Uploaded by Daniele Sibillo

Aggiornata 27-03

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II”
SCUOLA DI MEDICINA E CHIRURGIA
CORSO DI LAUREA IN FISIOTERAPIA
Presidente Dott. Carlo Ruosi
POLO DIDATTICO
A.O.R.N. Ospedali dei Colli
TESI DI LAUREA
LE LESIONI DEGLI HAMSTRING:
DALLA PREVENZIONE AL RETURN TO SPORT
HAMSTRING STRAIN INJURIES:
FROM PREVENTION TO RETURN TO SPORT
RELATORE:
Candidato:
Dott.ssa Annamaria Ciriello
Daniele Sibillo
Matricola M78000640
Anno Accademico 2021/2022
INDICE
INTRODUZIONE
CAPITOLO 1: Anatomia e Biomeccanica
•
Anatomia degli ischiocrurali
•
Biomeccanica: ruolo degli ischiocrurali nelle performance atletiche
CAPITOLO 2: Le lesioni degli hamstring
•
Classificazione
•
Epidemiologia nello sport
•
Meccanismi di infortunio
•
Fattori di rischio
CAPITOLO 3: La gestione dell’infortunio
•
Esame obiettivo e valutazione clinica
•
Imaging diagnostico
•
Tempi di recupero
•
La gestione in fase acuta: il protocollo PEACE & LOVE
•
L’alternativa chirurgica: le lesioni con avulsione
CAPITOLO 4: Il trattamento e la riabilitazione degli HSI
•
Obiettivi del programma riabilitativo
•
Elementi di base e personalizzazione della riabiltiazione
•
Riatletizzazione: criteri per il return to sport
•
Flywheel training: un nuovo strumento riabilitativo
CAPITOLO 5: Il ruolo della prevenzione
•
I protocolli preventivi e la loro applicazione
CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA
1
2
INTRODUZIONE
Le lesioni degli ischiocrurali, il gruppo di muscoli flessori posteriori della
coscia, sono uno degli infortuni più comuni a carico dell’arto inferiore in
numerosi sport, con un’elevata incidenza ed un alto rischio di recidiva.
Sono distinti in due tipi principali:
•
Lesioni da trauma diretto (contusioni, lacerazioni ecc.), dovuti a
fattori estrinseci
•
Lesioni da trauma indiretto, detti Hamstring Strain Injuries (HSI),
dovuti a fattori intrinseci, sui quali si concentrerà questo elaborato.
Questi infortuni sono piuttosto invalidanti per un atleta, soprattutto se gravi,
arrivando a richiedere in media anche più di 28 giorni per la loro guarigione.
È facile comprendere come ciò determini un importante effetto negativo non
solo sulla salute e performance dell’atleta, ma anche sulle performance del
team di appartenenza nonché conseguenze economiche per la società,
considerato anche l’alto tasso di recidive. Difatti, secondo un report della
Australian Football League (AFL) sulla stagione 2012, le perdite
economiche per un club di questa lega possono arrivare fino a $245.842 a
stagione per infortuni di questo tipo, un aumento di circa il 71% rispetto ad
un simile report effettuato nel 2003.
L’importanza che rivestono gli HSI nel mondo sportivo ha portato, nel corso
degli anni, a corposi investimenti nella ricerca, mirati ad identificare i fattori
di rischio che predispongono gli atleti all’infortunio; fattori distinti poi in
due macrocategorie: non modificabili, non sotto il controllo dell’atleta o
dell’equipe medica, e modificabili, sui quali è possibile agire.
Dall’individuazione di questi possibili fattori di rischio sono nati numerosi
protocolli di prevenzione, che potrebbero in teoria portare ad una riduzione
dell’incidenza degli HSI, in alcuni casi fino al 65%, oltre che ad una
riduzione dei tempi di recupero.
3
L’efficacia di questi protocolli, soprattutto i più datati, è però ancora incerta,
così come è incerto l’effettivo ruolo che hanno alcuni possibili fattori di
rischio, in quanto le ricerche in questo ambito sono spesso soggette a
variabili di confondimento e rischio di bias.
Solo negli anni recenti si è iniziato a condurre indagini più accurate con
l’obiettivo di definire con precisione ed effettiva validità gli elementi che
caratterizzano gli HSI, ed è per tale motivo che nasce questo elaborato:
cercare di riportare con chiarezza i più significativi e i più recenti sviluppi
in ambito scientifico, per fornire gli strumenti necessari ad attuare le
migliori strategie per la gestione degli Hamstring Strain Injuries nell’atleta.
Saranno trattati i meccanismi lesivi, gli standard diagnostico-valutativi e
prognostici, la prevenzione ed il trattamento con obiettivo il return to play.
4
ANATOMIA E BIOMECCANICA
ANATOMIA DEGLI ISCHIOCRURALI
Una comprensione dell’anatomia e biomeccanica degli ischiocrurali può
aiutare a comprendere al meglio questi infortuni. Il gruppo degli
ischiocrurali comprende 3 muscoli principali della loggia posteriore della
coscia:
•
Semimembranoso
•
Semitendinoso
•
Bicipite Femorale (capo lungo e capo breve)
Tutti sono muscoli bi-articolari, ad eccezione del capo breve del bicipite
femorale, agendo sia sull’articolazione del ginocchio come flessori, che
sull’articolazione dell’anca in qualità di estensori. La bi-articolarità fa sì che
i muscoli vengano sottoposti ad uno stress in allungamento maggiore*, un
fattore spesso ritenuto responsabile della elevata incidenza delle lesioni a
questo livello.
Bicipite Femorale: il capo lungo del BF, bi-articolare, origina dalla
tuberosità ischiatica da una inserzione comune al tendine del semitendinoso.
Il capo breve, mono-articolare, origina dalla linea aspra del femore e dal
setto intermuscolare laterale. Entrambi i capi si inseriscono, con un unico
tendine in comune, sulla testa del perone e, con una piccola porzione di
tendine, sulla regione esterna del condilo tibiale*. Il BF rappresenta la massa
muscolare postero-esterna della coscia e la sua azione generale è quella di
ruotare lateralmente e flettere la gamba lavorando sull’articolazione del
ginocchio, estendere la coscia lavorando sull’articolazione dell’anca. Il capo
lungo del bicipite femorale è un debole flessore del ginocchio quando l’anca
è estesa ed un debole estensore dell’anca quando il ginocchio è flesso,
questo per via del principio biomeccanico dell’insufficienza attiva.*
5
L’innervazione del capo lungo è appannaggio del nervo tibiale, mentre
l’innervazione del capo breve è affidata al nervo peroneo comune, entrambi
rami del nervo ischiatico*.
Semitendinoso: il muscolo semitendinoso origina, come detto prima,
anch’esso dalla tuberosità ischiatica e si va ad inserire sulla superficie
mediale della tibia, andando a costituire - assieme ai tendini di sartorio e
gracile - la cosiddetta zampa d’oca*.
Semimembranoso: è situato al di sotto del
semitendinoso e il suo ventre si estende più
medialmente ad esso. Il tendine prossimale del
semimembranoso origina dalla faccia laterale
della tuberosità ischiatica e si va ad inserire con il
suo tendine distale sulla faccia posteriore mediale
della tibia*.
I muscoli semimembranoso e semitendinoso
costituiscono la massa muscolare posteriore e
mediale della coscia. La loro funzione è quella di
ruotare
medialmente
e
flettere
la
gamba
lavorando sul ginocchio, estendere la coscia
lavorando sull’anca. Anch’essi, per il principio
dell’insufficienza attiva sono flessori deboli ad
Figura 1 - gli ischiocrurali
anca estesa, estensori deboli a ginocchio flesso*.
L’innervazione dei muscoli semitendinoso (ST) e semimembranoso (SM) è
a carico del nervo tibiale*.
La funzione generale di tutto il complesso degli ischiocrurali è quindi quella
di contrarsi per favorire la flessione del ginocchio e l’estensione dell’anca;
nei movimenti dinamici e complessi (saltare, correre ecc.) gli ischiocrurali
permettono la stabilizzazione e la produzione di energia della catena cinetica
posteriore*.
6
Di particolare interesse è il tendine intramuscolare del bicipite femorale
(detto anche tendine centrale), che decorre lungo il ventre muscolare e
agisce come una struttura di supporto sulla quale prendono attacco le fibre
muscolari*. Gli infortuni che comportano un danno a questo tendine sono
considerati più gravi e il tempo di ritorno all’allenamento o alla
competizione potrebbe essere maggiore, come evidenziato da Comin et al.*
in uno studio che ha analizzato 45 lesioni del bicipite femorale di cui 12
coinvolgevano il tendine centrale: i dati hanno riportato tempi di recupero
più lunghi per questi ultimi (71gg) rispetto ai primi (21gg). Risulta dunque
importante tenere in considerazione questo aspetto per una migliore
programmazione dell’intervento riabilitativo.
BIOMECCANICA:
RUOLO DEGLI ISCHIOCRURALI NELLE PERFORMANCE ATLETICHE
Il ruolo degli ischiocrurali nell'ambito dei gesti atletici e sportivi è
principalmente rappresentato dalla funzione che svolgono durante lo sprint
(corsa a velocità massimali).
Il loro ruolo principale in questa situazione è quello di decelerare
l'estensione del ginocchio alla fine della fase di swing (quando nessun arto
è a contatto con il suolo), in modo tale che il piede possa prendere contatto
con il terreno sotto al centro di massa del corpo. Dopo di ciò gli ischiocrurali
agiscono come estensori di anca*.
Durante la fase terminale dello swing, il capo lungo del bicipite, il
semitendinoso e il semimembranoso sono ad un picco massimo di stress,
producono il picco massimo di forza*. Si pensa infatti che proprio questa
fase, che vede un carico e stress importanti sugli ischiocrurali, sia la causa
responsabile della lesione*.
Inoltre non è da sottovalutare il loro ruolo nella propulsione, attraverso la
produzione di forza orizzontale, durante la corsa*. Difatti si è visto che gli
atleti che dimostrano maggiori valori di momento meccanico (torque) degli
estensori d’anca, nonché maggiori valori di attivazione EMG degli
7
ischiocrurali, sono in grado di produrre maggiore forza di reazione al suolo*.
Ciò è supportato dallo studio di Kyrolainen et al.* che dimostra come
all’aumentare della velocità di corsa aumenti anche la produzione di forza,
aumento in parte attribuibile all’azione degli ischiocrurali.
LE LESIONI DEGLI HAMSTRIG
CLASSIFICAZIONE
L’ambito della categorizzazione delle lesioni muscolari è vasto, e spesso, a
causa della mancanza di un approccio standardizzato ed uniforme, risulta
difficoltoso destreggiarsi tra tutti i sistemi proposti per la classificazione e
il grading delle lesioni muscolari. Ci sono evidenze contrastanti, inoltre, per
quanto riguarda la relazione tra presentazione clinica, imaging diagnostico
e outcome clinici. Per questo motivo, cercando di fare chiarezza tra ciò che
la letteratura ci offre, verranno proposte i sistemi più significativi e recenti
per la categorizzazione delle lesioni muscolari.
Una delle principali distinzioni che bisogna fare riguarda la terminologia.
Questo perché spesso, soprattutto nella letteratura più datata, i termini
inglesi “classification” e “grading” sono usati in modo intercambiabile
generando confusione.
Il termine “classification”, si riferisce alla descrizione delle diverse tipologie
di infortunio secondo parametri quali meccanismo di infortunio, zona del
muscolo colpita, natura della lesione.
Con il termine “grading” invece si intende delineare la gravità e dunque il
grado di severità della lesione, che è strettamente correlato alla prognosi e i
tempi di recupero.
Classification
La prima distinzione in questo ambito è relativa alla natura della lesione.
Vediamo che queste vengono distinte principalmente in:
8
•
lesioni derivanti da cause esterne, secondarie ad insulti come
contusioni o una lacerazioni, detti traumi diretti.
•
lesioni derivanti da cause interne, secondarie ad uno sforzo fisico e
cedimento delle strutture muscolo-tendinee, detti traumi indiretti o
strain injuries.
Un’ulteriore distinzione, proposta da Askling et al., riguarda il meccanismo
di infortunio per le lesioni indirette distinte in due tipologie principali:
•
Tipo I, detto sprinting-related (associato alla corsa), tipicamente
osservato negli sport ad alto impatto come calcio, rugby, atletica ecc.
Questo tipo di infortuni avvengono quando gli ischiocrurali sono
obbligati a lavorare eccentricamente, sviluppando un’elevata
quantità di forza, per decelerare l’arto e controllare l’estensione del
ginocchio nella fase terminale della swing phase, durante la corsa e
lo sprint.
•
Tipo II, detto stretch-related (associato ad un eccessivo
allungamento) e si verificano tipicamente quando ad una flessione
di anca viene associata l’estensione del ginocchio, come in alcuni
movimenti tipici di alcuni sport come i calci, lo stretching, le
spaccate (Askling et al).
Questo tipo di infortunio è associato principalmente ai danzatori,
dove il 66% degli HSI deriva da una spaccata frontale e il 12% da
una spaccata laterale (Askling et al).
L’ultima distinzione viene fatta dal punto di vista anatomico, possibile
grazie allo sviluppo delle tecniche di imaging diagnostico sempre più
accurate, con diversi autori che dimostrano l’importanza di determinare la
zona del muscolo lesionata. Si possono infatti distinguere:
•
lesioni del ventre muscolare
•
lesioni del tendine
•
lesioni della giunzione miotendinea
9
Per quanto riguarda gli ischiocrurali è necessario inoltre menzionare
l’importanza che riveste una particolare struttura, il tendine centrale (o
tendine intramuscolare), che decorre lungo il ventre muscolare e agisce
come una struttura di supporto sulla quale prendono attacco le fibre
muscolari*. Gli infortuni che comportano un danno a questo tendine sono
considerati più gravi e il tempo di ritorno all’allenamento o alla
competizione potrebbe essere maggiore, come evidenziato da Comin et al.
in uno studio che ha analizzato 45 lesioni del bicipite femorale di cui 12
coinvolgevano il tendine centrale: i dati hanno riportato tempi di recupero
più lunghi per questi ultimi (71gg) rispetto ai primi (21gg).
Grading
Il grado di severità di un infortunio muscolare può essere determinato in
modo indiretto andando ad analizzare la presentazione clinica e le indagini
strumentali (RMN ed Ecografia) e associandoli agli outcome clinici. È qui
che nascono alcuni problemi di standardizzazione in ambito di ricerca
poiché i tempi di recupero dovrebbero essere valutati tenendo conto
esclusivamente della storia naturale della lesione. Ciò risulta però
impossibile dato che fattori come trattamenti più o meno invasivi sono
sempre presenti, andando a rendere più difficoltoso il lavoro di
interpretazione dei risultati. Alcune ricerche riescono comunque a
presentare dati validi per permetterci di identificare i criteri per il grading
delle lesioni muscolari.
Vale la pena menzionare innanzitutto un lavoro dell’era pre-imaging, da
parte dell’American Medical Association, che ha influenzato le successive
ricerche proponendo una distinzione della lesione basata su 3 gradi di
severità basandosi su descrittori clinici.
Più avanti sono risultati molto influenti i lavori di Peetrons che propone un
sistema di gradazione basato sulle immagini diagnostiche (ecografia) e
prevede:
10
•
Grado 0 – mancanza di alterazioni apprezzabili del tessuto
muscolare.
•
Grado 1 – “elongazione” con minima lesione, meno del 5% delle
fibre coinvolte.
•
Grado 2 – rottura parziale con lesione che coinvolge dal 5% al 50%
delle fibre muscolari o del diametro della sezione muscolare.
All’ecografia è presente uno spazio ipo o anaecogeno tra le fibre
muscolari.
•
Grado 3 – lesioni da rottura completa con associata retrazione. Di
solito queste lesioni sono evidenti per via di uno spazio vuoto
apprezzabile anche alla palpazione.
Dal punto di vista clinico, ad oggi, possiamo invece riassumere numerosi
sistemi di grading nella seguente classificazione:
•
Lesioni Lievi – edema di modesta entità, indolenzimento
generalizzato, dolore leggero e localizzato, minima o nessuna
perdita di funzione e forza muscolare.
•
Lesioni Moderate – edema importante con dolore più ampio in
localizzazione e intensità, aumentata stiffness, parziale perdita di
funzione e forza che richiede un’interruzione dell’attività. Probabile
limitata abilità nel cammino nelle prime 24-48h post infortunio.
•
Lesioni Severe – ematoma con dolore importante in area non ben
localizzata, completa perdita di funzione e forza. Possibile difetto
muscolare apprezzabile alla palpazione.
Approcci combinati per la classificazione delle lesioni muscolari
Negli ultimi anni numerosi studi hanno cercato di creare un sistema
omnicomprensivo, che prendesse quindi in considerazione tutti gli aspetti
citati fino ad ora, per fornire un metodo efficace. Solo alcuni però hanno
fornito abbastanza dati clinici significativi a supporto e sembrano dunque
essere validi.
11
Il lavoro più importante è stato avviato nel 2012 da un gruppo di esperti
riunitosi a Monaco di Baviera per collaborare alla realizzazione di un
protocollo di classificazione e grading delle lesioni muscolari (MuellerWohlfhart et al.), implementato successivamente da un lavoro Ekstrand et
al. che ne ha validato l’applicazione attraverso un programma che ha
coinvolto numerose squadre di calcio professionistiche in Europa.
Di seguito è riportata la tabella definitiva per la classificazione e il grading
delle lesioni muscolari secondo il gruppo di consenso di Monaco.
Tabella 1 - classificazione delle lesioni muscolari
Figura 2 - rappresentazione dei tipi di lesione
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EPIDEMIOLOGIA NELLO SPORT
Disponiamo di numerosi studi che riportano l’incidenza e il tempo tolto
all’attività sportiva degli HSI, come possiamo vedere dalla seguente tabella:
Tabella 2
Nel calcio professionistico c’è un’elevata incidenza relativamente agli HSI.
Petersen et al. riportano una media di 3,4 infortuni per squadra a stagione,
Woods et al riportano una media di 5 infortuni per squadra, mentre Ekstrand
et al. suggeriscono che un club potrebbe aspettarsi circa 7 di questi infortuni
nel corso della stagione.
13
In questi studi il tempo trascorso lontani dall’attività agonistica è stato in
media di 17 (Ekstrand et al.), 18 (Woods et al.) e 21 giorni (Petersen et al.)
con circa 3 match persi.
Questi valori sono simili a quelli che si riscontrano nel football Australiano
con Orchard et al. che riportano 6 infortuni su 37 atleti studiati nella stagione
1995 con una media di 2,5 match persi, mentre Gabbe et al. osservando 222
atleti nel corso della stagione 2002 hanno riscontrato un infortunio degli
ischiocrurali in 31 di questi (14%) con una media di 6 atleti per squadra.
Più recentemente il report del 2018 della Australian Football League ha
confermato i dati dei due studi citati sopra, riportando una media di 6,35
infortuni per club a stagione. Il report ha inoltre dimostrato un tasso di
recidiva dello stesso infortunio del 20%.
Il tempo trascorso lontano dall’attività agonistica in questo caso è stato in
media di 25 giorni, in linea dunque con quanto visto per il calcio.
La durata del periodo trascorso lontani dall’attività sportiva risulta essere un
fattore molto importante, forse più dell’incidenza generale, in quanto,
soprattutto negli sport di squadra, l’assenza di un’atleta ha un effetto diretto
sulle prestazioni del team e, sulle casse della società.
Dal punto di vista del contesto di infortunio, sembra che l’incidenza sia
maggiore durante il match rispetto all’allenamento*. Ciò dovrebbe essere
dovuto al maggior impegno e agonismo impiegato durante la competizione:
un atteggiamento che sembra normale, ma che potrebbe in realtà essere il
riflesso di una preparazione inadeguata. Se l’intensità dell’allenamento non
si allinea ai criteri di stress fisico imposti dalla gara, probabilmente non
prepara in modo adeguato gli atleti a quest’ultima. Un’ipotesi supportata
anche dallo studio di Ekstrand et al. che riporta come gli infortuni siano più
prevalenti durante la stagione agonistica piuttosto che in pre-season,
evidenziando l’importanza di inserire nel programma di rinforzo degli atleti
un protocollo mirato al rinforzo degli ischiocrurali strutturato per tutta la
durata dell’anno.
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MECCANISMI DI INFORTUNIO
Lo studio dei fattori di rischio e dei meccanismi di infortunio è di primaria
importanza per sviluppare programmi preventivi e riabilitativi efficaci.
Quando parliamo di meccanismo di infortunio ci riferiamo alle dinamiche
che sottendono la lesione: quali attività e quali movimenti mettono il
muscolo in condizione di danneggiarsi? La letteratura non ci dà una risposta
univoca, viste anche le tante variabili che entrano in gioco, ma ad oggi le
ipotesi maturate riguardo i meccanismi lesionali derivano dall’analisi di
alcuni parametri misurati a livello muscolare (come attivazione EMG,
allungamento, momento meccanico in flessione) durante le attività
considerate maggiormente a rischio: la corsa ad alta velocità e i calci, ossia
movimenti espressione dei due tipi di infortunio descritti in precedenza, il
Tipo 1 detto sprint-related e il Tipo 2 detto stretch-related.
Questa divisione, proposta da Askling et al., è già di per sé un primo modo
per differenziare i meccanismi lesivi, ma è importante approfondire le
peculiarità biomeccaniche dei due movimenti.
Il Tipo 2 è una lesione dovuta ad un eccessivo
e potente allungamento delle fibre muscolari:
questo allungamento deriva dall’associazione
di una importante flessione di anca ed
estensione di ginocchio in maniera esplosiva,
esattamente ciò che avviene ad esempio
durante il movimento di calcio o di high
kicking (figura 3).
Figura 3
15
Un altro movimento, o azione di
gioco, associato ad una lesione di
tipo 2 è quello di raccogliere il
pallone da terra durante la corsa
(Worth): durante un’azione del
genere
Figura 4
possiamo
osservare
un’anca in flessione con gli
ischiocrurali
tesi
per
via
dell’azione di corsa (figura 4). È un movimento che associa lo stress imposto
dalla corsa allo stress imposto da un allungamento, ed è spesso osservabile
sport come rugby e football Australiano. Proprio in quest’ultimo è il
movimento che causa il maggior numero di infortuni.
Chiaramente le componenti di flessione ed estensione da sole non bastano a
generare la lesione, altrimenti ogni movimento fuori dal normale si
tradurrebbe in un infortunio, ma vanno considerate altre variabili come la
fatica accumulata, o la successione ravvicinata di eventi stressanti l’apparato
muscolare, entrambi con la conseguenza di una riduzione della tolleranza al
carico dei muscoli interessati.
Le dinamiche degli sprint-related HSI, Tipo 1, sono invece di più difficile
comprensione e vanno di pari passo con l’analisi del ciclo della corsa e del
comportamento dei muscoli durante la stessa.
Nell’immagine seguente possiamo osservare il ciclo della corsa, composto
di 2 fasi principali: oscillazione (A, B, C) e appoggio (D, E, F), dette anche
swing e stance, suddivise ciascuna in 3 sottofasi:
Figura 5 - running gait cycle
16
•
A – Initial Swing, la fase iniziale dell’oscillazione dove si raggiunge la
massima estensione dell’anca.
•
B – Mid swing, o anche fase di recupero, dove l’arto viene “raccolto” con
massima flessione del ginocchio per essere poi portato in avanti.
•
C – Late swing, la fase finale dell’oscillazione dove il ginocchio si estende
e il piede si prepara a prendere contatto con il suolo.
•
D – Early stance, appoggio iniziale dove il piede prende contatto con il
terreno.
•
E – Mid stance, dove il piede si trova in linea con il centro di massa del
corpo.
•
F – Late stance o take off, la fase di propulsione in avanti prima che il piede
perda contatto con il suolo.
Tra queste le fasi critiche sono 3: C late swing, D early stance, F late stance.
Le possiamo vedere meglio nella seguente immagine ed analizzarle più
approfonditamente.
La fase di late stance è
sicuramente quella con
il rischio minore in
quanto, se è vero che le
analisi dimostrano una
attivazione importante
della
muscolatura
flessoria per permettere
Figura 6
l’estensione d’anca e la propulsione in avanti, è anche vero che in primo
luogo questa è possibile principalmente grazie dall’azione del grande gluteo,
motore primario, in secondo luogo in questa fase gli ischiocrurali lavorano
in una posizione di accorciamento, meno rischiosa per lo sviluppo di una
lesione da stiramento.
17
Le due fasi più rischiose sono decisamente la early stance e la late swing,
che a prima vista possono sembrare simili ma rappresentano due momenti
molto diversi dal punto di vista delle forze in gioco.
La fase di late swing rappresenta la fase di allungamento attivo, ossia la fase
in cui si assiste allo sviluppo di tensione interna nel muscolo mentre questo
continua il suo allungamento, dunque a tutti gli effetti una contrazione
eccentrica. In questa fase gli hamstring devono controllare l’eccessiva
estensione di ginocchio. Secondo Garret e Lieber questa è la fase più
suscettibile ad una lesione.
Mann et al. invece indicano come più suscettibile la fase di early stance
poiché questo è l’istante in cui si assiste ad una repentina inversione della
forza esercitata dagli ischiocrurali nel momento in cui il piede prende
contato con il suolo: si passa infatti da una contrazione eccentrica ad una
concentrica per continuare il movimento in avanti del corpo.
Entrambe le teorie sono valide e gli studi presenti in letteratura, che si
basano su una analisi cinematica ed elettromiografica della corsa,
confermano le elevate forze in gioco in queste due fasi. Sembrerebbe
comunque che la fase di late swing sia quella di maggior rischio, con i livelli
maggiori di attivazione EMG e di stress esercitato sugli hamstring. Inoltre
nei tre studi in cui si è direttamente assistito ad un evento lesivo, ciò è
avvenuto nella fase di late swing, avvalorando questa ipotesi.
Questa breve descrizione dei meccanismi di infortunio ci sarà estremamente
utile per comprendere le future strategie riabilitative e preventive da
adottare, in modo tale da preparare gli atleti alle richieste funzionali dei
rispettivi sport.
FATTORI DI RISCHIO
Oltre al maccanismo di infortunio è essenziale essere a conoscenza ed avere
consapevolezza di qual fattori di rischio esistono per lo sviluppo di un
infortunio e quali sono i più significativi. Numerosi studi hanno cercato di
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investigare la relazione tra evento lesivo e possibile esposizione ad un
fattore di rischio ma, nonostante ciò, le certezze restano poche e i dubbi
molti, principalmente perché andare a studiare un singolo fattore di rischio
isolato è un compito particolarmente complesso dato che bisogna tenere in
considerazione che l’infortunio muscolare è un evento causato da una
molteplicità di elementi che si influenzano l’uno con l’altro. I fattori di
rischio proposti nel corso degli anni nell’ambito degli HSI sono molti; solo
alcuni di questi sono evidence-based mentre altri, la maggior parte, sono
theory-based, dunque basati su teorie derivanti dallo studio della
biomeccanica o delle proprietà intrinseche del muscolo, ma hanno prove di
efficacia contrastanti a supporto.
Vengono distinti in due categorie principali: fattori di rischio non
modificabili, che non sono sotto il diretto controllo dell’atleta e su questi
non si può agire attivamente per modificarli; fattori di rischio modificabili,
che possono essere modificati attraverso interventi diretti con l’obiettivo di
ridurre il loro impatto sull’evento.
Fattori di rischio non modificabili
I fattori di rischio non modificabili sembrano essere quelli col maggiore
impatto verso lo sviluppo di un HSI. I numerosi studi presenti in letteratura
sono concordi nell’affermare che l’età avanzata e un precedente infortunio
all’arto inferiore (HSI, LCA, lesione del tricipite surale, distorsione di
caviglia) sono i più importanti fattori di rischio, gli unici con una
comprovata evidenza scientifica. Altri fattori di rischio non modificabili
studiati in letteratura sono etnia, altezza, precedenti infortuni al quadricipite,
precedenti lesioni agli adduttori, storia di low back pain, ma non sembrano
esserci particolari evidenze a riguardo.
Età
Parlare di età avanzata quando facciamo riferimento alla popolazione
trattata in questo ambito può sembrare un paradosso. Infatti se è vero che
per un atleta, in linea di massima, un’età avanzata potrebbe essere quella dai
19
30 anni in su, è anche vero che dagli studi emerge come perfino un’età
intorno ai 24 o 25 anni possa influenzare negativamente la “resistenza” a
questo tipo di infortuni.
Questo ci suggerisce che il termine “età avanzata” nasconde in realtà un
aspetto ben più importante del semplice invecchiamento dei tessuti, e quindi
dell’età biologica; un aspetto che ritroveremo più avanti trattando dei fattori
di rischio modificabili: l’esposizione al carico di lavoro.
Infatti possiamo dire che l’età correla direttamente con l’esposizione al
lavoro in quanto, in un atleta, man mano che la sua carriera progredisce,
aumenta il numero totale di partite giocate, di allenamenti e, più in generale,
il numero di elementi stressanti l’apparato muscoloscheletrico. In
quest’ottica più tempo passa e più aumentano le sue probabilità di incorrere
in un infortunio, soprattutto considerando che a livello professionistico
piccole differenze di età spesso rappresentano enormi differenze dal punto
di vista dell’esposizione, in particolar modo osservando i calendari sportivi
al giorno d’oggi, con competizioni sempre più ravvicinate e ritmi di lavoro
sempre più serrati.
Ovviamente, per quanto in misura minore, anche l’effettivo invecchiamento
dei tessuti è da tenere in considerazione. Atleti più avanti con l’età
sperimentano cambiamenti di natura biologica che aumentano le probabilità
di infortunio, come cambiamenti strutturali (alterazioni dell’architettura
muscolare, del tipo di fibre che popolano i fasci muscolari, riduzione
dell’elasticità e riduzione dell’area trasversale del muscolo) e neurologici
(denervazione di unità motorie ad alta soglia).
Storia di precedenti infortuni
È dimostrato che atleti con una storia di HSI hanno una probabilità maggiore
di 2,7 volte di sviluppare una successiva lesione rispetto ad atleti senza
infortuni precedenti, e il rischio aumenta in modo esponenziale (circa 5
volte) se l’infortunio è avvenuto recentemente (entro un anno).
20
Inoltre non sono rari i casi in cui la guarigione dei tessuti non è perfettamente
valida, con deficit a volte persistenti relativi a lunghezza muscolare e di
attivazione
nervosa
alla
contrazione
volontaria.
Questi
deficit
sembrerebbero essere il motivo per cui spesso si registra un livello inferiore
di forza negli ischiocrurali che hanno subito l’infortunio e potrebbero
aumentare il rischio di un nuovo evento lesivo, rappresentando un ostacolo
per il funzionamento ottimale della muscolatura interessata che si
ritroverebbe con una ridotta capacità di sopportazione di stress di elevata
entità.
Anche precedenti infortuni del legamento crociato anteriore (ACL) e lesioni
muscolari del tricipite surale (gastrocnemio e soleo) correlano con un
maggior rischio di HSI: difatti l’aumento del rischio si attesta
rispettivamente intorno al 70% e al 50%. I meccanismi responsabili di
questo aumento del rischio non sono chiari, ma si pensa che questi infortuni
possano contribuire a una ridotta propriocezione, alterazione della
meccanica di corsa, deficit di forza e fattori psicologici, tutti elementi che
potrebbero influire negativamente sulla funzione degli hamstring. Da qui si
denota l’importanza della riabilitazione e delle corrette tempistiche per il
return to sport da applicare a tutti i tipi di infortunio, per ridurre al minimo
i possibili fattori negativi.
Fattori di rischio modificabili
I fattori di rischio modificabili proposti in letteratura sono moltissimi, ma ci
limiteremo ad analizzare quelli più studiati e significativi: flessibilità, forza,
potenza ed esplosività, fatica, riscaldamento, carico di lavoro.
Flessibilità
Una ridotta flessibilità è stata più volte proposta come uno dei principali
fattori di rischio per gli HSI. Questa idea deriva da una associazione
abbastanza intuitiva: un muscolo poco flessibile, nel momento in cui viene
sottoposto ad un allungamento improvviso, potrebbe più facilmente
raggiungere una lunghezza capace di procurare una lesione da stiramento.
21
Dal punto di vista biomeccanico la teoria è valida, ma si scontra con i
risultati degli studi prodotti a riguardo, dove l’associazione tra un ridotto
ROM attivo o passivo e l’incidenza delle lesioni degli ischiocrurali è
controversa. I risultati infatti sono incoerenti, probabilmente per via della
difficoltà nell’isolare il singolo fattore di rischio, ma il ruolo determinante
di una buona flessibilità e mobilità sembrerebbe comunque essere più
significativo per le lesioni stretch-related piuttosto che per quelle sprintrelated ed è consigliabile inserire un protocollo di miglioramento di queste
qualità all’interno di un più vasto programma di prevenzione o di
trattamento.
Forza
La forza muscolare degli ischiocrurali è il fattore di rischio più studiato
assieme alla flessibilità e sul suo sviluppo si basano i principali protocolli di
prevenzione. Quando si fa riferimento alla forza vengono prese in
considerazione 3 qualità: la forza assoluta, il rapporto tra forza dei flessori
e degli estensori (definito rapporto ischiocrurali:quadricipite), il rapporto tra
forza dell’arto sinistro e arto destro.
La letteratura, nonostante anche qui non ci dia risposte certe, sembrerebbe
confermare un certo tipo di associazione tra le qualità indagate e il rischio
di infortunio. I programmi mirati al rinforzo degli atleti danno buoni risultati
sulla riduzione dell’incidenza, soprattutto quando integrati con una graduale
esposizione alla corsa sia dal punto di vista del volume che dell’intensità.
Lo squilibrio tra forza degli hamstring dell’arto destro e sinistro non è un
parametro particolarmente rilevante, almeno non quanto il rapporto di forza
tra ischiocrurali e quadricipite, che necessita comunque di maggior
standardizzazione per quanto riguarda la sua misurazione se si vuole
ricavarne un valore davvero significativo.
Relativamente alla forza assoluta degli ischiocrurali questa viene misurata
attraverso contrazione concentrica, isometrica ed eccentrica. L’esercizio
maggiormente utilizzato per valutare una ridotta forza della muscolatura
22
flessoria è il Nordic Hamstring Exercise (NHE). Infatti deficit di forza
all’esecuzione di questo esercizio potrebbero essere correlati a una maggior
probabilità di infortunio e, secondo alcuni autori, la sua sola
implementazione all’interno dei protocolli di prevenzione permetterebbe di
ridurre in modo importante l’incidenza delle lesioni da stiramento. I
vantaggi del NHE consistono nella sua capacità di riuscire ad allenare
intensamente, in isolamento, la forza degli ischiocrurali in tutto il loro range
di allungamento, dunque di sviluppare un elevata resistenza tensile allo
stiramento in eccentrica, dove si suppone il muscolo sia più debole. Inoltre
si tratta di un esercizio che non richiede una particolare strumentazione,
tant’è che viene impiegato come principale esercizio di rinforzo on-field,
ossia stesso sui campi, anche nei più giovani.
Esplosività e capacità balistiche
Dalle revisioni sistematiche emerge che alcuni parametri misurati durante
alcuni movimenti esplosivi e balistici siano associati all’incidenza degli
HSI. In particolare una bassa distanza di un single leg hop (salto in avanti
su una gamba, con atterraggio sulla stessa) e un’elevata differenza
percentuale tra salto con contromovimento (CMJ) e salto senza
contromovimento (NCMJ) sono risultati fattori associati, anche se in misura
limitata, ad un aumentato rischio di infortunio. Ciò sottolinea l’importanza
dell’allenamento dell’esplosività degli arti inferiori.
Fatica e riscaldamento
L’idea che l’affaticamento sia un fattore di rischio deriva dalla tesi proposta
da alcuni studi che afferma che la maggior parte degli eventi lesivi avviene
nelle fasi finali di una gara. Si è visto che un muscolo affaticato necessita di
un allungamento maggiore per produrre la forza contrattile che un muscolo
non affaticato produrrebbe a lunghezze minori, per cui sarebbe più esposto
a un danno da stiramento.
Allo stesso modo un riscaldamento inadeguato è considerato un possibile
fattore di rischio poiché alcuni autori riportano un alto numero di infortuni
nelle prime fasi di una gara. La teoria secondo cui un buon riscaldamento
23
serva a preparare il muscolo allo sforzo attraverso l’incremento della sua
temperatura con conseguente aumento della lunghezza ed elasticità non
sembra però essere supportata dalle evidenze scientifiche. Gillette et al.
dimostrano come un riscaldamento di 20 minuti possa sì aumentare la
temperatura generale del corpo e dei tessuti, ma non ha effetti sulla
flessibilità e sulle caratteristiche tensili del muscolo. Il riscaldamento
potrebbe avere un effetto psicologico positivo e di incremento della
funzionalità delle articolazioni, piuttosto che meccanico a livello muscolare,
e quindi aumentare la prontezza dell’atleta al gesto sportivo contribuendo a
ridurre l’incidenza degli infortuni.
Esposizione al carico di lavoro
Ancora più importante della fatica all’interno della stessa gara è l’accumulo
di lavoro, e quindi di affaticamento, in un’ottica più generale. L’incidenza
degli HSI è infatti correlata con certezza ad un’elevata esposizione alla
corsa, all’intensità di questa e alla frequenza: un recupero ridotto tra le gare
e un fitto calendario di allenamenti all’interno di un periodo di tempo
limitato sono stati associati ad una maggior rischio di infortunio.
Il carico di lavoro risulta un fattore ancora più decisivo, in negativo, quando
si osserva un aumento esponenziale di questo in un breve periodo di tempo
(7-14 giorni), evidenziando l’importanza di una graduale esposizione allo
stress per indurre adattamenti positivi nel corpo.
Interdipendenza dei fattori di rischio
Tutti i fattori citati si influenzano gli uni con gli altri e influenzano insieme,
e non isolatamente, il rischio di infortunio. Forza, flessibilità ed esplosività
in particolare sono elementi mutevoli e sono soggetti a cambiamenti più o
meno importanti anche in brevi periodi di tempo a causa della loro profonda
relazione con numerose variabili: fatica, sonno, carico di lavoro, capacità di
adattamento del singolo individuo, fattori psicologici. Per questo motivo
piuttosto che misurazioni una tantum, in occasione ad esempio della preseason o all’inizio della stagione competitiva, andrebbe implementata una
metodologia che preveda la misurazione di queste qualità in modo continuo,
24
attraverso strumenti come il Velocity Based Training, basato sulla curva
Forza-Velocità. In questo modo le nostre capacità di monitorare e valutare
il livello effettivo di preparazione e readiness dell’atleta aumentano
considerevolmente, aiutandoci nella valutazione del rischio di infortunio in
un setting di preparazione atletica o dell’eventuale prontezza al ritorno allo
sport in setting riabilitativo.
Figura 7 - curva forza-potenza-velocità
25
LA GESTIONE DELL’INFORTUNIO
Il paziente che subisce una lesione muscolare degli ischiocrurali sperimenta
tipicamente insorgenza improvvisa di dolore posteriormente alla coscia, di
solito durante attività sportive che coinvolgono la corsa o movimenti
esplosivi degli arti inferiori, accompagnato in alcuni casi ad un rumore
sordo. Nella maggior parte dei casi il dolore obbliga l’interruzione
dell’attività e può esitare in una riduzione più o meno importante della
funzionalità dell’arto inferiore in base alla gravità del danno.
La presentazione del paziente che ha subito un HSI è tipica e difficilmente
può essere confusa con altre patologie, ma in ogni caso è bene ricordare le
possibili alternative che entrano nella diagnosi differenziale:
•
Lesione da stiramento degli ischiocrurali
•
Tendinopatia dell’inserzione prossimale degli ischiocrurali
•
Lesioni da trauma diretto (contusioni)
•
Lesione muscolare degli adduttori
•
Radicolopatia lombare
•
Patologie dell’anca
Una prima valutazione approssimativa dovrà essere effettuata quindi per
escludere queste patologie e confermare l’evento lesivo a carico degli
ischiocrurali. Nella fase immediatamente successiva all’infortunio non può
essere effettuata una valutazione accurata in quanto le caratteristiche del
dolore e dell’infiammazione acuta non permetterebbero di avere risultati
particolarmente indicativi riguardo l’effettiva entità e caratteristiche della
lesione. L’esame obiettivo e le eventuali indagini diagnostiche dovranno
quindi essere rimandate al termine di questa fase e potranno permetterci di
classificare, in base alla classificazione di Monaco, la lesione muscolare
(vedi Tabella 1): lesioni incomplete (3a e 3b), lesioni complete (4).
26
ESAME OBIETTIVO E VALUTAZIONE CLINICA
La valutazione inizia con l’anamnesi, che ci aiuterà a comprendere il
meccanismo che ha determinato la lesione, e dunque il tipo di infortunio, il
livello di dolore riferito (attraverso la scala VAS o NPRS) e soprattutto la
storia clinica in quanto abbiamo visto come un precedente infortunio (HSI,
LCA o lesione del tricipite surale) possono essere importanti fattori di
rischio per il recupero e il ritorno allo sport. Nei casi gravi il paziente
potrebbe inoltre riferire dolore in posizione seduta, a livello della tuberosità
ischiatica, suggerendoci una possibile lesione con avulsione tendinea
prossimale.
In seguito si potrà procedere con l’esame obiettivo attraverso la palpazione
e la valutazione di forza e ROM.
Palpazione dell’area infortunata: attraverso questa potremmo apprezzare
la presenza o meno di alterazioni della muscolatura (masse anomale o zone
di vuoto), nonché il dolore al tocco. Osserveremo inoltre la presenza
eventuale di edema o ematoma.
ROM: i range di movimento attivo e passivo di anca e ginocchio ci aiutano
a determinare la flessibilità residua dei muscoli coinvolti e la loro tolleranza
all’allungamento. Il dolore influisce negativamente sulla valutazione di
questo parametro, per questo motivo è importante effettuare l’esame
obiettivo al termine della fase immediatamente successiva all’infortunio. Il
ROM
dell’arto
leso
verrà
confrontato con quello dell’arto
sano attraverso la misurazione
di:
estensione
passiva
di
ginocchio ad anca estesa, flessa
a 90° e in massima flessione;
estensione attiva di ginocchio ad
anca estesa, flessa a 90° (A) e in
massima flessione (B)
Figura 8 - a sinistra il test A, a destra il test B
27
Forza: questo parametro è misurato di solito attraverso l’esecuzione di
contrazioni isometriche. Gli strumenti utilizzabili per queste misurazioni
possono essere delle scale di valutazione (TMM), ma si consiglia l’utilizzo
di apparecchi come il dinamometro. Al paziente può essere richiesto di
valutare il dolore durante la contrazione, sempre attraverso scala VAS o
NPRS. Vista la natura biarticolare degli ischiocrurali dovranno essere
valutati i movimenti al ginocchio e all’anca, sia in posizione prona che
supina. Un approfondimento aggiuntivo potrebbe includere movimenti con
tibia ruotata esternamente o internamente, per differenziare tra bicipite
femorale o semitendinoso e semimembranoso.
Nelle immagini possiamo
vedere
la
misurazione
effettuata con dinamometro
della forza di flessione del
ginocchio,
in
posizione
prona con anca estesa e
Figura 9 – sopra la rilevazione della forza in flessione, in
basso la rilevazione della forza in estensione
supina con anca flessa, e
della forza di estensione
dell’anca,
in
posizione
prona con anca flessa e
supina con anca estesa.
Inoltre una valutazione della
funzionalità dell’arto inferiore è necessaria per capire cosa può e non può
fare il nostro paziente, in vista del programma riabilitativo. Potremo
osservare la deambulazione, la stazione eretta e il controllo del tronco e
chiedere di svolgere alcuni movimenti per comprendere quali sono più
provocativi e quali meno.
Al termine dell’esame obiettivo dovremmo essere in grado di effettuare una
classificazione clinica della lesione, basandoci sui dati raccolti, con la
28
consapevolezza di poter andare ad approfondire o meno lo studio attraverso
le indagini di imaging diagnostico. Come detto in precedenza una
classificazione esclusivamente clinica potrà indicarci tre gradi di severità
della lesione:
•
Lesione Lieve – edema di modesta entità, indolenzimento
generalizzato, dolore leggero e localizzato, minima o nessuna
perdita di funzione e forza muscolare.
•
Lesione Moderata – edema importante con dolore più ampio in
localizzazione e intensità, aumentata stiffness, parziale perdita di
funzione e forza che richiede un’interruzione delle attività. Probabile
limitata abilità nel cammino nelle prime 24/48h post infortunio.
•
Lesione Severa – ematoma con dolore importante in area non ben
localizzata, completa perdita di funzione e forza. Possibile difetto
muscolare apprezzabile alla palpazione.
È importante dire che, per quanto utili alla comprensione delle
caratteristiche dell’atleta che abbiamo davanti al fine di fornire un
programma riabilitativo più appropriato possibile, le misurazioni specifiche
di forza e ROM non sembrano avere un ruolo prognostico significativo.
Queste infatti non presentano forti correlazioni con i tempi di recupero in
letteratura, sebbene siano essenziali per definire gli obiettivi da raggiungere
e monitorare la progressione del trattamento. La localizzazione della zona
dolente attraverso la palpazione potrebbe invece essere più utile ai fini
prognostici, con una localizzazione della lesione più vicina alla tuberosità
ischiatica che correla con un tempo di recupero maggiore, anche se pure in
questo caso la letteratura non ci dà risultati certi.
IMAGING DIAGNOSTICO
Le indagini di imaging non sembrano essere necessarie se si sospetta una
lesione lieve. In caso contrario l’approfondimento diagnostico è utile per
definire vari elementi con precisione e può essere effettuata da 2 a 5 giorni
29
dopo l’evento traumatico in quanto è dopo le prime 24/48 ore che la raccolta
edematosa ed emorragica inizia a diminuire.
L’ecografia risulta essere l’indagine elettiva in quanto, nonostante sia
operatore-dipendente e presenti dei limiti relativamente alla accuratezza dei
risultati per le lesioni meno gravi (sensibilità 77%), ha il vantaggio della
facilità di esecuzione e del basso costo. L’ecografia resta comunque molto
sensibile per le lesioni maggiori (93%) e riesce a darci informazioni
importanti quali l’ampiezza (o estensione) del danno, che è correlata con la
gravità e il tempo di recupero, e le strutture coinvolte. In caso fosse richiesta,
però, maggior precisione la RMN ci dà un livello di dettaglio decisamente
maggiore, soprattutto per le strutture più profonde, e consente di rilevare
anche cambiamenti minimi con una sensibilità anche per lesioni non
strutturali del 92%. La RMN può definire con accuratezza le variazioni di
volume, struttura e intensità del segnale del muscolo, definisce
adeguatamente l’entità della lesione ed è molto sensibile nella rilevazione
di edema all’interno dei fasci muscolari.
Relativamente all’utilità prognostica abbiamo sicuramente alti livelli di
evidenza per quanto riguarda l’ampiezza del danno: maggiore è l’area di
muscolo interessata (lunghezza e area trasversa del danno) maggiore la
gravità e il tempo di recupero. Nei casi di lesioni incomplete (3a e 3b) le
strutture coinvolte non sembrano essere un fattore particolarmente
significativo per stimare i tempi di guarigione, fatta eccezione per il
coinvolgimento dei tendini, nello specifico il tendine intramuscolare, che
potrebbe esitare in recuperi più lunghi, ma sono necessarie ulteriori ricerche
per definire con certezza questa associazione. Per le lesioni complete (4)
l’imaging è necessario ai fini prognostici in quanto può discriminare tra
avulsione tendinea prossimale, decisamente più grave, e lesione muscolare
completa. Le tecniche di imaging possono inoltre dirci con precisione la
localizzazione della lesione che, come detto prima potrebbe essere un fattore
correlato al recupero.
30
In definitiva l’ecografia è l’approccio più economico e rapido, ma in virtù
della minor sensibilità e funzionalità dovrebbe essere sostituito, o
quantomeno combinato, all’utilizzo della risonanza magnetica in particolari
casi: lesioni non strutturali, lesioni in cui esame clinico ed ecografia sono
discordanti, valutazione di muscoli profondi o sospetto coinvolgimento o
avulsione tendinea.
TEMPI DI RECUPERO
I tempi di recupero sono molto difficili da prevedere in quanto oltre al tipo
e al grado di infortunio, come abbiamo visto gli altri elementi sono fattori
prognostici non del tutto chiari e la loro influenza può variare in base a
numerose variabili interpersonali. In linea generale possiamo dire che i
tempi di recupero per una lesione lieve, grado 3a, che coinvolge
principalmente il muscolo si aggirano intorno alle 3-4 settimane, mentre le
lesioni moderate, grado 3b, vanno dalle 4 alle 8 settimane, in base
all’estensione del danno e al coinvolgimento del tessuto tendineo. Le
lesioni complete, grado 4, possono richiedere dai 2 ai 4 mesi.
I possibili tempi di recupero devono essere riferiti al paziente, ma bisogna
essere chiari nel dire che questi sono solo indicativi e non tengono conto di
diversi fattori che entrano in gioco durante la riabilitazione, per prevenire
eventuali effetti psicologici negativi derivanti da aspettative di recupero
non soddisfatte.
LA GESTIONE IN FASE ACUTA :
IL PROTOCOLLO
PEACE & LOVE
Questa rappresenta il primo momento di intervento per la gestione delle
lesioni muscolari, dove dovranno essere messe in campo le strategie per
ridurre la sintomatologia tipica di questa fase, che dura in media 2-3 giorni
dal momento dell’infortunio. Questo è un passaggio importantissimo per il
recupero in quanto una cattiva gestione ritarda l’intervento riabilitativo e
dunque una corretta e più rapida guarigione.
31
Gli obiettivi di questa fase sono la riduzione dell’edema, del gonfiore e del
dolore. Negli anni si sono susseguiti diversi protocolli da applicare, tra cui
il protocollo RICE, PRICE e POLICE fino ad arrivare al protocollo PEACE
& LOVE proposto da Dubois ed Esculier che prende in considerazione
diversi aspetti della gestione dell’infortunio con una visione più ampia della
presa in carico del paziente. Tiene a mente infatti il continuum riabilitativo
dall’assistenza immediata, che si compendia nell’acronimo PEACE, alla
successiva gestione nell’acronimo LOVE.
Nella fase immediatamente successiva la cosa importante ed evitare di
causare un ulteriore danno, e l’acronimo PEACE ci guida con:
• Protezione – ridurre il movimento dell’arto nei primi 1-2 giorni per
evitare ulteriore danno alle fibre muscolari e minimizzare il
sanguinamento. Il riposo totale dovrebbe essere comunque evitato o
tenuto al minimo in quanto, se prolungato può compromettere la qualità
della guarigione tissutale. Il dolore dovrebbe essere l’elemento guida
della protezione.
• Elevazione – l’elevazione dell’arto, al di sopra del livello del cuore,
permette di scaricare l’arto e promuovere il ritorno venoso ed il flusso
di liquidi interstiziali nel tessuto muscolare.
• Abbandonare gli antiinfiammatori – le varie fasi dell’infiammazione
sono importanti e aiutano a riparare il tessuto leso. Inibire
l’infiammazione attraverso l’utilizzo di medicinali significa influenzare
negativamente la guarigione sul lungo termine. A questo proposito
anche l’utilizzo del ghiaccio (crioterapia), consigliato nei protocolli
nominati in precedenza, potrebbe essere negativo. Non ci sono evidenze
significative sull’efficacia della crioterapia nel trattamento delle lesioni
dei tessuti molli e, nonostante la sua azione analgesica, il ghiaccio
potrebbe ostacolare i normali processi dell’infiammazione, comprese
l’angiogenesi e la rivascolarizzazione, con una potenziale guarigione
incompleta e sintesi eccessiva di fibre collagene.
32
• Compressione – la pressione meccanica derivante dalla compressione,
usando tape o bende elastiche aiuta a limitare l’edema, il gonfiore e
l’emorragia tissutale.
• Educazione – l’aspetto psicologico non è da sottovalutare, per cui i
terapisti dovrebbero educare il paziente riguardo i benefici di un
recupero attivo, sulle aspettative e i possibili tempi di guarigione. Inoltre
incoraggiare il paziente ad avere un approccio attivo alla riabilitazione
aiuta ad evitare un atteggiamento terapista-dipendente.
Dopo i primi giorni l’acronimo LOVE ci indica in linea generale la strada
per fornire un trattamento efficace, da personalizzare poi in base alle
esigenze del nostro paziente:
• Load (carico) – movimento attivo e carico ottimale, dunque progressivo
sono i capisaldi del trattamento per i pazienti con patologie
muscoloscheletriche. Lo stress meccanico dato dal movimento deve
essere reintrodotto quanto prima, non appena il dolore lo permette, così
come le attività quotidiane. Il carico progressivo, senza andare ad
esacerbare
il
dolore,
promuove
la
riparazione
tissutale,
il
rimodellamento e la tolleranza di tendini, muscoli e legamenti.
• Ottimismo – aspettative e approccio positivo sono associate a migliori
outcomes, mentre fattori psicologici negativi come pessimismo e
pensiero catastrofico rappresentano barriere per il recupero. Da questo
punto di vista l’educazione gioca ancora un ruolo chiave, e spiegare che
il decorso non segue sempre una traiettoria lineare è essenziale per
aiutare il paziente ad affrontare con positività eventuali fasi di
regressione.
• Vascolarizzazione – L’attività cardiovascolare rappresenta un aspetto
importante e l’attività aerobica, di qualsiasi tipo, dovrebbe essere
iniziata il prima possibile per determinare adattamenti positivi del
sistema cardiaco e incrementare il flusso sanguigno verso le strutture
33
lese. Inoltre l’esercizio cardiovascolare ha un effetto antidolorifico,
riducendo il bisogno di medicinali e permettendo un ritorno più rapido
alle attività quotidiane.
• Esercizio – la chiave di volta per un recupero ottimale è rappresentata
dall’utilizzo dell’esercizio terapeutico, sia per ridurre i tempi di
guarigione sia per ridurre le recidive. L’esercizio aiuta a ripristinare la
mobilità, la forza e la propriocezione e dovrebbe essere impiegato dalle
prime fasi del processo riabilitativo. L’esercizio può essere svolto anche
in caso di dolore, se questo resta entro certi limiti come vedremo
successivamente, e dovrà essere progressivo.
L’ALTERNATIVA CHIRURGICA :
LE LESIONI CON AVULSIONE
Nei casi in cui l’esame clinico ci suggerisca una possibile lesione completa
è necessario l’approfondimento diagnostico per valutare l’eventualità di una
avulsione tendinea o di una frattura di avulsione. Infatti, se per la
maggioranza delle lesioni degli hamstring la fisioterapia risulta essere la
strategia migliore, le avulsioni tendinee con o senza frattura della tuberosità
ischiatica richiedono spesso il trattamento chirurgico, che garantisce buoni
risultati soprattutto se l’intervento è effettuato precocemente.
Avulsione tendinea
Mentre la radiografia è l’indagine utile a scongiurare una frattura da
avulsione, la risonanza magnetica va effettuata per valutare la possibile
avulsione tendinea e ci permette di riconoscere il sito esatto della lesione,
quantificare il numero di tendini coinvolti e il loro grado di retrazione oltre
che il coinvolgimento nervoso. Le indicazioni principali per il trattamento
chirurgico sono infatti la avulsione di tutti e 3 i tendini prossimali, una
retrazione tendinea maggiore di 2,5cm e l’interessamento del nervo sciatico,
anche se si tratta di un’evenienza abbastanza rara.
34
Il trattamento chirurgico è effettuato attraverso chirurgia a cielo aperto o
endoscopica attraverso l’utilizzo di ancoraggi per il fissaggio diretto dei
tendini sul loro punto originario di inserzione a livello della tuberosità
ischiatica.
L’incidenza della rottura dei
punti di ancoraggio è bassa
(2,7% - 3%) ad un follow up
di 12 mesi. Per quanto
riguarda il ritorno all’attività
Wood et al. riportano, a due
anni
di
follow-up,
un
recupero in media dell’84%
dei livelli di forza preinfortunio e dell’89% per i
Figura 10 - intervento di re-inserzione tendinea
livelli di endurance muscolare, con l’80% dei pazienti che sono ritornati alle
attività pre-infortunio a 6 mesi dall’intervento. La prognosi è peggiore solo
nei casi di retrazioni severe o danni al nervo sciatico in quanto richiedono
tecniche di riparazione più impegnative.
Frattura da Avulsione della tuberosità ischiatica
In confronto alle avulsioni tendinee le fratture da avulsione sono meno
frequenti rappresentando dal 1,4% al 4% delle lesioni degli ischiocrurali.
Gli infortuni di questo tipo tendono a presentarsi in genere nei giovani atleti
dai 13 ai 16 anni: durante il periodo puberale si osserva infatti la comparsa
del centro di ossificazione secondario, che completerà la sua maturazione
solo nella tarda adolescenza. Per questo motivo l’apofisi ischiatica,
nell’adolescente, rappresenta il punto debole della catena muscolo-tendineosso.
Le fratture da avulsione, quando la dislocazione del frammento osseo è
minore di 1cm, possono essere trattate conservativamente con tutori che
permettono di limitare i movimenti di estensione e flessione a livello
dell’anca. La chirurgia è invece indicata quando la dislocazione del
35
frammento osseo è maggiore di 1cm o in caso di problemi riscontrati nel
corso del trattamento conservativo (mancato o ritardato consolidamento dei
due capi ossei). Le complicanze relative ad una frattura da avulsione gestita
in modo improprio possono essere: dolore cronico durante il cammino o da
seduti, impossibilità di ritornare all’attività praticata precedentemente
all’infortunio.
La procedura standard per la chirurgia consiste nella riduzione e fissazione
dei due frammenti ossei attraverso innesto autologo di tessuto osseo
prelevato dal grande trocantere o dalla cresta iliaca posteriore, con buoni
risultati e un ritorno alle attività pre-infortunio entro un anno dalla chirurgia.
36
IL TRATTAMENTO E LA RIABILITAZIONE DEGLI HSI
Il trattamento riabilitativo dovrebbe essere iniziato quanto prima, appena il
dolore e la sintomatologia della fase acuta lo consentono, in quanto il
trattamento precoce ci permette di scongiurare eventualità come riduzione
del tono-trofismo muscolare, migliorare l’approccio psicologico del
paziente verso il movimento e il dolore, nonché avere risultati migliori
relativamente ai tempi di recupero. Si consiglia dunque di iniziare il
protocollo riabilitativo attraverso mobilizzazioni, movimento attivo ed
esercizio a carico progressivo già dopo i primi 2 giorni laddove possibile,
altrimenti comunque entro la settimana.
Prima di descrivere il trattamento nello specifico è interessante considerare
la relazione che esiste tra dolore, esercizio e recupero. Un recente studio di
Hickey et al. ha messo in evidenza come il dolore, quando entro certi limiti,
non sia un elemento sufficiente per impedire la progressione e la
sospensione dell’esercizio a scopi riabilitativi. Lo studio consisteva nel
mettere a confronto due protocolli riabilitativi uguali basati su esercizi e
corsa con progressioni di intensità e difficoltà: la differenza tra i due
protocolli stava nel fatto che nel primo (pain-free) la progressione di un
esercizio era consentita esclusivamente quando il paziente riusciva a
svolgerlo in assenza di dolore, mentre nel secondo (pain-threshold) le
progressioni erano consentite se nello svolgimento degli esercizi il dolore
restava entro il valore di 4 sulla scala NPRS.
I risultati indicano che, nonostante i tempi di recupero siano relativamente
simili in entrambi i protocolli, gli atleti trattati attraverso il protocollo painthreshold hanno ottenuto un maggior recupero della forza di flessione del
ginocchio e un maggior miglioramento della lunghezza muscolare del
bicipite femorale. A quanto pare dunque l’esposizione al dolore entro una
certa soglia durante la riabilitazione non è controproducente né pericoloso,
anzi sembrerebbe portare dei guadagni, per quanto minimi, sotto certi aspetti
legati al recupero della forza e flessibilità. Educare i pazienti al dolore,
spiegando che non sempre questo corrisponde direttamente ad un danno,
37
riduce le preoccupazioni e le possibili remore che questi potrebbero
sviluppare nei confronti del movimento, elemento chiave nella riabilitazione
dei disordini di natura muscoloscheletrica.
OBIETTIVI DEL PROGRAMMA RIABILITATIVO
Gli obiettivi dei programmi riabilitativi suggeriti dalla letteratura variano in
base agli autori, ma hanno in comune diversi aspetti e si possono dunque
riassumere in 3 fasi principali, ciascuna con dei criteri da soddisfare e che
possono essere sviluppate in diversi modi dal fisioterapista per
personalizzarli in base alle necessità di ciascun paziente.
•
Fase 1 – oltre agli obiettivi propri della fase acuta, in questa fase
andremo a proporre i primi esercizi a bassa intensità che ci
permetteranno di tenere il paziente attivo e caricare il distretto
interessato senza stressarlo. Gli obiettivi per proseguire alla seconda fase
saranno: assenza di anomalie nel cammino, possibilità di correre in
modo blando (jogging) con dolore <4 alla scala NPRS, buona
contrazione isometrica contro resistenza sub-massimale (almeno 4 al
TMM, posizione prona e ginocchio a 90°) con dolore <4 alla scala
NPRS.
•
Fase 2 – detta anche fase di rigenerazione, prevede esercizi di intensità
maggiore e un generale recupero delle funzioni che permette di tornare
a svolgere la maggior parte delle attività quotidiane senza problemi, dal
miglioramento della stabilità del tronco, della forza e flessibilità, alla
corsa. Gli obiettivi di questa fase saranno: forza normale (5 al TMM,
posizione prona e ginocchio a 90°) in una singola contrazione isometrica
massimale con dolore <4 alla scala NPRS, corsa in avanti e all’indietro
ad una intensità <60% della velocità massima con dolore <4 alla scala
NPRS.
•
Fase 3 – detta anche fase funzionale, questa è la fase che porterà il
paziente/atleta al ripristino completo delle funzioni e attività precedenti
(dunque anche al ritorno allo sport) e prevede esercizi ad elevate
38
intensità con ROM completo, corsa, agilità e pliometria. Gli obiettivi di
questa fase saranno affrontati nel paragrafo relativo al return to sport,
ma in linea generale possiamo riassumerli in: ROM e forza simili all’arto
sano, movimenti come corsa alla massima intensità, salti e cambi di
direzione senza dolore.
ELEMENTI DI BASE E PERSONALIZZAZIONE DELLA RIABILITAZIONE
Per la letteratura l’intervento principale per il trattamento delle lesioni
muscolari consiste in un programma di esercizi. Altri tipi di interventi sono
stati studiati da associare all’esercizio fisico, come terapia manuale, terapia
fisica e PRP, ma non ci sono evidenze che supportino l’implementazione di
questi trattamenti.
Il programma di esercizi e attività fisica si basa su alcuni elementi cardine
che potranno essere sviluppati in diverse modalità e progressioni sulla base
della valutazione iniziale dell’atleta e su quelle successive. Queste infatti ci
permetteranno di lavorare sui “punti deboli” del singolo individuo e sulle
sue funzioni più deficitarie quali forza, ROM, scarsa endurance ecc.
Gli elementi di base sono i seguenti:
Corsa
Un ritorno progressivo alla corsa ad alta velocità e allo sprinting è
probabilmente l’aspetto più importante della riabilitazione. Abbiamo visto,
parlando dei fattori di rischio, come l’esposizione alla corsa sia uno dei
fattori principali e riportare gli atleti a correre seguendo delle progressioni
di intensità e volume adeguate risulta di primaria importanza. La corsa è
l’elemento chiave di numerosi sport con alta incidenza di HSI ed è una
attività fondamentale nel repertorio di movimenti dell’essere umano in
quanto ingloba resistenza, forza, equilibrio e capacità coordinative.
La letteratura suggerisce un protocollo composto di 3 fasi di corsa a carico
progressivo, ulteriormente suddiviso in 9 livelli di difficoltà come in tabella,
39
che tiene in considerazione il particolare stress che questa attività pone sul
gruppo muscolare degli ischiocrurali.
TABLE 3
Tabella 3
La prima fase può essere introdotta in modo sicuro già nel momento in cui
l’atleta recupera un cammino normale con minimo dolore, e comprende una
progressione dal jogging leggero (circa 25% dell’intensità massima) fino
una corsa di moderata intensità (circa 40%-50% dell’intensità massima). Il
dolore dovrebbe sempre restare sotto la soglia del 4 su scala NPRS.
Quando l’atleta riesce a correre con intensità moderata si può passare alla
seconda fase della progressione in cui si procederà in modo graduale fino a
raggiungere un intensità di corsa intorno al 70% dell’intensità massima
senza dolore, che ci porterà nella terza ed ultima fase di progressione in cui
l’atleta verrà sottoposto a progressioni di corsa ad elevata intensità fino allo
sprinting (progressioni a step di circa il 5%). Questa è una fase delicata e le
progressioni vanno tarate con cura, la corsa di intensità superiori all’80%
infatti richiedono un forte lavoro in eccentrica da parte degli ischiocrurali.
Quando lo sprinting risulta possibile senza dolore il lavoro non è ancora
concluso: si dovranno infatti inserire dei lavori di esposizione graduale a
queste alte intensità per portare l’atleta ad un return to sport sicuro, evitando
il più possibile picchi di volume per ridurre il rischio di recidive.
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La possibilità di avere accesso a tecnologie sempre più avanzate da parte di
operatori sanitari, coach e atleti può aiutarci molto dal punto di vista del
monitoraggio: accessori indossabili che includono GPS come smartwatch,
app per smartphone e tanti altri strumenti possono essere utilizzati per tenere
traccia del volume di lavoro e i progressi di un paziente.
Esercizio in contrazione eccentrica per gli hamstring
Gli esercizi in eccentrica per gli hamstring sono comunemente utilizzati per
la riabilitazione degli HSI per preparare gli atleti alle richieste della corsa e
per agire sui deficit di forza e sull’architettura del muscolo. L’enfasi posta
su esercizi di questo tipo ha portato gli autori a sviluppare diversi protocolli,
come il “Askling-L protocol” per il trattamento delle lesioni degli
ischiocrurali. Bisogna dire che la componente chiave per il massimo
rinforzo degli ischiocrurali è l’intensità del carico a cui viene sottoposta la
muscolatura nella fase di allungamento e, se prendiamo ad esempio il
protocollo Askling-L, possiamo notare che gli esercizi proposti non caricano
in modo sufficiente i muscoli nella fase eccentrica, o quantomeno non
permettono una progressione abbastanza avanzata dei carichi. Per questo
motivo risulta necessario per il terapista tenere questi protocolli come guida
in una fase inziale, ma svincolarsi da essi e personalizzare il trattamento nel
lungo periodo in modo da preparare l’atleta al meglio per il RTS,
implementando esercizi di intensità sempre maggiore.
L’introduzione degli esercizi eccentrici di intensità maggiori è critica,
perché se introdotti troppo precocemente potrebbero risultare deleteri.
Risulta necessario dunque attendere almeno il raggiungimento della fase 2
del programma riabilitativo, quando il dolore nelle attività come il cammino
e il jogging è risolto e c’è un iniziale recupero della forza.
Una volta inseriti la progressione di questi esercizi può essere effettuata in
sicurezza, basandosi sulla performance individuale, senza preoccuparsi
eccessivamente della presenza di dolore (che deve comunque rimanere sotto
la soglia del 4 su NPRS) o di differenze di forza tra i due arti.
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Un esempio di progressione può essere:
introduzione precoce dello scivolamento eccentrico dei talloni bipodalico,
che può essere introdotto come primo esercizio in quanto facilmente
scalabile e controllabile, e quando l’esecuzione può essere effettuata in
ROM completo e con dolore minimo si può passare alla variante
monopodalica e introdurre il nordic hamstring exercise.
Un approccio progressivo di questo tipo al carico eccentrico ha dimostrato
buoni risultati nell’ottenimento, in tempi relativamente brevi, di ottimi
guadagni di forza e lunghezza del bicipite femorale.
Esercizi di rinforzo dell’estensione di anca
Gli esercizi di estensione dell’anca dovrebbero essere implementati per
caricare gli ischiocrurali in range più ampi. Esercizi sub-massimali possono
essere introdotti precocemente, come l’Askling diver, per poi progredire con
iperstensioni a 45° e stacchi rumeni nella fase 2.
Oltre agli ischiocrurali muscoli come il grande gluteo e gli adduttori vanno
rinforzati in quanto contribuiscono in modo importante alla produzione di
forza nella corsa. Per garantire un sufficiente stimolo verso questi muscoli
vanno preferiti movimenti che non gravino eccessivamente sugli hamstring
attraverso esercizi che prevedano una flessione maggiore di ginocchio,
come ponte o hip thrusts e varianti monopodaliche ed esplosive, che sono
associate a maggiori livelli di forza dell’estensione di anca e miglioramenti
della performance negli atleti sani.
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In figura è illustrato un esempio di progressione degli esercizi eccentrici e
di estensione dell’anca.
Figura 11 – progressioni degli esercizi
Esercizi di flessibilità
Gli esercizi per il miglioramento della flessibilità sono prescritti di frequente
nella riabilitazione degli HSI per agire sui deficit di ROM in flessione di
anca ed estensione di ginocchio comuni dopo questi infortuni. Va detto che
i deficit di ROM si risolvono spesso spontaneamente, in modo graduale,
dopo le prime 2 settimane e dunque un intervento diretto potrebbe non
essere necessario, soprattutto in virtù della presenza degli esercizi di
rinforzo in eccentrica che migliorano comunque la lunghezza muscolare. Gli
esercizi di allungamento potrebbero essere utili nei casi in cui i deficit, anche
minimi, persistano in quanto sono associati con un maggior rischio di
reinfortunio. Per accelerare il recupero del ROM si consigliano dunque
esercizi di stretching passivo 4 volte al giorno già 2/3 giorni dopo
l’infortunio, da unire ad esercizi di mobilità dell’arto inferiore.
Esercizi di agilità e di controllo del tronco
Gli esercizi mirati al miglioramento dell’agilità e della stabilità del tronco
hanno visto una crescita di impiego quando una ricerca dimostrò che a loro
implementazione potesse ridurre il rischio di reinfortunio, nonostante i
risultati di questa non trovarono riscontro in studi successivi.
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Questi esercizi vengono raccolti nell’acronimo PATS (progressive agility
and trunk stability) e si pensa che la loro implementazione possa migliorare
il controllo del tronco e della muscolatura lombo-pelvica permettendo
all’atleta di controllare l’eccessivo allungamento degli hamstring durante i
movimenti più a rischio. Gli esercizi di agilità inoltre espongono l’atleta a
cambi di direzione, accelerazioni, stop improvvisi e cambi di velocità che lo
espongono ai movimenti in cui l’abilità di assorbire e rilasciare in modo
rapido grandi quantità di forza è essenziale.
Nonostante dunque le ricerche non ci diano risultati certi riguardo la loro
implementazione, rappresentano comunque uno strumento importante per
migliorare la qualità delle abilità dell’atleta al RTS.
RIATLETIZZAZIONE: CRITERI PER IL RETURN TO SPORT
Quando tornerò a giocare? È sicuramente la prima domanda che gli atleti si
pongono quando subiscono un infortunio e la loro volontà, così come quello
del coach, squadra e società è di ritornare ad allenarsi e a gareggiare il prima
possibile. La voglia di accorciare il più possibile i tempi di recupero si
scontra con l’interesse dello staff medico e dei fisioterapisti che conoscono
l’importanza di un corretto iter riabilitativo, che sia scrupoloso e mai
affrettato, per far sì che l’atleta torni alla condizione pre-infortunio nel modo
migliore possibile, riducendo al massimo il rischio di recidiva.
Per fare ciò bisogna che l’atleta raggiunga dei criteri al termine del
programma di riabilitazione che attestino la sua effettiva preparazione, ma
purtroppo in letteratura non esistono al momento linee guida standardizzate
per questi criteri, lasciando al singolo fisioterapista o allo staff medico la
decisione che risulta dunque arbitraria e non basata su elementi
scientificamente validi.
Molte sono state le revisioni sistematiche negli ultimi anni che hanno
cercato di portare ordine nel mare magnum di studi che citano questo o
quell’altro parametro per valutare l’atleta, e si spera che basandosi su queste
si possano finalmente sviluppare delle linee guida validate. Di seguito
44
verranno riportati una serie di criteri, i più citati e studiati in letteratura
secondo le revisioni sistematiche, che ci permetteranno di dare il via libera
per il ritorno alla competizione.
•
Assenza di dolore
Questo sembrerebbe essere il criterio più importante per la maggior parte
degli autori, sebbene non tutti siano d’accordo sul fatto che non ci debba
essere alcun tipo di dolore al muscolo. Resta comunque consigliato
procedere con il RTS solo quando si ha completa assenza di dolore durante
la palpazione, i test di ROM attivo e passivo, le attività di corsa e attività
sport specifiche
•
Completa estensibilità muscolare
•
Recupero completo della forza
Un completo recupero della estensibilità e della forza muscolare paragonati
ai livelli pre-infortunio o all’arto sano sono parametri necessari per un
ritorno alla competizione sicuro, essendoci un rischio di recidiva
significativo a 12 mesi quando questi non vengono rispettati. Sebbene non
ci sia ancora un consenso universale su quali siano gli strumenti di
misurazione più idonei per valutarli, il recupero si può considerare completo
se il deficit resta <10% rispetto all’arto sano o ai livelli pre-infortunio.
In letteratura vengono citati principalmente due strumenti per la misurazione
della forza degli ischiocrurali: il dinamometro digitale palmare e il
dinamometro isocinetico. Con quest’ultimo l’impostazione più frequente è
stata quella di 60° al secondo sia in concentrica che in eccentrica per
misurare il rapporto hamstring:quadricipite, con gli autori che suggeriscono
che il deficit tra forza eccentrica degli hamstring e forza concentrica del
quadricipite non deve essere maggiore del 10%. Per la misurazione
dell’estensibilità vengono utilizzati lo straight leg raise test (SLR) o
l’estensione di ginocchio attiva ad anca flessa a 90°; la letteratura in questo
caso non ci indica valori definiti o di cutoff da raggiungere.
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•
Livello di fitness uguale o migliore ai livelli pre-infortunio
•
Esecuzione di sprint massimali
•
Corsa pari a quella dei livelli pre-infortunio
•
Completamento di test sport-specifici
•
Assenza di alterazioni/asimmetrie nei gesti motori
•
Completamento di 2-5 allenamenti con la squadra
Questi rappresentano i criteri di performance funzionale che l’atleta deve
raggiungere, attività che richiedono un’elevata capacità di lavoro degli
ischiocrurali e una buona preparazione atletica generale. Il livello di fitness
deve essere ottimale per non incorrere in problemi legati a stanchezza e
decondizionamento fisico, mentre lo sprint, corsa e test sport specifici
(cambi di direzione, decelerazioni, salti, cambi repentini di velocità ecc)
servono per testare le abilità dell’atleta di soddisfare le esigenze atletiche
che richiede una competizione. Diversi autori inoltre suggeriscono che
l’atleta deve aver completato almeno 2 allenamenti con la squadra.
•
Prontezza individuale dell’atleta al RTS
L’atleta deve sentirsi psicologicamente e fisicamente pronto. La fiducia nei
suoi mezzi e condizione è di vitale importanza per il RTS in quanto
sentimenti come apprensione o ansia possono impattare negativamente sulla
performance e sono associati a rischio di recidiva. A questo proposito il
raggiungimento dei criteri di preparazione fisica nominati in precedenza può
aiutare l’atleta a riacquisire fiducia.
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