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LA TRASFORMAZIONE PORNOGRAFICA DELL'EROS

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LA TRASFORMAZIONE PORNOGRAFICA DELL’EROS
«Il porno […] è l’antagonista dell’Eros» scrive così il filosofo coreano Byung-Chul Han nel suo agile
saggio Eros in agonia (nottetempo, 2013).
Il saggio citato esprime, in diversi aspetti, il pensiero di Han intorno a quella che chiama la società
della stanchezza: una società postmoderna il cui soggetto introietta un modello sociale costretto
«dall’Esterno» all’iperproduzione capitalistica, ma tuttavia incapace di sostenerne i ritmi. Tale modo
di agire sarebbe da ricondursi a quanto spiegato, già agli inizi del Novecento, da Walter Benjamin in
uno dei suoi frammenti postumi intitolato Il capitalismo come religione. Benjamin dipinge una
collettività fondata sul culto capitalista: una vera e propria religione cultuale, che però - a differenza
delle altre - non si pone il fine della redenzione, ma quello della colpevolizzazione, non quello della
speranza, ma quello della disperazione. Scrive Giorgio Agamben in Profanazioni (nottetempo,
2005): «Il capitalismo come religione non mira alla trasformazione del mondo, ma alla sua
distruzione». Tutto ciò comporta non di rado disturbi di natura depressiva e nevrotica nel soggetto e
allo stesso tempo implica un controllo esagerato sulle passioni e sulle pulsioni: l’individuo moderno
diventa incapace di amare e si abbandona a una sessualità sempre uguale, che si manifesta
massimamente nella pornografia.
Tornando all’assunto iniziale, leggiamo la spiegazione dell’autore a riguardo: «Pornografica è
proprio l'assenza di contatto e di incontro con l'Altro, ossia il contatto auto-erotico e l'autoaffezione,
che preserva l'ego dal contatto estraneo o dalla commozione. In questo modo, la pornografia rafforza
la trasformazione narcisistica del Sé.» Con questo si connota il fondamento dell’opposizione tra
porno ed Eros: il rinnegamento di un rapporto con l’Altro. La trasformazione pornografica e feticistica
(Pornographisierung) del mondo si realizza in un disinteresse verso l’amore, in un allontanamento
da qualsiasi possibilità di commozione esterna. Ne consegue una riduzione del valore dell’atto
sessuale nei materiali pornografici.
Come ribadisce il sociologo Zygmunt Bauman in Gli usi postmoderni del sesso: l’erotismo
pornografico si emancipa sia - sul piano biologico - dal valore strettamente riproduttivo del sesso,
sia - sul piano culturale - dalle pretese di un’amore puro e senza fine. In una guerra per
l’indipendenza, esso non si allea né col sesso, né con l’amore: si rende autosufficente, reclamando
la propria libertà di cercare il piacere sessuale fine a sé stesso.
In questo modo le pornostar perdono ogni carica emotiva. Consapevoli di essere esposte, non
creano alcun legame con il proprio partner, ma anzi cercano, attraverso l’obiettivo, lo sguardo dello
spettatore; assumono quello che Benjamin chiama «valore di esposizione» (Ausstellungswert).
Vengono esposte come merce dal sistema capitalistico postmoderno.
Non dobbiamo, tuttavia, stupirci di questo valore mercificabile del porno: il lemma, infatti, deriva dal
greco pórne (πόρνη), prostituta, che si può ricondurre al verbo difettivo pérnemi (πέρνημι), vendere
(dalla cui radice indoeuropea deriva anche il latino pretium, prezzo). Il porno è, difatti, stato collegato
fino ad oggi al mondo del mercato. Quello che è importante sottolineare è, però, che se da una parte
la società capitalistica persiste anche grazie all’utilizzo della pornografia come mezzo consumistico,
dall’altra l’individuo dei nostri tempi ignora qualsiasi trasporto sentimentale e sensuale verso l’Altro,
preferendo una sessualità comoda, al riparo da rischi e autoaffettiva. Come fare, dunque, a redimerci
da questa tragica condizione? Il dibattito filosofico contemporaneo offre il suo contributo intorno a
un possibile esito.
Secondo Giorgio Agamben, come spiegato nel breve saggio Profanazioni, tutto verte intorno alla
ricerca del profanare l’improfanabile. Se, infatti, con profanare si intende un riconsegnare all’uso
comune la cosa che era stata consacrata - come già nell’antichità, nei riti pagani, parte della vittima
sacrificale veniva separata dalla sfera del divino per essere donata agli uomini, che potevano così
usufruirne -, la pornografia è, in questo senso, un mezzo improfababile. L’improfanabilità del porno
segue l’idea capitalistica di spettacolo - che essendo esposto non prevede alcun utilizzo - e di
consumo - che è di per sé stesso il contrario dell’uso, che non presume alcun logorio della cosa
usata -. Dunque per Agamben l’ultimo residuo di erotismo (in senso positivo) nel porno si trova nel
volto umano, che, essendo già sempre nudo, non può essere né esposto, né consumato. Non
dispone di alcuna improfanabilità e può, perciò, dare luogo a una profanazione: può creare usi inediti
dell’Eros.
Dal canto suo, lo scrittore francese Christian Bobin immagina un’intenzione erotica di là dai materiali
più osceni. In Abitare poeticamente il mondo, Bobin analizza in generale la crisi della società della
stanchezza e spiega: «È possibile che una catastrofe economica sia una grazia, una possibilità.
Questo ci solleverà, ci farà uscire dall’ebbrezza, dall’irreale, dall’avidità, dal consumo». Egli ritiene
che l’unica maniera per risanare la società odierna sia proprio quella di raggiungerne l’apice,
sperando in uno sfacelo finale della filosofia capitalista. «Sembrerebbe che la notte si debba
addensare ancor di più affinché si possano scorgere le prime stelle». L’Eros dovrà abbandonarci
quasi completamente, perchè noi possiamo renderci conto della sua importanza, perchè ci sia una
reale consapevolezza. Solo così potremo finalmente tornare ad amare.
Articolo a cura
Di Enea Arrigoni
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