UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO SCIENZE MOTORIE SPORTIVE E DELLA SALUTE APPUNTI DI FISIOLOGIA UMANA MANCINI MIRKO FISIOLOGIA UMANA INTRODUZIONE L’obiettivo della fisiologia umana è la conoscenza delle funzioni del corpo umano. La fisiologia, dalla sua etimologia, è un ragionamento sulla natura. Secondo il vocabolario Treccani, la fisiologia è la “scienza che studia le funzioni degli organismi viventi”. La funzione ha 2 significati: 1 modo di funzionare e 2 significato nel contesto di un sistema più ampio. Il modo di funzionare dipende dai processi, il loro concatenarsi secondo relazioni causa-effetto, processi di controllo e regolazione. Il secondo punto deve essere inteso come il risultato della selezione avvenuta nel corso del lungo processo di evoluzione in vista della sopravvivenza dell’individuo. Per la parola vivente si intende un sistema termodinamicamente aperto, a bassa entropia, lontano dall’equilibrio termodinamico, condizione mantenuta da forti flussi di energia, autopoietico, dotato cioè della capacità di autocostruirsi. Il corpo vivente è un luogo in cui la materia viene continuamente organizzata per ricostruire le strutture che si degradano. Per fare questo il vivente ha bisogno di energia derivata dai substrati energetici. SISTEMI DI CONTROLLO E OMEOSTASI Tutta la vita è un procedimento di sviluppo, tutta la vita si ricostruiscono strutture dopo essere state demolite, questo a tutti i livelli. Il problema è che per rendere possibile la vita, le cellule devono avere una struttura che divida il dentro dal fuori. Questa è la membrana plasmatica, struttura fondamentale per creare differenze fra interno e esterno e quindi creare i flussi. La cosa fondamentale al fine che una cellula sia viva, e resti viva, è quella di creare delle differenze tra interno e esterno che permettano il flusso di molecole da un verso o dall’altro. Si sono creati dei sistemi di trasporto attivo che formano delle differenze tra i due ambienti. Il primo trasporto è stata la pompa sodio-potassio. Le prime cellule si sono formate in un acqua salmastra, quindi, per differenziarsi, la cellula ha creato questo sistema di trasporto attivo per abbassare il livello di sodio da dentro la cellula. Fuori abbiamo ambiente ricco di sodio e dentro un ambiente povero di sodio ma ricco di potassio. Nel corso dell’evoluzione gli organismi sono passati da unicellulari a pluricellulari, l’uomo ne possiede milioni di miliardi. Ma cosa rende questo alto numero di cellule un unico organismo? In questo organismo abbiamo una massa critica di informazioni che vengono scambiate continuamente, tanto grande da rendere ogni cellula dipendente dalle altre. Ogni cellula è informata continuamente da quello che succede nelle altre cellule e adegua, in base a ciò, il suo lavoro. Per questo è necessario uno scambio di una massa enorme di informazioni. Uno scambio avviene tramite 3 elementi fisici: un emittente, un ricevente e un segnale. Oltre a questi 3 elementi ce n’è uno astratto: il codice, una serie di regole che permette di associare ad ogni stato di segnale un significato, come fa un vocabolario. Il segnale è portatore di infiniti messaggi e il significato dipende dalle regole che io applico, ovvero il codice. In fisiologia ci sono molte situazioni in cui uno stesso messaggio può essere interpretato in modo completamente diverso cioè in cui l’applicazione di un diverso codice associa significati diversi a uno stesso segnale. L’acetilcolina, ad esempio, può significare eccitazione o inibizione a seconda del recettore presente. SISTEMI DI CONTROLLO I sistemi di controllo si ritrovano dappertutto. Il sistema è un insieme di elementi che si scambiano informazioni tra di loro in modo che ogni elemento diventi dipendente da tutti gli altri. Dal sistema si crea una nuova proprietà che non era presente in nessuno di quei singoli elementi che compongono quel sistema. Controllo è un certo modo di funzionare del sistema nel modo in cui una o più grandezze fisiche possano variare ma solo dentro un certo range. È una condizione in cui, a un variare di un sistema, non è permesso di fluttuare in modo casuale o comunque non prevedibile, ma, al contrario, essa può assumere valori all’interno di un ambito ristretto, determinato dal controllore. Un sistema di controllo è un sistema in cui un dispositivo è capace di mantenere costante, o variare, in modo programmato il comportamento di altri dispositivi. Sono di 2 tipi, a catena aperta e a catena chiusa: Sistema di controllo a catena aperta: In generale è fatto da un sistema controllante, un sistema di regolazione e un sistema controllato. Ognuno si scambia informazioni al fine di regolare una grandezza fisica. In questo sistema possono essere compensate perturbazioni prevedibili. Un esempio fisiologico è la liberazione della bile nell’intestino, quando è presente il grasso nei nutrimenti questa viene riversata (tramite la colecistochinina). Sistema di controllo a catena chiusa: abbiamo sempre un sistema controllante, un sistema di regolazione e un sistema controllato, ma in più abbiamo un sensore che legge il valore della grandezza fisica in uscita e lo comunica con il sistema in entrata, creando un sistema chiuso. Il controllante viene informato degli effetti che ha avuto la sua azione sul sistema controllato. Il sistema controllante manda informazioni al sistema di regolazione confrontando il valore di riferimento (quello impostato all’inizio) e quello effettivo che gli arriva dal sensore. Questo tipo di sistema di controllo può essere a retroazione negativa e retroazione positiva: - Catena chiusa a retroazione negativa: possono essere compensate perturbazioni non previste. Può essere cambiato il valore della variabile controllata agendo sul valore di riferimento. Ovviamente non sarà possibile mantenere sempre lo stesso valore, ma avrà un comportamento oscillatorio intorno al valore di riferimento. Un esempio è il ciclo sonno veglia, il ciclo mestruale o il tremore. Se aumenta il ritardo aumenta il valore della oscillazione. Un altro valore che aumenta il livello oscillatorio è l’amplificazione, più amplifico l’informazione e più amplifico l’effetto oscillatorio. Se superano un valore diventa una oscillazione perenne, si traduce in patologia. - Catena chiusa a retroazione positiva: la perturbazione spinge il valore della variabile all’infinito (in realtà ai suoi valori massimi, o minimi, fisicamente possibili). Il sistema porta il valore della grandezza fisica a valori estremi. Questo tipo di retroazione è utile quando voglio avere un fenomeno di tipo esplosivo facendolo arrivare al suo massimo come per il parto. Per modificare il valore della grandezza fisica possiamo lavorare su 4 punti: aumentare o diminuire la produzione della grandezza fisica, eliminazione, prelievo e infine deposito (come per il glicogeno nel fegato). MECCANISMI DI AMPLIFICAZIONE Cinetica lineare: A + B = C . Per una reazione chimica di questo tipo la velocità di reazione è proporzionale alla quantità di concentrazione di uno o dell’altro elemento della reazione. Se raddoppia uno, raddoppia anche la velocità di reazione. Cinetica non lineare: 2A + B = C . Per questa reazione la velocità aumenta in maniera esponenziale se parliamo di A. Se raddoppia la concentrazione di A, la velocità di reazione quadruplica, ecc. A piccole concentrazioni di A la reazione non parte, ma se arriva ad una certa soglia essa schizza. Questo in fisiologia si chiama “o tutto o nulla”, o non va o schizza su e va al massimo. Meccanismo a cascata: partiamo da un enzima A inattivo. Arriva un attivatore che attiva A facendolo diventare nella sua forma attiva Aa. Questo Aa va ad agire su un altro enzima B attivandolo in Ba. Questo Ba va ad attivare un altro enzima C che diventa Ca e cosi via. È un meccanismo che in poco tempo permette una grande amplificazione del processo. Agisce per esempio nella coagulazione del sangue. In questa sequenza ogni passaggio causa l’amplificazione di quella successiva. AMBIENTE INTERNO Per mantenere l’equilibrio di una cellula ci deve essere una entrata e una uscita di energia dalla sua membrana. Dentro arrivano gli alimenti e fuori esce, ad esempio, energia meccanica. Una cellula per essere viva deve avere qualcosa che la isoli dall’esterno, e questo è svolto dalla membrana che genera un ambiente interno e uno esterno. In questo modo si creano gradienti differenti tra i due ambienti che danno origine a flussi di molecole e ioni dall’interno all’esterno. Nel nostro caso l’ambiente extracellulare è il liquido extracellulare. Quando nel corso dell’evoluzione un organismo monocellulare si è trasformato in pluricellulare, ogni cellula si è trovata in poco liquido extracellulare. E se il liquido è poco avvengono subito delle perturbazioni, basta che un componente cambi di poco che subito si modifica la concentrazione totale, perché il solvente è poco. Se il volume del liquido extracellulare diventa simile a quello intracellulare, la stessa attività metabolica delle cellule diventa il fattore che va a cambiare il liquido extracellulare. Se il liquido extracellulare è cosi variabile nella composizione c’è il rischio che diventi simile al liquido intracellulare, ma se succedesse questo verrebbero a meno le condizioni della vita dei pluricellulari, in quanto non ci sarebbe più l’equilibrio di energia che entra e che esce. L’ambiente interno è quel piccolo pezzo di mare intrappolato tra le cellule che deriva dall’evoluzione da organismo unicellulari a organismi pluricellulari. La composizione quindi del liquido extracellulare deve essere simile alla composizione dell’acqua di mare. Ambiente interno è l’ambiente in cui sanno vivere le nostre cellule. Nell’ambiente extracellulare è presente soprattutto sodio e cloro e in quello intracellulare è presente molto potassio e poco sodio. Ambiente interno è l’intrappolamento di un frammento di acqua marina all’interno del nostro organismo in modo tale che le nostre cellule possano continuare a vivere come nell’acqua. L’organismo, in quanto tale, ha necessità di scambiare una grande quantità di informazioni al suo interno, la trasmissione di informazioni richiede un mezzo stabile su cui possano essere applicate perturbazioni (segnali). C’è bisogno che l’ambiente interno sia mantenuto costate e tale che le possibili molecole segnale siano ad una concentrazione estremamente bassa, ovvero che ci sia un basso rumore di fondo. OMEOSTASI Concetto che giustifica quasi tutte le funzioni dei vari organi, dei vari tessuti. L’omeostasi è: - L’attitudine propria degli organismi viventi a mantenere, entro un range limitato di variazione, le caratteristiche del proprio ambiente interno anche al variare delle condizioni esterne. - Non deve essere intesa come mantenimento di un valore fisso di una variabile, ma piuttosto come cambiamento controllato della variabile. - Le variabili hanno un diverso livello di controllo omeostatico che va dal rigido controllo alla fluttuazione libera. - Esiste una scala di priorità omeostatiche determinata selettivamente dal valore della variabile per la sopravvivenza dell’individuo o della specie. - I valori di riferimento di alcune variabili (set points) si modificano in modo dipendente dagli stimoli ambientali (interni o esterni). - Alcune risposte a stimoli ambientali ripetitivi e quindi prevedibili, nel corso dell’evoluzione sono state interiorizzate e rese in larga misura indipendenti dagli stimoli ambientali. Nel corso dell’evoluzione le risposte del nostro corpo all’alternarsi del giorno e della notte le abbiamo portate dentro dei nostri sistemi omeostatici. La maggior parte delle nostre funzioni ha un andamento circadiano, funzionano diversamente la mattina, il pomeriggio e la sera. - L’omeostasi tende ad andare al di la dei limiti del corpo anatomicamente inteso. Questo si può realizzare attraverso lo spostamento dell’animale e la scelta dell’ambiente o attraverso la progettazione e la costruzione e di un ambiente che garantisca escursioni limitate di alcune variabili. Nascono cosi le tane, le abitazioni, le città. Sistemi di integrazione dell’omeostasi: tutti gli aspetti dell’omeostasi vengono controllati da più elementi. Per esempio il PH viene controllato dal sangue, dalla respirazione polmonare e dalla funzione renale. Uno stesso organo può controllare tante grandezze omeostatiche. È necessario che ci sia qualcuno che coordini le funzioni dell’omeostasi e questi sono il sistema nervoso autonomo e il sistema endocrino. ACQUA L’uomo sostanzialmente è fatto di acqua, ed è il suo maggior componente. All’interno del corpo si distribuisce in modo non omogeneo, non tutti i tessuti hanno la stessa quantità di acqua. La funzione degli enzimi avviene solo nell’acqua, dove ci sono tessuti a scarsa percentuale di acqua, quindi, ci sono meno processi metabolici. La maggior parte dell’acqua è intracellulare (circa 2/3). Proprietà dell’acqua: - Densità: è data dalla massa diviso il volume. Definisce quanto è concentrata la massa. L’acqua ha una densità alta rispetto a molecole simili perché le sue molecole d’acqua sono legate da ponti H, quindi stanno vicine tra di loro, più di quanto dovrebbero essere date la dimensione delle molecole. La densità varia con la temperatura e raggiunge un massimo a 4 °C. Quando si abbassa e diventa ghiaccio essa diminuisce perché le molecole si organizzano in un altro modo, formando spazi vuoti tra esse, questo fa si che il ghiaccio galleggi sull’acqua. - Viscosità: è l’attrito che fanno le molecole a scorrere una su un’altra. Ci dice quanto è difficile che scorra un liquido. In un vaso sanguigno, ad esempio, il flusso non è uguale in tutto il dotto, nei pressi della parete, infatti, viene rallentato dal contatto con la parete. - Proprietà termiche: l’acqua presenta il suo punto di ebollizione 100 °C, ed è molto alto in - - - - - - relazione al punto di ebollizione di molecole di uguali dimensioni. Questo perché per portare un elemento in ebollizione bisogna strappare una molecola dall’altra rendendola gassosa. Si tratta di un processo faticoso in quanto ogni molecola è legata ad un’altra. Avere un alto punto di ebollizione è importante perché il nostro corpo a 37 gradi altrimenti bollirebbe e non riusciremmo a vivere al sole. Il calore specifico (quantità di calore che devo fornire a 1g per alzare la temperatura di 1°) dell’acqua è molto alto sempre rispetto ad altre molecole simili. Questo è sempre dovuto ai legami intramolecolari. Per alzare la temperatura serve dare calore, e questo calore si divide in 2 parti: una alza la temperatura e l’altra serve a staccare le molecole dal cluster per aumentare la velocità di movimento molecolare. Una parte del calore che fornisco all’acqua si trasforma in entropia. Servirà fornire più calore perché non tutto andrà in temperatura. Ciò è molto importante per mantenere la temperatura il più costante possibile e permettere un adattamento e un lungo tempo per una escursione termica. Proprietà di solvente: l’acqua scioglie alcune cose facilmente come il sale, lo zucchero, mentre altre sostanze, come l’olio, non le scioglie. Il sale è una sostanza dura perché il sodio e il cloro si attraggono molto fortemente, quando però entra in contatto con l’acqua si scioglie subito. Per staccare un atomo di sodio da uno di cloro ci vorrebbe molta energia. Nell’acqua però l’ossigeno (caricato negativamente) va verso il sodio (caricato positivamente) e l’idrogeno (caricato positivamente) va verso il cloro (caricato negativamente). Succede quindi che l’energia che devo fornire per rompere il legame viene compensata dall’energia che si libera da queste molecole di acqua che si avvicinano della parte della carica opposta. Questo spiega perché le molecole ioniche a legami polari si sciolgono bene, in quanto sono presenti atomi positivi e atomi negativi. L’olio invece non si scioglie perché sono trigliceridi fatti da acidi grassi che non sono idrosolubili (legame carbonio idrogeno pochissimo polare, non ci sono cariche). Per i legami polarizzati l’acqua è un ottimo solvente. Tensione superficiale: ci permette di capire una parte della funzione polmonare. La tensione superficiale è una forza che si sviluppa all’interfaccia tra 2 materiali, quella ci interessa è l’interfaccia tra acqua e aria. Questa forza tende a ridurre al minimo la superficie dell’acqua facendo diventare la gocciolina d’acqua sferica essendo la figura geometrica che a parità di volume presenta la superficie più piccola. Fondamentale per la nostra capacità di compiere atti respiratori. Dissociazione: gli elettroni non hanno una posizione fissa, non potremmo mai determinare la posizione di un elettrone ma solo la probabilità, nella molecola d’acqua c’è più probabilità di trovarlo attorno all’ossigeno piuttosto che sull’idrogeno. Quando succede che entrambi gli elettroni si trovano solo sull’ossigeno, in quell’attimo accade che l’ossigeno ha strappato gli elettroni all’idrogeno. In questo momento la molecola di acqua diventa uno ione OH- e uno ione di H+. A questo punto lo ione H va per i fatti suoi e lo stesso lo ione OH. Nell’acqua ci sono alcuni di quesi ioni. Ce ne sono pochi perché succede che poi uno ione H+ e uno OH- si trovano e si riassociano. Abbiamo quindi un equilibrio di H+ 10 elevato alla -7 e lo stesso per lo ione OH-, la loro moltiplicazione fa 10 elevato ala -14. Anche questo è un modo di aumentare l’entropia. Conducibilità elettrica: l’acqua di per se non è un buon conduttore. Ci sono poche cariche che possono andare nelle cariche di segno opposto. Ma se nell’acqua metto un sale in soluzione diventa un ottimo conduttore di elettricità. L’acqua continente sempre sali e sostanze, quindi è un ottimo conduttore di elettricità. Biochimica: l’acqua partecipa a processi biochimici, enzimatici. Per esempio si produce durante la polimerizzazione del glucosio. Oppure durante la sintesi proteica, tutti gli elementi di polimerizzazione si produce acqua. Anche alla fine della catena respiratoria. Acqua consumata nei processi di idrolisi, quando da una mole di glicogeno si staccano le moli di glucosio viene utilizzata una mole di acqua. Produzione e consumo endogeno di acqua dovuti ai processi biochimici. Acqua non solo quella che assumiamo bevendo ma anche in base a questi processi biochimici Osmosi: processo in cui ci sono 2 compartimenti separati da una membrana semipermeabile. Attraverso la membrana possono passare molecole di acqua ma non molecole di soluto. L’acqua viene attratta verso il compartimento dove abbiamo il soluto. L’acqua entra fino ad un certo livello, fino a quando la pressione osmotica si bilancia, si equilibra con la forza idrostatica. È un trasporto passivo. Struttura della molecola dell’acqua: 2 atomi di idrogeno e uno di ossigeno, tra di loro formando un legame polare, ovvero un legame in cui la coppia di elettroni che forma il legame gravita più tempo sull’ossigeno rispetto a quello che gravita sull’idrogeno. C’è più probabilità di trovare gli elettroni sull’ossigeno piuttosto che sull’idrogeno. Questo perché l’ossigeno è più elettronegativo. L’elettronegatività è la tendenza ad attrarre gli elettroni di legame. L’ossigeno è negativo perché gli elettroni passano più tempo su di esso piuttosto che sull’idrogeno. Le molecole di acqua sono organizzate in cluster, a bassa temperatura stabili, ad alte instabili. A 37 gradi il livello migliore di strutturazione è aggregati di qualche decina di molecole, e i legami a ponte di idrogeno tra una molecola e l’altra durano un decimiliardesimo di secondo. L’acqua rimane quindi allo stato fluido, tuttavia, la struttura sopramolecolare (non ci sono molecole libere quindi) devoluta ai ponti H influenza profondamente le proprietà macroscopiche. MEMBRANA E TRASPORTI DI MEMBRANA MEMBRANA La membrana cellulare è formata da un doppio strato di fosfolipidi, questa struttura particolare fa si che essa sia stabile, in quanto, essendo idrofobe non si sciolgono in acqua. In mezzo si trovano delle proteine che attraversano completamente la membrana e altre che stanno sulla superficie, interna o esterna. I fosfolipidi sono anfipatici, hanno cioè una parte polare (la testa) una parte non polare (le 2 code). La parte polare sta bene a contatto con l’acqua in quanto idrofilica e la parte non polare la respinge in quanto idrofobica. I fosfolipidi sono formati da una molecola di glicerolo, 2 acidi grassi e un gruppo fosfato al quale sono legati diversi gruppi polari. Anche il colesterolo ha questa struttura, e per questo si inserisce nella membrana e chiude eventuali spazi tra i fosfolipidi. È un elemento di stabilità. Movimenti permessi ai lipidi di membrana: - Rotazione - Traslazione - Rotazione sui legami C-C (fluidità intramolecolare) - Flip-flop (raramente) (salto da uno strato all’altro) I 2 foglietti del doppio strato sono quindi diversi, esistono elementi che stanno in maggiori concentrazioni nel foglietto esterno e altri che stanno in maggiori concentrazioni in quello interno. Proteine di membrana: le proteine che sono presenti nella membrana possono essere integrali (passano tutto lo strato) oppure possono essere appoggiate su uno dei 2 foglietti, le estrinseche. Le proteine estrinseche possono staccarsi per passare nel citosol e poi riattaccarsi alla membrana, oppure essere ancorate al doppio strato fosfolipidico attraverso una catena di CH2 legata alla proteina stessa che si infila all’interno del doppio strato. La proteina cosi non si può più staccare. Come Le proteine integrali attraversano lo spessore? Se una proteina attraversa l’intero spessore, significa che una parte attraversa lo strato idrofobico, dove l’acqua viene respinta. Questo fa si che la parte della catena proteica che attraversa il doppio strato lipidico debba essere fatta da catene di 20 amminoacidi non idrosolubili, non polari. Questi aminoacidi per esempio sono la fenina-alanina o il triptofano. Anche le proteine si muovono all’interno della membrana trascinante da flussi di lipidi che si movono attraverso movimenti di rotazione e traslazione. Ma ci sono delle limitazioni: - Clusterizzazione: proteine che non sono isolate a formano insieme dei grossi complessi proteici di dimensioni molto grosse. Quindi una particella grossa è meno mobile di una particella piccola. - Ancoraggi al citoscheletro: il citoscheletro è fatto da microtuboli, microfilamenti e filamenti intermedi che costituiscono l’impalcatura della cellula, quello che le da la forma. Le proteine del citoscheletro che sono fisse, bloccate, fanno farete di una struttura più grande che è appunto il citoscheletro. Quindi queste molecole possono essere collegate da proteine di collegamento a proteine di membrana, in questo modo anche la proteina di membrana diventa bloccata nel suo movimento. - Ancoraggi alla matrice extracellulare: nel liquido extracellulare abbiamo proteine che costituiscono la matrice extracellulare, anche questo è uno scheletro che riempie tutto lo spazio extracellulare e le proteine sono bloccate all’interno di questo scheletro, quindi le proteine di membrana attraverso le proteine di collegamento possono essere ancorate a questa matrice extracellulare e quindi venire limitate o bloccate nella loro mobilità. - Interazioni da contatto e giunzioni intercellulari: fatte di proteine di membrana ma bloccate perché legate alla corrispondente proteina di un’altra cellula. Queste proteine formano delle barriere nei confronti della mobilità delle proteine di membrana ed è estremamente importante per capire il motivo per cui la membrana di un epitelio assorbente, come ad esempio l’epitelio del tubulo renale, abbia una composizione completamente diversa nella faccia della cellula che guarda verso il lume del tubulo verso la faccia opposta. TRASPORTI DI MEMBRANA Per qualunque tipo di trasporto ci vuole una fonte energetica. Tutte le volte che una molecola o uno ione attraversa la membrana succede che la particella si mette in movimento da un compartimento all’altro. Per far si che ci sia questo movimento ci deve essere un lavoro, ci deve essere dell’energia. Qualunque tipo di trasporto richiede energia. Anche il passivo, ma la fonte energetica è diversa, non è quindi l’ATP. Dal punto di vista della fonte energetica: da questo punto di vista si dividono in passivo e attivo. Nel trasporto passivo l’energia viene fornita dalla molecola stessa, quando sta dalla parte con più soluzione ha una elevata energia potenziale, nel passaggio perde questa energia potenziale trasformandola in cinetica e quindi, di fatto, passando la membrana. Questa energia prende proprio il nome di energia potenziale chimica. Nel momento che attraversa la membrana questa energia potenziale si trasforma in energia cinetica. Non è quindi una energia metabolica ma bensì una energia contenuta all’interno della molecola stessa. Il trasporto attivo è quel trasporto dove la molecola non ha in se questa energia, quindi gli deve essere fornita da qualcuno. Esistono 2 casi, attivo primario e attivo secondario. Nel trasporto attivo primario l’energia viene data dall’ATP, quando si rompe un legame di fosfato si libera un gran quantitativo di energia. Attraverso l’idrolisi dell’ATP si genere l’energia necessaria per far passare la molecola attraverso la membrana cellulare. Nel trasporto attivo secondario l’energia non viene data direttamente dall’ATP ma da un’altra molecola che attraversando la membrana secondo gradiente di concentrazione libera energia. Questa energia che si libera è sufficiente non solo per far passare la molecola sotto gradiente di concentrazione, ma se ne crea di più che viene data ad un’altra molecola per permettergli di passare la membrana. Abbiamo complessi di cotrasporto simporto o antiporto. Nel cotrasporto le 2 molecole vanno nella stessa direzione, o in ingresso o in uscita, e nell’antiporto una delle 2 molecole si muove in un verso e l’altra si muove in quello opposto. In questo caso l’energia non deriva direttamente dall’ATP, ma c’è un trasferimento di energia che parte da essa. L’ATP fornisce l’energia necessaria per portare fuori controgradiete una molecola, ad esempio il sodio (trasporto attivo primario). A questo punto, però, il sodio vuole rientrare per una energia di gradiente di soluzione. Questo suo reingresso genera una energia dovuta all’energia potenziale chimica che permette la fuoriuscita di un’altra molecola, ad esempio calcio o potassio, contro gradiente di concentrazione (trasporto secondario). Quindi anche se nel trasporto secondario non abbiamo consumo di ATP, comunque essa è legata precedentemente attraverso il trasporto primario. Sulla base del meccanismo: il trasporto passivo può essere semplice o mediato. In quello semplice, chiamato diffusione semplice, le molecole in tutta tranquillità passano la membrana da un verso all’altro passando direttamente dal doppio strato fosfolipidico o attraverso canali creati da proteine ma senza formare nessun legame. Gli ioni ad esempio non riescono ad attraversare la membrana attraverso il doppio strato lipidico, ma ha bisogno di canali proteici (ionici). Quello mediato, chiamato trasporto facilitato, significa che il passaggio viene effettuato, sempre secondo gradiente di concentrazione, ma attraverso una proteina di membrana che lega la particella da una parte della membrana e la trasporta dall’altra parte, liberandola. Il passaggio non è del tutto libero, passa attraverso uno step dove la particella si deve legare ad una proteina di membrana, chiamata trasportatore, Carrier. Nel trasporto attivo si parla sempre di trasporto mediato da proteine. Vie di trasporto: le vie sono 2, o attraverso il doppio strato fosfolipidico (diffusione semplice) o attraverso una proteina (tutte le altre). Legge di Fick: legge che calcola la velocità di passaggio. La velocità con la quale una molecola attraversa la membrana è direttamente proporzionale, attraverso una costante, alla differenza di concentrazione ai 2 lati della membrana. CANALI IONICI I canali ionici sono delle proteine di membrana, integrali, transmembrana, multipasso (ovvero che la catena di aminoacido attraversa più volte la membrana), che permettono l’attraversamento della membrana da parte di uno o più ioni secondo il gradiente di potenziale elettrochimico senza formazione di legami specifici (trasporto passivo semplice). Le proprietà di questi canali sono la selettività e la regolabilità. Per selettività si intende che un certo canale ionico può essere selettivo per uno ione o per un certo numero di ioni. Ci sono canali altamente selettivi, permettono quindi il passaggio di un solo ione, e altri che lo sono meno, permettono quindi il passaggio di più ioni. Una selettività che è comune per tutti è la selettività nei confronti della carica: alcuni fanno passare ioni positivi e non i negativi e altri i negativi e non i positivi. Questo perché l’interno del canale è fatto da cariche positive o cariche negative. Oltre a questo alcuni canali possono avere una selettività ulteriore per uno ione in particolare. Gli ioni nel compartimento extracellulare non girano liberi, ma hanno un mantello di molecole d’acqua che li circonda, quindi la particella risulta più grossa (ione+acqua legati). Uno ione più è piccolo e più acqua attrae, avendo una forza di attrazione maggiore (forza di attrazione tra una carica positiva e una negativa è indirettamente proporzionale al quadrato della distanza, legge di Coulomb). Di conseguenza il sodio idratato è molto grosso rispetto al potassio idratato, nonostante la molecola da sola sia più piccola rispetto alla molecola libera di potassio. Il potassio essendo una molecola più grande rispetto alla molecola del sodio, ha meno attrazione con l’acqua e i suoi mantelli di H2O sono meno potenti rispetto che quelli del sodio. Come il canale può essere selettivo per il sodio o per il potassio? Man mano che lo ione idratato entra nel canale, esso si disidrata, perdendo tutte le molecole di acqua. Per il sodio il canale quindi risulterà più stretto perché lo ione sodio libero è più piccolo di quello di potassio, quindi il sodio passa e il potassio ritorna fuori reidratandosi. Per il canale di potassio, invece, lo ione viene poco disidratato, quindi una volta arrivati al restringimento il potassio idratato risulta ancora più piccolo del sodio idratato, di conseguenza viene permesso il passaggio solo per lo ione potassio. L’altra proprietà è la regolabilità, il canale può essere o aperto o chiuso tramite dei cancelli, gate, che si mettono davanti all’ingresso e non fanno passare niente. Questi cancelli permettono di aprire o di chiudere il canale, il processo si chiama gating. Dal punto di vista della regolabilità di questi gate, ci sono dei canali non gated (di fuga, non hanno un cancello), oppure gated abbiamo. Tra quest’ultimo abbiamo diverse modalità di apertura: - Potenziale elettrico: controllo di potenziale elettrico. Allo stato normale della cellula (equilibrio elettrico) il cancello è chiuso. Il cancello si apre quando il potenziale elettrico di membrana diminuisce. Si possono chiamare anche a voltaggio dipendenti. - Ligando: il cancello è chiuso e si apre quando al canale si lega una specifica molecola nel sito di legame specifico per quella molecola (come avviene per gli enzimi). Quando si lega induce un cambiamento conformazionale del canale che si apre. Il ligando può essere a livello extracellulare, eseguito nella parte esterna della membrana, oppure intracellulare, eseguito nella parte interna della membrana. - Controllo meccanico: si apre quando viene meccanicamente tirato da una proteina attaccata al cancello che lo tira quando la cellula si deforma, cioè quando cambia forma. Un esempio è quando questo canale sia legato al citoscheletro, quando viene deformato il citoscheletro la proteina al quale è legato sia al citoscheletro che al cancello, tira meccanicamente il cancello aprendolo. Anche questo può essere a livello intracellulare o extracellulare. TRASPORTI ATTIVI DI IONI Sono trasporti che permettono il passaggio di ioni contro gradiente di concentrazione. Il più famoso è la pompa sodio-potassio. Pompa sodio-potassio: si tratta di un trasporto attivo primario, quindi la stessa proteina di membrana ha un sito di legame di ATP (nella parte intracellulare) e quindi una attività ATPasica, stacca un gruppo fosfato e libera l’energia di legame che viene utilizzata per trasportare gli ioni. Presenta 3 siti di legame per il sodio e 2 per il potassio. Il sodio viene portato attivamente, quindi utilizzando ATP, all’esterno e il potassio viene trasportato dall’esterno all’interno. Quando nella proteina di trasporto si legano 3 ioni di sodio, viene stimolata la fosforilazione dell’ATP, si rompe un legame fosfato. A questo punto l’ADP va nel citosol e il gruppo fosfato libero si lega alla proteina di trasporto. L’energia che si libera viene integrata dalla pompa per cambiare conformazione. In questa nuova conformazione i siti di legame per il sodio non sono più esposti all’interno, ma all’esterno e perdono la sua affinità, vendendo così rilasciato verso l’esterno. A queso punto, si aprono i siti di legami del potassio che dall’esterno si legano alla proteina di trasporto. Il legame col potassio induce un ulteriore cambiamento conformazionale della pompa sodio-potassio con conseguente perdita del gruppo fosfato (che va nel citosol) e ritorno nella sua conformazione iniziale, cioè con i siti di legame rivolti verso l’interno. A questo punto i siti di legame col potassio perdono affinità e quindi viene rilasciato all’interno. I legami del sodio a questo punto si riaprono ricominciando il ciclo da capo. Trasportatore attivo primario di idrogeno: si tratta di un legame importante nelle vescicole sinaptiche o nel tubulo renale. È una proteina di trasporto formata da tante subunità. Grazie all’idrolisi dell’ATP (verso il citosol) abbiamo il trasporto verso l’esterno uno ione idrogeno. Trasporto attivo primario Ca2+: importante nella fisiologia del muscolo. Per ogni molecola di ATP idrolizzata vengono trasportati 2 ioni calcio. ELETTROFISIOLOGIA L’elettrofisiologia è lo studio dei fenomeni, dello stato e delle variazioni elettriche della membrana cellulare. C’è anche una fisiologia di massa, ovvero i fenomeni di una singola cellula si rispecchiano in tutto l’organo. Lo stato elettrico delle cellule è alla base della scambio di informazione cellulare. Si tratta di un cambiamento di stato, cambia il modo di essere elettrico della membrana. La carica elettrica è una proprietà della materia (di un oggetto) tale che quando un oggetto si trova vicino ad un altro oggetto con la stessa carica elettrica i 2 oggetti si respingono con una forza proporzionale alle 2 cariche e inversamente proporzionale al quadrato della distanza. La carica elettrica sta dentro l’oggetto, se esco non trovo più questa carica. Se non c’è materia non c’è carica elettrica. Il potenziale elettrico è una proprietà dello spazio, quindi il potenziale elettrico può esistere anche in assenza di materia, ma purché ci sia un potenziale elettrico è necessario che nei paraggi ci siano delle cariche elettrice. L’energia potenziale elettrica viene riferita all’unità di misura della carica. Il potenziale elettrico non dipende dalla carica elettrica ma dalla posizione dell’oggetto nello spazio. Quindi si tratta di una proprietà dello spazio e non della materia, ma richiede che ci sia una carica nello spazio. La differenza di potenziale tra 2 punti è l’energia che devo spendere per portare un oggetto da un punto all’altro. STATI ELETTRICI DELLA MEMBRANA Il potenziale di membrana è lo stato di riposo, che si crea in tutte le membrane di tutte le cellule e questa differenza di potenziale elettrico è dovuta dalla differenza di potenziale tra la carica interna alla membrana e la carica esterna. Tutto l’interno è un potenziale elettrico diverso dal potenziale elettrico esterno. Il potenziale elettrico interno è negativo e quello esterno è positivo. Potenziale locale: trasmissione di informazione sulle brevi distanze, integrabili. Le variazioni del potenziale di membrana sono locali cioè si originano in un punto e si diffondono per poco spazio. Potenziale d’azione: trasmissione di informazione sulle lunghe distanze, non integrabili. sono perturbazioni che viaggiano sulle lunghe e lunghissime distanze perché non si spegne. FATTORI DETERMINANTI DEL POTENZIALE DI MEMBRANA - Equilibrio di Gibbs-DONNAN: abbiamo una membrana plasmatica semipermeabile, cioè permette il passaggi di ioni, ma non il passaggio di grosse molecole, appunto per la loro dimensione, come le proteine e gli acidi nucleici. Questi ultimi sono presenti solo all’interno della cellula e hanno entrambi una carica negativa. Le proteine sono intrappolate all’interno della cellula, all’interno della membrana quindi sono intrappolate dalle cariche negative. Quali sono le conseguenze sulla distribuzione degli altri ioni? Facciamo l’esempio del potassio. Abbiamo dentro la cellula dei proteinati di potassio (proteine + potassio) e all’esterno solo acqua distillata. A questo punto succede che il potassio, potendo attraversare la membrana, va verso l’esterno della cellula spinto dalla forza del gradiente di concentrazione, quindi dopo un certo tempo trovo degli ioni potassio nello spazio extracellulare. Le cariche positive del potassio sono passate da dentro a fuori, accumulandosi all’esterno, mentre all’interno sono rimaste delle cariche negative (le proteine che erano unite agli ioni potassio che sono andati fuori dalla cellula). Dal punto di vista elettrico è successo che cariche positive sono andate verso l’esterno della cellula e cariche negative sono rimaste intrappolate internamente, abbiamo avuto quindi una separazione delle cariche. Gli ioni potassio che sono usciti si sono concentrati sulla superficie esterna della membrana, e le proteine cariche negativamente si sono raggruppate nella superficie interna della membrana. Abbiamo ottenuto quindi una separazione di cariche, positive esternamente e negative internamente. Questa separazione di cariche genera una differenza di potenziale, non solo sulla superficie della membrana ma in tutto lo spazio interno (negativo) e tutto lo spazio esterno (positivo). Il fatto che si sia creato questa separazione di cariche, rallenta il flusso di potassio da dentro verso l’esterno, ed è rallentato dal fatto che oltre al gradiente di concentrazione si è creata anche una forza di gradiente elettrico che respinge indietro gli ioni del potassio, tendendo a rientrare dentro la cellula. Gli ioni tendono quindi ad uscire per la forza del gradiente di concentrazione, ma tendono anche ad entrare per la forza del gradiente elettrico. Ad un certo punto queste 2 forze di gradienti diventano uguali e contrari. Si arriva dunque ad un equilibrio e gli ioni potassio che escono sono quanto gli stessi che entrano. A questo punto la differenza di potenziale elettrico non aumenta più, rimane costante nel tempo, in eterno. Abbiamo creato una differenza di potenziale ai lati di membrana senza l’utilizzo di energia metabolica ma solo creata a causa di ioni negativi (proteine) che sono intrappolati all’interno della cellula, rendono l’interno negativo rispetto l’esterno. - Diffusione: dovuto a 2 cause, la prima è la differenza di concentrazione di ioni tra interno e esterno. Ad esempio, essendo il sodio maggiore esternamente e il potassio maggiore internamente, questi tenderebbero a muoversi secondo il proprio gradiente di concentrazione. Si parte dal presupposto che c’è una differenza di concentrazione, creata dalla pompa sodiopotassio. Entrambi sono ioni positivi, hanno la stessa carica, quindi se uno entra e l’altro esce da un punto di vista elettrico non cambia nulla. Ma la membrana non è permeabile al sodio in ugual misura del potassio, e qui arriviamo alla seconda causa. Il numero di canali di potassio sempre aperti è molto maggiore de numero di canali di sodio, di conseguenza la membrana è più permeabile al potassio rispetto che al sodio. Entrambi son spinti ad attraversare la membrana da una forza, ma la membrana si fa attraversare più facilmente dal potassio rispetto che dal sodio, quindi a parità di forza che spinge i 2 ioni un numero maggiore di ioni potassio esce rispetto al numero di ioni sodio che entra. Questo determina che ci sarà un accumulo di ioni potassio all’esterno non compensata da una pari entrata di sodio. Ciò ne consegue che sulla superficie esterna della membrana si accumulano cariche positive (potassio) e sulla faccia interna negative (ioni negativi che hanno perso il potassio ma che questa perdita non è stata compensata da una pari entrata di sodio). Quindi ci troviamo anche qua in una condizione in cui sulla faccia interna si spalmano cariche negative e sulla faccia esterna si spalmano cariche positive. Se c’è la separazione di cariche, tutto l’interno diventa un potenziale elettrico negativo e tutto l’esterno diventa un potenziale elettrico positivo. La differenza di potenziale è data dal fatto che la membrana è diversamente permeabile per il sodio piuttosto che per il potassio, e che essi abbiamo diverse concentrazioni all’interno e all’esterno. Questo dipende da energia metabolica, se non ci fosse stata la pompa di sodio potassio che lavorando usando ATP ha creato una elevata concentrazione di potassio interna e una elevata concentrazione di sodio esterna, questa potenziale di diffusione non si sarebbe potuta verificare. - Elettrogenicità della pompa sodio-potassio: la pompa lavora con un rapporto 3 a 2, cioè porta 3 ioni sodio all’esterno e 2 ioni potassio all’interno per ogni molecola di ATP idrolizzata. Ciò ne consegue che per ogni ciclo di funzionamento della pompa, una carica positiva netta viene portata verso l’esterno. Di conseguenza tutte le volte che lavora la pompa si genera lo spostamento di una carica positiva verso l’esterno, creando quindi una differenza di potenziale elettrico. Più va forte la pompa, e più aumenta questo contributo al potenziale di membrana. Tutte 3 sono vere contemporaneamente, le troviamo insieme all’opera per generare la differenza di potenziale elettrico, contribuiscono ognuno alla carica di membrana. POTENZIALI LOCALI Si tratta di perturbazioni del potenziale di membrana che durano un po’ e poi si fermano. Per esempio, ho una membrana con potenziale di membrana di -70 mV e faccio uscire cariche negative all’esterno, ovvero applico una corrente elettrica. Succede che queste si accumulano momentaneamente nella superficie di membrana e poi ritornano dentro passando dai canali di membrana. Ma in quel momento il potenziale di membrana cambia momentaneamente, per poi ricostituirsi. La variazione di potenziale si diffonde, ma diffondendosi si riduce sempre di più fino a spegnersi completamente, per questo si chiama potenziale locale, io do corrente ad un punto creando in quel punto un potenziale di membrana, questo si espande un poco vicino a questo punto per poi spegnersi. POTENZIALE D’AZIONE Si tratta di una perturbazione del potenziale di membrana ma senza decremento, rimane costante, e ciò lo distingue da quelli locali e non si verifica in tutte le membrane come succede per quelli locali. Questa situazione è verificabile solo per le membrane eccitabili, ovvero quelle nervose e muscolari (hanno una elevata concentrazione di canali sodio a voltaggio dipendenti). Il potenziale d’azione si genera quando alla variazione del potenziale di membrana raggiunge un certo livello soglia. Posso perturbare applicando una corrente. Se nelle membrane eccitabili raggiungo un certo valore, chiamato valore soglia (threshold), succede un fenomeno senza ritorno, procede da solo senza bisogno di applicare una corrente e arriva ad un massimo (supera lo 0 e da negativo si ribalta in positivo) di +40 mV e poi sempre da solo ritorna rapidamente verso il valore di membrana di riposo, che è -70 mV. Qui ci sono dei canali di sodio e di potassio che sono a voltaggio dipendenti, la cui apertura del cancello dipende da una variazione del potenziale di membrana. I canali del sodio a voltaggio dipendente si aprono quando raggiungo la soglia, a questo punto succede che il sodio entra sia perché fuori è più concentrato, quindi per gradiente di concentrazione, sia perché il sodio è una carica positiva e quindi viene attratto dall’ambiente interno negativo, quindi secondo gradiente elettrico. L’entrata di sodio determina una ulteriore depolarizzazione, ovvero un’ulteriore spostamento del potenziale di membrana verso lo 0. Questa ulteriore depolarizzazione della membrana sopra la soglia, fa aprire ulteriori canali del sodio voltaggio dipendenti aumentando ancora la depolarizzazione fino ad arrivare allo 0. Arrivati allo 0 il sodio continua ad entrare anche se non c’è più la forza della differenza di potenziale elettrico (gradiente elettrico), ma rimane la forza di gradiente di concentrazione (potenziale chimico). Spinge fino al punto in cui il potenziale di membrana diventa tanto positivo che il sodio vorrebbe entrare per differenza di concentrazione ma viene spinto verso l’esterno per differenza di potenziale elettrico, l’interno quindi è diventato talmente positivo da respingere verso l’esterno il sodio. A questo punto il sodio subisce 2 forze uguali e contrarie, una che lo fa entrare (potenziale chimico) e l’altra che la fa uscire (potenziale elettrico). Siamo all’equilibrio, il picco. A questo punto succedono 2 cose. La prima è che si aprono altri canali a voltaggio dipendenti, i canali del potassio. La causa dell’apertura è sempre il superamento della soglia, però questi canali sono più lenti rispetto quelli del sodio, si accorgono che abbiamo superato la soglia solo quando arriviamo al picco. A questo punto esce il potassio, sia perché dentro è più concentrato rispetto a fuori (forza di gradiente di concentrazione) sia perché il dentro è diventato positivo (forza di gradiente elettrico) e quindi vengono spinti fuori ioni positivi, tra cui appunto il potassio. Abbiamo quindi un forte flusso di ioni di potassio verso l’esterno che riporta il potenziale di membrana a 0 e tende a uscire anche dopo. La seconda cosa che succede è che contemporaneamente all’apertura dei canali del potassio si ha l’inattivazione dei canali del sodio dovuta alla chiusura di un diverso gate presente nella proteina di trasporto a voltaggio dipendente del sodio. A questo punto il potenziale torna al suo valore di riposo. È successo quindi un processo di controllo a catena chiusa a retroazione positiva seguita da 2 processi a retroazione negativa. L’apertura dei canali di sodio a voltaggio dipendenti ha creato una corrente, un flusso verso l’interno di ioni sodio che ha depolarizzato ancora di più il potenziale di membrana e questo ha causato un’ulteriore apertura dei canali di sodio a voltaggio dipendenti. Questo è un processo di controllo a catena chiuso a retroazione positiva. Successivamente succede che dopo un mezzo secondo ho l’inattivazione dei canali a voltaggio dipendente del sodio grazie alla chiusura dell’altro gate, diminuisce la permeabilità della membrana al sodio e diminuisce la corrente di sodio che entra. Di conseguenza il potenziale di membrana torna verso il suo valore di riposo e questo determina una chiusura dei canali del sodio. Si tratta dunque di un processo di controllo a catena chiusa a retroazione negativa. L’altro processo di controllo a catena chiusa a retroazione negativa è quello dei canali del potassio. Il raggiungimento della soglia determina, con ritardo, una apertura dei canali del potassio, l’apertura dei canali del potassio, aumenta la permeabilità della membrana per il potassio che, uscendo, fa aumentare la propria corrente verso l’esterno. Questo aumento del flusso verso l’esterno fa aumentare il potenziale di membrana, ovvero lo fa tornare al potenziale di membrana originale, a riposo, e questo determina una chiusura dei canali del potassio. Il potenziale d’azione non rimane focalizzato nel punto di azione ma si espande alle altre parti della membrana con un piccolo ritardo. Il potenziale d’azione si sposta nel punto vicino eccetera eccetera fino a diffondere in tutta la membrana. Il potenziale di membrana resta lo stesso. POTENZIALE D’AZIONE NEL TESSUTO NERVOSO L’assone è circondato da mielina, prodotta da un oligodendrocita, che lo avvolge e costituisce uno strato isolante. Lungo l’assone si presentano delle parti scoperte, ovvero dei punti dove esso non è rivestito dall’avvolgimento mielinico. Qui avremo la maggior concentrazione di canali di sodio a voltaggio dipendenti, che si chiamano nodi di Ranvier. È in questi spazi che ci creano i potenziali d’azione, dove quindi abbiamo un ribaltamento del potenziale. Si formano quindi le cariche positive all’interno che scorrono e continuano a scorrere nella faccia interna finché non trovano un altro punto scoperto in quanto la guaina mielinica non solo è uno strato isolante, ma in quel tratto non ci sono neanche i canali di sodio a voltaggio dipendenti. Quando arrivano su un altro nodo di ranvier possono aprire i canali del sodio a voltaggio dipendenti e uscire, generando un nuovo potenziale d’azione. Quindi è come se facesse dei salti da un nodo all’altro. Questo porta 2 vantaggi: il primo è che la velocità aumenta rapidamente perché salta in modo istantaneo la porzione coperta dalla guaina mielinica, in più considerando che l’apertura dei canali avviene lentamente, se passa da meno canali questo processo viene velocizzato. Il secondo vantaggio è energetico perché ho una fuga di sodio solo per i nodi di ranvier e una entrata di potassio solo in questi nodi. Quindi solo qui la pompa sodio potassio deve lavorare per ricostituire le differenze di concentrazione sodio potassio, e considerando che ogni volta che lavora consuma ATP, dato che il suo lavoro è limitato nei nodi, comporta un forte risparmio energetico. COMUNICAZIONE INTERCELLULARE Il passaggio da unicellulare a pluricellulare richiede lo scambio di una quantità critica di informazioni fra le cellule, che permette a ciascuna di essere informata sullo stato funzionale delle altre. In fatto che la vita sia rimasta in forma unicellulare per circa 2,5 miliardi di anni e “solo” nell’ultimo miliardo di anni siano apparsi i pluricellulari suggerisce che il raggiungimento del livello critico di comunicazione e la messa a punto dei meccanismi che la permettono siano processi estremamente complessi. Questa idea è confermata dal fatto che gli elementi-chiave della comunicazione intercellulare, i recettori, sono molto conservati nel corso dell’evoluzione. LIVELLI DI COMUNICAZIONE INTERCELLULARE Può essere diretta ovvia messaggi extracellulare. Diretta: fra cellula e cellula in maniera diretta, cioè non richiede il lancio di segnali chimici nell’ambiente interno ma direttamente per contatto si parlano. Queste possono essere: - Via gap junction: fondamentali nella fisiologia del cuore. Sono giunzioni comunicanti, cioè mettono in comunicazione il citosol di 2 cellule adiacenti. Sia in una che nell’altra cellula ci sono delle proteine chiamate connessoni che sono fatte da 6 subunità e al centro c’è un foro. Nell’altra membrana c’è una struttura analoga, e queste si attaccano l’una all’altra. Il foro che c’è in una proteina continua nel foro dell’altra proteina. Si crea quindi un canale che mette in comunicazione un citosol con il citosol dell’altra cellula. I 2 citosol diventano una cosa sola e possono scambiare tutto tranne molecole molto grosse, come le proteine. Passano ioni positivi e negativi, molecole di glucosio, l’ATP, AMP ciclico. Dal punto di vista elettrofisiologico, se passano ioni positivi e negativi senza nessun controllo le 2 cellule sono accoppiate. Quello che succede nell’una succede anche nell’altra. Se per esempio sono 2 neuroni e in una delle 2 cellule si crea un potenziale d’azione, questo invade anche l’altra cellula. Dal punto di vista elettrico sono accoppiate, dal punto di vista metabolico sono accoppiate, quindi se una ha da mangiare ce l’ha anche l’altra. Un’altra unità è a livello di regolazione della vita cellulare. Possono essere regolate, la loro chiusura è dovuta ad un arrotolamento l’uno sull’altro causato da un aumento della concentrazione di calcio (regolare la vita della cellula, portare alla mitosi, ma se aumenta troppo chiude la gap junction in quanto questo processo avviene in relazione all’apoptosi e quindi evita che anche l’altra cellula muoia), una variazione di pH (quando ci sono processi di autofagia) e differenza di potenziale elettrico. Può portare alla chiusura, e non la chiude, e questo perché ci sono diversi tipi di gap junction, alcuni sono sensibili di queste variazioni, altre meno e altre ancora per niente. - Per contatto Via messaggi extracellulare: due cellule anche distanti fra loro si possono parlare lanciando un messaggio chimico, molecole, nel liquido extracellulare, e queste diventano segnali che dovranno essere letti ed interpretati dall’altra cellula. Possono essere: - Sinaptica: avviene fra due neuroni o fra un neurone e una cellula. - Paracrina (autocrina): il livello di comunicazione è a livello locale. Lancia un segnale chimico nel liquido extracellulare e tutte le cellule che sono bagnate da quel liquido ricevono questo segnale, ma solo quelle vicine. - Endocrina: le molecole segnale vengono messe fuori dalla cellula e vanno nel circolo sanguigno, e da qui raggiungono qualunque parte del corpo. Altri collegamenti cellulari - Tight junction: giunzioni strette o serrate, sono fatte da una collana di proteine di membrana che si attaccano a proteine analoghe di membrana di un’altra cellula. Formano una chiusura dello spazio extracellulare dove non c’è comunicazione tra i 2 citosol, ma viene annullato lo spazio extracellulare. Le 2 cellule vengono legate insieme da un appunto di vista meccanico, sono strette insieme, appiccicate. Queste proteine attraverso i prolungamenti sono legati ad elementi del citoscheletro come l’actina. - Desmosomi: lega in maniera ancora più forte delle tight junction 2 molecole da un punto di vista meccanico. Sono complessi proteici di membrana e l’altra membrana che li legano insieme, e hanno una notevole resistenza alla trazione. Per esempio tra la cellula muscolare e il tendine. COMUNICAZIONE VIA MESSAGGI INTERCELLULARI Fasi della comunicazione intercellulare: 1. Emissione del segnale: è necessario che una cellula faccia uscire attraverso la membrana questa molecola segnale che poi va a raggiungere un altre cellule. 2. Diffusione del segnale: non deve rimanere legata da qualche parte ma si devi diffondere nel liquido circostante. 3. Riconoscimento del bersaglio: chi deve ricevere il messaggio? Tutte quelle che stanno intorno o no? Riconoscimento del bersaglio dato dalla molecola segnale. Oppure visto dal punto di vista della cellula si ha la ricezione del messaggio. 4. Internalizzazione del messaggio: non basta che la cellula riceva questo messaggio, ma lo deve anche portare al suo interno per potere eseguire l’ordine. Ma non è necessario che sia la molecola ad attraversare la membrana ed entrare nella cellula, ma ciò che deve attraversare è l’informazione portata dalla molecola segnale. 5. Trasduzione del segnale: applicazione del codice, del vocabolario. In alcuni casi la terza e la quarta fase sono scambiati, arriva prima l’internalizzazione del messaggio e poi il riconoscimento del bersaglio. La molecola segnale deve avere 2 caratteristiche fondamentali: deve essere in bassa concentrazione di base e deve avere vita breve. Questo perché se questa molecola segnale fosse una sostanza presente già in quantità nel liquido extracellulare, quando arriva la molecola segnale non farebbe differenza e il segnale andrebbe perso. Nel liquido extracellulare ci deve essere silenzio chimico, ovvero che quella molecola segnale deve essere in concentrazione al limite 0. A questo punto anche una sola molecola fa la differenza. Devono anche avere una vita breve perché se rimanessero nel tempo queste si sovrapporrebbero a quelle nuove e ci sarebbe un rumore di fondo. Ci sono quindi meccanismi che eliminano in modo rapido le molecole segnale. Gli ormoni hanno tutti una vita breve, come anche i neurotrasmettitori. Se una certa molecola segnale arriva su una cellula, questo segnale può essere interpretato in modi diversi. Questo dipende dal tipo di recettori, ovvero dalla struttura che riceve e interpreta questi segnali ovvero applica un codice. Recettori diversi hanno la capacità di esercitare codici diversi. Quindi la risposta dipende soprattuto dal tipo di recettore. Il tipo di risposta della cellula bersaglio può dipendere anche dal fenotipo, cioè il tipo di proteine prodotte, il tipo di geni espressi. Un altro fattore che può determinare il tipo di risposta diverso alla stessa molecola segnale è la contemporanea esposizione ad altre molecole-segnali. Quindi la combinazione della stessa molecola segnale con diverse altre molecole segnale, dara una risposta diversa, a seconda con quale altra molecola segnale è venuta in combinazione. Quanto forte è la risposta della cellula bersaglio? Anche questo dipende da diversi fattori. - Cambiamenti post-traduzionali del recettore (fosforilazione): il recettore (proteina) quando si accorge della molecola segnale spesso viene fosforilata, ovvero la chinasi gli attacca un gruppo fosfato e la funzione del recettore cambia perché aumenta o diminuisce la risposta della cellula. - Numero di recettori: questo numero può essere continuamente modificato. Attraverso un processo di endocitosi viene diminuito il numero di recettori. Li riunisce in un certo punto della membrana portandoli nella vescicola dell’endocitosi, quindi non essendo più nella membrana plasmatica non si possono accorgere che nel liquido extracellulare ci sono le molecole segnale. La cellula in questo modo diminuisce la risposta alla molecola segnale. La vescicola a sua volta può subito un processo di esocitosi restituendo i recettori alla membrana e aumentare l’intensità della risposta. - Cambiamenti di amplificazione del cammino di trasduzione Pochi tipi di meccanismi di comunicazione perché ci sono pochi modi (4 fondamentali) di funzionamento dei recettori. Un tipo di recettore è il canale a controllo di ligando, meccanismo di gate che si apre quando sulla faccia extracellulare si lega una molecola. Questa proteina canale è in grado di accorgersi di questa molecola segnale che si lega e apre il gate. Poi abbiamo recettori accoppiati a proteina G (GPCR), recettori catalitici e recettori intracellulari che stanno nel citosol e non nella membrana. RECETTORI INTRACELLULARI Sono recettori di molecole segnale che possano superare la membrana, la cosa più facile è che essa sia liposolubile e che quindi riesca tranquillamente ad attraversare la doppia membrana fosfolipidica. Dentro questa membrana ci devono essere legami apolari o poco polari come carbonio idrogeno. Quindi sono tutte molecole formate da carbonio e idrogeno come il colesterolo, che ha solo una testa polare. Da questa molecola derivano una serie di ormoni secreti dalle gonadi sia maschili (testosterone) che femminili (estrogeni e progesterone), e gli ormoni della corticale surrenale (aldosterone e cortisolo in particolare). Fasi della comunicazione intercellulare 1. Emissione del segnale 2. Diffusione del segnale 3. Internalizzazione dell’informazione 4. Riconoscimento del bersaglio - ricezione del segnale 5. Trasduzione del segnale Il recettore è una proteina solubile in acqua, sta quindi nel citosol. La molecola segnale entra nella cellula si lega al recettore, il complesso ormone-recettore entra nel nucleo, si lega in punti specifici del DNA e induce la trascrizione di specifici geni. A questo punto vengono sintetizzate le specifiche proteine. Le proteine chiudendosi a gomitolo formano delle zone che hanno delle funzioni specifiche. Per esempio negli enzimi ci sarà una zona che corrisponde al sito di legame per il substrato. In un recettore ci sarà una zona che corrisponde al sito di legame per la molecola segnale. Queste zone prendono il nome di dominio. Il dominio nella proteina è un concetto di struttura funzionale, pezzo della struttura proteina che svolge una specifica funzione. All’interno della proteina recettore intracellulare ci sono diversi domini. Un dominio forma un sito specifico di legame per il ligando, per l’ormone. C’è poi il dominio che si può legare ad una specifica sequenza di nucleotidi del DNA. C’è un dominio che quando il recettore è attaccato al DNA attiva la trascrizione dei geni. Un altro dominio si lega una proteina inibitrice. Il recettore quando sta nel citosol è legato alla proteina inibitrice. Legato ad essa non può entrare nel nucleo e quindi attaccarsi al DNA e iniziare la trascrizione di geni. Quando si lega il ligando, avviene un cambiamento conformazionale nel recettore stesso per cui la proteina inibitrice viene sputata via. A questo punto il recettore con la molecola segnale attaccata può entrare nel nucleo, legarsi al DNA e iniziare la trascrizione di geni, e quindi la sintesi di specifiche proteine. Prima di entrare nel nucleo viene dimerizzato. RECETTORI ACCOPPIATI A PROTEINA G (GPCR) Sono recettori di membrana, proteine transmembrana che si svolgono sia verso l’esterno che verso l’interno. Questi recettori sono centinaia, tutti diversi, ma tutti con la stessa struttura di base, ovvero hanno tutti 7 attraversamenti di membrana. C’è una parte extracellulare e una intracellulare, ognuno con un dominio. Nel dominio extracellulare si forma un sito di legame per la molecola segnale. Nel dominio intracellulare c’è un sito di legame per una proteina G, ma questo è mascherato finché nella parte esterna del recettore non si lega la molecola segnale. Di base non può legare la proteina g, ma esso avviene solamente dopo il cambiamento conformazionale dovuto al legame con la molecola segnale. La proteina G è una proteina periferica di membrana, sta sulla superficie interna. È una proteina trimerica e precisamente eterotrimerica, cioè formata da 3 parti diverse tra loro, 3 catene polipeptidiche ribattezzate alfa, beta e gamma. È una proteina di superficie che non può staccarsi dalla membrana purché sia la subunità alfa che la subunità gamma sono legate in modo covalente con delle ancore lipidiche che penetrano all’interno del doppio strato. Questo significa molto perché la proteina G non può staccarsi dalla membrana ma può muoversi lungo essa. Si chiama proteina G (dove G sta per GTP (guanisin tri fosfato, che è simile all’ATP, anch’essa infatti è una molecola altamente energetica) perché ha una azione enzimatica sul GTP nella subunità alfa, lo idrolizza, stacca un fosfato consumando una molecola di acqua. Di base la proteina G ha legato il GDP. Questa situazione si sblocca quando la proteina G si può legare al recettore, cioè quando al recettore è legato il ligando, la molecola segnale che è un ormone o un neurotrasmettitore. Questo legame al recettore determina un cambiamento conformazionale per cui il dominio interno del recettore può legare la proteina G. Il legame della proteina G al recettore attivato dalla molecola segnale, determina un cambiamento conformazionale della proteina G tale che viene sputato via il GDP, si può legare una nuova molecola di GTP e questo legame determina a sua volta un cambiamento conformazionale che porta alla rottura della proteina G con la subunità alfa che va da una parte e il comparto betagamma va dall’altra. Avendo però tutte e 2 un’ancora lipidica si possono muovere solo lungo la membrana. Quindi la proteina G rimane attaccata alla subunità alfa che a sua volta lega una molecola di GTP, e le subunità beta-gamma rimangono legate tra di loro ma vanno da un’altra parte. I’m questa forma (alfa con GTP legato) la subunità alfa è in grado di legarsi alla proteina effettrice (enzima) e attivare l’azione enzimatica dell’effettore. La subunità alfa prima attiva l’effettore e poi agisce sul GTP idrolizzandolo. Una volta idrolizzata la subunità alfa, si stacca dall’effettore, torna a navigare nella faccia interna della membrana, incontra beta-gamma e si riuniscono in quanto non è più legata a GTP ma a GDP. L’effettore è anch’essa una proteina di membrana con attività enzimatica. Possono essere di diversi tipi, 2 fondamentali sono l’adenilato ciclasi e la fosfolipasi C. Per punti: 1. La molecola segnale si lega al recettore e smaschera il sito di legame per la proteina G; 2. La proteina G (eterotrimerica composta da 3 filamenti, alfa, beta e gamma + GDP nella sub alfa) si lega nel sito di legame; 3. Questo porta ad un cambiamento conformazionale della proteina G che ne succede l’espulsione della GDP e al nuovo legame con la GTP; 4. Il nuovo legame con la GTP crea a sua volta un altro cambiamento conformazionale per cui la subunità alfa va da una parte con la GTP e il complesso gamma-beta dall’altra; 5. La proteina G avente un solo filamento alfa legato alla GTP, si lega all’effettore; 6. L’effettore inizia la sua attività enzimatica; 7. La subunità alfa idrolizza la GTP in GDP; 8. La subunità alfa + GDP si staccano dall’effettore e iniziano a muoversi lungo la membrana nella quale sono ancorati; 9. Subunità alfa + GDP incontrano un complesso beta-gamma e si legano assieme riformando la proteina G; 10. Ricomincia il ciclo. Dato che abbiamo diversi effettori, di conseguenza abbiamo diverse proteine G: - Gs: attivano l’adenilato ciclasi, quindi la sintesi dell’AMP ciclico - Gli: inibiscono l’adenilato ciclasi - Gq: attivano la fosfolipasi - Gt: attiva la cGMP fosfodiesterasi Ogni tipo di recettore è capace di legarsi solo ad un tipo di proteina G quindi capace di attivare o inibire un solo effettore. EFFETTORE ADENILATO CICLASI Parlando di effettore si dividono 2 settori, settore di attivazione e settore di inibizione. Gli ormoni che utilizzano questa via di trasduzione del segnale per un’attività di attivazione sono l’anti diuretico (ADH, ormone che regola quanta acqua eliminiamo con l’urina a seconda se siamo più o meno idratati), glucagone (ormone antagonista dell’insulina, aumenta quindi la glicemia) oppure le catecolamine (come ad esempio l’adrenalina, sono gli ormoni beta). Tutti questi utilizzano una proteina G che attiva l’adenilato ciclasi. Tra gli ormoni che utilizzano la proteina G per inibire l’adenilato ciclasi abbiamo anche qui degli ormoni delle catecolamine ma saranno diversi (sono gli ormoni alfa, come la noradrenalina). L’effettore adenilato ciclasi una volta attivato dalla subunità alfa + GTP idrolizza l’ATP togliendoli 2 legami di fosfato e ciclizzando l’AMP che che era rimasto (cAMP). Il cAMP va nel citosol e qui attiva un enzima solubile, la PKA (proteina chinasi dipendente da cAMP). La proteina chinasi fa una fosforilazione, trasferimento di un gruppo fosfato ad una proteina cambiando modo di funzionare, in quanto il gruppo fosfato è un gruppo carico, ha diverse cariche elettriche negative e queste modificano i legami della proteina, attraggono i gruppi positivi e respingono quelli negativi. La struttura della proteina quindi si riarrangia modificando la funzione. La proteina substrato potrebbe essere anche più grande della proteina chinasi, quindi non è possibile che esamini tutta la struttura della proteina substrato. Quello che riconosce è un pezzo, una sequenza di aminoacidi, anche piuttosto breve. Questa breve sequenza di aminoacidi la possono avere infinite proteine, ma questa sequenza deve essere anche raggiungibile dalla proteina chinasi, non deve essere nascosto nella profondità ma essere superficiale. Chiaramente non sarà una sola proteina con questa sequenza in superficie. Potrà quindi fosforilare un canale, una proteina del citosol, un trasportatore ecc., modificando di tutte queste la loro funzione. Trasformare ATP in cAMP: l’adenilato ciclasi lavora attaccando l’ATP nel legame tra la prima e la seconda molecola di fosfato e, usando una molecola d’acqua, il spacca. Rimane quindi un solo fosfato attaccato al ribosio. Questo fosfato viene ciclizzato, cioè cambia la sua conformazione andando a formare un anello ciclizzato su 2 atomi di carbonio del ribosio. A questo punto la cAMP viene rilasciata nel citosol dove va a cercare la sua proteina, che è la proteina chinasi A. Non resta cosi per sempre, ad un certo punto nel citosol incontra un altro enzima, il fosfodiesterasi, che rompe il legame che rende il fosfato ciclico, trasformando il cAMP in AMP non ciclico. La proteina chinasi A è un omodimero, ovvero formato da 2 subunità uguali fra loro, che hanno un sito attivo dove svolgono la loro funzione catalitica, quindi fosforilare altre proteine. Per attivarla è necessario che si leghino 4 molecole di cAMP, per dare 2 subunità distinte attivate, ovvero che lavorano. 4 molecole di cAMP + 1 proteina chinasi a = 2 subunità attivate È un meccanismo di amplificazione a cinetica non lineare. Questo è importante perché non è proporzionale, se metto in ascissa la concentrazione di cAMP e in ordinate la velocità della reazione proteina chinasi a, non ho un andamento proporzionale, ma se aumento di poco la concentrazione di cAMP la velocità cambia poco, ma se supero una certa soglia la velocità aumenta moltissimo. È quello che in fisiologia si chiama “tutto o nulla”. Questo è importate perché se c’è un segnale forte parte un effetto molto forte, la cellula ha un altro destino. Gli effettori sono importanti luoghi di integrazione, l’adenilato ciclasi infatti può contemporaneamente ricevere dei segnali di attivazione e di inibizioni, a questo punto si blocca perché non sa cosa fare. Un esempio è il glucagone, che fosforila il glicogeno staccando molecole di glucosio che vanno a finire nel sangue. La proteina chinasi A può entrare nel nucleo e qui fosforilare la proteina creb. Una volta fosforilata creb si può legare ad una sequenza specifica di nucleotidi del DNA. A questo punto creb attiva la trascrizione dei geni a valle, quindi attiva la sintesi di proteine specifiche cambiando radicalmente quella cellula. EFFETTORE FOSFOLIPASI C Il substrato è il fosfolipide di membrana che lo rompe dividendolo in 2 parti. Questo fosfolipide è Il fosfatidilinositolo 4,5 bifosfato. La fosfolipasi C attacca questa molecola sul legame tra glicerolo e fosfato, quindi ci rimangono 2 pezzi, da una parte un diacilglicerolo, e dall’altra parte un inositolo 1,4,5 trifosfato. Il diacilglicerolo sta dentro il doppio strato lipidico, l’inositolo trifosfato è fortemente solubile in acqua e quindi va nel citosol. Nella membrana del reticolo endoplasmatico abbiamo un canale, che è la proteina a controllo di ligando (un canale di calcio), dove questo ligando è proprio l’inositolo trifosfato. Una volta aperto il legame il calcio esce per gradiente di potenziale elettrochimica, quindi per gradiente di concentrazione più gradiente di potenziale elettrico, tutti e due contribuiscono all’uscita del calcio. La concentrazione di calcio nel citosol quindi aumenta, si può legare a diverse proteine modificandone la struttura e quindi la funzioni tra cui una proteina chinasi C (C perché attivata da calcio) che svolge l’azione di fosforilare altre proteine. I substrati della proteina chinasi C sono diversi da quelli della proteina chinasi A. Ci sono meccanismi di trasporto attivo che riportano il calcio dentro al reticolo endoplasmatico per abbassare la sua concentrazione. Ci sono anche proteine che legano il calcio (calmodulina ad esempio) diminuendo la sua concentrazione libera. Ci sono anche canali di membrana del calcio e vie di uscita dalla membrana. Ci sono poi i mitocondri dove il calcio entra per trasporto attivo. Il calcio citosolico quindi cambia momento per momento in ogni istante nella cellula. Il calcio da considerare con un grande regolatore della vita della cellula. Mette insieme molti segnali intra e extracellulare e li integra dando un’unica riposta che è quella della concentrazione nel citosol del calcio libero, la quale va a determinare comportamenti estremamente diversi della cellula. Un piccolo aumento di calcio può indurre anche la morte della cellula per apoptosi. RECETTORI CATALITICI Sono recettori di membrana che hanno al loro interno la capacità di svolgere una reazione enzimatica, cioè catalizzare una reazione. Sono o recettori catalitici o recettori associati ad una proteina con funzione catalitica. La struttura di questi recettori è caratterizzata da un unico attraversamento di membrana, in alcuni casi 2 di questi si uniscono insieme e formano un complesso stabile. Il fatto di avere un unico attraversamento di membrana pone un problema, ovvero come trasmettere l’informazione all’interno. Essendo una sola elica, il legame con la molecola segnale non costituisce un cambiamento di conformazione della struttura. Quando si lega la molecola segnale, induce un cambiamento di conformazione nel dominio extracellulare. Questo cambiamento determina l’avvicinamento e il legame di 2 recettori. Si smascherano dei siti di legame nella parte extracellulare dove si legano formando un dimero. Se si accoppiano i domini extracellulare, anche i domini intracellulari vengono avvicinati moltissimo. In questa posizione può avvenire l’azione enzimatica di ciascuno sull’altra. Sono enzimi che non funzionano bene, bisogna che il substrato si trovi li vicino e tenuto con forza. In queste condizioni riesce a svolgere la sia funzione. L’azione enzimatica è una azione chinasica. Questa azione di fosforilazione viene svolta nei confronti dell’altro recettore, ognuno dei 2 fosforila in più punti l’altro, reciprocamente. A questo punto diventano enzimi efficienti e possono legare altre proteine di passaggio che vengono fosforilare a loro volta. Avviene solo dopo l’autofosforilazione ovvero la fosforilazione reciproca di una subunità sull’altra che la rende estremamente efficiente. Lo stesso recettore è una proteina chinasi. Pochi casi (recettore insulina ad esempio) lo si trova già dimerizzato, stanno già legati. Ma non sono del tutto vicini, ma una volta legati alla molecola segnale si avvicinano del tutto e inizia la autofosforilazione ma comunque stanno insieme anche prima. Tipi di recettori catalitici Ci sono recettori dove non è proprio il recettore che ha una funzione enzimatica, ma questa funzione è data da una proteina che è legata al recettore. A livello fisiologico non cambia tanto, il concetto è il medesimo. I tipi sono: - Tirosina-chinasi (esempio insulina) - Associati a tirosina-chinasi - Serina-treonina chinasi - Guanilato-ciclasi SINAPSI Le sinapsi sono strutture che permettono che informazione in forma in segnale elettrico sia trasferito da una cellula a un’altra. Permettono di mettere in comunicazione 2 cellule, non necessariamente neuroni. L’informazione viaggia in forma elettrica e viene trasferita ad una seconda cellula dove la vediamo sempre in forma elettrica, in forma di variazione di potenziale elettrico locale o d’azione. Il trasferimento può avvenire mantenendo in ogni passaggio la forma elettrica (sinapsi elettriche) o, più frequentemente, operando una doppia traduzione elettrica-chimico-elettrico (sinapsi chimiche). Una molecola viene lanciata nello spazio extracellulare (neurotrasmettitore) dopo di chè avviene una ritraduzione in forma elettrica. Le prime sinapsi sono quelle elettriche. Mentre le seconde hanno un passaggio intermedio in forma chimica, quindi la molecola segnale viene lanciata nello spazio extracellulare, sono le sinapsi chimiche (più frequenti). In corrispondenza della sinapsi le membrane delle due cellule sono strettamente accostate (non vuol dire fuse). La parte della sinapsi che trasmette informazione è l’elemento presinaptico, mentre quella che riceve è l’elemento postsinaptico. Lo spazio che separa le due membrane è lo spazio sinaptico. Le sinapsi possono connettere 2 neuroni, un neurone e una cellula muscolare o un recettore di senso e un neurone (in questo caso il recettore di senso è un segnale potenziale locale). Il segnale elettrico presinaptico, spesso, ha la forma di un potenziale d’azione. Il segnale elettrico postsinaptico ha la forma di un potenziale locale. Se il potenziale locale raggiunge la soglia, si innesca poi un segnale di potenziale d’azione. SINAPSI ELETTRICHE Dal punto di vista strutturale sono tappeti di giunzioni comunicanti (gap junction) attraverso cui passa qualunque tipo di ione, positivi e negativi, senza distinzione e controllo. Succede che se arriva un potenziale d’azione dell’elemento presinaptico, l’interno diventa momentaneamente positivo rispetto all’esterno negativo. Essendo l’elemento postsinaptico di natura negativo è come se si creasse una pila dove passa corrente, ovvero gli ioni positivi passano dal polo positivo a quello negativo, dal polo presinaptico a quello postsinaptico. Questi si spalmano sulla faccia interna dell’elemento postsinaptico. Lo stesso succede fuori. C’è un circolo di corrente che determina la depolarizzazione della membrana dell’elemento postsinaptico. Quando, e se, la depolarizzazione raggiunge la soglia si scatura un potenziale d’azione anche sulla cellula postsinaptica. Può succedere anche il contrario, cioè la sinapsi può avvenire nei 2 sensi, a meno che non ci siano meccanismi che chiudono i canali comunicanti: uno di questi è la differenza di potenziale. Ci sono quindi meccanismi che possono rendere preferibilmente unidirezionale la trasmissione della informazione. DISTANZA FRA MEMBRANE CONTINUITÀ CITOPLASMATICA COMPONENTI ULTRASTRUTTURALI TRASMISSIONE MEDIANTE RITARDO SINAPTICO DIREZIONE SINAPSI ELETTRICHE SINAPSI CHIMICHE 3,5 nm 20-40 nm Si No Gap junction Vescicole - zone attive / recettori Correnti ioniche Neurotrasmettitori No ms In generale bidirezionale Unidirezionale La continuità citoplasmatica è esclusa solo per le proteine. C’è un tempo richiesto per passare dal pre al postsinaptico, in quelle elettriche è quasi 0, nelle sinapsi chimiche invece si parla di millisecondi. SINAPSI CHIMICHE Nel nostro corpo c’è una prevalenza netta di sinapsi chimica, hanno più bisogno di energia metabolica e sono più lente, sembrano quindi negative, ma presentano un grosso vantaggio ovvero la possibilità di integrare dei segnali che vengono da diverse fonti. Una cellula postsinaptica, che riceve tante sinapsi chimiche, ha la possibilità di mettere insieme le informazioni (integrazione) dando una risposta univoca. Questa quindi deriva da tante sinapsi che lavorano insieme. L’integrazione è il fenomeno alla base della elaborazione delle informazioni, la capacità del nostro cervello. L’elemento presinaptico è pieno di vescicole e mitocondri che fa capire che c’è una intensa attività metabolica, è richiesta tanta ATP. L’elemento pre sinaptico si mette ad una distanza (che è molto simile a quello dello spessore della membrana) vicina all’elemento post sinaptico. Nella membrana dell’elemento postsinaptico ci sono delle proteine recettori. Per esempio una sinapsi chimica è la giunzione neuromuscolare che porta l’ordine di contrarsi. Il neurotrasmettitore in questo caso è l’acetilcolina. 1. La cellula presinaptica si mette vicina a quella postsinaptica con tante vescicole ricche di neurotrasmettori. 2. Arriva un potenziale d’azione che invade la membrana presinaptica. 3. Questo determina la fusione delle vescicole 4. Si crea un processo di esocitosi delle vescicole per fare in modo che i neurotrasmettitori vengano rilasciati nello spazio sinaptico. 5. Il neurotrasmettitore si diffonde nello spazio sinaptico 6. I neurotrasmettitori si legano ai recettori della cellula postsinaptica 7. Cioè ne determina l’apertura e la chiusura di alcuni canali ionici 8. Le correnti ioniche presenti nella membrana postsinaptica vengono alterate 9. Si crea una variazione del potenziale di membrana postsinaptica (potenziale postsinaptico) 10. Se raggiunge la soglia allora parte il potenziale di azione nell’elemento postsinaptico. MECCANISMO PRESINAPTICO Sono attivi dei meccanismi di trasporto nella membrana presinaptica che permettono di portare all’interno di essa il neurotrasmettitore che è stato rilasciato precedentemente. C’è quindi una prima fase dove il potenziale d’azione ha permesso un rilascio nello spazio sinaptico di neurotrasmettitori che però vengono ricatturati all’interno dell’elemento presinaptico grazie a meccanismi di trasporto attivo secondari. Le vescicole si formano nel soma dall’apparato del Golgi. Queste poi vengono trasportate sull’assone nell’elemento presinaptico attraverso un meccanismo di trasporto assonale. Lungo l’assone ci sono dei microtuboli di tubulina che formano l’impalcatura dell’assone, e su queste strutture vengono trasportate le vescicole. A questo punto il neurotrasmettitore viene riportato dentro la vescicola attraverso meccanismi di trasporto attivo secondario che utilizza il gradiente di ioni idrogeno che sono presenti in concentrazione maggiori dentro la vescicola piuttosto che all’esterno e con un meccanismo di antiporto gli ioni idrogeno escono e il neurotrasmettitore viene trascinato all’interno della vescicola. Questo gradiente di ioni idrogeno è dato precedentemente da un altro meccanismo di trasporto attivo di ioni idrogeno, questa volta primario, quindi attraverso il consumo di ATP vengono pompati gli ioni idrogeno all’interno della vescicola. Questi creano un’alta concentrazione di ioni di idrogeno dentro la vescicola che tendono a uscire per gradiente di concentrazione, la cui uscita mette in moto il meccanismo di trasporti attivo secondario antiporto del neurotrasmettitore che viene portato all’intero dello vescicola. Questa vescicola viene poi trasportata da elementi del citoscheletro sulla faccia interna della membrana dove viene agganciata. Questo processo di aggancio si chiama DOCKING, dall’inglese attracco della nave. Questa proteina quindi si “attracca” alla membrana in corrispondenza di proteine specifiche. Una volta attaccata ci resta finché non arriva un potenziale d’azione, un rovesciamento del potenziale di membrana che invade tutta la membrana e arriva a quella presinaptica, dove sono attaccate le vescicole. Vicino ai punti di attacco ci sono dei canali di calcio a voltaggio dipendenti, vicinissimi ai punto di attracco della vescicola. Quando arriva il potenziale di azione questi si aprono. Il calcio a questo punto, per gradiente di concentrazione, entra all’interno della membrana presinaptica attraverso questi canali, formando una nuvola di calcio proprio dove è attraccata la vescicola. Il calcio che entra si lega a specifiche proteine di membrana della vescicola determinando una fusione parziale della membrana della vescicola con la membrana plasmatica. Questa fusione plasmatica permette cosi al neurotrasmettitore di uscire nello spazio sinaptico. È una esocitosi un po’ particolare perché abbiamo una fusione parziale e non totale, ma il risultato è lo stesso. La vescicola a questo punto viene circondata da molecole di clatrina, una proteina del citosol che si può attaccare alle proteine di membrana plasmatica e quando la membrana è rivestita di clatrina forma una sorta di rete che la circonda determinando l’endocitosi. La vescicola viene quindi ricatturata e riciclata per formare altre vescicole. Il neurotrasmettitore viene ricatturato all’interno e riciclato. Nella giunzione neuromuscolare il neurotrasmettore viene degradato all’interno dello spazio sinaptico perché c’è un enzima (acetilcolina esterasi) che lo distrugge, lo idrolizza in acido acetico e colina che questi vengono ripresi per meccanismi di trasporto attivo secondario. La kinesina è una proteina per trasporto assonale, funge da carrello per le vescicole che sono state prodotte dall’apparato del Golgi. Le proteine importanti di membrana della vescicola: - Sinapsina: permette di legare la vescicola ai microtuboli attraverso la kinesina. Fa da ponte. - Proteina chinasi: stacca il legame con i microtuboli, fosforilando la sinapsina, e lega con la membrana plasmatica. - Meccanismo di trasporto primario degli ioni idrogeno: ATPasi di membrana che idrolizza ATP e usa l’energia rilasciata per pompare all’interno della vescicola gli ioni idrogeno. - Meccanismo di antiporto: accoppia l’uscita dello ione idrogeno secondo gradiente con l’entrata di neurotrasmettitori. - Altre proteine coinvolte nel legare e portare dentro il calcio, quindi a voltaggio dipendente - Processo di docking - Processo di fusione parziale MECCANISMO POSTSINAPTICO Usano i recettori canale e i recettori accoppiati a proteina G. Come si crea la variazione di potenziale? Questa può essere una depolarizzazione, una avvicinamento del potenziale verso lo 0; oppure un iperpolarizzazione, si allontana dalla soglia di innesco del potenziale d’azione. Primo caso: con l’arrivo del neurotrasmettitore si apre un canale del sodio che entra sia perché è più presente all’esterno, quindi per gradiente di concentrazione e sia perché l’ambiente estero è positivo rispetto all’interno, quindi anche per gradiente elettrico. Queste cariche di sodio positivo si spalmano sulla faccia interna della membrana annullando una parte delle cariche negative che ci sono, quindi diminuiscono la differenza di potenziale fra interno e esterno. Avviene quindi una depolarizzazione della membrana postsinaptica. Secondo caso: l’arrivo del neurotrasmettitore determina una apertura del canale del potassio. Per gradiente di concentrazione il potassio esce. La sua uscita sposta cariche positive all’esterno che vanno ad aggiungersi a quelle positive presenti nell’ambiente extracellulare. Quindi il potenziale di membrana aumenta, si allontana ancora di più dallo 0, diventa ancora più negativo. Quindi ci siamo allontanati dalla soglia di innesco del potenziale d’azione. Terzo caso: il neurotrasmettitore determina l’apertura per canali di cloro. Il cloro è più concentrato all’esterno, quindi entra. Essendo di carica negativa queste vanno ad aggiungersi alle cariche negative che stanno sulla faccia interna della membrana plasmatica, aumentando il valore assoluto del potenziale di membrana, quindi ci allontaniamo dalla soglia di innesco del potenziale d’azione. Ha lo stesso risultato del secondo caso. Quarto caso: il neurotrasmettitore determina l’apertura del canale di calcio che, essendo più concentrato all’esterno, entra, andando a depolarizzare la membrana. Quello che in più ha il calcio è che integra tanti segnali, può modificare la vita della cellula andando ad attivare delle chinasi, può modificare l’espressione genica sempre attivando delle chinasi, alterare il metabolismo. In più rispetto al canale del sodio, l’apertura di un canale di calcio non solo determina una depolarizzazione, ma va a modificare qualcosa di più profondo nella cellula, il metabolismo della cellula, la trasforma completamente. Una azione sinaptica che ha come informazione l’apertura dei canali di calcio, sconvolge totalmente la cellula, momentaneamente o a lungo termine. Per generare la risposta postsinaptica bisogna aprire dei canali, ma come il neurotrasmettitore apre canali specifici? Il recettore postsinaptico è un recettore canale, è un controllo di ligando extracellulare. Il legando è proprio il neurotrasmettitore. Il canale si apre quando il neurotrasmettitore si lega ad esso. Meccanismo ionotropo: Nella giunzione neuromuscolare, ad esempio, abbiamo il neurotrasmettitore che è l’acetilcolina che apre un canale non molto selettivo, ma che fa passare ioni positivi. Maggiormente entra il sodio, ma anche qualche ione di potassio e calcio, che porta ad una depolarizzazione del potenziale di membrana. Se questa depolarizzazione arriva alla soglia parte il potenziale d’azione della membrana muscolare. Questo meccanismo postsinaptico si chiama meccanismo ionotropo, perché direttamente il legame del neurotrasmettitore va a modificare la corrente ionica e quindi la disposizione degli ioni alle 2 facce della membrana. Il recettore dell’acetilcolina di chiama recettore nicotinico, perché può essere aperto anche dalla nicotina. Questo recettore ionotropo, come molti di questo tipo, ha 5 subunità quindi 5 catene di aminoacidi che si mettono in cerchio a formare un canale. 2 di queste catene contengono i siti di legame per l’acetilcolina. La tubocurarine si lega al recettore e blocca questo canale, quindi non permettendo la trasmissione neuromuscolare. Si usa in chirurgia quando si fanno interventi alla cavità addominale. Un altro tipo di sinapsi ionotrope, ovvero che hanno sulla parte postsinaptica un recettore canale, sono i recettori di un altro neurotrasmettitore che si chiama acido gamma-amminobutirrico, gaba. I recettori di questo neurotrasmettitore sono recettori canale a 5 subunità. Questo è un esempio di sinapsi inibitoria. È un canale per il cloro, una volta che si lega, il canale si apre e il cloro entra, e come abbiamo visto prima, il cloro determina una iperpolarizzazione, un allontanamento del potenziale di membrana dalla soglia. Si può legare a questo recettore anche l’alcool etilico e questo facilita il legame del gaba al suo recettore. L’alcol etilico, quindi, potenzia le sinapsi che utilizzano gaba. Quindi essendo sinapsi inibitorie, tutto il sistema nervoso viene inibito sotto l’azione di alcool etilico. Meccanismo metabotropo: nel meccanismo ionotropo il recettore e il canale sono la stesa cosa, è la stessa proteina. Qui invece il recettore e il canale sono 2 cose diverse. Abbiamo quindi un recettore di membrana che è specifico per quel neurotrasmettitore, e il legame tra di loro induce l’apertura di un canale perché però è un’altra proteina di membrana. Questo recettore è un recettore accoppiato a proteina G, quindi quando arriva il neurotrasmettitore attiva la proteina G, che va ad attivare a a sua volta l’effettore che attraverso la sua azione apre un altro canale. Ad esempio se l’effettore è l’adenilato ciclasi, questo attraverso il cAMP attiva la PKA (proteina chinasi A) e la PKA fosforila il canale a controllo di fosforilazione e quindi si apre. Un esempio di questo meccanismo è l’acetilcolina. Questo in sinapsi diverse da quelle citate precedentemente, ad esempio il lavoro che il sistema nervoso ortosimpatico fa sull’organo bersaglio come il cuore. Qui il recettore postsinaptico è un recettore accoppiato a proteina G. Il recettore si chiama recettore muscarinico dell’acetilcolina. Attiva il suo processo con il risultato che l’elemento postsinaptico viene inibito, viene iperpolarizzato. Si vede quindi che la stessa acetilcolina può avere un effetto eccitatorio (muscolo scheletrico) e un effetto inibitorio (cuore). La stessa molecola segnale ha effetti opposti a seconda del codice, ogni recettore usa un codice diverso. MECCANISMO DIRETTO (IONOTROPO) MECCANISMO INDIRETTO (METABOTROPO) Veloce e di breve durata Lento e di lunga durata Corrente postsinaptica localizzata Corrente postsinapstica diffusa Apertura di canali Apertura o chiusura di canali [3 punti di inattivazione. Il primo è la proteina G, si disattiva da sola essendo una proteina lenta, idrolizza il GTP legato, e si inattiva da sola in quanto, quando ha idrolizzato la GTP in GDP, non è più in grado di attivare l’effettore. Il secondo punto è l’inattivazione del cAMP, nel citosol ci sono sempre delle fosfodiesterasi che rompono la molecola di cAMP e lo trasformano in AMP. Terzo punto, la defosforilazione delle proteine fosforilare dalla PKA e nella cellula sono sempre attive delle fosfatasi che staccano continuamente i gruppi fosfato che le varie chinasi hanno attaccato alle proteine.] MUSCOLO SCHELETRICO Ci sono diversi tipi di muscoli. 2 fondamentali, striato e liscio. Nel muscolo striato ci sono 2 tipi, muscolo scheletrico e muscolo cardiaco. Le cellule che formano il muscolo scheletrico sono di 2 tipi, lente e veloci. Muscolo striato scheletrico: legato a tendini attraverso giunzioni miotendinee, è circondato da tessuto connettivo, il perimisio, che divide il muscolo il fascetti e poi un tessuto connettivo, endomisio, che assorbe ogni fibra muscolare. Le cellule muscolari sono lunghissime, perché derivano dalla fusione di tante cellule, di tanti mioblasti, si fondono le membrane e si formano i miotubi fino ad arrivare alla fibra muscolare adulta. Derivando dalla fusione di tante cellule, la fibra è plurinucleata e i nuclei sono sparsi per tutta la fibra muscolare. Ogni fibra è innervata da una terminazione di un motoneurone (che si trova nelle corna ventrali della parte grigia del midollo spinale). Per raggiungere la fibra l’assone esce attraverso le radici ventrali, si unisce con la radice dorsale formando il nervo spinale, fuori dalla colonna vertebrale si unisce ad altri nervi spinali formando i plessi spinali e da qui si originano i nervi periferici che sono costituiti da tutti gli assoni che vanno in una certa parte del corpo. Una volta che l’assone è entrato all’interno del muscolo si divide in tanti rami, e ogni ramo va a innervare una diversa cellula muscolare. Ogni fibra è innervata da un motoneurone, ma un motoneurone innerva tante fibre muscolari. L’insieme di un motoneurone con le fibre muscolari da lui innervate si chiama unità motoria. LIVELLI DI STRUTTURA DEL MUSCOLO Dentro la fibra muscolare ci sono tanti nuclei e tante miofibrille, fasci di strutture proteiche. Queste sono importanti perché al suo interno troviamo il meccanismo della contrazione muscolare. Le miofibrille nel muscolo striato sono fatte a strisce, formate da bande scure (bande A, amisotrope) e bande chiare (bande I, isotrope). Al centro della banda I c’è una linea più scura chiamata linea Z. La porzione di miofibrilla che va da una linea Z all’altra forma l’unità contrattile, l’unità funzionale. In fisiologia l’unità funzionale rappresenta la più piccola parte dell’organo in grado di svolgere la funzione dell’organo stesso. L’unità funzionale della funzione contrattile si chiama sarcomero. Il sarcomero è una struttura fatta da diverse proteine. Nella parte vicina al disco Z troviamo la banda I, la banda chiara, metà in un sarcomero e l’altra metà nell’altro. Al centro invece troviamo la banda A, la banda scura. Al centro della banda A troviamo una zona più chiara chiamata zona H, e al centro di questa zona troviamo una linea più scura che è la linea M. Tagliando trasversalmente il sarcomero, vedremo che è formato da punti neri più grossi, ognuno circondato da 6 punti neri più piccoli, e ogni punto piccolo è circondato da 3 punti grossi. Questi punti non sono altro che filamenti. I filamenti sottili sono ancorati alla linea Z e sono rivolti verso il centro. Il filamento grosso invece è posizionato al centro. Ci sono quindi dei punti in cui questi 2 filamenti si sovrappongono. I filamenti spessi sono tenuti al centro del sarcomero de 2 proteine elastiche (titine), una da una parte e una dall’altra, che sono ancorate alla linea Z. I filamenti spessi sono fatti da una proteina chiamata miosina, i filamenti sottili sono fatti prevalentemente di una proteina che si chiama actina, ma anche di altre proteine. FILAMENTO GROSSO La molecola di miosina è fatta come una mazza da golf con 2 palette, formata quindi da una parte più lunga e 2 teste che sporgono lateralmente. Il filamento di miosina è un fascio di questa struttura dalla quale sporgono tutte le teste di ciascuna molecola. La molecola di miosina è un eteroesamero, cioè formato da 6 subunità diverse. In realtà queste subunità sono uguali a 2 a 2. Queste 6 subunità sono 2 catene polipeptidiche pesanti e 4 catene leggere uguali 2 a 2. La coda è fatta dalle 2 catene pesanti attorcigliate fra loro, successivamente ciascuna delle 2 catene pesanti si separa una dall’altra formando ognuno 1 testa. Le catene leggere sono la catena essenziale e la catena regolatrice alla base si ogni testa. Le 2 catene essenziali sono uguali e le 2 catene regolatrici sono uguali. La testa è formata quindi dall’ultima parte della catena pesante, una catena regolatrice e una catena essenziale. C’è un punto della coda in cui le 2 catene pesanti sono avvolte tra loro in maniera meno stretta. Questo punto è importante perché mentre il resto della coda è rigido, in questo punto la struttura diventa flessibile. In quel punto la struttura si può piegare. Questo fa si che le teste possano allontanarsi o avvicinarsi al resto della struttura del filamento spesso. Un’altra caratteristica che deriva dalla minor compattezza dell’avvolgimento delle 2 catene pesanti, è che in questo punto la catena è elastica. Le molecole di miosina si mettono insieme per formare il filamento spesso in modo antiparallelo. Nella metà di destra le teste di ogni singola molecola di miosina sporgono verso l’estremità orientando verso destra, e nell’altra metà le teste sono orientate verso l’estremità di sinistra. Abbiamo quindi una parte centrale del filamento spesso in cui non ci sono le teste. La catena essenziale è appunto essenziale affinché la molecola di miosina possa svolgere la sua funzione. Quella regolatrice può essere fosforilata dalla miosina chinasi modificando l’efficienza delle funzione della miosina, migliora la velocità con cui la miosina svolge le sue funzioni. Nella testa, nella parte formata dalla catena pesante, troviamo 2 siti di fondamentale importanza che sono un sito di legame specifico per l’actina e un sito di legame per l’ATP. Il sito di legame per l’ATP è un sito catalitico quindi la miosina è un enzima ATPasico in grado di idrolizzare l’ATP formando ADP e fosfato inorganico. Questi prodotti di reazione derivanti dall’idrolizzazione dell’ATP non si staccano subito dal sito di legame ma rimangono legati, ciò è di fondamentale importanza per la contrazione. FILAMENTO SOTTILE È fatto da diverse proteine. Le principali sono l’actina, la troponina e la tropomiosina. L’actina è una proteina globulare, e si unisce ad altre uguali formando una catena. La singola molecola di actina si chiama G-actina, dove G sta per globulare, mentre la catena di molecole di actina si chiama F-actina, cioè actina filamentosa. Si forma un lungo filamento di G-actina. 2 F-actina si avvolgono insieme formando una doppia elica. Ogni molecola di G-actina ha un sito di legame specifico e complementare a quello della miosina, quindi ha un sito di legame per la testa della miosina. Oltre al doppio filamento di F-actina, il filamento sottile è fatto anche da altre proteine, le principali sono la tropomiosina e la troponina. La tropomiosina: è un filamento piuttosto lungo che si adagia sulle molecole di actina, su entrambi i filamenti. È un omodimero, quindi formato da 2 subunità uguali avvolte insieme a formare il filamento di tropomiosina. Troponina: è fatta da 3 subunità che si chiamano I,T e C. I sta per Inibitory, quindi è la subunità inibitrice, che si lega all’actina e tiene legato tutto il complesso (della troponina) al filamento sottile F-actina e nasconde il legame dell’actina per la miosina. Siccome la troponina è legata dalla subunità T alla tropomiosina, la troponina tiene legata all’actina anche la tropomiosina. La terza subunità C, sta per calcio, ha 4 siti di legame per ioni calcio. Alla concentrazione di calcio molto bassa che c’è di base nel citosol (100 nano molare), solo 2 siti della troponina C sono legati al calcio, gli altri 2 sono liberi, in quanto c’è una minore affinità ad esso. È necessario aumentare la concentrazione del calcio nel citosol per far e in modo che anche le altre 2 subunità si leghino. In condizioni di riposo, muscolo rilassato, la tropomiosina e la troponina coprono i siti di legame di actina per la miosina. Quando invece iI muscolo si contrare, la tropomiosina viene spostata e quindi si smascherano i siti di legame dell’actina per la miosina. MECCANISMO MOLECOLARE DI CONTRAZIONE In uno stato rilassato abbiamo una parziale sovrapposizione dei filamenti sottili sui filamenti spessi, e i dischi Z stanno ad una certa distanza tra loro. Le bande I corrispondono alla parte dei filamenti sottili che non sono sovrapposti ai filamenti spessi. La banda A invece corrisponde all’intera lunghezza del filamento spesso. Durante la contrazione abbiamo uno scivolamento (sliding) dei filamenti sottili sui filamenti spessi per cui i filamenti sottili si sono avvicinati al centro del sarcomero, trascinando con loro i dischi Z avvicinandoli. Cosa succede? Se i siti di legame sono liberi, la testa della miosina nel suo movimento casuale di avvicinamento e allontanamento dal filamento spesso, può legarsi al filamento sottile nel sito di legame. A questo punto il legame di actina e miosina determina un cambiamento conformazionale della testa della miosina che porta ad una flessione della testa, ma siccome la testa è legata al filamento sottile in un punto preciso di una molecola di actina, il movimento della testa trascina con se anche il filamento sottile e lo fa scorrere. A questo punto, dopo che c’è stato questo movimento (power stroke) la testa della miosina si stacca dall’actina ritornando in posizione estesa, quindi nella fase di partenza. Adesso però la testa della miosina si può attaccare nuovamente al filamento sottile, non nello stesso punto ma in un’altra molecola più spostata, in quanto il filamento sottile è stato fatto scorrere durante il power stroke. Si ripete cosi il processo facendo scorrere ancora il filamento sottile sul filamento grosso. Questo è l’aspetto meccanico. ATTACCO - FLESSIONE - DISTACCO - ESTENSIONE Ovviamente non è tutto qui, bisogna infatti che ci sia un consumo di energia per far venire il power stroke. Quando la testa è estesa e non ancora legata al legamento sottile, sono legati ad essa i prodotti dell’idrolisi dell’ATP (ADP e fosfato inorganico). Quando la testa miosinica si lega ad una molecola di actina, il legame determina il rilascio del fosfato inorganico dovuto ad un cambiamento conformazionale della testa della miosina. Quindi questo cambiamento comporta 2 cose, come abbiamo visto prima alla flessione e anche il rilascio del fosfato inorganico. Durante il power stroke, la flessione, abbiamo che la conformazione della testa si modifica ulteriormente e anche l’ADP viene rilasciato, una volta che lo scorrimento è avvenuto. A questo punto il sito catalitico di idrolisi di ATP nella testa è libero. Una nuova molecola di ATP allora si lega in questo legame. Questo legame testa - ATP induce un cambiamento conformazionale della testa della molecola di miosina che perde affinità con l’actina e quindi si stacca. A questo punto la testa della miosina svolge la sua azione enzimatica di idrolisi di ATP. Da ATP si forma ADP e fosfato inorganico e si libera l’energia data dal legame fosfato-fosfato. Questa energia che si libera viene utilizzata dalla testa della miosina per passare dalla forma flessa alla forma estesa. Il legame della testa della miosina con l’actina permette la liberazione dell’energia potenziale che aveva accumulato tramite il processo di idrolisi di ATP, e usa questa energia per flettersi trasformandola in energia cinetica. Questo avviene durante una contrazione concentrica, il sarcomero diventa più corto. L’intera miofibrilla e quindi l’intera fibra muscolare diventa più corta. In una contrazione isometrica che fine fa il discorso dello sliding? In una contrazione di questo tipo non si produce un movimento ma produco forza. Tutta l’energia consumata viene utilizzata per produrre forza. Abbiamo detto precedentemente che nella parte del doppio filamento di miosina vicino alla testa c’è un punto dove l’avvolgimento è meno forte, e questo determina il movimento delle teste in flessione ed estensione ma oltre a ciò, ha anche una funzione elastica. In una contrazione isometrica, dove il sarcomero non viene contratto e non c’è uno scorrimento, viene utile questa funzione. Al momento della flessione della testa della miosina, infatti, non avremo una contrazione e quindi uno scorrimento della actina sulla miosina, ma bensì un allungamento di questa parte elastica. Allo stesso modo analogo di come lavora una molla, una volta che questa parte viene allungata si crea una forza che spinge a tornare allo stato iniziale. L’insieme di queste forze di tutte le miosina del sarcomero, per tutti i sarcomero di una miofibrilla e per tutte le miofibrille di un muscolo, ho la forza di contrazione isometrica. ACCOPPIAMENTO ELETTRO-MECCANICO Il meccanismo di sliding si attiva se i siti di actina per la miosina sono smascherati. Quindi se la tropomiosina che copre i siti si è spostata. In questo svolge un ruolo fondamentale la troponina e in particolare lo ione calcio nel legame con la troponina nella subunità C. Se voglio far contrarre un muscolo è necessario che ci sia un aumento del calcio citosolico. Il calcio viene dal reticolo sarcoplasmatico (unica sorgente), ovvero il reticolo plasmatico che si trova all’interno delle cellule muscolari. Il reticolo è un accumulatore di ioni calcio, in quanto c’è un meccanismo attivo di pompa che mette il calcio all’interno del reticolo, impoverendo il citosol. Quando il calcio viene rilasciato dal reticolo la concentrazione di calcio nel citosol aumenta di 3/4 volte. Questo aumento della concentrazione citosolico del calcio fa si che anche gli alti 2 siti della troponina C vengano attaccati dal calcio. Nella troponina C adesso avremo tutti e 4 i legai di calcio legati, occupati. In questa condizione la troponina C subisce un cambiamento conformazionale che determina un cambiamento nell’intera struttura della troponina. Ma la troponina con la subunità T è legata alla tropomiosina. Quindi il cambiamento conformazionale della troponina si traduce in uno spostamento della molecola di tropomiosina. A questo punto vengono smascherati i siti di legame dell’actina per la miosina. Cosa determina l’uscita del calcio dal reticolo? Come è possibile che il potenziale d’azione della cellula muscolare (dato dall’acetilcolina) determini il rilascio di calcio del reticolo? Intorno a ciascuna miofibrilla ci sono le strutture del reticolo sarcoplasmatico che circondano ciascuna miofribilla. Il reticolo ce l’hanno tutte le cellula, ma qui parliamo di reticolo sarcoplasmatico (e quindi per differenziarlo dalle altre cellule) perché la sua struttura e la sua funzione presentano delle particolarità. Da un punto di vista strutturale presentano tubuli longitudinali che vanno nella stessa direzione dell’asse maggiore delle miofibrille, e tutti confluiscono in tubuli trasversali del reticolo che avvolgono ciascuna miofibrilla. Questi tubuli trasversali si trovano esattamente al confine tra banda A e banda I. Tra questi tubuli che circondano le miofibrille ci sono dei tubuli chiamati tubuli T che deriva dalla invaginazione della membrana plasmatica, si infossa formando appunto il tubulo T. Dato che il tubulo T è una invaginazione della membrana plasmatica, lo spazio interno ad esso non è altro che lo spazio extracellulare, quindi pieno di liquido extracellulare. La faccia della membrana che guarda dentro al lume del tubulo T è uguale alla faccia che guarda verso l’esterno della cellula muscolare. L’altra faccia invece è la stessa che guarda verso il citosol. La membrana di una cellula muscolare, in più, è una cellula eccitabile, e quindi ha canali del sodio a voltaggio dipendente. Quindi anche la membrana interna del tubulo T avrà questi canali e anche canali del potassio. Può essere quindi percorsa da un potenziale d’azione. In corrispondenza tra banda A e banda I abbiamo quindi una struttura formata da 3 elementi: un tubulo T circondato da una parte e dall’altra da 1 tubuli trasversali del reticolo sarcoplasmatico. Si chiama quindi triade, perché formata da 3 elementi. Fra le 2 strutture, reticolo sarcoplasmatico e tubulo T, c’è del citosol. Il liquido sarcoplasmatico è ricco di calcio, mentre quello del tubulo T è ricco di sodio. Le 2 membrane sono separate ma molto vicine e in alcuni punti sono a contatto attraverso delle proteine di membrana del tubulo T con proteine di membrana del reticolo sarcoplasmatico. Nella membrana del tubulo T abbiamo la proteina che si chiama recettore della diidropiridina, chiamata così perché è stato individuata utilizzando questa sostanza. Nella membrana del reticolo abbiamo invece un’altra proteina di membrana che si chiama recettore della rianodina. Le 2 proteine sono cosi vicine da essere a contatto, non attraverso il doppio strato fosfolipidico, ma tramite le 2 proteine di membrana. Il recettore della rianodina è un canale per il calcio. In condizioni di riposo il gate è chiuso, ma si apre per mezzo dell’interazione con il recettore della diidropiridina. Quest’ultima è una proteina a voltaggio sensibile, cambia quindi la sua conformazione quando cambia il potenziale di membrana del tubulo T. Cambiando conformazione sporge maggiormente andando a spingere sul recettore della rianodina, aprendo il gate e quindi permettendo al calcio di passare. Percorso partendo dal motoneurone: 1. Arriva il potenziale d’azione lungo il motoneurone; 2. Il potenziale d’azione arriva all’elemento presinaptico; 3. 4. 5. 6. 7. Nell’elemento presinaptico entra calcio e libera acetilcolina; L’acetilcolina si lega al recettore nicotinico dell’acetilcolina nella membrana postsinaptica; L’acetilcolina apre quindi il canale nicotinico che è un canale prevalentemente del sodio; Il sodio entra nell’elemento postsinaptico; Il sodio una volta entrato depolarizza, ha creato un potenziale locale che ha raggiunto la soglia; 8. Raggiungendo la soglia si genera un potenziale d’azione della cellula muscolare; 9. Il potenziale d’azione viaggia lungo tutto il sarcolemma; 10. Si infila nelle invaginazioni, ovvero i tubuli T; 11. Modifica qui il recettore della diidropiridina; 12. Questo spinge sul recettore della rianodina; 13. Si apre il canale della rianodina; 14. A questo punto il calcio esce nel citosol per gradiente di concentrazione; 15. Aumenta cosi la concentrazione di calcio nel citosol; 16. Il calcio si lega alla troponina C; 17. La troponina subisce un cambiamento conformazionale; 18. Questo cambiamento fa spostare la tropomiosina che è legata alla troponina dalla subunità T; 19. Si liberano quindi i legami di actina per la miosina; 20. Parte il meccanismo di sliding. Una volta che si è aperto il recettore della rianodina e cominciato a uscire calcio dal reticolo, questo calcio va ad aprire altri canali nella membrana del reticolo che sono sempre canali della rianodina ma si trovano in altri posti del reticolo, ovvero non quelli a contatto con il recettore della diidropiridina. Si apre per la relazione con il calcio citosolico stesso. Si tratta di un caso di sistema di controllo a retroazione positiva. È un processo esplosivo di concentrazione di calcio nel citosol. CALCIO Viene pompato attivamente all’interno del reticolo da un meccanismo di trasporto attivo primario che si trova nella membrana del reticolo sarcoplasmatico che si chiama SERCA (Sarco Endoplastic Reticulum CAlcium transporter). Questa proteina quindi è una ATPasi con la faccia con il sito per l’ATP rivolta verso il citosol. Quando idrolizza l’ATP si porta dentro 2 ioni calcio, portandoli dentro il lume del reticolo sarcoplasmatico. Questo è uno dei meccanismi che permette di tenere bassa al concentrazione di calcio nel citosol. Il calcio forma dei sali con degli ioni negativi. Il problema di questi sali è che sono insolubili in acqua, tendono a diventare solidi, a fare sassolini. Se si accumula tanto calcio all’interno del reticolo può succedere che all’interno del reticolo ci sia qualche fosfato e che si formi quindi fosfato di calcio che precipita formando un sassolino insolubile. Passa in forma solida. E più c’è calcio e più c’è questa possibilità. Se si formano dei sali insolubili, questo calcio non esce più dai canali, quindi è necessario che sia mantenuto in soluzione nonostante l’alta concentrazione. Per fare questo ci sono delle proteine all’interno del reticolo, come la calsequestrina o la sarcolumenina, che legano calcio in modo reversibile quando è molto concentrato. Sono proteine a bassa affinità e alta capacità. Bassa affinità vuol dire che il calcio legato può essere rilasciato facilmente. Alta capacità vuol dire che ogni proteina può legare molti ioni di calcio, avendo molti siti di legame per esso. Un altro aspetto del calcio è che è necessario che il reticolo rimanga sempre pieno di calcio. Anche quando faccio attività fisica intensa e alta frequenza, il calcio del reticolo continuamente esce e va nel citosol. È necessario però che la concentrazione di calcio nel reticolo venga mantenuta perché altrimenti dopo un po’ non potrei più contrarre il muscolo e andrei in uno stato di affaticamento muscolare. Questo però non succede. Ci sono meccanismi che permettono di mantenere la concentrazione di calcio nel reticolo. Uno è la calsequestrina stessa, poi ci sono altri meccanismi che tengono costante l’equilibrio tra gli ioni di calcio che escono attraverso i canali dei recettori di rianodina e il calcio che entra attraverso il SERCA. Per fare questo all’interno del reticolo abbiamo la proteina HRC che lega calcio, ma alle concentrazioni che sono all’interno del reticolo questa proteina lega solo una parte degli ioni di calcio negli innumerevoli siti che dispone. Se il calcio aumenta, aumentano gli ioni legati ad esso. Se il calcio diminuisce diminuiscono gli ioni calcio legati a HRC. A seconda del numero di ioni calcio legati la proteina assume conformazioni diverse. Quando c’è molto calcio legato assume la conformazione capace di legarsi a proteine legate al recettore della rianodina (proteine ponte). In questo modo HRC facilita l’apertura del recettore della rianodina. Quando c’è poco calcio legato ad HRC, essa raggiunge un’altra conformazione che non è più capace di legarsi al complesso del recettore della rianodina, ma che si lega al SERCA aumentando la velocità del suo funzionamento. Un altro controllo della concentrazione di calcio all’interno del reticolo è la proteina STIM che si trova nella membrana del reticolo sarcoplasmatico. Il calcio si può legare a STIM attraverso un sito di legame rivolto verso il lume del reticolo. Quando nel reticolo c’è poco calcio, si stacca e le varie coppie di STIM formano degli aggregati nella membrana del reticolo che stanno tutti insieme. In questa forma aggregata diventa capace di interagire con una proteina di membrana che però non è presente in quella del reticolo ma, bensì, nella membrana plasmatica. Questa proteina di membrana si chiama ORAI. Le 2 proteine si legano nel punto in cui il reticolo è molto vicino alla membrana plasmatica, ma solo quando STIM è in forma aggregata, ovvero quando c’è poco calcio. Questa interazione determina l’apertura del canale ORAI per il cacio. In queste condizioni il calcio extracellulare può entrare per gradiente di concentrazione sia chimica che elettrica e entra nel citosol. Una volta entrata nel citosol il SERCA lo riporta all’interno del reticolo. Fosfolambano: è una proteina di membrana del reticolo fatta da diversi attraversamenti di membrana. È presente solo nelle cellule muscolari rosse, di tipo I, e nelle cellule cardiache. È capace di interagire con il SERCA inibendola. Diminuisce la quantità e la velocità di entrata del calcio, di conseguenza la contrazione dura meno, in quanto il calcio rimane più tempo nel citosol. È presente infatti proprio in quelle cellule che hanno velocità di rilasciamento più lenta. Il fosfolambano può essere inibito dalla fosforilazione, se per esempio la PKA presente nel citosol del muscolo viene attivata dal cAMP, questa fosforila il fosfolambano e il fosfolambano fosforilata non è più capace di inibire il SERCA. Di conseguenza la contrazione si chiude più rapidamente. I recettori adrenergici di tipo beta sono un esempio di attivatori di adenilato ciclasi quindi la PKA e inibire il fosfolambano. Nella cellula muscolare, nella membrana, ci sono dei recettori adrenergici, ovvero accoppiati a proteine G e recettori di cotecolamine, ovvero noradrenalina e adrenalina. La noradrenalina è sensibile alle terminazioni ortosimpatiche. Gli assoni quindi rilasciano la noradrenalina, che si lega ai recettori adrenergici, attiva la PKA (proteina chinasi A) e inibisce il fosfolambano rendendo più rapida la fase di rilasciamento del muscolo. Se si rilascia prima riesco a controllare meglio il livello di contrazione. CONTRAZIONE DEL MUSCOLO Condizioni di contrazione: - Isometrica: a lunghezza costante. - Isotonica: a carico costante. Da un punto di vista della geometria del muscolo: - Concentrica: con accorciamento. - Eccentrica: con allungamento, forza che si oppone alla contrazione è maggiore della contrazione stessa. MIOGRAMMA Il miogramma è la registrazione di come avviene la contrazione. Inizialmente c’è un tempo di latenza, breve, dove non succede nulla. Dopo questo periodo di latenza la forza aumenta fino a raggiungere un massimo per poi diminuire fino a tornare a 0. Il periodo da 0 a al massimo è il periodo di contrazione e quello che va dal massimo allo 0 è il periodo di rilassamento del muscolo. Il periodo di rilasciamento è più lungo di quello di contrazione (circa 2/3 volte). Se viene fornito un singolo stimolo, un solo segnale d’azione genera una contrazione nel miogramma dove abbiamo questi 3 periodi in un tempo di 100 ms. Questo tempo è variabile a seconda del tipo di fibra. Se invece di dare un singolo stimolo, un singolo punto di corrente, si iniziano a dare stimoli diversi stimoli in sequenza, succede che si hanno le contrazioni per ogni stimolo. Se il secondo segnale cade prima che la contrazione precedente sia completata, e quindi prima che si ritorni allo 0, si ha una somma della contrazione alla fase di rilasciamento. Se aumenta la frequenza, questa fusione di miogrammi diventa maggiore. Se aumenta tanto la frequenza si arriva ad un punto dove le contrazioni si fondono completamente, e non vedo più una fase di rilasciamento. Questo tipo di contrazione prende il nome di contrazione tetanica, ovvero una contrazione in cui le single twitch (impulsi) sono in fusione, non c’è una fase di rilasciamento ma la contrazione viene mantenuta per tuto il tempo di stimolazione. Si nota che passando da un single twitch ad una tetanica la forza di contrazione di quest’ultima risulta essere molto più alta, più del doppio. Per avere una contrazione tetanica dipende dal tipo del singolo twitch. Se la contrazione è lunga la frequenza è minore, se la contrazione è veloce la frequenza dovrà essere maggiore. E questo dipende dal tipo di fibre del muscolo. Le fibre lente hanno una contrazione lenta, dove sia la fase di contrazione che quella di rilasciamento durano di più rispetto a quelle della contrazione veloce. Nell’uomo i muscoli sono misti, sono composti sia da fibre veloci che da fibre lente. La percentuale della composizione di queste fibre però è molta diversa da muscolo a muscolo, alcuni sono prevalentemente veloci e altri sono prevalentemente lenti. Ci sono poi muscoli molto misti che sono fatti da una proporzione abbastanza omogenee del tipo di fibre, come il diaframma. Se ad un muscolo prevalentemente composto da fibre veloci applichiamo stimoli ad una frequenza crescente vediamo che devo salire ad una frequenza di 100 Hz o anche più per avere una contrazione tetanica. In un muscolo lento sono sufficienti frequenze di stimoli più basse per avere una contrazione che tende verso quella tetanica. PERCHÉ IN UNA CONTRAZIONE TETANICA LA FORZA È MAGGIORE? Si è notato che oltre ad una appiattimento dei singoli twitch, in una contrazione tetanica, abbaiamo anche un aumento di forza. Questo è dovuto a diverse cause: 1. Concentrazione di calcio: In un single twitch si ha un singolo picco di calcio per poi essere riassorbito dal SERCA e portato all’interno del reticolo, di conseguenza, facendo diminuire la concentrazione di calcio, non tutti i legami di tutte le troponine C sono legati. Dando tanti stimoli e passando ad una contrazione tetanica, il calcio non ha tempo di essere assorbito, anzi aumenta sempre di più, in quanto di continuo avremo degli stimoli per la sua uscita. Aumentando, il numero di troponina attivato aumenta e si ha una maggiore possibilità che tutti i legami per il calcio della troponina C siano ossidati. Si crea quindi il massimo teorico di produzione della forza. L’aumento del calcio che determina la contrazione tetanica è di poco più alta di quella del single twitch. Questo evidenzia che si tratta di una reazione a cinetica non lineare, la velocità di reazione dipende dalla concentrazione di calcio alla quarta potenza (perché 4 sono i siti di legame del calcio nella troponina). Di conseguenza se la concentrazione di calcio raddoppia, la forza prodotta aumenta di 16 volte. Un piccolo aumento della concentrazione di calcio provoca quindi un forte aumento della forza prodotta in quanto ci sono più legami di actina-miosina. 2. Elementi elastici in serie e paralleloIo: il muscolo da un punto di vista meccanico lo possiamo considerare in 2 modi: come un organo contrattile o come un elastico. Ci sono delle componenti elastiche, considerate in serie, che quando la parte contrattile si contrae vengono trascinate e si allungano. Altre componenti elastiche invece sono poste in parallelo, quando la parte contrattile si contrae anch’essa si accorcia. Durante la contrazione si accorciano, e quindi sono in parallela, il sarcolemma, il sistema tubulare e la titina. Invece si allungano, e quindi sono disposti in serie, i tendini, l’estensibilità del filamento sottile e la deformabilità elastica della miosina (ovvero quella parte elastica della molecola di miosina). Anche questo influisce in quanto se viene dato un single twitch e si misura la forza che si sviluppa ai capi della fibra muscolare, una parte della forza sviluppata dall’elemento contrattile non va sui tendini in quanto assorbita da tutti gli elementi disposti in serie che vanno in tensione, quindi se ne registra solo una parte. Se invece si da una scarica di stimoli ad alta frequenza generando una contrazione tetanica, succede che il primo stimolo mette in tensione i distretti elastici, così che quando arrivano gli altri stimoli, essendo già allungati questi elementi, la forza sviluppata dall’elemento contrattile venga tutta trasmessa ai tendini. RELAZIONE FORZA-LUNGHEZZA La forza di contrazione dipende dalla lunghezza. Se si applica uno stimolo alla sua lunghezza minima, quella che assumerebbe iI muscolo senza il vincolo tendineo, non si produce forza. Man mano che il muscolo viene allungato aumenta anche la forza prodotta fino ad arrivare ad un picco. Dopo di che, continuando ad allungare il muscolo avremo una diminuzione della forza prodotta. Quindi per lunghezze molto lunghe o molto corte non si svilupperà molta forza e negli estremi non si sviluppa affatto. A lunghezze intermedie invece avremo la massima espressione di forza. La ragione di ciò sta nel meccanismo di sliding. Se il muscolo si accorcia troppo i filamenti sottili finiscono per sovrapporsi l’uno sull’altro, quindi il numero possibile di legami actina-miosina diminuiscono fino ad arrivare a 0 se si sovrappongono completamente. Lo stesso lo avremmo nel caso opposto. Se allunghiamo del tutto il muscolo avremo un momento in cui non c’è un punto in cui i filamenti sottili sono parzialmente sovrapposti a quelli spessi, quindi non ci sarà possibilità di legame actina-miosina. Il massimo livello di sviluppo della forza si ha quando la possibilità di questi legami sono in maggioranza. Ovviamente in anatomia nel corpo umano non ci sarà mai un momento dove sarà completamente esteso o completamente contratto, ci sono dei vincoli anatomici. Quando un muscolo è nella sua collocazione naturale produce quanto più forza quanto più è grande la sua lunghezza. Si direbbe quindi che, per esempio, un bicipite riesce a sviluppare la sua massima potenza quando il gomito è completamente disteso. Questo è vero da un punto di vista fisiologico. Da un punto di vista biomeccanico, invece, si sfrutta meglio la forza del bicipite sulla mano per sollevare un peso ad un angolo del gomito di 90°, è un discorso di leve. La forza che posso misurare al tendine è la somma della forza prodotta dal meccanismo contrattile del muscolo + la forza elastica. RELAZIONE VELOCITÀ-CARICO Applicando carichi leggeri la velocità di contrazione è alta, quindi il muscolo si accorcia rapidamente. Applicando carichi pesanti, invece, la velocità di contrazione è bassa, quindi il muscolo si accorcia lentamente. ENERGETICA MUSCOLARE Il muscolo è una macchina che trasforma energia chimica in energia meccanica (lavoro). L’energia chimica utilizzata (trasformata) può aumentare durante la contrazione centinaia di volte rispetto al livello di base. Inevitabilmente una parte dell’energia chimica è dissipata come calore. ENERGI A = L + H L = Lavoro H = Entalpia Si consuma ATP e il muscolo usa la forza che si libera dalla rottura di legame per produrre o forza o spostamento o entrambe, quindi energia meccanica. L’ATP viene risintetizzato durante la contrazione da: - Fosfocreatina: la creatina è una sostanza che è presente nel muscolo e può essere fosforilata. Il legame che si viene a formare tra azoto e fosforo è un legame altamente energetico, quindi quando si rompe questo legame si libera energia che può essere usata per legare un gruppo fosfato all’ADP per riformare l’ATP. - Metabolismo anaerobico: glicolisi anaerobica. È rapida ma a basso rendimento, si formano poche molecole di ATP (4 ma 2 vengono consumate nel processo di chinasi). - Respirazione cellulare: viene sviluppata nei mitocondri con la catena respiratoria partendo dai coenzimi ridotti che si formano nel ciclo di Krebs (NADH, NAD e FADH). Si crea un gradiente di protoni che fa funzionale ATPasi inversa sintetizzando ATP. Questo tipo di metabolismo è molto più lento. Il ciclo di Krebs può essere alimentato dalla glicolisi o dalla betaossidazione, quindi dagli acidi grassi. La fosfocreatina lavora nei primissimi secondi e si esaurisce nel giro di pochissimi secondi. Sono utilizzati per attività di tipo esplosivo. La glicolisi (metabolismo anaerobico) entra in funzione già dai primi secondi ha bisogno di alcuni minuti per arrivare al pieno funzionamento (ricostituzione ATP) e per ultimo entra il metabolismo aerobico, più lento degli altri ma è il più efficiente. TIPI DI FIBRE MUSCOLARI Tutti i muscoli sono misti, formati quindi sia da fibre veloci che lente. Alcuni muscoli però hanno una prevalenza di una fibra piuttosto che un’altra. Il fattore che rende cosi diversi i miogrammi di diversi muscoli è proprio la composizione percentuale delle singole fibre. Ci sono 3 tipi di fibre: fibre veloci di tipo A (FTa o tipo IIa), fibre veloci di tipo B (FTb o tipo IIb) e fibre lente (ST, o tipo I). MORFOLOGIA FTb FTa ST COLORE Pallido Pallido/rosso Rosso DIAMETRO Elevato Intermedio Piccolo Basa Intermedia Elevata Intermedio Elevato DENSITÀ CAPILLARI VOLUME MITOCONDRI Piccolo BIOCHIMICA IIB IIA I MIOSIN ATPasi Elevata Elevata Bassa LEGAME CON Ca Rapido Intermedio Lento CAPACITÀ GLICOLITICA Elevata Elevata Bassa CAPACITÀ OSSIDATIVA Bassa Intermedia Elevata FUNZIONE FF FR S VELOCITÀ CONTRAZIONE Elevata Elevata Bassa VELOCITÀ RILASCIAMENTO Elevata Elevata Bassa AFFATICAMENTO Elevato Intermedio Basso FORZA SVILUPPATA Elevata Intermedia Bassa FF = fast faticable FR = fast resistant S = slow Velocità di contrazione: In una fibra lenta il tempo di contrazione è elevato, in una veloce è breve. Questo è dovuto all’idrolisi dell’ATP e quindi dell’estensione, dove si attua l’azione enzimatica della testa della miosina e l’azione enzimatica ATPasica è lenta. Quello che determina la velocità sarà proprio la velocità della reazione enzimatica della testa della miosina. Nelle fibre fast la velocità di contrazione è maggiore perché la miosina è diversa, sono isoforme diverse della miosina, ci sono aminoacidi diversi. Velocità di rilasciamento: anche questa è molto breve nel muscolo rapido e molto lenta nel muscolo lento. Nelle fibre slow il SERCA è molto più lento rispetto a quello delle fibre fast. Anche in questo caso c’è un’isoforma diversa della proteina del SERCA. In più il fosfolambano si attacca al SERCA inibendolo. Questo è espresso solo nelle fibre slow e non in quelle fast. Di conseguenza tutta la fase di rilasciamento è molto più lenta. Questa influenza sulla possibilità di tetanizzazione della contrazione, qui infatti è più facile, sarà possibile raggiungere la contrazione tetanica ad una frequenza più bassa rispetto alla veloce, ovvero a quella che necessita la fibra fast. Affaticamento: maggiore per le fibre veloci. È un problema di metabolismo. Infatti la capacità glicolitica della fibra veloce è elevata, mentre in quella lenta è bassa. Questa è una via metabolica che va molto forte ma produce poco ATP. La capacità di produzione di ATP per una fibra veloce è bassa (avviene nel citosol). La capacità ossidativa invece è un processo più lento che passa dal ciclo di Krebs e dalla caduta di elettroni. Questo avviene nei mitocondri. La capacità ossidativa nelle fibre lente è elevata, mentre in quelle veloci è bassa. Di conseguenza abbiamo molti mitocondri nelle fibre slow e pochi nelle fibre fast. Se ci sono molti mitocondri mi aspetto che ci sia anche una alta disponibilità di ossigeno per recuperare gli elettroni dopo il loro passaggio e produzione di ATP. Questo ossigeno è dato dalle mioglobine. Nelle fibre rose abbiamo la mioglobina che lega l’ossigeno e costituisce un deposito di ossigeno muscolare. In più c’è una densità di capillari maggiori nelle fibre lente rispetto a quelle veloci. Inoltre vediamo che la fibra lenta ha un diametro piccolo, mentre la fibra veloce ha un diametro più grande. Se la fibra è piccola e circondata da tanti canali, l’ossigeno arriva facilmente anche nella parte più profonda della fibra. Se la fibra invece ha un diametro elevato, l’ossigeno portato da quei pochi capillari fa fatica ad arrivare in profondità. Forza: dato che la fibra lenta ha un diametro inferiore rispetto a quella veloce si educe che abbia anche meno miofibrille. Di conseguenza la forza espressa di una fibra lenta sarà inferiore rispetto a quella che può esprimere una fibra veloce. Nelle fibre intermedie abbiamo, appunto, delle fibre intermedie. Questo perché il metabolismo è intermedio, ha una elevata capacità glicolitica ma ma anche una buona capacità ossidativa. PROTEINE DIVERSAMENTE ESPRESSE IN FIBRE DI TIPO 1 E DI TIPO 2 - Miosina catena pesante, velocità di idrolisi di ATP e di contrazione. Miosina catena leggera essenziale e regolatrice. Troponina. Tropomiosina. SERCA. Fosfolambano: presente solo nelle fibre lente. UNITÀ MOTORIA Il muscolo è innervato di motoneuroni, i cui corpi cellulari si trovano nelle corna ventrali del midollo spinale. L’assone esce dal midollo spinale dalle radici ventrali fino ad arrivare nel muscolo dove si divide in diversi rami, e ognuno va a fare sinapsi con una diversa cellula muscolare. Il risultato è che ogni cellula muscolare è innervata da un solo motoneurone ma un singolo motoneurone può innervare diverse cellule muscolari. In seguito a patologie può succedere che una cellula muscolare può essere innervata da più motoneuroni. L’insieme del motoneurone con tutte le fibre da lui innervata si chiama unità motoria. È l’unità di controllo dell’informazione, rappresenta l’unità funzionale del controllo motorio, nel senso che è la più piccola parte del muscolo di cui il sistema nervoso centrale può controllare la contrazione. Un motoneurone innerva lo stesso tipo di fibre, o solo slow, o solo fast o solo intermedie. Questo ci permette di controllare separatamente i vari tipi di fibre. Numero di innervazione: il numero di innervazione è il numero di fibre muscolari innervati da un motoneurone. Il numero di innervazione di una unità motoria dipende, può andare da poche unità (2/3) a molte centinaia. Ci sono muscoli con unità motoria piccole e muscoli con unità motorie grandi. Se le unità motorie sono piccole si può controllare meglio il livello di contrazione del muscolo. I muscoli che controlliamo in maniera molto fine sono muscolo delle mani, delle dita, nell’occhio, lingua e apparato di fonazione, muscoli mimici della faccia. Muscoli che hanno poco controllo sono il quadricipite, il tronco ecc. RECLUTAMENTO DEI MOTONEURONI Le unità motorie vengono reclutate inizialmente solo le lente, dopo di che aggiungo progressivamente anche le bianche per aumentare la forza. In una contrazione massimale vengono quindi utilizzate entrambe. Si può scegliere se far contrarre solo le rosse, lente, oppure sia rosse che bianche. Non posso scegliere di contrarre solo le veloci. Questo perché le fibre lente sono quelle che non si affaticano, se utilizzassi le bianche per piccole contrazioni, queste si affaticherebbero subito e non riuscirei neanche a mantenere una postura. I motoneuroni che innervano le fibre rosse sono più piccoli rispetto a quelli che innervano le fibre bianche. Avendo una superficie di membrana più piccola, si determina una depolarizzazione maggiore a parità di cariche positive che sono entrate. Di conseguenza è più probabile che esso raggiunga l’innesco del potenziale l’azione rispetto al neurone della fibra veloce. Se arriva quindi un input modesto i primi a partire saranno proprio quelle rosse, se l’input aumenta interverranno anche le fibre veloci. SOMMAZIONE MUSCOLARE La sommazione muscolare è un altro modo per regolare la forza. Consiste nel fatto che quando si aumentala frequenza di stimolazione di una fibra muscolare, non solo le singole contrazioni tendono a fondersi in una contrazione tetanica continua, ma la forza di contrazione aumenta. Sempre stando su una unità motoria si può aumentare la forza semplicemente aumentando la frequenza di stimolazione. Ci sono 2 modi per aumentare la forza. Il primo è il numero di unità motorie reclutate e il secondo è la frequenza del potenziale d’azione in ciascuna di queste unità motorie. ALLENAMENTO Gli effetti dell’allenamento sul muscolo scheletrico sono un aumento della forza contrattile e una induzione di plasticità muscolare, cambiamento qualitativo del muscolo. Plasticità muscolare: determina il fatto che le fibre muscolari non sono formate una volta per sempre ma possono passare da un tipo all’altro. In particolare lo scivolamento più facile da ottenere è da fast a slow. Per fare questo passaggio dipende dal tipo di allenamento. Un allenamento di resistenza spinge le fibre a passare da fast a slow. Le fasi sono: 1. Miosina catena pesante. 2. Miosina catene leggere. 3. Troponina C, T e I. 4. SERCA. Fase di transizione dove la fase di contrazione è diventata più lenta ma la fase di rilasciamento è ancora più rapida. EFFETTO DELL’ALLENAMENTO DI FORZA Ha come effetto nel tempo un aumento di forza, dovuto a 2 fattori, fattori neurali, quindi adattamenti neurali che avvengono all’interno del midollo spinale, e adattamenti prettamente muscolari. Quelli che avvengono prima sono gli adattamenti neurali, nel giro di pochi giorni. Quelli muscolari partono dopo una decina di giorni e hanno bisogno di più di un mese per arrivare ad uno stato stazionario, a compimento. Adattamenti neurali: - Aumento del numero di unità motorie reclutate (allenamento di forza esplosiva). - Allenamento con grande carico e velocità bassa aumenta la forza, mentre l’allenamento con piccolo carico e velocità alta aumenta la velocità di sviluppo della forza. - Aumento delle unità motorie di tipo II reclutate. - Aumento della frequenza massima di attivazione. - Aumento della sincronizzazione dell’attivazione delle unità motorie. - Diminuzione dell’attivazione dei muscoli antagonisti. - Aumento dell’attivazione dei muscoli sinergici. Con l’allenamento si riesce a reclutare dei motoneuroni che prima non riuscivo a reclutare. Effetti dell’allenamento di forza: - Aumento di forza - Aumento di sintesi proteica (picco 24 ore dopo) - Ipertrofia, ingrandimento fibre (bianche). Ruolo del danno da lavoro eccentrico - Cambio di espressione della miosina IIa - IIb - Cambio di fenotipo II - I (allenamento i resistenza, il cambio contrario nell’allenamento di forza è più difficile). - Iperplasia (allenamento di forza) aumenta soprattuto con un allenamento eccentrico dove si creano delle microlesioni che liberano sostanze che arrivano processi di formazione di nuove fibre muscolari. - Aumento del connettivo (si mantiene il rapporto percentuale) Risposte ormonali: - Cortisolo: secreto dal corticale surrenale, determina un aumento della glicemia e quindi rende disponibile una quantità maggiore di glucosio al muscolo che si sta contraendo. L’aumento di cortisolo è immediato con l’attività fisica. - GH, ormone della crescita: secreto dall’adenoipofisi, rilasciato in una fase più prolungata della fase di allenamento, aumenta l’utilizzo dei lipidi quindi la betaossidazione. Sposta quindi le fronti energetiche da quelle dei carboidrati a quelle di tipo lipidico. È un anabolizzante proteico, quindi promuove la sintesi proteica e determina l’ipertrofia. - Testosterone: prodotto dal testicolo, quindi maschile, è un anabolizzante proteico come il GH. MUSCOLO CARDIACO Muscolo striato, ma le striature non sono allineate bene come nel muscolo scheletrico. Nel miocardio le cellule non sono plurinucleate, nono sono cellule derivate dai mioblasti che si fondono insieme come quelle dello scheletrico. Abbiamo quindi cellule ben distinte con un solo nucleo. Un’altra caratteristica è che queste cellule sono ramificate, connettono una fila di cellule con quelle vicine. Tra loro le cellule miocardiche sono collegate da una interfaccia membrana/membrana in cui sono contenute giunzioni di 2 tipi. Le membrane sono digitate, e le digitazioni di una si incastrano con quelle dell’altra facendone aumentare la superficie di contatto. Un tipo di giunzioni sono i desmosomi (nettamente meccanica), tengono saldamente unite le 2 membrane della cellula e anche i 2 citoscheletri, in quanto sono altamente saldate al citoscheletro. Si stabilisce un legame molto resistente alla trazione. L’altro tipo di giunzione è la gap junction, sono molte e mettono in comunicazione i 2 citosol dove passa quasi tutto, tranne le macromolecole. Queste 2 giunzioni mettono talmente in comunicazione le 2 cellule miocardiche che si usa dire che il miocardio è un sincizio (insieme di cellule, quasi una cosa sola) funzionale (da un punto di vista strutturale posso distingue le 2 cellule ma le gap junction le rende sinergiche). Anche nelle ramificazioni le 2 cellule sono in stretta relazione meccanica (desmosomi) e elettrica (gap junction). Da un punto di vista microscopico la cellula miocardica è molto simile a quella del muscolo scheletrico. La struttura è la medesima con bande chiare e scure, linee Z e M, filamenti spessi di miosina e filamenti sottili di F-actina. Le differenze sono da un punto di vista istologico. Nella cellula scheletrica nel confine tra banda A e banda I non abbiamo le triadi, nel muscolo cardiaco il tubulo T non si trova al confine tra banda A e banda I ma nel mezzo della linea Z e non sono triadi in quanto non c’è un vero tubulo trasversale del reticolo sarcoplasmatico, ma ci sono dei piedi del reticolo che sono in stretta vicinanza del tubulo T. Si parla quindi di diadi. Il meccanismo di sliding è lo stesso, quello che cambia è il modo di provocarlo. Abbiamo sempre il calcio che si lega alla troponina C che sposta la tropomiosina liberando i liti di legame dell’actina per la miosina. Quello che differenzia le 2 cellule è l’origine del calcio. Il recettore della rianodina si apre sia per il contatto diretto con la diidropiridina, sia con il rapporto con il calcio steso. Avviene una apertura dei canali di calcio del tubulo T che fanno entrare calcio sia per gradiente di concentrazione, sia per gradiente di potenziale elettrico. Questa entrata di calcio va ad aprire i canali del recettore della rianodina del reticolo, esce calcio dal reticolo e questo va aumentante ancora di più la concentrazione di calcio citosolico andando ad aprire altri canali per il calcio recettori della rianodina. Nel cardiomiocita le sorgenti di calcio sono 2: una extracellulare e una reticolare. Questo evidenzia la presenta di meccanismi di sicurezza per fare in modo che comunque ci sia la contrazione. Il fatto che ci siano 2 sorgenti di calcio e non 1 mi da una garanzia in più. Il fosfolambano è presente nella cellula miocardica e inibisce il SERCA fino a che il fosfolambano stesso non viene fosforilato. Quindi la fine della contrazione è più lenta, ma può essere rimosso se il fosfolambano viene fosforilato dalla PKA. Le cellule miocardiche hanno recettori adrenergici della noradrenalina il quale è un potente regolatore dell’attività cardiaca. MUSCOLO LISCIO È un muscolo molto diverso da quello striato. Lo troviamo nel canale alimentare, nelle vie aeree, nell’apparato vascolare e nell’apparato urogenitale. È costituito di cellule mononucleate che fra loro possono assumere 2 tipi di rapporti. Possono essere isolate una dall’altra (tipo multiunitario), oppure fortemente interconnesse fra loro con legami di gap junction (tipo unitario). Il muscolo liscio ha una o 2 innervazioni del sistema nervoso autonomo. Il muscolo liscio ha una innervazione ortosimpatica, e, a volte, anche parasimpatica. La comunicazione tra 1 e 2 neuroni si forma tramite il neurotrasmettitore dell’acetilcolina che si lega al recettori nicotinici e il secondo neurone rilascia sul muscolo liscio 2 trasmettitori diversi nel caso in cui sia ortosimpatico o parasimpatico. L’ortosimpatico rilascia noradrenalina e il neurone postgangliare parasimpatico rilascia acetilcolina che si lega a recettori muscarinici (recettori metabotropi). Multiunitario: corpo ciliare, iride, muscoli erettori del pelo Unitario: canale alimentare, apparato urogenitale, vasi sanguigni Non ha le striature, in quanto all’interno della cellula muscolare liscia non ci sono le miofibrille. Ci sono però filamenti di actina e di miosina. Questi non sono disposti in modo ordinato per formare la miofibrilla. I filamenti sottili sono ancorati a dei complessi proteinici che si chiamano corpi densi che stanno sia agganciati a proteine di membrana, sia all’interno del citosol. La cellula muscolare liscia ha quindi dei blocchi proteici sia nella membrana muscolare che all’interno, da cui partono i filamenti sottili. In mezzo ai filamenti sottili ci sono dei filamenti spessi. Quando abbiamo un processo di sliding, la contrazione porta a restringere tutto il volume della cellula, soprattutto nella direzione della lunghezza. La forza prodotta dalla contrazione si trasmette anche alle proteine extracellulari, e quindi l’intero muscolo liscio viene accorciato. Le molecole di miosina nel muscolo liscio sono disposte in maniera differente rispetto a come sono disposti nel muscolo striato. Qui è formato da molecole di miosina orientate per tutta la lunghezza del filamento spesso in un modo e altrettanti disposte in verso opposto. I filamenti sottili quindi possono scorrere lungo tutto il filamento spesso e non solo la metà. Il filamento sottile è sempre costituito da molecole di G-actina che formano 2 filamenti di F-actina disposti a elica, tropomiosina che si distende nella doppia elica, ma non troviamo la molecola di troponina. Al suo posto abbiamo 2 proteine che sono la calponina (lega calcio solo dopo essersi legato alla calmodulina) e il caldesmone (lega calcio direttamente). Sono 2 proteine leganti calcio ma non hanno la funzione che la troponina svolge sulla tropomiosina quando è legata a 4 ioni di calcio. In questo caso i siti dell’actina per la miosina infatti sono sempre aperti. La funzione di queste 2 proteine è quella di rallentare la funzione ATPasica della miosina quando questa è legata all’actina. Il rilasciamento della contrazione e del rilasciamento è molto lento e il muscolo liscio non va mai in affaticamento. Se i legami tra actina e miosina sono sempre liberi potrebbe venir da pensare che la contrazione sia sempre continua. Questo ovviamente non è cosi, c’è un meccanismo che regola le 2 fasi. Questo meccanismo determina la fosforilazione della catena leggera regolatrice della miosina. La molecola di miosina del muscolo liscio è diversa di quella del muscolo striato. La testa non è in grado infatti di legarsi al sito nell’actina a meno che la catena leggera regolatrice non sia fosforilata. Questo induce un cambiamento conformazionale con mascheramento del sito della miosina per l’actina. La fosforila la proteina chinasi MLCK. MLCK è una proteina citosolica che fosforila solo la catena leggera regolatrice della miosina. Ma anch’essa è un forma inattiva e si attiva quando viene legata alla calmodulina. Ma la calmodulina può legarsi alla proteina MLCK sono quando ha legata 4 ioni di calcio. 1. 2. 3. 4. Calcio nel citosol; Il calcio si lega alla calmodulina; La calmodulina fa un cambiamento conformazionale e si lega alla MLCK; La MLCK cambia conformazione e si smaschera il sito di legame della MLCK con la catena leggera regolatrice della miosina; 5. Ora la MLCK fosforila la catena leggera regolatrice della miosina a spese di una molecola di ATP; 6. Si crea un cambiamento conformazionale che libera il legame della miosina per l’actina. Da dove viene il calcio? Nel reticolo della cellula muscolare liscia troviamo dei canali del calcio controllati da inositolo trifosfato, che proviene dalla fosfolipasi C della membrana, che una volta aperti fanno uscire il calcio per gradiente. Quindi il calcio può venire dal reticolo quando si attiva la fosfolipasi C, e questa si attiva quando una molecola segnale extracellulare va ad interagire con il suo recettore accoppiato a proteina G che attiva la fosfolipasi C. Il calcio può entrare anche dall’esterno mediante legami a voltaggio dipendenti per il calcio. Questo è dovuto ad un potenziale d’azione generato nella membrana del muscolo liscio. Può anche essere che questo canale per il calcio sia aperto indirettamente da una molecola segnale extracellulare che attiva un recettore che agisce sul canale. Nella membrana delle cellule muscolari lisce abbiamo anche dei canali del calcio a controllo meccanico, ovvero quelli che si aprono quando al cellula si deforma perché cambia il rapporto tra membrana e citoscheletro, quando la cellula si deforma il canale viene tirato e viene aperto il gate. Questi processi possono anche avvenire tutti insieme. Il risultato è che mentre lo striato è n esecutore di comandi che arrivano dal motoneurone, il muscolo liscio è un integratore, mette insieme tante informazioni. Fase di rilasciamento: non basta che ci sia una diminuzione di calcio citosolico, ma deve essere defosforilata la catena leggera regolatrice della miosina. Bisogna quindi attivare un processo, fosfatasi, che stacca il fosfato. SANGUE Negli unicellulari l’attività non modifica la composizione dell’ambiente che, in generale, è molto grande e continuamente rimescolato. Nei pluricellulari l’ambiente interno resta isolato rispetto all’ambiente esterno. Un importante vantaggio evolutivo nel passaggio da un uni a pluricellulare è l’indipendenza dell’ambiente interno dalle possibili variazioni dell’ambiente esterno. L’ambiente interno ha un volume confrontabile con quello intracellulare e può essere quindi controllato dalle cellule. Le piccole dimensioni dell’ambiente interno lo rendono soggetto a variazioni dovute alle stesse attività cellulari che tendono a renderlo uguale all’ambiente intracellulare. Per evitare questo deve essere controllato. Nasce quindi la necessità di specializzare gruppi di cellule (organi) dedicate al controllo di specifici parametri (omeostasi) dell’ambiente interno. Qualunque attività cellulare va a modificare l’ambiente extracellulare. Liquido circolante: la localizzazione e la segregazione di particolari funzioni omeostatiche in organi specializzati richiede che esista un meccanismo che permetta la distribuzione su scala organismi a degli effetti degli interventi omeostatici. Questa funzione è svolta dal liquido circolante che, nei vertebrali, è il sangue che circola all’interno di un sistema chiuso di tubi grazie alla presenza di pompe. Tutta la funzione cardiovascolare è finalizzata al passaggio dal sangue nei luoghi in cui avviene l’omogenizzazione del liquido extracellulare con il sangue, i capillari. Se un organo controlla una concentrazione, deve farlo in tutto il nostro corpo, non solo in un punto. C’è bisogno quindi di qualcosa che rimescoli di continuo il liquido extracellulare. Il sangue che circola rende uguale a se stesso il liquido cellulare dell’organo che sta circolando. Ma se tutti gli organi lo fanno, allora tutto il sangue sarà uguale. 2 pompe. Dal ventricolo Sx il sangue va alla testa al fegato, all’intestino e al resto del corpo. Tutto questo sangue poi viene accumulato nel ventricolo Dx. Lo stesso sangue passa nel ventricolo Sx e nel ventricolo dX. I 2 ventricoli non solo le uniche pompe che fanno circolare il sangue. FUNZIONI PRINCIPALI DEL SANGUE Si realizzano mediante il riequilibrio continuo fra sangue e liquido interstiziale nei capillari. - Respirazione: trasporto di O2 e CO2. - Nutrizione: trasporto dei nutrienti dall’intestino o dai depositi (fegato, tessuto adiposo) ai tessuti utilizzatori. - Escrezione: trasporto di cataboliti agli organi escretori (rene, polmone, pelle, intestino) - Omeostasi degli H+: sistemi tampone, distribuzione degli H+ prodotti o assunti e loro trasporto agli organi di eliminazione. - Peristalsi idrica e degli elettroliti: distribuzione dell’acqua e degli elettroliti. - Omeostasi termica: distribuzione (regolata) del calore. - Difesa contro le infezioni: meccanismi specifici e aspecifici, mantenimento dell’identità molecolare. - Comunicazione intraorganismica e controllo: trasporto e deposito di ormoni. CARATTERI GENERALI DEL SANGUE Ha un volume totale che è pari al 7% del peso corporeo, tolto il tessuto adiposo. Composizione del sangue: - Plasma: 54-69 % rende pari a se steso i vari liquidi extracellulari. - Eritrociti: globuli rossi. Circa 5 milioni per millimetro cubo. - Leucociti: globuli bianchi. Nome generico per indicare diverse cellule. Sono 6/8 mila per millimetro cubo. Hanno funzioni di difesa: - Granulociti neutrofili - Granulociti eosinofili - Granulociti basofili - Linfociti - Monociti - Piastrine: pezzi di cellule. 2/ 3 cento mila per millimetro cubo. Parte corpuscolata è la somma di globuli rossi, globuli bianchi e piastrine 45%. Plasma 55%. Ematocrito: rapporto fra parte corpuscolata su tutto il volume totale. Composizione del plasma: - Acqua: 92%, è il solvente di questa soluzione. In realtà non è moltissimo, nel liquido extracellulare l’acqua è presente in maggiori quantità. - Proteine: 6-8% del plasma. Unico componente del plasma che non troviamo nel liquido extracellulare. - Sali: 0,8%. - Lipidi: 0,6%. - Glucosio: 0,1%. Le proteine sono di diverse classi. Si può usare la tecnica dell’elettroforesi per distinguere le proteine plasmatica. Questa sfrutta la capacità di correre delle proteine quando sono sottoposte ad un campo elettrico, quindi una differenza dai potenziale. A pH fisiologico (circa 7,4) le proteine sono quasi tutte cariche negativamente. Hanno quindi rilasciato ioni idrogeno in più e diventati propinati. Di conseguenza queste in un campo di corrente tenderanno a correre verso il polo negativo. La velocità della corsa dipende dalle dimensioni e carica elettrica, in questo modo possono differenziarle tra loro e dividerle in classi. GLOBULI BIANCHI (LEUCOCITI) Sono cellule coinvolte nella risposta immunitaria. Grazie al loro intervento il corpo umano si difende dagli attacchi di microrganismi ostili, come virus, batteri, miceti e parassiti, e da corpi estranei che penetrano al suo interno. Il sangue contiene 5 tipi di leucociti maturi: - Linfociti: sono cellule del corpo umano deputate all’immunità acquisita. Capacità del sistema immunitario di combattere selettivamente ogni diverso antigene che lo aggredisca. Alla prima esposizione immunologica i tempi di riposta sono piuttosto lunghi, ma grazie alla conservazione di una memora i successivi attacchi vengono debellati in maniera assai più rapida ed efficace. Soltanto il 5% del patrimonio linfocitario dell’organismo è presente nel circolo sanguigno; la quota preponderante di linfociti si trova invece nei tessuti linfatici. Esistono 3 tipi di linfociti, i linfociti T, i linfociti B e le cellule natural Killer. - Monociti (precursori dei macrofagi): hanno capacità fagocitaria, i cui processi di attivazione non sono solamente implicati nella classica difesa da patogeni, ma anche nella regolazione di altre attività fisiologiche come la coagulazione. Hanno origine nel midollo osseo per poi viaggiare con il circolo sanguigno dove maturano e si differenziano in macrofagi. Sono spazzini efficaci che inglobano e digeriscono le sostanze e i microrganismi che potrebbero arrecare danno all’organismo. - Neutrofili: proteggono l’organismo da agenti estranei, soprattutto infettivi, esercitando azioni diverse in difesa dell’organismo. Tali interventi sono concatenati e perfettamente integrati con quelli del sistema monocito-macrofagi e dei linfociti. Ingeriscono l’agente patogeno e procedono alla digestione. Sono i globuli bianchi più abbondanti del sangue. - Eosinofili: sono coinvolti nelle reazioni allergiche e nella difesa contro le infestazioni parassitarie. La loro concentrazione risulta maggiore a livello di tessuti esposti ad agenti ambientali. - Basofili (chiamati mastociti a livello tissutale): sono piuttosto rari nel sangue. Rilasciano istamina, eparina, citochine ed altre sostanze chimiche coinvolte nella risposta allergica ed immunitaria. I globuli bianchi circolanti nel sangue possono essere raggruppati in diverse categorie, a seconda delle caratteristiche funzionali e morfologiche che gli accomunano: - Fagociti (neutrofili, monociti e macrofagi): hanno la capacità di inglobare e digerire le molecole estranee (i macrofagi rappresentano la forma tissutale dei monociti). - Granulociti (basofili, eosinofili e neutrofili): questi leucociti contengono grossi granuli di citoplasma, che conferiscono loro un aspetto granulare. - Immuniciti (linfociti T e B): sono i globuli bianchi responsabili di risposte immunitarie specifiche e selettive contro gli antigeni esogeni. - Cellule citotossiche (alcuni tipi di linfociti T ed eosinofili): rilasciano sostanze in grado di uccidere le cellule che attaccano. - Cellule che presentano l’antigene o APC (alcuni tipi di linfociti, macrofagi, monociti e cellule dendritiche). I leucociti sono molto più grandi dei globuli rossi ma sono meno numerosi. Nonostante i leucociti circolino nel sangue, la loro attività si espleta soprattutto a livello tissutale. Essi, grazie a movimenti ameboidi, possono infatti attraversare le pareti dei vasi e muoversi negli spazi interstiziali secondo un processo chiamato diapedesi. Leucocitosi: aumento anomalo di globuli bianchi nel sangue. Questa condizione può essere dovuto a malattie ed infezioni acute; l’aumento delle varie sottopopolazioni di globuli bianchi (monocitosi, basofilia, linfocitosi, eosinofilia) può assumere un significato patologico più circoscritto. Una marcata leucocitosi è tipica delle leucemie. Leucopenia: indica la diminuzione anomala del numero di globuli bianchi (leucociti) presenti nel sangue. Anche in questo caso la leucopenia può essere generalizzata o interessare una specifica popolazione linfocitaria. Una leucopenia può instaurarsi a causa di infezioni virali, malattie del sangue o assunzione di alcuni farmaci antipsicotici, immunosopressivi e interferone usati nel trattamento della sclerosi multipla. GLOBULI ROSSI (ERITROCITI) Cellule semplificate, perché durante la loro formazione perdono il nucleo e tutti gli altri organici. Restano dei sacchetti privi di organuli e solo ricchi di citosol. Questo succede negli umani ma non in tutti gli animali. Il numero è di circa 5 milioni per millimetro quadro, un po’ più nell’uomo e un po’ meno nella donna. Ha una forma biconcava, questa forma è resa possibile perché ha perso nucleo e organuli. I vantaggi evolutivi che ha potato a ciò sono 2: il passaggio nei piccoli capillari e il rapporto superficie volume, se fosse una sfera avrebbe, a parità di volume, una superficie inferiore e quindi un rapporto superficie/volume più piccolo. Questa forma porta un vantaggio in aumento superficie/volume di circa il 40%. Questo fa si che vengano facilitati gli scambi. Il citosol dei globuli rossi è fatto della proteina emoglobina, fondamentale per il trasporto dei gas respiratori. Oltre a questo il citosol contiene le vie metaboliche della glicolisi anaerobica e lo shunt dei pentosi (alternativa del catabolismo glicemico dove si formano dei pentosi). Uniche vie dove si forma ATP per mantenere in vita la cellula. Funzioni: - Trasporto di O2. - Trasporto di CO2. - Contributo alla viscosità del sangue (pressione arteriosa). Reticolociti: globuli rossi immaturi, appena formati che troviamo all’interno del sangue. Il nome sta a determinare che all’interno delle cellule si trova un reticolo fatto da pezzi di reticolo endoplasmatico che poi viene eliminato completamente. Emoglobina: eterotetramero, formato da 4 subunità diverse ma uguali a 2 a 2. La struttura quaternaria è molto importante de un punto di vista fisiologico. È una proteina coniugata, ovvero fatta da una parte proteica che lega stabilmente una parte non proteica. La parte non proteica è rappresentata da specie di dischi volanti che si chiamano Heme. L’heme è una molecola ciclica complessa con al centro uno ione di ferro Fe2+. Questo ferro in realtà si può ossidare e passare a Fe3+. La molecola di emoglobina che trasporta Heme con Fe3+ si chiama metaemoglobina e non serve a nulla, in quanto perde la capacità di trasportare ossigeno. Esiste però un enzima, il glutatione reduttasi, nell’emoglobina che riporta lo ione a Fe2+. Cioè che tiene incastrato al centro lo ione ferro è la molecola di Heme. Il ferro al centro lega con 4 atomi di azoto. Ogni atomo di azoto fa parte di un anello a 5 atomi di cui gli altri 4 sono carboni. I 4 anelli sono legati insieme da gruppo -CH. GRUPPI SANGUIGNI Nei globuli rossi ci sono degli antigeni di superficie, di membrana. Sono gli antigeni A e gli antigeni B. Per tutti gli agenti patogeni il nostro organismo, e di preciso i leucociti, producono anticorpi una volta che l’agente patogeno è entrato nell’organismo. Qui invece abbiamo degli anticorpi per delle proteine anche se queste non sono mai entrate all’interno del nostro corpo. Si verifica quindi che se prendiamo tanto sangue da persone diverse, sulle superfici dei globuli rossi ci sono tante proteine, la proteina A e la proteina B. Queste proteine ci possono essere e possono non esserci. Se ho il gene A avrò la proteina A, se avrò il gene B avrò la proteina B, se avrò entrambi i geni avrò sia la proteina A che la proteina B e se non avrò nessuno dei 2 geni non avrò ne A ne B. Di conseguenza i globuli rossi possono essere distinti in globuli rossi con proteina A, globuli rossi con proteina B, con proteina AB e senza proteine (gruppo sanguigno 0). Persone col gruppo A hanno in modo innato immunità contro la proteina B. Nel plasma quindi troviamo gli anticorpi anti B. Nella persona con gruppo AB non si troveranno anticorpi nel plasma, ne contro A e ne contro B. Nella persona con gruppo 0 troverò ne plasma entrambi gli anticorpi, sia che B. Se ad una persona con sangue di tipo A viene trasfuso sangue di tipo B, gli anticorpi vanno ad attaccare i globuli rossi di tipo B o AB creando degli aggregati di globuli rossi che finiscono per chiudere i vasi. Si arriva quindi alla morte. Antigene RH: (antigene è una proteina capace di produrre anticorpi) un’altra proteina che può creare problemi con la gravidanza se comparso. Non da un origine ad una immunità innata, ma acquisita. Quindi per produrre anticorpi contro l’antigene RH devo venirne a contatto e non averlo tra i globuli rossi. Per fare in modo che produca questi anticorpi sono necessari 2 fattori. Il primo è che io sia RH negativo, ovvero che non abbia l’antigene RH. Il secondo è che entrino nel corpo globuli rossi che hanno l’antigene RH. In questo modo gli anticorpi cominceranno a produrre anticorpi contro l’antigene RH. Se una donna è RH negativa vuol dire che i suoi globuli rossi non hanno l’antigene RH, non ha neanche gli anticorpi RH. Ma se viene fuori una gravidanza con un uomo RH positivo il bambino eredita dal padre il gene per l’RH e i globuli rossi del bambino sono portati dell’antigene RH. In condizioni normali il sangue della mamma e del bambino non si mescolano. Nel momento del parto però, quando si stacca la placenta, il sangue del bambino entra nel circolo del sangue della mamma quindi globuli rossi a RH positivo entrano nel circolo della mamma a RH negativo. La mamma quindi inizia a produrre anticorpi contro l’antigene RH, ma ci vuole tempo. Quando si sono prodotti gli anticorpi a sufficienza il parto e già concluso e nessuno si è accorto di nulla. Ma qualcosa è cambiato. Nel sangue della mamma troviamo infatti globuli rossi RH negativo ma nel plasma ci sono gli anticorpi per l’antigene RH. Questo non da problemi alla mamma. Al secondo parto può capitare che anche questo bambino sia RH positivo. A questo punto durante la gravidanza, se non c’è rimescolamento di sangue va tutto bene, ma nel momento del parto succede che il sangue della mamma va in circolo nel neonato. Gli passa quindi gli anticorpi contro gli antigeni RH. Si trovano quindi in circolo nel bambino sia anticorpi RH sia globuli rossi che portano l’antigene RH. A questo punto i globuli rossi del bambino vengono attaccati dagli anticorpi e vengono uccisi, creando una situazione di anemia profondissima che può provocare anche la morte del bambino. Questo può succedere anche se nel corso della gravidanza ci sono delle lesioni della placenta che portano al passaggio di anticorpi dalla mamma al bimbo. Questa condizione si chiama eritroblastosi fetale. EMOPOIESI È il processo per la formazione delle cellule del sangue. Il plasma del sangue si forma, come tutto il liquido extracellulare, dalle cellule stesse. Il plasma ha però una grossa percentuale di proteine, che il liquido extracellulare non ha. Queste proteine provengono quasi tutte dagli epatociti del fegato e poi entrano nel sangue dai capillari epatici chiamati sinusoidi, che hanno la particolarità di avere una parete estremamente permeabile. Tutte le proteine plasmatiche sono prodotte dagli epatociti del fegato tranne gli anticorpi che sono prodotti dai linfociti attivati. La parte corpuscolata si forma quasi interamente nel midollo osseo rosso delle ossa piatte. Nel midollo spinale si producono cellule e funzionalità emopoietiche solo a metà gravidanza, prima lo forma il fegato, la milza e organi embrionali. Nell’adulto il midollo delle ossa piatte formano gli elementi corpuscolari del sangue, globuli rossi, quasi tutti i globuli bianchi e piastrine. Nel bambino tutto il midollo osseo forma cellule del sangue, poi il midollo delle ossa lunghe perde questa capacità. Si formano tutte da una cellula staminale (cellule che possono differenziarsi in vari altri tipi cellulari, teoricamente può riprodursi infinitamente) che si divide formando da una parte le 2 cellule figlie dove una resta la cellula staminale e l’altra si differenzia in un tipo di corpuscolo. Come si regola il numero di globuli rossi prodotti: ormone che si chiama eritropoietina (EPO). Gli ormoni sono molecole segnale che potenzialmente raggiungono qualsiasi parte del corpo perché passano nel circolo sanguigno. L’eritropoietina è un ormone proteico che ha una azione anti apoptotica sulle cellule del midollo osseo. È secreta da cellule specializzate del rene quando la concentrazione di ossigeno che irrora il rene si abbassa, siamo in ipossiemia. Sangue povero di ossigeno, le cellule aumentano la sintesi e la secrezione di eritropoietina, che raggiunge il midollo osseo tramite il circolo ematico. Meccanismo di azione eritropoietina: recettori catalitici a un solo filamento di membrana. Il legame dell’EPO determina la dimerizzazione del recettore formandone 2 coppie. Nel domino intracellulare il recettore ha legato una proteina chiamata JAK. Questa proteina determina la autofosforilazione del recettore. Una volta fosforilato si verificano le condizioni per cui può partire l’azione chinasica nei confronti di altre proteine, in particolare della proteina STAT. La proteina STAT fosforilata da JAK a sua volta dimerizza, entra ne nucleo, si lega in un punto specifico del DNA determinando la trascrizioni di geni antiapoptonici, quindi geni che salvano la cellula stessa dall’azione dell’apoptosi. Alti valori di eritropoietina fa aumentare la viscosità arteriosa e quindi la pressione del sangue. Se superiamo la soglia di 60 ematocrito i globuli rossi diventano talmente tanti che si impilano uno sopra l’altro e si appiccicano uno all’alto detto rulò. Quando questi arrivano in un capillare più piccolo del diametro dei globuli rossi stessi, questi non ci passano e lo chiudono. La pressione va alle stelle e abbiamo delle parti non irrorate che vanno in necrosi. EMOSTASI Insieme di processi che permette di arrestare il sanguinamento, ovvero di trattenere il sangue in un vaso danneggiato e, al contempo, di mantenere il sangue fluido in condizioni fisiologiche. È il risultato di un insieme di processi cellulari e biochimici, ben regolati che hanno 2 diverse funzioni: mantenere il sangue allo stato liquido nei vasi normali e indurre la formazione di coagulo emostatico in presenza di danno vascolare. Si verifica in 3 fasi che si susseguono in rapida sequenza: spasmo vascolare, formazione del tappo piastrinico e coagulazione. Si svolge come segue: 1. Le piastrine sono respinte dall’endotelio intatto, ma quando si rompe avviene una vasocostrizione riflessa e le sottostanti fibre collagene risultano esposte. Le piastrine aderiscono al fattore di Von Willebrand, diventano piatte e aumentano la loro superficie, per 2. 3. 4. 5. 6. azione dell’ADP. Le piastrine ancorate rilasciano granuli secretori che, fungendo da chemochine, attirano ulteriori piastrine e queste, continuando ad ammassarsi, finiscono per formare sulla zona dove l’endotelio è teso il cosiddetto tappo piastrinico o trombo bianco. Una volta ancorate, le piastrine, oltre a produrre sostanze che attirano altre piastrine, rilasciano serotonina che provoca spasmi del vaso sanguigno danneggiato, agendo nei pressi della lesione gli spasmi riducono la perdita di sangue per cui il coagulo riesce a formarsi. Tra i fattori che provocano lo spasmo vascolare vanno annoverati i danni a carico delle cellule muscolari lisce e la stimolazione dei recettori locali del dolore. Contemporaneamente i tessuti danneggiati rilasciano tromboplastina, una sostanza che svolge un ruolo importante nella coagulazione. Il fattore piastrinico 3 è un fosfolipide che riveste la superficie delle piastrine; interagisce con la tromboplastina, con altre proteine ematiche della coagulazione e con ioni Ca2+ per formare l’attivatore protrombinico che innesca il processo a cascata della coagulazione. L’attivatore protrombinico converte la protrombina, presente nel plasma, nell’enzima trombina. La trombina quindi unisce tra loro le molecole proteiche solubili di fibrinogeno trasformandole in lunghe aree molecolari di fibrina insolubile; questa forma una sorta di traliccio che, intrappolando i globuli rossi, costituisce la base del coagulo. Entro un’ora, il coagulo inizia a retrarsi, spremendo fuori dalla massa siero (plasma deprivato dalle proteine della coagulazione) e avvicinando i margini della rottura della parete vasale. Di norma il sangue coagula in 3-6 minuti e, una volta iniziato il processo a cascata della coagulazione, i fattori che l’hanno scatenato vengono di solito rapidamente inattivati per impedire che la coagulazione del sangue si diffonda per tutto l’apparato circolatorio. Alla fine l’endotelio si rigenera e il coagulo di dissolve. CUORE Siccome il sangue fa attrito, questo fa perdere energia e quindi serve sempre qualcuno che fornisce questa energia per poter tenere il sangue in movimento. IL CUORE COME UNA POMPA Il cuore è il principale (non l’unico) sistema propulsore del sangue. All’interno del cuore il vero e proprio sistema di pompa è costituito dai ventricoli. Gli atri sono camere di accumulo che permettono di trasformare il flusso continuo venoso in flusso intermittente arterioso. I 2 ventricoli lavorano in serie, lo stesso globulo rosso che troviamo in un ventricolo dopo un po’ lo ritroviamo nell’altro. Il miocardio ventricolare trasforma energia chimica in energia potenziale e in energia cinetica. ANATOMIA DEL CUORE Il cuore si trova nella parte bassa del mediastino si appoggia sul diaframma e si ricava uno spazio tra i 2 polmoni. È circondato da una membrana seriosa chiamata pericardio, questa è formata da 2 foglietti, uno parietale e uno viscerale (epicardio, membrana connettivale). In mezzo ai 2 foglietti troviamo lo spazio pericardico dove scorre un liquido viscoso lubrificante che minimizza l’attrito che fa il cuore con i suoi movimenti sul polmone. Andando verso l’interno troviamo pericardio, epicardio, il miocardio (parete muscolare) e all’interno l’endocardio; infine abbiamo la cavità. Le cavità sono 4: 2 atri e 2 ventricoli. Ogni atrio è in relazione con il suo sottostante ventricolo attraverso un passaggio chiuso da una valvola, ovvero una struttura che rende unidirezionale il flusso del flusso sanguigno. A destra la valvola si chiama tricuspide (perché fatta da 3 lembi) mentre la valvola di sinistra si chiama bicuspide o mitrale (perché fatta da 2 lembi). Da ciascun ventricolo parte un’arteria, dal ventricolo destro la arteria polmonare e dal ventricolo sinistro l’arteria aorta. Anche l’inizio dell’arteria è controllato da una valvola che si chiama semilunare (polmonare e aortica). Il ritorno del sangue al cuore avviene attraverso le vene nell’atrio. All’atrio destro arrivano 2 vene che sono la vena cava superiore e la vena cava inferiore. All’atrio sinistro invece arrivano 4 vene, che sono le vene polmonari, 2 destre e 2 sinistre. Il sangue nel cuore arriva dalle vene cave inferiore e superiore dell’atrio destro, lo riempie, passa al ventricolo destro, viene spinto nell’arteria polmonare e distribuito nei 2 polmoni, ritorna attraverso le 4 vene polmonari all’atrio sinistro, passa nel ventricolo sinistro da dove viene spinto nell’arteria aorta e da qui va in tutto il corpo per poi ritornare attraverso le 2 vene cave. Arterie e vene coronarie sono quelle che irrorano il tessuto miocardico. Il muscolo riceve sangue da questo flusso che nascono dall’inizio dell’aorta. Le valvole sono fatte da lembi connettivali molto flessibili che si protengono verso la cavità del ventricolo e tenuti legati da corde tendinee a delle eflessioni del miocardio ventricolare che si chiamano muscoli papillari. I muscoli papillari sono fatti di miocardio, quindi si possono contrarre, e quindi tirare i lembi della valvola. Il tessuto miocardico è di 2 tipi. Abbiamo uno comune di lavoro e uno specifico o di conduzione. Quello specifico è poco ma di estrema importanza. È fatto da cellule diverse perché prive di miofibrille, quindi prive di capacità contrattili. Non danno nessun contributo alla funzione meccanica miocardica. Quello che ha di specifico queste cellule è una particolare composizione di canali ionici della membrana e cioè contengono dei canali ionici diversi rispetto a quelli delle cellule del miocardio da lavoro. Questo conferisce a loro delle specificità che sono una ottima capacità di condurre il potenziale d’azione ad alta velocità e di generare da sole il potenziale d’azione. Queste cellule sono chiamate cellule miocardiche di Purkinje. Il tessuto specifico è poco e localizzato in siti anatomici ben precisi. Un primo gruppo di cellule è nella parete posteriore dell’atrio destro, vicino allo sbocco della vena cava superiore. Questa formazione di tessuto miocardico specifico si chiama nodo seno-atriale. Un’altra struttura di tessuto miocardico specifico è nel setto interatriale verso il ventricolo che è il nodo atrio-ventricolare. Da questo nodo parte un fascio di tessuto miocardico specifico che scende verso il setto interventriolare che si chiama fascio di HIS. Il fascio di HIS si divide in 2 branche che percorrono le superfici del setto interventricolare fino in fondo per poi risalire sulla faccia interna della parete del ventricolo. Dalle branche partono delle ramificazione di tessuto miocardico specifico che penetrano all’interno del tessuto miocardico comune formando una rete che si chiama rete di Purkinje. CICLO CARDIACO Ciclo perché si tratta di un processo ciclico. Si intende la successione degli eventi meccanici dell’attività cardiaca che si ripetono ciclicamente. Gli eventi meccanici comprendono: - Eventi muscolari sistolica e diastole: Il miocardio è costituito da 2 sincizi funzionali: il miocardio atriale e il miocardio ventricolare. Questi 2, che sono formati da cellule interconnesse fra loro, in realtà sono separati tranne in un punto, che è il fascio di HIS. Ci sono in mezzo 2 anelli cartilaginee che li separano, non sono eccitabili. - Eventi valvolare: apertura e chiusura. Le valvole sono fatte da tessuto connettivo rivestito da epitelio, non hanno capacità di movimento autonomo. Se si apre o si chiude è necessario che sia determinato da cause esterne. Ciò che permette l’apertura o chiusura della valvola è il flusso del sangue. - Eventi emodinamici: pressioni e fluidi. Poiché il movimento del sangue avviene con attrito (forza contraria rispetto al movimento), il sangue si muove solo se è presente un gradiente di pressione (forza/superficie). Il sangue si muove sempre dal punto a pressione maggiore al punto a pressione minore. Il gradiente pressorio causa movimento se non c’è impedimento meccanico (le valvole costituiscono un impedimento meccanico unidirezionale). LEGGE DI POISEUILLE Il flusso (quantità di liquido che scorre nel tempo attraverso una sezione del tubo) è proporzionale alla differenza di pressione che c’è ai capi del tubo. F= (P1 − P 2) R dove: - Costante di proporzionalità = liquido. 1 Dove R è la resistenza che e il tubo offre al passaggio del R - P1 - P2 = pressione è la forza per l’unità di superficie. Per ogni unità di superficie del tubo il liquido interno produce una forza, questa forza diviso la superficie ci da la pressione. Per fare in modo che il flusso, il sangue, si muova è necessario che ci sia una differenza dai pressione ai capi del tubo. Con P1 iniziale maggiore di P2 finale. Se P2 diventasse maggiore il flusso sarebbe negativo, quindi tornerebbe indietro. L’attrito R dipende da alcuni fattori: la viscosità (che dipende dal numero di globuli rossi) del sangue, cioè l’attrito interno che fa il sangue a scorrere su se stesso, moltiplicato per la lunghezza diviso per il raggio alla quarta del tubo. Se il raggio raddoppia, la resistenza diventa 16 volte più piccola. La resistenza quindi è estremamente sensibili a piccole variazioni delle dimensioni del tubo. R= visc × l πr4 È come la traduzione della legge di Ohm in un sistema idraulico, il principio è lo stesso. Velocità è proporzionale alla forza. Se sostituisco la R nella formula di Poiseuille diventa: (P1 − P 2) × π r 4 F= visc × l La formula esplicita dice che se teniamo tutto costante ma abbiamo una minima variazione del raggio, avremo un enorme aumento o diminuzione del flusso. PROCESSO MECCANICO DEL CICLO CARDIACO Ingresso del sangue nell’atrio e sistole atriale: Il sangue entra nell’atrio destro e sinistro dalle vene, per l’atrio destro dalle 2 vene cave e per quanto riguarda l’atrio sinistro dalle 4 vene polmonari. Le valvole atrio ventricolari sono chiuse. Il sangue si accumula nell’atrio dilatando passivamente le sue pareti. Il sangue scorre dentro l’atrio per gradiente di pressione, va da una pressione maggiore ad una pressione minore. Le vene non hanno valvole, il sangue potrebbe scorrere avanti e indietro, ma grazie proprio alla differenza di pressione il flusso è dalle vene al ventricolo. Il sangue che entra dilata le parete dell’atrio e mette in tensione i muscoli, spingendo sul sangue. Questo ne determina un aumento continuo di pressione al suo interno. Di conseguenza il flusso del sangue dalle vene all’atrio rallenta. La pressione dell’atrio aumenta finchè non diventa maggiore di quella del ventricolo. In questo momento si apre la valvola atrioventricolare e il sangue comincia a fluire nel ventricolo sempre per gradiente di pressione. In questo momento momento siamo in diastole. La valvola atrioventricolare si apre quando ancora siamo in diastole atriale. Anche la parete del ventricolo è in diastole. Nel passaggio tra l’atrio e il ventricolo ci sono 3 fasi che sono diverse per la velocità con cui il sangue riempie il ventricolo. - Prima fase: alta velocità perché la pressione nell’atrio è piuttosto alta, e spinge di conseguenza rapidamente il sangue all’interno del ventricolo. Le pareti dell’atrio poi si rilasciano in quanto perdendo sangue i muscoli sono meno in tensione. - Seconda fase: le pareti dell’atrio sono completamente afflosciate e in diastole, quindi il sangue che viene dalle vene attraversa l’atrio e passa direttamente al ventricolo. Questa è una fase a flusso lento. Dipende dalla velocità con cui il sangue arriva dalle vene. - Terza fase: finalmente si ha la sistole atriale. La parete dell’atrio si contrae spremendo quel poco di sangue che è rimasto nella parete atriale. Questo determina una compressione del sangue dell’atrio e quindi un aumento di pressione del sangue atriale che fa riprendere un flusso veloce di riempimento del ventricolo. Nella fase di sistole però la pressione dell’atrio aumenta diventando maggiore anche della pressione delle vene e siccome non ci sono valvole un po’ di sangue torna indietro. Questo determina un sobbalzo della parete delle vene, una dilatazione che si chiama polso venoso. Il sangue è passato nel ventricolo completamente e succedono 2 cose: finisce la sistole atriale (passa da contrazione a rilasciamento) e inizia la sistole ventricolare. Sistole ventricolare isovolumetrica: la fine della sistole atriale e l’inizio di quella ventricolare determinano la diminuzione della pressione atriale e un aumento di quella ventricolare. La pressione ventricolare adesso diventa maggiore di quella atriale, il sangue tende quindi a tornare nell’atrio. Questo sangue che prova a tornare indietro muove i lembi della valvola atrioventricolare chiudendola. I lembi della valvola sono molto flessibile, quindi la spinta del sangue verso l’alto tenderebbe a farli ribaltare vero l’alto. Questo è impedito dai muscoli papillari. Essendo in sistole ventricolare, tutti i muscoli del ventricolo sono in contrazione, compresi quelli papillari che tirano verso in basso i lembi. La valvola semilunare è chiusa perché la pressione dell’arteria è maggiore di quella del ventricolo. Tramite la contrazione ventricolare la pressione aumenta rapidamente ma il volume non cambia in quanto tutte le valvole sono chiuse e il sangue è incromprimibile. Abbiamo quindi un momento dove la fase di sistole determina solo un aumento rapido della pressione ventricolare e nessun flusso. Questo fase si chiama sistole isovolumetrica. Sistole ventricolare, fase di eiezione: la pressione aumenta fino a diventare superiore di quella dell’arteria. A questo punto il sangue spinge sulla valvola semilunare aprendola. Il sangue a questo punto può cominciare a fluire, si stabilisce un flusso di sangue dal ventricolo all’arteria. Questa è la fase di eiezione. Durante questa fase la pressione che entra continua ad aumentare facilitando il passaggio di sangue nell’arteria. Diastole ventricolare isovolumetrica: Una volta che termina la fase di sistole ventricolare la pressione dell’arteria torna ad essere maggiore di quella ventricolare. Il sangue a questo punto tende a tornare indietro chiudendo la valvola semilunare. Adesso il ventricolo è in diastole. La parete muscolare quindi si rilascia facendo diminuire la pressione al suo interno. In questa fase tutte le valvole sono chiuse. Questa fase della diastole si chiama isovolumetrica. Diminuisce fino a diventare inferiore rispetto a quella atriale. A questo punto si apre la valvola atrioventricolare e ricomincia il ciclo. PRESSIONI In certi momenti la pressione dell’atrio è anche inferiore allo 0. Lo 0 è una pressione uguale a quella atmosferica, e nel ventricolo al momento della valvola ventricolare anche qui è molto bassa. Le pressioni delle 2 arterie sono molto diverse. Nell’arteria polmonare si parla di una pressione media di 15 mm di mercurio, in quella aorta abbiamo una pressione media di 100 mm di mercurio. (Valori a riposo psicofisico). Si parla si pressione media perché questa cambia in ogni istante. Nell’arteria polmonare in questo momento c’è la pressione minima, quindi circa 8 mm di mercurio, quindi per aprire la valvola è sufficiente che nel ventricolo si superi questo valore. Nel ventricolo sinistro invece per aprire la valvola semilunare bisogna superare la pressione minima dell’aorta che è circa 75/80 mm di mercurio. Il tempo per aumentare la pressione dei 2 ventricoli è lo stesso, nonostante la pressione che deve raggiungere il ventricolo sinistro è circa 10 volte maggiore. Questo perché il miocardio che circonda il ventricolo sinistro è molto più spesso di quello destro. Durante la fase di eiezione il sangue viene messo nell’arteria. Questo tende a dilatare l’arteria la cui parete è molto elastica. Questa dilatazione determina una spinta della parete sul sangue stesso. Quindi la pressione dell’arteria durante la fase di eiezione aumenta. Se nel ventricolo la pressione restasse la stessa, il gradiente di pressione si invertirebbe subito e la valvola semilunare si chiuderebbe subito. Ci viene in soccorso il principio di Pascal. Principio di Pascal: la pressione è la forza esercitata su una superficie. Di conseguenza se la superficie diminuisce a parità di forza la pressione aumenta. P= F S Dato che la superficie diminuisce la pressione aumenta per questo principio. Questo aumento di pressione permette di mantenere il gradiente di pressione sull’arteria positivo anche se quest’ultimo aumenta. Nel ventricolo è sempre leggermente maggiore, e ciò permette il mantenimento della fase di eiezione. Alla fine della diastole ventricolare, nel ventricolo sono contenuti circa 130 ml di sangue. Il sangue che viene eiettato ad ogni sistole (gittata sistolica) a riposo è circa 70 ml. Questo rapporto (70/130) si chiama valore di eiezione ed è molto utilizzato dai cardiologi per avere un numero sulla efficienza della gittata cardiaca. Nel ventricolo alla fine della fase di eiezione quindi rimangono circa 60 ml. Questo volume residuo si chiama volume telesistolico ed è importante per 2 ragioni: - Un po’ di sangue deve restare nel ventricolo. Se andasse completamente in asciutto succederebbe che i lembi della valvola potrebbero andare ad appiccicarsi alle pareti del ventricolo per via della tensione superficiale. - Più importante. Nel momento in cui passo da uno stato di riposo a uno di attività, ho bisogno immediatamente di più sangue. Questo viene prelevato proprio dal volume telesistolico. Ha la funzione di riserva di sangue che viene utilizzata quando inizio una attività motoria. ELETTROFISIOLOGIA DEL CUORE Il cuore può contrarsi ritmicamente anche fuori dall’organismo a differenza di tutti gli altri muscoli striati. Il tessuto miocardico specifico (o di conduzione) è povero di miofibrille, generando quindi una scarsa forza contrattile. Dal punto di vista elettrofisiologia ha un corredo di canali ionici diverso da quello del miocardio di lavoro, che gli permette di generare spontaneamente potenziali d’azione e di condurli ad una velocità relativamente alta. Da un punto di vista meccanico è inutile, da un punto di vista della genesi dello stimolo è di fondamentale importanza. Hanno localizzazioni anatomiche ben precise. Tutte queste strutture hanno la capacità di generare e condurre il potenziale d’azione. Sono collegate da gap junction. La velocità è molto diversa nei diversi tratti ma siamo a livello delle fibre nervose amieliniche circa 1m al s. Il potenziale d’azione segue questo ordine: 1. Nodo senoatriale; 2. Miocardio comune atriale: dove ci sono delle vie preferenziali in cui le cellule del miocardio sono connesse in modo particolarmente efficiente da un punto di vista elettrico; 3. Nodo atrioventricolare: qui il potenziale d’azione subisce un drastico rallentamento. Questo è dovuto dal fato che qui le cellule miocardiche sono particolarmente piccole e il potenziale d’azione viene condotto più rapidamente quanto più la struttura che lo produce è grande, in quanto questo diminuisce la resistenza elettrica interna. Il significato di questa funzione è all’origine della sincronizzazione tra sistole atriale e sistole ventricolare. Se non ci fosse questo rallentamento si avrebbe la sistole ventricolare prima che sia terminata quella atriale. Ventricoli attivati troppo precocemente e avremmo le 2 sistole in contemporanea; 4. Fasci di His; 5. Fibre di Purkinje; 6. Miocardio ventricolare: il potenziale d’azione penetra nel miocardio da lavoro in senso endoepicardico, cioè dalla faccia interna a quella esterna del miocardio. Fibre di Purkinje portano il potenziale d’azione verso la superficie esterna. Questo causa una piccolissima gradualità nella contrazione. Questa differenza è importante per capire come si genera una parte del tracciato elettrocardiografico. Normalmente, in un cuore sano, è il nodo senoatriale che fa partire il potenziale d’azione. Se questo però va fuori funzione, ad esempio con un infarto, e muore questa parte, gli altri centri di tessuto miocardico specifico possono prendere loro la sua funzione, sono loro a generale il potenziale d’azione. E c’è un ordine. Se va fuori il nodo senoatriale prende il comando il nodo atrioventricolare, se anche questo va fuori funzione prende il comando il fascio di His, poi le 2 branche. La differenza tra i comandi è che le strutture inferiori sono capaci di generare un potenziale d’azione ma ad una frequenza più bassa. Anche il nodo atrioventricolare è in grado di generare il potenziale d’azione ma non avviene che entrambi i nodi lo facciano contemporaneamente. Il ciclo cardiaco a riposo dura circa 0,8 secondi alla fine di questo tempo il nodo senoatriale è pronto per il secondo potenziale d’azione. Il nodo atrioventricolare invece ha una frequenza più bassa, quindi necessita di più tempo per prepararsi al secondo potenziale d’azione, non fa in tempo di generare il potenziale d’azione perché viene resettato ogni volta dal nodo senoatriale che ha una frequenza maggiore. POTENZIALE D’AZIONE DEL MIOCARDIO DI LAVORO Lo stato di riposo ha un potenziale di membrana alto, intorno ai -90 mV, ed è molto stabile finchè non arriva uno stimolo da un’altra cellula attraverso le gap junction. Quando arriva la membrana depolarizza, raggiunge la soglia e si aprono i canali del sodio a voltaggio dipendente che entra. Questo determina una ulteriore depolarizzazione a cui ne consegue una ulteriore apertura dei canali del sodio, retroazione positiva. Questo porta ad una depolarizzazione estremamente rapida della membrana che non solo raggiunge lo 0, ma so supera, invertendo il potenziale di membrana. A questo punto i canali del sodio si inattivano (si chiude il gate di inattivazione) e si aprono i canali del potassio e ripolarizzano un po’ il potenziale della membrana. Qui però non torna subito allo stato iniziale, si ferma la ripolarizzazione e lo stato depolarizzazione della membrana dura per un certo tempo per poi ripartire con la ripolarizzazione che lo riporta al punto di partenza. In questa fase, se guardiamo cosa fanno i canali, vediamo che i canali di sodio hanno vita breve, si aprono per un po’ ma si chiudono subito e comincia ad aprirsi i canali di calcio a voltaggio dipendenti che sono canali molto lenti, hanno bisogno di tempo per rispondere alla depolarizzazione. Di conseguenza il calcio entra portando cariche positive e quindi mantenendo lo stato di depolarizzazione. A questo punto ci sono in queste cellule degli altri canali del potassio a voltaggio dipendenti, ma differenti ai canali di potassio precedentemente aperti, che sono molto lenti. A questo punto i canali del calcio passano in uno stato inattivato tramite il secondo gate di inattivazione e iniziano ad aprirsi questi canali di potassio lentissimi. Insieme determinano la definitiva ripolarizzazione. Lo scopo di tutto questo è di generare un potenziale d’azione estremamente lungo nel tempo. Il potenziale d’azione di una cellula miocardica comune dura 200, 300 ms o anche più (in un assone o in una cellula muscolare scheletrica il tempo è di circa 2 ms). Periodo refrattario: tempo in cui una membrana eccitabile non è eccitabile, non posso indurre un potenziale d’azione. Questo periodo di tempo corrisponde al periodo in cui la membrana è depolarizzata. Questo perché i canali di sodio si sono aperti durante il potenziale d’azione e poi si sono inattivati. Ma se sono inattivati non possono essere riaperti finche non tornano nello stato chiuso, cioè finche non si è riaperto il gate di inattivazione e richiuso quello di apertura. Per fare in modo che i canali di sodio ritornino nello stato chiuso deve succeder che la membrana si ripolarizzazione completamente. A questo punto il canale di sodio sarà disponibile. Questo periodo che in un muscolo scheletrico dura 2 ms, nel muscolo cardiaco dura 200/300 ms. Questo fa si che il miocardio sia un muscolo non tetanizzabile. POTENZIALE D’AZIONE DI UNA CELLULA DEL NODO SENOATRIALE In queste cellule mancano i canali del sodio, quindi durante il potenziale d’azione non c’è una impennata come visto precedentemente per poi subito scendere a formare una punta, ma qui abbiamo un tratto più tondeggiante. Ci sono solo canali del calcio a voltaggio dipendenti che sono più lenti. La fase di depolarizzazione è quindi più lenta. L’altra differenza è nel potenziale di membrana prima di iniziare il potenziale d’azione. Nella cellula miocardica comune è estremamente stabile (intorno al -90 mV), nella cellula muscolare specifica il potenziale di membrana è più basso, quindi più vicino allo 0 (circa -60/-70 mV) e oltretutto è instabile; scivola piano piano fino alla soglia di innesco. POTENZIALI D’AZIONE A CONFRONTO Canali del sodio: solo nella cellula comune. Canali del calcio di tipo L: lenti, presenti in entrambe. Canali del calcio di tipo T: veloci, presenti in entrambe. Canali funny: sono presenti solo nella cellula specifica e si apre quando, finito un potenziale d’azione, la membrana è completamente ripolarizzata e si chiudono quando si raggiunge la soglia di innesco. Sono canali a voltaggio dipendenti del sodio non estremamente selettivi, ma la “stramberia” (sono chiamate funny, divertenti) è che lavorano a rovescio, si aprono quando la membrana si ripolarizza, quando sono allo stato di riposo. Fanno quindi il contrario di quello che fanno gli altri canali. Sono fondamentali per il meccanismo di automatismo del cuore. Non ha bisogno di un neurotrasmettitore che le attivi perché permettono continuamente di creare un potenziale di azione propio usando questi canali. Ed è anche per questo che un cuore messo in una soluzione di acqua e sale continua a battere. Si può considerare come un meccanismo di controllo a retroazione negativa, l’effetto dei canali funny va a chiedere i canali funny stessi, che rende ciclico il processo. ELETTROCARDIOGRAMMA Quando il cuore si sta depolarizzando si ha una situazione in cui una parte è già depolarizzata e una parte ancora no. Se guardo le cellule miocardiche da fuori vedo che in alcune cellule l’esterno è positivo in quanto ancora non è arrivato il potenziale d’azione. Nelle cellule che sono già in potenziale d’azione l’esterno è negativo. Dall’esterno si vede quindi una parte negativa e una parte positiva. La membrana di tutte le cellule fa da schermo da un punto di vista elettrico. Il cuore può essere quindi considerato come una pila con un polo positivo e un polo negativo in grado di generare una differenza di potenziale elettrico. Il potenziale elettrico non rimane localizzato li dove ci sono le cariche ma si diffonde, e si diffonde meglio se intorno c’è un buon conduttore di corrente. Quindi questo diffonde fino alla superficie del corpo, anche la pelle è interessata da queste variazioni di potenziale elettrico. Si appoggiano infatti degli elettrodi sulla pelle. Se pongo 2 elettrodi, uno sulla spalla destra e l’altro sul fianco sinistro, si stabilisce una differenza di potenziale tra i 2 punti che è la diffusione di quel potenziale che si è generato nel cuore. Se metto i 2 elettrodi uno sulla spalla sinistra e l’altro sul fianco destro, quindi perpendicolare alla pila dl cuore, non vedo nulla. Questo punto infatti è equidistante sia dal polo positivo che dal polo negativo. Per vedere l’attività del cuore quindi bisogna mettersi lungo lo stesso asse del cuore. Se metto gli elettrodi uno su una spalla e uno sull’altra misureremo una piccola differenza di potenziale che sarà una via di mezzo. Questa via di mezzo è grande quanto la proiezione del vettore differenza di potenziale sull’asse congiungente i 2 elettrodi. La differenza di potenziale si può descrivere come una grandezza vettoriale. La lunghezza della freccia è la quantità della differenza di potenziale e la direzione della freccia indica come è disposta, la testa della freccia la metto convenzionalmente dalla parte del +. Questa freccia ha una sua direzione che cambia in ogni momento dell’attività del cuore. Se metto 2 elettrodi, uno per ogni spalla, non vedo tutta la freccia, registrano la proiezione geometrica (quindi le proiezioni perpendicolari dalla punta e dalla base della freccia) all’asse congiungente dei 2 elettrodi. Quello che si ottiene è un vettore più piccolo di quello originale che rappresenta una derivazione dello stato elettrico del cuore. Il vettore cambia momento per momento a seconda della diffusione del potenziale d’azione. Prima onda (onda P): rappresenta la fase di depolarizzazione atriale avvero quando il potenziale d’azione sta correndo dall’atrio destro all’atrio sinistro. Momento in cui non succede nulla, dove il potenziale d’azione raggiunge il nodo atrioventricolare. Seconda onda (onda Q): piccola onda negativa che corrisponde alla depolarizzazione del setto atrioventricolare. Terza onda (onda R): grossa onda che corrisponde alla depolarizzazione della maggior parte del miocardio ventricolare Quarta onda (onda S) Quinta onda (onda T): che corrisponde alla fase di ripolarizzazione ventricolare, quando il potenziale d’azione del miocardio ventricolare si sta ripolarizzando, una parte è ripolarizzata e un’altra no. Onda QRS: depolarizzazione ventricolare e ripolarizzazione atriale. ENERGETICA DEL CUORE Il cuore trasforma energia chimica in energia meccanica, e in parte in calore. Questa energia meccanica va però distinta in 2 parti. Come tutti i muscoli, il miocardio utilizza ATP che idrolizza liberando l’energia di legame fosfatofosfato e questa energia la utilizza per contrarsi. Contraendosi questa energia viene passata al sangue contenuto nel ventricolo. I segni di questo trasferimento di energia al sangue sono 2: - La pressione del sangue all’interno del ventricolo aumenta. Immagazzina questa pressione sotto energia potenziale. Sistole isovolumetrica - Energia passata al sangue sotto forma di energia cinetica durante la fase di eiezione. Sistole di eiezione. CALCOLO ENERGIA POTENZIALE L’energia di un certo gas è uguale alla sua pressione per il suo volume. L =P ×V Durante una sistole ventricolare del ventricolo sinistro la pressione passa da 0 a 110 mm di mercurio. Questa è la variazione di pressione. Il volume è la quantità di sangue che viene eiettata, circa 70 ml. L’energia, il lavoro, del ventricolo sinistro sarà allora di 1,024 Nm. Nel ventricolo destro i dati sono diversi. La pressione è di 15 mm di mercurio, il volume invece è sempre di 70 ml, deve essere uguale nei 2 ventricoli. L’energia metabolica trasmessa al sangue nel ventricolo destro è 0,140 Nm. Questa è l’energia potenziale, l’energia metabolica che è stata convertita in energia potenziale nel sangue. CALCOLO ENERGIA CINETICA In fisica si esprime con: E= 1 m × v2 2 La massa del sangue è 70g circa. La variazione di velocità è da 0 a circa 0,5 m/s, circa la velocità con la quale il sangue circola nelle arterie durante la fase di eiezione. L’energia cinetica è quindi pari a 0,009 Nm. Questa energia è uguale sia nel ventricolo sinistro che nel ventricolo destro. Conclusione: l’energia metabolica che viene consumata durante la sistole ventricolare viene trasmessa al sangue in 2 forme: energia potenziale e energia cinetica. L’energia cinetica ha lo stesso valore a destra e a sinistra. L’energia potenziale invece è molto diversa, è molto più grande a sinistra a causa della pressione. Posso dire che la pressione è la forma in cui si presenta l’energia potenziale del sangue. Cioè l’energia che ancora è compressa nel sangue ma che potrà essere espressa in forma di movimento del sangue lungo i vasi. Quando il sangue esce dal cuore, il sangue è in movimento. Ma questa è solo una piccola parte dell’energia contenuta nel sangue. La maggior parte dell’energia è nascosta ed espressa sotto forma di potenziale, quindi in pressione. Man mano che il sangue scorre nei vasi la pressione diminuisce, in quanto essa si trasforma in energia cinetica, e l’energia cinetica si trasforma in calore dovuto all’atrio del sangue nella parete del vaso. Le cellule miocardiche hanno delle fonti energetiche varie, fonte carboidratica, fonte lipidica e metabolismo aerobico (estremamente ricche di mitocondri, respirazione cellulare molto efficiente, talmente efficiente che utilizza lattato preso dal sangue per inserirlo nel ciclo di Krebs dopo la sua conversione in piruvato. Elimina i cataboliti). RISPOSTE ALL’ESERCIZIO E ALL’ALLENAMENTO La frequenza cardiaca aumenta con l’intensità dell’esercizio. Potenza è la concentrazione nel tempo della forza prodotta. È la forza prodotta nell’unità di tempo. Fattori che influenzano l’aumento di frequenza: - Potenza: fattore più importante. - Gruppi muscolari: la frequenza aumenta con l’ambiente dei gruppi muscolari impegnati; l’esercizio che impegna gli arti superiori causa maggiore aumento della frequenza. - Sesso: nelle donne l’aumento di frequenza è maggiore. - Età: la frequenza massima diminuisce con l’età. Frequenza massima: 208 - (0,7 x età). - Allenamento: l’aumento di frequenza diminuisce. - Condizioni ambientali: maggiore aumento con un’alta temperatura e umidità; alta quota. La gittata sistolica (sangue pompato dai ventricoli per ogni sistole) aumenta fino a un massimo (60-70% VO2 max; 120/min); a intensità dell’esercizio massimali diminuisce. Dopo i 120 battiti al minuto ho una diminuzione della gittata sistolica. E questo perché la diastole dura talmente poco che non c’è tempo per il ventricolo di un completo riempimento. L’intero ciclo cardiaco dura circa 0,8 sec. Di questi 0,8 sec 0,3 sono occupati dalla sistole ventricolare e 0,5 dalla diastole ventricolare. Questo in condizioni di riposo. Passando da una condizione di riposo ad una attività la sistole passa da 0,3 a 0,2 sec e la diastole è passata da 0,5 a 0,13 secondi. Il tempo di lavoro è aumentato del 60% e il tempo di riposo è diminuito al 38%. Gittata cardiaca: frequenza x volume sistolico. A intensità superiori a 60-70% VO2max l’aumento della gittata cardiaca è dovuto esclusivamente all’aumento di frequenza. La gittata cardiaca a riposo è circa 5 l/min; può arrivare a circa 20 l/min in un individuo sedentario; fino a 30-35 l/min in un individuo allenato. La frequenza cardiaca aumenta fino a 170/180 battiti al minuti prima di avere un crollo. MECCANISMI DELLA RISPOSTA CARDIACA ALL’ESERCIZIO Sono di 2 tipi: - Meccanismi intrinsechi: interni al funzionamento del cuore. - Meccanismi estrinsechi: esterni al funzionamento del cuore. Questi a loro volta si dividono in: - Nervosi. - Umorali. Quanto è la quantità di ossigeno ceduto ai muscoli e ai tessuti nell’unità di tempo in generale dal sangue che circola? Questa quantità dipende da 2 cose, è descritta da 2 fattori. - Differenza artero-venosa della concentrazione di ossigeno: ovvero prendendo in esame un muscolo e considerando l’ossigeno contento nell’arteria e quello contenuto nella vena di questo muscolo, la differenza tra queste 2 mi dice quanto ossigeno gli è stato ceduto. È il termine di concentrazione dell’ossigeno, per ogni litro di sangue. Per vedere quella dell’organismo prendo in considerazioni la differenza di % di ossigeno nell’aorta e quella del ventricolo destro, moltiplico per il numero di litri che hanno circolato in tutto il corpo in un minuti, quindi la gittata cardiaca, ottengo il consumo effettivo nell’unità di tempo per tutto il corpo. La differenza artero-venosa dipende dalla velocità con la quale un tessuto consuma l’ossigeno. Durante l’attività sarà consumato maggiormente. Aumenta la differenza arterovenosa. Dipende dal tasso metabolico complessivo. - Gittata cardiaca: a riposo è circa 5 l al minuto. Possono cambiare tanto per l’attività fisica. Il volume totale del sangue che abbiamo è circa di 5 l. Il che vuol dire che un globulo rosso per fare tutto il giro dei 2 circoli e tornare al punto di partenza ci mette circa 1 minuto. La gittata cardiaca dipende da 2 fattori: frequenza e gittata sistolica. Quindi il volume di sangue eiettato per ogni sistole (circa 70 ml) moltiplicato per la frequenza cardiaca (circa 70 al minuto). Per modificare la gittata cardiaca posso agire sulla frequenza o sulla gittata sistolica o su entrambi. Inotropo: proprietà del cuore di produrre forza. Inotropo positivo è un inotropo che aumenta la forza del cuore, inotropo negativo la diminuisce. Cronotropo: capacità del cuore di produrre potenziali d’azione e quindi contrazioni con una certa frequenza. Fattori positivi e negativi se aumenta o diminuisce la frequenza. Dromotropo: capacità del cuore di condurre il potenziale d’azione lungo le strutture del tessuto miocardico specifico quindi diminuire la velocità di conduzione. Batmotropo: capacità del cuore di essere eccitabile, rispondere con una contrazione ad uno stimolo. MECCANISMI INTRINSECHI (O IDRODINAMICI): Il ritorno venoso attiva il meccanismo di Frank-Starling (inotropo positivo) e il meccanismo di Pascal (inotropo negativo). Il meccanismo di Frank-Starling è quello che mette in relazione la forza di contrazione con la lunghezza del sarcomero. La lunghezza del sarcomero delle cellule miocardiche aumenta quando aumenta il ritorno venoso, il riempimento del cuore. Il ritorno venoso aumenta quando passiamo da uno stato di riposo a uno di attività. Se aumenta la forza di contrazione del ventricolo succede che una maggior quantità di sangue viene espulso durante la fase di eiezione, aumenta la gittata sistolica e la frazione di eiezione. Il meccanismo di FrankStarling può quindi essere inteso come un meccanismo che permette di regolare la gittata sistolica al ritorno venoso. In ogni momento la gittata sistolica deve essere uguale al ritorno venoso, altrimenti ci sarebbe ristagno di sangue nel cuore. Il principio di Pascal prevale su quello di Frank-Starling. Il primo dice che a parità di forza se ho una diminuzione del volume ho un aumento di pressione, il secondo che allungando il sarcolemma ottengo più forza. In una condizione di sistole sembrano una opposta all’altra. Da una parte nella contrazione Pascal ci dice che aumenta la pressione, dall’altra Frank-Starling ci dice che diminuisce la forza, in quanto siamo in una fase di contrazione. Prevale Pascal in quanto questa pressione è molto importante durante questa fase sistolica, in quanto durante la eiezione aumenta anche la pressione arteriosa e se la pressione dell’arteria fosse più piccola di quella del ventricolo il sangue tenderebbe a tornare indietro, chiudendo la valvola semilunare e quindi avere una fase di eiezione, una fase sistolica molto minore dei 70 ml. MECCANISMI ESTRINSECHI Sono meccanismi nervosi e meccanismi umorali. MECCANISMI NERVOSI il cuore è un organo automatico e quindi non ha bisogno di una innervazione per funzionare. Però il cuore ha più di una innervazione. In particolare l’innervazione ortosimpatica e una innervazione parasimpatica. L’innervazione ortosimpatica del cuore si origina in diversi complessi spinali, che sono i primi toracici e può partire anche dall’ultimo segmento cervicale. Questi arrivano fino al ganglio ortosimpatico, fanno sinapsi attraverso il neurotrasmettitore acetilcolina sul secondo neurone gangliare, e questo va ad innervare il cuore. L’innervazione ortosimpatica è doppia, è presente sia nella parte destra che in quella sinistra partono neuroni he vanno a innervare il cuore. Quelle di destra vanno a innervare prevalentemente l’atrio destro e quindi il nodo senoatriale e quello di sinistra vanno a innervare prevalentemente il miocardio del ventricolo sinistro. L’innervazione parasimpatica è data dal decimo nervo cranico, cioè il vago, anche in questo caso destro e sinistro che innervano anche queste il nodo senoatriale e il ventricolo di sinistra. I neurotrasmettitori dei neuroni pregangliari sono l’acetilcolina sia per l’orto che per il parasimpatico. I neurotrasmettitori dei neuroni postgangliare sono l’acetilcolina per il parasimpatico e noradrenalina per l’ortosimptico. Sia l’orto che il parasimpatico hanno una azione di regolazione per l’attività cardiaca. In particolare l’ortosimpatico aumenta l’attività cardiaca sotto diversi aspetti e il parasimpatico la diminuisce sotto certi aspetti. L’aspetto più evidente è quello della frequenza cardiaca. In condizioni di riposo è attivo il parasimpatico. Abbiamo una attività tonica di base, costante del parasimpatico, del nervo vago. Lo dimostriamo dal fatto che se il cuore non venisse innervato, la frequenza aumenterebbe a valori intorno a 100/110 battiti a minuto. In condizioni di riposo quindi l’attività cardiaca viene continuamente tenuta calma, abbassata da una attivazione parasimpatica. Partono sempre dei segnali che abbassano la frequenza cardiaca da 100/110 a 70. Se aumenta la frequenza è dovuto a 2 fattori insieme: all’aumento di attività ortosimpatica e la diminuzione contemporanea dell’attività parasimpatica. Fino al punto in cui l’attività parasimpatica non si spegne completamente (intorno ad una attività di 100/110) e aumenta l’attività ortosimpatica fino a raggiungere valori di frequenza cardiaca ancora più alti. L’ortosimpatico aumenta la frequenza cardiaca in quanto le fibre ortosimpatiche coinvolte in questo sono quelle che innervano il nodo senoatriale, ovvero quelle che innervano le cellule pacemaker. Ad ogni potenziale d’azione che arriva nelle terminazioni ortosimpatiche viene rilasciata noradrenalina. Come la noradrenalina è in grado di aumentare la frequenza cardiaca? Noi sappiamo che le cellule pacemaker formano il potenziale d’azione dai canali funny che si aprono quando la membrana è completamente ripolarizzata. Il tempo che passa da un segnale d’azione e l’altro dipende dalla velocità con la quale i canali funny portano la membrana fino alla soglia. Se i canali funny hanno un’alta permeabilità al sodio la frequenza aumenta, se i canali funny hanno una bassa permeabilità al sodio la frequenza diminuisce. Nella membrana delle cellule pacemaker, oltre ai canali calcio e funny ci sono dei recettori di membrana per la noradrenalina. Sono recettori chiamati beta-adrenergici a 7 passi accoppiati a proteina G. Quando questi recettori si legano alla noradrenalina si lega sulla faccia interna della membrana una proteina G che va ad attivare l’adenilato ciclasi. Quest’ultimo trasforma l’ATP in cAMP che attiva la proteina chinasi A (PKA) la quale va a fosforilare diverse proteine, fra cui anche i canali funny. La fosforilazione dei canali funny non determina la sua apertura o la sua chiusa, ma cambia la permeabilità per il sodio quando questi canali sono aperti. Non cambia quindi il meccanismo di gating, ma quando è aperto, se fosforilato, lascia passare una quantità maggiore di sodio. Di conseguenza si raggiunge più precocemente la soglia e il secondo potenziale d’azione parte più precocemente. La frequenza aumenta. Questa innervazione però arriva anche nel ventricolo sinistro e, dato che qui non ci sono canali funny, la sua funzione sarà differente. Qui abbiamo sempre recettori beta-adrenergici che attiviamo la PKA che fosforila i canali recettori della rianodina del reticolo e i canali del calcio della membrana del tubulo T. Questa fosforilazione permette di far rilasciare a questi canali una maggior quantità di calcio. A questo punto succede che quando arriva il potenziale d’azione nel tubulo T il calcio che esce dal reticolo e che entra dall’esterno sono in quantità maggiori e quindi è maggiore il calcio che si può legare ai siti di legame della troponina C ed è maggiore il numero di siti liberi di actina per la miosina. Si genera una forma di contrazione maggiore. La PKA nelle cellule del miocardio ventricolare va a fosforilare anche la troponina che aumenta in questo modo l’affinità per il calcio. Aumenta ancora una volta il numero di punti trasversali. La PKA va a fosforilare anche il fosfolambano inibendolo, quindi non può più inibire il SERCA che quindi può pompare più rapidamente il calcio all’interno del reticolo. Mettere quindi fine alla contrazione più rapidamente. Questo spiega perché nella sistole durante l’allenamento diminuisce il tempo di rilasciamento, diventa più rapida. In questa fase infatti la PKA inibisce il fosfolambano e il SERCA lavora più rapidamente. Abbiamo anche un altro recettore di membrana che è quello muscarinico dell’acetilcolina. Questo recettore è accoppiato ad una proteina Gì, dove i sta per inibitory, e questa inibisce l’adenilato ciclasi. Quindi l’acetilcolina lasciata dal parasimpatico nelle innervazioni del nervo vago si lega al recettore muscarinico m2 e questo attraverso la proteina Gì inibisce l’adenilato ciclasi. L’effetto è tutto il contrario di quello dato dalla noradrenalina. I meccanismi nervosi che attivano l’ortosimpatico possono essere centrali o periferici: - Centrali: si riferisce al sistema nervoso centrale. Sono dati dal fatto che il centro cardioregolatore che si trova nel bulbo che da origine all’attivazione ortosimpatica, può essere attivato da neuroni che provengono dalla corteccia motrice, quindi dai centri del movimento volontario. Dalla corteccia cerebrale si mandano dei segnali motoneuroni che mettono in movimento i muscoli, e parallelamente si mandano segnali (assoni) che vanno al centro di attivazione ortosimpatica cardioregolatore che aumentano la frequenza cardiaca. Si dimostra vedendo che l’aumento di frequenza cardiaca comincia prima di iniziare una attività fisica, già quando peso di fare un determinato movimento ma non l’ho ancora fatto. - Periferici: si riferisce al sistema nervoso periferico. Sono sempre meccanismi di regolazione ortosimpatica. Si originano in periferia, non nel sistema nervoso centrale. Sono: - Riflesso di Bainbridge: riflesso è una risposta involontaria a uno stimolo, richiede sempre che ci sia una via afferente, quindi un neurone che porta lo stimolo dalla periferia al sistema nervoso centrale, e almeno un neurone efferente che porta la riposta dal sistema nervoso centrale alla periferia. Questo riflesso è di aggiustamento della attività cardiaca alla variazione di ritorno venoso. Si origina dalla dilatazione delle pareti dell’atrio destro, in quanto ci sono inseriti nel miocardio di questo atrio dei meccanocettori, recettori di stimoli meccanismi (terminazioni nervosi) che sono sensibili al grado di stiramento della parete, attivati quando la parete viene distesa. Si attivano quindi maggiormente quanto maggiore è il ritorno venoso. Queste informazioni sotto forma di potenziali d’azione vengono portati al midollo spinale dove viene trasferita l’informazione alla via efferente, che sono i neuroni ortosimpatici (livello dei primi segmenti toracici). La risposta sarà quello descritto prima, una attivazione ortosimpatica che portano ad un aumento di frequenza ed un aumento di forza contrattile. Questo riflesso consiste in un aumento di frequenza e di forza contrattile in risposta ad un aumento di ritorno venoso. Meccanismo che mi permette di regolare momento per momento la gittata cardiaca al ritorno venoso in modo che non ci sia ristagno di sangue. - Meccanocettori muscolari e articolari: si trovano all’interno dei muscoli o articolazioni che attivano il sistema nervoso ortosimpatico. Sono organi di senso che contengono recettori che recepiscono lo stato funzionale del muscolo e in particolare 2 caratteristiche: la lunghezza e la forza generata dalla contrazione muscolare (2 tipi di recettori diversi, il primo è il fuso neuromuscolare il secondo è l’organo muscolo tendineo di Golgi). Quando si vanno ad attivare questi recettori, inviano l’informazione al sistema nervoso ortosimpatico per cui in risposta ho un aumento dell’attività cardiaca. Un aumento di frequenza e di forza contrattile si ha quando si è in movimento, si attivano i propiocettori che attivano la risposta cardiaca. Questi recettori si attivano anche quando io vengo mosso, non necessariamente quando compio movimenti volontariamente. - Metabolocettori muscolari: recettori che rilevano lo stato metabolico del muscolo, recettori per esempio di pH o di acido lattico. Anche questi una volta attivati attivano il sistema nervoso ortosimpatico e quindi avere una risposta cardiaca. - Barocettori aortici e carotidei: sono recettori che si trovano all’interno della parete dei vasi e che rilevano la pressione del sangue all’interno di quel vaso. Si trovano non in tutti i vasi ma sono localizzati in posizioni molto specifici. Questi sono l’arco aortico e i glomi carotidei (si trovano all’origine della carotide interna). Rilevano quando viene dilatata la parete a causa di un aumento della pressione del sangue. Anche questi recettori di pressione arteriosa vanno a influenzare l’attività ortosimpatica e quindi l’attività cardiaca ma in senso contrario. Se aumenta la pressione e quindi una attivazione di questi barocettori, c’è una inibizione in risposta all’attività ortosimpatica e quindi una riduzione di frequenza e una diminuzione di forza contrattile. È un meccanismo di autoregolazione della pressione arteriosa. Disattiva l’ortosimpatico e si attiva il nervo vago. MECCANISMI UMORALI Meccanismi mediati da sostanza chimiche che possono essere ormoni o altro. Gli ormoni che agiscono sono: - Adrenalina: simile alla noradrenalina si differenziano per un gruppo metile (CH3) che ha l’adrenalina e non ha la noradrenalina. La differenza è che si legano con affinità diversa sui recettori adrenergici. La differenza fisiologica è che la noradrenalina è il neurotrasmettitore rilasciato dalle terminazioni ortosimpatiche, l’adrenalina è un ormone rilasciato da una ghiandola endocrina, la midollare del surrene. Anche l’adrenalina si lega ai recettori beta 1 che sono sulle membrane delle cellule miocardiche sei del nodo senoatriale che nelle cellule miocardiche di lavoro e quindi ha essenzialmente gli stessi effetti della noradrenalina, ovvero aumento della frequenza e aumento della forza contrattile. Aumento quindi della gittata sistolica (per mento forza contrattile) e aumento della gittata cardiaca (per aumento frequenza e gittata sistolica). La secrezione di adrenalina viene controllata dal sistema nervoso ortosimpatico. La differenza tra l’attivazione diretta dell’ortosimpatico e mediata dalla midollare del surrene è innanzi tutto una differenza di velocità di risposta, la prima è molto più veloce. Un’altra differenza è che l’adrenalina ha una risposta che dura di più nel tempo. - Cortisolo: ormone secreto in risposta ad uno stress, uno stato di non riposo. Rende più sensibile il miocardio all’azione delle cotecolamine (adrenalina e noradrenalina). Lo rende più sensibile promuovendo l’espressione dei recettori beta 1 dell’adrenalina e della noradrenalina. - Insulina: effetti molto indiretti e dovuti ad una ottimizzazione del metabolismo glicemico del cuore. Aumenta la forza contrattile perché aumenta l’utilizzo di glucosio delle cellule miocardiche. - Ipossia: carenza di ossigeno promuove l’espressione dei recettori adrenergici. ADATTAMENTI CARDIACI ALL’ALLENAMENTO - Diminuzione della frequenza cardiaca: a riposo e l’aumento di frequenza cardiaca che abbiamo durante l’attività fisica. - Aumento del volume delle cavità cardiache e dello spessore delle pareti: ipertrofia del miocardio. - Aumento della gittata sistolica. - Miglioramento della perfusione cardiaca. Bradicardia da allenamento: diminuzione della frequenza cardiaca fino a 45-50 battiti al minuto negli allenati negli sport di resistenza. A frequenze più basse compaiono extrasistoli, ovvero insorgenze di potenziali d’azione e quindi di contrazioni che sorgono non nel nodo senoatriale. I meccanismi della bradicardia sono un aumento del tono vagale (quindi della frequenza con cui il nervo vago genera i potenziali d’azione) assoluto o relativo al tono simpatico. Diminuzione della frequenza intrinseca del nodo seno-atriale quindi coinvolgono i canali funny, per cui si ha una frequenza, e un aumento della sensibilità dei barocettori periferici. Ipertrofia miocardica e ingrandimento delle cavità cardiache: l’allenamento causa un ripetuto sovraccarico di volume, dovuto ad una maggior produzione di proteine e aumentano le miofibrille all’interno della cellula muscolare cardiaca. L’ipertrofia da allenamento, a differenza della ipertrofia da sovraccarico pressorio, è proporzionata all’aumento del volume delle cavità. Possiamo avere 2 tipi: una da allenamento che se tutto va bene (no patologie) avviene con dilatazione delle cavità ventricoli. Questo è dovuto ad un allenamento continuo che tende ad avere maggiore ritorno venoso e quindi di dilatare maggiormente le cavità. L’ispessimento delle pareti miocardiche quindi sono verso l’esterno, non va a danno delle cavità. Ipertrofia buona. L’ipertrofia negativa, il secondo tipo, si verifica quando ho un ispessimento delle pareti miocardiche ma crescono verso l’interno quindi a discapito delle cavità ventricolari soprattutto. Il volume telediastolico diventa più piccolo, quindi anche la gittata sistolica diventa più piccola. Questa ipertrofia si verifica quando abbiamo una ipertensione arteriosa, soprattutto la minima, quindi vuol dire che ad ogni sistole il miocardio deve lavorare di più per aprire le semilunari. Aumento della gittata sistolica: può aumentare da 70-80 ml fino a 120-130 ml. L’aumento di gittata sistolica avviene per aumento del volume telediastolico senza cambiamento (normalmente) della frazione di eiezione. Questo avviene per dilatazione delle cavità. Miglioramento della perfusione cardiaca: migliora il flusso coronario per mezzo della genesi di capillari e maggiore rilasciamento della parete arteriosa, aumento della permeabilità capillare e bradicardia a causa di una maggiore durata della diastole e una minore compressione coronaria sistolica. Adattamenti metabolici: spostamento della fonte energetica delle cellule miocardiche da lipidica a carboidratica. Si ha un miglioramento del catabolismo glucidico aerobico. DISADATTAMENTO Se interrompo l’allenamento la VO2max diminuisce rapidamente nel primo mese poi lentamente. La diminuzione è causata da diminuzione della gittata sistolica nelle prime 2 settimane causata da diminuzione del volume di sangue, con maggiore aumento della frequenza durante l’esercizio. Fra 2 e 12 settimane la diminuzione di VO2max è causata da diminuzione della differenza arterovenosa di PO2. CIRCOLAZIONE Lo schema generale è composto da arterie, che si dividono in arterie più piccole, arteriole (che sono proprio arterie diverse), capillari, venule piccole, vene sempre più grandi fino ad arrivare alle vene cave superiore e inferiore che sboccano nell’atrio destro. Ci sono però 3 eccezioni a questo schema: - Schema capillari-vene: un punto lo troviamo nel circolo entero epatico. La vena porta che esce dall’intestino invece di confluire in vene sempre più grandi fino ad arrivare alla vena cava inferiore, arriva nel nel fegato e si ricapillarizza. Lo schema capillare è composto da un nodo fatto da una arteria e 2 vene. Dal fegato poi si genera la vena epatica che arriva nella vena cava inferiore. Si chiama sistema portale. - Circolazione dell’adenoipofisi: ghiandola endocrina che presenta lo stesso schema di quello descritto sopra. Anche qui troviamo un sistema portale, arteria capillari vena capillari vena. In questo caso abbiamo che l’arteria arriva all’ipotalamo dove forma una rete capillare che si riunisce in vene che scendono nell’adenoipofisi dove si ricapillarizzano una seconda volta. - Circolazione renale: schema arteria capillari arteria capillari vena. Abbiamo un vaso capillare che si riunisce in un vaso arterioso per poi ricapillarizzarsi un’altra volta e confluire in vene renali. Unico caso che abbiamo. Si chiama rete mirabile. In condizioni di riposo e in relazione alla gittata cardiaca a riposo (5 l/min) abbiamo: - 5% alle coronaria: 0,25 l/min - 15% al cervello: 0,75 l/min - 15% muscoli: 0,75 l/min - 35% visceri: 1,75 l/min - 20% reni: 1,0 l/min - 10% pelle, scheletro: 0,5 l/min Facendo una operazione inversa della formula di Poiseuille abbiamo che: R= ΔP F Quindi sapendo che la pressione media arteriosa è circa 95 mmHg e quella venosa è circa 5 mmHg, e conoscendo il flusso nei vari punti, possiamo trovare la resistenza che offrono i vasi al passaggio di sangue: Pa × s - Coronarie: R = 360 3 - Cervello: R = 120 - Muscoli: R = 120 m Pa × s m3 Pa × s m3 Pa × s - Visceri: R = 50 m3 Pa × s - Rene: R = 90 m3 Pa × s - Pelle, scheletro: R = 180 m3 Nella circolazione e polmonare la resistenza calcolata come rapporto fra delta P (che è più basso in quanto la pressione dell’arteria polmonare è circa 15 mmHg) e flusso, il numero che viene è Pa × s 2,6 . Se lo confrontiamo con quello degli alti valori dei vari unti del circolo sistemico (grande 3 m circolo), vediamo che è piccolissima quella del circolo polmonare. PARETE VENE E ARTERIE Se portate fuori dall’organismo, l’arteria mantiene in una sezione istologia la sua forma circolare, la vena si affloscia. Questo indica che la parete della vena è meno robusta di quella di un’arteria. Lo spessore della parete della arteria infatti è più spesso di quello della vena. La pressione del sangue è molto alta arteria e molto bassa nelle vene quindi qui non c’è bisogno di uno spessore importanti delle pareti. Sia nelle vene che nelle arterie distinguiamo 3 strati: la tonaca intima, la tonaca media e tonaca avventizia. L’intima è fatta essenzialmente di tessuto epiteliale monostratificato e appiattito che poggia all’esterno su una lamina basale (rete di proteine a cui le cellule endoteliali stanno attaccate). La media è fatta da tessuto muscolare liscio e di tessuto connettivo e l’avventizia è fatta da tessuto connettivo fibroso. Tutto poi rivestito da un epitelio. Le stesse 3 tonache sono anche nelle vene. Qui in più troviamo, soprattuto in quelle degli arti inferiori, la presenza di valvole. Sono fatte da pieghe della tonaca intima che tendono a chiudere il lume della vena completamente. Valvole a nido di rondine che rendono il flusso del sangue unidirezionale in direzione centripeta, verso il cuore. Impediscono il ritorno indietro. Lo spessore della parete dell’aorta è di circa 2 mm e il diametro di circa 25 mm con un rapporto di circa 8%. Andando verso le arteriole vediamo che il diametro è 30 micrometri e lo spessore 20 micrometri con un rapporto percentuale del 67%. Capillari 12%, venule 10%, vene 10% e vena cava 5%. Le arteriole hanno una parete molo robusta in rapporto al diametro del vaso. Guardando la composizione istologica si nota che l’endotelio è presente in tutti i canali, nei capillari in particolare e presente solo questo che permette un maggiore scambio gassoso. Prendendo in esame la tonaca media vediamo che nell’arteria la maggior componente presente è quella elastica, la componente muscolare è quella minore e una media componente fibrosa. Questo conferisce una grande elasticità, quando la pressione cresce la parete si dilata (fase eiezione e attività fisica). Prendendo in esame l’arteriola vediamo che è presente una elevata componente muscolare e una bassa componente elastica, l’opposto dell’aorta. Sono quindi vasi rigidi, poco elastici e con forti capacità di contrazione. Di conseguenza le arteriole possono essere poco dilatate ma grazie alla sua componente muscolare possono restringersi. Nelle vene invece si nota un equilibrio tra le varie componenti. PRESSIONE SANGUIGNA LUNGO IL CIRCOLO La pressione idrostatica del sangue nel suo percorso dall’aorta alle vene cave diminuisce sempre, per avanzare il sangue infatti ha bisogno di una differenza di pressione. Nel ventricolo sinistra oscilla tra valori vicino allo 0 (diastole) e valori che sono 120 mmHg (eiezione). Nell’aorta al momento della apertura della valvola semilunare è intorno a 80 mmHg e arriva a 120 mmHg durante la fase di eiezione, e rimane così oscillante per tutte le grandi, medie e piccole arterie. Mediamente abbiamo comunque una diminuzione. Arrivati alle arteriole nel giro di pochissima lunghezza si verifica una improvvisa caduta della pressione che passa da 80/90 mmHg a 50/40 mmHg. Nel capillari la pressione continua a diminuire ma meno velocemente delle arteriole per poi passare nelle vene. Qui siccome le resistenze sono piccole c’è una piccola diminuzione di pressione. Si passa infine nel circolo polmonare dove succede la stessa cosa ma in piccolo. Cross section: è la somma della sezione trasversa di tutti i vasi di un certo livello di ramificazione. Superficie aorta + superfici di tutte le arterie grandi medie e piccole + superfici di tutte le arteriole + superficie di tutti i capillari. Nei capillari troviamo una cross section che è mille volte più grande di quella dell’aorta. In un grafico quindi vediamo un minimo partendo dall’aorta per poi aumentare quando sommiamo le varie arterie e arteriole fino ad arrivare ad un massimo coi capillari. A questo punto passiamo nei capillari venosi e mano mano nelle vene più grandi fino alle vene cave, avendo una progressiva diminuzione fino a tornare al valore minimo dove aorta e vena cava sono più o meno simili. C’è una relazione tra sezione e velocità. A parità di flusso abbiamo quindi una relazione inversa tra sezione e velocità. Se la sezione diminuisce la velocità aumenta. Quindi più diventa alta la cross section e più diventa bassa la velocità, di conseguenza nei capillari il sangue scorre molto lentamente. Per poi riprendere velocità nel sistema venoso. La velocità del sangue diminuisce di 100 volte nei capillari rispetto all’aorta. Brusca diminuzione di pressione nelle arteriole: guardando la legge di Poiseuille abbiamo 3 fattori: flusso, differenza di pressione e resistenza. Considerando che il flusso deve rimanere (e rimane) costante (5 l/min) gli unici fattori che possiamo cambiare sono pressione e resistenza. Essendoci una elevata diminuzione di pressione dall’inizio alla fine ne consegue che la sua differenza P1-P2 aumenta, di conseguenza, per mantenere costante il flusso, dovrà aumentare anche la resistenza. Anzi, ΔP è molto grande proprio perché è R a essere molto grande. Questo è dovuto ad un grosso attrito sulle parete interne delle arteriole che incontra il sangue. Distribuzione del sangue: se riuscissimo a bloccare la circolazione del sangue riusciremmo a vedere che il 10% del volume totale si trova nelle arterie, il 4% nei capillari e il 70% nelle vene, e l’8% nel circolo polmonare. La stragrande maggioranza la trovo nelle vene. Questo perché esse sono elastiche, dilatabile, avendo la parte te sottile. Si tratta del concetto fisiologico di compliance, cioè le vene hanno una più alta compliance delle arterie, ovvero a parità di pressione la vena si dilata di più. Dilatandosi maggiormente la maggior parte di sangue si viene a trovare nelle vene. Le vene sono quindi un grosso deposito di sangue. Questo vale a condizioni di riposo, durante l’attività fisica cambia completamente. FLUSSO DEL SANGUE NEI VASI Il flusso può essere di 2 tipi, laminare e turbolento: - Laminare: il sangue scorrendo sulla parete incontra un certo attrito. Quello che scivola sull’endotelio, incontrando attrito, scorre più lentamente. Spostandoci all’interno il sangue scorre un po’ più forte perché incontra un attrito sullo strato esterno di sangue che scorre più lentamente, ovvero la viscosità del sangue. Andando sempre più verso l’interno la velocità aumenta fino ad arrivare al centro, dove la velocità è massima. In tutti i punti comunque vi è la stessa direzione. - Turbolento: si stabilisce quando gli strati di sangue si rompono creando dei vortici, mulinelli. La legge di Poiseuille vale solo nel flusso laminare. Nel turbolento non vale perché la forza che spinge il sangue nel vaso viene in parte usata per farlo scorre e una parte viene sprecata per far muovere il sangue su se stesso nei vortici. Non tutta l’energia potenziale che aveva il sangue all’inizio viene utilizzata per spingere il sangue in avanti, ma una parte viene utilizzata per far girare il sangue su se stesso. Quando ho un flusso turbolento il ΔP deve essere maggiore, in quanto una parte di energia viene appunto sprecata per formare questi vortici. Numero di Reynolds: si è visto in maniera empirica che calcolando il numero di Reynolds, se questo era più alto di 5000 allora siamo di fronte ad un flusso turbolento, se invece è sotto i 5000 allora siamo incontro ad un flusso laminare. Re = ρVD μ Dove: - ρ: densità - V: velocità media - D: diametro - μ: viscosità Nell’aorta il numero di Reynolds è 6600, andando avanti nell’aorta (aorta discendente) e negli altri vasi vediamo che questo numero è più basso, 2900 nell’aorta discendente e intorno a 1000 nelle altre arterie. In condizioni di riposo quindi il flusso è laminare. In condizioni di esercizio le cose cambiano. Se prendiamo la legge di Poiseuille e la mettiamo in relazione con tutto il sistema circolatorio possiamo dire che P1 è la pressione arteriosa e P2 la pressione venosa. P2 è vicino allo 0 (0 = pressione atmosferica). Se voglio aumentare il ΔP quindi possono solo aumentare P1, ma P1 è la pressione arteriosa. Se la resistenza aumenta deve per forza aumentare la pressione arteriosa. Nelle arteriole c’è la perdita delle oscillazioni di pressione arteriosa. Queste oscillazioni vengono incamerate nella dilatazione delle pareti che possono subire, in quanto elastica. Durante la fase di eiezione la parete dell’aorta si dilata e durante la fase di diastole la parete dell’aorta si riduce, ritorna a dimensioni minori, spingendo in avanti il sangue. Questo fa si che dopo le arterie che hanno l’elasticità le oscillazioni si smorzino fino a diventare continua la pressione. Le pulsazioni di pressione e di velocità del sangue di smorzano in corrispondenza delle arteriole, dove incontrano un vaso più rigido, meno elastico. REGOLAZIONE VASOMOTORIA, PRESSIONE ARTERIOSA E FLUSSI CONSEGUENZE DELLA LEGGE DI POISEUILLE - Costrizione arteriolare generalizzata causa aumento della pressione arteriosa a parità di flusso (gittata cardiaca); dilatazione arteriolare generalizzata causa diminuzione della pressione arteriosa a parità di flusso. Se si aumenta la resistenza la pressione arteriosa aumenta. - Dilatazione arteriolare locale causa aumento di flusso locale senza variazione significativa di pressione arteriosa. - Costrizione arteriolare generalizzata (aumento di ΔP arteriosa-venosa) insieme a dilatazione arteriolare locale (diminuzione locale di resistenza) causa forte aumento di flusso locale. Determinanti della pressione arteriosa: - Gittata cardiaca: se aumenta di conseguenza aumenta anche la pressione dell’aorta in quanto a valle trova resistenza delle arteriole e quindi una parte di sangue viene depositata nel lume aortico facendone dilatare le pareti; - Resistenze periferiche: se stringo le arteriole ho una elevata aumento di pressione; - Viscosità del sangue: eritropoietina aumenta i globuli rossi nel sangue, e questo determina una maggior densità del sangue; - Volume del sangue; - Condizione posturale. I fattori che possono modificare istantaneamente la pressione arteriosa sono la gittata cardiaca e le resistenze periferiche. MECCANISMI DI VASOREGOLAZIONE Vascolari, che si girano all’interno stesso del vaso: - Distensione meccanica - Autoregolazione miogenica - Dilatazione flusso-dipendente Distensione meccanica: la resistenza di un vaso al passaggio di sangue è fortemente dipendente al raggio. Se aumenta la pressione idrostatica del sangue nelle arteriole, il sangue tende ad aumentare il flusso, ma questa pressione spinge sulle pareti facendola dilatare, aumentandone il raggio. Aumentando il raggio abbiamo una forte diminuzione della resistenza della arteriola e di conseguenza il flusso aumenta ancora di più. Autoregolazione miogenica: in un grafico di aumento di flusso dell’arteriola nel tempo, si vede che come prima risposta il vaso si è dilatato aumentandone cosi il flusso, ma subito dopo però abbiamo un’altra risposta, una risposta miogenica, cioè generata dal muscolo liscio che costituisce la parete dell’arteriola. Dilatando il vaso si tirano le cellule muscolari del muscolo liscio della tonaca media. Ma tirando questa cellula muscolare si aprono dei canali di controllo meccanismo del calcio aprendoli. Ne segue una entrata di calcio, si lega con la calmodulina che si lega all’MLCK che attiva la catena leggera regolatrice della miosina e quindi far partire la contrazione. A causa di questa contrazione quindi si ha un restringimento del vaso e quindi il flusso si riduce di una parte, senza però tornare a quella di partenza. Dilatazione flusso-dipendente: in un grafico flusso/pressione vediamo che ad un aumento di pressione si ha un aumento di flusso che però non è proporzionale, ma piano piano il flusso aumenterà sempre meno nonostante io aumenti la pressione. Il flusso si stabilisce in quanto aumentando la pressione verso le pareti viene anche aumentata la risposta miogenica muscolare che contrae. Continuando però ad aumentare la pressione si ha che all’aumentare della pressione si crea un ulteriore aumento di flusso. Si ha quindi prima una stabilizzazione e poi aumenta di nuovo. Può essere dovuto all’ossido nitrico, un vasodilatatore. Questo si forma nelle cellule dalla reazione NO sintasi che fa 2 reazioni, parte come substrato dall’arginina e prima aggiunge un gruppo -OH all’azoto opposto dell’ossidrile (formando NOHLA) per poi fare una seconda reazione che è il distacco della molecola di NO e ricompone la NH2 che c’era all’inizio (formando la citrullina). Da queste 2 reazioni si viene a formare anche l’ossido nitrico. Facendo un esperimento di un vaso messo fuori dal corpo in una vaschetta di liquido fisiologico e l’inibitore dell’NO sintasi si vede che dopo la stabilizzazione non è più presente l’ulteriore aumento. Ciò vuol dire che questo è dovuto ad una sintesi di ossido nitrico che ha dilatato l’arteriola facendone dilatare di nuovo il flusso. L’ossido nitrico sintetizzato come secondo prodotto della reazione appena descritta, viene prodotto dalle cellule endoteliali del vaso stesso quando la cellula endoteliale viene deformata da un aumento di flusso del sangue. La cellula endoteliale è attaccata sotto alla lamina basale, ma sopra è libera. Il sangue, che scorre ora più velocemente, fa maggiore attrito sopra alla cellula, deformandola. Questa deformazione determina l’apertura dei canali del calcio a controllo meccanico. Il calcio entra nella cellula aumentando la concentrazione citoplasmatica. Dentro la cellula abbiamo una NO sintasi che dipende da calcio. Quindi l’aumento di calcio citosolico a determina un aumento dell’attività dell’NO sintasi. Di conseguenza l’arginina viene convertita in citrullina con liberazione di ossido nitrico NO. L’ossido nitrico è una molecola poco polare e molto piccola, che gli permette di diffondersi rapidamente sia in ambiente acquoso che dentro le membrane. Di conseguenza si diffonde nella cellula più vicina che è quella del muscolo liscio dove è presente una guanilato ciclasi NO dipendente. La guanilato ciclasi attivata aumenta la sua attività enzimatica trasformando il GTP in cGMP. Il cGMP attiva una proteina chinasi attivata da cGMP (PKG). La PKG fosforila canali del calcio di una membrana diminuendo la permeabilità di questi canali al calcio, quindi si abbassa la concentrazione di calcio citosolico. Fosforila anche altre proteine di membrana, ad esempio la calcio ATPasi, trasportatore attivo primario di calcio che lo pompa sia all’esterno della cellula che all’interno del reticolo. Fosforila anche canali del potassio dipendenti che aumentano la permeabilità al potassio che esce facendo diventare il potenziale di membrana iperpolarizzato. Di conseguenza i canali di calcio a voltaggio dipendente non si aprono più. Tutto ciò comporta la diminuzione del calcio intracellulare della cellula muscolare lisca. E se diminuisce il calcio nel citosol la cellula si rilascia. Allora la parete della arteriola di rilascia e il vaso si dilata facendo aumentare il flusso. Extravascolari, che hanno origine extravascolare: - Vasodilatazione metabolica - Regolazione nervosa - Regolazione ormonale Vasodilatazione metabolica: ho bisogno di aumentare il flusso di sangue ad un muscolo specifico che è in attività, non a tutto l’organismo. È necessario un meccanismo locale che informi l’arteriola che il muscolo dove si trova sta lavorano. Ci sono diversi fattori rilasciati che devono avere 2 caratteristiche, devono venire rilasciate tanto più quanto più alto è il livello di attività del muscolo e che abbiano un’azione vasodilatatrice. Sono: - [K+]0: un muscolo lavora tanto, genera molti potenziali d’azione dove ad ognuno di questi esce un po’ di potassio durante la fase di ripolarizzazione. L’ambiente extracellulare si arricchisce di potassio. - PCO2: se un muscolo lavora tanto produce più CO2 che si accumula nel liquido extracellulare. - [H+]0: si acidifica l’ambiente extracellulare del muscolo. - Ipossia: viene a diminuire l’ossigeno nell’ambiente extracellulare e si attiva la NO sintasi e si va nel meccanismo di dilatazione flusso dipendente. - Adenosina: più importante per la comunicazione muscolo arteriola. - Prostaglandina E2, prostaciclina Adenosina: Adenina più ribosio. Considerato come un catabolita dell’ATP. Se il consumo di ATP viene effettuato molto velocemente l’equilibrio si sposta di più verso la perdita di gruppi fosfato e si può formare adenosina. Questa esce dalla cellula muscolare e diventa un indice della velocità con cui viene consumato ATP, è quindi un indice del catabolismo dell’ATP, un indice del tasso metabolico, un indice di quanto l’ATP venga consumato di più di quanto venga riformato, indice del bilancio dell’ATP. Se l’adenosina aumenta abbiamo un indice di bilancio negativo di ATP, stiamo andando in contro a carenza. Agisce sulle brevi distanze, a livello paracrino (che non passa attraverso il sangue). È una vera molecola segnale che ha dei recettori specifici che si chiamano A che sono diversi ma sono tutti del tipo recettore accoppiato a proteina G. I diversi recettori possono attivare tipi diversi di proteine G (una volta che viene legata l’adenosina). I recettori di tipo A2 attivano la proteina Gs (stimulating) che stimola l’adenilato ciclasi. I recettori di tipo A1 e A3 invece attivano la proteina Gì (inhibitory) che inibiscono l’adenilato ciclasi. A seconda del tipo di recettore l’adenosina può avere un significato opposto, o di inibizione o di attivazione. Le cellule membrane lisce presentano il recettore A2 attraverso cui l’adenosina attiva l’adenilato ciclasi cAMP, PKA che fosforila canali del calcio a voltaggio dipendenti diminuendo la permeabilità di questi canali, entra meno calcio, calcio intracellulare diminuisce e si ha rilasciamento della parete muscolare delle arteriole all’interno del muscolo che sta lavorando. La PKA fosforila anche canali di potassio a voltaggio dipendenti aumentando la permeabilità al potassio che determina una iperpolarizzazione della membrana e quindi una chiusura dei canali del calcio a voltaggio dipendenti. Regolazione nervosa: sono meccanismi di carattere generale. Determinato dall’attivazione del SN autonomo, quasi sempre l’ortosimpatico che, se si attiva, si attiva tutto. Viene rilasciata noradrenalina all’interno delle pareti delle arteriole il cui effetto dipende dal recettore con il quale viene in contatto. La maggior parte delle arteriole hanno come recettore adrenergico il recettore di tipo α1. È un recettore accoppiato a proteine G, Gq nello specifico, che attiva il meccanismo della fosfolipasi C, quindi attivando la PKC e l’aumento di calcio che esce dal reticolo per mezzo dell’inositolo trifosfato. L’aumentando il calcio nel citosol determina contrazione del muscolo liscio attraverso l’attivazione dell’MLCK e vasocostrizione. Le arteriole con il recettore α1 sono in abbondanza in quelle che irrorano i visceri, apparato gastroesofageo isterico, apparato genitale, urinario. Quando facciamo attività fisica, o quando abbiamo freddo, o abbiamo una emozione, o un altri tipi di stress, abbiamo una vasocostrizione delle arteriole e in particolare di quelle viscerali. Ha 2 effetti: una estesa area del corpo con vasocostrizione, con conseguente aumento di pressione arteriosa, e la quantità di sangue che arriva ai visceri diminuisce di quanto si stringono le arteriole. L’aumento di pressione è determinante da una vasorestrizione e da un aumento della gittata cardiaca indotta dal sistema nervoso ortosimpatico. Quindi 2 effetti della attivazione ortosimpatica che vanno allo stesso risultato: aumento di pressione arteriosa. Se il recettore fosse il beta2 (sempre della noradrenalina quindi sempre attivazione ortosimpatica) succederebbe esattamente il contrario. Ovvero una diminuzione del calcio intracellulare e quindi un rilasciamento che porta ad una vasodilatazione. Le arteriole ricchissime di questo recettore e senza alfa1 sono le arteriole della contrazione coronarica. Infatti queste si dilatano durante l’attività fisica. Le arteriole del muscolo scheletrico presentano un po’ di α1 e un po’ di β2. Il risultato è che l’effetto dell’azione ortosimpatica nel muscoli non è un gran che importante perché predispone ad una eventuale azione della adenosina che si sovrappone alla noradranalina e li permette la vasodilatazione. Le arteriole che irrorano la pelle hanno α1 quindi l’attivazione ortosimpatica da vasocostrizione. Qui si sovrappone però il problema della termoregolazione. Durante l’attività fisica si aumenta la temperatura corporea per aumento di produzione endogeno di calore. Per non fare aumentare troppo la temperatura corporea un meccanismo è vasodilatare i vasi cutanei, le arteriole cutanee, in modo da portare più sangue alla pelle che porta calore e quindi permettere che si disperda nell’ambiente. Durante l’attività fisica la pelle è in conflitto omeostatico. Ad inizio attività abbiamo una vasocostrizione, andando avanti prevale l’esigenza termostatica e si presenta una vasodilatazione. L’aumento di pressione crea come una bomba di sangue che si riempie di energia potenziale. Questa energia la sfoga dove c’è vasodilatazione, ovvero nei muscoli in attività, dove è presente vasodilatazione metabolica. Regolazione ormonale: ci sono ormoni che determinano una vasomotricità, che può essere quindi di vasocostrizione o vasodilatazione. L’adrenalina ha gli stessi effetti della noradrenalina ma con intensità diverse. Ad esempio il recettore adrenergico α1 è più affine alla noradrenalina, quindi per avere lo stesso effetto di vasocostrizione è necessario che ci sia una concentrazione maggiore di adrenalina rispetto a quella di noradrenalina. L’adrenalina è un ormone di risposta allo stress compresa l’attività fisica, come la noradrenalina ha una azione di vasodilatazione o di vasocostrizione a seconda del recettore che presentano le arteriole (α1 e β2). Abbiamo poi un sistema ormonale di origine renale che è il sistema renina/angiotensina. La renina viene secreta dal rene e attiva una proteina plasmatica in ormone attivo che è l’angiotensina. Hanno, in particolare la angiotensina 2, una potentissima azione vasocostrittrice. Questo meccanismo è così potente nei confronti della pressione arteriosa che uno dei farmaci più utilizzati contro l’ipertensione arteriola è proprio un inibitore dell’enzima che attiva l’angiotensina 2. Il recettore dell’angiotensina 2 è una proteina di membrana a 7 passi accoppiata a proteina G. Un altro ormone ad azione vasodilatatrice è un ormone prodotto dal miocardio, in particolare dal miocardio atriale che è l’ormone peptide natriuretico atriale. Il recettore dell’ormone natriuretico è un recettore catalitico che ha di per se la sua attività di proteina chinasi. PRESSIONE E POSTURA Componenti che determinano la pressione: - Componente dinamica: dovuto al fatto che il sangue circola. Se fermo il sangue questi fattori scompaiono e la pressione del sangue diminuisce. I fattori che lo determinano sono la pompa cardiaca e dalla resistenza al flusso periferico arteriolare, cioè il livello di costrizione delle arteriole. È dominante nel sistema arterioso. - Componente statica: rimane anche se fermo il sangue, rimane comunque un po’ di pressione. Questa è dovuto al volume ematico, al volume totale di sangue. Più questo sangue c’è e più preme contro le pareti, quindi la pressione aumenta. Se invece ho una emorragia e perdo molto sangue si ha una diminuzione di pressione. Determinata da volume e dalla compliance. - Componente gravitaria: dovuto al fatto che stiamo sulla terra e che qui c’è una forza di gravità che tira verso il basso. Il sangue che abbiamo nel vasi è attratto dalla terra. Tende ad andare verso il basso. Questa componente è maggiormente presente nella parte bassa del corpo, quindi piedi e gambe perché li i vasi risentono del peso del sangue che sta sopra. Questa componente gravitaria è molto importante. Poco sotto del cuore abbiamo un piano di d’indifferenza idrostatica dove non cambia la pressione del corpo. Sotto questo piano la pressione aumenta e sopra diminuisce. Al passaggio dalla posizione supina alla posizione eretta, i riflessi avviati dai volocettori atriale e dai barocettori arteriosi attivano risposte di: - Venocostrizione: diminuzione della compliance venosa. - Vasocostrizione periferiche: aumento delle resistenze periferiche che porta ad un aumento della pressione arteriosa. - Aumento della frequenza e della forza contrattile: aumento della pressione arteriosa. - Rilascio di adrenalina della midollare surrenale. - Attivazione del sistema regina/angiotensina. - Rilascio di ADH e diminuito rilascio di peptide natriuretico atriale: conservazione della volemia. CIRCOLAZIONE VENOSA Le vene hanno una parete più sottile delle arterie, dilatabile e caratterizzata da un capacità contrattile. Nelle vene ci sono delle pieghe della tonaca intima che formano delle valvole che possono chiudere completamene il lume della vena quando il sangue tende a tornare indietro. Sono particolarmente presenti nelle vene delle gambe. Fattori che contribuiscono al ritorno venoso: - Pressione residua: espressione della energia potenziale che è stata trasmessa dal miocardio ventricolare al sangue, ma non è sufficiente per portare il sangue dai piedi al cuore. - Venocostrizione che diminuisce la compliance venosa: vasocostrizione delle vene, dovuta dal fatto che la parete muscolare delle vene è innervata dal sistema nervoso ortosimpatico e quando abbiamo una contrazione il sangue che viene spremuto va dalle vene. Siccome ci sono le valvole non può tornare indietro e va avanti. Determina l’avanzamento del sangue. - Contrazione dei muscoli scheletrici circostanti: con la contrazione dei muscoli circostanti la vena facilita il ritorno verso il cuore, mediante una contrazione che spreme le vene. Grazie alle valvole il sangue non torna indietro ma va avanti. La posizione seduta è disastrosa per il ritorno venoso, in quanto non avendo una contrazione gli tolgo questa forza di spinta. - Pressione addominale e pressione negativa intratoracica: forza che agisce specificatamente sulla vena cava inferiore, quindi il sangue refluo dalle gambe e dall’addome. La vena cava inferiore è circondata dall’ambiente addominale e dall’ambiente toracico. Le pressioni dei 2 ambienti sono diverse. In quella addominale abbiamo una pressione positiva e nella cavità toracica c’è una pressione negativa. Siccome la vena cava si trova in una condizione dove nella parte addominale la pressione tende a comprimerla e in quella toracica dente a dilatarla, spinge il sangue vero l’alto. - Aumento della differenza toracica-addominale durante l’inspirazione: La differenza di pressione diventa ancora più grossa con la respirazione e in particolare con l’inspirazione, dove si abbassa ancora di più la pressione intratoracica e il diaframma aumenta quella addominale. questo fa si che il sangue venga richiamato ancora di più nella parte alta. Durante l’espirazione succede il contrario, la pressione toracica aumenta di un po’ e la pressione addominale diminuisce. Di conseguenza il sangue dovrebbe tornare indietro, ma non può perché ci sono le valvole. Gli atti respiratori quindi fanno da pompa per il sangue che viene dalla parte inferiore del corpo. Durante l’attività fisica la qualità della pompa aumenta ancora di più, in quanto gli atti respiratori vengono fatti con maggior frequenza. - Abbassamento del piano valvole durante la sistole ventricolare: nella sistole ventricolare isovolumetrica il volume del ventricolo rimane lo stesso perché le valvole sono chiuse, però cambia forma perché le fibre miocardiche sono disposte a spirale intorno al ventricolo e quando si contrae la forma allungata del ventricolo tende ad accorciarsi ed allargarsi. Questo accorciamento abbassa il piano valvolare fra atrio e ventricoli, gli atri vengono tirati in basso ma tenuti fermi in alto dalle vene. Il risultato è che la cavità atriale tende ad allargarsi durante la sistole ventricolare, allungamento passivo, che fa da risucchio nei confronti del sangue che arriva dalle vene. Durante la sistole isovolumetrica il sangue viene risucchiato a causa di un’allargamento della cavità atriale. AGGIUSTAMENTI E ADATTAMENTI DELLA CIRCOLAZIONE ALL’ESERCIZIO In un giovane allenato, durante esercizio intenso: - Gittata cardiaca: da 5/7 l/min fino a 25/28 l/min. Il valore di gittata cardiaca durante l’esercizio dipende dallo stato di allenamento, dalle dimensioni generali del corpo. Questo perché aumenta sia la frequenza cardiaca, sia la gettata sistolica. - Consumo di O2: aumenta tanto, passa da 0,3 l/min fino a 4 l/min. - Flusso ematico muscolare: da 1 l/min a 20 l/min. Aumenta per 2 motivi: aumento di pressione arteriosa, quindi aumenta la differenza di pressione artero-venosa, e nei muscoli in attività si ha una vasodilatazione metabolica, Diminuisce la resistenza nei muscoli. - Flusso ematico nei muscoli in attività: qui aumenta moltissimo, da 2/4 ml/min/100g di muscolo a 200/300 ml/min/100g. Dove abbiamo una forte vasodilatazione metabolica. - Consumo di ossigeno nei muscoli in attività: anche questo può moltiplicarsi per 100 volte nei muscoli in attività. Da 0,2 ml/min/100g di muscolo a 30/40 ml/min/100g. Con l’attività fisica il sangue viene redistribuito completamente nel corpo, un 800% viene distribuito ai muscoli. L’aumento di flusso nei muscoli in attività è causato dall’aumento di pressione arteriosa nei primi secondi. L’ulteriore aumento è causato da vasodilatazione metabolica. Prima ancora di contrarre i muscoli, col solo pensiero di fare attività fisica il sistema nervoso ortosimpatico crea una vasocostrizione viscerale e genera la risposta della midollare surrenale a secernere adrenalina e si mette in moto il meccanismo che aumenta la pressione. Successivamente l’aumento è più lento perché dipende da processi chimici più lenti, dati dalla vasodilatazione metabolica (consumo ATP, si forma adenosina che si lega ai recettori ecc.). L’aumento di flusso ematico nei muscoli in attività è causato da: - Aumento della pressione arteriosa causato da intensa attivazione simpatica; questa, a sua volta, è causata da attivazione centrale contemporanea all’attivazione muscolare; l’attivazione simpatica aumenta la pressione arteriosa mediante l’aumento della gittata cardiaca e per vasocostrizione periferica. - Vasodilatazione metabolica nei muscoli in attività di risposta all’aumento del metabolismo muscolare (diminuzione di resistenza). - Reclutamento di capillari intramuscolari (da un terzo alla totalità). All’inizio del capillare, dove finisce l’arteriola e perde la tonaca media iniziando il capillare fatto da endotelio, c’è un anellino di muscolo liscio, chiamato sfintere precapillare, che si può chiudere completamente. Nel muscolo ci sono tanti capillari, è molto irrorato, ma in condizione di riposo la maggior parte di sfinteri precapillari sono chiusi. Quando si passa alla attività l’adenosina rilasciata agisce anche sugli sfinteri precapillari aprendoli. Questo vuol dire una maggior portata di sangue e una distribuzione più diffusa del sangue. L’aumentato ritorno venoso è causato da: - Azione di pompa svolta dai muscoli scheletrici sulle vene degli arti inferiori munite di valvole - Aumentato tono muscolare venoso, che diminuisce la compliance venosa - Aumentata azione di risucchio nei vasi intratoracici causata dall’aumentata attività respiratoria - Aumentata azione di risucchio negli arti da parte dell’aumento tag frequenza e forza delle sistoli ventricolari. Adattamenti della circolazione all’allenamento: - Aumento della densità dei capillari nei muscoli in attività: il muscolo striato in attività sia scheletrico che miocardico rilascino un fattore che è il VEGF che stimola la proliferazione dell’endotelio vasale che porta alla crescita di nuovi capillari. Questo avviene sotto controllo dell’attività, viene secreto e rilasciato quando il muscolo è in attività. - Aumento della densità dei capillari nei miocardio - Aumento del diametro delle arterie aderenti ai muscoli in attività: le arterie e le arteriole che entrano nei muscoli in attività subiscono una dilatazione che non è solo temporanea, subiscono proprio una dilatazione della cavità a riposo. Questo perché la pressione arteriosa aumenta tutte le volte che faccio allenamento, dove non ho la vasocostrizione questo aumento di pressione tende ad allargare la parte delle arterie e arteriole. Diventano di base più radi quindi aumenta il flusso di base. - Diminuzione della pressione massima e minima, particolarmente con esercizio di resistenza: con l’esercizio c’è una diminuzione di pressione. In molti forme di ipertensione arteriosa un esercizio aerobico costante e prolungato determina una riduzione di pressione sia massima che minima. Non tutti concordano che questo si verifica anche nei soggetti normopesi e con pressione arteriosa si base normale. MICROCIRCOLAZIONE E SCAMBI NEI CAPILLARI Ha la struttura di una rete in quanto ogni capillare è interconnesso a rete ad altri. Ci sono poi dei vasi di Shunt che permettono di baypassare la rete capillare. Questi vasi sono anastomosi arterovenose che sono vasi, tipo piccole arteriole che sboccano direttamente in una venule. Poi ci sono le metarteriole che sono simile alle anastomosi artero-venose ma che fanno parte della rete capillare, sono messe in mezzo alla rete capillare. Questi vasi che permettono di evitare la rete capillare sono importanti perché in un muscolo a riposo lo sfintere precapillare chiude molte vie capillari e il sangue quindi usa queste vie di passaggio. Quando si è in attività fisica si aprono e il sangue passa nella rete capillare. Funzioni delle cellule endoteliali: - Forniscono una superficie non-trombogenica. - Interagiscono con cellule circolanti del sistema immunitario attivandole. - Rilasciano molecole con azione vasodilatatrice e vasocostrittrice. - Trasportano macromolecole per transocitosi. - Agiscono nella barriera di permeabilità. - Rilasciano fattori di crescita: FGF, TGF-beta, PDGF, CSF, VEGF. - Formano i componenti molecolari della membrana basale. Vie di attraversamento della parete capillare, da sangue a liquido interstiziale o viceversa: - Attraverso le cellule endoteliali: entra nella cellula endoteliale attraverso membrana, attraversa il citosol, riattraversa la membrana ed esce dall’altra parte. È necessario che ci sia la possibilità di attraversare la membrana 2 volte. Questo avviene perché la molecola ha dei trasportatori o canali. - Lungo la membrana delle cellule endoteliali: una molecola liposolubile, come un ormone steroideo, entra nel doppio strato lipidico della membrana, entra a far parte della membrana, viene trasportata dal flusso dei fosfolipidi, viene portato dall’altra parte per poi essere rilasciato. - Attraverso gli spazi giunzionali fra cellule endoteliali: attraverso gli spazi che ci sono tra le cellule endoteliali. - Transcitosi: utilizzata solo da proteine. Consiste in un processo accoppiato di endo e esocitosi. La proteina si lega al recettore di membrana della cellula epiteliale, viene internalizzata con un processo di endocitosi, rimane circondata dalla membrana dell’endosoma, viene trascinato all’altra faccia della cellula dove va in contro ad un processo di esocitosi. Per le piccole molecole le vie possono essere diverse, in genere passano bene sia in ambiente acquoso che lipidico, quindi attraverso le cellule endoteliali o negli spazi intracellulari. Medie molecole lipofile entrano nella membrana e diffondono intorno alla cellula o legandosi a proteine intracellulari. Le piccole molecole idrofile passano attraverso gli spazi giunzionali o via trasportatori di membrana. Piccole proteine possono passare attraverso giunzioni larghe. Le proteine plasmatiche possono passare per transcitosi. MECCANISMI DI SCAMBIO NEI CAPILLARI Sono la diffusione, la filtrazione e la transcitosi. I primi 2 sono presenti in tutti i capillari con una prevalenza di uno o dell’altro in relazione al tipo di molecola che stiamo considerando. Diffusione: passaggio di singole molecole secondo gradiente di concentrazione. Il flusso di diffusione (quante molecole al secondo attraversano la superficie dell’endotelio) è proporzionale alla differenza di concentrazione. Legge di Fick J = PA(Cp − Clec) Filtrazione: meccanismo di massa. Non la singola molecola che segue il gradiente di concentrazione ma si stabilisce un flusso di acqua che entra o esce nel capillare e questo si trascina con se ciò che nell’acqua è disciolto, indipendentemente dalle concentrazioni delle singole sostanze. Il flusso di acqua è determinato dalle pressioni, che sono di 2 tipi: - Pressione idrostatica: la differenza della pressione idrostatica del sangue all’interno del capillare meno la pressione idrostatica del liquido extracellulare. La differenza dice quanto spinge l’acqua sulla parete del capillare. Se la pressione del capillare è maggiore si genera una forza netta verso l’esterno del capillare. - Pressione oncotica: pressione che porta l’acqua ad entrare nel capillare perché all’interno ci sono proteine che richiamano l’acqua. Pressione esercitata dal proteine nel plasma che tende a richiamare acqua. Le proteine sono tantissime nel plasma e pochissime nel liquido extracellulare. La pressione oncotica del capillare è sempre molto maggiore rispetto a quella del liquido interstiziale. Qui abbiamo una differenza netta verso l’interno del capillare. J = Kci A[(Pc − Pi ) − (πc − π i )] Dove: - J = flusso di sostanza - Kci = costante di conduttività idraulica - A = area della superficie laterale del capillare - Pc = pressione idrostatica nel capillare - Pi = pressione idrostatica del liquido interstiziale - πc = pressione oncotica nel capillare - πi = pressione oncotica nel liquido interstiziale La prima pressione tende a fare uscire acqua, la pressione del sangue spinge i capillari. La pressione oncotica invece spinge ad andare in senso contrario e quindi portare acqua all’interno. La pressione idrostatica del liquido interstiziale è molto poca perché è determinata dalla pelle che essendo elastica comprime il liquido interstiziale dei tessuti che stanno dentro. La pressione oncotica del liquido interstiziale è bassissima. Quindi la Pi e la πi, che sono opposte, le possiamo considerare molto piccole e uguali tra loro, quindi si azzerano. Restano la Pc e la πc. La πc dipende dalla concentrazione di proteine che è abbastanza costante in condizioni fisiologiche (8,5% circa del plasma) e corrisponde a 25/28 mmHg. La Pc dipende, all’inizio del capillare è intorno a 35 mmHg e i fondo al capillare è intorno a 15 mmHg. Lungo la lunghezza del capillare il sangue perde pressione. La pressione oncotica è sempre la stessa. All’inizio quindi abbiamo 35 mmHg della Pc che spinge verso l’esterno e 25 mmHg che spinge verso l’interno, facendo la differenza si ottiene 10 mmHg diretti verso l’esterno. Porta l’acqua ad uscire dal capillare. Alla fine del capillare ho sempre 25 mmHg della pressione oncotica contro 15 mmHg della pressione idrostatica. La differenza fa un -10 mmHg, quindi 10 mmHg verso l’interno. Porta l’acqua ad entrare dal capillare. La conclusione è che nella prima parte del capillare l’acqua esce e nell’ultima l’acqua rientra. Questo determina un continuo risciacquo del liquido interstiziale extracellulare circostante il capillare. Questo è un meccanismo potente per rendere uguale il liquido interstiziale al plasma (tranne le proteine). Il volume di acqua che entra e il volume di acqua che esce sono uguali. Se un individuo è iperteso, all’inizio del capillare arriva una pressione più alta, non sarà 35 mmHg ma 40/45 mmHg mentre alla fine sarà sempre 15 mmHg. Il volume dell’acqua che esce è maggiore del volume di acqua che entra. L‘’individuo iperteso può andare soggetto a ristagno di liquido aumento del liquido extracellulare fino all’edema, comprimendo i vasi e ostacolando la circolazione stessa. Questo avviene più facilmente nei piedi in quanto la componente gravitaria fa si che ci sia la pressione più alta. Il contrario se un individuo è ipoteso. Se diminuisce la pressione oncotica succede che il volume di acqua che esce è maggiore di quello che entra. L’abbassamento di pressione oncotica si crea anche dopo una emorragia, ne consegue quindi anche qui un edema. TIPO DI ENDOTELIO - Endotelio continuo: è quello più comune, formato da cellule epiteliali appiattite, monostratificato connesse da tight junctions interrotte. - Endotelio fenestrato: in ghiandole endocrine, rene, mucosa gastrointestinale plessi coroidei del cervello; ci sono delle fenestrature cioè dei punto di discontinuità in cui la membrana interna si fonde con quella esterna e li ci sono delle interruzione dell’endotelio in cui possono passare anche molecole più grosse, come piccole proteine. - Endotelio discontinuo: nei sinusoidi del fegato della milza e del midollo osseo; l’endotelio è fatto da cellule separate l’una dall’altra, non hanno nessun rapporto se non attraverso la lamina basale a cui ciascuna cellula endoteliale è attaccata. Si formano quindi degli ampi spazi in cui ci passa di tutto, è l’endotelio più permeabile. - Endotelio nervoso: meno impermeabile, oltre le cellule endoteliali ci sono tutte introno delle cellule o prolungamenti di neuroni o di astrociti che sigillano il capillare nei confronti dell’ambiente circostante. Nel sistema nervoso centrale dove partecipa a formare la barriera emato-encefalica (BBB); tight junctions particolarmente strette e continue; via cellulare dominante; libero adagio di acqua e di molecole liposolubili, passaggio controllato o impedito per altre molecole. CIRCOLAZIONE LINFATICA È molto simile al liquido extracellulare con alcune diversità regionali. Il sistema linfatico è un sistema di tubi che iniziano a fondo cieco, il movimento è unidirezionale. Nascono come capillare a fondo cieco in tutti i tessuti del corpo. Questi vasi linfatici piano piano convergono progressivamente fino a formare vasi linfatici sempre più grossi arrivando a 2, il dotto linfatico (sinistra) e la grande vena linfatica (destra) che sboccano nel sistema venoso. La linfa si forma per drenaggio del liquido interstiziale e ne ha quindi la composizione. È liquido extracellulare raccolto e convogliato nel sistema venoso. Il liquido extracellulare di troppo, quello che non riesce a rientrare nei vasi capillari sanguigni, viene drenato dai vasi linfatici per poi essere riversato nel sangue venoso. Ogni giorno si formano circa 2 litri di linfa. Lungo il sistema linfatico sono interposti i linfonodi. Passando attraverso i linfonodi la linfa si arricchisce di linfociti. La linfa entra nei linfonodi dalla parte convessa scorre fra cellule del linfonodo, si raggruppano nella parte centrale e esce dal vaso linfatico efferente posto nella parte concava. I linfociti sono le cellule che producono anticorpi quando sono attivati. Producono l’immunità specifica. Questi vengono poi riversati nel sangue insieme alla linfa La progressione della linfa lungo i vasi linfatici è dovuta a contrazione ritmica della parete e a variazioni di pressione del tessuto (pulsazioni delle arterie, contrazioni muscolari, movimenti passivi), unitamente a sistema di valvole che rendono unidirezionale il flusso. Le proteine secrete dalle cellule di un tessuto, se i capillari di quel tessuto non sono abbastanza permeabili alle proteine, prendono la via linfatica. Il dotto linfatico e la grande vena linfatica sboccano nel sistema venoso in 2 punti che sono la confluenza fra la succlavia e la giugulare sinistra e destra. Non è casuale, un quanto la linfa all’interno dei vasi linfatici ha una pressione molto molto bassa, non c’è un cuore linfatico che la spinge, di conseguenza se confluisse in un punto di pressione alta succederebbe che il sangue entrerebbe nei sistemi linfatici. Quindi confluisce in un punto dove la pressione sanguigna è talmente bassa da essere più bassa di quella della linfa. Qui è molto bassa perché siamo alla fine del circolo cardiaco e sopra il piano di indifferenza idrostatica e sopra al cuore, all’origine della vena cava superiore, e quindi la pressione è molto bassa. I linfonodi sono sparsi in tutto il sistema linfatico ma particolarmente nei punti di congiunzione dei segmenti corporei. L’ascella è molto ricca, collo, inguine. E dove potrebbero entrare agenti infettivi, quindi il sistema delle vie respiratorie e il sistema digerente. Sono presenti i linfonodi anche all’inizio dell’apparato gastroenterico e di quello respiratorio come la faringe. L’inizio del sistema linfatico è costituito da capillari linfatici che nascono a fondo cieco nei tessuti. Fra le cellule dei tessuti abbiamo il capillare sanguigno tra arteriola e venula dove abbiamo il gioco di filtrazione tra pressione oncotica e idrostatica. Accanto a questi troviamo i capillari linfatici che nascono a fondo cieco per poi confluire in vasi linfatici sempre più grandi fino ad andare nel dotto linfatico e nella grande vena linfatica. Sistema di propulsione della linfa: ci sono 2 tipi di valvole, uno nei capillari linfatici e uno nei vasi un po’ più grossi. Nei capillari troviamo microvalvole. Le cellule epiteliali presentano una parte un po’ sovrapposta ad un altra cellula epiteliale. Nel punto in cui sono sovrapposte quella che sta sotto, in quel punto, non sarà attaccata alla lamina basale. Questo è importante perché quando la pressione della linfa è più bassa del liquido extracellulare, il liquido extracellulare tende ad entrare da questo spazio. Quando la pressione del capillare è superiore di quella esterna la linfa spinge sulla cellula chiudendone l’apertura. Il liquido che entra spinge quello che è già entrato ancora più su e la linfa si muove. Si può muovere solo in senso centripeto ovvero verso la parte finale del sistema linfatico. L’altro sistema di valvole sono vere e proprie e molto simile a quelle che si trovano nelle vene. Sono valvole a nido di rondine e sono delle pieghe della tonaca intima verso il centro del vaso che rendono unidirezionale il flusso. Man mano che si forma linfa nell’ultima parte del capillare questa sporta la linfa un po’ più su, ma quando poi si dovesse invertire il senso e tenta di tornare indietro si chiudono le valvole impedendolo. Queste valvole rendono quindi unidirezionale e il flusso. Tutto questo non basta per far fluire la linfa. Questo presuppone che ci siano oscillazioni nella pressione all’interno del vaso linfatico. Una volta la pressione del vaso è minore del liquido extracellulare circostante, e una volta è maggiore. Le oscillazioni sono generate da: - Filtrazione dai capillari: dalla prima parte del capillare esce continuamente acqua che rientra nell’ultima parte. In un ambiente dove la pressione di ingresso è maggiore, c’è una fuoriuscita di acqua che non è compensata dal suo reingresso nella parte finale del capillare. Questo va a riempire gli spazi extracellulari, aumenta la pressione determina una tendenza del liquido extracellulare ad entrare nel capillare linfatico. - Pulsazione delle arterie: fino all’ingresso nelle arteriole la pressione delle arterie oscilla tra un massimo e un minimo. Se l’arteria è vicina al vaso linfatico, queste pulsazioni comprimono a pulsazione il vaso linfatico, quando lo comprimono la pressione nel vado linfatico aumenta, e quando si riduce la pressione del vaso linfatico diminuisce facendo entrare il liquido extracellulare. - Contrazioni muscolari: i vasi linfatici sono anche in mezzo ai muscoli, quando si contraggono il ventre si ingrossano andando a comprimere il vaso linfatico, facendone aumentare la pressione e facendola riabbassare quando il muscolo si rilascia. Si ha quindi una azione di pompa, oscillazione della pressione all’interno del vaso linfatico che permette alla linfa, attraverso le valvole e le microvalvole, di avanzare. - Movimenti passivi: una persona non si può muovere. Le gambe tendono a gonfiarsi. Per facilitare il ritorno, il drenaggio si possono fare movimento i passivi, muovendo le gambe di questi soggetti. Andando a deformare si va a comprimere e deformare i vasi linfatici. - Depressione intratoracica: dati dal fatto che la cavità toracica ha una pressione minore della cavità addominale. - Atti respiratori: la differenza di pressione tra cavità toracica e addominale aumenta ancora di più durante la fase respiratoria. - Peristalsi dei vasi linfatici: peristalsi è la contrazione ordinata e coordinata della muscolatura liscia capace di determinare un movimento ondoso che consente in questi organi di procedere in un determinato senso. La linfa nei villi intestinali che si nota al centro (vaso chilifero) assorbe una parte dei lipidi assorbiti dalla mucosa intestinali. La linfa che viene dall’intestino è ricca di lipidi. Questo la rende opaca. RESPIRAZIONE Funzioni della respirazione polmonare: le prime 3 sono vitali per la vita, le altre sono importanti ma non vitali - Trasferimento di O2 dall’aria atmosferica alle cellule di tutto il nostro corpo: le nostre cellule hanno bisogno di ossigeno per la respirazione cellulare, possiamo dire che l’ossigeno è l’accettore ultimo degli elettroni che passano all’interno della catena respiratoria. Formazione di coenzimi ridotti (NADH) e questi contengono elettroni ad alto contenuto energetico, li portano alla serie dei citocromi, gli elettroni passano dall’uno all’altro perdendo progressivamente energia e questa energia che si libera viene utilizzata per creare il gradiente di ioni idrogeno che farà funzionale l’ATPasi inversa e quindi la sintesi di nuove molecole di ATP. Gli elettroni alla fine della catena respiratoria vengono ricevuti dall’ossigeno che diventa O- - (riceve 2 elettroni) che si unisce a 2 ioni idrogeno diventando una molecola d’acqua. L’ossigeno serve a far funzionare il metabolismo aerobico. - Trasferimento di CO2 dalle cellule all’aria atmosferica: la CO2 viene prodotta dalle cellule che passa nel sangue arriva nei polmoni e viene eliminata con la respirazione polmonare. L’anidride carbonica si forma dalla decarbossilazione ossidativa. Quando si ossida una molecola organica i gruppi -OH trasformandoli in gruppi -CO (gruppo Carbonile), se si ossida a sua volta si ottiene il gruppo -COOH (acido). Questo carbonio non si può più ossidare a meno che non lo si stacchi dalla sua catena (quindi dal carbonio con cui è legato) e non si vada ad ossidare anche quel legame. Questo carbonio diventa CO2. Si forma quindi per ossidazione estrema di una catena di carbonio dopo che questa è stata ossidata fino al massimo, cioè ad acido. Per ossidare maggiormente bisogna staccare il carbonio. - Regolazione del pH: respirazione polmonare è un sistema fondamentale di controllo del pH del - - liquido extracellulare. Questo pH è tenuto molto costante intorno al 7,4 con un trend di variazione estremamente ridotto. Il pH è estremamente importante perché se si abbassa di poco (si aumenta la concentrazione di ioni idrogeno) tutte le proteine cambiano, in quanto si attaccherebbero ioni idrogeno alle proteine cambiando la struttura terziaria della proteina stessa e quindi la sua funzione. Partecipa alla termoregolazione (termodispersione): funziona da meccanismo di termodispersione, eliminazione del calore corporeo. Quando espiriamo, questa è satura di vapore acqueo che viene dalle pareti delle vie aeree e alveoli per un processo di evaporazione dell’acqua. Quando l‘acqua evapora ci sono molecole della superficie che passano allo stato gassoso. E passano da un stato all’altro quelle che hanno una velocità maggiore, una cinetica maggiore, quelle che contribuiscono alla temperatura dell’acqua. La temperatura quindi delle vie aeree e del nostro corpo si abbassa. Contribuisce alla funzione cardiovascolare: gli atti respiratori contribuiscono alla circolazione e, in particolare, al ritorno venoso. Partecipa al bilancio idrico: espirando si elimina acqua in forma di vapore acqueo. Fonazione: permette la respirazione di suoni attraverso l’aria che emettiamo espirando. Fasi della respirazione: - Inspirazione e espirazione: entrata e uscita dell’aria. - Parziale rinnovo dell’aria alveolare per rimescolamento con l’aria atmosferica: l’aria che entra in parte va negli alveoli polmonari e rinnova una parte dell’aria che si trova appunto negli alveoli polmonari. - Diffusione di O2 dall’aria alveolare al sangue e di CO2 dal sangue all’aria alveolare - Trasporto di O2 dai capillari polmonari ai capillari tessutali e di CO2 dai capillari tessutali ai capillari polmonari - Diffusione di O2 dal sangue del capillare tessutale alle cellule e di CO2 dalle cellule al sangue del capillare tessutale. Aspetti della respirazione: - Meccanica respiratoria: aspetti meccanici di come si muovono i polmoni e il torace. - Perfusione polmonare: microcircolazione polmonare - Scambio di gas fra aria e sangue - Trasporto di gas nel sangue - Regolazione del respiro in base all’esigenza metabolica del momento. ANATOMIA FUNZIONALE Polmoni all’interno della gabbia toracica, sono 2. Hanno una faccia esterna e una mediale, quella mediale è incisa dalla presenza del cuore che sta in mezzo ed è orientato tanto più verso sinistra e quindi incide più sulla faccia mediale del polmone sinistro che su quella del polmone destro. Il polmone sinistro è formato da 2 lobi mentre quello destro da 3. La cavità toracica è chiusa inferiormente da un grosso muscolo: il diaframma. Questo muscolo è fatto a forma di cupola, concava verso il basso, attaccato tutto intorno alle strutture ossee che sono le coste della colonna vertebrale. Divide la cavità toracica da quella addominale. Quando si contrae tende ad appiattirsi e spostarsi verso il basso comprimendo i visceri intestinali e dilatando la cavità toracica. I polmoni sono avvolti da una doppia membrana connettivale ricoperta da epitelio, la pleura. È una doppia membrana e ne troviamo quindi 2, una attaccata al polmone e l’altra attaccata alla gabbia toracica. Quella più interna prende il nome di viscerale e quella più esterna prende il nome di parietale. Questi 2 foglietti continuano l’uno nell’altro all’interno dell’ilo del polmone, la parte della faccia mediale dove entrano le vie aeree, l’arteria polmonare e i nervi ed escono le vene polmonari e i vasi linfatici. È il punto dove avvengono tutte le comunicazioni. In corrispondenza dell’ilo la pleura parietale si riflette su se stessa formando la pleura viscerale. Questo fa si che lo spazio compreso all’interno delle 2 pleure, spazio pleurico, sia uno spazio sigillato. All’interno delle spazio pleurico c’è un liquido prodotto dalle stesse cellule parietali che rivestono le 2 membrane. Questo è un liquido che contiene acqua sali e glicoproteine che ne conferiscono una viscosità per cui lo rende un buon lubrificante. Minimizza l’attrito che fa una pleura sull’altra quando scorrono. Quindi permette lo scivolamento del polmone sulla gabbia toracica con un minimo di attrito. Questo liquido si forma continuamente per secrezione delle cellule epiteliali e viene continuamente portato via da vasi linfatici che non nascono da fondo cieco ma come vasi aperti che si aprono nella parete della pleura. Questi vasi linfatici hanno una apertura nello spazio pleurico e continuamente succhiano il liquido pleurico che viene pompato via passivamente attraverso i movimenti della stessa gabbia toracica. L’azione aspirante continua dei vasi linfatici del liquido pleurico fa si che la pressione nello spazio pleurico sia negativa (sotto la pressione atmosferica). Non potremmo respirare se non ci fosse questa pressione negativa. Non è un valore fisso, in altitudine diminuisce la pressione atmosferica e anche quella pleurica ma comunque è sempre qualche mmHg inferiore a quella atmosferica. VIE AEREE Sono quelle che permettono di mettere in comunicazione diretta le strutture dove avvengono gli scambi di gas dei polmoni con l’esterno, mediante gli alveoli. Bocca e naso sono 2 vie alternative per entrate e uscita di aria che convergono nella faringe che è comune. Dalla faringe si passa alla laringe (prima parte) e trachea. Nelle narici del naso ci sono dei peli e della mucosa che serve a purificare l’aria che respiriamo. Le pieghe della mucosa formano dei vortici nell’aria che entra che fanno sbattere l’aria contro la mucosa nasale che trattiene le particelle. I peli fermano quelle più grosse. Dalla faringe entriamo nella laringe trachea o nell’esofago. C’è una struttura, l’epiglottide, che fa si che si chiuda solo quando deglutiamo qualcosa. Impedisce quindi che il cibo entri nella trachea. La laringe e la trachea costituiscono un tubo rigido dove questa caratteristica è fornita da anelli di cartilagine sovrapposti l’uno all’altro che permettono alla trachea di non collassare. La trachea arriva all’altezza dell’ilo per poi dividersi in 2 bronchi, uno destro e un sinistro. I 2 bronchi entrano ciascuno nel suo polmone dove si divide sempre di più fino ad avere canali sempre più piccoli. Anche nei bronchi c’è la struttura di anelli cartilaginei che fa si che i bronchi, almeno quelli più gradi, non collassino, non si chiudano. Questo fino ai bronchioli terminali dove perdono gli anelli cartilaginee e sono fatti solo di tessuto muscolare liscio. Andando ancora avanti questi si dividono ancora in bronchioli respiratori dove compiano delle nicchie della parete che sono gli alveoli. Il numero di rami man mano che andiamo avanti nelle divisione sale con la potenza del 2. I livelli di divisione dei bronchi sono 23/24 circa. Abbiamo quindi circa 8 milioni di bronchioli respiratori terminali. Siccome ogni terminazione ultima è ricca di alveoli il numero di alveoli è qualche centinaio di milioni. Questa struttura ha come scopo quella di aumentare la superficie di scambio tra aria e sangue. La superficie totale per una persone di media corporatura è intorno a 80 metri quadrati. Il tessuto polmonare praticamente non esiste, si limita alle piccole parti che separano un alveolo dall’altro. Le pareti sono quindi sottilissime. La parete è fatta di cellule che si chiamano pneumociti di primo tipo che sono estremamente sottili. Hanno il nucleo che sporge ma il resto della cellula è estremamente sottile, e questo è importante per ottimizzare al massimo gli scambi. Oltre ai pneumociti di primo tipo ci sono anche altre cellule, pneumociti di secondo tipo, che non hanno nessuna funzione respiratoria, non sono utili per gli scambi di gas (sono cellule grosse) ma hanno una funzione secernente di grande importanza in quanto secernano un miscuglio di sostanze necessaria per la meccanica polmonare. All’interno della parete ci sono i capillari con anch’essi una parete molto sottile ricoperto da pneumociti di primo tipo. Dentro il capillare ci passa 1 globulo rosso. Lo spessore della parete dell’albero che riveste lo steso capillare è molto più sottile di un globulo rosso. È intorno a un micrometro o ancora più sottile. CIRCOLAZIONE POLMONARE Nasce dal ventricolo destro, dalla valvola semilunare parte l’arteria polmonare che si divide in destra e sinistra, entra nel polmone attraverso l’ilo e li si divide in rami seguendo le ramificazioni dei bronchi fono ad arrivare ai capillari che si riuniscono in venule, confluiscono in vene sempre più grandi fino a dare le vene polmonari che sono 2 per ogni polmone ed escono dell’ilo andando a sboccare nell’atrio sinistro. Questa è la circolazione funzionale, il circolo polmonare, il sangue che scorre nell’arteria polmonare è sangue venoso e questo che scorre nelle vene polmonari è sangue arterioso. Anche le cellule del tessuto però hanno bisogno di ossigeno. Esiste quindi un’altra circolazione che è una circolazione nutritizia che segue i bronchi, portando sangue arterioso. Abbiamo la grossa arteria polmonare che entra nel polmone attraverso l’ilo ma è presente anche una ramificazione dell’aorta che entra. Anche questa ha una sua capillarizzazione e la via di ritorno diventa comune. I capillari funzionali della parete dell’alveolo e i capillari della circolazione nutritizia si riuniscono nelle stesse venule e quindi la circolazione venosa del polmone non è doppia ma unica, dove il sangue venoso e quello arterioso si mescolano. Doppia circolazione arteriosa e unica circolazione venosa. Emodinamica della circolazione polmonare: abbiamo una pressione media intorno ai 15 mmHg che però è oscillante. La caduta della pressione delle arteriole è grande nella grande circolazione e piccola nella circolazione polmonare. Quello che fa la differenza è che la resistenza è piccola. Pensando a Poiseuille infatti, il flusso è quello dato dal cuore, quindi costante, e la pressione è piccola. Di conseguenza sarà piccola anche la resistenza. Il circolo polmonare è anche detto circolo a bassa resistenza. Ma essendo piccola la resistenza le oscillazioni di pressione le abbiamo anche nei capillari, mentre nei capillari del grande circolo non ci sono più, sono state smorzate nelle arteriole. Queste oscillazioni avranno la loro importanza. Spazio morto fisiologico: all’ilo i capillari che si formano dall’arteria polmonare hanno una pressione del sangue di 7 mmHg. Questi per i capillari che si trovano all’altezza dell’ilo, ma se ci spostiamo in alto o in basso dobbiamo aggiungere o togliere a questo valore un’altra componente, che è quella gravitaria della pressione. Se un capillare si trova in basso oltre a questa pressione di 7 mmHg bisogna aggiungere il peso del sangue che sta sopra. E quindi in un capillare che sta alla base del polmone ci sarà più pressione. Nella parte alta dobbiamo togliere la componente gravitaria, così sempre più quanto ci spostiamo verso l’alto arrivando ad un certo punto in cui, in condizioni di riposo, nei capillari c’è una pressione che è uguale a quella atmosferica, uguale a 0. Anche fuori dal capillare troviamo una pressione uguale a quella atmosferica, che è 0. La pressione dei capillari può andare anche sotto 0. Si arriva ad un punto dove la pressione dell’aria degli alveoli è maggiore di quella del sangue dei capillari. A questo punto il capillare viene schiacciato dall’aria circostante, si chiude e il sangue non passa più. Questo succede all’apice del polmone. Si crea una zona in cui il sangue non passa e quindi non c’è lo scambio di gas respiratori. È una parte del polmone che è inutilizzata. Questa parte del polmone viene chiamata spazio morto fisiologico. Se siamo in condizioni di attività fisica tutta la pressione aumenta. Quindi non abbiamo una pressione media di 7 mmHg nei capillari polmonari ma sarà molto di più. Di conseguenza nei capillari polmonari dell’apice aumenta, il sangue spinge sulle pareti aprendoli. Durante l’attività a fisica ho come un polmone in più, quella parte che non riesco ad utilizzare quando sono a riposo viene utilizzata durante l’attività. MECCANICA RESPIRATORIA Si intende tutti gli aspetti meccanismi della funzione respiratoria polmonare, la successione di espirazioni e inspirazioni. Il polmone espandendosi diminuisce la pressione interna richiamano l’aria esterna dentro al polmone. La parete del polmone è spinta contro la superficie della gabbia toracica dalla pressione transmurale. Questa pressione è data dalla differenza tra la pressione intrapolmonare e la pressione intrapleurica. La prima è uguale a quella atmosferica mentre la seconda è negativa e spinge il polmone a collassare. Il polmone si trova spinto verso l’esterno dalla pressione alveolare e verso l’interno da quella intrapleurica. La risultante di queste 2 pressioni tende a tenere schiacciate la superficie dei polmoni contro la gabbia toracica. Se la gabbia toracica si espande la parete del polmone la segue perché la pressione interna spinge la parete del polmone a seguirla, se la gabbia toracica diventa più piccola, anche il polmone è costretto a seguirla. Tutto questo è legato al fatto che all’interno dello spazio pleurico ci sia una pressione negativa, se questa non ci fosse succederebbe che la parete del polmone non riceverebbe nessuna spinta, ne ad espandersi ne a collassare. Questo fa si che la riduzione e l’esposizione della gabbia toracica si traducano in riduzione ed espansione del polmone, pur non essendoci connessioni anatomiche. Quando si espande la gabbia toracica si espande anche il polmone perché c’è la pressione transmurale. Questo meccanismo permette lo scivolamento della parete polmonare sulla parete toracica interna durante gli atti respiratori. Se la gabbia toracica fosse incollata ai polmoni ci sarebbe stata appunto un problema di scivolamento. Il polmone si espande in un modo diverso dalla gabbia toracica e questo fa si che durante l’inspirazione il polmone scivoli sulla gabbia toracica, altrimenti ci sarebbe un problema meccanico. Lo scivolamento è semplificato dal liquido pleurico. La superficie del polmone è sottoposto ad una pressione netta che la spinge verso la gabbia toracica, quindi la segue pur non essendoci attaccata. Fattori che determinano l’effettivo volume del polmone: - Pressione transmurale: differenza tra la pressione intrapolmonare e la pressione intrapleurica. - Elasticità del tessuto: molto sottile, è presente del tessuto connettivo di tipo elastico. Fatto quindi da proteina elastica che conferisce proprietà elastiche al polmone. Questa forza elastica tende a ridurre il polmone. - Tensione superficiale all’interfaccia acqua-aria alveolare: altra forza che tende a ridurre il volume del polmone. La tensione superficiale è una forza per unità di lunghezza, che tende di minimizzare la superficie di una molecola d’acqua facendole assumerne una forza sferica. Un alveolo è delimitato da pneumociti di tipo 1 e di tipo 2 che devono stare in un ambiente acquoso, l’ambiente interno, le loro superfici sono quindi rivestiti di acqua e sali. Alla superficie di questo velo di soluzione acquosa verso l’aria abbiamo una interfaccia acqua aria dove si sviluppa la tensione superficiale che tende a ridurre al minimo la superficie acqua-aria. Questo significa ridurre il velo di acqua in un volume così piccolo da formare una gocciolina. Siccome però l’acqua non si può staccare dalle cellule si porta dietro l’interno alveolo. Tendenza che riduce la superficie, facendo ridurre il volume dell’alveolo. - Elasticità della gabbia toracica: se svuotassimo la gabbia toracica da tutto, si noterebbe che tenderebbe a diventare un po’ più grande. Questo vuol dire che gli organi contenuti all’interno, polmoni in particolare, tendono ad attrarre la gabbia toracica verso il centro. La gabbia toracica, invece, tende a tirare i polmoni verso l’esterno. Che la forza della tensione superficiale sia molto importante nella tendenza che porta il polmone a collassare si può verificare attraverso un’esperimento. Prendendo un polmone e togliendo tutta l’aria e la sostituiamo con l’acqua, non si ha più la tensione superficiale, in quanto non è più presente l’interazione acqua-aria. In queste condizioni la tendenza del polmone a collassare diminuisce nettamente. Quindi una buona parte di questa tendenza è data dalla tensione superficiale. La tendenza del polmone a collassare a causata della tensione superficiale e in assenza di nient’altro sarebbe cosi grande che il lavoro respiratorio, l’energia che spenderemmo per espandere il polmone durante l’espirazione, sarebbe enorme. Ogni volta che espandiamo il polmone dobbiamo contrastare la tensione superficiale oltre l’elasticità del polmone. Se non si aggiunge altro, questa tensione sarebbe cosi grande da contrastare che quasi non ci riusciremmo a compiere l’ispirazione. È necessario quindi diminuirla. Per diminuirla basta aggiungere all’acqua molecole che si interpongono all’interfaccia acqua-aria cambiando le interazioni molecolari. Queste molecole sono i fosfolipidi, stano bene in acqua e aria essendo anfipatiche. Sono costituite prevalentemente da una serie di sostanze chiamate nel complesso surfattante che sono costituite prevalentemente da fosfolipidi. Il surfattante è un tensioattivo che viene secreto dai pneumociti di tipo 2. INSPIRAZIONE E ESPIRAZIONE Durante l’inspirazione c’è una dilatazione della gabbia toracica che determina una dilatazione del polmone perché tende a seguirla (pressione transmurale). Quando si espande la pressione intrapleurica diventa ancora più negativa perché in questa fase tende a diventare più grande, ad espandersi. Questo aumento della pressione transmurale determina lo spostamento della parete del polmone che segue l’espansione della gabbia toracica. Durante l’espirazione la gabbia toracica ritorna in posizione quindi anche il volume del polmone viene diminuito. L’espansione del volume polmonare durante l’inspirazione determina l’espansione del volume di ogni alveolo. Di conseguenza la pressione dell’aria all’interno dell’alveolo diminuisce, di poco, che crea un gradiente tra aria alveolare e aria esterna che fa entrare l’aria. Durante l’espirazione succede il contrario, si determina un aumento della pressione alveolare che spinge l’aria ad uscire attraverso le vie respiratorie. Inspirazione: in condizioni di riposo abbiamo 2 muscoli, il diagramma e gli intercostali esterni che svolgono la funzione respiratoria. Quando ci contrae il diaframma, esso si appiattisce determinando un aumento di volume della cavità toracica in senso cranio caudale. La contrazione degli intercostali esterni provoca un avvicinamento delle coste una all’altra spostando le coste inferiori verso quelle superiori. Determinano un spostamento delle coste in alto e verso l’esterno. Contrazione diaframma e intercostali esterni determina un ingrandimento della gabbia toracica. Il polmone quindi la segue e si espande. Condizione di riposo. Espirazione: processo passivo, a risposo l’espirazione è un processo spontaneo avviene per rilasciamento. Quando si passa dalla inspirazione alla espirazione il diaframma e gli intercostali esterni si rilasciano e quindi prevalgono le forze che tendono a far collassare il polmone, la forza elastica e la tensione superficiale, che attraverso la pleura si portano dietro anche la gabbia toracica. Quando siamo in attività entrano in azione altri muscoli che collaborano con il diaframma e gli intercostali esterni. Nella ispirazione forzata c’è lo sternocleidomastoideo che sostiene la clavicola. La contrazione degli intercostali esterni tende a far scendere la clavicola diminuendo l’efficienza stessa, perché diminuisce l’avvicinamento delle coste. Viene quindi ottimizzata la salita delle coste e il loro avvicinamento. Un altro muscolo che si contrae durante l’ispirazione forzata è il piccolo pettorale che tende a evitare che lo sterno si infossi, tende a tenere lo sterno verso l’esterno. Nella espirazione forzata viene richiesta una constatazione muscolare. Il muscolo principale è il retto addominale che spinge verso l’interno i visceri addominali che salgono verso l’alto e spingendo sul diaframma diminuiscono il volume della cavità toracica. Oltre a questo ci sono i muscoli intercostali interni che tendono ad abbassare le coste. L’abbassamento della pressione intrapleurica determina una diminuzione della pressione alveolare e quindi si genera il gradiente di concentrazione che fa entrare aria nei polmoni. Durante una respirazione a riposo mediamente l’aria scambiata durante l’atto respiratorio è intorno al mezzo litro. Questo si chiama volume corrente. Il volume di aria che posso inspirare forzatamente dopo una respirazione normale si chiama volume di riserva inspiratorio. Corrisponde a circa altri 2,5 L Questa riserva la si utilizza durante l’attività fisica. Lo stesso con la espirazione, dopo una espirazione normale posso espirare ancora un litro di aria. Questo si chiama volume di riserva espiratorio. La somma di tutti questi volumi (volume di riserva espiratorio, il volume corrente e il volume di riserva inspiratorio) da il totale dell’aria che si può scambiare in condizione di forzatura massima degli atti respiratori. Questo volume è circa 5 litri. Solo una parte del mezzo litro del volume dall’aria che inspiro va negli alveoli. Circa 150 ml di aria restano nelle vie respiratorie. Durante l’espirazione prima di tutto si fanno uscire questi 150 ml e poi gli altri 350 ml. Questo ha una implicazione pratica importante che è la respirazione bocca a bocca. In questo momento infatti mettiamo con l’insufflazione questa prima parte di aria che è ancora ricca di ossigeno. I 150 ml che sono sostanzialmente il volume delle vie respiratorie si chiama spazio morto anatomico, perché non partecipa agli scambi respiratori. Dopo l’atto respiratorio forzato comunque rimane dentro al polmone una quantità d’aria, molto importante. È il volume residuo, non si riesce ad espirarlo, ed è importante perché senza di questo (1,3 L circa) gli alveoli collasserebbero completamente per svuotarli e siccome sono bagnali di liquido si appiccicherebbero uno con l’altro. Quindi bisogna ridurre questa forza che li tiene attaccati, che altro non è che la forza di tensione superficiale. SCAMBI DI GAS Durante la respirazione in condizioni di riposo quanto volume d’aria viene scambiato? Entra 0,5 L, 150 ml si fermano nelle vie respiratorie, quindi arrivano 350 ml agli alveoli. Questi si vanno a mescolare a 2,5 L che erano già presenti. Viene scambiata quindi il 15-20% di aria ad ogni atto respiratorio. Questo vuol dire che negli alveoli troviamo 80% o più di aria vecchia, consumata e ne ricambio il 15-20% ad ogi atto respiratorio. In condizioni di attività fisica la % aumenta perché entra più volume d'aria durante la inspirazione. È un secondo modo di riserva, di poter aumentare la capacità respiratoria, aumenta la % di aria ricambiata negli alveoli. La pressione dell’atmosfera a livello del mare è 1 atm, che equivale a 760 mmHg. L’aria che pesa su quell’aria, pesa come una colonnina di mercurio alta 760 mm. Se saliamo sopra al livello del mare la pressione diminuisce. Ogni 5500 m pressione si dimezza. Pressione parziale: la possiamo esprimere come il contributo in termini di pressione che ciascun componente di una miscela da alla pressione totale. Legge generale dei gas PV = nrT Dove: - P: pressione - V: volume - n: numero moli - r: costante dei gas - T: temperatura Se aumento il volume la pressione diminuisce, se aumento la temperatura la pressione aumenta. Se si fa un discorso di scambi gli gas fra un ambiente gassoso come l’aria alveolare e un ambiente acquoso come il sangue dei capillari, non serve sapere qual’è l’effettiva concentrazione di ossigeno o anidride carbonica nel sangue e nell’aria, ma serve sapere quanto quel gas tende ad uscire o entrare nell’ambiente acquoso. E questo è dato dalla combinazione della pressione e dalla solubilità di quel gas per l’acqua. A parità di pressione ottengo una concentrazione in acqua maggiore di CO2 rispetto all’O2. Se un gas è solubile in acqua ci sta bene nel sangue. La CO2 quindi sta bene nel sangue, l’ossigeno, che non è polare, sta meglio nell’aria alveolare. Serve il concetto di pressione parziale che possiamo applicarsi non solo ad una miscela di gas ma anche ad un gas disciolto in un liquido. La pressione parziale di un gas nell’acqua è la pressione che deve essere applicata per avere una condizione di equilibrio e cioè tante molecole entrano quante molecole escono, a questo punto la concentrazione di gas nell’acqua rimane costante. Questa dipende da 2 cose: coefficiente dei gas e concentrazione del gas. P= C k Dove: - C: concentrazione gas - k: coefficiente dei gas Se un gas è molto solubile basta applicare una piccola pressione per arrivare ad uno stato di equilibrio. Questo concetto è importante perché ci permette di capire immediatamente se un gas passerà dall’acqua all’aria o andrà nel senso opposto. Composizione aria secca: 78% azoto, 21% ossigeno, 0,04% anidride carbonica. L’azoto non ha nessuna funzione respiratoria, ma diluisce l’ossigeno. Questo è importante perché se avessimo solo ossigeno nell’aria, essendo ossidante, porterebbe ad una velocizzazione dei processi ossidativi che possono rovinare i nostri tessuti, è importante quindi che sia diluito. Nell’aria c’è anche una quantità variabile di vapore acqueo. Quando inaliamo l’aria viene: - Filtrata e purificata dalle grosse particelle spesse: il muco le ferma, nel naso quelle più grosse e nei bronchi quelle più piccole. Vengono poi espulse perché l’epitelio delle vie respiratorie è cigliato e spingono le particelle verso l’alto, per poi venire deglutite. - L’aria viene riscaldata a 37°: se siamo in una giornata estiva dove la temperatura è maggiore di 37°, questa viene comunque portata a questa temperatura, in questo caso l’aria vien quindi raffreddata. - Umidificata fino alla saturazione: viene aggiunto vapore acqueo fino a creare una nebbia. A temperature più basse è più facie arrivare a saturazione e a temperature più alte è difficile. Con la temperatura a 37°C il punto di saturazione è 47 mmHg, quindi dei 760 mmHg che è la pressione totale dell’aria a livello del mare, passando all’interno delle vie respiratorie 47 di queste rappresentano la pressione parziale delle molecole di acqua in forma gassosa. Quando l’aria arriva in fondo ai bronchi, è sempre 760 mmHg, ma di questi 47 mmHg sono occupati dall’acqua e il resto se li spartiscono i gas. Quando l’aria viene inalata la percentuale di ossigeno è del 21% su 760 mmHg, che corrisponde ad una pressione parziale di 160 mmHg. Nelle viene respiratorie però, si crea vapore acqueo per una pressione di 47 mmHg. Quindi il 21% di ossigeno non saranno più da calcolare sui 760 mmHg iniziale ma bensì su 760-47 mmHg che fa 713 mmHg. A questa pressione totale, la pressione parziale di ossigeno, sempre il 21%, sarà di 150 mmHg. Nell’aria alveolare si troverà una pressione parziale di ossigeno meno di 150 mmHg, e questo è dovuto al fatto che durante la respirazione solo un 15-20% è data da aria “nuova”, la restante parte è data da aria “vecchia”, che già è presente nell’alveolo e questa aria è povera di ossigeno. Il risultato è che nell’area alveolare si trova un 13% di ossigeno che corrisponde a circa 100-105 mmHg. L’anidride carbonica nell’alveolo non sarà più 0,04, in quanto l’aria vecchia è più ricca di CO2, il suo valore quindi è del 5%, che corrisponde ad una pressione parziale di circa 40 mmHg. L’acqua rimane 47 mmHg. L’aria esalata è composta si da aria alveolare, ma anche da aria presente nello spazio morto anatomico che ha la composizione dell’aria atmosferica saturata dall’umidità (quindi ossigeno 150 mmHg e CO2 0 mmHg). L’aria espirata, quindi, è una miscela di queste 2 arie, quella alveolare e quella dello spazio morto anatomico, trovando rispetto un 15% di ossigeno (pressione parziale di 110 mmHg, più alta della pressione parziale alveolare) e una percentuale di CO2 di 4% (pressione parziale di 28 mmHg, più piccola della pressione parziale e alveolare). MECCANISMO DELLO SCAMBIO DEI GAS Nell’aria alveolare abbiamo una pressione parziale di ossigeno di circa 105 mmHg, la pressione parziale di O2 nel sangue venoso che arriva dal capillare è 40 mmHg, in condizioni di riposo. C’è quindi una differenza di pressione parziale alta. Per diffusione l’ossigeno passa quindi nel capillare, la parete sottile facilita il passaggio. Passa secondo la legge di Fick. Il sangue quindi si arricchisce di ossigeno, diventando la pressione parziale di O2 nel sangue uguale a quella alveolare, quindi 105 mmHg. Per quando riguarda la CO2, si ha una pressione parziale di 40 mmHg nell’aria alveolare e una pressione parziale di 45 mmHg nel sangue in condizioni di riposo. Di conseguenza la CO2 si diffonde nell’aria alveolare e, come per l’ossigeno, diventa uguale a quest’ultima, 40 mmHg. Sono processi puramente di diffusione creati da gradienti di diffusione parziale. A parità di pressione parziale, la concentrazione è tanto maggiore quanto maggiore è la solubilità di quel gas nell’acqua. I capillari alveolari sono lunghi, quanto ci mette il sangue ad assorbire tutto l’ossigeno? Deve arrivare in fondo all’alveolo o ci riesce prima? Quanto è veloce la diffusione? Il sangue ci mette 1/3 del tempo che impiega a percorrere tutto il capillare alveolare. È importante che siano lunghi perché in condizioni di attività fisica, la velocità del sangue aumenta. Se in condizioni di riposo ci mette 0,75 secondi, in attività ci mette 0,25 secondi. Di conseguenza il sangue viene ossigenato lungo una lunghezza maggiore, viene ossigenato in fondo al capillare, quindi se il capillare fosse più corto il sangue non riuscirebbe ad ossigenarsi del tutto. Questo costituisce un terzo modo di aumentare l’efficienza respiratoria in attività dopo lo spazio morto fisiologico e la possibilità di aumentare il volume corrente di aria durante l’inspirazione. Il discorso è uguale per l’anidride carbonica. Il gradiente dell’ossigeno è 10 volte quello dell’anidride carbonica. Per assumere la quantità di ossigeno che ci serve in ogni minuto, ci serve una pressione parziale di circa 60 mmHg ma per eliminare una quantità circa uguale di CO2 nello steso tempo è sufficiente un gradiente di 5-6 mmHg. Questo perché hanno una diversa solubilità dovuta dalla componente polare, la CO2 è polare quindi solubile in acqua, l’O2 è invece poco solubile. La velocità di riduzione di un gas dipende anche dalla sua solubilità nell’ambiente dove deve diffondere. La velocità di diffusione dall’aria al sangue o viceversa dipende dalla solubilità del gas nell’ambiente dove questa diffusione deve avvenire. L’ambiente è la parete dell’alveolo, fatta da velo di liquido che riveste l’alveolo (composto da surfattante), poi ci sono i pneumociti di tipo I, liquido extracellulare che separa i pneumociti dal capillare, endotelio dei capillari e finalmente sangue. La velocità dipende dalla solubilità dell’ossigeno in questi ambienti; attraversa bene le membrane ma trova difficoltà nel liquido e nel citosol. È necessario quindi che ci sia un maggior gradiente di pressione parziale per fare il flusso. Un altro fattore è la permeabilità della membrana, più è spessa e più di diminuisce la velocità di diffusione dei gas. I pneumociti sono sottili che permettono quindi una migliore diffusione. Anche l’endotelio dei capillari è molto sottile. Il problema è nel liquido extracellulare che deve essere ridotto al minimo per permettere il passaggio. La minimizzazione del liquido extracellulare polmonare si realizza da fatto che la pressione oncotica che spinge liquido dentro il capillare è sempre 25 mmHg, mentre la pressione idrostatica che spinge il liquido fuori è di 4-5 mmHg, la pressione netta è diretta verso l’entrata di liquido e soluti dentro il capillare. Il valori bassi di pressione idrostatica polmonare sono di fondamentale importanza per creare una pressione netta che permetta un continuo drenaggio del liquido extracellulare da parte dei capillari. Questo minimizza il volume del liquido extracellulare e permette gli scambi. Il liquido extracellulare può aumentare se aumenta la pressione quando nell’arteria polmonare la pressione media non è più 15 mmHg ma diventa 35-40 mmHg, situazione rischiosa, perché determina il travaso di liquido dai capillari al liquido extracellulare polmonare e quindi una riduzione dell’efficienza respiratoria. Questo aumento di pressione succede se il ventricolo sinistro non pompa più efficacemente il sangue nell’aorta. Per esempio in caso di infarto il ventricolo sinistro non riesce a smaltire il sangue che gli arriva, aumenta la pressione nel ventricolo sinistro, e quindi anche nell’atrio sinistro, aumenta la pressione nelle vene polmonari, aumenta quindi la pressione nei capillari alveolari. Il liquido può anche aumentare a causa di una infezione del tessuto polmonare alveolare. Si determina uno stato di infiammazione che va a rompere delle cellule pneumociti e anche più profonde che liberano delle proteine, aumenta la pressione oncotica del liquido extracellulare e quindi compete con la pressione oncotica del sangue e tende a richiamare acqua dal capillare. La barriera tra aria e sangue deve essere quindi mantenuta estremamente sottile per mantenere la funzione respiratoria e gli scambi di gas. TRASPORTO DI GAS NEL SANGUE Ossigeno: si trova in 2 forme, una parte disciolta nel sangue, nel plasma e all’interno dei globuli rossi e bianchi, e una parte legata all’emoglobina, proteina tetraedica. Quindi una parte libera e una legata. La parte dell’ossigeno disciolta è quella in relazione diretta con la pressione parziale, la parte dell’ossigeno legata all’emoglobina non partecipa più alla pressione parziale. La pressione parziale dell’ossigeno dipende dalla concentrazione di O2 libero disciolto nel plasma. Il coefficiente di solubilità è 0,003 ml/100 ml/mmHg. La concentrazione di ossigeno nel sangue arterioso è data dalla sua pressione parziale (100 mmHg) moltiplicato per il coefficiente e fa 0,3 ml/100 ml (3 ml/1L) di sangue. Nel sangue venoso abbiamo 40 mmHg di pressione parziale di ossigeno, moltiplicato per il coefficiente abbiamo 0,12 ml/100 ml di sangue. La differenza è di 0,18 ml/100 ml. Questo è l’ossigeno fisicamente disciolto nel sangue che è stato ceduto dal capillare al tessuto. La concentrazione totale di ossigeno nel sangue venoso non è 0,12 ml ma è 15 ml/100 ml di sangue. La stragrande maggioranza dell’ossigeno quindi è legato all’emoglobina. Lo stesso nel sangue arterioso, è presenta una concentrazione totale di ossigeno di 20 ml/100 ml. L’ossigeno fisicamente disciolto è esattamente quello che viene scambiato, quello che viene ceduto ai tessuti e quello che viene incrementato quando il sangue passa nel capillare alveolare. L’ossigeno che entra nel capillare alveolare lo si trova in forma libera. L’ossigeno legato all’emoglobina è importante in quanto c’è sempre un equilibrio tra l’ossigeno disciolto e quello legato. La parte di ossigeno legato all’emoglobina è legato in modo molto debole, estremamente reversibile. Appena viene ceduto ossigeno disciolto, si ristabilisce l’equilibrio con la parte legata all’emoglobina e questa comincia a cedere ossigeno che va nella forma fisicamente disciolta, ricostituendo 0,3 ml/100 ml. Fa da riserva. Nei capillari alveolari succede il contrario, l’ossigeno va ad aumentare l’ossigeno disciolto e quindi in massima parte si va a legare all’emoglobina. La concentrazione del liquido disciolto cambia poco (0,3 a 0,12), ma quello legato all’emoglobina cambia molto (da 20 a 15). Emoglobina: proteina tetramerica coniugata ad un gruppo prostetico non proteico, che sono uno all’interno di ciascuna subunità, ed è un gruppo EME, dove ci sono 4 anelli fatti di 4 carboni e un azoto uniti da un gruppo -CH che scambia valenze con i carboni degli anelli. I 4 azoti guardano al centro e legano con un legame di coordinazione un atomo di ferro centrale che è un ferro 2+ (dove si lega l’ossigeno). Ci sono 4 quindi di queste molecole una per subunità di emoglobina. Interviene nel trasporto di ossigeno, carbonio e ha una funzione di tampone. Osservando un grafico che vede all’ordinata la percentuale di ioni ferroso dell’emoglobina legati all’ossigeno, e in ascissa la pressione parziale ossigeno osserviamo che è presente una zona di saturazione, cioè sono pieni tutti i siti di legame ferro-ossigeno, non si può andare oltre. L’altezza della saturazione dipende dalla quantità di emoglobina che si dispone. Si raggiunge intorno ai 100 mmHg di pressione parziale. Osserviamo anche che l’emoglobina presenta una curva sigmoide a causa delle struttura quaternaria. Quando la pressione parziale di O2 è bassa, la crescita della curva, e quindi dei legami emoglobina-ferro è lenta. Quando la pressione parziale di O2 è alta, la crescita della curva è veloce. Questo è dovuto al fatto che il primo legame dell’ossigeno alla emoglobina è difficile c’è una bassa affinità. Quando però è avvenuto questo il primo legame, le altre molecole di O2 si legano molto più facilmente. Il legame della prima molecola determina un cambiamento allosterico conformazionale nelle altre subunità rendendole più affini all’ossigeno. Andando a pressioni parziali di ossigeno alte si arriva a saturazione. Il tipo di curva sigmoide è quindi determinata dal fatto che l’emoglobina è un tetramero con un comportamento allosterico, dopo il primo legame con l’ossigeno si ha un cambiamento che fa legare più facilmente le altre molecole di ossigeno, aumenta l’affinità. Quali sono i vantaggi della curva sigmoide? Nel sangue arterioso abbiamo la saturazione completa o quasi dell’emoglobina. Troviamo la saturazione arteriosa del 97-98% circa. (Con la polmonite da Covid-19 la saturazione è più bassa, 90-95%). Il saturimetro spara una luce e vede quella riflessa dal dito. Questo perché l’emoglobina ossigenata e non ha colori diversi, quella ossigenata ha un colore rosso vivo e quella non ossigenata ha un colore rosso scuro. Nel sangue venoso si ha una saturazione intorno al 75%. Si cede quindi ai tessuti il 22-23% dell’ossigeno legato all’emoglobina. Se avessi mioglobina (che presenta una curva iperbolica) invece della emoglobina, la differenza, e quindi lo scambio di ossigeno ai tessuti, sarebbe di 2-3%, quindi il sistema di trasporto sarebbe molto meno efficiente. Un ulteriore vantaggio c’è nella fisiologia dell’esercizio. Durante attività fisica la pressione parziale dell’ossigeno nel sangue venoso scende, perché viene sottratto più ossigeno dal sangue. Di conseguenza la differenza con la pressione parziale di ossigeno nel sangue arterioso sarà maggiore. Data questa curva, vediamo che il valore di pressione parziale di ossigeno venoso è nella fase di picco, quindi anche calando di poco questa pressione, abbiamo un grosso aumento di ossigeno scambiato ai tessuti. La curva sigmoide si può spostare a destra o a sinistra a seconda della presenza di certi valori di 4 fattori. - Concentrazione di ioni idrogeno (pH): un aumento di ioni idrogeno sposta la curva verso destra (pH si abbassa) e viceversa. - Concentrazione di anidride carbonica: un aumento di CO2 sposta la curva verso destra e viceversa. - Temperatura: un aumento di temperatura sposta la curva verso destra e viceversa. - Concentrazione di una molecola chiamata 2,3 difosfoglicerato: un aumento di 2,3 difosfoglicerato sposta la curva verso destra. Spostare la curva verso destra significa che i livelli di saturazione, a parità di pressione parziale, diminuiscono, di conseguenza l’emoglobina rilascia più ossigeno. A livello del sangue arterioso cambia poco, ma a livello del sangue venoso cambia tanto. Quando e dove aumentano questi fattori? Quando si fa attività fisica si producono cataboliti, soprattutto CO2, viene aumentata la produzione di CO2 nel muscolo in attività che sposta nei capillari di quel muscolo scheletrico in attività verso destra, quindi c’è un maggiore rilascio di ossigeno proprio nel muscolo in attività. Più andiamo avanti nel catabolismo nei muscoli e più troviamo acidi, se ossidiamo un carbonio otteniamo prima CHOH, poi CHO e alla fine COOH, quindi acidi. In un muscolo in attività quindi c’è un ambiente a pH basso. questo abbassamento di pH sposta quindi la curva verso destra e si ha quindi una maggiore cessione di ossigeno. In un muscolo in attività la temperatura aumenta perché aumentando il metabolismo succede che una parte dell’energia liberata viene liberata per la contrazione e un’altra parte viene dispersa sotto forma di calore. Un aumento di temperatura sposta la curva verso destra e quindi un aumento del rilascio di ossigeno. Il 2,3 difosfoglicerato si forma durante la glicolisi, è uno degli intermedi ultimi prima del piruvato. Se la glicolisi e il ciclo di Krebs lavorano bene non si accumula il piruvato e il 2,3 difosfoglicerato in quanto il piruvato viene decarbossilato in acetato, poi acetil-coA e entra nel ciclo di Krebs. Per far funzionare bene il ciclo di Krebs ci vuole tanto ossigeno. Se quindi la glicolisi va forte ma l’ossigeno non è sufficiente, il ciclo di Krebs rallenta, quindi c’è un accumulo di piruvato che in parte si converte in lattato ma una parte viene accumulata. Di conseguenza viene accumulato anche il 2,3 difosfoglicerato, e se questo si accumula va a spostare la curva a destra aumentando l’ossigeno ceduto a quel muscolo. Come fanno a spostare la curva verso destra? Gli ioni idrogeno e la CO2 si legano all’emoglobina. Gli ioni idrogeno, come qualunque proteina, possono essere tamponati dall’emoglobina. Come tutte le proteine, anche l’emoglobina è una sequenza di aminoacidi che hanno dei gruppi -COH e dei gruppi -NH2. Il gruppo -COH si può dissociare reversibilmente in -CO- + H+. Se c’è un -CO- e aumentano gli ioni idrogeno H+, questi di legano riformando -COH. La proteina ha tamponato gli ioni idrogeno. Lo stesso con -NH2, che può diventare -NH3+, e quindi tamponare ioni idrogeno in eccesso. Questi ioni idrogeno che si legano alla parte proteica della emoglobina cambiano l’affinità di questa per l’ossigeno, sposano quindi la curva a destra. Lo stesso la CO2, si lega alla emoglobina ma non al ferro, ma alla parte proteica, e questo legame indirettamente determina un cambiamento conformazionale della proteina che modifica l’affinità con l’ossigeno e sposta la curva a destra. La temperatura aumenta la mobilità delle molecole e quindi facilita che muovendosi nella molecola di ossigeno legata al ferro venga strappata dal suo legame col ferro. Il 2,3 difosfoglicerato funziona come gli ioni idrogeno e CO2, ha un sito di legame nella parte proteica della proteina che determina una diminuzione di affinità all’ossigeno. Il ferro lega l’ossigeno in forma molecolare, O2, non il forma atomica, O. Non una reazione chimica ma legame debole. Legame di coordinazione. Ossigeno utilizzato in fondo alla catena respiratoria nei mitocondri come accettare ultimo di elettroni. Nei mitocondri viene usato tanto ossigeno quindi la pressione parziale è bassa. La pressione parziale del citosol è alta, quindi diffonde nel mitocondrio. Entra nella cellula perché nel liquido interstiziale è ancora più alta, per diffusione entra. E passa dal sangue al liquido extracellulare perché nei capillari è ancora più alta. Quindi c’è una serie di gradiente che porta l’ossigeno ad entrare in fine nei mitocondri. TRASPORTO DI CO2 Nell’analogo grafico osservato per l’ossigeno, quindi l’andamento in questo caso della concentrazione di CO2 nel sangue all’aumentare di pressione parziale di CO2, vediamo che si ottiene una curva che all’inizio sale in modo tendenzialmente direttamente proporzionale per poi andare verso la saturazione ma senza arrivarci mai. Non c’è una vera saturazione. Forme in cui l’anidride carbonica è presente nel sangue: prodotta dai processi di decarbossilazione ossidativa, si porta all’estremo l’ossidazione di un acido, e se si vuole ossidare ancora questa molecola si stacca un carbonio finale della catena facendolo diventare CO2. Si libera e entra per diffusione per CO2. Diffonde bene in quanto idrosolubile. Ha 3 destini, 3 forme nel sangue: - CO2 disciolta: meno del 10% - Una parte di CO2 del plasma reagisce con l’acqua con un processo chimico dando acido carbonico. Molto lenta, quindi quasi insignificante. - CO2 nel globulo rosso: più nel 90%. Qui può reagire con l’acqua per dare acido carbonico, ma qui la reazione viene accelerata enormemente dall’enzima anidrasi carbonica che specificamente catalizza questa reazione. L’acido carbonico è reversibile. Acido carbonico: la sua reazione reversibile è CO2 + H 2O − > H 2CO3 ; H 2CO3 − > CO2 + H 2O ; H 2CO3 − > H + ,HCO3− L’acido carbonico in acqua si dissocia in H+ e HCO3- . Libera quindi uno ione idrogeno e resta da solo lo ione bicarbonato. Anche questa reazione è spontanea, non ha bisogno di enzimi ed è reversibile. Non scontato perché la reversibilità della dissociazione di un acido caratterizza gli acidi deboli dagli acidi forti (dove la dissociazione è irreversibile). Quando il globulo rosso passa in un capillare che attraversa un tessuto, gli arriva un sacco di CO2 che forma bicarbonato e ioni idrogeno all’interno del globulo rosso. Qui lo ione idrogeno tende ad acidificare l’ambiente interno del globulo rosso. Quindi questi ioni idrogeno devono essere tamponati e questo viene fatto dall’emoglobina. Ci sono infatti dei punti che possono legare reversibilmente gli ioni idrogeno. Quindi quando il globulo rosso è passato nel capillare tessutale entra dentro un sacco di CO2, che è stata trasformata in acido carbonico, che ci è dissociato in ioni idrogeno e ione bicarbonato, e gli ioni idrogeno si legano all’emoglobina. Lo ione idrogeno sposta a destra la curva sigmoide, facilita il rilascio di ossigeno. Questo succede quando il sangue passa nel capillare tessutale, arriva anidride carbonica che produce ioni idrogeno che si legano all’emoglobina e quindi perde affinità per l’ossigeno che viene rilasciato in quantità maggiore. La quantità di CO2 che viene convertita in acido carbonico e quindi bicarbonato e ioni idrogeno è circa l’85%. La cellula non si può riempire di bicarbonato in quanto sono in equilibrio osmotico con l’ambiente circostante. Se riempissimo il globulo rosso di bicarbonato, la pressione osmotica all’interno del globulo rosso aumenterebbe, richiamerebbe acqua che lo farebbe ingrossare e perdere la sua funzione. All’interno della membrana del globulo rosso c’è un trasportatore antiporto che trasporta bicarbonato e cloruro in senso inverso. Quando aumenta la concentrazione di bicarbonato all’interno, questo si attacca al trasportatore cloruro-bicarbonato e lo trasporta all’esterno, verso il plasma, portando all’interno cloruro. Questo meccanismo da 2 risultati importanti: - Mantenimento dell’equilibrio elettrico: se esce bicarbonato esce una carica negativa, ma entra anche una carica negativa, quindi da un punto di vista elettrico non cambia nulla. - Equilibrio osmotico: da un punto di vista osmotico non cambia nulla, esce una particella bicarbonato e ne entra una cloruro. Questo meccanismo funziona tutte le volte che cambia la concentrazione di CO2 e mantiene l’equilibrio elettrico e osmotico del globulo rosso. Un 85% dell’anidride carbonica che entra nel capillare, entra nel globulo rosso, viene convertita in bicarbonato e ioni idrogeno, il bicarbonato viene scambiato con gli ioni cloruro e lo ione idrogeno si lega all’emoglobina facilitando il rilascio dell’ossigeno. Una percentuale della CO2 si lega all’emoglobina che determina uno spostamento della curva di saturazione dell’emoglobina a destra, e quindi una perdita di affinità dell’emoglobina per l’ossigeno. La CO2 NON si lega al sito di legame per l’ossigeno (ferro dell’EME). Si lega alla parte proteica dell’emoglobina ad un aminoacido in particolare nel suo gruppo NH2. È quindi un aminoacido che presenta 2 gruppi NH2 e uno lo tiene libero per il legame con la CO2 formando un legame carboamidico. Il monossido di carbonio (CO), invece, si lega proprio al sito di legame per l’ossigeno nell’EME. Si forma nelle combustioni in carenza di ossigeno, ad esempio una stufa intasata. Quindi è un gas mortale. Si lega al ferro ferroso dell’EME con un’affinità molto maggiore dell’ossigeno quindi non si stacca più. Capillari alveolari: qui succede tutto il contrario. Qui la CO2 se ne va, all’interno del globulo rosso diminuisce la concentrazione di CO2 quindi succede che la reazione l’acido carbonico ad opera sempre dell’anidrasi carbonica, diventa CO2 e H2O, e la CO2 esce. Ma se diminuisce l’acido carbonico il bicarbonato all’interno del globulo rosso si associa con gli ioni idrogeno formando acido carbonico. E se diminuisce la concentrazione di bicarbonato, questo viene richiamato dal plasma all’interno del globulo rosso sempre con il meccanismo bicarbonato- cloruro in senso inverso. Nel capillare polmonare lo ione idrogeno si riassocia al bicarbonato formando acido carbonico che forma CO2 che se ne va. Stessa cosa per la CO2 legata all’emoglobina, si stacca. Questo fa si che l’emoglobina passando all’interno del capillare alveolare aumenti la sua affinità per l’ossigeno e quindi con maggiore avidità l’emoglobina riesce a catturare ossigeno dalla cavità alveolare. L’ossigeno legato all’emoglobina diminuisce la capacità della stessa di trasportare CO2. Induce un cambiamento conformazionale nella parte proteica dell’emoglobina per cui l’affinità per la CO2 diventa minore. QUOZIENTE RESPIRATORIO Quando il sangue passa nel capillare alveolare, assume una quantità di ossigeno e cede all’aria alveolare una quantità circa uguale di CO2. Per formare una molecola di anidride carbonica se uso glucosio mi serve un atomo di ossigeno, se invece uso un acido grasso ho bisogno di una molecola di ossigeno. Il quoziente respiratorio è un indice che si misura con la spirometria qualitativa ed è dato dalla quantità di CO2 che si produce nell’unita di tempo / la quantità di ossigeno che si ha assunto nello stesso quantitativo di tempo. Dato che se uso un carboidrato per formare CO2 ci vuole meno ossigeno e se uso un acido grasso ci vuole più ossigeno, comporta che questo rapporto cambia a seconda del tipo di substrato che si sta usando in quel momento. Con i carboidrati il quoziente respiratorio è quasi 1, con il substrato lipidico il quoziente è più basso, intorno allo 0,7. Se quindi si misura il quoziente respiratorio di un individuo in un certo momento si può capire che tipo di substrati energetici sta usando in quel momento. Se usa proteine il quoziente respiratorio è intermedio, circa 0,8. Equazione di Henderson-Hasselbalch: Siccome la CO2 si converte in acido carbonico che poi si dissocia liberando ioni H+, ci deve essere una relazione tra concentrazione di CO2 e concentrazione di ioni H+. Quindi tra concentrazioni di CO2 e PH (inverso del logaritmo di base 10 della concentrazioni di ioni H+). C’è una relazione matematica, l’equazione di HendersonHasselbalch. pH = pK + log [HCO3−] [CO2] Dove: - pK: costante - [HCO3]: concentrazione - [CO2]: concentrazione Sostituendo la concentrazione di CO2 e bicarbonato e avendo la costante di 6,1 , questa formula da come risultato il pH= 7,4. Questo è il valore fisiologico di pH del liquido extracellulare. Importante perché mette la relazione tra pH e CO2. CONTROLLO DEL RESPIRO Sia volontaria che involontaria. Il diaframma è innervato dal nervo frenico, che origina da segmenti cervicali e i muscoli intercostali sono innervati da nervi del tratto toracico del midollo spinale. Tutti questi muscoli sono striati e hanno una innervazione data da motoneuroni alfa che si trovano nel midollo spinale. C’è un centro respiratorio che si trova nel bulbo, sotto il pavimento del quarto ventricolo dove ci sono neuroni che generano il ritmo respiratorio. Questi neuroni sono connessi tramite neuroni discendenti. La genesi del ritmo respiratorio viene fatta nel centro respiratorio dove si trovano sia neuroni espiratori che neuroni inspiratori. Oltre questo centro respiratorio bulbare ci sono 2 centri pontini, che si trovano nel ponte, che sono il centro apneustico e il centro pneumotassico. Questi sono connessi con il centro respiratorio bulbare, inviano neuroni che vanno a modulare l’attività del centro respiratorio bulbare. Il cento respiratorio bulbare invia attraverso degli assoni delle informazioni ai centri pontini. Il centro respiratori bulbare ha una sua autonomia, se si tolgono le connessioni tra centri pontini e contro bulbare il secondo continua a generale l’attività ritmica di attivazione dei neuroni ispiratori e neuroni espiratori. C’è quindi un andamento autonomo generato dal centro respiratorio. Il centro respiratorio sconnesso dai centri pontini continua a funzionare ma ad una frequenza molto molto bassa, 2/3 atti al minuti. Quindi i centri pontini sono dei regolatori della funzione del centro respiratori, ma di per se non sono loro che generano il ritmo respiratorio. Il centro apneustico si chiama cosi, apneustico = senza respiro, perché se si stimola, la respirazione si blocca in fase si completa ispirazione. Dal centro respiratori partono dei fasci di assoni che scendono nel midollo spinale e contattano sinapticamente i motoneuroni che innervano i muscoli respiratori. Questi motoneuroni si trovano per il diaframma più in alto, nella parte cervicale e per gli intercostali si trovano nella parte toracica. Questa disposizione anatomica ci permette di capire perché è cosi grave da essere mortale la lezione del midollo spinale a livello cervicale. Questo dice che i motoneuroni non hanno nessuna autonomia, ma trasmettono informazioni, se si interrompono le comunicazioni la respirazione termina. L’ispirazione avviene per contrazione del diaframma e intercostale esterni e l’espirazione è una fase a riposo passivo dovuto alle forze interno del polmone (elasticità e tensione superficiale). Durante la fase di inspirazione abbiamo una attività crescente del nervo frenico. Nella prima parte dell’espirazione, quando il diaframma si rilascia, ho una progressiva diminuzione dell’attività elettrica del nervo frenico, e nell’ultima fase in cui non c’è nessuna contrazione di nessun muscolo ho il silenzio del nervo frenico. Questo nervo ha un andamento oscillatorio, quindi c’è un feedback negativo. Livelli di retroazione che generano andamento ciclico: questi livelli si sovrappongono l’uno all’altro - Intracellulare: canali Ca2+, K+ca. - Intercellulare centrale: inibizione reciproca - Periferico: riflesso di Hering Breuer Intracellulare: avviene all’interno di cellule. Queste cellule sono i neuroni del centro respiratorio bulbare capaci di creare ritmicamente scariche di potenziali d’azione nella membrana ci sono canali che nell’insieme costituiscono una retroazione negativa: 1. La membrana si depolarizza; 2. Determina l’apertura di canali del calcio a voltaggio dipendenti. 3. Il calcio entra per gradiente elettrochimico; 4. Si aprono i canali del calcio a potassio dipendenti 5. Il potassio esce per gradiente elettrochimico 6. Questo determina una iperpolarizzazione, in quanto il potassio porta cariche positive all’esterno 7. Questa determina la chiusa dei canali del calcio a voltaggio dipendente 8. Il calcio non entra più e viene eliminato dai vari meccanismi di eliminazione 9. Diminuisce il calcio citosolico 10.Questo porta alla chiusura dei canali di potassio a calcio dipendenti 11.Questo determina depolarizzazione, non vien più mantenuta l’iperpolarizzazione perché diminuisce la permeabilità al potassio. Se ci sono canali funny il sistema diventa ancora più efficiente. All’interno di alcun neuroni del centro respiratori bulbare c’è questa attività ritmica dovuti alla presenza di questi canali che generano una retroazione negativa. Intercelllare: dato dalle interazioni che ci sono fra i diversi tipi di neuroni del centro respiratorio e alle interazioni che ci sono fra i neuroni del centro respiratorio e i neuroni dei centri pontini. Sono interazioni sinaptiche, alcune eccitatori e alcune inibitorie che determinano la creazione di ulteriori retroazioni negative che generano comportamenti oscillatori. Nel centro respiratorio bulbare i neuroni inspiratori hanno una azione inibitoria sui neuroni eccitatori e i neuroni eccitatori hanno una azione inibitoria sui neuroni ispiratori. Questo è bene che sia cosi, non devono essere attivi entrambi contemporaneamente. Sono reciprocamente inibiti. Questa doppia inibizione però non crea una retroazione negativa, abbiamo bisogno di altri neuroni. Nel centro respiratori bulbare non sono presenti solo neuroni ispiratori ed espiratori, ma ci sono altri neuroni, come neuroni ispiratori precoci, tardivi post-ispiratori e pre-ispiratori. Questi tipi di neuroni sono fra loro connessi con retroazione negativa. Periferico: comporta l’attivazione di recettori che si trovano all’interno del polmone sono recettori (terminazioni nervose) di stiramento, che si attivano quando il polmone viene dilatato, durante quindi ispirazione. Attraverso fibre afferenti va la midollo spinale la scarica di potenziali d’azione e questo da qui salgono degli assoni a centro respiratorio bulbare sui neuroni ispiratori inibendoli. Di conseguenza, inibendoli, non attivano più il nervo frenico e non si contrae più il diaframma e si passa alla fase si espirazione nella quali i recettori di tensione polmonare non vengono più attivati. Questo si chiama riflesso di Hering-Breuer. Si attiva a livelli molto alti di espansone del polmone. Si attiva quindi in ispirazione estrema, quindi non si attivano il condizioni di riposo. È un meccanismo di sicurezza perché il rischio sarebbe di attivare fortemente i neuroni ispirazioni tanto da bloccarsi in completa ispirazione e non si riesce a passare alla fase espiratoria. VARIAZIONI DEL RITMO DURANTE IL SONNO Nel sonno non-REM si verifica inibizione bubare, che causa aumento di CO2 ematica e diminuzione del pH. Nel sonno REM il ritmo respiratorio diventa più irregolare e la saturazione di O2 può diminuire. Nel sonno REM si verifica inibizione del circuito gamma. Poiché la contrazione dei muscoli intercostali esterni avviene principalmente per attivazione gamma, la mancata attivazione può portare alla diminuzione paradossale delle dimensioni altero-posteriore e laterolaterale della gabbia toracica durante inspirazione. Nel neonato, dove la gabbia toracica è particolarmente elastica, può portare a una drammatica diminuzione della ventilazione alveolare. CENTRO VOLONTARIO DEL RITMO Il controllo volontario ha sede nella corteccia. C’è una via che dalla corteccia va al centro respiratorio che può attivarlo o inibirlo. Alterazioni del ritmo di origine bulbare si verificano anche durante la deglutizione e la fonazione o quando la respirazione è finalizzata a scopi diversi, come suonare uno strumento a fiato. Altre condizioni che alterano il ritmo sono: - Aumento di temperatura: aumenta - Ipotermia: aumenta - Iperestensione arteriosa: diminuisce RIFLESSI DI PROTEZIONE Quando entra qualcosa nelle vie respiratorie c’è una alterazione del ritmo respiratorio che provoca tosse e starnuto. Sono attivati da recettori meccanismi e chimici nelle vie respiratore. CONTROLLO CHIMICO DEL RESPIRO La funzione del centro respiratorio può essere modificata da cambiamenti della concentrazione chimica di alcuni soluti del liquido extracellulare, in sostanza del sangue, che vanno a modificare la ventilazione alveolare, quanto è il ricambio dell’aria alveolare. La ventilazione polmonare è la quantità di aria totale che si introduce in un minuto (volume corrente per atti respiratori in 1 minuto), la ventilazione alveolare è più preciso perché non tutta la quantità di aria che si inspira arriva fino ai ventricoli (spazio morto anatomico). Ci sono 3 soluti del sangue la cui concentrazione va a modificare la ventilazione alveolare agendo direttamente o indirettamente sui meccanismi che influenzano il centro respiratorio. Questi 3 soluti sono: - Ossigeno: quota di ossigeno fisicamente disciolta. - CO2: quota fisicamente disciolta - Ioni H+ Nell’adeguamento della ventilazione alveolare alle esigenze metaboliche di questi 3 parametri, quello fondamentale, o quello che interviene prima, più facilmente, è la pressione parziale della CO2 nel sangue arterioso. Anche la carenza di ossigeno influenza la ventilazione alveolare ma è necessario arrivare a livelli di ipossiemia molto importanti. Il fatto che ci sia più sensibilità nella CO2 sta nel fatto che la saturazione di ossigeno non cambia tanto al variare della pressione parziale, in quanto sta nella “parte piatta” della curva sigmoide dell’associazione dell’ossigeno dall’emoglobina. Mentre per quanto riguarda la CO2, una variazione della sua pressione parziale provoca a una variazione significativa di saturazione di CO2. La variazione della concentrazione di CO2 provoca un cambiamento anche del pH perché sono in relazione. Quindi si riflette sulla possibilità di eliminazione di CO2 dai tessuti. Un piccolo aumento di CO2 nel sangue arterioso va a determinare un grosso aumento di ventilazione alveolare. A valori di pH fisiologico (7,4) si ha una piccola variazione della ventilazione alveolare ma se si va in acidosi profonda, abbassamento grosso del pH (sotto 7,3) aumenta la ventilazione alveolare. Di conseguenza viene eliminata una quantità maggiore di CO2 anche gli ioni idrogeno diminuiscono e il pH risale. Questo perché si riforma acido carbonico che riforma CO2 e H2O. Meccanismi per cui un aumento di CO2, una diminuzione di O2 e pH aumentano la ventilazione alveolare: sono di 2 tipi, periferici e centrali. Quelli periferici vengono messi in moto da periferia rispetto al sistema nervoso centrale dove sta il centro respiratorio (tronco encefalico). Quelli centrali invece si originano all’indentro del bulbo, all’interno del centro respiratorio. Meccanismo periferico: si origina da chemiocettori (recettori di sostanze chimiche) che si trovano più o meno nelle stesse localizzazioni dei barocettori (non a caso, in quanto origine della circolazione sistemica) presenti nell’arco aortico e all’inizio della coronide interna. Questi sono sensibili ad un aumento di CO2 nel sangue, una diminuzione di ossigeno e una diminuzione di pH (quindi aumento di ioni H+). Ipossiemia, ipercapnia e acidosi. Le cellule chemiorerecettori vengono depolarizzate da questi 3 fattori. I meccanismi sono diversi tra loro. Abbiamo comunque è una depolarizzazione di queste cellule che formano sinapsi con terminazioni nervose del nono nervo cranico e questo porta al bulbo i potenziali d’azione generati da queste cellule. Questi potenziali d’azione stimolano i neuroni respiratori nel centro respiratorio bulbare andando quindi ad aumentare l’inspirazione. Meccanismo centrale: è situato dentro il centro respiratorio e qui, fra i neuroni che costituiscono il centro, ci sono neuroni che si trovano vicino al pavimento del 4 ventricolo che sono sensibili alla concentrazione di ioni H+. La loro membrana viene depolarizzata quando aumenta la concentrazione di ioni H+. La parete dei capillari cerebrali è impermeabile agli ioni idrogeno in quanto c’è una barriera ematoencefalica, intorno a capillare ci sono dendriti, prolungamenti, altre cellule che tappano le vie di passaggio dei capillari, le comunicazioni sono molto controllate da trasportatori specifici e non sono presenti trasportatori di ioni H+. Tutto l’endotelio non è molto permeabile agli ioni idrogeno, il passaggio avviene molto difficilmente. Quando nel capillare aumenta la concentrazione di CO2, questa esce dal capillare, passa dalla parete ematoencefalica, e va a finire nel liquido cefalorachidiano dove si trova l’anidrasi carbonica. Questa fa reagire la CO2 con l’acqua formando acido carbonico che spontaneamente di dissocia in H+ e HCO3-. I neuroni del centro respiratorio vengono attivati, depolarizzata, portati alla soglia d’innesco del potenziale d’azione da un aumento di ioni H+ nel liquido cefalorachidiano. Diminuisce il pH, si è in acidosi per una attività fisica intensa in quanto si producono molto cataboliti e acidi. Attraverso questi 2 meccanismi si va ad aumentare la ventilazione alveolare, questa determina una aumentata eliminazione di CO2, e quindi una diminuzione di ioni H+ e il pH tende ad aumentare. Se si elimina una quantità maggiore di CO2, quella che rimane è inferiore, nella relazione Henderson-Hasselbalch diminuisce il denominatore [concentrazione CO2], e di conseguenza il pH aumenta. Stessa cosa si ottiene iperventilando volontariamente. La ventilazione alveolare aumenta con l’aumento dell’intensità dell’esercizio. Aumenta per acidosi, ipossiemia, ipercapnia, ma nessuno di questi 3 fattosi può da solo determinare l’iperventilazione che si ottiene durante l’esercizio o per iperventilazione volontaria. Ci sono 2 fasi nell’iperventilazione durante l’attività fisica. Quando si inizia l’attività fisica o anche subito prima si comincia a iperventilare. Questo vuol dire che non può essere aumentata la CO2 o abbassato l’ossigeno nel sangue e il pH. Questo indica il fatto che la prima iperventilazione viene determinata non da fattori chimici ma dall’attivazione nervosa che proviene dalla corteccia. Questi possono essere considerati meccanismi di feedforward. Poi durante l’attività fisica partono i meccanismi di feedback che vanno a regolare la ventilazione alveolare in base alle mie esigenze metaboliche. FUNZIONE RENALE FUNZIONI DEL RENE Il rene è un organo tipicamente omeostatico. Le sue funzioni sono: - Eliminazione di cataboliti: l’urea che è un catabolita, prodotto del catabolismo di aminoacidi, eliminato con l’urina. - Omeostasi idrica (osmolarità e volume totale): osmolarità del rapporto fra acqua e soluti e del volume di acqua nel corpo. - Regolazione del pH: blocco renale significa che nelle ore successive al blocco, il pH si trova in acidosi, in modo tale che sia incompatibile con la vita. Fondamentale nel mantenimento del pH, omeostasi degli ioni idrogeno. - Omeostasi degli ioni: ioni H+ e altri la cui concentrazione viene mantenuta corretta come il sodio, il potassio, calcio ecc. - Funzione endocrina (renina-angiotensina; eritropoietina; calcitriolo): secrezione di ormoni. A parte la renina le altre funzioni endocrine non sono collegate alle funzioni osmotiche del rene. Fasi della funzione renale: - Filtrazione glomerulare: preparazione di una grande quantità di liquido (chiamato filtrato o ultrafiltrato), che è un liquido molto simile al plasma. - Riassorbimento e secrezione tubulare: elaborazione di questo liquido attraverso processi di riassorbimento (soluti e solventi) e aggiunta di altri soluti. Alcuni soluti vengono riassorbiti completamente e altri in parte. La soluzione finale è l’urina. Avvengono in sequenza, prima la filtrazione e poi il riassorbimento. Il liquido prodotto dal filtraggio è simile al plasma tranne per un fattore, ovvero la concentrazione minima, quasi nulla di proteine. Questo prodotto viene profondamente e rielaborato con processi di riassorbimento e aggiunta di soluti. L’urina prodotta al giorno è circa 1,5 L. Di filtrato al giorno se ne producono circa 180 L. Il 99% del liquido quindi è stato riassorbito, l’acqua. Riaspetto al filtraggio, nell’urina è rimasto il: - 0,6% di acqua - 0,5% di sodio - 5-50% di potassio - 0,3-8,0% di calcio - 0,02% di bicarbonato - 0,0-0,1% di glucosio (viene tutto riassorbito) - 3,3% di proteine - 47-67% urea - 3000% di idrogeno: 30 volte maggiori nell’urina rispetto al filtrato. Vengono quindi aggiunti in grande quantità. Anatomia funzionale: L’Unità funzionale del rene si chiama nefrone. I reni sono 2 e si trovano nella parte alta posteriore della cavità addominale. Hanno una forma di fagiolo con una parte concava e una convessa. La parte concava si chiama ilo, da qui entra l’arteria renale e i nervi, escono i vasi linfatici e la vena renale ed esce anche l’uretere. L’uretere è un lungo tubo la cui parete ha una natura muscolare liscia rivestita all’interno da epitelio, attraversa tutta la cavità addominale e arriva fino alla vescica. La vescica è un organo cavo la cui parete è di natura muscolare liscia, e da essa esce un altro tubo che è l’uretra che esce all’esterno. Nella donna l’uretra sbocca da sola, non il confluenza di altri tubi. Nell’uomo l’uretra confluisce con la via di espulsione dello sperma. Ricevono il sangue dall’arteria renale che entra nel rene, è un ramo dell’aorta addominale e il sangue esce nella vena renale che si getta direttamente nella vena cava inferiore. È formato da una parte corticale esterna e una interna midollare. La parte midollare è divisa in piramidi, le piramidi renali, che hanno un vertice in strutture tubulari molto corte che confluiscono in una cisterna che sta al centro del rene che è la pelvi renale. CIRCOLAZIONE RENALE L’arteria renale entra nell’ilo. È una arteria molto grossa, il 20% del totale della gittata cardiaca va a finire nel rene. Qui l’arteria si divide in rami che entrano nella midollare fra una piramide renale e l’altra. Questi rami si chiamano arterie interlobari perché le piramidi renali si chiamano anche lobi del rene. Al confine fra corticale e midollare l’arteria interlobare piega a 90° e percorre la superficie di base della piramide, quindi il confine tra corticale e midollare. L’arteria che percorre la base si chiama archiforme. Da queste arterie partono delle arterie più piccole, rami, che salgono nella corticale, dividendola in tanti settori, lobuli, divisi quindi da arterie interlobulari. Dalle arterie interlobulari si staccano arteriole che si chiamano arteriole afferenti che portano sangue ad un gomitolo di capillari che si chiama glomerulo renale, nella corticale del rene. Solo in questo punto dell’organismo, succede che la rete di capillari invece di riunirsi in venule, si riunisce in una arteriola. Viene chiamata rete mirabile. L’arteriola che esce dal glomerulo renale prende il nome di arteriole efferente. Hanno una grossa capacità contrattile. L’arteriola efferente forma una rete di capillari verso la zona midollare creando una seconda rete capillare che si riuniscono in venule che sboccano in vene archiforme che si riuniscono in vene interlobari che sboccano nella vena renale. Il glomerulo è circondato di una struttura che si chiama capsula di Bowman. L’insieme della capsula di Bowman e del glomerulo forma il corpuscolo renale. Questa è una struttura doppia di una membrana strutturata come la pleura, c’è un foglietto che riveste la capsula di Bowman (viscerale) e un foglietto esterno (parietale). Ognuno si riflette nell’altro. Tra i 2 foglietti c’è uno spazio dove si raccoglie il filtrato glomerulare. Dal foglietto parietale della capsula di Bowman si forma un tubo che ha un andamento sinuoso, che si chiama tubulo contorto prossimale, che va verso la midollare ed entra in modo rettilineo. Da qui forma una U un’ansa, per poi tornare verso l’alto. Questa struttura a U si chiama ansa di Henle. Il braccio ascendente dell’ansa di Henle ha un primo tratto sottile dove anche l’epitelio è piatto, sottile, e poi ad un certo punto diventa una parete molto spessa a causa dell’ispessimento della parete dell’endotelio. Torna quindi nella corticale dove riprende l’andamento sinuoso, a questo punto si chiama tubulo contorto distale. il tubulo contorto distale, nel suo percorso, torna vicino al corpuscolo renale da cui è nato quel tubulo stesso. Ritorna vicino a cavallo fra arteriola afferente e arteriola efferente. Tanti di questi tubuli si gettano poi in un tubulo più grosso, chiamato dotto collettore che torna nella midollare e sbocca nella pelvi renale, per poi prendere la via dell’uretere. L’arteriola afferente è più grossa di quella efferente. Il foglietto viscerale è fatto di podociti che hanno un corpo cellulare e dei prolungamenti lunghi che danno origine a dei rami a loro volta ramificati per finire in piedini terminali, pedicelli. Il risultato è che questi rami si intrecciano l’uno con l’altro formando una struttura che ha tanti spazi intercellulari ma non ci sono spazi vuoti. I piedi sono intersecati l’uno con l’altro. Tutto il capillare è rivestito da questo intrecciamento di piedi. L’endotelio è di tipo fenestrato si formano dei pori piuttosto grandi che lasciano passare molecole piuttosto grandi come gli spazi tra i podociti. Quello che è più fitto è la lamina basale, fatta da proteine. Il nefrone è l’unità funzionale del rene, che è data da il glomerulo, la capsula di Bowman e tutto l’insieme di tubuli che seguono (tubulo contorno prossimale, ansa di Henle, tubulo contorno distale e dotto collettore). Il dotto collettore è condiviso con altri nefroni. Qui distinguiamo una parte vascolare, il glomerulo e una parte urinifera, la parte dove si forma l’urina. L’arteriola efferente si divide in una rete di capillari che circonda i tubuli renali, capillari peritubulari. Raccolgono ciò che esce dai tubuli renali. Da questi capillari peritubulari si originano dei capillari estremamente lunghi che vanno in profondità nella midollare, seguono il percorso delle anse di Henle. Anche loro hanno una struttura ad ansa. Essendo paralleli alla rete capillare peritubulari, ci passa poco sangue. Si chiamano vasa recta. All’interno del glomerulo troviamo capillari e delle cellule che stanno intorno ai capillari che si chiamano cellule del Mesangio (angios nome greco per indicare i vasi sanguigni, mesos in mezzo), stanno in mezzo ai capillari glomerulari. Hanno capacità contrattili che circondano il capillare e hanno la capacità di ridurre il diametro del capillare, e quindi la superficie laterale. Il tubulo contorno distale passa aderente alla parete dell’arteriola afferente. Nel punto di contatto tra le 2 strutture, le cellule epiteliali del tubulo contorto distale sono specializzate che si chiamano macula densa. Fuori dal tubulo contorto distale, sotto la macula densa si trovano altre cellule specializzate che stanno a ridosso della parete dell’arteriola. Queste cellule si chiamano cellule iuxtaglomerulari, simili a cellule del mesangio. Nel complesso, dato che questi 2 tipi di cellule formano una unità funzionale, lavorano insieme per una stessa funzione, abbiamo le caratteristiche per dire che in senso anatomico questo è un apparato, un insieme di organi (macula densa e cellule iuxtaglomerulari) che si chiama apparato iuxtaglomerulare. FILTRAZIONE GLOMERULARE Prima fase della funzione renale. Si forma in grandissima quantità. Una filtrazione è una separazione data da un filtro e una forza che spinge gli elementi da filtrare contro il filtro. Il materiale da filtrare è il sangue, composto da plasma e corpuscoli. Il filtro è dato da una struttura composta di 3 strati, la parete di capillari, la lamina basale e i podociti. Quello che determina e fa la differenza è la lamina basale, essendo il filtro a maglie più strette. Quello che non passa sono tutta la parte corpuscolata del sangue, globuli rossi, globuli bianchi, piastrine. Vengono trattenuti anche la maggior parte delle proteine plasmatiche, quindi quelle più grosse di 65000 Dalton. Questa è circa la dimensione delle albumine, tra le più piccole del plasma, che non passano, ma alcune tra le più piccole possono passare. Le proteine che passano in realtà non le ritroviamo nelle urine, il che vuol dire che vengono riassorbite. Nello spazio della capsula di Bowman troviamo quindi un liquido che è un plasma quasi privo di proteine. Tutti gli altri componenti come ioni, glucosio, aminoacidi ecc si ritrovano nel filtrato nella capsula di Bowman. Forze in gioco: nel meccanismo di filtrazione si considerano 2 tipo di pressioni, la pressione idrostatica e quella oncotica sia del sangue glomerulare e che nel filtrato della capsula. La pressione oncotica del plasma è 25 mmHg. La pressione oncotica del filtrato è praticamente 0 mmHg, proteine talmente poche si possono approssimare a 0. Ci sono quindi 25 mmHg che tendono a trattenere liquido all’interno dei capillari. La pressione idrostatica del plasma è circa di 50 mmHg, pressione doppia rispetto a quella di qualunque altro capillare. Il percorso del filtrato è lungo e attraverso tubulo molto spessi. Per Poiseuille questo genera un alto attrito nel passaggio. Quindi se la resistenza è alta e il flusso è dato dalla velocità di filtrazione, avremo un delta P tra la capsula e la pelvi renale (dove la pressione è 0) intorno ai 10-15 mmHg. La pressione idrostatica nel capillare spinge verso la filtrazione, spinge il liquido ad uscire. La pressione idrostatica nella capsula di Bowman spinge il liquido a rientrare nel capillari. La pressione oncotica all’interno del sangue dei capillari anch’essa tende a trattenere acqua nei capillari, anche questa si oppone la filtrazione. Facendo la differenza di tra pressione idrostatica del plasma - la pressione idrostatica del filtrato - la pressione oncotica del plasma, si ottiene un valore di 8-11 mmHg. Questa è la effettiva pressione di filtrazione. Questo valore non è molto alto ma se diminuisse sarebbe un grosso guaio perché il rene non funzionerebbe. Ci sono quindi meccanismi per controllare la pressione glomerulare. La pressione oncotica del sangue dei capillari glomerulare aumenta. Questo è dovuto al fatto che scorrendo lungo il capillare aumenta la concentrazione di proteine, queste vengono trattenute mentre l’acqua viene filtrata. Man mano che si procede lungo il capillare fa si che la concentrazione di proteine aumenti e quindi aumenta la pressione oncotica. Di conseguenza procedendo lungo il capillare la pressione di filtrazione diminuisce fino ad azzerarsi. Ai fini del filtrato la parte “buona” è la prima metà dei capillari. Il risultato di tutto questo è una riduzione enorme di liquido di filtrato che è di circa 150-200 L al giorno. Nel corpuscolo renale il plasma viene filtrato e assorbito quindi più e più volte al giorno. La velocità di filtrazione glomerulare è la quantità di filtrato che si forma nell’unità di tempo. È data da una costante data dalle caratteristiche della membrana filtrante per alla pressione di filtrazione per il flusso ematico renale GFR = K × R BF × PF Dove: - GFR: velocità di filtrazione glomerulare - K: costante - RBF: flusso ematico renale - PF: pressione di filtrazione Per regolare al punto giusto la velocità di filtrazione i sistemi di controllo possono agire sulla pressione di filtrazione e sul flusso ematico renale. Si può agire cambiando la resistenza che ogni canale (arteriola afferente, arteriola efferente e glomerulo) offre al sangue al suo passaggio. Se un vaso si restringe, la resistenza aumenta con una quarta potenza. Se si costringono tutte le arteriole afferenti dei reni, il sangue che arriva dall’arteria renale trova un’alta resistenza a quindi entra meno sangue nel rene. Diminuisce quindi il flusso ematico renale. Un’altra conseguenza è che nel glomerulo la pressione idrostatica dei capillari tende a diminuire. Diminuisce la velocità di filtrazione. Una costrizione della arteriola efferente fa aumentare le resistenze complessive del rene e del flusso ematico. Diminuisce il flusso renale, aumenta la resistenza della arteriola efferente aumenta il DeltaP tra il glomerulo e la circolazione venosa, quindi aumenta la pressione idrostatica all’interno del capillare glomerulare. Complessivamente i 2 effetti si compensano prevalendo l’aumento di pressione, la velocità di filtrazione di fatto aumenta. Si può agire anche nella resistenza della barriera filtrante. La costante è data dalla superficie di filtrazione e dalle caratteristiche della barriera filtrante. La superficie di filtrazione è la superficie di tutti i capillari glomerulari. Agendo su questa superficie di filtrazione si può modificare la velocità di filtrazione. Questa cosa viene fatta rimpicciolendo i capillari glomerulari. La restrizione è dovuta alle cellule del mesangio che contraendosi diminuiscono la superficie di filtrazione. Di conseguenza aumenta la resistenza della barriera di filtrazione. Se viene aumentata questa resistenza il sangue arrivato preferirà proseguire nella arteriola efferente piuttosto che essere filtrato. MECCANISMI DI CONTROLLO Sono: - Risposta miogenica - Feedback tubulo-glomerulare - Angiotensina II - Ortosimpatico - Volemia - Altri Risposta miogenica: meccanismo di risposta del muscolo liscio alla sua stessa distensione, quando viene tirato si aprono canali del calcio a controllo meccanico quindi il muscolo si contrare. Se c’è un aumento di pressione arteriosa, questo causa l’aumento di pressione nella arteriola afferente, la sua parete di distende, si aprono i canali di calcio a controllo meccanico, la parete muscolare liscia si contrae riducendone il diametro dell’arteriola. Di conseguenza c’è una riduzione del flusso ematico che comparta ad una diminuzione della pressione idrostatica. Una minore pressione ne consegue un allenamento delle pareti dei capillari. Diminuisce la velocità di filtrazione, e quindi c’è un risparmio di liquido. Feedback tubulo-glomerulare: sappiamo che il tubulo contorto distale nel suo percorso si trova ad un certo punto a cavallo tra le due arteriole. Qui c’è la specializzazione di 2 tipi di cellule, le cellule della macula densa per quanto riguarda la parete del tubulo, e le cellule iuxtaglomerulari per quelle che stanno tra il tubulo contorto distale e l’arteriola afferente. Insieme formano l’apparato iuxtaglomerulare. Nel tubulo contorto prossimale c’è un enorme assorbimento di sodio. Questo dipende dalla velocità di scorrimento del liquido nel tubulo contorto prossimale. Se il liquido scorre molto rapidamente c’è un minor riassorbimento di sodio, se invece scorre lentamente ne assorbe di più. La concentrazione di sodio nei tratti successivi del tubulo è quindi un indice diretto della velocità di filtrazione. Se aumenta la velocità filtrazione glomerulare, c’è un aumento di cloruro di sodio nel tubulo contorno distale in quanto meno assordito. Questo aumento di sodio e cloruro determina un aumento di cloruro nelle cellule della macula densa, dove entra. Se aumenta la concentrazione di cloruro avviene una depolarizzazione delle cellule della macula densa, diminuisce l’entrata di cloruro dentro la cellula, diminuendo la differenza di potenziale. La depolarizzazione determina una apertura dei canali del calcio a voltaggio dipendente. Il calcio entra e viene determinato un rilascio di adenosina, in quanto l’entrata di calcio determina esocitosi. L’adenosina è un agente fortemente vasodilatatore in quanto può agire su diversi tipi di recettori tutti accoppiati a proteina G ma i recettori di tipo I e di tipo II hanno funzioni opposte. Di tipo II attivano adenilato ciclasi con una funzione vasodilatatoria, i recettori di tipo I invece attivano una proteina G inibitoria che determina una inibizione della adenilato ciclasi, della cAMP e della PKA, di conseguenza si ha una vasocostrizione, in particolare nella arteriola afferente che presenta questi recettori. Vasocostrizione della arteriola afferente determina una diminuzione del flusso renale e quindi una diminuzione della velocità di filtrazione. Siamo partiti da un aumento della velocità di filtrazione e abbiamo concluso con una diminuzione della stessa. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. Aumento filtrazione Aumento di Na+ e Cl- nel tubulo contorto distale Aumento Cl- nelle cellule della mucosa densa Depolarizzazione della macula densa Aumento di calcio all’interno della macula densa Rilascio di adenosina Recettori A1 nel muscolo liscio dell’arteriola afferente Costrizione della arteriola afferente Diminuzione della velocita di filtrazione Angiotensina II: fa parte di un sistema ormonale è costituito da 2 proteine che sono la renina e l’angiotensina. La renina è prodotta dalle cellule dell’apparto iuxtaglomerulare e viene secreta all’interno dell’arteriola afferente. La renina non è un ormone, è un enzima proteolitico che agisce specificamente su una proteina che è una globulina plasmatica che si chiama angiotensinogeno, staccandoli un segmento di 10 aminoacidi dalla parte terminale, che si chiama angiotensina I. L’angiotensina I viene trasportata dal flusso ematico in tutto il corpo finchè non arriva ai capillari polmonari. L’endotelio di questi capillari polmonari presenta una proteina di membrana che è un enzima proteolitico che si chiama angiotensin converting enzime (ACE). Questo enzima ha un sito enzimatico rivolto verso l’esterno della cellula endoteliale, quindi verso il sangue. Quando passa l’angiotensina I, l’ACE la converte in angiotensina II staccando altri 2 aminoacidi. L’angiotensina II è un potente vasocostrittore (agisce su tutte le arteriole del corpo). Agisce su un recettore dell’angiotensina II che è un recettore a 7 passi accoppiato a proteina Gq che attivano il meccanismo della fosfolipasi C, va a idrolizzare un fosfolipide di membrana che è la fosfatidilinositolo 4,5, liberando nel citosol inositolo 1,4,5 trifosfato. Questo si lega ad un recettore del reticolo endoplasmatico, che è un recettore canale di calcio, che si apre facendo uscire calcio dal reticolo per gradiente di concentrazione. Il calcio va a legare alla calmodulina, questa si lega alla MLCK attivandola, questa fosforila di miosina nella catena leggera regolatrice e quindi determinando la contrazione del muscolo liscio. Determina quindi una vasocostrizione di tutte le arteriole quindi un aumento di pressione. La arteriola efferente risponde all’angiotensina II maggiormente rispetto a quella efferente, quindi si ha una vasocostrizione di questa arteriola, aumento di pressione idrostatica del capillare glomerulare e aumento della velocità di filtrazione. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Diminuzione filtrazione per bassa pressione di filtrazione o per ipotensione arteriosa Diminuito Na+ e Cl- alla macula densa Rilascio di renina dalle cellule iuxtaglomerulari Conversione di angiotensinogeno in angiotensina I Conversione di angiotensina I in angiotensina II Costrizione arteriola efferente Aumento della filtrazione La renina è rilasciata a causa di una diminuzione della pressione arteriosa, all’interno delle arteriole renali. L’altra condizione è la concentrazione di sodio nel tubulo contorno distale. La diminuzione di filtrazione può avvenire per diminuzione della pressione arteriosa generale o per uno dei fattori di controllo. Quando diminuisce la velocità di filtrazione, una quantità maggiore di sodio viene assorbita nel tubulo contorto prossimale e quindi ne rimane meno nei segmenti successivi del nefrone. Bassa concentrazione di sodo nel tubulo contorto distale che è indice di una diminuita velocità di filtrazione, determina un aumento di secrezione della renina che determina a sua volta una costrizione dell’arteriola efferente che determina la filtrazione. Ortosimpatico: una sua attivazione determina una diminuzione della velocità di filtrazione. Rilascia noradrenalina nelle parete delle arteriole che determina costrizione. Rispondono entrambe, diminuisce il diametro sia della arteriola afferente che efferente, diminuisce il flusso ematico renale perché aumenta la resistenza del rene al flusso ematico, senza variazione delle pressione glomerulare. C’è una grossa diminuzione del flusso ematico e quindi una diminuzione della velocità di filtrazione. Volemia: la volemia è il volume totale del sangue. 5/6 litri circa. Determina il valore della pressione idrostatica del sangue venosa e arteriosa. Circolo chiuso, più sangue c’è e più la pressione aumenta. Un aumento di volume del sangue non si distribuisce uniformemente nelle varie parti del sistema vascolare, ma la maggior parte si va a collocare nella parte venosa purché hanno una maggiore compliance, sono maggiormente dilatabili. Se il sangue vi accumulato nelle vene anche l’ultima parte della circolazione venosa, l’atrio destro, viene dilatata. La volemia quindi si legge nell’atrio destro (Riflesso di Bainbridge). Qui sono presenti delle cellule secernenti che sono cellule endocrine, cellule miocardiche dell’atrio destro che hanno una funzione endocrina. Secernano l’ormone peptide natriuretico atriale (ANP) quando c’è un aumento di volemia. Questo ormone ha diverse azioni, un’azione di aumento di eliminazione urinaria di sodio, funzione di vasodilatazione di tutto il corpo comprese le 2 arteriole (afferente ed efferente), aumentando cosi il flusso ematico renale, diminuiscono le resistenze, aumenta la velocità di filtrazione. Aumentando la velocità, viene filtrata una quantità maggiore di acqua e questo chiede il presupposto di eliminare con l’urina del liquido. Il peptide natriuretico atriale inibendo il riassorbimento di sodio fa si che quest’acqua rimane li, quindi fa si che ci sia una maggior formazione di urina e meno liquido nel sangue. ASSORBIMENTO Viene assorbito più del 99% di filtrato. La creatinina (catabolita della creatina) non viene quasi del tutto riassorbita. Il glucosio viene riassorbito completamente. Gli ioni idrogeno troviamo in quantità molto maggiore, di 30 volte nell’urina rispetto che nel filtrato. La distinzione tra corticale e midollare non è solo anatomica ma anche funzionale. L’ambiente extracellulare della corticale è un normale ambiente extracellulare, che ha i componenti del liquido extracellulare, ha la stessa osmolarità del sangue. Nella midollare abbiamo una osmolarità molto più grande che aumenta mano a man che si va nella profondità. La composizioni di soluti è la stessa qualitativamente ma quantitativamente no. L’iperosmolarità varia molto, che cresce tanto più tanto andiamo in profondità nella midollare. Nel tubulo contorto prossimale abbiamo un intensivo assorbimento di sodio dato dalla pompa sodio potassio. È un assorbimento fondamentale perché da questo derivano tuti gli altri. Il lavoro attivo della pompa sodio potassio mette in moto tutti gli altri assorbimenti, prima di tutto quello dell’acqua per osmosi (circa i 2/3 dell’assorbimento totale). Per un equilibrio elettrico assorbendo sodio viene assorbito anche il cloruro. Infine si assorbono una serie di molecole per trasporto attivo secondario dato dal gradiente di sodio creato dalla pompa sodio potassio. Questi sono sia in senso del riassorbimento (glucosio, aminoacidi, bicarbonato), sia nel senso della secrezione (ioni H+). Nell’ansa di Henle si distingue il braccio sottile discendente e quello sottile ascendente. Avviene un riassorbimento di acqua (che è sempre passivo per gradiente osmotico) e un po’ di ioni sodio e cloruro. Nel tratto spesso del braccio ascendente dell’ansa l’acqua non passa più, in quanto ne diventa completamente impermeabile, e avviene un riassorbimento potentissimo di sodio e cloruro. Qui la pompa sodio-potassio lavora tantissimo, consuma molto ATP. Nel tubulo contorto distale e dotto collettore la permeabilità all’acqua è variabile. Questa variabilità è controllata dall’ormone antidiuretico. Nel tubulo contorto distale riprendono assorbimenti di sodio e cloruro e altri assorbimenti come bicarbonato, calcio, fosfato e secrezioni di ioni idrogeno. Qui avvengono la maggior parte delle regolazioni fini, si rifinisce il giusto assorbimento dei vari componenti del filtrato, allo scopo di mantenere i vari aspetti delle concentrazioni dei vari componenti del liquido extracellulare. Nel dotto collettore continuano gli assorbimenti di sodio e cloruro, c’è la possibilità di assorbire urea e secrezione e assorbimento di ioni idrogeno. Le cellule epiteliali del tubulo contorto prossimale presentano microvilli, verso il lume, e molti grossi mitocondri il cui numero diminuisce man mano che si prosegue in questo tubulo. Il consumo di ATP ad opera della pompa sodio-potassio è elevato e maggiore nella prima parte del tubulo. Questo spiega l’elevato numero di mitocondri. L’orletto a spazzola aumenta l’efficienza di assorbimento in quanto il filtrato passa molto velocemente e c’è bisogno di una elevata superficie di contatto per assorbimento e secrezione. Nel braccio discendente e il braccio sottile ascendente l’epitelio è molto appiattito e composto da cellule povere di mitocondri e senza orletto a spazzola. Il metabolismo energetico e il lavoro della pompa sodio potassio è scarso. Gli scambi con il filtrato sono pochi e passivi dovuto alla mancanza di orletto a spazzola. Nella parte ascendente c’è un po’ più di mitocondri rispetto che alla fase discendente Nella parte spessa del braccio ascendente dell’ansa di Henle, le cellule diventano cilindriche con enormi mitocondri che riempiono tutto lo spazio della cellula. Questo indica che c’è un metabolismo attivissimo e una pompa sodio potassio attivissima. Neanche qua c’è l’orletto a spazzola perché lo scorrimento del flusso di liquido è molto più lento. Nel tubulo contorto distale ci sono cellule cubiche con molti mitocondri. Avviene un alto consumo di ATP. Nel dotto collettore si trovano cellule di 3 tipi. Sono diverse dal punto funzionale e non citologico. Poco consumo di ATP. Riassorbimento di acqua. Nella parte spessa del braccio ascendente, nel tubulo contorto distale e nel dotto collettore ci sono giunzioni intercellulari tra cellula e cellula epiteliale molto strette e aderenti che non lasciano il passaggio alle molecole d’acqua. Il riassorbimento di acqua è detto obbligatorio per il tubulo contorto prossimale e facoltativo per il tubulo contorto distale e il dotto collettore. Gli obbligatori avvengono a prescindere dal bisogno di acqua dell’organismo. Il riassorbimento facoltativo invece avviene a seconda del bisogno di trattenere o eliminare acqua da parte dell’organismo. RIASSORBIMENTO DEL SODIO Premessa: Origine delle proteine di membrana: Le proteine si formano tutte dai ribosomi che traducono il messaggio dell’mRNA a partire dal DNA. Ci sono 2 localizzazioni di ribosomi, alcuni liberi e altri legati al reticolo endoplasmatico rugoso. Quelli liberi formano la proteina che quando si stacca va nel citosol. Le proteine sintetizzate dai ribosomi del reticolo endoplasmatico rugoso vengono iniettate man mano che si allunga la catena all’interno del reticolo stesso con la parte idrofoba incastrata all’interno della membrana del reticolo. A questo punto nel reticolo vengono elaborate, si formano per gemmazione delle vescicole rivestite di membrana del reticolo con le proteine legate che va a finire a fondersi con l’apparato di Golgi dove qui le proteine vengono ulteriormente elaborate. Nascono per gemmazione delle vescicole che ci vanno a fondersi per esocitosi con la membrana plasmatica. Quindi queste proteine legate alla gemmazione diventano proteine di membrana. Epitelio polarizzato: un epitelio polarizzato è un epitelio in cui c’è un trasferimento di una sostanza da un a parte all’altra. Polarizzato perché la membrana apicale, quella che guarda verso il lume del tubulo, è diversa da quella basolaterale. Sono diverse nella composizione proteica, hanno diverse proteine di membrana. Un problema sta nella formazione di queste membrane diverse. Le vescicole generate dall’apparato di Golgi vengono indirizzate ad un sistema complesso che comprende binari di citoscheletro in un punto preciso in cui devono essere fuse. A seconda delle proteine di membrana queste vescicole sono destinate a fondersi con la membrana apicale o con quella basolaterale. Questo spiega la diversità di queste 2 membrane. Un altro problema è dato dal fatto che le proteine si spostano lungo la membrana quindi tenderebbero a mescolarsi. Ciò che le mantiene separate in 2 membrane distinte sono delle giunzioni, delle tight junction tra una cellula e l’altra. Questo fra una barriera tutta intorno della cellula che impedisce la migrazione di altre proteine da una parte all’altra. Dal punto di vista funzionale questo è un epitelio polarizzato, quindi la membrana apicale è diversa da quella basolaterale. Riassorbimento del sodio: avviene perché nella membrana basolaterale sono presenti tante copie della pompa sodio potassio. Questa pompa porta all’esterno 3 ioni sodio e all’interno 2 ioni potassio per ogni molecola di ATP idrolizzata. Quindi prende il sodio e lo porta fuori, dove entra nei vasi sanguigni che lo porta via. Si impoverisce quindi di sodio. Il potassio entra ma in questa membrana ci sono anche canali del potassio sempre aperti che li fa riuscire in parte. La concentrazione di sodio intracellulare bassa determina che, a differenza del filtrato, la concentrazione di sodio intracellulare è molto più bassa. Di conseguenza nella membrana apicale si scaturisce un gradiente di concentrazione elettrochimico che fa entrare il sodio che viene preso dalla pompa; è tirato fuori dall’altra parte. Dal filtrato il sodio entra attraverso canali del sodio sempre aperti. Ci sono anche altre vie, che sono meccanismi di cotrasporto, accoppiano l’entrata di sodio secondo gradiente elettrochimico con entrata o uscita di qualcos’altro (simporto o antiporto). Per esempio c’è un meccanismo di simporto sodio cloruro che usando il gradiente del sodo fa entrar forzatamente il cloro dento la cellula. C’è anche un cotrasportatore sodio glucosio che fa entrare anche il glucosio. Di questi canali ce ne sono talmente tanti che nel primo tratto viene riassorbito tutto il glucosio. Altri sono cotrasportatori sodio aminoacidi (di tanti tipi diversi). C’è anche un importante meccanismo di antiporto sodio - ione H+, fa entrare sodio secondo gradiente di potenziale elettrochimico che determina l’uscita forzata (trasporto attivo secondario) di ioni idrogeno. Le particelle ioni eccetera che sono entrate nella cellula passano attraverso la membrana basolaterale secondo gradiente, quindi passivamente, in uscita. Entrano dai capillari nel sangue. Tutto dipende dal sodio, dal suo gradiente creato dalla pompa del sodio potassio che si trova esclusivamente nella membrana basolaterale. La concentrazione di sodio rimane perfettamente costante (o minima diminuzione) lungo tutto il tubulo prossimale. Questo vuol dire che per ogni sodio che è stato riassorbito è stato riassorbita anche una quantità proporzionale di acqua. Altri soluti diminuiscono la concentrazione, come fosfato bicarbonato, glucosio e lattato (questi ultimi 2 vengono completamente riassorbiti). Aumenta la sua concentrazione invece il cloro. Questo vuol dire che non viene riassorbito con la stessa quantità di acqua, viene riassorbito ma una parte scappa via e si ritrova nel tubulo. Essendo però diminuita l’acqua la sua concentrazione aumenta. Più solvente che soluto viene riassorbito. 2/3 di acqua e di sodio vengono qui riassorbiti. Alla fine del tubulo contorto prossimale si cono riassorbiti circa 120 L al giorno di acqua. Il sodio viene assorbito con la dieta, sodio presente nei liquidi extracellulari. Viene anche aggiunto col sale da cucina. Circa 120 mmol al giorno. Questo va nell’intestino dove viene quasi interamente assorbito, solo 5-10 mmol li perdiamo con le feci. Una piccola parte del sodio viene persa con la pelle, anche dal sudore 10-15 mmol. Nell’urina in un giorno ne troviamo circa 100 mmol. A questo punto abbiamo pareggiato il bilancio. Alla fine quasi tutto il sodio filtrato viene riassorbito per mantenere la quantità totale di sodio e quindi anche la sua concentrazione nel liquido extracellulare. È importante mantenerla per la polarizzazione di membrana, per permette di dar vita ai meccanismi di trasporto attivi secondari, per mantenere l’osmolarità (se il sodio extracellulare diminuisce, l’acqua entra nella cellula per osmosi gonfiandola e viceversa). La quantità che ingerisco di sodio deve essere eliminata con l’urina. Nell’ansa di Henle, nel braccio discendente e nel braccio ascendente sottile ci sono dei piccoli canali di sodio secondo gradiente di concentrazione, niente di attivo. Nel tratto spesso, invece, del tratto accendete dell’ansa abbiamo un altro elevato riassorbimento di sodio che avviene per la presenza di una pompa sodio potassio nella membrane basolaterale. Queso epitelio è assolutamente impermeabile all’acqua. Il riassorbimento del sodio quindi non può essere accompagnato al riassorbimento di acqua. Di conseguenza il riassorbimento di soluti fa diminuire la sua concentrazione dentro al tubulo e aumentare fuori. La pompa sodio potassio crea un gradiente tra liquido tubulare e citosol della cellula che porta il sodio ad entrare. La principale via di entrata è il cotrasportatore che trasporta un sodio, un potassio e 2 ioni cloruro. Se non sono presenti tutti e 4, l’entrata non funziona. Questo fa si che il sodio non si accumuli nella cellula perché è già pompato all’esterno dalla pompa, ma potassio e cloro si accumulano. A questo punto, questi escono dalla membrana basolaterale attraverso vari meccanismi (principalmente canali ionici). Il risultato di tutto questo è che questo epitelio del braccio spesso del tratto ascendente riassorbe una quantità enorme di sodio, potassio e cloruro. Qui è presente il meccanismo di antiporto sodio idrogeno. Nel tubulo contorto distale le cose sono simili al tratto spesso ascendente dell’ansa con 2 differenze. Anche qui è presente la pompa sodio potassio ma invece del cotrasportatore sodiopotassio-2 cloro, c’è un altro cotrasportatore che è il sodio-cloruro. Le cariche elettriche si bilanciano. Non viene quindi riassorbito potassio, prima differenza. La seconda differenza è che questo epitelio ha una permeabilità variabile dell’acqua a seconda del bisogno. Nel dotto collettore ci sono sempre pompa sodio potassio nella membrana basolaterale e canali del sodio e del potassio nella membrana apicale che ne permettono il passaggio. Ci sono 3 tipi di cellule diverse. Il sodio in sintesi viene riassorbito in grande quantità nel tubulo contorto prossimale, una parte minore ma importante nel tratto spesso del braccio ascendente e nei tratti successivi. RIASSORBIMENTO DEL CLORURO Il cloruro segue il sodio per equilibrio elettrostatico. Sodio positivo e cloro negativo. Nel tubulo contorto prossimale ci sono 2 meccanismi per il passaggio di cloruro. Uno è para cellulare, passa tra cellula e cellula, dal lume al liquido extracellulare perché sono stati assorbiti ioni sodio, quindi forma una positività nel liquido extracellulare che attrae gli ioni cloruro. Un’altra parte passa viene riassorbita per via trans cellulare, attraverso meccanismi di cotrasporto antiporto e canali ionici accoppiati. Nel tratto spesso ascendente dell’ansa c’è il cotrasportatore sodio-potassio-cloruro che funziona moltissimo. Il cloruro accumulato poi esce dalla membrana basolaterale attraverso dei canali per diffusione. Nel tubulo contorno distale è trasportato con un cotrasportatore sodio cloruro accoppiato alla pompa nella membrana basolaterale. Nel dotto collettore ci sono diversi meccanismi, sia paracellulari che transcellulari. RIASSORBIMENTO DEL POTASSIO Il potassio che assumiamo con la dieta è di circa 70 mmol al giorno. Anche di questo una piccola parte la troviamo nelle feci, circa 10 mmol, la restante parte arricchisce la quantità di potassio del liquido extracellulare. La quantità totale del potassio è molto minore nel LEC rispetto a quella del sodio, ed è in equilibrio con i vari tessuti e ambienti intracellulari. La quantità del liquido extracellulare è la quantità che viene filtrata nel glomerulo e che viene riassorbita, 800 mmol viene filtrata e 800 mmol viene riassorbita. Per il potassio però abbiamo nel rene il meccanismo di secrezione. Nel processo di filtrazione lungo i tubuli c’è una aggiunta di potassio rispetto al filtrato. Oltre a essere riassorbito se ne aggiunge una quantità variabile a seconda delle esigenze, a secondo di quanta se n’è aggiunta con la dieta o in situazione patologica quando avviene una rottura cellulare. Se aumenta il potassio extracellulare il potenziale di membrana aumenta, si iperpolarizza perché ci sono meno cariche di potassio che da dentro la cellula escono. In condizioni di bassa assunzione di potassio devo cercare di mantenerlo e non eliminarlo con le urine. Se viene filtrato il 100% dal glomerulo, l’80% viene riassorbito nel tubulo contorto prossimale, 0% nel tratto sottile dell’ansa si Henle, 10% nel tratto spesso, 10% tra il tubulo contorto distale e in parte dal dotto collettore. Alla fine più o meno tutto il potassio filtrato viene riassorbito. Se si assume una grande quantità di potassio invece, questo tende ad aumentare. Il riassorbimento del tubulo contorto prossimale e nel tratto spesso è uguale, ma nell’ultima parte del tubulo contorto distale si attiva un meccanismo di secrezione del potassio anche molto intenso che può determinare una secrezione importante nel tubulo distale uguale o di più di quello che è stato filtrato in un giorno, può anche raddoppiarlo, permettendoci di eliminare tutto il potassio in più. Nel dotto collettore viene riassorbito una piccola parte. Questa secrezione è molto variabile, meccanismo di sicurezza per evitare aumenti della concentrazione di potassio che sarebbero molto pericolosi per la funzione delle cellule eccitabili. REGOLAZIONE DEL RIASSORBIMENTO DI SODIO E ACQUA Il sodio viene riassorbito nei vari tratti e a questa grande quantità di sodio va dietro acqua. Questa per seguire il sodio e mantenere un equilibrio osmotico passa attraverso 2 vie: una paracellulare, tra le giunzioni delle cellule, e l’altra attraverso la via transcellulare. Nella membrana apicale e basolaterale ci sono delle proteine che sono dei canali di acqua. Queste si chiamano acquaporine. Sono proteine di membrana che formano un foro per permettere il passaggio passivo di acqua. Nel tratto spesso l’acqua non passa perché le giunzioni sono molto strette e non permettono il passaggio e le cellule sono prive di acquaporine. Nel tubulo contorto distale e nel dotto collettore la permeabilità è variabile, non può passare per via paracellulare ma può passare per via transcellulare a patto che ci siano le acquaporine. In questi tratti la presenza delle acquaporine è controllata, possono esserci come non esserci. Il riassorbimento sodio e acqua è accoppiato nel tubulo contorto prossimale. Viene regolato da: - Angiotensina II: prodotta nel sangue prima dall’enzima renina e poi dall’enzima ACE che si trova nella membrana dei capillari polmonari. È un vasocostrittore ma ha anche una funzione sul riassorbimento del sodio. Viene prodotta in condizioni di abbassamento di concentrazione di sodio nel tubulo contorto distale. La aumenta agendo sul tubulo contorto prossimale, sul segmento spesso dell’ansa di Henle e sul dotto collettore. Aumenta l’efficenza dei trasportatori del sodio. - Aldosterone: ormone prodotto dalla corticale surrenale nella parte glomerulare della corticale - sotto il controllo della angiotensina II. Aumenta anche lui il riassorbimento del sodio agendo sul tratto spesso dell’ansa di Henle e sul dotto collettore. Ormone steroideo, derivato dal colesterolo. Derivando dal colesterolo è una molecola liposolubile, può attraversare quindi il doppio strato lipidico e avere un recettore intracellulare. Insieme si dimerizzano entrano nel nucleo dove si attacca a sequenze specifiche di nucleotidi di DNA dove avviano la sintesi di geni specifici. Per aumentare il riassorbimento di sodio queste proteine che promuove la sintesi sono la pompa sodio potassio, canali del sodio nella membrana apicale e canali di potassio sempre sulla membrana apicale. Promuove l’eliminazione di potassio. Peptide natriuretico atriale: ormone prodotto dal miocardio atriale quando aumenta la volemia. Diminuisce il riassorbimento di sodio e acqua agendo sul dotto collettore. Fa perdere quindi una maggiore quantità di acqua con l’urina. Urodilatina: polipeptide prodotta dalla parete del tubulo contorto distale e dal dotto collettore in condizioni di pressione arteriosa aumentata e di volemia aumenta e diminuisce il riassorbimento di sodio e acqua. Agisce in locale nel rene. Guanilina: polipeptide, è un meccanismo di feedforeward per il sodio in quanto viene liberata nel sangue dal colon quando si introduce un’alta quantità di sodio cloruro. Agisce sul tubulo contorto prossimale diminuendo il riassorbimento di sodio. Adrenalina e noradranalina: l’adrenalina è secreta dalla midollare surrenale, la noradranalina dalle terminazioni del sistema nervoso ortosimpatico in condizioni di stress che aumentano il riassorbimento di sodio e acqua agendo sul tubulo contorto prossimale sull’ansa di Henle e sul dotto collettore. Nel tratto discendente dell’ansa e in quello sottile ascendente avviene quel 15% circa di riassorbimento di acqua ma non accoppiato al riassorbito di sodio. Questo perché si trovano nella midollare, dove è presente un ambiente extracellulare che è iper osmotico. Di conseguenza senza il riassorbimento di sodio c’è un riassorbimento di acqua. Da un punto di vista omeostatico c’è un difetto, il riassorbimento non è fatto in funzione di disidratazione o iperidratazione, viene riassorbita acqua a prescindere. Viene riassorbita in base al bisogno di riassorbire sodio (che quello viene regolato). Non è un feedback sull’acqua, regola L’omeostasi del sodio, non idrica. La presenza di aldosterone aumenta il riassorbimento di sodio a cui va dietro il cloro e quindi riassorbimento di acqua. Aumenta la quantità di acqua assorbita che va nel sangue, aumenta il volume ematico e quindi aumenta la pressione sanguigna. L’aldosterone è un ormone ipertensivo. Anche il cortisolo, sempre prodotto dalla corticale del surrene, ha dei suoi recettori ma si può legare allo stesso recettore dell’aldosterone e quindi anche lui può stimolare il riassorbimento di sodio cloro e acqua e quindi essere ipertensivo. In queste cellule però è presente un enzima che lo trasforma in forma inattiva sui recettori dell’aldosterone. Il componente attivo della liquirizia inibisce questo enzima che trasforma il cortisolo in una molecola diversa che non è in grado a reagire con i recettori dell’aldosterone. Quindi la liquirizia fa si che il cortisolo vada ad agire sui recettori dell’aldosterone e quindi avere il suo effetto ipertensivo assorbendo acqua. Soprattutto quando siamo in condizioni di stress perché abbiamo maggiore presenza di cortisolo. RIASSORBIMENTO FACOLTATIVO DI ACQUA, OMEOSTASI IDRICA Il volume di urina può variare tanto da 0,5 L al giorno a 15 L al giorno. Parallelamente al volume di urina prodotta cambia il colore. Quando ne facciamo tanta sembra acqua, molto chiara e quando e facciamo poca è molto scura. Più o meno concentrata. Quello che cambia non è la quantità di soluti ma la quantità di acqua. Il colore dell’urina è dato da molecole che derivano da componenti della bile. L’acqua viene riassorbita nei tubuli per osmosi, la parte del riassorbimento facoltativo richiede due cose: - La creazione di una ambiente iperosmotico nella midollare del rene grazie a meccanismi di trasporto attivo a spese di energia metabolica. - Un meccanismo di regolazione della permeabilità della parete nell’ultima parte del nefrone all’acqua. Se si crea all’interno di una parte anatomica un ambiente iperosmotico non crea una condizione di equilibrio in quanto i soluti di troppo che stanno nell’ambiente tendono a disperdersi (concetto di entropia). Si tengono concentrati, e questa diminuzione di entropia richiede una spesa di energia (ATP). Cambiamento osmolarità lungo il nefrone: osmolarità è il numero di particelle di qualunque tipo presenti in un liquido di soluzione. Misura in cui una soluzione tende a richiamo acqua. - Tubulo contorto prossimale: l’osmolarità non cambia perché viene riassorbito sodio e proporzionalmente acqua, sia in uno stato di idratazione che in una di disidratazione. - Ansa di Henle: nella fase discendente l’osmolarità aumenta e poi diminuisce arrivando ad un valore inferiore di quello di partenza. Alla fine dell’ansa ho quindi un liquido più diluito rispetto a quello del filtrato. Alla fine di questo tratto si arriva allo stesso valore, sia in condizioni di disidratazione che in condizioni di iperidratazione, ma attraverso percorsi molto diversi. In condizione di disidratazione l’aumento iniziare di osmolarità è molto elevato, in condizione di iperidratazione è molto limitato. - Tubulo contorto distale e dotto collettore: condizione di iperidratazione l’osmolarità continua a diminuire e diminuisce anche nel dotto collettore fino a valori estremi che possono essere anche 1/7 del valore di osmolarità del filtrato (il filtrato di base è intorno a 300 milli osmoli per litro). In condizione di disidratazione nel tubulo contorto distale torna ad aumentare l’osmolarita e aumenta ancora di più nel dotto collettore diventando fino a 3/4 volte il valore iniziale. Questi sono valori oltre i quali non si può andare. Casi estremi, normalmente si ha una condizione intermedia, con l’osmolarità finale dell’urina che è di poco superiore a quella del plasma. Permeabilità: la membrana si lascia attraversare secondo gradiente elettrochimico. Trasporto: la membrana prende il soluto da una parte e lo sposta forzatamente da un’altra parte. Trasporto attivo. Indipendente dal gradiente di concentrazione. ADH: ormone antidiuretico, significa permeabilità variabile a seconda della presenza o meno di questo ormone. In relazione all’acqua, il tubulo contorto prossimale è molto permeabile, anche l’ansa di Henle è molto permeabile, la parte ascendente è impermeabile, il tubulo distale è permeabile o meno a seconda della presenza dell’ADH e lo stesso per il dotto collettore. In relazione al sodio, il tubulo contorto prossimale ha un meccanismo intenso di trasporto attivo, nel braccio discendente dell’ansa è permeabile, nella parte ascendente sottile è permeabile e nel tratto spesso c’è un trasporto attivo. Anche nel tubulo distale e nel dotto collettore c’è un trasporto attivo. La stessa cosa del sodio la troviamo per il cloruro. Affinché avvenga il riassorbimento di urea (molecola formata nel fegato grazie al ciclo dell’urea), richiede un trasportatore. Se questo è presente abbiamo un trasporto passivo, diffusione facilitata, se non c’è il trasportatore non passa. Viene assorbita poco nel tubulo contorto prossimale, nell’ansa di Henle sottile è più permeabile e nell’ultima parte del dotto collettore la permeabilità dell’urea è dipendente all’ADH. Iperosmolarità: nel tratto spesso del braccio ascendente dell’ansa c’è una pompa sodio potassio che riassorbe una grande quantità di sodio e nella membrana apicale abbiamo il canale di cotrasporto sodio-potassio-2 cloro, messo in moto proprio dalla pompa. Il risultato è che in questa parte dell’ansa viene assorbita una grande quantità di sodio cloruro e potassio. Questi vanno del liquido extracellulare della midollare. Questo aumenta l’osmolarità della midollare. Il liquido che sta dentro all’ansa viene diluito (osmolarità minore della partenza). Nel tubulo contorto distale la permeabilità dell’acqua varia a seconda della presenza o meno dell’ormone ADH. Questo tubulo sta nella corticale del rene che non ha subito questo processo di concentrazione dovuto ai trasporti che avvengono nel braccio spesso, quindi ha una osmolarità normale. Di conseguenza abbiamo una osmolarità all’interno del tubulo di circa 1/3 di quella della corticale. L’acqua a questo punto esce per osmosi, da un ambiente più diluito a uno più concentrato. Dato che l’acqua esce il liquido che sta nel tubulo si concentra e alla fine del tubulo contorto distale il liquido è tornato ai valori di osmolarità normale, 300 milliosmolari. Il risultato è che è stata riassorbita dell’acqua nel tubulo contorto distale e dei soluti nel tratto spesso. C’è stata una separazione fra riassorbimento di soluti e riassorbimento di acqua. I soluti sono andati a concentrare l’ambiente della midollare, il liquido sbocca nel dotto collettore a 300 milliosmolare. Il dotto collettore scende nella midollare dove trova un ambiente iperosmotico. Se quindi la parte è permeabile all’acqua, quindi se è presente l’ADH, l’acqua viene richiamata all’esterno dalla differenza di osmolarità. Se l’acqua esce nel dotto collettore i soluti si concentrano. In realtà sodio, potassio e vari ioni possono uscire, ma non può uscire l’urea. Questa può uscire solo nella parte profonda, ultima, del dotto collettore a patto che ci sia l’ADH. A questo punto l’urea va a finire nel liquido extracellulare nella parte profonda della midollare. Ma qui, dato che arriva una grande quantità di soluto, questo va ad aumentare l’osmolarità dell parte profonda della midollare che era già stata aumentata nell’ansa. A questo punto l’urea diventa più concentrata nella parte profonda della midollare rispetto alle parte sottili delle anse. Dato che queste parti sono permeabili all’urea, l’urea per gradiente di concentrazione entra nella parte sottile dell’ansa, per diffusione. Questo percorso dell’urea determina un aumento sempre più grande della concentrazione di urea nel liquido extracellulare della midollare. La midollare quindi ha un ambiente iperosmotico. Nella parte superiore questo è dato da cloro sodio e potassio, e nella parte profonda dell’urea. Più andiamo in profondità e più l’iperosmolarità aumenta. Questo è spiegato dai seguenti processi. Prima richiesta, creazione di un ambiente iperosmotico nella midollare del rene: Nell’ansa di Henle avvengono 2 tipi di processi: 1. Il liquido scorre dal braccio discendente a quello ascendente perché continuamente arriva nuovo filtrato. 2. Dal braccio ascendente vengono pompati fuori soluti senza acqua che vengono accumulati nel liquido extracellulare. Questi soluti però tirano fuori l’acqua dal tratto discendete in quanto hanno aumentato l’osmolarità dell’ambiente extracellulare. Questi soluti possono anche entrare nel braccio discendete. Soprattutto però fanno uscire acqua fino a far diventare l’osmolarità del braccio discendete uguale a quella del liquido extracellulare circostante. La potenza del meccanismo di estrazione dei soluti nel tratto spesso è tale che si può stabilire una differenza di osmolarità di 200 milliosmoli per litro. Se partiamo quindi da 300 milliosmoli dentro e fuori il tubo, il braccio ascendente diventa 200 e il liquido extracellulare diventa 400 milliosmoli. Anche il braccio discendete, che incontra un ambiente a 400 milliosmolari, diventa 400 milliosmolari. Questo solo per effetto dei trasporti. Considerando il flusso del liquido, all’inizio del braccio discendete non c’è più 400, ma a causa dello scorrimento del liquido ci sono 300 milliosmoli. I 400 che si trovano in fondo alla parte discendente, scorrendo, sono andati nella prima parte del braccio ascendete. Quindi abbiamo, 300 milliosmoli all’inizio del braccio discendete, che poi diventano 400 milliosmoli fino al primo tratto del braccio ascendente, per poi diventare 200 milliosmoli nell’ultimo tratto del braccio ascendente. A questo punto questo procedimento riparte. Ma ora non si parte più da 300 milliosmoli, ma da 200 milliosmoli nel tratto spesso ascendente. Si crea una differenza sempre di 200 milliosmoli tra braccio spesso e liquido extracellulare. Il primo passa da 200 si fatta a 150 e il secondo passa da 300 si passa a 350. Questo 350 milliosmoli extracellulare grazie all’uscita di acqua fa diventare 350 anche quel primo pezzo di braccio discendete. Nella parte più profonda dell’ansa, a causa dello scorrimento, si trovano 400 milliosmoli, e dato che si crea una differenza di 200 milliosmoli si ha nell’ultimo tratto discendente una osmolarità di 500 milliosmoli e nel primo tratto ascendete una osmolarità di 300 milliosmoli. Se viene ancora ripetuto n volte questo processo ci troviamo alla fine una situazione in cui si ha nella parte profonda dell’ansa 600 milliosmoli e del tratto ascendete una diluizione fio ad arrivare a 100 milliosmoli. Il fatto che questo processo si ripeta ai vari livelli determina una sempre maggiore osmolarità man mano che si scende in profondità nella midollare. Questo permette di tirare fuori sempre più acqua dal dotto collettore, se nella midollare abbiamo una osmolarità sempre più alta, tiriamo fuori dal dotto collettore sempre più acqua man mano che scende nella midollare. Tutto questo spiega la prima richiesta per fare in modo che ci sia un riassorbimento per osmosi dell’acqua, ovvero come si crea un ambiente iperosmotico nella midollare del rene grazie a meccanismi di trasporto attivo a spese di energia metabolica. La seconda richiesta era il meccanismo di regolazione della permeabilità della parete dell’ultima parte del nefrone all’acqua. Come può essere quindi modificata della presenza o assenza dell’ormone ADH. Se la permeabilità all’acqua del dotto collettore e del tubulo contorto distale fosse 0, l’osmolarità del liquido contenuto del tubulo sarebbe quella che esce dall’ansa di Henle, ovvero di 100, fortemente diluito. Se invece la permeabilità fosse massima il liquido tubulare perderebbe tanta acqua per osmosi da diventare una osmolarità dell’urina uguale a quella del liquido circostante nella parte profonda della midollare, ovvero il valore di 1200 milliosmoli. Questo è il motivo per cui non posso superare questo valore di 1200 milliosmoli, è il massimo che si può arrivare nella midollare. Azione dell’ormone ADH: le membrane sono permeabili all’acqua se contengono delle proteine di membrana chiamate acquaporine. Nella membrana basolaterale le acquaporine ci sono sempre nella membrana apicale le acquaporine non ci sono. Queste si trovano nella membrana di vescicole che is trovano all’interno della cellula epiteliale del dotto collettore originato dall’apparato di Golgi. Queste si chiamano acquaporine II. Sulla membrana basolaterale c’è il recettore dell’ADH, un ormone proteico, che come tale non può attraversare la membrana. Ha bisogno di un recettore a 7 passi accoppiato a proteina G che attiva l’adenilato ciclasi, lavora attraverso il meccanismo del cAMP. Arriva l’ADH, si lega al suo recettore che arriva la proteina G, che attiva l’adenilato ciclasi che trasforma l’ATP in cAMP. La cAMP attiva la PKA che fosforila proteine di membrana delle vescicole che una volta fosforilate permettono il processo di esocitosi di queste vescicole. A questo punto queste vescicole si fondono con la membrana apicale della cellula epiteliale del dotto collettore. A questo punto le acquaporine vanno a far parte di questa membrana. Ora si ha la permeabilità dell’acqua che può entrare e uscire sempre tramite le acquaporine. Siccome ci troviamo nel dotto collettore che sta attraversando la midollare del rene che è fortemente iperosmotico l’acqua esce, viene riassorbita. L’urina diminuisce di volume e aumenta la di concentrazione di soluti per sottrazione di solvente. L’ADH è secreto dalla neuroipofisi. L’ipofisi si trova attaccata alla base del cervello ed è fatta di 2 parti, l’adenoipofisi e la neuroipofisi. La neuroipofisi deriva da un primo abbozzo di cervello è tessuto nervoso. L’adenoipofisi deriva da un gruppetto di cellule che si stacca da tutt’altra parte che migrando nello sviluppo embrionale si vanno ad attaccare alla neuroipofisi. Hanno funzioni diverse, ma si trovano entrambe sotto l’ipotalamo e hanno stretti rapporti con esso. La neuroipofisi è fatta da un fascio di assoni di neuroni i cui corpi cellulari si trovano nell’ipotalamo, in 2 nuclei. Sono neuroni ipotalamici con un assone lungo che finisce nella neuroipofisi. L’ADH viene sintetizzato come avviene la sintesi proteica, nei corpi cellulari di questi neuroni. Da qui scendono nella neuroipofisi per via nervosa, attraverso gli assoni. Ci sono meccanismi di trasporto assonale di citoscheletro, come delle rotaie, lungo cui viene portato materiale dal corpo cellulare fino all’estremità dell’assone. Queste terminazioni sono fatte come degli elementi presinaptici e funzionano come tali. L’ADH si trova inscatolato dentro vescicole che si comportano come vescicole sinaptiche. Quando questi neuroni si eccitano, vengono portati alla soglia, parte un potenziale d’azione che percorre tutto l‘assone, arriva fino all’estremità, si aprono canali del calcio a voltaggio dipendenti che fanno entrare calcio. Questo calcio si lega alle proteine della membrana delle vescicole determinandone l’esocitosi e quindi lo sversamento del contenuto, l’ADH, nel liquido extracellulare. A questo punto entra nei capillari che lo trasportano. Quando viene secreto l’ADH: ci sono diversi fattori che stimolano o inibiscono la sua azione: - Iperosmolarità del liquido extracellulare: del liquido extracellulare dell’ipotalamo. Questo viene irrorato dalla circolazione sanguigna. L’ambiente extra è uguale a quello del sangue come osmolarità. In uno stato di disidratazione il sangue è iperosmotico, quindi anche il liquido extracellulare dell’ipotalamo è iperosmotico. Nell’ipotalamo ci sono neuroni osmocettori, si eccitano quando l’osmolarità dell’ambiente aumenta. Questi sono mescolati insieme a neuroni per la produzione di ADH e fanno sinapsi con loro. Quando si eccitano gli osmocettori attivano la sinapsi sui neuroni che producono l’ADH, rilasciandolo. Se l’ambiente extracellulare diventa iperosmotico la cellula si raggrinzisce, perde acqua per osmosi. Se si raggrinzisce nella membrana di questa cellula ci sono canali del sodio a controllo meccanico, cambiando la forma e le dimensioni, questi canali vengono aperti. Entra sodio, si arriva alla soglia, parte il potenziale d’azione, si attiva la sinapsi sul secondo neurone e quindi avviene il rilascio dell’ADH. L’ADH ora può agire andando a risparmiare acqua, al suo riassorbimento nel rene. In più facendo andare via i sali, e quindi facendo una urina centrato l’ambiente extracellulare si diluisce. - Volocettori atriali: aumenta il volume del sangue, si distende l’atrio destro, vengono attivati i recettori di volume di tensione dell’atrio destro, attraverso una via nervosa va all’ipotalamo e inibisce la secrezione di ADH. - Barocettori arteriosi: sono sensibili ad un aumento di pressione arteriosa. La loro attivazione va a inibire attraverso via nervosa la secrezione di ADH. - Peptide natriuretico atriale: la cui secrezione viene attivata da un aumento di volume del sangue totale, e quindi una distensione dell’atrio destro, inibisce la secrezione di ADH. - Angiotensina II: è dipendente da una diminuzione di pressione arteriosa e aumenta la secrezione di ADH. - Nicotina: aumenta la secrezione dell’ADH. - Etanolo: forte inibitore della secrezione dell’ADH, aumenta enormemente la quantità di urina prodotta. MANTENIMENTO DEL PH A VALORI FISIOLOGICI DI 7,4 Un livello è ematico, ci sono sistemi tampone che assorbono ioni idrogeno quando aumentano o li rilasciano quando diminuiscono. Sono i sistemi acido carbonico - bicarbonato, il sistema fosfato acido fosfato alcalino (H2PO4- , HPO4 - -) in equilibrio tra loro attraverso l’assorbimento o il rilascio di ione idrogeno e il terzo sistema tampone ematico è dato dalle proteine plasmatiche che possono rilasciare o assorbire ioni idrogeno. Il fosfato è molto efficiente, il bicarbonato meno efficiente in se ma nell’insieme lo è molto, sia perché ce n’è in grande quantità, sia perché è il relazione con l’altro livello (secondo) di intervento che è quello della respirazione polmonare attraverso cui il cambiamento di ventilazione alveolare può modificare la quantità e velocità di eliminazione di CO2, ed essendo questa in relazione col pH (acido carbonico), intervenendo sulla CO2 la ventilazione può indirettamente intervenire sul pH. Il terzo livello è quello renale. Il primo livello è quello dei tamponi ematici che è molto importate ma si esauriscono, più si forza il sistema, più mettono acidi che vengon messi nel sangue. Questi acidi sono tamponati dai sistemi tampone del sangue, ma non sono infiniti, hanno una capacità limitata di tamponare. Il secondo livello, respirazione, interviene ed è efficiente ma se si elimina CO2 e si aumenta la ventilazione alveolare, si spostano le reazioni verso la CO2, l’acido carbonico da altra CO2 che si elimina con la respirazione, l’acido carbonico diminuisce e di conseguenza gli ioni idrogeno si associano al bicarbonato per dare acido carbonico, che quest’ultimo da ancora CO2 che viene eliminata con la respirazione. Con la respirazione si diminuiscono non solo gli ioni idrogeno quindi, ma anche gli ioni bicarbonato. Essendo il sistema acido carbonico bicarbonato il più importante sistema carbonio del sangue, con la respirazione viene diminuita la sua efficienza. Impoverimento della riserva alcalina presente nel sangue. Il rene elimina gli ioni idrogeno, li elimina fisicamente dal nostro corpo attraverso l’urina. In più il rene cattura, recupera ioni bicarbonato, tornando a ricostituire la riserva alcalina che si era impoverita con la respirazione. Queste 2 funzioni avvengo un po’ lungo tutto il nefrone (tranne lungo la parte sottile dell’ansa di Henle). Nella cellula epiteliale del tubulo contorto prossimale c’è un enzima, l’anidrasi carbonica (presente anche nel resto del nefrone), che prende la CO2 + acqua e forma acido carbonico che poi si dissocia in parte in ioni idrogeno e ioni bicarbonato. L’epitelio è polarizzato, quindi i trasportatori della membrana apicale sono diversi da quella basolaterale. Nella membrana apicale troviamo uno scambiatore sodio idrogeno, il sodio entrando fa uscire con meccanismo antiporto lo ione idrogeno che si era creato nella cellula tubulare. Il sodio entra per gradiente di concentrazione + gradiente di potenziale elettrico, il cui gradiente è tenuto basso dalla pompa sodio potassio. Vengono quindi pompati ioni idrogeno all’interno del tubulo. Gli ioni bicarbonato invece non hanno trasportatori nella membrana apicale ma bensì in quella basolaterale. C’è un meccanismo di cotrasporto 1 sodio 3 bicarbonati per cui grazie al gradiente di potenziale elettrochimico il bicarbonato viene trasportato fuori assieme al sodio. Il bicarbonato va quindi nel liquido extracellulare e da qui nel circolo ematico. L’anidride carbonica che viene fatta reagire con l’acqua dall’anidrasi carbonica proveniente dei capillari peritubulari (piccola parte) e dallo stesso filtrato (massima parte) in quanto presente all’interno del plasma. È la quota fisicamente disciolta presente nel plasma. È presente non solo nel sangue venoso ma anche il quello arterioso (quello che viene filtrato) a 40 mmHg. Lo ione idrogeno si può ricombinare al bicarbonato formando acido carbonico. In queste cellule epiteliali sono diverse forme di anidrasi carbonica dello steso enzima. Uno si trova all’interno nel citosol, l’altra è di membrana che lavora sul versante del lume del tubulo, quindi della membrana apicale. Questa può prendere l’acido carbonico formato grazie all’unione dello ione H+ con il bicarbonato che già era li presente, compie la reazione all’anidride carbonica che torna all’interno. Qui la CO2 viene riconvertita in acido carbonico reagendo la l’acqua e quindi riespellendo lo ione H+. Facendo girare lo ione idrogeno su se stesso si riesce a far rientrare nel sangue 3 ioni bicarbonato. Questo succede nel tubulo contorto prossimale, viene sgrossato il problema dell’eccesso di idrogeno in questo modo l’aumento di acido carbonico ci porta un aumento di bicarbonato. Gli ioni idrogeno possono essere espulsi (verso il lume del tubulo) anche da un altro trasportatore che è un trasportatore sodio ione ammonio (NH4+). Questo ione deriva dall’ammoniaca (NH3) che si unisce ad uno ione idrogeno. L’ammoniaca si forma all’interno della cellula tubulare del tubulo contorto prossimale a partire dalla glutammina che viene deaminata per dare l’acido glutammico o glutammato. Il risultato è che si forma ammoniaca che si unisce ad uno ione idrogeno che è stato liberato formando NH4+. Questo viene espulso con il meccanismo di antiporto sodio ione ammonio. Il vantaggio ulteriore è eliminare l’ammoniaca, dei gruppi amminici liberi, estremamente tossico. Il risultato è 3 volte positivo: - Eliminazione ammoniaca - Eliminazione ioni idrogeno - Recupero ioni bicarbonato Nell’ansa di Henle tratto spesso, ci sono i meccanismi stessi del tubulo o torto prossimale per quanto riguarda gli ioni idrogeno e bicarbonato. C’è l’anidrasi carbonica che forma acido carbonico il quale si dissocia. Gli ioni idrogeno vengono portati nel lume del tubulo dal meccanismo di antiporto sodio idrogeno (alimentato dalla pompa sodio potassio) e lo ione bicarbonato viene espulso reso il liquido extracellulare con il meccanismo di antiporto cloro bicarbonato. Nel tubulo contorto distale e nel dotto collettore si fa rifinire il problema, regolare il dettaglio dell’omeostasi. Qui (soprattuto nel dotto collettore) ci sono 3 tipi di cellule epiteliali: cellule principali, le cellule intercalate di tipo A (o alfa) e le cellule intercalate di tipo B (o beta). Le cellule principali sono in numero maggiore, intercalate vuol dire proprio che tra le cellule principali ogni tanto si trova una cellula di tipo A e ogni tanto una cellula di tipo B. Le cellule principali hanno funzioni di anidrasi carbonica, produzione di ioni idrogeno che vengono messi nel tubulo grazie all’antiporto con il sodio e nella membrana basolaterale diversi meccanismi di trasporto del bicarbonato. Si continua a cercare di eliminare il grosso degli ioni idrogeno e recuperare bicarbonato. Le cellule intercalate di tipo A hanno sempre l’anidrasi carbonica che prende la CO2, la fa reagire con l’acqua formando ioni idrogeno e ioni bicarbonato. Il bicarbonato viene pompato verso il liquido extracellulare. Lo ione idrogeno in parte viene messo nel lume del tubulo da meccanismi di antiporto e compare un meccanismo di trasporto attivo primario degli ioni idrogeno. La troviamo nella membrana apicale. È importante perché essendo primario consuma ATP, è una proteina ATPasi, ha la caratteristica di trasportare solo ioni H+ contro gradiente di concentrazione. Un altro fattore importante di questo trasportatore è che arrivati a questo punto del nefrone ci si può trovare in una condizione di acidosi (è quindi ancora necessaria una eliminazione di ioni idrogeno) ma allo stesso punto non necessitare di un assorbimento di sodio, in quanto ho già assorbito quello che serviva. A questo punto. Questo trasportatore funziona senza la necessità di riassorbire sodio. Le cellule intercalate di tipo B sono cellule rovesciate. Hanno meccanismi di trasporto di antiporto bicarbonato cloruro messo sulla membrana apicale e meccanismi di trasporto attivi primario di idrogeno sulla membrana basolaterale. Abbiamo sempre anidrasi carbonica che prende la CO2 formando ioni idrogeno e bicarbonato. Quindi in questa cellula viene riassorbito attivamente ioni idrogeno ed eliminati ioni bicarbonato. Il risultato è quello di acidificare il sangue e alcalinizzare l’urina. Queste cellule saranno utili quando ci si accorge di aver eliminato troppo ioni idrogeno, si è in alcalosi, vengono quindi recuperati ioni idrogeno ed eliminati ioni bicarbonato. Regolatori di questi meccanismi: - pH del liquido extracellulare del rene: se si è in condizione di alcalosi o acidosi anche il liquido extracellulare diventa acido è basico. Lo stesso pH va a modificare i meccanismi delle cellule epiteliali del tubulo e la diminuzione di pH aumenta l’aggiunta nella membrana apicale del meccanismo di antiporto sodio idrogeno. - Cellule endoteliali dei capillari peritubulari e del tubulo contorto prossimale: le cellule dei capillari peritubulari producono una proteina chiamata endotelina che avvia dei processi intracellulari che vanno ad aumentare l’efficienza del trasporto angiporto sodio idrogeno o nella membrana basolaterale anche l’efficienza del trasportatore ioni bicarbonato. La secrezione di endotelina viene regolata sulla base del pH del sangue che scorre su quei capillari. Agisce a livello locale nel rene nel tubulo contorto prossimale. - Cortisolo (ormone): il pH va a modificare la sua secrezione che va ad interagire con le cellule intercalari di tipo A e di tipo B modificando la funzione relativa, andando quindi ad eliminare o assorbire gli ioni idrogeno. Secreta dalla surrenale corticale. - Aldosterone (ormone): il pH va a modificare la sua secrezione che va ad interagire con le cellule intercalari di tipo A e di tipo B modificando la funzione relativa, andando quindi ad eliminare o assorbire gli ioni idrogeno. Secreta dalla surrenale corticale. - Angiotensina II (ormone): il pH va a modificare la sua secrezione che va ad interagire con le cellule intercalari di tipo A e di tipo B modificando la funzione relativa, andando quindi ad eliminare o assorbire gli ioni idrogeno. FISIOLOGIA ENDOCRINA Cosa bisogna sapere: Da cosa sono secreti gli ormoni. Ormoni agiscono su organi bersaglio, ovvero hanno i recettori per quel determinato ormone. Come cambia l’organo sotto l’azione di quell’ormone e bisogna sapere anche la natura chimica di quell’ormone. La natura chimica è importante perché introduce al meccanismo d’azione, se quell’ormone è proteico, allora il recettore deve essere di membrana. Se invece è un ormone steroideo quindi liposolubili, possono attraversare la membrana e quindi il suo recettore sarà intracellulare. Meccanismo di azione dell’ormone, come realizza le azioni su quell’organo bersaglio. Meccanismo di regolazione della secrezione di quell’ormone. Caratteristiche delle molecole segnale: - Bassa concentrazione basale: basso rumore di fondo, cosi che quando viene secreta la sua concentrazione aumenta. - Vita breve: deve rimanere per poco tempo per non avere un rumore di fondo. Cellula bersaglio: cellula che ha il recettore per quell’ormone. Il tipo di cellula bersaglio dipende da: - Recettore: uno stesso ormone può avere diversi tipi di recettori. Di conseguenza il tipo di risposta può cambiare a seconda del tipo di recettore. - Fenotipo: geni espressi a quella cellula, tipo di proteine che produce quella cellula. Genotipo uguale, fenotipo diverso tra le cellule. Muscolare diverso da quella epiteliale. - Contemporanea esposizione ad altre molecole segnale: una stessa cellula cambia la sua risposta se, insieme all’ormone, c’è un altro ormone che modifica la risposta della cellula al primo ormone. L’entità della risposta può dipendere da: - Cambiamenti post-traduzionali del recettore (fosforilazione): se il recettore è stato fosforilato, il suo comportamento cambia. L’affinità con cui lega l’ormone cambia, in più o in meno. - Regolazione del numero di recettore: ad esempio per recettori di membrana non basta che sia sintetizzato, ma è necessario che il recettore sia portato nella membrana per poter lavorare. - Cambiamenti di amplificazione nel cammino di trasduzione: la risposta della cellula bersaglio si può modificare in quantità, intensità. Ad esempio andando a modificare in più o in meno l’attività della PKA. Sistema endocrino e sistema nervoso autonomo sono messi in comunicazione per non dare segnali opposti. I punti di contatto sono diversi, uno di fondamentale importante è l’asse ipotalamo ipofisi. L’ipofisi è formata dalla neuroipofisi e dall’adenoipofisi. La neuroipofisi è controllata direttamente in quanto ci sono neuroni dell’ipotalamo i cui assoni scendono direttamente nella neuroipofisi. L’adenoipofisi ha un rapporto vascolare con l‘ipotalamo, viene controllato da un sistema portale che è fatto da una prima rete capillare dell’ipotalamo, poi tronchi venosi che scendo nell’adenoipofisi dove si ricapillarizzano formando una seconda rete capillare. In questo modo le sostanza immesse nella capillarizzazione dell’ipotalamo possono uscire dai capillari nell’ipofisi creando un controllo stretto e veloce dell’ipotalamo sull’adenoipofisi. Nell’adenoipofisi ci sono 6 tipi di cellule dove ognuna fa un ormone. L’ipotalamo produce degli ormoni (quindi anche l’ipotalamo è una ghiandola endocrina oltre ad essere un centro nervoso) ipotalamici che grazie al sistema portale ipotalamo ipofisario vanno all’adenoipofisi e ognuno di questi ormoni ipotalamici controlla un tipo di cellule che fa un ormone ipofisario. Gli ormoni dell’adenoipofisi sono: - Prolattina - Ormone tireostimolante - Adrenocorticotropo - Ormone della crescita - Follicolo stimolante - Ormone luteinizzante Ognuno di questi ha un controllo ipotalamico: - Prolattina ha un doppio controllo ipotalamico, un ormone stimola la sua produzione, PRF o PRH. Un’altra sostanza che inibisce la secrezione di Prolattina è la dopamina un altro ormone ipotalamico. - Ormone tireostimolante: controllato da un ormone di rilascio ipotalamico che è tireotrophin releasing hormon, ormone di rilascio della tireotropina (TRH). - Adrenocorticotropo: stimola la secrezione di cortisolo dalla surrenale corticale, la sua secrezione è stimolata dalla corticotrophin releasing hormon (CRH). - Ormone della crescita: ha 2 ormoni ipotalamici, uno stimola la sua secrezione, GHRH, e un ormone che lo inibisce, somatostatina. Entrambi rilasciati dall’ipotalamo. - Follicolo stimolante e ormone luteinizzante: controllati da un unico ormone ipotalamico GNRH (ormone di rilascio delle gonadotropine). Tutti gli ormoni adenoipofisari sono di tipo proteico e tutti gli ormoni ipotalamici sono di tipo proteico tranne la dopamina, che invece è una piccola molecola. L’ipotalamo rilascia questi ormoni sulla base di informazioni endocrine, in base alla situazione ormonale, ma anche integrando con informazioni di tipo nervoso. L’ipotalamo è un centro nervoso, è parte del diencefalo. La regolazione degli ormoni avviene per meccanismi di feedback. Speso l’ormone ipofisario oltre ad agire sulla ghiandola endocrina agisce anche sull’ipotalamo inibendo la secrezione dell’ormone ipotalamico che stimola la sua stessa secrezione. Feedback negativo. Inoltre gli ormoni della ghiandola finale vanno ad inibire sia l’ormone ipotalamico che quello ipofisario che stimola la sua stessa secrezione. Generano un comportamento di tipo oscillatorio. La sua secrezione aumenta e diminuisce di continuo. CONTROLLO DELL CRESCITA E DELLA MASSA CORPOREA 2 problemi correlati fra loro: - dimensioni del corpo - Composizione di tessuti del corpo: massa magra e massa grassa. Controllato da diversi ormoni: GH, ORMONE DELLA CRESCITA Ormone secreto dall’adenoipofisi e fa parte di un’asse a 3 step, ormone ipotalamico, ormone ipofisario, ghiandola endocrina che esegue l’ordine dell’ormone ipofisario, in questo caso il fegato. Il GH prodotta dall’adenoipofisi da cellule specializzate cromate somatotrope (hanno un’azione di crescita per tutto il corpo), è una molecola di tipo proteico. Le azioni del GH sono: - Promuove la crescita corporea: promuove la crescita di tutti i gruppi, dell’altezza, quindi delle cartilagini delle ossa lunghe. Crescita del tessuto e proliferazione cellulare. Promuove anche la crescita del tessuto muscolare ma non quella del tessuto adiposo, quindi sposta l’equilibrio verso la massa magra, la massa muscolare. - Aumenta la ritenzione di Ca2+ e la mineralizzazione dell’osso: trattenere calcio a livello renale. Mineralizzazione, quindi crescita complessiva dell’osso. - Induce ipertrofia del muscolo: cresce il muscolo per aumento del volume delle fibre muscolari. - Aumenta la sintesi proteica: azione metabolica del GH. - Riduce l’uptake e l’utilizzo di glucosio: azione metabolica del GH. Se le cellule prendono meno glucosio, ne rimane più nel sangue. Il GH è iperglicemizzante. - Promuove la gluconeogenesi: anche questa è una azione iperglicemizzante. Promuove quindi l’inverso della glicolisi. - Promuove la lipolisi: utilizzo degli acidi grassi a scopo energetico e scopo gluconeogenetico. Demolisce i trigliceridi, ricava gli acidi grassi e li usa in betaossidazione nei mitocondri che produce acetil-coA che viene utilizzato sia nel ciclo di Krebs, che per dare origine alla gluconeogenesi. - Stimola il sistema immunitario - Promuove la deiodinazione di T4 e T3 - Stimola la secrezione di IGF-1 da parte del fegato e di altri tessuti: stimola quindi un’altra ghiandola endocrina, il fegato, a secernere un altro ormone, il IGF-1. Azioni quindi dirette e azioni indirette tramite l’IGF-1 che promuove le cellule alla proliferazione. Azioni del GH sul tessuto adiposo: - Inibisce la captazione di glucosio - Aumenta la lipolisi Azioni del GH nel fegato: - Aumenta la sintesi di RNA - Aumenta la sintesi proteica - Aumenta la gluconeogenesi - Aumenta la IGFBP - Aumenta la IGF Azione del GH sul muscolo: - Diminuzione della captazione di glucosio - Aumento captazione di aminoacidi - Aumenta la sintesi proteica Azioni dell’IGF-1 - Promuove la proliferazione cellulare su pelle, sangue e tessuti che si rinnovano. Meccanismo d’azione: essendo il GH una proteina, agisce su un recettore di membrana di tipo catalitico. Questi recettori hanno un solo attraversamento di membrana, il GH si lega alla faccia esterna, a questo punto 2 molecole di recettore si uniscono insieme e si auto fosforilano. L’azione chinasi A viene fatta non sul recettore stesso ma su una sua proteina associata che si chiama JAK, la quale a sua volta fosforila un’altra proteina che si chiama STAT. STAT entra nel nucleo, si lega al DNA inducendo l’espressione di alcuni geni. Controllo del GH: viene controllato da 2 ormoni ipotalamici, uno che inibisce la sua secrezione (somatostatina) e uno che stimola la sua secrezione (GHRH). C’è tutto il sistema dei feedback negativi per cui i sistemi sistemi ipotalamici vengono inibiti dallo stesso GH e dalla IGF-1. Grazie a questi feedback negativi il GH avrà una secrezione pulsatoria, va periodi, i picchi maggiori li abbiamo durante la notte, soprattutto nella prima parte del sonno. Il GH stimola la crescita corporea, è prodotta soprattutto in adolescenza e infanzia. Il picco si ha nella preadolescenza, pubertà. Vengono prodotti per tutta la vista e hanno una funzione fondamentale per stimolare la sintesi proteica nei tessuti e mantenere il trofismo dei tessuti. Regola il metabolismo, lo sposta verso la fonte energetica lipidica. Importante perché il sistema GH IGF-1 viene stimolato particolarmente durante l’attività fisica. In attività aumenta la produzione di GH. Far fare attività aerobica ad un ragazzino, la sua crescita corporea aumenta, diventerà più alto rispetto alla sua condizione genetica. Per attivare questo sistema di ormoni, è necessario prolungare l’attività fisica per qualche decina di minuti, per mobilizzare i lipidi bisogna proseguire una attività aerobica per 30/40 min. Questo perché per attivare l’asse GHRH GH IGF-1, ci vuole tempo. Una volta cominciata la secrezione di GH si inizia a spostare la fonte energetica verso quella lipidica. (Prima intervengono altri ormoni, come il cortisolo, che favorisce l’utilizzo di carboidrati). Ci sono azioni incrociate tra insulina e IGF-1, ognuno ha il suo recettore, ma con meno affinità, possono reagire uno sui recettori dell’altro. Il GH stimola la produzione di IGF-1 che, oltre alle sue attività, stimola la produzione di somatostatina che a sua volta va ad inibire la secrezione di GH. Lo stesso GH ha una azione inibitoria sulla GHRH, il quale è adibito alla sua secrezione. PROLATTINA Come il GH, anche la Prolattina è una proteina. Gli amminoacidi sono simili a quelli del GH, hanno tra loro una azione incrociata. È secreta dalla cellule lattotrofe dell’adenoipofisi. È un ormone controllato dall’ipotalamo con 2 ormoni: - Dopamina: inibisce la secrezione di prolattina. - PRF: induce la secrezione di prolattina. Prevale l’azione inibitoria, senza relazione ipotalamo-ipofisi, la secrezione di prolattina crescerebbe. La dopamina viene inibita dalla stessa prolattina. La stimolazione della secrezione è data da diversi fattori, tra cui anche uno nervoso importante che è lo stimolo di succhiamento del neonato. La prolattina agisce sulla ghiandola mammaria aumentando la produzione di latte quindi aumenta la sintesi proteica e lipidica che sono le componenti fondamentali del latte. Attiva anche la secrezione nei dotti della ghiandola mammaria ma non l’uscita all’esterno (questo è dato dall’ossitocina, un atro ormone). Altre azioni della prolattina, è inibire la secrezione di ormoni sessuali sia nel maschio che nella femmina. Agisce sul sistema nervoso diminuendo la libido, il desiderio sessuale, e altre azioni sul sistema immunitario. Anche qui c’è l’azione di feedback di autoinibizione. CONTROLLO DEL FOOD INTAKE Ormoni coinvolti nella massa corporea, controllando l’assunzione di cibo finiscono per controllare anche la massa corporea. Questi 2 ormoni sono la leptina e la grelina. Sono importanti sui disturbi alimentari. Ci sono anche altri ormoni che influiscono come l’insulina per il desiderio di mangiare. Leptina e grelina sono gli ormoni principali che influiscono sul desiderio di mangiare. La motivazione di mangiare nasce nell’ipotalamo (insieme di nuclei) da un nucleo, il centro della fame, che ci motiva ad introdurre cibo in bocca. Ci fa sentire nello stato di desiderio di ingerire cibo. Questo centro ipotalamico è sotto controllo di una serie di ormoni oltre che che fattori nervosi. Leptina: ormone prodotto dal tessuto adiposo, gli adipociti, per cui più tessuto adiposo c’è e più leptina viene prodotta. Non viene prodotta di continuo, ma a seconda delle azioni che influenzano sugli adipociti ad esempio dal sistema nervoso autonomo. Il tessuto adiposo quindi è una ghiandola endocrina. La leptina agisce sui recettori nell’ipotalamo nel centro della fame andando a inibirla. È un meccanismo omeostatico del peso corporeo. Grelina: prodotta da cellule specializzate della mucosa dello stomaco. La sua produzione viene inibita dalla presenza nello stomaco di cibo. La grelina da il senso della fame, quando lo stomaco è vuoto aumenta progressivamente la sua secrezione, ha i suoi recettori sull’ipotalamo e induce il senso di fame. Una volta introdotto il cibo queste cellule iniziano ad essere inibite e non si ha più voglia di mangiare. TIROIDE La tiroide è una ghiandola che si trova davanti alle cartilagine della laringe, primi anelli tracheali. Ha attaccate in superficie altre 4 ghiandolette chiamate paratiroidi che hanno altre funzioni. All’interno la tiroide è fatta a follicoli, sferette delimitate da cellule tiroidee, che sono le cellule secernenti gli ormoni. Questi cellule delimitano una cavità piena di liquido chiamato colloide. Fra i follicoli ci sono altre cellule chiamate cellule parafollicolari che hanno tutt’altra funzione, anch’essa endocrina ma di tutt’altra funzione. Gli ormoni tiroidei sono 2, la triiodotironina e la tetraiodotironina (o tiroxina), indicati con le sigle, in ordine, T3 e T4. Queste due molecole si differenziano per un atomo di oligoelemento (elementi chimici che troviamo nel nostro corpo in quantità minima ma che sono indispensabili per la vita). Lo iodio è un oligoelemento fortemente elettronegativo, tende ad attrarre fortemente gli elettroni di legame tenendo a diventare negativo. La T3 e la T4 si differenziano in un atomo di iodio che non è presente in nella T3 ma c’è nella T4. Lo iodio normalmente è contenuto nell’acqua che sgorga a bassa quota, quella che sgorga ad alta quota è povera di tutti gli ioni come lo iodio. Lo iodio viene catturato da un sistema di simporto sodio-iodio in modo molto attivo, contro un forte gradiente di concentrazione, va dentro la tiroide e trasportato nella membrana vicino la colloide e attraverso diversi sistemi di trasporto attivo secondario viene portato dentro la colloide. Lo iodio è un ione elettronegativo, nella colloide trova un enzima secreto dalla stessa cellula follicolare, la perossidasi, che lo ossida (aumenta il numero di ossidazione, aumenta la carica) passando da -1 a 0. Essendo molto elettronegativo tende a ritornare -1, è molto reattivo. Nella colloide c’è una proteina, la tiroglobulina, che è stata secreta dalla stessa cellula follicolare della tiroide. Nella tiroglobulina sono presenti molti esemplari di un aminoacido che è la tirosina. Lo iodio si attacca alla tirosina in una o 2 posizioni, o un solo iodio o 2 atomi di iodio legati. A questo punto 2 molecole di tirosina vicine reagiscono insieme e si coniugano legandosi attraverso un ossigeno. A seconda che si uniscano 2 molecole di diiodotirosina, oppure una molecola di monoiodotirosina con una di diiodiotirosina, si formerà T4 o T3. A questo punto ancora legati alla tiroglobulina, la tiroglobulina viene ricaptata per un processo di pinocitosi dalla cellula del follicolo. Questa vescicola viene attaccata da lisozomi che riversano all’interno degli enzimi proteolitici, la proteina viene fatta a pezzettini e il T3 e il T4 vengono pompati attivamente da trasportatori che stanno sulla membrana basale della cellula follicolare nel liquido extracellulare e da qui passa nel sangue. Ricapitolando: 1. Viene captato lo iodio. 2. Viene portato dentro la colloide. 3. Viene messa anche la proteina dentro la colloide (tiroglobulina). 4. Lo iodio si attacca alla tirosina. 5. Si coniugano 2 molecole di tirosina iodata. 6. Si formano T3 e T4. 7. Viene ricaptata, demolita. 8. T3 e T4 si staccano dalla tiroglobulina. 9. Pompati verso il liquido extracellulare. Le molecole secrete dalla tiroide sono 2 T3 e T4. Entrambe sono nel sangue, viene secreto molto più T4 che T3, quindi nel sangue abbiamo più T4 che T3. T4 non è quasi attivo con ormone, non si riesce a legare ai suoi recettori mentre T3 è molto attivo. Nelle cellule dei tessuti del corpo (bersaglio) possono attivare l’ormone tiroideo T4 semplicemente togliendo un atomo di iodio, con una reazione che richiede un enzima, la deiodasi. Il motivo di questo è un deposito circolante di ormone. T4 è una riserva di ormone tiroideo circolante per le cellule che sono dotate di deiodasi. Azioni dell’ormone tiroideo: - Metabolismo basale: quella parte di metabolismo energetico che serve per mantenere le funzioni vitali come: sistema nervoso autonomo, sistema cardiaco, sistema respiratorio, funzione renale, funzione epatica, funzione endocrina. - Termogenesi (UCP1): produzione di calore. È minore la quantità di energia chimica che finisce in ATP, una parte si disperde sotto forma di calore (fondamentale per farci restare a 37°) - Metabolismo lipidico (lipolisi), glucidico (gluconeogenesi) e proteico (aumento del turnover): promuove la lipolisi, la betaossidazione, promuove la gluconeogenesi e quindi ad aumentare la glicemia nel sangue, promuove l’anabolismo proteico e il catabolismo proteico, con tendenza all’anabolismo. Promuove quindi la crescita corporea e la maturazione dei tessuti. - Sintesi della pompa Na-K: da qui deriva tutto. - Aumento di responsabilità alle catecolamine - Aumento della gittata cardiaca (indiretto e diretto) - Sviluppo fetale del sistema nervoso - Crescita corporea - Ossa: stimola i condrociti della cartilagine di accrescimento. Meccanismo d’azione: ha un recettore intracellulare, intranucleare che sta dentro al nucleo. L’ormone deve entrare dentro la cellula in piccola parte attraverso il doppio strato fosfolipidico ma in grande maggioranza attraverso dei trasportatori. All’interno del nucleo si lega al suo recettore che dimerizza con un altro recettore e poi si lega ad una sequenza specifica di nucleotidi del DNA promuovendo la trascrizione di alcuni geni (pompa sodio potassio, enzimi della gluconeogenesi, enzimi della catena respiratoria, catena pesante della miosina, recettori beta-adrenergici e molti altri). Sul mitocondrio l’ormone tiroideo ha l’azione di promuovere la sintesi di una proteina chiamata UCP1 (proteina disaccoppiante), che è una proteina di trasporto passivo degli ioni idrogeno li fa passare secondo gradiente. Non tutti gli ioni idrogeno quindi cedono la loro energia per produrre ATP, ma solo alcuni. Gli altri che passano con l’UCP non sono utili nella sintesi di ATP. L’energia degli ioni idrogeno che non hanno partecipato alla sintesi di ATP ovviamente non sparisce, ma si ritrova sotto forma di calore, termogenesi. Per fare la stessa quantità di ATP quindi devo utilizzare più molecole di glucosio. Il metabolismo basale quindi dipende dal grado si disaccoppiamento tra catena respiratoria e sintesi di ATP. Controllo della secrezione degli ormoni tiroidei: controllato dall’ormone ipofisario TSH. A sua volta il TSH è secreto sotto stimolo dell’ormone ipotalamico TRH. Nei tessuti periferici il T4 viene convertito in T3 dalla deiodasi, nel sangue viaggiano accoppiato a proteina. Anche qui ci sono i feedback a retroazione sull’ipotalamo e sull’adenoipofisi. GLICEMIA Concentrazione di glucosio nel sangue. Se diminuisce (ipoglicemia) i primi tessuti che soffrono non sono tessuto muscolare o fegato (hanno disponibilità di glucosio per depositi interni di glicogeno), ma il cervello, perché non ha depositi interni di glucosio, ha bisogno di un continuo apporto di glucosio per far funzionare la pompa sodio potassio. Se aumenta (iperglicemia) si ha sete, perché aumenta l’osmolarità del sangue e quindi si cerca di introdurre acqua per diminuire l’osmolarità. Si ha anche fame, sonnolenza, nausea; sintomi immediati. I danni però si sviluppano nel tempo e possono essere gravi come dei danni alla microcircolazione soprattutto nelle zone più difficili come i piedi. Condizione che si verifica nel diabete. Una delle conseguenze del diabete a lungo termine si hanno dei danni della microcircolazione, piede diabetico, che può diventare grave al punto di necrosi del tessuto, cancrena del piede. Un’altra regione è la retina, fino alla perdita della vista. Danni renali nella microcircolazione. È quindi importante tenere la glicemia su limiti ristretti. Il valore fisiologico è circa 80/90 mg di glucosio per 100 ml di sangue. Non può salire sopra i 110 mg per 100 ml. Si può anche salire se si mangia molti carboidrati, ma per un breve periodo per poi tornare nei limiti. 2 ormoni che regolano la glicemia vengono secreti dal pancreas endocrino, fatto dalle isole di Langerhans, cellule che stanno in mezzo agli acini che producono il succo pancreatico e sono fatti in maggioranza 3 tipi di cellule: alfa, beta e delta. Ogni tipo di cellula produce ormoni diversi. un ormone è la somatostatina, prodotto dalle cellule delta. Le cellule alfa e beta producono le alfa-glucagone e le beta-insulina. Questi 2 ormoni sono quelli che intervengono nella regolazione della glicemia, nel mantenimento del valore di base in continua azione. Anche GH influisce sulla glicemia, è iperglicemizzante, e anche altri ormoni influiscono. Quelli che però intervengono direttamente nel mantenimento di base di glicemia sono insulina, glucagone e somatostatina. Questi 3 ormoni giocano fra loro controllandosi a vicenda in maniera diretta, essendo situati nello stesso mucchio di cellule l’azione di uno influisce subito senza passare nel sangue. Dal liquido extracellulare l’insulina inibisce la secrezione di glucagone. Interazioni paracrine. Le secrezioni di Insulina e glucagone vengono modificate in diverse condizioni. Una di queste è il dopo pasto. Vengono introdotti glucosio, glicogeno, amido, che liberano glucosio nell’intestino. Tutto questo glucosio finisce nel sangue e dopo il pasto la glicemia aumenta. L’aumento di glicemia determina un aumento di concentrazione di insulina nel sangue che aumenta arrivando ad un picco in corrispondenza al picco glicemico per poi diminuire entrambi. Il glucagone col pasto diminuisce man mano che la glicemia aumenta. Fegato rilascia glucosio dal glicogeno sotto azione del glucagone. Il glucagone interviene nel controllo della mobilizzazione del glucosio dal fegato al sangue. L’insulina interviene nell’utilizzo da parte di alcuni tessuti del glucosio ematico. Quando facciamo esercizio fisico il glucagone spinge sul fegato per mobilizzare una quantità maggiore di glucosio nel sangue che andrà a finire nei muscoli. Dopo il pasto interviene l’insulina che siccome sono arrivati carboidrati, glucosio nel sangue dall’intestino, questo ormone determinata un maggiore flusso di glucosio nel fegato, muscolo e tessuto adiposo. INSULINA Molecola proteica secreta dalle cellule beta del pancreas. È fatta da 2 catene proteiche unite insieme da due ponti di solfuro (residui di cisteina con zolfo). Sintetizzata come unica proteina chiamata preproinsulina. Viene poi staccato un pezzo diventando proinsulina, ancora un’unica proteina. A questo punto all’interno della cellula beta viene tagliata da un enzima proteolitico un pezzo di catena, a questo punto quindi diventano 2 catene amminoacidi legate da 2 ponti di solfuro, questa è l’insulina matura. Azioni dell’insulina: diminuisce la glicemia togliendo il glucosio nel sangue, mettendolo in alcuni tessuti, i tessuti bersaglio dell’insulina, che sono 3: fegato, muscolo striato e tessuto adiposo. A questi tessuti fa si che assumano il glucosio ematico (riducendo quindi la glicemia) e lo utilizzino: - Glicolisi: Un muscolo scheletrico che sta lavorando sotto l’azione dell’insulina assume glucosio e lo usa subito. Quindi scopo energetico. - Glicogeno: fegato e muscoli a riposo. Funzione di riserva. - Permette l’entrata del glucosio nella cellula: condizione di utilizzo del glucosio dalla cellula, questa azione la esplica solo nel tessuto adiposo e nel muscolo striato, nel fegato no. - Sintesi proteica - Uptake di ioni: specialmente K+ e pO4- - Oltre a questo l’insulina inibisce: - Gluconeogenesi - Glicogenolisi - Lipolisi - Proteolisi Sposta quindi il metabolismo proteico in senso anabolico. Recettore dell’insulina: è un recettore catalitico che ha una azione chinasica sulle proteine attaccando un gruppo fosfato, in particolare sull’amino acido tirosina. È un recettore di tipo catalitico, quindi un solo attraversamento di membrana, ma con la particolarità che la coppia di recettori sta insieme ancora prima del legame con l’insulina. Sulla faccia esterna questo recettore è legato ad un’altra subunità alfa che contiene il sito di legame con l’insulina. Quando si lega l’insulina, queste 2 parti del recettore si avvicinano tra loro e parte il processo di autofosforilazione, a questo punto sono capaci di fosforilare anche altro, aumenta la capacità catalitica chinasica del recettore. Una volta che l’insulina si lega al recettore si attivano delle vie di traduzione complesse. Una volta attivato il recettore questo fosforila un’altra proteina che si chiama IRS (substrato del recettore dell’insulina). Da qui parte una cascata di chinasi che va a finire: - Attivano e aumentano la sintesi e l’attività di enzimi coinvolti nella glicolisi: in particolare quelli che regolano la velocità della glicolisi - Sintesi proteica - Trascrizione: effetti nucleari, sintesi di mRNA - Vengono aggiunti alla membrana delle proteine chiamate GLUT4: che sono dei trasportatori di glucosio. GLUT è una serie, una famiglia di trasportatore di glucosio che sono presenti nei tessuti, e sono presenti indipendentemente dall’azione dell’insulina. Tutti tranne uno, il GLUT4 appunto, questo per essere inserite nella membrana ha bisogno anche della presenza dell’insulina. Una volta attivato il recettore dell’insulina, fosforilare il suo substrato (proteina IRS) la quale attiva una serie di cascata di chinasi che vanno a fosforilare una proteina di membrana di vescicole che stanno all’interno della cellula e una volta fosforilate queste protein della vescicola permettono la fusione per un processo di esocitosi della vescicola stessa. Fra le proteine di membrana c’è anche la GLUT4. Quando si ha la fusione della vescicola con la membrana plasmatica, il GLUT4 va a far parte della membrana plasmatica. Questo avviene nelle cellule muscolari e nelle cellule adipose. Nel fegato invece c’è il GLUT2 che non è dipendente dall’insulina. Insulina nel tessuto adiposo: l’insulina permette l’entrata degli acidi grassi nell’adipocita e promuove l’esterificazione, quindi la produzione di trigliceridi, che vanno a formare la goccia lipidica dell’adipocita. L’insulina permette l’inserimento del GLUT4 nella membrana dell’adipocita, il glucosio entra, si attiva la glicolisi all’interno dell’adipocita. Arrivati ad acetil-coA l’insulina promuove la lipogenesi, sintesi di enzimi che permettono il montaggio dei segmenti dei 2 carboni acetil-coA formando l’acido grasso. Insulina nel tessuto muscolare: determina l’inserimento del GLUT4 nella membrana del muscolo il glucosio entra, qui a seconda dell’attività muscolare o viene usato subito nella glicolisi, oppure va a ricostituire la riserva di glicogeno muscolare. Insulina nel fegato: si hanno le stesse reazioni metaboliche presenti nel muscolo, glucosio convertito in glicogeno ma non c’è bisogno che metta il GLUT4 perché è già presente il GLUT2. Questo è importante perché quando si è a digiuno il glucosio deve uscire dal fegato, ma per uscire c’è sempre il bisogno del trasportatore GLUT. Quando si è a digiuno perché l’insulina è minima, quindi se il GLUT fosse il 4 a dipendenza insulinica non si potrebbe tirare fuori il glucosio. Regolazione della secrezione di insulina: l’aumento di glicemia sopra i livelli normali va a stimolare la cellula beta dell’isola di Langerhans del pancreas a secernere insulina. La cellula beta ha nella membrana dei trasportatori GLUT2. Se aumenta la glicemia, il glucosio entra nella cellula beta. Entrando viene immediatamente utilizzato, glicolisi, ciclo di Krebs, producendo tanta ATP. Nella membrana della cellula beta c’è un canale del potassio a controllo di ligando intracellulare, e il ligando è l’ATP. Quando aumenta l’ATP, questo si lega al canale del potassio chiudendolo, di conseguenza il potenziale di membrana diminuisce, si depolarizza. A questo punto i canali del calcio a voltaggio dipendenti si aprono a causa della depolarizzazione e il calcio entra nella cellula beta per gradiente di concentrazione elettrochimica. Il calcio che entra si lega a proteine di membrana delle vesciche che contengono insulina inducendo l’esocitosi di queste vescicole e quindi l’insulina viene secreta. Il glucosio va anche a determinare un aumento di trascrizione del gene dell’insulina, e quindi ad un aumento di sintesi. Quindi quando aumenta la glicemia si hanno 2 risposte da parte della cellula beta: - Rilascio di insulina tenuta nelle vescicole (immediata) - Aumento di sintesi dell’insulina (ritardata) GLUCAGONE Altro ormone che interviene nel controllo della glicemia. È l’ormone antagonista dell’insulina. È un ormone secreto dalle cellule alfa dell’isole di Langerhans. (Cellule beta nella parte centrale e cellule alfa nella periferia dell’isole di Langerhans). È un ormone proteico iperglicemizzante (non unico ormone iperglicemizzante, mentre l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante) che: - Promuove la glicogenolisi, inibisce la glicogenosintesi: smonta il glicogeno formando glucosio da mettere nel sangue. - Promuove la gluconeogenesi: partendo da diverse fonti, lipidiche o aminoacidiche. - Inibisce la lipogenesi; promuove la beta-ossidazione: catabolismo lipidico, per formarne molecole bicarboniose come acetil-coA o acido acetico (acetato), punto di partenza per risalire nella glicolisi per formare glucosio. Cresce quindi quando la glicemia scende. Lontano dai pasto, maggiormente di notte perché la pausa tra cena e colazione è maggiore. Sostiene la glicemia. L’organo bersaglio del glucagone è il fegato, in maggioranza, e il tessuto adiposo. Meccanismo d’azione: il recettore del glucagone è un recettore a 7 passi accoppiato a proteina Gs, che stimola l’adenilato ciclasi. L’adenilato ciclasi forma cAMP, la cAMP attiva la PKA che fosforila la fosfolipasi chinasi, attivandola, che attiva la fosforilasi, l’enzima che attacca il glicogeno staccando un glucosio e attaccandogli un fosfato in posizione 1. A questo punto il glucosio esce e va nel sangue attraverso i trasportatori GLUT2, sempre presenti. Importante quindi che nel fegato ci siano GLUT2 e non GLUT4, altrimenti avremmo bisogno di insulina per tirare fuori glucosio dal fegato. Controllo della secrezione: ci sono diversi fattori, 2 sono legati alla particolare conformazione dell’isola di Langerhans; al centro le cellule beta e tutt’intorno le cellule alfa che producono glucagone, poi ci sono anche cellule delta, sempre alla periferia che producono e secernano la somatostatina. Questa struttura è importante perché l’isola di Langerhans ha una circolazione ben definita, c’è un vaso centrale che rilascia liquido per filtrazione che scorre dal centro verso la periferia dove poi verrà portato da altri vasi sanguigni e linfatici. Direzione precisa del flusso del liquido extracellulare. Quindi gli ormoni prodotti dalla parte centrale progressivamente fluiscono verso la parte periferica trascinati da questo flusso e di liquido extracellulare. Questo fa si che l’insulina, prima di entrare nei capillari, può fluire verso la periferia con un effetto paracrino orientato. Questo fa si che l’insulina arrivi in grande concentrazione alle cellule alfa dove inibisce la produzione di glucagone. La somatostatina prodotta dalle cellule delta inibisce la produzione di insulina dalle cellulare beta. Dopo un pasto, la cellula beta è stimolata a produrre insulina che fluisce verso le cellule alfa bloccando la produzione di glucagone. CORTISOLO Il cortisolo è coinvolto nella regolazione della glicemia, adeguamento alle esigenze, spostamento del set Point dei sistemi di controllo. È un fattore iperglicemizzante che interviene in condizione di stress. In fisiologia lo stress ha un significato neutro, fino ad un certo punto è positivo. Si intende qualunque stimolo, condizione che metta alla prova le nostre capacità omeostatiche. I meccanismi omeostatici sono in grado di rispondere alle variazioni, ma fino ad un certo punto, se lo stress aumenta molto e perdura nel tempo, allora i meccanismi omeostatici non ce la fanno più e lo stress diventa cattivo, il distress, li danneggia. Non si è quindi più in grado di mantenere l’omeostasi e si va in contro ad una condizione che si chiama di allostasi. L’eustress, invece, è lo stress buono ed è quello che tutti i giorni viviamo in tutti i momenti. Il corpo risponde a queste condizioni di stress attivando diversi ormoni che attivano a loro volta l’ottimizzazione della risposta dei vari organi. Ci sarà anche l’attivazione del sistema nervoso ortosimpatico. L’ormone tipico di risposta allo stress è il cortisolo che viene sintetizzato e secreto dalle ghiandole surrenali. Queste ghiandole hanno la doppia natura formata da una parte midollare e una corticale, che sono completamente diverse. La corticale è una ghiandola endocrina tipica, la midollare ha una origine embriologica diversa, si origina da un gruppetto di cellule precursori delle cellule nervose, infatti è innervava da fibre ortosimpatiche e pregangliari e si comporta come i neuroni ortosimpatici o postgangliari. La midollare rilascia ormoni che sono simili a neurotrasmettitori (adrenalina e noradrenalina). La corticale produce cortisolo, in particolare la parte intermedia fascicolata della corticale (le altre 2 parti che la compongono sono glomerulosa esterna e reticolata interna). Il cortisolo è un ormone steroideo, deriva dal colesterolo. Il suo meccanismo d’azione quindi si sviluppa su recettori intracellulari, per essere raggiunti il cortisolo attraversa la membrana plasmatica ed entra nella cellula. Il recettore legato col cortisolo si dimerizza ed entra nel nucleo dove si va a legare ad una particolare sequenza di nucleotidi del DNA, determinando l’attivazione della trascrizione dei geni. Azioni metaboliche del cortisolo: le cellule bersaglio del metabolismo sono il fegato, centrale metabolica del corpo: - Promuove la gluconeogenesi epatica: promuove la sintesi delle proteine enzimatiche che permettono di rovesciare il flusso metabolico della glicolisi. Sono 3, punti corrispondenti alle chinasi, dove il cortisolo promuove la sintesi degli enzimi che la fanno andare in senso inverso, anabolico. I substrati provengono da aminoacidi, l’azione del cortisolo è quella di una attivazione del catabolismo proteico, ricavando gli aminoacidi, da cui si entra nella via della gluconeogenesi. Anche da lipidi. Con una ipercortisolemia si può avere un effetto di atrofizzazione dei muscoli a causa della azione catabolizzante sulle proteine. Si produce quindi glucosio che aumenta la glicemia. - Diminuisce GLUT4 nel muscolo e nell’adipocita - Promuove l’utilizzo di acidi grassi (lipolisi) e di proteine muscolari, rendendo disponibili substrati per la gluconeogenesi. Azioni cardiovascolari: l’organo bersaglio è il cuore. Aumenta la risposta del miocardio alle catecolamine (noradrenalina e adrenalina) quindi ha un effetto attivante in modo indiretto, aumentando il numero di recettori appunto delle catecolamine. Aumenta quindi la gittata cardiaca e la pressione arteriosa. Inoltre stimola la sintesi di eritropoietina. Azioni antinfiammatorie e immunosoppressive: si assumono farmaci cortisonici per diminuire l’infiammazione o la risposta immunitaria. Inibisce la sintesi di citochine proinfiammatorie (tramite l’inibizione di PLA2) e stimola la sintesi di citochine antinfiammatorie. Inibisce la risposta immunitaria dei linfociti T. Azioni sulla riproduzione: diminuisce la funzione a livello ipotalamico, ipofisario e gonadico (rapporto con lo stress). Azioni sull’osso: diminuisce l’assorbimento intestinale e il riassorbimento renale di calcio. Come conseguenza promuove la secrezione di paratormone che stimola gli osteoclasti. Inibisce gli osteoblasti, le cellule che costruiscono l’osso, tende quindi a demolirlo. Azioni sul tessuto connettivo: inibisce la proliferazione di fibroblasti e la sintesi di collagene (pelle e pericapillare). Azioni sul rene: inibisce la sintesi e l’azione dell’ormone antidiuretico. Promuove l’espressione del trasportatore simporto sodio bicarbonato nel tubulo contorto prossimale, agendo quindi sul pH. Tramite l’azione sul recettore dei mineralcorticoidi promuove anche la ritenzione di sodio e di acqua, azione crociata con l’aldosterone. Azioni sul sistema nervoso centrale: presenza abbondante di recettori del cortisolo. Alti livelli cronici di glicocorticoidi che durano per molto tempo, attivano recettori a bassa affinità (si attivano quando il cortisolo è tanto) che danneggia i neuroni. Possono indurre alterazioni dello stato emotivo, fino a psicosi (depressione da stress cronico), fino alla morte cellulare. Promuove glicocorticoidi e neurogenesi adulta. Azioni sul muscolo: stimolando la proteolisi per ricavare gli aminoacidi per far partire la gluconeogenesi, se il cortisolo rimane alto per molto tempo può causare impoverimento della massa muscolare. Effetti dello stress cronico: depressione e diminuzione delle difese. In caso di distress l’alta concentrazione di cortisolo deprime le difese aspecifiche, l’infiammazione, e specifiche, produzione di anticorpi. Espone a malattie infettive e cancro. Azioni sullo sviluppo fetale: nel feto non c’è formazione di surfattante fino al settimo mese, quindi può sopravvivere solo con respirazione assistita. In vista di un parto prematuro quindi si tratta la mamma con cortisolo che stimola nel feto la produzione di surfattante prima del tempo. Controllo della secrezione di cortisolo: il meccanismo è l’ormone ipofisario ACTH, un ormone proteico che viene secreto dall’adenoipofisi e ha la funzione di stimolare la parte fascicolata della corticale surrenale a produrre e secernere cortisolo. L’ACTH è controllato a sua volta dall’ormone ipotalamico CRH. L’ipotalamo una volta stimolato produce CRH, attraverso il sistema portale ipotalamo-ipofisario va all’adenoipofisi, stimola il rilascio dell’ACTH e questo va in circolo dove raggiunge la surrenale che ne stimola il rilascio di cortisolo. Il cortisolo inibisce la secrezione di ACTH e il CRH. Sistema di feedback che stimola un andamento oscillatorio, con un andamento circadiano che raggiunge un minimo alla sera e un massimo di primo mattino, cioè un po’ prima dell’ora solita del risveglio. Questo andamento non è legato al circolo luce buio, anche un soggetto che rimane sempre al buio subisce un innalzamento e un’abbassamento della concentrazione di cortisolo. È un meccanismo endogeno indipendente dall’esposizione alla luce, ma ogni mattina viene sincronizzato con l’esposizione alla luce. Aumenta durante la notte fino ad un massimo di primo mattino perché di notte non si mangia, si ha quindi bisogno di un ormone che alza la glicemia, in più perché la mattina abbiamo bisogno di più glucosio che vada nel cervello per farlo passare da un tipo di attività ad un’altra. L’andamento circadiano è l’andamento di base del cortisolo, se si entra in una condizione di stress si ha un picco imprevisto nell’andamento circadiano. Si autolimita da solo però grazie ai sistemi di feedback. Dopo pochi secondi dall’inizio di una attività sportiva il cortisolo ha un picco per evitare di andare incontro ad una ipoglicemia. ADRENALINA/NORADRENALINA Catecolamine, altri ormoni tipici della risposta allo stress. Entrambi sono secreti dalla midollare surrenale con prevalenza di adrenalina. Derivano all’aminoacido tirosina, dove si forma prima dopamina e poi adrenalina e noradrenalina. La midollare rilascia anche una piccola parte di dopamina. Il recettore alfa 1 si attiva maggiormente con la noradrenalina e il modo più forte di attivare la beta 2 è l’adrenalina, gli effetti dell’attivazione del recettore sono gli stessi, ma le affinità e quindi la possibilità di agire su un certo organo piuttosto che un altro cambia. OSSITOCINA Ormone della neuroipofisi. Molto simile all’ADH. È prodotta e sintetizzata nell’ipotalamo e secreta dalla neuroipofisi mediante una via nervosa, lungo gli assoni nei neuroni i cui corpi cellulari si trovano appunto nell’ipotalamo. Funzioni dell’ossitocina: agisce sulla muscolatura lisca e su cellule simili alla muscolatura liscia. Gli organi bersaglio sono in particolare la muscolatura della parete dell’utero e cellule che circondano la ghiandola mammaria, che hanno capacità contrattili ma non sono tipicamente muscolari lisce. Le funzioni principali sono: - Determinare il parto: quando il feto si gira e punta la testa contro il collo dell’utero, il collo si dilata e questo determina la dilatazione di tensocettori, terminazioni di neuroni sensitivi primari, che generano un potenziale d’azione che arriva al midollo spinale, da qui arriva l’informazione fino all’ipotalamo da cui partono potenziali d’azione che determinano il rilascio di ossitocina nella neuroipofisi. A questo punto l’ossitocina va in circolo e trova i recettori nella muscolatura lisca dell’utero (tranne che nel collo) dove determina una depolarizzazione delle cellule muscolari lisce e quindi un più facile raggiungimento della soglia di innesco del potenziale d’azione. A questo punto la parete dell’utero si contrae e spreme il feto verso il collo dell’utero. - Espulsione del latte: interviene nel momento in cui il bambino inizia a ciucciare per contrazione di quelle cellule mioghiandolari che circondano la ghiandola mammaria. La secrezione di ossitocina quindi è determinata dalla stimolazione tattile del capezzolo dove si trovano recettori tattili. Viene secreta dal momento in cui si attacca il neonato. Attiva l’ipotalamo attraverso il midollo spinale. L’ossitocina rimanere in circolo dopo la poppata, quindi se il bimbo ne ha preso poco il latte continua ad uscire. Questa funzione si riflette anche sull’utero andando a ridurre il suo volume. - Funzione antinfiammatoria - Eccitazione sessuale - Fecondazione: nel rapporto sessuale lo stimolo per la secrezione di ossitocina è determinato dai recettori tattili della parete della vagina. Determina anche qui la contrazione dell’utero che favorisce la risalita dello sperma nell’utero fino a raggiungere nelle tube l’ovulo. - Comportamento parentale: l’ossitocina ha dei recettori anche nel cervello, e questo spiega il motivo per cui sia presente anche nell’uomo. Questa va a modificare il comportamento e soprattutto quello che viene chiamato comportamento parentale. L’ossitocina agisce specificamente in centri che facilitano lo stabilirsi di un rapporto di cura, di occuparsi di. Durante il parto si ha una enorme produzione di ossitocina che arriva al cervello e la mamma è disponibile a creare un legame esclusivo con il bambino. Questo si prolunga anche con l’allattamento. È lo stesso anche nel maschio - Legame di coppia - Comportamento ematico L’ossitocina viene secreta con un meccanismo a feedback positivo. CALCIO E FOSFATO Le 2 Omeostasi sono molto correlate, si influenzano a vicenda. Importantissimi perché di ipocalcemia si muore. Essendo vitali ci sono sempre una pluralità di meccanismi di intervento. La calcemia è importante per: - Contrazione muscolare: calcio del reticolo sarcoplasmatico, non extracellulare (a parte cuore) - Regolazione dei canali ionici: nelle cellule eccitabili, quando si genera il potenziale d’azione si aprono canali del sodio, del calcio ecc. Quando si genera un potenziale d’azione comunque i canali di calcio a voltaggio dipendenti ci sono dappertutto. Questo calcio che entra è importante perché crea una nuvola di calcio nella faccia interna della membrana che va a legarsi a canali ionici del sodio o attivare chinasi che fosforilano canali ionici. L’entrata di calcio influisce sull’eccitabilità della cellula stessa. È importante quindi che ci sia il calcio extracellulare, perché se diminuisse, diminuirebbe di conseguenza a il calcio che entra nella cellula nel potenziale - d’azione andando a modificare l’intervento del calcio sulla stessa eccitabilità della cellula. Una diminuzione di calcio ha come risultato un aumento dell’eccitabilità delle cellule eccitabili. La conseguenza è che ad un certo punto le cellule generano da sole il potenziale d’azione che porta alla contrazioni delle cellule muscolari fino alla tetania, i muscoli rimangono contratti senza rilasciarsi. Questo è letale, paralisi spastica dei muscoli respiratori. Regolazione delle proteine attivando chinasi Regola il trasporto di membrana Regola molti enzimi Regola la secrezione ghiandole: come insulina e glucagone Rilasciamento del trasmettitore Rilascio di ormoni Proliferazione cellulare: l’entrata di calcio cambia il comportamento delle cellule e anche la proliferazione cellulare. Meccanismi di coagulazione Funzioni del fosfato: - Metabolismo dei carboidrati - Regolazione dei canali ionici - Trasporto cellulare - Tutte le funzioni che dipendono da ATP o cAMP ecc - Fosfolipidi di membrana - HP2PO3- e HPO3- - : in equilibrio tra loro formano un sistema tampone molto importante presente nel plasma. Primo intervento nella variazione della concentrazione di ioni idrogeno. Il calcio si trova disciolto nel sangue con una concentrazione di circa 9 mg/100 ml. Nel liquido extracellulare c’è alla stesa concentrazione. Il calcio può essere eliminato dai reni attraverso l’urina. Nel corpo si ha una enorme riserva del calcio, molto più alto della concentrazione nel sangue. Questo è lo scheletro. Il tessuto osseo è un tessuto connettivo, caratterizzato da poche cellule e tanta matrice, tanto materiale extracellulare. Nell’osso ci sono un po’ di cellule e tanta matrice extracellulare fatta da proteine. Su queste proteine si vanno a formare cristalli di fosfato di calcio. Questo sale è molto duro e insolubile in acqua. Il calcio assunto con la dieta viene assorbita solo una parte, il restante lo si ritrova nelle feci. Se vogliamo controllare la concentrazione ematica di calcio possiamo intervenire: - Aumentando o diminuendo l’assorbimento intestinale - Aumentando o diminuendo l’escrezione renale - Aumentando o diminuendo il deposito di calcio nell’osso - Aumentando o diminuendo la rimozione di calcio dall’osso, e di conseguenza fosfato. Ormoni di controllo: sono 3 calcitriolo (vitamina D in forma attiva), calcitonina e paratormone. PARATORMONE Secreto dalle ghiandole paratiroidi, senza paratiroidi non possiamo vivere in quanto interviene quando la calcemia diminuisce, il paratormone è un ormone quindi ipercalcemizzante. È un ormone proteico. Il paratormone può agire su 3 organi bersaglio, 2 principali ossa e reni, e l’altro è l’intestino e mucosa intestinale che assorbe il calcio dagli alimenti ma non è una azione diretta del paratormone. Azione sull’osso: stimola la solubilizzazione della matrice ossea. Il fosfato di calcio è insolubile in acqua ma lo può diventare in alcune situazioni. Porta quindi nel sangue fosfato e calcio in forma solubile. Il meccanismo di solubilizzazione è indiretto. Nell’osso ci sono diversi tipi di cellule tra cui gli osteoclasti e gli osteoblasti. Gli osteoblasti costruiscono la matrice ossea, secernano le proteine di tipo collagene su cui si formano i cristalli che indurisce l’osso. Gli osteoclasti invece destabilizzano l’osso in modo da portare in soluzione i cristalli e quindi portarli nel sangue. In condizioni basali si ha il lavoro coordinato di osteoclasti e osteoblasti, la quantità di osso che si solubilizza è uguale alla quantità di osso che si forma. Queste 2 cellule sono in comunicazione con un meccanismo di contatto attraverso 2 proteine di membrana, una prodotta dall’osteoclasta (RANK) e uno prodotto dall’osteoblasta (RANKL). Attraverso le proteine passano informazioni da una cellula all’altra per coordinarsi. Il paratormone e ha i recettori accoppiati a proteina G nella membrana dell’osteoblasta, ma in realtà va ad agire sull’osteoclasta. Usa quindi questi ponti proteici per passare le informazioni, si lega al recettore di membrana dell’osteoblasta, si attivano una cascata di reazioni che vanno a modificare la RANKL, che modica la RANK che modifica il comportamento dell’osteoclasta. Il risultato è l’aumento di osteolisi, cioè la solubilizzazione della matrice ossea. L’osteoclasta si attacca alla superficie di una trabecola ossea sigillando tutto intorno, crea un ambiente riservato fra osteoclasta e matrice ossea. A questo punto l’osteoclasta, che ha un alto numero di lisozomi (vescicole del citoplasma che contengono enzimi litici, avente un pH acido per non attivare questi enzimi), esocitano le vescicole lisozomiali versando ioni idrogeno in quella cavità che si è formata e delimitata dal sigillo tutto intorno fra osteoclasta e matrice ossea. Questo abbassa il pH dentro a questa cavità e in queste condizioni portano alla solubilizzazione di fosfato di calcio, e i vasi sanguigni li prendono. Azione sul rene: aumenta il riassorbimento tubulare di calcio, se ne perde meno con l’urina. Il riassorbimento di calcio avviene per i 2/3 nel tubulo contorto prossimale, poi avviene nel tratto spesso dell’ansa di Henle e il resto nel tubulo contorto distale e dotto collettore. Nel tubulo contorto distale avviene la regolazione da parte del paratormone dove ha un’azione di assorbimento di calcio che avviene per meccanismo dipendente dal gradiente di sodio creato dalla pompa sodio potassio che porta all’aumento di trasportatori di calcio. Il paratormone quindi è secreto in condizioni di ipocalcemia, che provoca sulle paratiroidi un aumento della secrezione di paratormone. Regolazione della secrezione di paratormone: il paratormone è una proteina, viene quindi sintetizzato dall’apparato di Golgi e messo nel citosol dentro a vescicole. Nella membrana delle paratiroidi c’è un recettore a 7 attraversamenti di membrana accoppiata a proteina G che attiva il meccanismo della fosfolipasi C formando inositolo trifosfato. Questo è un recettore per il calcio, quando esso aumenta o si trova in condizioni normali si lega al recettore che attiva tutto il processo dell’inositolo trifosfato che va nel reticolo e libera il calcio del reticolo, che attiva una via che blocca l’esocitosi delle vescicole contenenti il paratormone. Quando il calcio diminuisce questo meccanismo non si attiva e avviene l’esocitosi delle vescicole liberando il paratormone. CALCITONINA È prodotta da cellule parafollicolari (o cellule C) della tiroide. È un peptide, una piccola proteina che è antagonista del paratormone. Agisce sugli stessi organi bersagli del paratormone, quindi rene e ossa, e in maniera indiretta diminuisce il riassorbimento della mucosa intestinale. Azione sulle ossa: agisce stimolando gli osteoblasti. Si lega ad esse e ne stimola al funzione, ovvero quella di formare la matrice ossea. Prendono il calcio e il fosfato dal sangue e costruiscono fosfato di calcio per formare la matrice ossea. Inoltre inibisce l’attività degli osteoclasti e quindi inibisce la solubilizzazione della matrice, sposta l’equilibro verso la formazione di osso. Azione sul rene: incrementa l’escrezione renale del calcio, inibisce il riassorbimento di calcio. VITAMINA D Un micronutrimento per essere una vitamina devono essere assunte, perché non siamo in grado di sintetizzarle, e sono necessarie per la vita. Indispensabili per i processi metabolici. Devono essere assunte con la dieta. È legata alla specie. Nel caso della vitamina D il concetto di necessità di assunzione dagli alimenti può essere anche superata in parte perché possiamo crearla noi anche senza gli enzimi necessari (ne manca uno). La vitamina D ha una forma attiva che si chiama calcitriolo. Anche questa molecola viene dal colesterolo, è il suo precursore. Il calcitriolo richiede una prima reazione che è la rottura del secondo anello del colesterolo. Per questa prima reazione non abbiamo l’enzima, per questo è una vitamina. Dobbiamo introdurre il colecalciferolo che non è la forma attiva, ma da qui si hanno gli enzimi per formare il calcitriolo. Oppure si ha la possibilità di fare questa reazione per via chimica, e non biochimica, quindi non con un enzima che catalizza questa reazione ma l’energia necessaria per rompere questo legame è data dalla radiazione ultravioletta che assorbiamo dal sole. Questo avviene all’interno delle cellule della pelle. Una volta formato il colecalciferolo ci sono gli enzimi che aggiungono i 2 gruppi OH. Queste 2 reazioni avvengono la prima nel fegato (nell’epatocita) dove si forma idrossicolecalciferolo. Questo va nel rene dove aggiunge il secondo ossidrile formando calcitriolo. La vitamina D è un ormone, e la ghiandola endocrina è il rene. Il calcitriolo agisce sulla mucosa intestinale promuovendo l’assorbimento intestinale di calcio. Agisce attraverso un recettore intracellulare, quindi entra nella membrana, si lega al suo recettore che dimerizza ed entra nel nucleo dove promuove l’espressione di geni di trasportatori del calcio, e quindi aumenta l’assorbimento degli ioni di calcio (nella cellula della mucosa intestinale). Importante regolarizzare il calcio perché forma sali insolubili, se si mette quindi troppo calcio nel sangue si rischia di formare cristalli. Paratormone e calcitonina agiscono indirettamente sull’assorbimento intestinale. Vanno a modificare la biosintesi del calcitriolo, in particolare il paratormone aumenta l’idrossilasi che attiva nel rene il calcitriolo, aumenta l’efficienza della reazione e quindi il calcitriolo rilasciato dal rene. La calcitonina invece stimola un enzima che fa prendere una via diversa all’idrossicolecalciferolo, invece di essere trasformata in calcitriolo, viene aggiunto un ossidrile in un’altra posizione e quindi non può più essere trasformata in forma attiva. Di conseguenza diminuisce la formazione della forma attiva. La sintesi quindi è aumenta dal paratormone e diminuita dalla calcitonina. Azioni del calcitriolo: - Intestino tenue: aumenta l’assorbimento di calcio - Rene: aumenta il riassorbimento di calcio nel tubulo contorto distale - Osso: effetto indiretto, aumenta la mineralizzazione aumentando la disponibilità di calcio. Effetto diretto, aumenta il turnover osseo. NEUROFISIOLOGIA ORGANIZZAZIONE E FUNZIONA DEL SNC Il sistema nervoso centrale è fatto di midollo spinale e di un encefalo, all’interno cui si distinguono diverse parti. Il sistema nervoso svolge 2 funzioni fondamentali: 1. Sistema nervoso autonomo: è autonomo da tutto, ha un modo di funzionare che è indipendente dalla coscienza, dalla volontà. Insieme all’apparato endocrino gestisce il coordinamento e l’integrazione degli interventi dei vari organi sull’omeostasi. Sistema di coordinamento dei nostri sistemi omeostatici, insieme agli ormoni. Stabilisce in caso di conflitto le priorità. Per fare questo raccoglie informazioni sullo stato interno del corpo e stabilisce i set-point. Organizza interventi di tipo feedforward (volti a prevenire scostamenti dal set-point) e di tipo feedback (volti a compensare tali scostamenti). 2. Sistema nervoso di relazione: ci mette in relazione con l’ambiente (sia interno che esterno corporeo). È potenzialmente in relazione con la coscienza. Raccoglie informazioni dall’ambiente esterno e interno, le traduce e le trasferisce in centri dove sono utilizzate, in modalità immediata o differita, per costruire rappresentazioni alla base dell’organizzazione di interventi motori sull’ambiente. Realizza feedback sensitivo-motori fra corpo e ambiente. Permette tramite la raccolta di informazioni di costruire informazioni in forma simbolica all’interno del SNC per programmare e ideare atti motori, intervengono sull’ambiente modificandolo, a quel punto si avranno informazioni differenti perché l’ambiente è stato modificato, e si ricomincia. Feedback sensitivo motorio corpo ambiente. Le informazioni sono estratte dall’ambiente esterno o interno da recettori di senso, che lo traducono in un linguaggio comune (elettrico). Per estrazione si intende che tra tutte le possibili informazioni che si trovano nell’ambiente, di tutte le caratteristiche, i recettori di senso fanno un campionamento e ne tirano fuori una minima parte. Queste informazioni possono derivare da un ambiente interno o esterno. In più i recettori quindi oltre a prendere queste informazioni le traducono in forma elettrica, unico linguaggio comprensibile per il nostro sistema nervoso. Le informazioni sono quindi elaborate e integrate in centri nervosi con altre derivate dagli organi di senso o tratte da magazzini di memoria. Le memorie sono informazioni immagazzinate nel SNC, che vengono usate per integrare le info che vengono dall’ambiente. Nel nostro encefalo costruiamo rappresentazione in forma simbolica della realtà presente e passata, attivazione elettrica di alcuni neuroni del cervello, rappresentazione in forma elettrica. L’ultima stazione di elaborazione sono i motoneuroni (via finale comune), dopo do che il comando motorio non è più modificabile ed è inviato agli effettori (muscoli). Nel sistema nevoso autonomo invece l’informazione efferente può essere integrata anche a livello periferico. Il SNC (encefalo e midollo spinale) è il centro di funzioni che possiamo chiamare riflesse, l’organizzazione di risposte motorie a stimoli che provengono dall’esterno (feedback). RIFLESSO È una risposta motoria o ghiandolare ad uno stimolo, indipendente dalla nostra volontà. Il riflesso implica la conduzione dell’informazione originata dallo stimolo dalla periferia a un centro nervoso e il suo trasferimento a vie della motricità attraverso cui avviene la conduzione indietro (riflessa) alla periferia, dove attiva gli organi effettori (muscoli). Il riflesso è rapido (di qualche decina di millisecondi), stereotipato (sempre uguale a parità di stimolo), non soggetto a apprendimento. Caratteristiche del riflesso. I centri di integrazione dei riflessi sono relativamente semplici e possono essere soggetti solo ad una inibizione più o meno completa della risposta. Normalmente la maggior parte dei riflessi è inibita. Qualunque struttura nervosa centrale può essere centro di attività riflessa. I riflessi spinali, per la semplicità dei circuiti che li medino e per la possibilità di studiarli dissezionandone le diverse componenti e le influenze encefaliche, rappresentano un caso paradigmatico. Recettore, via afferente (assone), midollo spinale, sinapsi con la via efferente (motoneurne), via efferente, organo effettore (quello che esegue l’ordine). Questa è la struttura fondamentale delle funzioni del sistema nervoso. L’Unità funzionale del sistema nervoso è proprio questo circuito sensitivo motorio. Per costruire quel circuito è necessario che la funzione sinapsi sia in relazione al giusto neurone efferente. Se voglio un riflesso su un determinato muscolo, è importante che il neurone efferente sia quello relativo a quel muscolo, altrimenti il riflesso avverrebbe in un diverso distretto muscolare. Il nostro SNC è fatto di circa 80 90 miliardi di neuroni. Ogni neurone riceve qualche migliaio di sinapsi. Quindi le sinapsi nel sistema nervoso sono almeno 100000 miliardi. I circuiti quindi sono un numero impressionante, di conseguenza avere risposte diverse. I geni nell’uomo nei cromosomi sono vicino a 30000. Bisogna costruire circuiti corretti scegliendoli tra miliardi di miliardi di miliardi di possibilità usando solo poco meno di 30000 geni. Questa costruzione del sistema nervoso quindi non è possibile partendo da queste sole poche informazioni. Quindi non c’è una programmazione genetica del sistema nervoso, non è determinato dai nostri geni come siamo, come rispondiamo all’ambiente. I geni danno solo criteri generali di costruzione del nostro sistema nervoso, il resto i dettagli, che vuol dire costruire proprio quel circuito e non un altro, dipendono dal nostro vissuto, dall’esperienza. Le attivazioni che arrivano al sistema nervoso attraverso gli organi di senso costruiscono i circuiti corretti. Questa costruzione avviene attraverso un doppio processo di produzione ridondante seguito da processi regressivi, in cui viene eliminato quello di troppo. Durante lo sviluppo del sistema nervoso non si formano subito i circuiti corretti ma molti di più di quelli che ci serviranno, per poi essere eliminati quasi tutti, tranne quello giusto, quello che svolge le funzioni corrette. Durante lo sviluppo nel feto e nel bambino piccolo si forma un numero di neuroni che è molto superiore a circa 80 miliardi degli adulti. La maggior parte di questi però vengono poi eliminati perché facevano circuiti “sbagliati”. Il numero di sinapsi nello sviluppo è molto superiore di quello che rimarranno. L’eliminazione di questi circuiti che non servono prende il nome di “pruning” dall’inglese “potatura”. Si ha bisogno di avere una informazione genetica generale, a quel punto creato il repertorio primario, tramite le attivazione dei sensi si ha l’attivazione elettrica di questi circuiti che diranno quali circuiti sono giusti e quali sono sbagliati. Nell’autismo si ha una ridondanza di sinapsi perché se ne sono eliminate poche, ce ne sono ancora troppe, uno stimolo può quindi dare tante risposte. PERCEZIONE Attraverso la percezione recepiamo degli stimoli. Lo stimolo sensoriale è un gradiente spaziale e/o temporale di energia proveniente dall’esterno o dall’interno del corpo. Per sentire qualcosa, per attivare questi sensori di senso è necessario che una energia cambi nel tempo o nello spazio. 2 processi in sequenza nella sensibilità delle varie forme: - Il processo di ricezione: consiste nell’estrazione di alcune caratteristiche dall’ambiente (stimoli) e nella loro trasformazione in un linguaggio comune (elettrico). Avviene in particolari strutture chiamate recettori di senso. - Il processo di percezione: consiste nell’organizzazione delle informazioni estratte dai recettori di senso in una rappresentazione coerente simbolica all’interno del sistema nervoso centrale. La sensibilità consiste di 2 momenti fondamentali: - Periferico: in cui l’oggetto viene disgregato e le sue caratteristiche sono recepite separatamente dai singoli recettori di senso (recezione). - Centrale: in cui le caratteristiche separatamente recepite dai singoli recettori di senso sono montate, formando una rappresentazione simbolica che, in generale, ha qualche relazione con l’oggetto originale (percezione). I recettori di senso sono strutture (cellule o parti di cellule) che hanno due funzioni: 1. Recezione 2. Trasduzione La presenza dello stimolo modifica in qualche modo il recettore di senso. La trasduzione è la genesi di fenomeni elettrici, potenziali locali e d’azione conseguente alla modifica dei recettori di senso dovuti alla presenza dello stimolo. TIPI DI SENSIBILITÀ In base alla provenienza dello stimolo possiamo distinguere il tipo di sensibilità. - Esterocezione: stimoli provenienti dall’esterno. Ad esempio la sensibilità visiva, la sensibilità tattile, uditiva, gustativa. - Propriocezione: stimoli provenienti dall’interno. Ad esempio sensibilità muscolare, articolare. - Enterocezione: stimoli provenienti dai visceri. Riconosce la distensione o la contrazione dell’intestino. Solo una piccola parte raggiunge la coscienza, viene elaborata a livello inconscio. In base al tipo di energia dello stimolo: - Meccanica: spostamento, vibrazione, pressione, onde sonore, accelerazione - Termica: caldo, freddo - Elettromagnetica: luce - Chimica: molecole disciolte, molecole volatili In base al tipo di stimolo: - Sensibilità somatica: ci descrivono come è fatto il nostro corpo tramite tatto, propriocezione, temperatura, dolore. - Equilibrio: accelerazioni - Visione - Udito - Olfatto - Gusto Tipi di recettori: - Classe I: terminazione dell’assone del neurone sensitivo primario. Hanno il corpo cellulare, il soma, nei gangli delle radici dorsali. Questi sono fatti di tanti corpi cellulari, neuroni sensitivi che hanno un assone a T, un ramo va alla periferia (pelle, muscolo ecc) e l’altro entra nel midollo spinale attraverso la radice dorsale. Il ramo periferico si divide in diversi rametti che terminano da soli o circondati da cellule di sostegno formando un corpuscolo. - Classe II: cellula specializzata che stabilisce un contatto sinaptico con la terminazione dell’assone del neurone sensitivo primario. Sono intere cellule che costituiscono il recettore che ha parti sensibili allo stimolo le trasforma in segnali elettrici e fa sinapsi che la collega con il neurone sensitivo primario. Nel primo caso è la stessa cellula che recepisce e traduce in segnale elettrico e genera il potenziale d’azione che arriva al modello spinale. Nel secondo caso il recettore svolge solo le funzioni di recezione e di trasduzione, trasformazione in un segnale elettrico, mentre il potenziale d’azione non vene generato da questo neurone ma dal neurone sensitivo primario che riceve da questo recettore la sinapsi. I recettori di senso mandano tramite i neuroni sensitivi primari al SNC delle informazioni codificate, in forma di potenziali d’azione. Codificano 4 proprietà: - Modalità: il tipo di sensibilità o il sottotipo. Vista, udito, tatto, propriocezione, gusto, olfatto, sensibilità vestibolare. Vengono codificate e decodificate su base anatomica. Il cervello è diviso in lobi, ognuno dei quali ha una propria funzione. Il cervello riesce quindi a distinguere un potenziale d’azione di una modalità piuttosto che da un’altra in base a dove arrivano. Al lobo occipitale, input visivo. Lobo parietale tattile. Lobo temporale udito. - Intensità: descrive quant’è intenso lo stimolo, quanta energia ha il potenziale d’azione. Per esempio una forte pressione. La codifica avviene in forma di frequenza, non è il singolo potenziale d’azione che da l’informazione, ma l’intera scarica di potenziali d’azione. Più è forte lo stimolo e più aumenta la frequenza. Se lo stimolo è molto debole non genera nessun potenziale d’azione, si perde l’informazione. - Localizzazione spaziale: corrisponde alla domanda “da dove viene?” Ad esempio, “da dove viene questa pressione, mano? Piede?”. La codifica della localizzazione spaziale è in base anatomica nella sensibilità somatica, a seconda di dove arriva il potenziale d’azione il cervello capisce da dove solo partiti. Le dimensioni di questi tratti della sensibilità somatica dipendono da quanti recettori si hanno per quel tratto. Ad esempio sarà una porzione più grande per mani e labbra. Per altre modalità sensoriali non somatica le cose sono più complicate. Ad esempio per la sensibilità uditiva ci si accorge da dove arriva il suono analizzando come il suono è stato raccolto dalle 2 orecchie, per poi essere confrontati. - Definizione temporale: definisce il momento di inizio e il momento di fine del segnale. Sono recettori fasici. Sono di 2 tipi, a lento adattamento e a rapido adattamento. I recettori a lento adattamento continuano a dare potenziali d’azione per tutto il tempo in cui, ad esempio, si faccia una pressione su una parte del corpo. Quelli a rapido adattamento o fasici, invece, si adattano alla presenza dello stimolo, dopo un po’ non lo sentono più. Questi mandano una scarica di potenziali d’azione all’inizio e una scarica alla fine di questa pressione, dello stimolo. SENSIBILITÀ SOMATICA È la descrizione che il nostro corpo da di se stesso al cervello. È la descrizione dello stato del corpo e dei suoi contatti. Comprende un aspetto propriocettivo e un aspetto esterocettivo. comprende: - Meccanica di superficie: pressione, vibrazione, strisciamento - Temperatura - Dolore superficiale o profondo - Propriocezione: lunghezza dei muscoli, forza prodotta dai muscoli, angoli articolari - Sensibilità vestibolare L’integrazione di queste informazioni permette di tenere informazioni sul corpo e sui suoi contatti. Costruiscono dentro il cervello lo schema corporeo, rappresentazione di come è il mio corpo in questo momento. La sensibilità somatica si divide in: - Sensibilità epicritica: permette di analizzare. Ha le seguenti sottomodalità: - Contatti: locazione - Pressione - Vibrazione: ampiezza e frequenza - Texture e discriminazione spaziale - Trazione laterale - Sensibilità protopatica: grossolana che si divide in: - Nocicettiva: dolore - Termica SENSIBILITÀ TATTILE È costituta da recettori che si trovano sulla pelle. La pelle è divisa in diversi strati, c’è un superficiale, l’epidermide, che è a contatto con l’esterno ed è fatto di diversi sottostrati. In quello più in basso avviene la proliferazione che man mano spinge le cellule a salire riempendosi di una proteina, la cheratina, che poi porta alla morte della cellula stessa. Lo strato più superficiale quindi è formato da cellule morte. Queste sono molto importanti in quanto proteggono gli strati sottostanti. Il secondo strato sotto l’epidermide è il derma, uno strato di tessuto connettivo. Dopo di che c’è il lipoderma, tessuto adiposo. I recettori tattili stanno tutti nel derma. I tipi di recettori tattili sono almeno 4. 2 superficiali, vicino al confine con l’epidermide. Questi sono il corpuscolo di Meissner e i dischi di Merkel. Il fatto di essere superficiali sono più sensibili, percepiscono meglio le pressioni esercitate sulla pelle. La differenza tra i 2 recettori è che il corpuscolo di Meissner è fasico, quindi a rapido adattamento, mentre i dischi di Merkel sono a lento adattamento. Il corpuscolo di Meissner si attiva quando si applica una pressione, ma se si mantiene la pressione smette di mandare stimoli. Il disco di Merkel invece continua a caricare potenziali d’azione per tutto il tempo in cui si applica la pressione. Corpuscolo ha un assone che proviene dal neurone sensitivo primario il cui corpo cellulare si trova nei gangli delle radici dorsali. In profondità nel derma troviamo altri 2 recettori di senso che sono il corpuscolo di Pacini (fatto anch’esso da terminazioni di un assone e tante cellule appiattite che stanno tutte intorno) e il corpuscolo di Ruffini (fusi orientati in varie direzioni nella pelle). Tra questi 2 Pacini è a rapido adattamento e Ruffini è a lento adattamento. Meissner, Merkel e Pacini rilevano delle pressioni, Ruffini è il recettore che rileva le deformazioni laterali della pelle, importante per capire il peso di un oggetto che si tiene in mano. I 2 recettori a rapido adattamento, Pacini e Meissner, sottolineano il momento iniziale e finale di una pressione sulla pelle, ma con una pressione variabile continuerebbero a mandare potenziali d’azione. Questa pressione variabile è una vibrazione. Recettori a rapido adattamento sono importanti per la lettura Braille. Il cieco sente, quando c’è un puntino, una pressione e una decompressione quando non c’è più il puntino. Fondamentale è il corpuscolo di Meissner, a rapido adattamento superficiale. Se i recettori tattili sono tanti, si riescono a distinguere 2 punti vicini, ma se i recettori sono pochi, i 2 punti li distinguiamo se sono lontani. Le informazioni raccolte dai recettori tattili vengono inviati attraverso gli assoni dei neuroni sensitivi primari al midollo spinale, da cui l’assone del neurone sensitivo primario (entrato attraverso le radici dorsali) va verso il cervello e si ferma nel bulbo. Lo stesso assone dello stesso neurone che aveva formato nella sua terminazione periferica i 4 recettori, entra nel midollo spinale, sale su e arriva fino al bulbo. Assone lunghissimo. Qui si ferma in 2 nuclei (sostanza grigia, tessuto nervoso fatto dai corpi cellulari dei dentriti, circondati da sostanza bianca, priva di corpi cellulari e fatta solo di assoni. Sostanza bianca via di collegamento, sostanza grigia dov’è avvengono le sinapsi, dove si elaborano le informazioni) che si chiamano gracile e cuneato, dove fa sinapsi con un secondo neurone che attraversa la linea mediana (decussa) e sale nell’esencefalo fino ad arrivare al talamo. Qui fa sinapsi su un terzo neurone che lancia un assone verso la corteccia somatosensitiva, subito dietro la scissura di Rolando, dove viene elaborata l’informazione tattile. PROPRIOCEZIONE È la sensibilità del nostro corpo, la percezione degli stimoli che provengono dai nostri tessuti, soprattutto muscoli e articolazioni che ci permettono di costruire lo schema corporeo. Lo schema corporeo è di fondamentale importanza per costruire dei programmi motori. Descrive lo stato statico, cinematico e dinamico del proprio corpo e dei suoi segmenti. I propriocettori sono: - Fusi neuromuscolari - Organi tendinei del Golgi - Recettori delle capsule articolari - Recettori di stiramento della cute - Apparato vestibolare Fuso neuromuscolare: organo di senso che contiene recettori di senso che si trova all’interno dei muscoli. È fatto di cellule muscolari striate specializzate, diverse da quelle che costituiscono la massa del muscolo per come sono fatte, per la loro funzione e per la loro innervazione. Queste cellule muscolari nei fusi sono avvolte da una guaina connettivale che le separa da resto del muscolo. È dedicato alla recezione di lunghezza (componente statica) e all’allineamento (componente dinamica) del muscolo. Le fibre muscolari hanno una doppia innervazione, motoria e sensitiva. L’innervazione motoria è data da motoneuroni che formano una giunzione muscolare dove c’è il neurotrasmettitore acetilcolina. I motoneuroni del fuso sono un po’ diversi rispetto a quelli extrafusali, sono un po’ più piccoli, per distinguerli prendono il nome di motoneuroni gamma. L’innervazione sensitiva invia informazioni al SNC. È data da terminazioni di assoni di neuroni sensitivi primari i cui corpi cellulari si trovano nei gangli delle radici dorsali. Gli assoni dei neuroni sensitivi si avvolgono nella parte centrale delle fibre intrafusali e rilevano allungamenti della parte centrale. L’assone è avvolto a spirale, allungando la fibra anche la spirale si deforma allungandosi. Questa deformazione della spirale determina una deformazione della membrana, un cambiamento dei rapporti tra membrana e citoscheletro che fa aprire i canali del sodio a controllo meccanico. Le fibre intrafusali sono diverse da quelle muscolari comuni infatti qui i nuclei che derivano dai singoli mioblasti che si sono fusi non si disperdono lungo tutta la fibra ma si raccolgono nella partire centrale, formando 2 tipi di disposizioni diverse. In alcune fibre intrafusali formano un grappolone al centro della fibra, in altre si pongono tutte in fila nella parte centrale. Nel primo caso si forma un rigonfiamento per la presenza dei nuclei, nel secondo non si deforma. Dato che tutti i nuclei stanno al centro, qui non c’è spazio delle miofibrille, possono stare ovunque ma non al centro, stanno quindi alle 2 estremità. Le estremità possono contrarsi, il centro non si contrae. Se quindi si contrae una fibra intrafusale si ha un stiramento della parte centrale in quanto le estremità non possono spostarsi, sono legate alla guaina connettivale. Si allunga la parte centrale. Per ottenere lo stiramento della parte centrale si hanno 2 possibilità, si allunga l’intero muscolo e quindi anche le fibre del fuso, oppure si contraggono solo le fibre intrafusali. Sia le fibre al sacco (deformazione dovuta ai nuclei), sia le fibre a catena (nuclei in fila), sono attivati da neuroni sensitivi di tipo 1a, neuroni sensitivi dove l’assone ha un’alta velocità di conduzione del potenziale d’azione, li avvolge entrambi. C’è un altro tipo di neuroni sensitivi a più bassa velocità di conduzione del potenziale d’azione, neuroni di tipo 2, che innervano solo le fibre a catena nucleare. Questo è importante perché si possono dare su canali diversi le informazioni proveniente dalle fibre a sacco e dalle fibre a catena. Se una nel nasce da una catena nucleare va solo per il canale sensitivo primario di tipo 2, se invece nasce da una fibra al sacco nucleare va solo dal canale costituito da tipo 1a. Le fibre al sacco e le fibre a catena rilevano stimoli un po’ diversi. Quelle a catena nucleare con la terminazione sensitiva che l’avvolge forma un recettore sensitivo di tipo tonico, a lento adattamento, mentre, le fibre a sacco nucleare con l’innervazione costituiscono un recettore di tipo fasico, a rapido adattamento. Se lo stimolo permane, il potenziale d’azione si spegne. Di conseguenza queste fibre rilevano non l’allungamento effettivo del muscolo ma la velocità dell’allungamento del muscolo (stimolo dinamico). Quelle a catena nucleare invece sono sensibili ad uno stimolo statico, la lunghezza effettiva del muscolo, si attiva quanto di più quanto il muscolo è lungo. Questo può anche essere ottenuto anche con l’attivazione dei motoneuroni gamma. Non si allunga il muscolo, si contraggono le estremità della fibre intrafusali, si allunga il centro e parte il potenziale d’azione lungo le vie sensitive. Organo muscolo-tendineo di Golgi: è un recettore di senso dedicato alla recezione della forza che il muscolo esercita sul tendine. Si trova non all’interno del muscolo ma tra muscolo e tendine. Da una parte è attaccato alle fibre muscolari e dall’altra parte al tendine. È un rilevatore di forza che il muscolo esercita quando si contrae sul tendine. È avvolto da una capsula connettivale dove all’interno è fatto da proteine extracellulari, collagene. Queste proteine si intrecciano fra loro formando una rete tridimensionale. Nelle maglie di questa rete si disperdono le terminazioni dei neuroni sensitivi primari. Quando il muscolo si contrae, le fibre muscolari tirano esercitando una forza sull’organo tendineo di Golgi, si deforma (allunga) e le maglie dalle rete si deformano anche loro, si allungano longitudinalmente e si stringono. Stringendosi schiacciano le terminazioni degli assoni dei neuroni sensitivi primari e schiacciandoli li eccitano perché anche questi hanno dei canali cationici a controllo primario che si aprono quando vengono schiacciati. Partono potenziali d’azione che arrivano al midollo spinale. Le condizioni in cui la forza sarà massima sono contrazioni di tipo eccentrica. Il muscolo si contrare tirando da una parte ma il tendine si sposta tirando dall’altra. DOLORE (SENSIBILITÀ NOCICETTIVA) Il dolore è un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata a un danno tissutale reale o potenziale, o descritta in termini di tale danno. È di 2 tipi, dolore nocicettivo che origina da nocicettori, e dolore neuropatico, che origina dalla lesione o dalla infiammazione della via nervosa. Il dolore neuropatico origina da una genesi di potenziali d’azione non nel luogo dove si sente male ma lungo la via nervosa che trasporta l’informazione. Il dolore nocicettivo è utile perché ci mette in allarme. Non esiste il dolore in natura ma esiste il danno tissutale, è un allarme. Ci sono alcune patologie dove non avviene la percezione del dolore. In altre si sente la sensazione dolorosa ma non si attribuisce a questo un fattore negativo. Dolore neuropatico è un dolore che non mette in allarme, ma per qualche motivo si attiva. No unidirezionale dalla vera fonte del danno. Nocicettori: recettori che evocano la sensazione di dolore. La sensazione evocata dai nocicettori, a differenza da quella evocata dagli altri recettori somatici, non ha relazione con lo stimolo, ma è percepita come sgradevole e motiva a comportamenti di fuga o di difesa. I nocicettori sono sensibili (depolarizzata fino alla soglia) a stimoli che possono produrre un danno tessutale reale o potenziale. Sono generalmente costituiti da terminazioni nervose libere, sono terminali di assoni che terminano in mezzo alle cellule di tessuti. I nocicettori si distinguono in meccanici, termici e polimodali, a seconda del tipo di stimolo che può attivarli. Recettori meccanici: sono attivati da stimoli meccanismi, simili quindi ai recettori tattili, la differenza è nella soglia, il livello minimo che deve avere lo stimolo per attivarli. Nei recettori tattili è molto bassa, nei recettori nocicettivi la soglia è molto alta. Recettori nocicettivi termici: vengono attivati da stimoli termici, caldo e freddo. Se la pelle è portata ad una temperatura superiore a 50 °C o inferiore di 5 °C si attivano i nocicettori termici e si sente dolore. Nocicettori polimodali: sono attivati da stimoli di diverso tipo, sia da stimoli meccanici che termici che chimici (presenza di certe sostanze). Le sostanze chimiche che li attivano sono indicatori di un danno tessutale, o di una possibile situazione di danno, infiammazione. Possono essere dati da cellule che si rompono. Ad esempio il potassio, tipicamente intracellulare, quindi a livello extracellulare non deve essere tanto presente. Se il potassio extracellulare aumenta la spiegazione è che si sono rotte delle cellule e questo attiva i nocicettori polimodali. Vengono anche attivati da cellule dell’immunità aspecifica, macrofagi che vengono richiamati dove avviene un’iniezione o infiammazione con lo scopo di fagocitare i detriti o agenti patogeni. Ma oltre a questo rilasciano sostanze come l’istamina o la bradichinina che attiva questi recettori. Sono sensibili agli stimoli che creano un danno tessutale, ma sono sensibili alle conseguenze del danno tessutale, non alle cause. Nocicettori meccanici e termici sono terminazioni di assoni mielinizzati (fibre delta, molto veloci) di neuroni sensitivi primari il cui corpo cellulare si trova nei gangli della radice dorsale, i nocicettori polimodali sono assoni molto più piccoli, non mielinizzati che si chiamano fibre di tipo C. La velocità di conduzione infatti è molto bassa. Il neurone sensitivo primario entra nella sostanza grigia del midollo spinale e qui termina. Fa sinapsi su un secondo neurone, il quale decussa, e sale su dalle colonne laterali della sostanza bianca, attraversa il bulbo, e va fino al talamo. Qui termina il secondo neurone e fa sinapsi sul terzo che manda il suo assone alla corteccia somatosensitiva. La via del dolore va anche ad altre strutture encefaliche come l’ipotalamo. Le terminazioni che determinano una risposta sommata di attivazione ortosimpatica, la frequenza cardiaca aumenta, la pressione sanguigna aumenta per vasocostrizione viscerale, la surrenale secerne noradrenalina ecc. Inoltre l’ipotalamo è una ghiandola endocrina e quindi gli ormoni che li controlla li mette in attivazione, ad esempio la glicemia aumenta (pronti a scappare da quella situazione dolorosa). Altre evocano degli stati emotivi. LA VISTA L’importanza nella vista nell’ideazione del comportamento notorio è testimoniata dai numeri. Nei 2 occhi abbiamo 100 milioni di recettori visivi (un iPhone 12 milioni di punti sensibili). Il nervo ottico è fatto da 1 milione di assoni. Una grossa parte del cervello è proprio legata alla vista, tutta la zona occipitale, una parte del lobo parietale, la parte inferiore del lobo temporale. Gli stimoli della vista sono onde elettromagnetiche che chiamiamo luce. L’onda elettromagnetica è una variazione del contenuto energetico di un certo punto dello spazio. Viaggiano nel vuoto perché non sono materia. Sono campi di forza, elettrico e magnetico che aumentano e diminuiscono insieme. La velocità della luce è 300000 Km/s. Più è piccola l’onda e più è alta la frequenza del picco dell’onda, rapporto inverso. La luce visibile è ben poco, una gamma di lunghezze d’onda che va da 400 nanometri a 700 nanometri. PERCEZIONE VISIVA È fatta di 2 momenti, uno periferico che avviene nella retina e uno centrale. Nel periferico hanno un ruolo fondamentale i recettori visivi delle retina che recepiscono la presenza di luce (vengono quindi modificati dalla presenza di luce) e trasformano l’informazione portata dalla luce in impulso elettrico. Il momento periferico è gestito dai fotorecettori che si trovano nelle retina e costituto quindi da questi 2 momenti, recezione e traduzione. In forma di potenziali elettrici queste informazioni vengono invitate da ciascun recettore al cervello dove le rimonta tutte insieme. Ciascun recettore rileva che in quel punto c’è della luce, il quadro che abbiamo davanti agli occhi viene quindi frammentato in mille pezzi, ognuno recepito da un singolo recettore. Il cervello che riceve questo milione di informazioni che passano su un milione di canali, le rimette insieme e crea una rappresentazione di quello che abbiamo davanti agli occhi. L’occhio è delimitato da una membrana connettivale (sclera), davanti c’è un foro che si chiama pupilla, che è coperto da materiale trasparente. È circondato dalla membrana colorata dell’occhio, l’iride, fatta di tanti muscoli lisci molto piccoli che può variare le dimensioni del foro centrale. Questa variabilità è regolata in base alla quantità di luce. Regola la quantità di luce che entra nell’occhio. In penombra la pupilla è molto grande, perché si ha il bisogno che entri molta luce per vedere; se invece si punta contro una torcia, la pupilla si restringe per contrazione di un muscolo circolare che sta nell’iride. All’interno l’occhio è divisa in 2 camere, una che contiene un materiale gelatinoso che si chiama humor vitreo, e davanti all’iride si ha una piccola cameretta in cui c’è un liquido chiamato humor acqueo. Davanti ancora è chiuso dalla cornea e davanti ancora dalla congiuntiva. Dietro la pupilla c’è una struttura connettivale trasparente che si chiama cristallino che ha funzione di lente, e proietta l’immagine che abbiamo davanti agli occhi esattamente sulla parte posteriore dell’occhio, dove sta la parte sensibile. La arte sensibile è un’epitelio nervoso, fatto di cellule nervose che si chiama retina, ricopre tutta la faccia interna dell’occhio. RETINA Riveste la parte interna dell’occhio ed è dove il cristallino proietta l’immagine di ciò che abbiamo davanti agli occhi, ma viene rovesciata. La retina è fatta da diverse tipi di cellule. Nella parte più lontana dalla luce si trovano i fotorecettori, cellule che percepiscono la luce e la trasformano in segnale elettrico. Gli atri tipi di cellule stanno più al centro dell’occhio, la luce quindi prima di arrivare ai fotorecettore deve attraversare queste cellule. I fotorecettori formano sinapsi sulle cellule bipolari (nello strato intermedio), neuroni chiamati cosi perché hanno 2 poli. Sono neuroni non eccitabili, hanno pochi canali del sodio a voltaggio dipendente, non generano un potenziale d’azione. Hanno 2 prolungamenti dal corpo cellulare, uno che va verso i fotorecettori, latro va verso il centro dell’occhio. Ricevono quindi sinapsi dai fotorecettori e formano sinapsi con lo strato più interno della retina che è costituito da cellule gangliari, in quanto hanno un assone molto lungo (come le cellule dei gangli delle radici dorsali) che va verso il centro dell’occhio, si piega a 90°, si riuniscono tutti insieme in un punto della parte posteriore dell’occhio, bucano la membrana che la circonda (la sclera) ed escono formando insieme il nervo ottico, fascio di assoni che esce dall’occhio e porta l’informazione al cervello. Oltre queste cellule ci sono altri 2 tipi di cellule che sono le cellule orizzontali e le cellule emacrine che formano delle connessioni orizzontali. FOTORECETTORE Sono di 2 tipi, si chiamano bastoncelli (forma cilindrica) e coni (la parte posteriore si restringe, forma conica). Coni presenti soprattutto nella parte centrale della retina che si chiama fovea, che è la parte su cui cade l’immagine che vedo in questo momento. Si guarda con precisione 1 punto, e poi con la coda dell’occhio ricavo più informazioni. Sulla fovea ricade proprio quel punto su cui cade l’attenzione principale. In tutto il resto della retina invece prevalgono i bastoncelli. Coni e bastoncelli funzionano nello stesso modo sostanzialmente. Un fotorecettore è formato da 3 parti, una parte centrale dove è presente il nucleo e molti organuli; poi da una parte l’elemento presinaptico, e dall'altra parte c’è una grossa parte della cellula pieno di dischi, vescicole appiattite con una propria membrana che stanno una sopra all’altra. Nel cono non sono dischi, non sono vescicole ma invaginazioni della membrana plasmatica. Il modo di funzionare però è lo stesso. Nella membrana plasmatica c’è una proteina particolare, un canale ionico (proteina di membrana) che è un canale cationico (ioni positivi) non molto specifico (sodio ma anche calcio e magnesio) che è aperto da una molecola che si lega nella faccia interna della e membrana. Questa molecola è cGMP, molto si simile a cAMP, ma ha la guanina invece della adenina. Se scompare il cGMP il canale si chiude. Nella membrana del disco ci sono 3 proteine principali, coinvolte nel processo di recezione (cambiamento della cellula quando arriva la luce) e processo di traduzione in segnale elettrico. Una di queste è la rodopsina, una proteina coniugata con una parte non proteica che è la forma attiva della proteina A, chiamata retinale. È una proteina a 7 attraversamenti di membrana, quindi una proteina accoppiata a proteina G. Questa proteina G è la trasducina (seconda proteina importante). La terza proteina è un enzima che è l’effettore della trasducina che è la fosfodiesterasi, che è capace di rompere la struttura ciclica dei nucleotidi ciclici, in particolare è specifica della rottura del cGMP (rompe l’anello di fosfato che sta attaccato in 2 carboni del ribosio), trasformandolo il GMP non ciclico. Nel citosol della cellula c’è il guanilato ciclasi che trasforma il GTP in cGMP. In condizioni di base la guanilato ciclasi forma continuamente del cGMP che si lega al canale di membrana cellulare aprendolo. Quando il canale è aperto entrano per loro gradiente gli ioni positivi (soprattutto sodio e calcio), andando a depolarizzata il potenziale di membrana. Queste cariche poi tornano fuori per la pompa sodio potassio. Al buio la rodopsina legata al retinale non ha la capacità di reagire con la trasducina, in quanto il retinale interagisce con la rodopsina rendendola incapace di reagire con la trasducina. Nel buio il meccanismo quindi non si attiva, non è attiva neanche la fosfodiesterasi, mentre lo è la guanilato ciclasi; si forma quindi molto cGMP che tiene aperto il canale. La cellula al buio è depolarizzata. Quando arriva la luce, che è energia, succede che il fotone (la più piccola parte della luce) colpisce il retinale della rodopsina, la parte non proteica, e questa energia fa si che questa molecola cambi forma. Da una forma piegata che si chiama 11-cis-retinale diventa tutta dritta, che si chiama tutto-trans-retinale. Il problema che il trans-retinale non riesce più a stare dentro la proteina come sta in forma cis, e quindi viene espulso dalla rodopsina. A questo punto la rodopsina ha perso il retinale, c’è solo la parte proteica, e si chiama opsina. L’opsina, una volta perso il retinale, diventa capace di legare la proteina G trasducina, attivandola. A questo punto la subunità alfa della proteina G trasducina attiva il suo effettore, ovvero la fosfodiesterasi, andando a distruggere il cGMP. Una volta distrutto il cGMP il canale si chiude e il sodio, il calcio non riesce più ad entrare e vengono buttati fuori dalle rispettive pompe. A questo punto il potenziale di membrana della cellula sale diventando più grande, perché non entrano più le cariche positive. Con questo meccanismo si è quindi trasformata la luce in un cambiamento elettrico della membrana. La recezione nel fotorecettore consiste nel cambiamento della molecola di retinale e nell’attivazione dell’opsina che diventa capace di reagire con la trasducina. La traduzione, ovvero la trasformazione della luce in segnale elettrico, comprende tutti i passaggi con il finale l’iperpolarizzazione della membrana del fotorecettore. Come è possibile che una iperpolarizzazione del fotorecettore diventi una depolarizzazione della cellula gangliare che fa patire il potenziale d’azione? Il fotorecettore fa sinapsi sulla cellula bipolare, la cellula bipolare fa sinapsi sulla cellula gangliare. Esistono sinapsi eccitatorie e sinapsi inibitorie. Nella sinapsi eccitatoria quando viene liberato il neurotrasmettitore si genera una depolarizzazione nell’elemento postsinaptico. Nella sinapsi inibitoria invece si genera iperpolarizzazione quando entra in funzione il neurotrasmettitore. La sinapsi tra fotorecettore e cellula bipolare è inibitoria. Il neurotrasmettitore rilasciato dal fotorecettore provoca quindi iperpolarizzazione della cellula bipolare. La sinapsi della cellula bipolare sulla cellula gangliare invece è eccitatoria, quindi il neurotrasmettitore rilasciato determina depolarizzazione della cellula gangliare. La cellula bipolare inoltre ha un meccanismo simile al fotorecettore, ha i canali dipendenti dal cGMP, quasi sempre aperti. La cellula bipolare è quindi depolarizzata. Al buio il potenziale di membrana del fotorecettore è depolarizzato. Se depolarizzato il fotorecettore, la sinapsi entra in funzione, in quanto depolarizzato, si aprono i canali di calcio a voltaggio dipendenti dell’elemento presinaptico, il neurotrasmettitore viene rilasciato (glutammato). Questa sinapsi è inibitoria, quindi il glutammato rilasciato iperpolarizza la cellula bipolare. Di conseguenza la sinapsi che fa sulle cellule gangliare non funziona, non viene depolarizzata e quindi non succede nulla, non partono potenziali d’azione. Con la luce viene iperpolarizzato il fotorecettore, e se iperpolarizzato la sua sinapsi sulla cellula bipolare si ferma, non viene più rilasciato il neurotrasmettitore, e in queste condizione la cellula bipolare va verso il suo potenziale di membrana spontaneo, che è un potenziale depolarizzato, in quanto anche qui sono presenti i canali a cGMP. Il potenziale quindi cade, si depolarizza, entra in funzione la sinapsi della cellula bipolare sulla cellula gangliare, sinapsi eccitatoria, che depolarizza il potenziale di membrana della cellula gangliare fino alla soglia e quindi parte il potenziale d’azione che arrivano al cervello, al talamo. Da qui parte il secondo neurone che va nelle aree visive della corteccia che si trovano nel lobo occipitale, dove avviene l’elaborazione. APPARATO VESTIBOLARE EQUILIBRIO L’equilibrio è uno stato posturale che viene mantenuto nonostante uno o più campi di forze che agiscono nel nostro corpo che tenderebbero a rompere questo stato posturale. Il mantenimento dell’equilibrio in senso statico richiede il mantenimento della verticale passante per il baricentro (punto in cui viene applicata la forza peso) all’interno della base di appoggio (perimetro dei punti di appoggio). Nell’equlibrio dinamico il vettore di forze che deve passare all’interno della base di appoggio non è dato solo dal peso del corpo (verticale), ma dalla risultante della somma vettore peso e dei vettori delle forze dovute alle accelerazioni. Il mantenimento dell’equilibrio in un campo di forza gravitazionale è un processo attivo, prevalentemente indipendente dalla coscienza, che comporta continui aggiustamenti dell’angolazione e della rigidità delle articolazioni ottenuti mediante variazioni della contrazione di flessori e estensori. È un fenomeno oscillatorio, quindi ci sono processi a retroazione negativa, sulla base di informazioni che arrivano dai propriocettori che riaggiusta la postura. Mantenimento dell’equilibrio informazioni: - Vestibolari - Propriocettive - Esterocettive somatiche: recettori di pressione tattili - Visive: sia il corpo che ciò che lo circonda Centri di elaborazione: dove arrivano le informazioni per il mantenimento dell’equilibrio. - Nuclei bulbari: in particolare il nucleo vestibolare - Cervelletto: vestibolo celebrale. Da questi centri di elaborazione emerge un output, che va in uscita verso i motoneuroni spinali che viene aggiornato continuamente, in base al diverso tipo di informazioni. APPARATO VESTIBOLARE Si trova nell’orecchio interno in una cavità scavata nell’osso temporale. L’orecchio interno è formato da 2 parti, una parte uditiva e una parte vestibolare. Le 2 parti sono connesse fra loro, infatti in alcuni punti scorre lo stesso liquido che si chiama endolinfa. La parte uditiva si chiama coclea e riceve attraverso un sistema di conduzione meccanica le vibrazioni originate nel timpano date dalle onde sonore; recepisce e traduce queste info in impulsi elettrici che poi vengono mandati al cervello. L’apparato vestibolare è un organo di senso. È innervato da una componente dall’ottavo nervo cranico che è il nervo vestibolo-cocleare. L’apparato vestibolare è fatto, come tutti gli apparati, da un insieme di organi ognuno diverso dall’altro che concorrono per svolgere la stessa funzione, anche se ognuno in modo diverso. È un insieme di 5 organi cavi che sono: - 2 cavità: otricolo e sacculo - 3 tubi: disposti a semicerchi lungo 3 piani diversi dello spazio. Sono i canali semicircolari. Partono e tornano all’otricolo. Alle estremità di questi canali il tubo si allarga formando una ampolla. Nelle 3 ampolle, nell’otricolo e nel sacculo ci sono 5 organi che sono fatti in modo simile fra loro ma sono uguali i 3 dei canali semicircolari e i 2 dell’otricolo e del sacculo. Ognuno di questi sono i veri organi di senso. L’apparato è costituito da 3 organi ampollari e 2 organi otolitici. Sono fatti da cellule epiteliali specializzate che hanno delle lunghe ciglia che sporgono nella parte interna della cavità. Queste ciglia sono inglobate all’interno di un materiale gelatinoso (glicoproteine principalmente) che nelle 2 cavità assume la forma più schiacciata e negli organi ampollari assume la forma di una vela. L’organo dell’otricolo e del sacculo contiene al suo interno un gran numero di cristalli microscopici di carbonato di calcio. Il materiale gelatinoso fa da ponte tra i cristalli e le ciglia, se i cristalli si spostano si spostano anche le ciglia. Questi cristalli si chiamano otoliti (dal greco sassi delle orecchie). All’interno di queste cavità dove abbiamo gli organi c’è il liquido endolinfa. Questo è un liquido extracellulare che ha però una composizione particolare, in quanto è molto più simile a quella intracellulare. Quasi niente sodio e tanto potassio, ma abbiamo anche tanto cloruro. Unico liquido extracellulare molto ricco di potassio. Nelle cellule cigliate è presente un ciglio più lungo che si chiama chinociglio, poi gli atri a scala sempre più corti. I canali semicircolari sono disposti lungo 3 piani diversi dello spazio, uno anteriore, uno posteriore (che formano un angolo di 90°) e uno orizzontale (ha un angolo di 30° rispetto al piano orizzontale). Stimolo: è costituito da accelerazioni. È una grandezza fisica, cambiamento di velocità nel tempo. La velocità è una grandezza vettoriale, per rappresentarla si deve esprimere un valore (modulo), una direzione e un verso un cambiamento di velocità, quindi una accelerazione, potrà riguardare o il modulo o la direzione. 2 tipi di accelerazione, lineare quando cambia il modulo, e angolare quando cambia la direzione. Entrambe possono essere stimoli adeguati per l’apparato vestibolare. Gli organi otolitici recepiscono le variazioni lineari, gli organi ampollari recepiscono le variazioni angolari. Se si passa da 0 a 100 Km/h in 5 secondi succede che l’apparato vestibolare accelera insieme alla testa. Gli otoliti però per inerzia tenderebbero a restare fermi, quando si accelera gli otoliti restano indietro, spostando l’organo e quindi anche le ciglia che sono contenute all’indietro. Quando poi si decelera, gli otoliti vanno in avanti, spostando quindi le ciglia in avanti. Negli organi ampollari invece, quando si gira la testa, L’endolinfa contenuta nei canali orizzontali tende per inerzia a restare indietro. Se giro la testa a destra, l’endolinfa gira a sinistra e viceversa. Questo spostamento va a spingere, crea una pressione sulla cupola gelatinosa gonfiando l’ampolla come una vela da un verso o dall’altro, spostando quindi le ciglia in un verso o nell’altro. Se si inclina la testa in avanti o indietro si sposta l’endolinfa nei canali posteriori e anteriori che hanno un andamento verticale. In base alla direzione di spostamento della testa verranno quindi attivati un canale e il rispettivo organo ampollari piuttosto che un altro. Recezione: nei recettori quando si ha una accelerazione cambia la flessione delle ciglia, e siccome sono di lunghezza diversa, questa flessione può avvenire verso il chinociglio o in senso opposto. Traduzione: fra un ciglio e quello vicino più corto, c’è un legame dato da una proteina extracellulare che si chiama Tip Link, legame della punta. Questa si lega a 2 proteine di membrana, una, sul fianco della ciglia più lunga e l'altra sulla punta del ciglio più corto. Questa proteina è elastica, quando si allunga esercita una forza di ritorno. È ancorata ad una proteina di membrana che è un canale del potassio a controllo meccanico extracellulare. Quando il tip link si tira il gate del canale del potassio si apre, più è tirato e più è probabile che il canale si apra. In condizione di riposo, quindi le ciglia sono in verticale, il tip link è parzialmente tirato. In queste condizioni il canale è quasi sempre chiuso ma un po’ può aprirsi. Quando queste ciglia vengono spostate, se si spostano da una parte si avrà l’apertura del canale, la proteina è tirata e le 2 cime si allontanano. Se si sposta dall’altro si avrà la chiusura del canale, le 2 cime si avvicinano. Nelle altre cellule, se si apre il canale del potassio il potenziale di membrana iperpolarizza. Qui però abbiamo che il liquido extracellulare endolinfa è ricco di potassio, avviene quindi la depolarizzazione del ciglio che poi diffonde in tutto il resto della cellula, in quando il potassio entra sia per gradiente chimico che di concentrazione, portando cariche positive all’interno. Una volta che la membrana è depolarizzata, questa si diffonde e alla base della cellula ciglia forma un elemento presinaptico con la terminazione dell’assone del neurone dell’ottavo nervo cranico, elemento postsinaptico. Quando si depolarizza si aprono quindi canali del calcio a voltaggio dipendenti, entra calcio che si lega alle proteine di membrana delle vescicole che contengono il neurotrasmettitore glutammato, le vescicole si fondono con la membrana presinaptica liberando glutammato che genera la depolarizzazione della parte postsinaptica che, se raggiunge la soglia, fa partire il potenziale d’azione. C’è anche un’altra accelerazione che è potenziale, l’accelerazione di gravità. Subiamo continuamente questa forza, accelerazione verso il centro della terra. Anche questa accelerazione attiva gli organi otolitici. Con la testa in posizione eretta gli otoliti tendono a cadere verso il basso, inclinando le ciglia averso il basso. A testa in giu le ciglia subiranno il senso contrario. Trasmissione: i potenziali d’azione degli assoni dell’’ottavo nervo cranico vengono portati al bulbo dove è presente il nucleo vestibolare, un insieme di 4 nuclei. A questo punto vengono smistale in diverse direzioni, fanno sinapsi su altri neuroni, il cui assone va in su, verso il cervello dove evocano i movimenti oculari in senso opposto, che ci permette di continuare a concentrarmi in un punto nonostante la testa ruoti. È un riflesso. Altre sinapsi sono fatte su assoni che vanno in giu verso il midollo spinale. Questi hanno una funzione posturale. Anche questi sono dei riflessi. L’apparato vestibolare, attraverso questi riflessi, contribuisce al mantenimento dell’equilibrio. MOVIMENTO VOLONTARIO I movimenti volontari sono diversi dai movimenti riflessi, sono tutto il contrario: - Sono volontari - Sono diretti ad uno scopo - Possono essere generati in assenza di stimolo - Non sono stereotipati: uno stesso atto motorio fatto in momenti diversi viene fuori in modo diverso - Richiedono un lungo periodo di elaborazione: nel caso ci sia uno stimolo, la risposta avviene in un tempo maggiore rispetto ad un movimento riflesso. Se non c’è lo stimolo il tempo che passa fra le prime elaborazioni del cervello per creare il movimento volontario e l’effettivo inizio del movimento volontario è molto lungo. - Sono soggetti ad apprendimento: ripetendo un gesto migliora da velocità, precisione ecc. I movimenti volontari si originano nella corteccia cerebrale, in particolare nel lobo frontale, nella parte posteriore del lobo frontale, subito davanti la scissura di Rolando. Davanti a queste ci sono le aree premotorie che hanno una funzione di preparazione al movimento. Se si stimola elettricamente un punto della corteccia motoria viene stimolato il movimento. È l’area da dove partono i motoneuroni che danno movimenti volontari. L’area premotoria è anch’essa area motrice, ma viene prima. Quando una persona sta per fare volontariamente un movimento si nota che si attiva prima l’area premotoria e poi la motrice primaria. Se si stimola l’area premotoria, ne susseguono movimenti ma con un ritardo più lungo rispetto a quando si stimola la corteccia motoria. Inoltre stimolando l’area motoria primaria si ottiene un movimento fine, come quello di un dito, mentre se si stimola l’area premotoria si ottiene un movimento più ampio, grossolano, come l’intero braccio. Il comando del movimento viene quindi programmato nell’aria premotoria, per poi passare nell’area motoria primaria da cui vengono inviati i motoneuroni. Anche nella motrice primaria come nell’area sensitiva c’è una organizzazione somatotopica, ogni posizione è correlata ad un punto preciso. Anche nella premotoria si ha una corrispondenza somatotopica ma molto più grossolana. La motrice primaria è quella che gestisce la programmazione di un movimento, l’effettivo svolgimento di quel movimento. Riceve informazione su come è messo il corpo, schema corporeo, dalle informazione somatosensitiva, e in base a quello determina cosa fare per svolgere un movimento. È un’esecutrice, un tecnico che mette insieme l’idea con le informazioni necessarie per la sua realizzazione. La definizione dello scopo del movimento, quello che si chiama ideazione del movimento viene svolto dall’area premotoria. La premotoria ha bisogno di informazioni che vengono essenzialmente dalla vista, dall’elaborazione di input visivi. Tutte le zone adibite all’elaborazione degli input visivi (lobo occipitale, parietale e zona inferiore del lobo temporale) passano sotto e vanno alle premotorie dove viene definito lo scopo del movimento. Prima ancora c’è una funzione cognitiva sia tratte dalla memoria che attuali. Queste funzioni sono svolte dalle aree prefrontali. Sono quelle che sono cresciute di più nell’uomo. È la parte in grado di ideare lo scopo di tipo generale.