UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II” SCUOLA DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA IN FISIOTERAPIA Presidente Dott. Carlo Ruosi POLO DIDATTICO A.O.R.N. Ospedali dei Colli TESI DI LAUREA LE LESIONI DEGLI HAMSTRING: DALLA PREVENZIONE AL RETURN TO SPORT HAMSTRING STRAIN INJURIES: FROM PREVENTION TO RETURN TO SPORT RELATORE: Candidato: Dott.ssa Annamaria Ciriello Daniele Sibillo Matricola M78000640 Anno Accademico 2021/2022 INDICE INTRODUZIONE CAPITOLO 1: Anatomia e Biomeccanica • Anatomia degli ischiocrurali • Biomeccanica: ruolo degli ischiocrurali nelle performance atletiche CAPITOLO 2: Le lesioni degli hamstring • Classificazione • Epidemiologia nello sport • Meccanismi di infortunio • Fattori di rischio CAPITOLO 3: La gestione dell’infortunio • Esame obiettivo e valutazione clinica • Imaging diagnostico • Tempi di recupero • La gestione in fase acuta: il protocollo PEACE & LOVE • L’alternativa chirurgica: le lesioni con avulsione CAPITOLO 4: Il trattamento e la riabilitazione degli HSI • Obiettivi del programma riabilitativo • Elementi di base e personalizzazione della riabiltiazione • Riatletizzazione: criteri per il return to sport • Flywheel training: un nuovo strumento riabilitativo CAPITOLO 5: Il ruolo della prevenzione • I protocolli preventivi e la loro applicazione CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA 1 2 INTRODUZIONE Le lesioni degli ischiocrurali, il gruppo di muscoli flessori posteriori della coscia, sono uno degli infortuni più comuni a carico dell’arto inferiore in numerosi sport, con un’elevata incidenza ed un alto rischio di recidiva. Sono distinti in due tipi principali: • Lesioni da trauma diretto (contusioni, lacerazioni ecc.), dovuti a fattori estrinseci • Lesioni da trauma indiretto, detti Hamstring Strain Injuries (HSI), dovuti a fattori intrinseci, sui quali si concentrerà questo elaborato. Questi infortuni sono piuttosto invalidanti per un atleta, soprattutto se gravi, arrivando a richiedere in media anche più di 28 giorni per la loro guarigione. È facile comprendere come ciò determini un importante effetto negativo non solo sulla salute e performance dell’atleta, ma anche sulle performance del team di appartenenza nonché conseguenze economiche per la società, considerato anche l’alto tasso di recidive. Difatti, secondo un report della Australian Football League (AFL) sulla stagione 2012, le perdite economiche per un club di questa lega possono arrivare fino a $245.842 a stagione per infortuni di questo tipo, un aumento di circa il 71% rispetto ad un simile report effettuato nel 2003. L’importanza che rivestono gli HSI nel mondo sportivo ha portato, nel corso degli anni, a corposi investimenti nella ricerca, mirati ad identificare i fattori di rischio che predispongono gli atleti all’infortunio; fattori distinti poi in due macrocategorie: non modificabili, non sotto il controllo dell’atleta o dell’equipe medica, e modificabili, sui quali è possibile agire. Dall’individuazione di questi possibili fattori di rischio sono nati numerosi protocolli di prevenzione, che potrebbero in teoria portare ad una riduzione dell’incidenza degli HSI, in alcuni casi fino al 65%, oltre che ad una riduzione dei tempi di recupero. 3 L’efficacia di questi protocolli, soprattutto i più datati, è però ancora incerta, così come è incerto l’effettivo ruolo che hanno alcuni possibili fattori di rischio, in quanto le ricerche in questo ambito sono spesso soggette a variabili di confondimento e rischio di bias. Solo negli anni recenti si è iniziato a condurre indagini più accurate con l’obiettivo di definire con precisione ed effettiva validità gli elementi che caratterizzano gli HSI, ed è per tale motivo che nasce questo elaborato: cercare di riportare con chiarezza i più significativi e i più recenti sviluppi in ambito scientifico, per fornire gli strumenti necessari ad attuare le migliori strategie per la gestione degli Hamstring Strain Injuries nell’atleta. Saranno trattati i meccanismi lesivi, gli standard diagnostico-valutativi e prognostici, la prevenzione ed il trattamento con obiettivo il return to play. 4 ANATOMIA E BIOMECCANICA ANATOMIA DEGLI ISCHIOCRURALI Una comprensione dell’anatomia e biomeccanica degli ischiocrurali può aiutare a comprendere al meglio questi infortuni. Il gruppo degli ischiocrurali comprende 3 muscoli principali della loggia posteriore della coscia: • Semimembranoso • Semitendinoso • Bicipite Femorale (capo lungo e capo breve) Tutti sono muscoli bi-articolari, ad eccezione del capo breve del bicipite femorale, agendo sia sull’articolazione del ginocchio come flessori, che sull’articolazione dell’anca in qualità di estensori. La bi-articolarità fa sì che i muscoli vengano sottoposti ad uno stress in allungamento maggiore*, un fattore spesso ritenuto responsabile della elevata incidenza delle lesioni a questo livello. Bicipite Femorale: il capo lungo del BF, bi-articolare, origina dalla tuberosità ischiatica da una inserzione comune al tendine del semitendinoso. Il capo breve, mono-articolare, origina dalla linea aspra del femore e dal setto intermuscolare laterale. Entrambi i capi si inseriscono, con un unico tendine in comune, sulla testa del perone e, con una piccola porzione di tendine, sulla regione esterna del condilo tibiale*. Il BF rappresenta la massa muscolare postero-esterna della coscia e la sua azione generale è quella di ruotare lateralmente e flettere la gamba lavorando sull’articolazione del ginocchio, estendere la coscia lavorando sull’articolazione dell’anca. Il capo lungo del bicipite femorale è un debole flessore del ginocchio quando l’anca è estesa ed un debole estensore dell’anca quando il ginocchio è flesso, questo per via del principio biomeccanico dell’insufficienza attiva.* 5 L’innervazione del capo lungo è appannaggio del nervo tibiale, mentre l’innervazione del capo breve è affidata al nervo peroneo comune, entrambi rami del nervo ischiatico*. Semitendinoso: il muscolo semitendinoso origina, come detto prima, anch’esso dalla tuberosità ischiatica e si va ad inserire sulla superficie mediale della tibia, andando a costituire - assieme ai tendini di sartorio e gracile - la cosiddetta zampa d’oca*. Semimembranoso: è situato al di sotto del semitendinoso e il suo ventre si estende più medialmente ad esso. Il tendine prossimale del semimembranoso origina dalla faccia laterale della tuberosità ischiatica e si va ad inserire con il suo tendine distale sulla faccia posteriore mediale della tibia*. I muscoli semimembranoso e semitendinoso costituiscono la massa muscolare posteriore e mediale della coscia. La loro funzione è quella di ruotare medialmente e flettere la gamba lavorando sul ginocchio, estendere la coscia lavorando sull’anca. Anch’essi, per il principio dell’insufficienza attiva sono flessori deboli ad Figura 1 - gli ischiocrurali anca estesa, estensori deboli a ginocchio flesso*. L’innervazione dei muscoli semitendinoso (ST) e semimembranoso (SM) è a carico del nervo tibiale*. La funzione generale di tutto il complesso degli ischiocrurali è quindi quella di contrarsi per favorire la flessione del ginocchio e l’estensione dell’anca; nei movimenti dinamici e complessi (saltare, correre ecc.) gli ischiocrurali permettono la stabilizzazione e la produzione di energia della catena cinetica posteriore*. 6 Di particolare interesse è il tendine intramuscolare del bicipite femorale (detto anche tendine centrale), che decorre lungo il ventre muscolare e agisce come una struttura di supporto sulla quale prendono attacco le fibre muscolari*. Gli infortuni che comportano un danno a questo tendine sono considerati più gravi e il tempo di ritorno all’allenamento o alla competizione potrebbe essere maggiore, come evidenziato da Comin et al.* in uno studio che ha analizzato 45 lesioni del bicipite femorale di cui 12 coinvolgevano il tendine centrale: i dati hanno riportato tempi di recupero più lunghi per questi ultimi (71gg) rispetto ai primi (21gg). Risulta dunque importante tenere in considerazione questo aspetto per una migliore programmazione dell’intervento riabilitativo. BIOMECCANICA: RUOLO DEGLI ISCHIOCRURALI NELLE PERFORMANCE ATLETICHE Il ruolo degli ischiocrurali nell'ambito dei gesti atletici e sportivi è principalmente rappresentato dalla funzione che svolgono durante lo sprint (corsa a velocità massimali). Il loro ruolo principale in questa situazione è quello di decelerare l'estensione del ginocchio alla fine della fase di swing (quando nessun arto è a contatto con il suolo), in modo tale che il piede possa prendere contatto con il terreno sotto al centro di massa del corpo. Dopo di ciò gli ischiocrurali agiscono come estensori di anca*. Durante la fase terminale dello swing, il capo lungo del bicipite, il semitendinoso e il semimembranoso sono ad un picco massimo di stress, producono il picco massimo di forza*. Si pensa infatti che proprio questa fase, che vede un carico e stress importanti sugli ischiocrurali, sia la causa responsabile della lesione*. Inoltre non è da sottovalutare il loro ruolo nella propulsione, attraverso la produzione di forza orizzontale, durante la corsa*. Difatti si è visto che gli atleti che dimostrano maggiori valori di momento meccanico (torque) degli estensori d’anca, nonché maggiori valori di attivazione EMG degli 7 ischiocrurali, sono in grado di produrre maggiore forza di reazione al suolo*. Ciò è supportato dallo studio di Kyrolainen et al.* che dimostra come all’aumentare della velocità di corsa aumenti anche la produzione di forza, aumento in parte attribuibile all’azione degli ischiocrurali. LE LESIONI DEGLI HAMSTRIG CLASSIFICAZIONE L’ambito della categorizzazione delle lesioni muscolari è vasto, e spesso, a causa della mancanza di un approccio standardizzato ed uniforme, risulta difficoltoso destreggiarsi tra tutti i sistemi proposti per la classificazione e il grading delle lesioni muscolari. Ci sono evidenze contrastanti, inoltre, per quanto riguarda la relazione tra presentazione clinica, imaging diagnostico e outcome clinici. Per questo motivo, cercando di fare chiarezza tra ciò che la letteratura ci offre, verranno proposte i sistemi più significativi e recenti per la categorizzazione delle lesioni muscolari. Una delle principali distinzioni che bisogna fare riguarda la terminologia. Questo perché spesso, soprattutto nella letteratura più datata, i termini inglesi “classification” e “grading” sono usati in modo intercambiabile generando confusione. Il termine “classification”, si riferisce alla descrizione delle diverse tipologie di infortunio secondo parametri quali meccanismo di infortunio, zona del muscolo colpita, natura della lesione. Con il termine “grading” invece si intende delineare la gravità e dunque il grado di severità della lesione, che è strettamente correlato alla prognosi e i tempi di recupero. Classification La prima distinzione in questo ambito è relativa alla natura della lesione. Vediamo che queste vengono distinte principalmente in: 8 • lesioni derivanti da cause esterne, secondarie ad insulti come contusioni o una lacerazioni, detti traumi diretti. • lesioni derivanti da cause interne, secondarie ad uno sforzo fisico e cedimento delle strutture muscolo-tendinee, detti traumi indiretti o strain injuries. Un’ulteriore distinzione, proposta da Askling et al., riguarda il meccanismo di infortunio per le lesioni indirette distinte in due tipologie principali: • Tipo I, detto sprinting-related (associato alla corsa), tipicamente osservato negli sport ad alto impatto come calcio, rugby, atletica ecc. Questo tipo di infortuni avvengono quando gli ischiocrurali sono obbligati a lavorare eccentricamente, sviluppando un’elevata quantità di forza, per decelerare l’arto e controllare l’estensione del ginocchio nella fase terminale della swing phase, durante la corsa e lo sprint. • Tipo II, detto stretch-related (associato ad un eccessivo allungamento) e si verificano tipicamente quando ad una flessione di anca viene associata l’estensione del ginocchio, come in alcuni movimenti tipici di alcuni sport come i calci, lo stretching, le spaccate (Askling et al). Questo tipo di infortunio è associato principalmente ai danzatori, dove il 66% degli HSI deriva da una spaccata frontale e il 12% da una spaccata laterale (Askling et al). L’ultima distinzione viene fatta dal punto di vista anatomico, possibile grazie allo sviluppo delle tecniche di imaging diagnostico sempre più accurate, con diversi autori che dimostrano l’importanza di determinare la zona del muscolo lesionata. Si possono infatti distinguere: • lesioni del ventre muscolare • lesioni del tendine • lesioni della giunzione miotendinea 9 Per quanto riguarda gli ischiocrurali è necessario inoltre menzionare l’importanza che riveste una particolare struttura, il tendine centrale (o tendine intramuscolare), che decorre lungo il ventre muscolare e agisce come una struttura di supporto sulla quale prendono attacco le fibre muscolari*. Gli infortuni che comportano un danno a questo tendine sono considerati più gravi e il tempo di ritorno all’allenamento o alla competizione potrebbe essere maggiore, come evidenziato da Comin et al. in uno studio che ha analizzato 45 lesioni del bicipite femorale di cui 12 coinvolgevano il tendine centrale: i dati hanno riportato tempi di recupero più lunghi per questi ultimi (71gg) rispetto ai primi (21gg). Grading Il grado di severità di un infortunio muscolare può essere determinato in modo indiretto andando ad analizzare la presentazione clinica e le indagini strumentali (RMN ed Ecografia) e associandoli agli outcome clinici. È qui che nascono alcuni problemi di standardizzazione in ambito di ricerca poiché i tempi di recupero dovrebbero essere valutati tenendo conto esclusivamente della storia naturale della lesione. Ciò risulta però impossibile dato che fattori come trattamenti più o meno invasivi sono sempre presenti, andando a rendere più difficoltoso il lavoro di interpretazione dei risultati. Alcune ricerche riescono comunque a presentare dati validi per permetterci di identificare i criteri per il grading delle lesioni muscolari. Vale la pena menzionare innanzitutto un lavoro dell’era pre-imaging, da parte dell’American Medical Association, che ha influenzato le successive ricerche proponendo una distinzione della lesione basata su 3 gradi di severità basandosi su descrittori clinici. Più avanti sono risultati molto influenti i lavori di Peetrons che propone un sistema di gradazione basato sulle immagini diagnostiche (ecografia) e prevede: 10 • Grado 0 – mancanza di alterazioni apprezzabili del tessuto muscolare. • Grado 1 – “elongazione” con minima lesione, meno del 5% delle fibre coinvolte. • Grado 2 – rottura parziale con lesione che coinvolge dal 5% al 50% delle fibre muscolari o del diametro della sezione muscolare. All’ecografia è presente uno spazio ipo o anaecogeno tra le fibre muscolari. • Grado 3 – lesioni da rottura completa con associata retrazione. Di solito queste lesioni sono evidenti per via di uno spazio vuoto apprezzabile anche alla palpazione. Dal punto di vista clinico, ad oggi, possiamo invece riassumere numerosi sistemi di grading nella seguente classificazione: • Lesioni Lievi – edema di modesta entità, indolenzimento generalizzato, dolore leggero e localizzato, minima o nessuna perdita di funzione e forza muscolare. • Lesioni Moderate – edema importante con dolore più ampio in localizzazione e intensità, aumentata stiffness, parziale perdita di funzione e forza che richiede un’interruzione dell’attività. Probabile limitata abilità nel cammino nelle prime 24-48h post infortunio. • Lesioni Severe – ematoma con dolore importante in area non ben localizzata, completa perdita di funzione e forza. Possibile difetto muscolare apprezzabile alla palpazione. Approcci combinati per la classificazione delle lesioni muscolari Negli ultimi anni numerosi studi hanno cercato di creare un sistema omnicomprensivo, che prendesse quindi in considerazione tutti gli aspetti citati fino ad ora, per fornire un metodo efficace. Solo alcuni però hanno fornito abbastanza dati clinici significativi a supporto e sembrano dunque essere validi. 11 Il lavoro più importante è stato avviato nel 2012 da un gruppo di esperti riunitosi a Monaco di Baviera per collaborare alla realizzazione di un protocollo di classificazione e grading delle lesioni muscolari (MuellerWohlfhart et al.), implementato successivamente da un lavoro Ekstrand et al. che ne ha validato l’applicazione attraverso un programma che ha coinvolto numerose squadre di calcio professionistiche in Europa. Di seguito è riportata la tabella definitiva per la classificazione e il grading delle lesioni muscolari secondo il gruppo di consenso di Monaco. Tabella 1 - classificazione delle lesioni muscolari Figura 2 - rappresentazione dei tipi di lesione 12 EPIDEMIOLOGIA NELLO SPORT Disponiamo di numerosi studi che riportano l’incidenza e il tempo tolto all’attività sportiva degli HSI, come possiamo vedere dalla seguente tabella: Tabella 2 Nel calcio professionistico c’è un’elevata incidenza relativamente agli HSI. Petersen et al. riportano una media di 3,4 infortuni per squadra a stagione, Woods et al riportano una media di 5 infortuni per squadra, mentre Ekstrand et al. suggeriscono che un club potrebbe aspettarsi circa 7 di questi infortuni nel corso della stagione. 13 In questi studi il tempo trascorso lontani dall’attività agonistica è stato in media di 17 (Ekstrand et al.), 18 (Woods et al.) e 21 giorni (Petersen et al.) con circa 3 match persi. Questi valori sono simili a quelli che si riscontrano nel football Australiano con Orchard et al. che riportano 6 infortuni su 37 atleti studiati nella stagione 1995 con una media di 2,5 match persi, mentre Gabbe et al. osservando 222 atleti nel corso della stagione 2002 hanno riscontrato un infortunio degli ischiocrurali in 31 di questi (14%) con una media di 6 atleti per squadra. Più recentemente il report del 2018 della Australian Football League ha confermato i dati dei due studi citati sopra, riportando una media di 6,35 infortuni per club a stagione. Il report ha inoltre dimostrato un tasso di recidiva dello stesso infortunio del 20%. Il tempo trascorso lontano dall’attività agonistica in questo caso è stato in media di 25 giorni, in linea dunque con quanto visto per il calcio. La durata del periodo trascorso lontani dall’attività sportiva risulta essere un fattore molto importante, forse più dell’incidenza generale, in quanto, soprattutto negli sport di squadra, l’assenza di un’atleta ha un effetto diretto sulle prestazioni del team e, sulle casse della società. Dal punto di vista del contesto di infortunio, sembra che l’incidenza sia maggiore durante il match rispetto all’allenamento*. Ciò dovrebbe essere dovuto al maggior impegno e agonismo impiegato durante la competizione: un atteggiamento che sembra normale, ma che potrebbe in realtà essere il riflesso di una preparazione inadeguata. Se l’intensità dell’allenamento non si allinea ai criteri di stress fisico imposti dalla gara, probabilmente non prepara in modo adeguato gli atleti a quest’ultima. Un’ipotesi supportata anche dallo studio di Ekstrand et al. che riporta come gli infortuni siano più prevalenti durante la stagione agonistica piuttosto che in pre-season, evidenziando l’importanza di inserire nel programma di rinforzo degli atleti un protocollo mirato al rinforzo degli ischiocrurali strutturato per tutta la durata dell’anno. 14 MECCANISMI DI INFORTUNIO Lo studio dei fattori di rischio e dei meccanismi di infortunio è di primaria importanza per sviluppare programmi preventivi e riabilitativi efficaci. Quando parliamo di meccanismo di infortunio ci riferiamo alle dinamiche che sottendono la lesione: quali attività e quali movimenti mettono il muscolo in condizione di danneggiarsi? La letteratura non ci dà una risposta univoca, viste anche le tante variabili che entrano in gioco, ma ad oggi le ipotesi maturate riguardo i meccanismi lesionali derivano dall’analisi di alcuni parametri misurati a livello muscolare (come attivazione EMG, allungamento, momento meccanico in flessione) durante le attività considerate maggiormente a rischio: la corsa ad alta velocità e i calci, ossia movimenti espressione dei due tipi di infortunio descritti in precedenza, il Tipo 1 detto sprint-related e il Tipo 2 detto stretch-related. Questa divisione, proposta da Askling et al., è già di per sé un primo modo per differenziare i meccanismi lesivi, ma è importante approfondire le peculiarità biomeccaniche dei due movimenti. Il Tipo 2 è una lesione dovuta ad un eccessivo e potente allungamento delle fibre muscolari: questo allungamento deriva dall’associazione di una importante flessione di anca ed estensione di ginocchio in maniera esplosiva, esattamente ciò che avviene ad esempio durante il movimento di calcio o di high kicking (figura 3). Figura 3 15 Un altro movimento, o azione di gioco, associato ad una lesione di tipo 2 è quello di raccogliere il pallone da terra durante la corsa (Worth): durante un’azione del genere Figura 4 possiamo osservare un’anca in flessione con gli ischiocrurali tesi per via dell’azione di corsa (figura 4). È un movimento che associa lo stress imposto dalla corsa allo stress imposto da un allungamento, ed è spesso osservabile sport come rugby e football Australiano. Proprio in quest’ultimo è il movimento che causa il maggior numero di infortuni. Chiaramente le componenti di flessione ed estensione da sole non bastano a generare la lesione, altrimenti ogni movimento fuori dal normale si tradurrebbe in un infortunio, ma vanno considerate altre variabili come la fatica accumulata, o la successione ravvicinata di eventi stressanti l’apparato muscolare, entrambi con la conseguenza di una riduzione della tolleranza al carico dei muscoli interessati. Le dinamiche degli sprint-related HSI, Tipo 1, sono invece di più difficile comprensione e vanno di pari passo con l’analisi del ciclo della corsa e del comportamento dei muscoli durante la stessa. Nell’immagine seguente possiamo osservare il ciclo della corsa, composto di 2 fasi principali: oscillazione (A, B, C) e appoggio (D, E, F), dette anche swing e stance, suddivise ciascuna in 3 sottofasi: Figura 5 - running gait cycle 16 • A – Initial Swing, la fase iniziale dell’oscillazione dove si raggiunge la massima estensione dell’anca. • B – Mid swing, o anche fase di recupero, dove l’arto viene “raccolto” con massima flessione del ginocchio per essere poi portato in avanti. • C – Late swing, la fase finale dell’oscillazione dove il ginocchio si estende e il piede si prepara a prendere contatto con il suolo. • D – Early stance, appoggio iniziale dove il piede prende contatto con il terreno. • E – Mid stance, dove il piede si trova in linea con il centro di massa del corpo. • F – Late stance o take off, la fase di propulsione in avanti prima che il piede perda contatto con il suolo. Tra queste le fasi critiche sono 3: C late swing, D early stance, F late stance. Le possiamo vedere meglio nella seguente immagine ed analizzarle più approfonditamente. La fase di late stance è sicuramente quella con il rischio minore in quanto, se è vero che le analisi dimostrano una attivazione importante della muscolatura flessoria per permettere Figura 6 l’estensione d’anca e la propulsione in avanti, è anche vero che in primo luogo questa è possibile principalmente grazie dall’azione del grande gluteo, motore primario, in secondo luogo in questa fase gli ischiocrurali lavorano in una posizione di accorciamento, meno rischiosa per lo sviluppo di una lesione da stiramento. 17 Le due fasi più rischiose sono decisamente la early stance e la late swing, che a prima vista possono sembrare simili ma rappresentano due momenti molto diversi dal punto di vista delle forze in gioco. La fase di late swing rappresenta la fase di allungamento attivo, ossia la fase in cui si assiste allo sviluppo di tensione interna nel muscolo mentre questo continua il suo allungamento, dunque a tutti gli effetti una contrazione eccentrica. In questa fase gli hamstring devono controllare l’eccessiva estensione di ginocchio. Secondo Garret e Lieber questa è la fase più suscettibile ad una lesione. Mann et al. invece indicano come più suscettibile la fase di early stance poiché questo è l’istante in cui si assiste ad una repentina inversione della forza esercitata dagli ischiocrurali nel momento in cui il piede prende contato con il suolo: si passa infatti da una contrazione eccentrica ad una concentrica per continuare il movimento in avanti del corpo. Entrambe le teorie sono valide e gli studi presenti in letteratura, che si basano su una analisi cinematica ed elettromiografica della corsa, confermano le elevate forze in gioco in queste due fasi. Sembrerebbe comunque che la fase di late swing sia quella di maggior rischio, con i livelli maggiori di attivazione EMG e di stress esercitato sugli hamstring. Inoltre nei tre studi in cui si è direttamente assistito ad un evento lesivo, ciò è avvenuto nella fase di late swing, avvalorando questa ipotesi. Questa breve descrizione dei meccanismi di infortunio ci sarà estremamente utile per comprendere le future strategie riabilitative e preventive da adottare, in modo tale da preparare gli atleti alle richieste funzionali dei rispettivi sport. FATTORI DI RISCHIO Oltre al maccanismo di infortunio è essenziale essere a conoscenza ed avere consapevolezza di qual fattori di rischio esistono per lo sviluppo di un infortunio e quali sono i più significativi. Numerosi studi hanno cercato di 18 investigare la relazione tra evento lesivo e possibile esposizione ad un fattore di rischio ma, nonostante ciò, le certezze restano poche e i dubbi molti, principalmente perché andare a studiare un singolo fattore di rischio isolato è un compito particolarmente complesso dato che bisogna tenere in considerazione che l’infortunio muscolare è un evento causato da una molteplicità di elementi che si influenzano l’uno con l’altro. I fattori di rischio proposti nel corso degli anni nell’ambito degli HSI sono molti; solo alcuni di questi sono evidence-based mentre altri, la maggior parte, sono theory-based, dunque basati su teorie derivanti dallo studio della biomeccanica o delle proprietà intrinseche del muscolo, ma hanno prove di efficacia contrastanti a supporto. Vengono distinti in due categorie principali: fattori di rischio non modificabili, che non sono sotto il diretto controllo dell’atleta e su questi non si può agire attivamente per modificarli; fattori di rischio modificabili, che possono essere modificati attraverso interventi diretti con l’obiettivo di ridurre il loro impatto sull’evento. Fattori di rischio non modificabili I fattori di rischio non modificabili sembrano essere quelli col maggiore impatto verso lo sviluppo di un HSI. I numerosi studi presenti in letteratura sono concordi nell’affermare che l’età avanzata e un precedente infortunio all’arto inferiore (HSI, LCA, lesione del tricipite surale, distorsione di caviglia) sono i più importanti fattori di rischio, gli unici con una comprovata evidenza scientifica. Altri fattori di rischio non modificabili studiati in letteratura sono etnia, altezza, precedenti infortuni al quadricipite, precedenti lesioni agli adduttori, storia di low back pain, ma non sembrano esserci particolari evidenze a riguardo. Età Parlare di età avanzata quando facciamo riferimento alla popolazione trattata in questo ambito può sembrare un paradosso. Infatti se è vero che per un atleta, in linea di massima, un’età avanzata potrebbe essere quella dai 19 30 anni in su, è anche vero che dagli studi emerge come perfino un’età intorno ai 24 o 25 anni possa influenzare negativamente la “resistenza” a questo tipo di infortuni. Questo ci suggerisce che il termine “età avanzata” nasconde in realtà un aspetto ben più importante del semplice invecchiamento dei tessuti, e quindi dell’età biologica; un aspetto che ritroveremo più avanti trattando dei fattori di rischio modificabili: l’esposizione al carico di lavoro. Infatti possiamo dire che l’età correla direttamente con l’esposizione al lavoro in quanto, in un atleta, man mano che la sua carriera progredisce, aumenta il numero totale di partite giocate, di allenamenti e, più in generale, il numero di elementi stressanti l’apparato muscoloscheletrico. In quest’ottica più tempo passa e più aumentano le sue probabilità di incorrere in un infortunio, soprattutto considerando che a livello professionistico piccole differenze di età spesso rappresentano enormi differenze dal punto di vista dell’esposizione, in particolar modo osservando i calendari sportivi al giorno d’oggi, con competizioni sempre più ravvicinate e ritmi di lavoro sempre più serrati. Ovviamente, per quanto in misura minore, anche l’effettivo invecchiamento dei tessuti è da tenere in considerazione. Atleti più avanti con l’età sperimentano cambiamenti di natura biologica che aumentano le probabilità di infortunio, come cambiamenti strutturali (alterazioni dell’architettura muscolare, del tipo di fibre che popolano i fasci muscolari, riduzione dell’elasticità e riduzione dell’area trasversale del muscolo) e neurologici (denervazione di unità motorie ad alta soglia). Storia di precedenti infortuni È dimostrato che atleti con una storia di HSI hanno una probabilità maggiore di 2,7 volte di sviluppare una successiva lesione rispetto ad atleti senza infortuni precedenti, e il rischio aumenta in modo esponenziale (circa 5 volte) se l’infortunio è avvenuto recentemente (entro un anno). 20 Inoltre non sono rari i casi in cui la guarigione dei tessuti non è perfettamente valida, con deficit a volte persistenti relativi a lunghezza muscolare e di attivazione nervosa alla contrazione volontaria. Questi deficit sembrerebbero essere il motivo per cui spesso si registra un livello inferiore di forza negli ischiocrurali che hanno subito l’infortunio e potrebbero aumentare il rischio di un nuovo evento lesivo, rappresentando un ostacolo per il funzionamento ottimale della muscolatura interessata che si ritroverebbe con una ridotta capacità di sopportazione di stress di elevata entità. Anche precedenti infortuni del legamento crociato anteriore (ACL) e lesioni muscolari del tricipite surale (gastrocnemio e soleo) correlano con un maggior rischio di HSI: difatti l’aumento del rischio si attesta rispettivamente intorno al 70% e al 50%. I meccanismi responsabili di questo aumento del rischio non sono chiari, ma si pensa che questi infortuni possano contribuire a una ridotta propriocezione, alterazione della meccanica di corsa, deficit di forza e fattori psicologici, tutti elementi che potrebbero influire negativamente sulla funzione degli hamstring. Da qui si denota l’importanza della riabilitazione e delle corrette tempistiche per il return to sport da applicare a tutti i tipi di infortunio, per ridurre al minimo i possibili fattori negativi. Fattori di rischio modificabili I fattori di rischio modificabili proposti in letteratura sono moltissimi, ma ci limiteremo ad analizzare quelli più studiati e significativi: flessibilità, forza, potenza ed esplosività, fatica, riscaldamento, carico di lavoro. Flessibilità Una ridotta flessibilità è stata più volte proposta come uno dei principali fattori di rischio per gli HSI. Questa idea deriva da una associazione abbastanza intuitiva: un muscolo poco flessibile, nel momento in cui viene sottoposto ad un allungamento improvviso, potrebbe più facilmente raggiungere una lunghezza capace di procurare una lesione da stiramento. 21 Dal punto di vista biomeccanico la teoria è valida, ma si scontra con i risultati degli studi prodotti a riguardo, dove l’associazione tra un ridotto ROM attivo o passivo e l’incidenza delle lesioni degli ischiocrurali è controversa. I risultati infatti sono incoerenti, probabilmente per via della difficoltà nell’isolare il singolo fattore di rischio, ma il ruolo determinante di una buona flessibilità e mobilità sembrerebbe comunque essere più significativo per le lesioni stretch-related piuttosto che per quelle sprintrelated ed è consigliabile inserire un protocollo di miglioramento di queste qualità all’interno di un più vasto programma di prevenzione o di trattamento. Forza La forza muscolare degli ischiocrurali è il fattore di rischio più studiato assieme alla flessibilità e sul suo sviluppo si basano i principali protocolli di prevenzione. Quando si fa riferimento alla forza vengono prese in considerazione 3 qualità: la forza assoluta, il rapporto tra forza dei flessori e degli estensori (definito rapporto ischiocrurali:quadricipite), il rapporto tra forza dell’arto sinistro e arto destro. La letteratura, nonostante anche qui non ci dia risposte certe, sembrerebbe confermare un certo tipo di associazione tra le qualità indagate e il rischio di infortunio. I programmi mirati al rinforzo degli atleti danno buoni risultati sulla riduzione dell’incidenza, soprattutto quando integrati con una graduale esposizione alla corsa sia dal punto di vista del volume che dell’intensità. Lo squilibrio tra forza degli hamstring dell’arto destro e sinistro non è un parametro particolarmente rilevante, almeno non quanto il rapporto di forza tra ischiocrurali e quadricipite, che necessita comunque di maggior standardizzazione per quanto riguarda la sua misurazione se si vuole ricavarne un valore davvero significativo. Relativamente alla forza assoluta degli ischiocrurali questa viene misurata attraverso contrazione concentrica, isometrica ed eccentrica. L’esercizio maggiormente utilizzato per valutare una ridotta forza della muscolatura 22 flessoria è il Nordic Hamstring Exercise (NHE). Infatti deficit di forza all’esecuzione di questo esercizio potrebbero essere correlati a una maggior probabilità di infortunio e, secondo alcuni autori, la sua sola implementazione all’interno dei protocolli di prevenzione permetterebbe di ridurre in modo importante l’incidenza delle lesioni da stiramento. I vantaggi del NHE consistono nella sua capacità di riuscire ad allenare intensamente, in isolamento, la forza degli ischiocrurali in tutto il loro range di allungamento, dunque di sviluppare un elevata resistenza tensile allo stiramento in eccentrica, dove si suppone il muscolo sia più debole. Inoltre si tratta di un esercizio che non richiede una particolare strumentazione, tant’è che viene impiegato come principale esercizio di rinforzo on-field, ossia stesso sui campi, anche nei più giovani. Esplosività e capacità balistiche Dalle revisioni sistematiche emerge che alcuni parametri misurati durante alcuni movimenti esplosivi e balistici siano associati all’incidenza degli HSI. In particolare una bassa distanza di un single leg hop (salto in avanti su una gamba, con atterraggio sulla stessa) e un’elevata differenza percentuale tra salto con contromovimento (CMJ) e salto senza contromovimento (NCMJ) sono risultati fattori associati, anche se in misura limitata, ad un aumentato rischio di infortunio. Ciò sottolinea l’importanza dell’allenamento dell’esplosività degli arti inferiori. Fatica e riscaldamento L’idea che l’affaticamento sia un fattore di rischio deriva dalla tesi proposta da alcuni studi che afferma che la maggior parte degli eventi lesivi avviene nelle fasi finali di una gara. Si è visto che un muscolo affaticato necessita di un allungamento maggiore per produrre la forza contrattile che un muscolo non affaticato produrrebbe a lunghezze minori, per cui sarebbe più esposto a un danno da stiramento. Allo stesso modo un riscaldamento inadeguato è considerato un possibile fattore di rischio poiché alcuni autori riportano un alto numero di infortuni nelle prime fasi di una gara. La teoria secondo cui un buon riscaldamento 23 serva a preparare il muscolo allo sforzo attraverso l’incremento della sua temperatura con conseguente aumento della lunghezza ed elasticità non sembra però essere supportata dalle evidenze scientifiche. Gillette et al. dimostrano come un riscaldamento di 20 minuti possa sì aumentare la temperatura generale del corpo e dei tessuti, ma non ha effetti sulla flessibilità e sulle caratteristiche tensili del muscolo. Il riscaldamento potrebbe avere un effetto psicologico positivo e di incremento della funzionalità delle articolazioni, piuttosto che meccanico a livello muscolare, e quindi aumentare la prontezza dell’atleta al gesto sportivo contribuendo a ridurre l’incidenza degli infortuni. Esposizione al carico di lavoro Ancora più importante della fatica all’interno della stessa gara è l’accumulo di lavoro, e quindi di affaticamento, in un’ottica più generale. L’incidenza degli HSI è infatti correlata con certezza ad un’elevata esposizione alla corsa, all’intensità di questa e alla frequenza: un recupero ridotto tra le gare e un fitto calendario di allenamenti all’interno di un periodo di tempo limitato sono stati associati ad una maggior rischio di infortunio. Il carico di lavoro risulta un fattore ancora più decisivo, in negativo, quando si osserva un aumento esponenziale di questo in un breve periodo di tempo (7-14 giorni), evidenziando l’importanza di una graduale esposizione allo stress per indurre adattamenti positivi nel corpo. Interdipendenza dei fattori di rischio Tutti i fattori citati si influenzano gli uni con gli altri e influenzano insieme, e non isolatamente, il rischio di infortunio. Forza, flessibilità ed esplosività in particolare sono elementi mutevoli e sono soggetti a cambiamenti più o meno importanti anche in brevi periodi di tempo a causa della loro profonda relazione con numerose variabili: fatica, sonno, carico di lavoro, capacità di adattamento del singolo individuo, fattori psicologici. Per questo motivo piuttosto che misurazioni una tantum, in occasione ad esempio della preseason o all’inizio della stagione competitiva, andrebbe implementata una metodologia che preveda la misurazione di queste qualità in modo continuo, 24 attraverso strumenti come il Velocity Based Training, basato sulla curva Forza-Velocità. In questo modo le nostre capacità di monitorare e valutare il livello effettivo di preparazione e readiness dell’atleta aumentano considerevolmente, aiutandoci nella valutazione del rischio di infortunio in un setting di preparazione atletica o dell’eventuale prontezza al ritorno allo sport in setting riabilitativo. Figura 7 - curva forza-potenza-velocità 25 LA GESTIONE DELL’INFORTUNIO Il paziente che subisce una lesione muscolare degli ischiocrurali sperimenta tipicamente insorgenza improvvisa di dolore posteriormente alla coscia, di solito durante attività sportive che coinvolgono la corsa o movimenti esplosivi degli arti inferiori, accompagnato in alcuni casi ad un rumore sordo. Nella maggior parte dei casi il dolore obbliga l’interruzione dell’attività e può esitare in una riduzione più o meno importante della funzionalità dell’arto inferiore in base alla gravità del danno. La presentazione del paziente che ha subito un HSI è tipica e difficilmente può essere confusa con altre patologie, ma in ogni caso è bene ricordare le possibili alternative che entrano nella diagnosi differenziale: • Lesione da stiramento degli ischiocrurali • Tendinopatia dell’inserzione prossimale degli ischiocrurali • Lesioni da trauma diretto (contusioni) • Lesione muscolare degli adduttori • Radicolopatia lombare • Patologie dell’anca Una prima valutazione approssimativa dovrà essere effettuata quindi per escludere queste patologie e confermare l’evento lesivo a carico degli ischiocrurali. Nella fase immediatamente successiva all’infortunio non può essere effettuata una valutazione accurata in quanto le caratteristiche del dolore e dell’infiammazione acuta non permetterebbero di avere risultati particolarmente indicativi riguardo l’effettiva entità e caratteristiche della lesione. L’esame obiettivo e le eventuali indagini diagnostiche dovranno quindi essere rimandate al termine di questa fase e potranno permetterci di classificare, in base alla classificazione di Monaco, la lesione muscolare (vedi Tabella 1): lesioni incomplete (3a e 3b), lesioni complete (4). 26 ESAME OBIETTIVO E VALUTAZIONE CLINICA La valutazione inizia con l’anamnesi, che ci aiuterà a comprendere il meccanismo che ha determinato la lesione, e dunque il tipo di infortunio, il livello di dolore riferito (attraverso la scala VAS o NPRS) e soprattutto la storia clinica in quanto abbiamo visto come un precedente infortunio (HSI, LCA o lesione del tricipite surale) possono essere importanti fattori di rischio per il recupero e il ritorno allo sport. Nei casi gravi il paziente potrebbe inoltre riferire dolore in posizione seduta, a livello della tuberosità ischiatica, suggerendoci una possibile lesione con avulsione tendinea prossimale. In seguito si potrà procedere con l’esame obiettivo attraverso la palpazione e la valutazione di forza e ROM. Palpazione dell’area infortunata: attraverso questa potremmo apprezzare la presenza o meno di alterazioni della muscolatura (masse anomale o zone di vuoto), nonché il dolore al tocco. Osserveremo inoltre la presenza eventuale di edema o ematoma. ROM: i range di movimento attivo e passivo di anca e ginocchio ci aiutano a determinare la flessibilità residua dei muscoli coinvolti e la loro tolleranza all’allungamento. Il dolore influisce negativamente sulla valutazione di questo parametro, per questo motivo è importante effettuare l’esame obiettivo al termine della fase immediatamente successiva all’infortunio. Il ROM dell’arto leso verrà confrontato con quello dell’arto sano attraverso la misurazione di: estensione passiva di ginocchio ad anca estesa, flessa a 90° e in massima flessione; estensione attiva di ginocchio ad anca estesa, flessa a 90° (A) e in massima flessione (B) Figura 8 - a sinistra il test A, a destra il test B 27 Forza: questo parametro è misurato di solito attraverso l’esecuzione di contrazioni isometriche. Gli strumenti utilizzabili per queste misurazioni possono essere delle scale di valutazione (TMM), ma si consiglia l’utilizzo di apparecchi come il dinamometro. Al paziente può essere richiesto di valutare il dolore durante la contrazione, sempre attraverso scala VAS o NPRS. Vista la natura biarticolare degli ischiocrurali dovranno essere valutati i movimenti al ginocchio e all’anca, sia in posizione prona che supina. Un approfondimento aggiuntivo potrebbe includere movimenti con tibia ruotata esternamente o internamente, per differenziare tra bicipite femorale o semitendinoso e semimembranoso. Nelle immagini possiamo vedere la misurazione effettuata con dinamometro della forza di flessione del ginocchio, in posizione prona con anca estesa e Figura 9 – sopra la rilevazione della forza in flessione, in basso la rilevazione della forza in estensione supina con anca flessa, e della forza di estensione dell’anca, in posizione prona con anca flessa e supina con anca estesa. Inoltre una valutazione della funzionalità dell’arto inferiore è necessaria per capire cosa può e non può fare il nostro paziente, in vista del programma riabilitativo. Potremo osservare la deambulazione, la stazione eretta e il controllo del tronco e chiedere di svolgere alcuni movimenti per comprendere quali sono più provocativi e quali meno. Al termine dell’esame obiettivo dovremmo essere in grado di effettuare una classificazione clinica della lesione, basandoci sui dati raccolti, con la 28 consapevolezza di poter andare ad approfondire o meno lo studio attraverso le indagini di imaging diagnostico. Come detto in precedenza una classificazione esclusivamente clinica potrà indicarci tre gradi di severità della lesione: • Lesione Lieve – edema di modesta entità, indolenzimento generalizzato, dolore leggero e localizzato, minima o nessuna perdita di funzione e forza muscolare. • Lesione Moderata – edema importante con dolore più ampio in localizzazione e intensità, aumentata stiffness, parziale perdita di funzione e forza che richiede un’interruzione delle attività. Probabile limitata abilità nel cammino nelle prime 24/48h post infortunio. • Lesione Severa – ematoma con dolore importante in area non ben localizzata, completa perdita di funzione e forza. Possibile difetto muscolare apprezzabile alla palpazione. È importante dire che, per quanto utili alla comprensione delle caratteristiche dell’atleta che abbiamo davanti al fine di fornire un programma riabilitativo più appropriato possibile, le misurazioni specifiche di forza e ROM non sembrano avere un ruolo prognostico significativo. Queste infatti non presentano forti correlazioni con i tempi di recupero in letteratura, sebbene siano essenziali per definire gli obiettivi da raggiungere e monitorare la progressione del trattamento. La localizzazione della zona dolente attraverso la palpazione potrebbe invece essere più utile ai fini prognostici, con una localizzazione della lesione più vicina alla tuberosità ischiatica che correla con un tempo di recupero maggiore, anche se pure in questo caso la letteratura non ci dà risultati certi. IMAGING DIAGNOSTICO Le indagini di imaging non sembrano essere necessarie se si sospetta una lesione lieve. In caso contrario l’approfondimento diagnostico è utile per definire vari elementi con precisione e può essere effettuata da 2 a 5 giorni 29 dopo l’evento traumatico in quanto è dopo le prime 24/48 ore che la raccolta edematosa ed emorragica inizia a diminuire. L’ecografia risulta essere l’indagine elettiva in quanto, nonostante sia operatore-dipendente e presenti dei limiti relativamente alla accuratezza dei risultati per le lesioni meno gravi (sensibilità 77%), ha il vantaggio della facilità di esecuzione e del basso costo. L’ecografia resta comunque molto sensibile per le lesioni maggiori (93%) e riesce a darci informazioni importanti quali l’ampiezza (o estensione) del danno, che è correlata con la gravità e il tempo di recupero, e le strutture coinvolte. In caso fosse richiesta, però, maggior precisione la RMN ci dà un livello di dettaglio decisamente maggiore, soprattutto per le strutture più profonde, e consente di rilevare anche cambiamenti minimi con una sensibilità anche per lesioni non strutturali del 92%. La RMN può definire con accuratezza le variazioni di volume, struttura e intensità del segnale del muscolo, definisce adeguatamente l’entità della lesione ed è molto sensibile nella rilevazione di edema all’interno dei fasci muscolari. Relativamente all’utilità prognostica abbiamo sicuramente alti livelli di evidenza per quanto riguarda l’ampiezza del danno: maggiore è l’area di muscolo interessata (lunghezza e area trasversa del danno) maggiore la gravità e il tempo di recupero. Nei casi di lesioni incomplete (3a e 3b) le strutture coinvolte non sembrano essere un fattore particolarmente significativo per stimare i tempi di guarigione, fatta eccezione per il coinvolgimento dei tendini, nello specifico il tendine intramuscolare, che potrebbe esitare in recuperi più lunghi, ma sono necessarie ulteriori ricerche per definire con certezza questa associazione. Per le lesioni complete (4) l’imaging è necessario ai fini prognostici in quanto può discriminare tra avulsione tendinea prossimale, decisamente più grave, e lesione muscolare completa. Le tecniche di imaging possono inoltre dirci con precisione la localizzazione della lesione che, come detto prima potrebbe essere un fattore correlato al recupero. 30 In definitiva l’ecografia è l’approccio più economico e rapido, ma in virtù della minor sensibilità e funzionalità dovrebbe essere sostituito, o quantomeno combinato, all’utilizzo della risonanza magnetica in particolari casi: lesioni non strutturali, lesioni in cui esame clinico ed ecografia sono discordanti, valutazione di muscoli profondi o sospetto coinvolgimento o avulsione tendinea. TEMPI DI RECUPERO I tempi di recupero sono molto difficili da prevedere in quanto oltre al tipo e al grado di infortunio, come abbiamo visto gli altri elementi sono fattori prognostici non del tutto chiari e la loro influenza può variare in base a numerose variabili interpersonali. In linea generale possiamo dire che i tempi di recupero per una lesione lieve, grado 3a, che coinvolge principalmente il muscolo si aggirano intorno alle 3-4 settimane, mentre le lesioni moderate, grado 3b, vanno dalle 4 alle 8 settimane, in base all’estensione del danno e al coinvolgimento del tessuto tendineo. Le lesioni complete, grado 4, possono richiedere dai 2 ai 4 mesi. I possibili tempi di recupero devono essere riferiti al paziente, ma bisogna essere chiari nel dire che questi sono solo indicativi e non tengono conto di diversi fattori che entrano in gioco durante la riabilitazione, per prevenire eventuali effetti psicologici negativi derivanti da aspettative di recupero non soddisfatte. LA GESTIONE IN FASE ACUTA : IL PROTOCOLLO PEACE & LOVE Questa rappresenta il primo momento di intervento per la gestione delle lesioni muscolari, dove dovranno essere messe in campo le strategie per ridurre la sintomatologia tipica di questa fase, che dura in media 2-3 giorni dal momento dell’infortunio. Questo è un passaggio importantissimo per il recupero in quanto una cattiva gestione ritarda l’intervento riabilitativo e dunque una corretta e più rapida guarigione. 31 Gli obiettivi di questa fase sono la riduzione dell’edema, del gonfiore e del dolore. Negli anni si sono susseguiti diversi protocolli da applicare, tra cui il protocollo RICE, PRICE e POLICE fino ad arrivare al protocollo PEACE & LOVE proposto da Dubois ed Esculier che prende in considerazione diversi aspetti della gestione dell’infortunio con una visione più ampia della presa in carico del paziente. Tiene a mente infatti il continuum riabilitativo dall’assistenza immediata, che si compendia nell’acronimo PEACE, alla successiva gestione nell’acronimo LOVE. Nella fase immediatamente successiva la cosa importante ed evitare di causare un ulteriore danno, e l’acronimo PEACE ci guida con: • Protezione – ridurre il movimento dell’arto nei primi 1-2 giorni per evitare ulteriore danno alle fibre muscolari e minimizzare il sanguinamento. Il riposo totale dovrebbe essere comunque evitato o tenuto al minimo in quanto, se prolungato può compromettere la qualità della guarigione tissutale. Il dolore dovrebbe essere l’elemento guida della protezione. • Elevazione – l’elevazione dell’arto, al di sopra del livello del cuore, permette di scaricare l’arto e promuovere il ritorno venoso ed il flusso di liquidi interstiziali nel tessuto muscolare. • Abbandonare gli antiinfiammatori – le varie fasi dell’infiammazione sono importanti e aiutano a riparare il tessuto leso. Inibire l’infiammazione attraverso l’utilizzo di medicinali significa influenzare negativamente la guarigione sul lungo termine. A questo proposito anche l’utilizzo del ghiaccio (crioterapia), consigliato nei protocolli nominati in precedenza, potrebbe essere negativo. Non ci sono evidenze significative sull’efficacia della crioterapia nel trattamento delle lesioni dei tessuti molli e, nonostante la sua azione analgesica, il ghiaccio potrebbe ostacolare i normali processi dell’infiammazione, comprese l’angiogenesi e la rivascolarizzazione, con una potenziale guarigione incompleta e sintesi eccessiva di fibre collagene. 32 • Compressione – la pressione meccanica derivante dalla compressione, usando tape o bende elastiche aiuta a limitare l’edema, il gonfiore e l’emorragia tissutale. • Educazione – l’aspetto psicologico non è da sottovalutare, per cui i terapisti dovrebbero educare il paziente riguardo i benefici di un recupero attivo, sulle aspettative e i possibili tempi di guarigione. Inoltre incoraggiare il paziente ad avere un approccio attivo alla riabilitazione aiuta ad evitare un atteggiamento terapista-dipendente. Dopo i primi giorni l’acronimo LOVE ci indica in linea generale la strada per fornire un trattamento efficace, da personalizzare poi in base alle esigenze del nostro paziente: • Load (carico) – movimento attivo e carico ottimale, dunque progressivo sono i capisaldi del trattamento per i pazienti con patologie muscoloscheletriche. Lo stress meccanico dato dal movimento deve essere reintrodotto quanto prima, non appena il dolore lo permette, così come le attività quotidiane. Il carico progressivo, senza andare ad esacerbare il dolore, promuove la riparazione tissutale, il rimodellamento e la tolleranza di tendini, muscoli e legamenti. • Ottimismo – aspettative e approccio positivo sono associate a migliori outcomes, mentre fattori psicologici negativi come pessimismo e pensiero catastrofico rappresentano barriere per il recupero. Da questo punto di vista l’educazione gioca ancora un ruolo chiave, e spiegare che il decorso non segue sempre una traiettoria lineare è essenziale per aiutare il paziente ad affrontare con positività eventuali fasi di regressione. • Vascolarizzazione – L’attività cardiovascolare rappresenta un aspetto importante e l’attività aerobica, di qualsiasi tipo, dovrebbe essere iniziata il prima possibile per determinare adattamenti positivi del sistema cardiaco e incrementare il flusso sanguigno verso le strutture 33 lese. Inoltre l’esercizio cardiovascolare ha un effetto antidolorifico, riducendo il bisogno di medicinali e permettendo un ritorno più rapido alle attività quotidiane. • Esercizio – la chiave di volta per un recupero ottimale è rappresentata dall’utilizzo dell’esercizio terapeutico, sia per ridurre i tempi di guarigione sia per ridurre le recidive. L’esercizio aiuta a ripristinare la mobilità, la forza e la propriocezione e dovrebbe essere impiegato dalle prime fasi del processo riabilitativo. L’esercizio può essere svolto anche in caso di dolore, se questo resta entro certi limiti come vedremo successivamente, e dovrà essere progressivo. L’ALTERNATIVA CHIRURGICA : LE LESIONI CON AVULSIONE Nei casi in cui l’esame clinico ci suggerisca una possibile lesione completa è necessario l’approfondimento diagnostico per valutare l’eventualità di una avulsione tendinea o di una frattura di avulsione. Infatti, se per la maggioranza delle lesioni degli hamstring la fisioterapia risulta essere la strategia migliore, le avulsioni tendinee con o senza frattura della tuberosità ischiatica richiedono spesso il trattamento chirurgico, che garantisce buoni risultati soprattutto se l’intervento è effettuato precocemente. Avulsione tendinea Mentre la radiografia è l’indagine utile a scongiurare una frattura da avulsione, la risonanza magnetica va effettuata per valutare la possibile avulsione tendinea e ci permette di riconoscere il sito esatto della lesione, quantificare il numero di tendini coinvolti e il loro grado di retrazione oltre che il coinvolgimento nervoso. Le indicazioni principali per il trattamento chirurgico sono infatti la avulsione di tutti e 3 i tendini prossimali, una retrazione tendinea maggiore di 2,5cm e l’interessamento del nervo sciatico, anche se si tratta di un’evenienza abbastanza rara. 34 Il trattamento chirurgico è effettuato attraverso chirurgia a cielo aperto o endoscopica attraverso l’utilizzo di ancoraggi per il fissaggio diretto dei tendini sul loro punto originario di inserzione a livello della tuberosità ischiatica. L’incidenza della rottura dei punti di ancoraggio è bassa (2,7% - 3%) ad un follow up di 12 mesi. Per quanto riguarda il ritorno all’attività Wood et al. riportano, a due anni di follow-up, un recupero in media dell’84% dei livelli di forza preinfortunio e dell’89% per i Figura 10 - intervento di re-inserzione tendinea livelli di endurance muscolare, con l’80% dei pazienti che sono ritornati alle attività pre-infortunio a 6 mesi dall’intervento. La prognosi è peggiore solo nei casi di retrazioni severe o danni al nervo sciatico in quanto richiedono tecniche di riparazione più impegnative. Frattura da Avulsione della tuberosità ischiatica In confronto alle avulsioni tendinee le fratture da avulsione sono meno frequenti rappresentando dal 1,4% al 4% delle lesioni degli ischiocrurali. Gli infortuni di questo tipo tendono a presentarsi in genere nei giovani atleti dai 13 ai 16 anni: durante il periodo puberale si osserva infatti la comparsa del centro di ossificazione secondario, che completerà la sua maturazione solo nella tarda adolescenza. Per questo motivo l’apofisi ischiatica, nell’adolescente, rappresenta il punto debole della catena muscolo-tendineosso. Le fratture da avulsione, quando la dislocazione del frammento osseo è minore di 1cm, possono essere trattate conservativamente con tutori che permettono di limitare i movimenti di estensione e flessione a livello dell’anca. La chirurgia è invece indicata quando la dislocazione del 35 frammento osseo è maggiore di 1cm o in caso di problemi riscontrati nel corso del trattamento conservativo (mancato o ritardato consolidamento dei due capi ossei). Le complicanze relative ad una frattura da avulsione gestita in modo improprio possono essere: dolore cronico durante il cammino o da seduti, impossibilità di ritornare all’attività praticata precedentemente all’infortunio. La procedura standard per la chirurgia consiste nella riduzione e fissazione dei due frammenti ossei attraverso innesto autologo di tessuto osseo prelevato dal grande trocantere o dalla cresta iliaca posteriore, con buoni risultati e un ritorno alle attività pre-infortunio entro un anno dalla chirurgia. 36 IL TRATTAMENTO E LA RIABILITAZIONE DEGLI HSI Il trattamento riabilitativo dovrebbe essere iniziato quanto prima, appena il dolore e la sintomatologia della fase acuta lo consentono, in quanto il trattamento precoce ci permette di scongiurare eventualità come riduzione del tono-trofismo muscolare, migliorare l’approccio psicologico del paziente verso il movimento e il dolore, nonché avere risultati migliori relativamente ai tempi di recupero. Si consiglia dunque di iniziare il protocollo riabilitativo attraverso mobilizzazioni, movimento attivo ed esercizio a carico progressivo già dopo i primi 2 giorni laddove possibile, altrimenti comunque entro la settimana. Prima di descrivere il trattamento nello specifico è interessante considerare la relazione che esiste tra dolore, esercizio e recupero. Un recente studio di Hickey et al. ha messo in evidenza come il dolore, quando entro certi limiti, non sia un elemento sufficiente per impedire la progressione e la sospensione dell’esercizio a scopi riabilitativi. Lo studio consisteva nel mettere a confronto due protocolli riabilitativi uguali basati su esercizi e corsa con progressioni di intensità e difficoltà: la differenza tra i due protocolli stava nel fatto che nel primo (pain-free) la progressione di un esercizio era consentita esclusivamente quando il paziente riusciva a svolgerlo in assenza di dolore, mentre nel secondo (pain-threshold) le progressioni erano consentite se nello svolgimento degli esercizi il dolore restava entro il valore di 4 sulla scala NPRS. I risultati indicano che, nonostante i tempi di recupero siano relativamente simili in entrambi i protocolli, gli atleti trattati attraverso il protocollo painthreshold hanno ottenuto un maggior recupero della forza di flessione del ginocchio e un maggior miglioramento della lunghezza muscolare del bicipite femorale. A quanto pare dunque l’esposizione al dolore entro una certa soglia durante la riabilitazione non è controproducente né pericoloso, anzi sembrerebbe portare dei guadagni, per quanto minimi, sotto certi aspetti legati al recupero della forza e flessibilità. Educare i pazienti al dolore, spiegando che non sempre questo corrisponde direttamente ad un danno, 37 riduce le preoccupazioni e le possibili remore che questi potrebbero sviluppare nei confronti del movimento, elemento chiave nella riabilitazione dei disordini di natura muscoloscheletrica. OBIETTIVI DEL PROGRAMMA RIABILITATIVO Gli obiettivi dei programmi riabilitativi suggeriti dalla letteratura variano in base agli autori, ma hanno in comune diversi aspetti e si possono dunque riassumere in 3 fasi principali, ciascuna con dei criteri da soddisfare e che possono essere sviluppate in diversi modi dal fisioterapista per personalizzarli in base alle necessità di ciascun paziente. • Fase 1 – oltre agli obiettivi propri della fase acuta, in questa fase andremo a proporre i primi esercizi a bassa intensità che ci permetteranno di tenere il paziente attivo e caricare il distretto interessato senza stressarlo. Gli obiettivi per proseguire alla seconda fase saranno: assenza di anomalie nel cammino, possibilità di correre in modo blando (jogging) con dolore <4 alla scala NPRS, buona contrazione isometrica contro resistenza sub-massimale (almeno 4 al TMM, posizione prona e ginocchio a 90°) con dolore <4 alla scala NPRS. • Fase 2 – detta anche fase di rigenerazione, prevede esercizi di intensità maggiore e un generale recupero delle funzioni che permette di tornare a svolgere la maggior parte delle attività quotidiane senza problemi, dal miglioramento della stabilità del tronco, della forza e flessibilità, alla corsa. Gli obiettivi di questa fase saranno: forza normale (5 al TMM, posizione prona e ginocchio a 90°) in una singola contrazione isometrica massimale con dolore <4 alla scala NPRS, corsa in avanti e all’indietro ad una intensità <60% della velocità massima con dolore <4 alla scala NPRS. • Fase 3 – detta anche fase funzionale, questa è la fase che porterà il paziente/atleta al ripristino completo delle funzioni e attività precedenti (dunque anche al ritorno allo sport) e prevede esercizi ad elevate 38 intensità con ROM completo, corsa, agilità e pliometria. Gli obiettivi di questa fase saranno affrontati nel paragrafo relativo al return to sport, ma in linea generale possiamo riassumerli in: ROM e forza simili all’arto sano, movimenti come corsa alla massima intensità, salti e cambi di direzione senza dolore. ELEMENTI DI BASE E PERSONALIZZAZIONE DELLA RIABILITAZIONE Per la letteratura l’intervento principale per il trattamento delle lesioni muscolari consiste in un programma di esercizi. Altri tipi di interventi sono stati studiati da associare all’esercizio fisico, come terapia manuale, terapia fisica e PRP, ma non ci sono evidenze che supportino l’implementazione di questi trattamenti. Il programma di esercizi e attività fisica si basa su alcuni elementi cardine che potranno essere sviluppati in diverse modalità e progressioni sulla base della valutazione iniziale dell’atleta e su quelle successive. Queste infatti ci permetteranno di lavorare sui “punti deboli” del singolo individuo e sulle sue funzioni più deficitarie quali forza, ROM, scarsa endurance ecc. Gli elementi di base sono i seguenti: Corsa Un ritorno progressivo alla corsa ad alta velocità e allo sprinting è probabilmente l’aspetto più importante della riabilitazione. Abbiamo visto, parlando dei fattori di rischio, come l’esposizione alla corsa sia uno dei fattori principali e riportare gli atleti a correre seguendo delle progressioni di intensità e volume adeguate risulta di primaria importanza. La corsa è l’elemento chiave di numerosi sport con alta incidenza di HSI ed è una attività fondamentale nel repertorio di movimenti dell’essere umano in quanto ingloba resistenza, forza, equilibrio e capacità coordinative. La letteratura suggerisce un protocollo composto di 3 fasi di corsa a carico progressivo, ulteriormente suddiviso in 9 livelli di difficoltà come in tabella, 39 che tiene in considerazione il particolare stress che questa attività pone sul gruppo muscolare degli ischiocrurali. TABLE 3 Tabella 3 La prima fase può essere introdotta in modo sicuro già nel momento in cui l’atleta recupera un cammino normale con minimo dolore, e comprende una progressione dal jogging leggero (circa 25% dell’intensità massima) fino una corsa di moderata intensità (circa 40%-50% dell’intensità massima). Il dolore dovrebbe sempre restare sotto la soglia del 4 su scala NPRS. Quando l’atleta riesce a correre con intensità moderata si può passare alla seconda fase della progressione in cui si procederà in modo graduale fino a raggiungere un intensità di corsa intorno al 70% dell’intensità massima senza dolore, che ci porterà nella terza ed ultima fase di progressione in cui l’atleta verrà sottoposto a progressioni di corsa ad elevata intensità fino allo sprinting (progressioni a step di circa il 5%). Questa è una fase delicata e le progressioni vanno tarate con cura, la corsa di intensità superiori all’80% infatti richiedono un forte lavoro in eccentrica da parte degli ischiocrurali. Quando lo sprinting risulta possibile senza dolore il lavoro non è ancora concluso: si dovranno infatti inserire dei lavori di esposizione graduale a queste alte intensità per portare l’atleta ad un return to sport sicuro, evitando il più possibile picchi di volume per ridurre il rischio di recidive. 40 La possibilità di avere accesso a tecnologie sempre più avanzate da parte di operatori sanitari, coach e atleti può aiutarci molto dal punto di vista del monitoraggio: accessori indossabili che includono GPS come smartwatch, app per smartphone e tanti altri strumenti possono essere utilizzati per tenere traccia del volume di lavoro e i progressi di un paziente. Esercizio in contrazione eccentrica per gli hamstring Gli esercizi in eccentrica per gli hamstring sono comunemente utilizzati per la riabilitazione degli HSI per preparare gli atleti alle richieste della corsa e per agire sui deficit di forza e sull’architettura del muscolo. L’enfasi posta su esercizi di questo tipo ha portato gli autori a sviluppare diversi protocolli, come il “Askling-L protocol” per il trattamento delle lesioni degli ischiocrurali. Bisogna dire che la componente chiave per il massimo rinforzo degli ischiocrurali è l’intensità del carico a cui viene sottoposta la muscolatura nella fase di allungamento e, se prendiamo ad esempio il protocollo Askling-L, possiamo notare che gli esercizi proposti non caricano in modo sufficiente i muscoli nella fase eccentrica, o quantomeno non permettono una progressione abbastanza avanzata dei carichi. Per questo motivo risulta necessario per il terapista tenere questi protocolli come guida in una fase inziale, ma svincolarsi da essi e personalizzare il trattamento nel lungo periodo in modo da preparare l’atleta al meglio per il RTS, implementando esercizi di intensità sempre maggiore. L’introduzione degli esercizi eccentrici di intensità maggiori è critica, perché se introdotti troppo precocemente potrebbero risultare deleteri. Risulta necessario dunque attendere almeno il raggiungimento della fase 2 del programma riabilitativo, quando il dolore nelle attività come il cammino e il jogging è risolto e c’è un iniziale recupero della forza. Una volta inseriti la progressione di questi esercizi può essere effettuata in sicurezza, basandosi sulla performance individuale, senza preoccuparsi eccessivamente della presenza di dolore (che deve comunque rimanere sotto la soglia del 4 su NPRS) o di differenze di forza tra i due arti. 41 Un esempio di progressione può essere: introduzione precoce dello scivolamento eccentrico dei talloni bipodalico, che può essere introdotto come primo esercizio in quanto facilmente scalabile e controllabile, e quando l’esecuzione può essere effettuata in ROM completo e con dolore minimo si può passare alla variante monopodalica e introdurre il nordic hamstring exercise. Un approccio progressivo di questo tipo al carico eccentrico ha dimostrato buoni risultati nell’ottenimento, in tempi relativamente brevi, di ottimi guadagni di forza e lunghezza del bicipite femorale. Esercizi di rinforzo dell’estensione di anca Gli esercizi di estensione dell’anca dovrebbero essere implementati per caricare gli ischiocrurali in range più ampi. Esercizi sub-massimali possono essere introdotti precocemente, come l’Askling diver, per poi progredire con iperstensioni a 45° e stacchi rumeni nella fase 2. Oltre agli ischiocrurali muscoli come il grande gluteo e gli adduttori vanno rinforzati in quanto contribuiscono in modo importante alla produzione di forza nella corsa. Per garantire un sufficiente stimolo verso questi muscoli vanno preferiti movimenti che non gravino eccessivamente sugli hamstring attraverso esercizi che prevedano una flessione maggiore di ginocchio, come ponte o hip thrusts e varianti monopodaliche ed esplosive, che sono associate a maggiori livelli di forza dell’estensione di anca e miglioramenti della performance negli atleti sani. 42 In figura è illustrato un esempio di progressione degli esercizi eccentrici e di estensione dell’anca. Figura 11 – progressioni degli esercizi Esercizi di flessibilità Gli esercizi per il miglioramento della flessibilità sono prescritti di frequente nella riabilitazione degli HSI per agire sui deficit di ROM in flessione di anca ed estensione di ginocchio comuni dopo questi infortuni. Va detto che i deficit di ROM si risolvono spesso spontaneamente, in modo graduale, dopo le prime 2 settimane e dunque un intervento diretto potrebbe non essere necessario, soprattutto in virtù della presenza degli esercizi di rinforzo in eccentrica che migliorano comunque la lunghezza muscolare. Gli esercizi di allungamento potrebbero essere utili nei casi in cui i deficit, anche minimi, persistano in quanto sono associati con un maggior rischio di reinfortunio. Per accelerare il recupero del ROM si consigliano dunque esercizi di stretching passivo 4 volte al giorno già 2/3 giorni dopo l’infortunio, da unire ad esercizi di mobilità dell’arto inferiore. Esercizi di agilità e di controllo del tronco Gli esercizi mirati al miglioramento dell’agilità e della stabilità del tronco hanno visto una crescita di impiego quando una ricerca dimostrò che a loro implementazione potesse ridurre il rischio di reinfortunio, nonostante i risultati di questa non trovarono riscontro in studi successivi. 43 Questi esercizi vengono raccolti nell’acronimo PATS (progressive agility and trunk stability) e si pensa che la loro implementazione possa migliorare il controllo del tronco e della muscolatura lombo-pelvica permettendo all’atleta di controllare l’eccessivo allungamento degli hamstring durante i movimenti più a rischio. Gli esercizi di agilità inoltre espongono l’atleta a cambi di direzione, accelerazioni, stop improvvisi e cambi di velocità che lo espongono ai movimenti in cui l’abilità di assorbire e rilasciare in modo rapido grandi quantità di forza è essenziale. Nonostante dunque le ricerche non ci diano risultati certi riguardo la loro implementazione, rappresentano comunque uno strumento importante per migliorare la qualità delle abilità dell’atleta al RTS. RIATLETIZZAZIONE: CRITERI PER IL RETURN TO SPORT Quando tornerò a giocare? È sicuramente la prima domanda che gli atleti si pongono quando subiscono un infortunio e la loro volontà, così come quello del coach, squadra e società è di ritornare ad allenarsi e a gareggiare il prima possibile. La voglia di accorciare il più possibile i tempi di recupero si scontra con l’interesse dello staff medico e dei fisioterapisti che conoscono l’importanza di un corretto iter riabilitativo, che sia scrupoloso e mai affrettato, per far sì che l’atleta torni alla condizione pre-infortunio nel modo migliore possibile, riducendo al massimo il rischio di recidiva. Per fare ciò bisogna che l’atleta raggiunga dei criteri al termine del programma di riabilitazione che attestino la sua effettiva preparazione, ma purtroppo in letteratura non esistono al momento linee guida standardizzate per questi criteri, lasciando al singolo fisioterapista o allo staff medico la decisione che risulta dunque arbitraria e non basata su elementi scientificamente validi. Molte sono state le revisioni sistematiche negli ultimi anni che hanno cercato di portare ordine nel mare magnum di studi che citano questo o quell’altro parametro per valutare l’atleta, e si spera che basandosi su queste si possano finalmente sviluppare delle linee guida validate. Di seguito 44 verranno riportati una serie di criteri, i più citati e studiati in letteratura secondo le revisioni sistematiche, che ci permetteranno di dare il via libera per il ritorno alla competizione. • Assenza di dolore Questo sembrerebbe essere il criterio più importante per la maggior parte degli autori, sebbene non tutti siano d’accordo sul fatto che non ci debba essere alcun tipo di dolore al muscolo. Resta comunque consigliato procedere con il RTS solo quando si ha completa assenza di dolore durante la palpazione, i test di ROM attivo e passivo, le attività di corsa e attività sport specifiche • Completa estensibilità muscolare • Recupero completo della forza Un completo recupero della estensibilità e della forza muscolare paragonati ai livelli pre-infortunio o all’arto sano sono parametri necessari per un ritorno alla competizione sicuro, essendoci un rischio di recidiva significativo a 12 mesi quando questi non vengono rispettati. Sebbene non ci sia ancora un consenso universale su quali siano gli strumenti di misurazione più idonei per valutarli, il recupero si può considerare completo se il deficit resta <10% rispetto all’arto sano o ai livelli pre-infortunio. In letteratura vengono citati principalmente due strumenti per la misurazione della forza degli ischiocrurali: il dinamometro digitale palmare e il dinamometro isocinetico. Con quest’ultimo l’impostazione più frequente è stata quella di 60° al secondo sia in concentrica che in eccentrica per misurare il rapporto hamstring:quadricipite, con gli autori che suggeriscono che il deficit tra forza eccentrica degli hamstring e forza concentrica del quadricipite non deve essere maggiore del 10%. Per la misurazione dell’estensibilità vengono utilizzati lo straight leg raise test (SLR) o l’estensione di ginocchio attiva ad anca flessa a 90°; la letteratura in questo caso non ci indica valori definiti o di cutoff da raggiungere. 45 • Livello di fitness uguale o migliore ai livelli pre-infortunio • Esecuzione di sprint massimali • Corsa pari a quella dei livelli pre-infortunio • Completamento di test sport-specifici • Assenza di alterazioni/asimmetrie nei gesti motori • Completamento di 2-5 allenamenti con la squadra Questi rappresentano i criteri di performance funzionale che l’atleta deve raggiungere, attività che richiedono un’elevata capacità di lavoro degli ischiocrurali e una buona preparazione atletica generale. Il livello di fitness deve essere ottimale per non incorrere in problemi legati a stanchezza e decondizionamento fisico, mentre lo sprint, corsa e test sport specifici (cambi di direzione, decelerazioni, salti, cambi repentini di velocità ecc) servono per testare le abilità dell’atleta di soddisfare le esigenze atletiche che richiede una competizione. Diversi autori inoltre suggeriscono che l’atleta deve aver completato almeno 2 allenamenti con la squadra. • Prontezza individuale dell’atleta al RTS L’atleta deve sentirsi psicologicamente e fisicamente pronto. La fiducia nei suoi mezzi e condizione è di vitale importanza per il RTS in quanto sentimenti come apprensione o ansia possono impattare negativamente sulla performance e sono associati a rischio di recidiva. A questo proposito il raggiungimento dei criteri di preparazione fisica nominati in precedenza può aiutare l’atleta a riacquisire fiducia. 46 47