorato attivo e passivo nelle
elezioni comunali e la facoltà di votare per le elezioni del Parlamento europeo.
Dall'ART. 19: Ogni cittadino dell’Unione residente in uno Stato membro di cui non è
cittadino ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunale nello Stato membro in
cui risiede, alle stesse condizioni di detto Stato. (…)
(…) ogni cittadino dell’Unione residente in uno Stato membro di cui non è cittadino e di
eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo nello Stato membro in cui risiede, alle
stesse condizioni dei cittadini di detto Stato. (…)
I diritti fondamentali
I diritti fondamentali sono contenuti nella parte prima della Costituzione, che vanno dall'art. 13
all'art. 54 e sono suddivisi in quattro titoli:
•
rapporti civili.
•
rapporti etico-sociali.
•
rapporti economici.
•
rapporti politici.
Il punto di riferimento è l’ART.2 Cost: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede
l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
L'inviolabilità dei diritti costituzionali
L’inviolabilità proclamata dall’ART.2 Cost. ha un preciso significato politico e culturale.
Affermando l’inviolabilità dei diritti fondamentali si rigetta la teoria dei diritti pubblici subiettivi,
elaborata dalla dottrina tedesca nel XIX secolo, secondo la quale i diritti dei cittadini nei confronti
dello Stato erano considerati frutto di autolimitazioni del potere statale, che poteva sempre
rimuoverle e riespandersi.
L’inviolabilità ha le sue radici nei diritti della persona umana, che ha un valore di anteriorità
rispetto all’ordinamento giuridico. Infatti, come lo stesso Giorgio La Pira ha ricordato in assemblea
costituente: l’ordinamento giuridico non puo istituire, creare i diritti innati in ogni essere umano;
esso li può solo riconoscere, in quanto già esistenti nell’uomo stesso.
Con il termine inviolabilità si vuole indicare l’intangibilità assoluta, l’inderogabilità, l’irrivedibilità
dei diritti fondamentali da parte di ogni potere dello Stato. Questi ultimi non sono protetti solo nei
confronti del potere esecutivo, come si credeva in epoca liberale, ma anche nei confronti della
legge del Parlamento.
L'inviolabilità come irrivedibilità dei diritti fondamentali: La Corte costituzionale ha affermato che
i principi supremi della Costituzione italiana, di cui fanno parte anche i diritti inalienabili della
persona umana “non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale nemmeno
da leggi di revisione costituzionale” (C.cost. sent.1146/1988).
Nonostante non ci sia una norma nella costituzione, i diritti fondamentali sono intangibili.
La costituzione considera inviolabili però solo il loro contenuto essenziale, lasciando alla consueta
dinamica della produzione del diritto i diversi modi di esercizio di tali diritti che possono, e talvolta
debbono, variare nel tempo.
I diritti inviolabili secondo la costituzione italiana: Un altro problema non di facile soluzione
consiste nell'individuare quali, tra i diritti protetti dalla costituzione, godono della qualfica della
inviolabilità. La costituzione non chiarisce quali siano i diritti inviolabili, perchè da un lato parla di
diritti inviolabili genericamente all'art. 2 senza precisare quali diritti sono fondamentalmente
involabili. Successivamente la costituzione considera inviolabili solo alcuni diritti come ad esempio
gli ARTT. 13-14-15-24 (Libertà di domicilio, la libertà e la segretezza della corrispondenza, il diritto
di difesa giurisdizionale) MA questa selezione non sembra escludere tutti gli altri dall'essere
considerati inviolabili.
I titolari dei diritti fondamentali
a) i singoli e le formazioni sociali
L'art.2 della costituzione impone alla Repubblica di riconoscere e garantire i diritti inviolabili
dell'uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.

I singoli: La Costituzione italiana supera la visione ottocentesca in cui i soli soggetti rilevanti
nei rapporti con lo Stato sono gli individui, ma soprattutto si contrappone all’epoca fascista
in cui vi era la concezione, da una parte di uno Stato corporativo, dall’altro lo Stato
manteneva un atteggiamento diffidente verso ogni altra associazione nata dalla società La
novità della Costituzione è data dal fatto che essa contiene un complesso normativo
favorevole alle società intermedie, al punto di riconoscerle titolari dei diritti fondamentali.
L’art.2 Cost. sottintende una concezione antropologica non individualistica, né
collettivistica. Il protagonista dei diritti fondamentali è un ‘io’, alla cui origine c’è un ‘noi’. Il
soggetto titolare dei diritti fondamentali è un essere razionale. Infatti, i 4 titoli in cui si
suddivide la prima parte della Costituzione sono definiti in termini di “rapporti”.
(Costituzione
Carta dei diritti dell’UE individualistica)

Le formazioni sociali: Si tratta sia di raggruppamenti a base naturale (la famiglia), sia di
quelli a struttura volontarie (associazioni, partiti politici). Sono invece esclusi gli enti
pubblici, che rispondono al principio di pluralismo istituzionale, ovvero quello espresso
dall’ART.5 Cost. Anche le formazioni di natura economica (società capitali) sono escluse
perché non sono espressione di quella spontanea solidarietà e vivacità dell’ordine sociale
alla quale l’ordinamento dà la priorità.
b) i cittadini e gli stranieri
L’ART.2 Cost. non distingue tra cittadini e stranieri, ma al contrario riconosce i diritti inviolabili agli
uomini in generale, senza lasciare spazio a distinzioni arbitrarie basate sulla cittadinanza.
MA della condizione giuridica dello straniero rispetto ai diritti fondamentali si fa riferimento anche
all’ART.3 Cost. che afferma il principio di eguaglianza riferito ai soli cittadini, e all’ART.10 c.2 Cost.
che afferma che la condizione dello straniero è determinata dalla legge in conformità ai trattati
internazionali (QUINDI non esclude del tutto un trattamento differenziato dello straniero rispetto a
quello del cittadino).
Tuttavia, sebbene testualmente nella Costituzione molti articoli sui diritti facciano riferimento ai
soli cittadini, essi tuttavia devono applicarsi anche agli stranieri quando si tratta di diritti
fondamentali della persona (C. cost. n. 120/1967) (C. cost. n. 105/2001 e n. 249/2010)
Tuttavia l’ampiezza e i limiti dei diritti dello straniero non sempre coincidono con quelli dei diritti
del cittadino, in quanto la tutela dei cittadini stranieri non deve recare pregiudizio alla collettività
nazionale.
Il testo costituzionale del 1948 risponde alla situazione storica dell’Italia di fine Ottocento e della
prima metà del Novecento, perché prende in considerazione il solo fenomeno migratorio in uscita,
ovvero l’ emigrazione degli italiani all’estero e invece ignora il fenomeno dell’immigrazione
straniera in Italia. Infatti, l’ART 16, C.2, riconosce ai cittadini italiani il diritto ad emigrare e rientrare
quando lo desiderano, mentre tace sulla stessa possibilità di ingresso dei non cittadini sul territorio
italiano.
La Corte ha però specificato che non si può fare una totale equiparazione dei cittadini e degli
stranieri nel godimento dei diritti. Infatti, il legislatore può differenziare l’INTENSITA’ nel godimento
dei diritti a seconda dei soggetti; la legislazione può dunque mantenere alcune distinzioni tra
cittadini e stranieri.
I diritti riservati ai soli cittadini sono:
•
I diritti politici: gli stranieri sono esclusi dall’elettorato attivo e passivo (ART. 48)
•
La libertà di circolazione, di soggiorno e di espatrio: secondo la Corte non si tratta di uno di
quei diritti inviolabili garantiti dall’art. 2, quindi mentre per il cittadino tale diritto trova conferma
nell’ART 16, per lo straniero manca di copertura costituzionale. Per contrastare il fenomeno
dell’immigrazione clandestina il legislatore può anche scegliere di mettere in campo lo strumento
penale. NB un reato comune commesso da un cittadino italiano non può essere punito più lievemente
di quel medesimo reato commesso da uno straniero, poiché in quel caso non si colpirebbe un tipo di
condotta ma una qualità della persona dell’immigrato.
•
La libertà di associazione e di riunione.
•
Il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.
Ma non bisogna dare un’interpretazione troppo letterale ai diritti descritti dalla Costituzione, al
fine di non negare agli stranieri alcuni diritti fondamentali e di tipo sociale, come ad esempio la
libertà di associazione. Agli stranieri sono riconosciuti anche:
•
La libertà di circolazione,
•
Il diritto di difesa in giudizio (C. cost. n. 198/2000),
•
Il diritto alla salute e alle cure mediche (C. cost. n. 252/2001),
•
Il diritto alla vita (C. cost. n. 54/1979)
Un ausilio per identificare i diritti validi per tutti gli uomini, è dato dai trattati internazionali sui
diritti umani (art.10 c.2 Cost.).
Secondo la Corte costituzionale l’integrazione sociale non si realizza soltanto attraverso il
riconoscimento dei maggiori diritti, ma anche attraverso il conferimento dei doveri, che permetto
allo straniero di diventare un soggetto attivo di solidarietà. Infatti, è stata dichiarata
incostituzionale la norma che restringeva ai soli cittadini italiani la possibilità di svolgere il servizio
civile volontariato.
Diritti fondamentali non scritti
L’art.2 Cost. pone un importante problema interpretativo: esso va inteso come clausola riassuntiva
dei diritti successivamente enumerati nel testo costituzionale o sottintende anche diritti impliciti
non scritti?
Da una parte, lo sviluppo della vita sociale crea nuove esigenze da tutelare e quindi nuovi diritti, in
tal senso l'art 2 potrebbe permettere di andare oltre gli stretti confini del diritto positivo scritto.
Dall’altra, l'introduzione di nuovi diritti fondamentali rischia di alterare il disegno complessivo della
tavola dei valori costituzionale, con possibilità di pregiudizio, compressione o riduzione della tutela
dei diritti scritti. Introdurre nuovi diritti fondamentali comporta il rischio di indebolire quelli vecchi,
scritti nella Costituzione. In nome di nuovi diritti fondamentali sono state avanzate le più svariate
richieste di tutela poco correlate a veri e propri diritti fondamentali: nei decenni scorsi erano
soprattutto diritti economici e sociali a premer sulle Corti per un loro ampliamento, mentre ora
riguardano prevalentemente il diritto al privacy.
In conclusione, si po’ affermare che l’art. 2 abbia una funzione riassuntiva rispetto ai diritti
esplicitati nel testo della Costituzione, e l’impossibilità che siano tutelati diritti non previsti dalla
Costituzione. MA la Corte Costituzionale ha ammesso più volte l’esistenza di ulteriori diritti
fondamentali rispetto a quelli scritti conseguenti a quelli costituzionalmente previsti oppure
sottintesi dai diritti scritti, come per esempio il diritto all’identità personale, il diritto alla libertà
sessuale, il diritto al nome e cognome, il diritto a conoscere le proprie origini, il diritto al
riconoscimento dell’identità di genere.
Il sistema multilivello della tutela dei
diritti fondamentali
Per comprendere a fondo la tutela costituzionale dei diritti fondamentali nel sistema costituzionale
italiano non si può trascurare:
 La convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU)
 L'unione europea
Oggi le aperture sovranazionali della costituzione italiana, contenute negli ARTT.11-17 c.1 Cost.,
permettono che il catalogo dei diritti fondamentali e il contenuto di ciascuno di essi sia rimodulato
alla luce degli orientamenti giurisprudenziali che maturano presso la Corte europea dei diritti
dell’uomo (Corte EDU) e presso la Corte di giustizia della Comunità europea (Corte CGUE).
I dritti fondamentali e l'Unione europea
Prima che la Corte di giustizia europea esplicitasse il principio della supremazia del diritto europeo,
le norme costituzionali nazionali prevalevano sugli atti, anche normativi, europei. La Comunità
europea infatti non si occupava dei diritti fondamentali né della loro tutela, ma lasciava agli Stati
membri il compito di garantire il rispetto di tali diritti, attraverso le Costituzioni nazionali.
Successivamente si affermò la supremazia del diritto comunitario su quello nazionale, ma ciò
comportò il crearsi di una ‘zona franca’ in cui non veniva più assicurata la tutela dei diritti
fondamentali.
La situazione cambiò a partire dalla ‘Sentenza Stauder’ della Corte di giustizia della Comunità
Europea (C.G. 29/1969): “La disposizione (…) non rivela alcun elemento che possa pregiudicare i
diritti fondamentali della persona, che fanno parte dei principi generali del diritto comunitario, di
cui la Corte garantisce l’osservanza”. In poche parole, la Corte ha ritenuto che rientrasse nelle sue
competenze garantire la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini nei confronti degli atti delle
istituzioni comunitarie, coprendo così una lacuna che si era formata con l’affermazione della
supremazia del diritto comunitario.
Negli anni più recenti, la proclamazione della carte dei diritti fondamentali dell'Unione europea,
avvenuta a Nizza il 7 dicembre 2000, rappresenta un compendio dei diritti: dignità, libertà,
uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia.
La Carta ha acquisito valore giuridicamente vincolante con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore
l’1 dicembre 2009: prevede che la Carta dei diritti fondamentali dell’UE sia equiparata ai trattati
comunitari quanto ad effetti giuridici e consente l’adesione dell’Unione europea alla Convenzione
dei diritti dell’uomo.
Le coordinate fondamentali per la garanzia dei diritti assicurata dalla Corte di giustizia sono (ART. 6
T. UE):

Le tradizioni costituzionali comuni e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU):
La Corte di giustizia ha elaborato i diritti fondamentali da far valere in ambito europeo
traendoli dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e dalla CEDU. PERO con il
tempo la Corte di Strasburgo ha assunto autorevolezza crescente, lasciando in ombra le
tradizioni costituzionali comuni.

Separazione: i rapporti tra la tutela europea e la tutela nazionale dei diritti fondamentali
seguono due percorsi diversi:
- I diritti fondamentali europei sono garantiti dalla Corte di giustizia nei confronti degli atti delle
istituzioni europee
- Il diritto dell'UE ribadisce che la tutela dei diritti fondamentali delle istituzioni europee deve
rimanere entro gli ambiti delle competenze europee.

Incorporation: la giurisprudenza della Corte di Giustizia può influenzare gli Stati membri nei
casi in cui le normative statali entrino nel campo di applicazione del diritto europeo.
Nel ricorrere a questa dottrina la Corte è sempre stata prudente e l’ha fatto in due ipotesi:
- secondo la linea Wachauf: cioè quando gli Stati membri agiscono per dare attuazione a normative
comunitarie.
- secondo la linea ERT: cioè quando gli Stati invocano una delle cause di giustificazione previste dai
trattati comunitari per limitare una delle libertà economiche fondamentali garantite dai trattati.
(es: uno Stato si appella a motivi di sanità o ordine pubblico per limitare una libertà di
circolazione).
I diritti fondamentali e la CEDU
Inizialmente l’ordinamento italiano si è accostato alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo
seguendo l’impostazione dualistica che caratterizza i rapporti del sistema italiano con il diritto
internazionale. In base a questi principi la CEDU ha assunto l’efficacia di una comune legge
ordinaria, considerata in tutto e per tutto una fonte di diritto primario dal punto di vista
dell’ordinamento interno, derogabile da successive leggi o atti aventi forza di legge. Tuttavia si è
avvertita l’inadeguatezza di questa impostazione che rileva la mancanza di una ‘copertura
costituzionale’ che permettesse almeno di garantirle una resistenza nei confronti delle leggi
ordinarie, in modo da evitare che qualsiasi norma di legge interna potesse liberamente derogare
alle norme della Convenzione. Si formano così teorie e soluzioni diverse: per alcuni la copertura
viene individuata negli artt.2-10-11 della Costituzione.
Un episodio giurisdizionale rilevante è la sentenza 10/1993 della Corte Costituzionale: afferma che
le norme internazionali di tutela dei diritti umani sono “norme derivanti da una fonte riconducibile
a una competenza atipica e, come tali, insuscettibili di abrogazione o modificazione da parte di
leggi ordinarie”. Quindi la Corte costituzionale affermava l’atipicità di queste norme, per
giustificare una loro speciale efficacia normativa, potenziata rispetto allo strumento legislativo in
cui sono contenute. Questa sentenza, mettendo in discussione il valore di legge ordinaria della
CEDU e sottolineando la sua specificità anche rispetto agli altri trattati internazionali, apre una fase
di ‘crisi’ dei rapporti tra l’ordinamento italiano e il sistema CEDU.
Alla fine degli anni Novanta, la giurisprudenza ordinaria, amministrativa e costituzionale hanno
iniziato a valorizzare molto la CEDU e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, almeno sul piano
interpretativo. Importante da ricordare a tal proposito, è l’espressione usata dalla Corte
costituzionale nella sentenza 388/1999, secondo cui la Costituzione e i trattati internazionali sui
diritti umani “si integrano, completandosi reciprocamente nell’interpretazione.”
Un altro intervento della Corte costituzionale è la riforma del titolo V della Costituzione del 2001, il
cui nuovo ART 117 c.1 afferma che “la potestà legislativa è esercitata…nel rispetto degli obblighi
internazionali”. Secondo alcuni autori questa nuova formulazione dell’articolo, avrebbe permesso
di riconoscere alla CEDU e agli altri trattati internazionale una forza passiva superiore rispetto alle
leggi ordinarie.
Ma la svolta decisiva la si ha con le sentenze 348 e 349/2007 della Corte costituzionale. Con queste
due pronunce ha fissato dei principi fondamentali dei rapporti tra l’ordinamento italiano e la CEDU.
Sul piano delle fonti del diritto la Corte costituzionale ha qualificato la CEDU come fonte ordinaria
dotata di copertura costituzionale in forza dell’art.117 c.1 Cost.; sul piano dei rimedi giurisdizionali
ha affermato che le questioni di compatibilità e contrasto tra le leggi interne e la CEDU configurano
un giudizio di legittimità costituzionale di competenza della Corte costituzionale e non dei giudici
ordinari.
La Corte costituzionale ha qualificato la CEDU come fonte ordinaria e però dotata di copertura
costituzionale in forza dell’art. 117 e ha affermato che i problemi di contrasto tra le normative
italiane e la CEDU NON sono di pertinenza dei giudici comuni: al giudice comune spetta
interpretare la norma in modo conforme alla disposizione internazionale.
Con la sentenza n. 317/2009 la Corte costituzionale ha precisato i vari compiti:
 Legislatore: ha il compito di adeguare l’ordinamento giuridico italiano ai diritti protetti dalla
Convenzione.
 Giudice comune: ha il compito di interpretare le norme interne conformemente alla CEDU.
 Corte costituzionale: ha il compito di dichiarare l’illegittimità costituzionale di una norma
interna e ha un’importantissima funzione di bilanciamento tra diritti esterni ed interni.
Il principio di uguaglianza
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”.
Il principio di eguaglianza formale, proclamato all’art.3 c.1 Cost., riprende un principio risalente
alla Rivoluzione francese e diffuso in tutti gli Stati di diritto dell’epoca liberale. Tale principio si
rivolge tanto ai giudici (ART. 101) quanto al legislatore (ART. 97). Inoltre, più che ad sottoporre ad
un unico trattamento tutti i consociati, sembra diretto a precludere le discriminazioni arbitrarie fra
soggetti che si trovino in situazioni identiche o affini, e anche ad impedire arbitrarie assimilazioni
fra soggetti che si trovano in situazioni diverse. Quindi il principio di eguaglianza richiede che
situazioni eguali ricevano eguale trattamento giuridico e che situazioni differenti ricevano un
differente trattamento giuridico.
Le classificazioni legislative che si basano sui criteri ‘sospetti’ (distinzione di sesso, razza, lingua,
religione, opinione politica, condizioni personali e sociali) vengono sicuramente dichiarate
incostituzionali e soggette a scrutinio stretto della Corte costituzionale. Quelle che invece si basano
su criteri diversi da quelli ‘sospetti’ sono valutate dalla Corte costituzionale secondo il principio di
ragionevolezza; In questo caso La Corte costituzionale valuta la coerenza delle distinzioni e delle
assimilazioni operate dal legislatore, alla luce del trattamento che le leggi riservano ad altre
fattispecie comparabili con quella contestata.
Quindi il giudizio sulle leggi rispetto al principio di eguaglianza, non mette in gioco solo due
termini (la norma impugnata e l’art.3 Cost.) ma coinvolge anche un altro termine, il tertium
comparationis, costituito dalla norma messa a raffronto con quella della cui legittimità
costituzionale si discute: la violazione o il rispetto del principio di eguaglianza da parte di una
norma emerge nel paragone con un’altra disposizione di legge ordinaria.
La Corte costituzionale ritiene che il giudizio di eguaglianza si debba articolare nella verifica dei
seguenti criteri:
La correttezza della classificazione, operata dal legislatore in relazione ai soggetti
considerati, tenuto conto della normativa apprestata.
•
•
La previsione da parte dello stesso legislatore di un trattamento giuridico omogeneo,
commisurato alle caratteristiche essenziali della classe di persone cui il trattamento è riferito.
•
La proporzionalità del trattamento alla classificazione in relazione agli effetti pratici.
L'eguaglianza sostanziale
“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di
fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del
Paese” (art.3 c.2 Cost.)
 il principio di eguaglianza sostanziale completa e sviluppa il principio di eguaglianza
formale.
 Il principio di eguaglianza sostanziale giustifica ed incoraggia gli interventi positivi
(affirmative action) e di sostegno a favore dei soggetti più deboli, allo scopo di raggiungere
una parità di trattamento e di chances. Basti pensare a ciò che è stato realizzato a favore
delle donne in materia di lavoro e attività professionale (C.cost.109/1993 e artt.51-117 c.7
Cost.).
La garanzia dei diritti fondamentali
La riserva di legge e la riserva di giurisdizione sono i due istituti di garanzia generale dei diritti
fondamentali nell’ordinamento italiano.
Riserva di legge
Attraverso la riserva di legge la Costituzione richiede che una materie sia disciplinata dalle leggi del
Parlamento, cioè dell’organo rappresentativo della volontà popolare. La riserva di legge costituisce
un limite agli interventi normativi del potere esecutivo e ha una funzione di garanzia in quanto
vuole assicurare che in materie particolarmente delicate, come nel caso dei diritti fondamentali del
cittadino, le decisioni vengano prese dall'organo più rappresentativo del potere sovrano ovvero dal
parlamento come previsto dall'ART 70.
Tuttavia ciò comporta un vincolo per il Parlamento che è tenuto a disciplinare direttamente le
materie coperte da riserva, senza la possibilità di demandare tale compito ad altre fonti sub
legislative. Al Governo si lascia però la possibilità di interventi con atti con forza di legge: decretilegge e decreti legislativi, che sono atti normativi equiparati alla legge formale.
Si possono distinguere due ipotesi:
•
La riserva di legge assoluta richiede che la materia sia disciplinata integralmente dalle leggi
(es: la legge stabilisce ‘i casi e i modi’, art.13 Cost.)
•
La riserva di legge relativa richiede solo che il legislatore stabilisca direttamente la
disciplina di principio, che può essere sviluppata e completata da regolamenti successivi (es: ‘in base
alla legge’, art.23 Cost., e ‘secondo disposizione di legge’, art.97 Cost.).
NB: La Corte costituzionale ha recentemente dichiarato l'illegittimità costituzionale di disposizioni
di legge che attribuivano genericamente ai sindaci il potere di adottare provvedimenti contingibili e
urgenti al fine di prevenire e eliminare pericoli per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana.
La riserve di giurisdizione
Questo istituto prevede che soltanto un atto dell’autorità giudiziaria può intervenire per disporre
restrizioni ai diritti fondamentali, in particolare alla libertà personale, di domicilio, di
corrispondenza e di stampa. Serve quindi come garanzia a favore del rispetto da parte di tutti i
cittadini dei limiti posti dalla Costituzione e dalla legge ai diritti fondamentali (ART. 101 COST)
Tutela giurisdizionale dei diritti
fondamentali (rinvio)
L’ordinamento italiano non offre ai cittadini rimedi giurisdizionali specifici. L’unica forma di tutela è
la Corte costituzionale, ma i cittadini non possono accedervi direttamente. Quindi l’unica soluzione
è rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, rispettando però il principio di
sussidiarietà.
NB: i diritti fondamentali possono essere divisi in:
•
•
•
•
•
•
•
•
Diritti individuali:
libertà personale.
libertà di domicilio.
libertà di comunicare riservatamente.
libertà di soggiorno e di emigrazione.
Diritti collettivi:
libertà di riunione.
libertà di espressione.
La libertà personale (Art.13)
Proclama l'inviolabilità della libertà personale.
Oggetto di tutela di quest’articolo è la libertà personale contro l’assoggettamento del
proprio corpo ad ogni tipo di coercizione.
• Garantisce che tutte le forme di restrizione della libertà personale (es: perquisizioni personali,
detenzioni, ispezioni) sono sostenute dalla : a) riserva di legge assoluta: cioè devono essere
previste con norme di livello legislativi; b) riserva giurisdizionale: cioè devono essere attuate
con atto motivato dell’autorità giudiziaria.
•
•
Al comma 3 dell’art.13 Cost. sono previste delle eccezioni: l’autorità di pubblica sicurezza può
applicare autonomamente provvedimenti limitativi della libertà personale solo in casi indicati dalla
legge, di eccezionale necessità e urgenza (es: flagranza, pericolo di fuga)*, che devono essere
comunicati all’autorità giudiziaria entro 48 ore per la successiva convalida, che deve anch’essa
avvenire entro 48 ore.
*a questi si aggiungono i provvedimenti restrittivi della libertà personale a carico degli stranieri
irregolarmente presenti nel territorio dello Stato, in particolare la misura del trattenimento presso i
centri di identificazione ed espulsione. Ad esempio, è stato dichiarato incostituzionale una norma
che prevede l’esecuzione immediata dell’accompagnamento alla frontiera, prima della convalida da
parte dell’autorità giudiziaria.
Oltre hai provvedimenti provvisori affidati all’autorità di pubblica sicurezza, l'ordinamento prevede
diverse categorie di provvedimenti restrittivi della libertà personale attuabili soltanto previo ordine
dell'autorità giudiziaria:
 Le limitazioni di libertà personale disposte in seguito a sentenza di condanna definitiva a
pena detentiva.
 Misure cautelari: cioè quei provvedimenti disposti nel corso dei processi penali la cui
ammissibilità deve essere misurata con il precetto dell'ART.27 Cost, che stabilisce la
presunzione di non colpevolezza dell'imputato prima della sentenza definitiva di condanna.
A questo proposito la corte costituzionale ha stabilito che le misure cautelari possono
essere disposte solo in vista di esigenze di carattere cautelare o per esigenze strettamente
inerenti al processo che in nessun caso possono avere lo scopo di anticipare la pena.
Secondo il codice di procedura penale le misure cautelari possono essere disposte solo per
tre ordini:
•
per specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini.
•
per evitare la fughe dell'imputato.
•
per evitare che l'imputato commetta altri gravi delitti.
Sono anche previste a fianco delle misure cautelari:
Custodia cautelare in carcere
i cui termini massimi sono fissati dai giudici
(non può essere disposta in tempo indefinito).
Le misure di prevenzione
Utilizzate per combattere i fenomeni di
criminalità organizzata.
Queste ultime vengono applicate indipendentemente dalla commissione di reati. Infatti, la Corte
costituzionale ha precisato che sono applicabili in presenza di presupposti oggettivi e controllabili,
non sulla base di semplici sospetti.
Nei confronti di tutte queste misure restrittive la persona può segnalare la possibilità di ricorso al
Tribunale della libertà. Inoltre, ART 111 prevede che sia sempre ammesso ricorso contro tutti i
provvedimenti restrittivi della libertà personale.
Libertà di domicilio (art.14)
Ai fini della tutela costituzionale, il ‘domicilio’ è costituito da qualsiasi luogo separato dall’ambiente
esterno fruibile dalla persona. Sono compresi quindi anche i luoghi di lavoro, le sedi dei partiti
politici, le associazioni, i sindacati, i luoghi di abitazione, e anche i luoghi temporanei di vacanza. Il
presupposto indispensabile è il possesso di fatto, che sia lecito od illecito e non ha rilievo la
titolarità della proprietà.
La libertà di domicilio è disciplinata dall’art.14 Cost., articolo che garantisce:
il diritto di ammettere o escludere terzi dai luoghi in cui si svolge la propria vita intima;
il diritto alla riservatezza su quanto si compie nei propri luoghi di vita privata (nel caso in cui
la polizia giudiziaria decidesse di riprendere un luogo di privata dimora dall’esterno che sarebbe
comunque visibile ai terzi, come ad esempio quello che si svolge su un balcone, non si ha protezione
costituzionale).
•
•
Quanto alle garanzie che circondano le limitazioni della libertà domiciliare, l’art.14 c.2 Cost. rinvia
solo alle garanzie vigenti per la tutela della libertà personale. Sono quindi vigenti le garanzie della
riserva di legge e della riserva giurisdizionale: non possono essere eseguite ispezioni, perquisizioni
o sequestri se non nei casi/modi previsti dalla legge e con atto motivato da autorità giudiziaria.
Alcune eccezioni sono previste al comma 3 dell’art.14 Cost., in cui vengono elencati alcuni casi in
cui non è presente la riserva giurisdizionale; per esempio per:
•
ispezioni domiciliari motivate ai fini di incolumità e sanità pubblica.
•
fini economici o fiscali.
Le autorità amministrative non sono nemmeno tenute a richiedere una successiva convalida
giudiziale.
(ultimo comma ART 14) il rifiuto dell’individuo ad aprire il proprio domicilio all’autorità pubblica
non può essere superato con l’uso della forza, a differenza della polizia giudiziaria.
La libertà di comunicare riservatamente
(art.15)
È proclamata dall’art.15 Cost. che garantisce la libertà e la segretezza della corrispondenza e della
comunicazione, sia per il mittente che per il destinatario.
Anche le garanzie proposte a tutela della libertà e segretezza delle comunicazione interpersonali
sono:
la riserva di legge : le limitazioni della libertà possono avvenire solo con le garanzie stabilite
dalla legge;
•
•
la riserva giurisdizionale assoluta: intesa in modo rigoroso, escludendo quindi l’autonomo
intervento dell’autorità di pubblica sicurezza;
•
la possibilità di non utilizzare le intercettazioni a livello probatorio se esse sono state
ottenute in modo illecito dalla polizia (garanzia specificata dal c.p.p.).
Intercettazioni: Per quanto riguarda le intercettazioni da parte della polizia, e sopratutto di quelle
telefoniche, informatiche o telematiche, infatti, potrebbero avvenire, anche all'insaputa di coloro
che sono intercettati, i quali quindi non sarebbero di fatto in grado di attivare la garanzia del
tempestivo controllo dell'operato della polizia da parte dell'autorità giudiziaria.
In particolare proprio per quanto riguarda le intercettazioni, il codice di procedura penale prevede
che, se eseguite illecitamente dalla polizia, esse non possono essere utilizzate nel processo.
La libertà di circolazione, soggiorno,
espatrio ed emigrazione (art. 16)
Libertà di circolazione e di soggiorno
È proclamata dall’art.16 Cost., che tutela la circolazione e il soggiorno in tutto il territorio
nazionale, quindi la possibilità di muoversi liberamente nel territorio e di stabilire la propria dimora,
domicilio o sede lavorativa in qualsiasi zona.
•
A garanzia di tali libertà, è espressamente vietato alle Regioni adottare provvedimenti
ostacolativi.
•
Le limitazioni di queste libertà sono sostenute dalla garanzia della riserva di legge, assoluta
e rinforzata: il legislatore è vincolato a porre limitazioni in via generale e quindi applicabili in astratto e
a soggetti generici; il legislatore può limitare tali libertà solo in presenza di motivi rilevanti attinenti la
sanità e la sicurezza pubblica: quindi solo per tutelare la salute fisica e psichica dei cittadini (ART 32)
•
La riserva di giurisdizione in questa materia non è presente, non occorre perciò l’intervento
dell’autorità giudiziaria per determinare una limitazione di libertà.
•
Grazie alle recenti normative europee, la garanzia di queste libertà si è estesa a livello
dell’Unione europea.
•
•
Libertà di espatrio
La Costituzione prevede una riserva di legge assoluta ma non rinforzata, in quanto attribuisce al
cittadino il diritto di uscire e rientrare liberamente dal territorio nazionale se non sussistono diversi
obblighi legislativi (ES. munirsi di un documento di identità valido).
•
Libertà di emigrazione
È tutelata dall’ART.35 Cost. c.4, ed è connessa alla libertà di espatrio.
In questo articolo è descritta una particolare tipologia di diritto all’espatrio motivato da ragioni
economiche: in questo caso non si tratta di una libertà puramente negativa, ma anche positiva, in
quanto lo Stato si impegna in attività di regolazione, controllo ed indirizzo del fenomeno migratorio
anche con l’istituzione di uffici dislocati all’estero a tutela dell’emigrante.
•
La libertà di riunione (art. 17)
È proclamata dall’art.17 Cost. e si estende anche ai cittadini stranieri, quindi la possibilità di
riunione (cioè ogni fenomeno di compresenza fisica di più persone nello stesso luogo: pubblico,
privato o aperto al pubblico) è garantita dalla Costituzione a condizione che essa si svolga
pacificamente e senza armi, cioè con modalità idonee a non costituire pericolo o minaccia per
l’incolumità degli altri cittadini.
Vi sono tuttavia dei limiti, ovvero la libertà di riunione, non essendo assoggettata ad alcuna
autorizzazione da parte della pubblica autorità, ha l’unico obbligo, per i promotori, di dare
preavviso all’autorità di pubblica sicurezza (il questore o l’autorità locale di pubblica sicurezza)
almeno 3 giorni prima per le riunioni che si volgono in luogo pubblico (strade, piazze).
Le riunioni possono essere sciolte solo per ragioni di sicurezza e incolumità pubblica.
La libertà di associazione
La libertà di associazione è rintracciabile in più disposizioni della Costituzione. I tratti fondamentali,
volti al pluralismo e alle formazioni sociali, sono infatti delineati già nell’art. 2 Cost.
La libertà di associazione è poi definita con più precisione dall’art.18 Cost., che tutela in via
generale tutte le formazioni sociali volontarie. Particolari associazioni vengono infine disciplinate
con altre disposizioni costituzionali: in materia di partiti politici (art.49 Cost.) e sindacati (art.39
Cost.).
L’oggetto di tutela di tale libertà si articola in:
•
diritto di costituire nuove associazioni senza possibilità di imporre nessuna forma di
autorizzazione;
•
diritto di aderire ad associazioni esistenti, di non aderirvi o di recedervi.
Vi sono anche per questa libertà dei limiti e infatti la costituzione per tutelare l'effettiva
democraticità del sistema politico vieta il formarsi di diverse forme di associazione:
•
associazioni che perseguono fini vietati dalla legge penale (associazioni a delinquere);
•
associazioni segrete: cioè quelle associazioni che mirano a generare centri di potere
occulto, e che hanno perciò carattere in senso lato politico.
•
associazioni ‘paramilitari’: cioè organizzazioni di carattere militare, ma con scopi politiciTutte le associazioni vietate dalla Costituzione possono essere sciolte ma solo con l’intervento
dell’autorità giudiziaria (occorre una sentenza conseguente ad un accertamento).
I partiti politici:
Un partito politico è un’associazione tra persona accomunate da una medesima finalità politica,
ossia da una comune visione su questioni fondamentali riguardanti la gestione dello Stato e della
società.
•
La libertà di formare partiti politici è protetta dall’art.49 Cost.
•
Giuridicamente i partiti sono delle associazioni non riconosciute e quindi sottoposte al
regime normativo di tale tipologia (art.36 c.c.).
I partiti costituiscono delle forme di aggregazione tramite le quali i cittadini possono
concorrere con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale (pluralismo).
•
•
L’unico limite posto dalla Costituzione è il metodo democratico.
•
In Italia non sono vietati i partiti antisemita, ma è proibita la formazione del disciolto partito
fascista.
L’art. 98 Cost. prevede che il legislatore possa stabilire delle limitazioni al diritto di iscrizione ai
partiti politici per alcune particolari categorie di cittadini, solitamente incaricati di funzioni
istituzionalmente imparziali:
•
Magistrati;
•
Militari in servizio attivo;
•
Funzionari ed agenti di polizia;
•
Rappresentanti diplomatici e consolari al
•
l’estero.
Era previsto un rimborso delle spese elettorali, per i partiti che avessero presentato le liste
in un determinato numero di collegi e avessero ottenuto un risultato minimo di consensi.
•
E inoltre sussisteva un ulteriore contributo statale a favore dei gruppi parlamentari
(L.174/1975).
•
Il 18 aprile 1993, tramite un referendum, si giunse all’abrogazione delle
norme riguardanti i finanziamenti parlamentari, con il 90,3% di voti
favorevoli, ma rimase in vigore il contributo per le spese elettorali dei partiti.
•
Grazie ad un’ulteriore intervento legislativo (L.2/1997) si concesse che tramite l’atto della
dichiarazione dei redditi ciascun cittadino potesse destinare una quota pari al 4 per mille del gettito di
imposta sul reddito al finanziamento dei movimenti presenti in Parlamento.
In seguito anche questa forma di finanziamento volontario venne abrogata
(L.157/1999).
Nel 2002 la legge n°156 ha reintrodotto il sistema di rimborso delle spese elettorali
destinate ai partiti che abbiano raggiunto una determinata soglia di voti in sede di elezioni politiche
nazionali, regionali e del Parlamento europeo. Oggi il finanziamento è previsto per tutti i partiti che
superino l’1% dei voti.
I sindacati:
Sono organi rappresentanti delle categorie produttive.
•
•
L’art.39 Cost. afferma che l’organizzazione sindacale è libera, e garantisce quindi anche una
più ampia libertà di costituire, aderire, recedere e organizzare senza vincoli i sindacati.
Secondo il disegno costituzionale, io sindacati registrati presso pubblici uffici e con
ordinamento democratico avrebbero avuto la possibilità di stipulare contratti collettivi con portata ed
efficacia generale. Tale progetto è rimasto però inoperante a causa della mancanza di una legge di
attuazione.
•
•
I sindacati sono quindi semplici associazioni non riconosciute e i contratti collettivi di lavoro
sono privi di efficacia generale dal punto di vista giuridico (producono effetti vincolanti solo per le parti
firmatarie).
Grazie ai riferimenti costituzionali che garantiscono il diritto ad una retribuzione
proporzionata al lavoro svolto (art.36 Cost.), la giurisprudenza estende di fatto gli effetti economici dei
contratti collettivi a tutta la categoria a cui essi sono riferiti.
•
La libertà religiosa
Alla libertà di religione sono dedicati gli art. 7-8-19-20 della Costituzione, ma vi è un riferimento
anche nell’enunciazione del principio di eguaglianza formale (art. 3 comma 1 Cost.) che vieta
esplicitamente ogni discriminazione basata sulla religione.
L’art. 19 Cost.
protegge la libertà del singolo, cittadino o straniero, di professare o propagan
dare la propria religione. Ognuno è libero di aderire personalmente a un determinato credo
religioso e può inoltre propagandare la propria fede per indurre altri ad aderirvi.
Complementare alla libertà di aderire e propagandare ogni fede religiosa è la libertà negativa di
religione, ossia di non professarne alcuna.
La libertà di culto
La Costituzione protegge anche la libertà di esercizio del culto sia in:
•
forma Individuale
•
forma collettiva
sia in:
•
luogo pubblico
•
luogo privato
il solo limite è che non può essere esercitata con riti contrari al buon costume.
NB: La Costituzione tutela la libertà di religione anche nel suo momento collettivo: sono protetti i
gruppi sociali con finalità religiosa, sia che siano associazioni sia che si tratti di confessioni religiose.
L’art.20 Cost.
vieta di imporre particolari oneri alle formazioni sociali a causa delle finalità
religiose che perseguono: “il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto di una
associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative né di speciali
gravami fiscali per la sua costituzione, la sua capacità giuridica e ogni forma di attività”.
In Italia
la religione della maggioranza della popolazione è sempre stata quella cattolica alla
quale, infatti, l’ordinamento ha riconosciuto una posizione differenziata.
La Costituzione prevede un sistema concordatario nei rapporti con la Chiesa cattolica e un regime
pattizio per le confessioni religiose che intendono formalizzare i rapporti con lo Stato (artt. 7 e 8
Cost.). Le problematiche più recenti traggono origine sia dagli importanti flussi migratori da paesi
extracomunitari che comportano il diffondersi di un’ampia varietà di religioni fra la popolazione, sia
dal diffondersi di posizioni laiche nella sfera pubblica.
Così la Corte Costituzionale ha affermato il principio di laicità dello Stato, principio supremo e
inviolabile, che comporta l’equidistanza e l’imparzialità della legislazione rispetto a tutte le
confessioni religiose.
La libertà di manifestazione del pensiero
La libertà di manifestazione del pensiero è tutelata dall’art. 21 Cost. ed è un elemento
fondamentale dell’ordinamento democratico.
L’oggetto specifico della tutela dell’art. 21 Cost. è la possibilità di divulgare il proprio pensiero,
qualunque sia la modalità di espressione scelta (la parola, lo scritto, il gesto corporeo…) e
qualunque sia il mezzo di trasmissione o diffusione utilizzato (la voce, la radio, il teatro, la
televisione, internet…). Inoltre la garanzia costituzionale copre indifferentemente la divulgazione
sia di meri fatti e notizie (diritto di cronaca) sia di opinioni e commenti (diritto di critica).
L’unico limite imposto dalla Costituzione è costituito dal rispetto del buon costume.
Alla luce dell’art. 2 Cost., tale limite si slega definitivamente dal
concetto morale sessuale a cui era collegato in passato, e viene a
coincidere con il rispetto della dignità della persona umana. Il buon
costume non può tuttavia ostacolare quelle manifestazioni del
pensiero costituite dalle opere artistiche, dal momento che l’art. 33
comma 1 Cost. protegge in modo privilegiato la libertà dell’arte e
della scienza e il loro libero insegnamento.
Ci sono poi altri tipi di limiti:
•
Inespressi o impliciti: che possono operare solo se volti a salvaguardare altri diritti, beni,
interessi o valori di rango costituzionale.
•
Logici: che operano quando l’atto di cui ci si sta occupando non può tuttavia essere
qualificato come manifestazione del pensiero, non rientrando “logicamente” in quel concetto. (Per
esempio né la menzogna né la falsità, in quanto non espressioni del proprio pensiero, non godono
della garanzia costituzionale dell’art. 21.)
Vengono presi in considerazione dall’art. 21 anche i mezzi attraverso i quali può essere manifestato
il proprio pensiero:
•
la stampa,
•
la radiotelevisione
•
gli spettacoli.
La stampa
Delle regole della stampa si occupano approfonditamente i quattro commi centrali dell’articolo:
•
Gli stampati non possono essere soggetti né ad autorizzazioni, ossia a provvedimenti
preventivi rispetto alla stampa discrezionalmente adottati dall’autorità amministrativa, né a censure,
ossia a controlli discrezionali successivi alla stampa e precedenti la divulgazione e riguardanti il loro
contenuto.
•
L’unico mezzo repressivo è il sequestro degli stampati che può essere disposto
successivamente alla diffusione solo dall’autorità giudiziaria, o dalla polizia giudiziaria quando a causa
dell’assoluta urgenza non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria.
•
Il sequestro è ammesso, inoltre, solo nei casi in cui tramite la stampa siano stati commessi
alcuni tipi di delitti espressamente indicati dalla legge, oppure nei casi di violazione delle norme
relative all’indicazione dei responsabili degli stampati.
•
Per la libertà di stampa la Costituzione prevede sia la riserva di legge assoluta sia la riserva
di giurisdizione.
•
Quanto alla proprietà delle testate giornalistiche la Costituzione prevede soltanto che per
legge possa essere stabilito, “con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di
finanziamento della stampa periodica”. Appare chiaramente che la Costituzione non si premura
soltanto di garantire il profilo attivo della libertà di informazione (diritto di informare), ma anche di
tutelare il profilo passivo di tale libertà (diritto ad essere informati).
La Corte Costituzionale ha espressamente parlato del diritto dei cittadini-elettori a ricevere dai
media un’informazione il più possibile corretta, obiettiva e completa, cioè pluralistica, come
condizione per la formazione di una propria opinione e il conseguente libero e consapevole
esercizio del diritto di voto.
Soltanto con la L. n. 416/1981 (successivamente modificata) il legislatore ha voluto precludere il
formarsi di monopoli o oligopoli e di posizioni dominanti nel campo editoriale, anche attraverso la
vigilanza di un’apposita autorità amministrativa indipendente, l’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni.
La radiotelevisione
Nonostante la sua grande importanza in epoca fascista e durante la seconda guerra mondiale, non
è espressamente presa in considerazione dalla Costituzione.
Fino a circa metà degli anni Settanta, i mezzi radiotelevisivi furono soggetti al monopolio statale. In
quel periodo ci furono varie pronunce da parte della Corte Costituzionale che aprirono ai privati la
possibilità di esercitare impianti televisivi via cavo a carattere locale e ripetitori di stazioni
trasmittenti estere. Contemporaneamente dettò indicazioni al legislatore perché intervenisse a
garantire maggiormente il valore costituzionale del pluralismo dell’informazione anche all’interno
della stessa concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, dando riconoscimento al principio
del pluralismo interno.
Pochi anni dopo la Corte Costituzionale liberalizzò anche le televisioni private via etere in ambito
locale, aprendo la strada alla creazione di reti televisive private di carattere nazionale. Queste
ultime nacquero inizialmente dal collegamento fra più emittenti locali incaricate di trasmette in
contemporanea le medesime trasmissioni precedentemente registrate (interconnessione
funzionale) con lo scopo di aggirare la previsione del monopolio televisivo pubblico in ambito
nazionale. Il Parlamento dapprima legalizzò il sistema di interconnessione funzionale, ma in
seguito, dettò una disciplina generale del sistema televisivo che, tendendo anch’essa a legittimare
e stabilizzare la posizione dominante già esistente, invece che a contenerla e ridimensionarla. Il
sistema previsto da tale legge è mista, cioè sia pubblico che privato.
Successivamente la Corte Costituzionale dichiarò incostituzionali, in quanto lesive del principio del
pluralismo esterno, le previsioni legislative che consentivano ad uno stesso soggetto privato di
cumulare un quarto delle reti televisive esistenti o un terzo delle reti private.
Gli elementi che continuano a ricorrere nell’anomalia italiane del settore radiotelevisivo sono
sempre l’insufficiente prescrittività della legislazione antitrust, perché ogni intervento del
legislatore in materia non fa altro che legittimare il preesistente assetto della proprietà e della
distribuzione delle risorse con norme che si dichiarano transitorie ma che poi si trovano a
disciplinare in modo definitivo la materia, e la mancanza di effettività delle decisioni della Corte
Costituzionale le quali, pur chiarissime nell’evidenziare la violazione del principio del pluralismo,
permettono il protrarsi a tempo indeterminato della pur accertata situazione di incostituzionalità.
Seguendo le indicazioni della sentenza del 1994 della Corte costituzionale, una legge del 1997
stabilì il tetto massimo del 20% delle reti totali in capo al medesimo soggetto, ed introdusse un
limite massimo di risorse economiche gestibili da un unico soggetto. Tuttavia il limite del 20% non
si presentava immediatamente efficace. La neo istituita Autorità per la garanzia nelle
comunicazioni avrebbe avuto il compito di valutare periodicamente lo sviluppo dell’utenza dei
programmi radiotelevisivi via satellite e via cavo, al fine di decidere discrezionalmente il momento
in cui le reti eccedenti il limite del 20% avrebbero dovuto passare a trasmettere esclusivamente sul
satellite o via cavo.
La Corte costituzionale, dopo aver constatato che la lesione del principio costituzionale del
pluralismo esterno dell’informazione si era ulteriormente aggravata, ne ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale nella parte in cui non prevedeva la fissazione di un termine finale certo, e non
prorogabile (non oltre il 31 dicembre 2003), entro il quale i programmi, irradiati dalle emittenti
eccedenti i limiti previsti dalla stessa legge dovessero essere trasmessi esclusivamente via satelliti o
via cavo. Ma anche quel termine è stato eluso dal legislatore.
Infine è intervenuta la legge Gasparri che detta alcune innovazioni sia in materia di servizio
pubblico radiotelevisivo, sia in materia di contrasto alle posizioni dominanti. Essa prevede:
•
che tutte le emittenti, sia pubbliche che private, svolgano un “servizio di interesse generale”
mentre il ruolo del “servizio pubblico generale radiotelevisivo” si distingue soltanto per la necessità
che la concessionaria adempia ad ulteriori a specifici compiti ed obblighi di servizio pubblico;
•
un procedimento volto alla progressiva dismissione della partecipazione statale nella RAI
fino alla sua totale privatizzazione.
una disciplina complessa che ha presente il futuro scenario digitale. In relazione al numero
massimo di reti controllate da un medesimo soggetto la legge rispetta formalmente quanto imposto
dalla Corte costituzionale, disponendo che al momento della completa attuazione del futuro piano
nazionale di assegnazione delle frequenze in digitale terrestre un medesimo soggetto non possa
diffondere più del 20% del totale dei programmi radiotelevisivi irradiabili.
•
Ma prevede che una simile disciplina risulterà applicabile solo dal momento
in cui la tecnica analogica sarà del tutto abbandonata, e nel frattempo gli
stessi soggetti ora esercenti l’attività di trasmissione televisiva in ambito
nazionale possono avviare la sperimentazione delle trasmissioni in tecnica
digitale terrestre e ottenere le relative licenze ed autorizzazioni.
La legge Gasparri oltre a non smantellare la situazione di occupazione di fatto delle frequenze,
prevede che solo coloro che già oggi trasmettono possano acquistare ulteriori impianti per la
realizzazione di reti digitali terrestri, e quindi impedisce l’ingresso nel nascente mercato del digitale
terrestre di nuovo operatori.
La legge prevede un’ulteriore misura antitrust relativa al limite massimo di ricavi percepibili da
parte dei destinatari di concessioni o autorizzazioni per le trasmissioni televisive e per altri soggetti
del mondo dei media, al fine di evitare la creazione di posizioni dominanti. La percentuale massima
di risorse ascrivibili ad un unico soggetto è del 20% del totale ma il “sistema integrato delle
comunicazioni” (SIC) è molto ampio, e quindi la previsione legislativa non esclude che un singolo
soggetto riesca a pervenire ad una posizione dominante in uno dei numerosi singoli mercati di cui
il SIC si compone.
L’unica grande novità è soltanto quella proveniente dall’Europa, costituita da un pacchetto di
direttive comunitarie del 2002 in materia di comunicazioni elettroniche e due interventi specifici
delle istituzioni comunitarie, la corte di giustizia delle comunità europee e la commissione
europea, che hanno iniziato ad occuparsi dell’anomalia italiana nel settore radiotelevisivo non più
solo sotto il profilo del pluralismo dell’informazione ma anche sotto il profilo della libertà di
concorrenza prevista dai trattati europei.
Il giudice comunitario ha ritenuto che il T. CE. e le disposizioni delle direttive in materia di
comunicazioni elettroniche devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa
nazionale, come quella italiana, la cui applicazione conduca a che un operatore titolare di una
concessione si trovi nell’impossibilità di trasmettere in mancanza di frequenze di trasmissione
assegnate sulla base di criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionali.
Per quanta riguarda gli spettacoli teatrali e cinematografici, la L. n. 161/1962 sottopone i film a
controlli preventivi, da parte di apposite commissioni per prevenire offese al buon costume e
decidere su una determinata pellicola possa essere proiettata per chiunque, o se debba essere
vietata ai minori di 14 o 18 anni. I lavori teatrali non sono soggetti a tali controlli preventivi, ma
sono soggetti ai controlli successivi, diretti a reprimere le violazioni del buon costume ed in
particolare la commissione di reati
Diritti alla salute (art.32)
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività
e garantisce cure gratuite agli indigenti” (art.32 Cost.).
Fra i diritti sociali essenziali, il diritto all’assistenza sanitaria assicura uno dei più importanti diritti
dell’individuo, ossia il diritto alla salute disciplinato dall’art.32 Cost.
•
•
Il diritto alla salute è riconducibile alla categoria dei diritti inviolabili e
fondamentali dell’individuo riconosciuti dall’art.2 Cost., ed ha una duplice
natura:
fatto valere dai cittadini nei confronti dello Stato e degli enti pubblici (in senso verticale)
fatto valere nei confronti dei privati o dei datori di lavoro (in senso orizzontale).
Sono previste cure gratuite soltanto agli indigenti ma, con l’istituzione del Servizio Sanitario
Nazionale, il legislatore ha voluto il mantenimento e recupero della salute per tutti i cittadini,
condizionandolo però alle disponibilità finanziarie.
Con la riforma del titolo V della Costituzione, viene assegnata la materia della tutela della salute
alla potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni (art.117 c.3 Cost.).
lo Stato mantiene la potestà legislativa esclusiva per la determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni riguardanti i diritti sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale
(art.117 c.2 lett. m Cost.).
Il diritto all'istruzione (art.33)
Il diritto all’istruzione è sancito dall’art.33 Cost.
Si distingue in diversi diritti:
•
Diritto all’istruzione: comprende la libertà di insegnamento (diritto inviolabile in quanto
costituisce un aspetto della libertà di manifestazione del pensiero) e la libertà di gestire e istituire
scuola.
•
Diritto di istruzione: sottintende la libertà di scegliere la scuola e il diritto di ricevere un
insegnamento essendo la scuola aperta a tutti. La Costituzione stabilisce una frequenza gratuita
minima di otto anni, ovvero la scuola dell’obbligo, limite poi esteso fino al raggiungimento di un titolo
di scuola secondaria superiore o attraverso una qualifica professionale fino al raggiungimento della
maggiore età.
I diritti dei lavoratori (art.4)
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano
effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la
propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della
società” (art.4 Cost.).
Per lavoro si intende quindi
ogni attività di impiego di energie fisiche ed intellettuali
dell’uomo per la produzione o lo scambio di bene e servizi per il mercato.
Viene riconosciuto e tutelato dalla Costituzione in vari articoli:
•
Art.1 c.1: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, contiene la forma di Stato
(democrazia) e i suoi elementi fondanti (lavoro).
•
Art.3 c.1: stabilisce l’eguaglianza formale, cioè gli uomini sono tutti uguali e viene eliminata
la distinzione fra classi sociali.
Art.3 c.2: stabilisce l’eguaglianza sostanziale, cioè la Repubblica attraverso i suoi organi
deve essere presente sul territorio per rimuovere gli ostacoli che impediscono la partecipazione di tutti
i cittadini alla vita sociale, economica e politica.
•
•
Art.4 c.1: principio del diritto al lavoro, cioè la Repubblica deve procurare il lavoro ai
cittadini.
•
Art.4 c.2: principio del dovere di lavoro, cioè tutti i cittadini devono lavorare e produrre un
reddito.
Altra disposizione che riguarda i diritto dei lavoratori è l’art.36 Cost.
in base al quale il
lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e che
sia sufficiente a garantire a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa in base a degli
standard fissati nei contratti collettivi e ai quali si devono conformare le altre tipologie contrattuali.
Particolare tutela è posta verso la donna lavoratrice e verso i minori.
I diritti all'assistenza e alla previdenza sociale (art.38)
“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all’assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita
in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale.
Ai compiti previsti in quest’articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
L’assistenza privata è libera” (art.38 Cost).
•
L’assistenza e la previdenza sociale hanno come soggetti due categorie differenti di persone.
L’assistenza garantisce ad ogni cittadino (in senso assoluto e quindi a tutta la popolazione),
che non possiede un’adeguata capacità fisica al lavoro, il diritto di ricevere mezzi materiali economici
per il raggiungimento di un’esistenza dignitosa.
•
Quindi scopo dell’assistenza agli inabili è di integrarli nel mondo del lavoro e
perciò lo Stato deve fornire ed assicurare ad essi il diritto all’educazione e
all’avviamento professionale.
La previdenza, invece, è rivolta al lavoratore (sia a chi esercita una professione sia a chi l’ha
esercitata in passato) che, a causa di infortunio, malattia, vecchiaia o disoccupazione involontaria, non
abbia i mezzi adeguati per far fronte alle sue esigenze di vita.
•
I pubblici poteri devono creare un sistema di assistenza e previdenza che garantisca tali
diritti fondamentali, mentre è compito del legislatore stabilire l’ammontare delle prestazioni indirizzate
ai cittadini, in base alle disponibilità finanziarie dello Stato.
•
L’art.38 Cost. stabilisce anche che l’assistenza privata è libera, quindi sono anche ammesse
espressioni di solidarietà che nascono spontaneamente dalla società.
•
Questo concetto si è rafforzato con la riforma del 2001 della
Costituzione, che introduce il principio di sussidiarietà orizzontale;
tale principio stabilisce che le attività amministrative vengono svolte
dall’ente territoriale amministrativo più vicino ai cittadini (quindi il
Comune), ma possono essere esercitate da livelli superiori (Regioni,
Province, Città metropolitane e Stato), per rendere i servizi più
efficienti ed efficaci (principio di sussidiarietà verticale).
Rapporti famigliari
La Costituzione si occupa di tutelare e definire la famiglia in diversi articoli:
•
Art.29 Cost.: “La Repubblica riconosce la famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio”.
•
Art.30 Cost.: “È dovere e diritto dei genitori, mantenere, istruire ed educare i figli, anche se
nati fuori dal matrimonio”, e assicura così ai figli illegittimi la stessa tutela dei membri della famiglia
legittima.
Art.31 Cost.: “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la
formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie
numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.”
•
•
Art.36 Cost.: stabilisce che lo stipendio del lavoratore debba garantire a sé e alla sua
famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
•
Art.34 Cost.: indica le famiglie come destinatarie degli assegni per il diritto allo studio.
•
Art.37 Cost.: protegge l’essenziale funzione familiare della donna lavoratrice.
Le disposizioni costituzionali riguardanti la famiglia non sono mai state oggetto di revisione
costituzionale, ma sottoposte a procedimenti interpretativi in base ai mutamenti avvenuti nella
società italiana, con un riferimento sistematico alle norme riguardanti le relazioni familiari.
Sia la Corte costituzionale che il legislatore hanno individuato le previsioni limitative riguardanti
l’eguaglianza fra i coniugi e i figli riduttive rispetto alla proclamazione di pari dignità sociale di tutti
gli individui e del principio di eguaglianza formale (art.3 c.1 Cost.).
Con la riforma del diritto di famiglia (L.151/1975) vennero apportate delle modifiche tese ad
uniformare le norme ai principi costituzionali. Con tale legge venne riconosciuta in particolare la
parità giuridica dei coniugi. Per quanto riguarda i figli, sia il legislatore che il giudice costituzionale,
hanno stabilito parità di trattamento tra figli legittimi e naturali nei rapporti personali e
patrimoniali con i genitori.
Nel ‘principio del preminente interesse del minore’ viene stabilito che, se un minore è coinvolto in
un rapporto giuridico, sostanziale o processuale, il legislatore e l’interprete devono effettuare un
bilanciamento di interessi, in modo che l’interesse concreto del soggetto minore di età sia
assicurato a preferenza di quello di ogni altro soggetto.
Un altro dibattito è sorto in relazione agli articoli 2 e 29 della Costituzione, che costituiscono un
problema per la tutela costituzionale della famiglia di fatto, dal momento che l’art29 Cost.
stabilisce che l’ordinamento italiano riconosce la famiglia quale società naturale fondata sul
matrimonio. La preminenza espressa nei confronti della famiglia fondata sul matrimonio le
attribuisce dignità superiore, in quanto possiede caratteri di stabilità e certezza che nascono
soltanto dal matrimonio.
CAPITOLO 5: I DOVERI COSTITUZIONALI
I doveri costituzionali: impostazione solidaristica della costituzione
Repubblica
ha un compito pressochè infinito.
dal momento che esso consiste nella promozione della
eguaglianza“sostanziale” tra i cittadini, rimuovendo gli
ostacoli che di fatto non consentono una partecipazione
politica, economica e sociale del paese.
I doveri costituzionali non sono molti e si possono dividere in 3 categorie:
•
I doveri con carattere generale (art.54).
•
I doveri con carattere antichista (art.54).
•
I doveri che sono stati sospesi (art.52).
I doveri costituzionali:
•
Dovere di solidarietà.
•
Dovere lavoristico.
•
Dovere di voto.
•
Dovere di istruire ed educare i figli.
•
Dovere tributario.
•
Dovere di difesa.
Dovere generale di solidarità (art. 2 cost-)
la Costituzione lo dichiara inderogabile: rispetto al quale, cioè non può essere ammessa deroga
alcuna. Pertanto nessuno sottrarsi legittimamente al dovere di dare un suo personale contributo di
solidarietà ai bisogni avvertiti dalla comunità, per la cui soddisfazione vengono attuate le politiche
di welfare.
Breve silloge dei doveri costituzionali
Dovere lavoristico (art. 4 cost.)
“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono
effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e scelte, un’attività o una
funzione che concorra al congresso materiale o spirituale della società” (art.4 Cost.).
È il dovere di ogni persona di svolgere, secondo le proprie possibilità e scelte, un’attività o
una funzione che aiuti il progresso materiale o spirituale della società.
•
Garantisce, in prospettiva, un lavoro a tutti.
•
Assicura assistenza e previdenza sociale a chi, senza colpa, è impossibilitato a lavorare o
non possiede un lavoro.
•
È possibile trovare un riscontro di questo dovere nell’art.1 Cost.: la nostra Repubblica è
fondata sul lavoro poiché quest’ultimo viene visto come elemento di base per l’edificazione e lo
sviluppo dell’intera società.
•
Dovere di voto (art. 48 cost.)
“Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.
Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.
La legge stabilisce requisiti e modalità per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti
all'estero e ne assicura l'effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per l'elezione
delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e
secondo criteri determinati dalla legge.
Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale
irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge” (art.48 Cost.).
È un dovere civico, ma se non viene osservato non è prevista alcuna sanzione.
Riconosce a tutti i cittadini il titolo e l’esercizio di scegliere i propri rappresentanti nelle sedi
dove si forma e si svolge l’indirizzo politico-legislativo della Nazione.
•
•
Dovere di istruire ed educare i figli (art. 30 cost.)
“È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del
matrimonio.
Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.
La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i
diritti dei membri della famiglia legittima.
La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità” (art.30 Cost.).
La Pubblica istruzione è affidata alla Repubblica in modo da garantire il diritto all’istruzione.
Quest’ultimo richiede l’uso di molte risorse ma allo stesso tempo contribuisce allo sviluppo della
personalità dei fanciulli e alla crescita materiale e spirituale del Paese.
Dovere tributario (art. 53 cost.)
“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario è informato a criteri di progressività” (art.53 Cost.).
È dovere di tutti i cittadini, e quindi anche degli stranieri, di versare i tributi, le imposte e le
tasse, in modo da essere utilizzate per assicurare tutte le prestazioni pubbliche che danno effettività ai
diritti sociali (assistenza sociale, istruzione, salute…) e fornire quei beni pubblici indivisibili
(infrastrutture, difesa…) che la Repubblica deve garantire a tutti i cittadini.
•
Tutti i cittadini devono contribuire ad eccezione delle persone con redditi minimi. Infatti si
segue il criterio della capacità contributiva.
•
La regola fondamentale e generale su cui si basa il sistema tributario è il criterio di
progressività che è diverso dal criterio di proporzionalità.
•
Le eccezioni al criterio di progressività si basano sulle caratteristiche dei singoli tributi, ma
tuttavia è necessario che l’impostazione complessiva del sistema rimanga progressiva.
•
La Corte costituzionale ha definito il punto zero della soggezione all’imposta: consiste in un
valore oltre al quale l’impostazione non può andare perchè rappresenta il minimo vitale.
•
Dovere di difesa (art. 52 cost.)
“La difesa della patria come sacro dovere del cittadino” (c.1)
Si stabilisce che è dovere dei cittadini di sesso maschile di essere assoggettati alla leva, mettendo
così in gioco il valore umano. La difesa può essere svolta in armi, con la partecipazione ad attività
militari o attraverso il servizio civile.
“Il servizio militare è obbligatorio nei casi previsti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la
posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici” (c.2):
A partire dal 2007 il servizio militare di leva non è più obbligatorio; tuttavia esiste un servizio civile
volontario per i giovani di entrambi i sessi. Il servizio militare di leva, però, diviene obbligatorio in
caso di guerra o di crisi internazionale, quando il reclutamento risulta necessario.
“L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica” (c.3):
Stabilisce che l’ordinamento delle Forze armate deve basarsi sul principio democratico della
Repubblica. In questo modo le Forze armate non possono avere regole che vanno contro i principi
Dello Stato democratico. Tutti i principi e tutti i diritti costituzionali si applicano anche alle Forze
armate con i soli limiti necessari per salvaguardare le caratteristiche e le funzioni proprie degli
apparati militari.
CAPITOLO 6: IL PARLAMENTO
La forma di governo della repubblica italiana
Si usa parlare di forma di Stato per indicare l’assetto fondamentale dei rapporti fra i soggetti, le
diverse collettività territoriali e i poteri pubblici. Questa nozione, tuttavia, è di scarsa utilità e si
preferisce riferirsi semplicemente allo Stato costituzionale per indicare l’attuale stadio di sviluppo
del costituzionalismo.
Esso si caratterizza per il ruolo centrale della Costituzione come insieme di principi che sanciscono
diritti e doveri dei soggetti e l’articolazione o la divisione dei poteri, principi che non sono enunciati
nel documento costituzionale ma che sono forniti di efficacia giuridica e garantiti da appositi
meccanismi di tutela (rigidità della Costituzione, potere giudiziario indipendente, istituti di giustizia
costituzionale…).
Forme di governo
forma di governo
indica la configurazione e i rapporti fra gli organi costituzionali cui sono
attribuiti i poteri politici, quindi indica il modello di conformazione e di rapporti fra organi supremi
(Assemblee legislative, organi del potere esecutivo, organi di coordinamento e garanzia come il
Capo dello Stato…).
La nozione di forma di governo è accolta nel testo costituzionale in quanto all’art.123 Cost. viene
attribuito allo statuto regionale il compito di determinare la forma di governo della Regione:
“Ciascuna Regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di
governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento”.
I tipi di forme di governo sono:
•
La forma direttoriale: il potere esecutivo è attribuito ad un organo collegiale (Consiglio
Federale) eletto dall’Assemblea federale., ma poi non soggetto a verifiche di omogeneità politica con la
maggioranza parlamentare. Il ruolo di Capo di Stato è attribuito a turno ad uno dei membri del
Consiglio federale. Unico esempio di questo tipo di governo è la Svizzera.
La forma semi-presidenziale: il Presidente della Repubblica viene eletto direttamente dal
popolo, e non detiene il potere esecutivo. Il primo ministro viene nominato dal Capo dello Stato ed
esso deve avere la fiducia anche del Parlamento, organo elettivo che detiene il potere legislativo. Un
esempio di questo tipo di governo è la Francia.
•
La forma presidenziale: il potere esecutivo è attribuito al Capo dello Stato (Presidente della
repubblica), in genere eletto direttamente dal popolo elettorale. Mentre il potere legislativo è
attribuito ad una o più Assemblee, in genere elettive. Il Presidente e le Assemblee sono posti in una
situazione di separazione di funzioni ma sono indipendenti tra loro. Infatti il Presidente non può essere
sfiduciato dalle Assemblee e a sua volta non può condizionare il loro lavoro. Un esempio di questo tipo
di governo è rappresentato dagli Stati Uniti d’America.
•
•
La forma parlamentare: il Parlamento viene eletto dal corpo elettorale. Esso ha il compito
di eleggere il Capo dello Stato e di conferire fiducia al Governo. Il Parlamento detiene il potere
legislativo mentre il Governo detiene il potere esecutivo. Il rapporto tra Parlamento e Governo è di
tipo fiduciario e se la fiducia viene a mancare, il Governo è costretto alle dimissioni. Il Presidente
della Repubblica è garante della Costituzione verso le parti politiche ed è rappresentante dell’unità
nazionale; non ha poteri di indirizzo politico. Un esempio di questo tipo di governo è l’Italia.
Il parlamento italiano
Il Parlamento italiano viene eletto dal corpo elettorale (cittadini) ed è diviso in:
Camera dei deputati
(Palazzo Montecitorio)
Senato della Repubblica
(Palazzo Madama)
formata da 630 membri
formato da 315 membri più i senatoti a vita,
di cui solo 5 sono eletti da ogni Presidente a
cui si va ad aggiungere l’ex Presidente.
Le due Camere durano in carica per 5 anni. e può essere eventualmente prorogata con
legge solo in caso di guerra (art.60 Cost.).
•
invece, le Camere, insieme o separatamente, possono essere sciolte anticipatamente
rispetto alla conclusione naturale della Legislatura dal Capo dello Stato (art.88 Cost.). L’art.61 Cost.
stabilisce che le elezioni delle nuove Camere devono avvenire entro 70 giorni dalla scadenza delle
precedenti, e che restano prorogati i poteri delle Camere scadute finché non si riuniscono le nuove.
•
•
Camera e Senato svolgono funzioni identiche (bicameralismo perfetto).
La Costituzione prevede che ciascuna Camera possa dotarsi di proprie regole interne
(autonomia regolamentare) approvando un regolamento destinato a disciplinare aspetti importanti dei
procedimenti parlamentari, alcuni dei quali sono solo richiamati dalle disposizioni costituzionali
mentre altri sono del tutto liberamente regolati dalle Assemblee legislative. L’autonomia
regolamentare di cui dispongono i due rami del Parlamento attenua gli effetti del bicameralismo
perfetto, diversificando lo svolgimento dell’attività delle Camere e la stessa utilizzabilità da parte del
Governo di alcuni strumenti decisivi (es: la questione di fiducia) per il raggiungimento dei suoi obiettivi
politici.
•
•
Inoltre, alle Camere spetta l’autonomia contabile, in base alla quale esse predispongono ed
approvano un proprio bilancio senza essere sottoposte al controllo sulla gestione finanziaria da parte
di altri organi esterni (es: Corte dei Conti).
Ciascuna Camere, in luogo dell’autorità giudiziaria, decide sui ricorsi che attengono allo
stato e alla carriera giuridica ed economica dei propri dipendenti (autodichia). I
•
infine va ricordato che è vietato alla forza pubblica di entrare nelle sedi delle Camere
(immunità della sede) a meno che non vi sia un ordine espresso dei rispettivi Presidenti, e che
costituisce reato tanto il vilipendio delle Camere (art. 290 c.p.) quanto il compimento di atti diretti ad
impedire l’esercizio delle loro funzioni (art.289 c.p.).
•
Il Parlamento detiene il potere legislativo, ovvero ha il compito di fare le leggi secondo i
principi guida dettati dalla Costituzione.
•
Il parlamento in seduta comune
Le due Camere sono tenute a riunirsi in casi eccezionali:
•
Elezione del Presidente della Repubblica (art.91 Cost.).
•
Quando si vuole mettere in stato d’accusa il Presidente della Repubblica (art.90 Cost.).
•
Elezione di un terzo dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura (art.104 Cost.)
e di un terzo dei componenti della Corte costituzionale.
•
Ogni nove anni per procedere alla compilazione di un elenco di 45 cittadini, fra i quali
estrarre a sorte i 16 giudici aggregati ai fini del giudizio di accusa contro il Presidente della Repubblica
(art.135 Cost.).
Il sistema di elezione delle camere
La scelta del sistema elettorale nell’ordinamento italiano è rimessa alla discrezionalità del
legislatore ordinario.
Per oltre quarant’anni entrambe le leggi elettorali vigenti in Italia hanno previsto sistemi di tipo
proporzionale, che portarono però ad una forte frammentazione politica permettendo anche ai
piccoli partiti di avere seggi in Parlamento.
Verso la fine degli anni ’80 ci furono richieste di referendum abrogativo per introdurre un sistema
maggioritario che potesse determinare un nuovo assetto del nostro sistema, nel quale garantire
finalmente l’alternativa di governo tra partiti meno legati allo schematismo del passato. In un
primo momento l’obiettivo non fu raggiunto perché nel 1991 la Corte costituzionale dichiarò
l’inammissibilità del referendum sulla legge elettorale del Senato, in quanto le leggi elettorali
possono essere sottoposte a referendum solo se l’abrogazione (parziale) lascia in vita un insieme di
disposizioni legislative suscettibili di autonoma applicazione. Nel 1993 la Corte costituzionale
ammise il referendum abrogativo parziale della legge sull’elezione del Senato. Si ebbe così l’avvio
della riforma elettorale in senso maggioritario.
Le nuove leggi elettorali del 1993 furono per la Camera la L.277/1993 e per il Senato la L.276/1993,
ed entrambe erano fondate su un’identica formula.
Essa prevedeva l’elezione di tre quarti (75%) dei Deputati (475) e dei Senatori (232)
in collegi uninominali, con votazione a turno unico, cioè a maggioranza semplice e
quella del restante 25% dei seggi con l’utilizzazione di un sistema di recupero
proporzionale che alla Camera presupponeva un ‘apparentamento’ tra i candidati
dei collegi e le apposite liste e, al Senato, la formazione di liste su base regionale,
collegate da affinità politica.
Le liste e i gruppi si disputavano il 25% dei seggi in questo modo: 155 alla Camera, 83 al Senato.
Ciò avveniva per le Camere nelle 26 circoscrizioni nelle quali era stato suddiviso il territorio
nazionale e solo in favore dei partiti che avessero superato lo sbarramento nazionale fissato al 4%
e, per il Senato, in ciascuna Regione. Lo scopo della correzione proporzionale era quello di favorire
i partiti più piccoli, attenuando il sistema maggioritario.
Tra l’aprile 1999 e il maggio 2000
vi furono altri tentativi per un referendum abrogativo
parziale con lo scopo di rafforzare il sistema elettorale maggioritario eliminando il sistema di
riparto proporzionale tra le liste. Tuttavia non fu raggiunto il ‘quorum’ (art.75 Cost.). in sintesi,
nelle elezioni del 1994, 1996 e 2001, il sistema maggioritario ha prodotto una bi-polarizzazione
della politica italiana: il centro-sinistra e il centro-destra.
Con la L.270/2005 viene superato l’impianto maggioritario del 1993, eliminando i collegi
uninominali, ma preservando la dinamica bipolare.
•
Col primo tentativo dell’aprile 2006, ci furono diversi problemi per lo più legati al centrosinistra, con la messa in discussione dei nuovi meccanismi elettorali. Ci furono anche tre iniziative
referendarie abrogative, che però vennero sospese.
•
Il secondo tentativo dell’, rappresentò l’ultima tornata elettorale che sancì la vittoria del
centro-destra. C’era già stato un forte mutamento della strategia delle alleanze, con la creazione di
nuove formazioni di sintesi di vecchi partiti (sinistra). Si vide quindi una riduzione delle forze politiche:
PD (Partito Democratico) e PDL (Popolo delle Libertà), che sono i due maggiori partiti, hanno ottenuto
il 70% dei seggi disponibili.
Quindi dopo le elezioni del 2008, nonostante la frammentazione politica e il premio
di maggioranza al Senato, è emersa una maggioranza in entrambi i rami del
Parlamento basata su una prospettiva bipartitica.
L’elezione della camera dei deputati
La Camera dei Deputati è eletta dai cittadini che hanno raggiunto la maggiore età, cioè i 18
anni, (art.48 Cost.), e costituiscono l’elettorato attivo;
•
l’elettorato passivo, invece, spetta agli elettori che hanno compiuto i 25 anni di età (art.56
c.3 Cost.).
•
L’art.56 Cost., inoltre, fissa in 630 il numero di Deputati da eleggere e stabilisce che la
ripartizione dei seggi deve avvenire in base alla popolazione di ciascuna circoscrizione.
•
La L.270/2005 ha modificato il testo unico per l’elezione della Camera dei Deputati, il D.P.R.
361/1957:
•
L’elettore deve scegliere una lista in base al contrassegno sulla scheda consegnatagli; nelle
liste non ci sono i nomi dei candidati.
•
Ogni lista o coalizione di liste, deve presentare un contrassegno e un programma
elettorale, indicando anche il ‘capo della forza politica’ o ‘capo della coalizione’.
•
La ripartizione e distribuzione dei seggi
I seggi vengono distribuiti tra le liste di candidati concorrenti nelle 26 circoscrizioni.
La ripartizione dei seggi avviene a livello centralizzato, secondo un metodo proporzionale del
quoziente naturale, e vi possono concorrere:
•
Le liste singole che abbiano raggiunto il 4% dei voti validi.
•
Le coalizioni che abbiano raggiunto il 10% dei voti, cioè una lista con almeno il 2%.
•
Le liste col miglior risultato tra le escluse, con assegnazione interna col metodo del
quoziente.
L’ufficio centrale nazionale deve:
•
Individuare subito la formazione con il maggior numero di voti.
Ripartire tra le liste idonee i seggi, dopo aver calcolato il quoziente elettorale nazionale
(cioè il numero di seggi spettante a ciascuna lista o coalizione) e aver diviso i voti nazionali di
ciascuna lista per questo quoziente. Ma se la lista o coalizione non ha raggiunto 340 seggi, allora
questi le vengono comunque attribuiti, determinando il quoziente elettorale di maggioranza e quello
di minoranza. Si individua così la maggioranza parlamentare certa.
•
•
Distribuire i seggi nelle circoscrizioni di partenza.
•
Il presidente dell’ufficio centrale proclama gli eletti, nei limiti dei seggi cui ciascuna lista ha
diritto.
L’elezione del senato
All’art.58 Cost. vengono disciplinati i requisiti di elettorato attivo, che si ottiene al
compimento dei 25 anni, sia di elettorato passivo, che si ottiene al compimento dei 40 anni.
•
•
L’art.57 Cost., inoltre, stabilisce che il numero di senatori elettivi sia di 315, di cui:
• 6 sono eletti nella circoscrizione;
• che l’elezione viene fatta su base regionale, tranne che per la circoscrizione
Estero;
• che ogni Regione deve avere almeno 7 senatori;
• che la ripartizione dei seggi tra le Regioni avviene in proporzione alla loro
popolazione.
Fanno parte di diritto del Senato, in qualità di senatori a vita, gli ex-Presidenti della
Repubblica; questa carica può anche essere attribuita dal Presidente della Repubblica a 5 cittadini che
abbiano particolari meriti (art.59 Cost.).
•
•
L’elezione del Senato è disciplinata dal d.lgs. 20-12-1993 n°533, modificato poi con la
L.270/2005.
La ripartizione dei seggi
A parte l’utilizzazione del sistema maggioritario per la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige, la
ripartizione dei seggi viene effettuata:
•
tra le liste che abbiano raggiunto l’8% dei voti validi espressi e tra le coalizioni di liste che
abbiano conseguito sul piano regionale il 20% dei voti e della quale faccia parte almeno una lista che
abbia ottenuto almeno il 3% dei consensi.
La somma dei voti viene poi divisa per il numero dei seggi per ottenere il quoziente
elettorale circoscrizionale.
•
•
Poi la cifra elettorale di ogni lista deve essere divisa per questo quoziente. Ma se l’ufficio
elettorale regionale accerta che nessuna lista o coalizione ha raggiunto il 55% dei seggi, si favorisce chi
ha raggiunto il maggior numero di voti.
•
I senatori vengono quindi proclamati secondo l’ordine di presentazione.
La distribuzione del premio di maggioranza Regione per Regione (art.57Cost.: “elezione a
base regionale”) crea una situazione problematica, in quanto il Senato deve esprimere una sola
maggioranza politica, ma il frazionamento del premio potrebbe rendere non corrispondente al dato
nazionale complessivo.
•
L'elezione dei parlamentari nella circoscrizione estero
•
È stata costituita modificando l’art.48 Cost., con la L.1/2000.
•
È stata istituita per consentire la rappresentanza parlamentare dei cittadini italiani
all’estero.
•
In tale circoscrizione vengono eletti 12 deputati e 6 senatori.
•
La L.459/2001, che disciplina specificatamente la materia, prevede che vi siano quattro
ripartizioni territoriali: Europa (con Russia e Turchia), America meridionale, America settentrionale e
centrale, e Asia, Africa, Oceania, Antartide. In ogni ripartizione:
Si compila l’elenco degli italiani residenti per votare per corrispondenza.
• Si elegge un deputato e un senatore, e gli altri seggi vengono poi distribuiti tra gli
stati in base al numero degli italiani residenti.
• Si esegue il consueto metodo del quoziente (quoziente di ripartizione e poi divisione
dei voti di ciascuna lista per questo quoziente).
•
Si ammette il voto di preferenza e quindi le cifre elettorali di ciascun candidato
determinano gli eletti in ogni lista.
•
La legislazione sulle campagne elettorali
La L.515/1993 contiene una normativa che si applica dalla data di convocazione dei comizi
elettorali alla chiusura delle operazione, quindi durante la campagna elettorale.
Per quanto riguarda l’accesso ai mezzi d’informazione, la L.515/1993 prevede che il servizio
radiotelevisivo assicuri la parità di trattamento, completezza ed imparzialità dell’informazione,
rispetto tutti i partiti, assicurando spazi di propaganda e la trasmissione di rubriche elettorali.
I candidati, gli esponenti dei partiti politici e coloro che hanno incarichi istituzionali, possono
partecipare alle trasmissioni radiotelevisive (di natura propagandistica), sempre nei limiti del
conseguimento della completezza e imparzialità dell’informazione.
All’art.5 della L.28/2000 si stabilisce che sia la Commissione parlamentare di vigilanza sia l’Autorità
per la garanzia delle comunicazioni, devono definire i criteri ai quali si devono conformare i
programmi di informazione:
•
non possono essere espresse preferenze di voto,
•
deve esserci una corretta e imparziale gestione del programma.
•
Le pubbliche amministrazioni non possono svolgere attività di comunicazione personali o
non necessarie alle loro funzioni, e diffondere sondaggi demoscopici elettorali.
L’apparato sanzionatorio, che fa capo all’Autorità, non ha finora funzionato molto, cioè non è stato
in grado di garantire a tutti uguali condizioni d’accesso ai mass media, non consentendo così il
formarsi di convincimenti liberi e consapevoli.
La L.515/1993 stabilisce, inoltre, l’entità, la tipologia e la modalità delle spese effettuate dai
movimenti politici e dai loro candidati durante la campagna elettorale.
•
Ha lo scopo di non consentire un’attività di propaganda troppo sbilanciata a favore di chi ha
maggiori disponibilità finanziarie.
•
Si deve indicare un mandatario elettorale che si occupi di raccogliere i fondi per la
campagna elettorale.
Il mandatario deve presentare alla fine un rendiconto dei finanziamenti ricevuti e delle
spese sostenute al Collegio regionale di garanzia elettorale.
•
•
Quest’ultimo, se accerta delle irregolarità, avvia un procedimento sanzionatorio.
Con la L.270/2005 furono introdotte le ‘liste bloccate’ che hanno portato ad una drastica riduzione
della propaganda elettorale.
Le prerogative parlamentari
La verifica dei poteri
La Costituzione affida alle Camere (art.66 Cost.), e non ai giudici, il compito di provvedere al
controllo della regolarità delle operazioni elettorali riguardanti i propri membri, allo scopo di
salvaguardare la loro autonomia e di evitare interferenze tra il potere giudiziario e gli organi
elettivi:
“Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte
di ineleggibilità e di incompatibilità” (art.66 Cost.).
La verifica dei titoli di ammissione alla carica parlamentare è volta ad accertare:
La correttezza delle operazioni
effettuate dai diversi uffici elettorali.
La presenza negli eletti di cause
di ineleggibilità.
le quali provocano la decadenza dell’eletto, o di cause di incompatibilità che,
impedendo di cumulare la carica di deputato o senatore con altre cariche già
ricoperte, obbligano il parlamentare a scegliere tra la prima e la seconda.
l D.P.R.361/1957 all’art.7 definisce quali sono le cause di ineleggibilità; non sono eleggibili:
•
I Presidenti delle Giunte provinciali (includeva anche ‘i deputati regionali o i consiglieri
regionali’, ma la disposizione è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale).
•
I Sindaci dei Comuni con popolazione superiore ai 20000 abitanti.
•
Il Capo e Vicecapo della polizia e gli ispettori generali di Pubblica sicurezza.
•
I Capi di Gabinetto dei Ministri.
•
Il Rappresentante del Governo presso la Regione autonoma della Sardegna.
•
Il Commissario dello Stato nella Regione siciliana.
•
Il Commissario del Governo per la Regione Friuli-Venezia Giulia.
•
I Commissari del Governo per le Regioni a statuto ordinario.
•
Il Presidente della Commissione di coordinamento per la Regione Valle d’Aosta.
•
I Commissari del Governo per le province di Trento e Bolzano.
•
I Prefetti e coloro che fanno le veci nelle predette cariche.
•
I Viceprefetti e i Funzionari di Pubblica sicurezza.
Gli Ufficiali generali, gli Ammiragli e gli Ufficiali superiori delle Forze Armate dello Stato,
nella circoscrizione del loro comando territoriale.
•
Le cause di incompatibilità sono disciplinate dalla L.60/1953.
Il procedimento parlamentare di verifica
Sia il regolamento della Camera sia quello del Senato assegnano ad un organo ‘ristretto’ un ruolo
decisivo nel procedimento che si apre al loro interno per la verifica dei poteri.
Alla Camera tale organo è la Giunta delle elezioni
(composta da 30 deputati e operante sulla base
di un regolamento interno approvato
dall’Assemblea nel 1998)
al Senato è la Giunta delle elezioni e delle
immunità parlamentari (composta da 23
senatori, la cui attività è disciplinata da uno
speciale regolamento approvato nel 1992).
Le immunità parlamentari
La Costituzione del 1948 si è preoccupata, all’art.68, di prevedere le guarentigie parlamentari,
ovvero delle garanzie per i parlamentari, dopo aver
affermato, all’art.67, che il mandato parlamentare è
libero ed esercitato senza alcun vincolo giuridico,
nell’esclusivo interesse della Nazione.
Nella sua versione originaria l’art.68 Cost. stabiliva:
•
Al primo comma, l’insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati dai parlamentari
nell’esercizio delle loro funzioni.
•
Al secondo e al terzo comma, le immunità penali per i membri delle Camere, i quali durante
il mandato parlamentare non potevano essere sottoposti a procedimento penale e a misure restrittive
della libertà personale senza autorizzazione della Camera di appartenenza.
La L. cost.2/1993 ha successivamente modificato l’art.68 Cost. in senso meno favorevole ai membri
delle Camere.
A seguito della revisione della norma in questione, non è più necessario che l’Autorità giudiziaria
richieda alla Camera di appartenenza una specifica autorizzazione per sottoporre il parlamentare
ad un processo penale, né deve essere data dai giudici alcuna comunicazione alla Camera
interessata del procedimento penale che coinvolge un suo membro.
È tuttora impedito, dall’art.68 c.1 Cost., all’Autorità giudiziaria chiamare i parlamentari a rispondere
delle opinioni e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni (irresponsabilità assoluta e perpetua)
così come è ancora richiesta la previa autorizzazione della Camera di appartenenza affinché
possano essere adottati nei confronti dei parlamentari dei provvedimenti restrittivi:
•
Arresto (salvo in caso di arresto in flagranza).
•
Perquisizione personale e domiciliare.
•
Sequestro di corrispondenza.
•
Intercettazione di conversazioni o di comunicazioni (art.68 c.2-3 Cost.).
L’insindacabilità dei parlamentari
Nella prassi sono sorti dubbi sulla portata della disposizione costituzionale che garantisce i membri
delle Camere per le ‘opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni’.
Il più recente orientamento della Corte costituzionale è quello di considerare protetta non solo
l’attività di deputati e senatori svolta nelle sedi parlamentari, ma anche quella posta in essere al di
fuori di tali ambiti, purché sussista un ‘nesso funzionale’ che leghi tale attività extra moenia con
quella tipicamente parlamentare.
La L.140/2003, oltre a stabilire in via normativa il principio secondo il quale l’insindacabilità copre
qualsiasi attività esterna, ha introdotto la pregiudiziale parlamentare. La Corte europea dei diritti
dell’uomo ha però condannato più volte l’Italia per ‘denegata giustizia’ nei riguardi di chi si ritenga
danneggiato dalle opinioni diffamatorie provenienti da un parlamentare.
Accertamenti giudiziari e vicende parlamentari
La Corte costituzionale, con la sentenza n°379/1996, ha affermato che è preclusa all’Autorità
giudiziaria la possibilità di svolgere gli accertamenti di sua competenza, in relazione ai
comportamenti posti in essere dai parlamentari, se l’azione oggetto di indagine del giudice è di per
sé riconducibile allo status di membro delle Camere, anche quando si tratta di comportamenti non
garantiti dall’insindacabilità, che finiscono per incidere negativamente sulle funzioni di altri
parlamentari, pregiudicando il corretto svolgimento dei lavori delle Camere.
Le autorizzazioni processuali
Abrogata l’autorizzazione per poter procedere penalmente nei confronti di deputati e senatori,
nell’ordinamento italiano è tuttora prescritta l’autorizzazione della Camera di appartenenza per
l’adozione da parte dei giudici penali di provvedimenti restrittivi della libertà personale.
La presenza di tali norme, sottrae i parlamentari all’applicazione delle comuni regole processuali,
con la necessità di riservare alle Camere la valutazione di eventuali intenti persecutori (fumus
persecutionis), che potrebbero trasparire dalle iniziative giudiziarie per danneggiare i parlamentari,
rappresentanti della Nazione.
Il procedimento parlamentare di autorizzazione
Nel procedimento che si apre all’interno delle Camere, quando viene presentata una richiesta di
autorizzazione da parte dell’Autorità giudiziaria, emerge il ruolo fondamentale assegnato dai
regolamenti parlamentari alle Giunte competenti:
•
Alla Camera la Giunta per le autorizzazioni a procedere (composta da 21 deputati nominati
dal Presidente).
•
Al Senato la Giunta delle elezioni e delle immunità (composta da 23 senatori nominati dal
Presidente).
La Giunta competente istruisce la richiesta proveniente dall’Autorità giudiziaria, dopo aver
eventualmente ascoltato il parlamentare interessato, e formula all’Assemblea la proposta di
concessione o di diniego dell’autorizzazione, accompagnata da una relazione scritta, sulla quale il
plenum, cioè l’Assemblea competente, è chiamato a pronunciarsi, assumendo definitivamente la
decisione, che può anche disattendere la proposta formulata dalla Giunta.
L’organizzazione interna delle camere
I regolamenti parlamentari
Ciascuna Camera adotta a maggioranza assoluta il proprio regolamento interno, che è espressione
del’autonomia di cui godono i due rami del Parlamento e dell’indipendenza delle Camere nei
confronti degli altri organi costituzionali.
I regolamenti parlamentari sono atti normativi non subordinati alla legge formale,
ma sono tenuti a rispettare i principi riguardanti il funzionamento delle Camere,
sanciti direttamente dalle norme costituzionali.
Le riforme regolamentari
I regolamenti delle Camere contengono regole destinate a disciplinare l’organizzazione ed il
funzionamento al di là della durata della singola Legislatura.
Gli organi interni delle Camere
Ciascun ramo del Parlamento elegge il proprio Presidente, seguendo procedimenti disciplinati dai
rispettivi regolamenti, differenti l’uno dall’altro, ma che ugualmente prevedono:
lo scrutinio segreto
Compito del Presidente delle camere
Il raggiungimento di una
maggioranza speciale.
- rappresentare la Camera di appartenenza
- assicurare il buon andamento dei suoi lavori
NB: il Presidente del Senato, ai sensi dell’art.86 Cost., esercita in supplenza le funzioni del Presidente
della Repubblica ogniqualvolta egli non possa adempierle.
I gruppi parlamentari
I gruppi parlamentari sono organi necessari e i regolamenti stabiliscono che per la loro costituzione
occorre l’adesione di un numero minimo di parlamentari: 20 alla Camera e 10 al Senato.
Ma per favorire i partiti più piccoli viene consentito agli Uffici di Presidenza di entrambe le Camere
di autorizzare la formazione di gruppi aventi un numero di aderenti inferiore a quello prescritto.
Le Giunte
Sono organi permanenti all’interno delle Camere che, pur non avendo un potere decisionale vero e
proprio, ma solo un potere di proposta nei confronti dell’Assemblea, cui spetta la deliberazione
finale, intervengono in delicati procedimenti, talora di natura sostanzialmente giurisdizionale di
competenza parlamentare.
Alla Camera dei Deputati sono previste:
•
La Giunta per il regolamento.
•
La Giunta per le elezioni.
•
La Giunta per le autorizzazioni a procedere.
Al Senato sono invece previste:
•
La Giunta per il regolamento.
•
La Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari.
La giunta per le autorizzazioni a procedere e la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari
(Camera)
(Senato)
formano, congiuntamente,
il Comitato d’accusa
che ha il compito di far pervenire al Parlamento in seduta comune una sua
relazione prima della deliberazione sulla messa in stato d’accusa del Presidente
della Repubblica per alto tradimento o attentato alla Costituzione (art.90 Cost.).
Le Commissioni
L’art.72 Cost. definisce a larghe linee il procedimento legislativo: prevede che ogni progetto di legge
venga esaminato, nell’ambito di ciascuna Camera, da una Commissione che può anche essere
permanente; di fatto i regolamenti parlamentari prevedono Commissioni permanenti (14 in
entrambe le Camere), competenti per specifiche materie, in parte corrispondenti a quelle dei vari
Ministeri.
Le Commissioni bicamerali
Per rimediare agli inconvenienti del bicameralismo ‘perfetto’, vengono istituite Commissioni
bicamerali, cioè costituite da membri delle due Camere.
La Commissione parlamentare per le questioni regionali, prevista dall’art.126 Cost., è però l’unica
Commissione bicamerale permanente in attività che trae la sua origine da norme costituzionali.
Di recente, si è proceduto alla formazione di Commissioni bicamerali per l’elaborazione di proposte
di ampia revisione costituzionale.
Le regole per riunirsi e per deliberare
L’art.64 Cost. prescrive, innanzitutto, la pubblicità delle sedute delle Camere, che, però,
possono deliberare in seduta segreta.
•
Alle riunioni delle Camere hanno diritto di partecipare o, se richiesto, obbligo di assistervi, i
membri del Governo, anche qualora non abbiano lo status di deputato o senatore.
•
•
La convocazione delle Camere avviene ad opera del loro Presidente.
Le Camere sono convocate di diritto due volte all’anno e possono essere convocate in via
straordinaria su richiesta del loro stesso Presidente, di un terzo dei loro componenti o del Capo di
Stato.
•
Le modalità di votazione
L’art.94 Cost., disciplina le modalità di votazione concernenti il rapporto di fiducia tra le Camere ed
il Governo. In tali casi la norma costituzionale prescrive obbligatoriamente l’appello nominale.
è una forma di voto palese, mediante la
quale i parlamentari, personalmente
interpellati, rispondono con un si o con
un no.
La formazione delle leggi
Secondo l’art.70 Cost.
“la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”
cioè la legge si ritiene formata solo quando il disegno di legge viene
identico testo.
•
approvato in un
•
La Camera che esamina in seconda lettura il progetto di legge può apportare modificazioni
rispetto al testo approvato alla prima Camera.
•
Se ciò si verifica, si da luogo alla navetta, cioè alla trasmissione del progetto da una Camera
all’altra sino a quando entrambe le Camere non approvano un testo del tutto identico.
A quel punto si ha la promulgazione della legge da parte del Capo dello Stato e la sua
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale per la sua entrata in vigore.
•
I soggetti che possono presentare alle Camere i disegni di legge sono:
•
Il Governo.
•
Ciascun membro delle Camere.
•
Ciascun Consiglio regionale.
•
Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL).
•
Un numero di elettori non inferiore a 50000.
NB: L’iniziativa legislativa può essere conferita con legge costituzionale anche ad altri organi ed enti
(art.71 Cost.).
•
Solo i parlamentari sono obbligati a presentare il loro progetto alla Camera di
appartenenza, perché da questa inizi l’iter legislativo;
•
gli altri soggetti sono liberi di scegliere la Camera alla quale far pervenire il proprio disegno
di legge, determinando così l’ordine di precedenza tra le due Assemblee.
•
L’iniziativa legislativa di provenienza governativa è quella di maggiore rilievo.
•
Il Governo è l’organo in grado di avvalersi di un’organizzazione di supporto tecnico e
logistico che facilita la redazione delle proposte legislative. Ad esso sono stati attribuiti poteri e
strumenti in grado di orientare sia la scelta del procedimento da seguire all’interno delle Camere, sia le
discussioni e le deliberazioni parlamentari.
Una volta presentato alle Camere, il disegno di legge è assegnato alla Commissione competente
per materia (Commissione di merito) la quale, a seconda del procedimento prescelto, si vede
attribuiti poteri diversi nei confronti del plenum. La Costituzione, all’art.72, individua due
procedimenti:
•
Il procedimento ordinario, nel quale la Commissione competente esamina in sede
referente il progetto di legge, la cui approvazione è rimessa all’Assemblea.
•
Il procedimento decentrato, nel quale la Commissione agisce in sede deliberante
esaminando ed approvando direttamente il progetto di legge.
I regolamenti parlamentari a loro volta prevedono un terzo tipo di procedimento nel quale
l’esame de progetto è condotto dalla Commissione in sede redigente secondo modalità non del
tutto simili nelle due Camere.
Nel caso in cui venga disposta dal plenum l’urgenza di un progetto di legge si dimezzano i termini
previsti dai regolamenti (procedimento abbreviato).
Quando l’esame di un progetto è condotto dalla Commissione in sede referente, essa procede
all’istruttoria del progetto esaminandone il testo ed eventualmente emanandolo.
L’esame della Commissione è finalizzato alla presentazione all’Assemblea di una relazione scritta
sul progetto, alla quale fa seguito nello stesso stampato il testo del progetto così come modificato
dalla Commissione. Tale testo costituisce il ‘testo base’ per la discussione e la votazione in
Assemblea.
In Assemblea si effettuano:
•
Lo svolgimento di una discussione generale.
•
L’esame articolo per articolo.
•
La votazione finale, che avviene a scrutinio palese, normalmente mediante un
procedimento elettronico con registrazione nominativa dei voti.
Se l’esame di un progetto avviene, invece, in Commissione in sede deliberante, è ad essa che
spetta l’approvazione definitiva del progetto.
Il terzo tipo di procedimento
Commissione in sede redigente.
prevede che l’esame dei disegni di legge avvenga in
La Commissione di merito approva cioè i singoli articoli del progetto, riservando all’Assemblea la
votazione finale sull’intero testo; alla Camera l’Assemblea, prima dell’approvazione finale, procede
alla votazione di singoli articoli predisposti dalla Commissione, ma senza discussione e senza
possibilità di presentare emendamenti.
Deve essere infine richiamato l’art.72 c.3 Cost., secondo il quale, fino a quando non è avvenuta
l’approvazione finale del progetto di legge, è disposta la remissione del disegno di legge della
Commissione competente al plenum dell’Assemblea, perché proceda al suo esame o
all’effettuazione della votazione finale, se lo richiede il Governo, o un decimo dei componenti della
Camera, o un quinto della Commissione stessa.
La promulgazione e la pubblicazione di legge
Approvazione del disegno di legge da parte delle Camere.
L'Assemblea che per ultima l’ha esaminato, tramite il suo Presidente, lo invia al Governo.
Quest’ultimo lo trasmetta al Presidente della Repubblica, al quale compete la promulgazione della
legge.
Il Capo dello Stato può, prima di promulgare la legge (art.74 Cost.), richiedere alle Camere, ‘con
messaggio motivato’, una nuova deliberazione (rinvio presidenziale).
La Costituzione rimette alla discrezionalità del Capo dello Stato la valutazione dei presupposti che
legittimano tale richiesta; tale organo quindi deve ritenersi libero di rinviare la legge alle Camere
sia per motivi di legittimità sia per ragioni di merito.
Qualora le Camere, in seguito al rinvio presidenziale, debbano procedere ad una nuova
deliberazione, i loro regolamenti stabiliscono che il riesame inizi presso il ramo del Parlamento, che
ha approvato per primo il disegno di legge, e che il procedimento da seguire sia quello ordinario.
Ove le Camere approvino nuovamente il disegno di legge, il Presidente della Repubblica deve
promulgare la legge. Il rinvio presidenziale, infatti, può intervenire soltanto una volta (art.74 Cost.).
Il Presidente della Repubblica provvede alla promulgazione della legge entro 30 giorni dalla
sua approvazione, a meno che non venga stabilito un termine più breve dalle Camere stesse, a
maggioranza assoluta (art.73 Cost.).
•
la pubblicazione avviene sia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana (GU) sia nella
Raccolta Ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana.
•
L’entrata in vigore della legge avviene trascorso il ‘periodo di vacatio legis’, cioè dal
quindicesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, a meno che la legge
stessa non prescriva un termine di vacatio più breve o più lungo (art.73 Cost.).
•
Il procedimento di approvazione delle leggi costituzionali (Art. 138 Cost.)
Il procedimento di approvazione delle leggi costituzionali viene qualificato come procedimento
aggravato, in quanto contempla requisiti procedurali ulteriori rispetto a quelli richiesti per
l’ordinario procedimento legislativo.
Infatti, relativamente ai progetti di legge costituzionale, presentati all’Assemblea dagli stessi
soggetto a cui è dovuta dalla Costituzione l’iniziativa legislativa ordinaria, ciascuna Camera, dopo la
prima deliberazione, secondo le regole del procedimento ordinario, e quindi a maggioranza dei
presenti, è tenuta ad una seconda deliberazione da effettuarsi ad intervallo non minore di 3 mesi
dalla prima delibera. L’approvazione in seconda deliberazione deve avvenire in ogni ramo del
Parlamento con una maggioranza speciale, cioè a maggioranza assoluta.
La promulgazione della legge costituzionale si può avere:
•
Se non è stato richiesto il referendum confermativo;
•
Se la legge viene approvata dalla maggioranza dei votanti nel referendum confermativo.
Dopo la promulgazione segue la sua pubblicazione e poi la sua entrata in vigore.
Le leggi costituzionali vengono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale (pubblicazione notiziale) e sono
sottoposte a referendum confermativo solo se, entro 3 mesi, lo richiedono 500.000 elettori, 5
Consigli regionali, un quinto dei componenti di una Camera.
Il procedimento descritto dall’art.138 Cost. viene utilizzato anche per introdurre specifiche riforme
della normativa costituzionale, ossia le leggi di revisione costituzionale.
Le Commissioni bicamerali
La prima Commissione bicamerale venne istituita dalle Camere nel corso della IX Legislatura (19831987) e rimase in carica per 14 mesi presieduta dall’On. Bozzi. I suoi compiti consistevano
nell’avanzare proposte, attraverso le quali “rafforzare la democrazia politica repubblicana”, che poi
sarebbero state trasformate in veri e propri progetti di modifiche costituzionali e legislative.
La seconda Commissione bicamerale fu istituita nella XI Legislatura (1992-1994). Inizialmente fu
presieduta dall’On. De Mita e successivamente dall’On. Lotti. Le Camere decisero di potenziare il
ruolo e la capacità propositiva della commissione nei riguardi delle Assemblee parlamentari. Con la
L. cost.1/1993 viene attribuita alla Commissione bicamerale la facoltà di elaborare un unico
progetto organi di revisione della seconda parte della Costituzione relativa all’ordinamento della
Repubblica.
La terza Commissione bicamerale fu istituita all’inizio della XIII Legislatura (1996-2001) con la L.
cost.1/1997 e fu presieduta dall’On. D’Alema. Aveva il compito di elaborare progetti di revisione
della seconda parte della Costituzione in materia di forma di Stato, forma di Governo e
bicameralismo.
Alla conclusione della XIII Legislatura, e nonostante il fallimento della Commissione D’Alema, venne
approvata dal Parlamento la revisione del tiolo V della seconda parte della Costituzione relativo a
Regioni, Province e Comuni.
Dopo il successo elettorale del centrodestra, nel maggio 2001, si è tenuto il primo referendum
costituzionale nella storia della Repubblica.
Negli anni seguenti i Governi di centrodestra si sono fatto promotori di una complessiva revisione
della seconda parte della Costituzione vigente. Si trattò di una revisione concernente sia la forma
di Governo (in senso presidenzialista) sia la forma territoriale dello Stato (in senso federalista: la
devolution), che venne approvata dal Parlamento nel novembre del 2005. fu però bocciata nel
giugno del 2006 dal corpo elettorale nel referendum costituzionale richiesto dalle opposizioni.
Le delega legislativa al governo (art.76 Cost.)
Secondo l’art.76 Cost. :
“l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegatto del governo se non con
determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato
e per oggetti definiti”.
Quindi, il Governo può essere delegato dalle Camere ad esercitare la funzione legislativa mediante
l’adozione di decreti che hanno valore di legge ordinaria:
i decreti legislativi
(detti anche decreti delegati )
Secondo l’art. 76 Cost. il Governo può essere delegato dalle Camere ad esercitare la funzione
legislativa mediante decreti che abbiano valore di legge ordinaria = DECRETI LEGISLATIVI DELEGATI
(d.lgs.)
Delega concessa attraverso una legge formale = Legge di delegazione
I decreti delegati sono deliberati dal Consiglio dei Ministri, emanati dal Presidente della
Repubblica, con la denominazione di “decreti legislativi”, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale ed
entrano in vigore dopo il normale periodo di vacatio (15gg), salvo diversa prescrizione.
La delega al Governo può essere concessa dal legislatore solo nel rispetto di precisi limiti
costituzionali, che costituiscono il contenuto necessario della legge di delegazione:
•
•
•
Precisazione dell’oggetto;
Indicazione dei limiti di tempo;
Definizione di principi e criteri direttivi.
L’art.5 c.1 L.400/1988 obbliga il Governo a trasmettere al Presidente della Repubblica il testo del
decreto legislativo, così da poter essere emanato almeno venti giorni prima della scadenza dello
stesso. Inoltre, se la delega legislativa eccede i due anni, il Governo è tenuto a chiedere alle
competenti Commissioni delle due Camere un parere sugli schemi dei decreti delegati.
Decreti legge (art. 77 Cost.)
“Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di
legge ordinaria.
Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità,
provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione
alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque
giorni.
I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla
loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla
base dei decreti non convertiti”.
• Adottato dal Governo (delibera del CM) in casi straordinari di necessità e urgenza;
• emanato dal PdR (art. 87, c. 5, Cost.);
• pubblicato in G.U.;
• efficace dal giorno stesso della pubblicazione in G.U. o da quello immediatamente successivo;
• provvedimento provvisorio con forza di legge;
• perde efficacia fin dall’inizio (ex tunc) se non convertito in legge entro 60 giorni dalla sua
pubblicazione nella G.U.
Le funzioni di indirizzo politico e di controllo
Le Camere concorrono insieme al Governo a determinare l’indirizzo politico attraverso
l’approvazione delle leggi, in particolare di quelle attraverso le quali si esplicano funzioni
costituzionalmente riservate al Parlamento:
•
le leggi di concessione dell’amnistia e dell’indulto (art.79 Cost.),
•
le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali (art.80 Cost.),
•
le leggi di approvazione di bilanci (art.81 Cost.).
Tuttavia le Camere svolgono anche in forma non legislativa un’attività di indirizzo politico rivolta a
condizionare le decisioni che competono all’Esecutivo.
I principali atti di indirizzo non legislativo, che vengono approvati dai due rami del Parlamento
sono:
•
le mozioni.
•
le risoluzioni.
•
gli ordini del giorno.
Tra gli strumenti di controllo, invece, messi a disposizione dei singoli parlamentari dai regolamenti
delle Camere, vanno ricordati i principali che sono le
•
interrogazioni
•
interpellanze.
La mozione
È un documento di carattere generale votato dall’Assemblea, non dalle Commissioni, che esprime
orientamenti di natura politica a cui il Governo dovrà conformarsi per svolgere determinate
attività.
La risoluzione
Le risoluzioni possono essere deliberate sia dalle Commissioni che dalle rispettive Assemblee.
Vengono votate ogni volta che l’Esecutivo sia sollecitato o senta la necessità di rendere noto in
sede parlamentare futuri sviluppi della propria azione politica.
Gli ordini del giorno
Attraverso gli ordini del giorno, le Assemblee o le Commissioni esprimono indirizzi o inviti al
Governo su argomenti cui si riferisce una deliberazione principale. Gli ordini del giorno vengono
votati o accettati dall’Esecutivo.
L’interrogazione
Consiste in una domanda scritta rivolta a un Ministro, con lo scopo di ottenere determinate
informazioni su un avvenimento o di conoscere quali provvedimenti il Governo intenda adottare in
seguito a un determinato fatto. Le risposte possono essere in forma scritta o in forma orale, in base
alle richieste del parlamentare interrogante.
L’interpellanza
È una domanda rivolta da un parlamentare al Governo perché spieghi i motivi o gli intendimenti
della sua azione politica su questioni di particolare importanza o di carattere generale.
Rispetto all’interrogazione, essa sollecita il Governo a fornire una spiegazione dei suoi
comportamenti relativi a questioni che caratterizzano l’indirizzo politico.
I pareri sulle nomine governative
La L.14/1978 impone al Governo di richiedere il parere alle Camere sulle proposte di nomine
governative negli enti pubblici. Il parere delle Camere è obbligatorio, me tuttavia non è vincolante
per il governo.
Le inchieste parlamentari
L’art.82 Cost., attribuisce a ciascuna Camera la facoltà di disporre delle inchieste “su materie di
pubblico interesse”, e a tale scopo prevede la formazione di Commissioni speciali (Commissioni
d’inchiesta) composte in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi parlamentari.
Le inchieste possono essere utilizzate dalle Camere in:
•
Funzione di controllo: cioè per approfondire la conoscenza dei comportamenti degli
apparati statali e per esprimere una valutazione di ordine politico,
Funzione conoscitiva: cioè per acquisire dati, informazioni e orientamenti utili per lo
svolgimento dell’attività legislativa.
•
L’art.82 Cost. Recita:
“Ciascuna Camera può disporre delle inchieste su materie di pubblico interesse a tale scopo nomina
fra i propri componenti una Commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari
gruppi. La Commissione d’inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse
limitazioni dell’autorità giudiziaria”:
•
C.1: ogni Camera può disporre di inchieste attraverso l’approvazione di un’apposita
mozione.
•
C.2: si prevede la formazione di Commissioni speciali, ossia le Commissioni d’inchiesta.
•
C.3: le Commissioni di inchiesta operano con gli stessi poteri e le stesse limitazioni
dell’autorità giudiziaria. Ciò rende possibili delle interferenze tra una Commissione e una determinata
attività giudiziaria, qualora indaghino sugli stessi fatti, anche se con finalità diverse.
Le procedure di informazione
•
Le Camere dispongono di strumenti conoscitivi.
Le Camere, e in particolare le loro Commissioni, possono, secondo quanto stabilito dai
rispettivi regolamenti, disporre di indagini dirette a raccogliere tutti gli elementi necessari per
l’espletamento dei loro compiti istituzionali.
•
Le indagini conoscitive, differentemente dalle inchieste parlamentari, sono esclusivamente
finalizzate ad acquisire notizie ed informazioni; pertanto le Commissioni che procedono in queste
indagini non godono di alcun potere coercitivo nei confronti dei soggetti esterni, i quali possono solo
essere invitati a collaborare spontaneamente con gli organismi parlamentari.
•
I regolamenti parlamentari consentono inoltre alle Commissioni permanenti di chiedere la
convocazione e l’audizione dei membri dell’Esecutivo, che sono tenuti a fornire le informazioni
richieste.
•
Il controllo parlamentare sulla politica eropea
All’interno del Parlamento operano organi che sono costantemente informati sulle politiche
dell’Unione europea per:
•
Esprimere pareri;
•
Promuovere dibattiti;
•
Approvare risoluzioni.
È prevista, a partire dalla L.86/1989, l’approvazione annuale di una legge statale, denominata legge
comunitaria, che contiene le disposizioni necessarie per l’attuazione delle direttive comunitarie. Il
ricorso alla legge comunitaria è oggi disciplinato dalla L.11/2005, che istituzionalizza la
partecipazione del Parlamento nella formazione delle decisioni comunitarie e dell’Unione europea
(fase ascendente);
i componenti parlamentari sono così chiamati a formulare osservazioni e adottare atti di indirizzo
comunitario. La L.11/2005, modificata dalla legge comunitaria del 2006, prevede che le Camere
siano periodicamente informate dei procedimenti giudiziari e delle sentenze della Corte di giustizia
che riguardano l’Italia e dell’andamento dei flussi finanziari tra l’Italia e l’Unione europea.
CAPITOLO 7: IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale” (art.87 c.1
Cost.).
L’elezione
Presidente della Repubblica
eletto: - dal Parlamento in seduta comune
- da tre delegati per ogni Regioni
(ad esclusione della Valle d’Aosta che ne ha uno),
eletti dai rispettivi Consigli per garantire la rappre
sentanza delle minoranze (art.83 c.1-2 Cost.), che allargano la base rappresentativa del Capo dello Stato.
Rappresenta in modo simbolico
l’unità nazionale.
I delegati delle Regioni sono solitamente eletti fra gli stessi
Consiglieri regionali, anche se il testo costituzionale non
esclude che la scelta possa cadere su altre persone. Tuttavia,
la loro presenza, a causa del loro numero, incide poco nel
collegio a cui spetta eleggere il Presidente della Repubblica: è
una partecipazione più che altro simbolica, volta a mettere in
evidenza come egli sia il rappresentante dell’intera comunità
statale.
Il procedimento elettorale
Trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente della Camera dei Deputati convoca in seduta
comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica
(art.85 c.2 Cost.).
Quello individuato non è il giorno nel quale il collegio deve riunirsi, ma quello in cui il Presidente è
tenuto a stabilire la data dell’adunanza e ad emanare il relativo ordine di convocazione: la scadenza
del mandato del Presidente della Repubblica si determina con riferimento al giorno in cui egli
prestò giuramento.
La disposizione mira ad assicurare che, quando si conclude il settennio del Capo dello Stato
uscente, il successore sia già stato eletto. Tuttavia, se le Assemblee parlamentari sono sciolte o
mancano meno di tre mesi alla loro cessazione, l’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo
entro 15 giorni dalla riunione delle nuove Camere. Nel frattempo, sono prorogati i poteri del
Presidente della Repubblica uscente.
La brevità del termine previsto è giustificata dall’esigenza di ridurre al minimo la lunghezza della
prorogatio. Inoltre, se il Capo di Stato è colpito da impedimento permanente o muore o si dimette
dalla carica, il Presidente della Camera “indice le elezioni del nuovo Presidente entro 15 giorni”,
ferma restando la diversa regola valevole quando le Camere siano sciolte o manchi meno di un
trimestre alla loro cessazione (art.86 c.2 Cost.).
L’impossibilità di presentare candidature ufficiali
I nomi degli aspiranti alla carica presidenziale sono proposti in via informale
dalle forze politiche
nel corso delle votazioni.
Su tali candidature ufficiose non è consentito alcun dibattito nella sede elettorale.
Il Parlamento, quando si riunisce in seduta comune ai sensi dell’art.83 Cost., agisce come collegio
elettorale ‘imperfetto’, abilitato dunque a votare ma non a discutere; sono ammesse solo
osservazioni procedurali e richiami al regolamento.
Il divieto di formalizzare le candidature tende ad evitare che il Presidente della Repubblica risulti
emanazione ufficiale di uno schieramento politicamente identificato e la scelta assume quindi un
significato ideologico-programmatico, qualificando il Capo dello Stato come espressione di una
parte più che della ‘Nazione’, titolare di un organo di garanzia e non di indirizzo politico.
Lo scrutinio segreto è un altro strumento inteso a garantire l’indipendenza dell’eletto,
svincolandolo da ogni maggioranza partitica definita.
Ciascun elettore può esprimere la sua preferenza scrivendo:
•
Il nome della persona prescelta su una scheda, che poi depone nell’urna.
•
Lasciare la scheda in bianco.
•
Astenersi.
I quorum elettorali
L’art.83 c.3 Cost., richiede per l’elezione:
•
la maggioranza dei due terzi degli aventi diritto al voto per le prime tre votazioni
(maggioranza qualificata),
•
mentre per le elezioni successive è sufficiente il 50% più uno degli aventi diritto al voto
(maggioranza assoluta).
I requisiti di eleggibilità
Secondo l’art.84 c.1 Cost.:
“può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquant’anni
d’età e goda dei diritti civili e politici”.
Il requisito dell’età minima ha lo scopo di assicurare che sia eletta una persona dotata di esperienza
e autorevolezza. Sebbene tutti i cittadini forniti delle qualità richieste possano aspirare al Quirinale,
finora la carica presidenziale è stata conferita a politici di spicco, quasi sempre membri dell’una o
dell’altra Camera.
La carica presidenziale
Il giuramento. La durata del mandato
Prima di assumere le sue funzioni il Presidente deve prestare un giuramento di fedeltà alla
Repubblica e di osservanza alla Costituzione di fronte al Parlamento in seduta comune, senza che
però vi siano i delegati regionali.
Dopo tale giuramento pronuncia il discorso di insediamento. Accetta cos’ l’investitura e assume le
sue funzioni, rimanendo in carica per sette anni.
Le incompatibilità
L’art.84 c.2 Cost. stabilisce che:
“l’ufficio del Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica”.
Tale norma assume un significato onnicomprensivo.
Così a chi è investito del mandato presidenziale viene precluso:
•
Di ricoprire uffici pubblici (elettivi e non elettivi, politici e burocratici) e cariche private
(direttive e subordinate)
•
Esercitare attività commerciali e professionali.
L’incompatibilità è volta a preservare l’indipendenza e l’imparzialità del Capo dello Stato.
Il mandato presidenziale risulta, inoltre, inconciliabile con incarichi e attività di partito; e non è
ammissibile l’iscrizione del Presidente ad un gruppo o movimento politico per non suscitare
l’impressione che nell’esercizio dei suoi poteri egli si ispiri ad un orientamento di parte.
Gli impedimenti temporanei o permanenti
In tutti i casi in cui il Presidente della Repubblica non può assolvere alle sue funzioni, secondo
l’art.86 c.1 Cost., queste sono esercitate dal Presidente del Senato (attivazione della supplenza).
Nel sistema italiano, infatti, non esiste un organo vicario del Capo dello Stato.
Possibili cause di cessazione anticipata del mandato presidenziale sono:
- impedimento permanente
- morte
- dimissioni
- decadenza
- destituzione
Si parla di impedimenti nel momento in cui la malattia diminuisce le capacità lavorative del
Presidente della Repubblica. L’impedimento si considera permanente quando la malattia risulta
irreversibile o la guarigione potrebbe durare per un periodo indefinito.
Sono necessarie due valutazioni per accertare l’idoneità fisica e/o mentale all’esercizio dei poteri
presidenziali:
•
Valutazione medico-scientifica
•
Valutazione politica.
Nel caso di visite ufficiali all’estero, si tratta di una ‘supplenza parziale’ svolta sempre del
Presidente del Senato, in quanto il Capo dello Stato svolge all’estero le funzioni che attengono al
suo ruolo di rappresentante dell’Italia.
“Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti in esercizio delle sue funzioni,
tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato
d’accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri” (art.90 c.1-2
Cost.).
La responsabilità. La controfirma governativa degli atti del capo dello stato
La responsabilità giuridica
Mentre nel preesistente ordinamento monarchico il Re non soggiaceva a nessun tipo di
responsabilità, perché la sua persona era sacra e inviolabile (art.4 Statuto Albertino), la carta
costituzionale repubblicana dispensa solo in parte il Capo dello Stato del rendere conto in sede
giudiziaria del proprio comportamento illecito.
Nessuna immunità dalla giurisdizione ordinaria (civile e penale) è costituzionalmente riconosciuta
al Capo dello Stato per fatti estranei all’adempimento dei compiti presidenziali, né per la sua
attività precedente l’assunzione della carica, di cui pertanto dovrebbe rispondere al pari di un
comune cittadino.
L’art.1 L.140//2003 aveva stabilito che sino alla fine del loro mandato le ‘alte cariche dello Stato’
fossero sottratte a processi penali per qualsiasi reato, pur concernente fatti anteriori all’assunzione
del rispettivo incarico istituzionale. Tale normativa era però stata dichiarata illegittima dalla Corte
costituzionale (C. cost. n°24/2004).
I reati presidenziali
Il Presidente della repubblica può essere condannato a rispondere dei crimini:
di alto tradimento
attentato alla Costituzione
La responsabilità politica
In via istituzionale il comportamento del Presidente della Repubblica non è mai sindacabile
secondo criteri di opportunità politica: egli non risponde a nessun organo o soggetto, né può
subire sanzioni incidenti sulla titolarità della carica.
Nel disegno costituzionale tale irresponsabilità si collega al ruolo super partes del Capo dello Stato,
a cui spettano poteri di garanzia e di controllo, non di indirizzo politico.
Il Presidente è tuttavia esposto ai giudizi sfavorevoli esprimibili da un’indefinita molteplicità di
soggetti (libertà di critica nei confronti di chi, nell’ambito della vita pubblica, è investito di funzioni
direttive). Le contestazioni politicamente motivate non devono comunque trascendere ad offese
all’onore o al prestigio del Capo dello Stato, punibili ai sensi dell’art.278 c.p.
La controfirma. Tipologia degli atti del Presidente della Repubblica
“Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri
proponenti, che ne assumono la responsabilità. Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri
indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente della Repubblica” (art.89 Cost.).
Data la generale irresponsabilità riconosciuta al Presidente della Repubblica quando agisce
esercitando le funzioni che gli competono, in sua vece sono i membri del Governo a rispondere sia
giuridicamente (davanti a giudici penali, civili e contabili) sia politicamente (davanti agli organi
parlamentari).
Con la maggioranza dei suoi decreti il Presidente della Repubblica conferisce solo la veste formale a
contenuti normativi, amministrativi o politici determinati dall’Esecutivo. Benché presidenziali nella
forma, tali atti sono sostanzialmente governativi; i soggetti controfirmanti coincidono con i
proponenti e la loro assunzione di responsabilità rispecchia l’appartenenza del potere deliberativo
e la volontà che è all’origine dei provvedimenti. Su di essi, prima di emanarli, il Capo dello Stato
esplica un controllo di legittimità, e talvolta anche di merito.
Esistono atti presidenziali che non presuppongono alcune proposta governativa né sono
condizionati nel contenuto da iniziative altrui.
In mancanza di soggetti proponenti, la controfirma viene apposta dai Ministri competenti nelle
materie a cui i singoli atti si riferiscono; per quelli più importanti la legge o la prassi costituzionale
richiedono la sottoscrizione del Presidente del Consiglio.
A seconda che gli atti emanati dal Capo dello Stato siano qualificabili nella sostanza come
governativi, presidenziali o complessi, i soggetti controfirmanti sono suscettibili di sanzioni
giuridiche e politiche, rispettivamente, per averne determinato il contenuto, per non aver svolto su
di essi un controllo adeguato, o per non aver prestato il consenso indispensabile al loro venire in
essere.
Non tutti gli atti formalmente presidenziali hanno origine da decisioni dell’Esecutivo o del Capo
dello Stato (o dalla volontà convergente di entrambi). Ve ne sono alcuni la cui definizione
sostanziale spetta ad altri organi.
Esistono atti sottoscritti dal Capo dello Stato che non richiedono alcuna controfirma (es: atti
personali, fra cui le dimissioni; i regolamenti e gli altri atti riguardanti l’organizzazione e il personale
della Presidenza della Repubblica; i provvedimenti che il Capo dello Stato adotta in qualità di
Presidente del Consiglio superiore della magistratura o del Consiglio supremo di difesa). Anche le
esternazioni verbali con cui il Presidente della Repubblica vuole far conoscere il suo pensiero su
molteplici temi dell’attualità politico-istituzionale non sono soggette alla controfirma.
Le attribuzioni
Le attività del Presidente della Repubblica sono volte a permettere, cioè a condizionare, la
formazione e le vicende di organi costituzionali, o esprimono partecipazione alla funzione di altri
organi. Il ruolo costituzionale del Presidente della Repubblica è di
Garanzia e controllo
Equilibrio e coordinamento.
Le attribuzioni del Capo dello Stato possono distinguersi:
•
Poteri per il funzionamento del Parlamento.
•
Poteri per il corpo elettorale,
•
la formazione e l’attività delle Camere.
•
Poteri di partecipazione all’attività del Governo.
•
Poteri attinenti ai rapporti internazionali.
•
Poteri concernenti le Forze armate.
•
Poteri inerenti a organi di garanzia.
•
Poteri di nomina.
•
Altre categorie.
I poteri tipici per il funzionamento del sistema parlamentare
Quando l’Esecutivo in carica rassegna il mandato, compete al Capo dello Stato riceverne le
dimissioni e poi accettarle, nominare il nuovo Presidente del Consiglio e i Ministri.
Il decreto di accettazione delle dimissioni del Governo uscente è espressioni di un autonomo
potere presidenziale: può respingere le dimissioni (se non conseguono a voto di sfiducia) e invitare
il Governo a presentarsi al Parlamento per accettarne formalmente l’orientamento. Atto
controfirmato dal Presidente del Consiglio entrante secondo l’art.1.2. L.400/1988.
Anche la nomina del Presidente del Consiglio è ritenuto un autonomo potere presidenziale, anche
se vi è un contrasto. Atto controfirmato dal Presidente del Consiglio secondo l’art.1.2. L.400/1988.
La nomina dei Ministri (art.92 c-2 Cost.) non è un autonomo potere presidenziale. La scelta, infatti,
spetta al Presidente del Consiglio che presenta delle designazioni da ritenersi vincolanti per il
Presidente della Repubblica, che può esercitare solo un controllo di legittimità. Decreto di nomina
controfirmato dal Presidente del Consiglio.
“Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una di
esse” (art.88 c.1 Cost.).
I Presidenti delle Assemblee esprimono un parere non vincolante. È un atto con carattere
presidenziale. Atto controfirmato dal Presidente del Consiglio che esercita su di esso solo un
controllo di legittimità.
Nel ‘semestre bianco’ (sei mesi prima della fine del mandato) non vi poteva essere lo scioglimento
delle Camere perché:
•
Il Presidente della Repubblica non possa tentare di promuovere un collegio favorevole alla
sua rielezione.
•
Depotenziamento dei poteri presidenziali nel periodo finale del settennato.
Attraverso la L. cost. n°1/1991 si sostituì l’art.88 c.2 Cost.:
Fu attribuita al Presidente della repubblica la possibilità di sciogliere le Camere anche negli ultimi
sei mesi del suo mandato, purché i sei mesi coincidano, anche se parzialmente, con il semestre
conclusivo della Legislatura.
Gli altri poteri concernenti il corpo elettorale e le Camere
•
Il Presidente della Repubblica indice le elezioni delle nuove Camere (art.87 c.3 Cost.) per una
data compresa nei settanta giorni successivi alla fine dei precedenti (art.61 c.1 Cost.), e ne fissa la
prima riunione non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni (art.61 c.1 Cost.).
•
Il Capo dello Stato, inoltre, indice il referendum popolare (art.87 c.6 Cost.) nei casi previsti
dalla Costituzione. Non si tratta di autonomi poteri presidenziali, ma del Governo, sebbene vincolati (è
richiesta la forma presidenziale per il loro esercizio). Sono atti emanati, previa deliberazione del
Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio e del Ministro dell’Interno che lo
controfirmano.
•
Ha anche la possibilità di nominare Senatori a vita cinque cittadini che abbiano illustrato la
Patria per altissimi meriti in campo sociale, scientifico, artistico e letterario (art.59 c.2 Cost.). le nomine
sono frutto di iniziative e decisioni autonome del Presidente della Repubblica, controfirmate dal
Presidente del Consiglio.
•
Il Presidente della Repubblica può assumere l’iniziativa di convocare le Camere in via
straordinaria (art.62 c.2 Cost.); è un potere presidenziale, che dovrebbe essere controfirmato dal
Presidente del Consiglio.
Può inviare messaggi alle Camere (art.87 c.2 Cost.) per richiamare la loro attenzione su
questioni che egli giudica di particolare importanza. Sono atti di iniziativa autonoma del Capo dello
Stato, che vengono controfirmati dal Presidente del Consiglio o da un Ministro, come controllo di
legittimità.
•
Compete al Presidente della Repubblica promulgare le leggi dello Stato (art.73 c.1 Cost. +
art.87 c.5 Cost.) secondo formule fisse, diverse per le leggi ordinarie e quelle costituzionali, stabilite
dagli artt.1 e 2 D.P.R. n°1092/1985. la promulgazione è atto tipicamente presidenziale, controfirmato
dal Presidente del Consiglio e dal Ministro, o Ministri, competenti. Tuttavia, prima di promulgare una
legge, il Presidente della Repubblica può con messaggio motivato chiedere una nuova delibera delle
Assemblee legislative. Questo potere è detto ‘veto sospensivo’ ed è esercitabile una sola volta (art.74
Cost.). È una decisione autonoma del Presidente della Repubblica.
•
I poteri di partecipazione all’attività del Governo
Autorizzare la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo e
deliberati dal Consiglio dei Ministri (art.87 c.4 Cost.). L’autorizzazione presidenziale ha funzione di
mero controllo.
•
Emanare gli atti aventi forza di legge (decreti-legge, decreti legislativi e i regolamenti)
(art.87 c.5 Cost.). La funzione presidenziale è di esternazione della volontà normativa espressa dal
Governo. La proposta spetta al Presidente del Consiglio (art.5.1. c. L. n°400/1988) che controfirma gli
atti in questione insieme ai Ministri competenti nelle materie a cui essi si riferiscono.
•
•
Nominare nei casi indicati dalla legge i funzionari dello Stato (art.87 c.7 Cost.). Sono atti
formalmente imputati al Presidente della Repubblica, ma deliberati dal Governo che è preposto
all’amministrazione.
I poteri attinenti ai rapporti internazionali
Il Presidente della Repubblica come Capo dello Stato rappresenta l’Italia nei rapporti con gli altri
Stati (art.87 c.1 Cost.). Come tale può:
•
Accreditare e ricevere i rappresentanti diplomatici e ratificare i trattati conclusi dal Governo
(art.87 c.8 Cost.). Emana quindi gli atti con cui la Repubblica aderisce agli accordi internazionali e si
obbliga verso gli altri firmatari. La ratifica è decisa dal Governo e gli atti vengono controfirmati dal
Ministro degli Esteri.
•
Dichiarare lo stato di guerra deliberato dalle Camere (art.87 c.9 Cost.). La decisione in sé
spetta al Parlamento (art.78 Cost.), la funzione presidenziale è solo di esternare ufficialmente la
volontà dello Stato.
I poteri concernenti le Forze armate
Il Presidente della Repubblica ha il comando delle Forze armate (art.87 c.9 Cost.). Questo
alto comando esprime e garantisce il dovere di lealtà alle istituzioni democratiche delle Forze armate
che dipendono dal Governo. Non ha un mero ruolo cerimoniale e simbolico ma, attraverso il comando,
garantisce i valori costituzionali.
•
Presiede il Consiglio supremo di difesa (art.87 c.9 Cost.). Tale organo ha il compito di
esaminare i problemi generali politici e tecnici concernenti la difesa nazionale e di stabilire i criteri e le
direttive per l’organizzazione e il coordinamento delle attività ad essa relative. Gli atti che compie non
sono soggetti a proposta governativa e controfirma.
•
I poteri inerenti ad organi di garanzia
•
Il Presidente della Repubblica nomina un terzo dei quindici giudici che compongono la Corte
Costituzionale (art.135 c.1 Cost.). Le nomine conseguono a iniziative e decisioni autonome del Capo
dello Stato. I decreti sono controfirmati dal Presidente del Consiglio.
Al Presidente della Repubblica è attribuita la presidenza del CSM (= Consiglio superiore della
Magistratura) per evitare una dipendenza della magistratura ordinaria dal Governo e una separazione
degli altri poteri dello Stato (art.87 c.10 Cost. + art.104 c.2 Cost.). Gli atti che ivi compie non sono
soggetti a proposta e controfirma. Gli atti importanti sono adottati con D.P.R. controfirmato dal
Ministro di Giustizia.
•
Gli altri poteri di nomina
Il Capo dello Stato nomina il Presidente e gli altri membri del CNEL (= Consiglio Nazionale
dell’Economia e del Lavoro). È un potere autonomo. Nomina otto dei dodici esperti che entrano a far
parte del Consiglio. Gli atti di nomina sono controfirmati dal Presidente del Consiglio dei Ministri, e
non presuppongono proposta governativa. Gli altri membri del CNEL (esperti e rappresentanti) sono
nominati con D.P.R., su proposta del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei
Ministri.
•
Emana gli atti inerenti alla composizione di organi giurisdizionali e ausiliari e allo stato
giuridico dei loro membri. I provvedimenti non sono presidenziali nella sostanza, ma le decisioni
vengono prese da altri organi.
•
•
Nomina con i propri decreti il Presidente e gli otto commissari dell’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni (art.1 c.3 L.249/1997). Il Presidente è nominato dal Capo dello Stato, su proposta
del Presidente del Consiglio, d’intesa con il Ministro delle Comunicazioni, mentre i commissari sono
eletti per metà dai Deputati e per metà dai Senatori. Si tratta di nomine presidenziali solo formali.
I poteri rimanenti
Il Presidente della Repubblica concede la grazia e può commutare le pene (art.87 c.11
Cost.). È il Ministro della Giustizia che riceve le domande di grazia, le istruisce e formula le relative
proposte. L’atto di grazia è decreto presidenziale adottato su proposta del Ministro di Giustizia e da lui
controfirmato. È un potere sostanziale di decisione al Capo dello stato. La L. Cost. n°1/1992,
modificativa dell’art.79 Cost., stabilisce che spetta alle Camere deliberare l’estinzione di reati e pene a
maggioranza dei due terzi dei componenti.
•
Il Capo dello Stato dispone con decreto motivato lo scioglimento i ogni Consiglio regionale e
la rimozione del Presidente della Giunta (art.126 c.1 Cost.). Sono atti deliberati dal Consiglio dei
Ministri ed emanati dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio che li
controfirma.
•
Il capo dello stato, conferisce le onorificenze della Repubblica (art.87 c.12 Cost.). Sono
decisioni per lo più adottate dal Governo, e a volte dal Capo dello Stato.
•
CAPITOLO 8: IL GOVERNO
Il Governo è l’organo di vertice del Potere Esecutivo.
Il Titolo III della Parte II della Costituzione è dedicata al Governo.
Esso è costituito da molteplici organi suddivisi in
Necessari
(= espressamente prevista dalla Costituzione)
Gli organi necessari sono:
- Presidente del Consiglio dei Ministri
Non necessari/eventuali
(= non espressamente previsti dalla Costituzione).
Gli organi eventuali sono
- Vice-Presidenti del Consiglio dei Ministri
- Ministri
- Consiglio dei Ministri.
- Ministri senza Portafoglio
- Sottosegretari di Stato
- Alti Commissari
- Commissari straordinari del Governo
- Comitati di ministri e interministeriali
- Consiglio di Gabinetto.
Vi sono molti organi di Governo perché il principio di autoregolamentazione del Governo ha reso
elastica la sua struttura e anche per la mancata attuazione dell’ultimo comma dell’art.95 Cost.,
laddove prevede che “la legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina
il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri”.
Ma la L. 23 agosto 1988 n°400 ha posto fine alle incertezze sulle competenze dei diversi organi,
disciplinandone la struttura.
Il consiglio dei ministri
Ne fanno parte:
•
Il Presidente del Consiglio,
•
Tutti i Ministri (con e senza portafoglio)
•
Altri titolari di cariche pubbliche, che però non hanno diritto di voto.
Le attribuzioni del Consiglio dei Ministri sono individuate dalla L.400/1988 (art.2): stabilisce che:
spetta al Consiglio determinare la politica generale del Governo e l’indirizzo generale dell’azione
amministrativa (comma 1)
•
Presidente del Consiglio
decide di porre la questione di fiducia
•
Consiglio dei Ministri
spetta:
- esprimere il proprio assenso sull’iniziativa presidenziale
- approvare le dichiarazioni da rendere in ambito parlamentare, sulla
questione posta (comma 2);
- individua le materie e gli oggetti di intervento su cui il Consiglio dei
Ministri è chiamato a deliberare (comma 3).
è convocato dal Presidente del Consiglio dei Ministri che fissa l’ordine del giorno, le modalità di
votazione e dirige i lavori.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri
•
•
•
Nella monarchia costituzionale = primus inter pares.
Nel periodo fascista = Capo del Governo e Duce del fascismo.
Nella Costituzione repubblicana = preminenza politico-istituzionale sugli altri Ministri.
Essa ha attribuito al Presidente del Consiglio:
•
il principio monocratico
•
il principio collegiale
•
il principio di autonomia ministeriale
La Costituzione non ha risolto il problema del potere di revoca dei singoli Ministri, esercitabile dal
Capo dello Stato su proposta del Presidente del Consiglio. Ma la legge 400/1988 e il D. Lgs.
n°303/1999, hanno disciplinato la struttura della Presidenza del Consiglio e le funzioni del
Consiglio dei Ministri.
Le attribuzioni del Presidente del Consiglio sono:
•
La direzione della politica generale del Governo.
•
Il mantenimento dell’unità di indirizzo politico e amministrativo.
La promozione e il coordinamento dell’attività dei Ministri: il Presidente del Consiglio
indirizza i Ministri, ma le sue direttive politiche non sono obbligatorie (prive di sanzioni). Non esiste
disposizione intesa a precisare i doveri dei Ministri nelle relazioni con il Presidente del Consiglio.
•
Nella L.400/1988 all’art.5, le attribuzioni del Presidente del Consiglio sono divise in:
Esercitate a nome del Governo
Dirette o conferite con delega
ad un Ministro.
Il segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri
Il suo ruolo è stato riordinato con il D. Lgs. n°300/1999 ed è stato articolato in dipartimenti, uffici e
servizi.
•
Segretario generale
è responsabile del funzionamento del Segretariato generale e
della
gestione delle risorse umane e strumentali,
•
il Presidente del Consiglio
determina la struttura del segretariato, della cui attività si
av
valgono i Ministri e i Sottosegretari della Presidenza del Consiglio.
I Dipartimenti sono affidati a Ministri o Sottosegretari delegati in cui le responsabilità di gestione
competono ai funzionari preposti alle strutture medesime; quando invece non sono affidati a
Ministri o Sottosegretari delegati, le responsabilità sono di competenza del Segretario generale
della Presidenza.
Il Presidente del Consiglio si avvale del Segretariato generale della Presidenza del Consiglio per:
•
Razionalizzare l’organizzazione amministrativa della Presidenza.
•
Rendere più funzionale l’insieme dei Dipartimenti.
•
Definire giuridicamente le relazioni tra le differenti componenti della Presidenza del
Consiglio.
•
Per organizzare la Presidenza in odo speciale.
Per escludere le funzioni non coerenti rispetto alla Presidenza del Consiglio, cioè per snellire
la struttura della Presidenza del Consiglio.
•
L’ufficio di segreteria del Consiglio dei Ministri
È alle dipendenze del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, che deve informare il Segretario
generale sulle questioni in trattazione, il lavoro del Consiglio dei Ministri e le deliberazioni
adottate.
I Ministri e la struttura dei Ministeri
I Ministri con portafoglio sono posti al vertice delle strutture amministrative, cioè dei Ministeri o
Dicasteri. Il loro numero, le attribuzioni e l’organizzazione sono stabiliti dalla legge (art.95 Cost.).
Nei Ministeri costituiscono strutture di primo livello le Direzioni Generali e i Dipartimenti. Se sono
presenti tali strutture non può essere costituita la figura del Segretario generale, ma è presente nel
Dipartimento la figura del Capo di Dipartimento con compiti di coordinamento e controllo.
In quanto membri del Governo, i Ministri hanno diritto, e talvolta l’obbligo, di assistere alle sedute
delle Camere.
Alcuni Ministri possono essere posti alla Presidenza di Comitati di Ministri e di Comitati
interministeriali.
Le Agenzie a servizio delle amministrazioni pubbliche
Introdotte dalla riforma dei Ministeri, svolgono attività tecnico-operative di interesse nazionale, già
esercitate da Ministeri ed Enti pubblici.
Godono di piena autonomia nei limiti stabiliti dalla legislazione vigente, ma sono sottoposte a:
•
Corte dei Conti
•
Poteri di indirizzo e vigilanza dei Ministri competenti
•
Direttive ministeriali con indicazioni degli obiettivi da raggiungere
•
Approvazione dei programmi di attività
•
Ispezioni ministeriali.
Alcune sono:
•
Agenzia Industria Difesa
•
Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici
•
Agenzia per le organizzazioni non lucrative di attività sociale
•
Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica
I Vice-Presidenti del Consiglio dei Ministri
Sono considerati il frutto di una consuetudine costituzionale introduttiva.
Prima del 1988, il loro incarico era affidato ad un Ministro.
Con la L.400/1988 all’art.8, l’attribuzione a uno o più Ministri delle funzioni di Vice-Presidente del
Consiglio può essere proposta al Consiglio dei Ministri dal Presidente del Consiglio o nella prima
riunione del Consiglio. In seguito viene formalizzata con un D.P.R. pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale.
La L.400/1988 disciplina la funzione del Vice-Presidente del Consiglio di supplenza del Presidente
del Consiglio “in caso di assenza o impedimento temporaneo” (art.8). Se il Vice-Presidente non è
stato nominato, la supplenza spetta al Ministro più anziano.
I Ministri senza portafoglio
Risalente all’epoca dello Statuto Albertino, il Ministro senza portafoglio non è preposto ad
un Dicastero.
•
•
Spesso, in passato, hanno costituito un espediente per allargare la compagine governativa.
•
Sono venuti sempre più a configurarsi come Ministri della Presidenza.
•
Sono coadiutori del Presidente del Consiglio dei Ministri.
I Ministri senza portafoglio vengono nominati presso la Presidenza del Consiglio,
diventando diretti collaboratori del PCM (L.400/1988 art.9, modificato dal D.-l. n°181/2006 convertito
in L.232/2006).
•
L’interim
Si ha quando il titolare di un Dicastero o di un incarico ministeriale viene temporaneamente
sostituito da un altro Ministro o dal Presidente del Consiglio.
•
Questo istituto non è previsto dalla Costituzione, ma è disciplinato dalla L.400/1988.
•
Se ne fa ricorso in caso di dimissioni o cessazione della carica di un Ministro, che non si
intende sostituire stabilmente, e per coprire cariche governative che non si intendono attribuire ad un
apposito titolare.
•
L’incarico ad interim viene conferito con D.P.R.
La contemporanea titolarità di più Ministri o incarichi ministeriali, si ha, invece, quando più
Dicasteri ministeriali vengono affidati allo stesso titolare stabilmente.
•
I Sottosegretari di Stato
In passato
erano scelti esclusivamente tra parlamentari.
Oggi
vengono scelti anche tra i non eletti alle Camere.
L’art.10 della L.400/1988 ne ha razionalizzato la prassi.
Sono nominati con D.P.R., su proposta del Presidente del Consiglio, di concerto con il Ministro che il
Sottosegretario è chiamato a coadiuvare.
Le loro funzioni sono:
•
Intervenire alle sedute delle Camere e delle Commissioni parlamentari, rispondendo a
interrogazioni e interpellanze (funzioni di rappresentanza costituzionale e politica).
Svolgono funzioni amministrative per delega ad personam del Ministro. La delega ha
efficacia solo finché restano in carica il titolare del Dicastero o dell’incarico ministeriale. La delega è
formalizzata con delega del Ministro, registrata alla Corte dei Conti e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale.
•
I Sottosegretari di norma:
•
•
•
non partecipano al Consiglio dei Ministri
non possono partecipare alle deliberazioni
né esprimere un voto.
L’unica eccezione è il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
Il quale funge da Segretario del Consiglio dei Ministri e viene nominato prima degli altri
Sottosegretari, in contrasto con l’art.3 R.D. 466/1901.
ma la L.400/1988 con l’art.4 ha legalizzato questa prassi, precisando che:
il Sottosegretario deve curare la verbalizzazione
e la conservazione delle delibere
(artt.11 e 12 regolamento interno
del Consiglio dei Ministri).
E all’art.20 specifica che il Pres del Consiglio,
del quale il Sottosegretario è persona di stretta
fiducia e non subordinato, può delegargli la
responsabilità di Dipartimenti e Uffici.
La legge istitutiva del 1888 ne prevedeva uno solo per ogni Ministro. La L.400/1988 ha rinviato la
soluzione del problema alla legge sull’organizzazione dei Ministeri. La legge finanziaria 244/2007
ha stabilito che “il numero totale dei componenti del Governo a qualsiasi titolo non può essere
superiore a sessanta”.
I Vice-Ministri
La L.81/2001 e il D.-l. 217/2001 (convertiti nella L.317/2001), hanno stabilito che “a non più di dieci
Sottosegretari può essere attribuito il titolo di Vice-Ministro”.
La delega viene conferita dal Ministro competente, ma occorre che sia approvata dal Consiglio dei
Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio.
Vi sono delle incongruità nella nuova normativa sul Vice-Ministri:
•
Manca un nesso tra l’eventuale ampiezza delle funzioni delegate e la relativa nomina a ViceMinistro.
•
Manca un’organica disciplina delle ipotesi di delega e della revoca di un Vice-Ministro.
Il termine ‘Vice’ evoca delle funzioni gerarchicamente vicarie, che non possono essere però
assolte da tali soggetti.
•
I Vice-Ministri non possono:
•
Essere investiti di funzioni e poteri conferiti dalla Costituzione ai Ministri, in casi di assenza
o impedimento di quest’ultimi.
•
Controfirmare atti del Presidente della Repubblica.
•
Promuovere l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati.
I Vice-Ministri non appartengono necessariamente al partito politico del relativo Ministro.
Gli alti Commissari
Non fanno parte del consiglio dei Ministri, pur potendovi partecipare senza diritto di voto,
ma sono preposti ad un apparato amministrativo di settore, non compreso in alcun ambito
dicasteriale.
•
Non rispondono del loro operato di fronte alle Camere, con le quali non instaurano alcun
rapporto di fiducia, e non possono controfirmare D.P.R.
•
•
La responsabilità dell’Alto Commissario sussiste o nei confronti del Governo in ragione della
nomina, proposta dal Presidente del Consiglio con un D.P.R., o nei confronti del Presidente del
Consiglio o del Ministro cui risulta collegato.
I Commissari straordinari del Governo
•
Sono previsti dalla L.400/1988.
•
Richiamano e superano la figura dell’Alto Commissario.
•
La loro nomina, così come i loro compiti e le dotazioni di mezzi e personale, avviene con
D.P.R., su proposta del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.
Le finalità (art.11 L.400/1988): incarico della realizzazione di “specifici obiettivi determinati
in relazione a programmi o indirizzi deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei Ministri o per
particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo tra amministrazioni statali”.
•
I Comitati interministeriali e i Comitati di Ministri
Sono organi collegiali costituiti da più Ministri con compito, in genere, di coordinamento e di
indirizzo, ma talora anche con compiti particolari.
Alcuni sono previsti dalla legge, altri sono istituiti con semplice atto ministeriale.
La L.400/1988 non indica la distinzione fra i due organi, ma la dottrina li differenzia:
•
I Comitati dei Ministri sono composti da soli Ministri.
•
I Comitato interministeriali sono composti anche da funzionari direttivi della Pubblica
Amministrazione e da esperti.
La L.400/1988 delega il Governo ad emanare norme aventi forza di legge intese a ridurre il numero
di Comitati. Questo è un tentativo di recupero di poteri del Presidente del Consiglio e del Consiglio
dei Ministri.
Il Consiglio di Gabinetto
•
È ritornato a caratterizzare la struttura del Governo dal 1983 (art.6.1 L.400/1988).
È composto da Ministri, designati dal Presidente del Consiglio, sentito il Consiglio dei
Ministri, dal Presidente del Consiglio e dal Vice-Presidente del Consiglio. Tuttavia, possono partecipare
alle sue sedute altri Ministri (art.6.2 L.400/1988).
•
•
È chiamato ad operare soltanto nell’ambito delle attribuzioni del Presidente del Consiglio.
La sua attuale assenza è intesa, probabilmente, a ridimensionare il peso politico dei partiti e
a rafforzare l’autonomia del Presidente del Consiglio.
•
Il procedimento di formazione del governo
•
Prevede una serie di attività informali e di atti formalizzati.
•
si conclude con la nomina del Presidente del Consiglio e dei Ministri da parte del Presidente
della Repubblica (art.92 Cost.) e il giuramento del Presidente del Consiglio e dei Ministri nelle mani del
Presidente della Repubblica (art.93 Cost.).
Il procedimento è disciplinato solo in parte perché la Costituzione prevede soltanto la
nomina e il giuramento del Presidente del Consiglio e de Ministri.
•
•
La tre attività, invece, sono regolate da prassi costituzionali, convenzioni costituzionali e
consuetudini costituzionali.
Le dimissioni del Governo
Il Governo in carico deve presentare le dimissioni al Presidente della Repubblica (PdR).
Si possono verificare tre diversi effetti:
•
Accettazione delle dimissioni inseguito a voto di sfiducia del Parlamento (art.94 Cost.).
•
Accettazione delle dimissioni per decisione del Presidente della Repubblica.
•
Respingimento delle dimissioni da parte del Presidente della Repubblica.
L’accettazione delle dimissioni è accompagnata dall’invito al Governo dimissionario, da parte del
Capo dello Stato, a restare in carica per il disbrigo degli affari correnti.
La firma del decreto (D.P.R.) di accettazione delle dimissioni viene però rinviata al momento in cui
si procede alla nomina del nuovo Governo, altrimenti non rimarrebbe in carica alcun Governo.
I poteri del Governo dimissionario
Sono precisati dal Presidente del Consiglio attraverso apposite circolari.
Le attività consentite sono volte alla tutela costante del funzionamento delle pubbliche
istituzioni e alla tutela degli interessi della collettività.
•
Il Governo dimissionario sfiduciato dalle Camere non può porre in essere attività intese a
proseguire l’indirizzo politico definito nel suo programma.
•
•
Le consultazioni obbligatorie
Vengono svolte dal Presidente della Repubblica per determinare la persona cui affidare l’incarico
della formazione del nuovo Governo.
I soggetti consultati hanno rilevanza politica e parlamentare e possono essere:
•
Esponenti dei partiti rappresentati in Parlamento
•
Presidenti dei rispettivi gruppi parlamentari
•
Ex-Presidenti della Repubblica
•
Titolari di alte cariche dello Stato (Presidenti delle Camere)
•
Rappresentanti di organizzazioni sociali ed economiche.
L’abbreviazione delle consultazioni obbligatorie è attualmente il risultato dell’approvazione della
nuova legge elettorale (270/2005), che contempla la preventiva indicazione da parte degli
schieramenti politici contrapposti di un candidato alla guida del Governo (Capo della coalizione), e
della chiarezza del risultato elettorale.
Missioni o Mandati esplorativi e preincarichi
Il Presidente della Repubblica può conferire, se non è chiaro l’esito elettorale:
•
Mandato/Missione esplorativa: la persona cui viene assegnato non viene incaricata di
formare il Governo, ne è candidata a ricevere tale incarico, ma ha solo il compito di esplorare le
possibilità di risolvere la crisi. Viene solitamente affidata al Presidente di un ramo del Parlamento.
Preincarico: viene conferito alla persona che, in seguito a determinati accertamenti, potrà
ottenere l’eventuale incarico di formare il Governo.
•
Il Presidente del Consiglio incaricato
È investito dal Presidente della Repubblica attraverso il conferimento verbale dell’incarico, ed ha la
responsabilità di formare un Governo che ottenga la fiducia di entrambe le Camere (art.94¹ Cost.)
Le attività dell’incaricato sono:
•
Consultazioni e colloqui per accertare la concreta possibilità di formare un nuovo Governo.
Se però è il leader di una delle due maggiori coalizioni contrappostesi nella campagna elettorale, il
tempo di consultazione si riduce notevolmente.
•
Definire o ridefinire gli accordi con i partners politici.
•
Stilare una lista di Ministri che dovrà poi essere presentata al Presidente della Repubblica
per la nomina (art.92 Cost.).
I decreti per la formazione del nuovo Governo
Vengono emanati dal Presidente della Repubblica.
Sono:
•
Decreti di accettazione delle dimissioni, con controfirma del Presidente del Consiglio
entrante.
•
Decreto di nomina del nuovo Presidente del Consiglio, con controfirma del nuovo
Presidente del Consiglio entrante.
•
Decreto di nomina dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio.
Il giuramento del Presidente del Consiglio e dei Ministri
“Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi e di
esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della nazione” (art.93 Cost.).
È la condizione necessaria per il legittimo esercizio delle funzioni governative.
I poteri del Governo in attesa di fiducia
Disbrigo degli affari correnti.
Interventi per motivi di urgenza.
I limiti cui è sottoposto il Governo in attesa di fiducia sembrano minori di quelli posti al Governo
dimissionario, perché esso instaurerà presumibilmente un rapporto fiduciario con il Parlamento.
•
•
Lo status dei componenti del governo
È disciplinato dalla Costituzione solo per quanto riguarda la loro responsabilità penale, per i reati
commessi nell’esercizio delle funzioni.
Non essendo sancita alcuna incompatibilità tra la carica di membro del Governo e il mandato
parlamentare, se i membri del Governo sono anche membri del Parlamento godono delle
prerogative proprie di questi ultimi.
La L.215/2004 prevede alcuni casi di incompatibilità con gli incarichi governativi diversi dal
mandato parlamentare proprio per evitare conflitti di interesse.
La responsabilità politica e giuridica
•
Art.94 Cost.: secondo i principi della forma di Governo parlamentare, il Governo è
responsabile di fronte alle Camere e tale responsabilità si va valere mediante la votazione di mozioni di
fiducia/sfiducia da parte di ciascuno dei due rami del Parlamento.
Art.95¹ Cost.: il Presidente del Consiglio dei Ministri assume la responsabilità politica
conseguente alla direzione della politica generale del Governo.
•
Art.95² Cost.: i Ministri hanno responsabilità politica davanti al Parlamento e giuridica, ossia
civile, penale e amministrativa.
•
I Ministri
•
Sono capi dei rispettivi Ministeri e partecipano a pieno titolo all’attività del Consiglio dei
Ministri.
Hanno responsabilità individuale per gli atti dei loro Dicasteri e collegiale per le
deliberazioni assunte dal Consiglio dei Ministri.
•
•
La responsabilità politica del singolo Ministro può essere fatta valere con la mozione di
sfiducia individuale che obbliga il Ministro sfiduciato a dimettersi.
•
I Ministri controfirmano, secondo i loro rispettivi ambiti di competenza, gli atti emanati
assumendosene la responsabilità politica e giuridica.
Il Presidente del Consiglio controfirma taluni atti emanati con decreto dal Presidente della
Repubblica, quali:
•
•
•
•
Atti di promulgazione delle leggi.
Atti con valore o forza di legge.
Regolamenti del Governo.
•
Atti deliberati dal Consiglio dei Ministri.
La controfirma
•
È un istituto tipico dei sistemi parlamentari.
•
È un atto essenziale degli atti del Presidente della Repubblica.
•
È condizione di validità degli atti del Presidente della Repubblica.
•
Non è necessaria per:
• Il giuramento del Presidente della Repubblica.
• Gli atti del Presidente della Repubblica in contrasto con il Governo.
• Quando il Presidente della Repubblica agisce come vertice
dell’amministrazione domestica della Presidenza della Repubblica.
• Gli atti non presidenziali del Capo dello Stato (C.S.M., C.S.D.).
La responsabilità penale (art.96 Cost.)
La normativa costituzionale stabilisce che:
•
Per il Presidente del Consiglio dei Ministri l’autorizzazione sia concessa dal Senato della
Repubblica o dalla Camera dei Deputati.
•
Per i Ministri membri del Parlamento l’autorizzazione sia concessa dalla Camera di
appartenenza.
Per i Ministri non parlamentari o appartenenti a Camere diverse l’autorizzazione sia
concessa dal Senato.
•
Le Camere possono impedire lo svolgimento del processo penale se, a maggioranza assoluta,
ritengono che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente
rilevante.
Prima della deliberazione della Camera interessata deve essere effettuato un esame preliminare
delle richieste di autorizzazione dalla rispettiva Giunta.
Le disposizioni per la sospensione dei processi penali (a carico del Presidente del Consiglio)
Il “Lodo Schifani” (L.140/2003) introduce disposizioni per la sospensione di qualsiasi processo
penale nei confronti del Presidente del Consiglio e delle più alte cariche dello Stato, con esclusione
dei Ministri e dei membri del Parlamento.
l “Lodo Alfano” (L.124/2008), recante “Disposizioni in materia di sospensione del processo penale
nei confronti delle alte cariche dello Stato”, prevedeva la sospensione di qualunque processo
penale a carico:
•
Del Presidente del Consiglio,
•
Del Presidente della Repubblica
•
Dei Presidenti delle Camere,
Dalla data di assunzione e fino alla cessazione della carica o della funzione.
Ma con la sentenza n°262/2009, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittime le disposizioni del
“Lodo Alfano” perché in contrasto con gli artt.3-138 Cost.
In particolare non si possono riconoscere immunità con una legge ordinaria; occorre cioè una
norma di rango costituzionale per non violare, appunto, l’art.138 Cost.
L’immunità
È una deroga e costituisce un’eccezione al principio dell’eguale sottoposizione di tutti i cittadini alla
giurisdizione penale (art.3 Cost.). essendo una deroga deve essere disposta con norme di rango
costituzionale. Sono quindi possibili nuove forme di immunità e tutela di interessi giudicati
meritevoli di protezione, purché introdotte con norme idonee.
La responsabilità civile e amministrativa
Il Presidente del Consiglio e i Ministri, essendo soggetti assimilabili ai funzionari e dipendenti dello
Stato, sono responsabili degli atti compiuti in violazione di diritti e tale responsabilità si estende
allo Stato (art.28 Cost.).
Le funzioni del governo
Il Governo è il comitato esecutivo e il comitato direttivo della maggioranza parlamentare.
Le funzioni del Governo sono:
•
Funzione di indirizzo politico generale e settoriale: presentazione di disegni di legge alla
Camera per l’approvazione del Bilancio dello Stato, della legge finanziaria, delle leggi collegate e
dell’autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali.
•
Funzione normativa: si esprime attraverso decreti-legge, decreti legislativi e regolamenti.
•
Funzione di indirizzo e coordinamento amministrativo e funzione amministrativa:
direzione e gestione dell’amministrazione centrale e periferica dello Stato, adozione di atti di indirizzo
e coordinamento dell’attività amministrativa delle Regioni, sostituzione delle amministrazioni regionali
e locali in caso di inadempienza.
Il governo e i partiti politici
Il funzionamento pratico del Governo dipende dall’atteggiarsi in concreto del sistema politico.
La presenza durante gli anni ’80 di Governi di coalizione favorì una notevole frammentazione
nell’ambito del Governo, che portò nel 1992 a una situazione di instabilità politica la quale diede
inizio ad una fase di transizione terminata con le elezioni del 2008.
La fase di transizione
•
1992: crisi del sistema politico italiano con scomparsa e trasformazione dei vecchi partiti.
1993: riforma elettorale: attribuzione di ¾ dei seggi in collegi uninominali (formula
maggioritaria e principio proporzionale) che determinò un sistema politico bipolare.
•
•
2005: riforma elettorale: adozione di sistema proporzionale con premio di maggioranza e
abolizione dei collegi uninominali.
L.270/2005: non ha consentito nelle elezioni del 2006 la formulazione di una maggioranza
parlamentare certa al Senato che ha portato nel 2008 al voto di sfiducia al Governo in carica (il
Governo Prodi).
•
La crisi del 2008 consisteva in:
•
Disgregazione delle due precedenti coalizioni politiche.
•
Scioglimento anticipato delle Camere.
•
Competizione elettorale tra due nuovi soggetti politici.
•
Contorno di forze minori.
La crisi venne superata con la ricomposizione della frammentazione politica grazie a:
•
Volontà dei due maggiori leaders di presentare da sole le rispettive formazioni.
•
Concentrazione del voto dei cittadini sui due maggiori soggetti politici.
Soglie di sbarramento che hanno impedito alle forze politiche minori di ottenere seggi in
Parlamento.
•
CAPITOLO 9: I RAPPORTI TRA GOVERNO E PARLAMENTO
La presentazione del governo alle camere
Lo stesso giorno della nomina, i membri del Governo prestano individualmente giuramento
al Capo dello Stato, secondo la formula dell’art.1.3 L.400/1988.
•
•
Il Governo entra in carica, ma non è ancora nella pienezza dei suoi poteri.
Il Governo deve presentarsi entro dieci giorni dalla sua formazione (art.94 c.3 Cost.) dinanzi
alle due Camere richiedendo il voto di fiducia (voto d’investitura).
•
L’investitura parlamentare del Governo
La prassi vuole che il Governo di nuova nomina si presenti davanti alla Camera diversa da quella
davanti alla quale si era presentato il Governo precedente (Principio della parità tra i due rami del
Parlamento).
Il Presidente del Consiglio dei Ministri presenta la dichiarazione programmatica del Governo
dinnanzi alla prima Camera. In seguito avviene il dibattito e la replica del Presidente del Consiglio.
Il voto di fiducia viene espresso per appello nominale, accordato dalla maggioranza semplice dei
presenti, nella prima Camera; il voto di fiducia viene espresso per appello nominale, con la stessa
maggioranza, nella seconda Camera.
Il voto contrario su una proposta del governo
L’art.94 c.4 Cost. prevede che “il voto contrario di una o entrambe le Camere su una proposta del
Governo non comporta l’obbligo di dimissioni”.
La Costituzione si preoccupa di distinguere il voto di dissenso espresso dalle Camere nei confronti
di specifici provvedimenti proposti dal Governo e destinato a non avere ripercussioni sul rapporto
fiduciario, dall’ipotesi di revoca esplicita della fiducia accordata al Governo, che deve
necessariamente avvenire attraverso l’approvazione da parte delle Camere di una mozione ad hoc.
Sotto il profilo costituzionale non sussiste obbligo giuridico di dimissioni, ma tuttavia il Governo
può dimettersi di propria volontà (crisi extraparlamentare).
La sfiducia al governo
Il Governo perde la fiducia solo se viene approvata una mozione motivata di sfiducia, da una o
entrambe le Camere, che dev’essere votata per appello nominale ed approvata con maggioranza
semplice.
Secondo l’art.94 c.5 Cost., la mozione deve essere sottoscritta da almeno un decimo dei
componenti di una Camera e può essere messa in discussione solo tre giorni dopo la sua
presentazione.
L’approvazione della mozione di sfiducia, anche in una sola Camera, obbliga il Governo a
presentare le dimissioni al Presidente della Repubblica.
La parlamentarizzazione della crisi di Governo
Talvolta il Presidente della Repubblica può respingere le dimissioni del Governo e invitare
quest’ultimo a verificare e approfondire alle Camere le ragioni della crisi.
In tal caso il Presidente del Consiglio può accettare la proposta oppure insistere nel dimettersi.
La sfiducia nei confronti dei Ministri
È ammessa la presentazione di una mozione di sfiducia individuale nei confronti di un singolo
ministro, sia alla Camera sia al Senato.
La questione di sfiducia avviene tramite un procedimento di votazione di maggioranza.
La questione di fiduci
Se il Governo prevede o teme una voto parlamentare negativo su una deliberazione giudicata
rilevante per il proprio indirizzo, pone la questione di fiducia (L.400/1988), dichiarando cioè che il
voto sull’oggetto all’esame delle Assemblee, se non conforme agli intendimenti di Governo, sarà
inteso come voto di sfiducia e provocherà le dimissioni dell’Esecutivo.
Attraverso la questione della fiducia si verifica il vincolo fiduciario che lega il Governo alla
maggioranza, e ottiene più facilmente l’approvazione dei suoi programmi e dei relativi
provvedimenti per attuarli.
Se la questione ha esito negativo, il Governo ottiene la sfiducia e deve dare le dimissioni.
La richiesta del Premier di verifica fiduciaria
Il Presidente del Consiglio dei Ministri richiede la verifica della fiducia:
•
Per verificare la fiducia delle Camere.
•
Dopo una ‘verifica politica’ tra i partiti della coalizione.
•
Dopo una crisi di Governo.
•
Per la parlamentarizzazione della crisi.
Se l’esito è positivo, avviene il rilancio dell’azione del Governo.
Il processo di bilancio
I rapporti tra Governo e Parlamento sono disciplinati in materia di:
•
Bilancio dello Stato e spesa pubblica.
•
Relazioni internazionali.
•
Forze Armate.
I principi costituzionali in materia di bilancio dello Stato
Sono le regole fondamentali tipiche di tutti gli Stati democratici.
•
Al Parlamento
spettano le decisioni sul prelievo tributario (art.23 Cost.) e il compito
di approvare annualmente il bilancio dello Stato per l’anno successivo (art.81 c.1 Cost.).
•
Al Governo
spetta il compito di gestire i mezzi per rispettare il bilancio statale una
volta approvato.
La struttura del bilancio preventivo dello Stato
Le previsioni di entrata rappresentano solo una stima, e non condizionano le attività di
accertamento e riscossione, che debbono seguire la legislazione sostanziale; le previsioni di spesa
costituiscono un limite giuridico agli impegni di spesa (cioè alle obbligazioni) che le amministrazioni
possono assumere nell’anno, onde eventuali maggiori spese rispetto ai singoli stanziamenti
presenti nel bilancio debbono essere autorizzate con legge di variazione del bilancio medesimo.
L’unità elementare nello stato di previsione della spesa, che ne identifica l’oggetto e su cui verte
l’approvazione parlamentare, è rappresentata dal capitolo di spesa.
I capitoli sono raggruppati secondo criteri di:
Analisi funzionale (secondo lo scopo)
Analisi economica (secondo la natura)
Ad ogni grande ripartizione dell’amministrazione (Presidenza del Consiglio e singoli Ministeri)
corrisponde a una ‘tabella’ di spesa, che a partire dalla riforma del 1964 è approvata con un
singolo articolo dell’unica legge di bilancio.
Le entrate e le spese sono espresse nel bilancio sia in termini di:
Competenza
(cioè iscrivendo le somme di cui si prevede
che lo Stato potrà divenire creditore nell’anno,
a seguito dell’accertamento, anche se poi
non tutte saranno effettivamente incassate
entro lo stesso termine, e le somme per cui
l’amministrazione è autorizzata ad assumere i
mpegni, cioè obbligazioni, nell’anno, anche se l
’effettiva erogazione potrà avvenire più tardi);
Cassa
(cioè indicando le somme che si prevede
di incassare e di erogare nell’anno).
Il bilancio di competenza può chiudersi in:
Pareggio
Avanzo
Disavanzo
(deficit annuale).
Se si autorizzano spese in misura eccedenti le entrate, la legge di bilancio deve anche autorizzare
l’Esecutivo a compiere le operazioni necessarie per procurarsi i mezzi relativi.
Il rendiconto consuntivo
•
È la legge in cui sono rappresentate le entrate e le spese incassate ed erogate.
È formato dal Governo sulla base dei dati dell’amministrazione, sottoposto a verifica della
Corte dei Conti, per la parificazione, e approvato dal Parlamento.
•
•
Le leggi dei bilanci e i rendiconti sono soggette alla procedura ordinaria di approvazione in
ciascuna Camera (art.72 c.4 Cost.) e non sono sottoponibili a referendum abrogativo (art.75 c.2 Cost.).
La leggge finanziaria
La Costituzione dispone che “con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire
nuovi tributi e nuove spese” (art.81 c.3 Cost.).
Per questo si è avvertita l’esigenza di uno strumento legislativo non vincolato per realizzare gli
obiettivi della ‘manovra’ annuale di bilancio. Così, a partire dal 1978 si apre una procedura nuova
(L.468/1978):
•
Presentazione a giugno dell’anno precedente del documento di programmazione
economico-finanziaria (DPEF), dove sono esposti gli obiettivi della politica finanziaria del Governo e gli
interventi necessari per il conseguimento;
•
Approvazione delle Camere;
Entro settembre, il Governo presenta al Parlamento il disegno di legge finanziaria per l’anno
successivo, in esso sono disposte le modifiche legislative necessarie per adeguare le entrate e le spese.
•
Le leggi di spesa e la copertura finanziaria
L’art.81 c.4 Cost., stabilisce che le leggi debbono “indicare i mezzi per farvi fronte”.
È la necessità di disciplinare il prelievo tributario e l’attività amministrativa che comporta la spesa.
Possono essere disposti:
•
Nuove entrate.
•
Riduzioni di spese.
•
Utilizzo di fondi accantonati.
L’obbligo costituzionale di copertura e non ha impedito il formarsi di un ingente debito pubblico.
Le relazioni internazionali
La riforma del Titolo V Cost. (artt.117 e 120):
•
Limite degli obblighi internazionale a carico della generalità degli atti legislativi, statali e
regionali.
•
Assoggettamento alla legislazione statale dei rapporti internazionali dello Stato.
•
Attribuzione alla legislazione concorrente dei rapporti internazionali delle Regioni.
•
Riconoscimento alle Regioni della competenza a dare esecuzione agli accordi internazionali.
•
C. d. ‘potere estero’ delle Regioni.
Potere sostitutivo dello Stato nel caso di mancato rispetto delle norme e dei trattati
internazionali.
•
Le attribuzioni degli organi costituzionali e delle Regioni in materia di rapporti fra l’Italia
e gli altri Stati
Il Presidente della Repubblica:
•
Ratifica i trattati internazionali, previa autorizzazione delle Camere.
•
Riceve i rappresentanti diplomatici stranieri.
•
Dichiara lo stato di guerra deliberato della Camera.
Le Camere:
•
Autorizzano, con legge, la ratifica dei trattati internazionali (art.80 Cost.).
Le attribuzioni del Governo
•
•
•
Negoziazione
Sottoscrizione
Iniziativa di intraprendere i negoziati.
Il Governo non ha l’obbligo di informare preventivamente il Parlamento, nell’esecuzione
provvisoria dei trattati. Tuttavia, ha l’obbligo di informazione preventiva al Presidente della
Repubblica, eccetto nei casi di trattati e accordi in forma semplificata.
L’esecuzione dei trattati internazionali da parte dello Stato e delle Regioni
L’esecuzione all’interno dello Stato dei trattati internazionali, cioè la produzione delle norme
interne necessarie per ottemperare agli obblighi assunti con i trattati, avviene con atti idonei in
base al sistema costituzionale delle fonti.
L’esecuzione avviene più spesso attraverso l’ordine di esecuzione: l’atto normativo interno che fa
riferimento al testo del trattato medesimo, quindi per relationem.
La guerra e l'impiego di forza armate
Art.78 Cost.:
•
Il Parlamento delibera lo stato di guerra, valutando la situazione concreta.
•
Il Governo è il destinatario dei poteri necessari alla condotta dello stato di guerra e
dell’impiego delle forze armate fuori dai confini nazionali (es: operazioni NATO e ONU).
Secondo la prassi il Parlamento è relegato ad interventi recessivi, di mera convalida dell’operato del
Governo o, a volte, non vi è addirittura alcun suo coinvolgimento.
Art.1.1. a della L.25/1997
La parlamentarizzazione delle decisioni in materia di partecipazione alle missioni militari:
il Ministro della Difesa deve attuare “le deliberazioni in materia di difesa e sicurezza adottate dal
Governo, sottoposte all’esame del Consiglio Supremo di difesa e approvate dal Parlamento”.
Vi è un potere di codecisione a Governo e Parlamento.
Nella prassi la parlamentarizzazione delle decisioni governative in tema di partecipazione a
missioni militari all’estero è caratterizzata da espressioni di consenso politico alle linee d’azione del
Governo fondate sulla natura stessa della forma di Governo parlamentare, che sul rispetto delle
specifiche procedure introdotte dalla L.25/1997.
Viene così esclusa la distinzione tra decisione sulla guerra e decisione sullo stato di guerra.
CAPITOLO 10: L'AMMINISTRAZIONE DELLA COSTITUZIONE
I compiti e i poteri della pubblica amministrazione
I compiti della Pubblica Amministrazione sono:
•
Difesa nazionale.
•
Mantenimento della sicurezza e dell’ordine.
•
Costruzione di opere di utilità generale.
•
Elementare disciplina-protezione di attività economiche.
Nel Novecento i compiti di Pubblica Amministrazione si moltiplicano e allargano in:
•
Progresso culturale e civile.
•
Benessere economico e sociale.
I compiti della Pubblica Amministrazione vengono svolti da enti pubblici statali funzionali, intesi
collettivamente, ed hanno un tratto distintivo che li caratterizza: il potere di imperio.
La Pubblica Amministrazione agisce avendo come fine l’utilità generale dei consociati: l’interesse
pubblico. Di fronte all’interesse pubblico, l’interesse privato deve cedere (agire autoritativo).
La funzione pubblica, oltre all’agire autoritativo, ha anche un’altra funzione: l’agire su base
prioritaria con i privati (L.241/1990 come modificata dalla L.15/2005).
I principi costituzionali che regolano la pubblica amministrazione
I poteri della Pubblica Amministrazione sono concepiti in obbedienza al principio di legalità, che
dice:
•
L’attività pubblica è attività esecutiva di una volontà superiore, che è fissata in una legge
votata da Parlamento.
•
Tutta l’azione amministrativa deve rispettare i limiti fissati dalla legge.
Tutti gli atti emanati dalle Amministrazioni possono quindi essere sottoposti a controlli, da
parte di autorità amministrative e da giudici amministrativi o ordinari.
•
La concretizzazione del principio di legalità è affidata a numerosi mezzi e strumenti:
•
Controlli interni e dell’amministrazione.
•
Tutela apprestata mediante ricorsi amministrativi.
•
Ricorsi portati all’esame di appositi giudici amministrativi.
L’art.97 Cost. richiede che: “l’organizzazione dei pubblici uffici sia regolata dalla legge e non da atti
emanati dal Governo nell’esercizio della funzione regolamentare e amministrativa”
siamo quindi di fronte ad una riserva di legge.
La riserva di legge comporta che una materia debba essere disciplinata con leggi e atti con
forza di legge, ma non con atti normativi secondari (regolamenti).
•
La riserva di legge relativa comporta che gli elementi essenziali della materia siano devoluti
al legislatore, mentre gli aspetti esecutivi e di dettaglio possono essere disciplinati con regolamenti o
altri atti amministrativi. Un esempio di riserva di legge relativa si rinviene proprio nell’art.97 Cost.,
laddove è prescritto che “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che
siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”. In tale disposizione si
rinviene anche un esempio di riserva di legge relativa e rinforzata.
•
La Costituzione detta infatti anche dei criteri direttivi:
•
Il buon andamento (efficienza), che racchiude alcune indicazioni (correttezza nell’agire,
miglior uso delle risorse pubbliche).
•
L’imparzialità (nel senso che, nel loro agire, i pubblici uffici devono perseguire
esclusivamente l’interesse pubblico).
L’art.28 Cost.
stabilisce che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici siano
direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in
violazione di diritti.
Il cittadino colpito da un atto illecito, che gli abbia procurato un danno ingiusto, può
quindi chiamare in giudizio il funzionario responsabile.
Però, se l’impiegato e il funzionario non sono in grado di rispondere con il loro
patrimonio, la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici, che
devono provvedere al risarcimento in solido con il dipendente condannato.
L’art.51 Cost. dispone che “tutti i cittadini, dell’uno e dell’altro sesso, possono accedere agli
uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla
legge”.
•
La L. Cost. 1/2003, promuove, invece, pari opportunità tra donne e uomini, con particolare
riguardo all’accesso alle cariche elettive a tutti i livelli: dal Comune all’Unione Europea.
•
L’art.97 Cost. stabilisce, inoltre, che si entra a far parte dei pubblici uffici attraverso un
concorso pubblico.
•
L’art.5 Cost. inserisce tra i principi fondamentali della nostra Costituzione, il più ampio
decentramento amministrativo e il riconoscimento e la promozione delle autonomie locali.
•
•
L’art.118 Cost. (modificato nel 2001) ha espressamente riconosciuto il principio di
sussidiarietà, secondo cui l’attività amministrativa deve partire e svolgersi dal livello più vicino ai
cittadini (sussidiarietà verticale), per poi estendersi ai livelli di governo superiori, favorendo anche
l’iniziativa dei privati, sia singoli che associati (sussidiarietà orizzontale).
Organi ausiliari
Alla Pubblica Amministrazione appartengono anche due organi particolari:
•
Il Consiglio di Stato
•
La Corte dei Conti.
Si tratta di organi ausiliari e organi speciali di giurisdizione (art.100 Cost.).
Il consiglio di stato
Il Consiglio di Stato venne istituito nel Piemonte Sabaudo nel 1831 ed è il massimo organo di
consulenza giuridico-amministrativa.
Svolge importantissime funzioni:
•
Tutela la giustizia nell’amministrazione.
•
Pronuncia le decisioni d’appello sui ricorsi presentati dai privati o dagli enti pubblici.
Il Consiglio di Stato è composto da sette sezioni complessive, una delle quali è competente per gli
atti normativi del Governo.
Ogni sezione è composta da un Presidente e da sette consiglieri;
Per le questioni più urgenti viene riunita l’Adunanza Generale.
I suoi membri provengono:
•
Per metà dalle file dei Tribunali amministrativi regionali (TAR),
•
Per un quarto da un selettivo concorso pubblico
•
Un quarto viene nominato dal Governo.
Il D.-L. n°112/2008, convertito nella L.113/2008, all’art.54 prevede che sia il Presidente del
Consiglio di Stato, anno per anno, a stabilire quali sezioni svolgeranno funzioni giurisdizionali e
quali consultive.
Il Governo può richiedere al Consiglio di Stato dei pareri circa la legittimità e congruità dei suoi atti,
rispetto ai canoni di buona amministrazione.
I pareri possono essere:
•
Facoltativi.
Obbligatori (se prescritti devono essere richiesti, non farlo crea la possibilità di un
annullamento dell’atto per vizio del procedimento).
•
•
Vincolanti (non è solo sentito il Consiglio di Stato ma deve anche essere seguito il parere
che ha reso).
Nel T.U. 1024/1924 è contenuta la normativa generale sul Consiglio di Stato, aggiornata nel 1997:
con tale normativa è stata istituita un’ulteriore sezione, il cui compito principale è esprimere pareri
sugli atti normativi del Governo.
La corte dei conti
La Corte dei Conti è un organo di antica tradizione e gode di un elevato prestigio; con le leggi 19 e
20 del 1994, sono state istituite le sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti.
L’art.3 della L.20/1994 stabilisce che la Corte dei Conti svolge il controllo successivo sulla gestione
del bilancio e del patrimonio delle Amministrazioni Pubbliche.
Le funzioni della Corte dei Conti sono:
•
Definire annualmente i programmi e i criteri di riferimento della funzione di controllo.
•
Il controllo.
•
La funzione giurisdizionale.
La Corte dei Conti è composta da 14 sezioni:
•
3 sezioni svolgono funzioni di controllo.
•
11 sezioni svolgono funzioni giurisdizionali e 9 si occupano di impiegati pubblici.
•
Ogni seziona ha un Presidente, coadiuvato da consiglieri e referendari.
•
Ha un Presidente che coordina tutte le sezioni.
La nomina a magistrato della Corte dei Conti avviene per concorso pubblico, oppure tra esperti
scelti dal Governo.
L’art.100 Cost. stabilisce che la Corte dei Conti esercita il controllo di legittimità sugli atti del
Governo.
La normativa che ancora definisce tali controlli è il T.U. n°1214/1934,
integrato dalla L.20/1994. Essa precisa che la Corte dei Conti esercita il
controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. Per questo motivo
essa ogni anno è chiamata a pronunciarsi sul bilancio, con una propria
dichiarazione di regolarità (la parificazione). Infine. Partecipa al controllo
successivo della gestione finanziaria degli enti, tra i quali sono compresi, ad
esempio, il CONI, la biennale di Venezia e il Teatro alla Scala.
Il consiglio nazionale dell'economia e del lavoro
IL Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) è previsto dalla Costituzione all’art.99.
Il CNEL è stato istituito nel 1957, ridisciplinato con la L.936/1986 e la L.383/2000, ed è composto
da:
•
Un Presidente
•
121 rappresentanti delle categorie produttive di beni e servizi nei settori pubblici e privati
•
10 rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di
volontariato
•
12 esperti, qualificati esponenti della cultura economica, sociale e giuridica.
Le nomine sono adottate con decreto del Presidente della Repubblica (DPR), previa delibera del
Consiglio dei Ministri.
I membri restano in carica 5 anni.
Il CNEL ha come prerogativa l’iniziativa legislativa.
La giustizia nell'amministrazione
Il cittadino e lo Stato sono in una situazione di reciproca parità, quindi quando tra loro nasce una
controversia deve intervenire un terzo a dirimerla, che esercita la funzione giurisdizionale: il
Giudice ordinario.
La L. 20 marzo 1865, all. E., abolì i tribunali del ‘contenzioso amministrativo’, organi amministrativi
ai quali era devoluta la risoluzione di alcune controversie tra cittadino e autorità, ed affidò al
giudice ordinario tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile e politico.
Diritto soggettivo e interesse legittimo
Il diritto soggettivo è una posizione di vantaggio rispetto a un bene della vita e si può anche
definire come il rovescio di un obbligo di un altro soggetto.
•
L’interesse legittimo è invece la posizione soggettiva che l’ordinamento riconosce a un
soggetto in relazione a un bene della vita.
La Corte di Cassazione, SS. UU., sent. N°500/1999 e subito dopo la L.205/2000, hanno riconosciuto
la risarcibilità del danno provocato dalla lesione di interessi legittimi.
•
Interessi semplici, diffusi e collettivi
Rispetto alla posizione dell’interesse legittimo, a un gradino più basso si situano tutti i tipi di
interesse generico e non differenziato.
Dagli anni Settanta in poi, il Consiglio di Stato e il legislatore hanno riconosciuto ad alcune
associazioni culturali e protezionistiche la legittimazione a far valere gli interessi diffusi.
Nel 1998 le associazioni nate per la tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti sono state
legittimate ad agire e ad intervenire anche nei giudizi amministrativi per la tutela degli interessi
collettivi.
Il sistema di giustizia amministrativa in Italia
Con la L.5992/1889 si istituì la IV sezione del Consiglio di Stato, che si vide assegnare la
giurisdizione sui ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge.
In seguito ad un ricorso, si può ottenere:
•
L’annullamento dell’atto impugnato.
•
L’adempimento dell’obbligo in capo all’autorità amministrativa.
Con gli artt.24 e 113 della Costituzione del 1948, la garanzia della tutela giurisdizionale nei
confronti dell’amministrazione ha acquistato il carattere della necessaria completezza.
Con la L.1034/1971 hanno cominciato a funzionare i Tribunali Amministrativi Regionali (TAR), quali
organi di giurisdizione amministrativa di primo grado.
Il TAR è presente in ogni capoluogo di Regione ed è composto da:
•
Un Presidente
•
5 Magistrati (nominati in seguito a pubblico concorso)
•
3 Giudici.
Il Consiglio di Stato è a sua volta giudice d’appello rispetto ai TAR. Ad esso possono ricorrere
il cittadino o l’autorità amministrativa, che siano rimasti soccombenti nel giudizio di primo grado.
•
•
In base all’art.111 Cost., le sue sentenze non sono ulteriormente appellabili ed è ammesso
soltanto il ricorso alla Corte di Cassazione, intesa come Corte regolatrice dei conflitti.
•
Dal punto di vista organizzativo i TAR e il Consiglio di Stato non fanno parte dell’ordine
giudiziario, ma dell’organizzazione della Pubblica Amministrazione, con una dipendenza funzionale
dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
La competenza dei giudici amministrativi
Il giudice amministrativo ha competenza generale di legittimità a decidere sui ricorsi attraverso atti
amministrativi di cui si afferma l’illegittimità.
L’illegittimità è causata dalla presenza di quelli che si denominano vizi; essi sono:
•
Incompetenza,
•
Eccesso di potere,
•
Violazione di legge.
Si aggiunge alla competenza di legittimità la competenza speciale di merito, che estende il potere
di cognizione del giudice ai profili di opportunità dell’atto.
Vi è, infine, una competenza esclusiva, a partire dal 1923 e con rinnovata disciplina nel 2000,
successivamente interpretata da un’importante decisione della Corte costituzionale
(sent.204/2004), che assegna al giudice amministrativo la competenza di decidere su entrambi i
tipi di situazioni giuridiche soggettive.
Con il D. Lgs. n° 80/1988 è invece venuta meno la giurisdizione esclusiva in materia del pubblico
impiego.
Le autorità amministrative indipendenti
Sul modello anglo-americano si è dato vita a Commissioni amministrative variamente denominate,
ma accomunate da una caratteristica: quella di svolgere in modo indipendente dalla quotidiana
attività del Governo e dei Ministri un’azione di vigilanza su importanti settori dell’economia, al fine
di garantire che gli attori che si muovono sulla scena economica agiscano con lealtà e correttezza
nello spirito di un’effettiva concorrenza tra loro.
Elementi essenziali delle principali autorità istituite: 5 membri scelti tra persone di competenza ed
esperienza, nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei
Ministri.
•
Con la L. n. 216/1974 venne istituita la Commissione Nazionale per la Società e la Borsa
(CONSOB), che ha il compito di:
•
vigilare sulla completa correttezza delle Borse;
•
vigilare sull’attività delle società i cui titoli sono quotati in Borsa.
•
Con la L. n. 516/1982 si è dato vita all’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di
interesse collettivo (ISVAP), con lo scopo di tutelare il settore delle società commerciali di proprietà
privata, che vendono prodotti assicurativi e finanziari.
Molta importanza riveste nel mondo politico ed economico il sistema delle comunicazioni di
massa; tale sistema vede la presenza di soggetti pubblici, la RAI-TV, e di potenti soggetti privati:
MEDIASET e LA7.
•
Con la L. n. 249/1997 è stata istituita l’Autorità per la garanzia nelle comunicazioni, il cui
compito principale consiste nella vigilanza sulle norme concernenti l’emittenza televisiva.
Con la L. n. 287/1990 è stata istituita l’Autorità garante della concorrenza e del mercato,
nota come autorità antitrust, i cui compiti sono:
•
vigilare affinché nessuna impresa o soggetto economico acquisti o sfrutti una posizione di
monopolio;
•
contrastare la pubblicità ingannevole.
•
•
Con la L. n. 481/1995 venne istituita l’autorità per l’energia elettrica.
Con il D. Lgs. n. 196/2003 è stato istituito il garante per la protezione dei dati personali (c.d.
Garante della Privacy).
•
Infine vanno ricordati altri soggetti pubblici, quali:
•
L’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN)
•
L’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (ANPA).
•
L’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR).
L’Agenzia più importante è quella delle Entrate, operante dal 2001, che svolge compiti di:
•
Informazione e assistenza ai contribuenti;
•
Accertamento e controllo in materia fiscale;
•
Gestione del contenzioso tributario.
CAPITOLO 11: IL POTERE GIUDIZIARIO
I giudici nella costituzione: la soggezione del giudice alla legge
L’art.101 Cost. stabilisce che “la giustizia è amministrata in nome del popolo” e che “i giudici sono
soggetti soltanto alla legge”.
Questo articolo sancisce un principio fondamentale, che pone il potere giudiziario in una posizione
diversa rispetto a quella in cui esso si trovava nello Statuto Albertino (art.68), secondo cui la
giustizia era amministrata “in nome del Re” da giudici da lui nominati.
In passato il potere giudiziario era dipendente dal potere politico; oggi i giudici hanno esclusiva
soggezione alla legge, e dunque indipendenza da qualunque altro potere.
L'indipendenza esterna dei magistrati: composizione e funzione del consiglio
superiorie della magistratura (CSM)
La Costituzione (art.104) ha previsto garanzie di indipendenza dei giudici, che operano sotto due
aspetti:
•
Indipendenza della magistratura nel suo complesso, nei condizionamenti che possono
giungere da altri poteri dello Stato e dal Governo;
•
Dipendenza personale del singolo giudice all’interno dello stesso ordine giudiziario.
L’indipendenza costituzionale della magistratura: il CSM (= Consiglio Superiore della
Magistratura)
Secondo l’art.105 Cost., il CSM esercita funzioni di natura amministrativa.
E’ competente a decidere su tutte le questioni attinenti la carriera dei magistrati:
•
sulle assunzioni
•
sulle assegnazioni alle diverse sedi
•
sul conferimento delle funzioni
•
sui trasferimenti
•
sulle promozioni e sui provvedimenti disciplinari.
La composizione del CSM
E’ presieduto dal Presidente della Repubblica ed è composto di 27 membri:
•
16 sono eletti dagli stessi magistrati;
•
8 sono avvocati o professori di diritto,eletti dal Parlamento in seduta comune.
Sono componenti di diritto i 2 più elevati magistrati della Corte di Cassazione (il Primo Presidente e
il Procuratore Generale).
L’elezione dei componenti togati
Alla scelta dei componenti “togati” partecipano oggi tutti i magistrati, con voto personale, segreto
e diretto (art. 23, c.1, L. n.195/1958, come modificato dall’art. 5 L. n. 44/2002).
L’elezione dei candidati avviene mediante sistema maggioritario.
I candidati che si presentano nei collegi indicati dall’art. 23, c. 2, L. n. 195/1958, secondo la L. n.
44/2002, vengono eletti in base al numero dei voti ottenuti.
L’art. 27, c. 2, L. n. 195/1958 - sostituito dall’art. 9 L. n. 44/2002 - stabilisce che in ogni collegio
“vengono dichiarati eletti i candidati che abbiano ottenuto il maggior numero di voti, in numero
pari a quello dei seggi da assegnare in ciascun collegio”.
L’elezione dei componenti laici
L’elezione viene effettuata dal Parlamento in seduta comune (secondo l’art. 22 L. n. 195/1958), a
scrutinio segreto, con la maggioranza dei tre quinti dell’Assemblea (oppure dei votanti dopo il
secondo scrutinio).
Possono essere eletti:
professori ordinari di università in materie giuridiche
avvocati con almeno 15 anni di esercizio.
I componenti durano in carica 4 anni e non sono immediatamente rieleggibili.
•
•
Le immunità dei componenti del CSM
Tutti i componenti del CSM godono della garanzia della “non punibilità per le opinioni espresse
nell’esercizio delle loro funzioni e concernenti l’oggetto della discussione” (prevista dall’art. 5 L. n.
1/1981).
Le attribuzioni del CSM
•
Le funzioni del CSM Sono relative all’amministrazione del personale e della magistratura.
•
Importanti sono anche le Funzioni ausiliarie: dare pareri o fare proposte al Ministro della
Giustizia per questioni di competenza dello stesso attinenti all’ordinamento giudiziario.
I provvedimenti che riguardano lo status dei magistrati sono emanati con decreto dal
Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della Giustizia, o con Decreto del Ministro
medesimo, in ogni caso in conformità alla delibera del CSM.
•
I provvedimenti disciplinari
Sono adottati da una sezione disciplinare composta da 6 membri effettivi e da 4 supplenti.
I componenti effettivi sono:
•
il vicepresidente del CSM, che presiede la sezione;
•
un componente eletto dal Parlamento che presiede la sezione in sostituzione del
vicepresidente;
•
un magistrato di Cassazione con esercizio effettivo della funzione di legittimità;
•
2 magistrati che esercitano funzioni di merito;
•
un magistrato che esercita la funzione di pubblico ministero.
L’azione disciplinare può essere promossa dal Ministro della Giustizia e dal Procuratore Generale
presso la Corte di Cassazione, nella sua qualità di Procuratore Generale presso la sezione
disciplinare del CSM (art. 107 Cost. e, per l’attribuzione, anche al Procuratore Generale presso la
Cassazione, l’art. 14 D. Lgs. n. 109/2006).
Il procedimento disciplinare è regolato da norme analoghe a quelle che regolano il processo (C.
cost. n.12/1971).
Le delibere della sezione disciplinare sono ricorribili in Cassazione per violazione di legge.
L’esercizio del potere disciplinare si concretizza nella irrogazione di specifiche sanzioni nel caso in
cui i magistrati realizzino una delle fattispecie previste dal D. Lgs. n. n109/2006.
I poteri del ministro della giustizia
Esercita i poteri relativi all’organizzazione materiale e al funzionamento dei servizi
concernenti la giustizia (art.110 Cost.)
•
•
Può formulare richieste al CSM in ordine ai provvedimenti inerenti allo status giuridico dei
magistrati.
Ai sensi dell’art. 107, c. 2 Cost., ha la facoltà di iniziare il procedimento disciplinare nei
confronti dei magistrati.
•
•
Può formulare proposte al CSM.
L'indipendenza esterna dei magistrati
Le garanzie di indipendenza dei giudici oltre, a esprimersi nel principio di cui all'art. 101 c. 2 Cost,
per cui “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”, il quale garantisce assoluta autonomia di
giudizio da parte di ogni giudice, che deve essere influenzato solo dalla propria preparazione
professionale e del proprio convincimento, sono assicurate da altri principi, costituzionalmente
sancinti, che tendono ad escludere la possibilità che il singolo giudice possa essere indebitamente
influenzato da fattori esterni.
Tali principi riguardano:
•
L'assunzione per conscorso.
•
L'inamovibilità dei singoli magistrati.
•
L'assenza di gerarchie interne alla magistratura.
L’assunzione per concorso e le sue eccezioni:
l’accesso alla magistratura avviene attraverso un concorso pubblico e imparziale (art. 106, c.1,
Cost.).
Ma esistono delle eccezioni:
•
in primo luogo, possono essere nominati magistrati onorari che esercitano funzioni
giudiziarie, ma non per professione. Questi, ai sensi dell’art. 106, c. 2,Cost., possono esercitare solo
funzioni di giudice singolo.
Giudici popolari: i quali sono semplici cittadini, con un titolo di studio di scuola media
inferiore o superiore, che entrano a far parte, per estrazione a sorte, rispettivamente delle Corti di
Assise di primo grado o di Appello. Costituiscono l’unico caso di quella partecipazione diretta del
popolo all’amministrazione della giustizia di cui parla l’art. 102, u.c., Cost.
•
Nomina, per meriti insigni, da parte del CSM, a magistrati di cassazione di professori
universitari in materie giuridiche o di avvocati con almeno quindici anni di esercizio.
•
L’inamovibilità
Un magistrato può essere trasferito contro il suo consenso soltanto se:
•
Ha commesso un illecito disciplinare,
Perché si trovi nelle situazioni di incompatibilità personali previste dagli art. 16, 17, 18 e 19
R.D. n.12/1941,
•
Perché, ai sensi dell’art. 2, c. 2, R. D. Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, per una qualsiasi causa
indipendente da una sua colpa, non possa, nella sede che occupa “ svolgere le proprie funzioni con
piena indipendenza e imparzialità”.
•
L’assenza di gerarchie interne
I magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni: ciò significa che nell’ordine
giudiziario non esistono gerarchie (art.107 c.3 Cost.).
L'organizzasione della giustizia in italia: giudici civili e giudici penali. La posizione
costituzionale del pubblico ministero
Divieto di istituire giudici speciali e giudici straordinari
Il principio di unità della giurisdizione comporta che tutte le funzioni giurisdizionali siano attuate
da un'unica magistratura, dotata di piene garanzie di indipendenza.
I costituenti italiani hanno raggiunto un compromesso fra queste due opposte esigenze: Infatti pur
proclamando in via generale il principio di unità della giurisdizione come aspetto fondamentale
dell'ordinamento, e pur prescrivendo espressamente il divieto di istruire giudici speciali e giudici
straordinari, hanno ammesso numerose deroghe a questo principio, sotto il profilo che riguarda i
giudici speciali.
Da un lato infatti sono stati previsti espressamente alcuni giudici speciali, dall'altro sono state
mantenute alcune preesistenti giurisdizioni speciali, da sottoporre a revisione.
La riforma del giudice unico
•
Stabilisce la soppressione delle Preture e il trasferimento delle loro competenze al
Tribunale, il quale deve operare in composizione collegiale solo per le cause relative a determinati
reati, previsti espressamente dalla legge, mentre in tutti gli altri casi opera come giudice monocratico,
anche nell’ipotesi in cui esso sia giudice di appello contro le sentenze del Giudice di Pace.
•
La legge determina anche la soppressione degli uffici della Procura della Repubblica
Circondariale, trasferendone le competenze alle Procure della Repubblica presso il Tribunale.
Tra i giudici in materia penale va annoverato il Tribunale della Libertà (cfr. art. 309 c.p.p.),
chiamato a riesaminare i provvedimenti limitativi della libertà personale che si traducono in misure
detentive; è istituito presso ogni Corte d’Appello ed è competente a decidere sui provvedimenti emessi
dai giudici facenti parte del distretto su cui la Corte di Appello esercita le sue funzioni: esso deve
decidere i relativi ricorsi con un’ordinanza adottata in Camera di consiglio, confermando o revocando il
provvedimento.
•
Il Pubblico Ministero
Gli uffici requirenti sono quelli cui sono addetti magistrati professionali che esercitano le funzioni
di Pubblico Ministero presso le Corti o i Tribunali e che vengono chiamate Procure.
Art. 112 Cost.: Il Pubblico Ministero è l’organo che attiva l’azione penale.
La funzione di Pubblico Ministero è svolta da magistrati che appartengono alla magistratura
ordinaria e godono delle stesse garanzie di indipendenza stabilite dall’art.107, u.c., Cost.
I giudici speciali previsti dalla costituzione
Essi sono:
•
il Consiglio di Stato, il quale costituisce oggi l’organo di secondo grado della giurisdizione
amministrativa;
•
la Corte dei conti;
•
i Tribunali Militari.
I giudici amministrativi (art.125 Cost.)
Attualmente la giurisdizione amministrativa è costituita da un insieme di organi giurisdizionali, ed è
formata dai:
Tribunali amministrativi regionali (TAR)
quali giudici di primo grado
dal Consiglio di Stato,
quale giudice di appello.
Sono competenti in base al criterio generale fondato sulla distinzione fra diritti soggettivi e
interessi legittimi.
La L. n. 186/1982 ha disposto che le funzioni corrispondenti a quelle esercitate dal CSM per i
magistrati ordinari siano esercitate, per i magistrati amministrativi, dal Consiglio di presidenza
della giustizia amministrativa, che è presieduto:
•
dal Presidente del Consiglio di Stato,
ed è composto da giudici amministrativi eletti per un triennio dagli stessi giudici
amministrativi tra le varie categorie, e non immediatamente rieleggibili;
•
con la presenza anche di un terzo di giudici laici, cioè estranei alla magistratura
amministrativa.
•
La composizione “laica” del Consiglio di Presidenza prevede infatti: la partecipazione di 4 cittadini
eletti, 2 dalla Camera dei Deputati e 2 dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei
rispettivi componenti, tra i professori ordinari di Università in materie giuridiche o gli avvocati con
20 di esercizio.
La Corte dei Conti (art.103 c.2 Cost.)
Le funzioni giurisdizionali della Corte dei conti sono disciplinate dal R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, il
quale prevede che la Corte giudichi:
• sulle responsabilità per danni arrecati all’erario da pubblici funzionari,
• sui conti presentati dagli agenti contabili dello Stato,
• sulle controversie relative alle pensioni dei pubblici dipendenti.
La Corte dei conti esercita le proprie funzioni attraverso i suoi collegi:
sezioni ordinarie e speciali
sezioni riunite.
I Tribunali militari (art.103 c.3 Cost.)
Giudicano in tempo di pace su reati:
militari
commessi da appartenenti alle forze armate.
La Corte Costituzionale è intervenuta affievolendo la specificità del codice penale militare
(fattispecie di reato e misure delle pene).
Sono organizzati:
•
•
in prima istanza con i Tribunali,
e in seconda istanza con la Corte militare di Appello.
Sia i Tribunali che la Corte di Appello sono composti da:
Magistrati militari
Ufficiali del corpo cui appartiene l’imputato.
E’ ammesso il ricorso in Cassazione per gli stessi motivi previsti dal c.p.p.
L’indipendenza della giurisdizione militare è assicurata dal Consiglio della magistratura militare
(CMM), secondo la L. n. 561/1988.
Il CMM è:
•
presieduto dal Primo Presidente della Corte di Cassazione,
•
composto dal Procuratore Generale presso la stessa Corte,
•
nonché da 5 membri eletti dai magistrati militari, di cui:
• almeno 1 magistrato militare di Cassazione,
• e da 2 membri, estranei alla Magistratura militare, designati d’intesa dai Presidenti
delle due Camere.
La revisione delle giurisdizioni speciali preesistenti alla costituzione
Secondo la VI Disp. Trans. Cost., entro 5 anni dall’entrata in vigore della Costituzione (cioè entro il
1952), i giudici speciali ad essa preesistenti, non quelli previsti dall’art. 103 Cost., avrebbero dovuto
essere sottoposti a revisione.
Nell’inerzia del legislatore, tali giudici speciali hanno continuato ad esercitare le proprie funzioni,
spesso con regole di composizione e di funzionamento molto lontane rispetto ai principi stabiliti
per tutti i giudici dalla Costituzione.
Furono perciò sollevate numerose questioni di legittimità costituzionale; ed è stata proprio la Corte
costituzionale, attraverso alcune dichiarazioni di incostituzionalità, ad adeguare l’ordinamento dei
giudici speciali preesistenti ai principi di unicità e di indipendenza della magistratura.
Attività giurisdizionale e diritti dei cittadini
Esistono anche importanti principi costituzionali che garantiscono la posizione e i diritti del
cittadino nei confronti del giudice; essi sono:
il principio del giudice naturale (art. 102, c. 2, Cost. e art. 25, c.1, Cost.): Un principio
cardinale che si ricollega al divieto di istruire giudici speciali o straordinari. Infatti l'art 25 c. 1 Cost
recita che “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge” Con tale principio
si intende affermare che ogni cittadino ha diritto ad un giudice competente designato in base ad una
legge anteriore al fatto commesso.
•
•
il diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost.): deve essere interpretato nel senso della
possibilità per la parte di far valere direttamente le proprie ragioni e nel senso della garanzia per tutti
all'assistenza tecnica.
•
il giusto processo (art. 111 Cost., con le modifiche della L. cost. n. 2/1999): cioè “parità
delle armi” fra le parti del processo. In particolare la legge deve assicurare che esse siano poste nelle
condizioni di potre convincere il giudice, necessariamente terzo ed imparziale, della fondatezza delle
porprie richieste.
il principio di legalità e di irretroattività in materia penale (art. 25, c. 2, Cost.); “nessuno
può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”
•
il principio della responsabilità personale in materia penale (art. 27, c.1, Cost.): dichiara
che la “la responsabilità penale è personale” impedendo che il cittadino possa essere chiamato a
rispondere per fatti altrui.
•
•
la presunzione di non colpevolezza (art.27, c.3, Cost.): l'imputato non può essere
considerato colpevole fino alla sentenza di condanna definitiva.
•
l’obbligo di motivazione dei provvedimenti (art. 111, c. 6, Cost.): Esso ha un duplice
funzione:
Consente al cittadino che sia parte di un processo
di difendersi nei confronti di una sentenza
sfavorevole nei diversi gradi di giudizio
Consente a tutti i cittadini e a tutti gli altri
giudici di conoscere le ragoni che hanno
ispirato una determinata decisione giudiziale
CAPITOLO 12: LA CORTE COSTITUZIONALE
La Corte Costituzionale, nella Costituzione italiana, è posta al di fuori dei tre poteri dello Stato.
Le funzioni della corte costituzionale
La sua funzione è di garantire il corretto funzionamento di tali poteri e l’osservanza della
Costituzione.
Le funzioni della Corte Costituzionale sono (art.134 Cost.):
•
Controllo di costituzionalità delle leggi e degli atti aventi forza di legge (decreti-legge,decreti
legislativi);
•
Giudizio sui conflitti che possono sorgere fra i poteri dello Stato o fra Stato e Regioni.
Giudizio nei confronti del Presidente della Repubblica per atti di “alto tradimento” o di
“attentato alla Costituzione”.
•
È prevista un’altra funzione, regolata dalla L. cost. 1/1953: il giudizio sull’ammissibilità dei
referendum abrogativi di leggi statali, consentendo o impedendo il voto sul referendum stesso.
•
La composizione della corte costiuzionale
•
La Corte Costituzionale ha una composizione mista.
•
I giudici sono scelti da tre diversi poteri dello Stato.
•
•
•
•
La composizione mista serve a garantire:
La professionalità
La competenza tecnica dei giudici
Il fatto che i giudici non siano semplici espressioni di forze politiche.
•
•
•
•
I giudici sono 15 (art.135 Cost.) e sono:
1/3 nominati dal Presidente della Repubblica
1/3 eletto dal Parlamento in seduta comune
1/3 eletto dalle Supreme Magistrature (ordinaria e amministrative).
•
La Costituzione prescrive che i giudici della Corte Costituzionale siano siano scelti fra
(art.135,c.2, Cost.):
•
Magistrati della giurisdizione ordinaria
•
Magistrati della giurisdizione amministrativa
•
Professori ordinari universitari in materie giuridiche
•
Avvocati dopo 20 anni di esercizio della professione.
•
La Costituzione prescrive una durata della carica di 9 anni e il divieto di rielezione.
La composizione ordinaria della Corte viene integrata da altri 16 giudici, aggregati nei
giudizi di accusa nei confronti del Presidente della Repubblica (art. 135, c. 7, Cost.).
•
Le modalità di nomina dei membri della Corte sono stabilite dalla L. n. 87/1953 e dalla L.
cost. n. 2/1967.
•
•
•
•
•
I giudici nominati dalle Supreme magistrature sono eletti da 3 distinti Collegi elettorali:
uno costituito dai componenti della Corte di Cassazione, che elegge 3 giudici;
uno costituito dai magistrati del Consiglio di Stato, che ne eleggono 1;
uno costituito da tutti i magistrati della Corte dei conti, che ne eleggono 1.
La Costituzione prescrive che la Corte al suo interno nomini un Presidente, che resta in
carica 3 anni ed è rieleggibile.
•
Nella Corte vige il principio di collegialità: ogni decisione è discussa e adottata dal plenum,
su relazione di un giudice, la relazione, poi, viene redatta da un giudice e viene letta ed approvata da
tutti i giudici.
•
Il cotrollo di costituzionalità delle leggi
Prima dell’entrata in vigore della Costituzione del 1948, non esisteva il controllo di costituzionalità
delle leggi.
All’Assemblea Costituente si svolse un ampio dibattito, si doveva scegliere tra:
controllo diffuso:
effettuato da tutti i giudici attraverso
controllo accentrato:
prevede che sia compiuto da un solo organo,
la disapplicazione della legge incostituzionale.
non appartenente al potere giudiziario,
il quale può accertare la difformità della legge
della Costituzione ed annullarla.
Si esaminarono vari modi per investire la Corte Costituzionale della questione di costituzionalità:
•
la questione sarebbe potuta sorgere nel corso di un giudizio concreto (in via incidentale) e
la decisione avrebbe avuto effetti nel solo giudizio;
•
oppure sarebbe stata costituita dall’azione diretta di un singolo nei confronti della legge
incostituzionale, risultando un giudizio in via principale e astratta.
In Assemblea Costituente non fu definito il problema della legittimazione ad investire
(direttamente) la Corte Costituzionale, per timore (soprattutto del PCI) che un cittadino
“qualunque”, secondo i propri interessi, potesse mettere in discussione un atto del Parlamento.
La scelta sui modi di sollevare la questione di costituzionalità venne risolta successivamente, con la
L. cost. n. 1/1948.
Il nostro ordinamento affida il compito di individuare la questione di costituzionalità e di rimetterla
alla Corte Costituzionale alla Magistratura comune, che segnala i casi meritevoli di attenzione da
parte del giudice costituzionale.
Tale questione, per giungere al giudice costituzionale, deve sorgere nel corso di un giudizio.
Il giudice in via incidentale
La Corte Costituzionale ha inteso il termine “giudizio” in modo ampio, affermando che vi è
legittimazione:
•
in presenza di un procedimento, qualificabile come “giudizio”, anche davanti ad organi di
per sé non giudiziari (criterio oggettivo);
in presenza di qualsiasi procedimento davanti ad una autorità giurisdizionale (criterio
soggettivo) C. cost. sent. n. 83/1966.
•
Quindi, possono sollevare questioni di legittimità costituzionale (q.l.c.) in via incidentale anche
coloro che svolgono le loro attività nel corso di un arbitrato rituale, secondo il codice di procedura
civile (C. cost. n. 376/2001).
Il giudice costituzionale ha poi ridimensionato il criterio soggettivo: non è sufficiente che sia un
organo giurisdizionale a sollevare la questione, ma occorre che lo faccia nell’esercizio concreto di
funzioni giudicanti (C. cost. n. 17/1980).
Il giudice nel quale si pone la questione (q.l.c.), anche detto giudice a quo, deve:
•
verificare che la questione sia rilevante nel giudizio (art. 23 L. n. 87/1953);
•
verificare che la questione sia non manifestamente infondata, cioè non sia palesemente
priva di fondatezza (art. 24 L. n. 87/1953).
Successivamente il giudice redige un’ordinanza di rimessione degli atti alla Corte, nella quale
vengono esposti i termini e i motivi della questione, indicando le norme di legge oggetto del
dubbio e le norme costituzionali che si assumono violate, e motivando sulla rilevanza e la non
manifesta infondatezza della questione stessa.
Con tale ordinanza il giudice a quo sospende il giudizio in corso fino alla decisione della Corte
Costituzionale.
L’ordinanza di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale rappresenta dunque l’atto introduttivo
del processo costituzionale.
Viene, poi, definito l’oggetto del giudizio (thema decidendum).
L’ordinanza deve essere notificata alle:
•
parti del giudizio;
•
al Pubblico ministero (art. 23 L. n. 87/1953).
Pubblicata, poi, sulla Gazzetta ufficiale.
Entro 20 giorni le parti possono intervenire per sostenere le proprie ragioni; possono intervenire:
•
il Presidente del Consiglio dei Ministri, tramite l’Avvocatura dello Stato;
•
il Presidente della Giunta regionale interessata.
Se accoglie la questione di legittimità, la Corte Costituzionale dichiara l’incostituzionalità della
legge (art. 136 Cost.).
Le decisioni di incostituzionalità si applicano ai rapporti sorti prima delle dichiarazioni di
incostituzionalità, ma non ancora esauriti.
In un solo caso, previsto dalla L. n. 87/1953, la decisione di incostituzionalità travolge i rapporti
esauriti (art. 30, c. 4, L. n. 87/1953): si tratta delle sentenze definitive di condanna, pronunciate in
base a norme penali dichiarate incostituzionali, che cessano pertanto i loro effetti sui soggetti
condannati.
Le tecniche di giudizio: le decisioni interpretative e manipolative
La Corte Costituzionale non si limita all’alternativa fra decisioni di accoglimento o di rigetto, ma
adotta ulteriori tecniche di giudizio:
•
Sentenze di rigetto “interpretative”: in base alla possibilità che una disposizione di legge
consenta più interpretazioni.
Sentenze di accoglimento definite “manipolative”: la Corte dichiara l’incostituzionalità di
una disposizione di legge non nella sua integrale portata, ma solo nella parte in cui dice qualcosa
(sentenze di accoglimento parziale), o nella parte in cui non dice qualcosa (sentenze additive), oppure
nella parte in cui dice qualcosa, anziché qualcos’altro (sentenze sostitutive).
•
Sentenze definite “additive di principio”: nelle quali la Corte si limita ad enunciare il
principio cui dovrà attenersi il legislatore.
•
Il giudizio in via principale
La possibilità di impugnare la legge in via principale è riservata in Italia solamente allo Stato e alle
Regioni, nei confronti rispettivamente di leggi regionali e statali, a tutela delle rispettive
competenze costituzionalmente previste.
Originariamente c’era solo una differenza fra il giudizio sulle leggi regionali e statali: le leggi
regionali potevano essere impugnate dal Governo in via preventiva.
Dopo la modifica del 2001, a norma dell’art.127 Cost., la legge statale e la legge regionale devono
entrambe essere impugnate entro 60 giorni dalla loro pubblicazione.
Mentre nel caso di ricorso da parte dello Stato nei confronti della legge regionale il vizio di eccesso
di competenza può riguardare qualsiasi vizio di legittimità costituzionale, nel caso invece in cui sia
la Regione ad impugnare una legge statale o di un’altra Regione, il vizio di eccesso di competenza
può riguardare soltanto una lesione delle competenze della Regione ricorrente.
Sotto il profilo processuale, il giudizio in via principale presenta la caratteristica di essere un
processo di parti. È promosso su istanza di parte e si conclude solo dopo eventuale rinuncia del
ricorrente, accettata dall’altra parte.
Il conflitto di attribuzione fra poteri dello stato
I conflitti fra poteri possono essere promossi da organi abilitati a dichiarare in modo definitivo la
volontà del potere cui appartengono (art.37 L.87/1953).
Nel potere esecutivo, dove vige il principio gerarchico, parte del conflitto è il Governo, più
precisamente il Consiglio dei Ministri. Ma la Corte ha ammesso che parte di un conflitto fosse
anche un Ministro, in relazione alle sue individuali responsabilità (C.cost. sent. n. 379/1992 e n.
7/1996).
Riguardo al potere giudiziario, che è un potere diffuso, ogni giudice è stato riconosciuto legittimato
a sollevare e a resistere al conflitto. Si è però precisato che il giudice può sollevare conflitto solo
quando eserciti un’attività giudiziaria.
Per ciò che attiene il Pubblico Ministero, la Corte Costituzionale ha negato la legittimazione
quando esso non eserciti funzioni giurisdizionali, mentre lo ha riconosciuto come potere dello
Stato nell’esercizio dei suoi poteri di iniziativa in campo penale.
Nell’ambito del potere legislativo, organi legittimati a sollevare o a resistere al conflitto sono le
Camere singolarmente, ma sono anche legittimati:
•
Il Presidente della Repubblica
•
La Corte Costituzionale
•
La Corte dei conti in sede di controllo
•
I Comitati promotori di referendum
•
Le Commissioni parlamentari di inchiesta.
Il conflitto di attribuzione fra poteri deve avere come oggetto la contestazione di un potere di fonte
costituzionale.
La Corte Costituzionale ha elaborato un criterio per valutare l’ammissibilità del conflitto di
attribuzione tra poteri aventi ad oggetto un atto legislativo: il conflitto tra poteri è ammissibile solo
se non è possibile sollevare questione di costituzionalità in via incidentale.
Il conflitto può avvenire anche quando si ritiene che il cattivo uso di un potere ne leda un altro.
Nella sua decisione, la Corte costituzionale dichiara il potere a cui spettano le attribuzioni
contestate e annulla l’atto, se viziato.
Il conflitto di attribuzioni tra stato e regioni
I conflitti di attribuzione fra lo Stato e le Regioni possono sorgere con riferimento ad atti non
legislativi, ma amministrativi e giurisdizionali.
I conflitti relativi ad atti legislativi sono infatti decisi dalla Corte costituzionale attraverso i giudizi di
legittimità costituzionale proposti in via principale.
Legittimati a stare in giudizio sono il Presidente del Consiglio (per lo Stato) e il Presidente della
Giunta (per la Regione).
Il termine per ricorrere è di 60 giorni, che decorrono dalla notificazione o pubblicazione dell’atto
impugnato ovvero dall’avvenuta conoscenza di esso.
Spesso tali conflitti sorgono su atti che possono essere impugnati, per motivi di legittimità, anche
dinanzi al giudice amministrativo.
I giudizi d'accusa
•
La Corte costituzionale esercita anche una competenza penale.
Essa giudica sui reati commessi dal Presidente della Repubblica nell’esercizio delle sue
funzioni, che, a norma dell’art.90 Cost., consistono nell’alto tradimento o nell’attentato alla
Costituzione.
•
•
Il Presidente della Repubblica viene messo in stato di accusa di fronte alla Corte
costituzionale dal Parlamento in seduta comune (art. 90, c. 2, Cost. e art. 17, c. 1, L. n. 20/1962).
•
•
•
Il procedimento dinanzi al Parlamento si svolge in due momenti:
Deliberazione del Comitato bicamerale;
Deliberazione del Parlamento (Assemblea).
•
Se viene decisa l’incriminazione, il Presidente della Repubblica può nel frattempo essere
sospeso dalla carica.
•
In base all’art. 135 c. 7 Cost., la Corte costituzionale deve giudicare sull’accusa.
•
Le sanzioni che la Corte costituzionale può infliggere sono determinate dall’art. 15 L. cost. n.
1/1953: le pene sono stabilite nei limiti del massimo previsto dalle leggi vigenti, più altre sanzioni
amministrative e civili.
•
La Corte costituzionale gode di un’ampia discrezionalità nel determinare le sanzioni.
Il giudizio di ammissibilità del referendum
Alle competenze della Corte costituzionale sancite dall’art.134 Cost., la L. cost.1/1953 ha
aggiunto quella di giudicare sulle richieste di referendum abrogativo.
•
•
La L.352/1970 delinea il giudizio come una fase all’interno del procedimento referendario.
Secondo l’art.2 della L. cost. 1/1953, la Corte costituzionale deve verificare che le leggi
sottoposte a referendum non rientrino nelle categorie vietate dall’art.75 c.2 Cost.
•
Ai sensi dell’art.33 della L.352/1970, la Camera di Consiglio della Corte deve essere fissata
entro il 20 gennaio dell’anno successivo a quello in cui è stata presentata la richiesta di referendum.
Devono essere informati il Presidente del Consiglio e il Comitato promotore.
•
A partire dalla sent. n°31/2000, è ammesso l’intervento anche di altri soggetti interessati
all’esito del giudizio.
•
CAPITOLO 13: REGIONI E AUTONOMIE LOCALI
Le regioni e le autonomie locali nella costituzione
Il sistema delle autonomie territoriali è delineato dalla Costituzione nel Titolo V della Seconda
parte, a partire dall’art.114: “La repubblica è costituita dai Comuni, dalle Provincie, dalle Città
metropolitane, dalle regioni e dallo Stato. I Comuni, le Provincie, le città metropolitane e le Regioni
sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.
Roma è la capitale della Repubblica. La Legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”.
Esso è frutto, in particolare, delle revisioni costituzionali effettuate con:
•
L. cost. 22 novembre 1999, n.1;
•
L. cost. 18 ottobre 2001, n.3, alla quale ha dato parzialmente attuazione la L. 5 giugno 2003,
n.131.
Il sistema delle autonomie territoriali è attualmente composto da:
•
Regioni;
•
Città metropolitane;
•
Province;
•
Comuni.
Questi enti godono di poteri propri, attraverso i quali possono provvedere alla tutela delle
collettività presenti nei rispettivi territori.
Le origini storiche degli enti territoriali
Regioni
La loro istituzione è stata prevista dalla Costituzione del 1948, che distingue:
•
5 regioni a statuto speciale, art.116 Cost.,
•
15 regioni a statuto ordinario, art. 131 Cost.
Città metropolitane
Previste per la prima volta dalla L. n. 142/1990, hanno assunto rilievo costituzionale dopo che la L.
cost. n. 3/2001 le ha inserite nel nuovo testo dell’art.114 Cost., a fianco degli altri enti territoriali.
Esse non sono ancora effettivamente realizzate, ma è previsto che in ogni area circostante le
maggiori città italiane possa essere istituita una città metropolitana, chiamata ad acquisire le
funzioni della Provincia.
Province
Nate come enti territoriali in sostituzione alle circoscrizioni amministrative nella delimitazione degli
uffici statali periferici, nel periodo monarchico-liberale.
Comuni
Enti locali originari e necessari, ancora prima della nascita dello Stato unitario, creati su esempio
degli enti locali francesi, nati in seguito alla Rivoluzione del 1789; basati su due principi:
•
istituzione di una municipalità per ciascuna comunità territoriale,
totale uniformità di disciplina giuridica, senza tenere conto delle differenze di dimensione,
di situazioni geografiche ed economiche, di tradizioni storiche esistenti fra i vari Comuni.
•
Il principio di sussidiarietà
Introdotto dalla Convenzione sulla “carta europea dell’autonomia locale”, recepita nel nostro
ordinamento con L. n. 439/1989. richiamato poi dal T. CE, a seguito delle modifiche attuate con il
Trattato di Maastricht del 1992.
Ora questo principio è stato recepito a livello costituzionale:
nell’accezione verticale
(o istituzionale), art. 118, c.1, Cost.;
nell’accezione orizzontale
(o sociale), per valorizzare il ruolo dei soggetti
privati nel soddisfacimento dei bisogni
della comunità.
Le origini dello stato regionale
L’ordinamento italiano viene qualificato come regionale, poiché le regioni italiane appaiono prive
dei poteri considerati propri degli Stati membri di uno Stato federale.
Agli albori dell’unità del nostro Stato (1861), i Ministri dell’interno dell’epoca, prima Farini e poi
Minghetti, avevano lavorato ad un progetto di regionalizzazione amministrativa, che venne però
respinto dal Parlamento.
Negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale, ad opera del Partito popolare di
Don Luigi Sturzo, si fece strada la concezione della regione come ente “politico”, in parallelo
all’acquisizione da parte dell’Italia dei territori del Trentino-Alto Adige e del Friuli-Venezia Giulia,
contraddistinti da una forte tradizione autonomistica.
Con l’avvento del fascismo le aspettative degli autonomisti vennero congelate dallo Stato
totalitario, che soffocò le preesistenti, seppur modeste, autonomie provinciali e comunali.
Dopo la caduta del fascismo, l’Assemblea Costituente venne spinta ad attuare la regionalizzazione.
Spinsero verso la scelta regionalistica anche situazioni come quelle della Sicilia e della Sardegna,
dove agivano fin dal 1944 organismi collegiali provvisori di amministrazione locale; anche in Valle
d’Aosta aveva preso forma un governo autonomo del territorio ed è inoltre da ricordare l’accordo
De Gasperi-Gruber del 1946, con il quale erano state previste misure per la salvaguardia della
minoranza di lingua tedesca in Trentino-Alto Adige; misure che determinarono la nascita della
regione del Trentino-Alto Adige e delle Province autonome di Trento e di Bolzano.
Tenuto conto di tutti questi fattori, infine, l’Assemblea Costituente decise di estendere l’istituzione
delle regioni a tutto il territorio nazionale, concedendo tuttavia alle regioni sopraindicate una più
ampia autonomia; si spiegano così i due livelli dell’ordinamento regionale:
•
Regioni a statuto speciale;
•
Regioni a statuto ordinario.
Per quanto riguarda il Friuli-Venezia Giulia, esso venne inserito in un secondo momento tra le
regioni a statuto speciale (15 anni dopo, nel 1963), a causa della sua situazione di confine, e
divenne regione a statuto speciale in virtù della presenza nel suo territorio di una minoranza
linguistica.
L’istituzione delle regioni
L’approvazione degli statuti speciali, pur rappresentando il primo passo verso la regionalizzazione,
mancò di un supporto normativo dei nuovi poteri regionali. Nonostante ciò, però, le regioni a
statuto speciale hanno avuto uno sviluppo istituzionale concreto, mentre quelle a statuto
ordinario hanno dovuto attendere per oltre vent’anni.
Oroganizzazione e funzionamento delle regioni ordinarie
L’assetto organizzativo fondamentale delle regioni è rappresentato da:
•
Consiglio regionale,
•
Giunta regionale,
•
Presidente della giunta regionale.
La distribuzione delle funzioni tra tali organi discende dalla Costituzione e trova attuazione nei
singoli statuti regionali.
Con la L. cost. n.1/1999 è stato stabilito che l’elezione dei consiglieri regionali e del presidente
della giunta avvenisse a suffragio universale e diretto, con modalità stabilite dalla legge regionale,
in armonia con i limiti stabiliti dalla legge della Repubblica.
I consiglieri regionali vengono eletti in base ad una legge statale attualmente in vigore, la legge n.
43/1995, che ha modificato in sistema maggioritario il vecchio sistema proporzionale, anche se è
rimasta proporzionale l’assegnazione dell’80% dei seggi, mentre il restante 20% è assegnato con
premio di maggioranza.
Il Consiglio regionale è titolare della funzione legislativa. Tuttavia, a seguito della riforma del 1999,
i poteri del consiglio sono stati ridotti a favore del Presidente della giunta (eletto direttamente dal
popolo residente nel territorio); il Consiglio può votare una mozione di sfiducia al Presidente, a cui
segue l’obbligo di dimissioni della Giunta, ma anche lo scioglimento del Consiglio stesso.
L’elemento più significativo del rinnovato quadro costituzionale è la posizione assunta dal
Presidente della Giunta, che rappresenta la regione, promulga le leggi, emana i regolamenti, indice
i referendum, dirige la politica della Giunta e ne è responsabile.
Secondo il nuovo art. 123 Cost. ciascun Consiglio regionale delibera lo Statuto con legge approvata
a maggioranza assoluta dai suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad
intervallo non minore di due mesi. La citata disposizione prevede inoltre che entro trenta giorni il
Governo possa promuovere il controllo di legittimità della Corte costituzionale sullo Statuto. Infine,
lo Statuto può essere sottoposto a referendum popolare, su richiesta di un cinquantesimo degli
elettori della Regione o di un quinto dei consiglieri.
Gli Statuti
Dettano i principi fondamentali per l’organizzazione ed il funzionamento dell’apparato regionale e
disciplinano il diritto di iniziativa legislativa, i referendum e la pubblicazione delle leggi e dei
regolamenti.
Spesso gli statuti formulano anche norme “programmatiche” per indirizzare l’azione regionale.
Organizzazione e funzionamento delle regioni speciali
Anche l’assetto organizzativo delle regioni a statuto speciale si basa sulla ripartizione delle funzioni
fra Consiglio, Giunta e Presidente.
In parallelo con le riforme riguardanti le Regioni ordinarie, con il varo della L. cost. 31 Gennaio
2001, n. 2, si è proceduto alla parziale revisione di tutti gli Statuti speciali; si è provveduto a
riconoscere a tutte le regioni differenziate e alle provincie autonome di Trento e Bolzano un potere
di auto-organizzazione interna analogo a quello attribuito alla regioni di diritto comune.
A seguito della riforma prima citata, ciascuno Statuto speciale affida ad una legge regionale
“rinforzata” il compito di determinare:
•
la forma di governo della Regione,
•
le modalità di elezione del Presidente e dei membri della Giunta,
•
i rapporti fra gli organi della regione,
•
l’esercizio del diritto di iniziativa legislativa popolare,
•
la disciplina dei referendum regionali.
Gli Statuti speciali adempiono ad una funzione diversa rispetto a quelli ordinari, poiché
provvedono a fissare i principi relativi all’elezione dei consigli, alla finanza regionale, ai controlli
sugli organi regionali ed individuano, inoltre, le materie assegnate alla competenza della regione.
In conclusione svolgono nei confronti di ciascun ordinamento speciale il ruolo che, in rapporto alle
regioni ordinarie, è assolto dalla Costituzione.
La potestà legislatia delle regioni
La principale funzione delle regioni è quella legislativa.
Tipi di potestà legislativa delle regioni prima del 2001 sono:
•
La potestà legislativa primaria o piena, riconosciuta solo alle Regioni speciali e alle
Provincie autonome;
•
La potestà legislativa secondaria o concorrente o ripartita, riconosciuta sia alle regioni
speciali che quelle ordinarie;
La potestà attuativa e potestà integrativa-attuativa, che potevano dare svolgimento, senza
contraddirle, a specifiche leggi statali, adattandole a particolari condizioni locali.
•
I limiti alla potestà legislativa delle regioni sono stati concretizzati dal legislatore statale ordinario,
in particolare per quanto riguarda i limiti inerenti all’interesse nazionale.
Mentre in precedenza erano le materie di competenza delle Regioni ad essere elencate
tassativamente dalla Costituzione, con la legge di revisione del Titolo V si è provveduto ad indicare
le materie in cui è lo Stato ad avere potestà legislativa esclusiva.
La distinzione fra la sfera statale e quella regionale di competenza legislativa si regge sul riparto
delle materie; i principali criteri utilizzati sono:
oggettivo:
che tende ad identificare le materie
in base al loro contenuto
teleologico:
che ricomprende nell’ambito di una materia
tutte le attività il cui fine sia ad essa riconducibile,
anche se non rientrano in senso stretto nei margini
oggettivi della materia stessa.
A parte la distinzione fra legislazione statale esclusiva, specializzata per materia, e legislazione
regionale di portata generale-residuale, è importante sottolineare l’equiparazione fra le due
potestà, entrambe sottoposte agli stessi limiti, identificati dal nuovo art.117, c. 1, Cost. nel rispetto:
•
della Costituzione,
•
dell’ordinamento comunitario
•
degli obblighi internazionali.
Dopo la riforma del 2001 le leggi regionali sono sottoposte solo a questi limiti, che sono i soli
espressamente indicati dalla Costituzione; non vi è più spazio per il limite dell’interesse nazionale,
visto che di esso non è rimasta traccia nella Costituzione.
Per quanto riguarda le regioni ad autonomia differenziata, la loro potestà legislativa è definita dai
vecchi Statuti speciali, ancora in vigore, essi hanno conservato l’impostazione originaria ed
elencano le materie attribuite alla regione cui si riferiscono e non le materie di competenza statale.
Tuttavia la L. cost. n.3/2001 non è del tutto priva di effetti nei riguardi delle regioni a statuto
speciale, dal momento che, all’art.10, introduce a loro vantaggio una clausola di maggior favore,
secondo la quale, le disposizioni della riforma si applicano non solo alle regioni ordinarie ma, nelle
parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite alle regioni
speciali, valgono anche per queste ultime.
Infine, è importante ricordare l’introduzione, accanto all’autonomia speciale delle 5 regioni
ricordate, di una nuova forma di specialità definita “diffusa”. Il nuovo testo dell’art.116 cost., al c.
3, prevede infatti che forme e condizioni particolari di autonomia possano essere attribuite anche
alla regioni ordinarie; ciò può avvenire su iniziativa della regione interessata, con una legge
approvata dalle Camere a maggioranza assoluta, sulla base di un’intesa fra lo Stato e la regione
stessa.
La potestà amministrativa delle regioni e delle autonomie locali
Il testo originario dell’art.118 Cost. (1948) afferma che le Regioni dovessero svolgere funzioni
amministrative relative alle materie di competenza legislativa, secondo il principio del parallelismo
(comma 1), e che le funzioni amministrative dovevano essere esercitate normalmente mediante
delega (comma3). L’obiettivo erano le limitazioni delle funzioni svolte dalle Regioni
(programmazione, coordinamento, indirizzo, finanziamento).
Secondo il nuovo art.118 Cost., modificato con la L. cost. 3/2001, tutte le funzioni amministrative
vengono attribuite ai Comuni, “salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a
Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza”, in base ai quali la Corte costituzionale può valutare la legittimità
delle scelte operate. L’obiettivo è di attribuire maggiori compiti amministrativi e di gestione diretta
ai Comuni.
Il legislatore statale individua:
•
le funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane (art.117.2.p Cost.).
le funzioni che vengono esercitate a livello centrale da Regioni ed enti territoriali minori,
secondo i principi di “sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”.
•
Il legislatore regionale conferisce le funzioni amministrative che non richiedono un esercizio
unitario agli Enti locali.
Le funzioni proprie degli enti locali, sono compiti ulteriori di cui gli EE.LL. possono farsi carico per la
propria collettività.
Le funzioni statali di indirizzo e coordinamento
Fino al 2001 la Corte Costituzionale riteneva che tale funzione avesse un sicuro fondamento
costituzionale, in quanto garante dell’unità e dell’armonia del sistema.
Dopo la riforma del 2001 lo Stato non può più esercitare questo potere perché:
•
è incompatibile con il rapporto di parità Stato-Regione;
•
la riforma attribuisce allo Stato il compito di disciplinare soltanto le materie elencate, e non
gli conferisce più una competenza generale (art. 118.3 Cost.).
La finanza delle regioni
La Costituzione riconosce alle Regioni autonomia finanziaria.
Il testo originario dell’art. 119.1 Cost. venne interpretato come una sorta di rinvio alle scelte del
legislatore ordinario.
Fino al 1996 è stato adottato un modello di finanza ‘derivata’ o ‘di trasferimento’.
Le Regioni godevano di:
•
mezzi finanziari individuati e quantificati dallo Stato;
•
‘fondo comune’ e ‘fondi speciali’;
•
‘tributi propri’ (art. 119 Cost.).
Dal 1996 alle Regioni spettavano:
•
Tributi regionali ‘propri’ (es: IRAP)
•
Addizionali a imposte erariali (es: IRPEF)
•
Compartecipazioni a tributi erariali (es: IVA)
•
‘fondo perequativo nazionale’.
Conferme, novità, lacune nel riformato art.119
•
•
•
Conferme
l’autonomia finanziaria regionale riguarda entrate e spese;
importanza di tributi regionali propri e compartecipazione a quelli erariali.
•
•
Novità
copertura costituzionale fornita al fondo perequativo;
legittimazione ad introdurre nuovi tributi, senza leggi statali che li istituiscano e disciplinino;
previo intervento del legislatore statale, che coordina l’insieme della finanza pubblica, per
•
•
determinarne le linee generali e individuarne i limiti;
•
possibilità, per le regioni, di autofinanziare integralmente le funzioni pubbliche loro
attribuite.
Lacune
mancata individuazione di quali tributi erariali regionali compartecipino e la relativa portata
quantitativa, alla quale deve provvedere il legislatore statale ordinario.
•
•
I controlli dello stato sulle regioni
Il controllo sulle leggi regionali
Avviene a garanzia del rispetto dei limiti apposti alle competenze regionali (nuovo art.127 c.1
Cost.).
È un controllo ‘successivo’, ottenuto da una semplificazione del sistema originario secondo cui:
•
il Governo poteva effettuare un rinvio per una nuova deliberazione del Consiglio regionale;
il Parlamento poteva attuare un controllo di merito (opportunità), a garanzia del rispetto
dell’interesse nazionale o delle altre regioni.
•
Come in passato, il Governo può adire la Corte per la violazione di qualsiasi norma costituzionale
da parte delle regioni, mentre la regione può adire la Corte solo per tutelare le proprie
competenze.
Il controllo sugli atti amministrativi delle Regioni
Prima della riforma ci si doveva riferire all’art.125 c.1 Cost. e alle leggi ordinarie, che creavano un
sistema di controllo di legittimità, generale e preventivo, affidato ad una commissione mista. Gli
atti diventavano esecutivi se entro 20 giorni non ne veniva dichiarato l’annullamento.
La L.Cost. n. 3/2001 ha abrogato il comma ed eliminato i controlli sugli atti amministrativi regionali.
Un’eccezione è costituita dal controllo sulla gestione affidato alla Corte dei conti, che accerta “la
rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando
comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell'azione amministrativa” (art. 3.4 L. n.
20/1994).
Il potere sostitutivo
Potere di controllo che lo stato è legittimati ad adottare nei confronti delle regioni nel caso di
persistente inattività nello svolgimento delle loro funzioni, da cui derivi pregiudizio per gli interessi
nazionali o inadempimento agli obblighi comunitari.
Prima della riforma erano disciplinati da vari provvedimenti legislativi statali. Art. 5 D. Lgs. n.
112/1998: il Presidente del Consiglio dei Ministri assegnava all’ente un congruo termine, al
termine del quale nominava un commissario che interveniva. In caso di urgenza era lo stesso
Consiglio dei Ministri a operare.
Dopo la riforma si ebbe il nuovo art. 120.2 Cost.: il Governo può esercitare dei controlli sugli organi
regionali e degli enti territoriali in caso di “mancato rispetto di norme e trattati internazionali o
della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica,
ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la
tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.
L
e novità della riforma (L. n°131/2003):
•
Il Consiglio dei Ministri può sempre adottare direttamente i provvedimenti; (quindi non è
necessaria la nomina di un Commissario);
•
Alla riunione del Consiglio dei Ministri partecipa anche il Presidente della Giunta della
Regione;
•
Gli interventi del Consiglio dei Ministri possono essere adottati anche su iniziativa delle
Regioni e degli Enti locali.
L’art.102 c.2 Cost. prevede solo un potere sostitutivo straordinario, in capo al Governo.
Prima del 1999 il controllo statale sugli organi regionali portava allo scioglimento del Consiglio in
caso di atti contrari alla Costituzione, gravi violazioni di legge, dimissioni della maggioranza dei
membri e ragioni di sicurezza nozionale.
Dopo il 1999 vengono introdotti:
•
Rimozione del Presidente della Giunta;
•
Scioglimento ‘funzionale’ nel caso in cui il Consiglio approvi una mozione di sfiducia nei
confronti del Presidente della Giunta.
I raccordi fra lo stato e le regioni
Il vecchio Titolo V della Costituzione non disciplinava le relazioni e la cooperazione, ma solo la
partecipazione delle Regioni ad alcune funzioni costituzionali:
•
Proposte di legge
•
Richieste di referendum abrogativo
•
Partecipazione di delegati regionali all’elezione del Presidente della Repubblica
•
Ruolo delle Regioni nella procedura per la variazioni di Enti locali.
Vennero creati strumenti di collaborazione:
•
obbligo di reciproca informazione
•
intesa
•
proposte
•
richieste di parere
•
convenzioni
•
consultazioni
•
accordi di programma
•
istituzione di organi collegiali a composizione mista.
La conferenza Stato-Regioni
È un organo permanente composto da:
•
Presidente del Consiglio
•
Presidenti delle Regioni
•
Presidenti delle Province autonome
•
Ministri interessati e altri funzionari pubblici.
I compiti della Conferenza Stato-Regioni sono:
•
Promuovere e sancire intese e accordi fra Stato e Regioni
•
Dare pareri (obbligatori) su schemi dei provvedimenti normativi statali nelle materie di
competenza delle Regioni
•
Partecipare a tutti i processi decisionali di interesse regionale.
Il principio di leale collaborazione
Enucleato dalla Corte costituzionale, impone una visione elastica delle competenze tra Stato e
Regioni e richiede che:
•
Gli strumenti vadano applicati al fine di una sostanziale collaborazione e
In assenza di precise disposizioni, quando concorre una molteplicità di interessi, qualche
forma di raccordo venga comunque realizzata.
•
La L. Cost. n 3/2001 configura un regionalismo dualistico anziché collaborativo, poiché non vi è una
netta separazione tra i poteri locali e quelli centrali, infatti:
•
il nuovo art. 120.2 Cost. attribuisce dignità costituzionale al principio di leale
collaborazione, ma lo considera solo un criterio guida;
l’art. 118.3 Cost. sancisce che il legislatore deve prevedere forme di coordinamento e intesa
tra Stato e Regioni solo in settori specifici e non generali;
•
l’art. 11 L. Cost. n. 3/2001 stabilisce che i rappresentanti delle Regioni, delle Province
autonome e degli Enti locali possano partecipare alla Commissione parlamentare per le questioni
regionali.
•
Il potere estero delle regioni
Dapprima le Regioni sono state legittimate a svolgere:
•
“attività promozionali all’estero”, per le quali era necessaria un’intesa con il Governo;
“attività di mero rilievo internazionale”, entro cui si distinguevano quelle che non
necessitavano di formalità e quelle di cui il Governo andava informato per poter concedere o meno il
proprio consenso.
•
Gli effetti della riforma del Titolo V:
•
potestà legislativa concorrente nella materia dei rapporti internazionali e comunitari;
le Regioni vengono abilitate a dare esecuzione agli accordi internazionali, secondo ciò che
compete loro;
•
la L. Cost. n. 3/2001 offre la possibilità alle Regioni di concludere accordi e intese con Stati
ed enti territoriali stranieri, nei casi previsti dalla legge, previa comunicazione al Presidente del
Consiglio dei Ministri e al Ministro per gli Affari Esteri;
•
•
le Regioni possono esercitare il treaty-making power nei confronti di Stati esteri, nel
rispetto della Costituzione, dei vincoli, degli indirizzi di politica estera italiana, dei principi
fondamentali dettati dalla legge, delle materie di competenza e delle limitazioni procedurali;
il ‘potere di firma’ viene concesso dal Ministero degli Affari Esteri solo dopo aver accertato
l’opportunità politica e la legittimità dell’accordo;
•
•
le Regioni e le Province autonome non possono esprimere valutazioni relative alla politica
estera italiana;
•
l’art. 117.5 Cost. dispone che le Regioni e le Province di Trento e Bolzano, in ciò che loro
compete, possano provvedere all’attuazione e all’esecuzione dei soli accordi internazionali ratificati
dall’Italia.
Le regioni e l'Unione europea
Le norme europee possono incidere sulle competenze regionali, fino al punto di derogare alla
normale distribuzione costituzionale delle competenze esterne, in base alle esigenze organizzative
dell’Unione.
La riforma del 2001:
•
riconosce il fenomeno dell’integrazione europea (art.117.1 Cost.);
•
offre un fondamento costituzionale alla disciplina legislativa dei rapporti fra Regioni ed
Unione europea (art.117.3 Cost.);
•
pone le premesse per una più incisiva ed ampia potestà legislativa delle Regioni (art.117.3
Cost.);
offre alle Regioni la possibilità di partecipare alle decisioni dirette alla formazione degli atti
normativi comunitari;
•
la Conferenza Stato-Regioni deve dedicare almeno 2 sessioni all’anno per “raccordare le
linee di politica nazionale relative all’elaborazione degli atti comunitari con le esigenze rappresentate
dalle Regioni”;
•
partecipazione delle Regioni nelle delegazioni del Governo che operano presso gli organi
comunitari;
•
alle Regioni viene inoltre dato riconosciuta la potestà di dare attuazione ed esecuzione agli
atti normativi comunitari riguardanti le materie di loro competenza, da realizzare in via amministrativa.
•
Le autonomie locali
L’art. 114.2 Cost. riconosce i Comuni e le Province come “enti autonomi con propri statuti, poteri e
funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione”.
Tali Enti sono costituiti da 3 organi:
•
il Consiglio
•
la Giunta
•
il Presidente (o Sindaco).
Vengono eletti a suffragio universale e diretto il Consiglio e il Presidente (o Sindaco), con carica
quinquennale.
Il Presidente della Regione e il Sindaco:
•
nominano e revocano i membri delle rispettive Giunte (assessori);
•
conducono l’Ente locale;
•
solo il Sindaco opera come “Ufficiale del Governo”.
Il Consiglio ha il potere di votare una mozione di sfiducia, da cui deriva la cessazione della carica
del Presidente, o del Sindaco, della Giunta e lo scioglimento del Consiglio stesso.
Secondo il testo originario della Costituzione, le Regioni dovevano esercitare normalmente i loro
compiti amministrativi attraverso le Province e i Comuni, mediante deleghe di funzioni e
avvalimento di uffici, operando solo un potere di controllo, generale e preventivo.
Con la riforma del Titolo V non vi sono né deleghe né avvalimenti, ma si prevede l’attribuzione
diretta di funzioni amministrative ai Comuni e l’abrogazione dei controlli preventivi regionali sugli
atti di Province e Comuni.
Con il nuovo art. 123, u.c., Cost. si impone l’istituzione del Consiglio delle autonomie locali, come
organo di consultazione fra Regione ed Enti locali
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