Uploaded by Maya Greco

BIOCHIMICA

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BIOCHIMICA
INTRODUZIONE
Ci sono diversi parametri per descrivere la qualità di un alimento:
1.
2.
Oggettiva → comprende il parametro compositivo, nutrizionale e culturale
Soggettiva → che comprende il parametro edonistico e culturale
Il parametro compositivo serve per sapere come certi composti sono associati, che struttura hanno, e in base a questo capire se le
molecole sono patogene o no. Il parametro nutrizionale non vuol dire solo che sono presenti certi nutrienti, come gli AA essenziali,
ma vuol dire anche vedere se questi sono veramente utilizzabili dal nostro organismo.
Un tempo qualità era sinonimo di composizione chimica; adesso la composizione non è sufficiente per determinare la qualità, e
sono stati introdotti altri concetti:
●
●
Biodisponibilità → cosa succede all’alimento nel momento della trasformazione, come cambiano le sue caratteristiche
intrinseche e i fattori anti nutrizionali naturalmente presenti negli alimenti
Processi → alteramento della composizione, cioè cosa succede alle proteine quando vengono denaturate
All’interno degli alimenti ci sono diversi componenti che interagiscono con molecole più grandi o più piccole. Le diverse interazioni
sono:
●
●
●
●
●
Proteina/ambiente (fondamentali nei processi di conservazione)
Proteina/proteina (hanno un ruolo importante nella formazione di un impasto)
Proteina/lipidi (formazione burro e formaggio, che possono cambiare in base a come questi interagiscono fra loro)
Proteina/amido (paste)
Amido/lipidi (pane)
All’interno della biochimica alimentare troviamo anche il concetto di biotecnologia alimentare che consente il controllo delle
modificazioni nelle proteine e biopolimeri:
●
●
●
Modificazioni strutturali → cambia la struttura tridimensionale della proteina. Un esempio è il complesso actina/miosina
(complesso di proteine con funzione strutturale, infatti formano il muscolo, se si mangiasse il muscolo quest’ultimo
sarebbe duro e immangiabile, si va quindi incontro a un processo di frollatura che trasforma il muscolo in carne e lo rende
tenero e mangiabile. In questo processo è sempre presente il complesso actina/miosina, ma cambia la sua struttura
quaternaria). Queste modificazioni le subiscono anche proteine con funzione di riserva (semi e uova) e secreti proteici
(latte). In base a come si modifica la struttura di queste proteine si otterranno poi prodotti differenti.
Modificazioni funzionali → avviene la modifica delle proteine enzimatiche (nei metodi di conservazione) tramite la
modificazione della struttura tridimensionale, questa modifica mi cambia o fa perdere la funzione.
Controllo struttura/funzione → a volte controllare la struttura significa controllare la funzione (cioè cambiare il ruolo che
ha la proteina all’interno dell’alimento). Sapere come la proteina è strutturata all’interno dell’alimento è utile nell’impiego
per scopi analitici, per markers diretti e indiretti di trattamento, per determinare la presenza o meno di metaboliti
INTERAZIONI PROTEINA/AMBIENTE
L’interazione principale che hanno le proteine con l’ambiente è quella con l’acqua, che deve essere presente in una certa “forma” e
quantità, in modo da conferire la texture. L’acqua negli alimenti ha almeno 3 funzioni:
Funzione
Target
Effetto
Solvente
Molecole semplici
Macromolecole
Molecole semplici
Macromolecole
Trasformazioni enzimatiche
Crescita microbica
Equilibri osmotici e di pH
Solubilità
Biodisponibilità
Modifica le proprietà
Strutturante
Mezzo di reazione
L’acqua viene classificata in 4 tipi (questa classificazione è importante per la funzione strutturale, in quento in base a come l’acqua è
legata, cambiano le strutture e di conseguenza la texture):
a)
b)
c)
d)
IV → acqua pura aw=1
III → acqua libera aw=0.8-0.9
II → acqua coordinata aw=0.8-0.25
I → acqua legata aw=0.25-0.0
Questi tipi di acqua hanno come conseguenza differenti eventi:
Tipo di acqua
Mezzo di reazione
IV
Acqua pura
III
Microrganismi, attività enzimatiche, reazioni idrolitiche e
ossidative, imbrunimento non enzimatico
II
Attività enzimatiche, reazioni idrolitiche e ossidative,
imbrunimento non enzimatico
I
Sotto un livello minimo si ha l’incremeto di autossidazione
lipidi
La water holding capacity di una proteina (capacità di trattenere l’acqua) dipende dalla carica e dalla polarità superficiale.
La solubilità
Un aspetto importante tra l’interazione tra acqua e proteine è la solubilità. Ci sono due elementi che fanno variare la solubilità:
●
●
Ambiente → cambiamento di forza ionica (concentrazione dei Sali, salting-in e salting-out), cambiamento di pH,
variazione punto isoelettrico, aggiunta di ioni metallici
Caratteristiche della struttura proteica → se la struttura è nativa la proteina è più solubile mentre se denaturata lo è meno
perché tende a formare aggregati
Possiamo quindi classificare le proteine in base alla solubilità:
Solvente
Classe proteica
Esempio
Acqua
Albumine
Sieroalbumina, lattoalbumina
Soluzioni saline
Globuline
Viciline, immunoglobuline, legumine
Alcali o acidi
Gluteline
Caseina, glutenine
Alcoli
Prolamine
Gliadine
Nessuno
Scleroproteine
Cambiamento della solubilità delle proteine in funzione della forza ionica
Una bassa concentrazione di sale porta ad un aumento della solubilità delle proteine (salting-in), viceversa un'alta concentrazione
ne fa diminuire la solubilità precipitandole (salting-out).
In condizioni normali le proteine si aggregano per attrazione tra le cariche di superficie e precipitano. Quando viene aggiunto il sale
gli ioni da esso derivanti interagiscono con le cariche elettriche di superficie delle proteine neutralizzandole e impedendo la
formazione di aggregati.
Al contrario aumentando la concentrazione di sale, e quindi facendo aumentare la forza ionica in soluzione, si ottiene un eccesso di
cariche derivate dal sale che, dopo aver saturato la proteina, la destabilizzano perché entrano in competizione con essa per il
solvente, e rubandoglielo le fanno precipitare.
Poichè le cariche di superficie delle varie specie di proteine sono differenti, ognuna di esse ha un suo punto di precipitazione che
corrisponde ad una determinata concentrazione di sale. In questo modo usando una concentrazione di sale ad hoc possiamo isolare
una o un gruppo di proteine da una miscela; il sale viene poi eliminato per dialisi.
Questa associazione che coinvolge le cariche superficiale e l’acqua di tipo II intorno alle proteine, non comporta nessuna modifica
alla struttura della proteina. La proteina precipitata è ancora con la sua struttura nativa. Le proteine in salting-in sono quelle che si
denaturano prima, perché quelle in questa condizione sono libere in soluzione, e quindi soggette ad una certa flessibilità strutturale
che può comportare, per minimi cambiamenti dell’ambiente, ad una loro denaturazione. Questo sistema è usato per conservare gli
anticorpi, che infatti si trovano in salting-out. La complicazione arriva quando bisogna scegliere il sale, in quanto non tutti i Sali
fanno precipitare una proteina senza modificarne la struttura. Quindi nella precipitazione abbiamo due effetti: una schermatura
delle cariche nette superficiali (non quelle interne altrimenti si modificherebbe la struttura) e un intervento del sale sull’acqua di
tipo I e II.
Ogni gruppo proteico ha una sua specifica sensibilità ai diversi Sali.
Ci sono due curve, una riguardante un albumina (solubile in acqua) che, a un livello di
forza ionica pari a 0 aumenta debolmente la sua solubilità la quale rimane costante fino
ad un certo valore di forza ionica, raggiunto il quale poi precipita rapidamente. Questo
significa che per solubilizzare l’albumina, non bisogna avere alti valori di forza ionica. La
globulina invece a bassa forza ionica è pochissimo solubile, aumentandola, fino ad un
certo valore la solubilità aumenta (il sale facilita) ma in seguito ad un certo valore
precipita di colpo. Se si ha un siero di latte con albumina e globulina e si vogliono
separare, ci si mette ad un valore di forza ionica per la quale la frazione globulinica
precipita mentre l’albumina rimane perfettamente solubilizzata.
Esempio di solubilità di alcune proteine
1)
2)
Stessa concentrazione ma diversa FI → Solubile in 2M NaCl, ma insolubile in 2M Na2SO4
(secondo la formula della forza ionica si ha diversa FI)
La concentrazione infatti non varia ma si ha diversa forza ionica, ma mantiene struttura e
attività
Stessa FI ma diversa carica su ioni → solubile in 1M NaCl ma insolubile in 0.1M CaCl2
Si è in condizioni di forza ionica uguale, in teoria bisognerebbe guardare la
concentrazione, ma in questo caso il ruolo fondamentale è giocato dallo ione carico
positivamente. Nel primo caso il sodio scherma le cariche superficiali, ma non arriva a
questo livello di forza ionica a far precipitare la proteina lasciandola dunque
perfettamente in soluzione; nel secondo caso si hanno 2 cariche positive, quindi ogni
molecola scherma 2 cariche superficiali di due diverse proteine creando un ponte. Ecco
perché il tofu si crea con il calcio e non con il sodio. Anche in questo caso la proteina
mantiene la struttura e l’attività
Ci sono dei Sali invece che fanno precipitare le proteine modificandone la struttura nativa e creando una
proteina con struttura denaturata:
Una proteina in salting-out con NaCl manterrà struttura e attività (si avrà un enzima attivo), mentre una
proteina in salting-out con NaClO4 perderà la struttura e di conseguenza l’attività (si avrà un enzima inattivo).
Questo cambiamento può far si che le due diverse proteine con struttura diversa interagiscano con elementi
diversi.
Tra i Sali che usiamo troviamo:
●
●
I Sali strutturanti → mantengono stabile la struttura delle proteine. Sono Sali liofilici (amano l’acqua e sono facilmente
solvatabili, sono circondati da un numero significativo di molecole d’acqua); si trovano sulla superficie delle proteine delle
proteine, quindi sono Sali che vanno a schermare le cariche superficiali e che quindi legano acqua di tipo I e II e non quella
fortemente legata
Sali destrutturanti → sono Sali lipofilici (non amano l’acqua e sono poco solvatati) sono piccoli e possono penetrare
all’interno di una proteina rompendo delle interazione elettrostatiche tra gli AA, con conseguente denaturazione.
Hofmeister ha classificato gli ioni in base alla loro liofilicità o lipofilicità
Dalla tabella si nota che gli ioni strutturanti come ad esempio fosfato e solfato sono
grandi e stabilizzano la proteina. Altri invece come il ClO4 sono piccoli e quindi se
presenti destrutturano le proteine. Ce ne sono altri come Cl- o K, che non sono ne uno
ne l’altro perché dipende dalle proteine con cui interagiscono, possono essere entrambi
ma in maniera minima.
Ruolo del pH
Il pH cambia la solubilità di una proteina perché ne cambia la carica netta (prevalente), in quanto cambia
l’associazione/dissociazione dei gruppi acidi/basici tra gli AA. A un certo valore di pH, a carica netta=0, si ha
il punto iselettrico, dove la quantità di gruppi dissociati di acidi e basi è uguale. A questo punto le proteine,
che prima si respingevano, tendono ad associarsi e diventare meno solubili.
Esempio di curva di solubilità in base al pH della BLG. A 4.8 si ha massima solubilità, con prevalenza di carica netta positiva. A 5.6 si
ha prevalenza di cariche negative e quindi anche qui massima solubilità. All’interno di questi due valori le cariche nette cominciano
a diminuire e le proteine iniziano ad associarsi finchè non si arriva al punto isoelettrico 5.3 dove non ci sono cariche nette. La
variazione di pH non modifica la struttura proteica, perché il pH scherma le cariche, però bisogna stare più attenti rispetto all’uso
dei Sali.
Applicazione della variazione di solubilità negli alimenti
1.
Classificazione delle proteine → nella trasformazione degli sfarinati hanno un ruolo indispensabile. Si hanno tanti sfarinati,
tante proteine ecc e bisogna classificarle tramite delle misure di solubilità.
Classe
2.
Solubilità
Proteine citoplasmatiche
Albumine
Gliadine
Acqua
Soluzioni saline
Proteine di riserva
Prolamine
gluteline
Alcool 70%
Soluzioni alcaline/acide
Ruolo dei trattamenti → la solubilità delle proteine può essere modificata; si possono avere proteine denaturate (meno
solubili) ottenute tramite la modifica della struttura. Per far si che la proteina assuma una struttura diversa un esempio è
l’aggiunta di particolari Sali, tuttavia nei processi alimentari non si usano molto, un altro esempio è il pH che, tuttavia, è un
parametro sensibile, in quanto può far precipitare la proteina senza denaturarla, oppure lo può fare modificandone la
struttura (yoghurt); un altro agente è rappresentato dai trattamenti tecnologici, come ad esempio tutti i trattamenti
termici, meccanici (impasto, omogeneizzazione, enzimatico).
Un primo esempio di trattamento che modifica la solubilità, la quale
modifica viene impiegata per fini analitici è impiegata dal metodo che sta
alla base della classificazione dei diversi latti pastorizzati. Alla base di
questo metodo c’è il latte in toto, con un certo contenuto di proteine
(caseine e sieroproteine). Le sieroproteine sono proteine che quando si
acidifica il latte al punto isoelettrico delle caseine (4.6) queste rimangono
solubili. Le caseine dunque precipitano e le sieroproteine rimangono
solubili (alfa latto albumine, BLG) ottengo così delle frazioni di proteine
solubili e una frazione di proteine precipitata.
Ci si è accorti che la quantità di proteine solubili, quindi di sieroproteine nel latte, a pH 4.6 era differente in base alla storia termica
del latte. Più il latte era sterilizzato, meno proteine solubili si avevano. Un latte pastorizzato deve avere almeno 11% delle proteine
totali, un fresco pastorizzato 14% e un fresco pastorizzato alta qualità 15,5%. Questo non vuol dire che il latte ad alta qualità ha più
sieroproteine del latte UHT come totali, nelle condizioni in cui si beve queste sono uguali per tutti i latti: i “almeno il tot% di
proteine” significa che quando si acidifica a 4.6 la quantità di sieroproteine deve essere almeno quella in percentuale. In un latte
sterilizzato a 4.6 le sieroproteine solubili sono pari a 0.
Esempi di modificazioni tecnologiche della solubilità delle proteine
Agente modificante
pH
Calore
Ioni metallici
Enzimi
Proteina bersaglio
Caseine
BLG
Alfa-latto-albumina
Ovoalbumina
Collageno
Legumine
Viciline
k-caseina
Ordeina
Queste variazioni di solubilità a livello alimentare portano alla formazione di Gels.
INTERAZIONI PROTEINA/PROTEINA
Gels
Prodotto
Formaggi a prevalenza acida, yogurt
Ricotta
Uovo sodo, meringa
Gelatina/brodo
Tofu
Tofu
Formaggi
Birra torbida
Un gel è una sostanza che evidenzia delle proprietà simili ad un sistema solido dove sono presenti grandi quantità di solvente (negli
alimenti è soprattutto acqua).
Nei gel proteici il sistema solido è costituito da proteine che si organizzano a formare una struttura solida ben definita, con la
capacità di trattenere l’acqua (il solvente) e diversi composti (Sali minerali, zuccheri semplici, emulsioni ecc)
Proprietà colligative interproteina
Esempio
Gelatina
Formaggio fuso
Ricotta
Uovo sodo
Impasto
Formaggio (partenza da un coagulo)
Natura
Reversibile
Irreversibile
Irreversibile
Irreversibile
Irreversibile
Irreversibile
Interazioni (prevalenti) tra le proteine
H-interazioni
Mediate da Ca++ (elettrostatiche)
Idrofobiche/elettrostatiche
Covalenti S-S
Covalenti S-S
Modificazioni enzimatiche
Questa è la classificazione tra le iterazioni prevalenti delle proteine. La gelatina è l’unico composto reversibile, che può passare dalla
forma liquida a quella di gel e, successivamente, dalla forma gel a quella liquida; a livello molecolare le proteine principali delle
gelatine sono proteine del collagene, con prevalenti interazioni di tipo H. il formaggio fuso è un gel irreversibile (se si fonde la
sottiletta non si torna alla materia prima) ed è caratterizzato da interazioni prevalentemente mediate da Ca++ quindi elettrostatiche.
La ricotta è anche questa irreversibile, con interazioni idrofobiche ed elettrostatiche. L’uovo sodo, in particolar modo l’albume, è
irreversibile con interazioni covalenti S-S (ponti disolfuro) dove il legame S-S intramolecolare diventa legame S-S intermolecolare.
L’impasto che può essere per pano o pasta è irreversibile, con interazioni covalenti S-S ma anche con partecipazione importante di
interazioni idrofobiche. Il formaggio è un gel con interazioni di tipo idrofobico/elettrostatico, ma
questo gel è determinato da azione idrolitica. Gli unici legami covalenti sono i legami S-S tutti gli
altri legami sono legami deboli.
1.
2.
3.
Gelatina → la gelatina è costituita da collagene il quale è un elica particolare, stabilizzata
da legami covalenti (crociati) e da una serie di legami H. quando viene scaldata, i legami
ordinati (H) saltano, mentre i legami covalenti crociati rimangono, quando si raffredda i
legami intermolecolari si ricreano formando una struttura reticolare in grado di trattenere
l’acqua. Le diverse gelatine si differenziano tra loro per il diverso numero di legami crociati
presenti (più legami sono presenti meno trattengono l’acqua). Questo gel è l’unico
reversibile
Gel stabilizzati prevalentemente da interazioni elettrostatiche → le proteine di soia sono
ricche di cariche negative (AA come glutammato e aspartato), se si arriva ad un pH
adeguato questi gruppi laterali sono dissociati, quindi avranno una repulsione
elettrostatica perché si avrà prevalenza di cariche negative. Tuttavia
aggiungendo uno ione bivalente (Ca++) questo è in grado di mettersi a ponte
tra le due catene, formando un reticolo proteico ordinato all’interno del quale si
ingloba l’acqua. Queste proteine così facendo assumono una texture e
diventano mangiabili formando il tofu
Gel stabilizzati con interazioni idrofobiche → la ricotta viene prodotta dalle
sieroproteine (derivano dal ciclo ematico o dalle cellule mammarie), cioè quelle
proteine che rimangono a seguito della coagulazione del latte. È costituita
quindi da lipidi residui, sieroproteine, acqua e una piccola quantità di frazioni
glucidiche. Per fare la ricotta si parte dal siero che viene salato, parzialmente
acidificato e poi viene trattato termicamente a 90°C per un certo tempo, viene
poi lasciato a riposo e si forma la ricotta, la quale verrà separata dalla sua parte liquida formata da acqua e un piccolo
rimasuglio di proteine che non sono riuscite a formare il gel. Il gel è formato dall’associazione delle diverse sieroproteine
presenti (soprattutto di BLG) che è stabilizzato, per formare il reticolo da interazioni deboli, prevalentemente idrofobiche,
ma anche da elettrostatiche e idrofiliche. Adesso le aziende casearie tendono a fare la ricotta partendo dal latte, il prodotto
ottenuto è diverso in quanto nel latte è presente anche una componente caseinica. Si parte dal latte perché aumentano le
rese e perché si ottiene un gel più morbido, più dolce in quanto il complesso delle caseine riesce a inglobare più frazione
lipidica. Si ha così un formaggio (la vera ricotta non è un formaggio) non più dietetico in quanto sono presenti molti lipidi
(anche con l’aggiunta di panna spesso).
A livello molecolare la BLG presenta delle zone a beta foglietto, un’alfa elica peculiare e una regione idrofobica specifica
(che serve per inglobare diversi composti come quelli aromatici, idrofobici e
gli AG), nel latte è presente come dimero in libera associazione, cioè un
dimero stabilizzato con interazioni non covalenti, in particolar modo con
4.
5.
interazioni idrofobiche ed elettrostatiche. Nel momento in cui si scalda (quando si fa la ricotta) si ha una modificazione
della struttura dove la zona prevalentemente influenzata è quella dove è presente la tasca idrofobica. La proteina così
espone le zone idrofobiche, se ne espone poche rimane in soluzione, se ne espone tante o tutte la proteina diventa
incompatibile con l’ambiente acquoso e tende a minimizzare le zone a contatto con l’acqua associandosi in modo ordinato
con interazioni idrofobiche formando così un reticolo proteico. La piccola acidificazione e aggiunta di Sali favoriscono la
completa dissociazione proteica e quindi la successiva associazione tra le diverse proteine.
Gel stabilizzati con interazioni covalenti → l’albume è costituito da 80% di acqua e 19.9% di proteine, l’80% delle quali
sono ovoalbumine. Questa proteina ha una struttura ben definita, è un monomero in soluzione, è ha un numero
consistente di ponti disolfuro e un residuo SH (residui di cisteina dispari). Quando si scalda la proteina viene denaturata e
quindi si modifica la struttura tridimensionale. Il residuo SH non è mai esposto perché potrebbe essere facilmente
ossidabile dall’ossigeno (si trova nel core idrofobico), scaldando il residuo viene esposto e può avvicinarsi ad un ponte S-S di
un'altra proteina (uguale o diversa) e attuare uno scambio di disolfuri. Il ponte così si è spostato da intracatena a
interproteina. Si crea un reticolo interproteico dove due proteine sono legate da legame S-S. il numero di residui SH non
cambia, ma cambia la sua posizione, per aumentare il numero di residui SH bisognerebbe usare un riducente tramite redox
(questo è solo un riscaldamento). Se all’intero della proteina non fosse presente nessun residuo SH questa reazione non
avverrebbe, perché non si avrebbe l’innesco. Il reticolo è stabilizzato per il 90% da ponti S-S ma si hanno anche delle
interazioni idrofobiche che stabilizzano ulteriormente nate dall’esposizione delle parti idrofobiche a causa del
riscaldamento. Questo reticolo è importante anche in alcuni impasti come ad esempio la pasta all’uovo.
Gel stabilizzati da interazioni idrofobiche/elettrostatiche → le caseine sono una famiglia di proteine. Nel latte quelle
maggiormente presenti sono la beta-caseina e l’alfaS1- caseina. Sono tutte degli allergeni. In filosofia si può trovare anche
un’altra famiglia di caseine che sono le gamma-caseine che sono una gamma indipendente perché derivano dall’idrolisi
della beta-caseina ad opera della proteasi normalmente presente nel latte che dipende dalle razze, età ecc
AlfaS1-caseina
Ha molti residui idrofobici, come tale non sta bene in soluzione o comunque deve evitare che tutti i residui non siano tutti
esposti verso l’ambiente acquoso, ha molte proline, quindi non forma struttura secondaria non permettendo la formazione
di una struttura ordinata il chè è un bene perché è così facilmente digeribile (bianchi). Ha molte serine (-OH) che possono
essere fosforilate. La presenza di un numero notevole di serine fosforilate fa si che sia una proteina coniugata (residui
AA+altro) con molte cariche negative
AlfaS2-caseina
Molto simile alla struttura della precedente, la fosforilazione è un processo che avviene dopo la sintesi proteica ad opera di
un enzima così come anche la defosforilazione
Beta-caseina
È molto più idrofobica ed ha pochissimi gruppi fosforilati
k-caseina
Risponde più o meno alla caratteristiche delle precedenti, ma con delle peculiarità. Ha una parte C-terminale molto
idrofilica (proteina orientata), sono presenti oltre alla serina residui di treonina che possono essere fosforilati e glicosilati.
Ha un residuo di cisteina che in alcune condizioni può fare scambi S-S con un gruppo della BLG. Ha il residuo Phe-Met
(105-106) che è il sito di azione specifico della rinina (caglio), che è l’enzima che viene usato per coagulare
Se si mettono queste caseine in soluzione acquosa non sono stabili, per essere
stabili tendono a organizzare un’organizzazione sovramolecolare, la micella
caseinica. La micella non si sa bene comi sia fatta, si pensa sia formata da tante
submicelle a loro volta composte dalle caseine associate in modo tale da avere
minore esposizione di zone idrofobiche e maggiore di quelle idrofiliche. Le
submicelle sono quindi organizzate in modo tale che sia esposta esternamente
la parte idrofilica della k-caseina, dal residuo 105-6 crea una specie di capello
che esce dalla micella. Queste submicelle sono associate tra loro
idrofobicamente o tramite ponti calcio tra i residui con carica negativa. Per
modificarle si vanno a perturbare i legami elettrostatici in vari modi modi:
1.
2.
Acidificando → modificando il pH, si rende meno dissociato il gruppo
fosfato che quindi non lega più il calcio, e non riesce più a fare da
ponte tra le due cariche negative e si avrà una repulsione
elettrostatica, non si acidifica a pH molto bassi si arriva fino a 5.8 che
è quello dello yogurt
Chelare il calcio → viene effettuata tramite i Sali di fusione che legano fortemente il calcio e trattengono molta acqua,
destrutturando la micella. Anche qui i ponti calcio vengono rotti e le cariche negative vicine si respingono. Questo viene
effettuato a caldo, quindi le micelle oltre a non avere il calcio a disposizione perdono molta acqua. Questa micella
raffreddandosi tenderà ad associarsi in maniera diversa rispetto alla struttura nativa creando un gel molto lasso
(sottiletta). Un tempo per chelare il calcio si utilizzavano i polifosfati ora si utilizza il citrato
3.
Pelare la proteina → si utilizza un enzima che tolga le code idrofiliche esponendo cosi le zone idrofobiche, in questo modo
le micelle tendono ad unirsi formando il coagulo. All’intero di questa struttura si trovano la frazione lipidica, la frazione
glucidica, l’acqua ecc. il coagulo inizia a formarsi con un azione idrolitica ad opera di un enzima (caglio) che tagli sul
legame 105-6 in quanto una proteasi generica taglierebbe indistintamente causando la formazione di soli peptidi
UTILIZZO DI ENZIMI NELLE PRODUZIONI ALIMENTARI
Gli enzimi vengono utilizzati nelle produzioni alimentari per:
1.
2.
Analisi di processo
Finalità analitiche
Analisi di processo
L’attività enzimatica permette di monitorare un determinato processo, bisogna prima misurare la concentrazione di un enzima che
può avvenire a tempi prefissati (l’enzima agisce per un tempo prefissato poi si blocca la sua attività e si misura la quantità di
substrato) o continuo (si misura continuamente l’evolversi della formazione di substrato); la scelta tra i due metodi dipende dalle
condizioni del saggio, poiché il secondo metodo presuppone che il substrato abbia caratteristiche spettrofotometriche misurabili, in
caso contrario si usa il metodo discontinuo. Gli utilizzi principali sono di tipo analitico o predittivi (se un attività enzimatica scompare
e in quanto tempo avviene = cinetica di inattivazione) o la presenza di enzimi come marcatore di qualità.
Una reazione enzimatica può essere descritta come E + S = ES =EP = E+ P. l’attività di un enzima si misura attraverso la velocità di
reazione, ossia con che velocità si forma il prodotto. Uno dei fattori principali che modificano la velocità di reazione è la
concentrazione di substrato [S]: la relazione tra velocità iniziale di una reazione enzimatica e la concentrazione di substrato non
hanno una dipendenza lineare dato che quest’ultima varia durante il corso della reazione. La velocità di una reazione enzimatica
dipende quindi: dalla concentrazione dell’enzima, dalla sua Kcat, dalla concentrazione di substrato e dall’attività del substrato
espressa da una costante Km
In base alla tecnica adottata per quantificare il prodotto formato possiamo distinguere i saggi enzimatici in:
●
●
●
●
●
Spettrofotometrici: misura assorbanza
Fluorimetrici: misura fluorescenza substrato
Calorimetrici: misura variazione di entalpia legata all’azione enzimatica
Mediante pH-stat: misura la variazione di pH locale legata all’azione enzimatica
Cromatografici
Il substrato deve essere presente in una determinata concentrazione per poterne calcolare l’attività enzimatica, ossia in modo tale
che lavori al meglio; la concentrazione va inserita in modo che sia almeno uguale alla velocità massima. Il substrato può essere
naturale o sintetico, dosato in maniera continua (senza arresto della reazione) o discontinua (con arresto reazione), il dosaggio può
anche essere semplice (produce direttamente un prodotto quantificabile) o accoppiato (il prodotto generato non può essere
misurato, ma viene trasformato in qualcosa di differente grazie all’enzima ausiliario).
Decadimento termico proteine
Le proteine esposte a temperature elevate si denaturano, perdendo la loro attività biologica. Se misuriamo l’attività di un enzima e
poi lo conserviamo a T diverse notiamo una perdita di attività progressiva proporzionale alla T. la perdita segue una cinetica del
primo ordine (decremento esponenziale) e l’attività residua rispetto a quella iniziale è funzione di due parametri: tempo e K
(costante di velocità apparente della reazione di inattivazione), più quest’ ultima è alta più rapidamente diminuisce l’attività
dell’enzima.
𝑙𝑛
𝐴𝑡
𝐴0
=− 𝑘𝑡
Un altro parametro molto utilizzato è il tempo di dimezzamento definito come il tempo necessario perché l’enzima perda il 50%
della sua attività
( )=
𝑡
1
2
0,693
𝑘
Minore è la k di velocità di inattivazione maggiore è il tempo di dimezzamento
Finalità analitiche
Gli enzimi vengono utilizzati come catalizzatori per quantificare la presenza di uno o più composti all’interno dell’alimento; viene
misurato l’end point ossia il momento in cui l’alimento a contatto con l’enzima è stato completamente convertito in qualcosa di
misurabile (l’equilibrio chimico è stato spostato verso i prodotti e la quantità residua di substrato deve essere trascurabile)
1.
2.
Determinazione di un singolo composto:
Attraverso reazioni semplici → dosaggio di glutammato: nella
trasformazione di glutammato in alfachetoglutarato viene aggiunto
NAD+, aggiungendo un eccesso di quest’ultimo l’equilibrio si sposta
verso i prodotti e la formazione de NADH può essere monitorata
attraverso misurazione dell’assorbanza
Attraverso reazioni accoppiate → dosaggio di etanolo: l’etanolo viene
ossidato ad acetaldeide con contemporanea riduzione da NAD+ a NADH;
l’acetaldeide viene ulteriormente trasformata in acido acetico solo nel
momento in cui il pH è alcalino e avviene accoppiata alla riduzione di
NAD+. Per misurare l’etanolo si misura il NADH formato tenendo conto
che ogni mole di etanolo corrisponde a 2 moli di NADH perché c’è il
passaggio ad acetaldeide)
Determinazione di più composti presenti in un'unica miscela:
Con più enzimi in sequenza → dosaggio glucosio e fruttosio: il glucosio viene trasformato in Glu-6P, il quale non può
essere immediatamente misurabile per questo motivo lo accoppio con la riduzione di NAD+ trasformandolo in
6P-gluconato, in modo tale che possa essere misurato. Per determinare anche la concentrazione di fruttosio aggiungo
enzimi in opportuna sequenza (isomerasi) che lo convertono in Glu6P che potrà essere misurato con la conversione in
gluconato
DENATURAZIONE DA PROCESSO DI PROTEINE ALIMENTARI
Le denaturazioni da processo possono essere causate da tre tipologie di agenti:
●
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Fisico → temperatura (trattamento termico), meccanico
Chimico (reazioni che interessano i residui AA) → glicosilazione,
ossidazione, isomerizzazione formazione nuovi composti
Enzimatici (rompono la struttira) → isolati o patrimonio dei
microrganismi
In un alimento come pasta, pane o per meglio dire nell’impasto che porterà alla
loro formazione le interazioni prevalenti sono quelle meccaniche, ovviamente ci
sarà anche un trattamento termico, ma quello che ne determinerà le
caratteristiche sarà il trattamento meccanico. Un altro esempio di denaturazione
meccanica è l’omogeneizzazione, la conservazione di frutta o di vegetali è una
denaturazione ad opera di pH (sotto aceto)
Agenti fisici
Gli agenti fisici che denaturano le proteine sono:
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●
●
●
Temperatura
Radiazioni
Sforzi di taglio
Alte pressioni (sopra 6000 atm)
DENATURAZIONE PER EFFETTO TERMICO
La maggior parte dei trattamenti termici sono fatti per sanificare (eliminare microrganismi); quindi la denaturazione delle proteine
verrà studiata in base alla temperatura utilizzata per eliminare microrganismi. Un trattamento termico comporta la denaturazione
delle proteine, cioè la proteina assume una strutturazione diversa da quella nativa. Un trattamento termico, nelle diverse interazioni
che stabilizzano la struttura tridimensionale, va a colpire i legami deboli e molto ordinati. I primi sono i legami H, avendo così una
conseguente esposizione delle zone idrofobiche. Non vengono attaccati i legami ionici e peptidici (non si generano peptidi o AA), un
trattamento termico può favorire però lo scambio di disolfuri.
Nella tabella ci sono alcuni esempi di denaturazioni che
avvengono a opera di trattamenti termici come nel caso della
gelatina, o del pane (inteso nell’ultima fase del processo:
cottura).
Più si aumenta l’intensità del trattamento più modifico l’ambiente, i primi elementi che si
modificano sono le cellule, poi le piccole molecole (vitamine) e in seguito si modificano i
polimeri strutturati (polipeptidi e DNA), poi i polimeri non strutturati (amido) e infine le
spore. La temperatura ha questo effetto sull’alimento: va a modificare l’ambiente in cui esso
si trova. Altri processi come le pressioni non vanno a modificare l’ambiente, ma modificano il
volume con un cambiamento delle regione intaccate.
Quello che ci interessa sono i polimeri strutturati. Una proteina all’interno di un alimento, sottoposta ad un trattamento termico
determinato dalle caratteristiche dell’alimento che si deve trattare per poterlo sanificare, passa da una sua struttura nativa ad una
denaturata. Questo avviene perché si ha una perdita delle capacità strutturali dell’acqua. Non esiste un'unica struttura denaturata
poiché essa dipende dall’intensità del trattamento e anche dal livello di reversibilità. L’alimento viene portato ad una certa
temperatura, la proteina si modifica e quindi cambia struttura, tuttavia l’alimento non viene consumato a queste temperature, ma
viene raffreddato e tornando alla temperatura ambiente si hanno due possibilità: la proteina ritorna alla struttura di partenza
(reversibile), la proteina assume una struttura diversa da quella nativa e da quella durante il trattamento (irreversibile). Viene
denominato transiente la proteina che si forma durante il trattamento a una certa temperatura elevata, il transiente ci interessa
sapere come è perché questa struttura può condizionare quello che succederà dopo (in base a come si denatura posso far si che si
associ con altri elementi di interesse). Che una trasformazione sia reversibile o no è causato da effetti termodinamici e aspetti
cinetici (non solo quanto calore è stato scambiato, ma quanto velocemente). La struttura che assume la proteina dipende anche
dall’ambiente esterno e dalle interazioni con esso. In un alimento dipende da come interagisce con i vari componenti circostanti, in
quanto una modificazione reversibile può diventare irreversibile.
Rilevanza delle modificazioni strutturali delle proteine nei processi alimentari
●
●
Modificazione struttura primaria → modificazione della catena laterale degli AA con la formazione di addotti. Gli addotti
non sono naturali, e sono anche usati come marcatori di qualità, per vedere la variazione degli effetti e del valore nutritivo
o anche utilizzati a scopi analitici. Può crearsi attraverso l’interazione tra loro, con glucidi (glucosio/galattosio), o
attraverso degradazioni di metionina e cistina; una modificazione della struttura che può portare all’inattivazione di alcuni
composti antinutrizionali i quali se attivi inibirebbero l’azione di proteasi o amilasi nel nostro organismo e rendendo
difficile la digestione dei cibi (le proteine di un legume crudo sono fortemente non digeribili, in quanto inibitori di
proteasi, la cottura diminuisce questa funzione inibitoria). Quasi tutte le proteasi hanno nel sito catalitico un residuo di
serina, e quindi vengono chiamate proteasi seriniche. L’effetto principale del trattamento termico sulla struttura primaria
delle proteine è quindi la formazione di addotti sulle catene R degli AA.
Modificazione della struttura secondaria e terziaria → cioè
modificazioni sulla struttura tridimensionale della proteina. Si ha una
modificazione strutturale che può portare ad un aumento o meno, del riconoscimento del residuo bersaglio da parte delle
proteasi presenti nello stomaco (può quindi risultare più o meno riconoscibile dopo il trattamento).
Nelle prime due la digeribilità aumenta per due motivi: hanno struttura diversa e spariscono gli inibitori, nella BLG se
questa viene denaturata minimamente è favorita tuttavia tende a formare polimeri proteici meno digeribili. Le glutenine
non hanno cambi di digeribilità.
Metodo della fluorescenza intrinseca
Un modo per come si possano studiare le modificazioni strutturali a carico delle proteine presenti dell’alimento è il metodo della
fluorescenza (metodo che permette di studiare l’alimento senza che gli sia stata effettuata una trasformazione), che fa parte dei
metodi spettroscopici. La fluorescenza è un processo di decadimento radioattivo per il quale una molecola assorbe radiazioni
luminose e le emette con una frequenza più bassa di quella iniziale (% di dissipamento energetico). La molecola passa dal livello
energetico fondamentale a un livello eccitato con una transazione elettronica, dopo di che inizia a cedere energia. Si prende
l’alimento lo si colpisce con delle radiazioni ad una cera lunghezza d’onda (colpiranno certi residui AA) e poi si vede come si
comportano gli elementi specifici che si volevano studiare a quella lunghezza d’onda. In questo modo, vedendo come si comportano
e con che frequenza emettono, si avrà un informazione strutturale. Non tutti i residui all’interno della proteina hanno questa
proprietà, la hanno la fenilalanina e il triptofano. Di solito di usa il triptofano perché si trova nel core e perché di solito le proteine
sono molto povere di questo AA (max 1 o 2), colpito emette una lunghezza d’onda facilmente rilevabile, una volta colpito viene
misurata l’intensità di fluorescenza e la lunghezza d’onda di emissione della luce.
L’intensità assoluta può però diminuire mantenendo invariata l’energia, e quindi è un parametro poco utilizzato, perché l’AA
all’interno della proteina e gli altri AA presenti anche se non fluorescenti possono assorbire la luce emessa dal triptofano (+ sono
vicino + ne assorbono), vengono infatti definiti agenti quiencianti. Se la proteina viene denaturata questi agenti possono
avvicinarsi/allontanarsi dal triptofano rendendo non veritiera la misurazione della luce emessa da quest’ultimo.
●
●
La latto albumina in presenza di Ca++ misurando la fluorescenza da 20° a 70° non si ha la stessa informazione, sembra che
la struttura non cambi per la lontananza/vicinanza del triptofano dagli agenti quencianti, misurando la lunghezza d’onda
alla quale la fluorescenza è massima si evidenza che la struttura della proteina inizia a cambiare a T=50° fino a 70° dove si
ha la struttura completamente denaturata
In assenza di Ca++ si ha residuo serico derivante dalla caseificazione, la proteina è quindi più termolabile perché non c’è il
Ca++ che le da rigidità e si denatura già a 30° e a 50° raggiunge la struttura completamente denaturata, ma anche in
questo caso l’intensità della fluorescenza non dà informazioni
La BLG ha due triptofano uno esposto e uno all’interno della catena, il
triptofano esposto lo è già nella forma nativa e quindi non da informazioni;
scaldando fino a 50-60° non ci sono modificazioni (non cambia emissione
massima) poi inizia a denaturarsi raggiungendo la struttura completamente
denaturata a 75°C
Quindi un altro modo per vedere se la struttura proteica è denaturata è vedere la
posizione di altri residui report. Bisogna trovare un residuo non abbondante nella
proteina (SH) che si trova all’interno per essere difeso dall’attacco dell’ossigeno (la BLG
ne ha 5 quello libero si trova nella tasca idrofobica) . Durante la denaturazione questo
residuo viene spostato all’esterno e per misurarlo esiste un reattivo, caratterizzato da
avere un ponte S-S che è in grado di legarsi con SH liberando un composto giallo. Nelle
proteine native non riesce ad agire, ma se la proteina espone il residuo riesce. Più SH
espongo più sarà giallo e si può effettuare anche durante il trattamento. L’esposizione del
residuo SH è il responsabile nel latte del sapore di cotto.
Metodo determinazione regioni idrofobiche sulla superficie della proteina
Un ulteriore metodo è quello di misurare un altro parametro, vedere se le regioni
idrofobiche esposte al solvente sono diverse. Non si vanno a vedere i singoli residui, ma
l’intera regione. Nella proteina nativa le regioni idrofobiche esposte sono il meno possibile,
se durante o alla fine del trattamento queste regioni vengono esposte la proteina ricerca
una sua stabilità in modo da minimizzarle. Se il trattamento è irreversibile (non torna alla
struttura nativa), cercherà altri metodi per stabilizzarsi. Se non può ripiegarsi su se stessa, tenderà ad aggregarsi formando polimeri
stabilizzati da interazioni idrofobiche.
Per determinare in che condizioni strutturali ci si trova si usano tecniche di fluorescenza. Bisogna utilizzare delle sonde idrofobiche
(di per se non fluorescenti, ma lo diventano legate a regioni idrofobiche), designate in modo tale che reagiscano solo con le regioni
idrofobiche delle proteine, in particolare con le regioni idrofobiche superficiali (esposte) non riuscendo a penetrale all’interno della
proteina. Esistono tante sonde idrofobiche, e vengono utilizzate per studiare il trattamento che ha subito il latte, si può infatti
distinguere in base all’idrofobicità superficiale un latte sterile da uno UHT, uno sterile da uno pastorizzato, ma NON un UHT da un
pastorizzato. Tuttavia se questo parametro viene combinato al numero di sieroproteine presenti si ha la possibilità di identificare
anche questo campione.
●
Modificazioni della struttura quaternaria → si formano aggregati di polimeri proteici (formati anche da proteine diverse)
che si associano per interazioni non covalenti (idrofobiche, legami H, elettrostatiche) e covalenti (S-S). nella forma nativa
della proteina il residuo SH è intracatena, denaturando viene esposto e può fare la disilfide exchange, formando polimeri
(avviene con tutte le proteine con ponti S-S), di questi ponti cambia solo la posizione non il numero, se voglio aumentare il
numero intervengo con un riducente se voglio diminuirlo con un ossidante.
Nell’elettroforesi si ha una miscela proteica marcata con sodio disolfato che conferisce carica – alle proteine, applicando
un campo magnetico i polimeri si dividono migrando verso il polo + (prima i + piccoli poi quelli + grandi), le proteine
progressivamente si associano in polimeri più grandi.
Metodo di evidenziare le zone idrofobiche esposte
Es alfa-lattoalbumina → che quando raggiunge 60° per un minuto aumenta la fluorescenza che poi diventa costante a 65° aumenta
ancora per 1 min e poi diminuisce drasticamente. A 60° aumenta perché la proteina si apre esponendo le regioni idrofobiche, a 65°
aumenta ancora raggiungendo il massimo della denaturazione (proteina aperta e instabile), e quindi si richiude formando aggregati
diminuendo la fluorescenza. Raffreddando la soluzione la proteina torna alla struttura nativa.
Es apoproteine → iniziano a denaturarsi a temperature più alte, l’apertura è istantanea al raggiungimento della T, ma si richiude
anche molto velocemente (formando aggregati), qui la fluorescenza è quasi irrilevabile.
Metodo di evidenziare il numero di SH accessibili (es su BLG)
Trattamento
Nessuno
55° 30min
55° 30min
SH accessibili
0,02
0,04 rilevato a fine trattamenti
1,02 rilevato durante il trattamento
A 55° la proteina si denatura reversibilmente quindi se rilevato a fine trattamento gli SH accessibili risultano nulli poiché torna nello
forma nativa
DENATURAZIONE PER EFFETTO MECCANICO
Sono dei cambiamenti a livello proteico degli alimenti nel quale l’agente modificante sono gli sforzi di taglio attraverso pressioni
comprese tra 400-800MPa. Esempi di denaturazione controllata nel materiale alimentare:
Processo
Impasto
Emulsionamento
Bersaglio
Gluteline/gliadine
Albumine
Filatura a caldo
Caseina
Estrusione
Globuline di soia
Effetto
Scambio di disolfuri
Esposizione regioni
idrofobiche
Esposizione regioni
idrofobiche
Scambio di disolfuri,
esposizione regioni
idrofobiche
Conseguenze
Formazione gel proteico
Stabilizzazione di interfacce
acqua/olio acqua/aria
Formazione di una massa
coesa
Formazione di prodotto
solido con texture
Cambia l’agente modificante, ma la denaturazione può avvenire nello stesso modo con cui avviene quella termodinamica:
La proteina può assumere una struttura denaturata transiente la quale può evolvere da una struttura denaturata diversa da quella
nativa (irreversibile) o ritornare alla struttura come quella nativa (reversibile). Anche in questo caso si ha un effetto cinetico e
termodinamico, che concorrono a definire l’entità della modificazione. Per rilevare le modificazioni si utilizzano le stesse tecniche
per la rilevazione di modificazione dei trattamenti termici
Stabilizzazione alle interfacce
Caratteristiche generali
Sono tutti quei trattamenti in cui è presente una fase continua al cui interno viene dispersa un'altra fase
Fase dispersa
Solida
Liquida
Gas
Fase Continua
Liquida
Liquida
Liquida
Definizione
SOL
Emulsione
Schiuma
Esempi
Latte
Panna/maionese
Meringa/impasti
EMULSIONI
Agenti modificanti
Azioni meccaniche
Azioni meccaniche + temperatura
Proteine coinvolte
Lipoproteine
Proteine globulo di grasso (micelle
inverse)
Prodotto
Maionese
Burro
Il maggior problema che riscontriamo nelle emulsioni, non è tanto la loro formazione, ma è il loro mantenimento (stabilità). Un
esempio molto comune di emulsione è la maionese, composta da tuorlo e olio. Il tuorlo è formato da lipoproteine e fosfolipidi
(entrambi espongono le zone idrofiliche verso la parte acquosa e orientano verso l’interno le zone idrofobiche). Nel momento in cui
si attiva un’azione meccanica (sbattimento) si aggiunge l’olio goccia a goccia poiché man mano che le proteine si denaturano,
espongono le zone idrofobiche, e iniziano ad avere delle interazioni con i lipidi dell’olio, formando un emulsione. Se si aggiungesse
l’olio tutto in una volta, questo non avrebbe il tempo di legarsi con le proteine, in quanto esse non sarebbero denaturate, e si
verificherebbe una separazione di fase. Anche l’intensità del movimento può portare ad una scorretta denaturazione, in quanto può
portare all’esposizione istantanea di tutte le zone idrofobiche e causare l’associazione con altre proteine presenti nell’alimento e
non con le goccioline di grasso, oppure la proteina può denaturarsi in maniera non completa o casuale portando all’associazione
delle stesse zone idrofobiche presenti nella proteina.
La stabilità di un emulsione cambia in base al tipo di proteine presenti nell’alimento e in base al rapporto tra zone idrofobiche e
idrofiliche. Le proteine dei cereali non sono facilmente solubili e non hanno un buon rapporto idrofiliche/idrofobiche. Lo stesso
principio della maionese, e delle emulsioni in generale, è alla base della formazione del burro: si parte dalla panna che subisce un
processo di sbattitura (zangolatura), in modo tale da rompere la particella di grasso (fatta come una cellula).
Le emulsioni di tipo acquoso hanno un ruolo importante nel caso in cui si vogliano risolvere le emulsioni. Risolvere un emulsione
significa estrarre un componente dall’emulsione, tramite aggiunta di un solvente (di solito esano). Un esempio di risoluzione è
quella dell’olio di oliva di sansa, che è l’olio recuperato dall’emulsione che si è formata dalla spremitura delle olive (olio e proteine in
acqua). Questa risoluzione è effettuata con esano in quanto meno polare dell’acqua e porta ad un ulteriore denaturazione proteica
con conseguente separazione di fase. Nel caso in cui non funzionasse con aggiunta di esano si può operare con enzimi.
SCHIUME
Agenti modificanti
Proteine coinvolte
Azioni meccaniche
Gluteline, gliadine
Scambio di disolfuri, crosslinking
Ovoalbumina
Le schiume sono composti che presentano una fase continua liquida (idrofilica) e una
fase dispersa gassosa (idrofobica). Un esempio di schiuma è l’impasto da pane e la
lievitazione di questo impasto dove il gas viene trattenuto all’interno. La cottura di
questo è effettuata solo per stabilizzare la schiuma e anche per dare un aroma e un
sapore gradevole oltre che renderlo più digeribile. Un altro esempio di schiuma è la
meringa dove durante la sbattitura degli albumi si ha un inglobamento di aria.
Processo/prodotto
Panificazione, dolci
meringhe
L’aria viene inglobata all’interno tramite azione meccanica, questo è possibile solo nel
momento in cui il movimento meccanico è effettuato nello stesso modo. Intorno alla
particella di gas è presente tutta la fase liquida con tutti i suoi componenti, tra cui le
proteine che espongono le zone idrofobiche verso il gas , in quanto anch’esso idrofobico,
le fasi idrofiliche invece vengono esposte verso la fase continua (acquosa). La schiuma
una volta formata deve essere cotta, in quanto senno si formerebbe un composto che non è più quello iniziale, ma diverso senza le
caratteristiche della schiuma.
Per formare le schiume non vanno bene tutte le proteine, ci sono tre punti da considerare nella formazione di una schiuma:
1.
2.
3.
Il gas non rimane per sempre (evapora)
L’acqua evapora
L’acqua tende a concentrarsi nei punti nodali
Questi tre fenomeni sono i parametri che causano il collasso della schiuma. L’evaporazione si può controllare fino ad un certo punto
(si può sapere il tempo di uscita e quindi cuocere prima che evaporino). Per quanto riguarda la migrazione dell’acqua verso i punti
nodali, si può rallentare con la viscosità (per questo motivo l’albume è ottimo per la formazione delle meringhe) e quindi bisogna
cercare una fase liquida che sia viscosa, oppure aumentarne la viscosità di essa con l’aggiunta di sostanze come lo zucchero o i
derivati dell’amido. Anche nel vino e nella birra vale lo stesso ragionamento, cambia la quantità di zucchero da vino a vino, la
schiuma dei vini dolci è più persistente che quella dei vini secchi. La cottura non fa la schiuma, ma la stabilizza e ne evita il collasso.
Per la formazione di schiuma è di fondamentale importanza l’azione meccanica. Quindi per la formazione di una schiuma si deve
avere una struttura bilanciata tra le zone idrofobiche e idrofiliche, le proteine devono essere solubili e dopo la loro denaturazione si
devono trovare in un ambiente viscoso.
Ruolo delle proteine
Tipo di interazione
Acqua – olio
Acqua – aria
Denominazione del sistema
Emulsione
Schiuma
Caratteristiche
Composizione bilanciata
Alta solubilità
Composizione bilanciata
Viscosa dopo denaturazione
Le proteine sono di natura anfotera, cioè presentano zone idrofobiche insieme a quelle idrofiliche. Il ruolo delle proteine nella
stabilizzazione alle interfacce è molto legato alla struttura tridimensionale. La presenza di zone idrofobiche è molto importante
anche per alcuni utilizzi specifici, ad esempio il poter legare composti idrofobici volatili e incompatibili nel sistema: se ci fossero dei
lipidi in soluzione acquosa e non ci fossero proteine a stabilizzare la soluzione, avverrebbe una migrazione dell’acqua dai lipidi, e
quindi una separazione di fase. Un esempio è l’albumina di siero (presente nel sangue): è una proteina con una struttura
tridimensionale formata da sole alfa-eliche che formano una sacca idrofobica che contiene le particelle di grasso. Questa proteina
ha il compito di trasportare il grasso nel sangue; nei prodotti alimentari questa proteina, con questa struttura tridimensionale, ha lo
scopo di legare gli aromi. Un tempo negli alimenti veniva aggiunto del sangue animale per rendere possibile l’interazione con due
elementi che non sono compatibili, poi con il passare degli anni, dopo il caso della mucca pazza si è cercato un sostituto per il
sangue, e adesso vengono utilizzate le sieroproteine del latte.
Denaturazione interfacciale di proteine: ruolo di interfacce solide e liquide
e denaturazione BLG
Non si guarda solo la stabilizzazione, ma anche gli effetti che questo può
avere sulla nutrizione, quindi come si comporta una cellula nel momento in
cui gli viene fornita una microemulsione: fornirle una proteina come
microemulsionata o normale è la stessa cosa o no? L’albume è più allergico
se viene fornito come tale o microemulsione?
2 esempi → l’interfaccia può essere costituita da un interfaccia liquida (olio)
e una micro particella idrofobica (polistirene) solida. Una proteina si associa e nell’associarsi con una superficie liquida si ha una
denaturazione che comporta anche all’inglobamento (c’è una penetrazione della proteina nell’emulsione). Con una particella solida
c’è solo un adesione e il sistema rimane rigido.
la struttura della proteina è cambiata ed è attaccata alla particella (liquida o
solida), ciò lo si capisce dall’analisi spettrofotometrica. Il primo grafico,
quello dove la proteina è legata a una particella solida, mostra che la
proteina è in condizioni strutturali diverse da quella nativa. Anche nel caso
della nano emulsione la proteina è diversa. I due nativi nei grafici sono
diversi, rappresentano la stessa proteina, ma la struttura sembra diversa in
realtà quello che cambia è la scala utilizzata per crearli. Gli altri due invece
sono diversi e c’è un massimo diverso. Questa fluorescenza dice che
l’interazione delle proteine con due diverse interfacce (sempre idrofobiche)
ma una solida e una liquida è completamente diversa, e che anche la struttura
che si viene a formare risulta diversa.
Se sulla proteina usiamo la tripsina (proteasi) la proteina viene frammentata in
maniera diversa, i picchi sono diversi: nella nano emulsione (rossa) si ha una
frammentazione maggiore (viene smontata molto più velocemente) e quindi
questa proteina sotto forma di nano emulsione sarà digerita più facilmente. I vari
picchi nel grafico corrispondono ai vari peptidi che si formano, nella proteina
nativa (nera) sono pochi, quella presente sulla superficie solida (blu) risulta
frammentata in maniera diversa sia dalla nativa che dall’emulsione, in particolare
risulta meno frammentata di quest’ultima.
LEGENDA
Rossa →nano particella 46nm
Blu → nano particella 200nm
Verde → nativa (controllo)
Particelle solide → se l’associazione delle proteine fosse la stessa si
avrebbe la stessa risposta e quindi tutti i picchi sarebbero uguali. Il blu
e il rosso non sono uguali, più la particella è grossa (blu) più la
proteina viene frammentata. Il tipo di struttura che assume la
proteina sulla superficie
della nano particella è
diversa da quella che
assume sulla superficie di nano particelle più piccole. In una nano particella di dimensioni
maggiori oltre ad avere una struttura diversa, se ne trovano adese un numero maggiore
(maggiore superficie dove aderire). Nel tipo di struttura che si forma della proteina sulla
superficie è importante oltre al tipo di superficie (liquida o solida) anche la dimensione di
essa.
Un altro aspetto interessante è come il nostro sistema immunitario (anticorpi) riconoscono le diverse proteine e quindi anche
diversi allergeni. Questo è un test immunochimico, se non c’è riconoscimento a diverse concentrazioni di proteina non si hanno
variazioni di assorbanza (caso dell’albumina di siero bovino)
Gli anticorpi riconoscono la BLG, e si ha una certa risposta, se la si
presenta come nano particella legata a 20 e nano particelle legate a
200 quello che succede è che l’anticorpo la riconosce in maniera
maggiore (questa forma è più immunogenica). Queste strutture
sono state date ai monociti (cellule sistema immunitario deputate a
selezionare le sostanze che devono entrare o meno). Ci si è accorti
che questa struttura che si è legata come nano emulsione viene
maggiormente assorbita dai monociti, quindi modificando la
struttura ho effetti differenti, non solo nella preparazione di
alimenti, ma anche nelle risposte dell’organismo stesso.
Impasti: Pasta e Pane
Come si possono caratterizzare gli impasti dando particolare attenzione al ruolo delle proteine, vedendo come nei due casi la
principale azione agenti è data dall’azione dell’impastamento?
PASTA SECCA
Secondo la legislazione italiana per pasta secca si intende quella fatta con la farina di grano duro, secondo la legislazione europea
con il grano tenero. Per fare una pasta di semola gli ingredienti sono la semola e l’acqua. La semola è composta dal 18-20% di acqua,
20% di proteine (80% delle quali proteine del glutine con funzione di riserva), e il resto è amido. Il glutine è formato dalla frazione di
proteine solubili in alcool (prolamine e gliadine nel caso del frumento) e dalla frazione di quelle solubili in mezzi debolmente acidi o
alcalini (glutenine). Il resto delle proteine sono globuliniche o albuminiche e sono le proteine che costituiscono la frazione
enzimatica (proteasi, amilasi ecc) con un ruolo marginale nella formazione degli impasti.
LEGENDA
Amido → pallino giallo
Gliadine e glutenine → cubo azzurro e cilindro rosa
Queste proteine sono in un ambiente abbastanza anidro (16-18% acqua), nel
momento in cui si fa l’impasto e si aggiunge acqua (se ne arriva ad avere il 40%),
si passa da un ambiente anidro ad uno abbastanza ricco di acqua. L’effetto che si
ha sull’amido è minimo, se non nullo, infatti la principale modificazione
dell’amido (gelatinizzazione) avviene si con l’aggiunta di acqua, ma questa deve
essere calda. Quindi il granulo dell’amido rimane integro. Le proteine invece
passano in ambiente molto più acquoso e poi con il passaggio successivo (impastamento) subiscono una modificazione strutturale
(il cubo diventa un parallelepipedo e il cilindro si allunga). Questa modificazione porta ad avere le proteine ad una struttura
denaturata (avranno una struttura transiente dove si avrà maggiore esposizione delle zone idrofobiche) e sia le gliadine che le
glutenine sono proteine ricche di ponti S-S intracatena oltre a residui SH, e in seguito all’impastamento si avranno scambi di disolfuri
e si creeranno legami S-S intercatena. Queste proteine si assoceranno tra loro formando un reticolo proteico, stabilizzato da
interazioni si tipo S-S intercatena e interazioni idrofobiche. All’interno di questa rete si trovano i granuli di amido e intorno ci sarà
l’acqua. Una fase essenziale che segue è l’essicazione, tramite questa operazione viene tolta l’acqua, ma non immediatamente e in
una volta, si allontana gradualmente perché altrimenti si andrebbe incontro ad una rottura della pasta. L’essicazione è importante
per togliere l’acqua per motivi microbiologici, e perché serve per consolidare il reticolo proteico intorno al granulo di amido in
quanto togliendo metà dell’acqua la struttura proteica si deve nuovamente riorganizzare e le proteine subiscono ancora una
denaturazione strutturale dovuta alle temperature alle quali si effettua l’essiccamento che facilita e consolida il reticolo formatosi.
Per aumentare la compattezza del reticolo bisogna agire sulla temperatura di essiccazione aumentandola.
Il reticolo compatto è essenziale per avere una certa qualità della pasta, essa infatti deve essere cotta subendo una trasformazione
dell’amido il quale parzialmente si solubilizza, ma maggiormente si gelatinizza. Un amido gelatinizzato è molto più fluido di uno non
gelatinizzato quindi senza un reticolo che riesca a trattenerlo all’interno si otterrebbe una colla. La caratteristica essenziale che deve
avere una pasta è che il reticolo proteico formatosi sia in grado di trattenere l’amido gelatinizzato.
Più la semola utilizzata per fare la pasta è di ottima qualità minori dovranno essere le temperature di essiccamento. L’essiccamento
a basse temperature significa un prodotto meno scuro (meno reazione di maillard che nella semola ci sono presenti zuccheri liberi),
naturalmente non si può andare oltre una certa temperatura altrimenti si otterrebbe una pasta molto scura (tipo quella integrale).
In generale per basse temperature si intendono 50-55°, ma si può arrivare fino a 90°, quindi se si vuole una pasta di qualità bisogna
partire da materie prime di qualità. La maggior parte di grano duro in italia viene importato perché quello locale non basta, la fase
più costosa del processo di produzione della pasta è l’essiccamento.
PASTA ALL’UOVO
La pasta all’uovo fu inventata in pianura padana perchè si avevano a disposizione grani non in grado di reticolare, con l’aggiunta di
uovo (ovoalbumina) si riusciva a creare reticoli e inoltre questa proteina non interferiva con la formazione di reticolo del glutine, ma
anzi i reticoli si incastravano a formarne uno più compatto. Lo stesso aspetto non lo fanno però tutte le proteine, le paste con i
legumi (non diffuse in italia) non sono facili da integrare nel reticolo glutinico pur essendo costituite da molte interazioni intracatena
S-S. Altre proteine che vanno bene per rafforzare il reticolo glutinico sono le sieroproteine, se venisse aggiunto solo il tuorlo e non
l’albume questo avrebbe comunque un ruolo importante perché contiene lipoproteine, le quali interagiscono idrofobicamente e
stabilizzano il reticolo (fanno da tappo, come facevano con le emulsioni e le schiume)
Come si possono studiare le caratteristiche dell’organizzazione strutturale su una pasta secca
Si può sapere se una pasta secca è stata essiccata a basse o alte temperature andando a vedere il parametro della furosina. Il primo
parametro per studiare l’organizzazione strutturale delle proteine è quello di vedere la natura delle interazioni tra le proteine.
Ecco due proteine native (gliadina e glutenina) con le zone idrofobiche (rosse)
verso l’interno della proteina e eventuali residui SH o legami S-S intramolecolari.
Se aggiunge acqua, si impasta e si forma un reticolo interproteico il quale è
formato da tante catene polipeptidiche, le quali a loro volta sono associate o da
interazioni idrofobiche o da legami S_S intercatena. Questo può essere in base al
trattamento più o meno compatto.
Un sistema per capire la natura dei diversi componenti presenti nel reticolo è quello di fare la solubilità in diversi mezzi. Questo vuol
dire che si prende la pasta, la si polverizza e la si disperde in diversi mezzi e si vede che proteine si solubilizzano. Bisogna
solubilizzare questo reticolo in un sistema salino che solubilizza le proteine non associate nel reticolo, perché le proteine nel reticolo
non risentono del sistema salino, e da un’idea se ci sono, a seguito dell’essiccamento, delle proteine ancora non associate nel
reticolo. Si aggiunge un altro componente, l’urea, denaturante in una concentrazione (5-6 molare), che denatura le interazioni
idrofobiche perché toglie l’acqua.
Per dissociare i legami S-S, invece bisogna aggiungere un riducente, come ad esempio il litio tretiolo, un composto SH che si ossida,
e quindi fa ridurre quello proteico.
Da una stessa semola sono stati fatti tre spaghetti, i quali sono stati essiccati a diverse temperature. Con l’aggiunta di fosfato quella
a basse temperature ha più proteine libere in quanto queste, a basse temperature, non si sono denaturate molto e quindi non
hanno interagito con il reticolo proteico, gli altri due sono meno in quanto si sono denaturate di più. Se si aggiunge urea si ha
incremento dovuto alle frazioni proteiche dove sono stati rotti i legami idrofobici; quello che si nota è che le interazioni idrofobiche
sono maggiormente presenti in un essiccamento a bassa temperatura, le proteina hanno il tempo per associarsi idrofobicamente tra
loro, mentre ad alte temperature le proteine sono talmente denaturate che si polimerizzano, senza formare (o facendolo poco)
interazioni idrofobiche. Se si aggiunge DTT (il riducente) e si osservano tutte le proteine solubilizzate, si ha la massima
solubilizzazione del reticolo formato, e quello che ci si aspetta è che siano tutte paragonabili (è la somma di tutte e tre), perché se
non sono paragonabili vuol dire che il reticolo è così compatto che non si solubilizza niente (si è vicini ad avere una plastica). Quello
che si guarda è il salto che si ha da quando si aggiunge solo urea a quando si aggiunge urea+DTT, perché l’incremento è dovuto al
fatto che erano presenti polimeri con interazioni S-S. quello che si nota è che negli spaghetti essiccati ad alta temperatura si ha un
maggior contributo di interazioni S-S nel compattamento del reticolo proteico. Tuttavia, in quelli a bassa temperatura ci sono lo
stesso interazioni di questo tipo anche se in maniera percentualmente meno importante, ma è abbastanza per avere una pasta di
qualità, si ha invece una distribuzione più omogenea nella stabilizzazione del reticolo tra interazioni idrofobiche e covalenti S-S.
Un altro sistema per vedere come è fatto il reticolo è quello di aggiungere nella sospensione un reattivo
che va ad associarsi con un residuo SH e creare un composto colorato (si lega con quelli esposti non
quelli che si trovano all’interno). Si può fare un’analisi dei residui SH si dopo la denaturazione che prima, i
residui esterni SH vengono riconosciuti anche solo dal reagente mentre per riconoscere anche quelli
interni si necessita la presenza di urea.
Dal grafico si può notare che dopo l’essiccamento a basse temperature, con
aggiunta di urea, ci sono molti più residui SH che in quelle ad alte temperature.
Questo avviene perché il reticolo essiccato a basse temperature è regolato
soprattutto da interazioni idrofobiche rispetto a quello ad alte temperature, il
quale sarà stabilizzato soprattutto da interazioni S-S (meno residui SH liberi).
Con questi due mezzi si è vista un’organizzazione sul reticolo (quali interazioni lo stabilizzano e se è più o meno compatto), per avere
un’informazione generale ci sono due metodi: il più semplice è quello di fare uno spettro di fluorescenza. Per studiare la
fluorescenza si può utilizzare lo stesso metodo dell’esposizioni delle zone idrofobiche che si legano con il marcatore, in questo caso
non si guarda il massimo del picco, ma l’intensità di fluorescenza (più sarà alta maggiore saranno le zone a cui si è legato il
marcatore).
La diversa strutturazione del reticolo proteico (formato a bassa o alta temperatura di essiccazione) influisce molto sulla tenuta della
pasta durante la cottura. Questa diversa organizzazione strutturale delle proteine interessa, quando si fa cuocere la pasta, un
parametro molto importante che è la mobilità dell’acqua rispetto alle proteine e rispetto all’amido che va a gelatinizzare. Cioè come
l’acqua è legata o all’amido o alle proteine, il prodotto migliore è quello in cui l’acqua ha un gradiente di mobilità che non è
uniforme, ma che varia con le interazioni tra amido e proteine. I prodotti studiati che presentano una mobilità uniforme sono stati
definiti come prodotti di scarsa qualità. la qualità di una pasta varia anche in base a come l’acqua si lega ( non intesa come aw),
quindi come si può muovere all’interno delle varie macromolecole. Se c’è un gradiente ho un prodotto che non la assorbe e ho un
prodotto di qualità, se non ho un gradiente avrò un prodotto che assorbe molta acqua e diventa spugnoso.
IMPASTO DA PANE
Per fare un impasto da pasta le proteine devono reticolare spontaneamente, nell’impasto da pane ci sono due compromessi, perché
la differenza tra questo e la pasta è che nel pane devo avere una lievitazione e durante questa il reticolo subisce una deformazione.
Un reticolo non deve essere tenace, perché senno non riuscirebbe a dilatarsi con la formazione di bolle di CO2, ma d’altro canto se
questo reticolato fosse troppo lasso, e quindi si deformasse facilmente, si avrebbe una bella lievitazione, ma che non trattiene le
bolle di CO2 (a un certo punto si siede). Quindi nella formazione del reticolo ci deve essere un compromesso tra tenacità ed
elasticità, deve formarsi ma deve anche trattenere. Una farina per fare una pasta non va bene per il pane, bisogna scegliere un
reticolo proteico che riesca a tenere un certo tipo di lievitazione, in quanto le lievitazioni non sono tutte uguali. Se una farina non va
bene per fare pasta o pane si fanno i biscotti, perché questi sono friabili e pieni di grassi, quindi non devo avere un reticolo, ma devo
avere una rottura delle proteine.
La fase di cottura: quando si cuoce il pane si ha sempre la gelatinizzazione dell’amido, che richiede acqua la quale viene presa da
quella intorno alle proteine, l’acqua migra dalle proteine all’amido e lo gelatinizza. Il reticolo proteico si destruttura formando una
struttura compatta intorno al granulo d’amido. Quest’acqua legata all’amido è responsabile del rapprendimento e quindi della
shelf-life del pane. Questo perché man mano che il pane rimane li nel tempo l’amido gelatinizzato tende ad andare ad un
organizzazione tramite transizione vetrosa, molto più organizzata che trattiene meno acqua. In questo modo tende ad espellere
l’acqua che ritorna sulle proteine, le quali si modificano ulteriormente facendo diventare il pane più molle. Per ritardare questo
processo si inserisce qualcosa che assorba molta acqua (fibra), infatti il pane integrale ha una shelf-life molto maggiore, oppure si
mettono dei polisaccaridi particolari o si fa u pane condito (all’olio/latte). Nella fase successiva l’acqua che arriva alle proteine
evapora molto velocemente, infatti il pane prima di rapprende e diventa molle e poi secco. Questo processo di migrazione e
evaporazione si osserva con il pane che prima era congelato, il congelamento porta ad un ulteriore gelatinizzazione che fa però
perdere velocemente l’acqua facendolo seccare subito.
Omogeneizzazione
Il più importante trattamento di omogeneizzazione è quello sul latte e derivati. Esso viene effettuato per una questione di
presentazione dell’alimento, infatti ritarda il normale processo di separazione tra le fasi che avverrebbe. Nel latte crudo sono
presenti diversi sistemi in un ambiente acquoso: sieroproteine solubilizzate, micelle di caseina, globulo di grasso che tende nel
tempo ad associarsi ad altri globuli e ad affiorare in superficie. Il trattamento di omogeneizzazione rende i globuli di grasso e le
micelle di caseine più piccoli e tutti delle stesse dimensioni in modo da ritardare il tempo di affioramento. Il processo consiste nel
far passar e il prodotto attraverso un ugello a una temperatura stabilita (50-60°) e sottopressione, si ha come effetto un enorme
sforzo di taglio che va a colpire le macrostrutture del globulo e delle micelle.
Struttura del globulo: la parte centrale, definita core lipidico, è costituita da
trigliceridi, AG liberi AG insaturi e colesterolo. Questa parte centrale è rivestita
esternamente da una membrana monostrato, che fa si che una frazione lipidica
idrofobica possa essere emulsionata all’interno di un ambiente idrofilico (latte). In
essa sono presenti proteine integre, proteine verso l’esterno idrofilico, proteine
all’interno della membrana, appoggiate, fosfolipidi. Queste proteine sono strutturate
in modo che le parti idrofiliche siano disposte verso l’ambiente acquoso, le parti
idrofobiche verso il core lipidico. Molto spesso le proteine integre di membrana sono
glicosilate, di solito serviva come riconoscimento di alcuni elementi, in questo caso è
utili a rendere più idrofilica la proteina. Se non si avesse la membrana si avrebbe una netta separazione di fase. Tra la membrana e il
core lipidico c’è una zona si AG o lipidi basso fondenti. Nel latte crudo non trattato abbiamo tutta la parte grassa emulsionata nel
liquido e i globuli li troviamo in dimensioni variabili.
L’omogeneizzazione serve a rendere questi globuli di grasso di dimensioni più piccole e in
seguito ad essa si ottengono globuli conn la caratteristica di avere un rivestimento esterno
di proteine, in particolare di caseine (costituite da zone idrofobiche) che formano una
membrana mista, costituita da caseine e frammenti di membrana nel globulo. Infatti se si
dividesse un globulo di grasso in 4 globuli più piccoli il perimetro della membrana non
sarebbe in grado di coprirli tutti, in questo modo le zone idrofobiche vengono esposte.
Tuttavia i globuli che si formano sono perfettamente emulsionati perché si è formato un
rivestimento caratterizzato anche dall’associazione delle proteine presenti nel latte, come le
caseine. Si ottengono così dei globuli diversi da quelli iniziali, caratterizzati da un
rivestimento formato da residui della membrana del globulo di grasso originale più le
caseine. Le caseine vanno bene perché sono formate da una parte idrofobica e una idrofilica, quindi quando la micella viene rotta
queste formano la membrana mista del globulo di grasso (espongono le zone idrofiliche e tengono all’interno quelle idrofobiche).
Questo è un ulteriore esempio della caratteristica delle proteine di stabilizzare alle interfacce e quindi di riuscire a far stare un
elemento all’interno di un ambiente anche se questi erano in contrasto da un punto di vista chimico e organizzativo. Anche la panna
viene omogeneizzata, per evitare la separazione di fase che avverrebbe.
Esempio → separazione mediante elettroforesi (in base alla carica) delle proteine
presenti su un globulo di grasso di una panna che ha subito diversi trattamenti.
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●
●
Nel lane 3: panna cruda, abbiamo solo proteine dei globuli di grasso indicate
con numeri (coefficienti di sedimentazione 3, 12 ,15)
Nel lane 4: omogeneizzazione, osserviamo oltre la presenza di 3, 12 ,15 le
diverse frazioni di caseine. Nel globulo di grasso abbiamo dunque un elevato
inglobamento di caseine
Nel lane 5: panna omogeneizzata e trattata termicamente, osserviamo
l’aggiunta di BLG e ALA durante il trattamento termico. Questo vuol dire che
le sieroproteine si sono aggiunte durante il trattamento termico e si associano
alle proteine già presenti nel globulo
Il globulo di grasso omogeneizzato è strutturalmente diverso da quello originariamente presente nel latte crudo non
omogeneizzato. Un altro metodo per andare a vedere che il globulo di grasso risulta strutturalmente diverso da quello presente nel
latte crudo, è rappresentato dallo studio della suscettibilità della frazione lipidica agli enzimi deputati all’idrolisi degli AG (lipasi).
Questi enzimi lavorano all’interfaccia tra l’ambiente acquoso e il globulo. L’enzima libera un AG dal trigliceride, si ha quindi una
variazione locale di pH. L’attività lipolitica si può misurare attraverso la variazione di pH.
Si nota che successivamente all’omogeneizzazione l’attività della lipasi cambia in funzione della
pressione. Fino ad una certa pressione abbiamo un aumento di attività lipolitica modesto,
successivamente un rapido aumento. Ciò ci dice che la struttura del globulo di grasso dopo
l’omogeneizzazione è profondamente diversa non solo nel rivestimento ma anche
nell’organizzazione strutturale all’interno del core lipidico. Nessun formaggio viene prodotto
da latte omogeneizzato questo per il profondo cambiamento dell’organizzazione del globulo di
grasso e per il fatto che il trattamento di omogeneizzazione ha anche effetto sulle micelle
caseiniche, infatti le rompe. Gli enzimi responsabili della coagulazione agiscono comunque
sulle micelle ma non si va a formare quel reticolo regolare alla base le micelle sono state
strutturalmente modificate.
Il comportamento diverso nei confronti della coagulazione a seguito dell’omogeneizzazione si
può osservare seguendo un parametro rappresentato da misure riguardanti la luminosità. Man
mano che il latte coagula, si hanno all’interno delle variazioni che si traducono in una diversità
di dispersione della luce, che viene misurata. Abbiamo 4 curve di luminosità dello stesso latte
che ha subito trattamenti differenti. La prima curva rappresenta il latte crudo, la seconda quello
trattato termicamente, la terza e la quarta un latte che ha subito omogeneizzazione in due
condizioni differenti. Nel caso del trattamento di omogeneizzazione (specialmente il qu quarto)
si ha una netta diminuzione della luminosità, e la curva passa da iperbolica a sigmoide, ciò si
traduce nel fatto che non si forma un coagulo tale da permettere la produzione di formaggio, i
primi due invece lo formano tranquillamente, mentre il terzo a fatica. Il fatto che non si formi
un coagulo non significa che l’enzima non agisce (se fosse così la linea sarebbe piatta), ma che
agisce su un substrato diverso avendo così un prodotto diverso. A seguito di questa diversa azione dell’enzima un ruolo importante
lo hanno le proteine, ciò lo possiamo osservare attraverso la misura dell’idrofobicità superficiale (con l’utilizzo del marcatore ANS).
Nel caso di trattamento di omogeneizzazione si ha un cambiamento molto drastico e questo è una conferma che si ha
un’esposizione di zone idrofobiche, ma in maniera diversa da quella ottimale per avere un coagulo. L’omogeneizzazione non
preclude l’azione dell’enzima che serve a coagulare, ma questo si trova ad agire, come detto prima su un substrato diverso. Se
l’omogeneizzazione non viene effettuata ad alte pressioni (60-70atm) non si ha la forza di formare una membrana mista.
BURRO
Se si fa la stessa azione meccanica su una panna variando i parametri (basse pressioni e basse temperature 4°) non si ottiene la
panna omogeneizzata, ma il burro. In questo caso si ha sempre uno sforzo meccanico (zangolatura) che rompe il globulo di grasso,
facendolo diventare piccolo, ma non si ha l’energia per formare una membrana mista, il globulo di grasso si rompe e si formano
tanti piccoli globuli di grassi i quali hanno rivestimento solo parziale (solo una parte ricoperta dal monostrato del globulo originale, il
resto è rappresentato da una parte lipidica esposta nelle parte acquosa). In questo modo il sistema trova la stabilità attraverso
l’associazione idrofobica del core lipidico esposto. Si forma una micella inversa: micelle associate idrofobicamente con zone
idrofiliche limitate e confinate in cui intorno hanno l’acqua. Il burro passa a u sistema dove la fase continua è lipidica e la fase
dispersa l’acqua.
Denaturazione ad alte pressioni
Per alte pressioni significa dai 6000-8000atm. Sono pressioni alle quali si può utilizzare
questo trattamento per pastorizzare, ovvero bisogna scegliere la pressione adeguata
per inattivare i batteri. È una tecnologia che viene usata per fare metalli e diamanti
sintetici (prima non era pensata per gli alimenti). La tecnologia che c’è dietro è quella
che il prodotto viene trattato intero e non si deforma durante il processo in quanto in
ogni punto del campione che si tratta c’è la stessa pressione. Il prodotto viene messo in
una vasca nella quale viene applicata in tutti i punti la stessa pressione (senno il
prodotto si deformerebbe). Perché ci sia una trasmissione di pressione occorre che il
prodotto sia in un fluido di governo (acqua), applicando una pressione si ha una
variazione di volume, il microorganismo quindi muore perché la cellula aumenta di
volume variando gli equilibri osmotici e causandone la rottura.
A differenza della temperatura che modificava l’organizzazione dell’acqua la pressione
modifica il volume, e quindi colpisce tutti questi sistemi sensibili a questa variazione. Il
primo bersaglio è rappresentato dalle cellule, le differenze poi si evincono dalla tabella.
Il vantaggio delle pressioni alte è che non si hanno effetti si vitamine o zuccheri, quindi
l’alimento non perde il contenuto vitaminico e non andrà incontro a reazione di
maillard. Sugli alimenti secchi non serve a niente, un utilizzo è sui piatti pronti, sul succo
d’arancia o su tutti quegli alimenti che se sottoposti a trattamento termico si modificherebbero troppo come ad esempio le verdure.
Un vantaggio del trattamento pressorio è che è istantaneo, poi alla pressione non si ha un gradiente come accade nella
temperatura, e inoltre rimane in tutti i punti uguali e alla fine si ha una rapida depressurizzazione. Nel momento in cui si aumenta la
pressione aumenta anche la temperatura, tuttavia questo non è un problema perché ci sono delle camere refrigerate che
abbassano la temperatura ad alta pressione. Il problema più grande è che aumentando la pressione si ha la dissociazione degli acidi
e di conseguenza un aumento di pH, su questa variazione non si può agire ma tutto orna normale a pressione ambiente.
HP Trattamento
Non è possibile lavorare sopra le 9000 atm, non ha effetto sulle piccole molecole, non ha effetto su vitamine, non fa reazione di
Maillad e non ha effetti su sistema anidro. Per quanto riguarda le proteine o le macromolecole, avendo una variazione di volume si
ha come bersaglio i legami deboli che stabilizzano le proteine (non rompe legami peptidici). In questo trattamento si ha un
intaccamento sulle interazioni ioniche (variazione di pH) che può favorire o meno l’associazione tra varie molecole.
Studio sull’albume e sull’ovoalbumina
Dal punto di vista microbiologico l’albume rappresenta un problema in quanto è contaminato e quindi pericoloso, e ci sono dei
prodotti che prevedono l’utilizzo di albume crudo che non può essere utilizzato come albume pastorizzato (tiramisu). Facendo un
trattamento pressorio l’albumina precipita tutta, si ha una perdita totale di proteina e vedendo questo risultato bisognerebbe non
prender ein considerazione questo trattamento; ci si è accorti che aggiungendo all’ovoalbumina zucchero e sale si ha che questa
rimane perfettamente solubile. A questo punto possono essere successe due cose:
1.
L’aggiunta di zucchero e sale può avere un effetto protettivo nei confronti della struttura,
mantenendola intatta
2.
Questi agenti determinano una denaturazione tale che si abbia una proteina diversa da quella iniziale, ma perfettamente
solubile
Per vedere quale è l’effetto sull’ovoalbumina basta trattarla e fare un esame ottico spettrofotometrico dell’UV misurando la
conformazione secondaria.
In questi grafici è rappresentata la variazione della struttura secondaria (A) e quella terziaria (B) dell’ovoalbumina presente
nell’albume, quella più bassa rappresenta la struttura nativa della proteina, andando verso l’alto verso 0 abbiamo diversi spettri che
si riferiscono a una proteina trattata a 6000 o 8000 per tempi diversi. Quella trattata a 8000 per maggior tempo è l’ultimo in alto e
dice che la struttura secondaria della proteina è diversa. Quindi il trattamento pressorio in presenza dello zucchero, comporta una
modificazione della struttura secondaria (è diversa ma comunque solubile). Quella sotto è la struttura terziaria si ha una struttura
denaturata diversa ma comunque solubile. Se non ci fosse stato lo zucchero si avrebbero avuto tanti peptidi separati che sarebbero
precipitati.
In questo caso si è lavorato solo su un prototipo di albume, quindi su un albume creato in laboratorio aggiungendo gli stessi
elementi presenti in quello dell’uovo, ma si è visto che l’azione protettiva che si ha su questo
sistema modello si è avuta anche sul prodotto. Per vedere se l’ovoalbumina ha subito delle
modificazioni si una un metodo che viene utilizzato anche per vedere un marcatore di
invecchiamento delle uova. L’ovoalbumina invecchiando subisce una modificazione strutturale
e assume una conformazione S più stabile.
A questa perdita di alfa elica è legata una glutammina
che perde un gruppo amminico e diventa un gruppo glutammico. Più si hanno proteine S
più l’uovo è invecchiato, (grafico a destra è quello trattato), il tracciato cromatografico in cui
si sono separati i diversi componenti dell’albume. N è la proteina nativa e S quella più
stabile, quando invecchia Sali il picco S. si ha un prodotto liquido con una leggera variazione
di viscosità però le proprietà schiumogene dell’albume pressorio, non sono come quelle
nativi ma si avvicinano (nell’albume trattato sono pari a 0 rispetto quello nativo).
L’esperimento è stato fatto anche sul tuorlo e si è visto che con il trattamento pressorio non
si hanno molte modificazioni (perde un po’ di capacità emulsionanti). Sul latte non viene
fatto il trattamento pressorio perché non cambia molto.
Enzimi sotto pressione
Gli enzimi sotto pressione, soprattutto lipasi e esterasi subiscono un cambiamento di accessibilità al substrato, per cui alcune
conversioni, che a pressione ambiente sono il 2% ad alte pressioni diventano le principali. Si cambiano le affinità al substrato, ma la
pressione deve essere tale da non denaturare l’enzima il quale altrimenti perderebbe la sua funzionalità.
Denaturazione enzimatica
Con il termine denaturazione enzimatica si intende l’intervento degli enzimi sulle proteine. Essi possono essere naturalmente
presenti in alcuni alimenti oppure aggiunti per ottenere determinate modificazioni. Gli enzimi nel processo di produzione del
formaggio intervengono nella formazione del coagulo definito caseificazione, e nella maturazione del prodotto; in altri processi
invece possono intervenire come coadiuvanti di processo, facilitandoli, possono essere impiegati anche per controllare
selettivamente il rilascio di aromi o per stabilizzare le bevande
FORMAGGIO
1.
Coagulazione → la coagulazione è un processo svolto dalla proteasi coagulante, un enzima proteolitico che agisce su una
matrice proteica ben specifica (frazione caseinica), le proteasi usate nella caseificazione sono: rennina (naturale o
ricombinante), proteasi da muffe o vegetali. La rennina naturale è la proteasi presente nello stomaco degli animali e non è
altro che una miscela di due proteasi, la chimosina e la pepsina, sono entrambe delle aspartico proteasi. Il rapporto
chimosina e pepsina dipende dall’età, più giovane è l’animale e maggiore è il rapporto in favore della chimosina (quando è
giovane si avrà pochissima pepsina), con l’invecchiamento il rapporto si inverte. Per coagulare utilizzo lo stomaco del
vitello perché l’enzima che mi serve maggiormente è la chimosina, perché la pepsina agisce sui residui idrofobici e acidi
mentre la chimosina agisce solo sulla k caseina e ha una bassissima affinità per le altre frazioni (proteasi altamente
specifica). Esistono delle proteasi alternative o meglio sostitutive e queste sono le proteasi da muffe o da vegetali (ficina,
papaina, estratti da cardo, estratti da carciofo) i quali hanno una proteasi che ha la capacità di proteolizzare in maniera
limitata la caseina e produrre quindi un coagulo con caratteristiche peculiari per poi poter diventare un formaggio.
2.
La chimosina nella coagulazione agisce sul residuo 105-6 della k caseina e ha la capacità di tagliare la parte idrofilica
destabilizzando la micella, si forma così un gel stabilizzato da interazioni idrofobiche ed elettrostatiche formando così il
coagulo; la pepsina non andrebbe bene perché taglierebbe tutto e quindi non si avrebbe più la possibilità di formare un
coagulo e non si avrebbe neanche la micella parzialmente destabilizzata ma avrei un idrolizzato di caseina che non
andrebbe a formare il coagulo. Le altre proteasi che uso vanno bene perché fanno un idrolisi parziale e mi permettono di
formare un coagulo non molto compatto molto ricco d’acqua. La formazione del coagulo è un esempio di proteolisi
mirata. Le fasi di aggregazione (formazione della micella, la fase di idrolisi accompagnata da un inizio dell’aggregazione
che non è subito visibile, continuo dell’aggregazione che porta alla formazione di un gel) sono importanti da seguire
perché il tipo di coagulo che ottengono dipende da quello che è successo prima e dalle modificazioni che si sono verificate
precedentemente.
Maturazione → la maturazione è caratterizzata da eventi idrolitici, cioè dalla rottura di macromolecole. Queste
macromolecole sono le proteine come la caseina (eventi proteolitici) ma anche trigliceridi con liberazione di AG (eventi
lipolitici), l’entità di questi eventi ci daranno il caratteristico sapore, gusto e odore del prodotto che andremo a fare. Una
buona parte dell’idrolisi delle caseine dall’inizio della maturazione sono dovute ancora alla rennina sulla frazione alfa-S1 e
beta-S1, e in minor misura dalle proteasi del latte, con formazione di peptidi ad alto PM, noi non dobbiamo ottenere tutti
amminoacidi piccoli, ma dobbiamo ottenere un idrolisi parziale, l’altra proteasi presente è la plasmina. Successivamente
entra in gioco l’intervento di enzimi che sono messi come tali o vengono aggiunti da microrganismi chiamati start aggiunti
al momento della coagulazione, questi liberano a partire dai peptidi ad alto PM amminoacidi o piccoli peptidi. Nell’ultima
fase di maturazione si possono avere delle decarbossilazioni dei diversi AA formando ammine biogeniche. Ecco un
esempio della formazione di peptidi separati mediante elettroforesi: il numero 7 è un marker di riferimento, il numero 6 è
un taleggio normalmente venduto, il numero 9 è un campione ipermaturato. Prendiamo il campione 6, abbiamo una serie
di frazioni proteiche e quello che ci interessa sono le frazioni alfa-caseina e beta-caseina poi abbiamo una seria di altre
proteine e peptidi presenti naturalmente, nel campione 8 noto che alla beta-caseina non è successo niente e quindi non è
stata idrolizzata ma è stata idrolizzata la frazione alfa (si nota dalle quantità minori rispetto al campione 6). Nel prodotto
ipermaturato noto che la quantità di beta caseina è diminuita anche essa. Quindi nella maturazione la principale frazione
che viene idrolizzata è l’alfa caseina e contemporaneamente si ha un aumento del numero di peptidi visto che questa
proteina viene smontata.
Applicazione di enzimi idrolitici (agiscono non necessariamente sulle proteine) utilizzati come coadiuvanti di processo
Un esempio sono le emulsioni, cioè come viene separata la fase acquosa da una fase lipidica, un altro utilizzo che viene fatto è
quello in cui è più conveniente utilizzare degli enzimi per facilitare l’estrazione soprattutto per i vegetali (se devo fare un succo di
frutta limpido bisogna utilizzare una serie di enzimi che agiscono lungo i polisaccaridi come cellulose e emicellulose che
costituiscono la parete cellulare dei frutti e le frammentano aumentando così le rese di estrazione e facilitando la risoluzione della
torbidità avendo così un prodotto perfettamente limpido). Altro utilizzo è rappresentato dalla stabilizzazione di bevande con
l’utilizzo di proteasi, ad esempio nella birra, perché al momento della sua produzione passiamo da un ambiente idrofilico a uno che
lo è meno (produzione etanolo) e alcune proteine che prima erano solubili possono diventarlo di meno manifestando una torbidità
nella bevanda. Di conseguenza si utilizza una proteasi che proteolizzando i peptidi (anche minimamente) li rende più solubili, non
bisogna idrolizzarli troppo perché essendo la schiuma formata da proteine se idrolizzo troppo non avrò più schiuma. L’altro grosso
utilizzo è per risolvere problemi che vengono a crearsi nel caso di prodotti istantanei, nei processi di istantaneizzazione (il prodotto
viene essiccato e reidratato e di nuovo essiccato), facendo questo doppio processo può succedere che la quantità proteica presente
vada in contro ad una modificazione strutturale, e quindi poi queste proteine non si risolubilizzano più creando torbidità quindi
molte bevande istantanee prevedono un intervento proteolitico per eliminare la torbidità. Un altro utilizzo sempre come
coadiuvanti di processo, possono essere impiegati per la facilitazione della penetrazione di aromi durante la salatura di carni. La
proteasi deve essere minima in modo tale che la diffusione degli aromi avvenga in maniera più veloce e quindi devo avere una
minima idrolisi. Esistono peptidi aromatizzanti che in sinergia con altri componenti rendono un alimento gustoso e che
contribuiscono all’UMAMI. Nella definizione di aromatizzazione intervengono tre componenti: glutammato, mononucleotidi,
peptidi. Tutti e tre i componenti lavorano in sinergia e rendono un prodotto più gradevole. Quello che viene fatto è l’utilizzo di una
combinazione di enzimi, questi peptidi vengono estratti dai pannelli di saccaromyces cerevisiae esausti (il lievito), sono utilizzati
perché sono una fonte di questi tre componenti perché si ha la prima fase in cui si ha l’interventi di enzimi e si ha la separazione di
proteine e acidi nucleici ottenendo così la miscela per fare aromi. L’altro vantaggio del lievito è che ha delle proteine ricche
all’interno delle sequenze di peptidi che una volta liberati sono aromatizzanti, l’alternativa è l’utilizzo di alcune leguminose come la
soia oppure il pisello.
Effetto degli enzimi su particolari componenti negli alimenti
Quello che andiamo a vedere sono gli enzimi proteolitici (vediamo l’effetto che hanno alcuni enzimi sulle proteine). Questi enzimi
possono essere causa di diverse reazioni con oggetto le proteine. Il classico esempio è quello delle proteasi, le quali frammentano le
proteine liberando i peptidi.
Un gruppo di peptidi che si possono liberare sono i peptidi bioattivi, cioè quelli che derivano dall’idrolisi delle proteine e che hanno
delle funzionalità sulla cellula, ad esempio gli immunomodulatori. Alcuni peptidi che si formano sono indesiderati perché sono
molto piccoli e amari. Un altro gruppo si di peptidi che si possono formare sono quelli che non sono più allergenici (proteina intera
allergenica, peptide derivato no). Sembrerebbe inoltre che fornire gli amminoacidi sotto forma di peptidi li renderebbe più
biodisponibii.
Un aspetto importante riguarda l’azione di enzimi specifici sui frammenti che derivano dal peptide (gli amminoacidi) i quali a loro
volta possono essere decarbossilati sempre grazie all’azione di alcuni enzimi (decarbossilasi) che possono essere già presenti
nell’alimento (derivano dalla presenza di microrganismi). Questi amminoacidi decarbossilati formano le ammine biogeniche
(istamina, adrenalina ecc) che sono dei mediatori che la cellula produce per trasmettere un certo segnale. Questi mediatori non
sono di sintesi cellulare ma vengono forniti con l’alimento.
Infine possono essere presenti degli enzimi che operano delle azioni ossidanti, che coinvolgono i gruppi OH delle proteine e danno
origine ad una serie di composti che si traducono con la formazione di composti bruni (imbrunimento enzimatico) che hanno lo
stesso effetto della reazione di Maillard.
Alterazioni compositive indotte da processi di trasformazione in proteine e le loro conseguenze
Partendo da una proteina intatta si possono avere
delle informazioni riguardanti il fatto che essa venga o
meno digerita, in due modi: le prove in vitro (metto la
stessa quantità di enzimi che ci sono nello stomaco e
nell’intestino in provetta, poi metto la proteina e vedo
come viene frammentata) o in vivo. Lo studio in vivo
prevede l’utilizzo di animali che abbiano delle aperture
a livello intestinale o gastrico, tramite il quale viene
fornito l’alimento per poi andare a vedere quanto
questo venga o meno digerito.
Lo studio è stato fatto sul latte, in particolare sulle caseina (che
rendono solubile il calcio), ed è stato osservato se durante la
digestione del prodotto la capacità di legare il metallo servisse o
meno. La proteina ideale dovrebbe mantenere questa capacità di
chelare il calcio nello stomaco e rilasciarlo a livello dell’intestino in
modo tale che venga assorbito. Lo studio è stato fatto dando del
formaggio ai topi. C’è un complesso di metalli e si è notato che
nello stomaco il segnale del manganese non c’è più e quindi la
frammentazione che viene fatta ad opera della pepsina è tale da
non legare più il manganese (ora non è più chelato e si trova libero
nello stomaco), per il rame e il ferro permane una certa capacità di
chelarli (lo si vede dai picchi, nel caso del rame c’è un picco
diverso, il che vuol dire che è cambiato il modo di chelarlo).
Nell’intestino permane una certa capacità di chelatura, ma è molto
ridotta e lo si vede da fatto che l’intensità è diminuita. La caseina si
comporta come una proteina ideale, nel caso del latte si hanno anche le sieroproteine, si nota che quando la caseina è assieme ad
altri componenti proteici ha una capacità chelante minore e a livello di stomaco e intestino questa capacità viene completamente
persa. Si nota così che la stessa proteina cambia la sua funzionalità e la sua capacità di chelare in base a che sia o meno presente in
un alimento con altre interazioni proteiche, durante l’azione proteolitica si può potenziare o annullare una certa funzione.
Gli amminoacidi decarbossilati possono avere la funzione di
neurotrasmettitori, i più importanti sono la serotonina (buon
umore, che ha come precursore il triptofano, e può essere
prodotta tramite decarbossilazione di quest’ultimo presente in
un alimento), l’istamina (istidina decarbossilata, prodotta dalla
cellula in certe situazioni), l’adrenalina ecc.
Alcuni neurotrasmettitori possono essere forniti con certi alimenti, in nostro
organismo non è in gradi di distinguere quelli sintetizzati dalle cellule e quelli
che derivano dalla degradazione degli alimenti e c’è un problema, alcuni
farmaci bloccano selettivamente questi neurotrasmettitori e se vengono forniti
anche attraverso gli alimenti il farmaco non avrà poi effetto.
Istamina → si trova in grandi quantità nei formaggi stagionati, nei vini invecchiati e nei lieviti. L’istamina è un mediatore di tutte le
manifestazioni allergiche e per combattere queste allergie viene utilizzato l’antistaminico che blocca l’effetto del riconoscimento
dell’allergene. Il problema è che se associo all’uso dell’antistaminico una dieta ricca di alimenti nei quali sono presenti grandi
quantità di istamina, blocco l’effetto del farmaco che riuscirà a bloccare solo una parte dell’istamina.
Un aspetto molto più delicato è quello derivato dalle ammine biogeniche derivanti dalla tirosina perché potrebbe portare anche alla
morte. Dalla tirosina per semplice decarbossilazione si ottiene la tiramina, oppure se la tirosina viene prima idrossilata e poi
decarbossilata si ha la dopamina (precursore adrenalina). Quindi da essa o viene prodotta l’adrenalina oppure due importanti
mediatori a livello cerebrale che sono la dopamina e la tiramina.
Tiramina → da essa deriva la formazione delle catecolammine che regolano la pressione sanguigna, in particolare servono ad alzare
la pressione. Un mediatore così importante deve essere presente quando serve per poi essere immediatamente smaltito. Questa
eliminazione è a carico di un enzima monoamminossidasi (MAO). Molti alimenti sono ricchi di tiramina, perché nella loro
maturazione la tirosina viene decarbossilata a tiramina. Gli alimenti in cui è maggiormente presente sono il vino rosso, i formaggi
stagionati, il cioccolato, il caffè, i funghi, il lievito, l’avocado e il caviale. Il problema sorge nel fatto che i MAO intervengono sulla
tiramina ma anche su altri mediatori come la serotonina. Quello che succede è che per molti farmaci antidepressivi sono dei MAO
inibitori e quindi li bloccano. Se si prende un antidepressivo si assumono insieme anche delle quantità neanche molto elevate di
alimenti ricchi di tiramina, si hanno dei problemi in quanto la tiramina non viene metabolizzata e rimane in circolo per un tempo
maggiore con effetti pericolosi sulla pressione.
Serotonina → ha come precursore il triptofano. È presente in cioccolato, avena, banane, datteri, arachidi, latte e latticini. È causa
del buon umore e anche responsabile di un maggior adattamento alla luce. La serotonina può essere degradata in due modi e le
MAO hanno un ruolo chiave. Il farmaco antidepressivo blocca le MAO e quindi il tempo di circolo della serotonina è maggiore; il
problema è che il farmaco blocca tutti i MAO e quindi bisogna stare attenti nel consumo degli alimenti.
Non è l’alimento in se che fa male, ma l’associazione di alcuni composti presenti in essi con il consumo di determinati farmaci, infatti
anche l’alcool altera certi metabolismi sui quali agisce il farmaco.
Gli enzimi responsabili delle ossidazioni sono le ossidasi che
inseriscono l’ossigeno in un substrato. Questo effetto è
l’imbrunimento enzimatico (mela), l’inserimento di un atomo
si ossigeno può avvenire in due modi:
●
●
Ossigenasi → gli enzimi inseriscono l’atomo di ossigeno o
interamente (S+O2 = SO2) o formando un prodotto monossigenato
+ acqua o con produzione di un perossido
Ossidasi → gli enzimi ossidasici sono quelli che nel substrato
comportano l’ossidazione da SH2 a S senza inserimento di atomo
di ossigeno, con contemporanea riduzione dell’ossigeno ad acqua.
Questi enzimi sono definiti come laccasi, un altro come
ascorbatossidasi e un altro come citocromossidasi. Sono tutti
responsabili dei composti bruni sugli alimenti (la laccasi in
particolar modo)
La laccasi è molto presente in molti alimenti vegetali come la mela, banana, kiwi etc. quando sono integri questi alimenti non
diventano marroni perché non c’è l’ossigeno, inoltre questi enzimi sono compartimentati nei lisosomi. Quando si taglia/pela si
mette a contatto il substrato con il reagente e si rompe il lisosoma che libera l’enzima. Tutti questi enzimi sono metallo enzimi e
necessitano di un atomo di rame o di ferro. Due metodi per evitare l’imbrunimento enzimatico sono quello di non fornire metalli
(non usare coltelli di metallo), oppure usare composti chelanti come acido citrico o ascorbico (chelano il ferro e il rame e rallentano
attività degli enzimi abbassando il pH). Questi enzimi sono molto termoresistenti, ma non baro resistenti e per questo alcuni
alimenti (avocado) vengono trattati ad alte pressioni. In queste reazioni si parte da composti incolori e si arriva a composti bruni (la
tirosina ad opera di idrossilasi e accasi diventa melanina). Troppo sole è cancerogeno perché le proteine vengono alterate e gli
intermedi sono molto reattivi, se controllati si arriva alla formazione di melanina, in caso contrario potrebbero andare a
danneggiare DNA e altre molecole del nostro organismo.
Interazioni tra proteine e piccole molecole (trasporto e veicolazione)
Ruolo delle proteine presenti in alcuni alimenti, nel definirne le caratteristiche interagendo con composti organici
Nessuna delle interazioni tra proteine e piccole molecole è covalente, sono tutte deboli (elettrostatiche, idrofobiche, di
coordinamento).
Alcune proteine hanno la capacità di legare idrofobicamente i composti, è molto importante che la proteina abbia una certa
struttura, in quanto se venisse denaturato potrebbe perdere questa proprietà di legare, inoltre deve avere regioni idrofobiche. Un
ruolo molto importante è quello di legare i polifenoli.
Interazioni proteine polifenoli → i polifenoli sono composti caratterizzati dall’unione di più gruppi fenolici, presenti in molti vegetali
combattono i radicali liberi. I polifenoli hanno la possibilità di interagire tramite interazione elettrostatica con un gruppo NH3 come
lisina e arginina. Inoltre può formare un gruppo ionico, un legame idrofobico o legame idrogeno. Questo legame tra polifenoli e
proteine può rendere la proteina meno disponibile all’attacco di proteasi, questa proprietà è utilizzata nella produzione del vino. Nel
vino ci sono molti polifenoli, con due diverse funzioni: alcuni danno l’aroma mentre altri sono responsabili dei difetti del vino
(madernizzazione del vino bianco che lo fa diventare liquoroso ciò accade perché tendono ad associarsi e precipitare e nei vini rossi
sono anche responsabili della formazione di polimeri che si traducono in precipitati dal sapore amaro). Si devono fare degli
interventi per allontanare la parte fenolica che causa i difetti nel vino, evitando di togliere la parte responsabile degli aromi. Questa
fase di allontanamento viene chiamata chiarifica. Un tempo veniva aggiunto sangue bovino, si facevano interagire le proteine del
siero con i polifelnoli i quali precipitavano, in alternativa veniva aggiunto dell’albume d’uovo. Tuttavia non si possono utilizzare
questi elementi ora, e bisogna trovare delle proteine alternative (visto i casi di mucca pazza, o uovo che è un allergene), bisogna
cercare quindi proteine che non sono di origine animale e che abbiano un buon bilancio tra zone (intese come superfici) idrofobiche
e idrofiliche (no caseine). Questa classe di proteine è quella a cui appartengono le leguminose e il glutine.
Entrambi gli estratti hanno lo stesso problema di allergenicità.
Le catechine e le proantocianidine sono i polifenoli più comuni
presenti nell’uva, responsabili dei difetti del vino e bisogna
vedere se si associano con le proteine. Per farlo si studia la
variazione di idrofobicità delle proteine in seguito
all’associazione. L’estratto di pisello quando non è associato al
polifenolo ha idrofobicità superficiale 600, quando si associa
questo valore diminuisce in quanto il polifenolo legato fa
diminuire le zone idrofobiche disponibili e quindi viene
consumato meno marcatore. Osservando questi grafici il miglior
estratti proteici che riescono a legarsi con i polifenoli sono la
soia e il pisello.
GRAFICO 1 → Se si chiarifica un vino bianco poco torbido, tutti e
quattro gli estratti stabilizzano il vino, ma le due proteine usate
in mezzo (pisello e lenticchie) sono quelle migliori perché hanno
il miglio effetto stabilizzante
GRAFICO 2 → Se si chiarifica un vino molto torbido, tutti e
quattro gli estratti (c’è anche gelatina) hanno lo stesso effetto e
tutti funzionano bene nello stabilizzare
A questo punto non si hanno elementi per scegliere quale usare, in quanto bisogna capire se qualche estratto toglie i polifenoli
aromatici
Facendo la rimozione della componente aromatica notiamo che:
GRAFICO 1 (A) → la lenticchia allontana di più le componenti aromatiche, l’estratto
del pisello è il più efficiente il quanto lascia la % maggiore di polifenoli aromatici (e nel
frattempo stabilizza di più il vino). Infatti se si pone la quantità ottimale di composti
aromatici a 100, si nota che la lenticchia fa perdere il 60% degli alimenti aromatici e
quindi è da escludere e è da preferire il pisello o la soia
GRAFICO 2 (B) → guardando il grafico precedente riguardante questo vino si notava
che l’efficienza di rimozione era uguale per tutti gli estratti. Quello che si nota da
questo grafico invece è che la lenticchia è sempre da eliminare perché toglie troppi
elementi aromatici ma in questo caso il migliore estratto è il glutine.
Conclusioni: la gelatina è animale e quindi non si usa, viene usato il pisello perchè funziona e non è allergenico, per alcuni vini viene
usato il glutine e in questo caso in etichetta è presente la dicitura “può contenere frumento”
Ruolo delle proteine nel veicolare microelementi
Veicolare i microelementi significa il ruolo che hanno alcune proteine nel permettere l’assorbimento di alcuni elementi.
FERRO
Il ferro non è libero in soluzione nella cellula, in quanto tossico e insolubile perché tende subito a precipitare sotto forma di ruggine,
è essenziale per la vita, ma un eccesso risulta tossico per la seguente reazione:
Quindi deve non deve essere libero in soluzione, ma legato, però non in modo non
troppo saldo perché deve essere ceduto nel momento dell’utilizzo. Questi composti
che lo legano sono le proteine, lo chelano e lo rendono solubile, neutralizzandolo (non
può più fare la reazione di Fenton e quindi non risulta tossico), e che poi lo possono
cedere per i vari metabolismi. Un primo gruppo di proteine che legano il ferro e lo
veicolano sono rappresentati dalla proteina di trasporto, la transferrina e dalla
proteina dove viene depositato, la ferritina. Ci sono poi altre proteine che sono enzimi
che servono per far assorbire il ferro a livello dell’intestino. A livello dell’intestino il
ferro (ossidato in quanto negli alimenti è presente in questo stato) per essere
assorbito deve essere ridotto; a livello della mucosa è presente una ferroreduttasi che
riduce il ferro da 3+ a 2+ e ossida l’acido ascorbico.
Da qui entra nel villo intestinale e per entrare necessita di un trasportatore (proteina transmembrana) specifico per Fe2. Lo stesso
discorso vale anche per il rame dove entra la forma ridotta.
Arrivati nel sangue c’è la transferrina che lo trasporta nei diversi comparti, la quale ha una struttura tridimensionale particolare con
due lobi ciascuno dei quali lega uno ione ferro 3, infatti quando il ferro entra nel villo deve essere riossidato da una ferrossidasi
collocata all’interno del villo. Questi due lobi sono chiamati lobo C e lobo N che, oltre che legare un atomo di ferro, servono come
riconoscimento a livello cellulare. La transferrina circola nel plasma per essere riconosciuta dai recettori cellulari (proteine) che
riconoscono la parte N e che nel caso poi cederà il ferro se serve.
La transferrina viene venduta come transferrina separata dal latte e quindi chiamata
lattoferrina. Questa proteina è uguale alla transferrina e viene venduta per fare
prodotti come il latte arricchito in ferro, in quest’ultimo non viene aggiunto il ferro ma
quantità elevate di lattoferrina. Questa proteina è anche antimicrobica (stabilizzante),
in quanto legando il ferro lo rende meno disponibile per la crescita dei microrganismi la
quale si blocca (viene aggiunta al latte dei bambini nati prematuri perché hanno
problemi per la selezione della microflora intestinale e l’aggiunta ne permette una
selezione adeguata).
Il legame tra ferro 3 e transferrina è un legame coordinato da Asp, His, e 2 Tyr. Per
formare questi legami al lobo deve essere legato un contro ione o ione sinergico (ione carbonato HCO3-), che è molto importante
perchè se si guarda a livello cellulare avviene una variazione locale di pH e lo ione carbonato cede il ferro (prima lo legava e non lo
rendeva disponibile) dove viene utilizzato o immagazzinato. La trasferrina è molto presente quando le cellule sono in crescita in
quanto hanno bisogno di ferro per crescere, viene utilizzata come marcatore tumorale (se si ha una crescita anomala si ha tanta
transferrina). Questa proteina presenta interessanti attività biologiche: antimicrobica, antiinfiammatoria, immuno modulatoria,
antitumorale, possibile fattore di crescita ossea.
La ferritina invece è una proteina di deposito fatta da una palla di proteine
formata da 24 subunità, al cui centro è presente il ferro depositato come
ruggine (fino a 4000 atomi). si hanno sia unità di deposito che catalitiche.
Il ferro è presente come ferro3 e per entrare nella ferritina deve entrare
come ferro 2 (più mobile), per essere poi depositato come ferro 3, per fare
questo passaggio interviene un’altra ferroreduttasi che riduce il ferro il
quale entra e poi le subunità catalitiche lo riossidano a ferro 3 che viene
depositato fino al suo utilizzo. Quando deve essere utilizzato viene trasformato in ferro 2. Questa palla rende il ferro solubile e fa si
che non precipiti, se questo avvenisse ci sarebbe un precipitato di ruggine che causerebbe seri danni. Questa proteina si trova in
tutti gli organismi viventi perche il ferro è tossico in tutti gli organismi.
IODIO
Lo iodio è importante per la maturazione dell’ormone tiroideo, la tirossina formata
da due tirosine che hanno la caratteristica di aver sostituito degli atomi di iodio, la
quale viene sintetizzata nella tiroide. Nella formazione di questo ormone gioca un
ruolo fondamentale la trioglobulina (omodimero, formato da una solo catena
polipeptidica) secreta a livello dei follicoli della tiroide, la quale cattura lo iodio lo
ossida e lo lega alle sue tirosine. Solo dopo che le tirosine sono state iodate si ha la
polimerizzazione e in questo momento vengono assorbite a livello dei follicoli della
tiroide e dopo questo si ha la liberazione dell’ormone. Il passaggio essenziale di
questo processo è la cattura e l’ossidazione dello iodio da parte della trioglobulina,
senza questa proteina non si avrebbe l’ormone tiroideo. La carenza di iodio causa il
gozzo, perché si producono quantità abnormi di trioglobulina che si accumula, un
tempo questa malattia era diffusa perché il sale marino era sottoposto a dazio e non
arrivava dappertutto
Proteine che sequestrano principi attivi
AVIDINA
È una proteina glicosilata formata da un tetramero (ognuno da 17000 Da), ogni subunità ha un sito di legame on covalente per la
biotina che non risulta più disponibile se legata. Questa proteina si trova nell’uovo, e sequestrando la biotina fa si che l’uovo non sia
facilmente aggredibile da predatori esterni. Nell’immagine a sinistra c’è l’avidina e a destra c’è quella legata alla biotina. Il legame tra
proteina e biotina è idrofobico e idrogeno e questo rimane finchè la proteina mantiene questa struttura, se la perde non la lega più.
L’affinità tra avidina nella sua struttura nativa e biotina è molto forte e specifico (finche non si cambia la struttura la biotina non
viene rilasciata), talmente forte che è sfruttata per test immunochimici, perché la biotina legata all’avidina è fluorescente.
NIACINA
La carenza di questa proteina (gruppo B delle vitamine) causa pellagra, il mais ne è particolarmente ricco,
ma tuttavia qui è legata a una serie di famiglie di proteine che non la rilasciano. Il solo trattamento
termico non è sufficiente per il rilascio (legame c’è anche con proteine denaturate) e quindi viene
associata una trasformazione alcalina (aggiunta di soda). Nella trattazione della farina esiste un
trattamento chiamato nixtamalizzazione che viene effettuato in modo che nella farina ci sia presente una
maggiore quantità di niacina biodisponibile. Viene effettuato per tutti i prodotti a base di mais, al
prodotto si aggiunge soda, viene cotto, lavato e da qui parte poi la nixtamalizzazione. Tutta la farina di
mais venduta in america deve aver subito questo trattamento, per noi europei non è obbligatoria in
quanto il mais non è l’alimento fondamentale della nostra alimentazione, il seme tende a legare la niacina
(deve proteggersi) e la rilascia solo quando cresce.
Peptidi e proteine bioattive
Sono peptidi e proteine buone, naturalmente presenti in un alimento e la loro presenza ne aumenta il valore nutrizionale, inoltre
hanno anche un ruolo funzionale regolando alcuni processi dell’organismo. Si legano a recettori specifici comportando una
modulazione, o una modifica del processo metabolico regolato dal recettore stesso. Questi possono agire come tali con effetto
immediato, direttamente sul recettore, oppure in sinergia con altri peptidi o proteine il cui risultato finale non è dovuto al singolo
peptide ma al lavoro insieme agli altri. Alcuni peptidi come tali, o in sinergia, agiscono direttamente regolando un determinato
aspetto (peptidi immunomodulatori vanno a regolare a livello dei recettori la risposta immunitaria), altri agiscono con un effetto
sistemico cioè non su una determinata funzione, ma sugli aspetti regolatori che condizionano una determinata funzione,
potenziando tutte quelle risposte che sono legate alla regolazione (molte proteine della soia non chelano direttamente il
colesterolo, ma potenziano tutte le risposte che servono per chelarlo).
Proteine bioattive
Sono fondamentalmente proteine di leguminose (soia) e hanno un effetto sistemico, regolando tutti i processi metabolici che vanno
a dare una determinata manifestazione. Dal punto di vista molecolare possono:
●
●
●
●
Agire solo alcuni monomeri che la costituiscono
Agire solo se la proteina è presente complessivamente e nella sua struttura nativa
Agire solo in associazione con altre proteine
Agire solo in associazione con altri composti non proteici (proteine soia associate con lecitine)
Questo ci dice che il loro effetto è legato alla matrice in cui si trovano, per quanto riguarda le proteine in cui agiscono solo alcuni
monomeri che la costituiscono: la conglicina, struttura della cellula della soia che è una proteina molto grasso costituita da quattro
subunità la quale agisce sulla mobilità dei lipidi in particolar modo sul colesterolo. La cellula utilizza per regolare solo una delle
subunità (alfa), tuttavia la usa solo se questa è presentata nella proteina originale. La funzionale è solo un monomero, ma deve
essere presentato con la proteina nativa, se isolato non da alcun effetto. Un altre esempio è la conglutina gamma, molto grande
molto acida e resistente alla digestione che forma degli aggregati von dei metalli divalenti (forma dei polimeri). Questa proteina ha
la proprietà di regolare i lipidi e anche la regolazione dell’insulina (contro l’insorgere del diabete in quanto diminuisce l’insulina
resistenza) e ce l’ha solo se polimerizzata con i metalli divalente, se non li formasse la cellula non la riconoscerebbe. Anche questa
proteina ha un effetto sistemico, le proteine con queste funzioni sono fondamentalmente solo le leguminose.
Peptidi bioattivi
Sono dei frammenti di proteine molto piccoli fatti da 3-4 AA, che sono parte integrante della sequenza di una proteina. Quando
sono presenti all’interno della proteina non hanno alcuna funzione, invece quando vengono generati dall’idrolisi (azione di una
proteasi) svolgono la loro funzione. Bisogna quindi avere le proteine con la sequenza e un evento proteolitico, che può avvenire già
nell’alimento per causa di enzimi o per lavorazioni di tipo microbiologico (alimento fermenta) o nel momento della digestione, dopo
una modificazione a livello gastrico/intestinale o poco prima dell’assorbimento. Le funzioni bioattivi di questi peptidi sono:
●
●
●
●
●
Immunoregolatrice → facilitano risposta del sistema immunitario
Agonisti/antagonisti dei recettori neuronali → si recano a livello dei recettori del cervello, dove si legano di solito gli
oppioidi, e danno una maggior sopportazione del dolore e regolano le situazioni del sonno
Angioinibitori → inibitori della angiotensina che è un enzima che interviene nella regolazione della pressione sanguigna
Veicolante di micronutrienti → la loro associazione con micronutrienti fa si che questi vengano assorbiti o veicolati nel
tessuto a cui sono destinati in maniera più efficiente (fosfopeptidi come veicolanti del calcio)
Antimicrobica → la lattoferricina (idrolisi lattoferrina) chela maggiormente il ferro
Anch’essi possono agire come tali o in sinergia con altri peptidi bioattivi, gli alimenti in cui sono presenti nelle proteine le sequenze
sono il latte (caseine e sieroproteine) e il glutine. Alcuni di questi possono essere presenti, ma non venire assorbiti.
Questi sono alcuni esempi di peptidi bioattivi presenti nelle sieroproteine del
latte, un altro peptide molto importante per la pressione sanguigna è l’IIP
derivato dall’idrolisi del GMP (è la coda liberata dall’idrolisi della k-caseina 105-6),
non ha fenilalanina e questo è importante perché rappresenta un delle proteine
che possono assumere le persone affette da fenilchetonuria. Altri peptidi li
troviamo nella caseina, le caseomorfine essendo oppioide antagonista
aumentano la soglia del dolore. La presenza di questi oppioidi è legata al fatto che
se si beve una tazza di latte prima di dormire si dorme meglio. Si hanno anche
immuno stimolatori, che aiutano la risposta del sistema immunitario, altri sono
inibitori dell’angiotensina che sarebbe responsabile dell’innalzamento della
pressione. Gli unici grossi peptidi bioattivi sono i fosfopeptidi che hanno la
funzione di chelare il calcio, li troviamo sia nelle k caseine che nelle sieroproteine.
La scelta che si fa è quella di avere alimenti che siano
naturalmente ricchi di questi peptidi, oppure di fare
interventi mirati in cui si ottengono questi peptidi e ai
quali poi aggiungere gli ingredienti. Perché un peptide sia
funzionale deve essere presente in microgrammi o
nanogrammi, in quanto se si desse una quantità di questi
ultimi troppo elevata alla cellula morirebbe. Per questi
peptidi è importante la strutturazione, non basta solo la
sequenza, ma deve essere presente con una certa
strutturazione per poter funzionare. Un esempio è quello
fatto partendo dal peptide dalla parte C-terminale della
beta caseina noto per avere una funzione
immunostimolante. Egli studi si è visto che 191-209 si idrolizzava e i vari peptidi erano attivi, tranne il residuo RGPF che risultava
inattivo, se si toglieva R però rimaneva GPF che era attivo come lo era VRGPF. R è rappresentato dall’arginina, se quest’ultima era
presente come N terminale non era attivo, se era presente non in N terminale ma legato ad un altro AA era attivo. Questo perché
quel peptide aveva una certa struttura, la parte attiva della beta caseina è la parte 191-209, se si mette all’interno una D prolina non
è più attivo, la D prolina non ha capacità di rotazione, quindi il peptide non ha struttura, mentre L avendo rotazione fa si che il
peptide abbia una certa strutturazione fondamentale per l’attivazione del peptide. Dalla parte C terminale la minima sequenza per
avere effetto è costituita da GPD-(L)prolina, se si inserisce una D prolina si perde completamente l’attività del peptide, quindi non
basta solo avere la sequenza ma serve anche
struttura.
Questo è uno spettro che misura
l’organizzazione di una struttura secondaria,
in basso è alfa elica, il segnale piatto un
peptide random. Il blu rappresenta il peptide
non attivo (infatti non è lineare), il rosso
quello attivo (aveva L prolina che gli
consentiva la rotazione). La forma rossa è
strutturata, quella blu no e quindi il
recettore cellulare non la riconosce. Se si
aggiunge l’arginina come N terminale porto 3
cariche positive, se invece è vicino a una valina ne ha una. La presenza di due cariche positive porta a unna repulsione e non
permette la strutturazione del peptide, se ho solo una carica ho una distribuzione che invece la permette. La stessa cosa vale per i
fosfopeptidi (derivano dall’idrolisi della caseina), la caseina era fosforilata con gruppo fosfato legato all’ OH della serina. A pH del
latte questo gruppo è dissociato e carico negativamente e così si può legare lo ione calcio (bivalente positivo). Il calcio come anche il
ferro è insolubile e tende a precipitare, il suo assorbimento è fortemente controllato per evitare fenomeni di ipercalcemia. Non è
tanto quanto calcio do, ma in che forma viene assorbito e assimilato, viene somministrato soprattutto quando si hanno problemi a
livello degli osteoblasti e quindi se si deve ricostruire un tessuto osseo. I fosfopeptidi rispetto i peptidi precedenti sono N terminali.
Per vedere quale funziona meglio bisogna vedere se a parità di quantità questi legano la stessa quantità di calcio; il secondo aspetto
è vedere l’assorbimento di calcio (si va a fornire il peptide all’osteoblasto e si vede a livello di
quest’ultimo quanto ne viene assorbito)
In questo caso sono stati messi in una soluzione 2mM di calcio esterna, sono state messe le
quantità in tabella di peptide e poi si va a vedere quanto ne viene legato effettivamente e poi
a livello dell’osteoblasto quanto assorbito. Si vede che non funzionano in modo uguale, in
quello dove c’è solo la beta caseina c’è un forte assorbimento, in quello dove c’è la miscela
molto meno (circa 5 volte). Tutte e due sono fosfopeptidi che chelano in modo uguale il
calcio, solo che uno lo cede in modo efficace alla cellula, l’altro invece non venendo
riconosciuto da quest’ultima non lo cede. Si è anche visto che questi fosfopeptidi legano
meglio il calcio se sono associati a fosfopeptidi con chelato un altro metallo, per questo
per una maggior ripresa viene fornito lo zinco. La grande differenza è la capacità di
aggregare. Alcuni peptidi in soluzione si legano in maniera diversa e solo quelli aggregati
tra loro cedono efficacemente il calcio, l’aggregazione è favorita dalla presenza di
cariche negative.
Metodi usati per identificare o caratterizzare peptidi o proteine
I metodi che riguardano l’identificazione in un alimento di peptidi e proteine sono tanti, li possiamo classificare in due classi in base
a due proprietà:
●
●
Proprietà fisiche → comprendono metodi separativi e all’interno troviamo tre grossi gruppi: tecniche cromatografiche
(con colonna HPLC), tecniche elettroforetiche (collegati alle proprietà di affinità), tecniche basate sulla determinazione
della massa molecolare (spettrometri di massa)
Proprietà di affinità → sono delle proprietà che possiedono le proteine, se l’affinità è basata tra una proteina/peptide e
un'altra proteina (tipo anticorpo) parliamo di metodi immunochimici (associazione anticorpo proteina comprende le
interazioni deboli come elettrostatiche o idrofobiche, la proteina riconoscerà solo una certa altra proteina per affinità). I
metodi immunochimici sono alla base degli approcci impiegati per identificare se un alimento è anallergico o dire se va
bene o no per persone intolleranti
Le proprietà fisiche delle proteine sono le dimensioni e la carica. I metodi elettroforetici sfruttano al capacità di una proteina di
muoversi all’interno di un campo eletttroforetico, cioè la proteina potrà migrare verso il polo positivo o quello negativo oppure non
migrare per nulla; questa migrazione può dipendere da due fattori:
1.
2.
Dalla carica che possiede la proteina → se ha carica netta negativa andrà verso il polo positivo e viceversa, se non è carica
non si muove
Dalla massa della proteine → se tutte le proteine hanno la stessa carica netta, arriverà per prima verso il polo da dove
sono attratte quella più leggera perché viaggerà con una carica maggiore
Ho elettroforesi in cui la migrazione a parità di durata del campo elettrico, può avvenire in base alla lunghezza della catena
(dimensione della proteina) → SDS-page oppure in base alla carica → IEF oppure in due dimensioni (prima separazione in base alla
dimensione e poi in base alla carica in modo da ottenere mappe dimensionali
Come si fa una separazione elettroforetica?
1.
2.
3.
4.
Preparare un campo elettrico dove migreranno le proteine
Preparare il campione (solubilizzazione con o senza denaturazione delle proteine, visto che si muovono solo se sono
solubili)
Preparare il supporto separativo
Separare e rilevare le frazioni separare
Separazione SDS
Il supporto è costituito da un gel poliacrilammide, esistono l’acrilammide e la bis-acrilammide, sostanze neurotossiche finchè sono
in soluzione le quali con un catalizzatore formano un gel traslucido. Uso l’acrilammide e la bis, e non altri polimeri perché è l’unica
che sa fare gel costituito da pori così piccoli e regolari da riuscire a trattenere le proteine. All’interno del gel vengono separate le
proteine, ma le proteine del gel non sono più disponibili per un'altra caratterizzazione (sono catturate nei pori e non possono più
essere riprese per altri eventi). Una volta formato il gel, non sono più neurotossiche, su questo supporto verrà applicato il campo
elettrico, e le proteine verranno applicate in base a dove le voglio far correre.
Se faccio una separazione in cui il parametro di scelta delle diverse proteine
sono le dimensioni, bisogna fare due operazioni: una in cui si tratta il campione
in modo tale che tutte le proteine siano tutte cariche alla stessa maniera;
quando si parla di dimensione in una proteina vuol dire non solo guardare la
sequenza amminoacidica, ma anche la struttura tridimensionale, per cui quello
che viene fatto è quello di far si che le proteine che le proteine quando vengano
confrontate in base alla loro dimensione, si intenda soltanto la massa
molecolare, ossia solo il numero di AA che vanno a costituirla. Devo renderle
tutte della stessa dimensione 3D, come stringhe. La stringa più lunga sarà quella
con più AA, in questo modo il confronto è solo in base alla massa molecolare. Io
posso avere una proteina più piccola di AA ma con forma ovale, un'altra con più
AA ma è un cerchio compatto e quella ovali ci può impiegare più tempo a separarsi pur essendo più piccola. Per far ciò le proteine
vengono denaturate, trattate con sodio dodecil solfato (SDS) ovvero un sapone (lunga coda alifatica idrofobica e un gruppo solfato
con carica negativa legato alla catena). Quando questo composto è trattato a freddo e va vicino ad una proteina ad essa non
succede niente, mentre se scaldato denatura la proteina facendo esporle le zone idrofobiche. SDS attaccherà la sua catena idrfobica
a tutte le parti idrofobiche, e le teste cariche negativamente andranno verso l’esterno. Viene scelto l’SDS perché il rapporto quantità
di SDS per massa di proteina è sempre costante, ovviamente più una proteina è lunga più si legherà maggiormente ad un SDS, però
il rapporto complessivo massa-carica è uguale per tutte le proteine presenti. In questo modo le diverse proteine presenti in miscela
diventano delle stringhe tutte cariche negativamente, con il rapporto massa carica uguale percui in un campo elettrico migreranno
verso il polo positivo e arriverà per prima quella con un numero di AA minore.
L’SDS può denaturare le proteine perfettamente, ma non è un riducente, quindi se la proteina è legata da un ponte disolfuro non ha
la rottura del ponte e avremo due proteine unite dal ponte disolfuro (quindi ho solo una proteina). Per avere la rottura e capire se
sto lavorando con un solo peptide o un polipeptide avente più subuintà devo trattare assieme all’SDS anche con un riducente come
mercaptoetanolo. Page = nome del supporto, SDS = proteine classificate in base alle dimensioni e predenaturate con esso.
L’elettroforesi serve per sapere se un allergene è ancora integro o è stato idrolizzato.
Separazione IEF
Per fare una separazione in base alla carica bisogna mettere una miscela di proteine che in base al pH e al loro punto isoelettrico
avranno carica netta diversa, per avere una migrazione nel supporto dovrò avere gradiente di pH altrimenti la proteina rimarrebbe
ferma. Bisogna preparare il supporto di gel di acrilammide dove però vengono inseriti polimeri definiti come anfoline o immobiline,
che possiedono tutte le combinazioni che si desiderano di punti isoelettrici e vengono venduti a gradiente (se mi serve gradiente 3-4
ho una miscela di questi polipeptidi sintetici che vanno da PI 3 fino a PI 4 con tutti gli intermedi), vengono messi dentro al supporto
e dopo di che si fa una corsa elettroforetica, questi si posizioneranno da ph acido a basico. Se per esempio prendo il gradiente 3-9
l’anfolina a PI 3 sarà ferma dove ho l’acido, quella con PI 9 migrerà invece al polo negativo perché è basica, gli altri sono intermedi.
Se carico una proteina alla base, quando la metto nel campo se ha PI di 9 rimane ferma se lo ha di 5 migra fino a quando non
incontra l’anfolina, la zona con PI di 5. Quando sono alla base (basiche) sono più solubili e si muovono fino a raggiungere il punto del
supporto che ha il loro stesso PI, così raggiungono carica netta zero e non migrano più. Questa tecnica è utili per le caseine che
hanno pesi molecolari simili, ma con diversi PI
Questo è un esempio di IEF, ha latti di capra con diverse varianti polimorfe
delle caseine pH da 6,5 a 2,5 sono state separate tante bande. Se avessi
fatto la separazione elettroforetica SDS avrei visto un bandone unico perché
i pesi molecolari delle caseine sono simili. Questo serve anche per
selezionare le caseine in base a quali vanno bene per fare formaggio fresco
di capra o a lunga maturazione. Questa tecnica è usata anche per verificare
l’aggiunta di latte bovino alla bufala, la caseina della bovina è trattata con la
plasmina e ha una mobilità diversa in IEF e quindi posso risalire a quanto
latte è stato aggiunto se in quantità maggiore del 2%.
Separazione 2D
Posso avere una separazione anche in base alla massa, le proteine possono infatti avere pesi simili ma PI diversi, oopure PI simili ma
pesi diversi. Allora si fa prima una separazione con IEF nella prima dimensione, poi si prende ogni lane separato lo si denatura e lo si
fa correre in base alle sue dimensioni con SDS-page nella seconda dimensione (le due separazioni combinate). Ottendo delle mappe
di seconda dimensione, usate per caratterizzare la qualità delle proteine in un frumento (vedo quali hanno i tioli che sono
importanti perché mi formano il reticolo), o per capire se c’è dentro alle proteine qualcosa di positivo o di non consentito, però
avendo PM o PI simile non riesco a farle con una singola dimensione. Il limite grosso di questo metodo è che non mi dice se la
proteina presente verrà riconosciuta dal sistema immunitario, e dal fatto che le elettroforesi sono basate sul fatto che rilevo la
presenza della proteina con un colorante specifico che si lega al legame peptidico, il quale non è in grado di rilevarmi le quantità
residue della proteina che sto cercando entro i limiti che mi interessano. Questi sistemi coi colori sono capaci di rilevarmi certe
quantità di proteine fino al limite inferiore non compatibile con quello associabile alla presenza di proteine che possono dare
origine a intolleranze o allergie in certi alimenti.
Metodi immunochimici
Come faccio a determinare la presenza di queste proteine di fronte a queste problematiche? Uso un metodo immunochimico con
tecniche di affinità, uso un anticorpo il quale raggiunge sensibilità maggiori a quelle che mi servono per alimenti di questo tipo. Non
coloro le diverse macchioline con un colorante, ma di esse voglio sapere ad esempio qual è che corrisponde all’allergene del latte
(BLG) e uno un anticorpo. Il metodo usa anticorpo, che sono proteine, che riconoscono in maniera altamente specifica determinate
strutture (epitopi) delle proteine, hanno dunque le stesse proprietà delle proteine (pH deve essere basico e non devono essere
denaturate a 70°)
Anticorpo → prodotto dal sistema immunitario per difesa, in risposta ad uno stimolo esterno
che deriva da una proteina o da liquidi di contrasto (antibiotici). Ce ne sono tanti, una certa
categoria di persone (sensibili alle allergie) producono le IgE nei confronti di certe proteine
presenti in alimenti, polline ecc la cui comparsa scatena le allergie.
A noi interessano le IgG (immunoglobuline a forma di Y), che sono gli anticorpo prodotti
quando una sostanza è estranea, servono per fare il complesso antigene (sostanza che ha
determinato la produzione di anticorpi) e IgG, poi precipita, serve per neutralizzare la sostanza
esterna. Questi anticorpi sono a Y con 4 catene polipeptidiche, due lunghe e pesanti (Y
completa) e due corte e leggere che formano i bracci della Y, unite dal ponte S che fa da
cerniera. Il blu è comune a tutte le IgG il rosso è la parte specifica per quel determinato
antigene (le parti rosse vengono prodotte per far riconoscere un determinato antigene).
Ogni anticorpo riconosce solo delle porzioni di molecola definite epitopi, una proteina ha vari epitopi, che sono zone in grado di
stimolar e il sistema immunitario a produrre anticorpi. La reazione immunogenica di un antigene è determinata da:
●
●
Epitopi sequenziali → il SI riconosce solo certe sequenze di AA
Epitopi conformazionali → ad esempio l’alfa elica può essere un epitopo
Quindi il SI fa anticorpi verso i diversi epitopi, ci sono tanti anticorpi quanti sono gli epitopi della proteina. Un anticorpo policlonale è
una famiglia di anticorpi che riconosce una stessa proteina, ha dentro tutti gli anticorpi fatti verso gli epitopi che caratterizzano
questa proteina. Posso avere anticorpi policlonali contro la BLG (riconoscono solo lei legandosi a tutti gli epitopi). Per capire su un
alimento è anallergico quali uso? Mono o poli? (mono = i diversi anticorpi io li ho separati e ho delle famiglie di anticorpi ognuna
che mi riconosce una parte della BLG, un singolo epitopo. I policlonali costano meno dei monoclonali ma sono anche meno sicuro.
Valutazione immunoreattività
Due metodi di test in vitro: ELISA e DOT BLOTTING, che sono le tecniche immunoreattive che fanno la quantificazione di una
proteina usando le IgG.
ELISA → enzyme lyinked immuno sorbent assay, ho una piastra che è un supporto di
polistirene con tanti buchi vuoti, più c’è la proteina che mi interessa in una matrice, più
diventa giallo e viceversa. Facciamo agire una reazione in una piastra, ni pozzetti vuoti
posso mettere una soluzione contenente o l’anticorpo o l’antigene. Se metto l’anticorpo ad
esempio contro la BLG, metto nel pozzetto una soluzione contenente un anticorpo poli o
mono contro la BLG. La soluzione la metto a 4° per tutta la notte e l’anticorpo si attacca al
pozzetto con le varie interazioni deboli, se ne attacca tanto quanto è la capacità del
pozzetto. Dopo prendo il pozzetto e lo rovescio per vuotare la soluzione, ma al polistirene
resta attaccato l’anticorpo. Dopodichè prendo l’alimento e aggiungo le proteine, l’anticorpo
riconoscerà solo la BLG (pallino giallo immagine), rovescio di nuovo è ho l’anticorpo cone
legata la BLG, se non ho l’anticorpo avrò il pallino giallo se lo ho ci sarà.
ELISA SANDWICH (diretto con anticorpo legato al pozzetto)
Sulla BLG non ci sono tutti gli epitopi occupati, allora rimetto dentro lo stesso anticorpo in soluzione che però ha legato un enzima
ossidasico, esso riconosce la BLG e forma un sandwich (la BLG in mezzo ai due anticorpi). Aggiungo un substrato ottimale per
l’enzima che viene trasformato in un prodotto, il S per ossidasi è incolore mentre il P è blu, il S per fosfatasi è bianco e il P è giallo.
Tanto più giallo si forma, tanto più era il sandwich formato prima a parità di tempo, quello più giallo è quello con più enzima ossia
quel pozzetto dove se ne è formato di più.
Però coniugare ogni volta l’anticorpo con l’enzima è costoso. Allora si aggiunge un altro anticorpo senza l’enzima per fare sandiwch e
poi usare un anticorpo secondario specie specifico: se per esempio l’anticorpo contro la BLG l’ho fatto nel coniglio, esso riconosce
solo quella bovina (specie specifico). Esso può essere riconosciuto anche da anticorpi in grado di riconoscere la specificità delle
immunoglobuline. Anticorpo secondario (in rosso) mi riconosce la specie. Questo costa poco, e si può usare anche per cercare
glutine in alimenti per celiaci non idrolizzati, con curva dell’assorbanza in confronto alla quantità di gliadina presente, tanta più ne
ho tanto più giallo si forma.
ELISA SANDWICH (indiretto con antigene legato al pozzetto)
Non funziona molto bene in campo alimentare, si in diagnostica, si ha paura che il trattamento modifichi le proprietà delle proteine
e quindi non si attaccano sempre uguali.
ELISA FORMATO COMPETITIVO (diretto)
A volte il sandwich non è possibile, tipo quando ho dei peptidi idrolizzati
perché se ho tagliato la proteina e ho solo un epitopo che però è
impegnato nel primo anticorpo non posso fare sandwich. Allora viene
usato il formato competitivo. Ho attaccato sempre l’anticorpo, e posso
mettere il campione con l’eventuale BLG (1) assieme alla proteina che
cerco modificata (2) (=1+2 competizione); esempio metto la BLG con
legato un composto (=modificata), se non ho la BLG nel latte (=assenza
dell’analita) allora tutta questa proteina modificata si modificherà al mio
anticorpo, se la ho allora ho competizione fra la proteina normale
presente nel campione e quella modificata. Competizione su basi
statistiche, se di quella modificata ne metto sempre una stessa quantità,
quella che fa la differenza è quella che c’è nel campione. Se nel campione
ne ho molta normale, l’anticorpo si legherà di più ad essa, se no he di
meno di quella modificata allora si legherà di più a quella non modificata. Se ho 50 e 50 avrò un anticorpo legato a una e uno
all’altra. L’anticorpo secondario che aggiungo qui mi riconosce quello che ho legato al campione, si usa molto avidina o biotina, si
lega la biotina per modificare BLG e aggiungo poi anticorpo collegato alla biotina; c’è competizione ed è più giallo quando ho meno
campione nell’alimento, perché meno campione ho nell’alimento e più questa si lega. Risposta inversamente proporzionale alla
quantità, perché meno assorbanza ho e più il campione c’è. Questi saggi sono usati pe cercare le aflatossine nel latte.
ELISA FORMATO COMPETITIVO (indiretto)
Al pozzetto viene attaccata la proteina pura che sto cercando. Ad esempio BLG nativa (pallino giallo), aggiungo poi
contemporaneamente il campione insieme all’anticorpo per la BLG (=competizione). L’anticorpo in soluzione si legherà o alla BLG in
soluzione formando un complesso in soluzione che quando rovescio se ne va, oppure si legherà alla BLG legata al pozzetto. Caso 50
50 uno formerà il complesso e uno la soluzione che va via. Se non c’è quello che cerco, tutto l’anticorpo in soluzione va a legarsi alla
BLG legata al pozzetto. Successivamente arriva l’anticorpo secondario (che mi dice che animale) legato all’enzima. Più è giallo, meno
ce n’è nel campione. Usato quando devo cercare grosse proteine, ciò che è sempre fisso è la quantità di anticorpo e la quantità di
BLG legata al pozzetto (varia la quantità che c’è nel campione).
I vantaggi delle tecniche ELISA è che le applico come tali nell’alimento solo diluendole, sono di facile recupero e essendo 96 pozzetti
riusciamo a fare con la retta di taratura in due ore 5 campioni.
DOT-BLOTTING
Tecnica basata sull’utilizzo di anticorpi, la differenza sostanziale con ELISA è l’utilizzo di una membrana di nitrocellulosa (o polimeri a
base di nylon) sulla quale vengono fatti aderire la proteina che si sta cercando presente nell’alimento dopodichè si usa l’anticorpo
specifico che andrà a legarsi alla proteina verso il quale è stato generato. Si forma u complesso antigene-anticorpo che viene
liberato utilizzando un anticorpo secondario con attaccato l’enzima. La proteina è dunque modificata e non più riconosciuta
dall’anticorpo (sono stati tolti gli epitopi responsabili della risposta immunitaria). Finchè si può si usa ELISA, in alcuni casi si usa
questo metodo ad esempio in quegli alimenti dove è utili eliminare la frazione grassa. Entrambi danno una risposta quantitativa,
questa stessa tecnica della rilevazione di una proteina su una membrana può essere utilizzata con il metodo definito come
western-blotting.
WESTERN BLOTTING
Combinazione di separazione elettroforetica e rivelazione immunochimica analoga al dot blotting. È una tecnica eseguita su
membrana di cellulosa, che permette di identificare una determinata proteina in una miscela di proteine, mediante il
riconoscimento da parte di anticorpi specifici. In generale per facilitare il riconoscimento, la miscela di proteine viene prima
separata elettroforeticamente, successivamente le proteine vengono trasferite su di un supporto, generalmente una membrana di
nitrocellulosa e quindi si procede al riconoscimento vero e proprio della proteina mediante l’utilizzo di un anticorpo specifico. Ad
esempio in un latte in cui si vuole rimuovere la totalità degli epitopi, con elettroforesi si separano le proteine (le proteine integre
con tutti gli epitopi hanno un peso diverso da quelle modificate) attraverso il western blotting si riconoscono quali sono le proteine
all’interno della miscela che sono immunoreattive. Il problema è che dopo separazione elettroforetica la proteina è intrappolata nel
supporto elettroforetico e non è in grado di reagire con un anticorpo, l’interazione è possibile solo se la separazione elettroforetica
viene trasferita su membrana inerte di nitrocellulosa. Il western blotting è un sistema per il quale, sfruttando la capacità delle
proteine di migrare, il tracciato elettroforetico (la separazione che si osserva) viene trasferito su una membrana di nitrocellulosa.
Preparazione di alimenti anallergici
L’allergene viene riconosciuto dalla persone sensibili, che hanno le cellule B (presenti a livello del midollo) che lo riconoscono,
producendo IGE, anticorpi che hanno due destini: rimanere attaccati alle cellule B (costituendo le cellule della memoria in modo
tale che la risposta le colte successive sia più veloce), o venire liberati (sono IGE fatti con diversi epitopi dell’allergene). Questi vanno
a legarsi ai mastociti, le cellule del sistema immunitario specifiche, che presentano recettori specifici per gli anticorpi IGE; inoltre al
mastocita può legarsi anche l’allergene per facilitarne la sua risposta. Esso va incontro a degranulazione, ovvero viene attivato tutto
il suo metabolismo di risposta del segnale in cui si formano dei granuli al contatto con IGE rilasciando i loro contenuti (mediatori
chimici come istamina, leucotreni, prostaglandine) che vanno a colpire le terminazioni nervose. L’istamina aumenta la permeabilità
capillare, i leucotreni colpiscono gli occhi e la mucosa nasale, le prostaglandine causano la contrazione dei bronchi (asma). La
maggiore dilatazione capillare causa una difficoltà del cuore a pompare, e una contrazione a livello bronchiale l’ossigeno fatica a
arrivare. La morte da shock anafilattico è dovuta al collasso cardiaco.
L’allergia a un alimento è intesa come un allergia in cui compare un allergene alimentare (sono solo proteine) che determina una
risposta dal SI che è IGE mediata. L’intolleranza è una reazione avversa a un alimento, che non prevede una risposta IGE mediatab
causata non solo da proteine ma da altre molecole (lattosio). La celiachia non è un allergia, ma nemmeno un intolleranza, è una
patologia (predisposizione genetica) in cui interviene il SI, ma una parte diversa da quella che interviene nel caso dell’allergia.
L’allergene è una proteina, o un gruppo di proteine che in un alimento sono responsabili della manifestazione allergica. I
responsabili sono epitopi sequenziali e conformazionali presenti, per eliminare questi epitopi si possono effettuare trattamenti
diversi:
●
●
●
Termico: influisce sugli epitopi conformazionali aumentandoli, diminuendoli o non avendo alcun effetto a seconda delle
proteine
Meccanico: influisce sugli epitopi conformazionali allo stesso modo di quello termico
Enzimatico: se svolto in modo opportuno può diminuire la presenza di epitopi sequenziali e conformazionali
Esistono trattamenti che possono influenzare la risposta dell’allergene (la tostatura comporta la glicosidazione delle regioni
epitopiche, aumentando l’interazione con l’anticorpo, quindi la quantità che da risposta allergica diminuisce). La risposta del SI non
dipende solo dalla presenza dell’allergene ma anche da come esso si trova nell’alimento, ad esempio se in emulsione la quantità per
avere una risposta dal SI è minore. Si ha una risposta diversa anche a seconda delle dimensioni delle particelle in cui la proteina è
presente nell’alimento.
Effetto sinergico: la risposta all’allergene può aumentare se sono associati ad essi degli allergeni con simile struttura, la risposta
all’allergene può essere aumentata (quindi la sua quantità diminuita) se nell’alimento c’è una sostanza considerata avversa dal SI,
sebbene non dia allergia. Gli alimenti per la prima infanzia vengono controllati microbiologicamente cercando marcatori che
indichino un’avvenuta contaminazione microbica a priori, ad esempio gli AA (la loro presenza indica una contaminazione microbica
elevata precedente)
Interventi sugli alimenti anallergici
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Alterazione biochimica dell’alimento → modificazione della proteina allergenica, è difficile ottenere una proteina senza
epitopi perché vengono riprodotte le zone che sono state distrutte
Rimozione fisica dell’allergene dall’alimento → l’olio di soia è allergico, ma contiene trigliceridi e AG, con la raffinazione
filtrazione e estrazione elimino tutte le proteine responsabili delle manifestazioni allergiche e ottengo un prodotto
anallergico. Anche nelle pesche e nella mela l’allergene si trova sulla buccia e con la pelatura produco un alimento
anallergico
Intervento enzimatico → consiste in un intervento in più fasi
o Pretrattamento termico che rende le proteine maggiormente idrolizzabili (denaturano), la cui scelta
dell’intensità è importante in quanto se troppo elevato porta alla formazione di polimeri di epiteti che sono
maggiormente immunoreattivi
o Trattamento con enzima che sono proteasi per specifiche regioni epitopiche e le rimuovono
o Rimozione delle molecole immunoreattive, si riscalda la miscela disattivando così l’enzima e facendo precipitare
eventuali polimeri formatisi. Vi è poi un trattamento di ultrafiltrazione (secondo gli studi i peptidi che hanno PM
minore di 5000 non sono più immunoreattivi), tutto ciò che pesa di più viene trattenuto. La miscela di peptidi
sotto 5000 potrebbe essere la partenza per produrre un alimento anallergico, a questa miscela opero l’ELISA e
osservo se sono presenti peptidi immunoreattivi. I problemi di questo processo sono la formazione di piccoli
peptidi (gusto amaro), e la presenza di due trattamenti termici che comportano la glicosilazione dei residui.
Vengono effettuati test in vitro e in vivo.
Etichetta alimenti
Nel 2000 è stata emanata una direttiva CEE che specifica che nelle etichette degli alimenti deve essere specificata l’eventuale
presenza di alimenti responsabili delle principali allergie alimentari. Dopo studi clinici si sono definite le quantità massime di
allergeni che può essere presente nell’alimento. L’ordine di grandezza è di microgrammi, si è arrivati a stabilire che il limite degli
allergeni è compreso tra 1 e 10 ppm, questo limite nel 90% degli individui non dà risposte allergiche a quella sostanza. Questo 90%
deve essere fatto su 29 individui, dunque una quantità di 0,1-1ppm è tutelante per le aziende alimentari. Ad esempio una dicitura in
etichetta come “può contenere uovo” significa che l’alimento dopo essere stato controllato è stata definita una quantità di allergene
superiore a 1ppm. La definizione della concentrazione limite è complessa, in quanto la quantità di allergene necessaria per dare una
risposta immunitaria dipende dal suo stato fisico nell’alimento, oltre al fatto che ogni soggetto ha una risposta individuale. I metodi
analitici che permettono di determinare la quantità di allergeni nel range 0,1-1ppm sono il metodo ELISA e la spettrometria di
massa (ma ha problemi al momento di quantificazione). Un metodo non ufficiale è la PCR, che grazie alla presenza di DNA riconduce
alle proteine, ma non è un metodo valido perché il DNA si degrada con il calore mentre la proteina no, oppure ho presenza di DNA e
non di proteine perché il prodotto è stato filtrato. Standard affidabili: creo una curva di taratura con standard, esiste un unico
istituto ufficiale che prepara standard di noccioline, tramite estrazione da matrice grezza posto in sospensione con solvente e
successivamente posto a centrifugazione. Esistono ancora problemi irrisolti per creare anticorpi come la scelta tra prodotto cotto e
crudo, interpretazione dei falsi negativi o positivi, effetto sinergico. Per ora si sono compiute ricerche solo sulle noccioline
americane, perché statisticamente hanno creato più morti degli altri allergeni.
Intolleranze
Un’intolleranza è una reazione avversa agli alimenti, non contando le reazioni dovute a
un alimento patogeno. È una manifestazione che può avere coinvolto il sistema
immunitario ma, tra le reazioni che possono avvenire a livello del sistema immunitario,
non si ha produzione di anticorpi IGE; un composto che determina un intolleranza può
essere di diversa origine (nelle allergie la causa erano le proteine, o peptidi), infatti può
essere causata sia da polisaccaridi sia da proteine e sia da piccole molecole. Nelle
intolleranze non c’è una grossa variabilità nell’individuo in termini di quantità (non c’è individualità). Questo è un aspetto
importante perché è più facile definire il limite consentito nei prodotti, in quanto non è strettamente individuale come nel caso
delle allergie. Le intolleranze più note sono quelle al lattosio, all’istamina (nel pesce) e al solfito (vino bianco). Accanto a questi c’è
un'altra intolleranza che è la celiachia, dovuta a particolari sequenze presenti nel glutine.
Intolleranza al lattosio
È legata a un aspetto genetico di alcune popolazioni, per il quale la betagalattosidasi, o è in quantità insufficienti o è cataliticamente
inefficiente. Il lattosio non viene degradato, si accumula nell’intestino dove si seleziona una certa microflora che lo utilizza con
effetti negativi per la salute dell’individuo. L’aspetto interessante è che è genetica, e le popolazioni che hanno questo isoenzima
inefficiente sono quella africana e quella asiatica, le popolazioni caucasiche non lo presentano. Tutte le migrazioni avvenute verso
l’europa hanno portato all’aumento del mercato dei prodotti con minor quantità di lattosio, è stato fisato un limite di lattosio
residuo e bisogna capire su che prodotti bisogna applicarlo (sul formaggio che ha meno lattosio sarebbe quasi inutile)
Intolleranza al glutine (celiachia)
È una malattia autoimmune definita come intolleranza perché non si ha produzione di IGE, ha due fattori importanti
1.
2.
Predisposizione genetica, solo certi individui con particolari tipi di cellule sono predisposti alla malattia
La presenza di alcune sequenze presenti nel glutine di alcuni cereali (cereali glutinogenici)
Questi due fattori devono essere coopresenti per far si che la malattia si presenti, se manca uno dei due la malattia non si
manifesta. Il glutine è l’insieme di gliadine, solubili in alcool e glutenine solubili in soluzioni debolmente acide o debolmente
basiche. Alcuni cereali determina l’insorgere di questa malattia, altri no come ad esempio il mais nonostante contenga il glutine.
Infatti la causa della malattia non è il glutine in se ma solo una specifica sequenza di alcune proteine presenti in esso. Il mercato ci
indica che 1:200 della popolazione europea è celiaca, la terapia è una dieta priva di cereali glutinogenici (gluten free). Questa
malattia è diversa dall’intolleranza al glutine vera e propria.
La celiachia è caratterizzata dalla morte delle cellule che costituiscono il villo intestinale quando si trova a interagire con il glutine di
alcuni cereali. Il villo viene distrutto perché il SI reagisce, come nel caso delle malattie autoimmuni, producendo degli anticorpi
chiamati citochine che distruggono le proprie cellule. Se si toglie il glutine dopo un certo tempo si ritorna alla situazione normale.
L’unica diagnosi è quella di fare una biopsia e vedere lo stato del villo, questa malattia può arrivare a diverse età, quando si
invecchia le condizioni e le capacità del villo intestinale si riducono come anche la capacità di rigenerarsi. L’altro fattore è
rappresentato dal fatto che nel glutine sono presenti alcune sequenze tossiche di alcuni cereali (frumento, segale, orzo, kamut, ecc).
i cereali non coinvolti in questa malattia sono il riso, il sorgo, e il mais. Ci sono anche degli pseudo cereali come l’amaranto il grano
sareaceno e la quinoa. L’avena è un cereale potenzialmente non
coinvolto, ma ha un problema che è quello di non trovarla a un
prezzo ragionevole se non contaminata da frumento. Un tempo
si credeva che il responsabile della malattia fossero le gliadine,
ma non ci spiegava il fatto che il mais ricco di gliadine non
causasse la celiachia. 10 anni è stato scoperto che il responsabile
non era la proteina in se ma delle sequenze ripetitive,
caratterizzate da prolina, glutammina, glutammina, prolina,
idrofobico, prolina, glutammina. La frequenza di queste
ripetizioni causa u maggior effetto negativo della malattia,
queste sequenze non vengono idrolizzate perché le proteasi
tagliano ovunque purchè l’AA vicino a quello bersaglio non sia una prolina. Il problema è che queste sequenze, oltre a causare la
malattia, sono fondamentali per le proprietà elastiche della formazione del reticolo proteico.
La tabella serve per mostrare che queste sequenze sono presenti in tutte le proteine del glutine, non bisogna cercare quanto glutine
c’è, ma quanti peptidi tossici rimangono.
Prodotti gluten free
Nella produzione di un gluten free si deve sostituire la funzione fondamentale che svolge il glutine (più precisamente le proteine del
glutine). I cereali che non sono glutinogenici hanno proteine difficili da reticolare, sono solubili. Bisogna trovare degli interventi
tecnologici che facilitano la reticolazione, un tentativo è l’aggiunta di proteine facilmente reticolanti, come quelle dell’uovo che però
sono di origine animale e allergeniche percui non vengono utilizzate. Un modo è fare farine gluten free e aggiungere ingredienti
funzionali, che facilitano la formazione del reticolo, stabilizzato con interazioni diverse da quelle proteiche presenti nel frumento,
come l’amido e gli amidi modificati (idrocolloidi). Questi formano un collante con interazioni diverse da quelle del glutine che
mimano la formazione di un reticolo. Un'altra alternativa è quella di aggiungere emulsionanti (mono o digliceridi) i quali aiutano a
tenere insieme e soprattutto rendono masticabile il prodotto. Un ulteriore alternativa è quella di aggiungere proteine constricanti
come l’uovo, le proteine del siero, ma tornando sempre allo stesso problema di allergenicità.
Per questi prodotti si ha un etichetta molto complicata perché si mescolano diverse quantità di cereali o pseudo cereali non
celiacogenici, sperando che le proteine o le proprietà dell’amido di questi riducano il più possibile l’aggiunta di idrocolloidi o
emulsionanti, la cui quantità si sta cercando di eliminare andando ad agire direttamente sulle proteine delle farine. Per farlo si
usano degli enzimi che facciano l’idrolisi molto limitata di certe proteine, facilitano la loro capacità di formare reticoli, oppure
utilizzando batteri lattici che hanno enzimi proteolitici e che agiscono anche sui polisaccaridi, oppure trattamenti fisici che
modificano le proprietà sia delle proteine che dell’amido (su farine gluten free). Per quanto riguarda il pane non basta un
trattamento fisico, ma vanno usati dei microrganismi (batteri lattici) per andare incontro a processi fermentativi che determinano
delle modificazioni della frazione proteica e della frazione polisaccaridica. Viene fatta una fermentazione acida che facilita la
formazione di un prodotto decente, dal punto di vista nutrizionale è più valido in quanto la fibra è molto bassa.
Un’idea sperimentale è quella di poter attuare degli interventi per rompere le sequenze e disintossicare il glutine, con una proteasi
che tagli o a livello della prolina o della glutammina. Questo trattamento viene fatto a livello di studio oppure su un frumento dal
quale si producono dei derivati (sciroppo di glucosio o amidi modificati) nei quali si ha paura che rimangano dei residui tossici. La
proteasi che tagli dove c’è la prolina dovrebbe essere la soluzione ma è ancora in via sperimentale.
Sono stati stabiliti dei limiti per la quantità di glutine residua affinchè un alimento sia considerato gluten free e adatto ad una
persona sensibile. 5 anni fa a consenso europeo sono stati definiti i limiti del contenuto di gliadina (perché è lo standard impiegato
per quantificare le sequenze tossiche), per la quale si può definire un alimento privo di glutine è 10 mg/Kg di gliadina, quindi 10
ppm, in glutine è 20 mg/kg (il rapporto glutine-gliadina nei principali frumenti europei è uguale al doppio). Per quanto riguarda gli
alimenti resi privi di glutine (sciroppo di glucosio, amido di frumento) i limiti sono fissati a 100 mg/kg di gliadina, 200mg/kg di
glutine. Questa è la legislazione europea, in italia, per scelte legislative e per tutti i prodotti non ci sia distinzione tra naturalmente o
resi privi devono avere tutti un contenuto di glutine sotto 200mg/kg. Nelle farine normali il contenuto è circa 1000 volte maggiore.
Analisi quantitativa
Per cercare queste sequenze tossiche entro questi limiti ci sono diversi metodi:
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●
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HPLC → separo il glutine presente e cerco (non arriva a questa sensibilità)
Elettroforesi → non arriva a questa sensibilità e si hanno anche effetti di recupero
Spettrofotometria di massa → vede anche sotto i 20ppm ma il glutine deve essere isolato (non allinterno di matrice
complessa)
Questi metodi non sono abbastanza sensibili, l’alternativa è il metodo
immunochimico ELISA che arriva a determinare anche 10 volte meno del limite di
sicurezza. Ci sono due tipi di metodi quantitativi, ELISA (quantitativo) e uno come
stick (semi quantitativo e qualitativo), tutti questi metodi usano un anticorpo in
grado di riconoscere la presenza di sequenze tossiche.
Il primo kit usato è il sandwich ELISA: viene venduta una piastra a cui è attaccato a
ogni pozzetto un anticorpo, in grado si riconoscere nelle proteine del campione che
gli viene presentato (la sequenza tossica), il campione si lega e in seguito si una lo
stesso anticorpo legato a un enzima che forma un sandwich (più sequenze ci sono
più colorato diventa il composto).
Per quantificare è stato trovato uno standard di gliadine, quindi si effettua l’analisi
ELISA in parallelo ed esso e li si paragona. Esiste un piccolo problema, infatti questo
sistema funziona purchè nella proteina siano presenti almeno due sequenze tossiche,
il che significa che funziona benissimo se si effettua su proteine integre, che non
hanno subito interventi di proteolisi. Alimenti come birra e yogurta base di malto
hanno questi problemi (non c’è la proteina intera, ma solo peptidi e quindi questo
metodo non riesce a ritrovarlo) per il whisky sarebbe un problema analizzare perché
questo si ottiene distillando (le proteine non distillano). La birra contiene proteine
tossiche sottoforma di peptidi, una multinazionale spagnola ha brevettato un metodo
per determinare i peptidi ed è un ELISA di tipo competitivo.
Questo metodo è indiretto, si ha attaccato alla parete il peptide
tossico, a qeusto punto si fa una competizione aggiungendo
contemporaneamente l’anticorpo che vede la sequenza in presenza
del mio campione. In questo modo crea una competizione per il legame con l’anticorpo tra il peptide in soluzione e quello legato al
pozzetto. Più sequenze tossiche sono presenti, mene se ne legheranno di anticorpi sul pozzetto, si avrà una risposta inversamente
proporzionale. In questo caso si determina la sequenza, quindi lo standard che si usa non sarà più la gliadina ma una gliadina
idrolizzata. Bisogna usare i due metodi ELISA diversi per il tipo di azione (a parte che il secondo costa 10 volte di più): i prodotti
gluten free sono solidi e quindi, per fare il secondo metodo, bisognerebbe estrarre la proteina e per fare questa estrazione si
prevede l’uso di sostanze particolari estremamente denaturanti per poi diluire la sostanza. Per la birra non c’è il problema di
estrazione o diluizione quindi si usa il metodo competitivo. La scelta è legata sia a motivi concettuali (non può fare il sandwich e si
devono analizzare dei peptidi) che a motivi di necessità di estrazione.
Modificazioni dal punto di vista biochimico che si verificano su un alimento come la carne
IL MUSCOLO
È fatto da acqua (75%) e da proteine (20%) che sono responsabili delle caratteristiche del prodotto. Noi consumiamo la carne, non il
muscolo, che sarebbe troppo duro. È costituito da fibre muscolari con lunghezze da 1 a 40nm e diametro variabile fino a 0.1nm,
esse sono cellule del tessuto muscolare specializzate. Rispetto a una cellula normale hanno più nuclei (polinucleate), hanno una
membrana specializzata elettricamente eccitabile (sarcolemma) e un citoplasma che ha all’interno strutture macromolecolari e
composti diversi da quelli delle altre cellule.
Il sarcoplasma → ha strutture proteiche tipiche della cellula muscolare, li miofibrille che sono
delle associazioni proteiche organizzate in fasci paralleli lungo l’asse della cellula;
perpendicolarmente ad esse ci sono i tubili trasversi, mentre longitudinalmente alle miofibrille
troviamo il reticolo sarcoplasmatico. Appoggiati alle miofibrille ci sono tanti mitocondri che
servono per avere energia per il muscolo. La funzione che svolge il muscolo è legata alla
contrazione muscolare e al rilascio (movimento).
Le proteine sono quelle miofibrilalri (+ del 50% delle totali), dal sarcoplasma (30% solubili in
soluzioni saline a pH neutro), dello stroma insolubili (10-15% come collagene e elastina che
servono per tenere il muscolo connesso e dare funzionalità). Quelle che costituiscono gli
alimenti sono le miofibrille.
Reticolo sarcoplasmatico → è simile al reticolo plasmatico liscio, ma svolge la fondamentale funzione di pompa del calcio, quello
liscio svolge la sintesi/modifica di molecole. Il reticolo sarcoplasmatico contiene elevate quantità di calcio, che viene sequestrato e
rilasciato quando la cellula muscolare viene eccitata, il reticolo svolge quindi un ruolo fondamentale durante la contrazione
muscolare.
Miofibrille → sono costituite da unità ripetitive chiamate sarcomeri, i quali sono fatti da bande A (ansiotrope) e I (isotrope), sono
bande che permettono il passaggio della luce (se passa la banda è chiara (I) se non passa è scura (A)). La banda I è formata da un
solo tipo di filamento (filamento sottile), la A ha zone più scure e zone più chiare, quella chiara centrale è formata dal filamento
spesso, la zona più scura è fatta sia da filamenti spessi che sottili. Quando il muscolo è rilassato è come la rima immagine, quando
non lo è ho lo scorrimento dei filamenti come nell’estremità della slide (li è sparita la banda I)
La linea Z → (interno banda I) rappresenta il
punto di ancoraggio dei filamenti sottili
Linea M → (zona H della banda A) sono
costituite oltre che da filamenti spessi anche
da altre proteine (proteina M, creatinchinasi,
miomesina)
Filamenti sottili → associazioni multi proteiche fatte di actina, troponina e tropomiosina.
L’actina rappresenta il 25% delle proteine muscolari, è presente in due organizzazioni, c’è la G che è il monomero, è globulare pesa
43k e in presenza di Mg++ polimerizza a formare filamento a doppia elica. L’actina F è l’associazione non covalente fra monomeri di
G in presenza di Mg. Alcune malattie muscolari sono legate alla difficoltà di assorbimento di Mg, allora ho difetti nella formazione
del filamento F (il muscolo non sta insieme)
Tropomiosina che sta attorno al filamento di actina, è un dimero di 70mila avvolta come una corda che lega i filamenti di actina.
Ogni passo dell’elica c’e un complesso multi proteico che costituisce la troponina
Troponina è un trimero con tre catene diverse una dall’altra, una delle proteine è la troponina T che si associa alla tropomiosina è
ancora il complesso della tropomiosina, poi abbiamo la troponinaI che inibisce l’interazione fra actina F e miosina. La troponina C
lega il calcio fondamentale per la contrazione, è simile alla calmodulina.
Filamento spesso → la miosina rappresenta il 55% delle proteine muscolari e costituisce il filamenti spesso, è una proteina
oligomerica formata da più proteine associate ognuna fatta da due catene di tre diverse proteine associate a formare una struttura
quaternaria tipica. Ci sono due catene pesanti da 200k avvoltre tra loro partendo dal C terminale che forma una bastoncino lineare
(cosa della miosina) aprendosi invece verso la parte N terminale a formare due teste. All’interno delle test6e ci sono due catene
leggere, quella da 16 e quella da 20. La coda della miosina ha flessibilità strutturale e permette alla miosina di stare dritta. Le catene
pesanti si associano coda contro coda, il filamento pesante è costituito dalla zona chiamata zona nuda della miosina dove ho le code
e alle due estremità sbucano le parti N terminali della testa. La parte prima dello snodo è rigida, lo scorrimento dei filamenti
avviene in base alla contrazione, la contrazione e il rilascio sono legate al muto scorrimento dei filimenti sottili su quelli spessi, la
miosina fa complessi actina-miosina e ha attività ATPasica.
Tappe della contrazione
Sono dieci e la metà sono di tipo nervoso. La prima caratteristica della fibra: all’interno dei tubuli del reticolo, tutto il calcio presente
all’interno della cellula non è libero nel citoplasma, ma sta all’interno del reticolo sarcoplamatico o dei tubuli trasversi. Quando
arriva l’impulso e il muscolo si deve contrarre l’effetto è eccitazione a livello elettrico della membrana della fibra muscolare e c’è
depolarizzazione a carico dei tubuli trasversi. Tutto il calcio nel reticolo allora viene rilasciato, la quantità di calcio, dal momento in
cui parte la contrazione diminuisce di un fattore 100 di concentrazione, passo da un fattore 10^-7 a 10^-5 molare. Ora a causa di
una serie di modificazioni strutturali a carico dei filamenti sottili e in particolar modo a carico del complesso della troponina,
abbiamo che il Ca va a legarsi alla subunità della troponina C. il legame facilita l’interazione tra filamento sottile e spesso, quindi
scorrimento del sottile sullo spesso (muscolo è contratto). Il rilascio del muscolo avviene solo se il calcio viene riassorbito all’interno,
il reticolo viene comunque depolarizzato e il calcio entra e il calcio entra con gradiente nel tubulo e nel reticolo perché ora vado da
una concentrazione interna di 10^-7 a una esterna di 10^-5, trasporto attivo (mi serve energia da ATP e mitocondri). I mitocondri
sono tanto di più i base a quanto il muscolo deve contrarsi. La troponina attraverso interazione con tropomiosina inibisce
ulteriormente interazione miosina/actina. In presenza di ATP la testa della miosina si stacca dall’actina, una volta che il Ca è rientrato
non c’è più interazione tra i filamenti e si torna alla condizione di partenza.
Modificazioni post-mortem
Per arrivare all’alimento
1.
2.
Arresto della circolazione sanguigna → siu passa da metabolismo aerobio a anaerobio, quando l’animale è abbattuto il
muscolo è contratto (rigor mortis). Il muscolo contratto è duro e non fa penetrare il sale e c’è difficoltà a allontanare il Ca.
Allora è essenziale superare lo stato di rigor del muscolo per portarlo a una situzaione di rilascio (frollatura) per avere
carne tenera per consumo diretto o da trasformare.
Superamento del rigor → devo riassorbire il Ca usando ATP però se passo da aerobio a anaerobio non ho produzione di
ATP, quindi essa può o derivare da riserva di ATP come fosfocreatina o adenilato chinasi oppure uso l’ATP prodotta dal
metabolismo anaerobico (glicolisi) dove uso glucosio o glicogeno come substrato iniziale. Però se l’animale era sotto stress
non ho glucosio e glicogeno
Da aerobico ad anaerobico: i prodotti della glicolisi sono acido piruvico che va i krebs e NADH che dà ATP tornando a NAD+ con
krebs. Se però non ho krebs (anaerobio) allora devo rigenerare NADH riducendo piruvato in acido lattico (ho abbassamento del pH
se decresce ATP). Si ha un accumulo di acido lattico con conseguenze: precipitazione delle proteine che costituiscono il sarcoplasma,
diversa interazione tra miosina e actina e modificazioni strutturali, c’è metabolismo anaerobico in corso fatto degli enzimi che a pH
basso non funzionano più e quindi non mi si produce ATP. L’abbassamento del pH serve ma deve essere graduale, si fa frollatura a
bassa temperatura. Se avvenisse rapidamente non avrei ATP, le proteine precipitano e l’acqua non si associa più formando acqua
libera (con possibilità di crescita microbica). Bbassando la produzione di ATP ho perdita della capcità del reticolo sarcoplasmatico di
assorbire calcio, con incremento di permeabilità del reticolo al calcio e il reticolo rilascia calcio.
Problema per il maiale perché alcune varietà genetiche delle proteine hanno diversa capacità di trattenere il calcio e interagire con
l’acqua e alcuni maiali non trattengono il sale quando faccio il prosciutto. Possono anche innescarsi elle proteasi (catepsine presenti
all’interno dei lisosomi) e avviene putrefazione se abbasso velocemente il pH. Quindi le variazioni di pH di specie specifiche mi
condizionano texture, colore, tenerezza, capacità di trattenere acqua e la resistenza ai microrganismi. Il colore della carne è dato
dallo stato di ossidazione del Fe nella mioglobina (dal fatto che abbia il gruppo eme posizionato correttamente all’interno di essa). Il
pH può favorire lo stato redox del Fe e la diversa denaturazione della mioglobina e quindi maggiore o minore esposizione (rispetto
la struttura nativa) del gruppo eme, se c’è rilascio di Fe c’è perdita di colore. Se non ho glicogeno e non ho rilascio quindi di acido
lattico il pH non si abbassa, anche al temperatura influenza il pH (se è alta si abbassa). Se il muscolo non trattiene l’acqua si ha
l’essudazione della carne
Frollatura e dissolvenza del rigor
Ci sono una serie di eventi strutturali che coinvolgono le proteine, accanto ad essi ci sono eventi proteolitici ad opera di proteasi
presenti nel citosol del muscolo (calpaine, cal perché sono calcio dipendenti, attive a elevate concentrazioni di Ca e paine perché
hanno specificità di azione simile alla papaina della papaia). Hanno ottimo di pH a 5,5 che è quello che raggiunge il muscolo quando
viene acidificato (sono Ca dipendenti e hanno quel pH perché non devono essere attive in condizioni fisiologiche per non idrolizzare
il muscolo). Esistono due forme: le microcalpaine e le millicalpaine, una agisce a concentrazioni micromolari di Ca e l’altra a
concentrazioni milli molari. Il calcio è molto elevato e la calpastatina è un loro inibitore endogeno che non le fa agire in condizioni
fisiologiche. Esse idrolizzano lungo le zone più scure (linee Z) che sono i punti di ancoraggio dei filamenti sottili all’interno della fibra
muscolare. Non idrolizzano tutto, ma sono specifiche per quelle zone dove completano la frollatura fino a ottenere la carne.
L’insieme dei due eventi comporta la trasformazione in prodotto edibile. Nessuno sala il prodotto nella fase di rigor, il congelamento
avviene anch’esso dopo la frollatura (a volte vengono fatti spruzzi o iniezioni di calpaina per rendere la carne più tenera, il rigor è
importante anche per il pesce)
LA CARNE
Molti prodotti carnei con problemi vengono trattati con transglutaminasi che fa un legame isopeptidico fra un gruppo R amminico di
una Lys e un gruppo carbossilico di una Gln. Questo enzima fa più step:
1.
2.
Deammina la Gld che da CONH2 diventa CO- (acido glutammico)
Si forma il legame covalente tra Gln e l’NH2 della Lys (se ho Glu non fa il legame e quindi deve tornare Gln)
Ciò è molto usato nei prodotti carnei perché la carne è ricca di Lys e Gln, inoltre così
posso reticolare molto le proteine (se ho tanti pezzi di carne e metto questo e acqua
ottengo un prodotto compatto) tipo per fare il surimi e il roast beef. L’enzima quindi
serve per reticolare e trattiene l’acqua, poi si pastorizza perciò l’enzima viene distrutto.
Ora viene usato anche nei formaggi per non perdere il siero (per i cereali non va bene
perché c’è poca Lys). Gli aspetti negativi sono che si perde la Lys (non c’è carenza) perché
le proteasi la idrolizzano inoltre mi rimane un peptide con il legame Gln-Lys anomalo per le nostre cellule
Il prione patogeno
Come faccio a capire se in un tessuto carneo c’è il prione patogeno? Il prione ha alfa-elica, è una piccola proteina, lega i metalli e lo
trovo nel cervello, nel midollo osseo, è una proteina importante. Forma patogena se da alfa-elica diventa beta-foglietto! Così non
interagisce più come prima e tende a polimerizzare e formare polimeri che diventano fibrille e poi precipitano e lasciano i buchi. La
causa è una modificazione strutturale del prione, per stabilire se c’è il prione patogeno (il prione normale c’è sempre) devo cercare
una diversa organizzazione strutturale (beta-foglietto), quindi ho diversa accessibilità all’azione della proteasi perché non ha più il
residuo percui è specifica oppure perché i residui sono troppo compattati e non riesce a reagire con essi. Ci si è accorti che la
proteasi K agiva idrolizzando tutto il prione solo con alfa-elica, poi alla fine guardo se c’è ancora il prione o no.
Metodo (seconda e quarta colonna): prendo l’omogenato del tessuto e faccio agire per un certo tempo la proteasi che idrolizza, ho
tanti frammenti (caso del tessuto normale), oppure si idrolizza tutto tranne il priono (caso del tessuto con prione patogeno), per
vedere se è integro separo elettoforeticamente tutte le proteine presenti. Di tutte le bande devo capire quale e se c’è il prione con
identificazione fatta sul tracciato elettroforetico facendo western blotting (esso identifica una proteina in una miscela)
●
●
●
1 tappa proteolisi
2 tappa separazione delle proteine presenti
3 tappa identificazione con un anticorpo specifico per il prione (western
blotting)
La linea 2 è in condizioni normali, nella 4 c’è il patogeno, la linea 1 e 3 sono i
bianchi, hanno tutti i passaggi delle altre tranne l’intervento della proteasi a
monte (tappa 1). Si nota che ha reagito la proteasi da confronto della 2 con la 4,
ora però la rilevazione viene fatta con ELISA di tipo sandwich perché ho una
proteina integra (metodo delicato per il cambio di struttura)
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