Insegnamento di Scienza delle Finanze prof. Massimo D’Antoni LE IMPOSTE SUI BENI E SERVIZI Oltre alle imposte dirette sui redditi delle persone fisiche e delle società una quota significativa del gettito, deriva da imposte indirette applicate alla produzione e/o alla vendita di beni e servizi. Rientra in questa categoria un insieme molto ampio e variegato di tributi che possono essere classificati sulla base di quattro caratteristiche: l’ampiezza dei beni e servizi soggetti all’imposta, il riferimento per il calcolo della base imponibile, la tipologia degli scambi a cui si applica il prelievo e il metodo di calcolo dell’imposta da versare. Come illustrato dalla figura 1, è possibile distinguere in primo luogo fra le imposte che si applicano in generale a tutti i beni e servizi (anche se con aliquote diverse come l’IVA) e quelle prelevate su specifici beni o servizi (come le accise sui carburanti). All’interno delle imposte generali si può poi distinguere fra le imposte sul valore pieno, la cui base imponibile è il prezzo del bene scambiato, e le imposte sul valore aggiunto, che si applicano su una base imponibile rappresentata dal valore aggiunto in una particolare fase di produzione o distribuzione del bene. Per quanto riguarda la tipologia degli scambi, le imposte sul valore aggiunto sono solitamente applicate a tutti gli scambi, così da colpire l’intero valore aggiunto che si crea nelle varie fasi del processo produttivo fino alla cessione al consumatore finale. Esse sono dunque definite plurifase. In passato erano diffuse anche imposte plurifase sul valore pieno. Oggi, le imposte sul valore pieno sono invece generalmente monofase, si applicano cioè solo quando lo scambio ha luogo in una particolare fase del processo produttivo (ad esempio quando un bene/servizio è ceduto al consumatore finale, come accade per le sales tax negli Stati Uniti). Le imposte plurifase sul valore aggiunto possono prevedere diverse modalità di calcolo dell’imposta da versare. Dintinguiamo in particolare il metodo imposta da imposta, che calcola l’imposta da versare come differenza fra imposta a debito e imposta a credito, e il metodo base da base, che determina l’imposta applicando un’aliquota al valore aggiunto prodotto dal contribuente. I dati riportati nella figura 2 evidenziano come, in media nei paesi OCSE, il peso di questi tributi nell’ambito delle entrate sia rimasto sostanzialmente invariato, intorno al 30%, dagli anni settanta ad oggi. Si nota tuttavia un chiarissimo processo di sostituzione delle imposte speciali con imposte generali, dovuto in particolare alla diffusione dell’IVA (che oggi rappresenta mediamente un quinto Imposte sui consumi Imposte speciali (accise): colpiscono specifici beni e servizi (es. imposte di fabbricazione e imposte di consumo) Imposte generali: colpiscono tutti i beni e servizi scambiati Imposte sul valore pieno: colpiscono l’intero valore del bene scambiato Imposte monofase sul valore pieno: colpiscono l’intero valore del bene in un singolo stadio del processo produttivo (es. sales taxes negli stati USA) Imposte sul valore aggiunto: colpiscono l’incremento di valore che si genera in un particolare stadio della produzione o distribuzione Imposte plurifase sul valore pieno (cumulative): colpiscono l’intero valore del bene in tutti gli stadi del processo produttivo (es. IGE italiana, sostituita dall’IVA) Imposte plurifase sul valore aggiunto (non cumulative): colpiscono l’incremento di valore in tutti gli stadi del processo produttivo Metodo imposta da imposta Figura 1. La classificazione delle imposte sui beni e sui servizi 1 Metodo base da base 2 Scienza delle finanze Figura 2. Evoluzione del gettito delle imposte sui beni e servizi in rapporto al totale delle entrate (media paesi OCSE) delle entrate totali dei paesi OCSE), che ha avuto luogo tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni settanta nell’ambito della Comunità europea e successivamente nel resto del mondo. Attualmente 174 paesi al mondo, inclusi tutti i paesi OCSE con la sola eccezione degli Stati Uniti, adottano l’IVA. Si può dunque affermare che l’IVA sia la principale innovazione in campo fiscale degli ultimi cinquanta anni. Un peso così rilevante delle imposte generali su beni e servizi può apparire sorprendente, soprattutto se si considera che, come vedremo in seguito, queste imposte finiscono col gravare sul consumo. In una precedente lezione abbiamo dimostrato che il consumo potrebbe essere tassato attraverso l’imposta personale garantendo un prelievo commisurato alla capacità contributiva individuale: per quali motivi il consumo dovrebbe essere dunque tassato con imposte indirette che per loro natura non possono essere modulate su base individuale? Per rispondere a questa domanda è innanzitutto necessario comprendere quali siano le differenze fra le diverse tipologie di imposte generali. A tal fine è utile rappresentare il processo produttivo in modo semplificato, individuando tre fasi fondamentali: produzione, distribuzione all’ingrosso, distribuzione al dettaglio. Supponiamo, per semplicità, che in ogni fase operi una sola impresa e che in ciascuna fase la produzione avvenga solo attraverso l’impiego di capitale e lavoro, senza l’utilizzo di beni intermedi. La remunerazione dei fattori impiegati rappresenta, in ciascuna fase, il valore aggiunto (calcolato «al costo dei fattori») e verrà rappresentato per le tre fasi rispettivamente da A, B e C. Lo schema dei pagamenti, incluse le imposte versate in ciascuna fase, è rappresentato nella figura 3. Le imposte generali sono imposte ad valorem. L’aliquota sul bene i, che indicheremo con τi , imposta versata Produzione A imposta versata šš“ šš“ (1 + τš“ ) Ingrosso B imposta versata ššµ ššµ (1 + τšµ ) Dettaglio Consumatore šš¶ finale šš¶ (1 + τš¶ ) C remunerazione dei fattori (valore aggiunto al costo dei fattori) Figura 3. Il flusso dei pagamenti nelle tre fasi di produzione, vendita all’ingrosso e al dettaglio Massimo D’Antoni, 8 febbraio 2023 — Materiale didattico protetto da licenza Creative Commons 4.0 (BY NC ND) Le imposte sui beni e servizi 3 è espressa in termini percentuali ed è solitamente applicata su base netta, ossia sul prezzo al netto dell’imposta, che indicheremo con pi . Dato pi e l’aliquota τi , il prezzo al lordo dell’imposta sarà pari a qi = pi (1 + τi ). Nei casi in cui l’imposta è applicata su base lorda con aliquota ti , il suo importo sarà ti qi e il prezzo al netto dell’imposta sarà pi = (1 − ti )qi . Le imposte sul valore pieno Nel caso di imposte sul valore pieno plurifase, l’imposta è applicata ad ogni fase del processo produttivo, con aliquote che possono variare da un fase all’altra, su una base imponibile rappresentata dal prezzo di cessione del bene o servizio¹. Il prezzo netto sul quale si applica l’imposta è dato dal costo dei fattori cui si aggiunge, nelle fasi della vendita all’ingrosso e al dettaglio, il prezzo d’acquisto dell’output della fase precedente, ovvero: pA = A pB = B + q A pC = C + q B . (13.1) Ricordando che qi = (1 + τi ) pi , procedendo per sostituzioni successive possiamo determinare l’ imposta pagata in ciascuna fase: τA p A = τA A [ ] τB p B = τB ( B + q A ) = τB B + (1 + t A ) A [ [ ]] τC pC = τC (C + q B ) = τC C + (1 + τB ) B + (1 + t A ) A . (13.2) Sommando le tre espressioni e riarrangiando i termini troviamo che l’imposta totale gravante sul bene è pari a: [ ] T PC = τC C + τB + τC (1 + τB ) B [ ] + τA + τB (1 + τA ) + τC (1 + τB )(1 + τA ) A (13.3) Nel caso in cui l’aliquota sia uniforme in tutte le fasi (τA = τB = τC = τ), l’espressione diventa: [ ] [ ] T PC = τ C + τ 2 + τ B + τ 3 + τ (3 + τ ) A. (13.4) La (13.3) e, ancor meglio, la (13.4) evidenziano come nelle imposte plurifase sul valore pieno l’imposta colpisce ripetutamente il valore aggiunto che si forma nelle fasi iniziali e intermedie del processo produttivo (nel nostro esempio con aliquote uniformi il peso dell’imposta su A è più del triplo e quello su B più del doppio di quello su C). Per questo motivo tali imposte sono anche denominate imposte plurifase «cumulative». Osserviamo che con un’imposta cumulativa, anche nel caso in cui l’aliquota sia unica, non è possibile ricostruire l’onere che complessivamente grava su di un bene o servizio a meno di conoscere esattamente le fasi del processo di produzione/distribuzione e il valore aggiunto generato in ciascuna di esse. Oltre a rendere l’imposta non trasparente, il cumulo incentiva le imprese a ridurre le transazioni attraverso l’integrazione verticale del processo produttivo. È facile verificare dalla (13.4) che se le fasi di produzione e distribuzione all’ingrosso fossero integrate in un’unica impresa con valore aggiunto A + B, l’imposta complessiva si ridurrebbe a τC + τ [2 + τ ]( A + B). L’effetto di cumulo può essere evitato applicando l’imposta sul valore pieno a un solo stadio del processo produttivo (imposta monofase). Il gettito in questo caso varierà a seconda della fase in cui l’imposta è applicata: ļ£± ļ£“ cessione al grossista ļ£²τA M T = τ ( A + B) (13.5) cessione al dettagliante ļ£“ ļ£³ τ ( A + B + C ) cessione al consumatore finale Anche se ogni componente del valore aggiunto viene tassata una sola volta, nemmeno la monofase consente di ricostruire in modo trasparente l’onere gravante sul bene, a meno che non sia applicata al momento della cessione al consumatore finale. Per verificarlo, calcoliamo l’aliquota effettiva, su ¹Come abbiamo dimostrato in precedenza in questo corso, in mercati competitivi senza evasione è irrilevante che l’imposta sia formalmente dovuta dal venditore o dall’acquirente. Massimo D’Antoni, 8 febbraio 2023 — Materiale didattico protetto da licenza Creative Commons 4.0 (BY NC ND) 4 Scienza delle finanze Esempio 1. L’imposte plurifase sul valore pieno Partendo dal caso analizzato nel testo ipotizziamo che A = B = C = 100. Supponiamo che l’aliquota τ sia la stessa per tutte le fasi del processo produttivo e pari al 10%. Nel caso di un’imposta plurifase cumulativa avremo Produzione Ingrosso Dettaglio — 110 231 Remunerazione dei fattori (V.A.) 100 100 100 Vendite netto imposta ( pi ) 100 210 331 10 21 33,1 110 231 364,1 Acquisti Imposta (10%) Vendite lordo imposta (qi ) Totale 300 64,1 L’imposta complessiva, T PC sarà quindi pari a 64,1 € e l’aliquota effettiva τ e = 64, 1/300 = 21, 36%. Se le imprese di produzione e distribuzione all’ingrosso si integrassero verticalmente avremmo una riduzione dell’imposta: Produzione e Ingrosso Dettaglio — 220 Remunerazione dei fattori (V.A.) 200 100 Vendite netto imposta ( pi ) 200 320 20 32 220 352 Acquisti Imposta (10%) Vendite lordo imposta (qi ) Totale 300 52 base netta, che grava complessivamente sul bene o servizio. Tale aliquota, che indicheremo con τ e , è definita dal rapporto fra l’imposta T e il prezzo finale al netto dell’imposta (che nel nostro esempio è sempre uguale alla somma dei valori aggiunti al costo dei fattori): τe ≡ T T = . qC − T A+B+C (13.6) Si verifica facilmente che con un’imposta monofase l’aliquota effettiva coinciderà con l’aliquota legale solo quando l’imposta è applicata nell’ultimo passaggio. In questo caso infatti avremo: TM τ ( A + B + C) = =τ (13.7) A+B+C A+B+C Negli altri casi, come illustrato dall’esempio 2, l’aliquota effettiva sarà inferiore a quella legale e il suo valore dipenderà da quanta parte del valore aggiunto si è formato nelle fasi iniziali e intermedie del processo produttivo. τe = Esempio 2. L’imposte monofase sul valore pieno Con un’imposta monofase l’aliquota effettiva varierà a seconda della fase in cui l’imposta è applicata e sarà pari all’aliquota legale solo nel caso di prelievo al dettaglio. Riprendendo le ipotesi dell’esempio 2, ma con aliquota del 20%, abbiamo: Applicazione dell’imposta alla produzione all’ingrosso al dettaglio imposta aliquota effettiva 20 40 60 20/300 = 6, 66% 40/300 = 13, 33% 60/300 = 20% È opportuno sottolineare che, negli esempi numerici proposti, ipotizzando che le remunerazioni dei fattori A, B e C restino invariate al variare dell’imposta effettiva applicata, stiamo condiderando il caso in cui la traslazione dell’imposta sia interamente in avanti, sul prezzo del bene finale. Sappiamo che l’introduzione di un’imposta modifica l’equilibrio di mercato in modo da distribuire l’onere fra venditore e acquirente in base all’elasticità delle curve di domanda e di offerta. Ammettendo una traslazione dell’imposta all’indietro dovremmo considerare che i valori di A, B e C possono ridursi (aumentare) in presenza di un aumento (riduzione) dell’imposta effettiva gravante sul bene. Massimo D’Antoni, 8 febbraio 2023 — Materiale didattico protetto da licenza Creative Commons 4.0 (BY NC ND) Le imposte sui beni e servizi 5 Le imposte sul valore aggiunto Le imposte plurifase sul valore aggiunto colpiscono l’incremento di valore aggiunto che si realizza in ogni fase del processo di produzione/distribuzione. Questo obiettivo può essere raggiunto con due diversi metodi. Metodo base da base (subtraction method) Con questo metodo l’imposta non viene applicata alle singole transazioni ma sul valore aggiunto complessivo prodotto dai soggetti che effettuano vendite di beni e servizi. Questi calcoleranno la base imponibile come differenza fra totale delle vendite e totale degli acquisti di un dato periodo. L’imposta appare quindi formalmente simile a un’imposta diretta: così come nel caso dell’imposta societaria, in cui tassa una quota dei profitti, lo Stato si appropria di una quota del valore aggiunto prodotto (la differenza tra vendite e acquisti è il valore aggiunto calcolato ai prezzi di mercato, cioè ai prezzi inclusivi dell’imposta). L’aliquota legale è di conseguenza definita su base lorda. Riprendiamo il nostro esempio con produzione, ingrosso e dettaglio, l’imposta applicata nelle tre fasi sarà: T BB = t A q A + t B (q B − q A ) + tC (qC − q B ). (13.8) Considerando che in ciascuna fase il valore aggiunto al prezzo dei fattori è pari al valore aggiunto ai prezzi di mercato al netto dell’imposta, abbiamo: A = (1 − t A ) q A B = (1 − t B )(q B − q A ) C = (1 − tC )(qC − q B ) (13.9) ovvero: A B C = qA = qC − q B (13.10) = qB − q A 1 − tA 1 − tB 1 − tC da cui, sostituendo nella (13.8), otteniamo l’imposta complessiva in funzione di A, B e C: T BB = tB tA tC A+ C. B+ 1 − tA 1 − tB 1 − tC (13.11) A differenza di quanto accade dell’imposta plurifase con valore pieno (vedi (13.3)), ora ciascuna porzione del valore aggiunto al costo dei fattori è tassata usa sola volta. Se l’aliquota è uniforme nelle tre fasi le espressioni trovate si semplificano. La (13.8) diventa T BB = tq A : l’imposta risulta dunque proporzionale al prezzo finale qualunque siano i passaggi precedenti e i prezzi applicati. Di conseguenza, l’effetto per i consumatori non varierà a seguito dell’integrazione verticale delle imprese. Un’aliquota uniforme implica inoltre che l’imposta sia proporzionale al valore aggiunto al costo dei fattori, visto che la (13.11) diventa: ) t ( A+B+C . (13.12) T BB = 1−t Infine, riprendendo l’espressione dell’aliquota effettiva: τe = T BB t = . A+B+C 1−t (13.13) Essendo t/(1 − t) l’aliquota legale espressa su base netta, concludiamo che, quando l’aliquota è uniforme, l’imposta con il metodo base da base risulta trasparente, perché l’aliquota effettiva è univocamente determinata dall’aliquota legale. Tuttavia, trasparenza e neutralità vengono meno in presenza di aliquote differenziate nelle diverse fasi. Si verifica infatti immediatamente che in questo caso non è possibile calcolare T BB e, di conseguenza, l’aliquota effettiva, a meno di conoscere come il valore aggiunto si distribuisca fra le diverse fasi del ciclo di produzione e distribuzione. Inoltre, se procedendo dalla produzione al dettaglio le aliquote sono decrescenti, si genera un incentivo all’integrazione verticale a valle, mentre con aliquote crescenti vi è l’incentivo a tenere separate le fasi di produzione/distribuzione. Metodo imposta da imposta (invoice credit method) Questo metodo consente di ottenere trasparenza e neutralità. In questo caso l’imposta è calcolata su ogni singola transazione. Il venditore di un bene o servizio è infatti tenuto ad indicare in fattura il prezzo netto, l’imposta e il prezzo lordo. Come per le imposte sul valore pieno, l’aliquota legale è definita su base netta. Formalmente l’imposta è a carico dell’acquirente, che paga il prezzo lordo, ma viene versata all’erario dal venditore che l’ha incassata: Massimo D’Antoni, 8 febbraio 2023 — Materiale didattico protetto da licenza Creative Commons 4.0 (BY NC ND) 6 Scienza delle finanze il venditore agisce quindi come un agente della riscossione e l’imposta che incassa costituisce un debito nei confronti dell’erario. Tuttavia il venditore avrà anche diritto al credito per l’imposta pagata sulle fatture emesse dai propri fornitori. Ogni soggetto passivo verserà quindi periodicamente la differenza fra l’imposta a debito (quella incassata sulle vendite) e l’imposta a credito (quella pagata sugli acquisti). Nel nostro esempio con le tre fasi di produzione, ingrosso e dettaglio, le imposte versate in ciascuna fase sono rispettivamente: τA p A τB p B − τA p A τC pC − τB p B (13.14) (nella fase della produzione c’è imposta a debito, sulle vendite, ma non imposta a credito, sugli acquisti). Pertanto, l’imposta totale complessivamente versata nel corso del ciclo di produzione/distribuzione è: T I I = τA p A + (τB p B − τA p A ) + (τC pC − τB p B ) = τC pC . (13.15) Visto che l’impresa versa l’imposta incassata e non deve pagare l’imposta pagata sugli acquisti, il valore aggiunto al costo dei fattori in ciascuna fase è pari alla differenza tra i prezzi delle vendite e degli acquisti al netto dell’imposta²: A = pA B = pB − p A C = pC − p B (13.16) dunque la (13.17) può essere scritta: T I I = τA A + [τB ( A + B) − τA A] + [τC ( A + B + C ) − τB ( A + B)] = τC ( A + B + C ). (13.17) Osserviamo che, anche quando non c’è uniformità delle aliquote, l’imposta complessiva coincide sempre con l’imposta pagata dal consumatore finale. In altri termini, anche se le aliquote applicate nelle varie transazioni variano, non vi sarà nessuna duplicazione di tassazione e l’intero valore aggiunto pagherà un’aliquota effettiva pari a quella legale applicata al consumatore. Più in generale, in ogni passaggio l’imposta che grava complessivamente sul bene o servizio coincide con l’imposta pagata dall’acquirente. Per garantire questo risultato è necessario che nei casi in cui l’imposta a credito eccede l’imposta a debito, come ad esempio accade quando le aliquote si riducono all’avanzare delle fasi del ciclo di produzione/distribuzione, l’eccedenza sia rimborsata. Oltre alla trasparenza, il metodo imposta da imposta garantisce la neutralità rispetto all’integrazione verticale del processo di produzione/distribuzione: se produzione e ingrosso dovessero fondersi, la nuova impresa verserebbe esattamente la stessa imposta che veniva versata separatamente nelle due fasi. Come vedremo più nel dettaglio in seguito, la trasparenza e la neutralità sono fra le ragioni principali per cui per l’IVA quasi tutti i paesi adottano il metodo imposta da imposta. Fra il paesi OCSE solo il Giappone utilizza il metodo base da base. Esistono tuttavia tre casi in cui l’applicazione del metodo imposta da imposta risulta problematica: i beni usati che vengono rimessi in commercio, i beni e servizi offerti dal settore finanziario e assicurativo, i beni e servizi offerti dalla pubblica amministrazione. ²Alla stessa conclusione si giunge considerando (ad esempio con riferimento alla fase di distribuzione) che: C = qC − q B − [imposta versata] = (1 + τC ) pC − (1 + τB ) p B − (τC pC − τC p B ). Esempio 3. Il metodo base da base con aliquota uniforme Ipotizzando un’aliquota uniforme del 20% da applicare su base lorda (cui corrisponde un’aliquota su base netta del 25%), abbiamo: Produzione Ingrosso Dettaglio Acquisti — 125 250 Vendite 125 250 375 Imposta (aliquota 20%) Remunerazione fattori (V.A.) Totale 25 25 25 75 100 100 100 300 L’imposta complessiva T BB è quindi pari a 75 € e l’aliquota effettiva (75/300 = 25%) coincide con quella legale su base netta. Massimo D’Antoni, 8 febbraio 2023 — Materiale didattico protetto da licenza Creative Commons 4.0 (BY NC ND) Le imposte sui beni e servizi 7 Esempio 4. Il metodo base da base con aliquote differenziate Considieriamo che l’aliquota sia del 20% nelle fasi di produzione e vendita all’ingrosso, ma sia solo del 10% nella fase di vendita al dettaglio. Ipotizzando che la riduzione di imposta si trasli interamente sul prezzo abbiamo: Produzione Ingrosso Dettaglio Acquisti — 125 250 Vendite 125 250 (*) 361,1 25 25 11,1 61,1 100 100 100 300 Imposta (aliquota 20%) Remunerazione fattori (V.A.) Totale (*) Abbiamo calcolato il prezzo di vendita in modo da garantire che la remunerazione dei fattori sia 100, nell’ipotesi che non vi sia traslazione dell’imposta all’indietro. L’imposta complessiva T BB è ora pari a 61,1 € e l’aliquota effettiva τ e è pertanto 61, 1/300 = 20, 36%, superiore all’aliquota legale pagata dal consumatore finale. – Per i beni usati che vengono rimessi in commercio l’applicazione del metodo imposta da imposta potrebbe produrre una doppia tassazione. Si pensi ad esempio al caso di un’auto usata ceduta da un consumatore a un’officina al prezzo q D che la rivenderà, dopo averla revisionata, al prezzo qG comprensivo di IVA. Il valore dell’auto al momento della cessione all’officina rappresenta la quota α di valore aggiunto che non è stato consumato dal proprietario. In altri termini possiamo scrivere q D = αqC = α(1 + τC )( A + B + C ). Se indichiamo con G il valore aggiunto generato dalla revisione avremo quindi pG = α(1 + τC )( A + B + C ) + G. Se applicassimo il metodo imposta da imposta a seguito della compravendita l’officina avrebbe un’IVA a debito pari a τG pG e nessuna IVA a credito. L’imposta versata sarebbe quindi pari a τG [(1 + τC )α( A + B + C ) + G ]. La quota α del valore aggiunto A + B + C, che aveva già subito l’imposta al momento dell’acquisto dell’auto nuova, sarebbe tassata nuovamente. – Nel caso del settore finanziario e assicurativo i problemi nascono dalla difficoltà di applicare l’imposta sulle singole transazioni. Infatti in questi settori solo una parte delle transazioni avvengono con l’addebito di una commissione esplicita per un servizio reso (ad esempio un canone annuale per la tenuta di un conto corrente) che può essere presa come base per l’imposta. La gran parte del valore aggiunto è invece incluso nei margini generati dalle operazioni finanziarie, come quello fra interessi riscossi sui prestiti e interessi erogati sui depositi o fra premi e rimborsi assicurativi. In questo caso non è semplice stabilire quale parte del margine rappresenta il corrispettivo per i servizi offerti dalla banca o dall’assicuratore da assoggettare ad imposta. – Per la pubblica amministrazione invece l’applicazione dell’IVA imposta da imposta è ostacolata dal fatto che i beni e i servizi sono offerti gratuitamente o a tariffe inferiori al costo. L’applicazione del metodo imposta da imposta porterebbe a misurare un valore aggiunto negativo con un’IVA a credito sistematicamente superiore all’IVA a debito. Queste difficoltà applicative vengono risolte in due modi differenti. Per le compravendite di beni usati è in genere prevista l’applicazione del metodo imposta da imposta, anche a singole transazioni, che viene in questo caso denominato «metodo del margine». Nell’esempio dell’auto usata l’officina calcolerà l’IVA con un’aliquota su base lorda sulla differenza fra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto: tG (qG − q D ) = tG G. In questo modo si evita di ritassare quella quota residuale del valore aggiunto generata a monte. Per i servizi finanziari e assicurativi e per i beni e servizi offerti dalla pubblica amministrazione è invece solitamente prevista l’esenzione. Per comprendere gli effetti dell’esenzione è utile considerare la classificazione delle operazioni IVA. Queste si distinguono in: – operazioni imponibili: sono le operazioni a cui si applicano le regole ordinarie. Sono costituite dalle cessioni di beni e servizi a titolo oneroso effettuate nel territorio dello Stato da soggetti tenuti a registrarsi ai fini IVA perché effettuano abitualmente tali operazioni. – operazioni non imponibili: sono particolari cessioni sulle quali il venditore non applica l’IVA. L’operazione non genera quindi IVA a debito ma il venditore continua ad avere il diritto al credito sull’IVA pagata su propri acquisti. – operazioni esenti: anche in questo caso il venditore non applica l’IVA sulle proprie cessioni, ma a Massimo D’Antoni, 8 febbraio 2023 — Materiale didattico protetto da licenza Creative Commons 4.0 (BY NC ND) 8 Scienza delle finanze Esempio 5. Applicazione del metodo imposta da imposta Fissiamo un’imposta su base netta τ = 25%, che corrisponde ad un’aliquota su base lorda del 20%. Applicando il metodo imposta da imposta abbiamo: Acquisti Imposta a credito Produzione Ingrosso Dettaglio — 125 250 — 25 50 Remunerazione fattori (V.A.) 100 100 100 Vendite (prezzo netto) 100 200 300 Imposta a debito Vendite (prezzo lordo) Imposta versata 25 50 75 125 250 375 25 25 25 Totale 300 75 L’imposta versata, i prezzi di vendita e il valore aggiunto coincidono con quelli dell’esempio relativo al metodo base da base (Esempio 3) non solo nel complesso ma anche in ogni singolo stadio. Se l’aliquota è uniforme i due metodi sono quindi equivalenti. Consideriamo ora il caso di aliquote differenziate, supponendo che l’aliquota applicata sul bene venduto al dettaglio sia del 11,1% (corrispondente all’imposta su base lorda del 10% che abbiamo ipotizzato nell’esempio 4). Acquisti Imposta a credito Produzione Ingrosso Dettaglio — 125 250 — 25 50 Remunerazione fattori (V.A.) 100 100 100 Vendite (prezzo netto) 100 200 300 25 50 33,3 125 250 333,3 25 25 –16,6 Imposta a debito Vendite (prezzo lordo) Imposta versata/rimborsata Totale 300 33,3 Il dettagliante ha diritto al rimborso dell’imposta pagata al grossista in eccesso rispetto all’IVA a debito. Il gettito netto è quindi pari a 33,3 € e l’aliquota effettiva τ e = 11, 1% coincide con l’aliquota legale pagata dal consumatore finale. Questo esito si può confrontare con quello del metodo imposta da imposta con aliquote differenziate, analizzato nell’esempio 4. In presenza di aliquote differenziate i due metodi producono esiti diversi. differenza del caso precedente non ha diritto al credito per l’imposta pagata sui propri acquisti. In altri termini il venditore viene trattato come un consumatore. Sebbene dal punto di vista dell’acquirente appaiano formalmente equivalenti, operazioni non imponibili e operazioni esenti producono effetti molto diversi. Sul bene o servizio ceduto con un’operazione non imponibile non grava nessuna imposta, visto che tutta l’IVA fatturata negli stadi precedenti è stata restituita come IVA a credito. L’operazione è quindi equivalente all’applicazione di un’aliquota pari a zero. Nel caso dell’operazione esente, invece, il bene o servizio resta gravato dall’IVA versata a monte. L’esenzione può produrre una riduzione o un aumento dell’aliquota effettiva a seconda che venga applicata a cessioni a consumatori finali (indicate con l’acronimo B2C per business-to-consumer) o ad altri soggetti IVA (indicate con B2B per business-to-business). Nel caso di transazioni B2C risulterà escluso dalla tassazione il valore aggiunto generato nell’ultimo stadio, mentre nel caso di cessioni B2B l’esenzione comporterà una doppia tassazione del valore aggiunto prodotto a monte. Nella (13.17), se la vendita al dettaglio fosse esente, il dettagliante non avrebbe né IVA a debito né IVA a credito e di conseguenze l’espressione si ridurrebbe a: T I I = τA A + [τB ( A + B) − t A A] = τC ( A + B). (13.18) Risulta dunque escluso dalla base imponibile il valore aggiunto C generato dal dettagliante. Se invece l’operazione esente fosse la cessione del grossista, questi avrebbe un’IVA da versare nulla mentre il dettagliante non avrebbe IVA a credito. Di conseguenza la (13.17) diventerebbe T I I = τA A + τC ( A + B + C ) e il valore aggiunto del produttore, A, risulterebbe tassato due volte. Massimo D’Antoni, 8 febbraio 2023 — Materiale didattico protetto da licenza Creative Commons 4.0 (BY NC ND) Le imposte sui beni e servizi 9 Esempio 6. Effetti delle operazioni non imponibili Riprendiamo l’esempio 5 con un’aliquota su base netta τ = 25% e analizziamo gli effetti della non imponibilità nelle due ipotesi che essa riguardi la vendita al dettaglio al consumatore finale (B2C) o in una fase precedente (B2B). Nel caso in cui sia non imponibile la vendita al dettaglio (B2C) abbiamo: Produzione Ingrosso Dettaglio Acquisti — 125 250 Imposta a credito — 25 50 Remunerazione fattori (V.A.) 100 100 100 Vendite (prezzo netto) 100 200 300 Imposta a debito Vendite (prezzo lordo) Imposta versata 25 50 0 125 250 375 25 25 –50 Totale 300 0 Tutta l’imposta versata prima della fase del dettaglio viene rimborsata al dettagliante. L’imposta complessiva sarà quindi nulla. Consideriamo che l’operazione non imponibile sia la cessione dal grossista al dettagliante (B2B). Abbiamo: Acquisti Imposta a credito Produzione Ingrosso Dettaglio — 125 200 — 25 0 Remunerazione fattori (V.A.) 100 100 100 Vendite (prezzo netto) 100 200 300 Imposta a debito Vendite (prezzo lordo) Imposta versata 25 0 75 125 200 375 25 –25 75 Totale 300 75 La presenza di operazioni non imponibili B2B non dunque ha effetti sul gettito: l’imposta complessivamente versata è pari a quella pagata dal consumatore finale e l’aliquota effettiva coinciderà con l’aliquota legale. 1 L’IVA in Italia e in Europa L’IVA è presente in Italia dal I gennaio 1973. Alla sua introduzione, essa sostituì un insieme di imposte specifiche e l’IGE (Imposta Generale sulle Entrate), un’imposta generale cumulativa applicata al valore pieno delle transazioni. Il suo presupposto sono le cessioni di beni nel territorio dello Stato e le prestazioni di servizi da parte di residenti effettuati nell’ambito dell’attività di impresa e nell’esercizio di arti e professioni. La sua applicazione è prevista anche per l’autoconsumo, se effettuato nell’ambito delle attività citate (es. consumo di un bene prodotto dall’impresa da parte dell’imprenditore). Infine, sono assoggettate a IVA gli acquisti intracomunitari e le importazioni da chiunque effettuate (vedi par. 2). Il riferimento al momento della cessione, ovvero al fatto che abbia luogo una transazione, rappresentata dalla consegna/spedizione del bene o dal pagamento del corrispettivo del servizio, configura l’IVA come un’imposta «su base finanziaria». L’alternativa di un’imposta sul valore aggiunto «su base reale» avrebbe richiesto di includere anche quei beni e servizi prodotti ma non venduti (e dunque parte delle scorte e rimanenze), con complessi problemi di accertamento. I soggetti passivi, principalmente le imprese e gli esercenti arti e professioni (i «lavoratori autonomi»), sono tenuti a versare l’imposta e hanno l’obbligo di rivalersi, ovvero di trasferire l’onere dell’imposta, sull’acquirente, mediante emissione di fattura con esplicita indicazione dell’imposta applicata. L’obbligo di versamento nasce al momento della consegna/spedizione ed emissione della fattura all’acquirente. Per evitare il rischio di dover versare l’IVA quando ancora non è stato incassato il corrispettivo della vendita, ai contribuenti con volume d’affari fino a 2 milioni di euro è consentito di optare per il regime dell’«IVA per cassa» che consente il differimento del versamento fino al momento dell’incasso dal cliente. La base imponibile è il corrispettivo della transazione, cui l’aliquota è applicata su base netta, ovvero aggiungendo l’imposta come percentuale del prezzo «IVA esclusa». L’aliquota ordinaria è Massimo D’Antoni, 8 febbraio 2023 — Materiale didattico protetto da licenza Creative Commons 4.0 (BY NC ND) 10 Scienza delle finanze Esempio 7. Effetti delle operazioni esenti Nel caso in cui ad essere esente sia la vendita al dettaglio (B2C) abbiamo: Produzione Ingrosso Dettaglio — 125 250 Acquisti Imposta a credito — 25 0 Remunerazione fattori (V.A.) 100 100 100 Vendite (prezzo netto) 100 200 350 25 50 0 125 250 350 25 25 0 Imposta a debito Vendite (prezzo lordo) Imposta versata Totale 300 50 L’imposta complessivamente versata è pari a 50 € e l’aliquota effettiva è pari a te = 50/300 = 16, 66%. Nel caso in cui l’operazione esente sia la cessione dal grossista al dettagliante abbiamo invece: Produzione Ingrosso Dettaglio Acquisti — 125 225 Imposta a credito — 0 0 Remunerazione fattori (V.A.) 100 100 100 Vendite (prezzo netto) 100 225 325 Imposta a debito Vendite (prezzo lordo) Imposta versata 25 0 81.25 125 225 406.25 25 0 81.25 Totale 300 106.25 L’imposta complessiva è ora pari a 106,25 e l’aliquota effettiva, pari a τ e = 106, 25/300 = 35, 41%, è superiore a quella legale. Figura 4. L’evoluzione delle aliquote IVA in Italia del 22%, ma sono previste aliquote ridotte del 10%, del 5% e del 4% su specifiche categorie di beni. L’evoluzione della struttura delle aliquote italiane è illustrata nella figura, che evidenzia il graduale aumento dell’aliquota ordinaria fino all’attuale 22%. Al momento dell’introduzione dell’IVA nel 1973 l’aliquota ordinaria era del 12%, poi portata al 14% nel 1977 e al 15% nel 1980. In quegli anni venne anche introdotta un’aliquota maggiorata, che arrivò al 38%, applicata ad alcuni beni «di lusso» (quali pellicce, tappeti, automobili e motociclette di grossa cilindrata, grandi imbarcazioni da diporto e vini spumanti doc). L’IVA era stata fin dall’inizio concepita come un’imposta che avrebbe dovuto favorire l’armonizzazione dei sistemi fiscali dell’allora Comunità economica europea. Un passaggio cruciale di questa progressiva armonizzazione si è avuto nel 1993, con la creazione del mercato unico e l’abolizione Massimo D’Antoni, 8 febbraio 2023 — Materiale didattico protetto da licenza Creative Commons 4.0 (BY NC ND) Le imposte sui beni e servizi 11 delle barriere doganali. In quell’occasione vennero stabilite alcuni vincoli alla definizione di tale imposta per i paesi membri. I paesi dell’UE hanno la possibilità di stabilire le proprie aliquote IVA entro il quadro definito dalla normativa comunitaria (in particolare la Direttiva 2006/112/CE). L’aliquota normale e quella ridotta non devono essere inferiori rispettivamente al 15% e al 5%. La possibilità di applicare aliquote inferiore al 5%, inizialmente consentita in casi speciali (ad es. solo ai paesi che già applicavano tale aliquota al I gennaio 1991, senza possibilità di ampliarne l’utilizzo), è stata recentemente estesa, pur entro limiti nel numero di beni cui può essere applicata. Le aliquote ridotte e super-ridotte (inclusa l’aliquota zero) sono applicabili solo ai beni appartenenti a specifiche categorie, definite dalla citata Direttiva europea. L’elenco delle categorie comprende: generi alimentari (escl. alcolici), fornitura di acqua, farmaci, attrezzature mediche, servizi di trasporto passeggeri, libri e periodici, spettacoli culturali dal vivo, servizi radio e tv, compensi di autori e compositori, materiale per l’edilizia, ristrutturazioni, alberghi e alloggi per vacanze, ristoranti e catering, eventi sportivi, attrezzature per il soccorso e la sicurezza della navigazione, cure mediche e dentistiche, cure termali, parrucchieri, servizi di riparazione, piante, abbigliamento per bambini, biciclette (anche elettriche), servizi legali a dipendenti e disuccupati per cause di lavoro, beni e servizi forniti da organismi che sono impegnati in attività di assistenza e di sicurezza sociale. Come si vede, l’elenco include alcuni beni «necessari» nonché beni o servizi per varie ragioni «meritori», dei quali la collettività intende sostere il consumo con l’applicazione di aliquote agevolate. Negli ultimi anni è stato accresciuta la presenza di beni collegati alle necessità di risparmio energetico e tutela ambientale. Un discorso a parte merita l’agevolazione dell’IVA per alberghi e per la ristorazione. Qui la ragione va cercata nel fatto che si tratta di servizi legati al turismo, un settore che risente della concorrenza internazionale e che, a differenza dei beni esportati, non beneficia della non imposizione quando la vendita è verso residenti in altri stati. Le aliquote correntemente applicate nell’Unione europea sono riportate nella tabella che segue. Nel caso dell’Italia, – l’aliquota super-ridotta del 4% si applica ad alcuni generi alimentari (latte, burro, ortaggi e legumi, frutta, farina, olio, pasta, pane), ai dispositivi medici per disabili, ai libri e giornali, agli edifici non di lusso di nuova costruzione acquistati come prima abitazione, ad alcuni prodotti per l’agricoltura e…alle licenze TV; – l’aliquota ridotta del 5% si applica principalmente ad alcune prestazioni rese delle cooperative sociali e pochi altri beni; – in quasi tutti gli altri casi consentiti dalla normativa europea si applica l’aliquota ridotta del 10%. Sono operazioni esenti (alle quali non si applica l’IVA ma per le quali non è ammessa la detrazione dell’IVA pagata sugli acquisti) i servizi del credito e delle assicurazioni, alcune cessioni immobiliari, nonché i servizi pubblici di trasporto, i servizi educativi e alcuni servizi culturali, le prestazioni sanitarie e altre di rilevanza minore. Inoltre, l’esenzione è prevista per le imprese e i lavoratori autonomi con attività di piccole dimensioni (volume d’affari non superiore a 65 mila euro) che rientrano nel regime sostitutivo di tassazione del reddito. Sempre al fine di agevolare gli adempimenti fiscali per attività che potrebbero non disporre di adeguati sistemi contabili, esiste un regime speciale (opzionale) per i produttori agricoli, che prevede l’applicazione dell’IVA sugli acquisti in modo forfetario, applicando dei coefficienti al valore del prodotto venduto. L’aumento dell’aliquota IVA, per quanto impopolare, rappresenta per i governi un modo molto efficace per aumentare rapidamente il gettito in presenza di situazioni di necessità. Vista l’ampia base imponibile (che coincide teoricamente con l’intera spesa per consumi), aumenti anche ridotti consentono di ottenere rilevanti incrementi nelle entrate. Durante la fase delle politiche di «austerità» successiva alla Grande recessione del 2007, in Italia l’aliquota ordinaria aumentò in pochi anni dal 20 al 22% e aumenti simili ebbero luogo anche in altri paesi. Inoltre, il governo introdusse a più riprese nelle leggi finanziarie delle cosiddette «clausole di salvaguardia»: tali clausole prevedevano Massimo D’Antoni, 8 febbraio 2023 — Materiale didattico protetto da licenza Creative Commons 4.0 (BY NC ND) 12 Austria Belgio Bulgaria Cipro Croazia Danimarca Estonia Finlandia Francia Germania Grecia Irlanda Italia Lettonia Lituania Lussemburgo Malta Paesi Bassi Polonia Portogallo Repubblica Ceca Romania Slovacchia Slovenia Spagna Svezia Ungheria Scienza delle finanze ordinaria ridotta 20 21 20 19 25 25 20 24 20 19 24 23 22 21 21 17 18 21 23 23 21 19 20 22 21 25 27 10 / 13 6 / 12 9 5/9 5 / 13 9 10 /14 5,5 / 10 7 6 / 13 9 / 13,5 5 / 10 5 / 12 5/9 8 5/7 9 5/8 6 / 13 10 / 15 5/9 10 5 / 9.5 10 6 / 12 5 / 18 super ridotta 2,1 4,8 4 3 4 che, nel caso in cui gli obiettivi di bilancio non venissero raggiunti con altri strumenti (riduzioni di spesa, recupero di evasione), le entrate sarebbero state aumentate con incrementi dell’aliquota IVA. In Italia il gettito complessivo dell’IVA, che è stato di 120,8 miliardi nel 2021, è oggetto di compartecipazione da parte delle regioni per una percentuale intorno al 70% ed è la base per la determinazione dei trasferimenti perequativi tra le regioni stesse. Inoltre, il gettito stimato IVA rappresenta la base per la determinazione dei contributi dei paesi membri all’Unione europea. 2 La tassazione degli scambi internazionali Nel disegno delle imposte generali su beni e servizi un aspetto cruciale riguarda il trattamento degli scambi internazionali, al fine di evitare che i beni e servizi che attraversano le frontiere sopportino una doppia tassazione, da parte del paese di origine e di quello di destinazione, o che, al contrario, sfuggano del tutto al prelievo. Per affrontare il problema sono possibili due approcci alternativi, noti come principio dell’origine e principio di destinazione. Il principio di origine, in base al quale i beni e i servizi devono essere tassati con le aliquote del paese in cui sono stati prodotti, si realizza quando le importazioni sono non imponibili mentre le esportazioni sono tassate. Il principio di destinazione, che richiede invece che la tassazione avvenga secondo le aliquote del paese in cui i beni e i servizi sono consumati, si ottiene quando sono le esportazioni ad essere non imponibili, mentre le importazioni sono tassate. Attualmente esiste un generale consenso, che emerge anche dai trattati che regolano il commercio internazionale, sulla preferibilità del principio di destinazione. Secondo l’Accordo sui sussidi (Agreement on subsidies and countervailing duties), ciascun paese membro dell’Organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organization, WTO) può attivare una procedura per ottenere la sospensione degli effetti negativi derivanti da sussidi erogati da un altro paese membro; la procedura consiste Massimo D’Antoni, 8 febbraio 2023 — Materiale didattico protetto da licenza Creative Commons 4.0 (BY NC ND) Le imposte sui beni e servizi 13 in un’indagine formale, che può concludersi con la richiesta di autorizzazione a imporre una misura di compensazione (countervailing duty). L’Accordo prevede tuttavia che non possa essere considerato sussidio l’esenzione di un prodotto esportato da imposte applicate a prodotti simili destinati al consumo interno, in linea con il principio di destinazione. Vi sono due motivazioni fondamentali che spiegano la preferenza per il principio di destinazione. La prima è di ordine politico. La scelta fra i due principi si traduce in una diversa distribuzione del gettito fra i paesi: con il principio di destinazione il gettito affluirà dove sono i consumatori, con l’origine dove sono i produttori. Il principio di destinazione appare più accettabile perché prevede la coincidenza fra la residenza del contribuente su cui formalmente grava l’imposta e il Paese che raccoglie il gettito: ogni paese raccoglierà l’imposta che è formalmente a carico dei propri consumatori. Con il principio dell’origine, al contrario, il gettito raccolto ricadrebbe (almeno formalmente, cioè prescindendo da effetti di traslazione dell’imposta) sui consumatori esteri. La seconda motivazione è di ordine economico: il principio di destinazione garantisce che le imposte sui consumi non influenzino i flussi di importazioni ed esportazioni, in particolare fra paesi che appartengano a un’area di libero scambio, come ad esempio il mercato unico europeo. Per comprendere la differenza fra i due principi dal punto di vista dei loro effetti sugli scambi internazionali si consideri un consumatore che debba scegliere fra due beni sostituti, uno prodotto all’interno del proprio paese, con prezzo prima dell’imposta pari a p, l’altro importato, con prezzo prima dell’imposta pari a p∗ . In assenza di imposte il consumatore sceglierà sulla base del rapporto fra i prezzi p/p∗ . Se nei due paesi viene introdotta un’imposta sui consumi, con aliquote rispettivamente τ e τ ∗ , il consumatore sceglierà sulla base del rapporto tra i prezzi comprensivi d’imposta q/q∗ . Questo rapporto varierà a seconda che si applichi il principio di destinazione o di origine: (destinazione) p (1 + τ ) p q = ∗ = ∗ q∗ p (1 + τ ∗ ) p (origine) q p (1 + τ ) = ∗ q∗ p (1 + τ ∗ ) (13.19) Quando viene applicato il principio di destinazione il consumatore pagherà la stessa aliquota sia sul bene prodotto nel mercato interno sia su quello importato, per cui l’imposta sui consumi non altererà il rapporto fra i prezzi dei due beni e risultarà quindi neutrale rispetto agli scambi internazionali. Al contrario, quando l’imposta segue il principio dell’origine, il consumatore pagherà aliquote differenti sui due beni. Il rapporto dei prezzi sarà quindi influenzato dalle imposte e, a parità di prezzo prima dell’imposta, sarà più conveniente acquistare il bene prodotto nel paese con l’aliquota più bassa. Osserviamo che, qualora all’interno dei due paesi l’imposta fosse prelevata con un’aliquota uniforme su tutti i beni e se i prezzi fossero flessibili, la differenza fra i due principi sarebbe solo temporanea. Consideriamo in particolare il caso in cui l’altro paese avesse una valuta diversa e il tasso di cambio nominale fosse E: il prezzo relativo tra il bene prodotto all’interno e quello prodotto nell’altro paese sarebbe p/Ed p∗ con con il principio di destinazione e p(1 + τ )/Eo p∗ (1 + τ ∗ ) con il principio dell’origine. Si verifica immediatamente che un eventuale passaggio dal principio di destinazione al principio di origine lascerebbe invariati i prezzi relativi se il tasso di cambio si aggiustasse, passando da Ed a Eo , in modo da soddisfare l’eguaglianza: Ed 1+τ = Eo 1 + τh∗ (13.20) In altri termini, se l’aliquota estera fosse più bassa (τ > τ f∗ ) il passaggio al principio dell’origine renderebbe le importazioni più convenienti. Questo vantaggio sarebbe però ridotto e al limite annullato se il cambio nominale si deprezzasse (Ed < Eo ) rendendo la valuta estera più costosa. Si tratta di un esito che potrebbe essere in effetti determinato dallo squilibrio commerciale tra i paesi. Nell’ambito di un’unione monetaria, dove i paesi adottano la stessa valuta, lo stesso effetto si avrebbe con un deprezzamento del tasso di cambio reale, ovvero con una diminuzione del livello dei prezzi interni o un aumento dei prezzi esteri. L’aggiustamento del cambio nominale o del livello dei prezzi interni non potrebbe tuttavia eliminare le differenze fra principio di destinazione e principio dell’origine in presenza di aliquote differenziate sui diversi beni e servizi. Con il principio dell’origine ogni paese avrebbe l’incentivo a sostenere la bilancia commerciale applicando aliquote più basse sui settori orientati principalmente Massimo D’Antoni, 8 febbraio 2023 — Materiale didattico protetto da licenza Creative Commons 4.0 (BY NC ND) 14 Scienza delle finanze Esempio 8. Applicazione del principio di destinazione con dogana Nel paese Alfa, dove l’aliquota è del 15%, l’impresa A cede un bene al prezzo di 5.000 € all’impresa B che a sua volta cede il bene all’impresa C nel paese Beta, che applica un’aliquota del 20%, ad un prezzo di 10.000 €. L’impresa C rivende il bene al consumatore finale al prezzo di 16.000 €. L’impresa A (che si suppone abbia prodotto senza utilizzare beni e servizi intermedi) avrà un’imposta a debito pari a 750 €, che verserà non avendo alcuna imposta a credito. Dato che le esportazioni sono non imponibili, l’impresa B avrà un’imposta a debito pari a zero ma potrà portare a credito l’imposta pagata sull’acquisto da A, ottenendo quindi un rimborso di 750 euro. L’imposta complessivamente raccolta dal paese Alfa sarà quindi pari a zero: tutta l’IVA versata negli stadi precedenti all’esportazione viene rimborsata nel momento della cessione non imponibile e il bene lascia il paese Alfa senza essere gravato dall’imposta. Al momento del passaggio in dogana l’importatore, l’impresa C, dovrà versare l’imposta secondo l’aliquota del paese Beta. Successivamente, quando il bene verrà ceduto al consumatore finale, l’impresa verserà la differenza fra l’imposta a debito, fatturata al consumatore e pari a 3.200 €, e l’imposta a credito, costituita dai 2.000 € versati in dogana. Complessivamente nel paese Beta saranno versati 3.200 €, pari all’imposta pagata dal consumatore residente nel paese con l’aliquota del 20%. IVA versata = 750 Impresa A IVA a credito = 750 Vendita IVA Fattura 5.000 750 5.750 Paese Alfa (IVA 15%) Impresa B Vendita IVA Fattura 10.000 0 10.000 Paese Beta (IVA 20%) Consumatore finale Vendita IVA Fattura 16.000 3.200 19.200 IVA import 2.000 Impresa C IVA versata = 2000 + (3.200 – 2.000) = 3.200 all’esportazione. Questo potrebbe innescare forme di concorrenza fiscale, in cui i paesi reagiscono alla riduzione delle aliquote dei loro partner commerciali con analoghe riduzioni. L’esito sarebbe inefficiente per i paesi nel loro complesso. Ciascun paese può infatti guadagnare dalla riduzione strategica delle aliquote solo se gli altri paesi non reagiscono. In presenza di una reazione i vantaggi sugli scambi saranno annullati e tutti i Paesi si ritroveranno con aliquote più basse di quelle ottimali. L’attuazione del principio di destinazione Come abbiamo già osservato, per realizzare il principio di destinazione è necessario che l’imposta si applichi sulle importazioni e non sulle esportazioni. In presenza di dogane questo risultato si può ottenere facilmente sia con l’imposta monofase al dettaglio sia con l’imposta sul valore aggiunto con metodo imposta da imposta. Con l’imposta al dettaglio il valore delle importazioni effettuate da imprese sarà incluso nel prezzo dei beni ceduti al consumatore finale. Sulle importazioni destinate direttamente a consumatori finali l’imposta può essere riscossa al passaggio della dogana. Con l’imposta sul valore aggiunto con metodo imposta da imposta, il principio di destinazione si realizza con la non imponibilità delle esportazioni e l’imponibilità delle importazioni, come illustrato dall’esempio 8. Anche i questo caso le importazioni destinate a consumatori finali sono tassate in dogana. La semplicità con cui può essere realizzato il principio della destinazione è una delle ragioni del successo dell’IVA applicata con il metodo imposta da imposta, e la rilevanza che essa ha rivestito nel processo di integrazione europeo. L’IVA doveva consentire agli Stati membri di esercitare la propria autonomia nella scelta delle aliquote senza interferire con gli scambi commerciali. Le imposte precedenti, tipicamente imposte plurifase sul valore pieno, erano chiaramente inadatte allo scopo. Come abbiamo visto in quel caso l’imposta si cumula e non è possibile conoscere con precisione Massimo D’Antoni, 8 febbraio 2023 — Materiale didattico protetto da licenza Creative Commons 4.0 (BY NC ND) Le imposte sui beni e servizi 15 quale sia l’imposta versata negli stadi della produzione precedenti all’esportazione per rimborsarla. Il principio di destinazione è di più difficile applicazione nel caso di acquisti diretti sul territorio nazionale da parte di consumatori non residenti. Le regole europee prevedono che i turisti provenienti da paesi extra-UE possano ottenere un parziale rimborso (da richiedere entro tre mesi dall’acquisto) dei beni acquistati in Europa trasportabili nel proprio bagaglio personale. Il rimborso non è previsto per l’acquisto dei servizi: il turista americano che soggiorna a Roma pagherà dunque l’IVA italiana sul conto dell’albergo e dei ristoranti. Il rimborso non si applica in nessun caso se il consumatore estero è residente in un paese dell’Unione. I consumatori europei che effettuano acquisti direttamente in un altro Stato membro pagano dunque l’IVA di quest’ultimo secondo il principio di origine. Un regime particolare è tuttavia previsto per le vendite a distanza, che prevede che ai beni o ai servizi venduti (tradizionali o digitali) l’esportatore applichi l’aliquota del paese di destinazione. Le imprese che effettuano vendite in più paesi membri possono scegliere dove dichiarare e versare l’imposta (One Stop-Shop, OSS). Sarà poi lo Stato scelto a trasferire l’imposta ai paesi di destinazione. Il regime vigente nell’Unione europea Nel 1993, in occasione dell’istituzione del mercato unico, l’applicazione del principio di destinazione all’interno dell’Unione europea è stata oggetto di discussione. Si riteneva infatti che l’eliminazione delle dogane rendesse necessario il passaggio al principio dell’origine. L’applicazione di quest’ultimo poneva tuttavia due problemi: il primo era l’incentivo alla concorrenza fiscale fra i Paesi membri. Il secondo era evitare che si alterasse la distribuzione del gettito e col venir meno della coincidenza fra il gettito incassato da uno Stato e l’imposta pagata dai suoi consumatori. Alla prima sfida l’Unione ha risposto introducendo alcuni vincoli, di cui abbiamo già parlato, alla scelta delle aliquote da parte degli Stati. La soluzione al secondo problema si è rivelata più complessa. La Commissione avanzò una prima proposta per il passaggio definitivo al principio dell’origine per gli scambi intra-europei, che prevedeva l’imponibilità delle esportazioni e la non imponibilità delle importazioni. Nel caso di importazioni/esportazioni B2B il metodo imposta da imposta avrebbe continuato a garantire la coincidenza dell’aliquota effettiva con quella in vigore nel paese del consumatore. Infatti, come illustrato nell’esempio 9, l’importatore avrebbe continuato a godere del credito per l’IVA pagata all’impresa estera secondo l’aliquota del paese di origine. Tuttavia, la ripartizione del gettito sarebbe cambiata, visto che il paese esportatore avrebbe raccolto una parte dell’imposta pagata dai consumatori del paese importatore. Per riallineare il gettito a quello che si sarebbe avuto con il principio di destinazione la Commissione proponeva che i paesi restituissero periodicamente il gettito raccolto sulle esportazioni ai paesi importatori, tramite compensazioni stimate sulla base di dati macroeconomici. La proposta della Commissione non venne approvata dai paesi membri. Venne quindi adottato un regime cosiddetto «transitorio», che dal 1993 è tuttora in vigore. Tale regime applica il principio di destinazione, facendo fronte alla mancanza della dogana ricorrendo al reverse charge: per l’esportatore l’operazione resta non imponibile, mentre l’importatore effettua una doppia annotazione sul registro IVA con uno stesso ammontare di imposta a debito e a credito, calcolato sulla base del prezzo di acquisto utilizzando l’aliquota prevista dal proprio paese. In altri termini, l’importatore registra l’IVA che avrebbe dovuto pagare in dogana e la compensa immediatamente con un credito equivalente. La successiva cessione sul mercato interno è un’operazione imponibile che genera un’IVA a debito che sarà integralmente versata non essendo residuato alcun credito sull’importazione. Come illustrato dall’esempio 10, gli effetti sono esattamente gli stessi che si avevano in presenza di dogane. Nonostante il regime transitorio produca gli stessi effetti del regime previgente (che è ancora in vigore per le transazioni con paesi extra-UE) la Commissione ha continuato a elaborare proposte per un suo superamento. Il motivo principale è la difficoltà di controllare le frodi che sfruttano l’assenza di un versamento al passaggio della frontiere. Si stima che queste frodi provochino per i paesi dell’Unione una perdita di gettito annua di 64 miliardi di euro. Nel 2018 la Commissione ha elaborato una nuova proposta per il regime definitivo. Come nella proposta dei primi anni novanta, si prevede che le esportazioni verso altri stati membri siano imponibili. La differenza è nelle aliquote applicate e nel meccanismo di riparto del gettito: l’esportatore sarà infatti tenuto ad applicare in fattura l’aliquota del paese di destinazione e l’imposta, versata al paese di origine, sarà da questo trasferita al paese di destinazione. Le compensazioni fra paesi non avverranno sulla base di stime su dati macroeconomici, ma utilizzando i dati trasmessi dalle imprese tramite un apposito portale. Come illustrato nell’esempio 11 il regime replica il principio di destina- Massimo D’Antoni, 8 febbraio 2023 — Materiale didattico protetto da licenza Creative Commons 4.0 (BY NC ND) 16 Scienza delle finanze Esempio 9. L’IVA in base all’origine nelle transazioni B2B Con il principio dell’origine proposto dalla Commissione europea nel 1996, l’impresa B applicherà l’IVA con l’aliquota del paese Alfa all’esportazione. Avrà quindi un’IVA a debito pari a 1.500 €. Dato il credito di 750 € per l’IVA pagata, l’impresa A dovrà versare 750 €. L’impresa C verserà la differenza fra l’IVA a debito (3.200 € fatturati al consumatore finale) e l’IVA a credito di 750 € pagata all’impresa B. L’IVA complessivamente pagata sarà sempre pari a 3.200 €, come nel principio della destinazione, senza nessun effetto per il consumatore. La differenza è nella ripartizione del gettito fra i due paesi: ora il paese esportatore trattiene una parte del gettito, pari al 15% del valore aggiunto creato nel proprio territorio. IVA versata = 750 Impresa A IVA versata = 1.500 – 750 = 750 Vendita IVA Fattura 5.000 750 5.750 Paese Alfa (IVA 15%) Impresa B Vendita IVA Fattura 10.000 1.500 11.500 Paese Beta (IVA 20%) Consumatore finale Vendita IVA Fattura 16.000 3.200 19.200 Impresa C IVA versata = 3.200 – 1.500 = 1.700 Esempio 10. Il regime transitorio IVA per scambi intraācomunitari Partendo dall’esempio 8 il regime transitorio per le operazioni intra-comunitarie prevede che l’impresa C al momento dell’importazione registri sia un’imposta a debito di 2.000 che un’imposta a credito di pari importo. A differenza del sistema a destinazione con dogana, al momento dell’importazione non viene versata alcuna imposta. Quando l’impresa C cederà il bene al consumatore finale fatturerà un’IVA di 3.200 euro che verserà integralmente non avendo IVA a credito con cui compensare. L’IVA complessivamente versata sarà sempre pari a 3.200 euro e, come nel sistema a destinazione, verrà interamente raccolta dal paese Beta. zione in presenza di frontiere con le imprese esportatrici che svolgono il ruolo che veniva affidato alle dogane. Anche quest’ultima proposta ha trovato delle resistenze, tanto che la sua adozione, prevista per il 2022, è al momento sospesa. Esempio 11. La proposta di regime definitivo IVA Rispetto al modello dell’origine dell’esempio 9, la proposta di regime definitivo IVA per le transazioni B2B fra stati dell’Unione europea prevede che l’impresa esportatrice B applichi l’IVA con l’aliquota del paese di destinazione (Beta), determinando un debito IVA pari a 2.000 €. Dato il credito di 750 € per l’IVA pagata all’impresa A, il versamento di B al paese Alfa sarà di 750 €. L’impresa C verserà la differenza fra l’IVA a debito (3.200 € fatturati al consumatore finale) e l’IVA a credito di 2.000 € pagata all’impresa B. L’IVA pagata dal consumatore finale sarà sempre pari a 3.200 €, come nel regime transitorio. Il gettito di 2.000 € incassato dal paese esportatore Alfa, pari al 20% del valore aggiunto creato nel proprio territorio, verrà infine trasferito al paese di destinazione Beta. Massimo D’Antoni, 8 febbraio 2023 — Materiale didattico protetto da licenza Creative Commons 4.0 (BY NC ND)