Uploaded by Davide Colombo

SENTIMENTO CHE VINCE LA MORTE

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IL SENTIMENTO CHE VINCE LA
MORTE
La morte è uno dei temi trattari prevalentemente sia nel mondo latino che in quello greco ed in esso si
esplicano una moltitudine di sentimenti che vanno dal dolore, al ricordo, alla commemorazione, alla
consolazione, alla speranza. Nella vasta produzione di Marziale, principale esponente del genere
epigrammatico nella letteratura latina, alcuni componimenti ad esempio hanno la forma di un vero e proprio
epitaffio: celebre è quello dedicato alla schiavetta Erotion, morta a soli sei anni.
Hanc tibi, Fronto pater, genetrix Flaccilla, puellam
oscula commendo deliciasque meas, parvola ne nigras
horrescat Erotion umbras oraque Tartarei prodigiosa
canis. Inpletura fuit sextae modo frigora brumae,
vixisset totidem ni minus illa dies. Inter tam veteres
ludat lasciva patronos Mollia non rigidus caespes
tegat ossa nec illi, terra, gravis fueris: non fuit illa tibi.
A voi, padre Frontone, madre Flaccilla affido questa bimba, bacio mio,
sperando che la mia piccola Erotion non si spaventi per le ombre nere e
per le bocche mostruose di Cerbero. Se fosse vissuta almeno altri sei
giorni e non meno, avrebbe compiuto altrettanti gelidi inverni. Spero che
in compagnia dei suoi vecchi protetti giochi felice, e che canti il mio
nome con la sua voce balbettante. Che una morbida e non dura zolla
erbosa copra le sue tenere ossa e tu terra non essere di peso: lei non lo fu
per te.
Il componimento si struttura in tre sequenze: nella prima il poeta affida Erotion ai propri genitori affinché la
accompagnino verso le ombre del Tartaro; la seconda dove il poeta, oltre ad indicare l’età della bambina, le
augura serenità almeno nel mondo dei morti; l’ultima dove invita la terra a non gravare sulla piccola che col suo
lieve peso poco ha gravato su di essa nella sua breve vita. Nel testo si evince una profonda tenerezza per la
bambina che terrorizzata dovrà affrontare il suo viaggio nell’Ade e le terribili fauci del ​Tartarei canis ​(versi
3-4). Ma i Mani protettori avranno cura di lei: il sentimento vince sulla morte, la speranza che i genitori tanto
amati accoglieranno la piccola defunta, la consapevolezza, che nonostante la prematura scomparsa, essa possa
comunque gioire forse ancor più che in vita. Il componimento spazia quindi dal regno dei morti alla dura e ben
più concreta realtà della tomba; stabilisce tra un vivo – il poeta – e i defunti – Frontone, Flaccilla, Erotion – una
commovente corrispondenza di affetti. Domina un senso di assoluta leggerezza, che si adegua perfettamente a
quanto espresso nell’ultima parte del testo. Il lessico è quotidiano, con una certa mescolanza di termini riferibili
alla sfera affettiva: bacio mio, bimba, voce balbettante e lo stesso nome Erotion deriva dalla radice ​Eros ​
ma ha
la forma di un diminutivo.
Mentre le sue prime opere sono caratterizzate da una poesia d’occasione e di consumo, come nel caso degli
Xenia e degli Apophoreta, quest’opera è contenuta negli “Epigrammata”, la raccolta più matura di Marziale,
nella quale il genere epigrammatico viene trattato in tutta la sua ricchezza e complessità. Ne fanno infatti parte
componimenti che trattano tematiche differenti, inquadrati in filoni diversi: encomiastico, funerario, erotico,
descrittivo. In alcuni di essi vengono rivelate anche le aspirazioni del poeta, come nell’epigramma indirizzato
all’amico Giovenale, nel quale vengono analizzate le differenze tra la vita in città e quella in campagna.
La poetica di Marziale contrappone il vero e la realtà alla mitologia, considerata inverosimile e falsa. Tutto si
basa su una poesia concentrata sulla quotidianità ed ha per oggetto i ​mores ​ovvero i comportamenti umani. Si
pone quindi sulla linea della satira di Persio ma vi è una differenza fondamentale: se per Persio la satira era un
ottimo modo per cercare di “curare” ​i pallentes mores, ​Marziale è estraneo a qualsiasi intento moralistico ed ha
come unico scopo l’intrattenimento piacevole del lettore. Nonostante amasse la mordacia
del suo principale modello Catullo, non gli era consentito utilizzare l’attacco personale nei componimenti e
dovette infatti adeguarsi ad un editto di Domiziano contro gli scritti diffamatori, ed ecco perché egli prendesse
di mira i vizi ma non i viziosi.
La varietà dei temi trattati si riflette anche nello stile, da quello alto e sostenuto presente nel filone encomiastico,
a un lessico colloquiale nei componimenti comico realistici. Una caratteristica principale degli epigrammi di
Marziale, soprattutto di quelli facenti parte del filone comico, è la loro struttura bipartita, cioè costituita da un
momento di attesa e da una conclusione dove spesso è presente una vera e propria battuta finale, il più delle
volte inaspettata e sappiamo che riprese questa tecnica dall’epigramma ellenistico. Anche in Erotion però, che
rientra invece nel filone funerario, è al termine che si concentra il significato dell’intero testo e l’allocuzione
finale che il poeta rivolge alla terra riprende quella di Meleagro nell’epitaffio “In morte della donna amata”.
Meleagro fu il più importante esponente della scuola fenicia e anche lui dedicò tutta la sua produzione letteraria
al genere epigrammatico tanto che viene ricordato per la creazione della prima antologia, la “Ghirlanda”,
summa d​ella poesia epigrammatica ellenistica e nucleo iniziale di quella che diventerà l’Antologia Palatina.
Egli fu poeta d’amore e di passione e concentrò le sue attenzioni nei sentimenti che ebbe nei confronti delle
donne che amò, prima fra tutte Eliodora, per la quale provò un amore vero e sentito, tanto che dopo la sua morte
il poeta le dedica un epigramma sepolcrale molto intenso e ricco di pathos. Continua il filone della scuola
ionico alessandrina concentrando le sue opere sul tema dell’amore, bello ed affascinante ma anche fuggevole,
imprevedibile ed aleatorio. Tutto l’amore e la passione che provò per la sua donna sono racchiusi in questi
versi, tra i suoi più belli e famosi.
Attraverso la terra anche sotterra giù all’Ade t’offro
in dono, o Eliodora queste lacrime mie, lacrime
amare, quello che resta ormai del nostro amore, e
sopra il tuo sepolcro onorato e compianto io ne verso
il libame, ricordo dell’affetto e del desio. Ahi,
misero, e ti chiamo misero Meleagro, te che amata
mi sei tra i morti ancora, ed è l’omaggio, vano
omaggio che rendo all’Acheronte. Ohimè, dov’è il
virgulto che fu d’ogni mia brama termine e segno?
L’ha rapito Ade Ade me l’ha rapito e disfatto ha la
polvere del suo fiore. E tu, o terra, che dai ad ogni
creatura il nutrimento, dolce tra le sue braccia, te ne
supplico, o madre, costei che lascia cosi largo pianto
accoglila e radducila al tuo seno.
L’epigramma si divide in due parti, una prima nella quale il poeta si rivolge ad Eliodora (che in greco vuol dire
“dono del sole”) cantandone la morte con profonda commozione e con uno stile limpido e raffinato, ricorrendo
spesso alla ripetizione per esprimere e sottolineare il suo dolore straziante. Netta la contrapposizione tra il buio
tetro della morte e la figura di Eliodora, raggiante, luminosa, simbolo di vitalità agli occhi del poeta.
Significativa è l’espressione ai versi 10-11: “te che amata mi sei tra i morti ancora”, simbolo di un amore che
riesce a vincere anche qualcosa di forte come la morte. Nella seconda parte, invece, Meleagro si rivolge alla
terra, supplicandola di poter accogliere la sua amata tra le sue amorevoli braccia e di proteggerla con l’amore di
una madre, quella donna che tanto lui amò in vita e che ora affida alla sua benevolenza. Ecco di nuovo la
potenza dell’amore, quella che è in grado di sopravvivere alla morte, quella che permette di accantonare il
dolore per far spazio alla speranza, alla consapevolezza che oltre la fine ci sia qualcosa di migliore, un qualcosa
di così grande da dare sollievo alle sofferenze terrene dell’animo
umano. È molto forte l’immagine della sua donna che viene paragonata ad un virgulto, “termine e segno” di
ogni brama del poeta, rapito da Ade che lo ha trasformato in polvere. Prevale inoltre la concezione di un amore
puro, inteso come sentimento profondo e questo non è di sicuro un atteggiamento tipico degli scrittori
epigrammatici. Pensiamo ad Asclepiade, nei suoi scritti l’amore è sì un’esperienza intensa, ma fuggevole, quasi
fosse un vero e proprio gioco raffinato, in linea con il suo ideale dell’hic et nunc secondo il quale bisogna
lasciarsi abbandonare ai piaceri in qualsiasi momento.
Il compianto di Eliodora ci consente anche di capire la differenza tra l’amore provato nei confronti di
Eliodora e quello invece per Zenofila. Sappiamo infatti che per quest’ultima Meleagro provò un amore
mostrato più che vero e sincero, tanto che gli epigrammi a lei dedicati hanno un tono molto scherzoso e
trattano tematiche leggere, come ad esempio nel celebre componimento “Eroizzazione di una zanzara”.
Il dolore della morte viene attutito dalla consapevolezza che ci sarà un qualcosa di migliore, che i defunti tanto
amati in vita vivranno beatamente anche se lontani fisicamente da chi sulla Terra si dispera per la loro
scomparsa: la capacità di considerare la morte non come la fine ma come l’ inizio di un qualcosa di migliore è la
prova che i sentimenti, quando sono veri e profondi, sono in grado di sconfiggere qualsiasi cosa, anche
l’inevitabile e anche ciò che può apparire insormontabile. Speranza questa del tutto concreta ed attuale perché
l’animo umano che si strugge per l’assenza di un proprio caro trova solo in ciò la propria consolazione:
immaginare i propri defunti liberi finalmente dalle piccolezze umane e proiettati in una dimensione ultraterrena
soave e leggera è ciò che ci salva da una sofferenza che altrimenti ucciderebbe anche noi.
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