Uploaded by Alberto Caruso

Economia degli Intermediari Finanziari - Appunti I parziale

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APPUNTI DI INTERMEDIARI FINANZIARI
IL SISTEMA FINANZIARIO – CAPITOLO 2
Il sistema finanziario è una sovrastruttura fatta sia di una componente materiale (come gli sportelli
delle banche, gli immobili dove hanno sede e dove si stipulano i contratti finanziari), sia di una
componente immateriale (informazioni, software, regolamentazione).
Dal punto di vista strutturale, cioè andando ad analizzare da cosa è costituito, il sistema finanziario è
l’insieme di tre componenti:
- strumenti (contratti) finanziari = i vincoli attraverso i quali il reddito non speso immediatamente, il
risparmio, può essere spostato nel tempo e nello spazio; si preferisce parlare di contratto, perché lo
strumento è un contratto finanziario particolare, con caratteristiche tecnico-economiche
standardizzate. Contratto è invece qualsiasi forma di impiego del risparmio, ve ne sono di due specie,
fra questi vi sono quelli standardizzati che sono gli strumenti finanziari, e poi ci sono quelli
personalizzabili, detti anche strumenti creditizi, ritagliati sulle specifiche esigenze del contraente. La
particolarità del contratto/operazione è quella di figurare contemporaneamente nel bilancio di
entrambi i contraenti: prenditore e datore di fondi, rispettivamente come passività ed attività.
- istituzioni finanziarie (o intermediari) = mettono in relazione domanda ed offerta di risparmio;
raccolgono i fondi, diventano controparte del risparmiatore, acquisiscono la proprietà dei suoi
risparmi e li impiegano
- mercati finanziari = luogo dove vengono emessi e negoziati i contratti finanziari, a volte con
l’intervento attivo degli intermediari. Ce ne sono di due tipi:
1. i mercati aperti, dove si negoziano solo gli standardizzati secondo regole codificate. I principali
sono il mkt monetario (con contratti di breve), obbligazionario (che ha una componente pubblica
con i titoli di stato), azionario e quello degli strumenti derivati di cui non ci occupiamo.
2. i mercati a ricerca diretta della controparte, dove si stipulano i contratti personalizzati. I principali
sono quello creditizio ed assicurativo. Nel primo, i due contratti più comuni sono il deposito (a
vista o a risparmio), e i prestiti bancari (le banche anziché raccogliere i fondi li impiegano,
normalmente raccogliendoli dalle famiglie); di questi ultimi, i più diffusi sono i mutui ipotecari,
cioè quei prestiti alle famiglie ma anche alle imprese, a lungo termine, che si rimborsano a rate,
garantite dall’ipoteca sull’immobile che è stato acquistato mediante il finanziamento bancario. Poi
ci sono i prodotti assicurativi, che sono di due tipologie.
I più popolari sono i mkt aperti che presiedono alla soddisfazione delle esigenze degli operatori
economici.
La quarta componente sarebbe la regolamentazione, le autorità di controllo. Affinché i risparmi siano
ben gestiti si necessita di adeguati controlli, il sistema finanziario è l’industria più regolamentata. Le
regole le fa il legislatore, ma sempre di più a livello sovranazionale. Una parte di questa
regolamentazione è immediatamente vincolante, e una parte necessita di un recepimento. È sugli
intermediari che ricade la gran parte dei controlli. La regolamentazione viene recepita in alcuni grandi
testi unici, in Italia in particolare abbiamo:
- testo unico banche (si occupa degli intermediari creditizi)
- testo unico della finanza (si occupa della borsa)
- codice delle assicurazioni private
Le norme primarie, quelle omogenee per i paesi UE, per essere applicate necessitano di istruzioni
(circolari, regolamenti attuativi), chiamate normativa secondaria, che sono affidate alle autorità di
vigilanza, che servono agli intermediari per capire come in concreto applicare le norme di legge.
Queste quattro componenti servono a dare risposte pratiche agli operatori del sistema, che sono i
produttori del risparmio, le imprese, lo Stato, entrambi prenditori netti di risparmio, e l’estero. Le
esigenze sono quelle di investimento, finanziamento, pagamento, copertura e gestione dei rischi.
I rischi possono essere di tipo puro, come quelli coperti dall’assicurazione (incidenti, infortuni…), che
producono solo perdite, non possono avere conseguenze positive. Ci sono poi i rischi finanziari,
chiamati anche speculativi, che si differenziano da quelli puri per il fatto che possono avere risvolti
positivi così come negativi. Cioè l’attività rischiosa può produrre sia perdite che guadagni.
Come esistono le polizze assicurative per i primi, esistono anche per i secondi: se non voglio correre
il rischio che ad esempio le azioni o i titoli di stato acquistati si svalutino, esistono aziende apposite
che si occupano di tutelarmi previo pagamento. Si parla di strumenti derivati.
Secondo un approccio funzionale, invece, le funzioni del sistema finanziario sono:
1) intermediazione = mettere in contatto chi produce risparmio e chi ha bisogno di finanziamenti; dal
lato dell’attivo diversifico bene il rischio perché ho tanti piccoli depositanti, così come diversifico bene
il lato del passivo, perché investo i fondi in una miriade di investimenti diversi, per la legge dei grandi
numeri difficilmente la banca può fallire, cioè è difficile che contemporaneamente tutti gli
investimenti vadano male o tutti i depositanti corrano agli sportelli;
2) monetaria = trasferisce risparmio nello spazio (non solo nel tempo), garantendo la possibilità alla
moneta di circolare e di fare pagamenti; la moneta è costituita dai depositi in conto corrente, che sono
il mezzo di pagamento, utilizzato mediante procedure di pagamento, infatti bisogna trasformare la
moneta bancaria in moneta legale;
3) trasmissione degli impulsi di politica monetaria
4) assicurazione finanziaria
I compiti sono quelli di abbattere i costi di transazione, produrre informazione e attenuare le
asimmetrie nella sua distribuzione e ridurre i problemi di incentivo tra le controparti.
LA FUNZIONE DI INTERMEDIAZIONE
Le banche e le altre istituzioni finanziarie, tra le quattro funzioni che svolgono, hanno quella di
intermediazione, che consiste nel trasferimento del risparmio da chi lo produce, tipicamente le
famiglie, settore istituzionale strutturalmente in surplus, a chi lo necessita per impieghi fruttiferi,
avendo occasione di impiego a differenza dei primi. Svolgono un ruolo essenziale volto al
miglioramento dell’efficienza dell’economia. Sostanzialmente mettono a contatto produttori e
utilizzatori di risparmio.
Questo trasferimento di fondi segue due diversi circuiti: uno diretto, meno importante ma molto più
popolare; e un altro meno popolare ma molto più importante dal punto di vista della quantità di
attività di intermediazione svolta, che è il circuito indiretto.
Nel primo, le unità in surplus e quelle in deficit si scambiano direttamente contratti finanziari, in
particolare quelli standardizzati, tipicamente strumenti di base, titoli di debito e di capitale. In questo
circuito, gli affari combinabili sono relativamente pochi rispetto a quello indiretto, perché affinché ci
sia uno scambio diretto di fondi famiglia-impresa / famiglia-Stato, occorre che ci sia un perfetto
allineamento delle preferenze. Infatti, normalmente i sottoscrittori vogliono pochi rischi e tanta
liquidità, mentre le aziende vogliono trovare qualcuno dotato di risparmio che rinunci alla liquidità
nel breve per sottoscrivere azioni o, nel caso delle obbligazioni, dare fondi come socio di minoranza
in una impresa quotata, sperando (in entrambi i casi) di fare un buon affare, cioè di potere prima o
poi uscire da questo investimento con più soldi di quelli investiti in origine, tanti di più quanto più
lungo e rischioso sia stato l’investimento. Si spera che questo guadagno recuperi per lo meno la
perdita dovuta all’inflazione, cioè l’aumento del costo della vita.
Avendo questa disparità di preferenze è quindi difficile concludere affari. Perciò il grosso dell’attività
di intermediazione lo fa il circuito indiretto, perché in questa parte del sistema finanziario ci sono dei
“trasformatori” (cioè intermediari) che, anziché limitarsi a mettere a contatto i due fronti, si fanno
controparte indiretta del produttore di risparmio (la famiglia). Fanno raccolta dei suoi fondi dandogli
quello che cerca: basso rischio (la banca non fallisce mai) e alto liquidità (i soldi te li ridò quando
vuoi); chiaramente il rendimento sarà per questo abbastanza basso. A questo punto, usa questi
risparmi e li trasforma in ciò che l’altra controparte in deficit (le imprese) chiede al sistema
finanziario, cioè finanziamenti pluriennali, per consentire a chi li riceve di realizzare gli investimenti
programmati e dare tempo a questi investimenti di produrre un profitto.
Nel circuito indiretto ci sono anche figure che non lavorano con le famiglie, non concedono credito,
ma sono importanti per lo sviluppo economico perché diventano partecipanti al capitale di imprese,
per lo più piccole, con potenziale di sviluppo ma senza capitale per realizzarlo. Si sta parlando degli
intermediari mobiliari: questi soggetti sono specializzati nell’acquisire partecipazioni anche di
maggioranza assoluta di piccole e medie società con buone prospettive di sviluppo. Si impegnano,
come minimo per 5-10 anni, a supporto di queste imprese, sperando, nel lungo termine, che
l’investimento fatto si moltiplichi. Lo fanno raccogliendo fondi da chi vuole investire in questo tipo di
gestione (non solo famiglie ma anche banche, fondi pensione), ricercando pmi in cui investire.
Ogni tanto però il sistema finanziario “si inceppa”, si producono eventi catastrofici chiamati crisi
finanziarie che accadono ciclicamente. Quando emerge, le conseguenze sono innanzitutto sugli
operatori finanziari, cioè gli intermediari e gli operatori finali, ma anche di natura reale.
Questo accade quando la finanza perde la sua ragione di essere, cioè quella di meccanismo di
lubrificazione dell’economia reale a supporto degli investimenti reali e dello sviluppo economico.
Cioè quando diventa fine a sé stessa, “soldi per fare soldi”, e non c’è più una rappresentazione reale
nel bilancio delle imprese della parte finanziaria.
Mercati principali e tassi di interesse
Sono tre i mkt che richiedono particolare attenzione:
- mkt obbligazionario (mkt del debito) = determina i tassi di interesse
- mkt azionario = ha un effetto decisivo sulla ricchezza delle persone e sulle decisioni di investimento
aziendale; consiste in strumenti finanziari più speculativi che interesseranno di più chi vuole investire
con lo scopo di accrescere il più rapidamente possibile il valore del proprio portafoglio finanziario
- mkt dei cambi = le fluttuazioni nei tassi di cambio hanno conseguenze profonde per l’economia
I tassi di interesse oggi sono storicamente molto bassi, il tasso di interesse di rifinanziamento delle
banche preso la BC è nullo in Europa, in Uk è 0,25 mentre in Usa è 1.25. Questi tassi sono fissati
direttamente dalle rispettive Banche Centrali mediante la regolazione dell’offerta di moneta.
Ci sono poi dei tassi di mercato, che sono invece dettati da domanda ed offerta e non fissati da un
decisore. Essi rappresentano i tassi a cui l’offerta di moneta concessa dalla BC sul mercato viene
scambiata fra coloro che hanno fondi da investire e coloro che quei fondi li chiedono in prestito.
I tassi di mkt a breve più famosi sono quelli del mkt interbancario, e tra questi il più famoso è
“Euribor”, che è un tasso a un giorno (-0,5 attualmente) ed esiste in numerose altre versioni a seconda
di quanto dura, ma attualmente sono tutti numeri negativi.
L’operazione sottostante questo tasso è un prestito fra banche (da qui “interbancari”): ora due banche
primarie che si scambiano prestiti a breve da un giorno a un altro sul mkt interbancario praticano
l’una all’altra un tasso di interesse negativo, cioè chi riceve soldi in prestito non rimborsa lo stesso
quantitativo ricevuto più un quid che rappresenta il costo del finanziamento, ma rimborsa meno soldi
di quelli ricevuti. E’ una situazione non convenzionale dovuta all’eccesso di liquidità in circolazione.
Un utilizzo scontato di questa liquidità sarebbe quello di tenerla ferma nel conto corrente che
ciascuna banca ha presso la propria BC, invece che darla in prestito sul mkt rimettendoci. Il motivo
per cui questo non accade è che è un’operazione disincentivata dalla BC: i tassi presso la BC sono
nulli quando presta soldi alle banche, ma quando queste ultime depositano presso di essa la propria
liquidità sono negativi, e ancor più di quelli del mkt interbancario.
Questi tassi sono molto importanti anche per le famiglie, perché quasi tutti i prestiti concessi loro
dalle banche costano in proporzione a questi tassi di interesse. Quindi se sono negativi è una buona
notizia per i prenditori di credito perché appunto indebitarsi risulta molto conveniente. Naturalmente
il costo del debito non è negativo, perché il tasso del prestito è in funzione di un tasso, ad esempio
l’Euribor, più un certo mark-up, che risente della maggiore probabilità di fallimento imputata alla
famiglia invece che alla banca internazionale. Questo mark-up dipende anche dalla forza contrattuale
del debitore. La somma algebrica risulta quindi in un tasso di interesse positivo. Tuttavia, al momento
le banche quando fanno provvista di fondi a breve, per poi finanziare con le somme ottenute in
prestito altri agenti, hanno un costo della raccolta che è addirittura negativo in media.
Siamo quindi in una situazione di mkt, dal punto di vista dei tassi, particolare: il costo del debito a
breve e a lungo è il più basso visto nella storia economica recente.
Questo spiega perché oggi la maggior parte dei mutui ipotecari siano non a tasso indicizzato, ma a
tasso fisso. Se mi aspetto che i tassi possano solo aumentare, voglio approfittare della particolare
situazione, quindi se faccio un mutuo non indicizzo a un numero che presto salirà, vincolo invece,
per tutta la durata del finanziamento, il tasso di interesse al livello attuale a 10/15 anni e lì i tassi sono
positivi, perché su un orizzonte così lungo indebitarsi a tasso variabile è troppo rischioso, appunto
perché è impossibile che i tassi sul lungo termine rimangano a questi livelli straordinari.
Abbiamo poi anche i tassi di interesse dei titoli di stato, cioè su operazioni di finanziamento fatte non
da banche ma dallo Stato, con scadenze di durata pluriennale. Questi tassi sono positivi: ogni volta
che investo nel titolo di debito di qualcuno mi aspetto di vedere i miei soldi aumentati. Sono
comunque bassi, parliamo del 2%: se infatti l’inflazione è intorno al 4% attualmente, ottenere il 2% un
domani nell’arco di 10 anni in media significa perdere circa il 2%. Questo perché guadagno il 2%, ma
oggi l’inflazione corre non al 2 ma al 4%, perciò il rendimento nominale che ottengo non è neanche
lontanamente sufficiente a colmarla. Se invece questo 4 ritornasse al valore obiettivo del 2% nel giro
di qualche trimestre, riusciremmo a colmare quasi perfettamente l’inflazione ma continueremmo a
non avere guadagno. Guadagniamo giusto quanto serve per non perdere in termini di potere
d’acquisto sul risparmio dato in prestito. Perciò i tassi di interesse sono molto bassi sia a livelli reali,
sia a livelli nominali.
Per quanto riguarda le quotazioni, siamo ai massimi storici, cioè tutti gli investitori si sono concentrati
sull’investimento azionario piuttosto che su quello obbligazionario. Questo è ovvio, perché, essendo
da anni i tassi negativi, tutti si buttano su un altro mercato, visto che quello obbligazionario, per
quanto meno rischioso, dà rendimenti così risicati. Si predilige quindi il mercato azionario.
È chiaro che se tutti portano lì i loro risparmi, la domanda di azioni cresce e se l’offerta di azioni non
si adegua (cioè se non ci sono nuove quotazioni di società prima non quotate, o aumenti di capitale
da parte di società già quotate), per la legge della domanda e dell’offerta, i prezzi dell’investimento
non possono che salire.
Tassi di interesse USA trimestrali: anch’essi molto bassi, rasentano lo zero. Non lo sono sempre stati
però: hanno oscillato, arrivando anche sopra le due cifre, in particolare oltre il 15% nel 1992, con la
crisi petrolifera che ha determinato l’innalzamento repentino sui titoli di stato a breve termine.
Ci sono altri due tassi di interesse sempre relativi ai titoli di stato (obbligazioni del tesoro americano)
ma a lungo termine (invece che trimestrali decennali), dove il più alto è sempre un tasso decennale
relativo ai debiti di privati, cioè di imprese e società. Costituisce il costo per l’emittente, con un rating
baa, che è un rating intermedio.
In generale la curva dei tassi a lungo sta tendenzialmente sopra quella a breve: questo ha senso,
perché se investo a 3 mesi o a 10 anni, corro un rischio molto diverso che è più elevato nel secondo
investimento, quindi chiederò a chi prende in prestito soldi da me (in questo caso l’emittente del
tesoro americano) un costo del prestito più alto, che ingloba un premio per il rischio maggiore. Ad
ogni modo i due tassi si muovono in maniera simile benché quello a breve presenti una maggiore
volatilità.
Ci sono casi in cui questa relazione non è sempre rispettata, in alcuni casi i tassi a breve sono più alti
di quelli a lungo, si dice che la struttura di interessi di mkt per scadenze, che dovrebbe essere di tipo
crescente, si inverte, cioè investire a breve rende di più di quanto rende investire a lungo (questo
succede in prossimità delle crisi finanziarie, cioè quando inizia una recessione economica).
Infine c’è il tasso dei privati: quando un privato si indebita a lungo termine e fa concorrenza allo
Stato. Non deve sorprendere che i privati, a parità di scadenza, paghino di più in termini di interesse
quando fanno un debito di durata pluriennale. Infatti, se si vuole battere la concorrenza dello Stato,
che è considerato praticamente infallibile, anche se ho una buona media dal punto di vista creditizio,
devo offrire un rendimento più alto rispetto a quello che paga il Tesoro, appunto perché è molto
meno rischioso. L’unica cosa che può fare il privato è aumentare il proprio listino prezzi, ma poi deve
vendere i suoi prodotti rincarati sul mercato e potrebbe non riscontrare una domanda adeguata.
Questo differenziale fra curva del tasso dei privati e dello Stato non è mai molto ampio per buoni
creditori privati. In momenti di crisi esso diventa notevole, perché quando il credito scarseggia
bisogna aumentare il tasso rispetto al concorrente principale.
I tassi di interesse, quindi, si muovono nel tempo e molto, ma in generale tendono a muoversi
insieme. Quelli a breve con quelli a lungo, quelli dei privati con quelli dello Stato sovrano. C’è quindi
una fortissima correlazione. Per questo gli economisti spesso non parlano di “tassi” di interesse, ma di
“tasso”. I tassi sono molti, sono classificati per durata e per merito creditizio dell’emittente (mediante
il rating) ed anche per valuta.
CIRCUITO DIRETTO
Ogni contratto è una passività per qualcuno e una attività per qualcun altro.
Chi aumenta le proprie passività finanziarie, ogni volta che stipula il contratto come prenditore finale
di fondi, scrive nel proprio stato patrimoniale, nella colonna a destra dell’”avere”, un nuovo
debito/passività.
Quel contratto, anche detto strumento
finanziario (questi sono i contratti tipici
del circuito diretto), viene direttamente
venduto al prestatore finale di fondi,
tipicamente la famiglia, visto che è il
soggetto istituzionale principale a
generare risparmio. Abbiamo che il contratto è presente anche nello stato patrimoniale del datore di
fondi (famiglia), che lo scriverà però nella colonna a sinistra del “dare”, appunto perché sta
impiegando fondi avendoli prestati.
Se il debitore non è in grado alla scadenza del debito di rimborsarlo regolarmente, quindi il valore di
recupero di questo finanziamento è solo una frazione dell’investimento iniziale,
contemporaneamente significa che c’è qualcun altro che soffre nelle proprie attività, perché quello
strumento finanziario non vale più ad es. 1000 ma 400, e questa sofferenza si trasmette direttamente.
Non c’è un trasformatore dei rischio: quello che accade all’emittente ricade direttamente sul datore di
fondi.
CIRCUITO INDIRETTO
Si potrebbero invece affidare i propri fondi a un soggetto, l’intermediario finanziario, che appunto fa
da tramite tra prestatore e prenditore finale. Perciò qui il contratto diretto si sdoppia, da un contratto
se ne costituiscono due.
La famiglia dà i soldi all’intermediario, quindi il debitore del prestatore finale di fondi non coincide
più come prima con l’utilizzatore finale dei fondi, ma è appunto un intermediario che gode di una
buona reputazione nella comunità finanziaria. A sua volta l’intermediario, una volta fatto provvista di
fondi, prende i risparmi e li trasforma in prestiti da fornire al prenditore finale di fondi.
Alla fine il concetto è sempre lo stesso, si relazionano coloro che hanno fondi con quelli che li
vogliono per investire. La
differenza sostanziale è che
l’intermediario funge da
debitore nei confronti del
prestatore finale ed è molto
meglio del prenditore finale,
perché prospera sulla legge dei
grandi numeri: prende non solo
i miei risparmi ma anche quelli di tanti altri risparmiatori e li mette insieme creando una grande cassa
comune, e poi, fatta questa raccolta, distribuisce i fondi raccolti investendoli in operazioni di
finanziamento per tanti altri prenditori finali di fondi.
Si ha quindi un’operazione molto meno rischiosa: i miei 1000 euro non vanno tutti ad esempio in
obbligazioni di Parmalat, ma vengono messi insieme a quelli d’altri risparmiatori e investiti per un
ennesimo in tante imprese, con diversi gradi di rischio. Ora non partecipo a un singolo investimento
ma a un enorme portafoglio di investimenti (dove rischi elevati e bassi si compensano), tutti fatti con i
soldi dei clienti, non degli azionisti della banca, che superano normalmente solo il 10% del totale.
Gli intermediari campano sulla naturale diversificazione del rischio che si può realizzare non
mettendo tutte le uova in un unico paniere. È la banca inoltre che risponde del proprio patrimonio e
degli eventuali prestiti, perché ora è lei il debitore dei prestatori, non il prenditore finale.
I due contratti sono inoltre diversi, perché il contratto col prestatore ha un valore di mkt fisso, cioè
una passività nominale: ha un valore certo, in qualunque momento posso riscattarlo.
I due circuiti e gli attori
Possiamo mettere insieme i due circuiti.
Da una parte abbiamo coloro che hanno
fondi da investire e quindi sono in
surplus, dall’altra abbiamo quelli che
sono in deficit, cioè che hanno occasioni
per investire fondi ma non hanno
abbastanza fondi da investire, perché il
risparmio generato internamente è molto
basso. In ciascuna delle due caselle ci
sono gli stessi soggetti istituzionali ma
indicati in ordine diverso.
• famiglie = dal lato di coloro in surplus,
si trovano al primo posto, perché sono i soggetti che hanno maggiore propensione al risparmio,
coloro che meno consumano fra tutti il loro reddito. Negli ultimi anni questa propensione al
risparmio si è indebolita a causa della diminuzione del reddito dovuta prima alla crisi del 2008 e poi
alla crisi Covid. I risparmi delle famiglie, in questo periodo, sono stati intaccati al fine di mantenere
invariato il proprio tenore di vita. Il risparmio serve infatti per attenuare gli effetti negativi del ciclo
economico sul tenore di vita dei soggetti. Sul lato del deficit sono al terzo posto perché fanno pochi
debiti, per lo più legati ai consumi.
• imprese = esse sono in testa agli utilizzatori di fondi, perché sono un settore di soggetti che
tendenzialmente hanno un salto finanziario negativo: sono prenditori netti di fondi, unità in deficit.
Fanno utili in media, “in deficit” vuol dire che la parte reinvestita degli utili fatti non è sufficiente per
finanziare tutti i progetti di investimento desiderati. Sono al secondo posto nelle unità in surplus
perché negli ultimi anni le imprese si sono comportate come le famiglie: hanno fatto utili ma non li
hanno reinvestiti in progetti di investimento di tipo reale, quindi hanno avuto un saldo finanziario
positivo. Questo è un problema, perché se fanno utili ma non investono, vuol dire che non hanno
fiducia nel futuro e che si creerà meno sviluppo e occupazione.
• amministrazione pubblica = al terzo posto nel surplus e al secondo posto nelle unità in deficit: sono
dei voraci prenditori di risparmio privato, nel caso italiano in particolare. È talvolta però anche un
soggetto in grado di risparmiare: il risparmio pubblico è la differenza fra entrate e uscite.
• soggetti esteri = ultimo in entrambe le categorie: si negoziano contratti finanziari non solo con
famiglie, imprese e amministrazioni nazionali, ma il mkt è aperto anche a importazioni ed
esportazioni del risparmio. Ci sono quindi soggetti esteri che vengono in Italia ad investire, facendo
credito a imprese, famiglie e allo Stato italiano, così come ci sono italiani che portano all’estero i
propri capitali, sia per investimenti produttivi che di natura finanziaria. Non ha una posizione stabile
dal punto di vista finanziario, sempre strutturalmente in deficit o in surplus, ha un segno oscillante.
Alla fine la sommatoria di entrate e uscite deve quadrare. Abbiamo in questo senso un travaso di
fondi, che normalmente va per lo più dalle famiglie alle imprese, con eccezioni.
La cartolarizzazione
Oltre ai due circuiti citati, nel tempo si è sviluppato un circuito ibrido: mentre in quello diretto le
imprese collocano le obbligazioni nel ptf delle famiglie, gli stati emettono titoli pubblici e le famiglie li
comprano, e nell’indiretto il tutto avviene con il tramite dell’intermediario, nel terzo circuito gli
intermediari sottoscrivono contratti con altri intermediari finanziari.
La clientela ordinaria dell’intermediario finanziario è il pubblico, fatto di famiglie produttrici,
imprese, Stato centrale e sue articolazioni territoriali. Non c’è come tipico cliente un altro
intermediario finanziario.
Nel circuito della cartolarizzazione, invece, accade che gli intermediari finanziari fanno credito ad altri
intermediari. Qui, quindi, gli operatori non sono più banche, if, operatori finali, ma si parla di
operazioni banca su banca, intermediario su intermediario.
Il termine “cartolarizzazione” indica una tecnica attraverso cui gli if trasformano in security, cioè in
strumenti finanziari, contratti che non sono standardizzati, bensì personalizzati, tecnica attraverso la
quale strumenti creditizi (contratti personalizzati) vengono trasformati in strumenti che possono
circolare, cioè in titoli ed obbligazioni.
Vengono presi prestiti bancari, per costruzione illiquidi (mutui a lungo a famiglie ed imprese) e che
non possono essere venduti sul mkt secondario perché non possiedono un mkt dell’usato non
essendo prezzabili in maniera standardizzata, messi tutti insieme a costruire un portafoglio, il quale
viene cartolarizzato, cioè viene trasformato in una serie di titoli negoziabili, con una particolarità: le
obbligazioni che io emetto sono garantite dai mutui ipotecari che cartolarizzo. È come se andassi in
un caveau di una banca e prendessi una serie di mutui ipotecari regolari (cioè di famiglie che pagano
le loro rate), e le mettessi in un altro caveau di una società emittente, che acquisisce la disponibilità di
queste operazioni, che sono buone, cioè in regolare funzionamento, facendo infine un debito
emettendo le obbligazioni sul mercato. Essa dice poi ai risparmiatori che non è un debito solo del
veicolo, perché ha una solo attività nel suo attivo patrimoniale che sono i mutui buoni.
L’obiettivo è incassare le rate dalle famiglie con i mutui girandone una parte sotto forma di interessi a
coloro che hanno comprato le azioni. Questo soggetto non svolge nessun altra attività se non quella di
cassaforte: è una società che ha nel bilancio dei prestiti, di cui cura i tassi di interesse e che gira ai
sottoscrittori delle obbligazioni.
La banca, originario creatore di questi mutui, ottiene suddetto risultato: aveva dei mutui a lungo
termine che non voleva più continuare a tenere in portafoglio e che non aveva possibilità di cedere
non essendo vendibili su nessun mkt secondario, con questo metodo ha la possibilità di liberarsene
prima della scadenza cedendo il pacchetto a un terzo soggetto che non ha conflitti di interesse con i
suoi finanziatori (i sottoscrittori delle obbligazioni che questa società veicolo emette sul mkt), e questo
veicolo gestisce semplicemente il patrimonio per conto dei suoi sottoscrittori.
Quindi un pacchetto di attività prima non liquidabili diventano di fatto titoli circolanti sul mkt
attraverso una triangolazione sintetica tale per cui i finanziatori delle famiglie sono operatori di mkt il
cui capitale è servito a un veicolo per rilevare dalla banca il pacchetto di prestiti buoni ormai di durata
troppo lunga per le nuove preferenze della banca stessa.
Quindi la banca cede i prestiti a un altro intermediario, il veicolo, il quale a sua volta ricava i fondi per
indennizzare la banca mettendo obbligazioni sul mkt finanziario, descrivendole non come
obbligazioni societarie, perché suddetto veicolo non svolge alcuna attività imprenditoriale, funge solo
da passa carte. Perciò, la banca come finanziatore è sostituita dal mkt, dal pubblico di obbligazionisti
che si fidano del veicolo/amministratore di patrimoni.
Se la cartolarizzazione finisce per coinvolgere mutui di scarsa qualità, c’è il rischio che si cartolarizzino
anche prestiti di persone non solventi, e succede che non si avranno pagamenti della rate, di
conseguenza non si sarà in grado di pagare gli interessi.
Swift – sistema di messaggistica, società in Belgio che riconcilia le varie operazioni di pagamento in
modo che il denaro vada dalla banca emittente alla ricevente. Chiudendo questo sistema, difficile per
le banche russe incassare i pagamenti e pagare.
Le autorità di vigilanza del sistema finanziario
Il risparmio può essere impiegato in due modi:
- investimento immobiliare = attività reale, comprano
immobili;
ma poiché nel nostro paese la maggior parte delle
famiglie possiede una casa, si ricorre alla seconda
opzione residuando un’ulteriore quota di risparmio:
- investimento finanziario
Nello schema troviamo le principali autorità di
vigilanza del sistema finanziario del nostro paese:
- Banca d’Italia = vigila sul sistema bancario e non
solo, e ha l’obiettivo della stabilità del sistema
finanziario ma anche intermediario
- Consob = controlli di trasparenza delle
informazioni fornite agli investitori sui mercati aperti
(ha più a che fare con il circuito diretto) e sulla trasparenza degli assetti proprietari delle società
quotate in borsa; si occupa di verificare la correttezza degli intermediari e degli agenti quando
operano nel circuito diretto
- Antitrust = tutela della concorrenza e combattere comportamenti che ostacolano la competizione fra
imprese; si occupa della concorrenza in tutto il sistema economico; fino al 2005 questi controlli in
Italia erano in capo alla Banca d’Italia
- Ivass = istituto di vigilanza sulle assicurazioni; è una costola della Banca d’Italia ormai, mentre un
tempo aveva una governance del tutto separata. Anche qui ci sono stati un po’ di dubbi relativamente
all’efficacia della sua attività di vigilanza, da qui il motivo per cui è diventata un pezzo della BC
- Covip = vigilanza sui fondi pensione; la nostra previdenza pubblica ha un ramo pubblico e un ramo
privato, quello dei fondi pensione, il cui scopo è raccogliere lungo la vita dei lavoratori una quota dei
loro risparmi, per fare in modo, una volta investiti, che vengano restituiti opportunamente rivalutati
sotto forma di una rendita previdenziale privata al momento dell’età pensionistica del lavoratore.
Vigila su questa tipologia di investitori finanziari, intermediari
Vediamo che il circuito indiretto è dominato da banche, o meglio “intermediari creditizi”: dall’alto
dei loro impieghi, si specializzano nel concedere credito agli utenti finali del settore finanziario e
quindi non diventano soci delle imprese, non investono in azioni, perché la loro vocazione è fare
debito con uno per fare credito a un altro. Fra questi intermediari la più importante è la banca, che
oltre a fare credito, esercita anche la funzione monetaria, cioè, quando raccoglie i fondi dai
risparmiatori, lo fa di nuovo utilizzando prevalentemente il contratto di indebitamento (io creditore
sono certo della restituzione e ho diritto a un interesse periodico), ma parte di questi debiti (depositi
monetari) può essere usata al posto della moneta legale per fare pagamenti. Queste sono le due
funzioni che svolge in simultanea: fa credito raccogliendo i risparmi, ma fornisce ai depositanti anche
un servizio di liquidità.
I depositi piacciono molto perché lì i soldi vengono parcheggiati e rimangono del loro valore al netto
dell’inflazione, non sono investiti né ci sono tassi negativi.
Ci sono poi gli investitori istituzionali, e tra i più importanti abbiamo i fondi comuni e i fondi
pensione. Il grosso dei risparmi delle famiglie finisce qui, soprattutto nelle polizze a ramo vita. Invece
che investire in strumenti finanziari, le famiglie preferiscono investire in polizze caso vita e nei fondi
comuni di investimento.
Il motivo per cui si comprano questi investimenti è che si delega l’investimento a chi è più esperto e
che diversamente dalla banca effettivamente ha del rischio (non so quanto otterrò tra qualche anno)
Servono le infrastrutture per consentire ai mezzi finanziari di spostarsi, la più importante è da un lato
il sistema dei pagamenti, dall’altro quelle che si occupano del funzionamento dei mercati. La prima
consente di trasferire nello spazio mezzi monetari, la seconda consente di collocare le nuove
emissioni (azioni, obbligazioni) e poi il mercato di borsa, dove si rendono liquidabili investimenti fatti
in precedenza.
I mercati mobiliari
Mercato degli strumenti finanziari circolari. Li classifichiamo:
- per tipologia di contratto scambiato = esso è uno strumento standardizzato e per questo scambiabile
facilmente. Ci sono i mkt del debito, dove posso diventare solo creditore della società emittente, e
dall’altra parte i contratti di tipo azionario, dove si è padrone pro quota di una certa società che ha
diffuso fra il pubblico la proprietà delle proprie azioni. Il contratto di debito tutela di più le ragioni
del risparmiatore perché ha una scadenza e una remunerazione fissa e a scadenza regolare, nell’altro
l’azione non ha una data entro la quale viene rimborsato il suo valore, la durata dell’investimento la
decide il compratore, quando decide di vendere in borsa. Il mercato deve essere quindi molto liquido
qui, perché deve essere possibile disinvestire. Così come se voglio comprare le azioni generali, per
forza devo comprarle usate sul mercato, quindi trovare qualcuno che le venda. Deve funzionare bene
perché è un mercato dell’usato: l’unico modo per uscire è trovare qualcuno che prenda il mio posto.
La prospettiva di guadagno poi non è fissa come nell’altro mercato, potrebbero non esserci utili: se
sono azionista allora non avrò nulla, se invece sono investitore per contratto riceverò una
remunerazione. Se invece l’azienda è ben gestita e fa utili, il creditore non ci guadagna perché ha un
contratto fisso, mentre l’azionista sì.
Il debito può avere diverse scadenze: se scade presto, il contratto è poco rischioso; se invece la durata
è pluriennale, con una scadenza massima effettiva di 50 anni in Italia e di 100 all’estero (esistono
anche obbligazioni irredimibili, che pagano l’interesse fino a quando l’impresa non fallisce, ma non
restituiscono più il capitale; anche le azioni sono così) è più rischioso.
Debito vs. azioni: strumenti derivati, cioè che derivano il loro valore da contratti più semplici.
-per mercato primario e secondario
- per mercati regolamentati e mercati fuori borsa. Il secondo mercato vuol dire che vado a negoziare
con la banca le operazioni finanziarie che voglio effettuare. È più sicuro un mercato regolamentato,
perché non è bilaterale ma multilaterale: sono io vs tutti coloro che vogliono comprare o vendere, ho
una moltitudine di venditori e compratori, è quindi più facile trovare una controparte e stabilire un
prezzo più competitivo. I mkt fuoriborsa sono utili solo quando è possibile confrontare i prezzi che
vengono fatti sui vari banconi.
I mkt multilaterali possono essere mercati di serie B gestiti da privati. Sono banche o consorzi di
banche che gestiscono mercati secondari e che fanno concorrenza al mkt ufficiale, la borsa valori.
Quindi la stessa azione la trovo negoziata anche in altri circuiti minori sempre di tipo multilaterale.
Abbiamo: MTF, OTF, Attività di internalizzazione sistematica di ordini (over the counter).
Quest’ultima è: l’intermediario che fa mercato su un certo titolo. Un mkt bilaterale, un professionista
che compra e vende e un privato che chiede i prezzi di acquisto e vendita. “over the counter” perché
negozio con un professionista che fa mercato in solitudine
Mercati monetari e dei capitali: i primi sono contratti di debito che scadono presto, sono strumenti di
debito che presto torneranno ad essere moneta legale immediatamente spendibile. Normalmente
hanno scadenza a un anno.
Il mkt dei capitali invece è il mkt di tutti gli strumenti superiori in quanto a durata, parliamo di durata
pluriennale. Ha due componenti: le obbligazioni e i titoli di tipo azionario (rispettivamente scadenza
pluriennale e non scadenza).
Internalizzazione dei mkt finanziari
Il titolo di debito è quello più diffuso, sia nel mkt domestico che in quello dei K internazionali. I titoli
esteri sono quelli collocati in Italia ma con valuta diversa, oppure sono emessi da un soggetto che non
è residente in Italia e destinati a soggetti che invece risiedono in Italia. Fra tutte le obbligazioni estere,
svetta una combinazione: le euro-obbligazioni, collocate in una valuta che non ha corso legale nel
paese in cui le obbligazioni sono vendute, vanno alla ricerca di una certa valuta al di fuori del Paese in
cui essa circola.
Ce n’è una tipologia più importante delle altre: gli eurodollari. Il dollaro è un bene rifugio fra le
valute, quindi è la moneta che più circola nel mondo.
Ci sono anche gli euro-deposito / euro-valute. Le euro obbligazioni vengono normalmente sottoscritte
con euro valute, cioè con depositi in euro presso banche europee, in dollaro presso banche
americane. Quindi escono prima come depositi, e poi una volta parcheggiati vengono investite in
obbligazioni più redditizie, magari collocate in euro ma emesse al di fuori dell’area europea. Quindi
prima la valuta esce dal paese dove ha corso legale e poi viene usate per fare un investimento.
Normalmente le euro obbligazioni sono collocate in più di un paese, ma non sulla piazza finanziaria
dove la moneta di riferimento ha corso legale.
Così come ci sono 3 mkt finanziari più importanti (strumenti creditizi, assicurativi, finanziari) ci sono
3 tipi di intermediari:
- creditizi: soggetti che fanno credito all’economia ma non sono banche
- assicurativi: imprese di assicurazione vita, danni e fondi pensione; la legge nel ns paese impone una
distinzione fra i due rami, ramo vita e ramo danni. Entrambi i rami non si possono esercitare, con la
sola deroga delle imprese assicurative che già erano impegnate in entrambi i rami quando è stato
modificato il Codice, tenendo però separate le due gestioni, che non possono sussidiarsi a vicenda.
- mobiliari: non sono intermediari, si chiamano imprese di investimento (da noi società di
intermediazioni immobiliare), le società di gestione di risparmio (gestiscono fondi pensione e
speculativi)
La Banca può, salvo comportarsi come una compagnia di assicurazione, svolgere qualsiasi tipo di
attività bancaria e finanziaria; operano quindi anche da intermediari mobiliari, non assicurativi (anche
se possono avere compagnie di assicurazione), possono operare come intermediari di borsa.
BANCHE E INTERMEDIARI NON BANCARI
Oltre a banche singole che non fanno parte di una
organizzazione più grande, ci sono anche banche
che fanno parte di gruppi bancari, i quali sono in
tutto 59.
• Banche = le banche italiane sono circa 500 e la
maggior parte sono piccole banche cooperative,
209 che fanno parte di un gruppo, 39 no (248 delle
574). Questa è la categoria giuridica più numerosa
di banche costruite sotto forma di società
cooperativa. La particolarità di queste è di essere
molto piccole, hanno pochi sportelli, diffuse un po’
in tutto il paese, per queste caratteristiche conviene
il gruppo. Per poter continuare ad operare a
seguito di una riforma sono state costrette ad
aderire a un gruppo cooperativo: sposarsi con altre
banche per sopravvivere.
• Banche popolari = altra tipologia sotto forma di
società cooperativa, anch’esse vittime di una riforma che le ha costrette a trasformarsi in spa. Nove
sono confluite nei gruppi, 12 no. Esse normalmente fanno parte di un grande gruppo, talvolta al
vertice c’è la banca capogruppo, padrona delle altre (la più grande o una società finanziaria)
• Società di intermediazione mobiliare = anche dette imprese di investimento. Esse non raccolgono
depositi, non fanno credito, si limitano nel circuito diretto ad assistere le famiglie e le imprese/Stato
quando operano in titoli. Es. collocazione delle nuove emissioni obbligazionarie o azionarie, essi ne
organizzano l’emissione, oppure assistono chi deve investire nei titoli collocati sul mkt.
La maggior parte sono indipendenti, non fanno parte di un gruppo e la maggior parte non c’è più, i
64 citati sono i superstiti. Il motivo è che pochi anni dopo la loro introduzione sono state incorporate
dalle banche che le avevano costituite. All’inizio erano popolari perché la legge vietava alle banche di
operare direttamente nei mkt di borsa con la sola eccezione dell’investimento in titoli di stato, perché
il debito è lo strumento finanziario in cui le banche investono di più. Dopo un po’ è uscita una
direttiva europea che ha modificato questo sistema: ha liberalizzato l’accesso ai mkt primari e
secondari aperti e quindi ha consentito alle banche di esercitare direttamente questa attività di
intermediazione. Da qui sono venute meno le società che prima la facevano per loro.
Spesso in questo gruppo vi sono piccole società di intermediazione che fanno piccoli servizi: c’è chi fa
solo consulenza, chi si occupa solo del mkt azionario o obbligazionario. Ce n’è qualcuna che è invece
disponibile su una gamma di servizi.
• Società di gestione del risparmio = intermediari più che autonomi; anche questi sono una tipologia
di intermediari, non banche, che hanno una riserva di attività, perché solo loro possono gestire in
modo collettivo il risparmio dei loro clienti, in particolare vendendo loro delle quote (quote di fondo
comune, azioni), il cui controvalore viene investito in portafogli nell’ottica di gestione professionale
diversificando il più possibile il rischio.
La maggior parte di questi ultimi è indipendente, un tempo però non era così: infatti, ogni banca
aveva costruito una propria SGR, perché le famiglie si sono spostate dal fai da te all’investimento
delegato e quindi richiedevano questo tipo di servizio di gestione collettiva del risparmio che la banca
non poteva per legge garantire direttamente, da qui la creazione di questa tipologia.
Inizialmente quindi ogni banca vendeva i suoi fondi comuni, fondi pensione, quindi il cliente andava
allo sportello e non poteva scegliere fra vari possibili gestori perché ognuno vendeva solo le proprie
cose. Quindi c’erano molte società di gestione del risparmio destinato ai clienti della banca che
esercitava il controllo su quella società. Negli anni si è operata una certa razionalizzazione di questo
settore, perché si è scoperto che più grossi si è meglio è, inoltre sono emersi scandali delle banche e
conflitti di interesse con conseguenze gravi. Capitava infatti che le banche scaricassero nei fondi
comuni della SGR la spazzatura che volevano eliminare: hanno socializzato le proprie perdite
mettendo i titoli che non volevano più nei portafogli dei clienti. Da qui progressiva razionalizzazione
di questa industria da parte del legislatore, rendendo più indipendenti le SGR, al fine di evitare che ci
fosse di nuovo la tentazione di nascondere la spazzatura nella SGR che gestiva i fondi comuni venduti
alla clientela.
Le SGR si vede che sono diventate per lo più indipendenti (143/166), diminuite di numero gestendo
fondi più grandi, e le banche sono state costrette ad essere più multimarca, perciò oggi la banca non
propone più i fondi della casa, spesso sono 3 o 4 le SGR di cui la banca distribuisce le quote di fondi
comune/pensione, e ci sono banche che ancora propongono fondi di diverse decine di società,
italiane ed estere.
• Intermediari finanziari ex art. 106 TUB (Testo Unico Bancario) = gli americani le chiamano
società finanziarie.
Sono intermediari finanziari non bancari, quindi che non esercitano la funzione monetaria (no conti
correnti, carte di pagamento, libretti degli assegni), ma solo intermediazioni in modo creditizio.
Perciò fanno credito, ma non raccolta di fondi per far credito presso il pubblico perché possono farlo
solo le banche, quindi si finanziano in altro modo (normalmente finanziate dalle banche). Fanno
prestiti in 3 tipologie: leasing, factoring o credito al consumo, tre modi di fare credito a famiglie ed
imprese.
Sono delle società-prodotto: intermediari che fanno credito non in forme tecniche svariate, ma
specializzandosi in una singola tipologia di finanziamento.
Il leasing è l’affitto a lungo termine di bene strumentale (ora leasing su aerei da parte di aziende extra
Russia, le aziende che lo hanno fatto non possono pagare le rate di leasing per i nuovi accordi, quindi
grazie a questo queste società possono riprendersi gli aerei) o immobili. Il credito al consumo serve
per comprare a rate con un finanziamento concesso da intermediario specializzato un bene
strumentale ma di piccolo valore, ad esempio una vacanza.
Ce ne sono molti, la maggior parte dipendenti, hanno un loro albo come le banche, che si chiama
Albo degli intermediari finanziari ex art. 106 TUB, quindi anche loro assoggettate a controlli perché
esercitano credito.
Abbiamo poi intermediari finanziari di più recente introduzione: non banche (quindi no credito e
insieme raccolta di risparmio), perché in questo caso non hanno la funzione creditizia. Non
finanziano la clientela ma forniscono loro regimi di pagamento. Ce ne sono di due tipi:
• Istituti di moneta elettronica = mettono a disposizione servizi di pagamento basati su moneta
elettronica; dispositivi su cui precarichi un certo quantitativo che poi spendi tramite carta
• Istituti di pagamento = società con cui si può ricaricare il cellulare, pagare le bollette, regolarizzare
la nostra posizione nei confronti di un debitore. Normalmente si appoggiano alla grande distribuzione
e tabaccai per fare in modo che questi possano offrire ai loro clienti anche questo tipo di servizi.
Anche questo tipo di istituti hanno una regolamentazione e dei controlli da rispettare.
Altri intermediari vigilati: due sono le poste, la capogruppo è la cassa depositi e prestiti.
Si capisce che è un sistema molto banco centrico: salvo qualche tipologia di intermediario più
indipendente, tutto nel nostro paese ruota intorno alle banche. Questo dipende dal fatto che il
modello di banca che è stato imposto è il modello di banca universale, una banca che fa tutti i servizi,
ed è quello della banca tedesca. Nel nostro ordinamento, il modello preesistente alle direttive di
coordinamento bancario degli anni 70 era quello della banca specializzata: avevamo una banca che
faceva solo depositi e impieghi, una che faceva solo impieghi a breve, una solo credito a lungo, o solo
credito a determinate imprese, introdotti negli anni 90 le SIM che facevano solo intermediazione
mobiliare. Suddetta struttura è fatta da tanti intermediari, ognuno specializzato in un piccolo range di
attività, ora invece abbiamo ancora un sistema dove dominano i gruppi e non le banche multi
divisionali.
In Germania non abbiamo così tanti intermediari collegati perché appartenenti a gruppi, ma banche
che hanno una struttura interna differenziata, cioè all’interno di una banca ci sono diversi settori di
competenze, non si crea un ente autonomo per ognuna delle mansioni. I tedeschi hanno una banca
che fa tutto, noi avevamo un gruppo bancario che faceva tutto ricorrendo a società prodotto che si
specializzavano nella prestazioni di singoli servizi.
Saldi finanziari settoriali
Le famiglie producono la materia prima e trasferiscono attraverso il sistema finanziario i loro risparmi
ad altri settori istituzionali che hanno molta possibilità di fare investimento. Nel grafico vediamo il
saldo finanziario, rappresentato dalla differenza fra i risparmi di ogni anno e l’investimento inteso in
attività reali. È la variazione nello stato patrimoniale delle famiglie dello stock di attività reale. Nel
caso delle famiglie è costituito prevalentemente da immobili, se non investono nel settore finanziario.
Questa differenza per le famiglie (linea verde), qui espressa in percentuale del Pil, è sempre positiva
ed è calata nel tempo, in particolare con la pandemia. Conferma quindi quello che dicevamo: le
famiglie tendono a non investire questo risparmio in beni fisici ma soprattutto in attività finanziarie,
perché quello di tipo reale, dato che è prevalentemente immobiliare, non va più tanto perché ormai
le famiglie hanno una casa di proprietà, non è un investimento che si può fare tutti gli anni.
Per lo Stato invece (la barra gialla) è sempre
negativa e spesso drammaticamente: la PA non
risparmia, è il principale soggetto che assorbe il
risparmio delle famiglie al fine di tenere in piedi
il bilancio dello Stato. Il trasferimento non
avviene più attraverso l’acquisto diretto di titoli
dalle famiglie, avviene indirettamente nel senso
che le famiglie affidano i risparmi ai fondi
comuni di investimento per poi comprare titoli
di Stato.
La barra di colore rosso è invece quella delle
imprese, anch’esse tendenzialmente sempre
sotto lo zero. Gli utili non sono mai stati
sufficienti a coprire il fabbisogno finanziario
degli investimenti realizzati, ma negli ultimi anni,
dal 2014 in poi, abbiamo una piccola barra rossa positiva, che identifica il fatto che le imprese si
comportano sempre più come le famiglie: anche loro non investono più tutto quello che potrebbero,
non destinano più tutta la loro redditività alla crescita per produrre di più, assumere più gente, ma
tesaurizzano il loro capitale rendendolo disponibile per il prestito agli altri soggetti. Invece che
crescere preferiscono avere soldi da parte.
La barra azzurra è invece oscillante ed è il contributo del settore estero al funzionamento del nostro
sistema finanziario. Se è positivo vuol dire che attraverso la bilancia commerciale esportiamo
all’estero, se è negativo non basta il risparmio nazionale ma dobbiamo richiedere all’estero.
Anche gli istituti finanziari hanno un saldo ma è sempre tendente a zero, cioè sono sempre in
equilibrio in percentuale rispetto al PIL. Diversamente dagli altri agenti, gli intermediari fanno debiti
per concedere crediti, per questo il loro saldo finanziario è tendenzialmente sempre vicino allo zero.
Si omette quindi il dato non essendo significativo.
La composizione del ptf delle attività finanziarie delle famiglie
Qui abbiamo solo 2 anni, settembre 1995 e 2021, rispettivamente barra rossa e blu.
Si vede, partendo dalla prima voce, che le famiglie continuano ad avere una forte propensione alla
liquidità, cioè a tenere gran parte dei propri risparmi in forme molto liquide o facilmente liquidabili.
La barra della prima voce è più lunga per il 2020 che per il 1995, quindi rispetto a prima hanno più
soldi depositati in banca in forme non molto redditizie.
Gli altri depositi bancari sono invece diminuiti: certamente meno liquidi, sono calati in popolarità a
causa di riforme fiscali che hanno reso non conveniente investire in contratti di deposito con vincolo
temporale. Una volta c’era incentivo a prendere impegni con la banca a medio termine grazie ad una
aliquota fiscale ridotta. Prendeva interessi più alti e al netto delle imposte il rendimento era più alto
perché c’era una disposizione fiscale che incentivava questo tipo di deposito.
Quello che è cambiato completamente sono la terza e quarta voce: i primi nel 2020 ammontano a
zero. Fino alla metà degli anni 90 era molto popolare (10% delle AF delle famiglie) l’investimento nei
titoli del tesoro, grazie al rendimento basso ma sicuro. Nel nostro paese nasce prima del 1995,
investimento in titoli di stato a 3 e 6 e 12 mesi, i BOT (Buoni ordinari del tesoro, treasury bills per gli
USA). Ora non sono presi in considerazione perché
il rendimento di essi è negativo, e nessuno investe in
uno strumento in perdita. Anche i titoli a lungo,
sebbene con rendimento positivo, sono caduti in
disuso, infatti anche qui la quota è scesa sotto il 10%.
Adesso le famiglie danno i propri risparmi ai fondi
comuni di investimento, fondi pensione e di
assicurazione che sono le ultime voci. Perciò lo stato
riesce comunque a trovare i soldi ma ora
indirettamente.
I prestiti a breve termine sono una categoria
residuale perché sono i prestiti diretti che le famiglie
si fanno l’una con l’altra, stipulati direttamente senza
assistenza dell’intermediario.
Azioni ed altre partecipazioni: come può essere che una quota dell’oltre il 20% del ptf delle famiglie
sia investita qui quando questo tipo di investimento (diretto in azioni, le famiglie preferiscono
investimento indiretto con fondi comuni ecc.) non è molto popolare nel nostro paese? È infatti un
investimento elitario sia per le competenze che per il capitale richiesto.
Si parla di quasi un quarto del patrimonio delle famiglie investito in questa voce. La spiegazione è che
quando parliamo di famiglie intendiamo non solo i consumatori, ma anche le famiglie produttrici,
cioè le attività artigianali, le piccole attività imprenditoriali, costituite a volte sotto forma di attività
individuale. Qui è difficile distinguere il comportamento dell’impresa da quello della famiglia
consumatrice, perciò le prime sono trattate come le seconde. Quel 20% rappresenta non tanto
l’investimento in azioni quotate sebbene ci siano ma costituiscano solo una parte ridotta, ma
l’investimento nel capitale di rischio della famiglia produttrice nella propria attività commerciale,
quindi è il capitale proprio che fa riferimento alla piccola impresa, che viene trattata come fosse una
normale famiglia consumatrice.
Il risparmio ha quindi un investimento che è sempre più delegato, sebbene i principali intermediari a
cui deleghiamo la gestione sono: meno remunerati (banca), e quello che è meno portato a finanziare
la crescita delle imprese perché fa credito in forme rigide perciò non aiuta le imprese a crescere. In
Italia domina l’investimento in K di debito o in titoli obbligazionari ora comprati indirettamente
attraverso fondi comune, pensione e compagnie di assicurazione.
I TASSI DI INTERESSE – CAPITOLO 12
Il valore attuale serve a capire come confrontare il valore di un tipo di strumento di debito con quello
di un altro. Ho una certa somma che mi è dovuta a una certa scadenza futura, mi dice a quanti euro
immediatamente disponibili equivale quella somma.
Capitalizzazione = calcolo del valore futuro di una somma investita oggi
Il concetto di valore attuale è basato sulla nozione secondo la quale 1 euro di flusso di cassa che ci
verrà pagato tra un anno avrà meno valore di 1 euro pagato oggi. Il concetto di valore attuale
permette, sommando i valori attuali di tutti i flussi di cassa futuri ricevuti, di calcolare il valore odierno
di uno strumento del mkt di credito a un determinato tasso di interesse.
L’interesse è la remunerazione del mio capitale investito, è l’incremento sul capitale investito che mi
verrà garantito in futuro. Esso è una unità di misura. Se prendo 100 euro e li investo e se tra un anno
sono 101, l’incremento è l’interesse, perché ha una sua unità di misura, un euro. Il valore relativizzato
si chiama tasso di interesse ed esiste in diverse definizioni.
Normalmente si divide l’interesse incassato per il capitale di partenza e così ottengo il valore relativo,
perché sparisce l’unità di misura. Questa è la definizione di tasso di interesse semplice. Spesso le
definizioni di tasso di interesse sono in contraddizione fra loro.
Operazioni con un solo flusso di cassa futuro
a) Semplice operazione di debito: ha due soli movimenti; ti do 100, tu mi rimborsi a scadenza 100
più un tot per il disturbo. Un flusso è noto, l’altro lo devo determinare; esempio treasury bills
b) Prestito a sconto: a scadenza so che incasso un certo capitale che è 100; se l’operazione deve avere
rendimento positivo, bisogna che quello che ti do oggi per ritirare a scadenza 100 sia meno di 100,
devi “farmi lo sconto”. Oggi sono disponibile a prestare 100 meno qualcosa per ottenere in futuro
100. Cioè parto dal voler guadagnare 100 e poi stabilisco quanto prestare.
Operazioni con molteplici flussi di cassa futuri
Nelle operazioni a un flusso gli interessi si prendevano alla fine, quindi era un’operazione facile da
realizzare se a breve durata; se la durata è pluriennale, ci deve essere un accordo diverso, quello di
pagare un po’ alla volta il capitale rivalutato.
a) Prestito rateale: do sempre 100 per molti anni, non pochi mesi, e un po’ alla volta non solo
pretendo gli interessi ma anche parte del rimborso del capitale. Gli interessi sono sempre la stessa
percentuale ma su un K che diminuisce quindi a loro volta diminuiscono perché vengono calcolati sul
capitale ancora da rimborsare. Questo è un tipo di rata chiamata “decrescente”, proprio perché il
quantitativo di interessi è appunto decrescente essendo una percentuale del debito.
La versione più comune è la rata costante: bisogna trovare quell’importo di rata che è costante per
tutta la durata dell’operazione e che non cambia di anno in anno. La sommatoria deve rimanere
costante pur calando la quota interessi e crescendo il capitale. Esiste un’equazione che ci consente di
trovare un valore esatto di questo importo tale che arrivo alla fine avendo estinto il mio debito pur
avendo la certezza dell’importo costante e mantenendo le condizioni citate, vantaggiose per il debito
pluriennale. I mutui ipotecari a tasso fisso sfruttano questo meccanismo.
Ci sono prestiti dove il tasso fisso è sostituito da quello indicizzato: in quel caso la rata non è più
costante, ma non per ragioni matematico-finanziarie, ma per il fatto che se il tasso viene
periodicamente rivisto, per forza la remunerazione cambia ogni volta che c’è questo aggiustamento.
Non ci occupiamo del tasso indicizzato perché si predilige quello fisso, dato che dà la certezza del
costo dell’operazione fino alla sua scadenza.
b) Prestito bullet: nei mkt obbligazionari ci vuole roba semplice, lo strumento standardizzato deve
essere facile da capire. Nei prestiti di durata pluriennale quindi la struttura deve essere più semplice.
Qui quando investo, il rimborso avviene in una unica soluzione alla scadenza, ma dopo aver pagato
periodicamente gli interessi in modo puntuale e regolare. In questo modo si dimostra di essere
liquidi, solvibili.
Nei molteplici flussi di cassa, dobbiamo assimilare il concetto della rendita periodica. Operazioni in
cui ho flussi di cassa ripetuti nel futuro a date regolari, se l’importo è costante, si chiamano rendite,
appunto importi costanti che si incassano a cadenze regolari.
DEFINIZIONI DI TASSO DI INTERESSE
• Tasso richiesto per un periodo generico t: r.
Chiamato anche rendimento di periodo. È il tasso di interesse che secondo la comunità finanziaria
presenta un generico periodo t e un rischio costante. Ho quindi una struttura di tassi di interesse
richiesti dal mkt che si diversificano da un lato in base al merito creditizio del soggetto che emette il
titolo e dall’altro per la scadenza. Normalmente è un parametro noto, non da calcolare. Misura il
costo del K di debito fissati il rischio di fallimento dell’emittente e la scadenza dell’investimento e
serve per calcolare il valore attuale di una somma disponibile in futuro o il valore futuro di una
somma investita oggi.
Dato che è un tasso di periodo e il periodo può essere qualunque, e dato che i tassi che il mkt quota
sono nominali, non è detto che r sia espresso secondo l’orizzonte temporale convenzionale, che per i
tassi di interesse è un anno, serve una regola per trasformare r nell’equivalente tasso annuo. Due
possibilità:
a) tasso nominale annuo: normalmente ricavato dai tassi di periodo facendo una proporzione lineare
rispetto al tempo. Ad esempio se r è semestrale, lo moltiplico per 2, se è mensile, moltiplico il tasso
mensile per 12. Se è decennale, divido per 10.
b) capitalizzazione composta degli interessi: la relazione non è così semplice.
• Tasso atteso o effettivo ex ante: E(r).
Non è un numero noto, devo calcolarlo. È atteso perché viene previsto, per questo viene chiamato
“effettivo ex ante”, perché lo calcolo ancor prima di iniziare l’investimento, mi serve per scegliere fra
tanti titoli equivalenti in termini di durata per avere quello che mi dà la prospettiva di avere a
posteriori il rendimento più alto possibile. Infatti viene espresso come E(r), cioè l’aspettativa di una
variabile casuale (conosco la sua distribuzione di probabilità ma non il valore effettivo futuro). Mi
serve per prendere una decisione di investimento.
• Tasso realizzato o effettivo ex post: r barrato.
Il tasso atteso, in quanto tale, a posteriori potrebbe divergere dal tasso realizzato, cioè il tasso effettivo.
Il primo è un indicatore che devo calcolare e lo faccio mediante ipotesi restrittive, il tasso realizzato o
effettivo ex post è quello che effettivamente si verifica.
• Operazioni con un solo flusso di cassa futuro
Partiamo dal caso in cui ho solo due flussi di cassa (pagamenti). Scegliamo che la conclusione
dell’investimento avvenga alla scadenza naturale dell’operazione, quindi calcoleremo un rendimento
alla scadenza (se investo per un anno, vedo qual è il rendimento al termine dell’anno). L’alternativa è
quella di interrompere anticipatamente l’investimento che ha una sua durata naturale: se anziché stare
10 anni con il titolo nel ptf, dopo un anno soltanto ad esempio usciamo, voglio sapere qual è il
rendimento che mi aspetto di ottenere vendendolo a 10 anni e confrontare il rendimento con quello
che avrei avuto vendendolo un anno prima. Questi sono i due tipi di rendimenti calcolabili: o al
termine della naturale scadenza o anticipatamente rispetto ad essa.
Ho un certo importo immediatamente disponibile che decido di investire, sapendo che se investo il
risparmio nel mkt obbligazionario, essendo i tassi positivi, porterò a casa a scadenza un K maggiore di
quello iniziale. Presto 1000 euro oggi a qualcuno che me li ridarà aumentati degli interessi, che
immagino essere di 100 euro. Non mi interesso del periodo di durata dell’investimento, per
semplicità posso immaginare 1 anno. Se a scadenza di t il debitore restituisce capitale e interessi, alla
scadenza del primo periodo ottengo un valore futuro (FV), una
somma che sarà 1100.
Ora posso decidere se proseguire con questa operazione finanziaria
per un ulteriore periodo o se concludere. Abbiamo due possibilità
per calcolare il valore futuro di una somma immediatamente disponibile, per farlo devo sapere il
tasso di interesse, la durata dell’operazione e decidere cosa fare degli interessi di periodo ottenuti: li
investo o li ritiro dal capitale investito che è diventato 1100?:
a) se reinvesto gli interessi, cioè ho una capitalizzazione composta, che significa che li reinvesto nella
medesima operazione, succede che ora mi frutteranno non 1000 ma 1100 euro. Il FV sarà 1100 +
110 = 1210
b) se non reinvesto gli interessi maturati ho una capitalizzazione semplice, usata solo nel mkt
monetario. Significa che continuo ad investire 1000, perciò in totale otterrò ancora 1100 a cui sommo
il precedente guadagno, sempre i 100 di interessi. FV: 1100 + 100 = 1200
Esempio: quanto valgono fra 6 anni 10.000 euro investiti oggi?
Immagino che l’unità di misura del tempo sia 1 anno (t = 1), quindi i che è il tasso annuo e r che è il
tasso di periodo sono lo stesso numero, perché se t coincide con l’orizzonte a cui si fanno i conti avrò
che i = r. Se invece r è semestrale, allora i = r x 2.
Se i = r = 8% e se uso la capitalizzazione composta e immagino ogni anno di aggiungere al capitale
iniziale gli interessi maturati, trovo questo valore:
Questo ci dice che un euro investito per 6 anni all’8% annuo con capitalizzazione annuale degli
interessi diventa circa 1,59 centesimi. Moltiplicando per 10.000 otteniamo il valore finale del capitale
iniziale investito per 6 anni con capitalizzazione composta.
Aumentando il tasso di interesse/rendimento a r = 12% (possiamo chiamarlo anche nominale), cioè
di 4 punti percentuali, per forza aumenterà il valore del capitale a fine investimento.
Continuando ad aumentare r ad esempio a r = 16%, vediamo che il capitale cresce in maniera
esponenziale, la crescita è accelerata nel caso della capitalizzazione composta:
Se il tasso di periodo è semestrale, cioè se gli interessi vengono pagati non ogni anno ma ogni 6 mesi
e quindi ho la possibilità di ricapitalizzarli più frequentemente, appunto ogni sei mesi, cosa succede?
Intanto, ho un tasso di periodo diverso dal tasso nominale annuo di riferimento. Ora l’oggetto della
contrattazione è il rendimento del periodo semestrale. Il modo più facile è cambiare l’unità di misura
del tempo: dato che ragiono in ottica semestrale, è sufficiente che misuri il tempo in anni anziché in
semestri, quindi individuo r per il semestre e anche il periodo di capitalizzazione in semestri.
Quindi immaginando che i = 16% e sapendo che m = 2 parlando di semestri, otteniamo che r = 8%.
Il numero di periodi n = 12 perché parlo di due semestri per ognuno dei 6 anni, da qui ottengo:
Vedo che il K è più grande del capitale precedente. Questo mi dice che tanto più frequente è la
capitalizzazione degli interessi, tanto più veloce è la crescita del capitale.
La cifra in rosso che misura di quanto aumenta l’euro investito nel tempo si chiama fattore di
montante. Il modo più diffuso per fare questi calcoli è separare due componenti: il capitale iniziale e
il fattore di montante, cioè sommo sempre al valore del K iniziale il valore futuro di un singolo euro.
Da questa equazione posso ricavarmi PV, cioè il valore attuale di un singolo
importo, per formula inversa. Praticamente la formula a fianco mi dice,
nell’ambito della capitalizzazione semplice, quanto devo investire oggi per ottenere
FV nel periodo t.
Se la stessa domanda me la faccio rispetto alla legge di capitalizzazione
composta, la regola rimane la stessa, cioè divido da entrambi i lati per
il fattore di montante, e il valore attuale di una somma disponibile di
FV fra t anni è ottenuta allo stesso modo.
Finora sapendo quanti soldi ho volevo sapere quanti diventassero, in questi due ultimi casi invece so
quanto prenderò fra tot anni e mi chiedo qual è il valore attuale di questo tot, se li porto dal futuro
indietro nel tempo, sapendo che indebitarsi su quella scadenza costa per ogni periodo il tasso r. A
volte mi serve sapere quanti soldi avrò se oggi investo una cifra nota, altre volte mi serve
l’attualizzazione: in questo caso l’incognita non è il valore futuro, che già conosco, ma mi chiedo a
quanto equivale correntemente questo valore futuro, cioè quanto devo investire oggi per avere quella
cifra domani. Le due operazioni sono una l’inversa dell’altra.
Vediamo che tanto più alto è il tasso di partenza, tanto meno reattivo è il valore attuale, cioè
l’accelerazione è decrescente. Quando dal valore futuro ricavo il valore attuale, questi cali, a fronte di
identici aumenti del tasso r, sono via via meno pronunciati. Può ripresentarsi il problema della
capitalizzazione semestrale anziché annuale e la trovo nell’ultima riga. Prima la capitalizzazione più
frequente degli interessi aveva un effetto benefico sul montante perché il K cresceva più in fretta,
quando faccio l’operazione inversa allora più è frequente la capitalizzazione degli interessi più basso è
il K di partenza, cioè il valore attuale. L’effetto della
capitalizzazione più frequente è che al tempo zero
posso investire meno soldi se appunto capitalizzo più
frequentemente, perché per arrivare allo stesso
obiettivo, con la capitalizzazione semestrale gli
interessi mi vengono pagati più spesso e quindi parto
sempre più velocemente da un capitale più alto. È più
rapido l’incasso e l’investimento. L’effetto rimane
benefico.
Supponiamo invece di voler risolvere l’equazione
rispetto ad r (qual è il tasso di interesse che mi serve
per verificare i miei obiettivi di guadagno?) o n (per quanto tempo devo tenere investiti i soldi?).
Trovare i soldi attuali sapendo che fra 10 anni varranno 20 e che c’è un tasso di interesse r = 10%
Abbiamo visto che c’è una precisa relazione fra PV e FV di somme di denaro disponibili in date
diversificate nel futuro. Una volta capito se gli interessi vengono o meno ricapitalizzati, non è difficile
trovare le relazioni che legano le variabili coinvolte nel calcolo finanziario. Se il periodo di
capitalizzazione è diverso da un anno, allora devo cambiare l’unità di misura del tempo.
Il tasso annuo i è sempre un tasso semplice e si chiama nominale, mentre il tasso r può essere una
sua frazione o un suo multiplo. L’equazione vista prima non descrive perfettamente la relazione fra
PV e FV, perché se sistematicamente investo gli interessi quello che ottengo su base annua non è
semplicemente quello, succede che se la capitalizzazione degli interessi è annuale, dopo il primo
anno non importa la capitalizzazione, gli interessi sono 100 e il montante è 1100, le cose cambiano
quando supero l’anno. Quando ho una capitalizzazione infra-annuale (n volte l’anno) e gli interessi li
misuro su base annua, non è vero che l’1% mensile diventa il 12% annuo, perché se la
capitalizzazione avviene più frequentemente dell’orizzonte di tempo con cui misuro l’interesse,
tendenzialmente ottengo un po’ di più perché ci sono gli interessi sugli interessi (non ho 200, ma
210). La crescita del montante è esponenziale, si può quindi dimostrare che il rendimento effettivo
annuo è solo in prima approssimazione 12 volte il tasso mensile, 2 volte il tasso semestrale ecc. Più
correttamente quando passo dal tasso di periodo all’equivalente annuo, la misura del rendimento
effettiva è la seguente, dove i/m è il tasso di periodo r:
Praticamente prima sottostimavo questo valore. Questo viene chiamato rendimento annuo
equivalente composto ed è una funzione che cresce esponenzialmente mentre prima avevamo una
retta. Devo trovare eventualmente il modo di esprimere un tasso in tasso annuo.
Il primo approccio dice di moltiplicare per due se è semestrale, questo metodo invece mi dà una
modalità diversa e un risultato diverso.
• Operazioni con molteplici flussi di cassa futuri
Quando l’operazione diventa complicata mi si aggiunge una componente che complica tutti i calcoli,
PMT, anche se, quando parliamo di rendite, questa componente ha due proprietà desiderabili.
Potrei trovarmi ad avere una molteplicità di pagamenti che mi attendono in futuro di cui voglio
calcolare o il PV o il FV, ma questa volta invece di avere un’unica uscita di cassa, ho tante diverse
uscite, tutte distribuite variamente nel tempo. L’ipotesi semplificatoria che si fa quando si usa il
concetto di rendita è che tutti i pagamenti futuri da fare se sono debitore hanno la proprietà di essere
tutti uguali, quindi gli importi variamente distribuiti nel tempo sono tutti identici, devo pagare a
cadenza regolare un certo importo costante che incasso n volte. Ad esempio per 10 volte mi danno
100 euro.
La seconda semplificazione è che è costante anche la distanza tra ogni pagamento che devo fare o
incasso. Ad esempio dieci pagamenti annuali di 100 euro da fare in 10 anni sono un pagamento
all’anno. Quindi non c’è più un importo da attualizzare, c’è solo un importo da capitalizzare perché
gli importi sono n, il vantaggio è che sono tutti uguali e ugualmente distanziati nel tempo.
Di fronte a una operazione così complessa, posso scrivere il valore attuale di questa serie di numeri
finiti di pagamenti con queste caratteristiche in questo modo:
Nella sommatoria sommo n termini via via decrescenti. Posso dimostrare che questa sommatoria
converge, cioè ha un valore finito, perciò non occorre fare i calcoli n volte, perché il valore nel
simbolo della sommatoria converge come sotto, scrivibile in due modi algebricamente equivalenti:
Da qui posso risolvere l’equazione anziché rispetto al valore attuale, rispetto al valore conosciuto della
rendita. Cioè posso chiedere non quanto vale un incasso di 100 euro per 10 volte alla fine dei 10 anni
sapendo il tasso r, ma qual è il valore di questa rendita periodica che è equivalente al valore attuale
noto in partenza. Ricavo il valore della rata costante che devo pagare n volte equivalente all’importo
immediatamente disponibile noto in partenza.
La rendita perpetua
Immagino che il numero dei flussi di cassa tenda a più infinito, cioè il numero di rate incassate nel
futuro è infinitamente grande. Una operazione la cui durata diventa indeterminata ha un valore
calcolabile, la serie di prima infatti converge ad un numero finito:
Una rendita perpetua unitaria vale 1/r. Cioè, un titolo che pago 1 euro ogni anno per i prossimi n
anni vale 10, se r = 10%. E in generale posso vedere che PV di una rendita perpetua è quello della
seconda formula. Si chiamano rendite consolidate, storicamente sono esistite ma ora non esistono più
essendo molto rischiose. Le azioni sono in teoria delle rendite perpetue per il fatto che non hanno
una scadenza predeterminata. Volendo stimarne il valore ricorriamo a questa formula. Normalmente
determiniamo il valore dell’azione dividendo la sua vita in parti, e il valore terminale dell’azione è
sempre modellabile.
Flusso di cassa conclusivo
Aggiungiamo all’equazione un altro addendo. Ora abbiamo non solo la componente rendita, cioè n
incassi e pagamenti tutti uguali e ugualmente distanziati (PMT), ma un ulteriore flusso di cassa da
pagare (FV) alla scadenza dell’operazione, avente però un importo diverso dalle rendite e quindi da
trattare a parte. Mettiamo quindi insieme il prestito semplice e la rendita, e otteniamo il classico titolo
di stato, cioè un’operazione finanziaria in cui ho un pagamento periodico sempre uguale, una rendita
di importo PMT che è la cedola annuale o semestrale di interessi pagati, e poi c’è la maxi rata finale,
il rimborso del capitale, che avviene alla fine dell’ultimo anno, che è il secondo addendo.
Questo è il prezzo di un titolo di debito che paga gli interessi periodicamente e rimborsa il capitale in
un’unica soluzione alla scadenza n.
Il nuovo addendo rappresenta il rimborso del capitale residuo, la parte del finanziamento concesso in
t = 0 ancora non restituita. Nel caso dei titoli obbligazionari il rimborso non viene mai secondo un
piano di rate che contiene anche il capitale, queste ultime contengono solo gli interessi, a differenza
delle rate del mutuo ipotecario in cui in ogni rata rimborsiamo sia una parte del capitale sia gli
interessi. Nei titoli, il capitale viene rimborsato in un’unica soluzione alla scadenza e ha un importo
diverso dagli altri.
Il prezzo di mkt di un titolo obbligazionario è una stima di quanto vale ciò che viene messo in
cambio, e questo valore dell’obbligazione dipende dal valore attuale di tutti gli interessi che incasso
durante la durata dell’investimento sommato al valore attuale del capitale da rimborsare.
Immaginiamo che FV = 1000, convenzionalmente, perché la maggior parte dei titoli di debito ha un
taglio minimo di 1000 euro. Altra possibilità è fare i conti in base percentuale, con FV = 100.
Questo FV si chiama valore nominale, cioè il valore di taglio minimo di obbligazioni che posso
sottoscrivere e serve per calcolare PMT, cioè il valore degli interessi.
Abbiamo il tasso nominale e il valore nominale: trovare l’importo degli interessi dovuti in ogni
periodo necessita entrambi. 1000 euro è il valore nominale a cui applico il tasso nominale del 10%.
Il tasso nominale si chiama così perché serve per calcolare gli interessi, quindi è una misura del
rendimento parziale, perché spesso essi sono solo una parte del rendimento complessivo (effettivo),
perché ci possono essere altre forme di reddito da capitale che contribuiscono a costituirlo, ad
esempio i guadagni in conto capitale, che ottengo rivendendo un titolo a 1000 euro avendolo
comprato a 900, per esempio. Questi euro li incasso tutti alla scadenza ma posso immaginare che
ogni anno ottenga 10 euro fino alla scadenza decennale. Devo tenere conto però anche di questo
guadagno, non solo degli interessi: 10 è il tasso nominale, a cui devo aggiungere un 1% annuo per
definire il mio guadagno effettivo.
Questo per dire che il tasso nominale serve per calcolare gli interessi, e infatti lo ottengo dividendo gli
interessi per il capitale iniziale investito, ed è anche il tasso effettivo, cioè misura il rendimento
effettivo dell’operazione, solo in alcuni casi: è così ad esempio nei titoli semplici o a sconto, cioè
effettivo e nominale sono la stessa cosa quando non ci sono pagamenti intermedi.
Quando ci sono i flussi di cassa intermedi le cose cambiano, perché il tasso nominale mi dice come
ricavo l’importo di interessi annui/periodici che incasso, ma non considera che innanzitutto posso
decidere di non reinvestire gli interessi e poi non si cura di capire se ci sono altre forme di capitale
che sto trascurando, ad esempio spesso gli interessi servono per coprire perdite, come nel caso in cui
mi viene restituito 900 invece che 1000 a scadenza.
C’è un caso in cui anche quando il titolo è complicato i due tassi sono identici, e cioè quando 1000 =
1000, ossia quando spendo al tempo zero esattamente il valore nominale (quindi spendo 100 e a
scadenza mi danno 100) e allora in quel caso i due tassi coincidono. In un’operazione in cui non
perdo e non guadagno sul prezzo (non c’è nessuna differenza fra prezzo di rimborso e di acquisto), il
rendimento si riduce al tasso nominale.
Come misurare i tassi di interesse
Solo uno viene riconosciuto come il tasso di interesse corretto da utilizzare. Esso non è il tasso
nominale perché serve per calcolare la rendita, l’importo costante che normalmente è rappresentativo
o di soli interessi o di un mix di interessi e capitale su base annua (eventualmente diviso per due se
incasso semestralmente, per quattro se trimestralmente, ecc.). Non misura correttamente e
completamente il rendimento per chi investe e il costo per chi si indebita. Bisogna prendere il tasso di
rendimento atteso (YTM): ossia il valore di r che risolve l’ultima equazione, cioè che rende uguale al
prezzo sborsato oggi il valore attuale di tutti i flussi di cassa che incasserò un po’ alla volta.
Per i titoli obbligazioni con cedola, in Italia, si è soliti parlare, oltre che di rendimento a scadenza, di
tasso di rendimento effettivo a scadenza (TRES).
Il TRES è un tasso composto perché considera il beneficio della ricapitalizzazione (infatti cresce più
rapidamente del nominale) e anche i differenziali possibili fra quanto spendo oggi e quanto ottengo
alla scadenza, cioè quanto guadagno o perdo sul prezzo. Una parte di i dipende da PMT, dipende dal
tasso nominale, che è noto per contratto, quando voglio l’importo degli interessi dovuti o incassati su
base annua. Convenzionalmente si dice che quando sono incassati semestralmente, gli interessi annui
si incassano in due rate di uguale importo; il tasso effettivo capisce che se reinvesto i 50 + 50 fruttano
qualcosa, il tasso nominale invece non considera i differenziali tra quanto spendo oggi e quanto mi
danno alla scadenza. Il motivo è che il TRES viene sempre calcolato alla scadenza, cioè prendendo
l’operazione finanziaria ed escludendo a priori l’eventualità che il titolo venga venduto prima della
scadenza. Suppone inoltre che quanto incasso lo reinvesta sistematicamente. Quindi le due ipotesi
alla base del calcolo del TRES sono: arrivo fino alla scadenza e reinvesto quel che guadagno dagli
interessi.
Mi chiedo se queste ipotesi siano realistiche. La prima può essere accettata, quello naturale è un
orizzonte comodo da prendere a riferimento, avrò preso un titolo perché immaginavo che quei soldi
che ho investito non mi sarebbero serviti nell’immediato.
L’altra è meno ragionevole: ipotizzare l’automatico reinvestimento degli interessi incassati nel titolo
che li ha generati è innocua per il grande investitore, mentre non lo è per il piccolo, perché esso
investirà poco e normalmente gli interessi non arrivano al taglio minimo di mercato necessario per
investire.
Le mie formule non contano più nulla in due casi:
a) se il titolo non ha tasso costante (PMT variabile), cioè indicizzato, perché le formule delle rendite
valgono solo per un titolo a tasso fisso per tutta la durata della sua vita finanziaria;
b) quando la durata dell’operazione non è un numero intero; la calcolatrice ci risolve lo stesso
l’equazione, ma il risultato non ha significato, perché la serie converge a quel valore solo se n è intero.
A volte posso risolvere il problema cambiando l’unità di misura, ad esempio da anni a semestri se ho
una scadenza di un anno e mezzo, ma non sempre è possibile.
Quindi, il TRES è quello che viene considerato il corretto tasso di interesse. Viene calcolato secondo
due ipotesi: aspetto la fine, cioè escludo di uscire prima della scadenza, ed è un tasso composto, cioè
sistematicamente assume che gli interessi siano reinvestiti, cioè che si aggiungano al capitale e fruttino
essi stessi altri interessi.
Esso rappresenta quell’unico tasso che uguaglia la somma dei valori attuali dei flussi di cassa prodotti
da una obbligazione a tasso fisso al prezzo di acquisto del titolo stesso.
Dal punto di vista pratico, è la radice dell’equazione mostrata. Sta al denominatore dell’equazione del
valore attuale di una rendita o di quella dove si aggiunge anche l’altro addendo, quindi a sinistra del
segno uguale ho il prezzo del titolo (stima fatta dal mkt del valore attuale delle prestazioni attese da
oggi fino alla scadenza) e a destra la stima che il mkt fa a quel tasso di interesse del valore attuale di
tutto quello che mi spetta da oggi a scadenza. Essendo al denominatore, se aumenta, diminuisce il
valore della frazione. Quindi se aumenta il tasso del rendimento effettivo diminuisce il valore di
ciascuna frazione, cioè la loro sommatoria diminuisce, ossia i valori attuali. Questo per dire che per
costruzione delle operazioni finanziarie di debito, i prezzi delle obbligazioni e i tassi di interesse sono
inversamente proporzionali. Non se il tasso nominale aumenta, perché sta sopra ed è costante per
tutta la durata dell’operazione salvo che il titolo sia indicizzato, ma se varia il valore di r, che eguaglia
ciò che spendo e ciò che ottengo, cambia tutto.
Se i tassi di mkt aumentano, i prezzi delle obbligazioni diminuiscono, perché il valore attuale scende
essendo la sommatoria di frazioni di r, e soprattutto diminuiscono di valore quei valori che incasso
nel lungo termine e questo ha un impatto su quelli che incasso prima.
Quando i tassi di interesse diminuiscono ho un effetto positivo sul valore attuale: ho sempre lo stesso
tempo per incassare ma siccome investire rende meno, l’attesa è meno faticosa.
Compro il titolo al prezzo attuale, lo tengo fino a scadenza, incasso e reinvesto tutti gli interessi allo
stesso tasso effettivo a scadenza, tutto questo funziona finché i tassi di mkt non cambiano. Il calcolo
del tasso effettivo è tutto un tasso atteso perché sto immaginando che la mia ricapitalizzazione avvenga
sempre allo stesso tasso originario del mio iniziale investimento, quindi ipotizzando che i tassi di mkt
siano costanti fino a scadenza.
Questa ipotesi non è mai verificata nella realtà, i tassi cambiano ogni giorno, ma su un orizzonte
pluriennale hanno ampie fluttuazioni, quindi su questo orizzonte il tasso effettivo è un tasso atteso.
Siccome i tassi cambiano, anche arrivando a scadenza, lo so solo alla fine quanto ho guadagnato
effettivamente. Perché anche dando per scontato l’incasso senza rischi, quello che guadagno dal
reinvestimento lo so solo alla fine. Di per sé il guadagno dal capitale iniziale lo conosco, ma non
conosco quanto guadagno sugli interessi perché il tasso cambia: il rendimento atteso sarà diverso da
quello effettivo, potrei aver sovrastimato o sottostimato il tasso di reinvestimento effettivo.
Se i tassi diminuiscono, il valore del titolo nel ptf si rivaluta, sale di valore, perché c’è una relazione
meccanica fra valore attuale e tasso di attualizzazione: se i tassi aumentano, il prezzo scende e
viceversa. Esempio l’ho comprato a 1000, ora potrei venderlo a 1100 se i tassi sono diminuiti. Può
succedere anche il contrario: se i tassi aumentano, i titoli di nuova emissione rendono di più quindi il
valore del mio titolo precedentemente acquistato scende.
Cosa succede se varia il TRES
Togliamo l’ipotesi forte di mantenere la scadenza: vediamo cosa accade se facciamo dei parziali.
Prendiamo un titolo a campione, con valore nominale di 1000 euro e immaginiamo che il tasso
nominale annuo sia il 10%. Quindi ho una rendita di 100 euro annui per 10 volte perché ho
un’obbligazione decennale. Quindi PMT = 100, FV = 1000. Il tasso di rendimento effettivo in realtà è
vario: in questo caso non ho una rimessa. Vediamo che i due tassi sono uguali perché non c’è un altro
modo di guadagnare, non ci sono altri redditi di capitale.
Possiamo vedere che se il TRES è il 100% del valore nominale non va calcolato e viene uguale al
nominale annuo, se invece è sopra 1000,
allora il rendimento all inclusive è sotto il
tasso nominale, invece è superiore al valore
nominale (cioè il TRES > i) ogni volta che
pago un prezzo inferiore al valore di
rimborso.
Immaginiamo di fare un taglio annuale, cioè
ci chiediamo dopo un anno
dall’investimento come questo stia andando,
verificando com’è il TRES. Prendo
un’obbligazione con tasso cedolare annuo del 2% e oggi i tassi sono al 2% ma fra poco saliranno al
4% e vediamo cosa accade al rendimento realizzato a seconda della durata residua dell’investimento.
Abbiamo un titolo di 30 anni che si presume annualmente paghi un tasso del 2% per tutta la durata.
Assumiamo che ora i = TRES. Siamo nel caso di 1000 = 1000, pago 1000 per avere 1000 fra
trent’anni. Quindi il prezzo iniziale è 1000. Istantaneamente i tassi di interesse schizzano dal 2 al 4%:
quanto vale dopo 1 anno il titolo se i tassi sono saliti? Il prezzo è certamente diminuito (meno di
1000). Quanto vale il titolo a 29 anni che paga sempre il 2% di interesse se ora i tassi di mkt sono al
4%, cioè i nuovi titoli in circolazione pagano invece il 4%? Scopriamo che il prezzo scende a 660, cioè
perde il 34% del suo valore.
Se il titolo dura 20, a 19 guardo cosa succede: se i tassi sono aumentati al 4%, vedo che il prezzo dopo
un anno è 737. Quindi se il titolo ha 20 e non 30 di durata ho comunque una perdita, ma è meno
consistente, parliamo del 26%. La ragione di questa differenza è che il titolo scade prima. Quindi più
è lunga la scadenza più il prezzo pare sensibile al variare dei prezzi. Si può vedere che man mano che
il titolo diminuisce in durata, la perdita rimane ma cala, fino ad essere nulla se il titolo dura un anno.
Più la durata residua è lunga, più l’effetto capital loss è pronunciato, per un identico aumento del
tasso, in questo caso un raddoppio, perché più è lunga la durata più l’effetto dell’aumento del tasso è
grave.
In un titolo di durata residua annuale che tra un anno scade non ho nessuna sorpresa perché quando
vado a vedere quanto ha reso esso scade.
Quindi se ho un orizzonte di investimento di un anno e dopo un anno vado a vedere l’effetto della
volatilità dei tassi di mkt sul TRES, cioè sul mio rendimento inizialmente atteso, non vedo alcuna
differenza, non ha alcun impatto. Il rendimento rimane lo stesso proprio perché a scadenza mi è stato
restituito quanto ho investito inizialmente con gli interessi.
Tanto più la durata residua è corta tanto più il rischio di perdita è contenuto. Più il titolo è di durata
lunga, più aumenta il rischio: tanta probabilità che i tassi cambiano, tanta possibilità che la capital loss
si faccia sentire, come in realtà c’è possibilità che invece io abbia una capital gain.
MERCATI FINANZIARI E TASSI – CAPITOLO 18
Il tasso di interesse effettivo atteso, la radice dell’equazione vista, è un tasso di rendimento uguale al
tasso nominale solo quando quello che si paga al tempo 0 è pari a quello che si incassa in futuro.
Se invece quello che incasso a scadenza è più alto di quello che pago al tempo zero, il rendimento
effettivo è più alto di quello nominale e viceversa nel caso contrario.
Ci mettiamo in una situazione desiderabile tale per cui ipotizziamo di attendere la scadenza, alla quale
abbiamo la certezza di ricevere un certo rendimento.
Ci possono essere sorprese se non rispetto la scadenza e faccio un esame parziale del suo rendimento
prima di essa, infatti il rendimento atteso dopo un anno ad esempio dei 10 da maturare potrebbe
variare rispetto a quello concordato alla scadenza. Se i tassi vanno giù i prezzi vanno su, e quello che
sembrava un rendimento piccolo, se i tassi aumentano può diventare nullo, negativo, molto negativo,
perché i pochi interessi che si prendono alla fine del primo anno possono venire completamente
erosi dal differenziale negativo sul prezzo.
Se i tassi diminuiscono, i prezzi aumentano e ottengo un guadagno in conto capitale. Questo mi
incentiva a interrompere l’investimento e a non aspettare.
Tanto più la durata aumenta tanto più la perdita aumenta, si riduce per il titolo con la durata più
corta: qui accadeva che dopo un anno il titolo scadeva, non avevo nessuna incertezza sul rendimento
realizzato perché se lo guardo fra un anno e fra un anno scade per forza ottengo quanto concordato.
• Rischio del tasso di interesse = rischio di trovarsi un rendimento realizzato diverso da quello atteso
ex ante. Esso è tanto più importante quanto più lunga è la durata del titolo in cui stiamo investendo: i
titoli con prezzo più instabile hanno infatti la durata residua più lunga. Se voglio limitare le perdite in
conto capitale, devo rispettare la scadenza facendo coincidere le due durate, in tal modo non corro il
rischio citato.
I prezzi delle obbligazioni a lungo termine quindi subiscono fluttuazioni notevoli al variare dei tassi di
interesse e sono soggetti al rischio di tasso di interesse. I guadagni o perdite in conto capitale possono
essere notevoli, per questo queste obbligazioni non sono considerate sicure dal punto di vista del
rendimento.
L’effetto del rendimento dei tassi sul rendimento realizzato, quando i tassi sono molto bassi è molto
piccolo: tolto il problema del valore di rimborso, posso disinteressarmi dell’andamento dei tassi
poiché non avrà grande differenza fra effettivo e atteso, mentre sei i tassi sono alti, c’è un significativo
impatto.
Se i tassi di interesse si attende aumenteranno, vorrò stare liquido, cioè avere investimenti a breve,
perché scadendo presto, se i tassi aumentano, con una sequenza di investimenti a breve posso avere
un profitto che cresce al crescere dei tassi di mkt. In questo modo ho basso rischio di perdita e
avendo titoli che cadono presto, posso rinnovarli e quindi comprare degli altri titoli che, in futuro,
con l’aumento dei tassi, mi daranno di più.
• Rischio da reinvestimento = quando scelgo una durata di investimento più corta di quella che mi
offrirebbero le mie possibilità economiche (investo a 1 anno anche se potrei investire a 10 anni).
Questo rischio è un rischio di avere un ritorno/rendimento realizzato più basso dell’odierno
rendimento a 10 anni, perché pensavo di investire oggi e di rinnovare per i successivi 9 anni a tassi via
via crescenti, invece non è andata così.
Un altro modo è comprare un titolo che non scade né prima né alla scadenza desiderata, ma dopo, se
la mia aspettativa è un calo dei tassi: se investo a 30 anni quando in realtà mi serviranno quei soldi fra
10, questa operazione mi darà soddisfazione se i tassi scendono e rimangono inferiori all’investimento
trentennale, mentre se le cose vanno al contrario mi salta tutto perché i soldi investiti a 30 anni magari
sono diminuiti di valore, invece che aumentati.
• Duration = importante indicatore relativo ai titoli obbligazionari che rappresenta la durata media
finanziaria di un flusso di pagamenti associati ai titoli di debito.
E’ un indicatore che misura in modo preciso la sensibilità del prezzo di un titolo obbligazionario al
variare dei tassi di interesse. Misura la variabilità del prezzo a seguito della variazione del tasso
effettivo a scadenza.
A parità di ogni altra condizione, essa è tanto maggiore quanto più lunga è la vita residua
dell’obbligazione, e più i tassi di interesse scendono o il livello della cedola diminuisce.
Essa è una media ponderata che si può calcolare facendo una media delle scadenze, dove esse sono
se i pagamenti sono annuali 1,2,3… fino a n numero di anni alla scadenza. Questa media non è
aritmetica semplice, perché ogni scadenza ha un peso diverso, calcolato prendendo il valore attuale di
ogni incasso che si fa in corrispondenza di ogni scadenza (il livello della cedola fra due anni ma
attualizzata indietro di due anni). La sommatoria di questi pesi fa 1. Ogni scadenza è ponderata per
un numero che misura il suo contributo al rendimento complessivo.
La durata media finanziaria è funzione della:
- durata residua: i titoli con durata più lunga hanno anche maggiore scadenza. C’è una correlazione
positiva: più corta è la durata residua, più corta la duration.
- livello della cedola (tasso di interesse nominale): immagino di avere due titoli identici entrambi
scadenti a 10 anni, che hanno stesso rendimento effettivo, ma uno con cedola alta e una con cedola
bassa (quest’ultimo paga un interesse più basso). Se devono avere stesso rendimento effettivo, l’ultimo
dovrà valere meno del primo. Se ho due titoli uguali, è più rischioso quale dei due? Il più speculativo
è quello con la cedola bassa, perché quello con l’alta paga i tassi di interesse alle stesse scadenze ma
sono di importo superiore e quindi ha una durata media finanziaria inferiore perché ripaga più
rapidamente il prezzo sborsato all’investitore. Ci metto meno tempo a portare a casa il capitale
inizialmente investito perché nello stesso tempo mi arrivano più soldi.
Questo indicatore dice quanto tempo ci vuole per avere la restituzione del capitale inizialmente
sborsato attraverso il pagamento periodico degli interessi.
Es. in sdf si dice: quanti mesi mi ci vogliono di lavoro per estinguere il nostro debito fiscale verso lo
stato? si scopre che i lavoratori dipendenti ci mettono circa 7 mesi. Il concetto è lo stesso: se investo
1000 euro con durata media finanziaria di 7 anni, vuol dire che per averli indietro ci metterò 7 anni di
interessi degli n anni di durata dell’investimento, è dal settimo anno che inizio ad avere guadagno.
Questa informazione deve essere integrata: versione modificata, duration modificata.
• Duration modificata = è la media delle scadenze, ponderate in questo modo, diviso 1 + tasso di
rendimento effettivo a scadenza.
La derivata prima del prezzo di una obbligazione rispetto al suo tasso effettivo a scadenza è pari a –
durata media finanziaria/1+ tasso rendimento eff a scad. Misura la elasticità del prezzo al variare dei
tassi di interesse di mkt. Essendo una derivata, quindi tangente a una funzione curvilinea (prezzo), è
una misura approssimativa di quanto il prezzo scende se i tassi aumentano.
In molte tabelle si mettono prezzi, rendimenti, volumi scambiati ogni giorno, e poi la
volatilità/duration modificata, e ci sono entrambi i dati, modificata e non. Il numero trovato lì tanto
più è grande tanto più mi dice che il rischio di prezzo comprando quel titolo è significativo.
Se è 10, mi dice che se il rendimento effettivo del titolo dovesse aumentare di 1 punto percentuale,
noi perdiamo 10 volte tanto, cioè il 10% sul prezzo. Invece se diminuisce di un punto, guadagno il
10%. Più grande è il numero, maggiore è il pericolo.
Si sa che più lunga è la durata residua, maggiore è la duration modificata, maggiore è il rischio. E le
obbligazioni di una certa durata residua, ad esempio 10ennale, non sono tutte ugualmente rischiose
dal punto di vista della durata del prezzo, perché maggiore è la cedola, minore è la sensibilità del
prezzo al variare dei tassi di mkt e quindi minore è la duration modificata. Se è alto maggiore deve
essere la prudenza, perché misura appunto la volatilità del prezzo: più è grande più sono incerto su
quanto incasserò in futuro sul titolo.
Se compro un titolo con scadenza molto lunga rispetto alla data in cui mi servono i soldi, questo
numero è molto importante perché mi comunica che se domani i tassi si modificano, posso
guadagnare come perdere un 10, 15, 20%. (NON C’E’ ESERCIZIO SU DURATION A ESAME)
Tassi nominali e reali
Dobbiamo fare una precisazione: “nominale” ha due accezioni. È un numero, un prezzo che serve
per dare un valore temporale al denaro, che moltiplicato per il valore nominale del capitale mi
consente di calcolare l’interesse che remunera il prestatore di fondi. Mi racconta la rendita, gli
interessi periodici.
Ma vuole anche dire che quel tasso di interesse di mkt osservato, che è appunto nominale, è un
indicatore che per l’economia finanziaria racconta solo gli interessi senza considerare altri redditi da
capitale sia con segno positivo che negativo, ma dal punto di vista macroeconomico mi dice che non
tiene conto dell’effettivo rendimento delle somme in termini di accrescimento del potere d’acquisto
ottenuto facendo quell’investimento, perché non tiene conto dell’inflazione. Quindi gli interessi
calcolati al tasso nominale devono coprire il costo dell’inflazione, la perdita di potere d’acquisto
dovuto all’incremento generale del livello dei prezzi, appunto perché ogni moneta ha il suo valore
nominale, diverso è cosa potrò invece comprarci con quella stessa banconota ora e fra 10 anni.
Investo in strumenti finanziari auspicabilmente fruttiferi se ho l’aspettativa che il tasso di interesse
nominale che vedo sul mkt che mi viene riconosciuto copre almeno la perdita di potere d’acquisto
dovuta all’inflazione.
Il tasso di interesse reale vi si contrappone, che è pari al primo meno il costo dovuto all’inflazione,
quindi tolto il tasso di inflazione. Questo tasso è più di interesse perché mi esprime cosa potrei
acquistare con i soldi investiti nel frattempo aumentati a un tasso di interesse. Se questo ultimo tasso è
maggiore di quello reale, il potere d’acquisto è aumentato, al contrario risparmiando vuol dire che
non sono riuscito a coprire questo costo e quindi a posteriori potrò permettermi di comprare un
paniere di beni meno ricco di quello che potevo permettermi all’epoca dell’investimento.
Mi interessa il livello atteso del tasso reale: quando devo decidere dove investire, voglio sapere
appunto anche l’inflazione. Se quindi tolgo dal tasso di interesse (nominale) l’aspettativa del tasso di
inflazione ottengo il tasso reale atteso, ma alla fine dell’investimento posso trovare l’effettivo e capire
se il rendimento reale realizzato è positivo come mi aspettavo, oppure no.
Tassi di interesse reali e nominali a lungo termine si muovono insieme, hanno una correlazione
positiva, sono reattivi all’andamento delle previsioni sull’inflazione. Poiché i tassi rispondono
positivamente alle aspettative di inflazione, normalmente i tassi nominali sono superiori a quelli reali,
anche se ci sono momenti in cui i due si avvicinano molto.
Quindi di tutti i possibili concetti di tasso di interesse quello che ci interessa è il rendimento
atteso/effettivo, perché seppur con ipotesi di comodo piuttosto forti, è alla scadenza e composto, è la
misura del tasso di interesse migliore possibile sebbene con un margine di errore (quello effettivo è
sempre diverso da quello atteso).
La teoria delle scelte di portafoglio
La teoria che spiega come variano i tassi è la teoria delle scelte di portafoglio, che si basa
sull’andamento di stock di attività finanziaria e non di flussi, e che può essere applicata a qualunque
tipo di attività, non necessariamente finanziaria ma anche reale, e a qualunque tipo di attività
finanziaria, non necessariamente strumenti di debito. Ci sono due lati del mkt: una domanda di
attività finanziarie, più precisamente strumenti di debito, dominata dalle famiglie, e un’offerta,
dominata dallo Stato e sempre meno dalle imprese.
Il lato della domanda è determinato da quattro variabili:
1) la ricchezza = chi ha risparmio da dare in prestito, più si sente o diventa più ricco, quindi ha più
risparmio rispetto a prima che può rendere disponibile per il prestito sul mkt dei titoli di debito, più
domanderà titoli di debito alle correnti condizioni di mercato. Dire “al tasso di interesse di mkt” di
oggi è una semplificazione perché ce ne sono tanti. Più mi sento ricco, più domando obbligazioni, a
parità di altre condizioni.
2) il rendimento atteso = sottointeso dei titoli di debito; se questo rendimento sul mkt obbligazionario
aumenta, a parità di tutte le altre possibili variabili esplicative (ad esempio a parità di ricchezza),
preferirò investire di più in obbligazioni e di meno in altre cose, perché il rendimento atteso in questa
teoria viene misurato rispetto a un’alternativa. Le attività alternative finanziarie sono azioni e
obbligazioni: se mi attendo che le prime abbiano rendimento inferiore alle seconde, chiaramente
investirò più in quest’ultime a parità di ricchezza. Esco un po’ dall’azionario e entro di più
nell’obbligazionario. Il rendimento atteso relativo all’investimento obbligazionario aumenta se i tassi
di interesse di mkt in futuro scendono, esso diminuisce invece se i tassi di interesse di mkt
aumentano. Il rendimento atteso è guidato dalla componente guadagno o perdita in conto capitale
perché i tassi sono fissi per la durata del titolo: il rendimento effettivo diverge dal tasso nominale
quando, non rispettando la regola di attendere la scadenza, i tassi di interesse cambiano.
Quando parlo di rendimenti attesi mi riferisco a cosa accade ad esempio fra un anno, dipende dal
prezzo con il quale posso uscire. Se il mondo è fatto solo di titoli annuali e ho un universo
unipersonale misurato in anno, allora il problema non si pone, non ho un rendimento atteso
divergente dal tasso nominale, in tutti gli altri casi sì.
Se i tassi tendono a scendere si punta sull’obbligazionario, quando invece si attende aumentino
investirò meno puntando invece sull’azionario.
3) il rischio = ho ancora due classi di attività possibili, se percepisco che il rischio obbligazionario
diminuisce rispetto a quello azionario accrescerò la mia posizione sul primo, viceversa in caso
contrario.
4) la liquidità = intesa come facilità di smobilizzo sul mkt secondario dello strumento in cui ho
investito. Il nostro focus è sui titoli di debito, quindi il mkt delle obbligazioni, fatto per lo più di titoli
di stato, se percepisco che è più efficiente, più liquido, dove è più facile disinvestire a condizioni
eque, allora a parità di condizioni ho incentivo ad investire più qui che nel mkt azionario.
Tutto questo vuol dire che prendendo la funzione di domanda disegnata nello spazio prezzo
obbligazioni-quantità domandata, essa è dipendente da quattro possibili variabili esplicative:
1) se la ricchezza aumenta si trasla verso destra; cioè aumenta la quantità domandata in
corrispondenza di ciascun prezzo possibile se sono più ricco, perché tenderò ad investire di più in
strumenti finanziari, soprattutto in strumenti di debito. Guardo questa cosa sempre fissando le altre
tre variabili (ceteris paribus)
2) se mi attendo che l’investimento obbligazionario dia più soddisfazione di quello azionario,
domanderò più obbligazioni, e questo accade se mi attendo una riduzione dei tassi di interesse; se
invece mi attendo un loro aumento, domanderò più azioni e meno obbligazioni rispetto a prima
3) se il rischio obbligazionario aumenta, la funziona di domanda si sposta verso sx: se il rischio delle
obbligazioni rispetto alle altre attività alternative aumenta, allora chiederò meno titoli di debito
rispetto a prima
4) se il mkt diventa più attraente dal punto di vista dell’efficienza degli scambi, diventa un mkt in cui
investo più volentieri; se migliora quello obbligazionario investo in questo e meno in quello azionario
perché ho maggiore sicurezza di uscire quando mi pare a condizioni eque.
Negli studi della micro abbiamo una funzione di domanda, una di offerta che sintetizza il punto di
vista di chi offre le obbligazioni, cioè domanda fondi. La teoria è raccontabile in due versioni: noi
scegliamo l’approccio dei titoli, perché vogliamo una domanda inclinata negativamente e un’offerta
positivamente. C’è un’altra versione della teoria raccontata usando come quantitativo non il valore
nominale dei titoli scambiati ma l’ammontare dei fondi trasferiti. Ragionando in termini di fondi si
ribalta tutto, perché ragioniamo in termini di tassi di interesse
abbiamo una domanda inclinata positivamente. Ragioniamo quindi
in termini di titoli.
Se c’è un eccesso di domanda, cioè prezzo troppo basso o
rendimento troppo alto e di conseguenza l’investimento è troppo
attrattivo e ho troppi soggetti che vogliono comprare rispetto a
quelli che vogliono vendere, i tassi devono diminuire.
Se invece l’eccesso è di offerta, quindi i prezzi sono troppo alti, tutti
vogliono emettere obbligazioni perché il capitale di debito sul mkt
costa poco, i tassi di interesse dovranno aumentare e i prezzi
scendere.
Nell’offerta ci sono tre possibili variabili esplicative:
1) redditività attesa delle opportunità di investimento in attività reali
= quanto ci si attende di portare a casa da un aumento degli
investimenti in capitale fisico, non finanziario. Le attività reali sono più numerose e redditizie dal
punto di vista del rendimento atteso quando l’economia cresce, in questi casi è più facile per chi deve
fare degli investimenti finanziati in parte a debito indebitarsi, perché, a parità di condizioni di
indebitamento, c’è più possibilità di avere un profitto significativo.
2) costo effettivo del debito (inflazione) = inteso come costo reale, cioè il rendimento reale
dell’investimento; l’inflazione infastidisce chi dà fondi in prestito perché ne abbatte il rendimento
reale, mentre avvantaggia i debitori perché in termini di potere d’acquisto dovranno restituire meno
in futuro. A posteriori è più povera la domanda di obbligazioni, mentre è più ricco chi si indebita.
3) attività del settore pubblico (bilancio settore pubblico) = in tutti i sistemi finanziari l’emittente
pubblico domina il mkt dei titoli obbligazionari, è il più vorace prenditore del risparmio privato, è in
grado di traslare nello spazio la funzione di offerta, traslandola verso sinistra se riduce le nuove
emissioni, viceversa al contrario.
EFFETTO FISHER
Teoria in base alla quale i rendimenti nominali risultano correlati positivamente alle aspettative di
inflazione: non possono muoversi se non tenendo conto delle aspettative sul livello dei prezzi. Per
risparmiare devo avere almeno l’aspettativa di un rendimento reale positivo, il quale è il rendimento
nominale meno il tasso di inflazione.
Non si possono muovere indipendentemente perché necessito un rendimento reale almeno nullo,
perché se negativo sto perdendo potere d’acquisto.
- Cosa accade agli interessi di equilibrio se dato un equilibrio di partenza si verifica uno shock
esogeno negativo, cioè si stima che l’inflazione aumenterà più di quanto previsto dagli operatori.
Domanda: è influenzata da un aumento inatteso di
inflazione. I soggetti soffrono di questo errore di
stima: i rendimenti reali diminuiscono, possono
addirittura diventare negativi.
La curva di domanda quindi si sposta verso
sinistra, che vuol dire che per qualunque livello di
prezzo c’è meno disponibilità ad investire in
obbligazioni perché il loro rendimento reale è
diminuito, quindi compro altri strumenti finanziari
meno sensibili a questo aumento.
Offerta: la banca o l’emittente di titoli ha tutto
l’interesse a fare di più, perché trovano meno
costoso a quel punto fornire un debito a tasso fisso, quindi la funzione di offerta si sposta verso
destra.
Perciò c’è meno disponibilità a comprare titoli di debito da parte delle famiglie, mentre da parte di
Stato e imprese costa meno servire questo debito quindi i titoli in circolazione aumentano.
Il tutto determina una diminuzione del prezzo di equilibrio, perché la quantità richiesta cala e l’offerta
aumenta. Viceversa, per forza i tassi di interesse aumenteranno. In effetti i tassi di interesse
aumentano quando le aspettative di inflazione diminuiscono. C’è quindi una coerenza fra teoria e
aspetto empirico.
- Fase di espansione dell’economia che determina variazioni del tasso di interesse, cioè l’economia
accelera il suo tasso di sviluppo.
Domanda: presumibilmente aumenteranno i redditi
personali, quindi il risparmio, ci si sentirà più ricchi e
quindi si domanderanno più obbligazioni rispetto a prima.
Offerta: si sposta anch’essa verso destra; le imprese, più
dello Stato, hanno molte occasioni di investimento, di
conseguenza rispetto a prima siccome diventa più facile fare
soldi, anche loro domanderanno più capitale a debito
avendo più occasione di investire e di avere successo con gli
investimenti.
Abbiamo quindi due traslazioni che vanno nella stessa
direzione, da cui potremmo avere due possibili risultati:
(1) la funzione di offerta si è spostata più della funzione di domanda verso destra, quindi la richiesta
di fondi è cresciuta molto più rapidamente della offerta di fondi delle famiglie. L’equilibrio sarà in
corrispondenza di un prezzo più basso, quindi di un rendimento effettivo più alto.
(2) la funzione di domanda si è spostata più di quella di offerta, allora saremmo ad un prezzo di
equilibrio più alto, quindi i tassi sarebbero diminuiti, non aumentati.
Possono accadere entrambi gli scenari, i tassi
possono crescere come calare, la teoria è
inconcludente. In questi casi si va a vedere l’evidenza
empirica: vediamo nel grafico l’evoluzione del tasso
di interesse a tre mesi nominale rispetto al tempo, dal
1950 al 2015, per l’economia americana. Vediamo
che i tassi a breve tendono ad oscillare molto.
Gli istogrammi azzurri individuano i periodi di
recessione, in cui normalmente diminuiscono,
mentre quando l’economia scende (zone bianche) aumentano. Quindi la pratica ci dà una visione
della teoria.
LA BANCA CENTRALE – CAPITOLO 16
Tutti i paesi che hanno adottato l’euro hanno dismesso la loro valuta nazionale e abbandonato la loro
sovranità monetaria. C’è stata una conversione di queste monete secondo rapporti fissati e che hanno
comportato la loro trasformazione in euro. Le banche centrali dei singoli paesi sono diventate filiali
nazionali di una banca centrale sovranazionale, un sistema europeo di banche centrali, con
capogruppo la BCE che lavora sul territorio mediante articolazioni nazionali che sono appunto le
vecchie banche nazionali di quei paesi.
I paesi erano 28, sono diventati 27 post Brexit, di cui 19 hanno rinunciato alla loro sovranità
monetaria. Abbiamo quindi 8 paesi che sono nell’unione economica europea ma fuori dall’unione
monetaria. Pertanto, il sistema bancario europeo è fatto di due diversi assetti: uno con i 19, l’altro con
gli 8. I paesi out non hanno voce in capitolo rispetto alla politica monetaria e alla sua trasmissione nei
paesi in, ma allo stesso tempo sono nell’Ue, da qui la doppia configurazione.
La BCE svolge tre funzioni: essere la banca delle banche, istituto di emissione e banca del tesoro.
I paesi che usano il sistema di pagamento che essa produce hanno più voce in capitolo dei restanti
otto. Quindi, la maggior parte delle decisioni che essa prende interessano da vicino più i 19. Questo
non significa che le banche degli 8 paesi non coordino la loro politica monetaria con gli altri, ma
mantengono una loro moneta e un autonoma capacità di gestire la loro moneta per perseguire i
propri obiettivi monetari.
Il sistema europeo di banche centrali (EBC) ha tre organi di governo, uno solo, il consiglio generale, è
a 27, gli altri due, il consiglio direttivo e il comitato esecutivo, a 19.
• Consiglio Generale = ci sono i governatori delle BC nazionali di tutti i 27 paesi Ue e i componenti
del comitato esecutivo. Siccome comprende anche i paesi che non adottano l’euro, non si occupa di
politica monetaria ma è una sorta di assemblea dei soci, a cui partecipano sia gli azionisti ordinari
(con diritto di voto pieno) che straordinari (con diritto di voto limitato). Esso svolge un’attività più di
tipo politico, come compiti di raccolta di info e statistiche, stimolare i paesi out affinché diventino in,
ma la funzione più importante la svolge quando un paese out decide di diventare in. A quel punto
deve convertire la moneta che entra, secondo un rapporto da concordare, in euro: la sua funzione è
stabilire il rapporto irrevocabile di cambio da applicare alla nuova valuta.
• Comitato Esecutivo = presidente e vicepresidente e altri 4 componenti che sono scelti senza tenere
conto della loro nazionalità perché vanno per fare gli interessi europei e vengono scelti per la loro
competenza.
• Consiglio Direttivo = è una sorta di assemblea dei soci solo ordinari; una sorta di consiglio di
amministrazione che si occupa della gestione day by day della politica monetaria. Comprende i
governatori delle BC nazionali entrate nell’euro (19 governatori) più i componenti del comitato
esecutivo. Le riunioni sono abbastanza frequenti e per semplificare il processo decisionale si adotta
un sistema in base al quale i diritti di voto sono a rotazione, cioè non tutti i 19 governatori votano ad
ogni riunione. I 5 paesi più importanti si spartiscono 4 diritti di voto, i rimanenti se ne spartiscono 11.
Presidente e vicepresidente hanno invece diritto di voto permanente. Si vorrebbe modificare l’aspetto
dei voti non permanenti ma bisognerebbe modificare dei trattati.
Inoltre, le decisioni non si prendono mai con maggioranze strette, quindi anche il parere di chi non
vota viene tenuto in considerazione.
Esso decide la politica monetaria: tassi di interesse, stock di moneta in circolazione, ma non ha il
compito di realizzarla, è un compito del comitato esecutivo. L’attuazione avviene in modo decentrato:
le operazioni di emissione o drenaggio di moneta vengono attuate in ogni paese dalla corrispondente
banca centrale nazionale, in modo decentrato quindi.
La politica monetaria: strumenti
Intanto la politica monetaria riguarda in generale lo stabilire i livelli dei tassi, lo stock di moneta e di
prestiti. È un governo delle quantità monetarie e del loro prezzo. Dal punto di vista pratico ci sono
due tipi di strumenti utilizzati dalla BC: convenzionali e non convenzionali. I primi sono quelli di
regola sufficienti per controllare la quantità di moneta in circolo e il suo costo. Quando non
funzionano, bisogna ricorrere a nuovi attrezzi, i secondi.
Strumenti convenzionali
• operazioni di mkt aperto = una operazione a cui non è obbligatorio partecipare: la BCE immette
nel mkt uno stock di moneta da prestare alle banche, sulla base di un calendario noto in anticipo con
operazioni di durate diverse; avvengono a tassi di interesse che sono fissi quando le aste sono a tasso
fisso o cerca di influenzare a seconda dello stock di moneta immesso o ritirato. Queste operazioni
movimentano ogni volta importi miliardari
• operazioni attivabili su iniziativa delle controparti = quindi in qualsiasi momento possono essere
richieste; anche qui sia di prestito che di raccolta. Consente alle banche di finanziare la Banca
Centrale. Nelle operazioni di finanziamento dalla BC alle banche commerciali, in questo caso, i
prestiti possono essere solo a un giorno, overnight. Stessa cosa vale per le operazioni di deposito: la
BC raccoglie quei fondi ma consente di depositarli solo un giorno. Sono rinnovabili, perché possono
essere rinegoziati
• vincoli di riserva obbligatoria = una sorta di tassa occulta imposta alle banche per il fatto che hanno
la licenza di operare come tali. È un obbligo mensile di depositare una quota dell’incremento mensile
della raccolta di fondi che le banche fanno nei confronti della loro clientela ordinaria (normalmente
l’1%), solo depositi di famiglie, imprese ecc.
Questo euro che finisce in conto di gestione e che non può essere investito, non è remunerato dalla
BC ad un tasso di mercato, cioè rappresentativo del rendimento medio che le banche concludono sul
mkt del credito o dei titoli, è remunerato a un tasso fuori mercato, oggi addirittura negativo o nullo.
Questa sottrazione serve a creare una riserva di liquidità stabile. Oggi è qualcosa di simbolico, ma
comunque l’impossibilità di utilizzare tutta la nuova raccolta che si fa di mkt attiva implicitamente una
domanda stabile oggi molto piccola di fondi presso la BC.
OPERAZIONI DI MERCATO APERTO (OMA)
La BCE ogni volta che presta ad una banca vuole delle garanzie. Qualunque sia lo sportello a cui mi
rivolgo, che sia a) o b), devo mettere sul bancone dei crediti solvibili, perché senza non è possibile
nessun tipo di rifinanziamento. Negli anni la qualità delle garanzie pretesa è diminuita.
Le operazioni possibili sono quattro:
- operazioni di rifinanziamento principali: si tengono ogni settimana e hanno scadenza settimanale;
sono state fatte con un tasso variabile, cioè le banche erano in competizione fra loro per ottenere i
prestiti offrendo tassi di interesse maggiori. Negli ultimi anni invece l’asta è stata a tasso fisso, non si
scatenava la concorrenza fra le banche, quindi l’allocazione di fondi era legata alla quantità di garanzie
che ogni banca poteva presentare. Queste operazioni oggi vengono realizzate a tasso zero, non si
richiede alcuna remunerazione del prestito.
- operazioni di rifinanziamento a più lungo termine: durano 3 mesi, 90 giorni; queste non hanno
frequenza settimanale ma mensile. Anche queste operazioni oggi hanno tasso nullo.
- operazioni di fine tuning: mentre le prime due sono solo operazioni di immissione di liquidità,
questa come l’ultima posso essere anche operazioni di drenaggio di liquidità. Con queste si aggiusta la
posizione della BCE, quindi si svolgono con cadenza regolare, appunto quando la BCE ritiene di
dover aggiustare la sua posizione nel sistema bancario
- operazioni di tipo strutturale: la BCE in un’unica operazione cambia direzione; possono essere
operazioni d’impiego così come di drenaggio di liquidità
OPERAZIONI ATTIVABILI SU INIZIATIVA DELLE CONTROPARTI
Sportello sempre aperto ma non molto conveniente. Anche in questo caso servono le garanzie. Ce ne
sono due: una di rifinanziamento e una dove la banca centrale raccoglie fondi dalle altre.
- operazioni di rifinanziamento marginale: le banche possono
ottenere altri fondi in prestito della durata però di un giorno soltanto
(prestiti overnight), sempre con una garanzia; è l’unico
rifinanziamento che ha un costo, perché ha un tasso positivo dello
0,25% su base annua. È l’ultimo posto in cui si va a cercare prestito
perché attualmente i tassi di interesse sul mkt libero sono tutti
negativi.
- operazioni di deposito presso la banca centrale: quando una banca
necessita di depositare fondi, posso farlo presso la BCE. Li remunera
-0,5% annuo, quindi ci rimetto. È un segnale per stimolare le banche
ad impiegare in modo fruttifero la loro liquidità.
Strumenti non convenzionali
Questo meccanismo funziona fintanto che c’è un mkt interbancario, nel quale le banche possono
incontrarsi e aggiustare le rispettive posizioni. Quando la riga blu sparisce, che è quello che è successo
dopo la recente crisi finanziaria, allora questo armamentario non serve più. Se infatti le banche non
contribuiscono a mettere in circolo la liquidità, abbiamo un blocco di mercato, non ci sono
operazioni e quindi non c’è un prezzo di mkt. Se la moneta non circola più, questi strumenti citati
non funzionano. Il meccanismo di trasmissione della politica monetaria si basa proprio sull’esistenza
da una parte di un mkt all’ingrosso gestito dalla BC, e dall’altra del mkt secondario, dove il costo del
credito interbancario viene dettato dal primo mercato citato. La banca si aspetta che si adeguino ai
prezzi che ha anche i prodotti al dettaglio del sistema bancario. Se questa catena di impulsi si blocca,
magari perché le banche non si fanno più credito fra di loro, si necessita di altri strumenti.
Fra gli strumenti non convenzionali abbiamo le operazioni di rifinanziamento a più lungo termine
ancora più a lungo termine del previsto, si è arrivati anche a 4 anni di durata, si parla di durata
pluriennale, quindi andando al di là del confine fra mercato monetario e finanziario che è di 12 mesi.
Si sono inventate operazioni a più lungo termine condizionate al raggiungimento di obiettivi specifici,
ad esempio quello di impiegare il prestito in investimenti nell’economia. Anche programmi di
acquisto sul mkt di titoli obbligazionari, sia pubblici che privati, cioè la BCE si è messa a comprare
queste obbligazioni dei vari paesi europei, nel tentativo di aumentarne il prezzo se c’è una corrente di
domanda stabile. Le banche, sapendo di queste operazioni di rastrellamento, se partecipano alle aste
(cosa che non può fare la BCE perché non può comprare titoli dei vari paesi alle aste, cioè finanziare
direttamente il tesoro dei paesi, può farlo solo nel mkt secondario) e sanno che poi possono
rivenderli a prezzo più alto alla BCE che se li compra al fine di ripristinare il corretto funzionamento
della politica monetaria, automaticamente parteciperanno.
Se la banca centrale non è più in grado di influenzare l’andamento dei tassi attraverso gli strumenti
canonici deve ricorrere a strumenti straordinari. La prima strategia è intervenire direttamente sul mkt
dei titoli di debito. In Ue non è possibile intervenire direttamente sul mkt primario perché alla BCE
viene impedito di acquistare su questo mkt i titoli di stato, non si può finanziare in moneta il debito
pubblico. Si può però fare un finanziamento indiretto del deficit pubblico.
IL MERCATO MONETARIO – CAPITOLO 20
Il primo mkt finanziario in cui impattano le decisioni della BC è il mkt monetario, dove i tassi di
interesse che si formano non sono amministrati, fissati da una autorità, ma determinati dall’incontro
di una funzione di domanda ed offerta. Spesso si pensa che siano mkt in cui si scambiano quantità di
moneta, ma quello è il mkt dei cambi. È invece un mercato dove si scambiano contratti di debito che
sono quasi moneta perché hanno scadenza ravvicinata e quindi rapidamente tornano al loro genere
monetario di appartenenza, poi spendibile per acquistare beni di consumo o di investimenti di tipo
reale. Non sono mezzi di pagamento ma si avvicinano al genere monetario perché hanno scadenza
breve. Caratteristiche:
- operatori professionali = è un mercato per lo più frequentato da grossi operatori, non al dettaglio,
innanzitutto perché ora come ora le condizioni di mkt non sono interessanti visti i tassi, ma anche
perché è un mkt all’ingrosso, cioè dove le operazioni vengono stipulate (con una eccezione, quella dei
titoli di stato a breve termine) per un valore unitario minimo di 1 milione di euro e spesso di più.
Non vi operano quindi famiglie, imprese, quest’ultime al massimo di grandi dimensioni, ma dove
soprattutto operano le banche. Gli strumenti finanziari trattati sono i titoli.
- liquidità = intesa come breve scadenza.
- operatori notoriamente solvibili = siccome gli operatori sono professionali, infatti vi partecipano
imprese, soprattutto intermediari o stati sovrani, con rating di elevata qualità, è un mkt di investimento
a basso rischio, non solo perché i titoli scadono presto ma perché gli emittenti hanno una
piccolissima probabilità di fallire.
Gli attori del mercato monetario
• Stati Sovrani = quindi i dipartimenti del tesoro di ciascuno, che lo usano in maniera funzionale alle
proprie esigenze; si possono fare debiti, ma per poco tempo, e questo interessa relativamente a un
paese sovrano, perché l’obiettivo di ogni gestore di debito pubblico è quello di avere una durata
media di esso di molti anni, per avere la certezza di non dover rimborsare troppi soldi con una
frequenza eccessiva. Il che vuol dire che se i tassi di interesse aumentano, il valore dei titoli in borsa
scende, ma il costo del debito del nostro Stato, essendo la durata del debito molto lunga, è piuttosto
stabile. I Dipartimenti vari operano comunque su questo mkt quando ad esempio ci sono sfasamenti
fra tempistiche di entrate e uscite per lo Stato, e questo chiede la necessità di debiti fluttuanti al fine di
coprire il problema. La domanda di questi titoli proviene dalle banche, non dalle famiglie: essendo i
rendimenti negativi le famiglie non sono attratte, ma le banche hanno un -0,50 se vanno a depositare
presso la BCE, quindi qualsiasi altra forma di parcheggio di liquidità che costi meno rappresenta un
risparmio. Quindi una banca che compra titoli di Stato con rendimento negativo e che rimette -0,2, lo
fa perché ha alternativa -0,5. Non ci sono altri modi per rimanere liquidi ed investire in strumenti
monetari meno costosi? Il costo della gestione del contante è significativo, e se le banche tenessero
tutta questa moneta legale liquida avrebbero costi molto alti di tipo operativo, da qui è preferibile
investire in titoli di Stato con rendimento negativo. È uno dei costi più alti perché c’è il problema
della sicurezza, del trasporto ecc.
• Banca Centrale Europea = produce la moneta, quindi ha a che fare con questo mkt perché presta
fondi e li raccoglie sempre con scadenze brevi; opera non solo attraverso i suoi canali di assorbimento
e emissione di moneta, ma opera anche nel mkt interbancario, cioè anche nel mkt libero oltre che
attraverso gli strumenti di politica monetaria
• Banche = principali negoziatori del mkt, quelli che più frequentemente stipulano operazioni sul
mercato monetario
• Altre istituzioni finanziarie = operano un po’ con l’ottica del tesoro, cioè di approfittare di situazioni
di momentanea convenienza a fare credito o a indebitarsi
• Imprese e soggetti privati = i meno attivi insieme ai soggetti privati; le prime perché tolte quelle
finanziarie, quelle del nostro paese sono soprattutto piccole, medie, quindi non conviene accedere a
questo mkt.
I prodotti del mercato monetario
I titoli del mercato monetario sono strumenti a breve termine con una scadenza originale inferiore a 1
anno, che vengono scambiati nei mercati monetari. I prodotti del mkt monetario sono:
- i buoni del tesoro emessi dagli Stati, il nostro è il BOT (Buono Ordinario del Tesoro). Sono titoli a
sconto, hanno taglio minimo di 1000 euro ed esistono in due versioni: scadenza semestrale o annuale.
Quello dei BOT è anche un mkt al dettaglio, oltre alla prevalente componente all’ingrosso.
- depositi interbancari = sono tipo i BOT delle banche, solo che non sono fatti come i titoli a sconto
ma come prestiti semplici (ti do 1000 e tu a scadenza mi restituisci 1000 + gli interessi al tasso di mkt
interbancario in proporzione alla durata dell’operazione, considerando tassi annui). Il mkt dei
depositi interbancari è fatto da due possibili forme tecniche di operazioni: possono essere operazioni
collateralizzate (cioè servono le garanzie), e non collateralizzate, prestiti sulla parola e non assistiti da
garanzie finanziarie. La componente prevalente è la prima.
La durata va da un giorno a un anno, quindi molto più flessibili dei titoli pubblici, che durano solo o
6 mesi o 12 mesi
- pronti contro termine = tipica operazione del mkt monetario e una parte delle operazioni
interbancarie avvengono in questo modo; il deposito interbancario è il prestito semplice, banale
scambio, invece nei pct la garanzia è implicita, connaturata all’operazione, perché in essi due banche
si accordano per scambiarsi a pronti (operazione fatta di due distinte compravendite) un certo
quantitativo di titoli a prezzo di mkt e allo stesso istante concordano la restituzione. Quindi c’è
qualcuno che a pronti compra dei titoli da qualcun altro dando dei soldi in prestito, quindi in cambio
dei titoli che costituiscono una garanzia, che allo stesso tempo comporta un contestuale accordo di
rivendita per chi li ha comprati a un sovrapprezzo; quel guadagno ottenuto dalla vendita rappresenta il
costo del prestito. Se quindi l’operazione va in malora, il soggetto che ha prestato i soldi anche se il
debitore non riesce a comprare il titolo alla scadenza, comunque può rivendere i titoli al fine di
recuperare tutto o in parte il capitale prestato. Una operazione si esegue subito, la seconda in futuro
ad una data concordata e non a un prezzo incognito, ma già scritto nel contratto di compravendita e
che è più alto dell’operazione a pronti. È quindi un’alternativa al prestito interbancario ed è anche
preferito dalla BCE, che lo utilizza per le operazioni di mkt aperto.
- eurovalute = depositi interbancari di denaro denominato in una certa unità di conto stipulati in un
paese diverso da quello in cui la moneta del contratto ha il corso legale.
Altre operazioni di mkt monetario di modesta importanza:
- certificati di deposito = depositi bancari incorporati in un titolo che può circolare anziché in un
contratto bancario e che sono poco diffusi in Italia nel mkt monetario. Si preferisce da noi emetterli a
scadenza di 18 mesi.
- commercial paper = le banche emettono strumenti di mkt monetario all’ingrosso con una forma
tecnica che è simile a quella del titolo a sconto usato dal tesoro;
- accettazioni bancarie
Mercato dei depositi interbancari
e-MID (Mercato elettronico dei depositi bancari), è morto nel 2019. Ci sono due eccellenze che
riguardano la gestione degli scambi sui mkt immobiliari e una è stata questa. Nato nel 1990, fin da
subito come mkt telematico quando in tutto il resto del mondo le banche stipulavano prestiti
interbancari usando telefono e fax. Esso assicurava efficienza e trasparenza negli scambi ed è
diventato rapidamente un leader nel campo dei mkt dei depositi interbancari ed ha esteso negli anni
la sua operatività anche ad altre valute oltre alla lira. Negli anni gli scambi si sono sempre più rarefatti
fino a che non si sono bloccati nel 2019, perché venendo meno la fiducia fra le altre banche
stipulandosi su di esso prestiti senza garanzia, nessuno si fidava di prestare soldi sulla parola.
Si è creato quindi un circuito di depositi collateralizzati, introducendo schemi di garanzia analoghi a
quelli utilizzati dalla BCE. A quel punto gli scambi sono ricominciati ma nel giro di pochi anni sono
diventati irregolari e così il mercato ha definitivamente chiuso l’attività. È successo però che questa
lunga tradizione di eccellenza nell’aiutare banche a scambiarsi denaro fra di loro è stata raccolta da
MTS (Mkt telematico dei titoli di Stato): ha iniziato a consentire alle banche e fondi comuni di
finanziare all’ingrosso con tagli minimi di 2,5 milioni di euro alla volta titoli di stato italiani.
Funzionava molto bene e hanno iniziato ad esportarla in tutti i paesi europei ed extraeuropei, si è
creato un gruppo di mkt specializzati nella negoziazioni di titoli di stato all’ingrosso. Siccome tutti
vogliono ora i pct, essendo già un mkt che negozia a pronti, ha introdotto anche questo nuovo
segmento di mkt che negozia l’operazione pronti contro termine. Da qui gli scambi sono ripresi.
Orai è esclusivamente un mt di transazione fra banche e di tipo garantito.
I tassi
• Tasso Eonia: è diventato EuroSTR, cioè Euro, la moneta di denominazione, short term rate, tasso
a breve termine in euro. È un tasso a un giorno. Non si chiama più Eonia perché è cambiato il
meccanismo di calcolo: Eonia era un tasso medio a quale un campione di qualificate banche
dichiarava di voler prestare a banche di simili caratteristiche denaro a un giorno, era solo un’ipotesi,
non era attendibile né rappresentativo di scambi conclusi. Ci sono stati tentativi di manipolazione di
questo tasso, molti operatori hanno cercato di influenzarne il livello per ottenere profitti su questi
mercati. Ora segue un diverso algoritmo nel suo calcolo, il primo dei quali è che deve rappresentare
contratti veri, cioè scambi effettivamente conclusi; se ad esempio un giorno le banche non hanno
niente da segnalare non avendo effettuato scambi allora si può ricorrere al calcolo passato. È stato
ridisegnato il meccanismo di rilevazione in modo da renderlo rappresentativo di scambi
effettivamente conclusi e non annunci in riposta a frodi effettuate. Ogni paese ha un suo tasso a breve,
quindi -0,57 è il tasso a un giorno europeo e relativo a scambi di euro negoziati dentro l’area della
moneta unica. Poi ci sono i tassi di riferimenti a un giorno di altri paesi, il secondo è quello
australiano, poi quello canadese
• EURIBOR = necessità di misurare il costo del denaro per le banche su durate maggiori di un
giorno, anche se sempre al di sotto dei 12 mesi. In Europa usiamo questo. La tipologia di operazione
è la stessa (prestito fra banche garantito), con durata di minimo una settimana a un massimo di 1
anno.
C’è in due versioni perché a seconda dei contratti
al dettaglio le convenzioni per il calcolo possono
cambiare: nella prima colonna c’è il tasso
considerando come anno di riferimento un anno
commerciale (360 gg), nella seconda invece si
considera l’anno civile (365 gg). Si dice che sono
due tassi equivalenti, basta dividere tipo il primo
per 360 e poi moltiplicarlo per 365. Posso ricavare
l’uno dall’altro. Quindi a seconda del tasso indicato
nel contratto, bisogna prendere o una colonna o
l’altra.
• Ultima tabella: tassi un tempo chiamati LIBOR,
cioè delle eurovalute. La piazza finanziaria più importante per gli scambi di euro depositi è quella di
Londra, la lettere “L” stava proprio per Londra. Qui venivano conclusi gli scambi relativi ad euro
depositi denominati in tante eurovalute (euro, dollaro, franco svizzero, ecc.). A noi interessa l’Euro,
questi tassi sono confrontabili con EURIBOR perché sono relativi alla stessa operazione con stessa
durata, ma sono un po’ diversi. Gli Euro del conto estero ad esempio non hanno problemi
dell’imposta occulta, quindi si raccolgono con un tasso inferiore, inoltre il sottostante è lo stesso ma il
negoziato è in un paese diverso quindi le condizioni di mercato cambiano.
I BOT: BUONI ORDINARI DEL TESORO
Il mercato monetario è un mercato all’ingrosso, con titoli a basso rischio (essendo la scadenza breve),
i principali operatori sono le banche con i tassi guida dei prodotti bancari al dettaglio (il tasso
EURIBOR soprattutto).
Il mercato obbligazionario, dall’altro lato, è un mkt prevalentemente di operatori pubblici, in
particolare stati sovrani, che emettono titoli a sconto con un’ottica di tipo funzionale, dato che ogni
Stato ambisce ad avere un debito pubblico a lunga scadenza per non trovarsi in difficoltà se
improvvisamente i tassi aumentano.
Poiché possono esserci sfasamenti fra tempistica di entrate ed uscite correnti e questo crea problemi,
quando il Tesoro si rende conto che a tal proposito si necessita un fabbisogno temporaneo di cassa,
ricorre all’emissione anche di strumenti a breve termine (quindi mkt monetario) con la sola ottica di
riconciliare questa mancata sincronizzazione. Nel caso italiano, il ricorso a questi strumenti, i BOT è
molto contenuto: le famiglie non sono intenzionate a comprare BOT perché hanno rendimenti
negativi essendo i titoli del mkt monetario negativi; essi costituiscono una perdita. Ma anche dal lato
dell’offerta, il tesoro in Italia non raccoglie fondi importanti attraverso le aste dei Bot, perché sono
collocati con aste pubbliche. Esse sono frequenti, ogni 15 giorni, e i BOT vengono emessi su due
scadenze, quella annuale, collocata a metà mese, e quella semestrale, a fine mese. A volte anche
quella trimestrale, ma ci sono anche i “bot flessibili” con scadenze inferiori ai 2 mesi. Il Tesoro si
riserva quindi di emettere questi buoni anche su scadenze non standard a seconda del suo bisogno.
Inoltre, sono strumenti privi di cedole.
In USA invece i Treasury Bills hanno gamma di scadenza più ampia (min di 3 mesi max di 1 anno
con anche le scadenze intermedie). Come tutti i titoli di stato in Italia sono allestiti per un taglio
minimo di 1000 euro, quelli americani erano a 1000$ e poi anche a 100$ taglio minimo.
Il collocamento in generale dei titoli obbligazionari avviene normalmente per asta pubblica e può
avvenire in vari modi: competitiva per i breve termine e marginale per quelli più a lunga scadenza.
Per i BOT si usa quindi l’asta competitiva, per tutti gli altri titoli di stato italiani e per la maggior parte
dei titoli di stato degli altri paesi si usa l’asta marginale.
Collocazione: l’asta competitiva
Qui accade che i partecipanti all’asta (investitori istituzionali, quindi non piccoli, professionisti), per
conto proprio o su richiesta di terzi, ogni quindici giorni partecipano a questa asta, si presentano
virtualmente al suo banditore, che nel caso italiano è la Banca d’Italia, e gli fanno pervenire per via
telematica le loro proposte di acquisto, formulate tenendo conto sia delle necessità di investire per sé
stessi in quanto intermediari, sia per conto dei propri clienti che privatamente decidono di acquistare
tramite l’operatore. In queste aste si possono presentare fino a 5 diverse proposte di acquisto, che
tengono conto anche degli andamenti delle precedenti aste e di quali sono i rendimenti dei titoli
vecchi con durata residua ad esempio di 6 mesi e quindi fanno da riferimento per i titoli ancora da
emettere con la stessa durata semestrale. 5 è solo il numero massimo, non necessario.
La particolarità dell’asta dei BOT è duplice:
1) è un’asta i cui partecipanti propongono dei rendimenti, cosa contro intuitiva perché normalmente
in un’asta si propone un prezzo. Siccome però si pagano i prezzi e non i rendimenti che si ottengono
a fine investimento, bisogna ricavare il corrispondente prezzo dal rendimento scelto secondo un
procedimento a ritroso. Gli operatori quindi devono sempre tenere presente che partecipano
offrendo un rendimento ma dovranno pagare il prezzo corrispondente. Da qui 5 possibili rendimenti
proponibili, dai quali 5 diversi prezzi;
2) ogni operatore che risulta aggiudicatario di titoli, cioè che ha offerto dei rendimenti al tesoro che si
indebita e che risultano convenienti per il tesoro stesso, ritira i titoli esattamente ai rendimenti ovvero
ai corrispondenti prezzi che ha proposto. Significa che tutti gli operatori non ottengono i BOT
richiesti a un rendimento che è uguale per tutti, cioè a un prezzo uguale per tutti; ogni partecipante ha
un suo soggettivo prezzo di sottoscrizione dei titoli. Alcuni quindi riusciranno a pagare di meno e ad
avere un rendimento più alto, mentre i meno bravi dovranno pagare di più, e alcuni operatori
possono anche non prendere niente, o di quelle 5 solo alcune proposte sono state accettate, non
tutte.
Questo pone un problema dal punto di vista del mkt primario: il partecipante è lì anche per i suoi
clienti, e quando i rendimenti erano positivi si poneva il problema di comunicare al pubblico, che
non partecipava all’asta andando solo da un intermediario ma da molteplici, di spiegargli quanto paga
questi titoli.
Quindi per avere un riferimento unitario per il mkt, il ministero del Tesoro (parte del Mef che si
occupa della gestione del debito pubblico), ha stabilito che ai fini dei rapporti con la clientela, il
prezzo di riferimento per essa è la media dei prezzi che sono stati pagati da tutti gli operatori che si
sono aggiudicati i titoli all’asta. Si parla del “rendimento medio ponderato” e del rispettivo prezzo, di
riferimento per la generalità degli investitori. Questo però comporta, dal punto di vista
dell’intermediario partecipatore che se è stato bravo, venderà alla clientela i titoli a un prezzo più alto
della media generale, se no sarà in perdita. C’è un po’ di aleatorietà sul profitto che la banca ottiene
lavorando per conto dei clienti: il prezzo di riferimento non è quello specifico dell’operatore.
Inoltre, non c’è solo questo differenziale di prezzo, ma il tesoro ha anche regolamentato un listino
prezzi fatto di commissioni di sottoscrizione che le banche fanno pagare ai propri clienti che
prenotano i titoli presso i loro sportelli. Quindi le banche sfortunate guadagnano meno del normale,
vendono in perdita, ma fanno pagare una commissione al cliente più che sufficiente per compensare
la perdita di prezzo.
Quindi è un’asta dove gli errori si pagano e c’è
questo obbligo di rispettare l’obbligo di vendere
alla clientela i titoli al prezzo medio ponderato.
Questo spiega la parte bassa della tabella: il
rendimento ponderato, quello massimo e quello
minimo. Altre definizioni:
- Rendimento di esclusione: il tesoro ha stabilito
delle regole per escludere automaticamente dalla
competizione per avere i titoli operatori che
formulano offerte con rendimenti troppo alti (e
prezzi troppo bassi). Il tesoro preferisce correre
il rischio di non vendere tutti i BOT piuttosto
che venderli a chi li paga troppo poco.
Qui c’è scritto 1,36%: vuol dire che se fossero
pervenute offerte a un prezzo a cui fosse
pervenuto un rendimento pari appunto a 1,36%,
sarebbero state escluse dalla competizione. Il
rischio è appunto che se c’è poca richiesta i titoli potrebbero non essere completamente venduti.
- Rendimento lordo composto: qui uguale a quello medio composto. Nel mkt monetario si utilizza la
capitalizzazione semplice per calcolare i rendimenti dei titoli, questo lordo composto ci ricorda che
mentre i rendimenti effettivi che misuriamo in tutti i mkt obbligazionari sono composti, nel mkt
monetario abbiamo questo doppio binario della valutazione dei titoli. Cioè c’è sia un rendimento
semplice (medio ponderato) sia un corrispondente rendimento effettivo (che è il lordo), e qui sono
identici per costruzione, perché sono riferiti ad un BOT annuale.
Nella parte superiore della tabella abbiamo:
- codice ISIN: codice identificativo di ogni strumento finanziario costituito da un numero; dalle prime
due lettere individuiamo la nazionalità del mkt di collocamento del titolo, “IT” significa che è un
titolo destinato al mkt italiano. “XS” è il codice che si assegna alle euro obbligazioni (euro titoli, euro
bond), perché non hanno una piazza finanziaria di riferimento, dato che vengono collocati in una
moneta diversa da quella circolante nel paese in cui sono collocati. Significa che il titolo non ha un
paese di residenza essendo normalmente collocato in più piazze finanziarie. Poi ci sono i numeri che
identificano specificamente il titolo
- Tranche: un meccanismo nelle aste che il Tesoro consente solo agli intermediari finanziari con cui
lavora di più (sia in aste che nel mkt secondario), che si chiamano “specialisti i titoli di stato”. Consiste
nella possibilità, finita l’asta al pubblico, di ottenere una sorta di premio fedeltà in quantità, cioè di
richiedere altri titoli al prezzo a cui li hanno pagati nell’asta pubblica in cui hanno partecipato per sé e
per conto della loro clientela. Con “1;2” si intende: “1” dice che è la prima volta che il titolo viene
collocato sul mkt primario (il tesoro colloca più volte lo stesso titolo? Sì, ad esempio per i titoli a
medio-lungo termine); “2” ci dice che c’è stato un secondo collocamento di titoli, di tipo
supplementare, perché gli specialisti si sono avvalsi della loro facoltà, quindi hanno chiesto al tesoro,
in quanto principali suoi aiutanti, di ottenere un quantitativo supplementare di titoli da lui stabilito.
- durata: le durate, in particolare sul mkt monetario, si misurano in giorni, sebbene si parli di
settimane normalmente; questo consente al Tesoro di emettere dei titoli con durata che non è mai
quella esatta corrispondente a 3 mesi, 6 mesi, 1 anno, così da evitare di avere dei titoli che scadono in
un giorno di mkt chiuso (sabato, domenica, feste varie), durante i quali il sistema dei pagamenti è
chiuso. Quindi allunga o accorcia un po’ la durata del titolo a tal fine.
- scadenze: la data di emissione, come quella di scadenza e di asta possono non coincidere. L’asta
può essere fatta un giorno ma i titoli possono venire emessi successivamente. C’è poi una data di
regolamento, che coincide con quella di emissione.
a) data di emissione = i titoli diventano di chi li compra;
b) data di scadenza = data in cui vengono restituiti i soldi al compratore
c) data dell’asta = antecedente di due giorni lavorativi a quella di regolamento che coincide con quella
di emissione (quasi sempre è così); è giusto due e significa che non ci sono stati in mezzo sabati o
domeniche. Questi due giorni sono ricorrenti per tutti gli strumenti finanziari negoziati sui mkt
regolamentati (cioè sulle borse valori), perché il regolamento, il perfezionamento della
compravendita, che consiste nell’ottenere la ricevuta del BOT in cambio dei soldi, richiede appunto
due giorni lavorativi. Dopo due giorni dall’asta si dà esecuzione al contratto, in termini sia di consegna
di titoli che di pagamento. È quindi un gap tecnico. Si dice che la data di valuta è a T + 2.
- importo offerto: il Tesoro annuncia in anticipo quali sono gli importi che va a collocare di ogni
titolo, normalmente qualche giorno prima dell’asta. I partecipanti sanno già in anticipo queste
informazioni, un anno per l’altro, ma solo a ridosso dell’asta conoscono questi dettagli.
- importo richiesto: il numero di titoli non emessi bensì richiesti dagli operatori, spesso è un numero,
come qui, superiore a quello precedente.
- rapporto di copertura: cioè il rapporto fra il quantitativo offerto e quello richiesto (errore nella
tabella); qui ci denota un eccesso di domanda, essendo superiore ad 1. Questo è quello che accade
sempre, in tutte le aste dei titoli di Stato, anche con rendimenti negativi, grazie anche all’immissione
da parte della BC di liquidità nel sistema affinché venisse spesa dalle banche.
In altri paesi però, come in Germania, è capitato che questo rapporto fosse inferiore ad uno e quindi
che si verificasse un difetto di domanda. In questi casi la BCN interviene e sottoscrive
temporaneamente i titoli invenduti.
Nel mkt monetario vige una convenzione per cui la durata dei titoli di 364 giorni è da misurare con il
calendario civile. Quando però si passa dal rendimento di periodo (da 1 giorno fino a un max di 364
gg) a quello annuo (essendo capitalizzazione semplice ho solo da moltiplicare), si deve usare come
base annua l’anno commerciale di 360 giorni, cioè moltiplico il rendimento di periodo per 360 e lo
divido per 365.
Quindi è l’unico mkt in cui si usa la capitalizzazione semplice e in cui l’anno di riferimento per il
rendimento annuo è quello di 360 giorni.
L’EURIBOR è esposto in due diversi modi infatti: sia come 360 che come 365. Dicevamo che
dipendeva dal contratto e da come esso fa riferimento all’EURIBOR.
Matematica finanziaria di base per i BOT
Innanzitutto la calcolatrice finanziaria non lavora con la
capitalizzazione semplice, essendo programmata per risolvere i
calcoli più comuni fatti in regime di capitalizzazione composta,
quindi qui bisogna fare a mano, non si possono usare i vari tasti
perché risolvono un’equazione secondo la legge di
capitalizzazione composta.
Quindi il rendimento semplice (medio ponderato), è la soluzione
della prima equazione, dove mi limito a prendere il tasso di
periodo e a moltiplicarlo ad esempio per 2 se è semestrale.
La seconda ci dice il rendimento composto lordo, calcolo risolto
dalla calcolatrice (a differenza del precedente in quanto troppo
semplice), ma questo rendimento non è quello utilizzato sul mkt monetario. Bisogna quindi risolvere
manualmente la prima equazione: si divide il valore a scadenza per il prezzo medio ponderato, si cava
uno e si divide per n.
Otterrò un numero decimale, se lo voglio in formato percentuale devo moltiplicare per 100, di
norma quest’ultimo valore è quello richiesto all’esame.
Modo di esprimere n: n è la durata in anni del BOT (tipo n/4 = BOT trimestrale). Volessimo essere
precisi non è proprio vero, perché n è il rapporto tra la durata in giorni effettivi di calendario e 360,
durata in giorni dell’anno commerciale. La calcolatrice però non dà questi risultati. Bisogna ricordare
che il BOT ha un rendimento nominale, cioè un rendimento semplice annuo ottenibile mediante
semplice riproporzionamento del rendimento di periodo (interessi/prezzo) rispetto a un anno
commerciale, non civile.
IL MERCATO OBBLIGAZIONARIO – CAPITOLO 21
La forma del titolo semplice o a sconto si usa quasi esclusivamente sul mkt monetario. Negli
investimenti pluriennali si vogliono incassare periodicamente gli interessi. Da qui altri tipi di titoli.
I titoli di Stato a più lunga scadenza
I titoli a medio-lungo che il tesoro emette in maniera regolare sono:
- CTZ (Certificato del Tesoro Zero-Coupon) = ora morto, era un titolo a sconto a medio termine,
con una scadenza non di mkt monetario che era di 2 anni. È stato sostituito da un altro titolo.
- CCT (Certificato di Credito del Tesoro) = paga gli interessi periodicamente, come tutti gli altri a
parte CTZ e BOT. Ha una prima cedola fissa e poi non costante, che cambia ogni sei mesi, quindi
l’interesse nominale che serve per calcolare la componente rendita cambia, si dice che è un titolo
indicizzato. Si parla di indicizzazione di tipo monetario perché il parametro di riferimento per
individuare la cedola è il tasso EURIBOR, cioè il costo del debito interbancario su scadenza
semestrale, a cui viene aggiunto un quid chiamato “spread”, una maggiorazione, che varia coi tassi di
mercato. Nessuno comprerebbe un CCT se
rendesse quanto l’EURIBOR, la ragione è che
il titolo è di durata pluriennale, da qui lo
spread. Essi erano molto diffusi tempo fa,
sono titoli indicati per l’investimento in periodi
di tassi di interesse attesi in aumento.
- BTP (Buoni del Tesoro Poliennali) = ne
esistono di due tipi, i nominali e i reali. I primi
sono quelli più facili da valutare avendo cedola
costante, cioè tasso invariato per tutta la durata
dell’operazione, che può durare molto poco
=> BTP short al posto dei CTZ, si parla di 2-3
anni, scadenza non convenzionale visto che normalmente vanno da un min di 3 a un max di 50 anni.
Dalla metà degli anni 80 si sono aggiunti i reali, dove la cedola varia di semestre in semestre ed è
pagata semestralmente. C’è quindi un meccanismo di indicizzazione ma di tipo reale, e l’indice
prescelto è l’indice armonizzato dei prezzi al consumo nell’area euro, o lo stesso indice riferito al
nostro stato. Quindi esistono titoli che consentono di avere un rendimento reale minimo garantito,
perché se i prezzi crescono gli interessi che prendo ogni sei mesi aumentano, e non perché i tassi
nominali siano cambiati, ma perché si svaluta il potere d’acquisto incorporato nella moneta
dell’obbligazione. Nel BTP reale mi disinteresso dell’inflazione perché ho l’interesse indicizzato in
base ad essa, il capitale si rivaluta tanto quanto la moneta si è svalutata a causa dell’inflazione,
l’indicizzazione copre la perdita di potere d’acquisto. Fino a quando l’inflazione rimaneva costante o
diminuiva nessuno calcolava questi titoli, ora invece sono tornati in auge visto che è ripartita
l’inflazione.
Tutti i BTP possono essere assoggettati all’operazione coupon stripping: a questo titolo tolgo le
cedole residue una alla volta, cioè separo il foglio cedole dal valore capitale (chiamato in gergo “il
mantello”). Prendo un BTP a 10 anni, cedole semestrali vuol dire 20 cedole, quindi posso separare
20 cedole e un “mantello”, perché non esiste un mkt di titoli privi di cedola sulle scadenze medio
lunghe. Ci sono investitori istituzionali che hanno un orizzonte di lungo termine e che non si
interessano degli interessi periodici, ma vogliono un investimento senza il problema di
capitalizzazione degli interessi, vogliono un investimento che cresca il più possibile senza il problema
del reinvestimento e dei tagli minimi. Se voglio raddoppiare il mio capitale nei prossimi 10 anni e
voglio essere sicuro di averlo fatto alla scadenza, mi serve un titolo privo di cedola a 10 anni. Se non
c’è posso artificialmente ottenerlo prendendo titoli di durata pluriennale e smontandoli facendo
l’operazione citata, scomponendo e vendendo i prezzi separatamente.
Di recente introduzione abbiamo invece:
- BTP Italia = è la versione BTP
indicizzata all’inflazione italiana.
- BTP futura = un titolo emesso
l’anno scorso per scommettere sulla
ripresa dell’economia italiana. È un
titolo con la particolarità di avere una
cedola di interessi che cresce in modo
predeterminato secondo il
meccanismo step up: non è
indicizzata la cedola, so dal primo
giorno per i successivi massimo 10
anni le cedole che incasso ogni 6
mesi, ma cresce secondo un
meccanismo noto in anticipo. La particolarità è una remunerazione crescente nel tempo.
Esiste poi un premio fedeltà alla scadenza, per la prima volta sperimentato nel BTP Italia dove invece
la cedola varia in modo imprevedibile. Se tieni il titolo fino alla naturale scadenza, viene pagato un
premio, nel caso del BTP futura è indicizzato all’andamento del Pil durante la durata
dell’investimento.
- BTP green = è un normale titolo a cedola costante e gli importi raccolti dal tesoro vendendo questo
tipo di titoli (con scadenza molto lunga, 25 anni) servono per raccogliere importi utilizzati dallo Stato
per finanziare progetti ecologici.
Dal punto di vista del collocamento, il tesoro utilizza normalmente l’asta pubblica, ma per Italia e
futura colloca direttamente nel ptf degli investitori questi titoli, in quanto pensati apposta per i piccoli
investitori. Si usa cioè il mkt secondario per collocare i titoli su quello primario. Per farlo senza l’asta,
il tesoro consegna virtualmente i titoli che vuole emettere a due o tre specialisti, che vanno sul mkt di
borsa a venderli a un prezzo fisso che è il 100% del valore nominale. Il collocamento va avanti alcuni
giorni e la prima parte di questo periodo è riservata agli investitori al dettaglio, gli ultimi per i
professionali. Vanno avanti a venderli finché il Tesoro gliene dà, non c’è un importo annunciato, il
Tesoro lo decide in corso d’opera.
Ci concentriamo sul BTP nominale, che ha tutto fisso, diventa quindi facile calcolarne il rendimento
e fare una stima del prezzo di mercato.
Nel caso dei titoli a indicizzazione reale, il problema riguarda la previsione a lungo termine del tasso
di inflazione: il tasso di interesse è costante, è il valore nominale che cambia. Il problema diventa
prevedere l’inflazione su un orizzonte ancora molto lungo su base semestrale. Ci soffermiamo quindi
sul titolo standard, con cedola costante e cadenza semestrale.
Modalità di quotazione dei titoli sul mkt secondario
Su questo mkt i prezzi sono espressi in base a una percentuale del valore nominale. Nel caso dei
BOT, se è più piccola di 100 o di 1, vuol dire che abbiamo un BOT con rendimento positivo,
viceversa rendimento negativo. Inoltre quando si quotano i prezzi in percentuale c’è il valore di
riferimento del 100%, chiamato in gergo “quota alla pari”: se il BOT quota sotto alla pari allora il
rendimento è positivo e viceversa nel caso in cui sono sopra alla pari, hanno rendimento negativo se
portati a scadenza perché pago di più che all’origine.
I prezzi hanno questa sintassi, sono quotati in percentuale, da qui troviamo numeri per 100 euro di
valore nominale.
Inoltre, i prezzi dei titoli obbligazionari sono tanti, tra i più importanti il prezzo di emissione (PE)
(lordo ponderato per i BOT), cioè il prezzo di collocamento dei titoli sul mkt monetario nel caso del
Bot è il prezzo dell’asta competitiva, nel caso degli altri titoli si chiama prezzo marginale perché l’asta
che si usa è appunto chiamata marginale, qui il prezzo di emissione non è una media dei prezzi
perché qui il prezzo è uguale per tutti.
Si dice in gergo che un titolo collocato sotto la pari (un Bot normale) viene emesso con un disaggio o
scarto di emissione, cioè la differenza, se positiva, fra 100 e il prezzo di emissione. Se sopra la pari
non c’è scarto di emissione, si parla di aggio di emissione quindi. Non c’è un rendimento positivo ma
una perdita qui, perché pago più dei 1000 euro originari a scadenza.
Ci sono strumenti di mkt senza cedola periodica, che hanno un unico rendimento, lo scarto di
emissione, se ho un aggio quindi non vedrò interessi, perché non ho altri modi per ottenerli che
attraverso lo scarto positivo.
Dopo di che il titolo viene collocato a un prezzo di emissione, a quel punto se è un titolo di stato di
diritto è ammesso alla quotazione di diritto nella borsa ufficiale dei titoli obbligazionari. Sul mkt
secondario, i prezzi di mkt sono due:
- corso secco (CS) = il prezzo dei titoli che hanno la cedola; è il prezzo riferito al solo valore capitale o
nominale del titolo
- corso tel quel (TQ) = il prezzo dei titoli a sconto che non la hanno; è il prezzo che aggiunge al CS gli
interessi maturati non ancora incassati.
Pensiamo al caso del titolo con la cedola: prendiamo un titolo che la paga una volta all’anno e che
sarà negoziato non solo nei giorni in cui paga gli interessi ma anche tutti gli altri giorni lavorativi. In
qualunque giorno dell’anno in cui il titolo viene compravenduto, accade che passando di mano al
nuovo compratore, viene ceduto un titolo che incorpora il diritto a ricevere l’interesse, che però è
pagato su base annua e solo in un certo giorno dell’anno. Chi vende quindi ad esempio a metà anno a
un acquirente, questi si vedrà garantiti gli interessi dopo soli 6 mesi.
Se non si trova un meccanismo per pareggiare questo, chi vende il titolo durante il periodo di
maturazione della cedola perderà interessi, mentre chi compra guadagnerà tempo per incamerarli.
Il meccanismo per allineare gli incentivi si chiama calcolo del rateo di interessi, gli interessi maturati e
non ancora incassati si chiamano “rateo di interesse”. È una proporzione rispetto al tempo già
trascorso del periodo di godimento degli interessi annuali proporzionati a quel periodo trascorso. Ad
esempio se vendo a metà dell’anno, ho già maturato metà della cedola, che quindi terrò per me,
mentre l’altra metà verrà garantita al compratore, che è anche colui che anticipa quella quota di
cedola maturata dal venditore. Questo rappresenta la quantificazione degli interessi maturati e non
ancora incassati da corrispondere al venditore.
Quindi TQ = CS + rateo cedolare; somma di due componenti, da una parte il prezzo di mkt e, se
non siamo nel giorno dello stacco della cedola, si aggiunge il rateo cedolare.
Quindi quando andiamo nel mkt secondario dell’obbligazionario osserviamo il CS, che non è il
prezzo finito per la compravendita, che è invece il TQ. Occorre quindi procurarsi l’informazione
mancante per avere il giusto prezzo.
Per i Bot, i titoli a sconto, la cedola non c’è, quindi il rateo cedolare non c’è. Gli interessi però
maturano, perché il prezzo, se il BOT è collocato sotto la pari, convergerà a 100. Quindi tutti i Bot
del giorno di scadenza quotano 100, nel giorno di emissione no anche se è sicuro che a scadenza a
100 ci arrivano.
L’assunzione che si fa quindi nelle quotazioni di mkt secondario è che il BOT quota direttamente a
un prezzo TQ, ci pensa il mkt ad aggiungere al prezzo d’asta gli interessi maturati non ancora
incassati. Gli interessi ci sono ma arrivano attraverso il disaggio. Assumiamo che il prezzo del mkt
secondario sia già rettificato, cioè sia già il prezzo di emissione che prima o poi arriverà a 100.
Un tempo, l’informazione sul rateo cedolare veniva riportata sulla maggior parte dei giornali
finanziari, finché si è arrivati al punto che ora abbiamo prezzo e rendimento.
L’asta marginale
L’asta marginale viene impiegata per allocare sul mercato i titoli di Stato a lungo termine.
Per questi e per i titoli impegnativi, il Tesoro spesso si riserva di escludere dal meccanismo di
collocamento la prima trance collocata sul mkt, cioè quando emette un titolo con scadenza molto
lunga, si riserva di non andare subito ad interpellare gli investitori a pubblico indistinto tramite asta
pubblica preferendo negoziare il prezzo di emissione con investitori specialisti, che si costituiscono
nel “consorzio di collocamento” e compreranno la prima rata del titolo emesso.
Fatto questo esordio a cui partecipano solo i più capaci, per le tranche successive si passa all’asta.
Le aste marginali hanno la caratteristica di prevedere un prezzo di aggiudicazione dei titoli uguale per
tutti, non si pone il problema della media. Partecipano operatori professionali per sé e per i propri
clienti. Anche qui ciascuno può fare 5 possibili offerte diverse, solo che nell’asta dei BOT ogni colpo
prevede un investimento minimo di 1.5 milioni (il mkt all’ingrosso giustifica la cifra), mentre nella
marginale 500.000 euro.
Versione semplificata della vera asta marginale: abbiamo 4 operatori, ciascuno ha un massimo di 3
offerte, ognuna diversa per quantitativo richiesto e prezzo proposto.
Ad esempio il primo operatore nella prima richiesta offre per 400 titoli 98.10 e nella seconda per 200
98.20.
Nell’asta marginale si diversifica abbastanza
perché si ha una certezza che prima non si
aveva: se anche si fanno offerte con prezzi
troppo alti (quindi convenienti per il Tesoro,
per chi compra svantaggiosi) non importa
perché il prezzo che tutti pagheranno è il
minimo delle offerte risultate ex post degli
aggiudicatari.
Significa che se anche sparo a prezzi lontani dalla
media di mkt non pagherò a dazio ma so che
pagherò a prezzo minimo, quindi ho tutto
l’interesse a chiedere un prezzo alto, dato che i
primi titoli verranno assegnati a chi ha proposto il
prezzo più alto e via scendendo.
La strategia è quella di sparare offerte diverse, sia a
prezzi alti che a prezzi bassi, le prime mi servono
per avere la garanzia di aggiudicarmi un quantitativo
minimo di titoli, le seconde per pilotare il prezzo definitivo a livelli ragionevoli, bilanciando la spesa.
Il rischio che corro se offro troppo poco in termini di prezzo è che le mie offerte arrivino ad essere
prese in considerazione quando i titoli sono già finiti.
Il banditore, dopo alcuni giorni in cui riceve le intenzioni negoziali (che sono modificabili), a un certo
punto blocca la possibilità di ricevere proposte, prende atto della domanda di mercato e inizia a
riclassificare in modo decrescente rispetto al prezzo le offerte pervenute.
Vedo dalla tabella, a conferma, che i titoli vengono prima assegnati a chi ha offerto prezzi più alti e in
maggiore quantità, poi via via il Tesoro accontenta gli offerenti che in ordine di convenienza per sè si
trovano più sotto perché hanno offerto di meno.
Arrivati a 98.20 abbiamo due proponenti: Alfa e Gamma, loro vorrebbero 500 ma ce ne sono solo
200. si va quindi “al riparto”: potranno ritirare solo 200 che verranno spartiti in proporzione
all’importo che richiedevano a quel prezzo. Uno voleva 200 milioni, l’altro 300 milioni,
rispettivamente 2/5 e 3/5, cioè il 40% e 60% rispetto al totale di 500.
A questo punto i titoli sono finiti, e già gli ultimi operatori si sono dovuti accontentare di quello che
era rimasto. Poiché il prezzo minimo aggiudicatario è stato 98.20, verrà applicato a tutti (anche se pro
quota come in questo caso in cui appunto gli ultimi offerenti non sono stati pienamente accontentati,
è il prezzo a cui i titoli finiscono).
I prezzi proposti quindi servono solo per individuare un ordine gerarchico nell’allocazione dei titoli,
in base alla convenienza per l’emittente, non importa alla fine dei conti quanto si è offerto.
IL CALCOLO DEL TRES
Quando dobbiamo calcolare il rendimento effettivo, o conoscendo quest’ultimo ricavare il prezzo, di
un titolo a cedola costante, ci troviamo di fronte al problema che quasi mai questi titoli vengono
collocati sul mkt primario e negoziati su quello secondario nel giorno di rateo zero, cioè il giorno in
cui la cedola viene pagata. Da qui la necessità di spaccare la cedola in maturazione in due parti, per
spartire gli interessi fra chi compra e chi vende.
Questo crea difficoltà, perché se da un lato il numero di pagamenti che ci aspettiamo continua ad
essere un numero naturale e quindi il contatore del numero di cedole da incassare non crea
problemi, dall’altro il tempo non coincide più con il contatore del numero dei pagamenti.
Infatti, nel giorno in cui iniziano a maturare gli interessi, so che la prossima cedola la incasserò fra un
periodo (per es. un semestre); se il titolo viene negoziato in un giorno diverso da quello di inizio
maturazione la distanza temporale misurata in anni o semestri non coincide più con il contatore della
cedola (es. se sono a metà semestre, la prossima cedola è la prima che incasso ma la incasserò fra 3
mesi, non 6). Quindi l’esponente che sta al denominatore di ogni frazione che serve per attualizzare
ciascun importo tenendo conto della differenza fra le due tempistiche non è più un numero intero.
La distanza temporale non coincide più con la numerosità della cedole, le formule che avevo non mi
servono più.
Cambio approccio dal punto di vista del calcolo ma l’equazione rimane la stessa.
A sinistra dell’uguale abbiamo il valore attuale, che per un titolo con cedola negoziato in un qualsiasi
giorno di mkt si chiama prezzo TQ, da cui la divisione della cedola in due parti. A dx dell’uguale ho
tutto quello che mi aspetto di incassare al valore attuale, ma dovrò attualizzarla per una frazione,
perché appunto non ho numeri interi. A sinistra ho quello che sborso oggi comprensivo del rateo, a
destra il valore attuale di ciò che mi viene promesso dall’emittente da oggi fino alla naturale scadenza
dell’investimento.
Le distanze temporali le posso facilmente calcolare, il problema è individuare il tasso di
attualizzazione TRES che verifica l’equazione. Il pedice “s” indica il TRES semestrale: quando ci
troviamo di fronte a un problema di pagamento infrannuale, lo risolviamo semplicemente cambiando
l’unità di misura del tempo. Se tutto è risolto sulla base di questa misura del tempo, otterrò non il
rendimento annuo, ma grosso modo la sua metà (esattamente nel regime semplice, in quello
composto circa). È un po’ più della realtà nel regime della capitalizzazione composta perché
sappiamo che lo ottengo in modo diverso:
L’equazione comunque continua a dirci che “diamo qualcosa” e “ci viene promesso in cambio” futuri
pagamenti, soldi che si incasseranno in futuro e pertanto da attualizzare. Il rendimento effettivo è
sempre composto e atteso (reinvesto quanto incassato al tasso effettivo corrente, ipotesi utopica).
Quando si calcola uno di questi rendimenti all’esame, sono date per buone entrambe le risposte: la
formula sovrastante come anche il raddoppio del TRES semestrale.
Prendiamo un BTP che scade lo 06/2032,
grossomodo decennale, che paga una cedola
annua dello 0,95%, che aveva a inizio
investimento 03/2032 91,175. Ci aspettiamo
un rendimento effettivo lordo annuo di 1,91. Ci troviamo nella situazione normale in cui la data di
avvio non coincide né col 1/06 né con il 1/12, date in cui si ottiene la cedola a livello semestrale. Qui i
conti si fanno in percentuale, quindi il valore nominale è considerato 100, mentre il prezzo è espresso
in percentuale. Essendo la quotazione molto distante dalla pari, 1,91 che è il rendimento effettivo,
sarà diverso dal rendimento cedolare annuo, perché abbiamo un guadagno in conto capitale dovuto
al fatto che ci verrà dato non 91 ma 100.
Calcolatrice fisica: ci dimentichiamo della terza fila. Premiamo il tasto “9” e apriamo un menù
scorribile con le frecce. I dati che vengono fuori sono:
- SDT = data di valuta, individua la data in cui si perfeziona l’acquisto. Per modificare la data separo
indicazione giorno, mese e anno con una virgola e premo il tasto “enter”.
- CPN = cedola, devo indicare il tasso annuo, quello che trovo sulla tabella, la calcolatrice sa già la
frequenza semestrale.
- RDT = la data di scadenza del titolo
- RV = è un modo per riferirsi al valore nominale, il valore di rimborso, se lavoriamo in centesimi
scriviamo 100.
- ACT = è la convenzione di calcolo sul rendimento effettivo, qui impostata su “giorni effettivi su
giorni effettivi”; non devo toccare nulla, ma se dovesse apparire 360 non va bene, mi serve l’anno
civile, non commerciale. Bisogna premere prima 2nd e poi set per modificare
- PRI = prezzo
- Un altro campo importante è la frequenza di pagamento degli interessi, se ho 2/Y significa che è
semestrale, se è 1/Y ho una cedola annuale; anche qui cambio facendo 2nd e poi set.
- AI = è il rateo, qui 0,27665, cioè la parte dello 0,465 (la metà dello 0,95 in tabella) che spetta a chi
vende in titolo e che gli viene riconosciuto a chi lo compra. Sommandolo a 91,175, ottengo il TQ.
Una volta arrivati qui, dobbiamo premere “cpt”, cioè calcola.
- YLD = tasso di rendimento effettivo a scadenza (TRES); è un campo che non va caricato perché è il
dato ignoto che si vuole scoprire.
Ottengo 1,90528, dividendolo per due e passo
all’equivalente semestrale, ottengo 0,95264, che diviso
ancora per 100 è la radice dell’equazione individuata in
precedenza.
Calcolatrice digitale:
Price = prezzo
Coupon = tasso annuo
Call = valore di rimborso (sempre FV)
MaData = data di scadenza
Setdata = data di avvio
Semi/Annual = serve per dire alla calcolatrice se parliamo di un bond con cedola annuale o
semestrale. Premendo il tasto azzurro e il tasto CST, otteniamo la scritta semi: vuol dire che la
calcolatrice pensa a un titolo con cedola semestrale. Se no dovremmo ripremere tasto azzurro e di
nuovo CST, se non compare “semi” allora vuol dire che ho cedola annuale.
Per inserire le informazioni scrivo l’info, premo la freccia blu e poi il tasto dell’info che devo inserire.
Per avere il rateo, una volta inserite le due date, devo premere la freccia azzurra e il tasto N.
Altri possibili emittenti oltre allo Stato
- obbligazioni degli enti pubblici territoriali (comuni, regioni, unioni di comuni…) = in teoria anche gli
enti locali quindi possono emettere i loro titoli di Stato a partire dal 1994. Lo Stato aveva dovuto però
garantire per loro alla fine di evitare il default di alcuni di questi enti. Tuttora si può in teoria ricorrere
all’emissione di questi titoli ma non c’è interesse. Questo il caso italiano, ma negli Usa è diverso ad
esempio, è un segmento del mkt pubblico molto rilevante.
- obbligazioni societarie = emesse dai privati, termine tecnico è corporate bonds. Gli emittenti
corporate più importanti sono normalmente le imprese finanziarie, cioè gli intermediari finanziari, in
altri paesi anche le imprese non finanziarie. Da noi è molto più importante il mkt azionario di quello
obbligazionario, anche se negli anni sono state fatte numerose riforme per spingere le imprese a
mettere titoli per disintermediare le banche, che avevano smesso di fornire liquidità. Queste riforme
hanno riguardato in modo particolare l’introduzione di numerose deroghe sul limite all’emissione
delle obbligazioni societarie: perché, siccome il nostro è un paese banco centrico, a nessuno interessa
il livello di debito con le banche ma si impongo limiti di debito con il mkt. Tuttora esiste un limite
generale alla possibilità di emettere obbligazioni societarie, che è il doppio del patrimonio netto.
Per superare questo problema, prima si è introdotta la possibilità di derogare questo limite, se le
obbligazioni venivano sottoscritte solo da intermediari vigilati; poi, si è abolito il limite nel caso in cui
prima la società fosse quotata in borsa (quotazione relativa alle azioni), poi a condizione che le
obbligazioni in corso di emissione venissero iscritte o a quotazione nel mkt ufficiale della borsa
italiana o destinate alla negoziazione in un MTF, una borsa non ufficiale ma comunque mkt
multilaterale. Il legislatore ha sostanzialmente liberalizzato il quantitativo di obbligazioni emettibili a
condizioni del controllo di qualcuno.
Si è estesa la possibilità di emettere titoli anche a piccole società bypassando le banche, ci si riferisce
alle srl, ma in questo caso esclusivamente se sono comprate da intermediari controllati.
LE OBBLIGAZIONI SOCIETARIE
I privati fanno concorrenza allo Stato, un emittente molto potente, quindi devono fare delle variazioni
sul tema dei titoli che sono leader di mercato, si devono accontentare di imitare lo Stato dal punto di
vista delle formazioni tecniche con alcune variazioni.
Il titolo prediletto è il BTP, a volte il CCT. I privati, salvo le utilities (società che operano nei servizi
pubblici) non si dedicano molto a obbligazioni ad indicizzazione reale, i BTP reali sono un
patrimonio quasi esclusivo dello Stato. I privati prendono un BTP o un CCT e ci lavorano sopra.
Siccome sono svantaggiati rispetto allo Stato, possono:
• aggiungere garanzie: esse possono essere legate alla struttura tecnica del prezzo, per esempio si dà
in garanzia mediante ipoteca degli immobili di proprietà della società emittente, le banche possono
emettere le “obbligazioni ipotecarie” o “covered bond”, garantite da crediti che hanno erogato alla
propria clientela, la banca dice che ha investimenti buoni non liquidabili e li mette a garanzia
dell’obbligazione di riferimento. Le garanzie possono anche essere esterne, per esempio da una
compagnia di assicurazione. Riduco quindi il rischio che il datore di fondi possa riscontrare una
perdita dovuta a un ritardo nel pagamento della cedola o a un mancato rimborso al termine neutrale
• creare dei pacchetti, sono le “obbligazioni convertibili” o “cum warrant”: paghi un prezzo per avere
uno strumento ma l’obbligazione ha due anime. È un titolo di debito (paga gli interessi) con una
scadenza (prima o poi i soldi mi verranno rimborsati), e in più essa ha la possibilità di rendere molto
perché è anche titolo azionario in potenza. Infatti, essa può essere, dopo un certo tempo, trasformata
in azione, secondo un rapporto di conversione prefissato. Se le azioni valgono poco, conviene tenere
nei primi tempi l’obbligazione convertibile; se però queste azioni vanno su di valore, in borsa cioè si
apprezzano, potrei trovare conveniente la conversione. In questo modo si dà la possibilità di
speculare sul valore delle azioni senza correre il rischio tipico del mkt azionario perché appunto
posso convertire quando e se voglio. È vantaggioso anche per l’emittente perché non deve dare il
rimborso dell’obbligazione ma ottiene anzi investimenti nella sua impresa tramite la conversione delle
obbligazioni in azioni
• clausola di rimborso anticipato: prevista anche nelle obbligazioni convertibili; obbligazione callable
prevede per l’emittente la possibilità di rimborsare il titolo quando vuole; questa clausola verrà da lui
esercitata se i tassi di interesse di mkt scendono, caso in cui gli conviene emettere nuove obbligazioni
che ora gli costano di meno. Il compratore esperto si fa pagare indirettamente questo diritto garantito
all’emittente, magari pretendendo cedole più elevate. Il pubblico normale invece non chiede dazio di
questo diritto, ma poi queste obbligazioni vengono rinegoziate da professionisti che a quel punto lo
richiedono invece. C’è un problema di conflitto di interessi
• clausole di subordinazione: il nostro diritto societario consente ai privati di emettere delle
obbligazioni diverse dalle ordinarie, nel senso che rispetto a queste ultime il loro rimborso alla
naturale scadenza e talvolta anche a percepire gli interessi periodici è subordinato al diritto di qualcun
altro che conta di più, vedi l’obbligazionista ordinario o garantito. C’è una diversa graduatoria di
diritto di rimborso. L’obbligazionista subordinato viene pagato dopo il garantito. Significa che io
acquirente, da subordinato, vengo rimborsato per penultimo, sostanzialmente prima di arrivare
all’azionista. Rischio quindi di ritirare solo una piccola parte del mio investimento iniziale,
compartecipando alle perdite messe in conto.
Valutare la convenienza alla conversione
Bisogna confrontare il valore di ciò che si consegna, cioè l’obbligazione, che ha un suo prezzo di mkt
da cui posso ricavare il prezzo che effettivamente ottengo vendendola e ciò che ricevo in cambio se
faccio la conversione, cioè se consegno le obbligazioni per avere in cambio un predefinito numero di
azioni. Il rapporto che regola questa conversione si chiama “rapporto di conversione” (numero di
obbligazioni da consegnare per ottenere in cambio un’azione oppure il contrario, due definizioni) e
può essere espresso in due modi: due obbligazioni per un’azione (codice civile), o un’azione per due
obbligazioni (finanza).
L’azione ha un suo prezzo di mkt, da cui ho anche il rateo. Quindi il TQ è la somma di queste due
componenti, da cui ottengo il prezzo di mercato dell’azione. Ogni azione ha un valore nominale.
Devo confrontare ciò che do rispetto a quanto mi viene dato in cambio. La quotazione implicita
dell’obbligazione dal valore di 5
euro la ottengo come di lato,
tenendo conto del rapporto di
conversione. Ottengo così il
prezzo teorico dell’azione e lo
confronto con il prezzo di questa
sul mercato attualmente. È chiaro
che la conversione mi conviene
nel momento in cui il prezzo di
mercato è superiore a quello
teorico (se vendo l’obbligazione e
ottengo l’azione a 11 euro, mi conviene convertire se l’azione sul mkt la comprerei a 13 ad esempio),
cioè ho disallineamento fra prezzo dell’azione ottenuta per via indiretta e il suo prezzo di mercato.
Si dice che quando un’obbligazione convertibile quota a premio non è conveniente da convertire,
viceversa quando quota con uno sconto conviene usare la obbligazione convertibile. Si tratta sempre
comunque di profitti di brevissimo termine.
RATING DELLE OBBLIGAZIONI
Le obbligazioni vengono valutate dalle agenzie di rating, le quali analizzano gli emittenti e il loro
rischio di insolvenza, e in base a questo formulano un giudizio relativo alla sicurezza di investimento
nella specifica obbligazione. Fra queste agenzie abbiamo Moody’s e Standard and Poor’s, che non
rischiano soldi perché non investono in azioni ecc., valutano solo le informazioni, investono il loro
capitale reputazionale (la loro reputazione di bravi valutatori, sanno valutare bene il merito creditizio
dei soggetti valutati).
Attribuiscono i voti ai soggetti di cui
valutano la credibilità come emittenti di
titoli mediante dei giudizi, e la sintassi del
voto è di tipo anglosassone: A più alto, B
intermedio. Quando si scende sotto la
BB, si entra nella sezione degli emittenti
ad alto rischio di fallimento (i russi
attualmente sono in questa fascia di
valutazione). Ogni agenzia ha un modo
per esprimere questi voti.
Fitch e S&P usano questo metodo,
introducono però anche i +/-, per far
capire dentro ad ogni classe se si è più
vicini alla promozione a una classe
superiore o alla retrocessione a quella superiore. Moody’s invece usa anche dei numeri: 1 se siamo
vicini alla promozione (+), 2 se siamo in mezzo (=), 3 se siamo vicino alla retrocessione (-). Ci sono
anche le cumulate delle frequenze dei fallimenti, divise per le tipologie di emittenti. Se i voti sono dati
correttamente, mi aspetto che tanto più il voto è alto tanto più ex post devo osservare frequenze di
fallimenti che crescono al calare del voto. Quanto più il voto è alto, quanto meno alta è la probabilità
di fallimento. Sotto la BB abbiamo delle frequenze di fallimento effettivamente più alte.
Capitoli: 1, 2, 12, 16, 18, 20, 21.
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