Baruch_in_libris Baruch_in_libris SOMMARIO DI STORIA DELLA FILOSOFIA Baruch_in_libris Baruch_in_libris MARIO DAL PRA ORDINARIO DI STORIA DELLA FILOSOFIA NELL'UNIVERSITÀ DI MILANO SOMMARIO DI STORIA DELLA FILOSOFIA PER I LICEI CLASSICI E SCIENTIFICI Voi. I LA FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE LA NUOVA ITALIA FIRENZE Baruch_in_libris In copertina: Jan van Eyck, San Girolamo nel suo studio ( 1442). Detroit, lnstitute of Arts. ©Copyright 1963 by La Nuova Italia Editrice, Scandicci (Firenze) Printed in ltaly Stampa: A.L.T., Bagno a Ripoli (Firenze) l'edizione: marzo 1963 l' ristampa: ottobre 1964 26' ristampa: marzo 1990 ISBN 88-221-0532-X Baruch_in_libris INTRODUZIONE 1. La filosofia. Solo lo studio dell'intero sviluppo della storia della filosofia può dare un'idea abbastanza determinata, e nello stesso tempo articolata, del significato e del contenuto di questa disciplina: esaminando, attraverso la storia, le varie forme che essa è venuta assumendo, cogliendo, con le sue diversità, anche i caratteri comuni che ha mantenuto nelle diverse epoche, ci si potrà fare, certamente, un'idea abbastanza precisa, e fondata, dei suoi caratteri generali e del suo senso nel campo della cultura. Qui, all'inizio dello studio della storia della filosofia, bisognerà giovarsi del concetto generale che lo storico si è fatto della filosofia e proporlo, a titolo di ipotesi, come criterio di scelta e di ordinamento del vasto materiale storico; con la consapevolezza che, in ultimo, il concetto della filosofia, a cui ci si richiama, è, nello stesso tempo, il risultato di un'esplorazione storica, ma anche, la sua premessa, in . una sorta di circolo, a cui non è possibile sottrarsi. Il risultato di tale circolo è pertanto il fatto che sia il concetto di filosofia a cui ci si richiama, sia la storia che se ne svolge hanno un carattere non conclusivo ed assoluto, ma relativo e perfettibile; possono quindi essere entrambi modificati, in seguito a ricerche e ad orientamenti ulteriori o diversi. Proponiamo dunque una definizione di massima della filosofia che possa essere tenuta presente ed orientare la successiva esposizione stbrica: la filosofia è quella forma della conoscenza umana che tende al massimo di generalità ed al massimo di unificazione. Anzitutto, in tale defo;1izione, facciamo riferimento ad una forma distinta dell'iniziativa umana, quella che si chiama conoscenza e si differenzia da altre forme di iniziativa, come, per esempio, il sentimento o la passione, la stessa azione, la fantasia o immaginazione. Ciò significa che, nella filosofia, non facciamo appello a impulsi, a stati d'animo, a slanci o a modi di sentire; nemmeno facciamo riferimento a quell'iniziativa mediante la quale l'uomo tenta di modificare la situazione nella quale vive e che riguarda tanto il mondo fisico quanto gli altri uomini; e infine la conoscenza non può essere confusa con il libero sfogo dell'immaginazionè, al quale pure l'uomo può fare ricorso in varie circostanze della sua esistenza. Già nel far cenno alla conoscenza, a quello VII Baruch_in_libris INTRODUZIONE che essa è ed a quello che non è, facciamo riferimento al mondo dell'uomo e ad una molteplicità di sue esplicazioni, nel cui ambito riteniamo di poterne distinguere ed individuare una, appunto la conoscenza, che comprende elementi della vita mentale organizzati secondo criteri che si possono consapevolmente controllare e che pensiamo abbiano qualche forma di rispondenza con quanto oltrepassa le stesse idee e viene solitamente indicato come realtà. Un sentimento di amore o di odio è vissuto immediatamente e viene avvertito come una sorta di spinta interna che ci sollecita ed a volte ci turba; invece una conoscenza sembra comportare una maggiore mediazione, essere piu indiretta, mirare ad un maggiore distacco da ciò a cui viene riferita, e, con ciò, anche ad una maggiore rispondenza e ad un legame piu puntuale col suo oggetto. Tutte le varie forme dell'iniziativa umana si esplicano o in maniera piu immediata ed occasionale, oppure in maniera piu continua, piu elaborata, in cui l'iniziativa dell'uomo si viene organizzando a livelli piu complessi; nasce cosi un mondo diverso da quello dell'iniziativa nativa ed originaria dell'uomo e nel quale tuttavia quella iniziativa si viene esplicando e quasi concretizzando: è il mondo della cultura, del quale fanno parte la scienza come l'arte, la religione come il diritto, l'organizzazione economica come il costume. D'altra parte, l'iniziativa umana ha come punto di riferimento costante un altro mondo, quello che siamo soliti indicare come il mondo fisico degli oggetti e degli organismi e che diciamo anche «mondo ·esterno»; esso è coinvolto largamente dall'iniziativa dell'uomo, anche se quest'ultima si volge, in larga parte, in direzione degli altri uomini e dei loro rapporti, in ordine ai quali si produce buona parte della cultura. Tornando all'attività conoscitiva dell'uomo, essa assume forme varie e molteplici; non solo si dà la conoscenza sensibile e quella che viene chiamata conoscenza intellettiva, la conoscenza, per esempio, del colore rosso di un garofano e la conoscenza dei rapporti che sono propri di un triangolo rettangolo; ma si ha anche la conoscenza spicciola della vita quotidiana, che ha già un suo grado di organizzazione, ma è tuttavia legata alla varietà ed alla precarietà delle vicende immediate, e si ha una conoscenza piu evoluta e piu elaborata che mette capo alla scienza. La scienza è indubbiamente la forma piu organizzata della conoscenza ed uno dei prodotti piu tipici e rilevanti della cultura. Non abbiamo qui la pretesa di determinare con poche parole che cosa sia una scienza, ma ci basta richiamare che ogni scienza organizza un ambito particolare di conoscenze, mentre la filosofia tende a porre delle questiòni conoscitive di carattere piu generale, le piu generali che sia possibile porre nell'ambito della conoscenza. La prima delle scienze che si è organizzata in forma autonoma, la matematica, ha abbracciato, ad esempio, in forma sempre piu completa ed VIII Baruch_in_libris § I LA FILOSOFIA approfondita lo studio della quantità discontinua o numero nell'aritmetica e della quantità continua o spazio nella geometria; entro questo ambito essa ha dato ordine alle proprie conoscenze, muovendo da principii e ricavandone conseguenze; ha adottato un proprio metodo di dimostrazione, ha anche affrontato le discussioni intorno alla validità dei propri principii o punti generali di partenza, criticandoli, modificandoli, correggendoli; nella sua storia ha anche avuto delle svolte importanti, in cui o parte dei suoi criteri o alcuni dei suoi contenuti sono stati o abbandonati o aggiunti o rinnovati. Con tutte queste modificazioni, però, la matematica non ha cessato di essere una scienza particolare, importante quanto si voglia, ma limitata allo studio di quel determinato oggetto e quindi ben distinta, per esempio, da altre scienze, non meno importanti e non meno determinate nel loro oggetto, come la biologia, o la meccanica ecc. Ora la filosofia, pur essendo come la scienza un risultato dell'attività conoscitiva e pur costituendo con essa uno dei prodotti piu tipici della cultura, si distingue dalla scienza proprio in quanto, mentre questa è particolare, essa tende alla conoscenza piu generale e piu unificata. Si potrebbe pensare che la conoscenza umana possa bene esaurire il suo compito attraverso l'organizzarsi di una molteplicità di scienze particolari, capaci di coprire tutto il campo di volta in volta accessibile; eppure, abbastanza regolarmente, nelle varie età, si è venuta affermando, accanto al sapere scientifico, la filosofia come tentativo di affrontare e di discutere i problemi di ordine piu generale. Essa non si riferisce né ai risultati di singole scienze, né alla loro somma; si riferisce, invece, a delle totalità, a delle unità, a degli orizzonti complessivi. Può, per esempio, riferirsi al mondo degli oggetti fisici ed organici, a quella che si chiama «natura»; ma non per studiarne un singolo aspetto particolare, ma per porre questioni che riguardano il suo insieme, i suoi caratteri, la sua origine ed anche, al suo interno, i vari settori in cui può distinguersi e le relazioni che corrono tra loro. Può anche riferirsi al mondo dell'uomo e della sua coscienza e delle sue attività: ma, anche in questo caso, non per studiarne singoli ambiti particolari, ma per considerare il suo insieme, la sua totalità, in relazione alla quale anche le varie forme dell'attività e dell'iniziativa umana prendono un significato ed una collocazione piu determinate. Qui appare ?n tutta evidenza che la filosofia, pur essendo conoscenza, prende ad oggetto della sua ricerca la realtà dell'uomo nel suo insieme, e nelle varie forme di attività che egli esplica; e cosi indaga anche la stessa conoscenza umana, ma oltre ad essa studia le altre forme di iniziativa, e pertanto anche il mondo del sentimento e quello dell'azione e quello della fantasia; e tenta di cogliere i rapporti che intercorrono tra queste varie forme di attività ed il senso che ciascuna di esse deriva dall'insieme. IX Baruch_in_libris INTRODUZIONE È ovvio però che oggetto principale della filosofia sia il mondo della cultura, cioè i prodotti delle varie attività umane nel loro esercizio piu stabile ed organico; ma non considerati, ancora una volta, nella loro particolarità, quanto invece visti nell'unità e nella generalità della stessa cultura e colti nei loro rapporti, oltre che nella loro distinzione. La filosofia, come conoscenza, non può non mirare a mantenere alcuni dei caratteri principali, propri della scienza e principalmente il rigore nell'organizzazione dei suoi passaggi o dimostrazioni ed una sorta di verifica empirica. Ma è anche vero che questi procedimenti conoscitivi non possono essere in tutto identici nella scienza e nella filosofia. Il mutamento nell'oggetto comporta anche inevitabilmente un mutamento nei procedimenti. E se, per esempio, nel caso di una scienza particolare, la verifica assume un senso determinato, nel caso della filosofia che ha a che fare con delle totalità la verifica assume una determinazione diversa e corrispondente. Proprio a ciò si sono riferiti i filosofi quando hanno suggerito di tener conto della differenza che passa tra il conoscere (riferito alla scienza) ed il pensare, oppure tra l'intelletto (inteso come la funzione propria della costruzione scientifica) e la ragione (inteso come la funzione propria della costruzione filosofica). Il pensare si distingue dal conoscere proprio perché spinge la conoscenza al limite della totalità; e l'intelletto si distingue dalla ragione proprio perché si riferisce agli ambiti particolari della conoscenza, mentre la ragione mira a delle totalità. Senza dire, poi, che non si può nemmeno, come sopra abbiam fatto, distingi:iere, per esempio, i tre mondi rispettivamente degli oggetti del mondo esterno, della realtà dell'uomo e dei prodotti della cultura, senza sollevare la questione dei loro legami, delle loro relazioni e distinzioni, e pertanto dell'unità che li riguarda e li investe. I modi in cui la filosofia teorizza l'unità possono, poi, essere molto diversi tra loro; l'unità può essere intesa come oggetto, magari mettendo capo ad un suo principio, inteso a sua volta come supremo oggetto e cioè come realtà trascendente; oppure può essere intesa come funzione, come criterio di unificazione, come attività strettamente legata agli oggetti o ai dati di cui promuove l'unificazione. Bisogna dire subito che l'attività unificatrice della filosofia è stata a volte contestata; e specialmente nelle età piu recenti non è mancato chi ha sostenuto che, in ambito conoscitivo, basta attenersi ai risultati della conoscenza scientifica ed eventualmente alla loro somma, affermando che non c'è bisogno di alcuna unificazione ulteriore o piu radicale. Ma è anche facile avvertire come tale posizione, mentre contesta l'impegno unitario della filosofia, in qualche modo finisca per confermarlo, in quanto anche la negazione di una prospettiva unitaria è, in ultimo, una maniera, sia pur X Baruch_in_libris ~ I LA FILOSOFIA negativa o sospensiva, di affermarla. Anche se contestata, dunque, la filosofia tende a porre domande complessive e radicali circa la realtà della natura, circa il senso del mondo umano e delle varie attività che lo compongono e lo esplicano, circa il costituirsi e larticolarsi del mondo della cultura e dei suoi diversi livelli, oltre che circa l'intrecciarsi e l'eventuale unificarsi di natura, uomo e cultura e circa il senso unitario di questi mondi, comunque esso si possa intendere. Vi sono infatti modi diversi di svolgere il senso unitario della filosofia. E alcuni di tali modi possono indubbiamente apparire antiquati ed arcaici rispetto ad altri che appaiono alla nostra considerazione piu evoluti e raffinati; ma ciò avviene anche per le varie fasi dello sviluppo della scienza; ed anche nella scienza alcune fasi della sua organizzazione appaiono decisamente antiquate rispetto a fasi piu recenti del suo sviluppo. Certamente i caratteri della conoscenza filosofica ne fanno una disciplina oltremodo mobile, inquieta, sfuggente; da un lato essa intende mantenersi nell'ambito della conoscenza e non evadere verso i lidi della rivelazione o nell'appello alla immaginazione ed al sentimento; perciò mentre pone la questione dei criteri conoscitivi, è anche portata a discuterne la natura e le garanzie; anziché collocarsi quindi all'interno di un complesso di criteri tradizionali, la filosofia è portata a discutere la stessa possibilità e validità dei criteri, con la possibilità di involgersi a fondo in processi puramente formali. D'altro lato, la massima generalità a cui tende la filosofia può spesso apparire inconsistente rispetto alla solida determinazione dei contenuti delle varie scienze; la generalità, infatti, e l'unità, per la loro stessa natura, non hanno una configurazione rigida ed univoca; esse possono avere sia una seria presa sui campi particolari della conoscenza, sia aver l'aria di svaporare in quell'indeterminato in cui vanno perduti anche i semplici caratteri della conoscenza. Ma, in forme varie e molteplici, la filosofia sembra rispondere ad un'esigenza permanente della conoscenza umana, ad un'istanza critica che cambia ·sembianze, ma non l'intento basilare, e si afferma nei campi piu diversi, nel tentativo di cercare un senso complessivo del tutto. Della filosofia è anche molto diffusa una definizione meno tecnica e piu popolare, quella che la indica come una concezione del mondo e della vita. E si ritiene che, in quanto tale, essa interessi generalmente tutti gli uomini e, anzi, che tutti gli uomini ne abbiano una, anche senza svolgere uno specifico lavoro intellettuale e conoscitivo; la filosofia, come concezione del mondo, sembra perfino presente nel linguaggio che si usa e che ciascuno trova consolidato nella tradizione della società o del gruppo in cui nasce e si forma; essa coincide con quello che si suole anc:he chiamare il «senso comune» e che comprende un insieme di modi di pensare e di agire, XI Baruch_in_libris INTRODUZIONE secondo i quali ciascuno si orienta nell'esistenza. Non sembra però che, cosi intesa, la filosofia sia propriamente una conoscenza elaborata; anzi, abbastanza spesso, essa comprende atteggiamenti non del tutto consapevoli, modi di valutare e di pensare usuali, che vengono ripetuti senza una particolare partecipazione e che sembrano operare come elementi del costume; si tratta di una «saggezza» le cui origini non è affatto semplice stabilire e che non ha una storia che si possa documentare in modo univoco e preciso. Eppure tra la filosofia in senso tecnico e specifico e la filosofia popolare, nonostante i diversi caratteri, vi è un nesso che varia col tempo ma che ritrova nella seconda, come nella prima, anche se espressa in forme conoscitive abbreviate e schematiche, oppure addirittura in atteggiamenti pratici ed operativi, una identica funzione: quella di offrire una concezione del mondo come conoscenza dell'insieme della realtà. Ovviamente, la filosofia popolare è u~ magma immediato e' sconnesso, un insieme composito e vario, sul quale la filosofia, in senso tecnico, si eleva attraverso la riflessione critica e l'elaborazione razionale. E noi ci occuperemo, qui, solo della storia della filosofia intesa nel senso tecnico, considerando appunto le sue elaborazioni specifiche, dovute ai filosofi che, da tale punto di vista, sono degli «specialisti»; ma non dimenticando, tuttavia, che la filosofia popolare è una sorta di filosofia incoata, che, in parte, può perfino derivare dalla diffusione della filosofia a livello tecnico e che, del resto, viene sollecitata da una curiosità e da una tendenza a considerare l'insieme dell'esistenza e della realtà, che è alla radice anche delle dottrine pili astratte e pili costruite. 2. I problemi filosofici. I caratteri della filosofia ed il suo significato possono risultare con maggiore chiarezza se visti attraverso i problemi che la filosofia è venuta ponendo e discutendo nel corso della sua storia. Tali problemi per un certo lato sono diversi per ogni età e si modificano di epoca in epoca, tanto che la vera illustrazione dei problemi filosofici si può ottenere soltanto dalla storia della filosofia. Per un altro lato, invece, i problemi paiono avere una maggiore durata nel tempo e costituire, perfino, delle strutture permanenti, almeno nell'ambito di grandi epoche storiche; è in questa seconda prospettiva che si può far cenno dei problemi discussi dalla filosofia anche nell'intento di determinare meglio il contenuto di questa disciplina. Senza tener conto dell'ordine storico e cronologico nel quale i problemi si sono presentati nella filosofia, ma tentando piuttosto un loro inquadramento generale a cui poi la storia potrà aggiungere le determinazioni XII Baruch_in_libris § 2 I PROBLEMI FILOSOFICI particolari, si possono ricordare i problemi filosofici sorti nella disamina di quello che già abbiamo indicato come mondo della cultura e di quello che potrebbe dirsi mondo della realtà. Nel mondo della cultura, ha innanzitutto importanza quella conoscenza esplicando la quale la filosofia giunge anche alla costruzione di se stessa. Non si tratta tanto di porre il problema della scienza, che è una forma eminente di conoscenza, quanto di esaminare la conoscenza nella sua generalità, cosi come essa si esplica in tutte le sue forme. E poiché la conoscenza sembra anzitutto implicare un certo ordine degli elementi mentali .che vi vengono elaborati, si tratterà di studiare tale ordine e di considerarne lo sviluppo. È impossibile trattare dell'ordine degli elementi mentali, del pensiero, senza fare riferimento alle parole, al discorso in cui esso si esprime; la logica (dal greco logos che significa tanto parola e discorso quanto pensiero e conoscenza) è appunto quella parte della filosofia che studia l'ordine che noi tentiamo di dare agli elementi del pensiero e del discorso affinché essi siano validi, cioè non enunciati in modo casuale ed arbitrario, ma rispondenti al fine di ottenere un pensiero ed un discorso ordinati secondo una disciplina che conferisce loro senso e validità. La gnoseologia è invece quella parte della filosofia che studia non tanto lordine, per cosi dire interno, che il pensiero e il discorso assumono al fine di evitare la casualità ed il non senso, quanto invece il procedimento che la mente svolge per giungere alla determinazione del suo oggetto; si tratta di studiare la conoscenza nella sua tensione verso loggetto o la realtà che essa mira a cogliere. Sono propriamente due forme distinte di conoscenza, poiché conoscenza si consegue dando ordine, secondo criteri permanenti, al pensiero o al discorso, in se stessi considerati, e conoscenza si consegue, egualmente, giungendo a stabilire un rapporto, anche qui secondo criteri di validità, tra elementi mentali e gli oggetti «esterni» o reali a cui vengono riferiti. Il problema principale nella logica è quello di individuare l'ordine interno del pensiero e del discorso che gli garantisce un senso e lo porta pertanto a risultati significativi; mentre il problema principale della gnoseologia è quello di stabilire il processo attraverso il quale si può conseguire una relazione valida con loggetto o con la realtà esterni al processo stesso. Quando invece si voglia considerare il linguaggio in tutta la sua estensione ed in tutte le sue forme, non soltanto con riferimento alla conoscenza, si mette capo a quella specifica disciplina filosofica che è la filosofia del linguaggio; del linguaggio essa discute lorigine, la struttura, le diversificazioni, la sua capacità espressiva ecc. La scienza è certamente quella forma della conoscenza in cui la disciplina e lordine degli elementi mentali e del discorso raggiungono un grado eminente. Essa merita pertanto di essere fatta oggetto di un'indagine XIII Baruch_in_libris INTRODUZIONE apposita, diversa da quella che riguarda la logica e la gnoseologia; questa è la filosofia della scienza che considera la scienza nei suoi caratteri generali e in riferimento all'ordine che essa introduce negli elementi che organizza e con riguardo ai risultati che consegue in ordine alla realtà. Lo studio piu specifico dei diversi procedimenti usati dalle varie scienze per conseguire i loro risultati viene studiato dalla disciplina che prende il nome di epistemologia (dal greco episteme = conoscenza scientifica); questa si è venuta organizzando attraverso indagini particolari e fattuali che sono specifiche della scienza, anche se investe, nella sua parte piu generale, i limiti della ricerca di filosofia della scienza. Ma nell'ambito della cultura si trovano prodotti dell'iniziativa umana che vanno al di là della conoscenza, tanto nella sua forma generale, quanto nella sua elaborazione scientifica: uno di tali prodotti è, per esempio, la religione; essa si richiama anche ad elementi conoscitivi, ma si è svolta un'ampia discussione per stabilire quali siano i suoi caratteri specifici; e v'è chi ha insistito sull'importanza che nell'esperienza religiosa viene attribuita alla rivelazione di uno o piu esseri superiori e trascendenti, oppure sul rilievo che vi assume il contatto da parte dell'uomo con una realtà a lui superiore e misteriosa, o, infine, sul peso che vi ha la fede come adesione interiore piena e profonda ad una verità che, pur non essendo fondata su rigorosi procedimenti razionali, risponde ad esigenze vitali e del sentimento non facilmente eludibili. La/iloso/ia della religione mira ad intendere la natura propria della esperienza religiosa ed a stabilire il significato che assume nel complesso della esperienza umana: è un tentativo di affrontare con la prospettiva di conoscenza propria della filosofia, e cioè con l'attenzione rivolta all'insieme ed al tutto, una forma di esperienza che si riferisce non alla conoscenza soltanto, ma ad istanze e ad aspetti dell'esperienza che si impongono come ineludibili. L'arte non è un prodotto meno tipico e meno rilevante del mondo della cultura; essa sembra nascere da una forma distinta dell'attività umana .che, se ha qualche aspetto in comune con la conoscenza e con i suoi dati, si , svolge tuttavia in una direzione sua propria; vi sono filosofi che hanno indicato tale forma di attività creatrice come intuizione, altri l'hanno invece indicata come espressione. Per non dire che le arti sono molte e molto diverse tra loro; si pensi, per esempio, alla differenza tra la poesia e la musica, oppure tra la letteratura e l'architettura. Ora la/iloso/ia dell'arte o estetica mira a comprendere l'arte nella sua unità e pertanto ad indicare ciò che risulta comune a tutte le arti come manifestazioni diverse di una stessa attività umana; ed a chiarire il bello che sembra essere il criterio a cui ogni operatore artistico si ispira; si tratta inoltre di indicare le relazioni che corrono tra I' arte e le altre produzioni della cultura, o tra I' attività artistica e XIV Baruch_in_libris § 2 I PROBLEMI FILOSOFICI le altre forme dell'attività umana ed anche di ritrovare e riscontrare l'ispirazione unitaria dell'arte non solo nelle diverse arti, ma anche nelle diverse forme che si vengono realizzando all'interno di ciascuna. Abbiamo fatto riferimento, piu sopra, all'azione come quella forma di iniziativa con cui l'uomo tende a modificare il mondo che lo circonda e di cui fa parte; essa, se per un lato si distingue, per esempio, dalla conoscenza, abbraccia per l'altro un ambito grandissimo dell'esistenza umana. La . filosofia della pratica tende anzitutto a determinare l'azione nei suoi caratteri piu generali e nel suo differenziarsi (oltre che mettersi in relazione) con le altre esplicazioni dell'essere umano. E poiché pare che nell'azione l'uomo sia, per cosi dire, spinto a realizzare o a procurarsi ciò che gli manca e che perciò vale, si è tentato di chiarire l'azione in rapporto alla valutazione; di qui la problematica dei valori con la complessità dei loro diversi livelli. È naturale, poi, che non ci si sia accontentati di tale disamina dell'azione nella sua generalità e nelle sue origini; azione si ha infatti sia nelle operazioni che l'uomo compie per assicurarsi il vitto, come nelle azioni che compie per battersi, insieme con alcuni dei suoi simili, riuniti in gruppo, contro altri gruppi, o in quelle che compie per decidere qualche aspetto rilevante della vita dello Stato di cui fa parte. Di qui il tentativo di distinguere e di caratterizzare diversi tipi di azione, da quelle che sembrano prevalentemente rivolte al conseguimento dell'utile a quelle che invece intendono conseguire il bene. Ma tra l'utile e il bene non è facile operare una distinzione precisa; anche perché il conseguimento dell'utile pare avere gradi differenti e svolgersi dall'utile strettamente individuale, all'utile che si misura, invece, in riferimento a diversi raggruppamenti umani, dalla famiglia, alla tribu o alla comunità, al popolo di cui si fa parte, e infine allo Stato che comprende un complesso di organismi e di ordinamenti con cui un popolo dà ordine alla sua esistenza. Si collocano insomma in questo contesto differenti livelli di organizzazione, da quella della vita economica e del lavoro che rispondono al sistema dei bisogni, a quella del diritto che disciplina l'insorgere di contrasti nella società civile in relazione a criteri di interesse comune, a quella della politica o amministrazione che tenta di dare forma alla espressione di una volontà comune di carattere piu generale; per non dire che poi, i popoli organizzati nei rispettivi Stati, interagiscono tra loro e danno luogo a quel tessuto di azioni, grandi e piccole, di individui comuni e di individui (come Hegel li chiamava) cosmico-storici, che danno luogo appunto alla storia. Di qui una serie di distinte parti della filosofia, dalla filosofia dell'economia allaftlosofia del diritto, dalla/tloso/t'a della politica alla filosofia della storia. Ma vi è anche l'azione che viene rivolta al bene, cioè che sembra avere di mira un valore non limitato a questo o a quell'ambito, e ad una società piu o xv Baruch_in_libris INTRODUZIONE meno estesa, e piu o meno operante nella storia, ma che aspira ad un valore universale, cioè a valere per tutta l'umanità, e non soltanto per l'umanità di oggi o di domani, ma anche per l'umanità del futuro. Se i valori, per il diverso livello in cui si pongono, paiono dar luogo ad una sorta di piramide nella quale i valori (o le azioni) piu bassi sono soltanto mezzo per conseguire altri valori che si pongono come fine, e che perciò stanno piu in alto; le azioni volte al bene paiono essere quelle che si possono collocare al vertice della piramide, in quanto si pongono come dei fini generali, ai quali vanno subordinate come mezzi tutte le altre azioni, a raggio piu delimitato. Nella storia della filosofia v'è anche chi ha considerato le azioni rivolte al bene, e cioè ad un fine universale, come ristrette all'individuo, a petto delle altre azioni che essendo operanti in direzione della famiglia, o della società civile, o dello Stato e della storia, dovrebbero intendersi come piu ricche di contenuto e piu determinate. Ma vi è anche chi ha ritenuto, invece, di porre in evidenza, nelle azioni volte al bene e al dovere, un valore piu universale, se cosi si può dire, di quello presente nelle altre azioni. È il problema che viene studiato da quella parte della filosofia che è la/iloso/ia morale o della morale (dal latino mos = costume); essa studia specialmente proprio la gerarchia dei valori, e, in tale gerarchia, i valori che si pongono a principio degli altri, quelli che, per il fatto che non paiono dipendere da altri valori, si potrebbero indicare anche come auto-valori. Kant si è anche espresso in proposito col dire che la legge morale è autonoma e che ad essa si ispirano le azioni che rispettano l'umanità non come mezzo per altri fini, ma come fine in se stessa. Il quadro dei problemi filosofici che risulta da questa prima sommaria indicazione è già ampio, ma può essere completato dal fatto che la filosofia ha rivolto la sua attenzione, oltre che al mondo della cultura, anche al mondo della realtà. In questo caso, piu che volgere l'attenzione ai prodotti piu significativi dell'attività umana per comprenderne il senso e l'unità, si prende in cosiderazione lambito stesso della realtà, nella sua accezione piu ampia e generale. Realtà, abbiamo ricordato piu sopra, è il termine che viene adoperato quando, nell'analisi della conoscenza, si giunge a caratterizzare l'oggetto al quale essa mira e che tende a rispecchiare, come qualcosa che resta fuori del processo conoscitivo e che costituisce quasi il fine a cui esso tende. In proposito la filosofia mira anzitutto a determinare il concetto stesso di realtà nella sua accezione piu ampia, l'essere nella determinazione per cui si differenzia dal non-essere; la scienza filosofica corrispondente è la metafisica, che appunto si domanda che cosa costituisce lessere nella sua generalità e se esso è formato di elementi o se, oltre il suo esserci, c'è una ragione che lo determini e lo faccia essere quello che è; la metafisica distingue cosi lessere e il suo principio o la sua ragione, la XVI Baruch_in_libris § 2 I PROBLEMI FILOSOFICI semplice esistenza dell'essere e la sua essenza, cioè appunto la ragion d'essere dell'essere; essa indaga del pari intorno ai diversi livelli di essere o della realtà e cerca le ragioni della loro differenza; ma soprattutto tenta di stabilire se la stessa realtà abbia un senso e come eventualmente abbia avuto origine e quali, in ogni caso, siano i principii che la spiegano. La metafisica è indubbiamente quella tra le parti della filosofia che ha piu volte sollevato dubbi e contestazioni, giacché è la parte in cui la filosofia sembra piu impegnata a non stare semplicemente alla realtà com'è o come si può descrivere e conoscere a livello immediato, ma quasi ad andare al di là della realtà o oltre la realtà per cercarne il senso o il principio, in un tentativo che non pare avere una possibile verifica altrimenti che nel creare una serie di concetti quali reale e possibile, possibile e impossibile, necessario e contingente, dato e giustificato. Ma anche la soluzione che nega la possibilità di andare oltre la realtà come dato e cerca di mantenere la riflessione filosofica entro i limiti di esso, affronta, anche se lo risolve negativamente, il problema della realtà, e prende una posizione filosofica appunto negando che abbia un senso il cercare un senso ed una ragione della realtà. Oltre alla metafisica, poi, che studia il concetto di realtà nella sua generalità, la filosofia ha dato luogo, nel corso della storia, a singole parti dedicate a studiare grandi ambiti della realtà. Tale è la cosmologia o filosofia della natura che studia la struttura del mondo naturale ed i suoi diversi livelli, e la vita nel suo differenziarsi dalla materia, e l'eventuale origine del mondo o la sua eternità, il suo permanere ed il suo evolversi, e se, oltre ad un'origine abbia una finalità e tenda ad un risultato; e, inoltre, se la natura sia governata da una legge, oppure abbandonata al caso; e se la vita stessa sia stata prodotta dal caso, oppure conseguita come un fine. Tale è anche quella parte della filosofia (psicologia) che ha preso a proprio oggetto lo studio dell'uomo, distinguendo in esso il corpo e l'anima e fermando soprattutto l'attenzione sull'anima, cioè sul principio che, giovandosi del corpo, organizza le operazioni spirituali. Nella considerazione del rapporto tra l'anima e il corpo nasce il problema della sopravvivenza dell'anima, del modo in cui si può pensare che le sue funzioni possano estendersi al di là dei limiti in cui rientra la vita del corpo. Oggi è molto avanzata la scienza della psicologia che fu detta sperimentale proprio per distinguerla da quella parte della filosofia che aveva preso a suo oggetto l'anima; e la psicologia sperimentale, come scienza, studia le manifestazioni ed operazioni dell'essere umano, in se stesse e nei loro rapporti, prescindendo dal principio dell'anima che non si può sottoporre a verifica sperimentale. Ma in tal modo non è detto che siano inconsistenti i problemi del rapporto tra ordine di fenomeni diversi, come le operazioni della mente o della psiche (che sembrano essere entità piu concrete dell'anima) e il XVII Baruch_in_libris INTRODUZIONE funzionamento di determinati organi corporei (come, per esempio, il cervello); e spesso anche negli studi della psicologia come scienza sembrano permanere ancora istanze unitarie, piu o meno esplicite; mentre la psicologia o filosofia dello spirito tende a considerare nella loro unità le operazioni spirituali dell'uomo ed a determinare o il loro principio o il loro sviluppo e comunque a delinearne un significato complessivo. Infine la filosofia in parte ha derivato dall'esperienza religiosa ed in parte ha desunto dallo studio dell'uomo e della natura il problema di Dio (o teologico). Dio infatti si pone come principio esplicativo generale sia della natura che dell'uomo; ma mentre la religione ha in Dio il suo punto di riferimento naturale e la base della propria fede, la filosofia fa di Dio, appunto, un problema; sia in quanto avverte che la sua esistenza ha necessità di essere provata, sia in quanto le prove hanno un particolare carattere di sondaggio estremo sul senso della realtà al quale può giungere problematicamente la riflessione razionale, sia infine perché la possibile realtà di Dio si colloca al di là della comprensione umana, come idea-limite e non come un contenuto determinato. Da questo rapido giro di orizzonte sui piu importanti problemi della filosofia si comprende come i vari sistemi filosofici che si incontrano nella storia del pensiero risultino dalla soluzione coerente di tutti o di alcuni di tali problemi. Ma mentre il termine «sistema» sembra alludere ad una qualche stabilità delle soluzioni proposte, il carattere problematico che caratterizza le questioni affrontate torna a farsi valere anche nei confronti dell'assestamento coerente dato ai problemi e di quella stabilità che deriva alle operazioni dell'uomo dal semplice fatto che esse sono limitate nel tempo e nella potenza. Ma la filosofia è una disciplina tale, per il carattere radicale della conoscenza che si sforza di instaurare, che, al di'là di ogni sistema, e di ogni organizzazione codificata del sapere, si riapre la riflessione critica e torna a farsi valere il problema. Ogni uomo, infatti, pare che abbia bisogno di tornare a cimentarsi con una concezione del mondo, al di là degli sforzi compiuti in precedenza, semplicemente per vivere, a sua volta, in modo adeguato. 3. La storia della filosofia. Ogni sistema filosofico, elaborato da un singolo pensatore, tenta di organizzare una soluzione coerente ai vari problemi filosofici, in modo che esso abbia verità , in modo cioè che non soltanto abbia un suo significato interno, ma che esso possa trovare riscontro nella realtà in quanto determinabile e raggiungibile dalla conoscenza. Lo sforzo di ogni pensatore è XVIII Baruch_in_libris § 3 LA STORIA DELLA FILOSOFIA appunto di proporre una concezione del mondo e della vita, non solo vasta e comprensiva, ma corrispondente ai limiti raggiunti dalla conoscenza umana. Ma la verità alla quale mira ogni sistema filosofico non si intende nel senso in cui la parola viene adoperata in altri ambiti dell'esperienza, per esempio nell'esperienza religiosa. Anche il credente ha fede nella verità della sua concezione del mondo; ma qui la verità a cui ci si appella non può che essere assoluta, perché legata alla rivelazione di Dio che è l'assoluto per eccellenza; ed assoluta vuol dire dogmatica e cioè che consente di essere formulata una volta per tutte, e pertanto conclusiva. Sembra quasi che la religione proponga tale concetto della verità assoluta piu per sollecitare l'uomo ad estendere al massimo la sua aspirazione alla verità che per metterlo veramente in possesso di un contenuto finale e conclusivo; del resto, la stessa esperienza religiosa deve poi, di fronte al contenuto conclusivo della verità assoluta, affrontare il problema delle forme diverse e storicamente articolate in cui esso si viene manifestando agli uomini delle diverse epoche; almeno sotto questo riguardo, deve, per cosi dire, adattare la verità assoluta ai diversi modi storici in cui l'uomo la considera. Né la filosofia, comunque, né le scienze, quando usano il termine di verità, la possono intendere nel senso assoluto della religione. Anzi, a parte quello che vale in proposito per le scienze, la filosofia può mirare alla verità solo in base ad una serie di criteri di costruzione e di verifica del proprio discorso; ma tali criteri si vengono svolgendo proprio attraverso il continuarsi della ricerca e attraverso l'estendersi dell'esperienza e della conoscenza. La verità assoluta che fosse dunque conseguita in un sistema finale sarebbe per la filosofia la rinuncia a proseguire la ricerca, equivarrebbe ad una sorta di blocco e di rinuncia alla riflessione. Solo la verità assoluta esclude, almeno in linea di principio, la storia e la ricerca. Ma la verità, sempre finita, a cui tende ogni sistema filosofico, piuttosto che escludere, richiede la storia. Carattere specifico della filosofia, nella sua istanza critica, è infatti che l'esame si riapra dopo ogni sistemazione e che la riflessione riprenda il suo cammino. Quale filosofo potrebbe pretendere di racchiudere nel sempre breve spazio della sua vita e quindi della sua ricerca, il senso e l'esperienza degli altri uomini? Egli potrebbe in qualche modo, come in realtà ha tentato di fare Hegel, cercare di racchiudere nel suo sistema la riflessione dei filosofi e degli uomini del passato; ma non riuscirebbe in alcun caso a fare altrettanto nei confronti degli uomini del futuro. Bisognerebbe pensare che questi fossero destituiti dell'esigenza della ricerca filosofica e che fossero quasi.disposti a rimettersi, per questo lato, a quanto è stato proposto·da coloro che li hanno preceduti. Ma è una previsione abbastanza sensata il ritenere che essi obbediranno alla stessa esigenza di coloro che li hanno preceduti e che, pertanto, quello che è XIX Baruch_in_libris INTRODUZIONE stato per costoro il punto di arrivo diventerà per essi il punto di partenza. Di qui la storia della filosofia e l'importanza che essa riveste per la stessa filosofia. La storia della filosofia si esplica attraverso lo studio delle opere dei filosofi che ci sono rimaste ed attraverso l'indagine di tutti quegli elementi che possono giovare a farcele comprendere; ci sono degli scritti che sono interamente dedicati alla disamina di problemi filosofici; ma ci sono anche delle opere che solo in qualche parte hanno questo carattere; e tali parti filosofiche possono trovarsi in scritti prevalentemente di altro argomento o carattere. Di alcune opere filosofiche possediamo la stesura completa, di altre ci sono rimasti soltanto dei frammenti; e la comprensione di tali frammenti è spesso assai difficile per la tendenza ingannevole che abbiamo ad estendere oltre il lecito la portata di alcune affermazioni o dottrine. Dei filosofi del passato hanno scritto, lasciandone memoria, ~Itri filosofi o studiosi posteriori; e quanto pili questi sono stati, per il tempo in cui hanno vissuto, in condizione di attingere notizie valide dei filosofi, tanto pili le loro informazioni (quelle che si dicono testimonianze) sono attendibili; anche se la conoscenza che si può avere di una dottrina filosofica attraverso le testimonianze è sempre esposta all'inganno ed all'errore; tali sono le dicerie raccolte e trasmesse a volte senza spirito critico; tali sono anche le interpretazioni troppo marcate e soggettive che di una dottrina ci riferiscono autori posteriori. Per giungere dunque a costruire una storia attendibile della filosofia bisogna adottare, come per ogni storia, molte cautele e saper evitare molti tranelli. Non è detto naturalmente che lo storico della filosofia debba accostarsi al iUO lavoro senza avere alcun orientamento filosofico; ma bisognerà che egli sia attento a distinguere, per quanto gli riesca possibile, le sue convinzioni dalle dottrine dei filosofi del passato. Una volta che si siano superate tali difficoltà, si potranno d~tinguere, nella storia della filosofia, alcuni aspetti diversi ed importanti. Di ogni filosofia infatti si può considerare l'aspetto autonomo e specifico, e l' aspetto eteronomo. Il primo riguarda la stessa struttura della dottrina filosofica che si studia, il modo in cui è elaborata, i capisaldi nei quali si svolge; oltre alla dipendenza che può avere rispetto a precedenti dottrine o la modificazione che di esse abbia realizzato; solitamente un filosofo inizia la sua riflessione riferendosi ad altri filosofi precedenti e alle loro dottrine; bisogna perciò saper cogliere, delle varie dottrinl!, i punti comuni e i motivi in cui divergono, le somiglianze e le differenze, le concatenazioni e le dipendenze. Ciò non significa, però, ignorare che ogni dottrina filosofica non è isolata nella storia e non ha soltanto relazioni con altre dottrine filosofiche. Ogni filosofo è uomo del suo tempo ed è immerso nella cultura del suo tempo; ciò significa che le vicende della storia e della cultura del suo xx Baruch_in_libris § 3 LA STORIA DELLA FILOSOFIA tempo hanno avuto qualche influsso sulla sua stessa filosofia. Questa è la dimensione eteronoma della storia della filosofia, quella che giova a determinare, non tanto gli aspetti intrinseci di una dottrina, quanto le connessioni che essa ha avuto con il contesto delle altre vicende storiche. Anche la storia della filosofia, insomma, è una storia settoriale; la si studia perché solo cosi, prescindendo dal resto e quasi isolando o astraendo la filosofia dall'insieme, si riesce a penetrarla nei suoi temi specifici; ed altrettanto avviene per la storia dell'arte, o della scienza, o della politica. Ma ciò non vuol dire certo che, nella storia, la filosofia stia per se stessa e da sola, e che l'arte, o la politica, stia per se stessa o da sola. Al limite si può dire che esista la storia complessa e unitaria dell'uomo, che è fatta di tutte le storie particolari unite insieme. E nella storia effettiva una quantità di elementi convivono e si intrecciano e si confondono. Però non c'è storico alcuno che si proponga di scrivere tale storia unitaria e complessiva dell'uomo; essa è piu un'idea limite, un criterio regolativo, che una storia effettiva. E sempre, quando scriviamo storia, scriviamo la storia della filosofia, o dell'arte, o della scienza, o della politica ecc. Tuttavia, scrivendo tali storie particolari, non possiamo del tutto perdere di vista il quadro complesso di quella storia unitaria da cui abbiamo stralciato ed isolato il nostro ambito particolare, o almeno alcuni dei suoi motivi, quelli, magari, che volta a volta presentano una connessione piu stretta con il settore che ci siamo proposti di mettere al centro della nostra attenzione. La dimensione eteronoma della storia della filosofia è appunto quella che guarda alla connessione tra la filosofia e altri aspetti volta a volta piu significativi di quella storia complessa dell'uomo in cui anche la filosofia è inserita e mescolata. Un'altra utile distinzione di cui giovarsi nella storia della filosofia è quella tra momenti statici e momenti dinamici. Nei primi predomina, nell'ambito del pensiero e della filosofia, la continuità e la permanenza, quasi una sorta di stasi; e ciò, evidentemente, non solo in ragione della mancanza in esso di profondi mutamenti innovativi, di crisi radicali, di svolte rilevanti, ma anche in ragione del fatto che non intervengono, nel complesso mondo della storia unitaria, e cioè nei vari campi che possono incidere nella storia del pensiero, importanti rivoluzioni o brusche innovazioni. Invece nei momenti dinamici la filosofia acquista movimento, modifica le sue posizioni, sia che ciò avvenga per spiccate iniziative interne, oppure per forti scosse che squassano la società e il mondo che le fanno da supporto. Allora si verifica che le dottrine non vengono sviluppate ed approfondite, ma, per cosi dire, perdono rilievo e vengono quasi svuotate di significato, mentre profonde modificazioni nella storia sociale o economica o politica suggeriscono nuove idee e nuove dottrine, e portano quasi alla scomparsa del pensiero precedente. Ciò non toglie però che si possano XXI Baruch_in_libris INTRODUZIONE individuare, nella storia del pensiero, degli indirizzi che si caratterizzano per la loro struttura interna e che paiono non solo avere in se stessi una sorta di continuità, ma addirittura ricomparire a distanza di tempo, identici nella loro sostanza, anche se mutati per qualche aspetto secondario; tali sono, per esempio, gli indirizzi dell'empirismo e del razionalismo, dell'immanentismo e del trascendentalismo, del soggettivismo e del naturalismo ecc. Pare, a questo riguardo, che il pensiero umano, quando abbia impostato la riflessione con determinati caratteri iniziali, sia quasi costretto, dalle regole interne, a svolgere fino alle loro estreme conseguenze le proprie elaborazioni, quasi astraendo dalla diversità dei tempi e dalla varietà delle circostanze. Non si deve infine credere che lo storico della filosofia, come ogni storico, del resto, sia preso da una curiosità futile per il passato; egli si trova impegnato, come tutti gli uomini, nel suo presente; e lo studio del passato gli giova a rendere tale presente piu denso e piu ricco. Senza storia l'uomo assomiglia ad un individuo ristretto al momento presente e senza memoria. La storia della filosofia dà una dimensione ed uno spessore al presente della riflessione filosofica e mostra come, anche per il pensiero come per il resto, si tratti di un presente che, attraverso anelli intermedi, si collega in una catena continua al passato piu remoto, al quale si può richiamare e dalle cui ricchezze può trarre profitto. La storia non è dunque evasione e vana curiosità, ma risponde al bisogno di estendere le nostre possibilità al di là dei limiti di tempo in cui si espande e muore il nostro presente; con la storia, il nostro pensiero, la nostra arte, la nostra vita politica, il nostro sapere si espande attraverso le mille vite dell'umanità e si potenzia con le capacità del genere umano nel nostro presente. Che la filosofia abbia una funzione nella formazione e che pertanto trovi giustamente un suo posto nelle istituzioni attraverso le quali la formazione si realizza, e principalmente nella scuola, dovrebbe risultare da quanto si è fin qui chiarito: Se essa risponde ad un bisogno di conoscenza complessivo, ad una esigenza di riesaminare il sapere che si è conseguito, all'istanza di tracciare una concezione del mondo che dia significato alle iniziative dell'esistenza, se è rivolta a problematizzare tutto ciò che pare fisso, la sua utilità consiste proprio nella sua apparente gratuità. Nella formazione culturale si prende giustamente contatto col mondo della scienza, delle scienze matematiche e delle scienze fisiche, come delle scienze biologiche; l'orizzonte si estende, inoltre, al mondo della letteratura e dell'arte, dell'economia e del diritto, della politica e della religione. Tutto il sapere viene rivolto poi all'inserimento nel mondo del lavoro e della produzione. Rispetto a tutto il patrimonio culturale che cosi viene messo in funzione, la filosofia può apparire come un lusso estraneo, come un raffinamento XXII Baruch_in_libris § 3 LA STORIA DELLA FILOSOFIA peregrino. Ma ad essa è un po' affidato il sale dell'esistenza, la capacità di guardare all'orizzonte, di tentare il limite entro cui ci muoviamo, di affrontare la scommessa della vita. E dalla sua invenzione può trarre alimento sia lo spirito scientifico che la creazione dell'arte, l'esperienza religiosa come la costruzione politica: essa può anche confortare la specializzazione e rendere piu ricco il lavoro. Quando poi la filosofia sia colta nella sua storicità, investendo col proprio senso storico tutta la cultura, essa non potrà non recare un contributo specifico all'avventura dell'uomo ed alle sue piu vaste e meno scontate possibilità. XXIII Baruch_in_libris Baruch_in_libris PARTE PRIMA LA FILOSOFIA ANTICA Baruch_in_libris Baruch_in_libris CAPITOLO I II secolo v1 a. C. LA SCUOLA DI MILETO. PITAGORA. SENOFANE 1. Le origini e il mito. La civiltà greca storica ha m1z10 con il secolo IX a. C., mentre le origini del pensiero filosofico si collocano nel v1 secolo a. C. Nel periodo che intercorre fra il secolo 1x ed il v1 si afferma e si sviluppa il mito, cioè una visione immaginosa sia dell'universo e della sua origine che del corso dcl mondo e delle vicende umane. La filosofia come considerazione razionale del mondo si è affermata in antitesi con il mito, anche se questo non si può dire che sia scomparso al sorgere della filosofia; con il progressivo affermarsi della concezione razionale del reale, .il mito è sopravvissuto nell'immaginazione poetica e nelle credenze religiose popolari. I contatti che il mondo greco ebbe fin dai tempi pio antichi con alcuni paesi dell'Oriente, come l'Egitto e la Mesopotamia, influirono anche sulle figurazioni mitiche che si incontrano nei grandi monumenti letteran greci dei secoli IX etl vm, e particolarmente nell'opera di Omero e di Esiodo. Già nell'Iliade e nell'Odissea si possono trovare infatti clementi mitici che risalgono a precedenti tradizioni orientali. Tanto Platone che Aristotele ebbero a notare, ad es., che Omero indica in Oceano il generatore degli dèi e in Tetide la loro madre, sulla traccia del mito di una massa liquida primordiale largamente diffuso nelle civiltà orientali. Inoltre il. corso dcl mondo, sia della natura che delle vicende umane, è retto, secondo Omero, da leggi eterne; per intendere i singoli casi, bisogna riferirli ad esse; l'umano e il divino sono strettamente uniti, al punto che le azioni umane dipendono dalla iniziativa degli dèi e sono dominate dal fato; d'altra parte, però, i mali che colpiscono gli uomini sono anche il risultato della loro tracotanza, giacché esiste una legge di giustizia di cui gli dèi sono rigidi custodi. Con Esiodo, la cui opera risale alla metà del secolo vm, si afferma la narrazione cosmogonica che racconta, attraverso la storia della generazione degli dèi, l'origine del ciclo e della terra. Alla coppia omerica Esiodo sostituisce il caos e la terra, da cui traggono origine tutte le cose; J Baruch_in_libris CAP. 1 IL SECOLO VI A. C. anche per Esiodo l'uomo non ha alcun mezzo per sfuggire al volere degli dèi ed alla giustizia che lo ispira. Le concezioni mitiche dci poemi omerici rispecchiano il modo di pensare della società eroica cd aristocratica delle origini greche, tutta impegnata nella lotta di conquista e nella difesa religiosa del mondo della forza e dcl comando, mentre il mito esiodeo si collega all'organizzazione della successiva società agricola, dominata da una piu ampia visione della natura e da un piu realistico senso dell'opera umana. Un nucleo mitico importante si è affermato, nel corso del secolo vn, nel movimento religioso dell'orfismo; diffuso fra i meteci e gli schiavi, che non partecipavano di diritto. alle cerimonie religiose della città, ma seguito anche da molti che non si accontentavano del culto ufficiale, l'orfismo si distingueva dalla religione olimpica per un piu spiccato senso di misticismo. L'uomo ha in sé, pensavano gli schiavi, un elemento peccaminoso, insieme ad un elemento divino o dionisiaco; l'anima è l'elemento divino che aspira a liberarsi dall'unione con il corpo; è per punizione di una colpa originaria che l'anima è sepolta nella prigione del corpo; essa passa attraverso un ciclo di molte nascite .. e di molte vite; nel trasmigrare da un corpo all'altro, espia la sua colpa e si purifica; ottiene cosi la liberazione « dal ciclo delle nascite e della miseria ». L'orfismo interpreta cosi le tristi condizioni degli schiavi nel quadro mitico di un destino di sofferenza e di liberazione. 2. II periodo. Nel corso del secolo VI la Grecia si avvia ad una relativa stabilità politica; conclusi ormai i grandi movimenti migr:itori, la. vita delle città si viene organizzando sulla base di ordinamenti piu definiti, sotto il controllo di ristretti gruppi aristocratici; anche la vita economica si intensifica cd i rapporti fra le città divengono piu frequenti. Questo accentuato ritmo di iniziati\'a e di attività raggiunge il suo piu alto livello nelle colonie ioniche dcli' Asia Minore cd in quelle dell'Italia meridionale. Le prime erano nate nel corso dei secoli precedenti con l'immigrazione degli Ioni che avevano fondato sul litorale le città di Mileto, Efeso, Colofone, Clazomene, Focea e, sulle isole vicine, le città di Chio e di Samo; il commercio con l'interno del continente asiatico cd il traffico sul mare erano divenuti ben presto le loro principali occupazioni. Mileto diviene nel secolo VI una potente repubblica marinara. che fonda scali commerciali in Sicilia, in Italia e sul litorale del Mar Nero e intrattiene un commercio assai fiorente con l'Egitto. Tutte le colonie ioniche dell'Asia minore sono rette in questo periodo da una \'ivace aristocrazia commerciale, ricca ed intraprendente, appassionata dei problemi della tecnica, dei viaggi, delle imprese piu ardite; a questa categoria di persone appartengono Talete, f Baruch_in_libris § 2 IL PERIODO Anassimandro cd Anassimcnc che formano a Mileto il primo nucleo di una scuola ad indirizzo naturalistico; si tratta di formulazioni molto rozze che hanno per oggetto una visione unitaria della natura non piu elaborata in forma mitica, ma costruita sulla base di osservazioni e di una incipiente analisi razionale. L'avanzata dei Persiani nell'Asia Minore travolge, sul finire del secolo, l'intera Ionia; Mileto e gli altri centri piu importanti perdono la loro autonomia e subiscono distruzione e devastazione da parte di Dario. Ecco perché, nella seconda metà del secolo v1, la cultura filosofica si afferma in un nuovo ambiente, le colonie greche dell'Italia meridionale e della Sicilia; queste erano state fondate nel corso del secolo vm ad Agrigento, Gela, Catania, Taranto, Metaponto, Reggio, Elea, Napoli; i coloni provenienti dall'Acaia, da Megara, dalla Locride s'erano dati principalmente al commercio e questo aveva portato nelle nuove comunità ricchezza e benessere; in esse, nel corso del secolo v1, si accresce il numero dei mercanti, dei marinai e degli artigiani, mentre si riduce quello degli schiavi-contadini; avviene di frequente che elementi dell'aristocrazia originaria si alleano con gruppi delle nuove categorie sociali e danno luogo ad un governo tirannico appoggiato dagli artigiani e dai commercianti. ~ in quest'ambiente che si afferma la scuola fondata da Pitagora; essa parte dalle conoscenze matematiche che erano strettamente legate ai bisogni del commercio, per svilupparç delle ricerche astratte di portata molto maggiore, anche se non pare che la scuola sia rimasta estranea alla diffusione dell'orfismo nell'Italia meridionale ed al costituirsi di numerose associazioni per il culto di Dioniso. Anche Senofane, che è contemporaneo di Pitagora, pur essendo nato a Colofone, nella Ionia, soggiornò in Sicilia e nell'Italia meridionale; egli non solo si ricollega all'indagine naturalistica iniziata dalla scuola di Mileto, ma imposta per primo una critica radicale della cultura mitica, omerica ed esiodea; la riflessione critica entra con lui per la prima volta in aperto contrasto con la coscienza etico-religiosa tradizionale. 3. La scuola di Mileto. Le prime riflessioni filosofiche di cui abbiamo notma sono quelle che risalgono al gruppo della città di Mileto. Talete, che è il piu antico in ordine di tempo, nacque forse intorno al 624 e mori intorno al 546; compi molti viaggi quale imprenditore commerciale; Platone lo ricorda fra gli scopritori di invenzioni tecniche ed Erodoto afferma che in veste di tecnico egli prese parte a spedizioni militari. Pare che Talete abbia introdotto in Grecia sia conoscenze di geometria diffuse in Egitto, sia alcune conoscenze astronomkhe diffuse presso i caldei; s Baruch_in_libris CAP. I IL SECOLO VI A. C. proprio giovandosi di queste conoscenze, egli avrebbe conseguito risultati piuttosto inconsueti al suo tempo, come la predizione di un'eclisse, la misurazione da terra della distanza delle navi sul mare e il calcolo dell'altezza delle piramidi ottenuto con la misurazione dell'ombra da esse proiettata. Gli studiosi ritengono però che Talete abbia conseguito questi risultati non in base a precise conoscenze teoriche di matematica e di geometria, ma soltanto sfruttando criteri pratici di misurazione e sistemi empirici di previsione. La prospettiva piu unitaria ed ampia intorno alla natura è quella che a Talete attribuisce Aristotele quando afferma che egli riteneva l'acqua principio delle cose. Probabilmente Talete intendeva con ciò rilevare che i vari aspetti della natura, per quanto molteplici e diversi, si riportano infine ad un solo principio, l'acqua. Non sappiamo su quali considerazioni sia stata fondata questa asserzione; anche Aristotele affaccia in proposito solo delle supposizioni; forse Talete ricavò questa concezione, scrive, « dal vedere che il nutrimento di tutte le cose è umido e che perfino il calore se ne genera e ne vive, e dall'avere natura umida i semi di tutte le cose e dall'essere appunto l'acqua nelle cose umide il principio della loro natura»; può anche darsi che Talete abbia invece fondato la sua teoria su osservazioni meteorologiche, connesse con i suoi viaggi per mare. La unificazione della natura, cosf conseguita, è certamente molto rozza; ma è pur significativo che Talete non faccia ricorso, per spiegarla, ad un dio o ad altro principio mitico, ma si richiami invece ad una realtà fisica cd al suo legame con una serie abbastanza ampia di fenomeni. Anassimandro visse a Mileto dal 610 al 546; anch'egli viene ricordato per aver introdotto in Grecia importanti ritrovati tecnici, come l'uso dello gnomone o orologio solare, già noto presso i caldei; pare anche che abbia avuto per primo l'idea di tracciare una carta della terra. Scrisse un'opera Sulla natura, di cui ci è giunto un solo frammento; per il resto delle sue dottrine ci dobbiamo affidare a testimonianze posteriori. Per dare una spiegazione unitaria della natura, Anassimandro non si ferma ad uno o all'altro degli elementi piu immediatamente osservabili, come l'acqua o l'aria o il fuoco; infatti ogni elemento ha una sua qualità che è diversa da quella degli altri; ad es., l'aria è fredda, mentre il fuoco è caldo; se uno di questi elc- Baruch_in_libris § 3 LA SCUOLA DI MILETO menti fosse all'origine degli altri, se, ad es., l'aria fosse all'origine anche del fuoco, il caldo del fuoco risulterebbe annullato dal freddo dell'aria. Anassimandro pensa dunque. che il mondo derivi da una massa indefinita (a:rrELQov) cioè da una materia comune, da una mescolanza, dalla quale si staccano i vari elementi con i loro opposti caratteri; i contrari che si separano dal caos indefinito sono «il caldo e il freddo, il secco e l'umido e simili». Anassimandro ha anche tentato di dare una spiegazione del succedersi, nella natura, dei vari contrari, e ha affermato che « donde vengono, nascendo, le cose, ivi esse, morendo, ritornano, secondo necessità»; i contrari che derivano dall'indefinito, ad esso ritornano; l'uno rispetto all'altro essi si comportano come due persone di cui la prima caccia la seconda, commettendo ingiustizia; ma chi è stato cacciato dal mondo, torna ben presto a cacciare chi l'ha estromesso; e cosi si ha anche nella natura un generale equilibrio analogo a quello che la legge consente di realizzare nella società. Anassimandro ha anche affrontato questioni piu particolari su singoli aspetti della natura : ha sostenuto che la terra occupa il centro dell'universo e non è quindi sollecitata a muoversi in nessuna direzione; si è posto il problema dell'origine dell'uomo affermando che i primi esseri viventi furono della natura dei pesci e che anche l'uomo in origine sarebbe vissuto alla maniera dei pesci; ha cercato di farsi un'ideà del cielo e di spiegarsi i piu importanti fenomeni astronomici. Anassimene vive probabilmente dal 586 al 528 ed è sua volta autore di uno se-ritto sulla natura, di cui ci è giunto un solo brevissimo frammento. Le testimonianze gli attribuiscono la dottrina per cui cc il principio primordiale che sta sotto alle cose è unico ed infinito, non però indeterminato, ma determinato»; esso viene identificato con l'aria, intesa come vapore, soflio, esalazione. «Proprio come l'anima· nostra che è aria ci sostiene, scrive Anassimene, cosi il soffio e l'aria circondano il mondo intero». Diceva inoltre che «dall'aria infinita sono nate le cose che sono, e quelle che furono e quelle che saranno, e gli dèi e le cose divine». Intorno al modo in cui dall'aria derivano tutte le cose, le testimonianze ci hanno conservato indicazioni importanti: intanto cc l'aria è sempre in movimento, perché non presenterebbe tanti mut:imcnti quanti ne presenta, se non fosse in moto»; essa dà luogo alle varie cose per via di rarefazione e di condensazione; l'aria 7 Baruch_in_libris CAP. IL SECOLO VI A. C. rarefacendosi diventa fuoco, condensandosi invece diventa vento, poi nuvola, e ancor piu condensandosi, diviene acqua, poi terra, e quindi pietra; il caldo e il freddo non esistono nell'aria, ma derivano dalle sue mutazioni. Anche Anassimene si preoccupa, come Anassimandro, oltre che di porre un principio della natura, di dare una spiegazione del processo mediante il quale dal principio deriva la realtà nei suoi aspetti vari e molteplici; in particolare Anassimene trova nei procedimenti della rarefazione e della condensazione la maniera piu semplice di spiegare sia l'unità del principio che la molteplicità delle cose. Le dottrine formulate dagli studiosi del gruppo di Mileto sono, nell'insieme, piuttosto primitive e sommarie, anche tenuto conto delle scarse informazioni che noi ne abbiamo; esse cercano bens1 di dare una spiegazione ragionata della realtà, a differenza del tradizionale discorso mitico, ma con soluzioni che hanno il carattere di sintesi molto rapide e di generalizzazioni alquanto affrettate: Tuttavia è importante l'affermazione dell'unità fisica della natura a cui il gruppo perviene; tutto, sostengono gli studiosi di Milcto, rientra in un principio unitario del mondo; nulla ne rimane fuori, nemmeno gli dèi; inoltre il divenire della natura, che ha un suo andamento ciclico, è regolato da leggi costanti. A queste istanze fondamentali giunge, nel suo tentativo di dominio sulla natura, l'esperienza tecnica e conoscitiva della ricca e intraprendente aristocrazia di Mileto: ad esse si rifà il successivo sviluppo della ricerca scientifica intorno alla natura cd alla realtà. 4. Pitagora. Le molte biografie di Pitagora giunte fino a noi cc lo presentano piu come un taumaturgo cd operatore di miracoli che come il fondatore di una scuola scientifica; esse sono però tutte influenzate da quel .misticismo religioso che si affermò nella comunità neo-pitagorica a partire dal I secolo a. C. Solo poche testimonianze, fra tante, paiono meritare fiducia. Da esse risulta che Pitagora nacque a Samo, forse intorno al 570; gli vengono attribuiti molti viaggi, specialmente in Egitto; ancor giovane lasciò l'isola nativa e si recò a Crotone, nel golfo di Taranto; è qui che Pitagora fondò un'associazione che ebbe, pare, anche carattere religioso, sul tipo delle comunit~ orfiche. Il grupB Baruch_in_libris PITAGORA po che cosi si raccolse intorno a Pitagora riusci ad impadronirsi del potere nella città; non è improbabile che esso rappresentasse il sopravvento dei ricchi artigiani e commercianti contro vecchie fazioni nobiliari; è infatti una di queste che ebbe a contrastare il governo dei pitagorici poco prima che Pitagora venisse a morte nel 497. Egli non lasciò scritti; perciò è assai difficile distinguere il suo apporto scientifico da quello dei suoi immediati discepoli; lo stesso Aristotele mostra di non sapere nulla di preciso intorno agli insegnamenti impartiti . da Pitagora e parla sempre di " pitagorici ". Non si può senz'altro escludere che egli abbia professato delle opinioni che erano proprie dell'orfismo, come la trasmigrazione delle anime, l'eterno ritorno e l'affinità di tutti gli animali; ma certamente a queste opinioni Pitagora univa una grande dottrina. Aristotele anzi spiega il fatto dell'unione dell'interesse religioso con quello scientifico nella scuola pitagorica, os· servando che la pratica religiosa comportava solo un atteggiamento rituale, senza l'accettazione di rigide dottrine. Le testimonianze insistono principalmente sul fatto che « Pitagora si occupò di matematiche e di numeri» ed attestano che «fece avan· zare tali ricerche al di là dello stato antecedente, conducendole oltre i bisogni dei commerci». Aristotele ci informa anzi che i pitagorici, « nutritisi delle matematiche, credettero che i principii di queste fossero anche principii di tutte le cose», Ed ecco come, a suo parere, essi giunsero a tale conclusione: « Poiché i numeri sono per natura primi nelle matematiche, e nei numeri essi credevano di trovare, piu che nel fuoco e nella terra e nell'acqua, somiglianze con le cose che sono e che divengono, e poiché inoltre vedevano espresse dai numeri le proprietà e i rapporti degli accordi armonici, poiché insomma ogni cosa nella natura appariva loro simile ai numeri, ed i numeri apparivano primi tra tutto ciò che è in natura, cosi pensarono che gli elementi dei numeri fossero elementi di tutte le cose che sono e che il mondo intero fosse armonia e numero». I pitagorici giunsero anzitutto a considerare i numeri come strutture quantitative indipendenti dalla particolare materia dei singoli corpi; e studiarono le relazioni e i caratteri dei numeri per se stessi. Consideravano ogni numero come una collezione di unità ed ogni unità come costituita da un punto fisico; poiché l'aumento di un numero avviene per salti di non meno Baruch_in_libris CAP. I IL SECOLO VI A. C. di una unità, la quantità o numero è discontinua. I punti che formano un numero si possono disporre in modo che formino delle figure geometriche; ne consegue che ogni numero è una figura geometrica ed ogni figura geometrica è un numero; era cosi possibile studiare le proprietà delle figure geometriche partendo dalle proprietà del corrispondente numero di punti, e chiarire le proprietà dei numeri muovendo dai caratteri delle corrispondenti figure geometriche. Questa fusione dell'aritmetica e della geometria consenti ai pitagorici di conseguire notevoli risultati; il piu noto di essi è il teorema che va sotto il nome dello stesso Pitagora e che concerne l' equivalenza del quadrato costruito sull'ipotenusa di un triangolo .rettangolo con la somma dei quadrati costruiti sui cateti; in verità non sappiamo quale dimostrazione Pitagora abbia fornito di tale teorema che trovò piu tardi una chiara sistemazione negli Elementi di Euclide. Pare che Pitagora abbia anche scoperto per primo che i suoni sono esprimibili mediante numeri; egli sarebbe giunto a questa conclusione osservando che, negli accordi piu facilmente percepibili dall'orecchio umano, il rapporto fra le rispettive lunghezze delle corde sonore si può esprimere con rapporti numerici molto semplici, come di quattro a tre: o di tre a due, o di uno a due. Se si tien conto che, per la scuola pitagorica, l'unità è formata da un punto fisico, si può facilmente intendere come essa sia giunta a ritenere il numero, cioè la quantità misurabile, come principio di tutte le cose; le cose si possono tutte considerare come costituite di un 'numero finito di punti e quindi tutte regolate da una quantità misurabile; nelle cose stesse quel che c'è di veramente· reale non è dunque l'insieme delle qualità sensibili, quanto invece il loro ordine quantitativo; mentre la scuola di Mileto resta ferma alla ricerca di un principio gualitativo di unificazione della natura, la scuola di Pitagora. afferma cosi il principio che il mondo naturale ha una struttura quantitativa e matematica. Alla scuola di Mileto i pitagorici si richiamano invece per altri aspetti della loro dottrina e principalmente per la teoria dei contrari; è ancora Aristotele a farci conoscere una serie di dieci opposizioni teorizzate dai pitagorici: limite e illimitato, dispari e pari, uno e molteplice, destro e sinistro, maschio e femmina, fermo e mosso, diritto e curvo, luce e tenebra, buono e cattivo, quadrato e rettangolo di latj disuguali. I milesii non vanno però oltre. la IO Baruch_in_libris PITAGORA segnalazione del contrasto fra caldo e freddo, umido e secco; i pitagorici estendono la gamma dei contrarii e inoltre fanno luce sulla contrarietà che domina nella natura ricorrendo al contrasto di pari e dispari che è interno al numero o quantità. Un residuo di misticismo religioso permane però nella swola pitagorica non soltanto per la sua connessione con il movimento orfico, ma anche per una certa maniera magica di considerare i numeri ed il loro rapporto con le cose; essa consiste nell'attribuire ai numeri lo stesso potere mitico che la tradizione religiosa riferiva agli dèi. Il nuovo sapere matematico elaborato da Pitagora e dai suoi sotto lo stimolo pr'.ltico dei commerci, appena si afferma in procedimenti e principii astratti, tende cosi a ricollegarsi con la tradizione gentilizia e nobiliare dcl mito religioso. 5. Senofane. Senofane, nato a Colofone intorno al 580, ne emigrò in seguito alla conquista persiana e si diede ai viaggi per almeno 67 anni della sua vita; soggiornò certamente in Sicilia e fu probabilmente anche ad Elea nell'Italia meridionale; mori intorno al 480. Egli è legato allo spirito del gruppo di Mileto, col quale ha in comune gli interessi naturalistici; sostiene infatti che «tutte le cose vengono dalla terra e nella terra vanno a finire »; gli esseri viventi « sono terra ed acqua » ed anche tutti gli uomini «sono nati dalla terra e dall'acqua»; in origine la terra era mescolata con l'acqua come prova, ad es., il fatto che nelle latomie di Siracusa si trovano impronte di pesci; poi la terra si libera dall'acqua e diviene abitabile da parte dell'uomo; alla fine però la terra si inabissa nel mare e « tutti gli uomini scompaiono », mentre il ciclo della generazione comincia di nuovo. Ma il tratto piu caratteristico della filosofia di Senofane è la sua critica radicale dell'antropomorfismo religioso delle teogonie tradizionali; egli polemizza principalmente contro Omero, perché «da lui fin dall'antichità tutti hanno imparato». La critica senofanea del modo tradizionale di raffigurare gli dèi non manca di motivi morali; infatti, egli osserva, «Omero ed Esiodo h::inno attribuito agli dèi tutte le cose che sono oggetto di vergogna e di biasimo fra gli uomini: Il Baruch_in_libris C/t.P. I IL SECOLO VI A. C. furti, adulteri, ed inganni reciproci». Ma la sua ragione piu profonda consiste nel fatto che gli uomini si raffigurano, a torto, gli dèi a loro immagine e somiglianza; « essi credono che gli dèi nascano e che vestano come gli uomini e che abbiano voce e corpo come gli uomini » ; cosi avviene che « gli Etiopi asseriscono che i loro dèi sono neri e con naso camuso, e i Traci che sono azzurri di occhi e rossi di capelli »; « se i buoi, i cavalli ed i leoni avessero mani, soggiunge Senofane, o fossero in grado di dipingere e di compiere con le proprie mani opere d'arte come gli uomini, i cavalli rappresenterebbero immagini di dèi e plasmerebbero statue simili a cavalli, i buoi ai buoi, in modo appunto corrispondente alla figura che ciascuno possiede». Contro la storia della nascita delle varie divinità, narrata dalle teogonie, Senofane osserva, a detta di. Aristotele, che « chi asserisce che gli dèi nascono è empio come chi asserisce che essi muoiono, perché nell'un caso e nell'altro ne segue che in un determinato momento gli dèi non esistono». «C'è un solo dio, dice un frammento, il piu grande fra gli dèi e gli uomini, che non somiglia agli uomini né per il corpo, né per il pensiero »; egli infatti resta sempre nello stesso luogo senza muoversi affatto, «tutto intiero vede, tutto intiero pensa, tutto intiero sente » e « senza fatica governa tutte le cose con la forza della sua mente». Tanto Platone che Aristotele hanno messo in relazione queste idee sulla divinità con le dottrine che piu tardi furono sostenute da Parmenide e dalla scuola di Elea; perciò hanno considerato Senofane come iniziatore di quell'indirizzo di pensiero che «suppone che ciò che si suol chiamare tutte le cose sia un essere solo». Ma il poeta di Colofone appare legato, piu che ai problemi della scuola di Elea, allo sviluppo dello spirito laico della scuola di Mileto, di cui porta i risultati nella critica della coscienza religiosa tradizionale; questa pretendeva di proporre i suoi enunciati intorno alle divinità come frutto d'una conoscenza oracolare, sacra ed indiscutibile; ma i nuovi ceti di commercianti e di artigiani, intraprendenti e ricchi, non hanno piu un atteggiamento passivo e remissivo di fronte a quella tradizione; essi ritengono, come Senofane, che su di tutto non ci sono che opinioni e che non sono affatto gli dèi che hanno mostrato agli uomini la verità fin dal principio, ma sono gli uomini che «cercano e con il tempo trovano il meglio». Baruch_in_libris s6 LO SVILUPPO DELLE SCIENZE 6. Lo sviluppo delle scienze. La cultura greca alle sue origini ha un carattere accentuatamente unitario che non contempla ancora delle distinzioni rigorose fra campi differenziati di conoscenza. Ciò non va tanto detto con riferimento agli aspetti filosofici di tale cultura, i quali hanno appunto come indirizzo di prospettare delle vedute unitarie e generali intorno al sapere umano, ma con riferimento alla trattazione di gruppi di conoscenza ·in sé organici e relativamente autosufficienti. Ad es., in Anassimandro si afferma certamente una prospettiva filosofica, se, come ci attestano le fonti, è vero che egli si è sforzato di delineare, con la derivazione di tutte le cose dall'indefinito, una visione unitaria e comprensiva del sapere umano; ma le sue affermazioni circa il posto della terra nell'universo o intorno a fenomeni celesti non sono organizzate in modo da dar luogo ad una distinta scienza astronomica, come le sue affermazioni circa l'origine dell'uomo e degli esseri viventi non formano un organismo autonomo di conoscenze biologiche; e ciò non solo per gli scarsi frammenti che dell'opera di questi lontani studiosi sono giunti fino a noi, ma anche perché essi si dedicavano a queste diverse conoscenze in forma sommaria e senza intenti specialistici. Ma fin quasi dai primordi il lavoro intellettuale e della conoscenza rigorosa si viene dividendo al suo interno, sia quanèo le nozioni attinenti ad un singolo campo di conoscenza si vengono accrescendo, sia quando dei complessi dottrinali in sé organici e relativamente autonomi si vengono solidificando. Cosi si può ben dire che l'ampio sviluppo dato dai pitagorici alle loro conoscenze di aritmetica e geometria è riuscito a costituire un campo autonomo di ricerche, quello della matematica, del quale essi hanno realizzato una prima sistemazione; costituendosi in forma autonoma, la matematica ha potuto essere approfondita in modo piu analitico, si è data dei principii, uno sviluppo ed un ordinamento; tutto ciò l'ha portata a distinguersi dalla filosofia, anche se i pitagorici non hanno trascurato di studiare i nessi fra la matematica e la filosofia, come attesta il fatto che essi si sono preoccupati di fare di quel numero che veniva analizzato dalla mate• matica un principio di ordine piu generale e pertanto capace di esprimere la conoscenza di tutto il reale. La matematica, nella sua forma di aritmo-geometria, è forse la prima scienza che troviamo costituita in forma autonoma all'interno della cultura greca, anche se soltanto piu tardi, con Euclide, essa, almeno nel suo aspetto geometrico, avrà una sistemazione piu efficace e completa. Al configurarsi di questo campo distinto di conoscenza non è estraneo nemmeno l'uso pratico dei conti e della misurazione, richiesto dai bisogni del commercio, anche se esso non contribuisce- in modo diretto a conferire alla matematica nei suoi lati astratti la sua specifica autonomia. Bisogna qui far parola di una wolta importante di fronte alla quale la matematica pitagorica si trovò quasi agli inizi del suo stesso sviluppo; è la crisi determinata dalla scoperta delle grandezze incommensurabili, che la 13 Baruch_in_libris IL SECOLO VI A. C. CAP. I -----------· -·---- tradizione coll:.ca ai primordi del pitagorismo. Alla scoperta si giunse applicando il teorema di Pitagora ad uno dei due triangoli isosceli in cui si divide un quadrato; risulta che non esiste nessuna unità, per quanto piccola, contenuta un numero esatto di volte tanto nel lato quanto nella diagonale del quadrato; se veramente il numero risultasse da tante unità discontinue, come ritenevano i pit:1gorici, lato e diagonale dovrebbero essere commensurabili, ossia contenere un. numero preciso di unità; invece essi risultano incommensurabili, cioè non si può piu supporr<'. che un numero intero ma finito di unità li costituisca entrambi; bisogna dunque supporre che delle linee risultino di un numero infinito di punti, e ciò significa appunto mettere in crisi la concezione del numero e dell'unità da cui la matematica pitagorica aveva preso le mosse. È questa la difficoltà che ha piu tardi indotto i matematici a separare l'aritmetica dalla geometria e ad intendere la aritmetica come studio della quantità discontinua e la geometria come studio della quantità continua. La medicina è, con la matematica, fra i settori scientifici che si sono per primi organizzati in modo autonomo; la pratica della medicina, connessa al bisogno di curare le malattie, ha avuto un peso determinante sul nascere di tale autonomia; fin dall'età omerica coesistono, in Grecia, una medicina "laica " esercitata da pratici artigiani ed una medicina " magica" praticata da gruppi sacerdotali; l'affermarsi dello spirito filosofico porta a maturazione il primo indirizzo; ciò avviene in particolare al tempo di Pitagora per opera di Alcmeone di Crotone, il quale raccoglie il frutto di ricerche e di osservazioni svolte da intere generazioni di medici prima di lui. Ad Alcmeone si attribuisce sia una dottrina generale, secondo la quale la salute fisica va intesa come un equilibrio dei vari elementi che costituiscono il corpo e la malattia come la sua rottura, sia una sommaria analisi del corpo umano e del funzionamento dei suoi organi, con particolare. riguardo al cervello. Ha inizio d'altronde, con Alcmeone, una contrapposizione fra il metodo della filosofia che tende ad unificare il reale in un principio ed il metodo della meòicina che, con maggiore cautela, si attiene all'osservazione dell'espcrienz3 e attraverso di essa, alla ricerca delle cause della malattia; si viene cosf configurando un sapere meno unitario, ma piu aderente alla varietà e molteplicità dell'esperienza. Con Ecateo di Mileto vissuto fra il 550 cd il 480, nasce in Grecia la geografia; il suo scritto Periplo del mondo descrive i luoghi dell'Asia, dell'Africa e dell'Europa allora conosciuti; l'autonomia, di questo nuovo campo di conoscenze trac origine certamente anche dall'intensificarsi dci traffici e dei viaggi; ma la pur sommaria e imperfetta descrizione dei luoghi compiuta da Ecateo non manca di un'impostazione di carattere piu generale e filosofico, che egli attinge indubbiamente all'ambiente culturale di Mileto; egli tende infatti a sostituire le tradizionali narrazioni leggendarie e mitiche connesse con le varie località, con una descrizione dei caratteri naturali dd diversi paesi. Baruch_in_libris CAPITOLO Il La prima metà del secolo v ERACLITO. PARMENIDE E ZENONE. EMPEDOCLE. ANASSAGORA 1. Il periodo•. Nella prima metà dcl secolo v, la storia greca è dominata dalla lotta contro i Persiani; ed è in questa che emerge la forza politica e morale di Atene; il suo governo aristocratico raggiunge un alto livello di efficienza; la tradizione religiosa stringe in un blocco compatto tutti i cittadini; e si ha la vittoria di Maratona nel 490 e poi, nel 479, la vittoriosa conclusione di tutta la guerra, da cui la Grecia esce con una piu solida consapevolezza della sua forza e della sua :mto~omia. Ma è proprio da tale consapevolezza che anche i ceti popolari traggono energia per una piu attiva partecipazione alla vita della polis; i contrasti fra il partito aristocratico e quello democratico vengono ormai maturando, anche se la situazione trova intanto il suo equilibrio nel governo"· illuminato di Pericle. Ma Atène, se è ormai avviata a divenire il centro politico della Grecia, non ne è ancora il centro culturale; in essa domina la tradizione religiosa ed i costumi duri e militareschi vi hanno il sopravvento sulle conoscenze scientifiche e filosofiche. Solo con Anassagora che fa parte dcl movimento culturale promosso da Pericle, la filosofia si afferma ad Atene sul finire della prima metà dcl secolo; tutti gli altri pensatori di questo periodo, da Eraclito a Parmenide, da Zenone ad Empedocle, svolgano la loro attività altrove; ancora nella zona delle colonie ioniche dell'Asia Minore Eraclito, nell'Italia meridionale cd in Sicilia tutti gli altri. Eraclito appartiene alla aristocrazia nobiliare di Efeso come traspare anche dal carattere oracolare ed enigmatico dei frammenti che ci sono giunti dell'opera sua; tuttavia il suo pensiero segna una brillante ripresa dell'indirizzo filosofico del gruppo di Mileto circa un trentennio dopo la morte di Anassimene. Con Parmenide e Zenone fiorisce ad Elea nell'Italia meridionale una nuova scuola; essa si schiera contro le dottrine pitagoriche, di cui svolge un'acuta critica; anche l'opera che contiene il pensiero di Parmenide lj Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO V CAP. Q ha un andamento solenne e iniziatico, mentre con Zenone si affermano la polemica e la dialettica specialmente contro le dottrine pitagoriche. Empedocle ed Anassagora sono di circa trent'anni pio giovani di Eraclito e di Parmenide; il primo vive ad Agrigento ed ha notevoli legami con la scuola pitagorica; il suo pensiero però tenta vie nuove in cui l'originario indirizzo di Mileto viene arricchito dai risultati della piu recente riflessione; altrettanto si può dire di Anassagora che, inizialmente legato alla tradizione culturale di Mileto, porta poi ad Atene i primi germi della ricerca filosofica. Tutte le dottrine di questo periodo presentano maggiore rigore di analisi e maggiore determinatezza rispetto alle sintesi piuttosto sommarie del periodo precedente. 2. Eraclito. Nativo di Efeso, Eraclito fiorf intorno al 500 a. C.; aveva not1z1a delle dottrine della scuola di Mileto, ma era a conoscenza anche delle dottrif!e di Pitagora e di Senofane, dei quali era probabilmente piu giovane di circa trent'anni. Dell'opera in cui è esposto il suo pensiero ci sono giunti molti frammenti; ma la loro brevità e lo stile proverbialmente enigmatico in cui· sono redatti ne rendono assai difficile la comprensione. Secondo Eraclito, gli uomini sono incapaci di elevarsi alla verità; ed anche quando la vérità sia stata loro indicata, si comportano come prima di conoscerla; ciò è dovuto al fatto che non sanno dirigere giustamente la loro attenzione; essi usano bensr gli occhi e gli orecchi, ma « occhi ed orecchi sono cattivi testimoni per gli uomini che hanno anime che non comprendono il loro linguaggio». Non è quindi ai sensi che si deve imputare, a giudizio di Eraclito, l'ignoranza degli uomini; anzi, criticando la tradizione, egli le antepone la ricerca diretta, quella appunto che ci fa « vedere, intendere ed apprendere » direttamente le cose; e con lo stesso proposito dichiara che «gli occhi sono testimoni piu esatti degli orecchi ». L'ostacolo maggiore alla conoscenza della verità è costituito piuttosto dalle molte e troppe cose su cui l'intelligenza umana. si ferma e dalle quali essa non viene istruita; Pitagora e Senofane hanno appunto peccato di tale erudizione. L'unica cosa che importa sommamente di conoscere per Eraclito è il rapporto fra la realtà nella sua unità e l'opposizione che distacca i contrari l'uno dall'altro, dando luogo alla molteplicità. Anassiman16 Baruch_in_libris § 2 ERACLITO dro, ad esempio, pur avendo ammesso l'unità di tutto il reale e avendo riconosciuto l'esistenza dei contrari, aveva ritenuto che i secondi intaccassero in qualche modo la prima; ed aveva appunto ritenuto necessario che i contrari si risolvessero di volta in volta nell'indefinito, dal quale derivavano. Eraclito rileva invece che ciò che risulta da due opposti costituis~e una unità, è un'unità; non bisogna quindi considerare l'unità come esterna agli opposti e questi come contrari ad essa; l'unità è unità di contrari ed i contrari sono tali nell'unità che li lega insieme. La realtà è sempre unità ed opposizione, «è unità armonica di tensioni opposte». L'unità del reale insomma non è data da alcuno dei due opposti, preso isolatamente dall'altro, ma dal loro ciclo; allargando lo sguardo della mente al di là di uno solo degli opposti, abbracciandoli entrambi, si ottiene di identificare l'unità e l'opposizione molteplice; l'opposizione non intacca l'unità, ma la realizza; e l'unità non toglie rilievo alla molteplicità degli opposti, ma la esprime e .la spiega. Secondo Anassimandro i contrari si fanno ingiustizia l'un l'altro e si scacciano reciprocamente; per Eraclito invece la guerra dei contrari non è espressione di ingiustizia, ma realizza la giustizia, cioè l'unfrà stessa delle cose. « Omero aveva torto, afferma Eraclito, di auspicare che la discordia si estinguesse fra gli dèi e gli uomini; egli non comprendeva che in tale modo pregava per la distruzione dell'universo »; e spiega: « la guerra è padre di tutte le cose e re di tutte le cose »; e « tutte le cose sono uno». Perché la realtà, nella sua unità, anziché lin;!itai.si ad uno degli opposti, li abbracci entrambi, bisogna che il passaggio dall'uno all'altro degli opposti sia necessario. Per questo il divenire è, nella dottrina di Eraclito, la necessaria conseguenza dell'identità stabilita fra l'unità e l'opposizione. « Tutte le cose divengono » ( :rt:civta QEi) è una famosa affermazione che esprime il suo pensiero. Platone attesta a sua volta che, per Eraclito, «tutte le cose passano e nulla permane». «Non si può, dice un frammento, discendere due volte nello stesso fiume, poiché nuove acque scorrono sempre intorno a te ». Il divenire investe tutti gli aspetti della realtà: « le cose fredde divengono calde e ciò che è caldo si raffredda; ciò che è umido si dissec~ e ciò che si è dissc~cato diviene umido »; altri termini dcl divenire che ricorrono nei Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO V CAP. Il frammenti sono: giorno e notte, inverno ed est:ite, guerra e pace, abbondanza e carestia, dispersione e riunificazione, avanzamento e :ritirata, bene e male, giustizia ed ingiustizia, morte e vita, giovinezza e maturità. Ispirandosi ai princ1p11 della filosofia ionica, Eraclito ha ritenuto di riscontrare nel fuoco i caratteri essenziali della realtà. « Il mondo, dice un frammento, che è lo stesso per tutti, non l'ha fatto alcuno degli dèi o degli uomini, ma è sempre stato, è e sarà sempre un fuoco eternamente vivente che si accende con misura e con misura si spe· gne ». Un altro frammento spiega: << Tutte le cose si scambiano con il fuoco e il fuoco si scambia con tutte le cose·, come le mercanzie si scambiano con l'oro e l'oro si scambia con le mercanzie ». Il fuoco dovette parere ad Eraclito un principio piu adatto dell'aria di Anassimene a spiegare l'universale divenire, in quanto la combustione che dà luogo al fuoco è una trasformazione continua; la fiamma pare qualche cosa di stabile, ma in realtà è in continuo flusso; altrettanto si dica delle cose: esse paiono stabili, ma la materia di cui risultano è in continua trasformazione. Eraclito spiega il divenire atiraverso due procedimenti, « il cammino in basso ed il cammino in alto >>. Il primo muove dal fuoco che, condensandosi, diviene umido e, quando venga compresso, si trasforma in acqua; l'acqua, poi, congelandosi, si trasforma in terra. Il cammino verso l'alto muove invece dal liquefarsi della terra; da essa nasce allora l'acqua e dall'acqua tutto il resto per evaporazione. Tutte le cose, tanto le umane che le divine, « seguono la trasformazione in alto ed in basso per mezzo dei mutamenti ». Anche l'uoJT10 è flusso continuo; egli è costituito di fuoco, acqua e terra. «L'anima secca è la piu saggia e la migliore»; il predominio dell'acqua causa invece la morte; ma dalla terra in cui si è sciolta l'anima, torna poi, per la via all'insu, a nascere un'altra anima. Anche fra gli dèi e gli uomini avviene, secondo Eraclito, uno scambio, in forza della duplice via all'insu ed all'ingiu. Ogni muta'mento in una direzione viene insomma compensato da un mutamento nella direzione contraria. Una "misura" governa il divenire; nemmeno il fuoco può sottrarsi a tale " misura ", dentro la quale il mondo viene .regolato dalla giustizia. Nel pensiero di Eraclito da un lato si avverte l'eco di una visione aristocratica del sapere (di qui il 18 Baruch_in_libris § 2 l!llACLITO suo disprezzo per i molti e la sua considerazione della verità come di un privilegio), dall'altro si prolunga quell'interesse dei ricchi commercianti per il mondo naturale che aveva dato vita alla cultura di Mileto; non per nulla Eraclito paragona il divenire di tutte le cose dal fuoco al continuo scambio dell'oro con le mercanzie. 3. Parmenide. Par;nenide, contemporaneo di Eraclito, vive e fonda una sua scuola ad Elea nell'Italia meridionale. Egli ebbe rapporti con i pitagorici, dci quali conobbe e criticò le dottrine; ebbe conoscenza anche delle dottrine ioniche mentre non pare che abbia esercitato su di lui un influsso diretto il pensiero di Senofane. Il pensiero di Parmenide è tutto raccolto in un poema, di cui ci sono giunti 19 frammenti. Nel proemio l'autore narra come le fanciulle figlie del Sole lo abbiano guidato su un cocchio alato oltre la porta « dei sentieri della Notte e del Giorno » fino al cospetto della dea dalla cui bocca ·egli apprenderà « a conoscere ogni cosa, sia il cuore inconcusso della ben rotonda verità, sia le opinioni dei mortali nelle quali non si trova verace credibilità ». Il sapere ha dunque per Parmenide un'origine divina ed una sanzione celeste, proprio come voleva la tradizione religiosa e sacrale; ma il suo contenuto è nuovo e razionale. « Due sole vie di ricerca si possono concepire, scrive Parmenide; l'una è che l'essere è e non può non essere; e questa è la via della persuasione, perché è accompagnata dalla verità; l'altra, che l'essere non è ed è necessario che non sia; e questo è un sentiero sul quale nessuno può persuadersi di nulla». Parmenide prende decisamente posizione contro le varie forme di dualismo della filosofia precedente; dualistica è, a suo giudizio, la dottrina che ammette il nascere e il perire della realtà, il suo divenire; dualistica è la dottrina dei contrari, per cui il reale risulterebbe di termini opposti; dualistica era anche la concezione pitagorica che ammetteva l'esistenza dcl vuoto. In tutte queste dottrine entra come elemento determinante il non-essere, la mancanza o negazione della realtà. Ora, a giudizio di Parmenide, il non-essere non va confuso con l'essere; non gli si può quindi attribuire esistenza analoga a quella dell'essere; chi compie questo errore, si rifà all'abitudine 19 Baruch_in_libris LA PlllMA METÀ DEL SECOLO V CAP. Il «nata dalle molteplici esperienze», ali'« occhio che non vede », all'orecchio « che rimbomba di suoni illusori » ed anche alla «lingua che pronuncia nomi vani »; in una parola, chi attribuisce al non-essere l'esistenza al pari che all'essere, si lascia trarre in inganno dalla sensazione. Bisogna invece attenersi, secondo Parmenide, al giudizio che si fonda sul ragionamento; le sue conclusioni sono in aperto contrasto con le apparenze sensibili. L'essere, secondo il giudizio della ragione, è ingenerato (non nasce) ed indistruttibile (non muore); di esso non si può cercare l'origine. Che l'essere o la realtà non possa nascere viene cosi dimostrato da Parmenide: « Come e donde il suo nascere? Che nasca da ciò che non è non è consentito né dirlo, né pensarlo; infatti non si può né dire né pensare che l'essere non è; e se l'essere avesse inizio dal niente, quale necessità l'avrebbe determinato a nascere in un tempo piu recente o piu remoto? Dunque è necessario o che esista del tutto o che non esista affatto». Ma l'essere non può nemmeno perire o trasformarsi perché dall'essere non può nascere qualche cosa di diverso dall'essere; ciò significa escludere che l'essere possa morire o essere distrutto; in tal modo, conclude Parmenide, «il nascere è spento e non c'è piu traccia del perire». Questa condizione del reale è controllata da giustizia; essa « tiene fermo» il reale, « stringe i suoi legami», non consente ad esso di uscire da una norma precisa. Inoltre il reale è tale ugualmente dappertutto, per cui «non c'è in qualche parte un di piu di essere, né in altra parte un di meno», come sosteneva, ad esempio, la dottrina della rarefazione e della concentrazione. Il reale è anche necessariamente immobile; esso «rimanendo identico nell'identico stato, sta in se stesso e cosI rimane immobile » « nel limite di possenti legami »; è la Necessità dominatrice che « lo tiene nei ceppi del limite che tutto intorno lo cinge»; anche l'immobilità del reale, cioè, non è casuale, ma risponde ad una legge dì assoluta necessità; il reale è cosI e deve essere cosf. Né si può ammettere che il reale abbia un processo di formazione e che risulti pertanto incompiuto; esso noò può essere che completo nella sua totalità. Coloro che si fermano invece alla conoscenza sensibile, senza elevarsi alla conoscenza rigorosa della ragione, si riferiscono al reale affermando che esso nasce e muore, che cambia luogo e muta; cosI coloro che fanno consistere il reale nella lotta degli opposti hanno il torto, :IO Baruch_in_libris s3 PARMENIDE secondo Parmenide, di « nominare due forme, di contrapporle l'una all'altra e di applicare a ciascuna di esse caratteri nettamente separati l'uno dall'altro»; per queste dottrine, la tenebra è altrettanto reale che la luce, il freddo altrettanto reale che il caldo. Per Parmenide tutti gli opposti si possono per contro ricondurre all'opposizione fondamentale di essere e non-essere, con la conseguente eliminazione del non-essere. Chi si pone dal punto di vista piu alto, quello della ragione, non deve tuttavia trascurare l'esistenza del punto di vista comune, fornito dall'apparenza sensibile; in questo campo Parmenide intende proporre la spiegazione piu verosimile fra quelle formulate e la trova sostanzialmente nelle vedute del dualismo pitagorico, che Aristotele interpreta come un contrasto di caldo e di freddo, dalla cui mescolanza derivano tutte le cose. Non è facile per noi intendere con precisione il pensiero di Parmenide. Quel che è certo è che egli ha voluto mettere in risalto il contrasto fra una conoscenza che si attiene alle osservazioni sensibili e una conoscenza razionale pura, intesa come lo svolgimento di una deduzione non contraddittoria; per questo parecchi .studiosi ritengono che Parmenide sia stato il primo ad asserire il principio di identità o di non contraddittorietà del discorso come carattere essenziale del discorso vero, per cui se due proposizioni rispettivamente affermano e negano la stessa cosa della stessa cosa (come, ad esempio, nelle proposizioni l'essere è e l'essere non è) non possono essere entrambe vere. Parmenide avrebbe per primo rilevato che, nel discorso, esiste una necessità intrinseca, quella per cui posto qualche cosa, ne segue qualche altra cosa; cosi posto che l'essere è (e non porre che l'essere è vorrebbe dire porre l'essere e negarlo ad un tempo), ne segue che esso non nasce, giacché nasce ciò che prima non era. Nessuna delle dottrine precedenti era stata formulata correttamente, secondo Parmenide, ossia in conformità alla necessità della deduzione non contraddittoria; lo stesso impero che la legge e la giustizia esercitano nel governo della vita collettiva egli attribuisce nel campo della conoscenza rigorosa al principio della necessità logica, il quale, per di piu, non può non coincidere con la struttura genuina del reale. L'aristocraticismo politico trova in certo modo il suo equivalente in campo logico; e come la legge è intesa come espressione di una superiore e quasi divina necessità, cosi la necessità logica si afferma nella sua piu ampia formalità. 31 Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SF.COI.O V CAP. Il 4. Zenone. Zenone di Elea, scolaro di Parmenide, fiori intorno al 460 e fu contemporaneo di Empedodc e di Anassagora; scrisse una serie di discorsi in cui esaminava le ipotesi dcgìi avversari delle dottrine parmenidee, per mostrare quali assurde conseguenze se ne ricavavano; questo procedimento logico fu poi designato da Ariscutde come "dialettico"; anch'esso poggia sulla necessità con cui si passa da un' asserzione ad un'altra che ne è conseguenza. A coloro che, come i pitagorici, concepivano l'unità ad un tempo come non divisibile e come fornita di grandezza, Zenone osserva che <1 se l'unità non ha grandezza, non esiste nemmeno»; quindi, se essa è indivisibile, è nulla; se poi l'unità non ha grandezza, ogni cosa che risulta di piu unità dovrà essere infinitamente piccola, « piccola al punto di non avere assolutamente grandezza»; d'altra parte, se le unità di cui risultano le cose non sono « nulla», ma sono qualche cosa e quindi hanno grandezza, ne seguirà che, essendo ogni grandezza continuamente divisibile, ogni unità risulterà di un numero infinito di unità e sarà pertanto di grandezza infinita. Se, come sostengono i pitagorici, l'unità è ad un tempo indivisibile ·e fornita di grandezza, si dovrà conclude!e, in forza di un ragionamento non contraddittorio, che le cose sono, nello stesso tempo, piccole al punto da non avere grandezza e grandi al punto da essere infinite. A proposito della molteplicità delle cose, ammessa da tutti coloro contro cui argomenta Parmenide, Zenone rileva che « se le cose sono molte,. è necessario che siano tante quante sono e non piu, né meno; ma se esse sono tante quante sono, saranno in numero limitato »; d'altra parte, « se le cose sono molte, saranno infinite di numero; perché fra le une e le altre di esse vi saranno altre cose ancora, e di nuovo fra queste ultime cose e le prime vi saranno altre cose ancora (come a dire che se esistono due cose distinte, come A e B, esse saranno tali in quanto saranno separate da una terza cosa, ad es. uno spazio C; ma C, per essere distinto da A, deve essere separato da A da un'altra .cosa D e cosi via all'infinito); e cosi le cose saranno infinite di numero»; i sostenitori della molteplicità partcno dunque <la un'affermazione dalla quale si ricavano conclusioni contraJJitoric e cio~ che le cose sono finite di numero e sono infinite di Baruch_in_libris § 4 ZENONE num,.ro. Molto famosi sono anche gli argomenti di Zenone contro il movimento: « tu non puoi arrivare all'estremità d'uno stadio, suona il primo argomento, perché non puoi percorrere in un tempo finito un numero infinito di punti; prima di superare la totalità d'una distanza data, tu devi superare la metà della distanza stessa; e prima di superare questa metà, devi superare la metà della metà; e cosi di seguito all'infinito, poiché in qualsiasi spazio dato si trova un numero infinito di punti e tu non puoi toccare un numero infinito di punti, l'uno dopo l'altro, in un tempo finito». ((Achille non supererà mai neìla corsa la tartaruga, afferma il secondo argomento; infatti anzitutto egli dovrebbe raggiungere il punto da cui la tartaruga è partita; ma durante il tempo in cui egli farà ciò, la tartaruga si prenderà un certo vantaggio; Achille deve di nuovo raggiungerla e la tartaruga ne profitterà per fare di nuovo un tratto di cammino; cosi Achille si avvicina sempre alla tartaruga, senza però raggiungerla mai »; con questi due argomenti Zenone intende rilevare che, in base all'ipotesi della divisibilità infinita, un oggetto che si muove non può mai superare una distanza, qualunque sia la velocità con cui si muove e che, per quanto lentamente si muova, supera sempre una distanza infinita. Gli argomenti di Zenone contro la molteplicità ed il movimento non sono dei cavilli; essi mettono invece in evidenza le difficoltà di questi due concetti e lo fanno applicando il procedimento logico della dedu· zione non contraddittoria, già fatto valere da Parmenide. 5. Empedocle. Empedocle ed Anassagora vissero, sebbene molto lontani l'uno dall'altro nello spazio, press'a poco nello stesso periodo di tempo; erano di circa quarant'anni piu giovani di Eraclito e di Parmenide e mentre la vita di questi ultimi si estese soltanto per circa i primi tre decenni del secolo v, quella di Empedocle e Anassagora si inoltrò fino al 430 a. C .. Empedocle fu cittadino di Agrigento in Sicilia; sia che si rifacesse agli usi della scuola pitagorica, sia che si ricollegasse direttamente alle tradizioni orfiche, fu anche mago e taumaturgo. Imitò Parmenide nell'esporre in versi le sue dottrine; ma dei duemila versi che com- 2J Baruch_in_libris LA PlllMA METÀ DEL SECOLO V CAP. Il ponevano il suo poema sulla 11\Jtura, ne sono giunti a noi meno della quinta parte. Egli respinge la nascita e la morte della realtà con argomentazioni molto vicine a quelle di Parmenide; infatti, osserva, «non può avvenire che qualche cosa possa nascere da ciò che non esiste in alcun modo, come è impossibile che ciò che esiste debba perire; infatti esisterà sempre, in qualunque luogo lo si collochi ». Data la natura immutabile del reale, bisogna vedere se esso proceda da un solo principio o dall'unione di piu principii; Empedocle prende la seconda via, in quanto gli pare che essa possa meglio spiegare la molteplicità ed il divenire delle cose; sostiene infatti che le " radici " delle cose sono quattro: il fuoco, l'aria, la terra e l'acqua; esse sono indivisibili, nel senso che il fuoco non si può dividere in particelle di fuoco, né l'acqua in particelle di acqua; ognuna delle "radici" è in se stessa completa ed omogenea, non nasce e non muore; ma l'unione delle diverse radici rende conto di tutte le cose che cadono sotto i nostri sensi; come i pittori ottengono le figure di tutte le cose mescolando fra loro colori diversi, cosi la mescolanza delle quattro radici produce tutte le cose; per queste, « nascita è solo il nome che gli uomini danno alla mescolanza »; e quando gli clementi vengono separati, allora si ha «la dolorosa morte». In tal modo dal molteplice si forma l'uno e l'uno si divide nel molteplice; ma quale è il principio che spiega il duplice movimento e che sta quindi ali' origine anche della mescolanza? Empedocle ricorre a due principii distinti ed opposti : amore ed odio. Non si tratta di due raffigurazioni mitiche; amore infatti è « quella forza che è piantata nelle membra dei mortali e che ispira loro le idee di amore e fa compiere loro le opere della pace »; la sua funzione è quella di produrre l'unione degli elementi,_ mentre l'odio è la forza contraria che tende a rompere l'unità. Con il conflitto di amore e di odio Empedocle spiega sia la trasformazione delle singole cose, sia il ciclo della trasformazione cosmica; la vicenda dei singoli esseri si inquadra in quella dell'intero universo. In essa si succedono momenti distinti. «Quando l'odio cadde nel piu profondo abisso del turbine, scrive, e l'amore ne ebbe toccato il centro, tutte le cose si riunirono in lui, per non essere che unità; e quando si furono mescolate, innumerevoli tribu di creature mortali si sparsero qua e là; ma Baruch_in_libris § 5 EMPEDOCL! molte cose restarono non mescolate ed .erano tutte le cose che l'odio teneva sospese; infatti l'odio non si era ancora completamente ritirato fino ai limiti estremi del cerchio»; quando l'odio si sarà totalmente ritirato dal mondo, tutti gli elementi risulteranno perfettamente mescolati dall'amore; ma poi l'amore comincerà ad allontanarsi dal mondo e vi penetrerà l'odio, finché giungerà la completa separazione degli elementi con il completo trionfo dell'odio. Non c'è un punto del processo che si possa dire iniziale o finale, perché l'alternativa di amore ed odio, al pari delle quattro radici delle cose, non viene mai meno. La conoscenza nasce, per il filosofo di Agrigento, dall'incontro fra un elemento che si trova in noi e lo stesso elemento fuori di noi; « con la terra vediamo la terra, scrive, con l'acqua vediamo l'acqua». I corpi emettono sempre degli « effluvi » e quando gli organi di senso risultano composti di pori adatti alla grandezza degli « effluvi », si ha la sensazione. Se da un lato, come si è detto, Empedocle sente l'influsso di Parmenide nel considerare la realtà come immutabile nel suo insieme, egli si ricollega al gruppo ionico di Mileto per quanto concerne la determinazione delle " radici " delle cose; ma mentre i milesii ave~ano insistito su un unico principio, Empedocle tenta di sommare e di completare le loro osservazioni; aggiunge all'acqua di Talete il fuoco di Eraclito e l'aria di Anassimene, completando la serie dei principii con la terra. Egli rende anche piu esplicita l'esigenza di far risalire l'origine del movimento e del dive~ire, anziché agli elementi, considerati piuttosto come dei componenti statici, a due forze superiori, che costituiscono il principio dinamico dell'universo; l'iniziativa del costante ciclo in cui viene travolto l'universo con tutte le cose è dell'amore e dell'odio, mentre l'acqua e l'aria, la terra e il fuoco sono piuttosto il campo in cui quelle forze si esplicano e governano. Risulta cosi codificata da Empedocle anche la dottrina dei contrari che si era affermata sia a Mileto, sia specia:1mente con la scuola pitagorica. 6. Anassagora. Nativo di Clazomerte, nella Ionia, Anassagora conobbe le dottrine dei pensatori di Mileto, come quelle di Parmenide e di Empedocle; passò Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO V CAP. IJ un buon tratto della sua vita ad Atene ove appoggiò il rinnovamento culturale promosso da Pericle; fu qui che egli venne accusato di non essere ossequiente alla religione della città, poiché considerava il sole una pietra incandescente e la luna un corpo terrestre, anziché degli dèi. Il suo pensiero fu raccolto in uno scritto complessivo sulla natura, del quale ci sono giunti ventidue frammenti. Anassagora muove dalla considerazione che « i greci seguono un uso scorretto quando parlano di nascita e di distruzione; infatti nulla nasce e nulla viene distrutto»; « le cose, prese tutte insieme, sono sempre uguali ». Da questa istanza parmenidea circa la immobilità del reale nel suo complesso, anche l'attenzione di Anassagora è portata a considerare, come quella di Empedocle, l'insieme dei principii che lo regge; all'interno del reale immobile non si ha che mescolanza e separazione; nulla nasce e nulla viene distrutto, ma tutto si mescola e si separa. Bisogna allora metter capo agli elementi primi sia della mescolanza che della separazione. Essi sono molti, anche per Anassagora; egli ritiene anzi che tutte le qualità si debbano considerare originarie; le radici delle cose non sono perciò quattro, ma infinite. Nello stesso tempo però nessuna delle qualità si presenta allo stato puro, ma tutte sono nella mescolanza. Mentre per Empedocle la mescolanza dà luogo a tutte le qualità ali' infuori di quattro, ciascuna delle quali è soltanto se stessa, per Anassagora ogni qualità è ·sempre soltanto se stessa, ma si presenta nella mescolanza con tutte le altre qualità. Come potrebbe infatti una qualità nascere da qualche cosa di diverso da sé? Come potrebbe il legno derivare da ciò che non è legno? D'altra parte, «le cose che sono in un mondo non possono venir divise né tagliate con una scure le une dalle altre, né il caldo dal freddo, né il freddo dal caldo »; non solo gli opposti non si possono separare l'uno dall'altro, ma vale lo stesso per tutte le qualità; « in ogni cosa v'è una particella di ogni cosa » e « in tutte le cose che si congiungono vi sono semi di tutte le cose ». Come nel pane di cui ci nutriamo si trova la forza che genera il sangue e che consolida le ossa e che fa crescere i peli dcl corpo, cosi in ogni cosa vi sono le particelle similari (omcomerie) a ciò che da quella cosa deriva; e poiché ogni cosa può derivare da ogni cosa, bfsognerà che in ogni cosa vi siano le particelle similari di tutte le cose. Il fatto che una cosa sia piccola rispetto ad un 'altra non comporta dit1icoltà per la cosa piu piccola io ordine Baruch_in_libris § 6 ANASSAGOllA al contenere in sé particelle di tutte le altre cose, perché « non c'è un grado ultimo di pic~olezza, ma c'è sempre un piu piccolo » e pertanto anche una cosa piccola risulta di un numero infinito di parti. Proprio perché cgni cosa è divisibile all'infinito, non si può giungere ad una particella indivisibile per ogni qu:ilità, ma le qualità delle cose sono indiscernibili. Noi poi chiamiamo ogni cosa con un nome diverso e la distinguiamo da tutte le altre in quanto ci riferiamo a quella qu:ilità di cui essa contiene un maggior numero di particelle. Empedocle aveva fatto intervenire dei principii distinti dalle quattro radici delle cose per spiegare la loro mescolanza ed il suo divenire; Anassagora lo segue su questa via, ma risale anziche a due principii opposti come amor.e ed odio, all'intelletto o nous; esso per essere principio del movimento, viene concepito come autonomo, non mescolato con nulla e quindi da nulla impedito; anche· se non si tratta di un principio puramente spirituale (infatti l'intelletto è per Anassagora soltanto «la piu fine di tutte le cose»), è assai importante che un principio mentale sia stato collocato al governo dell'intera realt\ rnme «la. piu grande potenza », «la piu fine e la piu pura di tutte le cose ». Quel contrasto che ha voluto superare nel ·principio del movimento Anassagora ha invece introèotto nella considerazione della conoscenza; « la sensazione nasce dai contrari, osserva, perché il simile non può essere affetto dal simile; senti;ur.o il fred.do col caldo, il gradevole col piccante, il dolce con l'amaro, ossia per mezzo di ciò che ci manca di ciascuno »; se la sensazione noi) è poi strumento sicuro della conoscenza della verità, essa ci introduce tuttavia alla comprensione di ciò che oltrepassa l'ambito dei sensi. La filosofia greca della prima metà del v secolo segue dunque due direzioni principali: da un lato con Parmenide e Zenone dà rilievo alb deduzione rigorosa come garanzia di verità sia del discorso che dell'oggetto di esso, dall'altro con Eraclito Empedocle ed Anassagora prosegue la ricerca naturalistica avviata dai pensatori di Mileto; dal monismo si passa al pluralismo nella ricerca dci principii e da un naturalismo materialistico si passa, nella giustificazione del divenire e dcl movimento, ad un naturalismo :ipn~o ai principii dinamici di amore ed odio ed al principio razionale dell'intc :letto. Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO V CAP. Il 7. Lo sviluppo delle scienze. Lo sviluppo delle scienze non annovera, nella prima metà del v secolo, né grandi nomi, né cospicui risultati. Si può tuttavia sottolineare che gli argomenti di Zenone hanno avuto grande importanza anche nella storia della matematica in quanto hanno messo in rilievo le aporie del concetto di infinito; e si può ricordare che tanto Empedocle che Anassagora si sono applicati allo studio dell'anatomia e della medicina; in particolare una scuola di medicina si è formata nell'Italia meridionale sulla scorta della filosofia di Empedocle e della sua dottrina delle quattro radici delle cose; identificando queste ultime con il caldo, il freddo, l'umido e il secco, tale scuola regolava la disciplina della salute e il trattamento delle malattie sull'equilibrio delle qualità e sul loro contrasto; si tratta d'una medicina, non tanto basata sulle varie osservazioni sperimentali dei medici pratici, quanto ricavata dalla prospettiva filosofica del naturalismo empedocleo; infatti la medicina italica che si ispira ad Empedocle poggia sulla persuasione che l'uomo sia parte integrante della natura e che pertanto i principi che governano la natura siano in grado di chiarire le condizioni della salute e della malattia nell'uomo; siccome d'altra parte l'uomo può agire sulla natura mediante speciali procedimenti di ispirazione magica, anche l'azione che la medicina esercita sul corpo dell'uomo acquista un carattere magico, collegato con la conoscenza che penetra i segreti della struttura dell'intero universo; è contro tale impostazione "filosofica,, della medicina che prenderà posizione un secolo piu tardi Ippocrate, per rivendicare un procedimento scientifico piu aderente all'esperienza. Baruch_in_libris CAPITOLO III La seconda metà del secolo v I SOFISTI E SOCRATE. DEMOCRITO 1. Il periodo. La seconda metà del secolo v è un periodo singolarmente vivo e movimentato della storia greca, sia sotto il profilo politico che sotto quello culturale. Sotto il primo rispetto, basterà dire che il periodo si apre con il governo di Pericle in Atene e che si chiude con la fine della guerra del Peloponneso la quale segna il trionfo ed il predominio di Sparta.· I contrasti all'interno della stessa città e fra città e città assumono toni violenti; aristocrazia e democrazia si contendono il primato e mentre la prima tende a mantenere il con· trollo sulle forze popolari, queste, con l'appoggio di elementi piu aperti della nobiltà, pongono precise rivendicazioni e mirano ad inserirsi organicamente nella vita dello stato. Anche i problemi culturali diventano piu complessi ed assumono proporzioni piu vaste ed imponenti; la filosofia procede gradualmente dalle generalizzazioni suggestive e dalle ipotesi ardite verso il primo abbozzo di una spiegazione scientificamente piu rigorosa del cosmo con la dottrina atomistica; ed intanto la sofistica mette a fuoco i problemi piu scottanti della convivenza, dando largo contributo alla revisione critica della tradizione ormai pienamente in atto, mentre Socrate compie il massimo sforzo per fissare i capisaldi razionali di una nuova visione della vita. Abbastanza tardi Atene si. apre alla cultura filosofica; ma in questo periodo il suo contributo è decisivo; mentre Fidia la arricchisce di opere insigni di icultura e di architettura, mentre fiorisce l'arte di Eschilo e di Sofocle, Atene diviene anche il centro del movimento filosofico e scientifico, la capitale culturale del mondo greco. 2. Svilnppi del pitagorismo. Dopo la dispersione dell'ordine pitagorico di Crotone, un gruppo di discepoli di Pitagora si raccolse a Reggio Calabria; la dissoluzione anche di questo gruppo determinò il passaggio di alcuni suoi componenti m 29 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO V CAP. lii Grecia; fra questi è da ricordare Filolao, che intorno al 430 si stabili a Tebe; di qui egli, secondo l'attestazione di Platone, si sarebbe r~cato ancora in Italia, poco prima dcl 399, anno della morte di Socrate. Filolao è il rappresentante pili autorevole del pitagorismo nella seconda metà del v secolo e nel suo nome si compendia l'ulteriore sviluppo della scuola rispetto alle posizioni del pitagorismo antico. Egli ha insistito su una visione dell'universo come «unificazione delle mescolanze e accordo di elementi discordanti »; e poiché il nostro corpo « viene mantenuto dal caldo e dal freddo, dal secco e dall'umido e da simili cose », anche l'anima viene considerata come « una specie di mescolanza e di armonia di queste cose, quando esse siano unite fra loro convenientemente e nelle. proporzioni richieste». Notevole importanza ha il sistema cosmologico professato dai pitagorici dell'epoca di Filolao: in esso la terra non è piu posta al centro dell'universo, dove si trova invece un «fuoco centrale», intorno al quale gravitano dieci corpi celesti, fra i quali la terra che « con il muoversi intorno al centro produce la notte e il giorno »; i pitagorici hanno dunque notato l'importanza di un centro luminoso per spiegare i fenomeni del giorno e della notte e hanno quindi considerato la terra come un pianeta; si tratta di una ( .;ttrina che si avvicina al sistema eliocentrico, pur senza giungervi; anche il sole infatti, per i pitagorici, gira intorno al «fuoco centrale». Se si tien conto, come dice Aristotele, che la dottrina geocentrièa è legata ad una concezione limitata e finita dell'universo, si può intendere come l'opposizione pitagorica al geocentrismo abbia aperto la strada alla concezione dell'infinità dell'universo. 3. La sofistica. La parola " sofista " indica una persona che fa, per professione, I'insegnante; ma anziché raccogliere una scuola costituita di un gruppo ristretto di persone fisse, che si riuniscono in una sede stabile, il sofista si reca di città in città, ove è richiesta la sua opera; i suoi scolari sono 'giovani ricchi delle famiglie aristocratiche che vogliono apprendere arti ed abilità direttamente utili nella vita civile, e particolarmente nella vita politica; i poveri non potevano disporre delle somme che si dovevano corrispondere al maestro, come compenso; i giovani delle famiglie ricche d'altra parte erano sollecitati a seguire l'insegnamento dei sofisti, p'!rché JO Baruch_in_libris § 3 LA SOFlSTIC.\ l'intenso sviluppo della vita politica in tutta la Grecia apriva loro prospettive nuove ed interessanti; la società greca era in fermento, le vecchie strutture aristocratiche e tradizionali cedevano, si aprivano orizzonti piu vasti all'iniziativa politica ed economica. Nella vita della città erano divenuti frequenti i processi e bisognava sapersi difendere in tribunale; quando si riuniva l'assemblea, bisognava saper pronunciare discorsi; nei contrasti politici, era importante esser capace di sostenere un dibattito a domanda e risposta; quando si inviavano ambascerie ad altre città, era decisiva l'abilità dei negoziatori; si trattava poi di scegliere uomini adatti per i comandi militari, per i servizi civili, per il governo della polis. In una parola, i quadri ristretti della vecchia aristocrazia, di formazione tradizionale, non bastavano piu; si veniva formando una nuova dasse dirigente, meno attaccata al passato, piu spregiudicata, desiderosa di riuscire, bisognosa di crearsi delle competenze, aperta ai nuovi problemi. I sofisti furon'o i maestri della nuova cultura. Non tutti i sofisti impartivano un identico insegnamento; né tutti intendevano allo stesso modo la preparazione culturale; alcuni di essi, infatti, insegnavano ai giovani calcolo, astronomia, geometria, musica, medicina, mentre altri insistevano nell'insegnamento della « prudenza nelle cose domestiche (per il miglior governo della propria casa) e nelle cose politiche (per la maggior capacità politica d'azione e di parola) », insegnavano cioè "l'arte politica'', e altri ancora davano maggior risalto alla tecnica retorica, cioè all'arte del persuadere mediante discorsi. Non si deve credere pertanto né ad una opposizione netta fra la precedente tradizione filosofica e l'insegnamento dei sofisti, ché anzi parecchi di questi ultimi uscirono da questa o quella delle scuole tradizionali, né ad una rigorosa unità di indirizzo della sofistica stessa. 4. Protagora. Protagora è forse il piu famoso dei sofisti; nacque ad Abdera intorno al 480 e mori intorno al 410. Tenne scuola in varie città della Grecia ed anche in Atene; ma qui, in seguito alla pubblica lettura d'un suo scritto intorno agli dèi, nel quale esprimeva opinioni discordanti da quelle comuni, gli fu intentato un processo che lo costrinse ad abbandonare la città; Affidò il suo pensiero a degli scritti di cui ci sono stati 31 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO V CAP. III conservati i titoli ed alcuni pochi frammenti; basta scorrere i titoli per rendersi conto dell'ampiezza degli interessi culturali di Protagora: Intorno alla matematica, Intorno allo stato, Intorno alle virtu, Intorno agli dèi, ecc. Non v'è dubbio che il sofista di Abdera possedesse notevoli conoscenze naturali e tecniche; ma egli volle orientare il suo insegnamento principalmente in due direzioni, diverse dal campo scientifico-naturalistico: l'arte politica e l'arte del discorso e del linguaggio. Intendeva cosi staccarsi non solo dalla precedente tradizione filosofica, ma anche dall'insegnamento degli altri sofisti. Infatti per Protagora l'arte politica non si deve porre al livello delle altre tecniche; mentre queste sono parziali, la cultura politica ha un carattere di universalità in quanto considera l'uomo nella totalità dei suoi interessi e delle sue possibilità. Muovendo dalla dottrina di Eraclito intorno al divenire, Protagora sostiene anzitutto che « la materia scorre »; la fluidità della materia spiega come le cose possiedano la possibilità di apparire diversamente alle diverse persone che le considerano: le cose non sono sempre le stesse, ma continuamente perdono ed acquistano qualità, cioè modi di presentarsi a chi le osserva. La conoscenza non è che sensazione; ora « le sensazioni si trasformano e mutano a seconda dell'età e delle altre disposizioni dei corpi »; sicché gli uomini non colgono tutti le stesse apparenze delle cose, ma colgono «a vicenda ora l'una ora l'altra apparenza, a seconda delle diverse condizioni in cui si trovano »; cosi cc colui che si trovi in condizioni naturali coglie nella materia i fenomeni che appaiono a chi sia in condizioni naturali; invece colui che si trovi in uno stato anormale, coglie i fenomeni che appaiono a chi si trova in stato. anormale»; di qui la famosa sentenza secondo la quale «l'uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono». L'uomo che è misura è ogni singolo individuo, nelle particolari condizioni del suo sentire. Se uno che è ammalato sente il cibo amaro, vuol dire che, in relazione alle sue condizioni, il cibo è realmente amaro; se uno sano sente invece il cibo dolce, vuol dire che, in relazione. alle sue condizioni, il cibo è realmente dolce; non ha senso parlare di come il cibo è per se stesso, giacché di un simile cibo, che non sia in relazione con nessun uomo, non si può dire niente, proprio perché niente si può dire di ciò che non viene sentito; esiste certo differenza fra l'uomo sano e quello malato; ma 32 Baruch_in_libris s4 PROTAGORA ciò che Protagora contesta è che uno dei due possa essere ritenuto piu sapiente dell'altro e che quindi si possa dire che il malato è ignorante perché sente il cibo amaro, e che il sano è sapiente perché sente il cibo dolce. Dal punto di vista della verità è tanto vero quello che sente l'uomo malato quanto quello che sente l'uomo sano, appunto perché la verità coincide con ciò che viene sentito. Circa gli dèi, il famoso frammento dello scritto di Protagora dice testualmente « Quanto agli dèi, non posso sapere né che esistano, né che non esistano, né quali siano per forma; poiché molti sono gli impedimenti a saperlo: la oscurità del problema, e la brevità della vita dell'uomo». Dovendosi risolvere ogni problema in base al sentire dell'uomo ed entro i suoi limiti, la questione dell'esistenza e della natura degli dèi, non poteva, secondo Protagora, essere risolta. Piu tardi, Platone ed Aristotele, prendendo in esame la dottrina di Protagora, la accusarono di scetticismo, cioè di distruggere senz'altro la verità e di svalutarne la ricerca, in quanto sosteneva che tutte le affermazioni si equivalgono. In verità, per Protagora tutte le conoscenze sono vere e. per questo rispetto, si equivalgono; egli ha però riconosciuto che vi sono condizioni che si debbono preferire rispetto ad altre, per la loro maggiore utilità. Se il sano non deve ritenersi piu sapiente dell' ammalato, l' abito del sano è tuttavia migliore di quello dell'ammalato; sul terreno del «meglio», cioè dell'utile, si trova quella differenza fra le condizioni degli uomini che non è possibile trovare sul terreno della verità. E poiché è possibile per l'uomo passare da un abito ad un altro, da una condizione ad una altra, bisogna studiare i mezzi con cui far passare sia i singoli che la collettività dagli abiti peggiori a quelli migliori, dagli abiti dannosi :i quelli utili. Il medico aiuta l'individuo, per mezzo delle medicine, a cambiare il suo stato, a divenire da malato, sano; ora quello che il medico fa per i corpi, il sofista lo fa per la condotta ·degli individui e delle città; il sofista muta le condizioni degli uomini non con le medicine, ma con i discorsi, cioè per mezzo dell'arte oratoria. L'utile diviene cosi il criterio e il fondamento della cultura; non è però da credere che si possa stabilire una nozione assoluta di utilità; anche dell'utile infatti si deve parlare in relazione agli individui ed ai gruppi; l'esperienza può far luce sul giudizio degli uomini intorno all'utile, in quanto sono le 33 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO V CAP. III conseguenze pratiche dell'azione e la riuscita di essa che attestano il valore della scelta. Per quanto poi riguarda la vita collettiva della città, regola dell'utile diviene il pensiero della stessa collettività, cioè il volere delle assemblee, le prescrizioni di capi e le sentenze dei giudici limitatamente al tempo in cui tale pensiero viene formulato e mantenuto; l'arte politica deve influire appunto su questo " abito collettivo", tenendo sempre aperta l'iniziativa individuale rispetto al costume ed alla tradizione. Nessuno, prima di Protagora, aveva dato tanta importanza al soggetto umano come elemento determinante della conoscenza e della condotta. 5. Gorgia. Gorgia nacque a Leontini in Sicilia, circa nello stesso tempo in cui Protagora nasceva ad Abdera, e mori intorno al 380. Fu famoso specialmente per la sua arte oratoria; fu a capo di ambascerie politiche, intervenne nella vita pubblica greca e tenne parecchi discorsi specialmente ad Atene; sono rimasti celebri il suo Discorso olimpico per in· citare i greci a superare le loro discordie ed a lottare uniti contro i barbari, e l' Epitafio che recitò ad Atene per onorare i caduti in guerra, mentre venivano sepolti a spese pubbliche. Tenne scuola alla maniera dei sofisti e formò parecchi allievi; abilissimo nel!' improvvisare, si vantava di saper trattare qualsiasi argomento e si professava maestro nella arte del persuadere; derideva coloro che, fra i sofisti, si presentavano come maestri di virtu e dava invece massimo rilievo all'abilità oratoria. Empedocle gli fu maestro di filosofia; ma Gorgia· assume un atteggiamento di netta opposizione nei confronti della filosofia precedente. «Mentre uno degli antichi filosofi, dichiara Isocrate, diceva che il numero degli enti è infinito, ed Empedocle ne poneva quattro ed inoltre l'amore e l'odio, e Parmenide ne poneva uno, Gorgia non ne poneva nessuno nel modo piu assoluto ». L'opera filosofica di Gorgia, di cui abbiamo frammenti e che si intitola Della natura ossia del non-essere, prende particolarmente di mira le dottrine eleatiche. Le tre proposizioni in cui si compendia la critica gorgiana sono le seguenti: 1) nessuna realtà esiste; 2) anche se esistesse, sarebbe inconoscibile; 3) anche se esistesse e fosse conoscibile, non si potrebbe manifestare agli altri. Gorgia rileva insomma che i filosofi so- Baruch_in_libris § 5 GORGIA stengono, intorno alla realtà, delle dottrine contrastanti « gli uni dicendo che l'ente è uno e non molti, gli altri invece dicendo che gli enti sono molti e non uno, gli uni dimostrando che gli enti sono ingenerati, gli altri dimostrando invece che sono generati »; contro tutti si può argomentare con eguale efficacia. Ad es., se veramente la realtà fosse ingenerata, dovrebbe essere infinita; ma ciò che è infinito, non si trova in alcun luogo e ciò che non si trova in alcun luogo non esiste; quindi se la realtà fosse ingenerata, non esisterebbe. Se poi la realtà fosse generata, deriverebbe o dall'essere o dal non-essere e nessuna delle due soluzioni è accettabile, in base a quanto ha chiarito Parmenide; se però la realtà non è né ingenerata, né generata, si deve concludere che non esiste; infatti se esi~tesse, dovrebbe pur possedere uno di quei due attributi. Alla stessa maniera Gorgia dimostra che la realtà non è né una, né molteplice; non è una, perché se fosse tale dovrebbe essere o quantità disco~tinua o quantità continua; ora nel primo caso, la realtà sarebbe separata, nel secondo caso sarebbe divisibile; dunque la realtà non può essere una; ma la molteplicità non è che la riunione di piu unità; quindi la realtà che non può essere una, non può essere nemmeno molteplice; e poiché la realtà, se esistesse, dovrebbe essere o una o molteplice, si deve concludere che la realtà non esiste; essa almeno non esiste, osserva Gorgia, nel modo e con i caratteri che i filosofi le hanno riferito. Non è nemmeno detto che esista una corrispondenza necessaria fra la realtà da un lato e il contenuto dcl pensiero dall'altro; ci sono contenuti del pensiero a cui non corrisponde alcuna realtà, come se si pensa che un uomo voli, e ci sono delle cose che, pur non esistendo, vengono pensate, come accade per la chimera; sicché la realtà o l'essere di cui parlano gli eleatici, anche se è da loro pensata, non vuol dire che esista realmente. Gorgia poi si chiede : « quello che uno non concepisce, come mai potrà concepirlo in seguito ali' intervento di un altro per mezzo della parola di costui o per mezzo di un segno generale, diverso dalla cosa? ». Egli intende rilevare che gli cleatici e i loro avversari, pur ammettendo che esista una realtà con i caratteri che essi le attribuiscono e pur ammettendo che essi la conoscano per tale, non riuscirebbero a comunicare la loro conoscenza ad altri, perché le parole da essi usate a tale scopo non han::o alcun nesso necessario con la realtà medesima; sicché essi comunicano parole e non i genuini caratteri della realtà .. In conclusione, i sostenitori 3S Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO V CAP. lii dell'esistenza dell'essere o realtà come tale incontrano difficoltà insuperabili per cui non riescono né a dimostrare che la loro conoscenza di essa è valida, né a dimostrare che le loro parole in proposito possano avere qualche efficacia probante rispetto agli altri. Cosi il procedimento che Zenone aveva usato contro gli avversari di Parmenide, viene ora applicato contro la scuola eleatica in particolare e in generale contro tutte le dottrine volte a indicare i caratteri della realtà o essere in quanto tale. In sostanza Gorgia si ispira, in ultimo, ad un empirismo non molto diverso da quello di Protagora; egli ritiene che « ogni realtà debba essere giudicata dalla sensazione che le è propria», in quanto soltanto nell' ambito della conoscenza sensibile si può realizzare una comunanza fra gli uomini, i quali possono appunto avere "percezioni comuni". Proprio a queste percezioni comuni che stanno a fondamento della stessa significazione del linguaggio si debbono contrapporre, secondo Gorgia, « le dimostrazioni che ingannano »; e che si possono demolire con lo stesso procedimento dialettico sul quale si era pensato di fondarle. Accanto ai due maggiori esponenti della sofistica, se ne possono ricordare altri minori, come Prodico che ha svolto in modo approfondito l' indagine sulle parole e sul discorso ed ha ribadito che il bene e la virtu sono frutto del lavoro e della conquista dell'uomo, o come lppia che ha svolto la dottrina secondo la quale « la legge è tiranna degli uomini ed in molte cose usa violenza contro la natura», o come Crizia che per contro considera le leggi non già come frutto di una convenzione contrapposta a natura, ma come lo strumento principale del perfezionamento civile e ritiene che il culto degli dèi sia stato introdotto a so~tegno delle leggi, o come infine Trasimaco di Calcedone il quale afferma che « il giusto non è altro che l' utile del piu forte », in quanto « in tutti gli stati giusto è sempre ciò che conviene al governo costituito». Con la sofistica insomma ha grande sviluppo lo studio spregiudicato del mondo umano e la ricerca di criteri piu adeguati per la conoscenza e per l' ordinamento etico-politico. 6. Socrate: la vita e la condanna a morte. Socrate nacque ad Atene nel 469; suo padre Sofronisco era scultore e sua madre, Fenarete, levatrice;' dapprima segui l'arte del padre, che Baruch_in_libris s6 SOCRATI smise quando decise di darsi completamente alla filosofia; visse da allora d'una modesta eredità che gli consenti'. di sostentare la moglie, Santippe, e i tre figli che ne ebbe. Gli anni della giovinezza di Socrate furono gli anni fortunati del governo di Pericle; ma nel 432 scoppiò il conflitto fra Atene e Sparta; la guerra durò ventott' anni e si concluse IJ.el 404 con la vittoria di Sparta. Pili volte Socrate prese parte agli scontri militari, distinguendosi per il s~o coraggio; ma la sua adesione ali' ordinamento democratico della città non fu incondizionata; lassemblea popolare non riusciva sempre ad agire in modo coerente e subiva linflusso immediato di circostanze contingenti; raramente essa riusciva ad assolvere con equilibrio i suoi compiti giudiziari; gli oratori accentuavano spesso le oscillazioni e i contrasti dell'assemblea. Socrate non mancò di rilevare le lacune del!' ordinamento democratico e prese, in qualche circostanza, atteggiamenti poco popolari come quando si oppose al procedimento seguito nel 406 nel processo intentato contro i generali vincitori della battaglia delle Arginuse, perché avevano trascurato di salvare gli equipaggi di alcune navi gravemente danneggiate e non avevano dato sepoltura ai morti. « Allora, io, unico dei pritani, gli fa dire Platone nell' Apologia, mi opposi e votai contro; e c'erano i soliti oratori già pronti a sospendermi dall'ufficio ed a trascinarmi in carcere; ed il popolo ad incitarli ed a gridare; ma io pensai che era mio dovere correre piuttosto quel rischio tenendomi dalla parte del diritto e della giustizia, anziché rimanere con il popolo a deliberare l'ingiusto per paura del carcere e della morte». L'opposizione che Socrate svolse nei confronti dell'ordinamento cittadino assunse due aspetti diversi: da un lato si trattava di una critica esercitata in nome della ragione e della giustizia, dall' altro si trattava d'una avversione anche politica all'ordinamento democratico e d'una simpatia per il sistema politico degli Spartani, l' oligarchia; fra i due aspetti vi fu anche qualche connessione. nel senso che Socrate riteneva che non tutti i cittadini fossero idonei a partecipare alle pubbliche responsabilità, ma solo quelli chi; disponessero d'una adeguata preparazione; si trovò cosi a dare delle armi intellettuali alla reazione aristocratica. 11 violento contrasto delle passioni svoltosi dm.ante la guerra del Peloponneso e durante la successiva guerra civile non si placò facilmente; la ricerca delle responsabilità fu perseguita con accanimento ed anche Soi:rate ne rimase vittima. Nel 399 fu denunciato dal poeta tragico Meleto, 17 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO V CAP. 111 dall'oratore Licone e da Anito, influente uomo politico, con la seguente imputazione: « Commette reato Socrate, non ritenendo dèi quelli che considera tali lo stato, e tentando inoltre di introdurre altri enti demonici nuovi; commette inoltre reato corrompendo i giovani». Era da tempo che accuse del genere venivano formulate contro Socrate; nel 423, nelle Nubi, Aristofane aveva attaccato Socrate proprio in quanto col suo spirito critico incitava i giovani a considerare con disprezzo la tradizione eticopolitica della città, e in quanto con i suoi studi si metteva al di fuori delia tradizione religiosa seguita da tutti. Probabilmente lo scopo che gli avversari di Socrate volevano raggiungere era quello di inviarlo in esilio; ma Socrate volle affrontare il processo, in cui pronunciò la difesa della sua attività culturale e critica, giustificata dall'esigenza dell'indagine razionale. Quanto al suo atteggiamento religioso, fece intendere che, se non avversava apertamente la tradizione, non poteva non dare rilievo religioso primario alla sua ricerca razionale; quanto alla corruzione dei giovani, dichiarò che non poteva rinunciare alla sua missione di formazione critica. In tribunale si ebbe la chiara impressione che Socrate non intendeva modificare affatto il suo atteggiamento; i voti di coloro che si pronunziarono per la sua assoluzione furono inferiori, ma non di molto, a quelli necessari; si passò allora a definire il tipo di pena da infliggergli; a questo punto Socrate chiese, ironicamente, che gli fosse decretata una pensione a vita, come benemerito dello stato; la cosa suonò come una provocazione; anche parecchi di quelli che avevano votato per la sua assoluzione gli furono, infine, contrari; fu condannato a bere la cicuta cd affrontò la morte con singolare dignità. Socrate non lasciò scritti, perché rilevava, dice Platone, che i discorsi scritti sono come le figure dipinte: se tu le interroghi, non ti rispondono. Per conoscere il suo pensiero, dobbiamo quindi rifarci alle testimonianze altrui; le principali sono quelle di Aristofane, di Senofonte, di Platone e di Aristotele. Ma Aristofane ci offre soltanto una caricatura di Socrate; Senofonte, nei suoi Detti memorabili di Soerate, scritti per difendere la memoria dell' amico, ne ricorda molte dottrine ma senza un adeguato approfondimento. Platone è certo colui che ha fatto la piu grande esaltazione filosofica di Socrate, sia perché ha redatto quasi tutte le sue opere in forma di dialogo, seguendo il metodo preferito da Socrate nella ricerca filosofica, sia perché nei dialoghi Socrate figura come il piu importante Baruch_in_libris § 6 SOCRATE degli interlocutori. Però Platone ha una sua filosofia e le dottrine che egli mette in bocca a Socrate sono spesso suoi personali sviluppi del pensiero socratico; si è perciò pensato che soltanto i dialoghi scritti da Platone per primi possano piu propriamente essere considerati come fonti storiche valide per conoscere le dottrine socratiche; in essi infatti Platone è piu legato al ricordo fedele del pensiero del maestro. Aristotele, infine, ha desunto quanto afferma di Socrate da altre fonti, probabilmente da Platone; nacque infatti quindici anni dopo che Socrate era morto. Mettendo insieme i punti che risultano piu concordemente attestati da queste fonti si può ritenere di avvicinarci guanto è possibile al genuino pensiero di Socrate. 7. Il metodo della ricerca e la determinazione dell'universale. In una fase iniziale della sua formazione Socrate si era dedicato a ricerche naturalistiche; ma poi, certo in relazione col dibattito culturale sollevato dai sofisti, si volse allo studio dell'uomo; giunse allora fino a porre in dubbio che, pur esistendo una scienza della natura, esistessero « scienziati di tale scienza ». Socrate, attesta Senofonte, « ragionava solt;mto delle cose umane, studiando che cosa sia pietà, che cosa empietà, che cosa onesto, che cosa turpe, che cosa giusto, che cosa ingiusto, che cosa sia lo stato, che cosa l'uomo politiCo, che cosa sia l'arte di governo, che cosa l'uomo di governo, ritenendo virtuosi ed onesti gli uomini consapevoli di queste questioni, e anime di servi gli altri ». Nel prestare preminente attenzione ai problemi dell'uomo Socrate conviene con i piu noti esponenti della sofistica; ma dai sofisti egli si distingue non solo perché questi insegnavano iu una scuola organizzata anche amministrativamente e dietro compenso, mentre egli dava al suo insegnamento un carattere piu aperto, piu diretto e all'infuori di ogni considerazione di compenso, non solo perché il suo insegnamento era meno ristretto e convenzionale di quello dei sofisti, ma soprattutto perché, mentre i sofisti interpretavano il loro lavoro come una professione utile alla società, Socrate si proponeva un fine piu complesso, cioè la formazione razionale dell'uomo. Egli si richiamava infatti all'iscrizione del tempio di Dclfi: « conosci te stesso »; per lui fare filosofia vuol dire esaminare se stesso, cioè « conoscere le 19 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO V CAP. 111 proprie forze in ordine all'ufficio proprio dell'uomo». Per avviare un esame razionale in questa direzione, bisogna però staccarsi dall'adesione immediata ed incontrollata al sapere comune o ad un sapere tecnico considerato dogmaticamente, bisogna "sapere di non sapere'', muovere cioè dalla coscienza della propria ignoranza. L'oracolo aveva dichiarato che non c'era alcuno in Grecia piu sapiente di Socrate; questi si era chiesto: «Che cosa mai vuol dire il Dio? lo, per me, non ho proprio coscienza di essere sapiente, né poco, né molto». L'Apologia prosegue: «Mi misi allera a farne ricerca, in questo modo: andai da uno di quelli che hanno fama di essere sapienti; mentre stavo esaminandolo - era uno dei nostri uomini politici - questo brav'uomo mi parve s1, che avesse l'aria, agli occhi di molti altri e particolarmente di se medesimo, di essere sapiente, ma in realtà non fosse; e allora mi provai a fargli capire che credeva di essere sapiente, ma non lo era. Andandomene via dovetti concludere che veramente di cotest'uomo ero piu sapiente io, in questo senso che l'uno e l'altro di noi due poteva pur darsi non sapesse niente né di buono né di bello, ma costui credeva di sapere e non sapeva, mentre io che non sapevo, nemmeno credevo di sapere ». L'ironia socratica per un lato è umile riconoscimento della propria ignoranza, quale premessa della ricerca, mentre, d'altra parte, comporta la netta opposizione e la conseguente confutazione d'una pretesa verità che non è tale. Socrate fece uso larghissimo della confutazione; quando si trovava di fronte ad una affermazione che non condivideva, attraverso domande insistenti legava l'affermazione stessa ad altre affermazioni, in modo che le proposizioni, cosi collegate e poste le uue accanto alle altre, si rivelassero in contraddizione fra loro; in tal modo J'assertore della proposizione criticata si poteva liberare dalla sua pretesa verità. Vicino a questa parte negativa alla quale dava maggior rilievo con la dichiarazione dcl dubbio e dell'ignoranza propri (essa richiama certo il procedimento dialettico di Zenone e di Gorgia, come di altri sofisti), Socrate ne svolgeva una di positiva, che faceva risalire alla sua arte maieutica: « lo son figlio di una levatrice, diceva, e mi occupo della stessa arte, solo che essa si applica agli uomini e non alle donne, e riguarda le loro anime e non i corpi. Io non sono per mio conto affatto sapiente, né ho alcuna scoperta mia, partorita dalla mia anima; ma coloro che stanno con me, da principio sembrano (ta- Baruch_in_libris s7 IL METODO DELLA RICERCA E L'UNIVERSALB luni anche in tutto) ignoranti; ma tutti poi, procedendo la familiarità, come assistiti dal dio, fanno un profitto mirabilmente grande; eppure nulla essi hanno imparato da me, ma essi stessi da sé hanno ritrovato molte e belle cose, che già possedevano». Con ciò Socrate intende ribadire che la ricerca filosofica non consiste nella trasmissione di un sapere da una mente ad altra, quanto invece nella ricerca che og» uno può condurre da se stesso e per la quale basta che egli sia opportunamente sollecitato; la ricerca comporta e l'attiva partecipazione di ciascuno e la prospettiva di un incontro di tutti nella determinazione della verità. Il procedimento in cui per Socrate si concreta la ricerca filosofica è quello della determinazione dell'universale; ad es., fare una ricerca intorno alla virtu, o alla giustizia, vuol dire indicare unitariamente i caratteri che competono a tutti quei comportamenti che chiamiamo virtu ed a tutte le cose o azioni che consideriamo giuste; non si tratta cioè di considerare questo o quello fra i singoli casi di virtu o di giustizia, ma di dire quale è la caratteristica universale di virru e di giustizia. Ecco un esempio di tale procedimento ricavato dal Menone di Platone: «Socrate: Chiarisci tu, o Menane, che cosa è la virtu. - Menane: Non è cosa difficile; se tu vuoi ·sapere, prima, della virtu dell'uomo, è chiaro che essa consiste nel suo esser atto a fare bene agli amici e male ai nemici, cercando di badare che del male non ne tocchi a lui, per ultimo; se poi tu vuoi""sapere della virtu della donna, non è nemmeno questa cosa difficile da dire: essa consiste nel governare bene la casa, nell'esser massaia ed obbediente al marito; e cos{ è diversa la virtu dei fanciulli, siano essi maschi o femmine, altra quella dei vecchi, siano liberi o schiavi; e ci sono tante virtu, che non è difficile dire che cosa è la virtu, poiché, secondo la condizione e l'età, per ciascuno di noi riguarda un certo modo di operare; e lo stesso è per la mancanza della virru. - Socrate: Fortunato me! lo andavo in cerca, o Menane, di una virtu sola ed ecco che tu me ne presenti già uno sciame. Prendendo spunto da questa immagine di sciame, se ti domando quale è la natura delle api, tu mi dirai che sono molte e di varie forme; ma se io ti domando di nuovo se tu sostieni che le molte api sono di varie forme e differiscono le une dalle altre quanto ali' -essere api, oppure in ciò non differiscono affatto, ma differiscono per esempio per Baruch_in_libris "' LA SECONDA METÀ DEL SECOLO V CAP. III la bellezza o per la grandezza o per un'altra caratteristica del genere, che cosa mi risponderai? - Menone: Che le api non differiscono l'una dall'altra in quanto sono api. - Socrate: Adesso dimmi questo o Menane : ciò in cui non differiscono, ciò che le api sono tutte, questo cosa dici che sia? Mi sapresti rispondere? - Menone: S\. - Socrate : Lo stesso bisogna fare per le virtu; anche se sono molte e di molte forme, hanno tutte una stessa caratteristica per la quale sono virtu ed a questa deve guardare chi voglia rispondere a chi gli domanda di indicargli che cosa è la virtU ». Parimenti, nella discussione che Socrate ha con Eutifrone intorno alla santità, nell'omonimo dialogo di Platone, cosi è formulata la ricerca dell'universale: « Io non ti ho pregato di insegnarmi una o due delle molte cose sante, ma proprio quella stessa caratteristica per cui tutte le cose sante sono sante; giacché tu mi hai detto che per una certa forma le cose empie sono empie e le cose sante sono sante; insegnami dunq~e questa forma, qual'è, affinché io guardàndo ad essa e servendomi di essa come di modello dica santa ogni azione che le corrisponde, sia che la compia tu che chiunque altro, e quella che non le cqrrisponde non la dica tale». L'universale è dunque il modello che sia capace di unificare l'esperienza nella sua molteplicità e varietà. La semplice enumerazione empirica non dà luogo all'unificazione e questa è per contro çondizione fondamentale del vero sapere; essa si ottiene per mezzo del concetto, i cui caratteri sono appunto l'universalità e la necessità; il concetto è universale in quanto deve valere per tutti i casi particolari ed è necessario in quanto non è soltanto dato come una cosa qualsiasi, ma è frutto e risultato stabilt" della ricerca razionale. Il concetto è comunque uno strumento con cui unificare l'esperienza e che ha pertanto nell'esperienza il suo riscontro reale; se si resta invece legati alla varietà dell'esperienza, che ~ infinita, con una semplice descrizione immediata dei suoi dati, non si raggiunge mai il piano del vero sapere e della conoscenza stabile. Secondo Socrate esiste fra gli uomini grande dissenso intorno alle questioni che riguardano il giusto e l'ingiusto, il bello e il brutto, il buono e il cattivo; per superare tale dissenso non c'è che ricorrere alla ricerca dei rispettivi concetti che, essendo universali e stabili, possano unificare e comprendere la varietà dei casi dell'esperienza. Questa via del resto si segue già, osserva Socrate, quando sorgono dissensi su que- Baruch_in_libris § 7 IL METODO DELLA RICERCA E L'UNIVERSALB stioni pili facili da risolvere; se, per esempio, ci fosse dissenso fra due persone intorno a quale di due serie di oggetti sia pili numerosa, per superare il dissenso non ci sarebbe che da fare il conto degli oggetti, portando un modello di unità tante volte nell'una e nell'altra serie, per concludere in quale di esse il modello è stato portato pili volte. Anche le confutazioni che Socrate fa di certe dottrine muovono anzitutto dalla considerazione che l'uso di certi concetti dà luogo ad inconvenienti. Ad esempio, quando Eutifrone afferma che il modello razionale o concetto, per tutti gli atteggiamenti di santità, è il se· guente: «santo è ciò che è caro agli dèi », Socrate rileva che non tutti gli dèi hanno care le stesse cose e tra loro esiste dissenso; adoperando il concetto suaccennato, si dovrebbe allora concludere che le stesse cose sono sante e non sante, in quanto alcuni dèi le hanno care ed altri no; ma allora il concetto in questione non ci permette di distinguere fra le cose, in modo che risulti chiaro quali di esse rientrano nel suo ambito e quali ne restano fuori; appunto per questo si tratta di un concetto inadeguato, che bisogna sostituire con un concetto valido e rispondente. 8. Scienza e virtu. La scienza, come uso critico di concetti, interessa, secondo Socrate, la formazione dell'uomo sotto due punti di vista: anzitutto perché i problemi da trattare scientificamente sono proprio i problemi dell'agire umano; si tratta di usare concetti che giovino a distinguere il giusto dall'ingiusto, il bene dal male, la virtli dal vizio. In secondo luogo, la scienza, quando è posseduta dall'uomo, «è capace di dominarlo, sicché se uno conosce che cosa sia il bene e che cosa sia il male, non potrà essere sopraffatto da nulla, e non potrà operare diversamente da quello che la scienza comanda, ma anzi basta tale saggezza a soccor· rere l'uomo »; la scienza è dunque in grado di imporsi alla impulsi· vità, al piacere come al dolore, all'amore come alla paura; una scienza che non riuscisse ad imporsi all'impulso, sarebbe ancora soltanto opinione, cioè una falsa scienza. Di qui derivano due conseguenze: anzitutto se lo. sviluppo delle possibilità umane è essenzialmente sviluppo della ricerca razionale, 43 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO V CAP. III non si daranno tante virtu, distinte l'una dall'altra, in modo che sia possibile possederne una, senza possedere le altre; per contro tutte le varie virtu, distinguibili solo materialmente, si riducono, intrinsecamente, ad una sola virtu, la scienza. Anche il coraggio, ad esempio, che sembra consistere principalmente in un impeto emotivo, senza alcun riferimento razionale, comporta, per Socrate, un intendimento di ciò che si deve temere e di ciò che non si deve temere; il vile differisce dal coraggioso perché non sa che il morire in battaglia è bene, ed ha paura della morte perché non sa che la morte di chi combatte con onore è bella. In tal modo Socrate sostituisce ad un codice morale di tipo tradizionale, un unico principio, quello da cui può scaturire la vera moralità come persuasione critica della razionalità di un certo modo di operare; la vera· virtu non consiste nell'adeguarsi a schemi morali convenzionali, ma nella ricerca della razionalità dell'azione. La seconda conseguenza è che « nessun uomo commette peccato volontariamente, né volontariamente compie azioni brutte e cattive, ma tutti quelli che fanno azioni brutte e cattive, le fanno per ignoranza»; e ciò, perché « nessuno, il quale sappia o creda, che ci siano cose migliori di quelle che egli fa, e che siano possibili per lui, continua a fare queste, avendo la possibilità di cose migliori; ed il lasciarsi vincere da se stesso non può essere altro che ignoranza, ed il riuscire a vincere se stessi altro che sapienza ». Non è chiaro se Socrate, spingendosi nella ricerca razionale al di là della identificazione generale di scienza e virtu, sia giunto a determinare un preciso contenuto della scienza-virtu. Si presentavano, al riguardo, parecchi problemi: vi sono anzitutto delle scienze ed arti particolari, che insegnano i mezzi adatti a raggiungere un determinato fine; ad esempio la medicina insegna i mezzi per conseguire la salute, l'ingegneria insegna a costruire, ecc.; ma la scienza che si identifica colla virtU, pare che per Socrate debba distinguersi da queste scienze particolari, in quanto essa dovrebbe essere scienza concernente i singoli fini delle scienze particolari; queste, poiché non discutono da un punto di vista unitario tutto il sapere, ma si limitano ad organizzarne un settore, hanno un valore strumentale e tecnico, rispetto ad una scienza unitaria che concerne la direzione generale della cultura; per questa via, il sapere cui Socrate dà rilievo è una sorta di " scienza della scienza ", o Baruch_in_libris § 8 SCIENZA B VIRTl " scienza del bene " che fissi il piano di unificazione e di convergenza delle varie competenze tecniche. D'altra parte, pare anche che Socrate sia stato attratto dal problema della sensibilità, cioè del piacere e del dolore, e dal peso che essa esercita nella condotta complessiva dell'uomo; e qui mise allora in luce l'importanza di una scienza che sia misura del piacere e del dolore e che insegni pertanto a sacrificare piaceri immediati e ad affrontare immediati dolori in considerazione di un maggior piacere o di un minor dolore futuri; questa prospettiva è anche in armonia con gli atteggiamenti pratici di Socrate, che non sembra avere mai assunto, di fronte alla sensibilità, una posizione di condanna o di rinuncia ascetica, quanto piuttosto una posizione di misura razionale. In ordine ad una piu precisa determinazione della filosofia come « scienza della scienza », ossia come scienza del retto uso delle singole scienze e tecniche particolari, sembra che Socrate abbia pensato, come, del resto, altri sofisti, all'arte politica, che nella città presiede a tutte le attività e ne regola l'equilibrio e gli scopi. Ma deve trattarsi di un'arte politica che non indulga ad egoismi individualistici; ad interessi particolari, ma sia essa stessa regolata dalla misura razionale, la quale insegna che la ingiustizia è un male ed un danno e che chi commette ingiustizia, se consegue apparentemente utilità, in realtà fa il danno proprio e degli altri. Un uomo politico che governi secondo il suo interesse immediato invece che in base alla ragione, « non ha una grande potenza», nonostante tutte le apparenze in contrario; dallo stesso punto di vista della ragione, è meglio subire ingiustizia, piuttosto che farla; e ciò perché non bisogna far torto ad alcuno, nemmeno a chi abbia fatto torto a noi. 9. Democrito e i principii dell'atomismo. Nel periodo in cui si affermano la sofistica e il pensiero di Socrate, giunge a piena maturazione il· sistema atomistico nel quale confluisce tutta la precedente speculazione naturalistica. Democrito di Abdera, vissuto probabilmente fra il 460 ed il 370, è colui che ha piu contributo alla determinazione della dottrina atomistica, anche se i suoi scritti si trovano mescolati in un corpus che raccoglie anche contributi di Leucippo; di esso ci sono giunti soltanto frammenti. L'atomismo 4S Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO V CAP. III è una forma di pluralismo in quanto asserisce, con Empedocle ed Anassagora, che i principii della realtà sono molti; ma esso si stacca nettamente dalle teorie qualitative di Empedocle e di Anassagora poiché afferma che gli infiniti principii della realtà, cioè gli atomi, sono della stessa natura e differiscono soltanto per caratteri quantitativi. Le ragioni che hanno indotto Democrito a sostenere l'esistenza degli atomi ci sono in parte riportate da Aristotele e poggiano soprattutto sulla impossibilità di procedere all'infinito nella divisione della materia, come era stato lumeggiato anche dagli argomenti di Zenone. Ecco come ragiona Democrito : « Se si ammette che esista un corpo ed una grandezza divisibile all'infinito e che questa divisione sia possibile, sorge una grave difficoltà: dopo una tale divisione, che cosa resterà? Non è possibile che resti una grandezza, perché allora vi sarebbe qualche cosa di non diviso; ma ammesso che non resti una grandezza, o il corpo consterà di punti e le parti di cui è composto saranno prive di grandezza, oppure queste parti saranno nulla del tutto; sicché, se sarà com· posto di nulla, anche il tutto sarà null'altro che apparenza. Del pari, se consterà di punti, non vi sarà quantità; infatti, quando i punti si toccassero e formassero una sola grandezza e fossero tutti insieme in un punto solo, non farebbero maggiore il tutto; anche a riunire tutti i punti, dunque, non si formerà una grandezza; tuttavia è evidente che il corpo si divide in grandezze separabili e sempre minori e che si allontanano le une dalle altre e restano separate. Né infatti chi divide in parti potrà arrivare ad uno sminuzzamento infinito; né si riuscirà a dividere il corpo in ogni punto, ma solo fino ad un certo punto. È dunque necessario che ci siano grandezze indivisibili, posto che ci sono generazione e distruzione, l'una per separazione e l'altra per aggregazione. Tale è dunque il ragionamento che costringe ad ammettere l'esistenza degli atomi». Gli atomi non derivano l'uno dall'altro, ma sono originariamente infiniti; sono indivisibili non già perché non abbiano grandezza ed estensione, ma perché non racchiudono spazio vuoto al loro interno; sono tutti della stessa natura e questa è la realtà mate· riale; perciò le differenze che si riscontrano nelle cose si spiegano mediante la differenza di forma, di ordine e di posizione degli atomi; la differenza di forma è la piu importante, ma due atomi che hanno la stessa forma si passano trovare in un ordine diverso, a seconda che Baruch_in_libris s9 DEMOCRITO il primo di essi SI trovi, per esempio, a s1mstra o a destra dell'altro; la differenza di posizione si ha quando due atomi della stessa forma si trovano, per esempio, uno disposto in posizione orizzontale e l'altro in posizione verticale. Anche quelli che gli altri filosofi consideravano come elementi primi delle cose, sono considerati dall'atomismo come aggregati di atomi. Il vuoto che, secondo la dottrina parmenidea, non esiste, viene considerato e.fagli atomisti reale tanto quanto il corpo, poiché rende comprensibile il movimento degli atomi. Gli atomi « non sono stati prodotti dall'opera di alcun artefice »; essi sono eterni, come eterno è il movimento che li agita: « le cause dei corpi soggetti al divenire non hanno avuto alcun principio, ma via via da tempo infinito tutte assolutamente le cose passate presenti e future sono governate dalla necessità». Il movimento originario degli atomi non obbedisce ad alcun disegno, non ha bisogno dell'opera di alcuna forza esterna; tutto è regolato, nella formazione e nello sviluppo dell'universo, da necessità meccanica, ossia dal movimento della materia che è originario ed eterno. Gli dèi non hanno, secondo Democrito, alcuna funzione nell'origine dell'universo; egli ritiene piuttosto che « noi siamo arrivati a concepire gli dèi in seguito ai fenomeni sorprendenti che si producono nell'universo; gli uomini primitivi, nell'osservare i fenomeni celesti, come tuoni e lampi e fulmini ed aggregati di stelle ed eclissi di sole e di luna, furono presi da terrore e credettero che ne fossero causa gli dèi ». Gli atomi, scrive Aristotele riferendo la dottrina di Democrito, « lottano e si muovono nel vuoto, a causa della loro disuguaglianza e delle altre differenze ricordate e nel muoversi si incontrano e si legano in un collegamento tale che li obbliga a venire a contatto reciproco ed a restare contigui; gli atomi rimangono a contatto fra loro per un certo tempo a causa dei collegamenti e delle capacità di adesione che hanno; alcuni degli atomi sono irregolari, altri uncinati, altri concavi, altri convessi, altri differenti in inm,1merevoli altri modi; gli atomi si tengono attaccati gli uni agli altri e rimangono in contatto fra loro solo fino a quando, con il sopraggiungere di qualche azione esterna, una necessità piu forte non li scuota violentemente e li disperda in varie direzioni». Dal movimento degli atomi sorgono non solo i corpi, ma anche mondi innumerevoli; la disgregazione di un mondo «porta alla fortfi Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO V CAP. III mazione di un altro mondo, poiché essendo i mondi infiniti e succedendo gli uni agli altri, non è necessario che si abbia il ritorno del medesimo mondo di prima »; per Democrito, insomma, « i mondi si trasformanÒ in altri mondi che son costituiti dai medesimi atomi »; anche i vari mondi si muovono nel vuoto, come gli atomi originari. Lo spazio vuoto in cui si realizzano, col moto degli atomi, il formarsi e il dissolversi dei mondi, ha un carattere piu matematico che fisico; esso infatti è privo di qualit.1, alla maniera degli atomi; in esso « noi\ esiste né basso, né alto, né centro, né ultimo, né estremo». 10. Il sistema atomistico. Democrito spiega in modo naturalistico sia la formazione del nostro mondo e i principali fenomeni della natura, come l'origine della vita e in particolare dell'uomo. « Il cielo e la terra avevano in origine un solo aspetto, essendo mescolata la loro materia »; poi il movimento separa una parte ignea dell'aria che « si raccoglie nelle regioni piu alte dell'atmosfera », da una parte «fangosa e torbida» che roteando su se stessa « con l'elemento liquido forma il mare, con le sue parti piu solide forma la terra ». Gli animali nascono dalle "fermentazioni " che il calore solare produce sulla superficie della terra; le fermentazioni danno origine a degli "embrioni" che si sviluppano all'interno di membrane; «via via che le membrane erano disseccate e si laceravano, venivano alla luce le piu svariate specie di animali». L'uomo non fa eccezione, quanto all'origine, rispetto agli altri animali; non esiste alcun autore speciale o divino della natura umana, come non esiste alcun fine particolare che presieda alla sua origine. Gli uomini delle prime generazioni conducevano una « vita senza leggi e come quella delle fiere », vivevano isolati « procacciandosi l'erba che era piu gradevole di sapore ed i frutti che gli alberi producevano spontaneamente». Fu l'utilità che insegnò loro a prestarsi reciproco aiuto: « riunitisi in società sotto la spinta del timore, cominciarono a poco a poco a riconoscersi all'aspetto; e mentre prima emettevano voci prive di significato ed inarticolate, gradatamente cominciarono ad articolare le r'1 rolr; stabilirono fra loro espressioni convenzionali per designare cia•..:un oggetto e giunsero cosi a creare un modo, noto a tutti loro, per Baruch_in_libris § IO IL SISTEMA ATOMISTICO significare tutte le cose; ma poiché simili raggruppamenti di uomini si formarono in tutte le zone abitate della terra, non ci poté essere una lingua di uguale suono per tutti, poiché ciascuno di quei- gruppi combinò i vocaboli come capitava; ecco perché i caratteri delle lingue sono i piu svariati ». Oltre che l'invenzione del linguaggio, fu decisiva per lo sviluppo della civiltà umana l'invenzione delle arti e delle tecniche: « conosciuto il fuoco e le altre cose utili alla vita, poco dopo furono trovate anche le arti e tutti gii altri mezzi che possono recare giovamento alla vita in società; maestro agli uomini di ogni cosa fu l'uso». Ciò che aveva consentito ad alcuni pensatori antecedenti di staccare nettamente l'uomo dal mondo della natura, era stata la teoria del1'anima. Ma Democrito anche su questo punto si attiene con rigore ai suoi principii atomistici. L'anima dell'uomo è anzitutto corporea, in quanto è costituita di atomi; si tratta tuttavia di atomi che, avendo forma sferica, hanno carattere igneo, cioè una grande mobilità. Per Democrito, dice Aristotele, «l'anima e il calore sono la stessa cosa ed i loro atomi appartengono a quelli sferici. Nell'aria c'è gran numero di quegli atomi che egli chiama anima; quindi, allorché si respira e l'aria penetra in noi, gli atomi di questo genere, entrando insieme con essa, impediscono all'anima, che è contenuta negli esseri viventi, di dissolversi; quando invece l'azione dell'aria ambiente comprime gli atomi dell'anima e l'aria che entra dal di fuori non è piu in grado di respingerli dentro, allora diviene impossibile la respirazione e negli animali avviene la morte; la morte infatti non è altro che la fuga degli atomi leggeri e sferici dal corpo per la pressione esercitata dall'aria ambiente». L'anima è principio di movimento, poiché «gli atomi sferici sempre in movimento sono di tal natura da non poter mai stare fermi e quindi riescono a trascinare con sé ed a muovere tutto il corpo». Poiché gli atomi sferici sono diffusi in tutto il corpo, l'anima stessa ha sede in tutto il corpo; essa muore e si dissolve insieme con il corpo.. Nell'ambito della conoscenza, Democrito distingue la sensazione e il pensiero; quest'ultimo si produce «quando c'è equilibrio nell'interna mescolanza dell'anima». Quanto alla sensazione, Democrito tien fermo che gli atomi sono privi di qualità; le loro differenze sono puramente quantitative; bisognerà allora concludere che le qualità che a noi appaiono come appartenenti ai corpi, non sono originariamente nei corpi, ma 49 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO V CAP. III derivano dall'incontro dei dati quantitativi dei corpi da un .lato e degli organi sensitivi dall' altro. Consideriamo, ad esempio, i sapori che noi sentiamo, il dolce, l'acido, il salato, ecc.; essi non esistono negli atomi; un atomo ha una sua forma, grandezza, ccc., ma non un suo sapore; Democrito cerca di spiegare i sapori che noi sentiamo facendoli derivare dalla forma degli atomi; egli, afferma Teofrasto, «fa derivare il dolce dagli atomi rotondi e di discreta grandezza, l'acre dagli atomi di figura grande con asperità e senza rotondità, l' acido dagli atomi acuti ed angolosi, ccc. »; un corpo dagli atomi rotondi « dà un senso di liscio, di dolce e di piacevole »; quindi il dolce è una qualità che deriva <;lalla forma rotonda degli atomi; negli atomi, il dolce non è niente di diverso da tale forma e, in quanto distinto da essa, non esiste. Bisogna, naturalmente, tener conto anche del senso, ad esempio, del gusto; e questo può essere diverso in persone diverse, in quanto dipende da tutte le condizioni corporee d'una persona; ecco perché, ad esempio, il miele pare ad alcuni dolce, ad altri amaro; in realtà, il miele non è né dolce, né amaro, ma ciueste qualità derivano dall'incontro degli atomi del miele, nelle loro caratteristiche quantitative, con il senso gustativo delle varie persone. Democrito ha svolto un'ampia ricerca per mostrare come le qualità sensibili derivino tutte o dalla grandezza, o dalla forma, o dall'ordine o dalla posizione degli atomi, cioè dai dati quantitativi. Eppure Democrito deve aver rilevato che gli atomi, essendo per se stessi privi di ogni qualità sensibile, non possono essere percepiti coi sensi; i sensi percepiscono sapori, odori, colori, ecc., ossia qualità che non si possono identificare affatto con gli atomi e con le loro caratteristiche originarie. Non si poteva dunque evitare un raffronto fra la conoscenza sensibile da un lato e la conoscenza che ci porta ad affermare l'esistenza degli atomi e del vuoto dall'altro. La riduzione di tutta la conoscenza alla sola sensazione, compiuta da alcuni sofisti, non poteva non essere presa in esame. Democrito, se voleva difendere la sua concezione meccanica della materia, doveva opporsi al sensismo dei sofisti; e risulta infatti che egli· avrebbe preso posizione contro Protagora, che voleva identificare la verità con la sensazione; sostenne infatti che l'uomo non deve attenersi solo ai dati della sensazione; se facesse cosi, non potrebbe conseguire la verità; le sensazioni, anziché la verità, forniscono l' opinione, ossia qualcosa che, pur avendo realtà so Baruch_in_libris § IO IL SISTEMA ATOMISTICO in quanto appare a noi, non coincide con la realtà originaria degli atomi. Secondo l'attestazione di Sesto Empirico, Democrito avrebbe dichiarato: « Opinione il dolce, opinione l' amaro, opinione il l:aldo, opinione il freddo, opinione il colore; verità gli atomi ed il vuoto>>. Ed avrebbe affermato che « vi sono due modi di conoscenza, cioè mediante i sensi e mediante l' intelletto »; la seconda è " genuina ", mentre la prima è " oscura ". Nelle molte sentenze di carattere morale attribuite a Democrito si afferma che la felicità non consiste nei piaceri sensibili, quanto invece in una « misura razionale» che disciplini la sensibilità; e si mette in luce il danno che possono recare le passioni alla tranquillità dell'animo, che viene additata come fine supremo della vita. L'atteggiamento morale di Democrito è dunque volto alla ricerca di un bene individuale, giacché la tradizione etica cittadina è ormai in piena crisi; spunti individualistici si riscontrano del resto anche nelle dottrine della sofistica. La filosofia della seconda metà del v secolo giunge, da un lato con Sacrate, dall'altro con Democrito, a risultati speculativi di grande rilievo. La sofistica e Socrate contribuiscono a portare la filosofia dal cielo in terra e cioè dalla considerazione della natura allo studio dell'uomo; l'importanza del principio soggettivo che, con la sofistica, presenta ancora prospettive molteplici e complesse, giunge con Socrate alla formulazione concettuale che apre la strada alle ulteriori ricerche di Platone e di Aristotele. Nello stesso tempo il naturalismo delle età precedenti mette capo ad un sistema completo ed organico, in cui il principio ispiratore, se non è il soggetto, è la ragione nella sua istanza quantitativa; nella primr. direzione si apre la possibilità di una scienza capace di disciplinare il mondo dell'uomo; nella seconda direzione si perviene ad una scienza del!' universo in cui la struttura meccanico-quantitativa inquadra la molteplicità cd il divenire. 11. Lo sviluppo delle scienze. Nella seconda metà del secolo v, l'eccezionale fervore degli studi filosofici si accompagna anche a ricerche speciali che configurano singoli campi di indagine scientifica. Si può cosi ricordare Ippocrate di Chio (da non confondere con Ippocrate di Cos che si dedicò alla medicina), fiorito in Atene fra il 450 cd il 430; egli è uno dei primi a configurare, in modo differenziato, Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO V CAP. III gli studi di matematica ed a scrivere un trattato di geometria che precede quello piu famoso di Euclide; con lui vanno nominati anche Ippia di Elide che scopre la quadratrice, Teodoro di Cirene che sviluppa .la teoria dei numeri irrazionali, oltre ad Antifonte che apre la via alla scoperta del metodo di esaustione; gli studi matematici di questo periodo si muovono, in sostanza, ancora sulle questioni aperte dalle indagini pitagoriche, oltre che sul problema della quadratura del cerchio. Maggiore autonomia ed ampiezza guadagna, in questo periodo, anche l'astronomia: Filolao infatti porta a compimento la prima spiegazione completa dei movimenti dei corpi celesti, mentre il suo discepolo Iceta di Siracusa teorizza la rotazione diurna della terra intorno al proprio asse. Ma il maggiore sviluppo è quello della medicina che vanta, in quest'età, l'opera di Ippocrate; nato a Cos intorno al 460, esercitò l'arte medica in varie città della Grecia; a lui risalgono parecchi degli scritti del cosidetto Corpus hippocraticum, che tuttavia accoglie anche l'opera di altri studiosi di quest'epoca e di quella immediatamente posteriore. Ippocrate polemizza contro le scuole mediche derivate da correnti filosofiche; al suo tempo infatti era ancora fiorente la scuola medica che, in Sicilia, era stata fondata da Empedocle ed ora era illustrata dall'opera di Acrone di Agrigento, suo discepolo. «Alcuni hanno intrapreso a scrivere o a parlare sulla medicina, scrive Ippocrate, forgiandosi, come ba~e per i loro ragionamenti, l'ipotesi sia del caldo, sia del freddo, sia dell'umido, sia del secco, sia di qualche altro oggetto conforme ai loro desideri; ma tutti costoro semplificano il problema, non pongono che uno o due principii, identici in tutti i casi, per spiegare le malattie e la morte degli uomini, e manifestamente essi si ingannano nella maggior parte dei loro propositi. Quanto a me non ritengo che la medicina abbia bisogno di ipotesi, come avviene quando si vogliono studiare cose invisibili o dubbie, ad esempio discorrere sulle meteore o sugli oggetti che stanno sotto la terra. Alcuni sofisti e medici dichiarano che non è possibile conoscere la medicina, senza conoscere che cos'è l'uomo, ma che bisogna condurre a fondo questo studio per dedicarsi alla cura dci malati. Questi progetti si orientano verso la filosofia a imitazione dell'opera di Empedocle e degli altri che hanno scritto sulla natura esponendo, a partire da un principio, come l'uomo è nato e come è stato costituito. Per mc penso che tutte queste affermazioni, siano esse pronunciate o scritte da un sofista o da un medico, si riferiscono molto meno all'arte della medicina che a quella dello scrivere; e ritengo che in nessuna maniera si avranno conoscenze chiare sulla natura, se non partendo dall'arte medica». Non soltanto, dunque, Ippocrate sviluppa in senso autonomo gli studi di medicina, ma si oppone a che tale autonomia sia compromessa da interferenze filosofiche. Uno degli effetti piu rilevanti degli studi medici documentati nel Corpus hippocraticum è la progressiva eliminazione di ogni prospettiva sacrale nella considerazione delle malattie; Baruch_in_libris § Il LO SVILUPPO DELLE sc1E:-.:ZE a proposito dell'epilessia che i sacerdoti avevano chiamato malattia sacra nel corpus si legge~ « Nessuna malattia è piu divina o piu umana di una altra; le malattie hanno tutte una causa naturale, senza la quale nessuna può prodursi». All'interno del corpus si delineano correnti di\'erse; cosi, vicino al gruppo dci medici della scuola di Cnido, preoccupati di attenersi ai fatti nella loro immediatezza, si pone il gruppo dei medici di Cos guidato da Ippocrate il quale ritiene che non si possa avere scienza me<lica se non si fa continuo richiamo alla ragione, come strumento di analisi e di critica -della stessa esperienza: « non si guarisce con ragionamenti probabili, sostengono costoro, ma con l'esperienza associata alla ragione ». La storia era stata finora coltivata con prevalenti interessi geo-etnografici; con Erodoto (nato ad Alicarnasso intorno al 480 e morto a Turi intorno al 425) autore della Storia delle guerre persiane, la narrazione storica tende a ricostrui~e il passato distinguendo accuratamente i fatti accertati da quelli erronei e leggendari, supera la dispersione dei fatti ricercandone le cause e collegandoli secondo i rapporti di dipendenza, sceglie i fatti piu significativi che tenta di organizzare in una visione ampia e generale del divenire umano; Erodoto deline::. anche una sorta di " ciclo delle cose umane" che gli sembra concretato nelle vicende storiche e nel quale entra, come elemento di equilibrio, anche il superiore intervento divino. Tucidide (460-399) infonde nella sua Storia della guerra del Peloponneso la viva cultura che egli aveva attinto ai dibattiti della sofistica e all'esperienza politica di Atene; egli narra fatti a iui contemporanei proprio perché mosso dalla preoccupazione di esporre vicende la cui verità potesse essere sicuramente raggiunta attraverso il vaglio delle testimonianze e l'esame critico dei documenti. Nella spiegazione dei fatti Tucidide si attiene, anche piu rigorosamente di Erodoto, al nesso delle cause e degli effetti, allo sviluppo delle passioni umane, all'esplicarsi della natura; nessuna concessione, da parte sua, alle forze soprannaturali, ai miti e<l alle leggende; la storia è opera degli uomini e serve a conoscere la loro natura; nessuna necessità fatale tira i fili della storia all'infuori del!e volontà e passioni umane; proprio per questo, il giuàizio veritiero ed obbiettivo sulle vicende del passato è fondamento per le nostre previsioni circa lo sviluppo del futuro; la storia pertanto non ha lo scopo di divertire o di sollecitare la fantasia; essa prepara un patrimonio che è tanto piu durevole, quanto piu risponde a verità. Baruch_in_libris CAPITOLO IV La prima metà del secolo 1v PLATONE E LE SCUOLE SOCRATICHE MINORI 1. Il periodo. Il secolo 1v si apre con la sconfitta di Atene e il trionfo di Sparta a conclusione della lunga guerra del Peloponneso; è il trionfo dell'aristocrazia sull'ordinamento democratico; quest'ultimo viene restaurato ad. Atene, dopo la cacciata dei trenta tiranni; ma su tutta la Grecia si impone ormai l'egemonia spartana; i decenni della prima metà del secolo 1v sono pieni di tentativi di scuotere tale supremazia; essi sono condotti sia da Atene che da Tebe; ad Atene si ricostruiscono le fortificazioni distrutte, si allestisce una nuova flotta; ma la pace tra Sparta e la Persia conclusa nel 387 impedisce che in Grecia· si formino delle nuove alleanze e contrasta la iniziativa ateniese per formare una lega contro Sparta; è dopo il rovesciamento dell'oligarchia a Tebe intorno al 379 che quest'ultima città acquista una posizione preminente nella lotta e costituisce con Atene il pe:rno di una nuova alleanza per rovesciare l'egemonia spartana; ma la gelosia di Atene per la nuova potenza tebana semina divisione fra gli alleati; Sparta, assediata dalle truppe di Epaminonda, riesce a salvarsi, mentre nessuno degli stati greci riesce a imporsi sugli altri e 1d organizzare in libertà l'autonomia della Grecia; intanto si viene rafforzando lo stato macedone che in breve volgere di tempo imporrà alla Grecia il proprio dominio ·Atene conti~ua ad essere, anche in questo periodo, il centro intellettuale della Grecia; Platone domina con il suo pensiero e la sua scuola la scena culturale; non ·che la cultura dci sofisti non eserciti ancora un rilevante influsso o che l'esercizio della retorica, specialmente praticato nella scuola di Isocrate, non attiri molti giovani; la fondazione dcli' Academia intorno al 387 segna però una data storica per la filosofia greca; è questa infatti la scuola che riesce ben presto ad imporsi sia per il suo programma formativo che per lo sviluppo della ricerca scientifica; in essa e specialmente nella dottrina di Platone il pensiero socratico trova il suo 54 Baruch_in_libris D. PERIODO sviluppo piu significativo. La scuola di Platone è però soltanto la maggiore delle scuole socratiche; nello stesso periodo di tempo altre minori se ne formano; una si costituisce a Cirene sotto la guida di Aristippo, la scuola cinica si raccoglie intorno ad Antistene, mentre a Megara dal gruppo dei discepoli ateniesi di Socrate ivi rifugiatisi dopo la morte del maestro intorno ad Euclide prende origine la scuola megarica. Si può ben dire dunque che tutta la prima metà del secolo 1v sia dominata, in filosofia, dallo spirito di Socrate e dal pensiero di Platone che ne è la piu viva esaltazione. Solo con Platone tuttavia si giunge ad una grandiosa costruzione dottrinale in cui lo studio dell'uomo e della natura si compendiano, in cui tutta l'eredità della cultura greca precedente viene portata ad una sintesi completa; gli altri indirizzi di pensiero da un lato coltivano gli studi dialettici e dall'altro ripiegano su conclusioni etiche di carattere individualistico ed eudemonistico: 2. Platone: la vita e gli scritti. Platone nacque ad Atene nel 427 da una famiglia aristocratica, che vantava tra i suoi ascendenti lo stesso Solone. Gli anni della sua giovinezza furono fra i piu drammatici della storia di Atene: all'interno infierivano le lotte fra il partito democratico e le forze aristocratiche cd oligarchiche, all' esterno la guerra del Peloponneso si stava avviando alla conclusione con la piena vittoria di Sparta; Platone aveva ventidue anni quando le mura di Atene furono rase al suolo dalle truppe spartane di Lisandro. Al governo dei Trenta tiranni, affermatosi nel 404, presero parte, come narra Platone nella VII delle tredici lettere che gli vengono attribuite, « alcuni suoi familiari e conoscenti (si ricordi Crizia), che subito lo invitarono a pr!=nder parte alla vita pubblica». «Io credevo veramente, scrive, che avrebbero purificata la città dall'ingiustizia traendola a un viver giusto e perciò stavo ad osservare attentamente che cosa avrebbero fatto; m'accorsi cosi che in poco tempo fecero apparire oro il governo precedente; allora fui preso da sdegno e mi ritrassi dai mali di quel tempo». Il regime dei Trenta cadde nel 403 e Platone fu preso di nuovo, a suo dire, dal « desiderio di dedicarsi alla vita politica »; ebbe anche l' impressione che gli esponenti della nuova democrazia ateniese fossero « pieni di moderazione »; ma accadde poi, come attesta la stessa lettera VII, « che alcuni potentj intentarono un processo al suo amico, a Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO IV CAP. IV Socrate, accusandolo di un delitto nefandissimo, il piu alieno d~ll'animo suo: lo accusarono di empietà, e fu condannato, e lo uccisero »..« Vedendo questo, commenta Platone, e osservando gli uomini che allora si dedicavano alla vita politica, e le leggi e i costumi, q~anto piu li esaminavo ed avanzavo nell'età, tanto piu mi sembrava che fosse difficile partecipare ali' amministrazione dello stato, restando onesto. I costumi e gli usi dei nostri padri erano scomparsi dalla città e impossibile era anche di trovarne di nuovi con facilità. Le leggi e i costumi si corrompevano e si dissolvevano, sicché io che una volta desideravo moltissimo di partecipare alla vita pubblica, osservando queste cose e vedendo che tutto era completamente sconvolto, finii per sbigottirmene; continuavo ad osservare se ci potesse essere un miglioramento e soprattutto se potesse migliorare il governo dello stato, ma, per agire, aspettavo sempre il momento opportuno, finché alla fine mi accorsi che tutte le città erano mal governate, perché le loro leggi non potevano essere sanate senza una meravigliosa preparazione e fui costretto a dire che solo la retta filosofia rende possibile di vedere la giustizia negli affari pubblici e in quelli privati». Agli studi filosofici Platone si era dedicato per tempo. Aristotele ci informa che « egli si familiarizzò fin da giovane con Cratilo e con le dottrine eraclitee »; lo stesso si deve dire, secondo Diogene Laerzio, anche per le dottrine eleatiche; ma decisivo fu in proposito l'incontro con Socrate; al momento della morte di questi Platone contava ventott' anni. Scomparso Socrate, Platone si recò a Megara, dove Euclide aveva costituito una scuola di ispirazione socratica. Tornato in Atene, diede forse inizio alla sua attività di scrittore, componendo i primi dei suoi dialoghi, in cui si avverte l'eco vivissima della personalità di Socrate. Si deve probabilmente collocare intorno al 388 un viaggio che Platone compi nell'Italia meridionale e in Sicilia; a Taranto, egli visitò la comunità pitagorica che era guidata da Archita ( « Platone segui in molte dottrine i pitagorici», attesta Aristotele); si recò anche a Siracusa, governata dal tiranno Dionigi I; qui strinse amicizia con Diane, congiunto e consigliere del tiranno. Rientrando ad Atene dal viaggio in Italia (si era probabilmente nel 387), Platone acquistò un fondo nei pressi del parco detto di Academo e vi apri un centro di studi che chiamò Academia; essa, oltre che istituto Baruch_in_libris PLATONE scientifico e scuola di formazione etico-politica, fu anche un' associazione religiosa per il culto delle Muse. Nel 367 Platone tornò a Siracusa, per sollecitazione di Dione il quale pensava che il nuovo sovrano, Dionigi Il, per esser ancor giovane e vivamente desideroso di educazione, avrebbe potuto facilmente esser portato all'amore della filosofia; ma la sua missione falli. Ad analogo fallimento andò incontro un terzo viaggio di Platone a Siracusa, compiuto nel 361. Mentre Platone moriva nel 347, Atene era in guerra con Filippo e la sua decadenza politica si avvicinava a grandi passi. Platone è il primo autore, di quelli finora incontrati, di cui ci siano rimasti tutti gli scritti, che comprendono tredici lettere e circa una trentina di dialoghi. · È la prima volta, con Platone, che la ricerca filosofica viene affidata alla forma letteraria del dialogo, anche se Pbtone non è il solo ad usarla; infatti tutto l'ambiente culturale, che si richiama a Socrate, ha largamente riprodotto negli scritti quello che ritenne il suo metodo originale, cioè il metodo dialogico. Ciò che importa è dunque di riuscire a distinguere, negli scritti di Platone, il pensiero suo da quello di Socrate. Gli studiosi hanno tentato molte vie per cogliere la mente di Platone; volta a volta hanno cerbto di ridurre il numero dei dialoghi da considerare autentici, oppure di allargarlo, di mettere in evidenza alcune linee generali e permanenti della dottrina, oppure di seguire passo passo il sinuoso sviluppo particolare della indagine; in particolare si è cercato di determinare con la maggior esattezza possibile la cronologia dei dialoghi, appunto per poter seguire nell'ordine del tempo lo stesso formarsi e svolgersi della problemati~a platonica. Però i ·riferimenti cronologici contenuti nei dialoghi sono pochi; le particolarità stilistiche (o stilemi) che, ripetendosi e richiamandosi da un dialogo all'altro, dovrebbero consentire di stabilire la maggiore o minore vicinanza fra essi, hanno dato luogo a risultati apprezzabili, ma anche ad una specie di calcolo astratto, cui è difficile riconoscere portata storica decisiva. Integrando questi diversi criteri fra loro e spingendo al massimo lo sforzo per una valutazione storica complessiva di tutto ciò che i dialoghi offrono, si è giunti a prospettare la possibilità di distinguerli in alcuni gruppi. Un primo gruppo di dialoghi è quello che Platone ha scritto non molto tempo dopo la morte 57 Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO IV CAP. IV di Socrate e eh~ perciò sembra rispecchiare di piu il pensiero dello stesso Socrate; di esso fanno parte: l'Apologia· di Socrate, il Critone, il Carmide, il Lachete, il Liside, il Protagora, il Gorgia, l'Eutifrone, l'Ippia minore, il Menesseno, il Menane e l'Eutidemo; per questi dialoghi si tende ad indicare il periodo cronologico che va dal 396 al 388 circa. Un secondo gruppo comprende i dialoghi che Platone probabilmente ha scritto nel periodo che tien dietro alla fondazione dell'Academia, cioè dal 387 in avanti: il Cratilo, il Simposio, il Fedone, la Repubblica. Alla piena maturità dell'autore appartengono i dialoghi da lui composti prima di intraprendere il secondo viaggio in Sicilia, cioè probabilmente entro il 366: il Fedro, il Parmenide e il Teeteto. All'et~ piu tarda di Platone si fanno infine risalise i seguenti dialoghi: il Sofista, il Politico, il Timeo, il Crizia, il Filebo e Le leggi. Questa, a grandi linee, la disposizione cronologica piu attendibile degli scritti di Platone; seguendo questa linea e considerando i dialoghi piu importanti si può pertanto ritenere di non scostarsi radicalmente dall'ordine con cui egli affrontò e discusse i problemi filosofici. 3. L'insegnamento di Socrate e le sue aporie. Dall'insegnamento di Socrate, Platone sembra aver tratto anzitutto la persuasione circa l'importanza della conoscenza per lo sviluppo della vita dell'uomo. Già nell'Apologia, ad es., si prende posizione contro coloro che si dedicano a procacciarsi ricchezze, o fama ed onori, trascurando la virtu che è caratteristica dell'uomo, quella appunto che concerne lo sviluppo della mente e dell'intelligenza; anche il mondo della cultura, rileva Platone, è pieno di gente « che non sa nulla e si dà l'aria di saper tutto»; ciò può dirsi dei politici che si abbandonano alla pratica, dei poeti che si affidano all'estro, dei tecnici che si occuPf!.no di problemi estranei alla loro arte. Il ragionamento ( J..Oyoç) ha importanza anche per il comportamento pratico dell'uomo; infatti, nota Platone nel Critone, il volgo si comporta « come capita », « secondo le opinioni della gente», mentre è necessario che il nostro agire si ispiri ad una misura razionale e che non· si lasci distogliere da essa per alcuna ragione: « noi non dobbiamo affatto preoccuparci di quello che Baruch_in_libris § 3 L'INSEGNAMENTO DI SOCRATE potrà dire di noi il volgo, bensl di ciò che potrà dire colui che si intende del giusto e dell'ingiusto, giudice unico, che è tutt'uno con la verità». Proprio per il peso che ha nel comportamento virtuoso la scienza, Socrate aveva insistito sia nel ridurre a questa tutte le virtu, sia nel sostenere che la virtu si può insegnare; dalla scienza dipendono, a suo giudizio, sia il bene che il male, sia la felicità che l'infelicità del! 'uomo; nel Protagora Platone non manca però di notare che nelle assemblee, mentre si ricorre ai competenti quando si tratta di questioni tecniche, «quando si tratta dell'amministrazione politica, si alzano a consigliare senza nessuna distinzione il falegname, il calzolaio, il commerciante»; si pensa dunque che sia naturale che tutti prendano parte alle deliberazioni politiche e che la stessa virtu politica sia innata, e non frutto di insegnamento; ed ecco che si pongono per Platone le premesse per un esame critico approfondito della democrazia ateniese e per il suo rinnovamento in sc;nso culturale. La principale difficoltà che, in questa direzione, presenta il pensiero socratico è quella studiata nel Carmide che ha per oggetto il problema della saggezza; per saggezza Socrate intendeva quella scienza suprema di cui l'uomo dovrebbe servirsi per indirizzare secondo ragione tutto il suo sapere e il suo fare; sembra che la saggezza si distingua da tutte le altre scienze particolari, perché queste sono scienze di altro e non di se stesse, mentre la saggezza soltanto « è scienza delle altre scienze e di se stessa». Ma una scienza, «che è scienza di sé e delle altre scienze, non ha per oggetto nessun particolare campo del sapere »; se si può, dunque, facilmente ammettere che esistano molte scienze, ciascuna delle quali sia scienza di qualche cosa di determinato, non si vede come possa esistere una scienza che sia scienza di nulla di determinato, ma scienza di se stessa. « Ciò che è sano, lo si conosce con la medicina, non con la saggezza; ciò che è architettonico, lo si conosce con l'architettura, non con la saggezza »; quindi, con la saggezza, si conosce « non che cosa si sa, ma solo che si sa »; se uno, oltre ad esser saggio, « non sa in piu né ciò che è sano, né ciò che è giusto, ma ha scienza solo del fatto che ha scienza, egli si riduce a non conoscere se non che sa e basta». Come giustificare, dunque, la scienza generale capace di dare un solido fondamento unitario a tutta la cultura? 59 Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO IV CAP. IV 4. II primo abbozzo della teoria delle idee. Per dare risposta a questa domanda, Platone abbozza quella teoria delle idee intorno a cui si svoìgerà insistentemente la sua riflessione. I primi tentativi in tal senso sono quelli condotti nell'Eutifrone e nel Menane. Nel primo si tratta di stabilire rigorosamente ciò che è pio e ciò che è empio, ciò che è santo e ciò che non lo è. Quello che si dice "santo" considerato in sé, deve essere sempre lo stesso in tutte le circostanze; la differenza fra chi manca di scienza e chi la possiede è proprio questa, che il primo applica indifferentemente un nome a caso, ora ad una cosa ora ad un'altra, mentre il secondo cerca di cogliere ciò che in varie circostanze si presenta identico; e ciò che è identico in varie circostanze, è tale in quanto ha una sua forma, una sua conoscibilità, una sua idea; se si vuol conoscere che cosa è santo, bisogna conoscere « quello stesso principio eidetico per cui tutte le cose sante sono sante», tenendo conto che «in forza di un'unica idea le cose sante sono sante e quelle non sante sono non sante»; avere scienza vuol dire dunque «servirsi della idea come di modello»; solo giungendo alla formulazione di tali modelli intellettuali si possono dirimere scientificamente «le controversie sul giusto e l'ingiusto, sul bello e sul brutto, sul buono e sul cattivo » e si può dare un oggetto preciso alla saggezza come unità della cultura. Nel Menane Platone cerca di determinare l'idea della virtu; ciò equivale a indicare quell'idea ( Et[loç) per cui tutte le virtU sono virtU ed alla quale bisogna " guardare " per poter rispondere alla domanda, che cosa sia virtu; «la virtu è la stessa in tutti», è quell'uno (lv) «che si cerca in tutte le virtu ». Chiedere che cos'è la virtu, spiega Platone, è come chiedere che cos'è figura; non si può rispondere indicando una figura; e cosi non si può rispondere alla domanda circa la virtu, indicando una virtu; del circolo non si direbbe che è la figura, ma una figura; e cosi della giustizia non si può dire che sia la virtu, ma una virtu; come il colore .rosso, continua Platone, non è meno colore del colore bianco e come la figura curva non è meno figura di quella retta, cosi l'essenza non ammette un piu o meno; e, per esempio, nessuna virtu è virtu in misura maggiore o minore di un'altra. La ricerca che determina ed analizza i modelli intellettuali o idee 60 Baruch_in_libris § 4 LA TEORIA DELLE IDEE comincia cosi a prendere un posto importanti" nella disamina critica della cultura condotta da Platone e tende fin d'ora a porsi come disciplina fondamentale e generale del sapere. Perché tuttavia la nostra conoscenza delle idee sia valida bisogna, secondo Platone, che esse siano delle realtà universali e permanenti, e non soltanto dei criteri regolativi interni al nostro intelletto; Socrate aveva appunto messo in luce l'Ìmportanza concettuale della conoscenza universale e necessaria; Platone insiste sul fatto che la conoscenza concettuale presuppone dei modelli permanenti ai quali si volga lo sguardo èlel nostro intelletto; si tratterà, ovviamente, di modelli intellettivi e non sensibili; ma essi dovranno essere sottratti al fluire delle operazioni con cui i vari soggetti li considerano, dovranno esseie oggettivi nel senso piu completo della parola, per garantire appunto l'universalità e la necessità della conoscenza intellettuale. Si può dire che il nucleo centrale della ricerca filosofica di Platone consista appunto nel passare dal concetto socrati_co all'idea, cioè dall'istanza di una conoscenza universale e necessaria a quella dei modelli ideali o essenze reali ·che la giustifica e la fonda. 5. La critica della retorica e dell'eristica. Ma la retorica sofistica non costituisce una via piu efficace e pm facile per conseguire l'unità della cultura? La risposta che Platone dà a questo problema nel Gorgia è risolutamente negativa. La retorica è l'arte che, mediante discorsi, tende a persuadere «su ciò che è giusto o ingiusto ». Ma la persuasione ( :rtEL6w) può nascere o dalla conoscenza (µa6ri<nç) o dalla credenza (:rtCcmç); ora la retorica è, per Platone, e< produttrice della persuasione che procede dal credere e non dalla scienza ». Il retore, infatti, non comunica conoscenze, ma infonde fede in chi ascolta. Certo, pare che « non ci sia materia nella quale l'oratore non possa parlare in modo piu persuasivo di qualunque tecnico»; <<l'oratore è capace di parlare a tutti e di tutto, in modo da riuscire piu persuasivo tra le moltitudini su qualsiasi argomento». Ma l'oratore, osserva Platone, non conosce le singole arti; egli possiede " una tt"cnica della persuasione " che può avere successo non nei riguardi dei competenti, ma solo nei riguardi degli ignoranti; ad es., l'oratore, che non è medico e non conosce l'arte medica, non Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO IV CAP. IV può parlare della salute in modo da persuadere un medico; in breve, l'oratore « non sapendo, appare fra gli ignoranti piu dotto di chi veramente sa». Dal punto di vista della scienza, non si può nemmeno dire, dunque, che la retorica sia una tecnica (tÉXvri); essa è piuttosto una pratica ( f.1um(lf.<1) " perché non ha conoscenza dei mezzi che adopera, in modo da indicare la causa di ciascuno»; essa è qualche cosa di privo di pensiero (uÀoyov :n:(><iyµ<l). Anche il potere che l'oratore esplica nella vita politica manca di seria base, in quanto non viene esercitato secondo giustizia, ma piuttosto secondo l'utilità del piu forte; ora compito dell'uomo politico non è tanto quello di provvedere la città di mura, di arsenali e di templi, quanto quello di « rendere migliori i cittadini»; scambiare l'oratore per un buon uomo politico è come scambiare per medico uno che abbia scritto un trattato sulla cucina o chi venda del buon vino. La necessità di una nuova arte politica, basata sulla scienza, resta dunque piu valida che mai. Ma a una tale scienza vengono mosse parecchie difficoltà anche da parte dell'eristica, cioè di quella tecnica dialettica che, originata dalle argomentazioni di Zenone, era stata portata da alcune correnti sofistiche a sviluppi paradossali e scetticheggianti; e Platone le esamina sia nel Menone che nell'Eutidet:no. C'è, ad es., un principio eristico che sostiene che all'uomo non è possibile cercare né ciò che sa, né ciò che non sa; «non quello che sa, perché lo sa e non c'è bisogno di alcuna ricerca; non quello che non sa, perché non sa che cosa cercare »·; se ciò è vero, come si potrà cercare l'idea, la forma del giusto, del santo, del bello, ecc.? Platone risponde che « seguire il ragionamento eristico, vorrebbe dire rimanere inerti; perciò esso è gradito alla gente ·fiacca, mentre il cercare e l'imparare è cosa che ci rende operosi ed indagatori ». Che il " cercare " sia invece possibile viene spiegato da Platone con il ricorso alle credenze mitiche, alle quali egli si rifà spesso, persuaso com'è che contengano il deposito di un'antica sapienza dalla quale può venire al ragionamento un'indicazione simbolica ddla ventà. Ora le credenze orfiche «affermano che l'anima è immortale e rinasce piu volte; avendo visto il mondo di qua e quello degli inferi e ogni cosa, essa ha tutto imparato; ed è perciò capace di ricordare quello che prima sapeva; il cercare e l'imparare quindi non: è altro che ricordare». A Platone qui non interessa tanto di sostenere l'immortalità Baruch_in_libris § 5 LA CRITICA DELT,A RETORICA E DELL' ERISTICA dell'anima: « sulle altre affermazioni di questo discorso, egli fa dire a Socrate, non insisterei; ma che, credendo di dover cercare ciò che non si sa, saremmo migliori e piu gagliardi e meno inerti che non con l'opinione che non sia possibile né si debba cercare ciò che non sappiamo, questo lo sosterrei risolutamente con le parole e con i fatti ». Una prova singolare della possibilità della ricerca è quella che Socrate reca, rivolgendosi ad uno schiavo di Menane, un giovane sveglio ma ignorante e facendogli scoprire da sé la soluzione del problema della duplicazione del quadrato; lo schiavo non sarebbe giunto, senza l'aiuto delle domande di Socrate, alla conoscenza della verità matematica; ma quel che importa è che egli, pur cosi sollecitato, «ha espresso un'opinione sua», è cioè riuscito a conseguire una propria conoscenza; lo schiavo ignorante che, sollecitato opportunamente, giunge a formulare importanti verità matematiche, riuscendo quasi a ricordarsene, come se le avesse dapprima apprese e poi dimenticate, mentre riscontra il valore di simbolo del mito orfico, ci aiuta a intendere che la ricerca della verità, come condizione intermedia fra il pieno possesso di essa e la sua completa assenza è senz' altro possibile. Ma Platone non poteva trascurare altre argomentazioni eristiche che sollevavano varie difficoltà" intorno alla conoscenza scientifica; si tratta di difficoltà relative alla formulazione linguistica di alcune proposizioni; bisognava risolverle, per rendere possibile un linguaggio scientifico rigoroso. Ecco alcune di tali argomentazioni: chi sa qualche cosa è un sapiente; un sapiente non può mai essere un ignorante; perciò colui che sa qualche cosa, qualunque essa sia, sa sempre tutto. - Impara chi sa oppure chi non sa? Se si risponde che impara chi sa, si obbietterà che chi sa non può imparare; se si risponde che impara chi non sa, si obbietterà che soltanto chi capisce e cioè sa, può imparare. Se sei ignorante di qualche cosa, desideri di non essere piu ignorante; dunque desideri di non essere piu quello che sei: dunque desideri di morire. - Per mentire bisogna dire qualche cosa; ma la cosa che uno dice è esistente, sicché chi dice quella cosa, dice ciò che è: ma chi dice ciò che è, dice la verità; sicché chi mente, dice la verità. - Platone ritiene che chi si serve di tali argomenti non faccia alcun conto della verità o della falsità, ma cerchi soltanto di imbrogliare l'interlocutore, ricavando dalle sue affermazioni delle conclusioni inaccettabili; gli 6J Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO IV CAP. IV riesce abbastanza facile infatti rilevare che, nella prima argomentazione, si giunge ad una conclusione paradossale perché non si è precisato entro quale limite uno è sapiente, mentre nel secondo caso si gioca sul doppio significato del termine " imparare " e nel terzo sul doppio significato del termine "essere". Nell'Eutidemo Platone non mostra di prendere molto sul serio i sofismi degli cristi; eppure egli non sottovaluta la possibile portata di alcune delle argomentazioni in questione; la negazione dell'errore e della contraddizione, ad esempio, aveva alle sue spalle la tradizione eleatica e proprio di questa dottrina Platone sentirà il bisogno di fare, piu tardi, una disamina radicale. Se alcune argomentazioni eristiche dovevano dunque ritenersi poco piu che giochi mentali, altre comportavano delle piu consistenti difficoltà logiche. Anche la considerazione piu generale del problema dcl linguaggio che Platone svolge nel Cratilo tende a liberare ·da indebiti intralci la strada che porta ad una valida conoscenza universale e necessaria. Si tratta di stabilire se le cose hanno un loro nome " per natura " oppure "per convenzione". La seconda tesi ha alle sue spalle la dottrina di Protagora; se ogni singolo uomo è misura di tutte le cose, egli sarà anche misura dei nomi; il relativismo di Protagora non può però essere accolto da Platone perché, egli osserva, se è vero quello che a ciascuno pare, non si può piu distinguere uno che sa da uno che non sa; per la stessa ragiÒne egli respinge però anche la dottrina, di derivazione parmenidea, secondo la quale « per tutti, tutte le cose sono allo stesso modo insieme e sempre »; anche in questo caso infatti non è possibile distinguere verità ed errore, in quanto l'errore non sarebbe nemmeno possibile. La soluzione giusta è quella che riconosce che le cose hanno una loro propria natura che non dipende da noi e che non può pertanto essere manipolata secondo il capriccio della nostra immaginazione; c'è una " natura " delle cose, che deve esser presa per criterio della " giustezza " di tutto ciò che le riguarda, quindi anche dei nomi che sono « uno strumento per indicare e distinguere la natura »; il mettere nomi non spetta dunque ad ognuno, ma solo a colui che sa; egli guarderà all'idea di ogni cosa che gli servirà da modello e costruirà i vari nomi tenendo presente la natura delle cose; il dialettico che per Platone è colui che principalmente si dedica allo studio delle idee sarà in grado di controllare se i nomi sono dati bene o male. I nomi sono dunque Baruch_in_libris s5 LA CRITICA DELLA RETORICA E DELL' ERISTICA delle imitazioni delle cose; appunto perciò non si può partire dai nomi, per apprendere le cose; le controversie sui nomi si possono invece risolvere solo cercando al di fuori dei nomi, nelle cose e nei loro modelli eidetici. In tal modo Platone respinge sia la dottrina parmenidea, sia quella di Eraclito; la dottrina di Parmenide consente agli cristi di rilevare che, se il vero coincide con l'essere ed il falso con il non essere, il falso non potrà mai esser detto; d'altra parte se con Eraclito affermiamo che tutto diviene e nulla è stabile, come potremo giungere ad una conoscenza valida, cioè appunto stabile ed universale? 6. L'amore, la bellezza e il destino dell'anima. II problema della conoscenza vera ed universale non è soltanto una questione puramente intellettiva ma coinvolge anche una visione globale della vita e del destino umano. Ecco perché nel Simposio Platone affronta il tema dell'amore, dandone un'interpretazione che comporta una nuova e complessiva concezione della realtà e dell'uomo. Egli respinge sia la convenzionale figura dell'amore offerta dalla mitologia, sia la riduzione dell'amore all'angusta prospettiva della pederastia, sia la concezione medico-naturalistica dell'amore come di un principio di accordo fra gli elementi. Amore è, invece, per Platone, desiderio di bellezza e di bene e pertanto avvertimento della loro mancanza; « non è bello e buono, né brutto e cattivo, ma qualcosa che sta di mezzo fra essi »; non è un dio, chè gli dèi posseggono bellezza e bontà (perciò non la desiderano), ma piuttosto un demone, qualche cosa di mezzo fra l'umano e il divino; Amore è figlio di abbondanza e di privazione; per un lato è «povero, duro, squallido, senza tetto», per l'altro è « coraggioso, risoluto, tenace, sempre occupato ::i trovare vie d'uscita». Amore è insomma la condizione generale dell'uomo che tende a conseguire il bene e la felicità di cui manca. La vita um::ina si muove tra un mondo sensibile ed uno intellegibile; l'amore spiega il passaggio e la tensione dall'uno all'altro ed· è perciò « desiderio di possedere il bello e il. bene »; amore è quindi la chiave che spiega non solo il passaggio dall'ignoranza alla scienza, ma anche l'intero processo di formazione dell'uomo fino al culmine della filosofia; il cammino dell'amore è il pieno dispiegarsi delle nostre possibilità: cc Dapprima, scrive Platone, si Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO IV CAP. IV ama la bellezza sensibile in un corpo, poi si comprende che una e identica è la bellezza che è in tutte le forme visibili, poi si ritiene che la bellezza che è nelle anime è piu pregevole di quella che è nei corpi, quindi si considera il bello che è nelle varie forme dell'attività umana e nelle leggi, e infine ·si giunge alla bellezza che è nelle scienze »; il termine ultimo dell'ascesa amorosa è costituito dalla idea di bellezza u che è sempre, non nasce mai e non muore mai, né cresce, né diminuisce, non è in parte bella e in parte brutta, né ora si ed ora no, né bella sotto certi aspetti e brutta sotto certi altri, né bella qui e brutta H »; la bellezza è « per se stessa, con se stessa, unica idea che è sempre », mentre « tutte le altre bellezze non sono tali che per partecipazione della bellezza». ·L'anima, prosegue Platone nel Fedro, è come un cocchio alato, guidato da un auriga e tirato da due cavalli, di cui uno riottoso e cattivo; prima di venire nel mondo sensibile, l'anima segue le schiere degli dèi che, in un luogo sovrastante il cielo astronomico, contemplano le supreme essenze ideali; ma, a differenza degli dèi, le anime giungono appena o non giungono affatto a vedere le idee, perché i cavalli non sempre obbediscono all'auriga; esse cadono allora nei corpi sensibili e danno luogo agli esseri mortali; le anime cadute s'incarnano o nella natura del filosofo che tiene il grado piu elevato nella gerarchia della dignità umana, o in quella dell'uomo politico, o in quella del medico e gili gili fino a quella del tiranno. Anche qui la visione mitica adombra la realtà del destino umano, alla cui radice sta una caduta dal superiore mondo ideale sotto la spinta di impulsi corporei e sensibili; ma l'anima, nel corso della vita terrena, conserva ricordi pili o meno vivi delle essenze contemplate prima della caduta; la visione delle cose belle del mondo sensibile ridesta in lei i ricordi sopiti e la accende di un delirio divino, in cui si consuma la forma pili alta dell'amore. Quel che, cosi, il Fedro adombra nella veste del mito, il Pedone esplica nella pienezza del ragionamento. Il vero filosofo, spiega Platone, sperimenta già nel corso della vita una sorta di morte, perché egli non indulge alla sensibilità né dal punto di vista del piacere, né da quello della conoscenza; la sua anima « si raccoglie in se stessa » perché « solo colui che pili intensamente e pili acutamente si appresta a penetrare co! pensiero ciascun oggetto di cui faccia ricerca, solo costui giungerà pili 66 Baruch_in_libris § 6 L'AMORE, LA BELLEZZA E lL DESTINO DELL' ANlMA ---------- - - - - - - - - vicino alla piena conoscenza di qualche cosa ». Per dare rilievo alla scienza ed all'attività umana che la coltiva, Platone la stacca risolutamente dal mondo corporeo e sensibile ed insiste sul « pensiero per se stesso » e sul suo oggetto, le idee, in se stesso considerato, astraendo, per quanto si può, «da occhi e orecchi e da tutto il corpo». Il corpo è impedimento alla scienza ed all'anima; perciò il filosofo, anche durante la vita, persegue la morte come liberazione dell'anima e della scienza d..li vincoli corporei. Il materialismo di coloro che considerano la vita solo entro l'ambito degli interessi sensibili insidia sia lo sviluppo della scienza e della cultura che quello dell'educazione; bisogna dunque guardare alla vita dal punto di vista dell'immortalità. Ecco i ragionamenti che, secondo Platone, ci possono convincere che l'anima è immortale: in natura ogni contrario si genera dal suo contrario, ogni processo generativo si completa col processo generativo contrario; è da ritenere, quindi, che il processo generativo della morte, per cui appunto ciò che è vivo muore, si integri col processo generativo della vita, per cui ciò che è morto rivive; vorrà dire dunque che «le anime dei morti esistono certamente in qualche luogo, dal quale tornano a rigenerarsi ». La conoscenza scientifica ci fa apprendere le idee delle varie cose e « tutte le impressioni che ci vengono dai sensi noi le riportiamo a tali idee, riconoscendo che esse sono gli esemplari primi posseduti dal nostro spirito »; tutta la nostra. scienza sarebbe vana se non esistessero le idee e l'anima capace di coglierle; ma come la sensazione non può generare in noi la conoscenza scientifica, cosi la vita corporea .non misura e non conchiude in sé la vita della scienza e dell'anima; quest'osservazione, chiarita con il mito della preesistenza delle anime, spiega la conoscenza come una reminiscenza, secondo gli spunti del Menone; l'anima dovr?t dunque preesistere al corpo. L'argomento decisivo per sottrarre l'anima ai limiti della vita corporea si ritrova però, secondo Platone, nella stessa natura delle idee; esse sono invisibili e costanti; l'anima, che con la scienza si mostra capace di cogliere tali modelli, deve essere simile ad essi; e quindi essa, alla morte del corpo, « se ne andd all'invisibile, all'intellegibile », insomma «al divino, all'immortale». Che la dottrina delle idee e la dottrina dell'anima e della sua· immortalit?t siano strettamente congiunte nella mente di Platone risulta anche dalla critica che egli fa del naturalismo e dal significato finalistico di Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SEco:.o IV CAP. IV ------- cui riveste la teoria delle idee. Naturalismo è per Platone la dottrina che, pur ammettendo l'esistenza d'un principio ideale, spiega i fatti della realtà indicandone semplicemente gli dementi materiali, come quando, per esempio, si volesse spiegare il conversare di Socrate in carcere ricorrendo «alla voce, all'aria, all'udito ed a cose di questo genere >>, « senza curarsi affatto di quelle che sono le cause vere e proprie » e cioè la condanna degli ateniesi, !_a decisione di Socrate di non fuggire ecc. La nuova forma di spiegazione dei fatti che Platone propone, in opposizione a quella tradizionale della filosofia naturalistica, consiste nel cogliere "il meglio" per cui una cosa è come è; non si tratta, per esempio, solo di dire che la terra è piana o rotonda, ma di dire « perché è cosI e perché non può essere che cosi, allegando la ragione del meglio e cioè che per essa il meglio è appunto di essere cosI o cosi». Non ad Atlante che sostiene il mondo si può dunque fermare la nostra conoscenza, ma a quel potere « per cui cielo e terra fu possibile che venissero disposti nel modo migliore ». La scienza filosofica delle idee indica appunto le vere cause delle cose, il loro modello e il low fine. « Se uno mi dice, scrive Platone, che una cosa è bella o perché ha un colore brillante o perché ha una sua figura o per altre proprietà dello stesso genere, ebbene, io codeste altre cause le lascio perdere e mi tengo fermo a questa, e cioè che nient'altro fa sf che quella cosa sia bella se non la presenza o la comunanza del bello». Le idee sono il fine dell'anima e l'anima è immortale per il suo legame con le idee; l'amore e la vita sono ad un tempo aspirazione al soprasensibile ed all'immortalità. 7. Educazione, politica e filosofia. Dopo aver sottoposto la dottrina delle idee al vaglio di una visione complessiva della vita e del destino umani, Platone si misura con I' obiettivo preminente di tutta la sua riflessione, cioè una nuova concezione dello stato e della vita politica ia cui possa trovare corpo e compimento l'ideale della conoscenza universale e necessaria. Lo stato si forma, spiega Platone nella Repubblica,· « perché ciascuno di noi non basta a se stesso ed ha molti bisogni che può soddisfare solo con l'aiuto degli altri»; la società che risulta solo del gruppo piu stretta68 Baruch_in_libris § 7 EDUCAZIONE, POLITICA E FILOSOFIA mente necessario di mestieri è da considerare " sana ", anche se il progresso della ricchezza e del lusso farà desiderare molte cose superflue e farà prosperare molti mestieri oltre quelli attinenti ai bisogni elementari, al commercio ed al mercato. L'eccessiva brama di ricchezza fa nascere il desiderio dell'espansione territoriale e quindi la guerra; lo stato dovrà allora provvedersi di un esercito e Platone ritiene che non debba trattarsi di un esercito costituito di cittadini, secondo l'indirizzo -della politica democratica, ma di un -esercito di soldati di mestiere. Bisogna pertanto scegliere ed isolare dagli altri cittadini un gruppo di uomini, per fare di essi dei "custodi", cioè dei soldati, la cui professione sia quella di « far la guardia allo stato ». È solo allo stato che spetta, a giudizio di Platone, di predisporre la formazione adeguata dei soldati; bisogna curare la formazione della loro anima con la musica o cultura e la formazione del loro corpo con la ginnastica. La formazione culturale dovrà impedire che i giovani accostino quelle composizioni poetiche e letterarie che esprimono opinioni non consone alla loro educazione; Platone critica Omero ed Esiodo sia perché non rappresentano gli dèi come sono, sia perché fanno derivare dalla divinità anche il male e sottopongono l'iniziativa umana ad un fato ineluttabile e suggeriscono un'eccessiva paura della morte; non che tali rappresentazioni non siano poetiche, ma «quanto piu sono poetiche, tanto meno le devono udire fanciulli ed uomini che hanno da essere liberi e paurosi della schiavitu piu che della morte»; quanto alla musica in senso stretto, Platone vuole che sia dato il bando alle «armonie lamentose» come a quelle « languide » e conviviali rierché « la rilassatezza e l'ebbrezza non convengono ai custodi dello stato»; mantiene invece «l'armonia che imita convenientemente parole ed accenti di chi dimostra coraggio in guerra, di chi reagisce alla sorte con fermezza, di gente temperante cd assennata». La ginnastica prescritta ai custodi è poi «semplice ed app.ropriata », in contrasto con quella ricercata e monotona che in Atene si soleva far praticare agli atleti. I "custodi " cosi educati vivono secondo una disciplina particolare: « nessuno di essi deve avere sostanze personali; nessuno deve disporre di un'abitazione o di una dispensa cui non possa accedere chiunque lo voglia; devono ricevere dagli altri cittad::tl una mercede per il servizio di guardia in misura corrispondente al loro fabbisogno; devono vivere in comune, frequentare mense collettive, Baruch_in_libris LA PRIMA METÌ. DEL SECOLO IV CAP. IV come se si trovassero al campo; ad essi solo tra i cittadini dello stato non è concesso di maneggiare o di toccare oro ed argento; cosi potranno salvarsi e salvare lo stato». Al pari degli uomini, secondo Platone, vanno educate anche le donne che non debbono restare chiuse nella casa, addette ad occupazioni subordinate, ma debbono collaborare con gli uomini in tutti gli uffici della vita pubblica, ivi compresa la guerra. Ma il punto della Repubblica platonica che ha sollevato piu scalpore, ~a presso i contemporanei che presso i posteri, è certo la completa abolizione, per i "custodi", del matrimonio e della famiglia, intesi come convivenza durevole di uomo e donna; per un lato i custodi non debbono restare celibi in quanto sono cittadini eletti, i cui figli avranno maggiori probabilità di altri di nascere forniti di alte qualità naturali; per l'altro, è per essi abolito ogni possesso individuale (dal quale nasce ogni divisione) e pertanto anche il possesso di una donna; uomini e donne si accompagneranno senza dar luogo, perciò, a convivenza stabile ed esclusiva; i figli verrai.mo allevati a cura dello stato; lo stato interviene anche nel predisporre gli accoppiamenti, giacché questi debbono rispondere a precisi criteri di selezione e non essere lasciati al caso. Oltre alla classe dei " custodi ", lo stato ha bisogno di una classe di veri e propri governanti; questi vengono scelti fra i "custodi" e devono risultare « estremamente decisi a fare per tutta la vita e con ogni entusiasmo quello che ritengono utile allo stato». Lo stato risulta cosi composto, nel suo insieme, di tre classi : quella dei lavoratori che è esclusa da ogni formazione particolare cd alla quale non si impone la vita comune e la· rinuncia alla famiglia, quella dei " custodi " e infine quella dei " reggitori " o governanti. Perché lo stato risulti buono, bisogna, secondo Platone, che esso realizzi un sistema organico di virtu, un insieme cioè di quelle virtU che hanno il valore di cardine del bene; si tratta della sapienza, del coraggio, della ternperanza e della giustizia. Che lo stato sia sapiente dipende dall'esercizio della sapienza da parte dei governanti; che esso sia coraggioso dipende dai custodi; la temperanza poi si estende a tutto lo stato e si ha quando quelli che valgono di piu e quelli che valgono di meno si accordano « su quale dei due debba governare », anche se essa concerne piu direttamente la terza classe, quella di coloro che debbono soltanto ubbidire e stare sottomessi; la giustizia infine regnerà nello stato se ognuna delle tre classi Baruch_in_libris § 7 BDUCAZJONE, POLITICA E PILOSOFIA assolverà il compito cui è destinata da natura, senza interferire nei compiti delle altre classi : « se uno che per natura è artigiano o uomo d'affari tenta di usurpare la funzione del custode o un custode tenta di usurpare la funzione del reggitore anche se non ne ha i requisiti, e costoro si scambiano gli strumenti e gli uffici, alloi-a si ha la rovina e la ingiustizia nello stato». Del resto stato cd individuo si corrispondono; come nel primo si hanno tre classi, cosf nel secondo si hanno tre attività diverse, «una che ci fa imparare, l'altra che ci fa provare impeti d'animo, la terza che ci fa bramare i piaceri e godimenti corporei»; nell'individuo l'istinto e la ragione si contrastano; fra i due si colloca l'impulso dell'animo o forza emotiva che, nel contrasto, si allea con la ragione contro l'istinto; cosi «le parti che costituiscono lo stato e le parti che costituiscono l'anima di ciascun individuo sono le stesse ed in numero eguale»; anche l'individuo si dirà giusto «se ciascuno dei suoi elementi adempie al suo compito, nel ~enso che l'elemento razionale governi, la forza emotiva gli sia alleata e l'istinto venga diretto e controllato». Ecco dunque la nuova soluzione del problema politico proposta da Platone : « A meno che i filosofi non regnino negli stati e coloro che oggi son detti re e signori non· facciano genuina e valida filosofia e non si riuniscano nella stessa persona la potenza politica e la filosofia e non sia necessariamente chiusa la via alle molte nature di coloro che attualmente si indirizzano solo ad una delle due, non ci può essere una tregua di male per gli stati e nemmeno per il genere umano». Questo è appunto il senso dei molteplici tentativi fatti da Platone per influire sul governo di Siracusa, questo il significato che assume la sua avversione alla sofistica ed all'arte politica da essa difesa, questo il motivo della sua ostilità per la democrazia ateniese e per i meschini contrasti politici delle città greche: bisogna o che i re diventino filosofi o che chi filosofa governi lo stato; dominio politico e vita ispirata dalla vera: conoscenza e dall'amore dell'idea debbono incontrarsi. Filosofo, ribadisce Platone, non è né colui che ama di vedere, né chi ama le arti ed i mestieri, né l'uomo di azione; tutti costoro rivolgono infatti la loro attenzione alle cose singole, mentre il filosofo è in grado di giungere all'idea e di considerarla proprio · per se stessa; filosofo è chi, conoscendo sia l'idea sia le cose che ne partecipano, non identifica e non confonde l' una cosa con l' altra; il 71 Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO IV CAP. IV volgersi alle cose particolari dà luogo all'opinione (M;a), mentre il rivolgersi ali' idea dà origine alla scienza ( Èmat'rlµTJ ). Il motivo che induce Platone a confermare, come carattere essenziale dell'idea, la sua realtà per sé è che, a suo avviso, la conoscibilità e l'essere sono paralleli, per cui « solo ciò che perfettamente è, è perfettamente conoscibile »; la conoscenza insomma ammette gradi diversi di rigore e di validità in quanto presenta gradi diversi la realtà cui essa si richiama; il grado piu elevato di conoscenza è appunto quello, allora, cui corrisponde, come oggetto, il massimo di realtà; «l'opinione è qualche cosa di intermedio fra conoscenza ed ignoranza, che verte su ciò che è intermedio fra ciò che è e ciò che non è; coloro che contemplano le molte cose, ma non vedono l'idea e non sono capaci di seguire un altro che li conduca ad essa, diremo che hanno opinioni su tutto, ma che non conoscono niente con pienezza; coloro invece che contemplano ciascuna di queste stesse idee che sono sempre allo stesso modo rispetto a se stesse, diremo che conoscono, non che hanno opinioni; i primi li chiameremo filodossi, gli altri che amano ciascuna cosa stessa che è, li dovremo chiamare filosofi»; filosofo è chi afferra «ciò che è sempre allo stesso modo rispetto alle stesse cose», mentre altri si occupa delle cose che sono "molte", e "varie"; la filosofia insomma è scienza di quella "essenza" o realtà che "è sempre" e che «non sottostà alla generazione ed alla corruzione». Né i sofisti, né i retori come Isocrate, né gli uomini politici greci sono maestri di cultura adatti a promuovere la ricerca filosofica cosi intesa; eppure è proprio la filosofia che può dare allo stato dei buoni governanti; una volta che questi siano stati educati nella musica e nella ginnastica come " custodi ", un programma piu elevato di formazione si impone per loro; esso comprende la matematica e la dialettica. Il calcolo e l'aritmetica preparano alla filosofia in quanto studiano l'unità e i numeri non già collegati con oggetti sensibili, ma per se stessi; l'anima che studia «la natura dei numeri» si volge «dalla generazione alla verità ed ali' essere »; altrettanto si deve dire dello studio della geometria, sempre che essa non sia coltivata per scopi pratici, ma «in vista della conoscenza di ciò che è sempre »; è anzi necessaria, secondo Platone, una· riforma che accentui l'aspetto teorico delle discipline matematiche; anche l'astronomia deve occuparsi, piu che di osservare sensibilmente i corpi celesti, di considerare le proporzioni matematiche che li Baruch_in_libris § 7 EDUCAZIONE, POLITICA E FILOSOFIA riguardano; e l'armonia deve risolversi nella scienza matematica delle consonanze, trascurando ogni manipolazione pratica dei suoni. Il vertice della conoscenza si consegue tuttavia passando dalla matematica alla dialettica; questa è un procedimento che, prescindendo dalla sensazione e servendosi del ragionamento, mira a giungere a <<ciascuna cosa che è », ossia all' idea come unità essenziale e permanente del molteplice e del divenire. Le idee, come modelli della mente, costituiscono una sorta di mondo ~ sé, che è puramente intellegibile; in questo mondo c'è un'idea che tiene il posto piu alto, alla maniera stessa che, nel mondo sensibile, il posto piu alto è tenuto dal sole che con la sua luce conferisce agli occhi la capacità di vedere ed agli oggetti cd ai colori la possibilità di essere visti; il sole del mondo intellegibile è l'idea del bene; essa conferisce agli oggetti dell' intelletto la verità ed alla mente la capacità di conoscere gli oggetti intellegibili; è la causa della scienza e della verità in quanto viene conosciuta, anche se il bene stesso non è essenza, perché cc sta al di là dcli' essenza per dignità e potenza». Con la dottrina delle idee cos{ intesa Platone pensa di avere risolto quel problema del bene che Socrate aveva lasciato insoluto; Socrate sosteneva che il bene è intendimento ed aggiungeva che l'intendimento è intendimento del bene, senza giungere a stabilire, fuori di tale circolo, che cosa fosse il bene; per Platone il bene è la causa stessa del mondo intellegibile, è il principio della scienza, è il fine supremo del conoscere e dell'essere e, in tal senso, è il principio di tutta la realtà. Per spiegare il procedimento della conoscenza umana, Platone, nella Repubblica, si serve ancora una volta di un mito, il mito della caverna; entro una caverna, con l'entrata aperta alla luce, stanno incatenati degli uomini, col volto verso il fondo oscuro, legati; alle loro spalle, fuori della caverna, brilla la luce; tra la luce e la caverna corre una strada sulla quale, come su un proscenio, uomini recano delle statue; chi è nella caverna vecJe solo le ombre delle statue proiettate sul fondo e le scambia per oggetti reali; se uno_ degli uomini legati, sciolto dai ceppi, potesse uscire dalla caverna alla luce, dapprima restcrobbe abbagliato e non vedrebbe nulla; ma poi potrebbe irrobustire la sua vista, dapprima osservando le ombre e le immagini riflesse delle cose, poi le cose stesse; infine volgerà lo sguardo al cielo ed agli 11 Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO IV CAP. IV astri, per poter poi contemplare finalmente il sole. Le tappe della conoscenza umana qui adombrate sono quattro: anzitutto la sensazione o immaginazione (Eì.xaofa) rivolta alle immagini sensibili isolate, poi la credenza ( :rdonç) che coglie gli oggetti sensibili in cui i dati sensibili isolati si congiungono, quindi la riflessione (5uivoux) che giunge alla conoscenza degli oggetti matematici, infine la mente, o intelletto ( voiiç) con èui si conoscono le idee; le ombre delle statue colte sul fondo della caverna sono come· i dati sensibili colti isolatamente dai corpi; l'osservazione delle statue è come la conoscenza dei corpi colti nell'unità dei dati sensibili; la contempl~zione degli oggetti veri del mondo reale corrisponde alfa conoscenza matematica, come infine la contemplazione degli astri e del sole corrisponde alla suprema conoscenza delle idee. La differenza fra i due gradi piu elevati della conoscenza viene cosi'. chiarita da Plàfone: la conoscenza matematica si giova di ipotesi, mentre la dialettica filosofica risale al principio; <t la dialettica, considerando le ipotesi non come principii, ma come ipotesi nel senso reale della parola, cioè come punti di. appoggio e di slancio, arriva a ciò che è immune da ipotesi, al principio dell'insieme; e, avendolo raggiunto, ritorna a ciò che col principio è concatenato, e discende verso la conclusione, senza giovarsi in alcun modo di alcun elemento sensibile, ma muov~ndosi da idee, mediante idee, verso idee, si compie nelle idee ». I governanti dello stato, essendo stati educati per la formazione di reggitori almeno per un periodo di cinque anni, dopo la trentina dovranno, per altri quindici anni, « ridiscendere nella caverna )) cioè assumere le cariche pubbliche per trarne esperienza; infine « quando avranno raggiunto i cinquant'anni, quelli che si siano sempre dimostrati all'altezza, si devono indirizzare alla meta ultima, allo studio dell'idea dcl bene da usare come modello per ordinare, ciascuno a turno, per il resto della vita, lo stato ed i privati cittadini e se stessi ». Delineato cosi lo stato giusto, è facile a Platone pronunciare un giudizio sui vari tipi di costituzioni statali sui qÙali si svolge il dibattito politico del s~o tempo; e poiché ogni costituzione rispecchia il carat~erc dominante dci cittadini che in essa si lasciano organizzare, I' analisi delle costituzioni è anche un rilievo dcl tipo etico dei cittadini. La c'.lstituzione la~~mica o cretese si ispira principalmente all'ambizione Baruch_in_libris s7 EDUCAZIONE, POLITICA E FILOSOFIA ed agli onori e si può pertanto denominare timocrazia (tLµT] = onore); essa poggia sui guerrieri e i suoi cittadini fanno gran conto dell' atletica e del talento militare. La costituzione oligarchica è fondata sul censo : in essa « i ricchi governano, mentre il povero non può partecipare al potere»; massima importanza essa attribuisce alla ricchezza, agli affari, alla potenza economica; i suoi cittadini sono uomini « aridi, che fanno di tutto danaro » e trascurano la cultura. La costituzione democratica è quella in cui « v' è licenza di fare ciò che si vuole », in cui ognuno si organizza « un suo modo particolare di vita »; in essa non si ha obbligo di governare quando si è idonei al comando, non ci si lascia governare se non lo si vuole, non si cura «quali studi uno debba seguire per prepararsi all'attività politica», ma lo si onora « non appena affermi di essere ben disposto verso la massa »; il cittadino democratico, poi, vive « giorno per giorno » e non conosce né ordine, né regola. L' ultimo genere di costituzione è quello tirannico che nasce dagli eccessi della democrazia e « dà lo stato in mano alla follia ». Su tutte queste costituzioni domina quella che realizza, nelle stesse persone, l'incontro di politica e di filosofia; essa è l'aristocrazia per antonomasia, il governo non tanto dei nobili, quanto dei migliori; tutte le altre costituzioni sono corruzione di questo modello perfetto. 8. Le difficoltà della dottrina delle idee. Con il Convito, il Fedro, il Pedone e la Repubblica Platone ha ormai svolto gli aspetti piu nuovi della sua dottrina delle idee, ha posto una netta distinzione fra mondo sensibile ed idee, ha rivendicato alle idee oggettività reale e stabilità, ne ha dimostrato l'unità e l'immutabilità, le ha poste oltre la sfera def principii naturali e delle cause fisiche. Ciò gli ha anche consentito di illustrare i procedimenti piu importanti della dialettica che sono l'unificazione e la divisione: l'unificazione consiste « nel vedere insieme e condurre ad una sola idea le cose variamente disperse, onde render chiaro, definendo ogni cosa, ciò intorno a cui si vuol avere conoscenza»; ma l'idea non si presta soltanto ad unificare il molteplice; l'analisi dei rapporti che corrono fra le varie idee ci consente anche di procedere alla "divisione" cioè di conside75 Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO IV CAP. IV rare quali specie o forme ideali sono contenute in un'idea indicando per ciascuna la sua essenza; e poiché anche ciascuna delle idee che sono contenute come specie in una piu comprensiva possono contenere in sé come idee altre specie, il procedimento può svolgersi nella disamina completa dei rapporti che reggono la gerarchia del mondo ideale. Ma a questo punto Platone affronta nel Parmenide l'esame di alcune serie difficoltà della dottrina delle idee. Anzitutto, si chiede Platone, ammetteremo soltanto le idee di giusto, di bello, di bene, di uguaglianza, di somiglianza, di unità, oppure anche idee di cose come il fuoco e l'acqua, fino alle idee di cose molto vili, come il fango, il capello ecc.? «Appena penso, egli riconosce, di estendere universalmente il criterio dell' idea, ne rifuggo per il timore di perdermi in un abisso di stoltezze». Una difficoltà piu grave riguarda il fatto che le idee sono distinte dalle cose; per es., l'idea di bellezza è distinta dalle cose belle, che sono tali in quanto partecipano della bellezza; ma se tutta l'idea di bellezza viene partecipata dalle cose belle, poiché queste sono molte, l'idea di bellezza si troverà ad essere, ad un tempo, una e molteplice; se invece ogni cosa bella partecipa di una sola parte dell'idea di bellezza, allora l'idea non sarà né semplice, né una. La terza difficoltà riguarda la somiglianza che corre fra l'idea e le cose che essa unifica: per es., piu uomini sono simili tra loro appunto in quanto sono uomini e lidea di uomo è la forma unica in cui li raggruppiamo; se, in tal modo, la somiglianza che corre fra parecchi uomini dev' essere fissata nell'idea di uomo, anche la somiglianza che corre fra gli uomini da una parte e l'idea di uomo dall'altra dovrà essere intesa alla stessa maniera, e si dovrà quindi avere, oltre " gli uomini particolari", e l'idea di uomo, un "terzo uomo"; «e non sarà piu uno solo ciascun genere delle cose, ma infinita pluralità». Una quarta difficoltà nasce quando si tenti di rappresentarci l'idea come un nostro pensiero che non esista fuori della mente; infatti se le cose partecipa~o di un'idea che è soltanto pensiero, saranno anch'esse soltanto pensiero; se invece si insisterà sulla differenza fra le cose e la loro idea nella mente, non si capirà piu come le cose partecipino di quell'idea. Inoltre, se si dice che le idee sono come dei modelli, di cui le cose sono copie somiglianti, nascerà la difficoltà di spiegare come 1 modelli si possono dire tali, quando perché ci sia somiglianza fra Baruch_in_libris § 8 LE DIFFICOLTÀ DELLA DOTTRINA DELLE IDEE essi e le cose, dovrebbero avere gli stessi :aratteri delle cose. Ancora: « Le cose della nostra esperienza 3ensibile sono quello che sono in relazione fra loro, non rispetto alle idee e ricevono il nome che hanno dal loro proprio piano, non dal piano delle idee; per es., se uno è schiavo, lo è perché è schiavo di un uomo concreto, che è il suo padrone, mentre l'idea "esser schiavo" è tale rispetto all'idea "esser padrone"; quello che è sul piano della nostra esperienza concreta non ha valore per quelle idee, né le idee hanno valore per noi; le idee sono quello che sono rispetto a se stesse e le cose della nostra esperienza sensibile sono quello che sono rispetto a se stesse ». Platone riassume tutte queste difficoltà in una quando concludt che « si trova in difficoltà chi ascolta la dottrina delle idee ed obbietterà che queste non esistono o che, se proprio esistessero, necessariamente sarebbero inconoscibili alla natura umana; e sarà straordinariamente difficile convincerlo del contrario ». È tanta la distanza che corre fra i caratteri del mondo ideale e quelli dell'esperienza che si può finire per ritenere il primo del tutto estraneo alla seconda; se, per contro, il mondo delle idee risponde all'esigenza di rendere possibile lo sviluppo conoscitivo ed etico del!' uomo, bisognerà superare ogni separazione radicale ed approfondire il loro rapporto. Il mondo ideale dell'essere e il mondo sensibile non stanno fra loro nel rapporto in cui stanno, secondo Parmenide, l' essere ed il non-essere; non si può infatti annullare del tutto il mondo sensibile, identificandolo con il nonessere; né il mondo dell'essere si può prospettare in posizione antitetica e negativa rispetto al mondo sensibile. Mondo dell'essere e mondo sensibile stanno fra loro nello stesso rapporto in cui si trovano l' uno ed il molteplice; da una parte, il molteplice non si può pensare senza riferimento ali' unità, in quanto anch'esso è costituito di unità e, come numero, ne comprende una serie; dall' altra, l'uno è a sua volta in relazione con il molteplice e fuori di tale relazione non avrebbe senso; sicché l'uno è, e quindi è essere, ma in quanto unifica il molteplice sensibile cessa di essere solo essere, essere separato, e si trova in connessione con il non-essere sensibile; questo poi non è a sua volta un mondo separato dall'uno, ma in relazione con esso; il suo nonessere non manca di una relazione all'essere. In conclusione, se da un lato è impossibile considerare l' essere fuori di ogni rapporto con 77 Baruch_in_libris LA PIUMA METÀ DEL SECOLO IV CAP. IV il mondo sensibile, dall'altro è altrettanto impossibile chiudersi nel mondo sensibile ..cnza metterlo in rapporto con il mondo dell'essere. Nel Teeteto Platone si propone di mostrare le difficoltà che permangono nella dottrina eracliteo-protagorea della conoscenza come sensazione; sono le stesse difficoltà che gli avevano già suggerito di abbracciare la dottrina delle idee e che ora lo convincono di non abbandonarla, ma solo di riesaminarla e di approfondirla. Ecco le difficoltà che si possono muovere alla dottrina dell'universale divenire e della conoscenza come sensazione : « Protagora sostiene che gli uomini hanno sempre opinioni vere; ma la maggior parte della gente ritiene che gli uomini abbiano talvolta opinioni vere, talvolta opinioni false e in ciò si oppone all'opinione di Protagora; quindi non sempre gli uomini hanno opinioni vere». Inoltre: « Protagora, in quanto riconosce che tutte le opinioni degli uomini sono vere, viene ad ammettere che sia vera anche la opinione di coloro che si oppongono alla sua e per la quale essi ritengono che la sua opinione sia falsa ». Platone non può . soprattutto accettare che (( rispetto al giusto ed all'ingiusto, al santo ed al non santo, niente esista per natura con essenza sua propria » e che pertanto tutt~ le opinioni al riguardo si equivalgano; in ciò ha la sua radice l' opposizione irriducibile di Platone per la retorica; il retore può accontentarsi di dire che le leggi che una città si dà non hanno bisogno se non di parere giuste alla città stessa; Platone vuole che sia possibile stabilire se esse sono obbiettivamente e realmente tali; Platone vuole, insomma, giungere ad una conoscenza valida e vera che possa distinguersi da una conoscenza falsa, mentre « i seguaci di Eraclito· non concludono niente perché non lasciano che niente nei loro discorsi e nei loro animi sia saldo e sicuro »; ove manca scienza, poi, manca anche scuola e insegnamento e formazione: « non ci sono scolari fra uomini come questi, l'uno dell'altro, ma vengon su da sé secondo che ciascuno, come che sia, è preso dal suo estro e ciascuno ritiene che l'altro non sappia niente». L'eraclitismo non soltanto non attribuisce ai corpi delle qualità permanenti, ma non può nemmeno riconoscere loro alcuna qualità: « Che mezzo si può avere di fissare il nome di un colore o di altra qualità simile, se è vero che la cosa, come quella che fluisce perennemente, ci scappa sempre di sotto nell'atto stesso che se ne parla? » E nemmeno dell'atto del sentire si potrà Baruch_in_libris s8 LE DIFFICOLTÀ DELLA DOTTRINA DELLE IDEE dire " vedere " piuttosto che " non vedere "; e in ultimo « conoscenza non è niente pili che non conoscenza». Se conoscenza non è dunque sensazione, essa non è nemmeno semplice " opinione vera "; e infatti Platone non ritiene soddisfacenti i tentativi compiuti dai sostenitori di tale dottrina per spiegare come l'opinione vera si distingua da quella falsa e come pertanto possa spiegarsi l'errore nell'ambito dell'opinione; d'altra parte, se una dottrina non riesce a chiarire la possibilità dell'errore e pertanto quella di distinguere lerrore stesso dalla verità, essa confluisce senz'altro nel sensismo di Eraclito e di Protagora e non risponde alla necessità razionale della verità. Anche il ricorso ad una operazione dell'intelletto che aggiunga all'opinione vera qualche cosa che le conferisca valore di verità viene respinto da Platone; egli ritiene · infatti che tale operazione dell'intelletto, se non poggia sulla solida base delle idee, non riesca in alcun modo a superare l' ambito soggettivo ed empirico delle opinioni. 9. La trasformazione della dialettica. Negli scritti pili tardi Platone insiste nella ricerca di una mediazione fra il mondo ideale dell'essere e la conoscenza umana; questa è infatti I' unica ricerca che rimane aperta, una volta che si sia respinta, come egli ha fatto, quell'interpretazione delle idee che ne fa un mondo in sé, del tutto separato dall'uomo, e quella interpretazione della conoscenza umana che la intende come un insieme di affermazioni soggettive ed arbitrarie. Nel Sofista Platone torna a chiarire le difficoltà che si incontrano quando si voglia considerare l'essere fuori di ogni rapporto con la conoscenza umana; come si può infatti definire un simile essere? O lo si indica come del tutto indeterminato ed allora si fa ricorso al non-essere in quanto si dice quello che l'essere non è; se poi si indicano varie determinazioni dell'essere, queste, distinguendosi ed escludendosi a vicenda, fanno di nuovo riferimento al non-essere; sicché l'essere risulta inseparabile dal non-essere. Una concezione troppo ristretta dell'essere hanno certo coloro che lo identificano con il corporeo; ma coloro che propendono a collocare l'essere soltanto nelle idee incorporee sono egualmente criticati da Platone, perché l'immobilità delle idee comporta che esse non abbiano alcun rapporto con 79 Baruch_in_libris LA. PRIMA METÀ DEL SECOLO IV CAP. IV l'intelletto e pertanto che siano inconoscibili. L'essere partecipa, nello stesso tempo, della quiete e del movimento; quiete e movimento non si possono identificare senza rendere impossibile qualsiasi scienza; ma né la quiete, né il movimento sono tutto l'essere, mentre l'essere è comune ad entrambi; e poiché ciascuna di queste tre forme è diversa dalle altre due ed identica a se stessa, esse partecipano di altre due forme, cioè il diverso e l'identico; in quanto, ad es., il moto partecipa del diverso, è diverso dall'essere e, in questo senso, è non-essere (infatti ciò che è diverso· da qualche cosa, non è quel qualche cosa); ma lo stesso essere ha diversità dalle altre forme e, in tale senso, è non-essere; sicché il non-essere non è da intendere in senso assoluto, come aveva fatto Parmenide, e cioè come negazione assoluta dell'essere, ma solo come negazione relativa; come tale, la diversità, il nonessere sono forme fondamentali dell'essere stesso. Intendere il non-essere in senso assoluto vuol dire escludere qualsiasi relazione fra l'essere ed il non-essere e quindi rendere impossibile sia la conoscenza che il linguaggio; intenderlo in senso relativo vuol dire che essere e non-essere, senza confondersi, sono in relazione e pertanto possono introdursi sia nella conoscenza che nel discorso; allora si potrà dare ragione del falso e dell'errore che, come si è visto, non si possono chiarire sulla base delle vedute di Eraclito e di Protagora; il falso e l'errore si hanno quando si coglie o si afferma ciò che non è, tenendo prese~te che ciò che non è non si identifica col nulla, ma solo con il diverso rispetto ad un essere, cioè con un altro essere. La dialettica studia appunto le forme dell'essere, per stabilire fra di esse il rapporto di identità e di diversità; essa, chiarendo quali forme della realtà si collegano e quali si escludono è in grado di determinare la struttura del reale, aderendo a tutte le sue determinazioni e alle sue complesse articolazioni. Con la nuova analisi platonica dei rapporti fra essere e non-essere, fra mondo ideale e conoscenza umana ha luogo cos{ anche una trasformazione della dialettica che, nelle sue analisi, assume una portata piu stringente ed intrinseca rispetto al mondo sensibile ed umano. In particolare il procedimento della divisione ( aL<lLQE<Hç) viene largamente applicato ed esteso nei dialoghi platonici piu tardi; esso consente di determinare un genere (questo è il nome che, ora, Platone preferisce, in luogo di quello di idea)_ indicando· 1e relazioni di inclusione e di esclusione in Bo Baruch_in_libris s9 LA TRASFORMAZIONE DELLA DIALETTICA cui si trova con altri generi; si tratta, dice Platone, di « tagliare in due ogni genere» (ossia di· indicare le specie che esso comprende) fino a scovare, come in una sorta di caccia, il genere su cui si fa la ricerca; bisogna chiudere ogni via all'oggetto della ricerca, seguendo la strada giusta che da un genere piu esteso porta direttamente fino a lui. Non basta però, per determinare un genere, svolgere la ricerca in una sola direzione; bisogna muovere da generi diversi, ogni volta dividendo fino a raggiungere il genere da determinare; in tal modo quest'ultimo viene colto in· un numero sempre maggiore di relazioni. Nella divisione, osserva Platone, bisogna stare attenti « a non operare la distinzione di una troppo piccola parte d'una specie opponendola ad un ·complesso di parti grandi e numerose e trascurando invece i confini delle specie stesse; bisogna che la parte <listinta coincida con una di queste specie »; per es., chi volendo dividere il genere "uomo " separasse i greci dai barbari o, volendo dividere il genere " numero " separasse il numero diecimil_a da tutti gli altri, non seguirebbe i giusti confini delle specie; il genere numero va diviso in pari e dispari; la specie e la parte non sono dunque la stessa cosa, perché « ogni specie è parte di ciò di cui si dice specie, ma non ogni parte è specie di ciò di cui si dice parte ». Anche nel Filebo Platone ripete che i generi non debbono intenderSJ come unità rigide e che sono in rapporto di partecipazione gli uni con gli altri; la ricerca che concerne i generi si muove quindi nell'ambito dell'unità e, ad un tempo, della molteplicità: «Noi dobbiamo sempre ammettere e ricercare ovunque una nota caratteristica unitaria (e sempre la ritroveremo, poiché essa c'è); ma, coltala, bisogna esaminarne, dopo e subordinatamente alla prima, altre due, se ce ne sono due, oppure tre o un qualche altro numero e poi rifare l'operazione per ciascuna di queste ultime unità, finché si veda non solo che la prima unità è unità e anche molteplicità, ma anche la sua struttura numerica »; la "struttura numerica " sta nell'intervallo fra l'unità e la molteplicità infinita; è appunto tale struttura che va studiata e che conferisce solidità scientifica alla conoscenza. Platone lamenta che gli uomini del suo tempo unifichino e moltiplichino « come capita », « lasciandosi sfuggire ciò che sta in mezzo fra l'uno e l'infinito». Si chiarisce sempre piu, nella mente di Platone, il rilievo che ha la mescolanza dei vari generi nel complesso relazionale che forma la scienza e la con- ,, Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO IV CAP. IV seguente necessità di analizzare la struttura numerica della mescolanza; la ricerca platonica si richiama dunque all'impostazione matematica dei pitagorici e la dialettica tende a dare rilievo alla " struttura numerica " che si riscontra nelle mescolanze reali. L'importanza di questo mutamento di prospettiva nel pensiero platonico si coglie con evidenza quando si considera, sempre nel Filebo, la nuova impostazione del problema morale. Come nel Parmenide e nel Tccteto vengono escluse le due opposte dottrine sul vero, quella che lo identifica con l'essere separato e quella che lo identifica con la sensazione, cosf nel Filebo vengono escluse le due opposte dottrine sul bene, quella che lo identifica con il piacere e quella che lo identifica con il puro uso dell'intelligenza e della scienza; il bene consiste piuttosto in una mescolanza, fornita d' una sua misura, d' una sua proporzione; non si tratta piu, quindi, di proporre un radicale distacco dell'anima dal corpo, di assimilare il bené alla morte come liberazione dal corpo e dai sensi; si tratta invece di delineare gli elementi di una vita che, essendo mista secondo misura, realizzi il bene. Si dovranno, per es., preferire i piaceri puri, cioè pio scevri di dolore, come quelli procurati dalla scienza o da alcuni suoni o da determinate forme e colori; se il piacere non ha diritto, dunque, ad un posto esclusivo nella «vita mista secondo misura», esso può tuttavia ricevere una misùra in se stesso. Delle varie forme del piacere intanto Platone conduce un'analisi approfondita di struttura; ed altrettanto fa per le varie forme dell'intelligenza e della scienza; quanto pio queste si accostano al pensiero puro, tanto maggiore è la dignità che viene loro riconosciuta nella vita mista; il primo posto spetta alla dialettica che è appunto la scienza della misura e del calcolo. Quel che importa principalmente è comunque che ora Platone, abbandonato l'astrattismo del Pedone, adotta come criterio sia di visione del mondo che della vita umana « la mescolanza e la fusione che siano le migliori possibili e dotate della maggiore stabilità ». 10. L'origine dell'universo e la formazione del mondo. Nella nuova prospettiva di Platone non risultava pio giustificato un atteggiamento di distacco per la conoscenza dd mondo naturiµe, quel distacco che il fondatore dell'Academia aveva del resto ereditato 8a Baruch_in_libris § IO IL MONDO da Socrate; non soltanto il mondo piu propriamente umano, ma anche il mondo naturale poteva essere, ora, visto nel suo rapporto con l'essere. Tuttavia Platone ritiene che si possa avere scienza soltanto di ciò che è stabile ed immutabile; poiché dunque la natura è il campo del divenire che non si può confondere con il mondo del vero essere, della natura non si potrà avere scienza, ma soltanto una conoscenza verosi· mile. Per questo appunto, nel Timeo, Platone sceglie ancora una voJta una via mediana fra il completo disinteresse per il mondo della natura e il naturalismo di quanti, prima di lui, avevano identificato la natura con la vera ed assoluta realtà; la via di mezzo è significata dalla forma ·mitica e narrativa che governa tutta la trattazione. Nella sua esposizione, Platone raccoglie molti elementi dalla precedente tradizione naturalistica; altri ne attinge alla mitologia orfica; compaiono quindi, nella trattazione, spunti che si possono far risalire ad Anassimene, ad Empedocle, probabilmente allo stesso Democrito; unico correttivo introdotto a disciplinare dottrine cosi disparate è una spiccata istanza matematica, di chiara derivazione pitagorica; Platone si sforza cosi di correggere il carattere qualitativo della vecchia fisica, fondendone gli elementi con schemi e proporzioni matematiche, che conferiscono al suo universo una precisa struttura quantitativa; essa però non si impone sovrana nell'universo, ma è piuttosto uno strumento mediante il quale l'universo è considerato come tutto rivolto ad un fine: la realizzazione, sia pure parziale ed imperfetta, della razionalità. Platone è persuaso che di un fatto della natura si dà spiegazione quando si può indicare lo scopo al quale esso è ordinato; ed anche la misura matematica serve, piu che a promuovere l'analisi quantitativa dei fenomeni, a testimoniare in essi la disposizione ad un fine razionale. Sicché il pessimismo con cui.Platone guarda a ciò che diviene è superato dall'ot· timismo per cui l'universo risponde al criterio del "meglio", di cui si fa realizzatrice la stessa divinità. Non è, ovviamente, che il mondo tragga origine da un'azione creatrice della divinità; questa è soltanto " demiurgo ", cioè artefice plasmatore ed ordinatore del mondo, che viene ridotto appunto dal caos al cosmo, dal disordine ali' ordinct: «Dio volendo che tutte le cose fossero buone e, per quant'era possibile, nessuna cat· tiva, prese quanto c'era di visibile che non stava quieto, ma si agitava sregolatamente e disordinatamente, e lo ridusse dal disordine all'ordine, BJ Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO IV CAP. IV giudicando questo del tutto migliore di quello ». Il demiurgo opera tenendo presente un modello « che si può apprendere con la ragione e. che è sempre nello stesso modo »; e l'universo ne diviene immagine. Poiché però « nessuna cosa priva di intelligenza è piu bella di un'altra che la possieda » e poiché « non ci può essere intelligenza senza l'anima», l'universo sarà fornito di un'anima intelligente oltre che di un corpo e si potrà quindi considerare come un grandioso essere vivente ed animato; il finalismo porta cosf Platone a respingere una concezione meccanicistica del mondo del tipo di quella formulata da Democrito, il quale coerentemente respingeva qualsiasi intervento nell'universo d'una provvidenza divina; per Platone, invece, non soltanto la città-stato, ma anche l'intero universo, sono considerati come organismi, alla stessa maniera dell'individuo umano. Al quesito se si debba ritenere che esiste un solo universo, oppure « molti e infiniti », Platone risponde che, se l'universo è imitazione di un modello perfetto, non può essere che uno; in sostanza l'esistenza di un solo universo è piu rispondente al chiuso finalismo, come la pluralità dei mondi è piu conforme all'aperto meccanicismo democriteo. L'universo, si è detto, ha un'anima; essa è una "mescolanza" di unità e di molteplicità; in verità Platone prevede per l'anima del mondo una struttura molt" complessa, le cui varie parti sono combinate dal demiurgo secondo proporzioni numeriche precise; i suoi elementi piu rilevanti sono comunque un anello esterno che abbraccia l'universo ed è chiamato il circolo dell'identico (che Proclo identifica con l'equatore), un anello interno o circolo del diverso (secondo Proclo, l'eclittica) inclinato rispetto al primo e diviso in sette circoli disuguali (le orbite dei pianeti); il circolo dell'identico si muove di moto uniforme, mentre il circolo del diverso si muove in direzione contraria a quella tenuta dal circolo piu esterno; cosf è configurato l'involucro astronomico-matematico dell'universo. Il corpo del mondo è formato dei quattro elementi di Empedocle: fuoco, terra, acqua ed aria, plasmati in forma di sfera « perché la sfera è di tuttè le figure la piu perfetta e la piu simile a se stessa »; il tempo è «un'immagine dell'eternità che procede secondo il numero» e nasce unitamente col mondo; perciò appunto esso non va riferito alla essenza eterna: « noi diciamo che essa era, che è e che sarà, e nittavia solo l'è le conviene veramente, e l'era e il sarà si devono dire della gene- a,, Baruch_in_libris § IO IL MONDO razione che procede nel tempo »; il sole, la luna e gli altri cinque pianeti furono fatti « per distinguere e guardare i numeri del tempo »; il sole in particolare fu posto nel cielo « perché vi fosse una misura chiara della relativa lentezza e velocità con cui i pianeti compiono le loro rivoluzioni». Furono poi poste nel mondo quattro specie di esseri viventi: « l'una è la stirpe celeste degli dèi, un'altra quella alata che va per l'aria, la terza è specie acquatica, e la quarta è pedestre e terrena »; anche gli dèi sono « visibili e generati »; « neppur voi, poiché siete stati generati (dice loro il demiurgo) siete immortali, né interamente indissolubili, ma non sarete disciolti né vi coglierà la sorte del morire »; gli altri esseri viventi hanno invece un'origine che non li sottrae alla morte, se non per la parte loro piu nobile, che è l'anima; particolare impor· tanza ha nel mondo dei viventi l'uomo. Platone espone punto per punto la formazione delle varie parti del corpo umano, ma sente il bisogno di avvertire in proposito che la spiegazione puramente naturale e mec· canica dei fenomeni della vita è insufficiente; « alla piu parte degli uomini, egli rileva, le cause naturali non sembrano secondarie, ma cause principali di tutto, perché raffreddano e riscaldano, èondensano e dilatano ed operano altri effetti simili; però esse non sono capaci d'avere alcuna ragione o intelligenza verso qualche cosa »; per questo 1< colui che è amico della scienza e dell'intelligenza deve ricercare prima di tutto le cause razionali e in secondo luogo tutte le altre »; cause secondarie sono quelle che operano «a caso e senz'ordine » (cosi Platone vede le cause meccaniche), mentre le cause principali e vere sono quelle che « compiono con intelligenza dei fini » ; cosi, ad esempio, Platone fa una minuta descrizione di quelle che chiama « le cause ausiliarie degli occhi », ossia del probabile meccanismo che presiede alla vi~ta, ma ritiene che la vera conoscenza di quest'organo si ottiene solo quando si rileva che per suo mezzo possiamo conoscere l'ordine dell'universo e quindi elevarci alla filosofia; il naturalismo va dunque sempre subor· dinato, per Platone, alla veduta finalistica. Un punto rilevante della dottrina dell'universo concerne un terzo principio, oltre al modello eterno cui si ispira il demiurgo da un lato e l'imitazione generata e sensibile di esso nei principii della natura materiale e nelle cose dall'altro; si tratta di una specie di materia prima « in cui vengono generate le cose »; è « quella natura che riceve tutti i 85 Baruch_in_libris CAP. IV LA PRIMA METÀ DEL SECOLO IV corpi, che è sempre la stessa perché non perde affatto la sua potenza, ma riceve sempre tutte le cose e in nessun modo prende mai una forma simile ad alcuna di quelle cose che entrano in essa è, insomma, « la materia di cui son formate tutte le cose, che è mossa e figurata dalle cose che vi entrano ed apparè, per causa di esse, ora in una forma ed ora in un'altra »; << ricettacolo delle cose generate visibili e pienamente sensibili » è « estranea a tutte le forme » poiché « riceve in sé tutti i generi »; quindi non si deve chiamarla « né terra, né aria, né acqua, né fuoco, né alcuna delle cose che sono nate da queste». Il mondo delle cose sensibili, oltre che di una materia prima, ha anche bisogno dello spazio, che è « immune da distruzione e dà sede a tutte le cose che hanno nascimento »; esso non si .percepisce con i sensi e nemmeno è oggetto di pura conoscenza razionale; viene colto piuttosto, dice Platone, «con un ragionamento bastardo», quello per cui diciamo « che tutto quello che è, si deve trovare in qualche luogo e deve. occupare qualche spazio e che quello che non è né in terra né in qualche luogo del cielo, non è niente >>. Platone dedica particolare cura a stabilire rapporti fra i quattro elementi primi delle cose e alcune forme geometriche originarie; « ogni corpo ha profondità, egli osserva, e la profondità contiene in sé la natura del piano e una superficie piana si compone.di triàngoli; tutti i triangoli poi derivano dal triangolo isoscele e da quello scaleno»; un'origine da triangoli va pertanto assegnata «al fuoco ed agli altri corpi »; cosi Platone ribadisce il concetto che la differenza fra le varie qualità dei corpi non si determina senza una differenza di proporzioni numeriche e di quantità. Anche la derivazione ·di tutte le cose dagli elementi primi obbedisce, per Platone, agli stessi criteri. Il mondo. non ammette una distinzione assoluta fra " alto " e " basso ", perché << essendo tutto il cielo di forma sferica, tutte le parti che, distando egualmente dal centro, sono le estreme, di necessità sono tutte estreme ad uno stesso modo e il centro, distando nella stessa misura dalle parti estrej111e, si deve credere che sia egualmente opposto a tutte ». Un'ampia parte del Timeo è dedicata a studiare l'uomo, anche nella sua corporeità. Platone studia le impressioni comuni a tutto il corpo (caldo, pesante, dolore e piacere) e quelle che avvengono nelle singole sue parti; in alcuni punti le sue spiegazioni ricordano Democrito, come »; 86 Baruch_in_libris § n. IO MONDO quando, ad es., egli sostiene che l'impressione del caldo dipende dagli « spigoli e dall'acutezza degli angoli» delle particelle del fuoco e che le impressioni della lingua dipendono « piu delle altre dalla asprezza e dalla levigatezza >;. Gli odori « si formano nel passaggio degli elementi per cui l'acqua si muta in aria e l'aria in acqua »; il suono « è l'urto trasmesso attraverso le orecchie, mediante l'aria, il cervello e il sangue fino all'anima»; inoltre «il movimento veloce è suono acuto» e il movimento piu lento è « suono piu grave »; quanto ai colori « sono fiamma che esce dai singoli corpi ed ha particelle proporzionate al fooco che è nell'organo della vista, s{ da produrre la sensazione » ; si ha, ad es., il bianco, quando si verifica una dilatazione del fuoco visuale, si ha il nero nel caso contrario. La distinzione delle membra nel corpo dell'uomo obbedisce, secondo Platone, alla necessità di distribuire opportunamente in esso l'anima razionale e le altre due parti dell'anima mortale; la prima ha riferimento al capo; il collo «è come un istmo e un limite fra la testa e il petto » affinché il mortale non contamini troppo il divino; l'anima mortale è collocata nel petto; «e poiché una parte di essa era di natura migliore e l'altra peggiore, fu divisa in due la cavità del torace e in mezzo, come chiusura, fu posto il diaframma; la parte dell'anima che partecipa del valore fu collocata nel petto propriamente detto, piu vicino alla testa; la parte dell'anima che appetisce fu collocata fra il diaframma e il confine dell'ombelico, e fu costruito in tutto questo luogo una greppia per il nutrimento del corpo». Il fegato, a detta di Platone, fu fatto « per servire alla divinazione » e ha stretto rapporto con i sogni; l'intestino è « ricettacolo dcl superfluo della bevanda e dcl cibo» ed è $tato dato all'uomo affinché il corpo non chiedesse continuamente cibo e gli fosse quindi consentito di dedicarsi alla filosofia. Analoghe considerazioni, ispirate a criteri finalistici, Platone fa circa la distribuzione delle ossa e dci muscoli nel corpo, sulla pelle, sui capelli ( « che sono un leggero coperchio intorno al cervello per la sua protezione »); egli spiega il fenomeno della respirazione (e osserva che, poiché il vuoto non esiste, l'aria che viene emessa «non va nel vuoto, ma caccia l'aria vicina dal luogo suo»)"; alla medicina, di cui Platone mostra di essere buon conoscitore, son dedicate alcune considerazioni che abbozzano una classificazione delle malattie; la cosa piu importante al riguardo è che Platone, discorrendo delle Baruch_in_libris LA PllIMA METÀ DEL SECOLO IV CAP. IV malattie dell'anima, non si fa scrupolo di collegarne alcune forme con motivi corporei: « nessuno, dichiara, è malvagio di sua volontà, ma il malvagio diviene malvagio per qualche prava disposizione del corpo e per un allevamento senza educazione e queste cose sono odiose a ciascuno e gli capitano contro sua voglia»; l'astrattismo del Pedone lascia qui il posto alla preoccupazione di « curare e salvare il corpo e la mente » cd a quella di realizzare nell'uomo la "simmetria", che si consegue quando « non si esercita l'anima senza il corpo, né il corpo senza l'anima »; quindi « chi si applica alla scienza deve anche esercitare i movimenti del corpo, facendo ginnastica e viaggiando per nave o io altro veicolo che non stanchi». Chiude il Timeo una curiosa dottrina intorno all'origine degli altii animali diversi dall'uomo; Platone ritiene che « coloro che, nati uomini, sono stati codardi e son vissuti nell'ingiustizia, si mutarono in donne nella seconda generazione » ; la specie degli uccelli poi « si è trasformata, mettendo penne invece di peli, da quegli uomini non malvagi, ma leggeri, che parlano delle cose celesti, ma credono che queste si possano dimostrare nel modo pili sicuro mediante la vista »; e cosf « gli animali pedestri e selvaggi sono nati dagli uomini che niente si giovano della filosofia e non contemplano affatto la natura del cielo e si lasciano guidare dalle parti dell'anima che stanno nel petto »; la quarta specie, quella degli animali acquatici «deriva dai piu stolti e piu ignoranti di tutti fra gli uomini » ed ha sortito le « estreme sedi della torbida e cupa acqua» «in pena dell'estrema ignoranza». Sicché tutto il mondo animale deriva dalla corruzione dell'uomo, quasi come manifestazione sensibile delle sue imperfezioni morali. Le dottrine del Timeo hanno esercitato un influsso rilevante sul pensiero del medioevo e, per molti secoli, esse hanno costituito parte del patrimonio " scientifico " del! 'umanità; senza dire dell'influsso che ha esercitato sul pensiero cristiano la concezione finalistica dell'universo. Oltre che un vivo interesse per la storia dell'universo e la sua formazione, Platone mostra nei suoi ·ultimi scritti analoga attenzione per la storia dell'uomo e della società. Già l'inizio del Timeo è dedicato alla storia del genere umano nei suoi primordi; allo stesso argomento Platone intendeva dedicare uno scritto apposito, il Crizia, che tuttavia è rimasto incompleto; nelle poche pagine che ci sono pervenute, Platone 88 Baruch_in_libris § IO IL MONDO traccia un rapido schizzo della evoluzione storica dell'umanità nei novemila anni che hanno preceduto il suo tempo. 11. Conclusioni politiche. Nel Politico e nelle Leggi Platone riprende il problema che già aveva affrontato nella Repubblica; egli dichiara che, nel considerare, ora, lo stato ideale descritto in quell'opera, ha la stessa sensazione che si prova quando si contempli un animale perfetto, ma immobile; «si desidera di vederlo in movimento ». Questa è appunto la differenza principale che distingue i due momenti della riflessione politica di Platone: nel primo lo stato è visto come un modello ideale, fermo al di sopra dell'esperienza umana; nel secondo, esso si configura come una mescolanza di cui bisogna ritrovare la giusta misura. Già nel Politico la scienza politica si afferma piu che nella sua identità con il compito della dialettica, nella .sua connessione con le altre pratiche attinenti alla vita associata; come le scienze che si occupano della necessità di apprendere e di praticare altre scienze hanno· diritto di preminenza su queste ultime, cosi la scienza politica dovrà presiedere e disciplinare le scienze ausiliarie, come la retorica, la strategia e la giurisprudenza; e la intransigenza nei confronti di queste, specialmente riguardo alla retorica, necessariamente si attenua. L' arte dell' uomo politico è anch'essa arte della misura, ossia della ricerca del giusto mezzo di equilibrio fra eccesso e difetto. Proprio per questo, rileva Platone, non bisogna dare troppa importanza ad un corpo di leggi scritte e fisse: « infatti le dissomiglianze degli uomini e delle loro azioni e il fatto che mai nulla di ciò che è umano è immobile, non permettono che alcun' arte, quale si sia, enunci qualche cosa di semplice che sia immediatamente valido per tutti i casi e per tutti i tempi; la legge è paragonabile ad un uomo autoritario ed ignorante, che non permette per nulla, a nessuno, di agire in modo diverso dai suoi ordini e non ammette che alcuno lo interroghi nemmeno se in relazione a qualche oggetto ci sia, per caso, qualche cosa di nuovo e di migliore che vada al di là di quanto egli stesso prescrisse». La Repubblica forniva, si, un modello perfetto per l'organizzazione della vita politica; ma ora Platone rileva che il modello è appropriato, in una 89 Baruch_in_libris LA PIUMA METÀ DEL SECOLO IV CAP. IV ricerca, soltanto quando muove da materie pm immediatamente comprensibili e quando reca in sé qualche cosa di identico a ciò che si riscontra nel caso per cui deve servire da modello; « il modello nasce quando ciò che è identico si trova nei diversi e quell'identico ricosciuto nella sua vera natura e colto sia nell'uno che nell'altro diverso, produce una sola opinione vera che si riferisce sia all'uno che all'altro e ad ambedue insieme». Nelle Leggi che sono l'ultima grande opera di Platone, le prospettive della Repubblica risultano adeguate anche alla piu recente esperienza politica delle vicende siciliane ed alla piu pacata riflessione dell'ultima vecchiaia del fondatore dell' Academia. Egli ritiene ora che la giusta scelta della costituzione politica debba essere fatta «tenendo conto delle leggi che hanno governato gli stati » nel corso della storia; questa dinamica storica ci indica, osserva Platone, che la migliore costituzione è quella che risulta da una mescolanza della forma monarchica e di quella democratica: «Avendo posto in ciascuna di esse una certa limitazione, da una parte all'autorità, dall'altra alla libertà, abbiamo rilevato che allora si realizza in esse un grandissimo benessere, ma se l'una e l'altra si trascinano agli estremi, da una parte della se,vitu, dall'altro del contrario, il benessere non c'è né per l'una né per l'altra»: la forma monarchica «tocca il suo vertice presso i Persiani», la forma democratica presso i Greci; «prendendo da ambedue, si ottiene la libertà e la concordia intelligente ». La legislazione che viene proposta per una nuova colonia che si è in procinto di fondare occupa la restante parte dell'opera ed è esposta· con grande ricchezza di particolari. Ecco alcune delle prescrizioni illustrate da Platone : « Ognuno deve sposarsi fra i trenta e i trentacinque anni, in caso contrario sia punito con la multa e la privazione dei diritti civili»; la prescrizione è giustificata con il motivo che «il genere degli uomini è immortale perché lasciando nella vita i figli e i figli dei figli, egli stesso non viene mai meno e finisce col partecipare di vita immortale». Poiché l'esclusione di ogni possesso prìvato «sarebbe superiore alla natura ed alla maturit?i dei contemporanei », Platone sostituisce la proprietà comune della Repubblica con la proprietà familiare, che dev' essere inalienabile e indivisibile; il terreno deve essere diviso in un numero fisso di lotti, corrispondente al numero delle famiglie, senza Baruch_in_libris § II CONCLUSIONI POLITICHE che intervenga alcuna ulteriore divisione. D'altra parte, Platone non parla piu qui di una classe distinta di " guerrieri " o custodi, come non parla piu di un governo da parte dei filosofi, alla cui azione personale vengono ora sostituite le leggi; parimenti, egli esclude ora che una classe di cittadini debba essere tenuta a prestare cieca obbedienza ad un'altra classe; in verità, Platone afferma che l'ottima fortna di eguaglianza che bisogna applicare nello stato è quella che « dà di piu a ciò che vale di piu, meno a ciò che vale di meno », ma aggiunge che « è necessario usare a causa della turbolenza della massa, anche di una certa eguaglianza ottenuta con sorteggio»; questa è l' uguaglianza «immediata, per misura, peso e:_ quantità». Alle cariche pubbliche non si accede però solo per sorteggio, ma anche e principalmente per elezione; lo scopo da conseguire è che la massa, senza essere tenuta del tutto all'oscuro della costituzione delle varie magistrature, non abbia tuttavia su di esse un influsso immediato e diretto; e la massa è costituita dagli artigiani e dai commercianti. L'educazione che viene impartita contempla principalmente l'insegnamento della geometria e della astronomia; la dialettica non ha piu la posizione di primato che le era conferita nella Repubblica; nemmeno la dottrina delle idee riveste qui un eminente valore formativo; lo stesso insegnamento della matematica è valorizzato piu per se stesso che per il sùo rapporto alla filosofia. Un altro punto nel quale le Leggi correggono sensibilmente il contenuto della Repubblica è quello della famiglia; la scomparsa della classe dei guerrieri e dei governanti porta via con sé anche l' abolizione della famiglia; questa viene considerata la condizione abituale per tutti i cittadini. Ad una maggiore considerazione della realtà concreta e dell' esperienza si accompagna. in quést' ultimo scritto di Platone anche un maggior rigore nei confronti di tutti i tentativi di modificare o indebolire l'ordinamento dello stato; la stabilità degli ordinamenti assume agli occhi del vecchio Platone un rilievo del tutto particolare; un sostegno essenziale di tale stabilità è la religiosità; contro la irreligiosità bisogna quindi intervenire con la massima energia. Platone ha parole dure per coloro che « respingono i miti bevuti insieme al latte da bambini l>, «disprezzano Cl~1esta fede universale, senza aver seri argomenti », «dicono che le cose piu importanti dipendono dalla natura e dal caso», 91 Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO IV CAP. IV 1< dicono che gli dèi sono frutto dell' arte degli uomini, non sono in natura, sono per convenzione, sono diversi da pqpolo a popolo », « dicono che la morale della natura contraddice quella della legge, che la giustizia non è in natura, ma la determina!lo gli uomini in modo contraddittorio ed instabile»; «di qui, conclude Platone, l'empietà dei moderni, l'incredulità negli dèi cui la legge impone di credere, le rivolte che hanno per obiettivo una certa vita secondo natura per cui sarebbe giusto e naturale cercar di dominare gli altri e non servire mai gli altri nei limiti voluti dalle leggi». Una credenza altrettanto importante di quella che concerne l'esistenza degli dèi, riguarda la provvidenza divina «che guida il tutto, ha tutto disposto per la salvezza ed il bene di tutte le cose». Platone ritiene che contro l'irreligiosità esistano prove dottrinali decisive ed ancora una volta ribadisce la sua condanna del naturalismo e del meccanicismo materialistico; prima di tutte le cose e di tutti i fenomeni c'è l'anima, vero principio motore; prima di ogni realtà materiale, e' è il principio spirituale che governa l'intero universo. Pla}one prende posizione anche contro alcuni aspetti della religione popolare, soprattutto quando essa sminuisce, per gretto antropomorfismo, la grandezza e purezza della divinità; ma prende netta posizione anche contro criteri che erano fatti valere in campo strettamente scientifico; contro di essi intende difendere e dare fondamento razionale alla tradizione. Perciò invoca severe condanne per tutti coloro che « parlano con troppa facilità degli dèi, dei sacrifici, dei giuramenti», per coloro «che carpiscono la credulità popolare», maghi, tiranni, demagoghi, sofisti : « chi commette empietà nelle parole e nelle opere, sia trattenuto da chi se ne accorge e denunciato ai magistrati ». Al tentativo di porre argine morale e scientifico alla crisi etica dell'età sua Platone aveva dedicato le sue ricerche filosofiche ed il suo impegno educativo; anche il realismo degli ultimi scritti e il suo ampio incontro con l'esperienza, tendono allo stesso obiettivo e al medesimo risultato. La fase piu tarda del pensiero di Platone ci è nota, oltre che attraverso i dialoghi ricordati, anche attraverso la testimonianza di Aristotele il quale si riferisce ad un « insegnamento non scritto » del fondatore dell' Academia; esso si riferisce a quella dottrina dei rapporti matematici, considerati come schemi strutturali dcl reale, che Baruch_in_libris § II CONCLUSIONI POLITICHE è appunto al centro.della ricerca platonica dopo la svolta del Parmenide; è appunto la dottrina che Aristotele chiama dei «numeri ideali»; essi sono delle « misure», delle «proporzioni », quindi dei rapporti, anziché dei numeri intesi nella loro discontinuità; ed hanno stretta relazione con la problematica delle mescolanze, alla quale Platone si rifà per mostrare che la dottrina delle idee non ·mette capo ad una netti separazione del mondo dell'essere dalla realtà sensibile e naturale. L'influsso esercitato dal pensiero di Platone nella sua ricerca di una base stabile ed immutabile per lo sviluppo della conoscenza e della vita umana, oltre che di tutta la realtà sensibile e piveniente, è stato immenso; non soltanto esso ha in parte condizionato anche il pensiero dell'altro grande pensatore greco, Aristotele, ma è stato ampiamente ripreso quando la filosofia greca si è volta, con l'ellenismo, ad una riflessione spiccatamente religiosa, quando il pensiero cristiano si è trovato di fronte al compito di elaborare una propria concezione filosofica della divinità e del destino ultraterreno dell'anima umana, quando, piu tardi ancora, il pensiero moderno ha affrontato il · problema di una conoscenza rigorosa~ente razionale e di una struttura della realtà ad essa rispondente. Ma nel suo significato storico piu determinato, il pensiero di Platone ha dato rilievo agli sforzi compiuti daila rinnovata società artigianale greca per uscire dalle concezioni mitiche e per sostituirle con un piano di modelli razionali capaci di guidare l'azione dell'uomo sia nella disciplina dcl mondo umano come nella considerazione del mondo naturale. In questo piano di modelli ideali trovano il loro fine ed il loro significato ad un tempo la ricerca scientifica e la vita umana. 12. Le scuole socratiche minori. Le scuole socratiche minori si distinguono sia tra loro sia dalla scuola di Platone in quanto hanno svolto l'insegnamento di Socrate solo in qualcuno dei suoi motivi e delle sue direzioni; esse si richiamano pertanto agli ambienti differenziati nei quali l'influsso di Socrate si fece sentire in modo parziale, determinando studi ed interessi ben distinti e talora antitetici. La scuola cirenaica, detta cosi perché si raccolse a Cirene intorno ad Aristippo, vissuto fra il 435 ed il 360, in un primo tempo si accosta sensibilmente alle dottrine di 91 Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO IV CAP. IV Protagora e tenta di ridurre tutta la conoscenza umana alla sensazione: Solo le sensazioni si colgono e sono veraci, scrive Aristippo, mentre degli oggetti che producono le sensazioni non ce n'è alcuno che si possa cogliere e che sia esente da inganno; infatti si può affermare inconfutabilmente che vediamo il bianco o sentiamo il dolce, mentre invece non è possibile mostrare che l'oggetto stesso che produce la sensazione sia bianco o dolce »; siccome poi ognuno coglie la sensazione propria e non quella degli altri, non si può dire che gli uomini abbiano in comune qualche conoscenza; ciò che veramente è comune è soltanto il nome con cui essi indicano le sensazioni individuali. Dal punto di vista etico, poi, Aristippo pone come ideale la liberazione da tutti i doveri e da tutti i diritti che riguardano il cittadino; la libertà che egli sogna non è piu quella che si può conseguire in un ordine stabile della vita collettiva, ma nella completa caduta di tutti i vincoli etico-politici, che vengono ormai avvertiti come impedimenti alla felicità dell'individuo piu che come mezzi per conseguirla. La scuola cinica (dal nome della piazza di Cinosarge in Atene dove ebbe sede) ha come suo iniziatore Antistene, vissuto fra il 440 ed il 370. Anch'essa insiste sul motivo sensistico, che svolge anzi in diretta polemica con . la teoria platonica delle idee : « O Platone, dice un frammento di Antistene, il cavallo lo. vedo; ma non vedo la cavallinità; vedo l'uomo, ma non vedo l'umanità». Antistene sosteneva inoltre che ogni cosa è quella singola cosa che è e non ha nulla in comune con le altre ·cose; perciò appunto «di nessuna cosa può dirsi altro che il suo nome proprio e un nome solo può dirsi di ogni cosa sola »; di qui la negazione delfa predicazione che Platone sosteneva quando osservava che « noi parliamo, per es., dell' uomo chiamandolo çon molti nomi, attribuendogli colori, grandezze, forme, vizi e virtu, ed in tutti questi casi ed in altri infiniti non solo diciamo che l'uomo è uomo, ma anche che l'uomo è buono e cosf via all'infinito». Dal punto di vista etico, la scuola cinica ptopugna uno spiccato individualismo; Antistene ritiene infatti che vero sapiente è chi si stacca dalla società e « vive in compagnia di se stesso»; bisogna liberarsi da tutte le istituzioni e consuetudini sociali, per essere felici; cc l'amore è perversità di natura », « il piacere. è cosa da schiavi », « il bisogno stesso è un male », la civiltà è corruzione. « 94 Baruch_in_libris § 12 LE SCUOLE SOCRATICHE MINORI Il principale esponente della scuola socratica sorta a Megara è, alle sue origini, Euclide; egli professa una dottrina in cui l'eleatismo si combina con il moralismo socratico; Euclide afferma infatti che « il bene è uno, anche se viene chiamato con molti nomi »; mentre dunque le altre due scuole socratiche minori si attengono all'esperienza e muovono obbiezioni ad ogni affermazione di una realtà che la superi, la scuola megarica si attiene al ragionamento rigoroso e muove obbiezioni alle dottrine che sostengono la realtà della molteplicità e del divenire. Non è improbabile che i megarici si siano accostati alla teoria platonica delle idee, in cui avrebbero visto soltanto una molteplicità di enti ideali, tutti aventi gli stessi caratteri dell' essere parmenideo; ciò spiegherebbe, fra l' altro, la nuova. direzione di pensiero seguita da Platone a partire dal Parmenide in avanti e tutta rivolta appunto a respingere un'interpretazione rigorosamente parmenidea del mondo ideale. L'unico motivo che le scuole socratiche minori hanno in comune è forse quello etico, ad ispirazione individualistica; in ciò esse mostrano una certa consapevolezza della crisi che l'ordinamento etico-politico tradizionale della polis sta attraversando; per il resto, si può dire che esse proseguono, anche attraverso la mediazione socratica, i due indirizzi di pensiero che si erano affermati prima di Socrate e cioè da un lato l'indirizzo naturalistico-empiristico, dall' altro I' indirizzo razionalistico-deduttivo. Del resto anche l'intera filosofia platonica si può vedere impegnata nella mediazione e composizione di questi contrapposti motivi. 13. Lo sviluppo delle scienze. L' Academia di Platone occupa una pos1z1one priinaria, nella prima metà del secolo Iv, non soltanto nello sviluppo della ricerca filosofica, ma anche in quello delle ricerche scientifiche specializzate. Si può ricordare, infatti, che Teeteto, allievo di Socrate e amico di Platone, ha scritto intorno ai cinque solidi regolari e che Teone, fiorito come Teeteto intorno al 38o, è autore di un trattato di geometria che compie sensibili progressi rispetto a quello di Ippocrate di Chio. Come si vede, e come si può ricavare anche dallo spiccato interesse per gli studi matematici professato da Platone e dalla sua scuola, è la matematica quella fra le scienze particolari che riceve in questo periodo i piu cospicui incrementi. I due piu grandi mato95 Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO IV CAP. IV matici dell'epoca sono Archita di Taranto ed Eudosso di Cnido. Archita è filosofo pitagorico, amico di Platone, ma è anche un grande matematico, al quale si fa risalire l'inizio dello studio teorico del movimento e pertanto la fondazione della meccanica pura, oltre alla distinzione fra l'aritmetica e la geometria. Eudosso di Cnido, vissuto fra il 408 ed il 355, è importante tanto come matematico che come astronomo; come matematico, egli è noto per aver studiato la teoria delle proporzioni, dandone una definizione applicabile sia alle grandezze commensurabili come a quelle incommensurabili, portando quindi il concetto di proporzione ad una generalità che nessuno, prima d'allora, aveva raggiunto. Eudosso ha anche introdotto nella misurazione delle grandezze il metodo detto di esaustione; esso realizzò un notevole progresso sul procedimento che era prima in uso e che, per misurare due grandezze, ricorreva al metodo del confronto diretto fra di esse, dividendo ognuna delle due in parti e stabilendo quindi il raffronto parte per parte; ma questo metodo aveva sollevato la questione della infinita divisibilità di ogni grandezza, da cui deriva una difficoltà insormontabile per la stessa misurazione; ad evitare gli incovenienti della misurazione indicati da Zenone, Eudosso introdusse il metodo di avvicinare l'una all'altra le due grandezze da misurare, «esaurendo» la loro differenza còn la determinazione di differenze via via minori. Come astronomo, Eudosso è autore di una famosa teoria per spiegare i movimenti delle stelle e dei vari pianeti; muovendo dal presupposto pitagorico-platonico secondo il quale gli astri si muovono di movimento circolare uniforme, Eudosso immagina che: tale movimento si compia non già entro anelli celesti, ma con gli astri infissi su superfici sferiche trasparenti e ruotanti su due poli con velocità uniforme; le sfere immagin:ite da Eudosso sono ideali, in quanto egli intende costruire un modello geometrico (e quindi astratto e non fisico) che dia ragione dei vari movimenti degli astri, come appaiono a chi li osservi dalla terra; il sole, la luna cd i cinque pianeti debbono avere ciascuno la propria sfera; l'ottava sfera è quella delle stelle fisse; tutte le sfere sono concentriche fra loro e con la Terra, che si trova posta cosi al centro dell'universo. Però il movimento del sole, della luna e dei pianeti non appare, all'osservazione, del tutto regolare; esso presenta delle oscillazioni in avanti ed all'indietro; Eudosso pensa allora di risolvere la difficoltà attribuendo ad ogni astro non una sola sfera, ma un sistema di piu sfere concentriche e ruotanti l'una all'interno dell'altra, con diversi periodi e con diversi assi di rotazione; in tal modo, Eudosso ritiene di salvare tutti i fenomeni che riguardano il movimento degli astri; il sistema geometrico entro il quale egli pensa di poter chiudere con rigore i movimenti celesti comprende 27 sfere, in quanto il sole e la luna possiedono un sistema di tre sfere ciascuno, i cinque pianeti un sistema di quattro sfere ciascuno, piu una sfera delle stelle fisse. L'artificio matematico di Eudosso riesce cosi a dare una spiegazione astratta rigorosa di apparenze sensibili. Baruch_in_libris § 13 LO SVILUPPO DELLE SCIENZE Anche Filippo di Opunte, discepolo di Platone, è noto per aver composto degli scritti su questioni astronomiche, ma essi non sono giunti fino a noi. A Cos continua la sua attività, anche dopo la morte di Ippocrate, la scuola medica da lui fondata, probabilmente sotto la direzione del genero di Ippocrate, Polibo. Con la scomparsa di Ippocrate entra però in crisi il metodo scientifico da lui propugnato e volto a contrastate sia il cieco empirismo della medicina cnidia sia il carattere aprioristico della medicina italica; ha allora il sopravvento la medicina ad ispirazione speculativa; infatti in Sicilia la scuola medica che si richiama a Empedocle, sotto la direzione di Filistione di Locri, si applica ad importanti studi di anatomia e di fisiologia. Una figura eminente nel campo degli studi di rpedicina è quella di Diocle di Caristo; egli è il piu noto rappresentante dell'indirizzo dogmatico che, con il proposito di proseguire il metodo ippocratico, sviluppa realmente delle tendenze eclettiche; l'importanza delle sue ricerche; specialmente nel campo dell'embriologia gli valse da parte degli Ateniesi l'appellativo di "secondo Ippocrate". La storiografia viene coltivata in questo periodo da Senofonte (430360) che, oltre che di narrazioni storiche (l'Anahasi e le Elleniche), è anche autore di scritti sulla personalità e sull'insegnamento di Socrate.. Come storico si può dire che Senofonte obbedisce a preoccupazioni moralistiche, sia quando presta attenzione, nell'esposizione delle vicende, al peso che vi hanno le passioni umane e gli atteggiamenti morali degli uomini, sia quando sottolineando i caratteri etici delle azioni e dei comportamenti dispone al loro giudizio. Baruch_in_libris CAPITOLO V La seconda metà del secolo 1v ARISTOTELE. PIRRONE E LO SCETTICISMO 1. II periodo. La seconda metà del secolo 1v è contrassegnata, in campo politico, dall'affermazione della Macedonia sotto la guida di Filippo II prima e di Alessandro Magno poi. Filippo dapprima si assicurò il controllo di alcune çolonie ateniesi che gli impedivano lo sbocco al mare; poi prese ad intervenire nei contrasti fra le varie leghe di città finché conseguì l'effettivo controllo della situazione politica greca. L'abile politica di Filippo JI incontrò subito, in Grecia ed in Atene particolarmente, fautori ed avversari; si formarono due partiti, uno filo-macedone capeggiato dall'oratore Eschine e l'altro anti-macedone guidato fin dal 351 da Dcmostene che in quell'anno appunto pronunciò la prima delle sue faqlosc orazioni filippiche contro i progetti di asservimento della Grecia ormai chiaramente delineati nella politica macedone. Con la battaglia di Cheronea del 338 Filippo ottenne il dominio diretto sulla Grecia cd alle città adunate sull'istmo di Corinto impose la pace, offrendo la sua forza militare per una guerra decisiva contro la Persia; il vecchio spirito democratico cui Atene era stata tanto legata nella sua storia volgeva cosf al tramonto, mentre si prospettava una nuova epoca, improntata ad un accentuato spirito militaristico cd a piu ampi orizzonti di espansione e di conquista. Dal 336 al 3~3 si svolge l'incredibile impresa di Alessandro Magno che, succeduto al padre Filippo, muove guerra ai Persiani occupando successivamente l'Asia Minore, la Siria, la Fenicia, l'Egitto (ove fonda la città di Alessandria); posta sotto il controllo cosf tutta la parte occidentale dello statC1 persiano, Alessandro si volge alla sua parte orientale spingendosi fino all'India. Alla sua morte, nel 323, la Grecia si poteva considerare soltanto una piccola parte di un vastissimo dominio che aveva la sua capitale a Babilonia. Il contrasto che in essa aveva sollevato la politica di Alessandro aveva 1messo in luce da una parte il vecchio ideale di una civiltà greca chiusa nel culto ddle sue tradizioni e nell'approfondimento della sua cultura, Baruch_in_libris § I IL PERIODO dall'altra il nuovo ideale di una espansione civile e culturale greca che fosse al centro dello sviluppo anche dei popoli orientali. Alla morte di Alessandro, la storia si apre in questa seconda direzione; non che manchino tentativi ripetuti di leghe greche per ripristinare l'autonomia d'un tempo; ma essi non hanno che sporadici successi; il grande impero di Alessandro si viene organizzando, sul finire del secolo 1v, in tre grandi stati indipendenti: lo stato greco-macedone, le terre asiatiche con al cer.:ro la Siria e la Mesopotamia riunite nello stato dei Seleucidi ed il regno di Egitto governato da Tolomeo; alcuni stati minori sorgono a Pergamo, nel Ponto, nell'isola di Rodi. In tutto questo vasto scacchiere si diffonde la cultura greca; ma essa si fonde con gli elementi della cultura locale e ne risulta quella cultura ellenistica o greco-orientale che è destinata a dominare, con sviluppi complessi, la storia dei secoli successivi. Per un lato, non si può mancare di rilevare la straordinaria forza espansiva acquistata in questo periodo dalla cultura greca, mentre anche le relazioni commerciali fra i paesi piu lontani si intensificano, si estendono le conoscenze e i viaggi, si formano centri importanti di studio ad Alessandria, ad Antiochia ed a Pergamo; d'altra parte la cultura greca è esposta ora ad influssi orientali eterogenei e la sua capacità creativa si viene affievolendo; la scena politica poi è dominata dalla creazione di grandi regni, fondati sul potere assoluto e organizzati da una burocrazia che" forma la clientela dci nuovi sovrani; acquistano importanza sempre maggiore gli eserciti; si diffonde il culto dei sovrani, secondo il costume orientale; la corte diviene centro di raccolta, oltre che dei· funzionari, anche degli uomini di cultura, che spesso assumono la veste di cortigiani; ma lo splendore dei sovrani si esplica anche nella fondazione di scuole, di musei, di grandi organismi di cultura e di studio. E' a questo nuovo spazio etico e politico che si apre ormai anche la filosofia greca. Ciò si può dire, in parte, anche per la filosofia ·di Aristotele e per lo scetticismo di Pirrone. Il pensiero aristotelico che domina la seconda metà dcl secolo Iv, al· modo stesso in cui quello di Platone aveva dominato la prima metà, per un lato si inquadra nella tradizione dcl pensiero greco ed in particolare nella dottrina platonica nel cui seno si viene formando, per l'altro si orienta verso una mentalità scientifica piu aperta cd uniforme, già disposta ad affrontare un mondo piu ampio e compl~sso. Quanto alla scuola di Pirrone che sorge ad Elide negli ultimi decenni de.' secolo Iv, se per un lato è legata alla precedente tradizione speculativa gr'!ca ed in particolare allo studio della dialettica, per l'altro è tratta ad un distacco critico radicale dalle vecchie scuole anche dietro la suggestione dci nuovi orizzonti aperti dall'impresa di Alessandro. Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV CAP. V 2. Aristotele: la vita e gli scritti. Aristotele nasce nel 383 a Stagira nella penisola Calcidica; Stagira era una colonia ateniese, anche se posta in territorio controllato al nord dalla Macedonia; suo padre era appunto medico alla corte macedone. Aristotele giunse ad Atene a 17 anni per compiervi i suoi studi ed entrò ali' Acaden.ia di Platone, ove rimase per vent'anni, cioè fino alla morte del maestro nel 347. Morto Platone egli lascia Atene e l' Academia per recarsi ad Asso nell' Asia Minore, ove esisteva un centro di studi costituito da due allievi di Platone, Erasto e Corisco; questa comunità era protetta da Ermia, tiranno della città di Atarneo; ai tre Platone aveva indirizzato la sesta delle sue lettere. Forse Aristotele aveva in mente, recandosi ad Asso, di promuovere con gli amici una nuova scuola; ma Ermia esercitava il suo potere sotto l'alto Jrotettorato persiano; perciò quando egli tentò di stabilire segreti ·apporti con Filippo di Macedonia, cadde in disgrazia del re di Persia che lo fece spodestare ed uccidere, nel 345. Appena tre anni dopo l'arrivo di Aristotele, la scuola di Asso dovette cosi sciogliersi; anche la scuola che egli fondò subito dopo a Mitilene non ebbe lunga durata perché nel 343 venne chiamato da Filippo II alla corte macedone, quale precettore di Alessandro. Questi fu affidato alle sue cure mentre era in età dai quattordici ai sedici anni; l'ascesa di Alessandro sul trono di Macedonia, alla morte del padre, nel 336 precedette solo di un anno il ritorno di Aristotele ad Atene; egli aveva ormai cinquant' anni quando vi fondò una scuola nel ginnasio dedicato ad Apollo Licio; fu chiamata Liceo o anche Peripato, per i passeggi e giardini che la circondavano. Aristotele poté dedicare una dozzina d'anni agli studi ed alla sua scuola; in essa costitul grandi raccolte di materiale che servivano di fondamento per lo sviluppo delle ricerche; per lo studio della politica, per es., avviò la raccolta dei testi delle costituzioni greche, mettendone insieme piu di 150; la stessa cosa fece per le dottrine filosofiche, componendo egli stesso e facendo comporre ad alcuni dei suoi discepoli scritti intorno ai filosofi precedenti; fu cosi che la parte piu nuova della scuola di. venne la biblioteca o Museo. L'organizzazione della scuola peripa tetica è anche da ricordare in quanto contemplava, oltre che lo studio 100 Baruch_in_libris § :2 ARISTOTELE della filosofia, anche l'indagine nei vari settori del sapere; questi erano, ad un tempo, distinti come campi autonomi di ricerca e collegati in un ordinamento unitario di cultura. Nel 323, alla morte di Alessandro Magno, ad Atene risollevò il capo la fazione anti-macedonica che richiamò dal!' esilio Dcmostene. Aristotele, come simpatizzante per la politica macedonica, non fu risparmiato; fu sporta contro di lui una accusa di empietà, sostenuta da un sacerdote, dal nipote di bemostene e dal nipote di Isocrate; l'accusa era solo un pretesto che copriva motivi politici. Aristotele decise allora di abbandonare Atene e si ritirò a Calcide, dove morf l'anno seguente (322) all'età di sessantadue anni. Anche per gli scritti di Aristotele, vale quanto si è detto per quelli di Platone: essi sono giunti fino a noi non attraverso frammenti, ma in forma pressoché completa. Sotto forma solo di frammenti, in verità, noi conosciamo alcuni scritti che Aristotele probabilmente compose prima di metter mano alle opere sistematiche che ci conservano la formulazione organica della sua filosofia; si tratta di saggi e di esercitazioni che forse non sono estranei al periodo della permanenza di Aristotele alla scuola di Platone e che hanno pertanto un'intonazione platonica; si possono, cosf, ricordare un Discorso esortatorio alla filosofia (o Protrettico), uno scritto Sull'anima cd uno Sulla filosofia. Il peso di tali scritti è comunque secondario, rispetto al grosso corpus di opere complete che delineano il sistema aristotcHco. Esso comprende i seguenti scritti o gruppi di scritti: l) un gruppo di sei scritti di logica, piu tardi raccolti sotto il titolo complessivo di Organon (strumento o metodo) nell'ordine seguente: l) Le categorie (un libro); 2) il De interpretatione (un libro); 3) Analitici primi (in due libri); 4) Analitici secondi (in due libri); 5) i Topici (in otto libri); 6) gli Elenchi sofistici (un libro) - n) la Metafisica, la maggiore delle opere filosofiche, in quattordici libri - m) la Fisica (in otto libri) cui si può collegare un gruppo di altri scritti sulla natura, comprendente: 1) Sul cielo (in quattro libri); 2) Sulla generazione e la co"uzione (in due libri); 3) Sulle meteore (in quattro libri) - IV) un gruppo di scritti sugli ·animali, comprendente: l) Storia degli animali; 2) Sulle parti degli animali; 3) Sulla generazione. degli animali; 4) Sulle trasmigrazioni degli animali; 5) Sul movimento degli animali - v) Sul101 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV CAP. V I' anima (in tre libri) cui si ricollega un gruppo di scritti. minori, piu tardi indicati come Parva naturalia, e comprendente: 1) Sensazione e sensibile; 2) Memoria e reminiscenza; 3) Il sonno; 4) I sogni; 5) La divinazione mediante i sogni; 6) Lunghezza e brevità della vita; 7) Giovinezzo e vecchiaia; 8) La respirazione - v1) un gruppo di scritti di etica, comprendente: 1) L'etica Nicomachea (in dieci libri); 2) L'etica Eudemia (in sette libri); 3) La grande etica - vn) La politica (in otto libri) cui si può collegare la Costituzione degli Ateniesi - vili) La retorica (in tre libri) - 1x) La poetica (incompiuta). I due maggiori problemi che lo studio delle opere di Aristotele solleva, in linea preliminare, sono quello che concerne la loro origine e quello che riguarda la loi:o cronologia. Per quanto concerne l'origine degli ~critti aristotelici, sta il fatto che alcuni risultano molto chiaramente ordinati ed elaborati, altri invece presentano ripetizioni, accostamenti disordinati, tratti molto oscuri, a volte anche asserzioni contrastanti; la cosa si può spiegare se Aristotele, avendo curato direttamente la redazione di alcuni suoi scritti, in altri non è intervenuto che molto indirettamente, lasciando che venissero raccolti gli appunti, non sempre elaborati, delle sue lezioni, da parte di scolari; ciò può essere ovviamente accaduto anche quando, dopo la morte di Aristotele, si venne mettendo insieme presso la sua scuola il corpus degli scritti. Per quanto riguarda poi la questione della cronologia, si è particolarmente insistito nei tempi a noi piu vicini e in modo speciale per opera dello Jaeger, a vedere nelle ripetizioni e nei contrasti che a volte si incontrano nelle opere aristoteliche il risultato della giustapposizione in opere complessive di trattati molteplici e diversi, originariamente staccati e distinti; si è cosi messo in luce che alcuni scritti aristotelici sono un mosaico di altri scritti minori, redatti in momenti diversi e, a volte, con diverso orientamento. Si è anche tentato allora di cogliere le linee che il pensiero aristotelico avrebbe seguito nella sua evoluzione; i risultati piu accertati in proposito sono che Aristotele, dopo avere seguito nella sua giovinezza Platone nel considerare l'anima immortale, nel guardare con distacco il mondo sensibile e nell'attenersi alla dottrina delle idee, nella piena maturicl della sua speculazione si staccò da Platone criticandone la dottrina, per temperare quindi le sue vedute metafisiche con un accentuato empirismo nella fase finale della sua 102 Baruch_in_libris § 2 AlUSTOTELB riflessione. :t però da ricordare che gli scritti aristotelici sono giunti a noi attraverso una tradizione assai complessa, alla quale non sono probabilmente estranee elaborazioni posteriori, di varia provenienza, indebitamente inserite nel corpus aristotelico; di qui il carattere composito di alcuni scritti e la necessità di rinnovati e difficili studi che ci riportino il piu vicino possibile al nucleo originario dell'opera aristotelica. 3. La logica. La logica occupa, nel sistema di Aristotele, una pos1z1one preliminare in quanto studia lo strumento stesso con cui regolare qualsiasi discussione o ricerca. Nei vari scritti dell'Organon (che significa appunto strumento) si studiano tuttavia due distinti gruppi di questioni: la dialettica, che ha il suo centro nei Topid, studia i criteri e i metodi della discussione, mentre la trattazione degli Analitici studia il metodo della conoscenza scientifica in senso stretto. Si ricorderà che Platone, pur avendo preso le mosse dall'esperienza socratica del dialogo e dallo studio logico-linguistico che già nella scuola eleatica era stato fatto del procedimento del contraddire, pur essendo quindi ben a conoscenza delle indagini sulla discussione, aveva poi rivolto la sua attenzione esclusivamente al procedimento della ricerca scientifica, cioè alla dialettica intesa come analisi rigorosa delle strutture necessarie del reale; sicché la discussione, secondo Platone, è inconcludente e non ha rilievo quando non mette capo alla conoscenza della verità. Aristotele tende invece, in quella parte della sua logica che è dedicata alla dialettica, a considerare proprio la dimensione empirica del dialogare e del discutere in tutta la sua ampiezza. La discussione nasce con una domanda; essa può riferirsi «all'opinione o di tutti, o della grande maggioranza, o dei sapienti; quando poi si tratti di questi ultimi, ci si può ancora riferire o all'opinione di tutti, o a quella della grande maggioranza o infine all'opinione dei sapienti piu noti degli altri; ci si può anche riferire alle opinioni che rispondono alle arti costituite, ad esempio formulando opinioni riguardo agli argomenti della medicina, come farebbe il medico, e riguardo agli argomenti della geometria, come farebbe il conoscitore di questa scienza». Circa l'opinione intorno alla quale si affaccia una domanda (come quando, per es., si chiede 103 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV CAP. V .;e il piacere sia o no desiderabile) ci può essere dissenso sia fra la mag· gioranza della gente e i sapienti, sia nei sapienti fra loro, sia nella maggioranza stessa della gente. Il dissenso è appunto all'origine della domanda che si pone; il risultato cui· la discussione deve pervenire è la manifestazione di una preferenza o di un rifiuto nei riguardi di una determinata opinione. La dialettica considera appunto questa situazione, con particolare riguardo alle condizioni in cui un dubbio può essere affacciato e rimosso attraverso dei discorsi concludenti. «La dialettica è utile, scrive Aristotele, anzitutto perché insegna il metodo conoscendo il quale si è piu facilmente in grado di disputare intorno ad un argomento; in secondo luogo, essa è utile per le conversazioni, poiché una volta passate in rassegna le opinioni della gran massa degli uomini, verremo in rapporto con essi non già sulla base dei punti di vista che sono a loro estranei, bensl su quella delle loro opinioni e allora potremo respingere quello che essi ci diranno in modo non corretto e noi stessi impareremo a non dire nulla di contraddittorio con la tesi che difendiamo ». È proprio attraverso questo studio dei criteri del dibattito fra persone ed opinioni che emergono alcuni importanti problemi di logica. Un pri~o problema è quello che riguarda i termini che si usano nella discussione; avviene infatti che spesso con uno stesso termine o vocabolo si designino cose diverse o che una stessa cosa sia designata con nomi diversi; ad evitare confusioni; bisogna quindi enumerare i diversi sensi in cui un termine può essere assunto nella discussione; Aristotele ne indica dieci e li chiama categorie; un termine, a suo avviso, può indicare o una sostanza (ciò avviene quando, per es., il termine " cavallo " indica " un determinato cavallo " che è sostanza in quanto non appartiene ad un'altra cosa individua, pon è, per es., come il colore del cavallo che appartiene appunto al cavallo), oppure una quantità (come il termine "lungo due cubiti"), oppure una qualità (come il termine "bianco"), oppure una relazione (come ~I termine "doppio"), oppure un luogo (come il termine "in piazza"), oppure un tempo (come il termine "ieri"), oppure una situazione (come il termine "seduto"), oppure uno stato (come il termine "armato"), oppure un'azione (come il termine "bruciare"), oppure infine una passione (come il termine " esser bruciato "). Le dieci categorie sono, Baruch_in_libris § 3 LA LOGICA secondo Aristotele, i significati possibili di quelle parole il cui significato non risulti da quello di altri termini. Naturalmente le sostar-ze, le qualità, le relazioni ecc. sono molte e varie; ma le dieci categorie consentono di stabilire subito in quale dei dieci modi di significazione semplice rientri un termine e rendono cosi piu chiaro e sicuro tutto il discorso. Una distinzione aristotelica molto importante è quella fra soggetto ed attributo; infatti le questioni dialettiche mirano a stabilire se un attributo appartenga o non appartenga ad un soggetto; soggetti sono le sostanze (cioè ciò che è esistenza singola nella forma di cosa o di animale o di persona); tutto il resto può fungere da attributo; quando si unisce un soggetto con un attributo indicando che questo appartiene o non appartiene a quello si formula una proposizione. Però l'attributo può appartenere al soggetto in maniere diverse; Aristotele ne enuncia cinque: il genere, la specie, la differenza, il proprio e l'accidente. Il genere indica gli attributi che possono essere riferiti ad un soggetto come la classe piu ampia nella quale esso si inquadra; ciò che può essere attribuito al soggetto nella forma di una parte del genere, e cioè della classe piu ampia, si chiama specie; differenza è ciò che, nell'interno del genere, distingue una specie da un'altra; per es., rispetto al soggetto Socrate, è attributo di genere il termine " animale " in quanto designa la classe piu ampia di cui Socrate fa parte, è attributo di specie il termine "uomo" che designa quella parte della classe piu ampia in cui Socrate rientra, è attributo di differenza il termine " razionale " che indica ciò che separa la specie umana dalle altre specie che sono interne al genere animale. Per rispondere alla domanda: che cos'è la tal. cosa? bisogna indicare, secondo Aristotele, l'attributo di genere, la differenza e quindi l'attributo di specie; si ottiene cosi la definizione della cosa, cioè la indicazione della sua essenza (tò tl fonv ). Per essenza di una cosa si intendono « quelle delle proprietà di un soggetto che esso non può mutare senza perdere la propria identità». Socrate può essere a volte seduto, a volte in piedi; poiché però queste proprietà possono cambiare senza che egli cessi di essere quello che è, si deve concludere che esse non fanno parte della sua essenza; invece la proprietà di essere animale razionale e cioè uomo appartiene a Socrate in modo che, se cessasse, Socrate stesso cesserebbe di essere quello 105 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV CAP. V che è. Le specie ed i generi sono anche indicati da Aristotele come "sostanze seconde", nel senso che le sostanze, o realtà singole che fungono da soggetti, si dicono " prime " in quanto stanno alla base di tutto il resto e tutto il resto si predica di esse oppure sussiste in esse, mentre le spede e i generi sono i soli fra gli attributi che « rivelano la sostanza prima »; infatti « se qualcuno deve -spiegare che cos'è un determinato uomo, dà una spiegazione appropriata indicando la specie, oppure il genere; nel caso invece che indichi una qualche altra nozione, dicendo ad esempio che un determinato uomo è bianco o corre, avrà dato una spiegazione estranea all'oggetto». Un attributo si dice " proprio " rispetto ad un soggetto quando non fa parte della sua essenza, da cui tuttavia dipende in modo necessario; l'accidente per _contro è un attributo che può appartenere o non appartenere al soggetto; cosi l'attributo "bianco" è un accidente rispetto a Socrate, mentre l'attributo "capace di ridere" è un proprio. I termini staccati non si possono considerare veri o falsi, mentre verità e falsità sono, per Aristotele, proprietà della · proposizione, in .:ui si afferma o si nega un attributo di un soggetto; il criterio della verità d'una proposizione è offerto dalle cose stesse, per cui una proposizione è vera quando le cose stanno come essa afferma che sono; altrimenti è falsa. Le proposizioni si distinguono fra loro principalmente sotto due riguardi: anzitutto per il fatto che alcune sono affermative ed altre negative e, in secondo luogo, in quanto il loro soggetto può essere o universale inteso universalmente, oppure universale non inteso universalmente, oppure singolare. Un termine è universale quando «si può predicare di molti», per es. il termine "uomo" predicato di molti soggetti, come Socrate, Platone e Cesare; invece il termine "Socrate" si può predicare di uno solo nella proposizione: «Questi è Socrate». Il termine universale si intende universalmente quando è accompagnato dalla parola " ogni " come quando si dice, per es., che « ogni uomo è giusto » e si intende non universalmente quando è accompagnato dalla parola " alcuni ", " qualche '', come quando si dice « alcuni uomini sono giusti ». Combinando il variare delle proposizioni secondo affermazione e negazione e secondo che il soggetto sia universale o particolare, si avranno quattro tipi fondamentali di proposizioni, cioè l'universale affermativa (per es., «tutti gli uomini sono giusti»), l'universale negativa (per es., 1o6 Baruch_in_libris § 3 LA LOGICA « nessun uomo è giusto »), la particolare affermativa (per es., « alcuni uomini sono giusti») e la particolare negativa (per es., «alcuni 'Jomini non sono giusti»). Avendo l'occhio alle esigenze della discussione dialettica, Aristotele ha considerato il rapporto che interéorre fra le proposizioni che, avendo lo stesso soggetto e lo stesso attributo, differiscono in relazione ai quattro tipi indicati; egli chiama contraddittorie le coppie di proposizioni di cui « una afferma un attributo di un soggetto universale e l'altra lo nega di un soggetto non universale» (per es., « tutti gli uomini sono giusti » e « alcuni uomini non sono giusti »); chiama invece contrarie le proposizioni in cui « sia l'affermazione che la negazione riguardano un attributo riferito ad un soggetto universale » (per es., «tutti gli uomini sono giusti '' e « nessun uomo è giusto»); ora le proposizioni contrarie non possono essere entrambe vere, mentre delle proposizioni contraddittorie è necessario che una sia vera e l'altra falsa. Il nesso fra un attributo ed un soggetto non sempre può essere colto in modo diretto; bisogna in questo caso compiere un calcolo o sillogjsmo, che consiste nel trovare un termine che sia in rapporto di attri· buzione con entrambi i termini di cui vogliamo stabilire il rapporto; per es., poiché non è possibile cogliere, in modo diretto, se l'attributo "mortale " spetti o no al soggetto " ogni uomo ", debbo trovare un termine che sia in rapporto di attribuzione sia con il termine " ogni uomo ", sia con il termine " mortale "; se esamino tutti gli attributi che si possono riferire al soggetto "ogni uomo" e tutti. i soggetti cui spetta l'attributo di " mortale ", trovo che il termine " animale " è presente in entrambi i casi; infatti posso enunciare le due proposizioni: « ogni uomo è animale» - «ogni animale è mortale»; avremo cosf trovato il termine " medio ", quello che, avendo un nesso con i due termini di cui inizialmente non conosciamo il rapporto, ci fa cogliere tale rapporto in forma mediata; ed avremo il seguente sillogismo o calcolo logico: cwgni animale è mortale >> - « ogni uomo è animale » - « dunque ogni uomo è mortale>>. Il carattere piu importante del sillogismo è che, poste determinate premesse, la conseguenza non può non seguire; Aristotele lo ha definito come «quel ragionamento nel quale, essendo poste certe cose, un'altra ne risulta necessariamente per il solo fatto che quelle sono poste». Esso consiste di tre proposizioni: due premesse ed una con- Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV - - - - - - - - - - - - - - - ------- ---------------- CAP. V elusione:; ndlc: premesse. compaiono i due termini fra i quali si deve: indicare se e: quale nesso esista; in esse il termine medio compare due volte, una volta raffrontato col termine che ha significato piu esteso (premessa maggiore) e una volta con il termine che ha significato meno esteso (premessa minore); nella conclusione il medio scompare e si enuncia senz'altro il nesso ricercato fra i due termini di partenza. Aristotele ha attentamente studiato la struttura dcl sillogismo e le regole che la disciplinano; ha distinto tre diverse figure di sillogismo in relazione al diverso tipo di rapporto che si viene a stabilire fra il termine medio e gli altri due termini: la prima figura si ha quando il termine medio è compreso nel termine maggiore e comprende il termine minore (come quando, per es., il termine medio " animale " è compreso nd termine " mortale " e comprende in sé il termine " uomo "; si hanno anche diversi " modi " di questa prima figura a seconda che le tre proposizioni del sillogismo siano affermative o negative, particolari o universali). Nella seconda figura del sillogismo il medio viene affermato di tutto il termine maggiore ed è negato di tutto il termine minore, per cui segue che il termine maggiore è negato di tutto il termine minore; nella terza figura poi tanto il termine maggiore quanto il termine minore appartengono a tutto il termine medio, per cui si può concludere che a volte il minore appartiene al maggiore; nei sillogismi di seconda e terza figura (i quali pure ammettono molti modi) il rapporto fra i tre termini non viene però colto direttamente e positivamente come avviene nei sillogismi di prima figura; perciò Aristotele li considera sillogismi imperfetti che si debbono trasformare, con opportuni procedimenti, in sillogismi della. prima figura. Il sillogismo ci consente, date due premesse, di trarne necessariamente la conclusione; ma altro è che la conclusione sia tratta con necessità dalle premesse ed altro è che la stessa conclusione sia necessaria. La conclusione viene tratta con necessità dalle premesse anche nei sillogismi usati dai dialettici e dagli oratori; eppure in questi casi non si ha conclusione necessaria proprio perché non sono necessarie in se stesse le premesse dalle quali essi partono; è invece caratteristica del sillogismo che si usa nella ricerca scientifica rigorosa sia quella di muovere da premesse necessarie, sia pertanto quella di ottenere conclusioni altrettanto necessarie in se stesse. Domandiamoci allora quando una pre108 Baruch_in_libris § 3 LA LOGICA messa sia in se stessa necessaria; lo potrebbe essere perché ottenuta, come conclusione, da un. altro sillogismo che muova da premesse a sua volta necessarie; ma non si può risalire indietro all'infinito, altrimenti la scienza stessa sarebbe impossibile, in quanto mancante di prime proposizioni vere. Ecco perché, secondo Aristotele le prime premesse della scienza dovranno essere date come indimostrabili, come immediatamente vere; sicché il procedimento sillogistico può ricavare conclusioni vere da premesse vere, ma non può porre le prime premesse vere. Ci sono degli assiomi generali che riguardano tutte le scienze come, per es., l'affermazione per cui un attributo non può appartenere e non appartenere ad uno stesso soggetto, nello stesso tempo e sotto lo stesso riguardo; ma gli assiomi di questo tipo non possono costituire i primi principii d'una scienza determinata. Il criterio che, secondo Aristotele, garantisce ad una scienza i suoi primi principii veri è quello dell'essenza, quello cioè delle proprietà di un soggetto che gli appartengono in modo necessario e che esso non può perdere senza perdere la sua stessa identità; le proposizioni che indicano che cos'è ciò di cui si vuol dimostrare qualche attributo sono i principii naturali della dimostrazione; l'apodittica o dimostrazione muove dunque dalla conoscenza delle essenze. A questa servono di preparazione sia l'induzione che cerca di cogliere negli individui la presenza di determinati attributi, sia la dialettica; ma il passo decisivo nella conoscenza delle essenze viene compiuto, secondo Aristotele, da una facoltà speciale della mente umana, il nous, che consente cosi: di dare un solido fondamento alla scienza. Con la sua dottrina del sillogismo e con l'apodittica Aristotele ha configurato un tipo ben preciso di scienza: quella cioè che ricorre al procedimento deduttivo, muovendo da postulati per trarne le conseguenze, come avviene nel procedimento matematico; alla conoscenza per esperienza viene invece riconosciuto un compito soltanto secondario e di sussidio. Il procedimento deduttivo è inoltre legato con la dottrina del1'essenza che non consente un'applicazione dello stesso metodo matematico direttamente all'esperienza e lo rivolge piuttosto a strutture concettuali astratte. La filosofia moderna svolgerà una critica radicale della logica aristotelica e specialmente dell'apodittica, mostrando come il sillogismo non sia l'unica forma di deduzione, come la deduzione non sia l'unico procedimento della scienza e come, infine, la deduzione ap109 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV CAP. V plicata al tessuto astratto delle essenze risulti inefficace per la comprensione scientifica della realtà; tuttavia fino agli inizi dell'età moderna, attraverso le integrazioni recate dagli scolastici medievali, la logica di Aristotele ha mantenuto un dominio quasi incontrastato. 4. La fisica. Il gruppo piu importante di scienze al quale Aristotele si è applicato è quello che egli chiamò delle scienze teoretiche, cioè volte a cogliere la realtà che si ritiene data una volta per tutte e che alla teoria spetta di rispecchiare. Le principali scienze teoretiche sono la fisica, la matematica e la filosofia prima o metafisica; la matematica studia degli enti che non sono soggetti a mutamento (numeri e figure); ma essi non sono nemmeno veri enti, in quanto vengono astratti dalle cose, ma non esistono per se stessi; alla matematica comunque Aristotele non ha dedicato una trattazione sistematica. La fisica ha invece per oggetto degli enti esistenti per se stessi, ma soggetti a mutamento e divenire; infine la filosofia prima o metafisica ha per oggetto gli enti,immobili ed immateriali. .':.. I principii generali della concezione della natura sono illustrati nei primi quattro libri della Fisica. Aristotele muove dal rilievo che. gli esseri della natura divengono, mutano, subiscono generazione e corruzione; bisogna quindi respingere la dottrina eleatica che contesta la realtà del divenire e del movimento. Il torto di Parmenide è, secondo Aristotele, quello di essersi riferito all'essere ed al non-essere, astrattamente intesi, anziché riferirsi ai singoli .esseri concreti che sono reali per eccellenza e rispetto ai quali va anche posto il divenire e il mutamento; non v'è infatti divenire e movimento se non c'è un soggetto che diviene; il divenire è pertanto divenire di un essere individuo che si trova in condizione di privazione rispetto a qualche cosa; per es., il passaggio dal non saper leggere al saper leggere implica l'esistenza di un uomo (la materia del divenire) che prima sia privo della capacità di leggere (la privazione come punto di partenza del divenire)_ e che poi abbia tale capacità (la forma o perfezione come punto di arrivo del divenire). Materia, forma e privazione spiegano cosi il divenire, che non è da confondere col non-essere; infatti il divenire comporta sempre 110 Baruch_in_libris § 4 LA FISICA un essere, che, mentre è realtà per qualche lato, è privo di qualche altra cosa; esso è quindi, ad un tempo, essere e non-essere, sempre però in senso relativo e non assoluto. Col termine di " natura " Aristotele intende designare le cose « che hanno in se stesse un principio di movimento e di stasi, le une con riferimento al luogo, le altre in ordine all'accrescimento ed al decrescere, altre ancora quanto all'alterazione». Per un lato si chiama "natura " la materia « che serve da sostegno immediato agli esseri che hanno in sé un principio di ·movimento » (per es., la materia della pianta che cresce); ma si chiama natura anche la forma, cioè il tipo che noi indichiamo come essenza di qualche cosa (per es., la specie della pianta). Con la teoria di materia e forma Aristotele per un lato ribadisce l'insufficienza della sola materia sostenuta dai naturalisti, per l'altro rivendica contro Platone l'inseparabilità della forma dalla materia. Lo stesso concetto viene chiarito dalla dottrina delle quattro cause che si debbono indicare per poter dire di avere conoscenza di qualche cosa: c'è la causa materiale ossia ciò di cui una cosa è fatta (per es., il bronzo della statua), la causa formale cioè. la forma o essenza cui un individuo corrisponde (per es., un particolare cavallo risponde ai caratteri della specie), la causa efficiente che produce il mutamento (per es., il genitore di un individuo) e infine la causa finale per cui un mutamento si compie (per es., la sanità per conseguire la quale si fa una passeggiata). Negli esseri della natura «tre di queste cause si riducono ad una sola: infatti l'essenza è anche il fine cui tende il mutamento, senu dire che la causa efficiente o motore del divenire è identico dal punto di vista della specie, con la stessa essenza o forma; infatti l'uomo che è causa efficiente dell'essere d'un bambino è identico, quanto alla specie, all'essenza di uomo o forma che è il fine cui tende lo sviluppo del bambino». Anche per Aristotele, come per Platone, «la natura non è governata dalla pura necessità», ma tutto avviene «in vista di un fine e perché è meglio cosf » ; questa spiegazione finalistica viene rafforzata dall'osservazione dci fatti biologici, in cui uno stadio termi· nale sembra subordinare a sé tutto quello che vien prima; ogni cosa della natura viene prodotta infatti come se fosse prodotta dall'arte; una pianta cresce e si sviluppa come se nella natura si nascondesse un architetto; in ogni essere naturale è presente un principio che agisce lii Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV CAP. V come una mente, come un progetto, come un fine. Perciò appunto Aristotele definisce il divenire come « la realizzazione del fine di un essere che è in potenza in quanto è in poten:Z.a ». Vi sono varie forme di divenire, come l'alterazione, la generazione e la corruzione, la crescita e la decrescita, il movimento locale; in tutti questi casi si ha un individuo in cui un certo processo è in potenza, ossia è effettivamente possibile e si ha poi il verificarsi del processo, cioè il suo giungere a compimento, il suo tradursi in atto; per es., un seme di frumento che non è ancora diventato una spiga ha in sé realmente la potenza di diventare spiga; il fatto che il seme non sia ancora spiga non comporta che esso sia del tutto negativo rispetto a quel risultato; quindi l'essere in potenza non equivale affatto ad un non-éssere assoluto, ma ad un non-essere relativo che è appunto legato alla possibilità di essere; quando il seme sarà diventato spiga, il pfocesso dalla potenza all'atto si sarà compiuto, il fine già presente nel seme si sarà compiutamente realizzato. Unendo insieme la dottrina di materia e forma, la dottrina delle quattro cause e infine la dottrina di potenza ed atto si ha la spiegazione aristotelica del divenire degli esseri naturali, restando sempre fermo che ciò che diviene sono soltanto gli individui concreti; va inoltre rilevato che la materia è anche la causa materiale del divenire ed è anche la potenZa di esso, mentre la forma è anche la causa formalefinale ed è il principio dell'attualità, ossia del compiersi del mutamento. Poiché soltanto gli individui concreti esistono realmente e principalmente, ad essi Aristotele riconduce sia il luogo che il tempo, sia la leggerezza che la pesantezza; il luogo di un corpo è il recipiente ideale in cui esso è contenuto ed appartiene al corpo contenente; il tempo appartiene a qualsiasi movimento come suo attributo ed è definito « la misura del movimento secondo il prima ed il poi »; pesantezza e leggerezza sono qualità inerenti ai corpi al modo stesso del colore; cosi il basso e l'alto sono determinazioni che ineriscono stabilmente allo spazio e danno concretezza al movimento dei corpi, alle loro qualità di leggerezza o pesantezza; la stessa generale concretezza della fisica aristotelica comporta la negazione del vuoto che, per essere senza determinazioni, coincide col nulla e dell'infinito che non esiste perché mancante di qualità. :!\egli ultimi quattro libri della Fisica Aristotele studia le varie for112 Baruch_in_libris § 4 LA FISICA me del movimento e i problemi generali che le riguardano. Nascita e morte d'una sostanza non sono propriamente movimento, in quanto in esse non si verifica il passaggio da un contrario all'altro (infatti nessuna sostanza ammette un suo contrario) e si ha una certa soluzione di continuità. Negli altri casi, il movimento si verifica fra due contrari; per es., può diventare nero qualche cosa che era bianco, può cadere verso il basso una pktra che era in alto; inoltre il movimento si verifica sempre all'interno dello stesso genere, da un colore ad un colore, da una grandàza ad una grandezza. Ciò che accomuna l'accrescimento o diminuzione, l'alterazione e il movimento locale è che essi comportano l'unione di materia e forma; ogni forma comporta un'essenza, cioè un nesso organico di caratteri; le varie forme sono di grado piu o meno elevato a seconda della maggiore o ininore ricchezza delle essenze che in ciascuna sono unificate; per stabilire il rapporto fra un individuo e le varie forme, basta considerare nelle essenze di quali forme esso sia compreso; per es., Achille come figlio di Peleo è compreso nella forma di Peleo e, al di là di esso, nella forma di uomo, e, al di là di questa, nella forma di vivente; ognuna di queste tre forme entra a costituire l'individuo Achille, ma la forma piu vicina è quella del padre, mentre la forma dell'uomo è quella piu lontana. La natura risulta appunto di una gerarchia di· forme che entrano come principii attivi nella costituzione degli individui. Ciò spiega anche come un composto di materia e forma, da cui risulta un individuo, possa essere punto di partenza di un nuovo movimento, verso una forina nella cui essenza il composto è compreso. L'ordine gerarchico della natura pone cosi la questione, da un lato, cli una materia che coincida con il gradino piu basso del divenire e dall'altra di una forma che coincida con il vertice della gerarchia. La materia però non si può considerare indipendentemente da una forma; considerata per se stessa, la materia è nulla perché senza determinazioni; quella dunque che Aristotele chiama materia prima non è che il limite ideale, in basso, della gerarchia degli esseri naturali; verso l'alto, tale gerarchia deve metter capo ad un punto fermo che sia la causa di tutto il movimento; se ogni movimento presuppone la forma quale termine finale e principio del movimento, ciò varrà anche nei confronti dei gradi piu elevati nella scala degli esseri; si dovrà allora giungere ad una causa prima o llJ Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV CAP. V. motore immobile, quale forma suprema, del tutto in atto, degli esseri naturali; non si potrà trattare di un motore che a sua volta sia mosso da altro perché in tal caso esso ci rinvierebbe appunto a questo altro. Mentre dunque negli esseri della natura la forma non può essere che interna ali 'individuo che diviene, nel caso della prima causa o motore immobile, non può essere che esterno all'insieme della natura. Il principio della natura e del movimento che in essa si verifica non può essere, dunque, che separato dalla natura e pertanto fuori dell'ambito della scienza fisica in senso stretto; infatti la scienza fisica è bensl scienza delle forme, ma non in quanto separate, bensl in quanto principii che, con la materia, costituiscono gli esseri individuali concreti. Ma, prima di inoltrarci cosi verso la metafisica, dobbiamo considerare la sistemazione che Aristotele ha dato ad alcuni campi particolari della realtà fisica. Anzitutto egli divide l'universo in due parti nettamente opposte fra loro e pone fra mondo celeste e mondo terrestre quel divario che sarebbe stato tolto di mezzo soltanto con l'astronomia moderna. Regione celeste è quella che si estende dal primo cielo, quello delle stelle fisse, fino alla luna che è l'astro piu vicino alla terra; regione terrestre è quella sub-lunare che ha al suo centro la terra. Il contrasto fra cielo e terra è anzitutto un contrasto fra l'elemento di cui son formati i corpi celesti e i quattro elementi tradizionali di cui son fatti i corpi terrestri; in seco'ldo luogo vi è anche un contrasto di movimenti. Il movimento può essere retto, circolare o misto di entrambi; i movimenti retto e circolare sono semplici cd appartengono ai corpi semplici, mentre il movimento misto appartiene ai corpi composti; ai corpi semplici della sfera terrestre appartiene il moto retto all'insil o all'ingiu; ma il moto circolare è piu perfetto del moto in linea retta perché « può essere eterno »; ora il moto piu perfetto deve appartenere ad un corpo piu perfetto; ci sarà dunque una sostanza " piu divina " delle quattro sostanze primordiali: l'etere; e di essa risulterà costituito il cielo. Anche la sfericità del cielo è dedotta dalla maggior perfezione della figura sferica rispetta alle altre figure solide. Per spiegare i movimenti delle stelle e dei pianeti, Aristotele fa ricorso al modello geometrico escogitato da Eudosso, ma lo trasforma in un vero e proprio sistema fisico; si preoccupò quindi, oltre che della spiegazione dei movimenti dei singoli Baruch_in_libris s4 LA FISICA astri, anche del fatto che un sistema di sfere relativo ad uno dci pianeti non disturbasse il sistema di sfere del pianeta immediatamente sottostante; intercalò quindi fra un sistema e laltro delle nuove sfere, portandone il numero da ventisette a cinquantacinque. Le sfere celesti si muovono non perché siano animate, ma perché ricevono il movimento dal motore immobile. La terra sta ferma ed occupa il centro dell'universo; i corpi pesanti cadono verso il centro della terra in quanto esso coincide con il centro dell' universo; la terra è rotonda e « di non grande mole »; gli esseri del mondo sub-lunare sono soggetti a generazione e corruzione; inoltre la resistenza offerta dalla materia comporta che molti eventi del mondo terrestre siano accidentali e fortuiti; la perfezione del motore immobile, se si fa sentire piu direttamente sul mondo celeste, esercita soltanto un influsso indebolito ed indiretto sul mondo terrestre. La dottrina aristotelica dei primi elementi obbedisce al criterio dell'opposizione fra qualità originarie largamente seguito dai medici e dai fisici anteriori; infatti essa parte dalle quattro qualità del caldo e del freddo, del secco e dell'umido; esse sono opposte, a due a due; escludendo le combinazioni dirette fra opposti, si possono ottenere le seguenti mescolanze: secco-freddo, freddo-umido, umido-caldo, caldo. secco; ognuna di queste combinazioni di qualità contraddistingue un elemento; infatti il fuoco è calde>!secco, la terra è secco-freddo, l'aria è umido-caldo, l'acqua è freddo-umido; basta che una delle due proprietà che contraddistinguono un elemento trapassi nella contraria, perché si abbia il passaggio da un elemento ad un altro; ad es., se il secco-freddo della terra, si trasforma in freddo-umido, si ha il passaggio dalla terra ali' acqua; del pari l'acqua può trasformarsi in aria e l'aria in fuoco; e poiché il caldo contenuto nel fuoco può trapassare nel suo contrario, ossia nel freddo, potrà aversi anche il passaggio dal fuoco alla terra; si ha cosi un circolo incessante di trasformazioni che investe la sfera terrestre in tutta la sua estensione. I fenomeni che. Aristotele ha raccolti sotto la denominazione comune di meteore sono mescolanze dalla struttura particolarmente instabile e che si distruggono rapidamente; ·esse comprendono: i venti, le nubi, la pioggia, la neve, la grandine, il ghiaccio, I' arcobaleno, il lampo, il tuono, le stelle cadenti, le comete, la via Lattea, ccc.; le meteore hanno origine dal contrasto fra le esala115 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV CAP. V zioni secche che emanano dalla terra e quelle umide che provengono dall'acqua che ricopre la terra. Ci sono però anche mescolanze piu stabili, che Aristotele analizza in relazione alle qualità originarie; il duro e il molle, il rarefatto ed il compatto, il liscio ed il poroso derivano, a suo giudizio, dall'umido e dal secco; «consta dunque, conclude, che tutte le restanti differenze si riducono alle prime quattro e che queste non si possono ridurre ulteriormente di numero ». I corpi inorganici derivano specialmente dalla terra e dall'acqua, mentre le strutture organiche, cioè le parti dei diversi organi delle piante e degli animali come la carne, il sangue, le ossa, ecc. hanno una derivazione piu complessa; anche tutti i processi che hanno riferimento ai corpi organici, come ad es. la digestione, la coagulazione, la putrefazione, vengono spiegati da Aristotele con l' azione del caldo e del freddo. Platone aveva molto insistito sulla " misura " matematica presente nella natura, anche se essa fungeva piu da fine intrinseco dei fatti che da criterio per la loro misurazione; Aristotele insiste per contro sulla teorizzazione di qualità opposte e sulla loro antitesi assoluta. 5. La vita, I' anima e la conoscenza. Un capitolo a sé della fisica aristotelica è quello che studia la vita e l'anima che ne è il principio; esso ha il suo centro nel trattato Sull'anima e comprende sia il gruppo degli scritti dedicati agli animali, sia il complesso dei cosidetti Parva naturalia. Si è visto che i tessuti dei corpi organici d~rivano dalle qualità originarie; i tessuti a loro volta hanno la loro piena realizzazione nella formazione di organi, il cui scopo è di adempiere alle funzioni rispettive. Però un corpo composto di organi è solo la materia, cioè la potenza della vita; perché esso viva realmente bisogna che venga determinato da un principio interno, che è appunto l'anima; l'anima è per Aristotele la forma di. un corpo naturale che ha la vita in potenza; non è né qualcosa di separato dal corpo, né un corpo; è piuttosto la forma in forza della quale un corpo fornito di organi e quindi capace di vivere è realmente un essere vivente. Si comprende bene, allora, perché Aristotele non si occupi né :li una pretesa esistenza dell'anima prima della sua unione col corpo, Baruch_in_libris § 5 LA VITA, L'ANIMA E LA CONOSCENZA né d'una vita futura dell'anima sciolta completamente dal corpo. Come fine interno del corpo, !' anima ne è la causa formale, finale e motrice. Ogni essere vive.ne ha la sua anima; tuttavia le varie anim:: si possono anche considerare gerarchicamente in relazione alle funzioni di cui sono la realizzazione. Il grado piu basso della vita è quello che comprende le funzioni nutritiva e generativa, che appartengono a tutti gli esseri viventi; ad un grado piu elevato, le funzioni nutritiva e generativa si integrano con le funzioni sensitiva, appetitiva e motrice; quest'insieme di funzioni contraddistingue tutti gli animali che sono appunto in grado, oltre che di nutrirsi e di riprodursi (come le piante), anche di percepire le qualitJ. delle cose, di provare desideri ed avversioni e di spostarsi da un luogo all'altro. Ad un grado piu elevato si colloca la funzione intellettiva che è propria soltanto dcli' uomo. Aristotele ha analizzato attentamente le varie funzioni della vita vegetativa ed animale; ha descritto, per es., il processo della nutrizione studiando lanatomia dei tessuti e degli organi interessati; egli ha fatto anche un'accurata classificazione degli animali; la biologia moderna ha dovuto lottare, nel secolo xv11, contro alcune dottrine aristoteliche errate, come, per es., la dottrina che attribuiva ai polmoni il compito di raffreddare il sangue o la dottrina che faceva dipendere la sensitività dal cuore anziché dal cervello; ciò non toglie però che anche questa .parte della dottrina aristotelica sia formata, oltre che di costruzioni aprioristiche, di elementi tratti dalla diretta osservazione; essa denota inoltre alcuni atteggiamenti generali di un certo rilievo, come la convinzione che non ci sia aspetto per quanto umile delle funzioni vitali che non sia degno di essere studiato, o la persuasione che fra il inondo degli animali e quello dcli' uomo vi sia anche una notevole connessione; in ciò Aristotele è l'erede dell'antico spirito naturalistico. Nell'analisi delle funzioni dell'anima Aristotele dedica particolare attenzione allo studio della sensazione e dell'intelletto. La sensazione è un processo che interessa sia l'azione delle qualità sensibili sull'organo di senso, sia anche un'attività esercitata dall'organo; il soggetto senziente, da un lato, passa dalla potenza ali' atto del sentire in forza di un sensibile esterno, rispetto al quale è passivo; è quindi impossibile attribuire la sensazione soltanto al fattore soggettivo; d'altra parte, però, 117 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV CAP. V ciò che può essere sentito non di viene di fatto oggetto di sensazione (cioè non passa dalla potenza all'atto dell'esser sentito) se non in forza dell'atto del soggetto senziente; e pertanto nemmeno il solo fattore oggativo esterno può bastare a spiegare la sensazione; ciò si chiarisce osservando, per es., come una pianta, pur subendo l' azione del calore esterno, non ne abbja affatto la sensazione; la sensazione comporta quindi, ad un tempo, l'atto del soggetto senziente e dell'oggetto sentito. Che la sensazione comporti un processo di attuazione anche del soggetto senziente appare dal fatto che esso riceve SI l' impronta dell' oggetto, ma limitatamente alla sua forma e con esclusione della materia; infatti I' occhio percepisce il colore di un oggetto al modo stesso in cui la cera riceve l'impronta del sigillo; e come il metallo di cui il sigillo è fatto non passa nell'impronta, cosI il colore ndla sua materialità non passa nell' occhio che lo vede. Aristotele ha fissato tale dottrina della sensazione affermando che essa è « l' atto comune del senziente e del sensibile »; egli distingue cinque specie di sensazioni e, rispettivamente, di soggetti ~nsibili; il tatto ha come suo oggetto le qualità elementari dei corpi, cioè caldo e freddo, secco e umido ed ha come sensorio (cioè come organo di senso) la regione del cuore; il gusto «è un determinato genere di tatto» e «l'odorato è in analogia con il gusto», anche se «quale sia l'essenza dell'odore non risulta COSI evidente come per il suono e il colore, perché noi possediamo questo senso in grado non acuto>>. Visibili sono i colori che non si percepiscono senza luce; l'atto visivo si determina quando il colore produce una azione nel mezzo, per cui se tale azione si producesse nel vuoto il colore non si vedrebbe affatto; il suono poi non è « urto di enti casuali », ma è prodotto da un corpo che muova una « compatta unità d'aria che si estenda continua fino ad un organo uditivo». Il sensibile "proprio" di ogni senso (ad es. il colore per la vista, il suono per l'udito, ecc.) viene colto senza alcuna possibilità di errore; l' errore nasce piuttosto quando si attribuisce il sensibile proprio a qualche corpo, quando cioè si oltrepassa l'ambito della stessa sensazione. Oltre ai sensibili " propri '', vi sono però dei sensibili " comuni ", ossia delle qualità che possono essere percepite da tutti indistintamente i sensi e che, comunque, non sono percepite da alcun senso in forma esclusiva; tali sono, ad es., il moto e la quiete, l'estensione e la figura. 118 Baruch_in_libris § 5 LA VITA, L'ANIMA E LA CONOSCENZA Aristotele pone, oltre ai cinque sensi, anche un " senso comune " che ha la funzione sia di cogliere i sensibili comuni, sia di distinguere e di mettere in relazione i sensibili propri dei vari sensi (ad es. un sapore con un colore), sia infine di realizzare una certa unità sperimentale della sensibilità. Strettamente legata alla sensazione· è la immaginazione (cpavraa(a) anche se nel passaggio dall'una all'altra si ha un affievolirsi della percezione. Quando, nella sensazione, lo stimolo esterno ha cessato di agire, il suo effetto si prolunga, anche se indebolito, nell'organo della sensazione speciale ed anche in quello del senso comune; si ha cosi l' immagine; le immagini sono in relazione fra loro e si rafforzano quando .sono il riflesso indebolito di sensazioni simili; l'immaginazione non fa che operare su questo mondo di imm~gini accumulate in noi; la memoria è sempre legata all' immagine, alla quale tuttavia essa aggiunge la nozione del tempo; la memoria non è pertanto che il riferimento di un'immagine al passato o al futuro (nel primo caso diviene ricordo, nel secondo previsione). L'importanza delle immagini risulta anche dalla dottrina aristotelica per cui esse sono la materia su cui si esercita il pensiero; e qui ·si pone il problema dell'intelletto e del procedimento da esso seguito per conseguire la conoscenza nella sua forma piu elevata. Questa è la conoscenza delle essenze, semplici ed indivisibili; esse sono l'oggetto proprio dell'intelletto, al modo stesso in cui il colore è l'oggetto proprio della vista e, in genere, i sensibili propri sono oggetto diretto delle rispettive funzioni sensibili; ma anche tale conoscenza è un processo, anch'essa pertanto implica un passaggio dalla potenza ali' atto; il passaggio in questione è condizionato anzitutto dall'esistenza delle immagini sensibili, sulle quali si esercita lattività dell'intelletto; come sappiamo, la sensazione ha già liberato la forma sensibile dalla materia; ma la forma sensibile non è ancora la forma intellegibile, che costituisce il punto di arrivo della conoscenza dell'intelletto; le forme o essenze divengono infatti oggetto dell'intelletto in quanto scevre di materia e sciolte da tutti i caratteri particolari che sono loro congiunti nell'ambito della sensibilità; bisogna appunto vedere come possa avvenire questo processo di astrazione, mediante il quale riusciamo ad isolare gli oggetti puri della scienza, nei loro caratteri universali e necessari. Non si può certo dire Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV CAP. V che tali forme o essenze siano già presenti in atto nella forma sensibile, cioè nel!' immagine; quest'ultima è in potenza rispetto alle forme pure, nel senso che il processo di astrazione che in essa si è in parte già realizzato, in un primo grado, si completa nel grado di astrazione piu elevato. Diremo allora che \'intelletto comprende già in atto le essenze in questione? L'intelletto, in verità, è a sua volta in potenza rispetto ad esse e non può passare ali' atto se non in forza del!' azione su di esso esercitata dalle forme medesime; l'intelletto è come una tavoletta su cui non sta scritto nulla anche se essa è pronta ad accogliere tutti i caratteri che vi vorremo scrivere; l'intelletto, insomma, non è piu che il luogo potenziale di tutte le forme, che, appunto per questo, non è da esse determinato in atto. Di qui la difficoltà: come potrà un intelletto che è in potenza rispetto alle forme (e che, appunto per questo. si chiama possibile o passivo) astrarre dalle immagini sensibili le forme o essenze pure che anche in queste sono contenute solo in potenza? La forma è ciò che spiega, come fine, il movimento della materia; se vien meno la forma, non ha piu ragione di essere nemmeno il movimento; se le forme oggetto della scienza non esistessero in atto, non si potrebbe comprendere né il passaggio dalle forme sensibili ali' astrazione intellettiva, né quello in forza del quale l'intelletto si trasforma da semplice potenza delle forme in possessore effettivo di esse. Come si vede, le forme o essenze pure, intese come oggetti eternamente in atto sono simili alle idee di Platone; Aristotele non intende giungere ad una trascendenza cos1 rigida degli oggetti dell'intelletto; per questo egli pone, al di sopra dell'intelletto possibile, che diviene le varie forme, un altro intelletto, che chiama agente (voiiç :n:OtT]tut6ç); esso è sempre in atto, non subisce intervalli, né modificazioni ed è produttivo delle forme. Come nel caso della gerarchia delle cause naturali, si giunge di necessità ad un primo motore immobile che trascende lo stesso ordine naturale in quanto ne costituisce il confine superiore, cosi nella gerarchia conoscitiva che va dalla sensazione alla intellezione, si giunge di necessità ad un intelletto in atto che, per costituire il confine superiore del processo conoscitivo, non può porsi che esternamente ad esso; questo intelletto, di natura divina, non è individuale, non appartiene, come fine interno, ad alcun organismo; è bens1 immortale ed eterno, ma non comporta la immortalità di al120 Baruch_in_libris § 5 LA VITA, L'ANIMA E LA CONOSCENZA cun organismo individuale. Anche questa difficoltà, come quella nata a proposito del motore immobile, trova se non una soluzione, almeno un chiarimento nella metafisica aristotelica. 6. La metafisica. L'opera di Aristotele cui il catalogo di Andronico assegnò il _nome di Metafisica - con riferimento al posto occupato dall'opera stessa, cioè " dopo i libri di fisica " - è un insieme non organico di scritti che hanno per argomento quello che lo Stagirita chiamò " filosofia prima "; dei quattordici libri che formano l' opera, il 11 è da considerare la continuazione del I libro della Fisica e il v forma uno scritto a sé sui termini tecnici della filosofia; le parti piu unitarie dell'opera sono costituite dai libri u, m, iv e VI che svolgono una introduzione generale alla filosofia prima, mentre i libri vn, vm e 1x svolgono la dottrina della sostanza e della potenza e del!' atto e infine il libro xn comprende la trattazione su Dio. La filosofia prima è per Aristotele « la scienza del!' essere in quanto essere, ossia dei_ principii e delle cause dell'essere e dei suoi attributi essenziali». I significati del termine "essere" sono però molteplici; il principale di essi è quello di sostanza, per cui essere significa l'essenza unita alla materia e determinata come individuo concreto; compito della filosofia prima, ossia della scienza piu generale che si possa avere, sarà allora quello di determinare i caratteri comuni a tutte le sostanze; questi caratteri, però, non vanno presi per delle entità aventi valore per se stesse, indipendentemente appunto dalle sostanze in cui divengono concrete; l'essere in quanto essere non è dunque il genere supremo del reale in quanto reale per se stesso; reali sono prima di tutto le sostanze, cioè gli individui concreti, di cui si predicano tutti i generi e tutte le specie, ivi compreso lessere come genere sommo. Non è dunque dal genere sommo, scambiato per realtà, che derivano gli altri esseri, ma è negli esseri individui che hanno la propria base tutte le essenze. Come si vede, su questo punto Aristotele non va d'accordo con Platone; pur convenendo con lui e contro il naturalismo che gli esseri concreti non si spiegano con lindicazione soltanto della materia che li compone e che si deve pertanto far ricorso anche alla forma o 121 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV CAP. V essenza, Aristotele non segue Platone nella costruzione di una scienza delle essenze che non tenga conto del loro condizionamento materiale e del loro legarne con gli individui concreti. Per questo, fatto un richiamo ai primi principii o assiomi della scienza in genere, senza ammettere i quali non sarebbe possibile parlare dell'essere in alcun senso (si tratta dei principii per cui non si può affermare e negare nello stesso tempo, non si può dire che una cosa è e non è o che uno stesso attributo appartiene e non appartiene allo stesso soggetto nello stesso tempo e sotto lo stesso riguardo), Aristotele si trova nella necessità di svolgere una critica sistematica della dottrina platonica delle idee. Platon!= era giunto a tale dottrina muovendo dal rilievo che soltanto l'universale può essere oggetto di scienza, giacché solo l'universale presenta i caratteri della stabilità e della necessità senza dei quali la scienza nori sarebbe tale; gli esseri individui, per essere soggetti al di\ enire, non possono, a suo giudizio, dar luogo a scienza. Anche Aristotele è dell'avviso che solo luniversale è oggetto di scienza, ma ritiene che Platone abbia errato nel porre le idee come separate dal mondo sensibile. Anzitutto, se le idee sono l'unità del molteplice che si riscontra nel!' esperienza, si potrà avere l'unità di molte sostanze, come nell'idea di uomo, o l'unità di molte qualità come nell'idea di bellezza; si dica lo stesso per la quantità e per le altre categorie; in tal modo, osserva Aristotele, si fa esistere come sostanza anche l'idea di ciò che non è sostanza, per es. si conferisce una realtà per ·sé alla bellezza che, nel reale concreto, non esiste affatto per sé, ma inerisce ad una realtà. In secondo luogo, se diciamo, per es., che l'uomo è animale razionale, e se consideriamo che, secondo la dottrina platonica, dovrebbero aversi sia l'idea di animalità che quella di razionalità, dovren:imo concludere che l'uomo che è una realtà unitaria ha in sé due sostanze, cioè la realtà per sé dell'animalità e quella della razionalità. Allo stesso modo, se l'idea di animale è una unità, in quanto realtà per sé, dovrebbe trovarsi tanto nell'animale razionale quanto in quello irrazionale, cioè dovrebbe trovarsi nei contrari; allora o i contrari, trovandosi nella stessa realtà unitaria, non sono piu contrari, oppure la realtà unitaria, trovandosi in essi, non è piu Umtaria. Aristotele ha sviluppato anche l'argomento del "terzo uomo" che, come si è visto, fu attentamente considerato anche da Platone : non 133 Baruch_in_libris § 6 LA METAFISICA ha nemmeno mancato di rilevare che le idee, essendo immr:bili, non possono essere causa di movimento, che non possono agire sulle cose essendo da esse separate, che è sempre e soltanto il particolare: che produce il particolare, come è sempre e soltanto un uomo che gener:i un altro uomo. Le idee, in conclusione, proprio perché non sono sostanze, non spiegano veramente la realtà e non danno quindi luogJ a vera scienza. Come superare allora la difficoltà per cui da un lato solo l'universale è oggetto di scienza e dall'altro solo l'individuo concreto è reale? Aristotele risponde che, se l'essere concreto risulta di materia e forma, di potenza ed atto e se senza questi elementi non si spiega il suo divenire, non bisogna d'altra parte lasciarsi ingannare dal puntl> di vista del divenire ed estenderlo anche alla fiìosofia prima che deve cogliere l'essere in quanto essere. Non bisogna specialmente ritenere che la forma, poiché si congiunge con la materia, sia un semplice risultato della materia; lo sviluppo del reale non va dall'indeterminato al determinato; infatti il procedimento dalla potenza all'atto non si spiega se non mediante la presenza dell'atto, come lo sviluppo dalla materia alla forma non si spiega che mediante la presenza della forma. Il mondo non deriva dalla notte, dal caos, dall'indeterminato; la base del reale è, per contro, la determinaziono, la forma, l'attualità. Ora il punto di vista della filosofia prima è quello della scienza dell'essere, non già prospettato come operante nella materia, bens1 prospettato come e:ssere, cioè come determinazione originaria e data. Da questo punto di vista, è ovvio che l'individuo concreto sia visto come forma, come determinazione, come attualità. La forma è ciò che fa s1 che un individuo continui ad essere quello che era prima, nonostante i muta· menti intervenuti; tale forma non cresce e non diminuisce col crescere o col mutare dell'individuo; essa non è suscettibile di piu o di meno; essa dunque non ammette divenire; quando, per es. si costruisce una sfera di bronzo, la sua forma, che è la forma sferica, non subisce le vicende della nascita e del divenire; quello che nasce è appunto la sfera di bronzo, non la sfera; cosi quando nasce un bambino, non è la forma umana che nasce, ma quella particolare unione di materia e forma. Il principio piu rilevante della filosofia prima è appunto la precedenza dell'atto sulla potenza, della forma UJ Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV CAP. V sulla materia. In conclusione, per Aristotele reale è solo l'individuo concreto, ma ciò che ne fa la sostanza è la forma; la forma, anche se non esiste separatamente dall'individuo, può essere oggetto di scienza in quanto viene considerata in sé stessa. Le forme vengono colte dalla mente nella loro autonomia dagli individui, anche se non bisogna dimenticare che esse sono reali soltanto negli individui; che esse siano reali soltanto negli individui non vuol dire però che esse abbiano un'origine empirica; esse sono originarie e in quanto tali vengono considerate dalla filosofia prima. Una difficoltà, tuttavia, permane nel sistema aristotelico; è quella già affiorata riguardo al primo motore immobile che, per spiegare veramente il divenire che si riscontra nel mondo, deve porsi fuori di esso; è la stessa difficoltà che si può cogliere nell'affermazione, testé accennata, per cui la forma e l'atto non sono risultato di un processo, ma sono originari. La difficoltà si può formulare propriamente cosi: se la forma, l'atto, il motore immobile, sono dati originari, non saranno anche, di necessità, separati dal mondo? Aristotele ha risposto al problema con la sua dottrina di Dio. Il motore dei cieli, si è visto, non può essere che in atto; sarà quindi del tutto privo di materia, cioè di potenzialità, in quanto punto finale e fermo del divenire, non in divenire esso stesso; ora un essere del tutto privo di materia, potenza e divenire, non può essere che pensiero ( VOTJO"Lç ); a questa conclusione Aristotele arriva per analogia da quella condizione che, nell'uomo, egli ritiene la piu perfetta: ossia la condizione dell'uomo che possiede la scienza, di cui ha conoscenza definitiva ed immutabile; è vero che, in noi, molti limiti intervengono a rendere meno perfetta la condizione indicata : infatti la vita del corpo ci _distoglie spesso dalla contemplazione della verità, che non riusciamo a realizzare che in modo parziale; ma la stessa condizione umana, ipoteticamente liberata da tutti i suoi limiti, costituisce per Aristotele la condizione eterna e perfetta di Dio. In Dio però non c'è alcuna traccia delle operazioni intellettuali che l'uomo deve compiere per intendere; esse comportano un divenire che deve essere escluso dalla realtà di Dio; e poiché in Dio non si può ammettere passaggio da potenza ad atto, bisognerà concludere che ciò che Dio conosce, l'oggetto del suo pensare, non può essere altro che se stesso; Dio è pensiero di pensiero ( VOT]GLç vo~aEroç ). Proprio perché 12'4 Baruch_in_libris § 6 LA METAFISICA è punto finale del mondo, Dio non è demiurgo, non ordina il mondo, di cui non ha nemmeno conoscenza; egli è soltanto il fine verso il quale il mondo tende, ed anche il movimento che imprime al mondo si spiega come tendenza ·del mondo ad imitare l'immutabilità e la immobilità divina. Dio non è la sostanza di tutte le cose, egli non ha rispetto agli esseri reali la stessa funzione che avevano le idee di Platone; Dio è piuttosto una sostanza per sé, la prima delle sostanze, in quanto del tutto priva di materia può realizzare in pieno la forma e l'attualità; Dio garantisce, cosi, l'unità finale del mondo, ma sempre sulla base d'una concezione del reale inteso come formato di individui concreti. Si potrebbe dire che la dottrina di Dio giova a concludere, come limite ideale, il sistema aristotelico del mondo; ma la realtà di Dio non interviene, per Aristotele, se non marginalmente nella stessa scienza della natura; lo studio degli esseri, delle sostanze, va condotto avanti tenendo conto di quello che piu direttamente è a contatto dell'uomo; senza dire che la morale e la politica non fanno alcun ricorso alla dottrina di Dio. È dunque giusto rilevare che Aristotele, ponendo Dio separato dal mondo, come sostanza a sé, ha in certa misura riammesso l'istanza platonica delle idee; ma è anche vero che mentre per Platone le idee sono realtà supreme regolatrici di tutto il reale e di tutti i suoi aspetti, per Aristotele Dio ha un compito piu limitato e circoscritto, che lascia sussistere, quindi, nella loro autonomia, i singoli esseri concreti nonché la scienza che li concerne. Il procedimento analitico della filosofia aristotelica ha quindi conseguito, come suo piu importante risultato, quello di sciogliere la gerarchia platonica di mondo e sopra mondo, per ridare al mondo maggiore autonomia e rilievo. 7. L'etica. Allo studio della morale non si può richiedere, secondo Aristotele, rigore scientifico sia perché i ragionamenti intorno alle azioni sono piu veraci quanto piu sono particolari, mentre quelli generali sono "vuoti", sia perché la condotta non dipende certo solo dalla conoscenza. « Ogni arte cd ogni ricerca, ogni azione come ogni proposito, 125 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV CAP. V scrive lo Stagirita, pare che miri ad un bene» il quale è pertanto «il fine dell'azione»; ma vi sono molte azioni, quindi anche molti fini e molti beni; si potrebbe parlare di bene supremo per quel fine delle nostre azioni che. non vogliamo in vista di altro, ma per se stesso; spesso lo si chiama "felicità" (eùl'ìmµov(u); «ma intorno a ciò che sia felicità, c'è discordia». Infatti sembra che gli uomini concepiscano il bene e la felicità « a seconda del loro genere di vita »; i generi di vita piu notevoli sono tre: quello « della massa e delle persone piu rozze che prediligono una vita di godimento », quello di chi si dedica alla politica e infine il contemplativo che mira alla ricerca scientifica; il fine dei primi è il piacere, quello dei secondi l'onore, quello dei terzi il sapere. Per chiarire il contrasto che ne nasce, Aristotele rileva che «come per chiunque ha un lavoro ed un'attività sembra che il bene e la perfezione risiedano nella sua opera propria, cosi può sembrare anche per l'uomo, se esiste qualche opera che sia a lui propria». Quale sarà l'attività propria dell'uomo? «Non già il vivere, giacché questo è comune anche alle piante, mentre invece si ricerca qualche cosa che sia proprio dell'uomo; bisogna dunque escludere la nutrizione e la crescita; segue la sensazione, ma anche questa sembra essere comune al cavallo, al bue e ad ogni animale; resta dunque una vita attiva propria di un essere razionale; sicché dell'uomo sarà proprio un dato genere di vita costituita dall'attività dell'anima e dalle azioni razionali e tale attività sarà compiuta secondo virru, cioè secondo il fine proprio della stessa attività». Il valore di un essere si misura insomma in relazione alla perfezione o efficacia con cui in esso si compie la funzione che gli è propria. Poiché nell'uomo si deve distinguere, come sua propria, l'attività della ragione in quanto ragiona e in quanto governa le passioni, si avranno due specie di virru; quelle etiche saranno realizzate dalla ragione nella disciplina delle passioni e quelle dianoetiche nell'esercizio che la ragione fa di se stessa nel suo campo proprio e cioè nella conoscenza. Premesso che solo con l'abitudine si acquista un abito virtuoso, Aristotele "sostiene che le virtu etiche realizzano nelle azioni un giusto mezzo; infatti «le azioni sono soggette a divenire imperfette o per difetto o per eccesso; per es., sia gli esercizi eccessivi che gli scarsi esercizi nuocciono alla forza, il bere cd il mangiare che siano sovrab126 Baruch_in_libris § 7 bondanti o deficienti rovinano la salute; cosi avviene anche per il coraggio e le altre virtu; infatti chi fugge e teme ogni cosa e nulla affronta diviene timido, chi invece non teme nulla ma va contro ogni cosa diviene temerario». Tale via di mezzo non si può pere fissare per tutti con rigore matematico; il giusto mezzo va piuttosto stabilito «in relazione a ciascuno»: «del timore, dell'ardire, del desiderio, dell'ira v'è un troppo e un troppo poco ed entrambi non vanno bene; ma se proviamo quelle passioni quando si deve, in ciò che si deve, verso chi si deve, allo scopo e nel modo che si deve, allora saremo nel giusto mezzo che è proprio ddla virtu »; cosi « riguardo alle paure e agli ardimenti, la via di mezzo è· il coraggio; riguardo ai piaceri ed ai dolori, medietà è la moderazione; riguardo al dare e ricevere danari medietà è la generosità, mentre eccesso e difetto sono la prodigalità e l'avarizia». Le principali virtu etiche sono appunto il coraggio, la moderazione, la generosità, la magnificenza, la mansuetudine; particolare attenzione Aristotele dedica alla giustizia che non intende però alla maniera di Platone come regola stessa della virtu; essa riguarda piuttosto la distribuzione di onori e ricchezze fra i cittadini, il rispetto dei contratti, la proibizione degli atti di violenza e· di arbitrio; l'eguaglianza che la giustizia tende ad affermare in questi casi è distributiva quando si tratta di ripartire i beni comuni (è cioè proporzionale al valore e merito di ciascuno), è invece aritmetica nel diritto contrattuale e nel penale, cioè nell'equilibrio dei compensi e delle pene. · Le virtu dianoetiche riguardano le varie forme di attività con cui l'anima consegue la verità, cioè l'arte, la scienza, la saggezza, la sapienza e l'intelletto; mentre scienza si ha di ciò «che non può essere diversamente da come è l>, l'arte è lo studio teorico del come possa prodursi qualcuna delle cose che possono sia esserci che non esserci, saggezza è « una disposizicne pratica, accompagnata da ragione verace, intorno a ciò che è bene e male per l'uomo», l'intelletto è la capacità di cogliere i principii della scienza. Quella di tali attività che si trova direttamente sul piano della pratica è la saggezza che consiste nella capacità di ben deliberare, ossia di indicare con lo studio 1 mezzi piu adatti a conseguire un determinato fine. La virtu dell"uomo circa l'uso della ragione per se stessa si riduce quindi, sul piano Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV CAP. V della pratica, al calcolo dei mezzi in ordine ai fini, condotto con fondamento rdzionale e con efficacia. Intorno alla dibattuta questione del piacere, Aristotele assume una posizione mediana; non accetta l'ascetismo· di chi dichiara che ogni piacere è cattivo, come non pone il piacere ad unico principio dell'azione. Ogni atto, nel suo realizzarsi, osserva Aristotele, dà luogo ad un piacere; il piacere accompagna costantemente l'esplicarsi dell'attività e il suo pervenire a compimento e, cosi, corona la sua perfezione; il piacere vale pertanto quanto vale l'atto stesso di cui esso esprime il compimento. Un rilievo tutto particolare Aristotele attribuisce, nel quadro delle varie forme dell'attività umana, all'attività teoretica pura o contemplativa: « Se tra le azioni conformi alle virtU quelle politiche e quelle di guerra eccellono per grandezza e per bellezza, scrive, ma sono disagiate e mirano ad un altro fine e non sono scelte per se stesse, invece l'attività dell'intelletto, essendo contemplativa, sembra eccellere per dignità e non mirare a nessun altro fine all'infuori di se stessa e ad avere un proprio piacere perfetto ed essere autosufficiente, agevole, ininterrotta; e sembra che in tale attività si trovino tutte le qualità che si attribuiscono all'uomo beato». Sia Platone che Aristotele hanno in proposito esal.tato l'attività della pura conoscenza contemplativa, mentre hanno considerato l'azione umana sempre esposta al fluttuare dell'esperienza ed al tumulto della sensibilità. 8. La politica. Anche nella politica Aristotele ama, anziché risalire a modelli astratti al modo del primo Platone, rifarsi alle concrete forme della vita associata per analizzarne gli elementi e gli sviluppi. Anzitutto il fatto che piu individui si associno non è una questione di libera scelta, ma è il risultato di 1,m comportamento secondo natura, ossia è l'esplicarsi d'una finalità che è intrinseca ai molti. Dapprima « è necessario che si associno gli esseri che non possono vivere separati l'uno dall'altro, come la femmina e il maschio a causa della riproduzione»; e si avrà la famiglia. L'associazione di piu famiglie per realizzare un'utilità piu complessa dà luogo ai villaggio; l'associazione ben salda di piu villaggi è la città «che basta a se stessa per lo scopo dell'esistenza e 1:1.8 Baruch_in_libris s8 LA POLITICA per conseguire in questa la perfezione». Proprio perché trova nella famiglia, nel villaggio, nella città il modo di perfezionare se stesso, «l'uomo è animale per natura socievole» e «colui che fosse estraneo ad ogni convivenza civile per natura e non per sorte, sarebbe un essere o al di sopra o al di sotto dell'umanità». Gli elementi che formano la famiglia sono i rapporti fra padrone e schiavo, fra marito e moglie, fra padre e figli. Gli schiavi vanno considerati, secondo Aristotele, in relazione alle tecniche che riguardano l'amministrazione della casa e che hanno bisogno di strumenti per esplicarsi; come il pilota si serve, per guidare la nave, d'uno strumento inanimato come il timone e di uno animato come la vedetta, cosi chi amministra la casa si serve di strumenti inanimati come gli utensili e di strumenti animati come gli schiavi. « Se le spole tessessero da sole o i plettri suonassero da sé, allora né gli imprenditori avrebbero bisogno di operai, né i padroni di schiavi; sicché lo schiavo è un operaio che serve all'azione. Chi per natura non appartiene a sé ma ad un altro, pur essendo uomo, è uno schiavo per natura; ed appartiene ad un altro quell'uomo che, pur essendo uomo, è oggetto di proprietà ». Il criterio da seguire per chiarire i rapporti che formano la famiglia è quello della funzione che ognuno esercita nella società familiare; come, nel rapporto fra marito e moglie, l'uno si rivela superiore e quindi di fatto comanda e l'altra si rivela inferiore e quindi di fatto obbedisce, cosi gli schiavi che di fatto sono sottoposti, si rivelano utili e necessari nella loro funzione; «la natura stessa sembrà voler fare diversi i corpi degli uomini liberi e degli schiavi: questi ultimi vigorosi per i lavori materiali, quelli invece diritti ed eleganti, inetti a simili lavori, ma utili per la vita civile ». Quasi un libro intero della Politica è dedicato alla critica delle dottrine svolte nella Repubblica di Platone. All'aforisma platonico che l'unità della città è il sommo dei beni, Aristotele ribatte che la città «è una somma numerica e qualitativa di individui» che l'unità portata alle estreme conseguenze può comprimere e rovinare, mentre solo «l'antitesi nell'eguaglianza » può salvarla. Quanto alla proprietà collettiva dei beni propugnata da Platone, Aristotele osserva che « delle proprietà comuni ci si prende meno cura, perché ciascuno attende con maggior impegno ai suoi interessi privati che ai pubblici, ed a questi 129 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV CAP. V solo quando hanno attinenza con i suoi interessi privati ». « Se po~ rileva non senza ironia lo Stagirita, la comunanza delle donne e dei figli dovesse esserci, sarebbe meglio che avesse luogo presso i contadini che presso quelli che sono chiamati alla custodia della città : infatti, essendo comuni i figli e le mogli, la concordia verrà meno ed è opportuno che i sudditi si trovino in condizione di obbedire, non di · tentare rivoluzioni ». La trattazione piu ampia della Politica è riservata alla discussione delle varie forme di governo e di costituzione. Esse sono la monarchia, l'aristocrazia e la politia, secondo che l'autorità è nelle mani di uno, o di pochi privilegiati o della maggioranza dei cittadini; di ciascuna delle forme di governo si ha la degenerazione rispettivamente nella tirannide, nell'oligarchia e nella democrazia; il criterio che differenzia le forme perfette e quelle degenerate di governo consiste nel fine per cui sono esercitate; sono perfette le forme di governo quando q11esto viene esercitato « per la comune utilità »; sono degenerazioni quando il governo viene gestito « per privato interesse »; infatti « la tirannide è una monarchia che ha per fine il vantaggio del monarca, l'oligarchia il vantaggio degli abbienti, la democrazia il vantaggio dei nullatenenti; ma nessuna di queste mira all'utile comune». Il migliore reggimento della città si ha, secondo Aristotele, in un contemperamento di aristocrazia e di democrazia, che è poi un equilibrio fra la classe dei ricchi e quella dei poveri, nel quale nessuna delle due risulti sacrificata all'altra; il miglior governo sarà dunque quello della città in cui prevale la classe media, che è l'elemento naturale della comunanza civile; invece « dove gli uni posseggono troppo, gli altri nulla, o si va alla democrazia estrema o all'oligarchia esclusivistica, o alla tirannide per gli eccessi compiuti da entrambe le parti»; il popolo migliore è poi « quello formato di contadini, perché non avendo sovrabbondanza delle cose di prima necessità attende piu al lavoro che all'esercizio dei diritti civili », mentre spesso la massa cittadina « va oziando nelle assemblee popolari». Poiché l'intera comunità politica ha un solo fine, «è chiara la necessità che l'educazione sia una sola cd identica per tutti e che la cura di essa sia affidata allo stato e non ai privati, come accade ora che ognuno si prende cura privatamente dei suoi figli e ad essi im- Baruch_in_libris § 8 LA POLlTICA partisce I'insegnaml!nto che crede; è di pubblico interesse invece che l'esercizio delle singole attività sia subordinato all'interesse collettivo; nello stesso tempo non bisogna credere che ogni cittadino sia padrone assoluto di sé, ma invece che tutti appartengono alla città, essendo ciascuno parte della città ». 9. La poetica. Nella trattazione incompleta della Poetica, Aristo~ele muove dal mettere in rilievo ciò che è comune sia all'epopea come alla tragedia, alla commedia come alla poesia ditirambica; tutte queste produzioni letterarie sono " mimèsi o arti di imitazione " anche se esse differiscono perché o imitano con mezzi di diverso genere (linguaggio, armonia o ritmo), o imitano cose diverse (i diversi soggetti), o imitano in maniera diversa (o in forma narrativa, o in forma drammatica). La poesia è, dunque, essenzialmente imitazione: «l'imitare è un istinto di natura comune a tutti gli uomini fino dalla fanciullezza; inoltre, essendo naturali in noi non pur la tendenza all'imitazione in genere, ma anche e piu precisamente la tendenza ad imitare mediante il linguaggio l'armonia e il ritmo, cosi è avvenuto che coloro i quali già avevano per queste cose, piu degli altri, una loro disposizione naturale, procedendo poi con una serie di lenti e graduali perfezionamenti, dettero origine alla poesia ». La forma di poesia analizzata piu ampiamente da Aristotele è la tragedia, che egli definisce « mimèsi di un'azione seria e compiuta in se stessa, con una certa estensione, in un linguaggio abbellito di varie forme di abbellimenti, in forma drammatica e non narrativa e mediante una serie di avvenimenti che suscitano pietà e terrore, che ha per effetto di sollevare e purificare l'animo da siffatte passioni»; l'elemento piu importante della tragedia è il mito, cioè la composizione della vicenda, o il complesso dei casi che essa rappresenta; « il mito, poiché è la imitazione di azione, osserva Aristotele, deve essere imitazione di un 'unica azione, tale insomma da costituire un tutto compiuto; e le parti che la compongono devono essere coordinate per modo che, spostandone o sopprimendone una, ne resti come dislogato e rotto tutto l'insieme». Ufficio del poeta, però, non è quello di « descrivere cose realmente accadute, ma quali possono in date occa· IJI Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV CAP. V sioni accadere, cioè cose le quali siano possibili secondo le leggi della verosimiglianza o della necessità ». « Lo storico e il poeta, spiega lo Stagirita, non differiscono perché l'uno scriva in versi e l'altro in prosa; la storia di Erodoto, per es., potrebbe benissimo esser messa in versi e anche in versi non sarebbe meno storia di quel che sia senza versi; la vera differenza è che lo storico descrive fatti realmente accaduti, il poeta fatti che possono accadere »; perciò « la poesia tende piuttosto a rappresentare l'universale, la storia il particolare »; si rappresenta l'universale quando si mostra che «a un individuo di tale o tale natura accade di dire o fare cose di tale o tale natura in corrispondenza alle leggi della verosimiglianza o della necessità » ; invece si ha il particolare, quando si dice, ad es., « che cosa fece Alcibiade o che cosa gli capitò». Un poeta può poetare, però, anche su fatti realmente accaduti, perché « anche tra i fatti realmente accaduti niente impedisce ve ne siano alcuni di tal natura da poter essere concepiti, non come accaduti realmente, ma quali sarebbe stato possibile o verisimile che accadessero». Le norme di correttezza che valgono per la poesia non sono le stesse che valgono per la politica o per la morale, osserva anche Aristotele; e nel giudicare dell'opera di poesia, bisogna soprattutto rife.. rirsi ad eventuali errori che si verifichino (( dentro i limiti della poe· tica »; il primo errore « consiste nella incapacità da parte del poeta di rappresentare un oggetto nel modo che egli si propose di rappresentarlo ». I caratteri che contraddistinguono, nel suo insieme, la filosofia di Aristotele sono principalmente due: egli ha anzitutto legato la tratta· zione filosofica a un vasto complesso di altri settori di studio; cosi il suo De coelo imposta una trattazione dell'astronomia, gli scritti sugli animali svolgono un sistema di biologia e di fisiologia; altrettanto si dica per le osservazioni raccolte da Aristotele intorno alla botanica e alla embriologia, o per la sua trattazione del movimento. Ognuno di questi campi di studio viene considerato in connessione con l'insieme delle conoscenze umane, ma ognuno viene anche visto nella sua par· ticolarità, nei suoi elementi e sviluppi, nelle sue strutture; si può dire che, da tale punto di vista, la filosofia di Aristotele si presenti come una grandiosa sistemazione enciclopedica, cui nessuno era giunto prima di lui; da molti punti di vista pertanto si è potuto attingere all'opera ari· 13a Baruch_in_libris LA POETICA stotelica nei secoli successivi; ciò ha determinato un influsso che si è esercitato nei campi piu diversi e nei settori piu lontani del sapere; si può ben dire che questa sia anche la parte piu caduca del sistema aristotelico, quella che le scienze moderne sono venute lentamente scalzando, anche se l'influsso dello Stagirita giunge in alcune direzioni fino quasi a raggiungere il nostro tempo. Il secondo carattere da rilevare concerne piu propriamente la filosofia di Aristotele; se Platone incarna nella storia del pensiero il principio dell'idealismo e del razionalismo, si può dire che Aristotele incarni piuttosto l'indirizzo realistico ed empiristico; è infatti alla realtà individuale che egli si attiene e, quando ne penetra le strutture essenziali, non le scambia mai per delle realtà a sé stanti; in lui l'analisi scientifica non sente piu la necessità di essere sorretta da una struttura ontologica diversa da quella intrinseca al mondo che ci è immediatamentt' presente; ed è solo muovendo da questo mondo e ad esso facendo capo che si individuano anche i capisaldi trascendenti della sua realtà. Ad Aristotele si è rifatta, per questi caratteri del suo pensiero, non soltanto una corrente della filosofia ellenistica che, all'interno della scuola peripatetica, ha cercato di op· porre resistenza al dilagare delle vedute mistiche e religiose, ma anche una larga corrente del pensiero cristiano, quella che ha voluto presentare l'ordine religioso come un punto di arrivo da conseguire attraverso una approfondita analisi del mondo reale immediato; se, per questo lato, il pensiero aristotelico ha aiutato, sul finire del medioevo, la riconquista di una visione analitica ed autonoma del finito, minori suggestioni esso ha poi potuto esercitare sul pensiero moderno; questo anzi non dimenticherà che la scienza moderna è potuta nascere soltanto attraverso una battaglia grandiosa contro l'aristotelismo. 10. Pirrone e lo scetticismo. Nella seconda metà del secolo 1v, accanto alla ricerca aristotelica (che, del resto, dopo la morte di Aristotele viene proseguita, nella stessa scuola, da parte di Teofrasto nella direzione di un accentuato naturalismo), continua a vivere la scuola di Platone che, nel 347, passa nelle mani di Speusippo; nell'un caso e nell'altro non si toccano, nemmeno da lontano, i vertici dottrinali che erano stati raggiunti dai due piu IJJ Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV CAP. V grandi maestri dell'antichità. Anche le scuole socratiche minori sono ancora attive; nella scuola cirenaica, con Aristippo il giovane, nipote del fondatore, si raggiunge la formulazione di un vero e proprio sistema edonistico, che pone il sommo bene « nella vita colma di piaceri », ritenendo piacere « quello collegato col movimento » che non sia cioè né calma assoluta ma morta, né agitazione violenta. La scuola cinica annovera, in questo tempo, come suo popolare esponente Diogene di Sinope, che accentua la polemica contro la società e insiste nel disprezzo della comodità e del piacere come vera liberazione dell'animo. La scuola megarica infine continua le ricerche logiche e dialettiche. A quest'ultimo indirizzo si richiama appunto Pirrone che, nato ad Elide i torno al 365, prese parte alla spedizione di Alessandro in Asia e fondò una scuola nella sua città natale verso il 320, dirigendola fino alla morte che lo colse nel 275 circa. Pirrone non ha lasciato alcuno scritto, ma è egualmente considerato il· fondatore dell'indirizzo scettico. Esso si richiama a quella tradizione del precedente pensiero greco che aveva dato particolare rilievo all'argomentazione deduttiva non-contraddittoria; su di essa Parmenide aveva fondato la sua concezione della realtà e ZenQne la sua critica della molteplicità e del divenire; in questa stessa direzione si era posto almeno in parte l'atomismo di Democrito e specialmente la scuola megarica. Pirrone era molto abile nell'esame dei problemi dialettici e giunse alla conclusione che « intorno ad ogni cosa si può dire che non piu essa è di quanto non sia, oppure che è e anche che non è, oppure infine che né è né non è». Non è improbabile che Pirrone si rifacesse, attraverso la scuola megarica, proprio all'insegnamento parmenideo; egli avrebbe infatti sostenuto, secondo quanto afferma il suo discepolo Timone di Fliunte, che « la natura del divino e del bene è sempre la stessa »; appunto per questo gli sforzi degli uomini per stabilire che le cose sono qu~sto o quello, o questo piu o meno di quello, non hanno esito; ogni tentativo di " discernere " fra loro le cose e le qualità secondo verità fallisce perché «la realtà del divino e· del bene è sempre la stessa », cioè indifferente ed indiscernibile; ecco perché le sensazioni, e le opinioni con cui cerchiamo di uscire dall'identità indifferente del reale non hanno fondamento e non possono quindi essere né vere né false; il compito che Pirrone si assume è appunto 1 14 Baruch_in_libris § IO PllU.1.0NE quello di dimostrare sia con metodo espositivo, sia con il metodo delle interrogazioni, che non bisogna prestar fede né alle sensazioni, né alle opinioni; bisogna essere, egli sostiene, senza opinioni. Con Pirrone dunque la polemica di Zenone contro il divenire e la molteplicità si è estesa a tutte le opinioni, a tutte le affermazioni di differenza e discernimento fra le cose. Ad un simile atteggiamento mentale di ripulsa per tutte le opinioni tiene dietro un atteggiamento pratico di perfetto equilibrio; proprio dall'essere la natura del divino e del bene sempre la stessa deriva all'uomo una natura piu equilibrata; anche l'uomo deve essere sempre lo stesso, come sospeso nell'indifferenza; le inclinazioni nascono in noi dalle opinioni; e qalle inclinazioni nascono le agitazioni; se dunque saremo senza opinioni, ci troveremo anche senza inclinazione e senza agitazione. « Chi si mantiene in questa disposizione d'animo, affermava Pirrone, prima conseguirà la sospensione di ogni discorso e poi la imperturbabilità ». Ma è tanta la nostra inclinazione a pronunciare giudizi e ad assumere opinioni che, per sospendere ogni nostra affermazione, dobbiamo quasi « svestire l' uomo »; proprio alla sospensione di ogni discorso erano comunque rivolti tutti i discorsi del fondatore della scuola scettica. Si badi, però, che l'atteggiamento scettico intende colpire i discorsi che pretendop.o di' essere veri e che .hanno riguardo quindi alla « realtà » delle cose; ben altro è invece il discorso che si ha da fare per quanto concerne le apparenze: « Non esiste alcuna cosa che sia buona o cattiva per natura, mentre lo è secondo che le cose vengono giudicate dalla mente degli uomini »; proprio per questo « mentre in tutte le cose nulla è secondo· verità, gli uomini fanno tutto sulla base della legge e del costume»; per questo altresi'. «l'apparenza è sempre potente dovunque si presenta». L'apparenza e la consuetudine insomma possono guidare l'uomo nella vita; né c'è bisogno alcuno, nel campo pratico, di adottare definizioni e discriminazioni precise di valori, come bene e male, giustizia e .ingiustizia. L'imperturbabilità è appunto di chi, oltre che essere privo di opinioni e perciò di turbamenti, si affida nella vita quotidiana alla consuetudine ed all'apparenza. Pirrone aveva presente al riguardo l'enunciazione democritea che dice: << non asserisco che il miele sia dolce, anche se convengo che mi pare tale». Dcl resto non si era preoccupato anche Parmenide di offrire, 135 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO IV CAP. V accanto alla dottrina della verità, una dottrina dell'apparenza? Lo scetticismo nasce dunque, in Grecia, come ·critica radicale di tutte le. opinioni e di tutte le affermazioni di verità. Lo stesso discepolo di Pirrone, Timone di Fliunte, canta del resto la grandezza del maestro per avere egli superato tutte le persuasioni illusorie ed avere raggiunto cos1 la piu alta sapienza. II pensiero greco raggiungeva cosi, sul fi. nire del secolo 1v, due esiti contrastanti e legati ai due indirizzi principali della tradizione precedente: da un lato la sistemazione enciclopedica di Aristotele e la sua visione unitaria della realtà, dall'altro la piu ampia negazione delle determinazioni e delle distinzioni sia di ordine teorico che morale, per una piu aperta adesione al mondo dell'esperienza e della consuetudine, suggerita in ultimo dal desiderio di una perfetta tranquillità ed indifferenza di spirito. Con Pirrone si afferma in pieno l'etica individualistica già seguita dalle scuole socratiche minori; tramontata la civiltà della polis e con essa le istituzioni chcr davano un preciso contenuto storico all'azione dell'individuo, questi si ritrae in se stesso e pone in primo piano l'aspirazione alla tranquillità; lo scetticismo nasce infatti come tentativo di liberazione dalle contrapposte dottrine e come sforzo di conseguire, con l'indifferenza rispetto ai problemi del pensiero, la piu perfetta serenità della vita. 11. Lo sviluppo delle scienze. Nella seconda metà del secolo Iv il maggior contributo allo sviluppo delle scienze particolari è stato certamente recato dalla scuola aristotelica. A Teofrasto che la diresse subito dopo la morte di Aristotele la botanica deve due dei trattati piu importanti dell'età antica: le Ricerche sulle piante che contengono la descrizione e classificazione delle piante nonché l'esame di questioni sulla loro coltura, distribuzione geografica ed. uso e Le cause delle piante che comprendono la loro anatomia e fisiologia; inoltre Teofrasto nello scritto Sulle pietre ha gettato le basi per una trattazione scientifica della geologia e della petrologia. Il piu grande matematico del periodo è Aristeo che fiorisce verso la fine dcl secolo IV e scrive sul metodo geometrico, sui cinque solidi regolari e sulle coniche. Un perfezionamento al sistema astronomico di Eudosso, con l'introduzione di 34 anziché di 27 sfere, si deve a Callippo di Cizico che fio136 Baruch_in_libris Su LO SVILUPJ'O DELLE SCIENZE risce in Atene intorno al 330, mentre l'astronomo e matematico Autolico di Pitane che fiorisce un ventennio piu tardi reca notevoli contributi alla discussione della dottrina di Eudosso, rilevando specialmente che dalla differenza che appare nelle grandezze relative dcl sole e della luna nonché da quella che si riscontra nello splendore dci pianeti si possono trarre indicazioni circa la loro distanza dalla terra. A capo della scuola dogmatica di medicina si trova nel periodo che va dal 340 al 320 Prassagora di Cos, che è il primo a distinguere le vene dalle arterie, stabilendo che le prime recano il sangue mentre le seconde sono piene di aria; la scuola di Prassagora comprende anche un gruppo -di studiosi minori di medicina che si affermano negli ultimi. decenni dcl secolo. Infine la storia viene coltivata da Tcopompo, brillante oratore e discepolo di Isocrate; anche la sua narrazione storica risente di tali doti per i racconti drammatici, i discorsi e le descrizioni morali di cui abbonda. rp Baruch_in_libris CAPITOLO VI Il secolo lii EPICURO. LO STOICISMO: ZENONE. CLEANTE. CRISIPPO 1. Il periodo. Nel m secolo la Grecia tenta piu volte di insorgere contro la signoria macedone; una lega di stati si viene organizzando nel territorio dell'Etolia, nella Grecia centrale; un'altra lega si viene contemporaneamente stringendo fra le città del Peloponneso occidentale; è appunto questa lega achea che, sul finire del secolo, raggiunge, per l'apporto sempre piu numeroso di altre comunità del Peloponneso, una rilevante potenza. Ma la lotta per l'indipendenza dalla Macedonia viene attraversata dai contrasti non sopiti, anzi rinfocolati, fra . i gruppi del potere oligarchico e le aspirazioni democratiche; il centro di tali contrasti è Sparta, dove il sorgere di grandi proprietari di schiavi e di i:icchi latifondisti impedisce ai cittadini rimasti senza terra l'attuazione di riforme e il ripristino delle vecchie leggi di Licurgo; le proposte per ·una nuova ripartizione della terra e i tentativi compiuti per tradurla in atto non ebbero successo. Anzi la stessa lega achea che aveva continuamente guerreggiato contro la Macedonia, per il timore che le riforme democratiche propugnate a Sparta attirassero ancpe le città che ad essa facevano capo, fin{ per chiedere l'aiuto della Macedonia a sostegno dell'oligarchia; il movimento democratico di Sparta fu cosi sconfitto mentre si spegneva ogni velleità di indipendenza della Grecia dalla Macedonia. Atene continua ad essere, in questo periodo, la città greca piu aperta agli interessi culturali; è qui infatti che sorgono le due nuove scuole, quella epicurea e quella stoica, che dominano il m secolo; ma agli inizi dcl secolo, Demetrio di Falero, allievo di Teofrasto, progetta la costruzione ad Alessandria di un grandioso centro culturale che doveva superare per efficienza scientifica e attrezzature di studio gli istituti similari di Grecia e dell'Asia Minore; sorse cosi quella che diventerà presto la piu grande biblioteca del mondo antico; vicino ad essa vengono costruiti un orto lxllarùco, un osservatorio as.trQDomico e preziosissime raccolte di materiale 138 Baruch_in_libris § I IL PEJllODO scientifico; un numeroso corpo di ricercatori viene raccolto dai vari paesi e forma il nerbo del nuovo Museo. Anche se Alessandria si distinguerà soprattutto per il fiorire delle ricerche scientifiche specializzate, l'allargarsi della vita culturale ai nuovi centri della civiltà ellenistica toglie ovviamente rilievo e spicco ad Atene; è, per es., ad Alessandria che vive per quasi vent'anni Stratone di Lampsaco proprio mentre era alla direzione della scuola fondata da Aristotele; come è ad Alessandria che affluiscono, alla corte di Tolomeo Soter, molti dotti e filosofi. La stessa scuola stoica poi che sorge e vive ad Atene ha fra i suoi esponenti, a partire dallo stesso fondatore Zenone, molti uomini di origine orientale e pertanto meno direttamente legati alla stretta tradizione greca e piu aperti e sensibili verso i nuovi problemi della cultura ellenistica. Se la scuola di Epicuro sembra subire meno quest'influsso se non sotto un profilo etico generale (quello stesso già avvertito da alcune delle scuole socratiche minori e determinato dalla crisi etico-politica della polis), la scuola stoica non tarda a risentire della nuova atmosfera culturale; per un certo aspetto anzi la filosofia stoica si propone come la nuova visione del mondo aperta agli orizzonti cosmopolitici ed universalistici dell'ellenismo. 2. Epicuro: il Canone. Epicuro era piu giovane di Pirrone di circa vent1cmque anni; nato a Samo nel 342, giunse ad Atene all'età di 18 anni, ma diede inizio al suo insegnamento solo piu tardi, prima a Mitilene e poi a Lampsaco; portò la scuola ad Atene solo nel 305 e rimase a capo di essa: fino alla morte nel 270. L'associazione da lui fondata accoglieva le persone piu diverse, senza chiedere una speciale preparazione culturale e senza badare all'umiltà delle condizioni sociali; quanti seguivano l'insegnamento di Epicuro si consideravano amici e fratelli ed erano legati da una viva devozione per il maestro oltre che da un comune desiderio di vita serena e razionale. Già .durante la vita di Epicuro, gruppi di suoi scolari si raccolsero in varie città e perfino in Egitto e in Asia; a questi gruppi sono inviate parecchie delle lettere che ci conservano il suo pensiero. Diogene Laerzio afferma che Epicuro compose piu di trecento scritti, fra i quali un'opera Sulla natura in 37 libri ed una Sul criterio o canone. Di tutte queste opere di Epicuro sono giunte fino a noi soltanto una Lettera ad Erodoto sulla natura, una Lettera a Pitocle sulle meteore, una Lettera a Menèceo sulla morale, una raccolta di Massime fondamentali e dei frammenti papirologici; sono inoltre 139 Baruch_in_libris CAP. VI IL SECOLO III numerosi gli scritti postenori ai quali possiamo attingere notizie su Epicuro e sul suo pensiero. Il Canone o regola è quello fra gli scritti di Epicuro che trattava piu particolarmente i problemi della conoscenza. « I criteri di verità, vi affermava l'autore, sono le sensazioni, le antecipazioni e i sentim~nti. La sensazione è sprovvista di ragione e non è capace di ricordo; essa non può modificarsi da sé e se viene modificata da altro, non può aggiungere né togliere alcunché»; questa è appunto la sua forza; infatti la sensazione non può venire confutata né contraddetta; una sensazione non può confutare un'altra sensazione dello stesso genere, perché hanno entrambe la stessa potenza; una sensazione non può confutarne un'altra di genere diverso, perché non hanno lo stesso oggetto; la ragione non può contraddire la sensazione, perché ne dipende interamente. La sensazione è dunque la prima regola della verità « poiché è dai fenomeni che bisogna trarre le indicazioni relative alle cose che sono nascoste; infatti" tutti i nostri pensieri provengono dalle sensazioni per concomitanza, per analogia, per somiglianza e per combinazione». Quanto all'antecipazione, è «un apprendimento, o una retta opinione, o un'idea, o un concetto generale che si trova in noi, come ricordo di ciò che si è presentato spesso fuori di noi; per es., quando, vedendo venir avanti qualche cosa, diciamo che si tratta di un uomo, usiamo la parola uomo in quanto pensiamo immediatamente, in forza dell' antecipazione, all'immagine di uomo eh~ deriva dalle sensazioni già avute». Le antecipazioni sono «evidenti» e per loro mezzo si arriva all'opinione, la quale può invece essere vera o falsa; bisogna dunque non confondere l'ambito dell'evidenza con quello dell'opinione; mentre le antecipazioni sono immediatamente presenti a noi e quindi non ammettono errore, con l'opinione compiamo un passaggio, un'inferenza, da ciò che è immediatamente presente a ciò che non lo è; per es., l'immagine di quel qualche cosa che viene avanti ci è immediatamente presente, come anche l'immagine di uomo che è nella nostra memoria; ma quando esprimi;i.mo l'opinione che quel che viene avanti è realmente un uomo, ciò non è immediatamente presente a noi, ma è solo oggetto di inferenza. L'opinione si chiama anche supposizione, proprio per il suo carattere derivato; congiunto all'opinione è un atteggiamento di attesa della verifica; lfO Baruch_in_libris § 2 EPICURO se l'opinione viene confermata o non smentita, è vera, mentre è falsa se accade il contrario; quando supponiamo che colui che viene avanti sia un uomo, ci aspettiamo di avere di lui certe sensazioni; se queste si verificano, la nostra supposizione è confermata, altrimenti è smentita. Quanto ai sentimenti che sono criterio di verità, si tratta in particolare del piacere e del dolore che ci guidano con assoluta sicurezza nell'indicarci le cose che bisogna scegliere e quelle che bisogna fuggire. 3. La natura e i fenomeni celesti. Lo studio della natura muove dall'osservazione che «nulla nasce da nulla, altrimenti tutto potrebbe nascere da tutto; dunque l'universo è sempre stato lo stesso di come è ora e sarà Io stesso per tutta l'eternità; non c'è nulla in cui esso possa trasformarsi, perché nulla esiste fuori dell'universo che possa penetrarvi e recarvi mutamento». L'universo risulta di corpi e di vuoto; che i corpi esistano, è attestato dai sensi; e poiché i corpi si muovono, né Io potrebbero se non esistesse il vuoto, anche il vuoto esiste; i corpi sono composti od elementari; questi ultimi sono quelli da cui tutti gli altri risultano: essi sono indivisibili ed immutabili, altrimenti tutte le cose si risolverebbero nel non-essere; gli atomi sono pertanto le sostanze dei corpi. Essi sono di un'indefinita varietà di forme e si muovono continuamente da tutta l'eternità; oltre alla forma, gli atomi possiedono grandezza e peso; le altre qualità derivano invece dalla diversa posizione degli atomi. Se questi sono infiniti, esisteranno infiniti mondi. Comunque, nella determinazione dei corpi e di tutti gli eventi naturali, gli atomi non obbediscono, a giudizio di Epicuro, a quella meccanica necessità che era stata messa in rilievo da Democrito; infatti essi possono deviare dalla linea retta nella loro caduta e dar luogo cosf ad un'inclinazione (o clinamen) che è all'origine di eventi impreveduti ed imprevedibili; proprio la loro possibilità libera l'uomo dal timore dell'inevitabile. Epicuro spiega la sensazione mediante la teoria degli effiuvi o immagini che si staccano dalla superficie dei corpi; tali immagini hanno la stessa forma degli oggetti reali e sono impercettibili per la loro piccolezza; la validità della sensazione è garantita dal fatto che «tali effiuvi conservano la posizione e l'ordine che essi avevano negli oggetti reali »; nel loro movimento attra- Baruch_in_libris CAP. VI IL SECOLO III verso il vuoto, percorrono, se non interviene alcun ostacolo dovuto alla collisione di atomi, qualsiasi distanza immaginabile in un tempo impercettibile; essi non comportano alcuna diminuzione visibile dei corpi <lai quali si staccano perché « la perdita viene continuamente reintegrata». Gli effluvi garantiscono il contatto diretto fra i corpi ed i nostri organi di senso; resta perciò confermato che « il falso giudizio e l'errore risiedono sempre in ciò che l'opinione aggiunge alla sensazione, non nella sensazione». L'esigenza in base alla quale si deve ammettere l'esistenza degli atomi è, secondo Epicuro, la stessa che ci porta a negare la divisibilità all'infinito, cioè l'esigenza «di non annientare le cose a forza di ridurle ». L'anima è «un corpo composto di particelle sottili, disseminato in tutto l'aggregato che forma il nostro corpo e simile ad un soffio caldo; u11a certa parte dell'anima si distingue per la sua sottigliezza estrema ed è perciò mescolata piu intimamente col nostro corpo; di qui derivano le forze dell'anima, le sue affezioni e i suoi movimenti». L'anima è la causa principale della sensibilità che scompare dall'organismo appena l'anima lo abbandona. L'incorporeità o spiritualità dell'anima viene negata da Epicuro con i seguenti argomenti: «Incorporeo è ciò che può essere pensato come esistente in sé; ma, a parte il vuoto, non è possibile concepire l'incorporeo in sé; il vuoto non può né agire, né patire e solo consente ai corpi di muoversi; dunque coloro che dicono che l'anima è incorporea, parlano da stolti; infatti, se l'anima fosse incorporea, non potrebbe né agire, né patire». Nel modo di considerare i fenomeni celesti Epicuro vede un possibile pericolo per la tranquillità dell'uomo; se infatti essi vengono visti come delle forze fatali che determinano le vicende umane, non sarà piu ·possibile per l'uomo né essere libero, né sfuggire al destino. Ma la conoscenza umana, rileva Epicuro, è molto limitata; essa è in grado di cogliere ciò che è a noi piu vicino; «ma il caso è diverso quando si tratta di fenomeni che avvengono nelle regioni elevate dell'aria »; dei fenomeni cdesti si possono dare molte spiegazioni, tutte in accordo con i fenomeni e da essi suggerite; proprio perché non possiamo conseguire, nella conoscenza dei fenomeni celesti che sono lontani, la stessa sicurezza che abbiamo circa i fenomeni vicini, dobbiamo guardarci dall'accogliere come vera una sola spiegazione, respin- Baruch_in_libris § 3 LA NATURA E I FENOMENI CELESTI gendo le altre; facendo cosi «è evidente che si abbandona del tutto il campo della fisica e che si cade in quello della mitologia». Per es., il sorgere e il tramontare degli astri si possono .spiegare sia con il loro estinguersi la sera e il riaccendersi al mattino, sia con il loro emergere alfa superficie terrestre e lo scomparire dietro un corpo opaco; il loro movimento si può spiegare sia con la rotazione del cielo tutto intero, sia con la rotazione degli astri restando il cielo immobile; le fasi della luna si possono spiegare sia mediante la sua rotazione, sia mediante delle configurazioni dell'aria, sia mediante l'interposizione di un corpo opaco; la stessa pluralità di spiegazioni Epicuro esemplifica per il tuono, il lampo, i cicloni, i terremoti, i venti, la neve, l'arcobaleno, le comete ecc. «Bisogna non esagerare stoltamente l'importanza d'una spiegazione unica, né inclinare verso di essa, osservando anche ciò che non è ad essa conforme ». Per spiegare i fenomeni celesti non bisogna comunque «fare appello alla natura divina, che deve essere lasciata libera da ogni funzione nel godim,e~to della sua felicità»; quel che interessa ad Epicuro è proprio che non si identifichino i fenomeni celesti con la divinità, la quale minaccerebbe allora la libertà e la tranquillità autonoma dell'uomo. Per questo egli dichiara che « pretendere di assegnare una causa unica ai fatti celesti, sebbene i fenomeni ne suggeriscano molte, denota una follia ed una impertinenza di cui sono capaci solo gli zelatori della· vana astrologia, che inventano cause vuote di senso e invocano la natura divina, anziché lasciarla libera da ogni funzione». 4. La morale epicurea. Per conseguire la felicità, bisogna appunto, secondo Epicuro, «considerare la divinità come un essere immortale e felice, senza attribuirle nulla che sia in contrasto con questi caratteri». Gli dèi esistono, «ma non nd modo in cui se li rappresenta la massa »; empio si deve considerare «non già colui che rigetta gli dèi della moltitudine, ma colui che attribuisce loro le finzioni della massa». Mentre l'esistenza degli dèi è evidente, deriva da congetture ingannevoli l'opinione che. gli dèi « sono causa dci piu grandi mali per i cattivi » e « promettono i piu grandi beni ai buoni». Che la divinità non provveda alle cose del Baruch_in_libris CAP. VI IL SECOLO Ili mondo Epicuro era solito dimostrare anche con la seguente argomentazione, che ci è conservata da un frammento : « Dio o vuol togliere i mali e non può, o può e non vuole, o non vuole né può, o vuole e può; se vuole e non può, è impotente, il che non può essere di Dio; se può e non vuole, è invidioso ed anche questo è contrario a Dio; se né vuole né può, è invidioso ed impotente e perciò non è Dio; se vuole e può, il che solo conviene a Dio, come mai esistono i mali? e perché Dio non li toglie? ». Bisogna, in secondo luogo, familiarizzarsi con l'idea della morte; essa non è un male, perché il bene e il male risiedono nella sensazione, mentre « la morte è la totale privazione della sensazione »; la morte non è nulla per noi, perché « finché noi esistiamo, non c'è la morte, e quando viene la morte, noi non ci siamo piu; la morte non ha alcun rapporto né coi vivi né coi morti, in quanto essa è nulla per i vivi ed i morti non sono piu ». Sapiente è colui che né sente la vita come un peso, né la non esistenza come un male; egli non sceglie « il cibo piu abbondante, ma quello piu gradevole »; e cosi non tiene a godere « la vita piu lunga, ma la vita piu gradevole ». Applicarsi a ben vivere, scrive Epicuro, è lo stesso che applicarsi a ben morire. Dei nostri desideri, «alcuni sono naturali, altri vani; fra i primi, ce ne sono di necessari e altri che sono solo naturali; fra i necessari, ve ne sono di quelli che lo sono per la felicità, altri per la tranquillità continua del corpo, altri infine· per la vita stessa»; la giusta teoria mette in primo piano la sanità del corpo e la tranquillità dell'animo, poiché in ciò consiste «la perfezione stessa della vita felice»; tutti i nostri atti mirano infatti ad allontanare da noi la sofferenza e la paura; sentiamo il bisogno del piacere appunto quando proviamo dolore; quando non proviamo dolore, non sentiamo nemmeno ii bisogno del piacere. In questo senso, il piacere è per Epicuro «l'inizio e la fine della vita felice ». Se il piacere è un bene, non è però detto che ogni piacere debba essere cercato, anche a prezzo di dolore; e se ogni dolore è un male, non è detto che debba essere evitato, anche sacrificando un bene maggiore. Bisogna dunque « paragonare ed esaminare attentamente ciò che è utile e ciò che è nocivo». Meglio contentarsi di poco ed avere pochi bisogni; la salute del corpo non può che trarre profitto da ciò; «quando dunque diciamo, dichiara Epicuro, che il piacere è il nostro ultimo scopo, non intendiamo riferirci al piacere dei debo.sciati 1 44 Baruch_in_libris ! 4 LA MORALE EPICUP.F.A o di quelli che si attaccano al godimento materiale; il piacere cui miriamo è caratterizzato dall'assenza di sofferenze corporee e di turbamenti dell'animo; non sono le orge che generano una vita felice, ma la ragione vigilante, che ricerca con scrupolo i motivi di ciò che bisogna evitare e che respinge le vane opinioni, da cui vengono all'anima i piu grandi turbamenti». Insomma «non. si può essere felici, senz'essere saggi, onesti e giusti, né essere saggi, onesti e giusti, senz'essere felici ». Il sapiente si ride del destino che molti considerano come dominatore di tutte le cose e non crede alla necessità inesorabile dei fisici. Della fortuna non bisogna fare gran conto; « meglio una cattiva fortuna con buon raziocinio, che buona fortuna combinata con cattivo raziocinio; meglio di tutto, ovviamente, la combinazione del sano giudizio con la buona fortuna». Chi seguirà questo metodo di vita, conclude Epicuro, « vivrà come un dio fra gli uomini ». La vita politica non è, a suo avviso, che causa di turbamento; bisogna quindi starne lontani; tuttavia i vincoli che stringono gli uomini in società hanno un loro solido fondamento; «la giustizia non esiste certo per sé, ma nei rapporti fra gli uomini, in quanto essi si legano con un patto che li impegna a non nuocersi reciprocamente; la giustizia è quindi un vantaggio per le relazioni sociali, anche se non sempre essa comporta le stesse prescrizioni». Caduti i vincoli della tradizione etico-religiosa, di fronte agli sconvolgimenti connessi con la ricerca di un nuovo equilibrio storico, è pur sempre possibile per Epicuro, trovare una base ampia e comprensiva, su cui edificare un nuovo mondo umano, fatto di adesione al. sensibile naturale e di equilibrio razionale, di ricerca della tranquillità e di realizzazione della saggezza. Il tema della tranquillità è comune ad Epicuro ed allo scetticismo di Pirrone; ma mentre il secondo mira a conseguire la tranquillità come indifferenza con un distacco completo da ogni visione o concezione della realtà, il primo tende a rendere la stessa tranquillità piu positiva oltre che a fondarla su una visione del mondo che abbia il suo criterio nella sensibilità e nell'esperienza. 5. Lo sviluppo della scuola stoica. La scuola sto~ca fu fondata in Atene intorno al 300 da Zenone che era nato a Cizio nell'isola di Cipro nel 332; dopo aver ascoltato parec- Baruch_in_libris IL SECOLO Ili CAP. VI chi maestri, egli diede vita ad una nuova associazione culturale nel portico ornato delle pitture di Polignoto, detto Stoa Pecile. Zenone resse la scuola fino al 264, data della sua morte. Il secondo scolarca della Stoa fu Cleante; nel periodo. della sua reggenza che va dal 264 al 232 la scuola viene insistentemente attaccata da varie parti, specialmente dai discepoli di Epicuro e da Arcesilao che era· a capo della scuola di Platone. Accade, in questo periodo, che nella Academia si insinua con Arcesilao una nuova corrente di pensiero pili vicina alle posizioni dello scetticismo che alla dottrina platonica delle origini; in particolare Arcesilao si richiama al metodo della ricerca applicato sia da Socrate che da Platone e pili idoneo, a suo avviso, a prospettive problematiche che a conclusioni dogmatiche; ora la scuola stoica non nutriva certo alcuna simpatia per l'atteggiamento negativo di Pirrone e del suo scetticismo; mentre quest'ultimo aveva assunto una posizione negativa estrema contro tutte le enunciazioni sulla realtà e tutte le opinioni, già con Zenone la scuola stoica formula una sua visione della realtà ed una dottrina positiva della conoscenza; è appunto contro le principali enunciazioni di Zenone che Arcesilao svolge la sua critica insistente ed acuta; egli tende a mostrare che ·non hanno consistenza né il criterio cui gli stoici si rifanno per la conoscenza della verità, né quello cui si richiamano per l' indirizzo pratico della vita. Sotto questo ed altri attacchi consimili, la dottrina stoica fu costretta a rivedere alcuni suoi punti ed a modificare alcune sue conclusioni; ciò avviene specialmente con il terzo scolarca, Crisippo; egli assunse la direzione della scuola nel 232, quando aveva già cinquant'anni; fu chiamato "il secondo fondatore" della scuola per la vigoria che impresse alla lotta contro le scuole rivali e per l'operosità scientifica con cui provvide alla sistemazione dottrinale che era desiderata; quando egli venne a morte, verso la fine del secolo (nel 204), lo stoicismo aveva ormai una sua propria fisionomia ben definita. Tutti e tre i reggitori della Stoa nel corso del secolo 111 hanno un atteggiamento di indifferenza verso la politica locale delle città greche, Atene compresa; essi si rivolgono piuttosto con simpatia ai diadochi e specialmente ai re di Macedonia; questo nuovo atteggiamento politico denota il profondo mutamento avvenuto rispetto ai tempi di Platone e di Aristotele. Del!' insegnamento dei tre maggiori maestri dello stoicismo abbiamo una conoscenza diretta molto ristretta; Baruch_in_libris § 5 LO SVILUPPO DELLA SCUOLA STOICA infatti dei molti trattati scritti da Zenone e dci piu che settecento scritti attribuiti a Crisippo ci restano soltanto alcuni titoli conservatici da Diogene Laerzio e pochissimi frammenti. Ci riferiremo perciò, piu che ai singoli e distinti contributi di ciascuno dei tre filosofi nominati, ali' insieme delle dottrine stoiche quali si configurano e si affermano nel corso del m secolo, cioè per quella fase della storia della Stoa che si designa come lo stoicismo antico. 6. La logica stoica. · L'intero campo della filosofia viene distinto dagli stoici antichi in tre parti principali : la logica che studia i problemi della conoscenza, la fisica che considera lordinamento del!' universo e di cui è parte importante la teologia, infine I' etica o dottrina della vita pratica. Quanto alla conoscenza, lo stoicismo antico tende a consolidare il valore della sensazione che, per contro, lo scetticismo aveva contestato; la conoscenza muove dall'immagine o impressione che un oggetto determina sull' anima; il soggetto può dare o rifiutare il proprio assenso a ciò che l'immagine propone; l'errore consiste appunto nel dare il proprio assenso ad una rappresentazione o immagine che non è conforme alla realtà; soltanto se si dà lassenso ad una rappresentazione che è conforme ·alla realtà delle cose si può dire di avere vera comprensione o percezione delle cose stesse, si può dire di cogliere direttamente e con certezza, al di là della rappresentazione, la stessa realtà. Il punto cruciale della conoscenza è dunque quello che riguarda la possibilità di distinguere, da parte nostra, la rappresentazione fedele della realtà da quella che non lo è; lesperienza è piena di rappresentazioni che riscontriamo non conformi alla realtà, ma ingannevoli; quindi non tutte le rappresentazioni meritano il nostro assenso; lo merita solo la rappresentazione comprensiva, quella cioè « che viene da una cosa reale e in conformità del reale stesso si imprime a guisa di suggello, ed è ·tale quale non potrebbe essere, se provenisse da cosa inesistente». Gli stoici .sono convinti che vi siano delle rappresentazioni che hanno in se stesse tanta evidenza da presentarsi appunto come comprensive, cioè come sicuramente indicative della realtà, sicuramente conformi ed essa; in questo caso il nostro assenso ci viene 1 47 Baruch_in_libris CAP. VI IL SECOLO III quasi strappato dall'evidenza; negli altri casi, m cui non avvertiamo che le rappresentazioni derivano con evidenza dalla realtà, dobbiamo sospendere il nostro assenso, per non cadere in errore. Arcesilao attacca la dottrina stoica proprio su questo punto; di fatto, egli rileva, non c'è alcuna rappresentazione comprensiva cui non si avvicini una rappresentazione falsa, la quale non ne differisce in nulla; è quindi impossibile avere la certezza che una rappresentazione è comprensiva, cioè che si distingue con evidenza da una falsa; per es., noi vediamo il remo immerso nell'acqua come spezzato, mentre non lo è; sul collo d'una colomba vediamo molti colori, mentre non ve n'è che uno; i matematici dicono che il sole è diciotto volte piu grande della terra, mentre a noi appare della stessa misura d' un piede; e poi, come distinguere due gemelli e come evitare di credere di veder l'uno, mentre si vede l'altro? Se gli stoici vogliono essere coerenti, conclude Arcesilao, debbono sospendere l'assenso non solo sulle rappresentazioni non comprensive, ma su tutte le rappresentazioni, perché nessuna di esse ci dà la garanzia di essere conforme a realtà. Con ciò Arcesilao intacca tutto l'edificio della conoscenza che, secondo gli stoici, muove dalla rappresentazione comprensiva per giungere fino alla scienza. « Con la mano aperta e le dita tese, scrive Cicerone, Zenone indicava la rappresentazione; poi curvava un poco le dita e con ciò rappresentava l'assenso; poi stringeva le dita e chiudeva il pugno, per raffigurare la comprensione; infine, accostando la mano sinistra e con essa abbracciando e stringendo fortemente quel pugno, diceva che cosr era la scienza »; la scienza nasce cioè « quando la comprensione è salda e sicura, sr che nessun argomento dialettico possa scuoterla». Se da un lato gli stoici affermano che tutta la nostra conoscenza ha la sua base nella sensazione, d'altra parte sostengono che in tutti gli uomini esistono delle nozioni innate, come quelle del bene, del giusto, della divinità; partendo dall'osservazione delle cose, gli uomini formulano spontaneamente dei ragionamenti e delle conclusioni che, per la stessa facilità ed universalità che li contraddistingue, si possono considerare innati; perciò l'innatismo non contrasta, ma piuttosto conferma l' empirismo per il quale, secondo gli stoici, l'intelletto non può che operare entro l'ambito dei dati sensibili. Alle cose si richiama, oltre che l'insieme delle rappresentazioni che r-18 Baruch_in_libris § 6 LA LOGICA STOICA esse producono nell'anima, anche ciò che se ne può dire per mezzo del linguaggio; il linguaggio come insieme di suoni e quindi come fatto fisico· si distingue dal linguaggio che ai suoni connette dei significati; se da un lato sia le cose che i suoni del linguaggio sono delle realtà corporee, dall'altro tutto quello che per mezzo dei suoni si può significare ed esprimere non è corporeo; ora la dialettica ha per og· getto no.n già le cose, ma gli enunciati sulle cose, non la realtà corporea, ma l'enunciabile, il significabile su di essa; la dialettica ha dunque uno spiccato carattere linguistico che la rende autonoma rispetto al mondo reale. La dialettica stoica si distingue dalla logica aristotelica su un punto fondamentale: mentre quest' ultima considera come elementi primi i concetti, la dialettica stoica è proposizionale, ossia ritiene che l'enunciabile minimo sia la proposizione che indica dei fatti relativi a soggetti singoli. Mentre allora la logica aristotelica si fonda sulla relazione di inclusione che presentano fra .loro i concetti, quella stoica si fonda su una relazione di fatti enunciati per mezzo di proposizioni. Il ragionamento non si presenta piu pertanto come sillogismo, ossia come calcolo che serve a stabilire l' inclusione di due concetti per mezzo di un terzo, ma come relazione logica fra proposizioni enuncianti fatti. Gli stoici hanno analizzato varie forme di ragionamenti concludenti: una si richiama alla proposizione ipotetica (per es., se è giorno, c'è luce; ma è giorno; dunque c'è luce), un'altra alla proposizione disgiuntiva (o è giorno, o è notte; ma è giorno; dunque non è notte). Il valore di questi ragionamenti non dipende certo dalla dimostrazione delle premesse, nel senso che esse risultino, come per Aristotele, da precedenti nessi di concetti; non dipende nemmeno dai fatti enunciati nelle proposizioni, ma piuttosto proprio dal nesso logico degli enunciati; il ragionamento che dice: se è giorno, c' è luce - ma è giorno - dunque c' è luce, vale perché, posto il nesso fra antecedente e conseguente, non può aversi l'antecedente senza che si abbia il conseguente; voler concludere diversamente, sarebbe cadere in contraddizione, voler mettere insieme, per es., l'opposto del conseguente con l'antecedente. Gli enunciati linguistici sono sempre enunciati che si riferiscono a fatti, ma il legame che corre tra i fatti non ha valore che in forza del legame logico che corre fra le enunciazioni. 1 49 Baruch_in_libris IL SECOLO III C·\l'. VI 7. La fisica e la teologia degli stoici. Se nella dottrina della conoscenza lo stoicismo antico tende ad immr:desimare la ragione con l'esperienza sensibile, nella visione generale del mondo tende ad immedesimare la materia con il principio attivo che la governa; tutta la realtà risulta appunto dalla compenetrazione di un elemento passivo e di uno attivo; il principio attivo è ragione ed anima; esso si distingue dalla materia per la sua attività, ma resta pur sempre un principio corporeo, giacché senza corporeità non si può esercitare alcuna azione. L'universo non è eterno, ma ha una sua nascita e una sua dissoluzione; la sua storia comprende due periodi, nel primo dei quali l'universo si svolge secondo un ordine, mentre nel secondo esso viene tutto assorbito e risolto, per mezzo di una conflagrazione finale, nel principio attivo che è anche fuoco primigenio; dopo la conflagrazione il ciclo ricomincia e ripete eternamente. le stesse fasi. Proprio perché il principio che regge l'universo è anima e quindi si compenetra intimamente con tutta la materia, luniverso è unità; il principio attivo crea al suo interno una tensione che lo sorregge e pone un profondo legame di simpatia fra tutte le parti che lo compongono; per questo la conoscenza di alcune parti dell'universo porta con sé la conoscenza di tutte le altre. Al mondo gerarchico di Aristotele gli stoici contrappongono cosi un mondo in cui tutto confluisce. in un'unica vita; gli influssi degli astri si fanno sentire sul mondo e sul destino degli uomini; anche i corpi celesti sono guidati, nel loro moto, non da una regola matematica, ma dall'anima del mondo; e poiché l'universo è un sistema divino, la collocazione in esso della terra al centro e degli astri intorno ad essa non è soltanto un'ipotesi matematica, ma una verità fisica. Il principio che anima la materia coincide con il principio divino e Dio è indifferentemente natura o destino e provvidenza; Dio è ad un tempo forza immanente alla materia e mente ordinatrice cui soggiace tutto il mondo e che regge le. cose secondo un ordine necessario; un finalismo generale domina il mondo, per cui « la natura non è soltanto industriosa, ma è artista e prevede e provvede tutto ciò che può essere opportuno ed utile»; come nel seme è racchiuso virtualmente lessere vivente, cosi «il fuoco primigenio ha in sé le ragioni di tutto lo sviluppo della natura»; da esso viene Baruch_in_libris LA FISICA E LA TEOLOGIA DEGLI STOICI alle cose « una legge cui non è dato sottrarsi e sfuggire »; per tale legge appunto «il mondo è governato meravigliosamente, come nel piu retto e giusto reggimento statale»; non per questo gli stoici ritengono che si debba negare la libertà e I' iniziativa degli -uomini. Ciò che distingue profondamente la teologia stoica dalla dottrina di Dio elaborata da Platone e da Aristotele è che, mentre il Dio di Platone e di Aristotele è soprattutto in relazione col mondo naturale, il Dio degli stoici è in diretto rapporto anche con gli uomini e governa l' intero universo in loro favore; non solo non è vero, come sostiene Epicuro, che Dio si disinteressa del mondo, ma è vero che egli collabora con l'uomo e ne dirige il destino; lellenismo degli stoici in nulla s' avverte maggiormente che nel loro distacco dagli dèi della tradizione greca e nel loro accostamento al nuovo concetto di un dio onnipotente che regge secondo provvidenza e saggezza il destino degli uomini e delle cose; cosi lo stoicismo tenta di non respingere, ma di accogliere, i vari culti dei popoli inserendo le loro molteplici divinità in una visione monoteistica, accoglie le prove popolari dell'esistenza della divinità che fanno ricorso all'idea di un ordinatore del mondo superiore per potenza ed intelligenza ali' uomo, fa larghe concessioni circa I' esistenza di forze superiori ali' uomo, la divinazione del Euturo, le previsioni per mezzo dei sogni, l'astrologia. 8. L'etica stoica. Anche il criterio della condotta umana deriva dall'ordinamento razionale e divino dell'universo, nel senso che il fine fondamentale dell'uomo è quello di vivere conformemente alla natura, di adeguarsi nelle azioni alla ragione universale che tutto governa; bisogna « accogliere ciò che è conforme alla natura e respingere ciò che le è contrario »; il dovere primario è « di conservarsi nella costituzione naturale e di attenersi a tutto quello che ad essa conferisce, rigettando quello che le è avverso»; seguire la natura equivale a seguire la ragione e realizzare ad un tempo il disegno di Dio; ciò che è conforme a natura è bene, ciò che è contrario alla natura è male, ciò che è intermedio è indifferente. Da questa impostazione del problema morale derivano alcune importanti conseguenze: anzitutto la virtil è un atteggiamento ljl Baruch_in_libris IL SECOLO III CAP. Vl fondamentale che non ammette divisioni e che respinge ogni complessa classificazione; essere virtuosi significa appunto adeguarsi alla ragione universale e tale atteggiamento dell'animo è tutta la virtu; cosi il cammino della virtu non ammette progresso: o c' è o non c' è, e quando c'è, non può che realizzarsi in forma completa. Nella virtU confluiscono anche la felicità e l'utilità, di modo che la virtu non è mezzo per conseguire altri fini, ma è fine a se stessa. Ciò che nell'uomo contrasta la realizzazione della virtu sono le passioni; esse vanno contro la ragione in quanto ci spingono a desiderare come bene ciò che non è bene o a fuggire come male ciò che non è male; anche se non possono esplicare il loro potere in noi .senza il consenso, le passioni costituiscono l'elemento irrazionale della nostra natura ed hanno origine nelle abitudini, nei pregiudizi e nella debolezza dell' anima. Il dominio delle passioni si consegue prindpalmente togliendo forza ai giu· dizi errati con i quali esse si accompagnano; è cosi che la ragione, partendo da un mondo istintivo di esteriorità e di debolezza, lo purifica e si rivolge al bene e alla virtU. Una delle maggiori difficoltà dell'etica stoica nasce a proposito dell'atteggiamento dell'uomo di fronte agli eventi della vita; a rigore, tutto quello che accadf' non è casuale, ma è vofoto dall'ordine divino del mondo; ora ciò che è in nostro potere è soltanto quella disposizione interiore con la quale ci adeguiamo alla ragione uni versale ed accettiamo quello che essa dispone; in quello che accade non dobbiamo perciò vedere né bene, né male; tutto quello che accade deve risultare, dal punto di vista della saggezza, indifferente; sono indifferenti «la vita e la morte, la celebrità e l' oscurità, il dolore ed il piacere, la ricchezza e la povertà, l'infermità e la buona salute». L'uomo sapiente comprende che il piano in cui si collocano tutte queste evenienze è diverso da quello, decisivo, che concerne la sua volontà di uniformarsi alla natura; e tale volontà si può avere sia nella ricchezza che nella povertà, sia nella malattia che nella salute; ciò non toglie tuttavia che anche il sapiente, a parte la considerazione dd bene, non giudichi alcune fra le cose indifferenti preferibili rispetto alle altre; è per questa via che lo stoicismo anziché metter capo ad un quietismo in cui ci si limiti ad accettare passivamente gli eventi, conduce ad un atteggiamento attivo; non soltanto la scuola stoica non distoglie coloro che la frequentano dal pren152 Baruch_in_libris § 8 L'ETICA STOICA der parte alla vita politica, ma li sollecita a farlo, come li spinge ad affrontare i doveri quotidiani nella vita della famiglia e della società; oltre la morale primaria del sapiente che conduce appunto all'adesione di fondo ali' ordine razionale del mondo, c'è una sorta di morale secondaria che concerne l'iniziativa nel campo delle azioni che, pur essendo rigorosamente indifferenti, sono tuttavia convenienti o non convenienti; con questa morale secondaria lo stoicismo scende sul terreno della vita comune, anche se resta ferma la fondamentale distinzione che corre fra l' atteggiamento del sapiente e quello dell' uomo comune. Il sapiente stoico che unico possiede vera libertà e vera ricchezza se, da un lato, si trova molto al di sopra dcli' uomo comune ed imperfetto, è d' altra parte il simbolo d' un profondo rinnovamento razionale aperto a tutti i popoli; egli non è l'uomo d'una città, ma il cittadino del mondo; « gli uomini, scrive Zenone, non devono separarsi in città cd in popoli, ciascuno con leggi particolari; infatti tutti gli uomini sono concittadini poiché per tutti esiste una sola vita ed un solo ordine razi<>nale »; anche sotto il profilo morale, dunque, gli stoici annunciano i tempi nuovi, aperti dall'impresa di Alessandro. 9. Lo sviluppo delle scienze: la scuola "di Alessandria. Si è già detto che, nel corso dcl III secolo, il centro degli studi scientifici specializzati è Alessandria d'Egitto; il grandioso organismo culturale che vi viene costituito favorisce ancor pio che per il passato l'indagine particolare di singoli settori ognuno approfondito e sviluppato per se stesso. Ad Alessandria nella prima metà del secolo III vive il matematico Euclide; egli è autore di un trattato di Ottica o teoria della prospettiva, di un trattato di Catottrica o teoria della riflessione della luce, oltre che dei famosissimi Elementi di geometria. Questo scritto dà una sistemazione definitiva alle principali trattazioni di geometria e di aritmetica che erano state svolte finora; esso tratta della geometria dcl piano, della teoria generale delle proporzioni, dell'aritmetica, degli incommensurabili e infine della geometria solida. Dal punto di vista dcl metodo, Euclide applica il rigoroso procedimento deduttivo che, muovendo da principii, ne deduce le conseguenze senza fare ricorso all'esperienza o all'intuizione; ogni teorema viene dimostrato partendo da teoremi precedenti e questi risalendo ad altri ancora, finché si arrivi appunto agli enunciati primi; questi si dicono assiomi se sono evidenti per se stessi, si dicono postulati se, non essendo dcl tutto evidenti, sono però necessari per rendere possibili certe 153 Baruch_in_libris CAP. VI IL SECOLO Ili operazioni e costruzioni, si dicono infine definizioni se sono pure e semplici « imposizioni di nome, mediante le quali l'autore spiega che cosa intende con un certo termine ». Ognuno dei tredici libri degli Elementi ha inizio con le definizioni; il primo libro contiene, oltre alle definizioni, cinque assiomi e cinque postulati; i cinque assiomi affermano che cose eguali ad una terza sono eguali tra loro, che somme e differenze di cose eguali sono eguali, che i doppi e le metà di cose eguali sono eguali, che cose sovrapposte sono eguali, che il tutto è maggiore della parte; i cinque postulati riguardano l'esistenza di elementi geometrici e dichiarano che due punti definiscono una retta, che per due punti non può passare che una retta sola, che esiste un unico cerchio che abbia un determinato centro ed un determinato raggio, che tutti gli angoli retti sono eguali fra loro e che due rette si incontrano se la somma degli angoli interni che esse fanno con una terza retta è minore di due angoli retti .. Il grande rilievo storico degli Elementi euclidei consiste proprio nel rigoroso procedimento dimostrativo da essi adottato; è in forza di tale procedimento, già teorizzato da Aristotele nell'Organon, che la geometria è stata per tanto tempo considerata come la scienza per eccellenza e che molte altre scienze hanno cercato di imitarne il metodo. Per quanto poi, secondo Platone, la geometria rispecchi la struttura razionale e matematica della realtà, quasi identificandosi con una sorta di impalcatura ideale ed assoluta dell'universo, Euclide ne ha accentuato il carattere linguistico deduttivo, facendo della geometria una scienza del tutto autonoma rispetto alla realtà e riconducendola a degli enti che non hanno alcun significato fisico o reale. Non di molto posteriore ad Euclide è Aristarco di Samo, vissuto fra il 320 ed il 250 alla scuola di Alessandria; in uno scritto Sulle grandezze e distanze del sole e della luna egli ammette che il sole è piu grande della terra; ora, osserva, non è naturale che il corpo maggiore ruoti intorno al minore; è piu naturale il contrario e pertanto è il sole che deve esser posto al centro dell'universo e non la terra; Aristarco giunge cosi ad ammettere un movimento annuo della terra su una circonferenza di cui è centro il sole ed a considerare le stelle fisse come poste su una sfera del tutto immobile · e di raggio infinitamente grande. Questa teoria eliocentrica, che doveva prevalere circa venti secoli piu tardi, non trovò consensi quando Aristarco la enunciò; Cleante giunse a dire in un suo scritto polemico contro l'astronomo che i greci avrebbero dovuto sottoporre. Aristarco ad un processo per empietà, perché egli tentava di « spostare il focolare dell'universo ». Nella prima metà del secolo 111 si affermano ad Alessandria anche gli stùdi di medicina con Erofilo di Calcedonia ed Erasistrato di Ceo; entrambi adottano un indirizzo empirico, di osservazione ed analisi fattuale che è favorito anche dall'uso, consentito in Egitto e uon permesso in Grecia, della dissezione dci cadaveri; si giunge cosi ad uno studio appro- Baruch_in_libris § 9 LO SVILUPPO DELLE SCIENZ. fondito del sistema nervoso centrale, restituendo al cervello funzioni che Aristotele aveva attribuito al cuore; furono del pari studiati sotto il profilo sia anatomico che fisiologico alcuni dementi rilevanti dell'organismo umano, come il sistema circolatorio, l'intestino, l'occhio, il fegato. Anche la scuola stoica contribuisce sensibilmente allo sviluppo della medicina; ma l'indirizzo che essa segue, piu che richiamarsi all'esperienza, si colloca entro i principii generali della fisica stoica; e ciò servi ad acuire il contrasto della scuola medica di Alessandria nei riguardi di ogni dogmatismo dottrinale. Verso la metà del secolo si ebbe il meraviglioso fiorire dell'opera scientifica di Archimede; in verità, egli nacque e mori a Siracusa in Sicilia (287-212); difese infatti la città durante l'assedio postole dagli eserciti Ji Roma guidati da Marcello e fu ucciso da un soldato romano il giorno della capitolazione; ma egli passò una parte della sua vita ad Alessandria, in rapporti di amicizia con parecchi degli studiosi di quella scuola; ha lasciato scritti di geometria, di aritmetica, di statistica e di idrostatica, senza parlare delle scoperte tecniche che gli vengono attribuite; fu insieme costruttore di macchine e teorico finissimo; il modello cui si ispirano le sue ricerche geometriche è Euclide, del quale segue il metodo rigorosamente dimostrativo; tuttavia per la scoperta delle proprietà che poi si dovranno dimostrare con il procedimento euclideo egli segue spesso criteri diversi, facendo appello sia all'intuizione che all'esperienza; è proprio la complessità della sua mentalità di teorico e di tecnico, di logico e di inventore, che ne ha fatto il tipo piu completo e piu " moderno " dello scienziato antico. È da rilevare, in particolare, che con Archimede ha compiuto passi notevoli, oltre che la geometria, la fisica come studio matematico di alcuni aspetti della realtà naturale; la trattazione matematica delle macchine semplici con particolare riferimento allo studio del centro di gravità; la teoria matematica della leva oltre alla definizione del principio fondamentale dell'idrostatica ed alla prima sistemazione scientifica di essa, sono capitoli centrali di questo sviluppo. Ma il pesante staticismo sociale dcl mondo ellenistico e lo sfruttamento dc:! lavoro umano mediante la schiavitu non consentirono né un adeguato sviluppo della tecnica, né, quindi, un corrispondente sviluppo della scienza fisica, nella direzione tanto efficacemente indicata da Archimede; per cui i suoi libri verranno quasi riscoperti nel Rinascimento e daranno un impulso decisivo al sorgere della scienza moderna. Legato di viva amicizia ad Archimede fu Eratostene, d'una quindicina d'anni piu giovane di lui; visse ad Alessandria, come bibliotecario dcl Musco, essendo nativo di Cireilc e vi compose un grande trattato di geografia sistematica; questa disciplina si era certamente giovata dei viaggi, delle guerre, degli intensificati rapporti fra i vari paesi; di tutti questi elementi si avvalse Eratostene che sfruttò inoltre anche gli scritti di geografia degli autori precedenti; il problema di geografia matematica cui zss Baruch_in_libris CAP. VI IL SECOLO III egli legò particolarmente il suo nome è quello della determinazione delle misure della Terra; misurò la distanza fra due città egiziane ritenute poste sullo stesso parallelo, e in base ad osservazioni astronomiche, concluse che quella distanza corrispondeva ad un cinquantesimo dell'intera circonferenza; la misura cosi ottenuta risultò poi inferiore solo di circa un centinaio di chilometri a quella calcolata dalla scienza moderna. Nella seconda metà del secolo si affermò ad Alessandria un altro grande matematico, Apollonio di Perga; riprendendo alcuni motivi già svolti da Euclide e da Archimede, egli perfezionò la trattazione delle sezioni coniche (ellisse, parabola, iperbole) portando la geometria a sviluppi arditi ed originali. La matematica alessandrina del lii secolo è come si vede quasi esclusivamente geometrica, quindi legata ad dementi spaziointuitivi, mentre non si è svolta. altrettanto nella direzione dell'aritmetica e quindi in senso puramente razionale ed astratto; e ciò anche se l'indirizzo pitagorico-platonico aveva messo in rilievo che il numero, come dato puramente ideale, ha una realtà superiore alla figura geometrica che include, appunto, elementi sensibili. Furono d'altronde le scienze matematiche .che fecero piu rilevanti progressi nel corso del lii secolo alla scuola di Alessandria; per contro le scienze biologiche e naturali restarono al livello cui le avevano portate Aristotele e Teofrasto. Il distacco di tutte queste discipline dalla filosofia consenti a ciascu,na di organizzarsi in modo piu approfondito, anche se a volte spinse gli specialisti ad una forma di erudizione chiusa a piu ampi orizzonti culturali, come ebbe a lamentare lo stesso Archimede nei confronti di alcuni matematici del suo tempo. Baruch_in_libris CAPITOLO VII II secolo n CARNEADE E PANEZIO 1. II periodo. Sul finire del secolo m a. C., mentre scomparivano Archimede e Crisippo, già si delineava all'orizzonte la potenza di Roma che, dopo aver esteso il suo controllo sull'Italia e dopo aver piegato Cartagine, era riuscita a superare il momento piu difficile e pericoloso della sua storia, era divenuta lo stato piu potente del Mediterraneo e già si affacciava allo scacchiere orientale, volgendo il suo interesse alla Macedonia, alla Grecia, alla Siria ed all'Egitto. Il n secolo è tutto dominato, appunto, dall'avanzata irresistibile di Roma nei territori della civiltà ellenistica. Il primo a crollare fu il regno di Macedonia che, ripetutamente attaccato nel 212 e nel 197, fu definitivamente piegato nel 168; dapprima la Macedonia venne divisa in quattro confederazioni con ordinamento repubblicano e conservò una parvenza di autonomia, ma nel 146, in seguito ad un tentativo di ribellione, fu proclamata provincia romana. Nello stesso anno cadeva anche Corinto che era stata al centro di una lega di stati greci; colle loro divisioni questi avevano favorito la tattica di Roma che mirava a fomentare i loro contrasti e ad indebolire la loro resistenza. La distruzione di Cartagine sanciva intanto il controllo di Roma anche sull'Africa settentrionale, mentre poco piu di un decennio dopo anche la conquista dell'Asia Minore si poteva considerare compiuta. I centri culturali piu attivi sono, in questo periodo, Atene ed Alessandria d'Egitto. Ad Atene si ha, con Carneade, che è a capo della Academia platonica, la ripresa di una vivace e vasta polemica contro le dottrine stoiche, cosi come erano state sistemate da Crisippo; nella seconda metà del secolo la scuola stoica, sotto la guida di Panezio, riacquista vigore, anche se è portata a modificare sensibilmente 1:: dottrine dell'antico stoicismo; è con questo nuovo indirizzo che lo stoicismo esercita il suo influsso anche sulla cultura romana. 157 Baruch_in_libris CAP. Vll IL SECOLO II 2. Il probabilismo di Carneade. Già con Arcesilao, nel secolo 111, l'Academia di Platone aveva pres:> un indirizzo diverso da quello che essa aveva mantenuto dalla sua fondazione; Arcesilao si era dedicato, come abbiamo visto, a criticare attentamente le dottrine stoiche, piu che a sviluppare una sua propria dottrina; per il suo distacco dalle tradizioni della scuola, la Academia da lui presieduta fu indicata come " media " rispetto a quella " antica " di Platone. Carneade, nato a Cirene intorno al 215, quando diviene scolarca dell'Academia, segue l'esempio di Arcesilao e rivolge principalmente la sua attività ad un esame critico completo ed approfondito delle dottrine stoiche; la sua polemica contro lo stoicismo è piu impegnata ed acuta rispetto a quella già condotta da Arcesilao, tanto che si designa il periodo da lui contrassegnato nella storia della scuola come "nuova Academia ". L'unico episodio di rilievo della vita di Carneade è quello della sua ambasciata a Roma nel 155, insieme con gli scolarchi della Stoa e del Liceo, per ottenere che il senato fosse indulgente con la città di Atene, accusata del saccheggio di Oropo. Fu in tale occasione che Carneade parlò sulla giustizia in presenza di Galba e di Catone, i due maggiori oratori del tempo; egli divise il suo discorso in due patti e il primo giorno fece le lodi della giustizia, mentre nel secondo espose tutti gli argomenti che si potevano addurre in contrario. Fu, pare, questo atteggiamento ad indurre il senato ad affrettare la partenza da Roma degli ambasciatori ateniesi. Roma era venuta a contatto con le manifestazioni della cultura filosofica già nel corso della sua espansione nella Magna Grecia e nella conquista della Sicilia durante il III secolo; l'avversione alla filosofia subito manifestatasi si era rafforzata nel corso del secolo seguente, tanto che nel 161 un senatoconsulto aveva vietata la residenza in Roma ai filosofi ed ai retori greci; tuttavia la battaglia di Catone contro la cultura ellenistica, da lui giudicata come incentivo· di corruzione mentale e morale, era destinata a fallire. Carneade muore nel 129; secondo l'esempio di Socrate egli non lascia scritti, ma i suoi insegnamenti sono stati raccolti e trasmessi dal suo discepolo Clitomaco; noi ne abbiamo notizia attraverso Cicerone e Sesto Empirico. « Carneade si oppose agli stoici ed a tutti i filosofi anteriori, scrive appunto Sesto, sulla questione dd criterio; infatti dimostrava che non 158 Baruch_in_libris § 2 CARNEADE esiste criterio assoluto di verità: né ragione, né senso, né rappresentazione, né alcun altro, poiché tutti questi sono parimenti ingannevoli ». In particolare, contro la possibilità, sostenuta dagli stoici, di avere delle rappresentazioni "comprensive" (tali cioè da non poter essere confuse con delle rappresentazioni false) rilevava che le stesse rappresentazioni noi abbiamo in sogno e da svegli; in entrambi i casi esse sono « evidenti e capaci di impressionarci » come dimostra il fatto che, mentre sogniamo, non sappiamo di sognare e scambiamo il sogno con la realtà. La dialettica degli stoici che ha per scopo di farci distinguere le proposizioni vere da quelle false, afferma Carneade, fallisce nel suo intento come dimostra il fatto che essa non sa risolvere il famoso argomento del mentitore (già usato dai megarici) e non riesce a stabilire se uno il quale dice di mentire e dice la verità, enuncia una proposizione vera o falsa. La teologia stoica, continua Carneade, è tutta inconsistente; per es., la prova dell'esistenza di Dio tratta dal consenso di tutti i popoli non vale perché ci sono dei popoli presso cui «non esiste alcuna idea della divinità »; d'altra parte, come si può aver notizia delle opinioni di tutti i popoli? Quanto alla divinazione o predizione di cose future, una delle due: « se tutto avviene fatalmente, la divinazione non ci può insegnare alcuna cautela, perché, comunque noi ci si conduca, avverrà quello che deve avvenire; se invece il destino si può piegare, non c'è pili destino e perciò neppure possibilità di predire il futuro ». Come può poi conciliarsi la provvidenza divina con l'esistenza del. male nel mondo? Senza dire che alla vedµta stoica secondo la quale il mondo non potrebbe essere cosi bene ordinato senza la provvidenza divina, si può rispondere, secondo Carneade, con la dottrina meccanicistica e naturalistica secondo la quale l'opera degli dèi non entra affatto nella fabbrica del mondo che è tutta retta « per naturali pesi e movimenti». Anche la concezione che gli stoici hanno della divinità è piena di contraddizioni; eccone una: «se gli dèi esistono, dicono gli stoici, sono viventi, sentono; ma se sentono, ricevono piacere e dolore; ricevendo dolore, Dio è capace di turbamento e di mutamento in peggio; e se è cosi, è mortale». La teoria stoica del diritto conforme a ragione ed a natura viene messa da Carneade in contrasto con le molteplici vedute che gli uomini hanno intorno al giusto: « se volessi descrivere le specie di diritto, di istituzioni, di co- 159 Baruch_in_libris CAP. VII IL SECOLO II stumi, egli afferma nel discorso pronunziato a Roma, mostrerei che non solo son diverse fra tante genti, ma nella stessa città, anche in questa»; e incalzava: «Se è proprio dell'uomo giusto e probo obbedire alle leggi, io domando: a quali? ». Giustizia ed utilità poi, anziché conciliarsi, fanno a pugni tra loro, insisteva, « come ci insegna lo stesso popolo romano che, sempre desiderando l'alttui e strappandone il possesso, si impadronf di tutto il mondo; ora se volesse esser giusto, cioè restituire l'altrui, dovrebbe tornare a casa a rimanere in pavertà e miseria». Per la condotta della vita è guida, secondo Carneade, l'esperienza; essa ci offre delle rappresentazioni persuasive e sono quelle che ci appaiono vere (che lo siano realmente è questione che non si può decidere); basterà che ci atteniamo a quelle fra le rappresentazioni persuasive che piu di frequente si sono a noi mostrate vere; un grado maggiore di certezza si potrà avere se la rappresentazione, oltre ad essere persuasiva, sarà anche " non contraddetta " da altre rappresentazioni; ad un livello anche superiore sta infine la rappresentazione che, oltre ad essere persuasiva e non contraddetta, sia anche « esaminata in ogni parte », cioè sottoposta ad una serie di controlli. Nelle contingenze comuni ci basta la rappresentazione persuasiva; in quelle piu importanti, la non contraddetta; « in quelle poi che influiscono sulla felicità, facciamo ricorso alla rappresentazione esaminata in ogni parte». La critica radicale delle dottrine stoiche svolta da Carneade, come del resto quella precedente di Arcesilao, si accompagna dunque ad un probabilismo pratico che fa appello all'esperienza ed alla consuetudine; passando cosi attraverso la scuola di ,Platone, lo scetticismo primitivo di Pirrone perde il suo carattere di totale indifferenza ed apre la strada ad un'analisi dell'esperienza che per un lato è piu vicina al metodo delle scienze particolari e specialmente della medicina e per l'altro aderisce ad una finalità piu pratica della ricerca filosofica. 3. Panezio e la media Stoa. L'attacco sferrato da Carneade contro lo sto1C1smo ottenne l'effetto di orientare i seguaci della scuola su posizioni meno dogmatiche dal punto di vista metodico e meno impegnative in senso metafisico; nella stessa direzione influi anche il contatto fra gli esponenti della 16o Baruch_in_libris § 3 PANEZIO E LA MEDIA STOA Stoa ed il mondo romano; i romani infatti non apprezzarono mai né le speculazioni metafisiche, né le costruzioni sistematiche; furono piu inclini alla problematica morale e ad una visione del mondo che non perdesse i contatti con la vita pratica. Con Panezio la Stoa vive perciò già una fase nuova della sua storia, quella che viene indicata come "media Stoa "; egli è capo della scuola in Atene dal 129 al no; prima di allora, Panezio era vissuto a Roma per oltre un decennio e si era legato di amicizia con la famiglia degli Scipioni; è in questo periodo che egli guadagna molte simpatie allo stoicismo specialmente fra gli esponenti dell'aristocrazia di Roma. Lo stoicismo coltivato da Panezio non si occupa piu di dialettica e di logica; in fisica, esso lascia cadere la dottrina della conflagrazione universale come troppo ardita e si attiene alla prospettiva aristotelica dell'eternità dell'universo; anche la teoria della simpatia universale, dell'universale legame di tutti gli esseri si attenua; né viene svolta la rigida concezione del destino. Non è piu, insomma, una vasta costruzione teologica e cosmologica che interessa, quanto invece tracciare un quadro del mondo a confini ristretti e non molto marcati, entro il quale si collochi l'attività razionale e civile dell'uomo; in fatto di religione, Panezio non attribuisce gran peso al dio dei filosofi e guarda con maggiore attenzione alle forme concrete del culto nelle città. L'etica di Panezio abbandona il rigorismo precedente; egli insiste sulla necessità di seguire la natura, ma intende che ognuno è tenuto a seguire i particolari caratteri della sua individualità, pur senza contraddire una misura comune di umanità; _da una cond~tta volgare e passionale ci salva una regola di gusto morale piu che un criterio metafisico; l'unico criterio da far valere è l'humanitas come senso civile della convivenza ed operosa esplicazione delle doti della ragione. Nel secolo n non solo i grandi sistemi di Platone e di Aristotele sembrano ormai dissolti in un orizzonte remoto, ma le stesse costruzioni dottrinali del secolo precedente si vengono adeguando e riducendo a dimensioni piu caute; la filosofia si configura, ormai, come contrasto fra un atteggiamento critico radicale nei confronti del sistema stoico cui si ·accompagna un piu positivo consenso con il mondo dell'esperienza da un lato, e dall'altro un atteggiamento piu positivo nei confronti della tradizione, ma adeguato anch'esso a prospettive piu immediate. Baruch_in_libris CAP. VII IL SECOLO Il 4. Lo sviluppo delle scienze. Il periodo aureo della scuola di Alessandria coincide con il secolo III e con la prima metà del secolo 11; al 145 risale infatti il primo saccheggio al quale fu sottoposto il Musco, in relazione a vicende belliche; alle difficoltà esterne fa riscontro allora un'attività scientifica meno rigogliosa. In tutto il corso dcl secolo però si svolge un lento processo di diffusione di quella scienza alessandrina che, nel secolo precedente, aveva tenuto il monopolio della cultura nel mondo occidentale; infatti già nella prima metà del secolo II, vicino ad Alessandria, si vengono affermando altri centri importanti di movimenti scientifici, quali Pergamo e Roma. Nell'ambito delle scienze matematiche ed astronomiche, la figura piu importante è quella di Ipparco di Nicea; nato in Bitinia intorno al 180, vive ad Alessandria cd a Rodi e muore intorno al 125; è soprattutto importante il metodo da lui applicato negli studi di astronomia; esso muove da numerose osservazioni sperimentali per poi cercare una rappresentazione geometrica capace di chiarirle; infine con ulteriori osservazioni controlla i risultati della teoria. L'importanza attribuita da Ipparco all'osservazione è attestata an.che dal profitto che egli trae dagli esperimenti condotti per lunghi anni nell'osservatorio astronomico di Alessandria, nonché dai nuovi apparecchi ottici da lui inventati allo scopo. Il problema di Ipparco è ancora quello di Eudosso, cioè la costruzione di modelli geometrici capaci di spiegare il movimento degli astri; mentre Eudosso aveva fatto ricorso al sistema delle . sfere, Ipparco studia nuove curve che possano corrispondere alle traiettorie celesti; egli teorizza cosi due traiettorie: il circolo eccentrico e l'epiciclo; il primo considera il caso di un circolo descritto intorno ad un centro che non coincide con il punto in cui si trova l'osservatore ed il secondo contempla il circolo descritto da un mobile intorno ad un punto che a sua volta si muove circolarmente intorno ad un altro punto. La sostanza delle vedute di Ipparco doveva piu ·tardi essere assorbita nel sistema astronomico di Tolomeo. La geografia viene coltivata :i Pergamo da Cratete, che è alla direzione della biblioteca della città, e in Alessandria da Agatarchide di Cnido. La medicina ha un notevole sviluppo con la fondazione della scuola empirica da parte di Serapionc che fiorisce in Alessandria nella prima metà del secolo; egli polemizza contro ogni forma di dogmatismo negli studi di me.dicina, anche contro quello che si richiamava ad Ippocrate; per contro basa la sua pratica medica sull'csperie>1za e sull'esperimento, utilizza ampiamente i vari casi clinici precedentemente osservati e solo quando non può farne a meno fa ricorso all'analogia. In Alessandria ha grande sviluppo nel secolo II la filologia; il maggiore dei filologi antichi, Aristofane, vive appunto in questa città dal 257 al 180; egli è il successore di Eratostene alla direzione della biblioteca e contribuisce in modo rilevante a perfezionare la tecnica della critica testuale cd a sistemare i criteri del- Baruch_in_libris § 4 LO SVILUPPO DELLE SClENZB l'interpunzione; successore di Aristofane nella direzione della biblioteca di Alessandria è un altro grande filologo: Aristarco di Samotracia (220145), autore di moltissimi commenti e studi critici sulla letteratura greca. A Roma fiorisce il poeta e storiografo Ennio (239-169) mentre la storiografia ellenistica ha la sua massima affermazione con Polibio (207-125); questi ha notevole r:ilievo anche per la sua teoria storiografica che attribuisce alla narrazione storica il compito di approfondire lo studio dei documer.: i, di tener conto dei dati geografici e di studiare sia la politica che la scienza militare. Nel suo insieme, il contributo recato dalla scuola di Alessandria allo sviluppo della conoscenza non ha rilievo soltanto per i progressi conseguiti dalle scienze particolari e specialmente dalla matematica, dalla fisica e dalla medicina, ma si configura anche come indii-izzo generale di cultura, M:l. privo pertanto di un suo rilievo filosofico; in quanto tale esso contrappone alle concezioni generali dcl mondo propugnate dallo stoicismo e dall'epicureismo 'una maggiore aderenza all'esperienza ed una piu libera ed articolata sua elaborazione razionale; sotto tale rispetto, anzi, si può dire che la scuola dj Alessandria abbia rappresentato, nell'età dell'ellenismo, la grande alternativa culturale allo sviluppo delle correnti piu tradizionali dell'indagine filosofica. 161 Baruch_in_libris CAPITOLO Vili Il secolo 1 POSIDONIO. CICERONE. LUCREZIO. ENESIDEMO 1. Il periodo. Se il n secolo, è, specialmente nella sua prima metà, contraddistinto dalla vigorosa espansione di Roma, il 1 secolo con gli ultimi decenni del precedente è contraddistinto da una complessa evoluzione politica e so·ciale della repubblica, ormai in deciso declino; gli elementi che hanno determinato il rompersi del precedente equilibrio sono molteplici: la vasta amministrazione delle provincie, il grosso concentramento della ricchezza finanziaria nelle mani dell'ordine dci cavalieri, il graduale impoverimento dell'economia rurale, l'aumento enorme del numero degli schiavi, i contrasti sociali connessi con l'estensione di determinati diritti; il senato non fu piu in grado di equilibrare le forze in contrasto, le lotte interne si intrecciarono alle continue guerre per controllare e consolidare le precedenti conquiste, gli eserciti assunsero un'importanza sempre maggiore come strumento di appoggio ad una determinata politica; divenne cosi inevitabile il passaggio dalla repubblica al governo personale dcl principato con Augusto; l'età di Augusto segnò, come è noto, il massimo fiorire della letteratura e della cultura in Roma; ma, da un punto di vista piu generale, era evidente che Roma non era riuscita a sviluppare un'azione culturale profonda che, traendo profitto dalla tradizione greca, facesse argine a tutte le forze disgregatrici che crescevano all'interno del suo vasto impero; anche la filosofia accennava. sempre piu a diventare patrimonio di circoli ristretti di intellettuali e di aristocratici; e si avrà infine il prevalere di quelle tendenze mitiche e: magiche che, se non erano mai venute meno nei paesi orientali, non erano finora riuscite a creare un clima generale dominante in tutto lo scacchiere della civiltà ellenistica. Dal punto di vista filosofico si ha, in questo periodo, uno sviluppo e adattamento di posizioni tradizionali al nuovd clima culturale; cosi si può dire in particolare per lo stoicismo di Posidonio, per lo sviluppo dato da Cicerone ad alcuni temi dc:ll' Academia e per il tentativo compiuto da Lucrezio di rinnovare l'epicureismo; con Enesidc:mo si ha poi la ripresa dell'indirizzo scettico con un aperto richiamo alla tradizione pirroniana. Baruch_in_libris s2 POSIDON10 2. Lo stoicismo di Posidonio. La media Stoa che nel secolo II era stata iniziata da Panezio ha ora il suo esponente maggiore in Posidonio, vissuto fra il 135 ed il 51; sappiamo che insegnò a Rodi dove ebbe scolaro Cicerone e che tenne rapporti amichevoli sia con Pompeo che con gli ambienti culturali di Roma; scrisse molti trattati filosofici, oltre ad opere di matematica, di storia, di geografia, di scienze della natura; a giudicare dall'eco che della sua dottrina si riscontra in altri autori (giacché nulla resta dei suoi stessi scritti), Posidonio è una mente enciclopedica. L'indirizzo generale del suo pensiero da un lato accentua alcuni motivi naturalistici, dall'altro li integra con una prospettiva misticoreligiosa; per es., il calore che è il principio animatore dcl.l'universo è anche alla radice di quell'ordine gerarchico che dispone gli esseri secondo un piano provvidenziale; la natura è regolata da leggi cd è oggetto di ricerca scientifica, ma Dio può vaticinare il iuturo per bocca d'una profetessa ispirata o quando, nel sonno, rapisce l'anima, sciolta dai vincoli del corpo, in sogni profetici; il mondo è un'unità organica, ma l'anima ha rapporto diretto con Dio mediante l'entusiasmo mistico. L'uomo stesso risulta composto di due parti, una dcm~ niaca che ha la stessa natura di Dio ed una irrazionale che la contrasta; le passioni non si possono quindi sradicare, ma sono una parte del nostro essere; su questo elemento irrazionale della nostra natura nulla può la ragione, poiché solo con mezzi irrazionali si può domi.nare. la parte inferiore di .noi. Posidonio ebbe piu vivo di· altri stoici l'interesse per lo studio analitico della natura; ma egli è anche piu aperto di altri a tradizioni mistiche che finora erano rimaste estranee alla scuola stoica. 3. Cicerone e I'Academia. Il pensiero di Cicerone, vissuto fra il 106 cd il 43, è legato alle vicende della Academia di Platone e specialmente alle dottrine in essa sostenute da Filone di Larissa e da Antioco di Ascalona, gli scolarchi che la diressero dal 110 fino al 69; del secondo, Cicerone fu scolaro ad Atene nel 79. L'indirizzo di Antioco è in aperto con165 Baruch_in_libris CAP. VIII IL SECOLO I trasto con quello che alla scuola aveva impresso Carneade; mentre questi aveva criticato a fondo la dottrina stoica, Antioco promuove un incontro fra lo stoicismo e l'Academia; ma l'Academia deve ritornare alla autentica dottrina di Platone che, a suo giudizio, non è poi distante né dalla dottrina aristotelica, né da quella stoica. In particolare Antioco c~itica il probabilismo di Carneade in quanto ritiene che, per stabilire una graduazione della probabilità, è necessario un criterio fermo, una certezza assoluta; bisogna dunque ammettere che sia possibile percepire la verità e che questa costituisca la base stabile dell'azione; «è soprattutto necessario, concludeva Antioco, che noi si percepisca qualche cosa prima dell'azione e che si dia il nostro assenso a quello che abbiamo percepito, poiché chi nega o la percezione o l'assenso, nega radicalmente l'attività della vita umana». Cicerone, nei molti suoi scritti di ispirazione filosofica (si possono ·ricordare i seguenti: Academica, De finjbus, Tusculanae disputationes, De natura deorum, De divinatione, De fato, De officiis) non aderisce del tutto alla posizione di Antioco; del resto egli aderisce, volta a volta, ad indirizzi ed a tesi non sempre coerenti, né si propone di elaborare una filosofia originale; avendo atteso con passione agli studi filosofici, Cicerone ha soprattutto il merito di aver rielaborato in lingua latina molti seritti filosofici greci; le sue opere hanno avuto comunque una grandissima diffusione; sono penetrate piu tardi nel mondo cristiano ed il suo umanesimo è stato piu volte ripreso nel corso della storia come una visione equilibrata del mondo e della vita umana, sia individuale che collettiva. Cicerone si considera academico quanto al metodo, cioè alieno da affermazioni dogmatiche concernenti oggetti troppo lontani dall'esperienza comune, attento al pro cd al contro dei problemi, piu interessato a discutere ed a cercare che ad affermare perentoriamente. Comunque la sospensione radicale dell'assenso, già propugnata da Arccsilao e da Carneade, non gli appare come un atteggiamento realistico; e, pur entro limiti ragionevoli, egli sostiene dottrine positive; si affida con fiducia al consensus gentium per affermare l'esistenza degli dèi; crede nella provvidenza divina, senza di che gli pare che vengano meno non solo la religione e il culto, ma anche una ordinata convivenza civile; 166 Baruch_in_libris CICBl.ONI! respinge invece le credenze nd fato e nella divinazione; l'immortalità dell'anima è una conclusione che Cicerone si sforza di dimostrare con vari argomenti; egli non è insensibile nemmeno ai temi dell'ascetismo platonico, come quando afferma che la vera sede dell'anima non è la terra, ma il cielo o quando indica nel corpo un limite ed una prigione per l'anima. Il criterio etico piu analizzato da Cicerone è l'honestum che si accompagna al decorum; si tratta d'uno sviluppo armonico delle qualità proprie dell'uomo, in cui si equilibrano le doti di natura e quelle individuali, la virtil come l'utilità. Cicerone rifugge infatti dall'ascetismo; il cosmopolitismo che egli deriva dagli stoici si combina con il senso della patria e della tradizione romana, nonché con un certo conservatorismo proprio dell'aristocrazia del suo tempo. 4. L'epicureismo di Lucrezio. L'epicureismo non si era mai del tutto eclissato dopo la fondazione della scuola, ma i suoi seguaci si erano tenuti piuttosto in disparte, come un'opposizione aristocratica, mentre si svolgevano le polemiche fra stoici ed academicL Nel 1 secolo l'epicureismo rivive per opera di Filodemo e di Lucrezio. Il primo, nativo di Gadara in Siria, visse fra il 110 ed il 35 e fu per parecchio tempo a Roma, dove ebbe amici Cicerone, Virgilio ed Orazio; nei suoi scritti si dedicò principalmente a difendere la dottrina di Epicuro contro gli attacchi che le erano rivolti sia da parte degli stoici che da parte degli academici. Con Lucrezio (95-55) l'epicureismo ha prodotto un'opera di altissima ispirazione poetica: il De rerum natura; è l'opera alla quale è storicamente legato ormai lo stesso pensiero di Epicuro e che ha determinato, a piu riprese nella storia del pensiero, la rinascita dell'atomismo e della filosofia del Giardino. Non è comunque solo ad Epicuro che si rifà Lucrezio; egli ha utilizzato anche Democrito, Aristotele, Teofrasto, oltre a Posidonio ed a Filodemo. All'intero epicureismo egli conferisce tuttavia un significato particolare, certo in relazione alle preoccupazioni che in lui sollevava la diffusione dei movimenti mistici ed occultistici provenienti dall'oriente. Il punto della fisica epicurea su cui Lucrezio ha posto un particolare accento è quello che concerne il " clinamen " degli atomi; egli ribadisce Baruch_in_libris CAP. VIII IL SECOLO I cioè che, se non si attribuisce all'atomo il potere di deviare dalla linea retta, non si può dare una spiegazione soddisfacente della libera iniziativa umana da un lato e dell'assenza di necessità nel mondo dall'altro. Sul tronco dell'epicureismo Lucrezio inserisce poi motivi che derivano dalla sua esperienza di vita e dalla sua formazione culturale. Tale è, ad es., l'accento pessimistico delle sue pagine che riguardano il vano affaticarsi degli uomini nella soddisfazione delle loro cupidigie e quelle che concernono l'irrimediabile decadenza cui conduce _il processo della civilizzazione umana; senza dire di quel disgusto della vita che Lucrezio deriva dall'eterna monotonia delle cose. La lotta anti-religiosa è comunque nella cima dei suoi pensieri; le pene dell'oltretomba, egli afferma, sono la raffigurazione delle pene che gli uomini vivono quaggiu, premuti dal vano terrore degli dèi e dal timore per i colpi del destino; è proprio questa vita terrena che bisogna cambiare e allora anche la raffigurazione delle .pene future lascierà il posto ad una piu pacata rassegnazione alla nostra fine nel nulla della morte. 5. Il neo-scetticismo di Enesidemo. Di fronte alla svolta che, con Antioco di Ascalona, riporta l'Academia ad un rinnovato dogmatismo, si ebbe, sul· finire del 1 secolo, la reazione di Enesidemo che insegnò ad Alessandria e volle ripristinare la tradizione scettica in una forma piu rigorosa. La sua opera dal titolo Discorsi pirroniani conteneva una sistemazione dello scetticismo, la cui parte principale è costituita dalla formulazione dei dieci argomenti o tropi per la sospensione dell'assenso a ciò che attestano i sensi; i motivi principali di tale sospensione risiedono nei contrasti cui la· sensazione stessa dà luogo; infatti i dati della sensazione sono diversi nei diversi animali, variano da uomo a uomo in circostanze diverse; la rappresentazione d'una cosa varia col variare del luogo in cui essa si trova, né è possibile isolare un oggetto dalla mescolanza in cui si trova con altri oggetti; infine Enesidemo richiamava la diversità dei costumi, delle leggi e delle tradizioni; egli voleva insomma dimostrare come la conoscenza sia sempre relativa e non possa pertanto conseguirsi la verità. Un altro punto importante svolto da Enesi161 Baruch_in_libris § 5 ENESIDEMO demo concerne la critica della conoscenza che si ·può ricavare, secondo gli stoici e gli epicurei, risalendo dai fenomeni osservati quali segni alle cause nascoste di essi. Questo rinnovato scetticismo ha principalmente di mira la fiducia stoica ed epicurea di poter distinguere le sensazioni vere da quelle false e di poter superare l'ambito della sensazione con la determinazione di cause mediate dei fatti; esso si attiene, invece, per proprio conto, a quell'analisi dell'esperienza e della sensazione che, essendo comune a molte correnti di medici e di scienziati ad Alessandria, intendeva comunque svuotarle di ogni contenuto dogmatico. È posteriore ad Enesidemo un'ulteriore elaborazione dei tropi dovuta ad Agrippa; si tratta di cinque tropi di carattere piu generale: il primo è quello « per cui troviamo che intorno ad una cosa proposta esiste una discordia indirimibile nella vita e nei filosofi »; il secondo è quello del rinvio all'infinito, per cui « ciò che si reca a prova della cosa proposta diciamo che ha bisogno a sua volta di altra prova e cosi all'infinito »; il terzo modo dipende dalla relazione, cioè dal fatto che ogni oggetto non appare mai per sé, ma sempre in relazione sia al soggetto che ad altri oggetti; il quarto modo si chiama " ipotetico " in quanto mette in chiaro che i dogmatici risalgono a dei principii che non sono dimostrati, ma vengono assunti come ipotesi; il quinto modo è quello detto del "diallelo" in quanto rileva che spesso i dogmatici provano a con b e insieme b con a, con un circolo evidente. 6. Lo sviluppo delle scienze. Se il diffondersi di credenze magico-astrologiche non poteva che ostacolare la ricerca scientifica vera e propria, quale si era soprattutto affermata nel m secolo in Alessandria d'Egitto, non è da credere che lo spirito scientifico fosse già scomparso nel I secolo. Esso è ancora presente infatti tanto a Roma che ad Alessandria. In quest'ultima città era sorta anche una scuola di ingegneria che si era già distinta per l'invenzione di parecchi strumenti idraulici; l'esponente piu illustre di tale scuola pare che sia vissuto nel corso del I secolo ed è Erone. La sua opera ci informa sia sul fatto che, nella scuola di Alessandria, l'insegnamento dell'ingegneria era organizzato in corsi propedeutici di carattere teorico con prevalenza delle discipline scientifiche e con corsi successivi di applicazione e di esercizio pratico, sia sull'enorme importanza che egli ha attribuito, anche Baruch_in_libris tL SECOLO I CAP. VIII nella trattazione delle discipline teoriche, all'aspetto sperimentale costruttivo ed operativo; con ciò Erone si staccava da Euclide molto piu di quanto non avesse fatto, a suo tempo, Archimede; e tuttavia le applicazioni che Erone poté trarre dal vasto apparato delle sue conoscenze teoriche non ebbero un peso notevole nella trasformazione tecnica della produzione e della vita del suo tempo; i risultati piu apprezzati erano la costruzione di ingegnosi giocattoli, di orologi ornamentali e di dispositivi che erano detti "miracolosi" (ad es. un dispositivo meccanico che faceva aprire le porte del tempio al momento in cui sull'altare si accendeva il fuoco sacro); il conservatorismo sociale impediva alla tecnica di impegnarsi in qualche cosa di piu rilevante. Né si può dimenticare che anche in Roma, nello stesso periodo, l'ingegneria ebbe un illustre cultore in Vitruvio; egli non volle essere un puro tecnico, ma si sforzò di considerare la costruzione degli edifici e l'architettura in rapporto con la civiltà e la cultura del suo tempo; meno spiccata invece è la sua preparazione scientifica in senso stretto. Per quanto riguarda Roma, è anzitutto da segnalare che nel corso del I secolo vi si affermò una scuola di medicina che probabilmente derivava da una precedente iniziativa affermatasi ad Alessandria di Egitto. Asclepiade, nato a Prusa in Bitinia, fu l'esponente piu noto di questa scuola; egli si ispirava alla filosofia di Epicuro e professava un materialismo radicale; riteneva che la malattia derivasse dall'occlusione dei pori o canali intorno a cui si uniscono gli atomi formanti il corpo; le cause dell'occlusione erano, a suo avviso, sempre meccaniche e dovevano essere tolte con interventi chirurgici. Il suo discepolo Temisone (63 a. C.) fu l'iniziatore di un indir}zzo di medicina che venne chiamato metodico, in quanto si preoccupava di stabilire, mediante l'osservazione, i caratteri comuni alle varie malattie; anche Temisone si atteneva a una visione materialistica, in q~anto riteneva essenziale il concetto di "tensione" o "tono" dell'organismo, percepibile attraverso il battito del polso; non è che quest'indirizzo di medicina non facesse ricorso a criteri generali, come si vede, ma tali criteri aderivano ad una spiegazione materialistica della struttura corporea, indipendentemente da ogni dottrina di carattere metafisico generale. A Roma fiorisce anche la cultura enciclopedica con Marco Terenzio Varrone (n6-27); fra le sue; opere che non sono giunte a noi figura infatti una trattazione enciclopedica De disciplinis divisa in nove libri, dedicati alle seguenti materie: grammatica, dialettica, retorica, geometria, aritmetica, astrologia, musica, medicina, architettura : senza dire del rilievo che ha la conoscenza di Varrone in fatto di botanica, dove egli supera lo stesso Catone. La geografia ha il suo massimo cultore in Strabone (63-20 d. C.) che scrive una vastis-sima enciclopedia in cui trovano sistemazione gli aspetti matematici, fisici, politici e storici di questa disciplina; mentre l'opera precedente di Eratostene aveva tnsistito sulla trattazione matematico-scientifica della descrizione 170 Baruch_in_libris § 6 LO SVILUPPO DELLE SCIENZE della terra, ora Strabone si rivolge prevalentemente agli uomini d'affari e svolge la sua descrizione della terra con prevalente attenzione al suo rapporto con il mondo degli uomini. Le discipline storiche vantano, in questo periodo, autori come Giulio Cesare (102-44) e Sallustio (86-34). Baruch_in_libris CAPITOLO IX Il 1 secolo dell'èra cristiana FILONE. LA PREDICAZIONE DI GESU ES. PAOLO. SENECA 1. Il periodo. . Il I secolo dell'era cnsuana coincide con il primo periodo della storia dell'impero romano fondato da Augusto: i contrasti interni fra l'esercito, il senato e l'aristocrazia continuano, mentre la compagine dcl vasto dominio di Roma regge solidamente sia dal punto di vista militare che da quello politico. I problemi di fondo delle popolazioni che vivono nell'ambito delrimpero non vengono però risolti e solo la dittatura militare è in grado di mantenere e in parte di accrescere ti prestigio del potere centrale. Dal punto di vista culturale si accentua nei I secolo quella crisi che aveva avuto inizio nel secolo precedente: e ciò nel senso che la formulazione razionale dci criteri per la conoscenza del mondo e per la condotta dell'uomo appare sempre meno soddisfacente alle masse che . non fanno parte dci ristretti gruppi intellettuali; viene sempre pio diffondendosi una visione mistico-religiosa della vita e dcl mondo, comunità religiose nuove si formano dovunque, i culti orientali si diffondono anche in Occidente per opera dci soldati, dei commercianti, degli schiavi che sono ·adibiti nelle campagne e nelle città. In Alessandria d'Egitto Filone tenta una fusione delle pio rilevanti istanze religiose giudaiche con alcuni temi della filosofia greca e specialmente della tradizione platonica; si svolge intanto la predicazione di Geso con la quale nasce il cristianesimo; esso già con s. Paolo prende una precisa posizione rispetto alla filosofia ellenistica, mentre il pensiero di Seneca adatta la tradizione stoica all'ambiente della cultura romana. 2. Filone e l'incontro di filosofia greca e religione ebraica. Filone appartiene alla colonia ebraica di Alessandria e vive fra il a. C. cd il 40 d. C.; da un lato egli professa la· fede religiosa nella civclazione divina contenuta nell'Antico Testamento; dall'altro è uomo di vasta cultura e conosce in particolare le dottrine stoiche, quelle pita20 Baruch_in_libris s2 PILONE goriche, nonché il pensiero di Platone; la sua visione dcl mondo tende appunto a fondere le prospettive piu rilevanti della religione ebraica con alcune dottrine della tradizione filosofica greca, come risulta dalk sue opere maggiori che sono un'esposizione della legge ebraica, un grande commento allegorico al libro del Genesi ed una vita di Mosè, oltre ad alcuni scritti, di ispirazione piu propriamente filosofica, sulla libertà del sapiente e sulla provvidenza. I criteri che consentono a Filone di unire insieme religione ebraica e filosofia greca sono principalmente due: da un lato egli sostiene che alcune dottrine di filosofi greci, specialmente di Platone, erano loro derivate da Mosè o dalla conoscenza delle leggi degli ebrei; in secondo luogo afferma che la legge ebraica «è simbolo di cose intellegibili», ha cioè in sé «un senso nascosto»; non basta quindi considerarla nella sua enunciazione letterale, ma bisogna scoprirne il significato che sta oltre le parole. È tratto dalla religione ebraica il carattere espansivo e ben~fico della divinità, sul quale Filone particolarmente insiste, come quando afferma che la bontà di Dio « benefica senza interruzione ed accumula doni su doni »; dall'ebraismo deriva altresl la preoccupazione di tenere la realtà divina distinta e trascendente rispetto al mondo umano; per questo Dio è considerato « superiore alla virtu, superiore alla scienza, superiore allo stesso bene »; ciò non è detto tuttavia senza un intendimento polemico nei confronti della concezione ellenistica della divinità e del suo mescolarsi con le forme piu alte dell'att;ività umana. Da un lato Dio è suprema unità; d'altra parte non lo si può comprendere che alla luce di quelle potenze, o aspetti dell'azione divina, che anche la teologia greca aveva analizzato. La maggiore delle potenze divine è il Verbo, il cui concetto Filone ricava dalla filosofia platonico-stoica; il Verbo è ad un tempo Dio e il primo degli esseri sapienti e perfetti creati da Dio; la sua funzione diviene rilevante nella creazione del mondo che viene cosi prospettata: « Dio, presa la risoluzione di creare il mondo visibile, prima modellò il mondo intellegibile, per potere, valendosi del modello incorporeo e simile a Dio, formare il mondo corporeo; ora il mondo fatto di idee o modelli non può aver altro luogo che il Verbo divino ordinatore di queste cose »; in tal modo il mondo platonico delle idee si trasforma nella mente di Dio, in un'espressione personale di Dio che è a sua volta persona. Dio non è, per Filone, solo 1 Baruch_in_libris 71 IL PRIMO SECOLO DELL' ÈRA CRISTIANA CAP. IX ordinatore del mondo, ma suo creatore; egli «ha chiamato il mondo all'essere dal nulla»; non ha però creato anche la materia informe, perché, come aveva pensato Platone, Dio non può venire ad un contatto qualsiasi « con la indeterminata e caotica materia »; alla materia preesistente Dio ha quindi conferito forma e determinazione. L'intelligenza che si trova nell'uomo è una particella o raggio del Verbo divino; essa deve fuggire «quell'impuro carcere che è il corpo» estraniando il pensiero dal mondo materiale; a questo punto Filone utilizza gli argomenti che la tradizione scettica aveva recato contro la validità della conoscenza, perché, osserva, « nelle infinite cose che vengono trattate dalla logica, dall'etica e dalla fisica nascono discussioni innumerevoli »; non ci resta dunque che sospendere il giudizio e passare alla fede che considera gli aspetti positivi dell'attività umana come derivanti da Dio e non da un merito o da un valore particolare dell'uomo e quindi attribuisce a Dio l'iniziativa della salvezza e del bene, promuovendo l'unione con lui; alla esigenza razionale di comprendere il reale e di agire in esso, la fede sostituisce il senso dell'unione con Dio; il sapiente, insomma, non è piu per Filone colui che si dedica alla ricerca scientifica e al dominio delle passioni, ma colui che spinge la propria riflessione fino ad intendere che la felicità consiste nel disprezzo della cultura e nell'abbandono mistico all'estasi divina. 3. La predicazione di Gesu. Mentre ad Alessandria si afferma la dottripa di Filone in cui la tradizione religiosa ebraica ha una parte determinante, si svolge in Palestina la predicazione di Gesu; essa si colloca all'interno dell'ebraii1mo, ma ne rinnova profondamente il contenuto religioso. Gesu si rivolge, secondo che attestano i tre vangeli sinottici di Matteo, di Marco e di Luca, a tutti gli uomini di buona volontà e particolarmente a coloro che soffrono; ai diseredati, ai peccatori; ad essi predica il regno di Dio che non ha un significato mondano, ma un significato interiore di rinnovamento, di liberazione dal male, di redenzione dal peccato; bisogna staccarsi da tutte le cose del mondo, dall'attaccamento agli onori, alle ricchezze; la salvazione sta nell'amore di Dio e del prossimo: Dio è padre, infinitamente buono e misericordioso; per diven174 Baruch_in_libris s3 LA PREDICAZIONE DI GESÙ tare suoi figli, bisogna amare anche i propri nemici e fare del bene a coloro che ci fanno del male; solo l'amore ci redime dal peccato. Non è l'osservanza della legge che salva, non è il •conformismo esteriore delle pratiche del culto che giustifica; solo i puri di cuore vedranno Dio. Gesu si presenta come figlio dell'uomo e figlio di Dio, come banditore della redenzione nella fede, come pegno di un nuovo patto fra Dio e gli uomini. La predicazione di Gesu si stacca da tutti gli altri indirizzi religiosi dell'ebraismo, da quello dei sadducei che si accontentavano di un'osservanza formale della legge ed irridevano ad ogni speranza escatologica, da quello dei farisei, tutti presi dallo zelo per la conservazione della genuina tradizione ebraica, come anche dall'ascetismo degli esseni. La predicazione di Gesu prende invece posizione contro l'osservanza esteriore della legge assunta come pieno adempimento della vita religiosa e se da un lato si appella alla tradizione ebraica che vuole conservata nei suoi elementi fondamentali, dall'altro non si fa scrupolo di contrastarla nei suoi aspetti piu retrivi e di rinnovarla con un richiamo piu diretto alla vita interiore dell'uomo; viene accentuato in modo rilevante l'elemento escatologico; esso diviene anzi il perno del rinnovamento religioso e spirituale bandito da Gesu, il quale non propugna un distacco dalle cose del mondo fine a se stesso e non si fa apostolo di un ascetismo di tipo moralistico; il distacco dalle cose mondane è soltanto un mezzo per il rinnovamento interiore e per il raggiungimento della salvezza; questa poi non si ottiene solo con l'unione mistica con Dio, ma anche attraverso l'amore e la comprensione degli uomini. La persona e la predicazione di Gesu, i prodigi da. lui operati, la sua condanna a morte per opera del sinedrio ebraico, la sua resurrezione sono al centro di moltissime narrazioni sorte e diffuse nell'ambito della comunità cristiana dei primordi; piu tardi la chiesa indicò quali fra questi documenti dovessero ritenersi « canonici » e quali invece fossero da considerare «apocrifi». 4. S. Paolo. Nelle lettere inviate alle comunità cnstlane dal 55 al 58 (specialmente importanti quelle ai Corinti, ai Romani ed ai Galati), Paolo riconosce alla predicazione di Gesu un compito originale sia rispetto Baruch_in_libris IL PRIMO SECOLO DELL' ÈRA CRISTIANA CAP. IX alle pretese della cultura ellenistica, sia rispetto alla tradizione religiosa giudaica. « Il mondo, egli afferma, con tutta la sua sapienza non ha saputo riconoscere Dio, mentre Dio si è compiaciuto di salvare i cr~ denti mediante la stoltezza della predicazione»; ma nemmeno l'osservanza della legge giudaica può salvare; perciò appunto, nella nuova fede, non vi è piu « né giudeo, né greco, né schiavo, né libero ». Al centro della nuova fede è l'unità di ciascuno dei fedeli e di tutti insieme nel « corpo mistico » di Cristo; la morte e la risurrezione di lui sono redenzione dal peccato e liberazione dal male: «All'infuori della legge, si è ora manifestata la giustizia di Dio mediante la fede in Gesu; tutti hanno peccato e tutti sono giustificati gratuitamente per la grazia; l'uomo è giustificato per la fede, all'infuori· delle opere della legge». Alla radice della fede sta un piano divino di predestinazione e di salvezza; il regno di Dio coincide con il prossimo rinnovamento religioso di tutta l'umanità, al cui termine si avrà la seconda venuta di Cristo e la risurrezione di tutti i corpi; al grande rinnovamento interiore deve accompagnarsi il distacco dal mondo e la soggezione al1'autorità, perché «chi si ot>pone all'autoricl, va contro l'ordine di Dio». 5. Seneca e lo stoicismo romano. Contemporaneo di s. Paolo è Seneca, nato a Cordova nel 3 e morto a Roma intorno al 65; scrisse molti trattati morali, le famose Lettere a Lucilio e le Quaestiones natura/es. Anche se gli scrittori cristiani piu tardi hanno visto nelle sue opere un indirizzo di pensiero vicino al cristianesimo, in realtà Seneca propone una dottrina stoica, che, pur staccandosi sensibilmente dai modelli greci originari, ne mantiene tuttavia lo spirito in continuità con la tradizione filosofica. Mentre s. Paolo pone la salvezza nell'abbandono alla grazia divina, Seneca, pur senza abbandonarsi ad indagini metafisiche approfondite e senza nutrire una fiducia totale nello strumento logico-dialettico, costruisce un mondo etico di impronta schiettamente razionale, ossia traccia una visione della vita in cui l'uomo tiene ancora il posto centrale. L'opera in cui egli raccoglie la trattazione delle questioni di astronomia, di meteorologia e di geografia, anche se risale come fonte prin- Baruch_in_libris § 5 SENECA cipale a Posidonio, dimostra un atteggiamento positivo per quel mondo naturale e per quella ricerca scientifica che il cristianesimo considera con assoluto distacco. Se non si attiene strettamente ad uno stoicismo dogmatico, è perché vuole accostarsi anche ad altri pensatori, in quanto, osserva, « la verità è aperta a tutti e non è possesso di nessuno in forma esclusiva». Seneca teorizza la liberazione dell'anima dal carcere del corpo, ma la morte non è per lui una unione mistica con Dio, quanto invece « una naturale estensione del nostro pensiero nell'infinito», un ritorno dell'anima al principio dell'essere da cui è venuta. Seneca nega, come Paolo, che esista una differenza fra l'uomo libero e lo schiavo; ma il legame comune non è l'unione mistica con il corpo di Cristo, bensf l'unione con il gran corpo universale della natura « che . ci generò parenti, dandoci una stessa origine ed uno stesso fine »; ciò che rende lo schiavo pari al libero è la libertà dell'anima «che non si può mai dare in schiavitu », perché «tutto ciò che viene da essa è libero ». Della tradizione stoica Seneca conserva in particolare la dottrina della provvidenza che governa tutte le cose, la teoria del cosmopolitismo e il precetto dell'amore universale che deve legare tutti gli uomini. Con Seneca insomma la filosofia stoica si apre a motivi umani piu larghi ed intimi, il senso concreto della vita si fa piu urgente ed appassionato, si compie uno sforzo per approfondire il senso divino del mondo; perciò la preoccupazione maggiore non è per la fedeltà ad una scuola, ma per una piu vasta comprensione umana; ma è pur sempre il tentativo compiuto dalla ragione in nome di quella sapienza che Paolo non esitava a chiamare pura follia. 6. Lo sviluppo delle scienze. L'attenzione di Seneca per lo studio scientifico della natura non è, d'altra parte, isolata nel suo tempo. Ad Alessandria si continuano a coltivare le varie scienze; cd altrettanto avviene nei centri culturali dell'ellenismo. Anche Roma viene presa da tale interesse, sebbene in questo caso si tratti piu di volgarizzazione delle scoperte già fatte che non di un contributo nuovo cd originale. Cornelio Celso, ad esempio, fiorito sotto Tiberio, è autore di una sorta di enciclopedia, dal titolo Artes, in cui tratta di retorica, di filosofia, di legge, di scienza militare, di agricoltura e di medicina; la parte di essa che è giunta fino a noi comprende una storia dci procedenti sviluppi della scuola medica di Alessandria, con ampi resoconti Baruch_in_libris IL PllIMO SECOLO DEU.' ÈRA CllISTIANA CAP. IX delle varie scoperte scientifiche; l'atteggiamento dell'autore non inclina né verso la semplice esperienza, né a favore esclusivo del metodo filosofico in medicina, ma tende piuttosto ad una conciliazione dei due criteri. Plinio il Vecchio che, nato a Como nel 23, mori osservando l'eruzione del Vesuvio nel 79, va ricordato per la sua Naturalis Hirtoria che è uno scritto enciclo: pedico in 37 libri, comprendente questioni di astronomia, di chimica, di geologia, di botanica, di zoologia, di geografia, di antropologia, di etnologia e di storia dell'arte, oltre che di medicina; il modo in cui il materiale viene messo insieme denota certamc;nte scarso senso critico; ma l'opera rivela comunque una viva curiosità scientifica e attesta lo sfruttamento d'un copioso materiale (Plinio nomina infatti 146 scritti romani e piu di 300 scritti greci da lui utilizzati). Se si aggiunge che a Roma si ebbe, in -iuesto tempo, la fondazione ufficiale della Schola medicorum, oltre alla composizione dcl De re rustica di Columella, del De institutione oratoria di Quintiliano e dell'opera storica di Tacito, e che nel mondo ellenistico si diffuse l'enciclopedia medica di Dioscoride e il primo trattato in cui l'aritmetica viene svolta da Nicomaco di Gcrasa come disciplina autonoma, si comprenderà che, pur non essendo il I secolo d. C. un periodo particolarmente fertile ed originale per l'attività scientifica, esso non lasciò comunque cadere in dimenticanza il vasto materiale raccolto nelle epoche precedenti. ,,,, Baruch_in_libris CAPITOLO X Il 11 secolo GNOSI RELIGIOSA E PENSIERO CRISTIANO. PLUTARCO. EPITTETO. MARCO AURELIO 1. Il periodo. Nel corso del n secolo la compagine statale romana riesce ancora a mantenere la sua efficienza; con Traiano pare anzi che l'impero riacquisti nuova forza espansiva verso la Dacia; ma ormai Germania, Sannazia e Media restano a segnare il limite estremo dell'espansione romana. La politica degli Antonini, con l'appoggio all'agricoltura, il controllo della burocrazia e dell'esercito e con l'estensione della cittadinanza a tutti gli uomini liberi dell'impero, segna un periodo abbastanza tranquillo. Il cristianesimo che, nel corso dcl 1 secolo, aveva trovato proseliti specialmente nelle classi umili, si diffonde ora anche fra gli intellettuali e fra gli stessi esponenti della vita politica e militare. La cultura è dominata in questo periodo da una speculazione religiosa ad intonazione misticheggiante: la gnosi; il cristianesimo, anche se tenta con gli apologisti di stabilire un rapporto fra la nuova religione e la filosofia greca, compie ogni sforzo per differenziarsi nettamente da tutte le correnti della gnosi. L'interesse religioso dominante esercita il suo influsso anche sul pensiero di Plutarco e di altri che, come lui, si dichiarano platonici in quanto riprendono quei temi della filosofia di Platone che piu paiono conciliarsi con la speculazione religiosa. Soltanto il tardo stoicismo romano con Epitteto e Marco Aurelio si mantiene ancora fedele alla tradizione della sapienza filosofica, senza concessioni al misticismo. 2. Il vangelo di Giovanni. Il vangelo di Giovanni risale probabilmente all'inizio dcl n secolo ed è particolarmente importante perché, nell'interpretazione della figura e dell'opera di Ge$u, utilizza concetti che non sono presenti 179 Baruch_in_libris CAP. X IL Il SECOLO nei tre vangeli sinottici. L'autore del 1v vangelo non si accontenta infatti di dichiarare Gesu figlio di Dio, ma si sforza di spiegare la sua relazione con Dio mediante il concetto di Verbo; l'inizio del vangelo suona cosi: « In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio ed il Verbo era Dio. Tutto è stato fatto per suo mezzo e senza di lui non è stato fatto nulla di ciò che esiste. In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini ». Nel 1v vangelo, oltre a Dio Padre ed al Logos o Verbo compare anche il Paracleto· o Spirito che il Padre invierà ai discepoli di Gesu per completarne e continuarne l'opera; la figurazione della trinità ha qui pertanto una piu approfondita formulazione. 3. La gnosi. Nel 11 secolo giunge al suo culmine il diffondersi delle sette gnostiche che aveva avuto inizio già nel 1 secolo a. C.; si tratta di piccoli gruppi di iniziati che, muovendo dalle religioni orientali, si danno alle speculazioni cosmologiche e teosofiche; essi hanno in comune l'esoterismo e alcuni punti dottrinali generali; alcuni di questi indirizzi si affermano anche all'interno del cristianesimo; _è anzi nello sforzo di differenziarsi da essi e di individuare chiaramente la loro eterodossia che il cristianesimo primitivo si consolida dottrinalmente. La gnosi o conoscenza cui tutti i movimenti gnostici si richiamano è la conoscenza che salva; essa è riservata agli iniziati e perciò è diversa dalla fede delle persone comuni; deriva dall'alto in forma misteriosa, illumina immediatamente gli adepti e viene da loro posseduta in modo completo. Il contenuto comune di tale rivelazione esoterica comprende anzitutto la dottrina di un Dio sconosciuto ed invisibile, del quale non si possono indicare qualità ed attributi in senso positivo; il vero Dio supremo infatti non deve avere nulla in comune con la realtà finita e perciò deve distinguersi nettamente da quel dio demiurgo che crea il mondo ed ha rapporti con la materia; quest'ultimo appartiene al numero di quelle entità mediatrici che procedono dal Dio invisibile per via di una progressiva degradazione di perfezione; si tratta di esistenze spirituali eterne (eoni) che nel loro insieme formano il pleroma o pienezza della realtà 180 Baruch_in_libris s3 LA GNOSI divina. L'origine della materia non può risalire a Dio, perché questi è spirito e la materia è il suo contrario ed è origine dcl male; la materia nasce piuttosto da una degenerazione e da una caduta del pleroma. Anche l'uomo subisce, nella sua composizione, gli effetti della caduta; egli ha in sé un elemento spirituale ed uno materiale; la salvezza si consegue con la liberazione dalla materia; questa ha luogo per l'intervento superiore di un eone redentore che è un messo divino o un profeta capace di eludere le forze del male; si respinge però l'idea della incarnazione del redentore, in quanto essa ne comporterebbe la soggezione alla corporeità. Mentre la filosofia greca aveva visto nel mondo un c0smo ordinato e razionale, la gnosi vede in esso una realtà decaduta, da cui bisogna liberarsi; le pratiche del culto sono parte importante del processo della liberazione e comprendono sia il battesimo e il banchetto, sia il ricorso alle immagini come alle parole magiche, sia infine il ricorso alla mistica delle lettere e dci numeri. La svalutazione della realtà materiale comporta, in sede morale, due diversi atteggiamenti, entrambi presenti nelle correnti della gnosi : da un lato il rigorismo piu drastico che stacca l'uomo dal sensibile e lo porta ad avversare sia il matrimonio che la generazione, dall'altro la considerazione del mondo sensibile come indifferente dal punto di vista morale e quindi l'esplicazione di una libertà sfrenata degli istinti e della sensibilità. Nella sua lotta contro le varie sette gnostiche, il cristianesimo contrappone all'ermetismo una predicazione rivolta a tutti gli uomini, al s_imbolismo degli enti superiori staccati dalla materia e dal mondo sensibile la figura storica di Gesu nella sua divinità non disgiunta dalla sua umanità, infine al privilegio di una conoscenza superiore l'atteggiamento immediato ed interiore della fede. Nel secolo u, con l'opera di Ireneo Adversus haereses, si ha già una reazione organica dcl cristianesimo contro le sette gnostiche; alla teoria gnostica secondo la quale al Dio supre1!1o non va attribuita l'~rigine del mondo, Ireneo oppone che, se la creazione dcl mondo avviene contro la volontà dcl Dio supremo, si nega la sua infinita potenza, mentre se essa avviene secondo la volontà di lui, è propriamente al Dio supremo che essa va fatta risalire. Ireneo respinge anche la teoria della materia prima da cui Dio avrebbe tratto le cose; egli so$tiene invece 181 Baruch_in_libris CAP. X IL Il SECOLO che la creazione del mondo avviene dal nulla e non mediante operazioni su una materia preesistente. 4. Gli· apologisti. Paolo aveva assunto un atteggiamento schiettamente polemico nei confronti della filosofia greca; ma nel u secolo si avverte già l'esigenza di promuovere un incontro fra la predicazione di Gesu e gli ambienti culturali e filosofici; a questo scopo si è spinti a considerare quale unità possa vedersi nel rapporto fra la verità. cristiana ·e la tradizione filosofica anteriore. Di questa preoccupazione si fanno interpre!i gli scrittori apologisti, fra i quali primeggia Giustino, vissuto fra il 100 ed il 163 ed autore di una Apologia o difesa del cristianesimo rivolta ai Greci. Giustino ha buona conoscenza di alcuni dialoghi di Platone, nonché delle dottrine stoiche e pitagoriche. Per spiegare un legame fra verità cristiana e filosofia greca egli si rifà alla dottrina del Verbo; è bensi vero che il Verbo si è incarnato in Gesu che ha cosi recato agli uomini la piena rivelazione di Dio; ma il Verbo è anche nell'eternità ed è strumento della rivelazione che Dio ha fatto di sé sia pure in forma parziale, anche prima di Gesu; anche prima di Gesu infatti gli uomini possedevano le nozioni di bene e di male ed avevano una qualche conoscenza di Die; la ragione di cui essi facevano uso era una parziale rivelazione di verità; Giustino pensa soprattutto a Socrate ed a Platone e ritiene che le verità sparse nella filosofia greca appartengano di pieno diritto al cristianesimo che le deve reintegrare e ricuperare nel suo spirito. Giustino pensa, per es., di poter collegare la dottrina greca della materia informe con la creazione cristiana cd ebraica, o di poter spiegare l'idea cristiana del giudizio finale con la teoria stoica della conflagrazione universale, o di poter chiarire la narrazione del Genesi col Timeo di Platone. t facile vedere come il pensiero cristiano potesse trovare nella filosofia greca cd ellenistica molte dottrine da utilizzare per la chiarificazione delle proprie vedute; ciò può dirsi specialmente per la teoria platonica delle idee interpretata in senso creazionistico, per la dottrina platonica dell'immortalità dell'anima, per la dottrina stoica della provvidenza divina e dell'ordine del mondo. 18a Baruch_in_libris § 5 PLUTARCO 5. Plutarco e il platonismo di ispirazione religiosa. Plutarco, che vive fra il 46 ed il 125, pur non muovendosi all'interno del cristianesimo e non appartenendo alle correnti gnostiche, sente l'influsso delle correnti religiose del suo tempo e si sforza di promuovere un incontro fra lo spirito della filosofia ellenistica e le istanze religiose contemporanee. Egli tenta infatti di restaurare la tradizione religiosa greca come risposta e punto di arresto, nello stesso tempo, all'invadente misticismo. Plutarco si forma al platonismo in Atene e diviene piu tardi sacerdote del tempio di Delfi; questi due motivi ispirano i molti suoi scritti di carattere religioso e di argomento morale. Plutarco prende posizione contro lo stoicismo e l'epicureismo responsabili, a suo avvisò, della condizione di inferiorità in cui la tradizione religiosa greca si era venuta a trovare nel mondo della cultura ellenistica; bisognava, invece, ridare prestigio al mondo religioso, contro le eccessive pretese della ragione. «Le cause dell'universo, egli afferma, non vanno poste nei corpi inanimati, come fanno Democrito ed Epicuro; né la ragione unica va posta quale creatore della materia informe, come fanno gli stoici; infatti sarebbe impossibile che ci fosse alcun che di male, qualora Dio fosse causa di tutte le cose, come sarebbe impossibile che ci fosse alcun che di bene, qualora Dio non fosse causa di nulla ». Per questo Plutarco è dell'avviso che si debba seguire il suggerimento di Platone, per cui « la vita deriva da due principii contrari e da due potenze in lotta, il principio del bene e il principio del male »; a questo criterio dualistico, attribuito a Platone, egli ricorre anche per spiegare l'origine dcl male che coincide con la materia; Plutarco ammette l'esistenza di demoni, quali esseri intermedi fra Dio e l'uomo mentre interpreta le varie credenze religiose come forme locali d'una credenza universale. Ncss_una dottrina filosofica appare a Plutarco piu idonea di quella di Platone ad interpretare le esigenze religiose del suo tempo; quello di Plutarco è naturalmente un platonismo che si combina anche cori dottrine di altro indirizzo e nel quale le stesse dottrine di Platone vengono interpretate secondo un misticismo religioso che è del tutto estraneo alla riflessione filosofica del fondatore dell'Academia. A un rinnovamento delle dottrine platoniche si ispirano, in questo 183 Baruch_in_libris CAP. X IL II SECOLO tempo, anche altri esponenti della cultura ellenistica; cosi, per es., Apuleio di Madaura si richiama a Platone per avallare la sua fiducia nella magia e nell'esistenza «di alcune divine potestà, intermedie fra gli dèi e gli uomini, che presiedono a tutte le divinazioni e ai miracoli della magia». Per parte sua, Numenio di Apamea svolge una dottrina trinitaria della divinità che egli ritiene di poter far risalire a Socrate ed a Platone; ma Platone, a suo avviso, deve essere ricollegato a Pitagora, cosi come da Pitagora si può legittimamente risalire alle religioni orientali. Il platonismo di questi snidiosi è pertanto eclettico, aperto ad integrazioni sia pitagoriche che stoiche; il tutto è visto poi in funzione della tematica religiosa, rispetto alla quale gli interessi filosofici passano in secondo piano. 6. Gli ultimi sviluppi dello stoicismo romano: Epitteto e Marco Aurelio. L'unica corrente di pensiero del II secolo che non si abbandona al misticismo dominante è lo stoicismo di Epitteto e di Marco Aurelio. Epitteto vive prima a Roma in condizione di schiavo e poi nell'Epiro ove tiene scuola; le sue dottrine, che ci sono note attraverso il Manuale e i Discorsi redatti dal suo discepolo Arriano, si richiamano all'insegnamento della Stoa con maggiore fedeltà alla tradizione greca di quanto non fosse avvenuto per il· pensiero di Seneca. Epitteto si richiama ad uno stoicismo di intonazione cinica, scevro di concessioni e di adattamenti; esso muove dal seguente criterio: « Le cose sono di due maniere: alcune in potere nostro, altre no. Sono in potere nostro l'opinione, il movimento dell'animo, l'appetizione, l'avversione, in breve tutte quelle cose che sono nostri propri atti; non sono invece in potere nostro il corpo, gli averi, la riputazione, in breve quelle cose che non sono nostri atti. Le cose poste in nostro potere sono di na.tura libere, non possono essere impedite né attraversate; le altre sono deboli, schiave, sottoposte a ricevere impedimento e per ultimo sono cose altrui». Per conseguire la felicità, bisogna desiderare solo quello che è ·in nostro potere; d'altra parte, «gli uomini non sono agitati e turbati dalle cose, quanto dalle opinioni che essi hanno delle cose»; e poiché le opinioni che abbiamo delle cose dipendono da noi, noi siamo la vera Baruch_in_libris § 6 EPIITETO E MARCO AURELIO causa della nostra infelicità o della nostra tranquillità. La via indicata da Epitteto suggerisce in sostanza il distacco dalle cose esterne e il pieno dominio dei nostri desideri; Il corso delle cose e degli eventi ha, sostiene Epitteto, un ordine che viene da Dio; bisogna dunque accettarìo con remissione. L'uomo è poi una mescolanza di anima e di corpo; secondo il corPo, egli è piccola parte rispetto al tutto; ma secondo la ragione, l'uomo «non è peggiore né minore degli dèi ». Con eguale forza Epitteto raccomanda di non badare ai risultati esteriori delle azioni, ma all'animo che le dirige. L'atteggiamento religioso consiste nella fermezza dell'animo, non nell'unione mistica con Dio, nel vivere secondo ragione, non nell'abbandono alla fede. L'imperatore Marco Aurelio, vissuto fra il 121 ed il 180, ha raccolto nei dodici libri dei Ricordi le sue riflessioni che non formano un sistema originale, ma sono il suo personale ripensamento sia dell'insegnamento di Epitteto che della tradizione stoica. « Tutte le cose del mondo, dichiara Marco Aurelio, sono legate fra loro, giacché uno è il mondo che di tutte risulta, uno il Dio per tutte diffuso, una la sostanza, una la legge, cioè la ragione comune a tutti i viventi razionali ed una la verità»; l'universo è retto dalla provvidenza e tutto è disposto per il meglio; d'altra parte, l'imperatore filosofo non sa trattenere il suo pessimismo di fronte alla caducità della vita e delle cose: « La durata della vita umana è un istante, la materia fluisce, la sensazione viene subito cancellata, la compagine del corpo si sfascia, la forza vitale è un vortice, la fortuna malcerta: insomma tutte le cose del corpo sono un fiume, quelle dell'anima sono sogno e stupore, la vita è guerra e pellegrinaggio». Il centro della riflessione di Marco Aurelio è appunto la vita morale ed in essa occupa il primo posto il senso del legame con gli altri e dell'amore per tutti: «Gli uomini sono nati, afferma, l'uno per l'altro»; come per le membra c'è l'unità del corpo, cosi gli esseri razionali hanno la ragione; gli esseri razionali formano un organismo di cui ognuno è membro, non parte : « Il ramo tagliato dal ramo contiguo non può non essere tagliato anche da tutta la pianta; cosi anche l'uomo che si !trappa dall'altro uomo, si separa da tutta la comunità ». L'amore fra gli uomini predicato da Marco Aurelio non ha affatto, come si vede, un'intonazione mistico-religiosa; esso si richiama sia alla comunità del destino, sia alla comune partecipazione alla ragione uni- Baruch_in_libris CAP. X IL II SECOLO versale. Con questi accenti, lo sto1c1smo, come indirizzo filosofico autonomo, compie il suo ciclo storico; rinascerà per alcuni dei suoi con-· crtti piu importanti sia all'interno del pensiero cristiano, sia, piu tardi, agli inizi dell'età moderna, come tentativo di riportare la vita morale dell'uomo su basi autonome e razionali rispetto alla precedente tradizionale della morale teologica e religiosa. 7. Lo sviluppo delle scienze. I cultori della scienza di questo periodo non sfuggono del tutto, nemmeno essi, al prevalere dell'interesse religioso; tuttavia la loro opera ~i pone sostanzialmente su un terreno diverso, che richiama, almeno in parte, gli indirizzi della scuola di Alessandria nel m secolo a. C. Ciò vale almeno per Tolomeo, vissuto ad Alessandria fra il 120 ed il 161; nel suo scritto Composizione matematica (nota anche col titolo arabo Almagesto) trova sistemazione una dottrina astronomica che, pur derivando in gran parte da Ipparco, ha in Tolomeo il suo perfezionatoro.; è il sistema detto appunto " tolemaico " che, trasmesso al ~edioevo, si mantenne in vigore fino al 1543, quando fu definito il sistema copernicano. L'universo è, secondo Tolomeo, finito e delimitato all'esterno dalla sfera delle stelle fisse, che ruota attorno al proprio asse da oriente ad occidente; al centro dell'universo sta la Terra che è immobile; essa occupa il centro dell'universo in ragione della stessa disposizione simmetrica delle altre parti del mondo; i pianeti girano intorno al centro dell'universo descrivendo dci circoli che risultano eccentrici o epicicli rispetto alla Terra. Tolomeo segue Ipparco nella costruzione della rappresentazione geometrica che deve rendere ragione delle osservazioni sperimentali; egli anzi complica la stessa teoria geometrica di Ipparco con l'aggiunta di nuove sfere. Ne risulta un sistema indubbiamenl't complesso, ma in cui si riscontra anche una notevole rispondenza fra i dati delle osservazioni e le conclusioni ricavate dalla costruzione geometrica. Che tuttavia nemmeno Tolomeo sia sfuggito del tutto all'atmosfera religiosa dell'epoca è attestato dalla sua opera Tetrabiblion che studia l'influsso degli astri sulle vicende umane. Anche l'opera di Galeno per la medicina, come quella di Tolomeo per l'astronomia, restò classica per tutto il Medioevo e le teorie in essa contenute vennero profondamente modificate soltanto nel secolo xvi. Galeno nasce a Pergamo nel 129 e muore sul finire <lei secolo, nel 199. I suoi circa quattrocento scritti trattano di medicina, di fisiologia, di anatomia, di igiene, di dietetica, di farmacologia, di patologia, oltre che di logica e di filosofia generale. Galeno si stacca dalla medicina meccanicistica di ispirazione epicurea, che si era affermata in Roma fin dal l secolo a. C. e riprende invece da Aristotele 186 Baruch_in_libris § 7 LO SVILUPPO DELLE SCIENZE il concetto di fine per spiegare il funzionamento degli organi.· Egli riprende dalla scuola di Ippocrate, e piu propriamente da Polibo, la teoria secondo la quale nel corpo circolano quattro umori che sono mescolati fra loro in proporzioni diverse; l'equilibrio di essi coincide con la condizione di salute, mentre la malattia nasce dal loro squilibrio; soltanto egli precisa che ogni individuo ha un suo proprio giusto equilibrio degli umori, con la preponderanza di un umore sugli altri. Ma Galeno non trascura nemmeno la dottrina pneumatica, seguita dalla medicina di ispirazione stoica, per cui tutte le funzioni vitali sono regolate dal. pneuma o spirito; soltanto egli distingue tre diversi spiriti, uno naturale che ha sede nel fegato e regola le funzioni del metabolismo, uno vitale che ha sede nel cuore e regola il movimento del sangue e il calore dell'organismo, e finalmente uno animale che ha sede nel cervello e regola la sensazione e il movimento. Ad un eclettismo metodico, Galeno accompagna una varia e molteplice osservazione sperimentale; tuttavia, poiché la legge romana proibisce di sezionare cadaveri umani, egli deve limitare le sue esperienze anatomiche ai corpi degli animali. Nel1' insieme le conoscenze mediche di Galeno sono una mescolanza di motivi validi e di affermazioni fantastiche; la cosa è evidente specialmente nella lunga elencazione dei rimedi per le varie malattie. In ogni modo, Galeno si trova molto lontano da quell'equilibrio di esperienza e di ragione che aveva trovato la sua piu completa espressione nell'opera di Ippocrate; .egli sente l'influsso delle varie correnti dogmatiche che si erano introdotte negli studi di medicina e si sforza soltanto di correggere i principii di ciascuna con l'adesione eclettica anche ai principii delle altre. Baruch_in_libris CAPITOLO XI Il secolo 111 LA SCUOLA CRISTIANA DI ALESSANDRIA: CLEMENTE E ORIGENE. PLOTINO 1. Il periodo. Nel corso dcl m secolo la crisi dell'impero si delinea a tratti piu precisi; la collaborazione fra senato ed imperatore si attenua mentre si accresce l'autorità dell'esercito in campo politico; l'esercizio della sovranità assume pertanto il carattere d'un dispotismo a sfondo militare. Mentre ai confini si verificano attacchi frequenti, lungo il Reno e il Danubio si formano grandi leghe di popolazioni barbariche ostili; sul corso inferiore del Danubio compaiono i Goti, sul Reno i Franchi ed i Sassoni; la Dacia viene definitivamente perduta. All'interno si ha, come riflesso dell'aggravata situazione economica, la graduale decadenza dei coloni ad una condizione di semischiavitu, mentre si accendono qua e là insurrezioni di schiavi e di artigiani. Diocleziano, sul finire del secolo, fa un tentativo di stroncare le comunità cristiane che, nei due secoli precedenti, si erano sviluppate quasi pacificamente; benché i cristiani, finora, avessero assunto un atteggiamento spesso conciliativo nei confronti dell'autorità statale, Diocleziano li ritiene ora pericolosi per l'unità dell'impero; ma le comunità cristiane superano la prova, mentre Diocleziano accentua il carattere assoluto del potere. Le correnti gnostiche continuano, anche nel secolo m, la loro speculazione religiosa esoterica che si- avvale ora anche degli scritti del Corpus hermeticum e degli Oracoli caldaici; il nuovo indirizzo religioso del manicheismo si diffonde in tutto l'impero. Il pensiero cristiano si organizza intanto in forme speculativamente piu mature e rilevanti tanto in Oriente che in Occidente; mentre a Cartagine si afferma la personalità di Tertulliano, ad Alessandria si viene costituendo una vera e propria scuola cristiana che ha i suoi esponenti in Clemente ed in Origene. La tradizione filosofica ellenistica ha la sua massima affermazione con Plotino che porta a pieno compimento l'indirizzo neo-platonico, ad intonazione religiosa, già avviato nelle età precedenti. Si colloca invece a sé, del tutto staccato dal clima 188 Baruch_in_libris § I IL PERIODO religioso dominante, il rinnovato scetticismo di Sesto Empirico, piu rivolto alla discussione del metodo della ricerca scientifica che preoccupato di sistemazioni metafisiche o di cosmologie esoteriche. 2. Sviluppi esoterici e religiosi. A rendere anche piu complesso il quadro dei movimenti gnosticoreligiosi si afferma ali'inizio del m secolo quell'indirizzo esoterico che prende il nome di ermetismo, in quanto gli scritti che lo esprimono vengono attribuiti ad Ermete Trimegisto; si tratta di un insieme di opere elaborate quasi certamente in Alessandria d'Egitto da cenacoli filosofici in cui domina il sincretismo religioso corrente; essi uniscono idee sull'anima di derivazione orfico-pitagorica, con elementi di cosmologia stoica e con credenze dell'astrologia caldaica. Unitamente agli scritti del Corpus Hermeticum si diffondono, in questo stesso tempo, gli Oracoli caldaici che hanno la stessa ispirazione con accentuazione del1'occultismo. In Siria e in Palestina si diffondono i primi scritti ebraici ispirati al misticismo biblico ed all'allegorismo cosmologico della Gabbala (tradizione esoterica); quest'ultima obbedisce alla convinzione che, al di là della realtà conoscibile dalla ragione, esiste un'altra realtà il cui accesso è aperto solo all'iniziato che ha ricevuto il suo sapere da una tradizione che risale all'antichità piu remota ed è garantita da una rivelazione soprannaturale o da comunicazioni soprannaturali dirette. Tutte queste forme di esoterismo sono strettamente collegate con la teurgia e con la magia, in quanto le conoscenze "superiori" conseguite dall'iniziato gli forniscono dei poteri speciali sugli esseri spirituali e materiali. Dal persiano Mani, vissuto fra il 205 ed il 274, prende avvio il manicheismo che spiega il problema del male mediante la credenza nel1'esistenza di due principii opposti, Ormuzd e Ahriman, l'uno buono e l'altro cattivo; essi lottano l'uno contro l'altro e dalla lotta deriva la storia contrastata del mondo; al termine però il principio del bene trionferà su quello del male. Alla dottrina della dualità originaria si accompagna, nel manicheismo, il riconoscimento che il mondo risulta anche dall'azione dcl bene e che pertanto esso non è esclusiva opera dcl male e della corruzione. 1'9 Baruch_in_libris CAP. Xl IL SECOLO lii 3. Sviluppi del pensiero cristiano e la scuola di Alessandria: Clemente ed Origene. È proprio l'esigenza di distinguersi nettamente dalle molteplici correnti religiose del tempo che spinge sempre piu il cristianesimo a configurare con maggior rigore la propria dottrina. Ippolito, che muore intorno al 236, nella sua Refutatio omnium haeresum, continua la lotta già iniziata da Ireneo contro le dottrine dei filosofi greci e contro le credenze misteriche ed astrologiche. Tertulliano che vive a Cartagine dal 16o al 240, nei suoi scritti di rara potenza ed efficacia, insiste sul concetto che la filosofia è causa e sorgente degli errori contro i quali la verità religiosa deve difendersi accanitamente; la dialettica insegnata da Aristotele solleva infinite dispute ed è piu strumento di divisione che di unione nella verità; il cristianesimo d'altra parte non ha alcun bisogno di ricerche filosofiche o di speculazioni dialettiche; i principali elementi della sua credenza sfuggono alla comprensione razionale e proprio in quanto essi non si pongono al livello della ragione sono principio effettivo di salvezza. Dal 206 in avanti Tertulliano si separa dalla comunità cristiana e passa al montanismo, cioè. alla corrente che ispirandosi all'insegnamento di Montano insiste soprattutto sul rigorismo morale e sull'ispirazione profetica come mezzi di preparazione alla seconda venuta del Cristo. La scuola cristiana che sorge ad Alessandria nella seconda metà del n secolo e che, nel corso del m secolo, assume rilievo dapprima con Clemente (160-215) e poi con Origene (185-253), è il piu rilevante punto di incontro fra il pensiero cristiano e la cultura ellenistica. Le opere principali di Clemente sono: il Protrettico ai Greci, il Pedagogo e gli Stromata o Orditure di commentari scientifici circa la vera filosofia (tutte scritte in greco). Clemente che ha buona conoscenza specialmente degli scritti di Platone considera anzitutto il rapporto che corre fra filosofia e fede cristiana. Ci sono dottrine filosofiche inconciliabili con la verità cristiana; per es., tutti i naturalisti, da Talete ad Empedocle, sono considerati da Clemente degli " atei " perché « adorarono la materia e divinizzarono la terra »; senza dire di Epicuro il quale « crede, nella sua empietà, che nulla stia a cuore a Dio ». Ci sono però anche dottrine filosofiche che coocordano con le credenze cristiane; per es., H}O Baruch_in_libris s3 CLEMENTE ED ORIGENE quando Platone dichiara nel Timeo che « il padre cd autore di questo mondo è impresa difficile trovare e, trovatolo, è impossibile dichiararlo a tutti, perché non può essere espresso assolutamente», Clemente non può che rilevare: « Bene, o Platone; hai sfiorato la verità, ma non stancarti, insieme con me intraprendi la ricerca intorno al B~ne, giacché in tutti gli uomini interamente, ma specialmente in quelli che occupano il loro tempo in ragionamenti, è stato istillato un certo effiuvio divino; in grazia di esso, essi riconoscono che vi è un solo Dio e che questo è esente da nascita e da morte». Quando dunque i filosofi hanno colto la verità, ciò è avvenuto «per ispirazione di Dio». Se però Clemente dà grande rilievo al passaggio dal paganesimo alla fede cristiana, ne dà altrettanto anche a quella « sccunda mutatio » che va «a fide ad . cognitionem )) ; egli non crede che il cristiano debba attenersi alla fede dci "simpliccs" condannando ogni sviluppo dottrinario e ogni approfondimento conoscitivo ddla credenza; per lui acquista invece grande importanza la « firma ac stabilis demonstratio corum quac assumpta sunt per fidem »; si tratta quindi di introdurre, nella fede, uno sviluppo di " gnosi ", una conoscenza superiore che si costruisce con clementi ricavati da elaborazioni concettuali. Nella sua costruzione d'una scienza religiosa, pur sempre sorretta dalla fede, Clemente sarebbe giunto (secondo una testimonianza posteriore che si ·riferisce a scritti non giunti fino a noi) a far proprie la dottrina platonica delle idee, quella dell'eternità della materia, la distinzione di un logos superiore e di un logos inferiore, l'incarnazione solo dd logos inferiore, il carattere di pura apparenza della stessa incarnazione, la preesistenza delle anime e la metempsicosi. Quel che risulta con certezza dagli scritti a noi noti è che Clemente insiste su una interpretazione cosmologica della redenzione, interpreta i sacramenti in maniera allegorica ricercandone il significato simbolico, e ritiene che nella vita futura un fuoco intelligente porti i malvagi a pentirsi delle loro colpe e quindi ad escludere l'eternità della loro dannazione. Origcnc è a capo della scuola di Alessandria dal 203 al 232; dci suoi numerosissimi scritti vanno ricordati una trattazione Sui principii cd una confutazione dell'opera di Celso contro i cristiani. Egli si muove nella stessa direzione culturale di Clemente, con risultati piu importanti in ragione alla maggiore vastità della sua cultura e alla mag- Baruch_in_libris CAP. Xl IL SECOLO III giore originalità del suo ingegno. Nella sua v1s1one colta della fede cristiana Origene utilizza dottrine platoniche, motivi stoici e teorie pitagoriche rielaborate dai neo-pitagorici dell'età immediatamente precedente. Il testo divinamente ispirato dell'Antico Testamento, egli afferma, deve partecipare della stessa infinità di Dio presentando un numero infinito di sensi possibili; come non si può giungere alla piena conoscenza di Dio, cosi non si può esaurire la totalità dei significati inclusi nel testo ispirato; il significato meno rilevante è quello letterale e storico; decisivo è invece il metodo allegorico che consente di intendere alcune affermazioni del testo sacro in maniera che esse non contrastino, ma concordino pienamente, con dottrine che vengono mutuate dalla speculazione ellenistica. Origene muove dalla teoria stoica del carattere terapeutic~ dei castighi inflitti da Dio agli uomini; tale teoria consentiva agli stoici di ammettere tanto la provvidenza divina quanto l'esistenza del male, proprio nel senso che il male poteva servire di guida al bene. Anche le pene inflitte ai malvagi dopo la morte debbono ritenersi temporanee, sostiene Ori,gene; le anime preesistono all'attuale loro comparsa nel mondo e dopo la morte saranno ammesse a nuove ripetute prove, con una vicenda di successive cadute e resurrezioni; infine la serie delle prove avrà termine e succederà la riabilitazione universale; il male sarà distrutto e tutte le anime si ritroveranno in una eterna beatitudine; e allora «Dio sarà tutto in tutti ». Dio, d'altra parte, esplica la sua potenza anche prima che il nostro mondo abbia origine nel tempo, in quanto prima di questo esistevano altri mondi ed altri ne esisteranno dopo di esso; la materia è bens1 creata da Dio, ma·è eterna; la resurrezione della carne non è poi tanto resurrezione del corpo nella sua realtà materiale, quanto resurrezione d'una corporeità già trasfigurata e spiritualizzata. L'ordine che va da Dio alla materia, pur richiamandosi all'azione creativa, si svolge nello spirito della dottrina dell'emanazione, per cui gli esseri si dispongono secondo un ordine decrescente; anche il Figlio deve ritenersi subordinato al Padre cioè partecipe dell'ordine degradante che fa capo a Dio; il male ha la sua origine in una caduta che se si richiama alla libertà, esprime anche la generale decadenza del reale nel suo distacco da Dio. Dopo Origene, un gruppo di suoi scolari continua il suo indirizzo nella scuola di Alessandria, tanto che l'origenismo divenne, nella costruzione dell'incontro dottrinale fra Baruch_in_libris § 3 CLBIENTE E ORJGE:-.:E ellenismo e cristianesimo, una delle correnti tipiche della cultura cristiana. 4. II neo-platonismo di Plotino: l'Uno. Ad Alessandria, all'inizio del m secolo, fiorisce contemporaneamente alla scuola cristiana, anche una scuola filosofica di indirizzo platonico fondata da Ammonio Sacca; Plotino, nato nel 204 a Licopoli in Egitto, è suo discepolo per oltre una decina d'anni; nel 244 si porta a Roma ove insegna fino alla morte a\'venuta nel 270. Del gruppo di discepoli che si raccoglie intorno a lui fa parte Porfirio che ha dato poi sistemazione definitiva ai trattati composti dal maestro; l'insieme dei 54 scritti cosi raccolti ha preso il nome di Enneadi per l'ordinamento che li raggruppava in sei parti, ciascuna di nove trattati. La scuola che ha in Plotino il suo maggiore esponente è stata designata come neoplatonica, in ragione del peso che prende l'opera di Platone nella sua elaborazione dottrinale; del resto Plotino non si limita a ripetere le dottrine di Platone, ma accoglie nel suo sistema anche elementi di derivazione stoica e sopratutto quell'esigenza mistico-religiosa che si era imposta anche nella speculazione ellenistica. Né bisogna dimenticare quanto si è detto a proposito del modo in cui Platone è stato inteso dai pensatori di ispirazione religiosa del secolo u; ciò vale anche di piu per Plotino, il quale non mira ad una determinazione razionale della realtà nel senso della piu matura dialettica platonica, ma si serve del pensiero platonico per la risoluzione religiosa del reale e del mondo nell'infinità trascendente di Dio. Muoviamo appunto da quell'Uno supremo che è il principio del reale: « In virtu dell'uno, scrive Plotino, tutti gli esseri sono quello eh-: sono; infatti che cosa sarebbe un essere, se non fosse uno? l'esercito, il coro, il gregge non esistono se non costituendo ciascuno un'unità; cosi pure la casa e la nave esistono solo finché posseggono unità; anche gli organismi delle piante e degli animali sono in quanto ciascuno è un corpo uno. Ecco perché si risale sempre ad un'unità; in ogni cosa c'è un'unità alla quale si deve risalire e tutto si deve ricondurre alla unità che è antecedente, finché di grado in grado si giunge all'Uno assoluto, che non si riconduce ad altro». L'Uno come principio assoluto 191 Baruch_in_libris CAP. Xl IL SECOLO III e trascendente non può essere afferrato da parte del nostro intelletto. «L'Uno non è nessuna delle cose; quindi si può dire soltanto che è al di là; queste cose sono gli esseri e l'essere; dunque l'Uno è al di là dell'essere; e dire che è al di là dell'essere non è dir che è questo o è quello (ché non si afferma nulla di esso), né pronunziare il suo nome; è affermare soltanto che non è questo o quello, giacché la sua qualità è di non aver r;ualità»; infatti «il principio è senza forma, non nel senso che difetti di forma, ma nel senso che da esso proviene ogni forma; ed essendo senza forma, non è sostanza, ché sostanza dev'essere un essere determinato, un "questo qui"; e l'Uno non può essere un "questo qui", se no, non sarebbe piu il principio, ma soltanto quell'essere determinato che si è enunciato». L'Uno non può nemmeno essere pensante, giacché, « per pensare, occorre un intelletto che pensi e poi bisogna che l'intelletto abbia un i~tellegibile » e allora «l'Uno non sarebbe piu primo, essendo due». «Se ogni desiderio ed ogni attività si dirigono verso l'Uno, esso non deve mirare a nulla, né nulla desiderare; essendo al di là dell'essere, è al di là di ogni attività e non ha volizione di nulla ». Dunque l'Uno «è ineffabile; qualunque cosa si dica di lui, si dirà sempre qualche cosa, mentre esso è al di là di ogni cosa; noi diciamo ciò che esso non è, non possiamo dire quello che è; quando si è compresa la sua indeterminazione, si possono enumerare tutte le· cose che sono dopo di lui e dire che esso non è alcuna di quelle». Per cogliere l'intellegibile bisogna staccarsi dal sensibile; ora l'Uno è al di là dell'intellegibile; per coglierlo, bisogna svincolarsi anche dall'intellegibile cd abbandonarsi alla passione amorosa che consente di entrare in rapporto con lui «grazie all'attività che esiste fra lui e coloro che lo possono accogliere». 5. II processo dell'emanazione. Dall'Uno procede ed emana l'Intelletto che Plotino considera alla luce èlel mondo ideale platonico e della teoria aristotelica dell'intelletto divino. L'Intelletto è ad un tempo unità e molteplicità; in quanto unità, tende a risolvere il molteplice nella trascendenza dell?Uno; in quanto molteplicità, si articola nelle idee archetipe, nelle quali « gli esseri esistono anteriormente al loro esistere nd mondo»; attraverso le idee, Baruch_in_libris § 5 IL PROCESSO DELL'EMANAZIONE Plotino ipostatizza la realtà del mondo corporeo nei suoi elementi ideali ed astratti; le difficoltà che Platone aveva rilevato a proposito del rapporto fra le idee e le cose ed a· proposito dell'opportunità di porre idee di aspetti sensibili, individuali cd irrazionali del mondo, si trovano accennate anche in Plotino; ma egli le risolve sia considerando da una parte l'Intelletto come emanazione dell'Uno, sia vedendolo dall'altra come capace di influire sull'anima dcl mondo e, per suo mezzo, sul mondo. Come l'Intelletto compie una funzione intermedia fra l'Uno e il molteplice ideale, cosi l'Anima dcl mondo (il cui concetto Plotino riprende da Platone e dallo stoicismo) come principio di movimento e di ordine, come forza capace di dare vita a tutto il reale compie una funzione intermedia fra l'Intelletto ed il mondo sensibile. L'Anima ha qualche cosa dell'Intelletto, in quanto è forza unificatrice degli esseri sensibili. Plotino non condivide il pessimismo gnostico e religioso nei confronti del mondo sensibile; e quindi non ritiene che esso tragga origine da una caduta, da una profonda frattura dcl reale; il mondo sensibile non ha certo in se stesso la propria ragion d'essere, ma il soprasensibile opera veramente e realmente in esso. Dall'Anima dcl mondo deriva un'anima inferiore, che sua volta viene articolandosi in coscienza sensibile e in " natura " quale principio produttivo privo di coscienza; "la natura" agisce nelle cose come "artefice interno", ossia come presenza di fatto, anche se non consapevole, di un ordine razionale, che è l'espressione piu bassa e ristretta del mondo ideale raccolto nell'Intelletto. «La natura, ultima parte ·dell'anima, scrive Plotino, non contiene che gli ultimi riflessi della ragione; la natura non conosce, ma soltanto produce; produce dando senza riflessione quel che possiede a ciò che è posto al di sotto di essa, alla realtà corporea e materiale; con la natura siamo giunti al grado piu basso della realtà intellegibile». L'attività dell'Anima si distende nella successione e dà luogo al tempo, in cui si trova appunto immerso tutto il mondo sensibile; quest'ultimo « è molteplice, diviso in molte parti separate le une dalle altre e le une alle altre estranee; l'amicizia non vi regna piu sola, vi è anche l'odio che si estende nello spazio e fa sf che ciascuna parte, divenuta imperfetta, sia nemica delle altre»; infatti nel mondo sensibile compare quella che Platone aveva chiamato la Necessità, cioè la materia. Essa è « ricettacolo delle forme», «non è un corpo, appunto perché è senza qualità», 195 Baruch_in_libris CAP. Xl IL SECOLO III « è lo stesso indefinito » come pura potenza; la materia è « un sostrato reale, benché invisibile ed inestcso; essa esiste benché non abbia la chiarezza delle cose apprese per mezzo della sensazione ». Male e materia coincidono; infatti il male, in rapporto al bene, «è come ciò che è senza misura in rapporto alb misura, come l'illimitato al limite, come l' informe alla causa formale»; il primo male è per~anto la materia, proprio in quanto il male « non consiste in una deficienza parziale, ma nella deficienza completa di bene i>. Con ciò Plotino per un lato conferisce al male cd alla materia una consistenza oggettiva di opposizione al bene ed ali' essere; d'altra parte male e materia sono pura negatività, un limite che, anziché rompere la struttura unitaria dcli' universo, ne è la estrema espressione: «C'è necessariamente qualche cosa dopo il Primo; dunque c'è un termine ultimo; questo è la materia che non partecipa piu al bene; tale è la necessità del male». Nei corpi ci sono le forme che sono le "ragioni seminali", il principio del loro sviluppo; quindi il mondo sensibile è tutto animato, anche in quelle parti che paiono prive di vita; fra le varie parti del :nondo corre un legame di " simpatia " analogo a quello che stringe fra loro le varie membra di un corpo: cc l'essere la cui vita si può apprendere per mezzo dei nostri sensi è ·composto di esseri che vivono una vita la _quale ai nostri sensi sfugge, ma le cui potenze meravigliose si esercitano sulla vita di quest'essere vivente». La considerazione positiva del mondo sensibile richiede che si dia rilievo all'ordine razionale che in esso si esplica, pur tenendo conto che tale ordine non esclude che si tratti della semplice immagine sensibile di un ordine intellegibile superiore. La provvidenza si esplica come governo generale degli tventi; «anche il male fisico non è senza utilità per l'ordine universale e per la perfezione dell'universo; cosf i mali del corpo e l'infiacchimento dell'anima che ne soffre non sono che un aspetto diverso della concatenazione e dell'ordine a cui rimane soggetto l'essere, di cui questi maJi si impadroniscono; alcuni di questi mali, poi, come la povertà e la malattia, giovano a quelli che li subiscono». Quanto alle stragi ed alle guerre, « consideratele come uno spettacolo teatrale, suggerisce Plotino; infatti in tutte queste circostanze della vita reale, non è l'anima interiore, ma la sua ombra, l'uomo esteriore che geme, si lamenta e recita tutte queste parti su questo teatro dalle scene molteplici, che è la terra intera ». Baruch_in_libris § 5 IL PROCESSO DELL'E'.\L\~AZIU:>!E Plotino nel dare ragione della derivazione del reale dall'Uno non si richiama al concetto ebraico-cristiano di creazione, giacché questo implicherebbe una concezione antropomorfica di Dio come persona; i~ol­ tre, mentre il processo creativo avviene nel tempo, il processo di derivazione del reale dal!' Uno è eterno e si svolge fuori del tempo; 11' Uno, in altri termini, non esiste mai senza il molteplice e l' Intelletto non succede all'Uno in senso cronologico, come l'Anima del mondo non succede in senso cronologico all'Intelletto. Il derivare è insomma per Plotino un porsi in forma distinta da ciò da cui si deriva, ma senza mai staccarsi da esso per dipendenza; il derivare comporta quindi un "convertirsi" del derivato al suo principio, un tendere dell'uno all'altro; in quanto il principio produce è trascendente rispetto a ciò che viene prodotto, ma in quanto ciò che è prodotto non può sussistere senza il principio, questo è immanente al prùdotto. L'Uno si espande nei molti «come un'irradiazione» cioè al modo in cui «la luce del sole, splendente intorno ad esso, da lui proviene, da lui che pur resta perennemente immobile »; il primo principio si comporta come un essere che, giunto al suo stato di pienezza, « genera e non sopporta di rimanere in se stesso, ma produce un altro essere»· Alla radice del processo dell'universo dall'Uno sta dunque non un atto di iniziativa creatrice, non lo svolgimento meccanico di un principio naturale, non una confusione dell' uno con il molteplice, ma quasi l'esplicarsi di una generazione vitale, la quale ha tuttavia come punto di partenza un principio ineffabile ed indeterminabile, che sta al di là della vita come di ogni altra qualità e determinazione. L'Uno di Plotino, insomma, non può certo confondersi con il Dio del cristianesimo; esso si concilia infatti con il politeismo ellenistico. 6. L'uomo e il suo destino. Non è tanto, per Plotino, l'anima che è nel corpo, quanto piuttosto il corpo che è in parte nell'anima; infatti l'anima è superiore al corpo; nelle funzioni sensoriali è impegnato il corpo insieme con l'anima, mentre nella memoria e nel pensiero discorsivo l' anima agisce indipendentemente dal corpo; superiore al pensiero discorsivo, che è rc'..1zionale, è il pensiero intuitivo che coglie l'oggetto senza processn, ma mediante un unico atto. Il nostro "ve;:o io" è dato dall'uomo 197 Baruch_in_libris CAP. Xl IL SECOLO III «puro da ogni animalità», cioè dall'uomo che possiede le virtu intellettive che risiedono nell'anima che si separa dal corpo. L'elevazione dell'uomo avviene per via conoscitiva, in quanto la conoscenza comporta anche una sorta di possesso di ciò che si conosce e quindi l'elevazione di colui che conosce al livello dell'entità che è oggetto di conoscenza; la contemplazione è dunque decisiva nella realizzazione del destino dell'uomo, mentre la pratica è dispersiva e negativa. Nella sua ascesa conoscitiva, l'anima è attratta anzitutto dal bello, cioè da quell' interiorità che traspare anche in tutti gli oggetti sensibili come liberazione dalla materia; nell'opera d'arte si deve dunque vedere non tanto l'imitazione della natura, quanto il volto interiore del reale, la sua idealità; alla perfezione formale ed alla classicità delle proporzioni Plotino antepone l'anima oelle forme e lo slancio interiore degli elementi: « quanto piu la bellezza va verso la materia distendendosi nello ~pazio, tanto piu s'indebolisce e rimane al di sotto di quella che resta nell'unità». Lo sviluppo della conoscenza può portare l'uomo fino ad unirsi con l' Intelletto e con il mondo ideale; ma il vertice delle sue possibilità I' uomo non lo attinge per via conoscitiva, per il fatto che l'Uno non è oggetto passibile di conoscenza; l'ascesa conoscitiva è pertanto una sorta di preparazione all' unione finale, ma non la realizza; per giungere ali' unione, bisogna «,ignorare tutto», «deporre tutte le forme », « ignorare perfino che siamo noi a contemplare »; e si ha cosf l'estasi, in cui si vede « tutto ad un tratto, senza saper come », la luce dell'Uno.-« L'intelletto non sa dond~ questa luce è a}fparsa; né bisogna domandarsi donde viene, poiché qui non c'è luogo cl' origine e la luce ora si mostra ed ora non si mostra; perciò non bisogna cercarla, ma attendere tranquillamente che essa appaia, come l' occhio attende il levarsi del sole». «Quando l'anima ha la ventura che l'Uno viene a lei o piuttosto che a lei si manifesti la sua presenza, allora lo vede apparire d'improvviso dentro di sé; piu nulla c'è tra l'Uno e l'anima; non spno piu due, ma i due fanno una cosa sola». Quella di Plotino è la risposta che la tradi.done della filosofia ellenistica dà alla generale aspirazione religiosa del mondo contemporaneo, pur tenendosi fuori sia dalla religione cristiana, come da quella giudaica, come infine dai complessi indirizzi della gnosi. Non è da 198 Baruch_in_libris § 6 L' UOMO I! IL SUO DESTINO credere che Plotino sia stato del tutto estraneo ad atti religiosi come preghiere, evocazioni di spiriti, incanti magici, pratiche rituali; ma certamente egÌi concede a tutto ciò minore credito di quanto non avessero fatto, prima di lui, sia le correnti della gnosi religiosa, sia alcuni filosofi che si erano richiamati al platonismo ed al pitagorismo. Nella sua sintesi rivive sopratutto una parte rilevante della piu alta speculazione greca; al neo-platonismo è infatti consegnata buona parte dell'influsso che lo stesso platonismo eserciterà sulla storia del pensiero, e principalmente sulla formazione dello stesso pensiero cristiano. 7. Sesto Empirico e la sintesi scettica. Sesto, detto Empirico con riferimento ali' indirizzo da lui seguito come medico, è probabilmente vissuto a cavallo fra il 11 ed il m secolo; ne parliamo qui, a conclusione dello studio sul secolo m, perché la sua opera non risente affatto dd clima religioso dominante e conclude rigorosamente la tradizione greca dello scetticismo che aveva avuto inizio con Pirrone. Sesto è autore di tre importanti opere: la prima che reca il titolo di Schizzi pirroniani è una sorta di trattazione elementare sullo scetticismo; l'Adversus dogmaticos comprende cinque libri, di cui due di critica della logica, due contro i fisici .e uno contro i moralisti; l'Adverms mathematicos (cioè contro coloro che professano la scienza) comprende la critica della grammatica, della retorica, della aritmetica, della geometria, dell'astronomia e della musica. Sesto compendia nelle sue opere le trattazioni di carattere critico-scettico che erano state elaborate prima di lui e conferisce cosi un' uni.tà di indirizzo a correnti che si erano affermate in momenti storici diversi. La contrapposizione che attraversa tutti ·gli scritti è quella di dogmatismo in quanto pretesa di conoscenze assolute e di esperienza in quanto rivendicazione d' una conoscenza perfettibile e continuamente suscettibile di revisione. Sesto sostiene un indirizzo « che aderisce ad una certa maniera di ragionare, in conformità del fenomeno »; egli difende «l'intento investigativo» e quindi aperto della. ricerca~ ammette che la nostra conoscenza possa giungere, oltre che ai dati sensibili. immediati, anche alla previsione di nessi con dati non immediatamente presenti, purché questi siano stati ripet;ntamente osservati in altre occa199 Baruch_in_libris CAP. Xl IL SECOLO III sioni; esclude invece la fondatezza di quelli che gli stoici chiamavano "segni indicativi", cioè di dati per se stessi capaci di rivelare una connessione necessaria con elementi che sfuggano del tutto all' espe rienza. Quanto alla fisica, Sesto contesta che si possa dimostrare l' csi. stenza di Dio o dare ragione della provvidenza divina; si tratta, anche in campo religioso, di seguire la vita, $enza fare appello a dogmi. «Noi, scrive Sesto, non contrastiamo ai comuni presupposti degli uomini, né sovvertiamo la vita; invece anche noi conpsciamo nel modo comune»; né si deve assumere un atteggiamento negativo nei confronti delle consuetudini e delle leggi. In ciascuno di questi campi, come nel coltivare le arti e le scienze, bisogna attenersi a quanto ci portano le esigenze pragmatiche, sospendendo ogni inclinazione dogmatica. I suggerimenti della medicina, nel suo indirizzo piu aderente all'esperien~a, vanno e~tesi, secondo Sesto, non solo al sapere, ma anche alla condotta della vita. 8. Lo sviluppo delle scienze. L'ondata di misticismo religioso che domina il III secolo, nonché l'età precedente, non risparmia nemmeno la scienza, nel senso che perfino la matematica cominciò a venire trattata con atteggiamento misticheggiante; dal misticismo generale si arriva infatti ad una mistica dei numeri, che, del resto, in qualche parte, riprende la vecchia tradizione pitagorica. Tuttavia ad A~essandria, il fertile centro da cui esce l'opera di Origene e di Plotino, la scit'nza matematica compie, nella seconda metà dcl III secolo, dei rilevanti progressi con Pappo e soprattutto con Diofanto. Il primo perfeziona la trattazione di alcuni problemi geometrici, mentre il secondo, nella sua opera Arithmetica, costruisce la prima algebra che abbia visto la luce in territorio europeo. Mentre prima d'ora i problemi matematici erano stati trattati in forma geometrica, cioè col ricorso alle figure, o al piu in forma aritmetico-geometrica, cioè con l'abbinamento di numeri e figure, egli giunge alla trattazione purameute numerica; inoltre Diofanto è autore di un metodo di scrittura simbolica che avvantaggia notevolmente il calcolo; con questi strumenti egli risolve le equazioni di primo e secondo grado. Se si tien conto che la trattazione puramente numerica dei problemi matematici importava una maggiore astrazione nel calcolo, si può intendere l'importanza del passo compiuto da Diofanto oltre la consuetudine ormai fissata dalla tradizione greca. :ioo Baruch_in_libris CAPITOLO Xli Il secolo 1v GIAMBLICO. ARIO E IL GRUPPO DI CAPPADOCIA 1. Il periodo. Il secolo 1v segna la vittoria del cristianesimo sull'impero romano e, ad un tempo, la divisione ormai definitiva fra l'Oriente e l'Occidente, fra Bisanzio e Roma. Costantino segue, nei confronti del cristianesimo, una politica opposta a quella di Diocleziano; infatti nell'editto del 313 egli concede libertà alle comunità cristiane e assume ben presto la nuova religione sotto la protezione dei pubblici poteri. Ciò determina il rapido consolidarsi esterno del cristianesimo, la definizione e il perfezionamento della sua struttura, oltre all'intromissione del potere imperiale nelle questioni relative all'organizzazione dcl pensiero e dell'ordinamento ecclesiastico. Con Costantino pertanto si inizia, nonostante la successiva breve parentesi di Giuliano, una collaborazione politico-religiosa che tenta di dar vita ad una nuova civiltà, in cui si realizzi l'incontro anche con le popolazioni barbariche che premono ai confini. Dal punto di vista culturale", il secolo 1v segna uno sviluppo imponente dcl pensiero cristiano; è l'epoca dei maggiori padri della chiesa (da Basilio a Gregorio di Nissa, da Ambrogio a Gregorio di Nazianzo) ed è anche la epoca di acuti contrasti dottrinali, che nel concilio di Nicea hanno il loro principale punto di riferimento. Il pensiero ellenistico scende intanto di livello rispetto all'altezza raggiunta con la speculazione di Plotino; Giamblico che ne continua l'insegnamento, lo piega con maggiore decisione al sopravvento di teorie pitagorico-caldaiche e di pratiche teurgiche; la fase finale della speculazione ellenistica, orientata nel senso del neo-platonismo, si avvicina ormai a grandi passi. La divisione fra Oriente cd Occidente reca anche importanti effetti culturali; si afferma infatti il nuovo centro di Costantinopoli e intanto l'Occidente si avvia allo sviluppo d'una propria cultura, che prende a fondamento la civiltà latina. 20/ Baruch_in_libris CAP. Xli IL SECOLO IV 2. Il neo-platonismo di Giamblico. Giamblico vive dal 250 al 330 e fonda in Siria una scuola di ispirazione filosofico-religiosa. I suoi scritti principali sono una Silloge delle dottrine pit11goriche e il D~ mysteriis. Giamblico si muove in una direzione ben diversa da quella di Plotino ed .apre decisamente la strada al sopravvento dell'ispirazione religiosa su qu.ella filosofica. È ben vero che anche Plotino aveva riconosciuto i limiti del pensiero a vantaggio di una unione mistica ed ineffabile dell'anima con l'Uno; ma Giamblico sottolinea piu espressamente che « chi filosofeggia speculativamente >i non consegue « l' unione teurgica con gli dèi », la quale invece dà luogo al « compimento delle opere ineffabili e realizzate al di I~ di ogni pensiero, in maniera degna di Dio». « Anche senza che noi pensiamo, egli spiega, gli stessi simboli compiono da sé l'opera propria e la stessa potenza ineffabile degli dèi ai quali questi simboli pervengrrno da sé riconosce le proprie immagini, ma non per essere risvedi ~ta dal nostro pensiero ». Anche Giamblico concepisce la realtà come prfJcedente da un principio supremo per via di emanazione e disposta in un ordine gerarchico e tuttavia unitario; ma rispetto a quella di Plotino, la costruzione di Giamblico moltiplica i gradi intermedi per i quali si passa dall'Uno al mondo sensibile e identifica con essi le varie entità religiose accolte dal paganesimo ellenizzante: dèi, demoni, eroi, forze occulte ecc. Come procedimento permanente dello sviluppo del reale e pertanto del passaggio dall'un grado all'altro della gerarchia degli esseri Giamblico pone un movimento ternario che comprende ciò che permane, ciò che procede e il fatto che ciò che procede si converte a ciò da cui procede; cosi' le triadi si moltiplicano molto al di ià dell'Intelletto e dell'Anima del mondo e rispecchiano una minuta e vasta classificazione di entità intermedie. Giamblico si ispira nella sua dottrina anche ad una concezione magica dei numeri ed accoglie molte suggestioni degli oracoli caldaici; i mezzi per l'elevazione spirituale e per la salvezza non vengono da lui richiesti alla tradizione della sapienza greca, quanto alla teurgia; i " misteri platonici " di cui si fa iniziatore fanno ricorso a ogni sorta di prodigi e di arcani pur di soddisfare la sete popolare del misterioso e dcl meraviglioso; cos.l Giamblico ritiene di poter in q~alche modo 20.3 Baruch_in_libris § 2 IL NEO-PLATONISMO DI GIAMBLICO salvare i valori della tradizione filosofica. Quando circa trent'anni dopo la sua morte l'imperatore Giuliano volle ripristinare il politeismo, si ispirò al neo-platonismo e particolarmente al pensiero del fondatore della scuola siriaca; con i suoi scritti e con l'azione politica tentò di ripristinare gli antichi culti e la teologia che li reggeva; ma la morte che lo colpi durante la guerra contro i Persiani mise fine anche al suo programma di restaurazione culturale e filosofica. 3. Ario e il concilio di Nicea. Ben piu vitale ed imponente è, nel 1v secolo, lo sviluppo del pensiero cristiano. Grande importanza assume, per questo, la fondazione della scuola di Antiochia che si orienta in senso nettamente opposto a quello seguito dalla scuola cristian:i. di Alessandria; mentre quest'ultima svolge gli aspetti speculativi della fede e negli stessi testi sacri coglie soprattutto gli elementi per la costruzione dottrinale, trascuran-· clone i motivi storico-narrativi, la scuola di Antiochia si oppone alle interpretazioni allegoriche della Bibbia a vantaggio d'una stretta interpretazione letterale e storica di essa. È alla scuola di Antiochia che si forma Ario; in questa scuola si presta molta attenzione ai testi nei quali si parla del Logos come della prima fra tutte le creature ed in cui si afferma che il Verbo è inferiore al Padre; ci si orienta quindi nel senso della subordinazione del Verbo rispetto al Padre ~ nel senso di una adozione del Figlio da parte di Dio; su questa strada si pone anche Ario. Egli intende anzitutto insistere sulla natura unitaria ed indivisibile della divinità e pertanto ritiene che una pluralità di persone intaccherebbe la semplicità di Dio. Il Verbo, sostiene Ario, è Dio solo di nome; in realtà esso vi.ene creato da Dio come strumento per la creazione delle altre cose; il Verbo ha una funzione demiurgica, come anche una funzione di redenzione; ma essa non può certo intendersi come una redenzione divina. Il concilio di Nicea, nel 325, prende posizione contro tale dottrina, a favore della teoria che viene fissata appunto nel cosidetto simbolo niceno; esso rivendica per Cristo la stessa divinità del Padre, la stessa sostanza divina; il piu fiero sostenitore cli tale formula è, nel concilio di Nicea, Atanasio. Nell:i seconda metà del secolo sorge una controversia anche a proposito della natura dello Spirito santo; Baruch_in_libris CAP. Xli IL SECOLO IV Maceclonio, patriarca di Costantinopoli, giunge a negare esplicita111n11e la divjnità dello Spirito, dicl1i;1r;111dolo 11 un servilore, ~imilc agli :111gcli »; il concilio di Costantinopoli del )81 prl'ndc posizione contn di lui e dichiara che lo Spirito procede dal Padre e clic deve essere adcrato e glorificato insieme con il Padre e il Figlio. f~ da 11olarc clic alla rnlice della controversia sollevata da Ario si incontra l'uso di termini ri·~avati dalla tradizione filosofica greca, come quello di sostanza o ousiu; la sistemazione dottrinale cristiana si avvale larga111rnle di <1uclla tradizione. 4. Il gruppo di Cappadocia. Il piu alto livello speculativo viene raggiunto nd secolo rv per opera di un gruppo di studiosi della Cappadocia nell'Asia Minore; di esso fanno parte Basilio, Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazianzo. Essi hanno una formazione filosofica notevole, conoscono il neo-platonismo nonché alcuni scritti di Platone, di Aristotele e degli stoici; nell'ambito cristiano, l'autore al quale si richiamano è Origcne e l'indirizzo che seguono è quello della scuola di Alessandria. Basilio (330-379) è da ricordare sopratutto per la sua difesa della dottrina di Nicea e per un suo scritto In Hexaemeron che interpreta il testo biblico sui giorni della creazione. Sul primo punto Basilio accusa gli ariani di sminuire la potenza di Dio quando sostengono che non gli è possibile generare un Figlio della sua stessa perfezione. Nell'illustrare l'opera della creazione, egli si vale poi della sua conoscenza di scienze naturali, di derivazione aristotelica. Le dottrine morali di Basilio riecheggia no I'insegnamento cinico-stoico e la sua teoria dell'eternità delle creature spirituali risale alla tradizione platonica. Gregorio di Nazianzo (330-389) è noto per i suoi interventi chiarificatori nelle dispute teologiche del tempo; cosi attraverso la discussione del significato dei due termini filosofici greci di ou.ria e di ypo.rta.ri.r, nel senso rispettivamente di "natura" e di "persona " egli è giunto alla soluzione del problema trinitario che sostiene l'unità della natura divina nella trinità delle persone. Gregorio di Nissa (335-394) è l'ingegno filosoficamente piu acuto dcl gruppo di Cappadocia. Egli è ammiratore di Origene e, come lui, Baruch_in_libris § 4 IL GRUPPO DI CAPPADOCIA si avventura spesso alla determinazione di questioni che ancora non er.ano state maturate dal pensiero cristiano. I suoi scritti di maggior rilievo sono: il Dc hominis opificio ed una Explicatia, in Hcxacmcron, oltre ad un Dialogus dc anima che ricalca il Pedone e al dialogo Contra fatum che difende la libertà umana rispetto all'influsso degli astri, Gregorio di Nissa insiste particolarmente sull'incomprensibilità dell'essenza divina, che non può essere espressa da alcun nome; egli ammette che alcune anime possano godere di una speciale ilh~minazione da parte di Dio e quindi giungere a conoscerlo assai meglio di quanto consenta la scienza teologica; ma anche in questo caso particolare « H vedere consiste nel .non vedere, poiché Dio è incomprensibile per ogni intelletto ». Gregorio si serve della teoria platonica sull'unità dell'universale in relazione alla spiegazione di ciò che è proprio degli individui e di ciò che è loro comune; se ne serve anche per spiegare la consostanzialità delle tre persone divine. Della dottrina platonica si giova non per ammettere, con Origene, la preesistenza delle anime, ma per affermare che nella idea archetipa dell' uomo in .Dio non era contemplata originariamente la distinzione dei sessi; era, quella, l'idea dell'uomo perfetto e senza corruzione, quindi privo della determinazione sessuale, che sarebbe stata introdotta successivamente, in relazione alla previsione della caduta. La risurrezione dopo la morte viene concepita da Gregorio come una sorta di ritorno della natura al suo archetipo; in tale prospettiva si inquadra anche la sua dottrina della finale salvazione di tutte le anime, anche se Gregori,o non segue Origene nell'ammettere, dopo la morte, una serie successiva di prove, quale preludio necessario alla reintegrazione conclusiva. Figure minori della patristica del secolo IV, almeno sotto il profilo speculativo, sono quelle di Giovanni Grisostomo (344-407), di Ambrogio (340-397) e di Girolamo (340-420); il primo è noto per l'ispirazione platonica dei suoi celebri discorsi religiosi, mentre il terzo ha legato il suo nome alla versione latina del testo canonico della Bibbia. Ambrogio conosce parecchi scritti di ispirazione neo-platonica e li utilizza nei suoi sermoni, lasciandone cadere però tutti gli elementi che ritiene in contrasto con il pensiero cristiano. L'Oriente ha comunque una presenza piu intensa ed operante che non l'Occidente nella formazione del pensiero cristiano del iv secolo. 205 Baruch_in_libris CAP. Xlì IL SECOLO IV 5. Lo sviluppo delle scienze. Nella prima metà del Iv secolo, le opere sric:ntifiche di notevole il'T'portanza non sono molte; per la matematica bisogna ricordare gli scritti di Giamblico, anche se svolgono la teoria dci numeri sotto la spinta di una mistica interpretazione; per l'astronomia vicino al commento di Calcidio al Timeo va ricordato il grande trattato di astrologia di Firmico Materno dal titolo: Matheseos libri vm: è il piu vasto compendio astrologico c.Jell'antichità; per la storiografia la figura di maggior rilievo è quella di Eusebio (265-340) che può considerarsi il padre della storia ecclesiastica mentre per la filologia fiorisce in quest'epoca Donato, autore dell'Ars grammatica che divenne un classico degli studi letterari lungo tutto il Medioevo. Nella seconda metà <lei secolo 1v la scienza che viene piu largamente coltivata è la medicina, anche se essa non vanta nomi di particolare rilievo; notevole importanza ha invece l'opera del matematico Teone di Alessandria editore di Euclide e commentatore dell'Almagesto di Tolomeo. Baruch_in_libris CAPITOLO Xlii Il secolo v AGOSTINO. PROCLO. DIONIGI PSEUDO-AEROPAGITA 1. Il periodo. Nel corso del secolo v la separazione fra l'impero d'Oriente e quello di Occidente viene maturando e sul finire del secolo è un fatto compiuto. In Occidente, l'autorità imperiale non riesce piu a mantenere il controllo dei vasti movimenti di popolazioni barbariche alla ricerca di nuove sedi, né può impedire l'infiltrazione di elementi barbarici nell'esercito e nella amministrazio'ne; ne segue una profonda trasformazione nella compa~inc dell'impero accompagnata da una grave crisi di autorità e di governo. Nel 410 i Visigoti giungono a saccheggiare Roma; ve.rso la metà del secolo, varie tribu germaniche si stanziano nelle provincie e danno vita a nuovi organismi politici; nel 476 si giunge alla deposizione dell'imperatore Romolo Augustolo da parte di Odoacre; e questa data viene assunta, di norma, c~me quella che segna la fine dell'età antica e l'inizio del Medioevo. Ma quale termine della storia della filosofia antica si può scegliere, a maggior ragione, la data del 529; fu allora infatti che l'imperatore Giustiniano fece chiudere in Atene l'antica e gloriosa Academia di Platone e ne confiscò i beni. L'impero d'Oriente, sebbene premuto e sconvolto dai movimenti delle nuove popolazioni, riesce a mantenere una sua unità e compattezza, di cui è fattore importante l'unità culturale realizzata faticosamente con la fusione della tradizione ellenistica e di quella cristiana. L'impero d'Oriente si dà anche una precisa funzione culturale nel 425 con la fondazione della scuola superiore cristiana o università di Costantinopoli; la nuova scuola non assume subito un rilievo culturale di primo piano, ma essa è importante per la funzione che le viene attribuita, di scuola in cui deve trovare espress.ione la nuova politica di ispirazione cristiana promossa dall'impero. In questa luce, si comprende la misura disposta da Giustiniano nel 529; si tratta di togliere di mezzo, con la chiusura delle scuole filosofiche di Atene, l'ultimo ostacolo al trionfo dcl cristianesimo cd all'affermazione di Costantinopoli come nuovo centro spirituale dell'impero cristiano d'Oriente. Baruch_in_libris CAP. XIII lL SECOLO V Agostino che vive a cavallo fra la seconda metà del secolo 1v e la prirr.a metà del v è indubbiamente il piu grande pensatore che il cristianesiP.lo abbia avuto dalle sue origini, come dimostra altresi l'influsso esercitato èalla sua dottrina sul pensiero cristiano dei secoli successivi fino al no>tro tempo; la sua età è ancora largamente attraversata da intensi contrasti teologici, anche se si può dire che ormai le gran<li lince della dottrina crisciana risultino definite e formulate. L'ultima grande figura della tradizione filosofica ellenistica è quella di Proclo che è appunto a capo dell'Academia di Platone, in Atene, negli ultimi <lecenni del secolo; l'indirizzo neo-platonico con lui e con gli esponenti delle due scuole filosofiche di Atene e di Alcssan<lria giunge all'epilogo; sembra raccoglierne l'eredità per trasferirla in modo organico all'interno dcl pensiero cristiano Dionigi pseudo-Areopagita, vissuto sul finire del v secolo e costruttore di una sistematica dottrina neoplatonica <li ispirazione cristiana con cui giunge a compimento la storia della filosofia antica. 2. Agostino: dal manicheismo al cristianesimo. Agostino nasce a Tagaste in Numidia nel 354; delle vicende della sua vita siamo informati dalle sue Confessioni, in cui tuttavia gli elementi storici sono mescolati spesso ad esposizioni retorico-letterarie e ad interpretazioni mistiche. L'educazione cristiana che gli viene impartita non si dimostra immediatamente efficace su di lui; a quindici anni viene inviato a Cartagine a completare 5li studi; in questa città venivano largamente praticati i culti pagani, ed erano numerosi i m:ighi, gli aruspici e gli astrologhi; Agostino vi conduce un'intensa vita e.li studio. A partire dal 373 si accosta al manicheismo che era abbastanza diffuso sia a Cartagine che nell'Africa settentrionale, nonostante le ripetute condanne cui era st:ito sottoposto dalle autorità civili. Agostino viene attratto dal manicheismo soprattutto perché esso critica con molta acutezza sia l'Antico che il Nuovo Testamento; il Genesi, osscrYavano i manichei, afferma che Dio creò il cielo e la terra, mentre d'altra parte vi si dice che la terra esisteva già cd era informe ed invisibile; vi si dice che le tenebre e l'abisso coprivano la terra, senza indicare quale sia la loro origine; Dio avrebbe creato il sole, secondo il Genesi, solo nel quarto giorno, ma non si dice in che modo senza il sole si poterono distinguere i tre giorni precedenti; e quando si afferma che Dio ha fatto l'uomo a propria immagine e somiglianza, si 208 Baruch_in_libris § 2 AGOSTINO vuol forse dire che Dio ha naso e bocca ed occhi alla maniera degli uomini? Inoltre Agostino viene attratto dalla chiarezza con cui il manicheismo risolve il problema del male, mediante la dottrina dei due priacipii opposti, nonché dal rigorismo morale teorizzato in questa religione. Sopratutto egli è colpito dal metodo razionale con cui i manichei presentano e discutono le varie dottrine; e gli pare che su due punti essi abbiano un netto vantaggio rispetto al cristianesimo, nel rispondere alla domanda di dove viene il male e nel ribadire che Dio non può avere forma ed apparenze umane, secondo le espressioni letterali dell' Antico Testamento. Solo intorno al 380, dopo avere iniziato il suo insegnamento di retorica prima a Tagaste e poi a Cartagine, Agostino comincia a nutrire i primi dubbi intorno alla verità del manicheismo; essi muovono dal raffronto che egli istituisce fra il metodo con il quale la scienza greca procedeva nelle sue dimostrazioni e nei suoi calcoli e l' asseveranza senza fondamento con cui nel manicheismo si sostenevano dottrine sulla natura; inoltre tutte le credenze astrologiche dei manichei gli paiono ben poco consistenti rispetto alle dottrine astronomiche greche. Dal punto di vista propriamente religioso, Agostino è poi colpito dalla seguente riflessione: se il principio delle tenebre può opporsi e recare nocumento al principio della luce, secondo le affermazioni dei manichei, vuol dire che il principio della luce non è propriamente Dio; se poi il principio delle tenebre non può l"ecare danno alcuno all'opposto principio della luce, allora non ha alcun senso tutta la lotta di quest' ultimo contro il primo. Nel 383 Agostino passa ad insegnare a Roma, mentre il vuoto lasciato in lui dalla diminuita fiducia nel manicheismo viene occupato per qualche tempo dalla lettura di Cicerone e dall'impressione che lascia su di lui lo scetticismo probabilistico. Quando, due anni dopo, egli passa alla cattedra di retorica di Milano, si delinea un suo riavvicinamento al cristianesimo per il tramite di alcune letture di autori neoplatonici. Agostino legge, in questo periodo, il trattato sulla bellezza di Plotino ed il Ritorno dell' anima di Porfirio e vi trova teorizzata l'ascesa dell'anima dalla realtà corporea ad una realtà del tutto spirituale e trascendente. In questi testi egli trova esposta in particolare la dottrina dell'esistenza d'una realtà puramente spirituale e ciò gli consente di superare la concezione manichea della divinità come d'una 209 Baruch_in_libris CAP. XIII IL SECOLO V realtà corporea, anche se ridotta ad una mater.ia sottile, mentre la teoria neo-platonica che riduce il male a non-essere gli consente di superare :a soluzione che al problema dell'origine del male dava il manicheismo. Ascoltando le prediche di Ambrogio che, nella spiegazione del testo biblico, faceva costante ricorso all'analisi spirituale ed allegorica, Agostino si viene riconciliando, nello stesso tempo, con l'Antico Testa· mento; alla luce del criterio paolino seguito da Ambrogio: « la lettera uccide, lo spirito vivifica », egli apprende che le espressioni bibliche non debbono essere intese alla lettera, ma possono venire interpretate in senso spirituale; intende, ·per esempio, che laddove. il Genesi afferma che Dio creò I' uomo a propria immagine e somiglianza non si vuol sostenere che Dio ha apparenza umana, ma solo che Dio ha concesso all' uomo, nella creazione, la ragione e la libertà. Si chiarisce allora ad Agostino che neo-platonismo e cristianesimo si possono incontrare, in quanto la redenzione dalla materia e dal male che secondo i neo-platonici si può conseguire per mezzo di pratiche magiche, è assicurata agli uomini dall'incarnazione e dall'opera redentrice di Gesu; i neo-platonici avevano teorizzato alla perfezione la natura spirituale di Dio la sua trascendenza; avevano anche definito l'unità e la trinità del suo essere; ma si erano rifiutati di riconoscere in Gesu piu che un uomo singolare e di consentire che in lui si fosse incarnato lo stesso Dio; questo è il passo che bisogna compiere, a giudizio di Agostino, per realizzare il pieno incontro di neo-platonismo e di cristianesimo; questo passo dottrinale sta alla base della conversione pratica di Agostino al cristianesimo, avvenuta intorno al 386. e 3. Gli elementi del platonismo cristiano di Agostino. Gli elementi essenziali del neo-platonismo cristiano di Agostino vengono elaborati in un gruppo di scritti, da lui redatti quasi completamente nella villa di Cassiciacum presso Milano e riconducibili al periodo che va dal 386 al 388. Il primo passo in questa direzione è quello costituito dal superamento dello scetticismo probabilistico degli Academici svolto appunto nel Contra Academicos. La critica di Agostino tocca in proposito due punti principali : chi si attiene al verosimile, osserva, non conoscendo il vero è come chi afferma che una per310 Baruch_in_libris s3 ELEMENTI DEL Pi.ATONISMO AGOSTINIANO s-ma assomiglia ad un'altra, che però non conosce; una volta escluso che si possa conoscere il vero, viene a cadere anche il criterio dd probabile e <lei verosimile. Il secondo punto concerne l' affermazione degli Acadcmici secondo la quale << niente si può conoscere ». << In ~ogno e ndla pazzia, rileva Agostino, possono apparire false quelle cose ch7 si rireriscuno ai sensi; ma che tre per tre fanno nove è nct.:essario che sia vao, anche se perisca il genere umano»; altrettanto si dica delle propo.iizioni della logica. Anche la sensazione va difesa, a suo parere, in ordine alla sua capacità. di cogliere il vero, purché ci si attenga solo a quanto essa attesta: << lo non ho da lagnarmi dei sensi, scrive, perché è ingiusto esigere da essi piu di quello che possonD; ora quello che gli occhi possono vedere, lo vedono con verità; sarà forse vero allora anche quello che vedono del remo ndl' acqua? Indubbiamente; c'è infatti una causa per cui si vede cosi; e se il remo immerso nell'onda apparisse diritto, dovrei accusare ancor piu i miei sensi di riferirmi cosa falsa; infatti non vedrebbero quello che avrebbero dovuto, vedere, esistendo quelle determinate cause». In conclusione, sia la sensazione che la logica danno luogo a verità delle quali non si può dubitare. Affrontando, nel De vita beata, il problema della felicità, Agostino lo risolve con il richiamo alla stessa gerarchi~ reale degli esseri, al cui vertice è Dio; solo Dio è perfetto; perciò «la piena soddisfazione degli spiriti e la vita pienamente felice è solo in Dio »; I' infelicità è in".ece conseguente alla manchevolezza e questa è "un non possedere", un "non-essere"; chi manca di qualche cosa è infelice e solo chi non ha bisogno di nulla è felice. Ma per giungere alla comprensione della verità e di Dio bisogna anzitutto liberarci dal mondo della sensibilità. « Devi fuggire del tutto le cose sensibili, suggerisce la ragione ad Agostino nei Soliloquia, devi guardarti che le ali dcli' anima non siano inviluppate dalla corporeità; la luce non degna di mostrarsi a noi che siamo chiusi in questa caverna; quando dunque.le cose terrene non ti procureranno piu diletto, in quell'istante medesimo vedrai quello che desideri ». Dio e la verità si presentano ad Agostino come il sole che illumina e la realtà intellegibile che viene illuminata; « come la terra non si vede se non è illuminata dalla luce, cosi le verità scientifiche non possono essere intese se non vengono illuminate da altro, come dal loro sole». Per questo la verità è il cammino che ::ZII Baruch_in_libris CAP. Xlii IL SECOLO V ci conduce a Dio : « Sebbene le cose passino, la verità permane; muoiono le cose vere, non la verità, le persone oneste, non l' onestà; dunque I~ verità non può esistere nelle cose mortali; eppure la verità c' è e non può non esistere in qualche luogo; vi debbono dunque essere delle cose immortali; ma niente può essere vero senza che in esso sia la verità; se ne conclude che non possono essere veri se non degli esseri immortali ». Che la verità non possa perire, si dimostra secondo Agostino « perché se perisse tutto il mondo ed anche la stessa verità, sarebbe pur sempre vero che il mondo e la verità sarebbero periti; e se non fosse vero che la verità fosse perita, allora non sarebbe perita e ci sarebbe». Di qui è facile concludere all'immortalità dell'anima: «Tutto ciò che esiste in un sostrato, se esiste sempre, è necessario che anche il sostrato esista sempre; ora ogni scienza esiste nell'anima come sostrato; è necessario perciò che, se la scienza esiste sempre, esista sempre anche l'anima; ma la verità è scienza e la verità esiste sempre; l'anima perciò esiste sempre, ossia è immortale». Anche nel De immortalitate animae Agostino ribadisce che « quando ragioniamo seriamente con noi stessi, o quando veniamo opportunamente interrogati da altri su qualche cosa, quello · che ritroviamo, cioè la verità, non la ritroviamo se non nel nostro animo »; d'altra parte questo "trovare" non significa "fare o generare" la verità in noi, altrimenti «l'anima genererebbe nel tempo cose eterne»; proprio il fatto che l'anima "trovi" in sé la verità e che la verità non possa essere generata nei tempo, sta a confermare, secondo Agostino, la sua immortalità. Anche la questione della spiritualità dell'anima, tanto avversata dal manicheismo, trova cos1 la sua soluzione: come potrebbe l'anima, osserva Agostino nel De quantitate animae, ricordare cose lontane, se fosse corporea e quindi chiusa dentro lo spazio del corpòf e come potrebbero imprimersi in essa, piccola come il corpo, immagini cos1 grandi come quelle di città e di regioni? e come potrebbe l'anima conoscere gli enti matematici, il punto, la linea e la superficie che non sono entità corporee? Il legame che corre fra l'anima .e la verità consente ad Agostino di svolgere, nel De magistro (scritto nel 389 a Tagaste, dopo il ritorno dall'Italia) la critica della retorica e la teoria del carattere interiore della conoscenza. « Le parole non Baruch_in_libris § 3 ELEMENTI DEL PLATONISMO AGOSTINIANO fanno che stimolarci a cercare le cose, scrive, ma non sono in grado di farcele conoscere. Se non c'è parola che non sia segno, per quanto una parola sia da mc udita, non saprò dì che cosa sia parola finché non sappia che cosa significhi; quando si conosce qualche cosa, allora si può conseguire anche la conoscenza delle parole, ma se si sentono solo parole, non si apprendono nemmeno quelle». «Colui che mi ascolta, se ha avuto sensazione delle cose di cui parlo e fu presente ad esse, non apprende dalle mie parole, ma riconosce quanto dico attraverso le immagini che anch'egli ha portato con sé; se poi non ha sentito tali cose, si affida alle mie parole in mancanza della possibilità di apprendere qualche cosa». Insomma, «chi non è in grado di discernere le cose della mente, ode invano le parole di colui che le discerne; e chi è in grado di discernerle, è discepolo della verità nel suo intimo, di quella verità che è giudice di colui che parla fuori, o piuttosto del discorso stesso »; perciò appunto << il vero maestro è la immutabile virtu di Dio, la sapienza eterna cui dà ascolto ogni anima razionale»; le parole valgono solo in quanto siano stimolo a prestare ascolto « alla verità che nell'intimo presiede alla mente ». 4. II sistema platonico-cristiano di Agostino. Agostino raggiunge la formulazione piu organica e rigorosa del suo sistema platoniéo-cristiano con il De vera religione e il De libero arbitrio, opere che si collocano nel periodo che va dal 390 al 395, trascorso a Tagaste nella piu intensa attività di studio. Il De vera religione è una sorta di compendio della nuova visione filosofico-religiosa di Agostino; vera religione è il cristianesimo che «venera un solo Dio e lo riconosce come quel principio per il quale hanno inizio e perfezione e limiti tutti gli esseri »; i grandi filosofi greci, « se potessero rivivere, muterebbero poche parole e poche sentenze delle loro dottrine e diventerebbero cristiani, come ha fatto la maggior parte dei filosofi platonici ». Il grande problema del pensiero cristiano è qµello del rapporto fra Dio e gli esseri finiti; questi ultimi « non hanno l'essere in grado supremo » perché sono inferiori a colui che li ha creati; Dio ha invece l'essere in grado sommo; «egli ha creato gli esseri perché 21~ Baruch_in_libris CAP. XIII IL SECOLO V fossero, giacché l'essere, per quanto in piccolo grado, è un bene per sé, in quanto appunto il sommo Bene è il supremo essere; poiché ogni essere deve constare d'una forma, per quanto minim:i, esso, per quanto infimo, tuttavia sarà un bene e quindi sarà da Dio; se Dio infatti, supremo bene, è anche suprema forma, ogni bene o è Dio o viene da Dio; quindi anc;l,1e l'infima forma è da Dio>>. ((Un essere sottostà a corruzione ed a morte solo in quanto viene privato di qualche cosa; tutte le cose soggette a limite ed a corruzione sono buone, ma vi sono soggette in quanto non sono sommi beni; esse, in quanto beni, sono da Dio, in quanto non sono beni supremi, non sono Dio; Dio è il solo bene non soggetto a limite ». La stessa caduta dell'anima nel peccato e nel male « non è il passaggio da un bene sostanziale ad un male sostanziale, giacché nessuna sostanza è male », ma pass:iggio dal bene eterno al bene temporale, . ossia dal bene sommo al bene infimo; vi è dunque un bene, amando il qu:ile l'anima pecca, « in quanto esso è posto al di sotto dell'anima »; sicché è un male il peccato, ma non è certo un male quella sostanza, amando la quale si pecca. In tutta la natura, nessun essere è male, ma diviene tale « per nostra colpa ». Contro i manichei, Agostino dimostra cosi che « dai peccati non può ·derivare che il mondo sia colpito da alcuna deformità che si traduca in un suo elemento costitutivo; se le creature razionali sono monde da peccato e si conservano soggette a Dio, esse dominano le altre creature come inferiori; se invece h:inno peccato, vengono riportate al grado che loro conviene senza che il tutto perda la propria bellezza dinnanzi a Dio creatore e reggitore di esso». Nel creato tutto è dispasto affinché l'uomo consegua la salvezza che egli ottiene dando vita in sé, al di sopra della realtà dell'uomo esteriore e terreno, all'uomo interiore e celeste. Agostino ricorda, con evidente reminiscenza neo-platonica, le sette età attraverso le quali passa la formazione dell' uomo interiore, fino alla conquista della sapienza, alla completa dimenticanza della vita terrena, al passaggio alla perfetta bellezza cd alla finale beatitudine. Strumento fondamentale dcli' ascesa a Dio è la ragione che giudica le cose sensibili alla luce di misure ideali incorparee; ora, se secondo tali idee della mente si giudicano le molteplici realtà dell' espezienza, è segno che tali idee valgono· molto di piu, per la loro portata, di tutto ciò che da esse viene misurato; la misura ideale non subisce Baruch_in_libris § 4 IL SISTEMA PLATONICO-CltlSTIANO modificazioni, è in se stessa del tutto immutabile; anche la mente che intuisce tale misura ideale è soggetta alla mutabilità ed all'errore; «bisogna dulJ(1ue conclmkre eh<.: ~upra la nostra m<.:ntc c'é una kggt:, che si cht:1ma verità». Tale legge o misura ideale è 11 l'arte per se ste~a di un artefice immutabile »; la mente umana si trova quindi in una posizione intermedia fra 11 le cose inferiori di cui essa giudica secondo verità », e la Verità, cioè Dio, che 11 sola sa giudicare di noi 11. u Non uscire <la te stesso, scrive Agostino, perché fa verità abita nd1' uomo interiore; e se troverai la sua natura mutevole, trascendi anche te stesso; però nel trascendere te stesso, trascendi un' anima razionale; tale superamento devi perciò tentarlo là donde viene ogni luce di ragione; dove giunge ogni buon ragionatore, se non alla verità? La verità non ritrova se stessa col ragionam~nto, perché essa è ciò che ragionando si cerca; osserva qui un'armonia superiore ad ogni altra; confessa di non essere tu ciò che è la verità poiché essa non cerca se stessa; tu invece, cercandola, sei giunto a lei per unirti a lei come uomo interiore». Di fronte ali' assoluta obbiettività della verità non ha piu alcun senso il dubbio scettico: «Chiunque comprende d'essere in dubbio, vede una cosa sicura di cui è certo, cioè d' essere in dubbio; dunque egli è certo del vero; pertanto chiunque d_ubita se la verità esista, ha in sé qualche cosa di vero di cui non può dubitare; ma il vero non è tale se non in forza della verità; è necessario dunque che chi ha potuto in qualche modo dubitare, piu non dubiti della verità; non è d'altra parte il ragionare che crea la verità; esso la scopre; la verità quindi esiste in sé anche prima che sia scoperta e scoperta che sia, ci rinnova». Ed ecco in che modo la verità ci conduce a Dio: « La verità, della quale non si può dire che sia tua o mia, o di qualsiasi altro uomo, scrive Agostino nel De libero arbitrio, o è piu eccellente della nostra mente o è uguale alla mente o è ad essa inferiore. Se fosse inferiore, non giudicheremmo servendoci di essa come di criterio, ma giudicheremmo la stessa verità, dicendo come dovrebbe essere; invece giudichiamo le cose secondo le interiori regole della verità, sulle quali nessuno pronuncia un giudizio. Se poi la verità fosse pari alle nostre meµti, anch'essa sarebbe mutevole; invece la verità rimane in se stessa integra ed incorruttibile, per cui non progredisce quando noi la comprendiamo di piu, né diminuisce in sé quando la com215 Baruch_in_libris CAP. XIII IL SECOLO V prendiamo meno; se dunque la verità non è né inferiore, né uguale alla mente, non resta se non ch'essa sia superiore. Ora, se si riesce a dimostrare che esiste qualche cosa sopra le nostre menti, questi è Dio; se non c'è, la stessa verità è Dio». Alla luce di questi principii anche il problema del male e della libertà si chiariscono. Il male morale consiste in un atteggiamento interiore che istituisce fra le varie parti di cui risulta l'uomo un rapporto non conforme a natura; la ragione deve dominare sulle passioni; il male consiste invece nel dominio delle passioni sulla ragione. La libertà è ciò che rende possibile il male; perché mai, si chiede Agostino, Dio ha dato all'uomo la libertà? Anzitutto, risponde, senza la libertà l'uomo non potrebbe agire rettamente; se con la libertà l'uomo pecca, « non si deve credere che Dio gli abbia data la libertà per questo». Saranno dunque da condannare coloro «che usano male del bene che è la libertà, ma non si dovrà dire che colui che ha dato questo bene, non avrebbe dovuto darlo ». Ma la difficoltà maggiore al riconoscimento della libertà umana sembra venire dalla prescienza divina: « Se Dio è presciente e sa che l'uomo peccherà, è necessario che l'uomo pecchi; ma se è necessario, allora nel peccare non c'è libertà, ma necessità fissa ed inevitabile». La risposta di Agostino si richiama da un lato alla nostra diretta esperienza per cui sentiamo che «vogliamo con la volontà» e per l'altro alla seguente osservazione: « Dio prevede la nostra volontà; ma la prevede appunto come volontà; essa sarà dunque volontà; né potrebbe essere volontà, se non fosse in nostro potere; dunque Dio prevede anche la volontà come in nostro potere; sicché la prescienza di Dio non ci toglie la libertà ». 5. Agostino difensore della verità cristiana. Nel 395 Agostino diviene vescovo di lppona; da quel momento egli si sente investito di una particolare autorità e responsabilità nd governo della chiesa; perciò il suo orizzonte culturale si fa piu rigido, la ricerca viene spesso superata dalla foga polemica o dallo spirito di edificazione pastorale, le esigenze puramente dottrinarie si accompagnano e a volte cedono il campo a istanze di organizza- Baruch_in_libris AGOSTINO DIFENSOllE DELLA VERITÀ CRISTIANA zione anche pratica della cultura. Una delle sue prime cure è appunto quella di dare una sistemazione cristiana al patrimonio della cultura classica. Nel De doctrina Christiana del 397 Agostino indica la via per trasformare la cultura profana in cultura cristiana ponendo al suo centro il testo della rivelazione, la Bibbia. Il testo sacro va anzitutto compreso per se stesso; si· tratterà poi di esprimere adeguatamente quello che si è compreso. Per comprendere la Bibbia, bisogna fare ricorso ai sussidi delle arti liberali; la storia, la geografia, la botanica, la zoologia, la mineralogia, l'astronomia, la medicina, l'agricoltura, la navigazione serviranno ad intendere appieno la Bibbia nei passi in cui essa tratta rispettivamente questioni attinenti ai singoli campi del sapere; anche l'aritmetica, con le sue diverse applicazioni ai movimenti ed alle figure, servirà a spiegare i passi biblici in cui si fa menzione dei numeri, dei movimenti e delle figure. La dialettica che insegna a ben argomentare, servirà a risolvere molte delle questioni intricate che sorgono dalle pagine bibliche. Il vescovo di Ippona auspica che si possano raccogliere in una sola opera, classificate per materia, tutte le informazioni e le nozioni utili a comprendere la Bibbia; si tratta di una sorta di enciclopedia ad uso dei cristiani da ricavare dalla scienza profana e da inquadrare nei principii della nuova sapienza religiosa. Anche nella lotta contro la dottrina di Pelagio, affermatasi intorno al 410, la reazione di Agostino è ispirata da motivi spiccatamente religiosi. La condizione del primo uomo, Adamo, non è da ritenere, sostiene Pelagio, diversa da quella in cui nascono gli altri uomini; e la colpa in cui egli è caduto non può aver causato alcun danno alla posterità, poiché il peccato è un atto volontario e pert~nto la responsabilità di esso non può cadere che su chi lo abbia commesso. Noi non possiamo dunque ereditare dai primi progenitori le conseguenze della loro colpa e non possiamo quindi ritenerci macchiati di un peccato originale. Se l'umanità non è indebolita alla radice da tale colpa, può conseguire la salvezza mediante il libero arbitr!o e senza alcun intervento straordinario da parte di Dio. Agostino, nei suoi scritti precedenti, non aveva mancato di insistere, a sua volta, sul carattere personale della responsabilità morale cd aveva sottolineato tutto quello che l'uomo può fare per giungere alla salvezza. 217 Baruch_in_libris CAP. XIII IL SECOLO V Ma quando sorsero le prime discussioni intorno alla dottrina di Pelagio, Agostino la impugnò con particolare asprezza e sostenne in piu di una quindicina di scritti e trattati una veduta radicalmente pessimistica circa la salvezza dell'uomo. Dopo la colpa originale, che investe nelle sue conseguenze tutta l'umanità, l'uomo è un essere decaduto e dannato davanti a Dio; anche il libero ·arbitrio, dopo la colpa originale, è indebolito ed incapace di resistere al male; se non intervenisse dunque una speciale iniziativa divina, l'umanità resterebbe definitivamente « una massa di dannazione»; le buone azioni non valgono nulla, senza la grazia; l'iniziativa divina nella salvezza ha un'assoluta priorità rispetto all'iniziativa umana in quanto Dio sceglie coloro che saranno salvi in base a criteri che sfuggono del tutto alla i:omprensione umana; Dio predestina alcuni alla salvezza e senza tale intervento la salvezza non è raggiungibile. Pareva ad Agostino che una universale salvazione avrebbe tolto valore sia alla redenzione che alla grazia; e il cristianesimo avrebbe potuto cosi risultare compromesso nella sua originalità rispetto alle dottrine sapienziali della salvezza di origine pagana. Nel 418 la dottrina di Pelagio fu condannata dal concilio di Cartagine; ma la dottrina di Agostino non ottenne consensi unanimi e facili né allora, né in seguito. Gli approfondimenti dottrinali piu cospicui offerti da Agostino negli scritti della piena maturità sono principalmente due: quello che concerne la dottrina della creazione chiarita nelle Confessioni e la discussione del problema trinitario svolta nel De Trinitate. il primo punto riguarda la difficoltà di conciliare la creazione del mondo da parte di Dio e la assoluta mancanza in lui di qualunque mutamento: se nulla di nuovo può intervenir-'.'. a mutare la natura di Dio, come è possibile che egli si sia determinato, in un certo momento, a creare il mondo, che prima non esisteva? «Dio, risponde Agostino, ha creato tutti i tempi ed è prima di tutti i tempi»; egli è nell'et~rnità e non crea affatto il mondo « nel te~po »; « il t~mpo non ci può essere senza la creazione », mentre Dio è fuori del tempo e perciò fuori del mutamento. Nel De Trinitate che comprende quindici libri e fu composto dal 400 al 416, il vescovo d' Ippona svolge un' esposizione minuta e complessa della dottrina trinitaria, con l'intento di Baruch_in_libris § 5 AGOSTINO DIFENSORE DELLA VERITÀ CRISTIANA ribadire la natura divina delle tre ipostasi; ma una parte notevole dell'opera t: dedicata anche ad illustrare le analogie della trinità che l'uomo può riscontrare nella struttura stessa del suo essere. Nell'uomo si possono considerare, per es., l'essere, il conoscere ed il volere: «io indubbiamente esisto, so e voglio; sono sapiente e volitivo; so di essere e di volere; voglio essere e sapere»; in questa trinità di funzioni si esplica una vita indivjsibile, un'identica essenza. Analoga trinità può scorgersi nei tre momenti dell'anima: mens, notitia, amor: «la mente, l'amore e la conoscenza sono di una sola sostanza, perché è fa mente stessa che si ama e si conosce; in queste tre realtà dunque, quando la mente ama e conosce se stessa, resta la trinità, cioè la mente, l'amore e la conoscenza; ognuno singolarmente è in sé, vicendevolmente tutte sono in ognuna, ogni singola nelle altre due e queste in quella, e tutte in ciascuna». Né meno chiara è l'impronta trinitaria che l'uomo reca nella sua mente, che si rivela come memoria, intelligenza e volontà; «esse non sono tre vite, ma una sola vita; non sono tre menti, ma una sola mente; non sono tre sostanze, ma una sola sostanza; queste tre sono uno, come una è la vita i>. Cosi non solo la trinità è chiarita come ritmo interno della vita divina, ma diviene chiave anche per la comprensione dell'interiorità umana. 6. La città di Dio. Molti sono gli scritti polemici ed esegetici e catechistici composti da Agostino nell'ultimo ventennio della sua vita; e motivi dottrinali sono presenti in molti di essi, con particolare riguardo ai commenti al Genesi, ai Salmi e al IV vangelo. Ma l'opera alla quale lavora per oltre uri decennio, dal 413 al 426, e che è quasi il compendio di tutta la sua attività di pensatore è il De civitate Dei. Nel 410, mentre i Goti di Alarico saccheggiano Roma, sono in molti a ritenere che ormai l'ultima rovina incomba non solo sulla capitale, ma su tutta la civiltà promossa da Roma; e molti sospettano che. si stia per avverare quanto i pagani avevano preconizzato fin dai tempi di Costantino e cioè che l'abbandono dell'antica relil!ione da parte del!o stato romano avrebbe portato quest'ultimo allo ;facelo. Ma la rovina dello stato romano significa, ad un tempo, la rovina dcl cristianesimo 219 Baruch_in_libris CAP. XIII IL SECOLO V ormai mt1mamente legato con le strutture statali. Il sacco di Roma si presenta dunque da un lato come una solenne sconfessione del cristianesimo a favore dell'antica religione pagana e dall'altro come l'avvicinarsi della catastrofe che avrebbe travolto con Roma anche la chiesa cristiana. Agostino con la sua ampia opera in ventidue libri intende mostrare sia la superiorità del cristianesimo rispetto a tutta la cultura pagana, sia la capacità del cristianesimo di superare la catastrofe presente e di guardare al futuro, anzi all'eternità. L'idea che domina nella prima parte dell'opera è quella della provvidenza che governa la storia umana: « Dio è principio di ogni regola, scrive Agostino, di ogni bontà, di ogni ordine; Dio veglia sul cielo e sulla terra, sull'angelo e sull'uomo e non lascia nulla, neppure la struttura inferiore del piu vile insetto, né le piu piccole penne degli uccelli, né il piu piccolo fiore dei campi, né le foglie delle piante, senza l'armonia ed una stretta unione nelle parti; ora non si può assolutamente credere, se è cosi, che Dio abbia voluto lasciare i regni degli uomini e le loro dominazioni e le loro schiavitu fuori delle leggi della sua provvidenza». Ecco perché « il potere di disporre degli scettri e degli imperi non lo dobbiamo attribuire che al vero Dio_; ed è soltanto questo Dio, la cui provvidenza e giustizia non abbandonano mai il genere umano, che ha dato l'impero a Roma quando ha voluto e grande quanto l' ha voluto; è lui che lo ha dato agli Assiri, ai Persiani, agli Ebrei; è lui che lo dà egualmente agli uomini, a Maria, a Cesare, ad Augusto ed allo stesso Nerone, a Vespasiano, a Domiziano mostro di crudeltà; è. lui che incorona Costantino principe cristiano e Giuliano l'apostata; tutti questi avvenimenti il solo e vero Dio li dispone e li governa come gli piace, secondo ragioni che ci sono nascoste». Questa dottrina consente ad Agostino sia di affermare che anche le vicende storiche piu negative all'apparenza sono ordinate da Dio ed hanno pertanto un loro valore positivo, sia di far rientrare nell'ambito del cristianesimo tutta l'azione positiva che in campo politico e culturale era stata svolta prima del cristianesimo; nei molteplici lati negativi della civiltà pagana si deve, per contro, vedere l'insufficienza degli uomini e delle loro dottrine; su tali lati negativi Agostino insiste a lungo, sia per quanto riguarda la religione, come in rapporto alla filosofia, alla politica, alla morale; 220 Baruch_in_libris § 6 LA CITTÀ DI DIO egli è portato a ritenere che le sventure del suo tempo siano inviate da Dio a punizione dei molti mali commessi dagli uomini quando, come durante il paganesimo, essi hanno preteso di fare senza l'aiuto divino. Non il cristianesimo si deve dunque ritenere causa della caduta dell'impero, bensl la profonda corruzione della società pagana. Di fronte poi al timore che gli stessi cristiani potevano nutrire di essere coinvolti nel crollo dello stato romano, Agostino svolge, nella seconda parte della sua opera, la dottrina delle due città, « quella del cielo e quella della terra ». Da un lato egli avverte che «il secolo pre-. senta mescolate e confuse » queste due città; poca meraviglia dunque che i mali che colpiscono l'una investano anche l'altra; d'altro lato però mette in chiaro che la città di Dio, cioè la comunità cristiana, ha tale fine che non può essere travolta da alcuna catastrofe storica, perché il suo destino oltrepassa la storia ed il mondo presente. « Nonostante la meravigliosa varietà di nazioni sparse sulla terra, scrive, con credenze e costumi diversi, distinte per lingua, armi, consuetudini, non esistono tuttavia che due città umane: l'una è la città degli uomini che vogliono vivere in pace secondo la carne, l'altra quella degli uomini che vogliono vivere in pace secondo lo spirito; e si può anche dire quella degli uomini che vivono secondo l'uomo e quella degli uomini che vivono secondo Dio; l'amore di sé portato fino al disprezzo di Dio generò la città terrena; l'amore di Dio portato fino al disprezzo di se stesso generò la città celeste; l'una cerca la gloria degli uomini, l'altra pone la sua gloria in Dio ». La storia delle due città attraversa tutti i tempi « dal giorno in cui cominciò la generazione dei due primi uomini »; Caino è il primo fondatore della città terrena, Abele è il primo cittadino della città celeste. La città terrena è destinata allo scacco finale; la città celeste non può identificarsi con la città terrena, anche se risulta in parte confusa con essa. ·Agostino vuol dare anzitutto ai cristiani una profonda coscienza dell'unica città che essi formano, della completa originalità che distingue la loro comunità dallo stato romano; tale comunità ha un destino ultraterreno che le vicende storiche )On possono compromettere. D'altra parte Agostino si preoccupa anche dell'azione propriamente terrena che la città celeste deve asso!· vere: « Durante il suo pellegrinaggio sulla terra, afferma, la città celeste raccoglie una società pellegrina; poco importano le differenze di 1 Baruch_in_libris CAP. XIII IL SECOLO V costumi, di leggi, di istituzioni; essa non turba nessuna di queste cose, non le distrugge, anzi le conserva e le rispetta, purché lascino alla religione la libertà di insegnare il culto del solo e vero Dio; la città del cielo si servè, dunque, in questo esilio, della pace della terra per ciò che riguarda gli interessi della natura mortale, fin dove la pietà è salva e la religione lo permette ». Con ciò Agostino, di fronte al crollo dell'impero romano, prospetta una società religiosa guidata dalla chiesa e capace di orientare l'ordinamento terreno in tutti i suoi aspetti, conservandolo per integrarlo; è la città di Dio pronta sia a considerare con distacco le vicende terrene in nome di un fine religioso trascendente sia a dirigere gli ordinamenti civili e gli stati come strumenti per la realizzazione delle finalità religiose. Nella primavera del 429 i Vandali, sotto la guida di Genserico, invadono l'Africa; alla fine del maggio del 430 pongono l'assedio ad Ippona; è durante il terzo mese deli'assedio, il 28 agosto del 430, che Agostino muore. 7. Nuovi contrasti teologici. Mentre, alla morte di Agostino, la disputa sollevata da Pelagio sul peccato originale e sulla grazia si sta spegnendo, un 'altra ·ne nasce per opera di Nestorio, vescovo di Costantinopoli; richiamandosi alla immutabilità di Dio, egli ritiene che iri Gesu l'unione di umanità e divinità non possa giungere ad una perfetta fusione; poiché però, a suo avviso, dove. c'è una natura dev'esserci anche una persona, il Verbo, assumendo la natura umana, assume anche la persona umana; in Cristo ci sono pertanto due persone, due soggetti, uno divino ed uno umano uniti da una mutua relazione; per questo Nestorio conclude che il Verbo non può essere figlio di Maria. Molti temono però che, in tal modo, gli aspetti umani e storici del Cristo risultino compromessi; muovendo dal sostenere l'attribuzione a Maria della maternità di Dio, costoro si esprimono per una concezione piu rigorosamente unitaria della persona di Gesu; in questo senso decide il concilio di Efeso nel 43i. La disputa, anziché estinguersi, si porta a posizioni estreme con Eutiche il quale sostiene che in Cristo, dopo l'incarnazione, c'è una sola natura e pertanto una sola persona, quella divina; per controbattere Baruch_in_libris § 7 NUOVI CONTRASTI TEOLOGICI la tesi della permanenza delle due nature, che rischia di 1::1SCiare la realtà umana di Cristo fuori della sua realtà divina, si giunge cosi alla tesi dell'unica natura che torna a scavare un solco incolmabile fra il Cristo e la comune umanità; con il concilio di Calcedonia nel 451 si giunge alla conclusione che in Gesu debbono ammettersi due nature ed una sola persona. 8. Proclo. Con Proclo continua l 'indiriizo speculativo del neo-platonismo che da Plotino conduce prima a Giamblico e infine all'ultima fase della scuola di Atene. Proclo nasce a Costantinopoli nel 412; studia dapprima ad Alessandria e poi ad Atene dove assume la direzione del1'Academia di Platone; qui svolse il suo insegnamento fino alla morte, nel 485. Proclo è profondamente immerso nell'atmosfera religiosa del tempo; celebra ogni mese le cerimonie della Grande Madre, osserva i giorni nefasti degli Egiziani, digiuna nell'ultimo giorno del mese, pratica la teurgia. Anche la sua personalità di studioso è permeata da un afflato profetico; egli chiama arcana la dottripa di Platone, e afferma che essa « ha eterna sussi;tenza presso gli stessi .dèi »; Platone è « guida ed interprete di misteri santissimi e di veraci iniziazioni », mentre la meta cui il suo pensiero conduce sono « le complete ed immote visicmi alle quali partecipano le anime che agognano all'esistenza beata e felice ». Proclo ritiene inoltre che unico oggetto della speculazione sia il divino e che l'unico modo di concepire con la mente il divino sia costituito dalla « iniziazione ottenuta con la luce che dal divino proviene» .. Le opere principali di Proclo giunte fino a noi sono: il commento ad alcuni deil<'ghi di Platone (il Parmenide, il Timeo, il Cratilo, la Repubblica), gli Elementi di teologia, la Teologia di Platone, oltre ad un commento agli Elementi di Euclide ed un' introduzione all'astronomia di Ipparco e di Tolomeo. Anche Proclo è legato, come Giamblico, ad una visione unitaria della realtà che, avendo il suo principio nell'Uno, si svolge per emanazione in una serie complessa di esseri intermedi fino alla materia ed al mondo sensibile. All'Uno tengono dietro le Enadi che coincidono con gli dèi della tradizione ellenistica; poi « a tutti gli esseri par- Baruch_in_libris CAP. XIII IL SECOLO V tecipi della Mente sovrasta la Mente impartecipabile; a quelli partecipi della vita, sovrasta la Vita; a quelli partecipi dell'essere, sovrasta l'~s­ sere; e di questi l'Essere è prima della Vita e la Vita prima della Mente; poiché la causa di piu effetti precede la causa di meno effetti, fra essi l'Essere sarà il primissimo, poiché è presente a tutte le cose cui è presente anche la Vita e la Mente; seconda è la Vita, poiché a tutti gli esseri cui appartiene la Mente appartiene anche la Vita; terza è la Mente». D merito principale di Proclo è però quello di aver approfondito il procedimento dello sviluppo della realtà nel suo distendersi dal1' Uno alla varia molteplicità. Il primo momento di tale sviluppo comporta la permanenza del generante: « Ogni essere che produce per la sua perfezione e sovrabbondanza di perfezione, scrive, produce esseri successivi a lui; ma ogni producente resta quale è; e, mentre esso rimane, ne procede ciò che è dopo di lui; il generante resta dunque immutato e non diminuito e per la potenza fecondatrice moltiplica se stesso e da se stesso fornisce le sussistenze successive». Il secondo momento dello sviluppo è dato dalla processione che si compie « per via di somiglianza delle cose seconde rispetto alle prime »; infatti « il prodotto resta nel producente in quanto ha qualcosa di identico rispetto al producente, mentre procede da esso in quanto ha qualche cosa di diverso dal producente » ; il prodotto, cosi, « rimane e procede insieme » ; se. nel secondo momento l'essere, mediante la processione, «esce da sé», nel terzo momento, mediante la conversione, ritorna a sé; «ogni essere, scrive Proclo, procedente da una cosa per essenza ritorna alla cosa da cui procede; ché, se procedesse, ma senza rivolgersi verso la causa di tale processione, non aspirerebbe alla causa; ma ogni essere desidera il bene ed il raggiungimento di esso si compie mediante la sua causa prossima; infatti per ia via onde ciascuno ha l'essere, per questa ha anche il bene; e donde viene il bene, là si volge dapprima il desiderio; e dove si volge dapprima il desiderio, là si compie la conversione». Lo sviluppo del reale risulta, appunto per tale suo carattere, circolare: «Ogni essere che procede da un altro e vi ritorna ha un'attività circolare; infatti se ritorna là donde procede, congiunge col principio il fine ed è uno e continuo il suo movimento, nascendo da una parte da ciò che permane, dall'altra dal ritorno ad esso; sicché tutti gli esseri procedono in circolo dalle cause alle cause; e ci son circoli Baruch_in_libris § 8 PROCLO maggiori e minori, compiendosi le conversioni parte verso ciò che è immediatamente sopra, parte verso ciò che è piu su, fino al principio di tutte le cose; da esso infatti tutte procedono e ad esso tutte ritornano». Se, con i suoi approfondimenti dottrinali, Proclo per un lato consolida la visione plotiniana della realtà, dall'altro, con l'inserimento in quella visione del multiforme politeismo ellenistico ne denuncia la funzione storica e la finalità religiosa predominante. 9. Dionigi pseudo-Areopagita. Un'eco del pensiero di Proclo e delle dottrine neo-platoniche si incontra in un gruppo di scritti di un autore cristiano vissuto con tutta probabilità verso la fine del secolo v; si tratta di quel Dionigi c:he presenta se stesso come discepolo di Paolo e che la tradizione cristiana ha voluto identificare con il membro del!' Areopago convertito in Atene dalla predicazione dell'apostolo; in realtà di questo gruppo di scritti si ha notizia per la prima volta nel 532 e la sua elaborazione deve risalire ai decenni immediatamente precedenti. Nella Theologia mystica Dionigi esalta quell'unione soprannaturale con Dio che da un lato proviene dalla stessa iniziativa divina e dall'altro corona l'aspirazione dell'anima verso il suo principio; per giungere all'unione mistica bisogna «lasciare le impressioni del senso e le conquiste dcl pensiero, abbandonare ogni cosa sensibile e intellegibile, tutte le cose che sono e quelle che non sono, nell'abbandono di ogni sapere», giacché Dio «è al di là di ogni scienza e di ogni essere ». Al di sotto della condizione in cui si realizza l'unione con Dio si pone la ricerca ::he dà luogo alla teologia positiva e alla teologia negativa; la prima considerando Dio come principio di tutti gli esseri si sforza di comprenderlo riferendogli tutti gli attributi che si possono desumere dall'osservazione delle qualità che si trovano negli .esseri finiti; la teologia negativa per contro sottolinea l' infinita superiorità di Dio su tutti gli esseri finiti e la sua infinita trascendenza rispetto a tutte le qualità ed a tutti gli attributi. Da una parte, dunque, « la divina natura che è la causa di tutti gli esseri deve essere celebrata a partire da tutte le cose che essa causa, ché tutti gli esseri gravitano intorno ad essa e per essa sono, ed essa è innanzi a tutti e tutti in essa si reggono»; dall'altra «è piu proprio dire che a questa Causa, poiché 22.s Baruch_in_libris CAP. XIII IL SECOLO Y essa tutto supera, piu convengono forse le negazioni che le affermazioni; né quando d'essa si parla le negazioni vanno pensate come opposte alle affermazioni, ché, per contro, molto piu verosimilmente essa è al di là di ogni privazione e perciò di ogni attribuzione e limitazione, affermazione e negazione ». Nel De divinis nominibus Dionigi svolge appunto un'ampia disamina degli attributi riferiti a Dio nella Bibbia per chiarire che Dio è ad un tempo « colui che non ha nome e colui cui appartiene ogni nome », colui che essendo causa di tutto è in tutto e colui che essendo superiore a tutto non può essere conosciuto per mezzo delle creature. Perciò « Dio si conosce in tutto e tuttavia è separato da tutto; egli si . raggiunge con il conoscere e con l'ignorare, per ignoranza e per cognizione; e e' è in lui pensiero e discorso e scienza ed esperienza e senso e opinione e imm'agine e nome e tutte le altre cose; e per contro di Dio non vi è pensiero, né discorso, né nome; e non è alcuno degli enti, né in alcuno degli enti che si conoscono; e per contro in tutte le cose è tutto e non è nulla in nessuna; e da tutte le cose e in tutte si conosce, e pur non si conosce da nessuna». Nel De coelesti hierarchia Dionigi traduce in termini cristiani la lunga serie di esseri intermedi che il neo-platonismo aveva collocato fra Dio e la materia; in luogo degli dèi pagani, dei demoni e degli esseri superiori della tradizione neo-platonica, qui si pone una complessa gerarchia di esseri angelici che si articola in gruppi triadici; è quella stessa gerarchia di angeli, arcangeli, troni, dominazioni, potentati, serafini e cherubini che la tradizione ecclesiastica ha poi accolto nel suo rito. Nell'organizzazione della chiesa non solo si era affermata la distinzione del clero dai fedeli, ma la stessa gerarchia ecclesiastica si era venuta articolando in compiti e poteri distinti e subordinati; nello scritto De ecclesiastica hierarchia Dionigi fissa, secondo lo schema triadico, ciascuno dei gradini della gerarchia in cui vede un riflesso del procedimento con cui l'universo deriva da Dio. Se si aggiunge che il pseudoAreopagita accoglie nelle sue opere la dottrina delle idee archetipe, nonché la dottrina del male come non-essere, e se sopratutto si tien conto della sua adozione sia dello schema triadico, sia della concezione circolare della derivazione del mondo da Dio e del corrispondente ritorno, si comprenderà come egli introduca nel pensiero cristiano il nucleo es-. senziale del neo-platonismo, conferendo a questo con la sua pretesa au226 Baruch_in_libris § 9 DIONIGI PSEUDO-AREOPAGITA torità apostolica una importanza per lo stesso mondo cristiano che prima d'ora esso non aveva mai avuto. 10. La fine del pensiero antico. Gli ultimi sviluppi del neo-platonismo, dopo Frocio, si ebbero nelle due scuole di Alessandria e di Atene; la prima, pur nell'adesione al generale indirizzo neo-platonico, sviluppa particolarmente gli studi di logica e la ricerca scientifica, secondo i tratti piu caratteristici della tradizione aristotelica. La scuola di Atene si ispira di piu all'opera di Platone ed inclina verso il misticismo in forme piu aperte; è da ricordare in ·proposito la ricca messe di commenti alle opere· di Platone- e di Aristotele che è uno dei portati caratteristici dell'ultima fase delle scuole filosofiche dell'antichità; attraverso i commenti si perviene non soltanto ad una ampia rielaborazione della precedente tradizione filosofica, ma anche all'organizzazione autonoma di una vasta cultura non priva di originalità; e se per un lato i commenti al pensiero platonico cd aristotelico finiscono per trasformarne il significato prppriamente storico alla luce delle impellenti istanze religiose dell'epoca, dall'altro avviene anche che l'erudizione del commento si trasforma in una difesa contro l'invadente misticismo e in un culto degli aspetti piu razionali della tradizione filosofica. Quando nel 529 i beni dell'Academia furono confiscati e la scuola fu chiusa, gli studiosi superstiti si rifugiarono presso il re di Persia; se già prima di questa data si può dire che l'originalità speculativa fosse venuta meno nella filosofia ellenistica, è con la dispersione della scuola di Atene che la filosofia antica si può considerare conclusa; ormai in Oriente la filosofia viene coltivata entro il nuovo quadro culturale ellenistico-cristiano fissato nell'ordinamento della civiltà bizantina, mentre in Occidente si sta aprendo un periodo di crisi politica e culturale che separa appunto l'età antica da quella medievale. 11. Lo sviluppo delle scienze. Nel secolo v anche lo sviluppo della, scienza risente della generale sitt.:lzione di crisi; jl contributo piu rilevante alla matematica e alla fisica è quello recato da Filopono, che è esponente della scuola neo-platonica di Ales- Baruch_in_libris CAP. XIII IL SECOLO V sandria; egli non solo è autore di un commento all'aritmetica di Nicomaco, ma svolge anche alcune dottrine originali come un primo abbozzo della teoria dell'inerzia in opposizione alla dottrina aristotelica del movimento, la critica della dottrina aristotelica che esclude il vuoto e la critica della teoria secondo la quale i corpi cadono con velocità proporzionale al loro peso. Ad Alessandria si coltiva, oltre alla matematica ed all'astronomia, anche la medicina, che conta dei cultori anche nel mondo latino ed in quello bizantino. La storiografia viene coltivata da Zosimo (autore di una storia 'dell'impero romano), da Teodoreto (autore di una storia ecclesiastica che giunge fino al 4:i7), da Paolo Orosio che scrive una storia universale di ispirazione agostiniana; nel campo della legislazione e dello studio dcl diritto resta memorabile il Corpus iuris di Giustiniano. Indubbiamente uno degli aspetti piu caratteristici della cultura degli ultimi secoli del pensiero antico è l'acuto contrasto che separa il prevalente atteggiamento mistico-magico da un lato e l'insistente ricerca delle scienze particolari dall'altro. A volte le due componenti giungono anzi ad intrecciarsi nelle forme piu complesse ed impensate e l'indagine scientifica piu rigorosa si colloca in un solo contesto con le visioni cosmologiche e con l'esoterismo magico. Quel che conta, comunque, è che, sia pure intrecciata con motivi del tutto diversi, l'indagine scientifica non viene meno nei suoi caratteri e nei suoi metodi; come sta appunto a dimostrare la continuità con cui ad Alessandria, sia pure con diverso impegno e con risultati differenti, vengono coltivate le scienze, a partire dai gloriosi inizi della scuola nel secolo 111 a. C. fino ai tardi sviluppi del secolo v. Baruch_in_libris PAR'fE SECONDA LA FILOSOFIA MEDIEVALR Baruch_in_libris Baruch_in_libris CAPITOLO XIV I secoli v1, vu e vili BOEZIO. ISIDORO DI SIVIGLIA. ALCUINO 1. L'inizio del Medioevo. Abbiamo indicato, come termine di divisione fra la filosofia antica e la filosofia medioevale, la data di chiusura in Atene dell'antica Acadcmia di Platone e delle altre scuole in cui ancora si continuava, per qµanto stancamente, lo sviluppo della speculazione ellenistica non assorbita dal cristianesimo. Uno dci fatti che dà inizio alla nuova epoca è la divisione fra Oriente ed Occidente; iniziatasi da tempo, essa si viene maturando nel corso del secolo v1; anche se la politica di Giustiniano (527-565) tende 'a ricostituire l'antica unità, la guerra greco-gotica da lui promossa è l'ultima impi;,esa in cui l'impero d'Oriente si impegni nei confron~i dell'Occidente; ed agli albori del secolo successivo, i risultati dell'impresa vengono cancellati progressivamente dalla nuova invasione dei Longobardi. Non che siano cessati del tutto, da questo momento, i rapporti fra Bisanzio e l'Occidente; ma essi non superano la ormai consolidata dualità politico-amministrativa. Essa si viene completando anche sotto il profilo religioso e culturale; dal punto di vista religioso, il distacco fra la chiesa greco-bizantina e la chiesa che fa capo a Roma diviene sempre piu netto e consente a quest'ultima di assumere sempre maggiore autonomia da Bisanzio e una funzione sempre piu positiva e costruttiva nei confronti della nuova società in cui si trova ad opera~e. Dal punto vista culturale, il distacco di Oriente ed Occidente ha imposto confini precisi alla cultura occidentale per parecchi secoli. Eppure, dei due settori che nell'età medioevale si sostituiscono allo sviluppo sostanzialmente unitario dell'epoca precedente, quello piu produttivo è il settore occidentale; mentre la cultura e la filosofia bizantine, pur avendo esponenti di notevole importanza, restano sostanzialmente legate a moduli costanti, che non consentono progressi di grande momento, in Occidente, dopo un primo periodo in cui si viene preparando la nuova società risultante dalla fusione fra le stirpi barbariche e quel che restava della società latina, vengono compiuti sforzi costruttivi piu sensibili sia nel campo cui2Jl Baruch_in_libris CAP. XIV I SECOLI VI, VII E VIII turale che in quello filosofico. L'importanza assunta dalla chiesa di Roma e la sua capacità organizzatrice nei confronti delli;: nuove popolazioni impongono un carattere dominante sia alla cultura che alla filosofia; in particolare· la filosofia è strettamente legata ad una tematica religiosa cristiana ed i cultori di essa sono per la maggior parte membri della gerarchia ecclesiastica. Ma mentre l'unità politica dell'impero d'Oriente si mantiene fino al secolo xv, nell'Occidente l'unità creata nel campo religioso e culturale deve presto fare i conti .:on uno scacchiere politico-sociale sempre piu differenziato, man mano che ci si avvicina ai tempi moderni. Non soltanto, a partire dal secolo vn, si inserisce fra Oriente ed Occidente la nuova potenza de_gli Ar.abi la cui cultura influisce in modo particolarmente sensibile sull'Occidente, ma singoli settori etnici e strutture statali particolari si vengono preparando, dopo il grande sforzo unitario compiuto da Carlo Magno. Del resto, anche all'interno dell'unità religioso-filosofica che la chiesa romana mantiene saldamente ferma per parecchi secoli, si vengono delineando correnti differenziate di pensiero, sia che esse traggano spunto dalla diversa utilizzazione del materiale fornito dal pensiero antico, sia che, come nel caso degli ordini religiosi, rispecchino una diversa maniera di intendere il rapporto fra cultura filosofica e fede cristiana. 2. Il secolo v1: Boezio. Il secolo VI è caratterizzato dal primo organizzarsi dci nuovi stati barbarici e in particolare dal costituirsi in Italia della monarchia dei Goti con Teodorico, dalla successiva guerra greco-gotica promossa da Giustiniano e dalla conseguente formazione dell'ltaiia bizantina, dall'affermarsi infine della dominazione dei Longobardi e dall'emergere dell'opera e della figura di papa Gregorio Magno. Le condizioni generali delle popolazioni si aggravano durante queste vicende; ai vecchi servi della gleba sorti dalla politica latifondista degli ultimi tempi dell'impero se ne aggiungono di nuovi; anche i liberi decadono a condizioni di semilibertà e offrono i loro servigi e la rinuncia alla loro piccola proprietà a favore dci grandi proprietari terrieri; la mancanza di ogni stabilità sociale impedisce lo sviluppo economico e l'interesse culturale. L'unica prospettiva di nuova organizzazione economica e culturale si ricollega alla riforma monastica di S. Benedetto che dalla fondazione di Montecassino in poi si estende largamente in Occidente. t nella breve parentesi di tranquillità aperta in Italia dalla politica di Teodorico che si colloca l'opera di Severino Boezio. Nato a Roma intorno al 480 occupa cariche importanti alla corte del re dei Goti, dal quale -viene in ultimo incarcerato e messo a morte a Pavia nel 524. La 232 Baruch_in_libris s2 IL SECOLO VI : BOEZIO sua cultura va messa in relazione con quella scuola di Atene alla quale certamente Boezio attinge i motivi dominanti della sua filosofia. Egli si propone infatti di tradurre dal greco in latino l'intera opera di Platone e di Aristotde, sia per farla piu ampiamente conoscere nel mondo occidentale, sia per mostrare il sostanziale accordo fra i due massimi pensatori dell'antichità; ed infatti non si può dire che, laddove esprime il suo proprio pensiero, egli segua piu l'uno che l'altro; spesso anzi ritiene di conciliare le loro dottrine perché le combina e le mescola, proprio secondo l'uso e le preoccupazioni del tardo neo-platonismo. L'aspetto delle antiche dottrine che Boezio approfondisce di piu (stando almeno a quanto dei suo scritti è giunto fino a noi) è quello della logica; egli traduce l'intero Organon di Aristotele, scrive due commenti alla Isagoge di Porfirio, un commento alle Categorie, due commenti al De intcrpretatione; infine egli rielabora per proprio conto tutta la trattazione logica in alcuni scritti originali come il Dc syllogismo categorico, il De syllogismo hypothctico, il Dc divisione, il Dc difiercntiis topicis; e scrive anche un commento ai Topici di Cicerone. Generalmente Boezio si attiene alla dottrina logica di Aristotele, ma spesso la unisce con dottrine di derivazione platonica o neo-platonica; esempio tipico di tale oscillazione è la sua dottrina dei termini universali di genere e specie: « Platone ritiene, scrive Boezio, che i generi, le specie e gli altri universali non siano soltanto conosciuti a parte dai corpi, ma anche che esistano e sussistano indipendentemente dai corpi; invece Aristotele pensa che gli incorporei e gli universali sono bensf oggetti di conoscenza, ma che non sussistono che nelle cose sensibili. Quale di queste opinioni sia vera io non ho avuto l'intenzione di decidere, poiché ciò è compito d'una filosofia piu alta. No1 ci siamo quindi decisi a seguire l'opinione di Aristotele, non perché la approviamo del tutto, ma perché il libro che commentiamo (l'Isagoge di Porfirio) è scritto in vista delle Categorie, il cui autore è Aristotele». Allo stesso modo Boezio unisce una considerazione piu strettamente linguistica della logica ad una trattazione in cui la preoccupazione del suo fondamento reale ha la preminenza; senza dire che, specialmente con riguardo alla dottrina stoica del sillogismo, unisce la prospettiva della logica aristotelica dei termini con quella della logica stoica delle proposizioni. I temi piu generali della filosofia di Boezio sono raccolti nel De con:a31 Baruch_in_libris CAP. XIV I SECOLI VI, VII E VIII solatione philosophiae, scritto durante la prigionia e rivelano un chiaro indirizzo platonico; tale il tema della necessità di risalire dall' imperfetto che esiste nel mondo all'esistenza dell'essere perfetto che coincide con Dio; tale il tema secondo il quale Dio, essendo uno, sfugge a tutte le determinazioni che si possono esprimere mediante le dieci categorie aristoteliche; tale anche il motivo della preesistenza delle anime alla loro unione col corpo. In campo morale, il De consolatione non rinvia affatto ad un premio e ad una punizione nella vita futura, ma considera il bene come ricompensa di se stesso ed il male come punizione di se stesso. Boezio segue poi il Timeo di Platone sia nel descrivere l'azione ordinatrice che Dio svolge riguardo alla materia in base al modello delle idee archetipe, sia nella dottrina degli elementi e dell'anima del mondo, sia nel prospettare la contemplazione come il mezzo migliore di cui l'anima dispone per liberarsi dal mondo corporeo. Particolare attenzione Boezio pone al problema della libertà umana sia nei riguardi della provvidenza che tutto dispone, sia nei riguardi del destino che è legge internà che regola il movimento delle cose. Il fatto che Boezio abbia scritto un De Trinitate fa pensare ad una sua esplicita adesione al cristianesimo; ma in molti punti della sua dottrina, egli segue certamente l'indirizzo della filosofia ellenistica e neo-platonica. L'interesse di Bot!zio per la cultura scientifica è attestato dai trattati che ha dedicato alle discipline del "quadrivium" (aritmetica, musica, geometria, astronomia); nel " trivium " poi egli raccoglie le altre tre discipline (grammatica, retorica, dialettica) che completano l'enciclopedia del sapere. Piu che l'originalità della trattazione, nel De institutione musica, nel De institutione arithmetica e nel De geometria, è importante la raccolta del materiale che viene cosf trasmesso, con lo stesso ordinamento generale degli studi, all'età medievale. Anche Cassiodoro (49o-s80) è autore di una enciclopedia delle arti liberali dal titolo lnstitutiones divinarum et humanarum litterarum; essa obbedisce all'impostazione agostiniana del problema della cultura classica e si rivolge principalmente ai monaci per introdurli con profitto allo studio della Bibbia. Papa Gregorio Magno ammette a sua volta lo studio delle arti liberali solo quando esso abbia per fine il chiarimento e la spiegazione della Scrittura; ed anche entro questi limiti egli non ne diviene u_n assertore molto convinto; se tale è la sua diffidenza verso 2 .34 Baruch_in_libris § 2 IL SECOLO VI : BOEZIO gli studi in genere, anche maggiore è quella che riguarda gli studi filosofici in particolare. Le scienze particolari sono scarsamente coltivate, nel secolo VI, sia in Occidente che in Oriente; anche la cultura bizantina produce in questo periodo, piu che opere originali, compilazioni tratte da scritti e da commenti antecedenti; ed anche in questo ambito la preoccupazione dominante resta quella religiosa. 3. Il secolo vtt: Isidoro di Siviglia. Il fatto piu rilevante della storia del secolo vu è la nascita dell'islamismo e l'inizio dell'espansione mussulmana. Se si tien conto che la maturazione della nuova religione avviene, nell'animo di Maometto, in contatto con le comunità ebraiche e cristiane e specialmente con le numerose sette scaturite da~ tronco dcl cristianesimo orientale, si comprende che il nuovo credo che riesce ad unire gli Arabi e ad imprimere ad essi uno straordinario vigore espansivo è la piu tarda espressione di quell'ampia crisi religiosa · che era partita dall'Oriente fin dal I secolo a. C. Dal punto di vista culturale e filosofico, si può rilevare che se la nuova mescolanza di motivi ebraici, cristiani e di concezioni particolari degli Arabi mette capo ad un complesso dottrinale molto piu semplice ed elementare di quello da cui scaturi il pensiero cristiano, per cui anche la costruzione teologica corrispondente si riduce all'essenziale, l'espansione degli Arabi assume un grande rilievo culturale in ragione dei paesi che vengono sottomessi e del rispettivo patrimonio di cultura che viene assorbito; è proprio questo patrimonio culturale e filosofico che gli Arabi elaboreranno per proprio conto e trasmetteranno piu tardi all'Occidente. Nel 635 l'islamismo conquista la Siria, nel 640 l'Egitto, quattro anni dopo tutta la costa africana fino a Tripoli; la conquista piu significativa fu quella della Siria, paese in cui la conoscenza della filosofia greca e particolarmente dell'opera aristotelica era molto avanzata. In Italia continua, durante il secolo vn, il governo dei Longobardi, mentre in Spagna si afferma il regno dei Visigoti; qui anzi si compie l'unificazione religiosa a favore del cattolicesimo e contro l'indirizzo ariano; con l'espulsione dei Bizantini e con il raggiungimento dell'unità territoriale si afferma in Sriagna una stretta dipendenza della monarchia dall'organizzazione della chiesa. Presso le tribu anglo-sassoni che abitano la Britannia viene stolta la predicazione cristiana promossa da papa Gregorio che vi invia il monaco Agostino divenuto poi vescovo di Canterbury; sia in Inghilterra che in Scozia sorgono dci monasteri che divengono centri, oltre che di vita religiosa, anche di cultura ecclesiastica. 235 Baruch_in_libris CAP. XIV I SECOLI VI, VII E VIII Della cultura ecclesiastica sorta in Spagna nel secolo VII è tipico rappresentante Isidor~ di Siviglia (560-636). La sua opera piu nota è una enciclopedia dal titolo Etymologiae, in cui s"ono utilizzati molti autori classici e patristici; essa tratta di grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, geometria, astronomia, musica, medicina, storia universale, e dei piu vari argomenti religiosi. Un criterio non molto dissimile Isidoro segue in alcuni scritti minori e in parti~olare nel De rerum natura che è un compendio di cosmografia, di astronomia e di meteorologia; paragonata con la cultura precedente da cui deriva, l'opera di Isidoro appare di una grande povertà; paragonata con gli sviluppi ulteriori della cultura medievale, essa diviene lo strumento di formazione della cultura ecclesiastica europea dell'alto Medioevo. Isidoro scrive, con lo stesso metodo da lui seguito negli altri scritti, anche un manuale di teologia; ma il piu grande teologo di questo periodo è Massimo, detto il confessore, che vive fra il 580 ed il 662 a Costantinopoli; egli è noto sopratutto per avere dato ulteriore sviluppo al pensiero ed ali' opera di Dionigi pseudo-Areopagita; raffrontando l'opera di Massimo con quella di Isidoro di Siviglia si rileva con facilità come in Oriente continui la speculazione cristiana, mentre in Occidente il patrimonio culturale ecclesiastico reca scarsissime tracce della tradizione greca anche cristiana e vive soltanto dei residui della cultura latina alimentandosi come a propria fonte principale ad alcuni aspetti dell'opera di Agostino. Per le scienze particolari, il secolo VII non produce che compilazioni tratte da opere precedenti, a intonazione prevalentemente enciclopedica e con intento religioso e di edificazione; ciò può dirsi specialmente per la medicina e per l'astronomia; si scrivono in questo tempo parecchi commenti a scritti medici di Galeno e di Ippocrate e qualche trattato di astronomia basato su fonti greche antecedenti. La preoccupazione religiosa si insinua anche nello studio del corpo umano, della sua anatomia e fisiologia, che è posto in costante riferimento con l'opera divina della creazione e con il problema del rapporto fra l'anima cd il corpo. 4. Il secolo. vui: la rinascita carolingia e Alcuino. Nella prima metà dcl secolo vm si viene consolidando ed espandendo il movimento monastico anglo-sassone, tanto che ben presto esso estende il proprio influsso anche nella Germania; invece nella Gallia, nello stesso Baruch_in_libris § 4 LA 11.IN,\SCITA CAllOLINGIA E ALCUINO periodo di tempo, si ha una accentuata decadenza sia della vita religiosa che della cultura Ìatina. La figura piu importante del monachesimo anglo-sassone è quella di Ileda (673-735), autore di scritti storici e grammaticali oltre che di una compilazione enciclopedica De rerum natura che richiama l'analoga opera di Isidoro di Siviglia. Il mondo occidentale è tutto dominato dal 71 I al 732 dalla minaccia dell'espansione araba, che, superato Io stretto di Gibilterra, rovescia il regno dei Visigoti, occupa tutta la Spagna e si affaccia sui Pirenei in direzione del regno dei Merovingi; nel 732, a Poitiers l'avanzata araba viene arrestata, ma la presenza del nuovo stato nel bacino del Mediterraneo è ormai incontrastata. A Bisanzio, intanto, durante il governo dell'imperatore Leone m lsaurico, si scatena la lotta iconoclasta per l'abolizione delle immagini sacre; essa trova i piu fieri oppositori nei monaci piu vicini alla religiosità popolare. Quando le decisioni della chiesa greca vengono estese d'autorità anche all'Italia, i rapporti fra il papato e Bisanzio si fanno molto tesi, rivolte anti-bizantine avvengono in tutta Italia e il solco già esistente fra la chiesa d'oriente e il cristianesimo occidentale si approfondis~; il piu grande teologo del tempo in Oriente è Giovanni Damasceno che difende il culto delle immagini come espressione della tradizione religiosa. Il contraccolpo piu rilevante dell'avanzata degli Arabi nel bacino del Mediterraneo e della sempre piu profonda divisione fra Bisanzio e Roma è la creazione dell'impero carolingio ad impronta germanico-cristiana; da un lato la nozione di sovranità si fonde con l'idea dell'adempimento di una missione religiosa e dall'altro la stessa struttura della chiesa si compenetra con l'ordinamento politico-amministrativo dello stato. La rinascita della cultura entro l'ambito dell'impero carolingio è resa possibile daWincontro fra la solida struttura organizzativa messa in atto da Carlomagno e il patrimonio culturale ancora vivo nel monachesimo anglo-sassone. Centro propulsore della rinascita culturale è la schola palatina che Carlomagno fonda nel 782 ed alla cui direzione egli chiama il monaco anglo-sassone Alcuino; a questa scuola si aggiungono le scuole che per ordine di Carlomagno vengono isti · tuite « in tutti i vescovadi e monasteri » e nelle quali si insegnano « i salmi, le note, il canto, il computo e la grammatica ». Nato intorno al 730, Alcuino era cresciuto in Inghilterra ove aveva insegnato le arti liberali guale preparazione allo studio della Bibbia. Chiamato in Francia nel 781, vi rimase fino al 796; mori nel!' 804, dopo alcuni anni di ritiro nel monastero di Tours. La maggior parte degli scritti di Alcuino è costituita da manuali che dovevano servire per l'insegnamento; il loro contenuto presenta scarsi elementi originali ed è il piu delle volte tratto dalle precedent~ fonti latine; cos1 la sua 237 Baruch_in_libris CAP. XIV I SECOLI VI, VII E VIIl Grammatica è ricavata dagli scritti di Prisciano, di Donato, di Isidoro di Siviglia; il suo De ortographia ricalca Beda, il suo Dialogus de rethorica si ispira a Cicerone ed a Cassiodoro, mentre il De dialectica utilizza gli scritti di Boezio, di Isidoro e l'operetta pseudo-agostiniana Categoriae decem. Negli scritti filosoficamente piu impegnati, come il De fide Trinitatis e il De animae ratione Alcuino compendia i corrispondenti scritti di Agostino. Il merito maggiore di Alcuino resta pertanto quello di aver sommamente contribuito alla riorganizzazione della cultura ecclesiastica. Non soltanto per il suo intervento sorsero molte scuole presso i vescovadi e i monasteri, ma parecchi monasteri istituirono degli scriptoria in cui si lavorava a trascrivere codici di opere della cultura latina. Del gruppo di studiosi che si raccolsero nella schola palatina fanno parte Paolo Diacono, storico dei Longobardi, Pietro di Pisa studioso di letteratura latina, Paolo di Aquileia grammatico e letterato. Se la rinascenza carolingia interessa tutto lo scacchiere occidentale, si può ricordare che in Oriente, nello stesso periodo, gli Arabi procedevano alla fondazione di Bagdad e davano inizio ad una grande impresa culturale con la traduzione in arabo di molte opere greche, persiane e siriane, ove le prime hanno la prevalenza. In Siria, quando vi fa la sua comparsa l'Islam, sono attive varie comunità religiose di provenienza cristiana, quali i nestoriani cd i monofisiti; è in queste comunità che si diffondono molte traduzioni dal greco in siriaco; fra di esse l'opera di Aristotele e dci suoi commentatori, in particolare di Filopono, gli scritti di Galeno e del pscudoAreopagita. Ora la siriaca è una lingua semitica sorella dell'arabo; e ciò facilitò in modo rilevante il successivo movimento di traduzione di opere greche dal siriaco in arabo. L'astronomia viene coltivata intensamente dagli Arabi, anche se spesso sotto la forma di astrologia, mentre l' alchimia, se per un lato offre lo spunto a nuove ricerche di chimica, per l'altro evolve spesso in interpretazioni animistiche della realtà naturale. Molte traduzioni gli Arabi fanno anche di opere mediche e da esse traggono incitamento agli studi corrispondenti; questo è l'unico campo in cui anche la cultura occidentale è presente, specialmente con la pur ridotta pratica medica e con lo studio di testi latini di medicina compiuto nei monasteri benedettini. Nell•insicmc tuttavia, non c'è dubbio che la cultura scientifica degli Arabi, pur nei limiti accennati, è molto superiore a quella che si può riscontrare nell'Occidente; in ogni modo il mond<? culturale arabo rimane ora e per alcuni secoli sconosciuto all'Occidente e i due campi culturali si svolgono in modo autonomo. Baruch_in_libris CAPITOLO. XV I secoli 1x e x SCOTO ERIUGENA ED AL-FARABI 1. Il secolo tx. Il periodo di pieno equilibrio dell'impero carolingio non dura oltre la morte di Carlomagno ndl'814; ma anche sotto il governo di Ludovico il Pio e di Carlo il Calvo, cioè fino all'877 circa, si prolungano gli effetti della rinascita culturale che aveva avuto inizio circa un secolo prima; la crisi politica del vasto dominio carolingio è determinata principalmente dall'anarchia feudale e dalle lotte promosse dalle forze centrifughe cresciute all'interno del nuovo assetto statale; essa porta alla scissione dell'impero in tre formazioni statali distinte, d'Italia, di Germania e di Francia; con la deposizione di Carlo il Grosso il nuovo ordinamento feudale prende il sopravvento, mentre il potere passa nelle mani dell'aristocrazia terriera e si afferma l'economia agricola chiusa. Con il patriarca Fozio il mondo bizantino giunge alla piena indipendenza spirituale e religiosa dalla chiesa occidentale. La cultura occidentale si sviluppa in questo periodo specialmente in Francia ed in Germania; in Francia si hanno numerose figure di ecclesiastici che si distinguono, oltre che per motivi religiosi, per le esigenze culturali che hanno fatto valere sia nei confronti della formazione del clero, sia nella lotta contro le superstizioni cd i rozzi costumi popolari; in campo religioso si hanno importanti controversie dottrinali alle quali prende parte l'intellettualità ecclesiastica, spesso sollecitata dallo stesso imperatore; opuscoli e lettere ~ugli argomenti controversi si scrivono dalle varie parti in contrasto e contribuiscono alle definizioni che vengono poi prese dai sinodi e concili. La figura c;he emerge, per cultura filosofica, al di sopra delle altre è quella di Giovanni Scoto Eriugena che, per primo, porta a contatto della cultura occidentale, per il tramite degli scritti di Dionigi pseudo-Areopagita, temi del neo-platonismo di ispirazione cristiana. Presso gli Arabi si afferma, in questo tempo, il pensiero di al-Kindi volto ad interpretare la dottrina di Aristotele alla luce delle prospettive neo-platoniche; con Fozio, intanto, 2]'j Baruch_in_libris CAP. XV I SECOLI IX E X in Oriente, si _delinea un indirizzo di pensiero che, mentre esprime diffidenza verso l'interpretazione neo-platonica della dottrina di Platone, rimette in auge il realismo aristotelico e lo studio del metodo e della logica. 2. Scolo Eriugena e la cultura del suo tempo. La cultura del secolo IX è ancora strettamente legata all'azione svolta da Alcuino alla corte di Carlomagno e pertanto all'indirizzo generale agostiniano. I temi affrontati sono di carattere religioso o di natura etica; si può ricordare, in proposito, l'azione condotta dal vescovo di Lione Agobardo contro l'uso di affidare la risoluzione delle controversie giuridiche alla prova 'del fuoco, contro l'adorazione delle immagini e contro la previsione del futuro basata sull'interpretazione del volo degli uccelli. Si può altresl ricordare l'opera svolta in Germania da Rabano Mauro, discepolo di Alcuino e per opera del quale gli effetti della rinascita carolingia vengono estesi alla Germania; egli venne chiamato il « primus praeceptor Germaniae » proprio per l'influsso che esercitò nell'organizzazione ~ella vita religiosa anche sotto il profilo culturale"; il suo scritto maggiore De clericorum institutione è appulito rivolto alla formazione degli ecclesiastici ed è un manuale per l'impostazione cristiana dello studio delle arti liberali. Le principali controversie religiose riguardano ancora il modo della generazione di Gesu, il modo in cui gli uomini potranno godere della visione di Dio dopo la morte, il modo della presenza di Gesu nell'eucaristia, il rapporto fra l'anima ed il corpo. La controversia di maggiori proporzioni è quella che si svolge nei primi decenni della seconda metà del secolo IX a proposito della predestinazione; in essa ha una parte importante Giovanni Scoto Eriugena, che è anche il pensatore cristiano di maggior rilievo che si incontri nella storia dopo Agostino. Nato in Irlanda nei primi anni dell' 800, verso l' 850 egli si trova in Francia alla corte di Carlo il Calvo ove si dedica all'insegnamento e diviene una delle figure piu importanti della schola palatina. Nell'851 Giovanni prende parte alla controversia sulla predestinazione con uno scritto che è sollecitato da alcuni ecclesiastici protagonisti della disputa; a circa un decennio piu tardi risale però la composizione dell'opera magg;urc di Scoto, il De divisione naturae. A questa vasta sintesi teologico- Baruch_in_libris § s.:;oTo :2 ERIUGENA filosofica Giovanni giunge lavorando sui testi greci che aveva trovato alla corte di Carlo il Calvo; nell'827 l'imperatore d'Oriente Michele aveva inviato in dono il testo greco degli scritti di Dionigi pseudo-Areopagita; Scoto Eriugena poté del pari conoscere, alla corte, gli scritti di Origene, di Basilio, di Gregorio di Nissa, di Gregorio di Nazianzo, oltre che di Massimo il confessore. Egli tradusse sia gli scritti di Dionigi che alcune opere di Gregorio di Nissa e di Basilio. Nel De divisione naturae non viene utilizzato pertanto soltanto il pensiero di Agostino, ma anche e sopratutto il pensiero delle fonti greche accennate. Per questo la sua sintesi teologico-filosofica appare con caratteri di novità alla cultura cristiana occidentale che era tagliata fuori da qualche secolo ormai dagli sviluppi diretti della patristica greca. I contrasti sollevati dal De divisione naturae attestano appunto la novità della speculazione in esso svolta; essa ebbe d'altronde un rilevante influsso sullo sviluppo del pensiero posteriore. 3. Fede e ragione. La controversia sulla predestinazione fu sollecitata dalla dottrina di un monaco del convento di Orbais, Gotescako, il quale sosteneva che « la predestinazione di Dio, come c'è nel bene, cosi c'è anche nel male, sicèhé vi sono in questo mondo degli uomini che, a causa della predestinazione di Dio èhe li costringe ad andare verso la morte, non possono correggersi dall'errore e dal peccato, quasi Dio li avesse fatti dall'inizio incorreggibili e destinati a perdizione »; il monaco di Orbais trovò parecchi aderenti alla sua dot::rina, che appariva a parecchi ricavata direttamente da Agostino; ma i suoi avversari ei:ano preoccupati delle conseguenze pratièhe della «gemina praedestinatio ». Scoto prese posizione contro la dottrina in una forma cosi radicale che sollevò a sua volta l'opposizione degli avversari di Gotescalco. Anzitutto egli dièhiara che « la misura di ogni pia e perfetta dottrina con cui cercare studiosissimamente e ritrovare apertamente la ragione di tutte le cose si trova nella filosofia »; « trattare la filosofia, aggiunge, non è altro èhe esporre le regole della vera religione »; per cui conclude èhe « la vera filosofia è la vera religione e viceversa la vera religione è la vera filosofia ». In questa identificazione di filosofia e religione, di derivazione Baruch_in_libris I SECOLI IX E X CAP. XV agostimana, gli avversari di Scoto scorgono però un influsso preminente di alcune dottrine che giudicano estranee alla piu genuina tradizione religiosa. Nei riguardi della predestinazione divina infatti, Scoto sostiene, sulla scorta della teologia negativa di Dionigi pseudo-Areopagita, che a Dio non si può attribuire la ·predestinazione, né doppia né semplice, perché essa comporta un riferimento a Dio di qualità che possono avere luogo soltanto nelle creature; in Dio non c'è il prima ed il poi, quindi non c'è nemmeno il pre-destinare. Infine il dotto irlandese sottolinea insistentemente l'importanza della libertà umana: « Bisogna intendere, scrive, che non esiste vera libertà per una volontà se una causa qualunque la costringe »; questa rivendicazione della libertà umana 'viene giudicata da alcuni ecclesiastici avversari di Scoto come « pelagianae venena perfidiae ». Anche tutta la costruzione dottrinaria che viene svolta nel De divisione naturae è considerata da Scoto come svolgentesi all'interno dell'unione dell'anima con Dio e pertanto all'interno della ispirazione divina; tutto procede da Dio, egli sostiene, anche la ricerca che lo concerne; ma la fede che condiziona tutta la costruzione dottrinale non è un atteggiamento passivo. Il centro di tutto il sapere è indubbiamente il testo biblico, la rivelazione divina; ma non si tratta tanto di fermarsi al suo senso letterale, quanto invece di intenderne il significato profondo, allegorico e mistico. «L'infinito fondatore della sacra scrittura nella mente dei prof4!ti, egli scrive, lo Spirito santo, ha costituito in essa infiniti intendimenti e perciò il senso indicato da uno che la espone non toglie di mezzo il senso indicato da un altro». Le interpretazioni che i Padri hanno dato della Bibbia sono spesso contrastanti; bisogna allora usare la " ragione " che ha una priorità di natura rispetto all'autorità dei Padri; infatti, afferma, « l'autorità procede dalla vera ragione, non già la ragione dall'autorità, in quanto ogni autorità che non venga approvata dalla vera ragione, sembra essere malferma »; nello stesso tempo però « la vera autorità non si oppone alla retta ragione, né la retta ragione si oppone alla vera autorità; non c'è dubbio infatti che entrambe emanano da una sola fonte, cioè dalla divina sapienza ». Insomma l'autorità di Dio che rivela è suprema; ma da essa deriva anche la ragione umana, cui si rifà l'autorità degli stessi Padri; sicché la ragione ha il suo punto di partenza in Dio anche se il suo Baruch_in_libris s3 PEDI! J! llAGJONJ! compito è quello di penetrare con strumenti dottrinali il significato riposto della rivelazione; nella ricerca sono pertanto impegnate l'iniziativa divina e quella umana; appunto per questo la ricerca filosofica è anche religiosa e la stessa vita religiosa non può prescindere dalla ricerca razionale. 4. La concezione neo-platonica Ìlell'unlverso. L'universo comprende, secondo Scoto, quattro nature: la natura creante e increata che coincide con Dio, la natura creante e creata che si identifica con il Verbo come mondo delle cause primordiali, la natura creata e non creante ossia il mondo materiale e corporeo, infine la natura non creante e non creata ossia Dio stesso considerato come fine di tutte le cose. È la classica visione circolare del neo-platonismo ellenizzante combinata con i caposaldi della tradizione religiosa cristiana e cioè con la creazione del ~ondo da parte di Dio e con la natura personale della stessa divinità. Quanto a Dio, Scoto ricorre ancora una volta alla teologia negativa di Dionigi e dichiara che « per giungere alla verità, causa di tutte le cose, le quali da essa, per mézzo di essa, in essa e per essa sono state create, è necessario far ricorso alla negazione di tutto ciò che si può dire e conoscere e ciò a causa dell'eccellenza della essenza divina». Di Dio non si può dire nulla in modo proprio « perché supera ogni intelletto e tutte le significazioni sensibili ed intellegibili; egli si conosce meglio non conoscendolo; la ignoranza di lui è la vera sapienza; Dio con maggior verità e fedeltà si nega, di quanto si affermi; qualunque cosa infatti si neghi di Lui, la si nega secondo verità; ed invece tutto quello che di lui si afferma, non si afferma secondo verità » ; a Dio « nessuno può accostarsi, se prima non abbandoni tutti i sensi e non rafforzi la via della ragione, e se non abbandona le operazioni intellettuali e sensibili, e tutto quello che è e che non è, per essere restituito, senza saperlo e secondo che è possibile, alla sua unità, di lui che è sopra qualsiasi intelligenza e qualsiasi essenza; di cui non c'è né ragione, né intelligenza, perché Dio non si dice e non si intende; egli non ha nome e non ha parola ». D'altra parte, però, tutte le cose derivano da Dio; e poiché solo Dio, rispetto alle cose finite, veramente è, si può dire che tutte le cose sono ~43 Baruch_in_libris CAP. XV I SECOLI IX B X in Dio e che Dio è la vera unica realtà: << Quando udiamo dire, scrive Scoto, che Dio fa tutte le cose, non dobbiamo intendere altro se non che Dio è in tutte le cose, cioè sussiste come essenza di tutte le cose; Dio soltanto infatti esiste veramente per sé, e tutto ciò che nelle cose che esistono si dice che è, lo è egli solo ». Scoto giunge a dichiarare con Dionigi che « in Deo unum sunt omnia » e che « Deus fit in omnibus omnia». La creazione è una « condescensio » o « processio » di Dio dal nulla della sua superessenzialità al mondo del finito e delle essenze determinate. Scoto intende l'atto creatore di Dio come procedente dalla sua libera iniziativa; però il processo emanatistico è costantemente mescolato con il tema creazionistico: « La divina bontà, egli scrive, l'essenza, la vita, la sapienza e tutte le cose che sono nella fonte di tutte le cose dapprima defluiscono nelle cause primordiali e le fanno esistere, poi attraverso le cause primordiali scorrono nei loro effetti in modo ineffabile attraverso gli ordinati gradi dell'universo e defluiscono sempre dagli ordini superiori a quelli inferiori e di nuovo attraverso i piu segreti meandri della natura tornano, per vie occultissime, alla loro fonte ». Le cause primordiali sono « le ragioni immutabili secondo le quali e nelle quali viene formato e retto tutto il mondo »; esse sono strettamente unite al Verbo da cui sono prodotte; le cause primordiali sono infinite, come è infinita la causa dalla quale derivano; per un lato esse non escono mai dalla natura divina, per l'altro lato sono cause di tutte le cause che ad esse seguono fino ai confini del mondo creato; cosi esse danno ragione sia dell'unità dell'universo, sia del suo moltiplicarsi e distinguersi. Dalle cause primordiali deriva direttamente il mondo invisibile delle essenze; esse sono la fissazione in oggetti intellegibili di tutti i caratteri che concernono variamente gli esseri corporei particolari; tutti i caratteri degli esseri, da quelli piu generali a quelli caratteristici dell'individuo, formano una trama ideale del mondo corporeo; la gerarchia delle essenze ordinata secondo lo schema concettuale dei generi e delle specie costituisce pertanto l'impalcatura intellegibile ed invisibile del reale; essa parte dai generi generalissimi, scende attraverso i generi piu generali e i generi piu semplici, fino alle specie semplici e specialissime, o individui. Mentre le cause primordiali hanno piu di- Baruch_in_libris § 4 LA CONCEZIONE NEO-PLATONICA DELL'UNIVERSO retto rapporto col Verbo, le essenze sono pi;J direttamente vicine alla molteplicità del mondo sensibile. È dall'insieme delle essenze spirituali che nasce la corporeità; come dalla luce e dal corpo che non sono ombra nasce l'ombra, spiega Scoto, cosi da elementi incorporei che non sono corpo nasce il corpo; gli elementi semplici di cui è costituito il mondo corporeo sono una realtà intermedia fra il corporeo e l'incorporeo; gli esseri che derivano dalla loro combinazione sono del tutto corporei. La fisica di Scoto è piuttosto sommaria ed ha le sue fonti in Marziano Capella e in Plinio; egli tratta comunque sia dell'anima del mondo come vita generalissima che investe tutto ciò che è compreso nella sfera celeste, sia dell'armonia e dell'equilibrio che dominano tutto l'universo. Ma nel mondo è l'uomo che occupa un posto particolare; egli sta in mezzo fra gli estremi in quanto ha il corpo in comune con gli esseri corporei ed ha l'anima in comune con gli esseri spirituali. L'uomo è microcosmo rispetto al macrocosmo; ma la parte per cui egli somiglia a Dio è l'anima; a questa Dio uni nella creazione un corpo spirituale; dopo il peccato e per causa di esso l'anima assume un corpo corruttibile e mortale, attraverso il quale si compie anche la sua purificazione. Nell'analisi della conoscenza, Scoto svaluta la sensibilità per dare rilievo a quel movimento dell'anima pe.r mezzo del quale essa giunge alla conoscenza di Dio quale causa di tutte le cose; ma questo movimento naturale dell'anima è inferiore ad un altro movimento che supera la natura stessa dell'anima e la porta ad un· piu intimo contatto con la realtà ineffabile di Dio; qui l'intelletto supera quasi se stesso e tutte le creature per unirsi a Dio. · Nell'ultimo libro del De divisione naturae Scoto si chiede in che modo « la terra si unirà al paradiso, e le creature sensibili a quelle intellegibili e tutte le cose si uniranno a Dio, cosi da essere una cosa sola, cosi che in tutto non appaia piu alcuna diversità »; insomma « come avverrà il ritorno degli esseri all'unità e la riunione di tutte le sostanze create? ». I primi segni del ritorno del reale a Dio si hanno nella natura e nel " recursus " delle cose al loro punto di partenza:· « la sfera celeste ritorna allo stesso luogo in ventiquattr'ore, il sole dopo un quadriennio sorge nello stesso punto del diametro equinoziale, la luna torna al luogo di partenza in poco piu di ventisette giorni ed otto ore ». In senso piu profondo, il ritorno a Dio comporta la scomparsa, quasi il Baruch_in_libris CAP. XV I SECOLI IX E X riassorbimento del mondo sensibile nel mondo incorporeo. Per l'uomo, il ritorno a Dio prende le mosse dalla corruzione del corpo, dalla morte che è « auspicio della restaurazione della natura e del ritorno all'antica integrità». Con la morte il corpo torna ai quattro elementi di cui è composto; poi viene la risurrezione in cui ognuno riprende il suo corpo; allora il corpo sarà tramutato in spirito e finalmente tutto l'uomo tornerà alle cause primordiali; l'ultimo passo del ritorno a Dio si avrà quando tutta la natura con le cause primordiali si muoverà verso Dio « come l'aria si muove verso la luce »; infatti « Dio sarà tutte le cose in tutte le cose, ed allora niente altro sarà all'infuori del solo Dio ». Il ritorno dell'uomo a. Dio non si limita dunque, per Scoto, alla risurrezione, secondo che sostenevano i Padri della chiesa latina; esso comporta un ritorno " piu alto " che, secondo i padri greci, abbraccia sia il trasfigurarsi del corpo nell'anima, sia il trnsfigurarsi dell'anima in Dio. «L'anima, dichiara Scoto con Gregorio di Nissa, consumerà in se stessa tutto il corpo e con esso diventerà unico spirito, unica anima, Dio». Il ritorno a Dio non comporta però la dissoluzione degli individui; essi conservano la loro realtà, anche se in una forma piil elevata e misteriosa. Seguendo la tesi di Origene, Scoto sostiene anche che l'inferno è soltanto di carattere spirituale; esso non è un luogo, non è una punizione mediante il fuoco, è la condizione stessa del male .nelle creature che l'hanno compit:to; ma poiché il male è non-essere, la sua suprema punizione coincide con la sua impossibilità di contrastare la vittoria del bene; « come la divina bontà, scrive Scoto, è tutta in quelle cose che partecipano di essa e non è impedita dalla malizia o stoltezza o ignoranza di al~uno di penetrare l'universo da essa fondato, cosi'. l'umanità si diffonde in tutti gli uomini, ed è tutta m tutti, e tutta in ciascuno, siano buoni o cattivi »; coloro che hanno compiuto il male serberanno solo la memoria di esso, ma il male non li dividerà dall'unica realtà divina «che non è respinta dalla stoltezza di alcuno, non è impedita dalla malizia di alcuno, pura in tutti, eguale in tutti,. non è migliore nei buoni che nei cattivi, non è peggiore nei cattivi che nei buoni ». Con Scoto Eriugena la concezione neo-platonica del mondo penetra nella cultura occidentale; ma la fonte principale del pensiero occidentale resta ancora, anche dopo l'opera di Scoto, la dottrina di Agostino. Baruch_in_libris LO SVILUPPO DELLE SCIENZE PRESSO GLI ARABI 5. Lo sviluppo delle scienze presso gli Arabi. Non si pu'ò avere un quadro completo del secolo IX, senza far cenno della cultura specialmente scientifica affermatasi in questo periodo presso gli Arabi. ~ contemporaneo di Scoto Eriugena e vive a Bagdad (ove muore nel1'873) colui che viene considerato il primo filosofo importante che abbiano avuto gli Arabi: al-Kindi. Egli è da ricordare sia per il suo pensiero filosofico che per la sua cultura scientifica. Quanto al primo, converge sullo studio di Aristotele ma interpretato alla luce del commento di Alessandro di Afrodisia e quindi delle prospettive neo-platoniche. In particolare con al-Kindi la dottrina aristotelica dell'intelletto attivo viene elaborata nel senso di porre una sostanza spirituale distinta dall'anima e superiore ad essa, capace di farla passare dalla potenza all'atto dell'intendere; questa sostanza spirituale è un Intelletto attivo, unico per tutti gli uomini; proprietà di ciascuno di questi è soltanto un intelletto in potenza, la cui efficacia è condizionata dall'intervento dell'Intelletto superiore; cosi i passi non chiari che Aristotele aveva dedicato allo studio del processo conoscitivo si risolvono in una chiara tesi di ispirazione mistico-religiosa. La cultura scientifica di al-Kindi abbraccia molta parte delle fonti greche e si estende dalla matematica alla astrologia, dalla fisica alla musica, 'alla medicina, alla geografia. Egli fece tradurre parecchi_ testi greci in arabo e scrisse a sua volta opere che rivelano un interesse ed una formazione enciclopedica; quando, nella seconda metà del secolo xn, Gerardo da Cremona tradurrà alcuni suoi scritti in latino, il patrimonio scientifico di al-Kindi influenzerà sensibilmente la cultura occidentale; il suo contributo piu rilevante consiste in una trattazione geometrica e fisiologica dell'ottica, oltre che in un tentativo di stabilire la posologia medica su base matematica. Ma la matematica e l'astronomia ebbero, nel IX secolo, numerosi ed insigni cultori fra gli Arabi; è questa infatti l'età di al-Khuwarizmi (m. 850), uno dci piu grandi matematici del Medioevo; egli è uno dei fondatori dell'analisi o algebra come distinta dalla geometria. Gli Elementi di astronomia di al-Farghani (m. 861) sono l'opera piu importante prodotta nel campo di questa disciplina; ma ad essa si possono aggiungere i numerosi scritti o di discussione delle dottrine astronomiche greche o di descrizione di dirette osservazioni sperimentali e di relativi calcoli matematici; senza dire, poi, delle numerose scuole di traduttori dal greco e dal siriaco che furono costituite in varie città e specialmente a Bagdad e dal cui lavoro il patrimonio scientifico degli Arabi fu straordinariamente arricchito e perfezionato. Honayn (809-873) fu il pio importante traduttore di opere greche in arabo; egli tradusse il Politico, le Leggi ed il Timeo di Platone, una parte dell'Organon, le Etiche, la Fisica e parte della Metafisica di Aristotele, oltre a Della sfera di Archimede ed al Trattato di astrologia di Apollonio di Tiana, oltre, infine, agli scritti dei tre autori che sono alla base della scienza medica greca: Ippocrate, Galeno e Dioscoride. Baruch_in_libris CAP. XV I SECOLI IX E X 6. Il secolo x ed al-Farabi. Nel secolo x si prolunga per l'Europa la crisi che aveva avuto inizio già nella seconda metà del secolo precedente; all'anarchia feudale si aggiungono gli effetti di nuove invasioni, come quella dci Normanni; anche il papato è travolto nella lotta delle varie fazioni feudali. In Occidente, la conservazione e l'elaborazione di alcuni temi culturali già formulati dalla rinascenza carolingia sono legate al movimento monastico cluniacense; esso si afferma nei primi decenni dcl secolo e mira a sottrarre il maggior numero possibile di monasteri all'ordinamento feudale, per porli alla diretta dipendenza dcl papato e conferire cosi alla chiesa una maggiore autonomia; il senso di rinascita che, cosf, si viene diffondendo in alcuni monasteri di Gallia, d'Italia e di Germania favorisce i tentativi di tener desta, almeno in parte, la cultura del secolo precedente; qua e là continua infatti la sua attività qualche scuola monastica, in cui si studiano ancora il trivio cd il quadrivio. Legato sia alle scuole monastiche sia alla cultura araba di Spagna è Gerberto di Aurillac (930--1003) che divenne papa con il nome di Silvestro u; egli occupa un suo posto particolare nella cultura del secolo x, sia per i suoi studi di logica che per i suoi vasti interessi scientifici e specialmente matematici. Il mondo mussulmano che nel corso del secolo 1x aveva realizzato grandissime conquiste culturali, specialmente con la fondazione nell'832 dell'università di Bagdad ed era anche riuscito a riprendere il ritmo espansivo delle sue conquiste, nel corso del secolo x sembra avere esaurito la sua potenza di dilatazione politico--militare; ed anzi si accentua la divisione fra le varie regioni ed i rispettivi governatori; ma al progressivo indebolimento politico dcl mondo mussulmano si contrappone il continuo e rigoglioso fiorire della sua cultura religiosa e scientifica; le nuove scoperte scientifiche di quest'epoca sono tutte formulate in lingua araba. Il maggiore pensatore arabo dd secolo x è al-Farabi (m. 950); egli è autore di commenti ad Aristotele ed a Porfirio, oltre che di alcuni trattati filosofici e di un ampio studio sulle Concordanze di Platone ed Aristotele. L'autore greco al quale il suo pensiero è piu vicino è Aristotele; si tratta, tuttavia, anche per lui, come per al-Kindi, di un Aristotele visto attraverso l'interpretazione neo-platonica; il desiderio di conciliare la filpsofia di Aristotele con quella di Platone nasce oltre che da una tradizione ormai consolidata (quella, ad esempio, che riteneva opera dello Stagirita la Teologia di Aristotele composta da qualche neo-platonico del v secolo e che è, propriamente, un compendio delle Enneadi di Plotino) anche dalla preoccupazione di conciliare la ricerca filo- Baruch_in_libris § 6 AL-FARA BI sofica con la rivelazione religiosa fissata nel Corano. In questa direzione appunto anche al-Farabi interpreta l'intelletto agente di Aristotele nel senso di un'unica intelligenza separata, di natura divina, fonte di tutto l'intellegibile, anche se non la identifica con Dio che è superiore a tutti gli esseri e ad essi infinitamente trascendente. Nella considerazione del rapporto fra Dio e il mondo, al-Farabi è dominato oltre che dalla esigenza evolutiva e di continuità del neo-platonismo, anche dal senso religioso della contingenza del mondo e dell'assolutezza della iniziativa divina nei suoi riguardi. Il mondo non appare insomma ad al-Farabi fornito di una sua stabilità e necessità, di un suo ordine autonomo rispetto a Dio; il rapporto del mondo con l'esistenza è anzi considerato come del tutto precario ed instabile; il mondo può essere e può cessare di essere, può possedere l'esistenza o perderla; e Dio non è tenuto da alcun:i necessità di natura a limitare il suo intervento nei confronti del mondo. Molto importante è al riguardo la dottrina della di5tinzione fra essenza ed esistenza; di una cosa si può distinguere l'insieme delle note caratteristiche che formano la sua essenza dal fatto che l'insieme di queste note concretamente esista; essenza ed esistenza sono distinte, almeno negli esseri finiti; ciò spiega come essi siano contingenti; se infatti la loro essenza implicasse necessariamente l'esistenza, essi avrebbero con la esistenza un vincolo stabile, di necessità e n~n potrebbero m::ii cessare di esistere; invece essi possono perdere l'esistenza ad ogni istante; Dio soltanto è l'essere in cui essenza ed esistenza fanno tutt'uno; la. su:i esistenza è pertanto necessaria; ed è da Dio che l'esistenza viene data agli esseri finiti, è da Dio che l'esistenza viene unita alle essenze, facendole esistere. Anche: le scienze particolari furono molto coltivate dagli Arabi nel secolo x; si può dire che tutti gli scritti di matematica e di astronomia di questo periodo, forniti di qualche originalità, sono di fonte araba; si hanno scritti importanti di aritmetica, di algebra, di geometria, di astronomia, di astrologia e di trigonometria. Altrettanto numerosi sono i cultori del!_a medicina che si raggruppano in fiorenti scuole sparse: in tutto il vasto territorio dell'impero, dal califfato orientale all'Egitto, alla Spagna ed al nord· Africa. 249 Baruch_in_libris CAPITOLO XVI II secolo xt ANSELMO D'AOSTA. AVICENNA E IL PENSIERO ARABO 1. II periodo. Il secolo x1 segna per l'Europa il termine della crisi che durava ormai da oltre un secolo e l'inizio d'una ripresa che si estende dal campo politico a quello economico e culturale. La crisi del potere e lo straripare dell'anarchia feudale incontrano dei limiti sia in un restaurato accentramento monarchico già avviato da Ottone I, sia in un piu organico e disciplinato sviluppo dello stesso feudalesimo che realizza, con l'espansione normanna, un assetto politico costruttivo in molta parte del continente europeo. Fugati i terrori dell'anno mille, si ha un accentuato aumento della popolazione, nelle città si intensificano l'iniziativa economica e lo sforzo tecnico, nelle campagne il lavoro agricolo ha il sopravvento sull'inerzia dei pascoli ed il sistema chiuso della curtis si apre a piu intensi scambi ed a piu attivi mercati. La chiesa, già attraversata nel secolo pr\ cedente dal movimento rinnovatore di Cluny, riprende l'iniziativa sia per la riforma del costume ecclesiastico, sia per affermare la propria autonomia rispetto all'impero; con Gregorio vn tale battaglia tocca un vertice significativo; espressione della rinata fiducia religiosa e politica è la riscossa cristiana contro i mussulmani che attraversa le popolazioni europee e le porta, sul finire del secolo, alla conclusione della prima crociata. Per il mondo mussulmano si accentua la crisi avviata nel secolo precedente; nel 1055 i Turchi Selgiucidi pongono fine all'impero abasside colpendo il centro stesso dell'unità politica degli arabi; anche in Europa la pressione cristiana si fa sentire sia nella riconquista della Spagna, sia nel1' espulsionç degli arabi dalla Sardegna. Dal punto di vista culturale, l'Occidente accenna a rapidi progressi; si svolgono vivaci dibattiti fra dialettici ed anti-dialettici con riflessi sullo sviluppo di una cultura piu autonoma rispetto agli interessi religiosi; Anselmo d'Aosta porta entro l'ambito della speculazione religiosa un ì"innovato rigore razionale e dialettico; la logica torna ad essere oggetto di studio e mette capo a importanti risultati metodici; la filosofia è sempre di impronta eccle250 Baruch_in_libris § I IL PERIODO siastica, ma lo stesso mondo ecclesiastico è pervaso da esigenze di indagine razionale il cui spunto è fornito anche dagli interessi piu aperti di nuove categorie sociali. La cultura dcl mondo arabo non ha ancora esaurito il suo compito, come attestano le opere di Avicenna, di Avicebrom e di al-Ghazzali; essi si muovono nel campo della problematica di ispirazione religiosa e insistono o nell'interpretare la rivelazione alla luce di dottrine neo-platoniche o nel rivendicare per la rivelazione stessa maggiore indipendenza rispetto alla riflessione filosofica. 2. Dialettici ed anti-dialettici. In Occidente si svolge, nel corso del secolo x1, un dibattito che vede in lotta fra loro i sostenitori di uno sviluppo indipendente della dialettica ed i fautori di una netta preminenza della prospettiva religiosa sia sulla dialettica come su qualsiasi altro sviluppo della cultura profana. L'insegnamento del trivio che si era diffuso all'epoca della rinascenza carolingia non era piu scomparso del tutto; esso aveva anzi avuto incremento da quando s'era incominciato a far ricorso ai laici per vari uffici pubblici e per le professioni connesse con lo studio e la conoscenza del diritto. La dialettica aveva subito colpito per il rigore che poteva conferire al discorso, per la necessità di cui improntava le argomentazioni; ben presto la scoperta della dialettica, facilitata dalla diffusione delle scuole non ecclesiastiche, significò per alcuni la scoperta della " ragione'', della misura obbiettiva della verità. Con Berengario di Tours (m. 1088) l'uso della dialettica viene introdotto anche nella discussione di questioni teologiche; « di gran cuore, egli scrive, mi rifugio nella dialettica in ogni questione; perché rifugiarsi nella dialettica vuol dire rifugiarsi nella ragione; e chi non si rifugia nella ragione, poiché l'uomo è fatto ad immagine di Dio, proprio per la ragione, rinuncia al suo onore, né può rinnovarsi di giorno in giorno ad immagine di Dio». Berengario applica la dialettica alla questione dell'eucaristia con i seguenti risultati: sostanza ed accidenti d'una cosa, egli osserva, sono connessi in modo che se scompare la sostanza, scompaiono anche gli accidenti; è assurdo, per es., che, distrutta una veste, continui ad esistere il suo colore; e se continua ad esserci il colore, vuol dire che anche la veste esiste ancora; allo stesso modo nell'eucaristia se scompare la sostanza del pane e del vino per lasciare il posto al corpo ed al sangue di Cristo, do251 Baruch_in_libris il. CAP. XVl SECOLO XI vrebbero scomparire anche gli accidenti del pane e del vino; se questi. per contro, continuano ad esistere, vuol dire che anche la sostanza del pane e del vino continua ad esistere. È naturale che, di fronte a queste applicazioni della dialettica, i fautori dell'ortodossia religiosa reagissero vivacemente; essi dichiarano, appunto, che veri sapienti sono « piuttosto coloro che sono istruiti nella Bibbia che coloro che sono istruiti nella dialettica » e che bisogna « considerare di piu la verità dei santi Padri che l'arte dialettica». Il piu deciso avversario dcli' autonomia della dialettica è Pier Damiani (10071072); buon conoscitore deìla dialettica, egli è guidato da ereoccupazioni di ordine religioso e di disciplina monastica. Un buon monaco, egli pensa, deve respingere ogni allettamento che gli venga dalla cultura profana. Nel suo scritto De divina onnipotentia Pier Damiani prende posizione contro coloro i quali affermano che Dio non può fare che ciò che è stato non sia stato. Egli ritiene che sarebbe facile, muovendo dalla logica, estendere il criterio della necessità dal passato, al presente ed anche al futuro, in modo che e< come tutto quello che fu, è necessario che sia stato, cosi tutto quello che è, fintantoché è, è necessario che sia, e tutto quello che sta per essere, è necessario che stia per essere». Ma non bisogna, a suo pàrere, estendere a Dio criteri di necessità « c.he si riferiscono soltanto all'arte dell'enunciare»; altrimenti risulterebbe negata l'onnip0tenza di Dio che in sede teologica è indiscutibile. « Siffatte deduzioni dei dialettici o retori, precisa, non vanno applicate con· leggerezza al mistero della divina potenza; e le regole che si son trovate per formare dei sillogismi e trarre conclusioni" dai nostri giudizi, si guardino bene costoro dal farle valere con pertinacia contro le leggi divine e dall'opporre alla divina virru la necessità dei loro ragionamenti. Se poi avviene che si usi della perizia dell'umana dialettica nell'esporre le Sacre Scritture, essa non deve usurpare con arroganza il diritto di maestra, ma secondare le Scritture con la dovuta riverenza, com~ un'ancella va dietro alla sua padrona, per non smarrirsi andando innanzi e per non perdere la via della verità attenendosi alla esteriore concatenazione delle parole »· Allo stesso modo Pier Damiani sostiene, in appoggio alla politica di papa Gregorio VII, che non si può riconoscere alcuna indipendenza all'impero ed alla sfera politica come tale; l'impero non ha fini propri distinti da quelli della chiesa; se l'imperatore vien meno al fine ultimo nell'eser- Baruch_in_libris § 2 DIALETTICI ED ANTl-DIALETTICl c1z10 dell'autorità, vien meno alla stessa natura dcl suo potere. È la affermazione dell'ideale teocratico che trae il suo alimento nel rinnovato vigore che attraversa la chiesa nel secolo XI e che la porta a porre e~pli­ citamente il primato della religione sia nell'ambito della politica che in quello della cultura. 3. Anselmo d'Aosta. Il valore della dialettica, usata all'interno della fede, trova la sua massima esaltazione nell'opera di Anselmo d'Aosta. Nato nel 1033, crebbe nell'abbazia di Bee in Normandia, dove divenne successivamente monaco, priore e direttore della scuola; il periodo piu fecondo della sua vita è quello che va dal 1063 al 1093; poi fu eletto vescovo di Canterbury e la lotta da lui condotta contro il re d'Inghilterra per le investiture gli valse un lungo esilio, durate; fin quasi alla morte, nel I 109. Le opere maggiori di Anselmo sono le due che recano il titolo di Monologion (ossia soliloquio) e di Proslogion (ossia colloquio); esse sono dedicate al problema di Dio, cioè allo studio della sua natura e del suo rapporto col mondo, oltre che alla dimostrazione della sua esistenza; altri scritti Anselmo ha dedicato al problema della verità (De veritate) ed alle questioni del libero arbitrio, dell'incarnazione del Verbo, della predestinazione e della Trinità. Nel Monologion Anselmo si propone di trattare il problema di Dio col seguente metodo: « che non si cerchi di persuadere nulla con la autorità della Sacra Scrittura, ma che tutto quello che si concluderà in ogni singola investigazione sia dimostrato brevemente con argomenti necessari e manifestato apertamente dalla natura della verità »; se egli di fatto presuppone la fede, ritiene che in linea teorica si possa prescindere da essa ed elaborare argomenti rigorosamente razionali con i quali dimostrare i punti piu rilevanti del suo contenuto; non soltanto l'esistenza di Dio, ma anche la Trinità e l'incarnazione possono essere conclusioni cui si giunge mediante delle ragioni necessarie. Il fatto che la fede di chi argomenta sia un dato indiscutibile chiarisce che realmente la fede può orientare la stessa argomentazione; però per Anselmo l'argomentazione riveste anche un valore autonomo. Pertanto la posizione di Amelmo non si identifica né con l'atteggiamento di coloro che ritenevano di far va- Baruch_in_libris CAP. XVI IL SECOLO Xl lere l'argomentazione razionale contro la fede, né con l'atteggiamento di Pier Damiani che, per evitare tale pericolo, è deciso a strumentalizzare apertamente l'argomentazione e la dialettica. Nel Monologion si legge un argomento che, per dimostrare l'esistenza di Dio, parte dalla teoria pìatonico-agostiniana della priorità dell'oggetto intellegibile rispetto agli oggetti sensibili che di esso partecipano: « È certissimo e chiaro per tutti quelli che vogliono prestarvi attenzione, scrive Anselmo, che tutto ciò che si dice tale, in modo che in rapporto con altri si dica piu o meno o egualmente tale, è tale in virtu di qualche cosa che non è diverso nelle diverse cose, ma è identico; infatti, tutte le cose che si dicono giuste, siano esse egualmente, piu o meno giuste delle altre, non possono essere concepite come giuste se non in virru di una sola giustizia che non sia diversa nelle diverse cose giuste ». Con lo stesso procedimento, si può « rivolgere l' occhio della mente a ricercare ciò per cui sono buone le cose che si desiderano proprio perché si giudicano buone ». Se ne ricava che « vi sono beni innumerevoli, la cui diversità possiamo sperimentare, in tutta la sua grandezza, con i sensi del corpo e possiamo discernere con la ragione; ora è da credere che vi sia un ente solo, in virru del quale sia buono tutto ciò che è buono? oppure alcuni beni sono beni in virtu di uno, altri in virtu di un altro? Ecco l'argomento che non si può infirmare: tutto ciò che è un bene, deve essere bene in virtU di quella stessa cosa per la quale ogni cosa è buona ». Si potrà allora concludere che « il bene, per cui tutte le cose sono buone, è bene per se stesso, poiché ogni cosa è buona per esso; mentre perciò tutti gli altri beni derivano da altro, quello solo è per se stesso; ma un bene che deriva da altro, non può essere né uguale, né maggiore di ciò che è bene per sé; è dunque sommo bene solo ciò che è bene per sé; ma ciò che è sommamente buono è anche sommamente grande, ossia piu grande di tutto ciò che esiste»; e questi è appunto Dio. Un secondo argomento dell'esistenza di Dio è ricavato dall'osservazione che tutto ciò che esiste, esiste in virtU di un unico ente. Un terzo argomento infine si ricava dalla generalizzazione dei primi due; « poiché non si può negare che alcune nature sono migliori di altre, la ragione ci persuade che una supera le altre, sf da non averne alcuna superiore a sé». Nel Proslogion Anselmo si propone di « trovare, anziché una concatenazione di argomenti, un argomento solo che non abbia bisogno di Baruch_in_libris ANSELMO o' AOSTA nessun altro per avere valore dimostrativo e basti da solo a dimostrare che Dio esiste veramente e che è il sommo bene». Ecco l'argomento: una frase della Bibbia dichiara che « lo stolto disse in cuor suo che Dio non c'è»; ciò significa che chi comprende che cosa s'intende con il termine Dio e sostiene che Dio non esiste è " stolto " in quanto si contraddice; infatti chiunque sente indicare Dio con la proposizione «qualche cosa di cui nulla può pensarsi di piu grande », capisce quello che ode; e ciò che egli capisce è nel suo intelletto, anche se non intende che quella cosa esista; altro infatti è che una cosa sia nell'intelletto, altro intendere che la cosa esiste; quando il pittore si rappresenta ciò che dovrà dipingere, ha nell'intelletto l'opera sua, ma non intende che tale opera esista, perché non l'ha ancora compiuta; quando invece l'opera sia stata dipinta, non solo il pittore l'ha nell'intelletto, ma anche intende che l'opera esiste; anche lo stolto deve dunque convincersi che vi è almeno nell'intelletto una cosa della quale nulla si può pensare di piu grande, poiché anch'egli capisce questa frase quando la ode, e tutto ciò che si capisce esiste nell'intelletto di chi capisce. Ora, ciò di cui non si può pensare il maggiore non può esistere solo nell'intelletto; infatti, se esistesse solo nell'intelletto, si potrebbe pensare a qualche cosa che esistesse anche nella realtà, e questo sarebbe piu grande; se dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste solo nell'intelletto, ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore sarà ciò di cui si può pensare qualche cosa di maggiore; il che è contraddittorio; dunque esiste senza dubbio qualche cosa di cui non si può pensare nulla di maggiore sia nell'intelletto che nella realtà. Quest'argomento fu detto, piu tardi, a priori in quanto prescinde del tutto dal mondo esterno e la mente può servirsene senza uscire da se stessa; fu anche chiamato da Kant argomento "ontologico" in quanto la sua forza consiste nel ricavare la realtà o esistenza reale di Dio partenrlo semplicemente dal suo concetto; gli argomenti che Anselmo aveva esposto nel Monologion partivano invece tutti dalla realtà del mondo e da essa, come da effetto, risalivano a Dio come caqsa. I momenti attraverso i quali si svolge l'argomento del Proslogion sono due: anzitutto Anselmo propone l'espressione «l'essere di cui non si può pensare nulla di maggiore » e ritiene che chiunque ~ia in grado di capirla, io modo che si stabilisca una corrispondenza fra l'espressione Baruch_in_libris CAP. XVI IL SECOLO Xl verbale e il relativo concetto nella mente; il secondo momento consiste nel passare dal concetto che è nella mente alla deduzione necessaria dell'esistenza reale::. È su questi due momenti dell'argomentazione che si è svolta la discussione fra Anselmo ed un monaco del monastero di Marmoutier; questi dal nqme di Gaunilone, dopo aver letto il Proslogion, scrisse un Liber pro insipiente, ossia una difesa di quello stolto che Anselmo accusava di contraddizione. Per Gauniione, le parole che noi udiamo pronunciare da altri possono essere fornite di significato oppure prive di significato; sono fornite di significato quando sono collegate a determinate esperienze che mediante le parole possiamo richiamare alla nostra rappresentazione; per mezzo dei concetti che in noi si formano cogliendo caratteri comuni di piu individui possiamo anche pensare un individuo che direttamente non abbiamo mai conosciuto, proprio perché lo pensiamo. per mezzo ai quel concetto generale che ci dice almeno che cosa quell'individuo ha in comune con altri della stessa specie. Se non avviene ciò, la parola resta per noi senza significato, come se si trattasse d'una parola d'una lingua che ci è ignota. Ora quando sentiamo pronunciare la parola "Dio" o l'espressione « l'essere di cui non si può pensare qualche cosa di maggiore», sostiene Gaunilone, noi non le comprendiamo; infatti Dio non è oggetto della nostra esperienza e non esiste nemmeno un concetto nel quale egli rientri e che ci possa servire per una conoscenza indiretta. Sicché quando sentiamo pronunciare .la parola Dio, sentiamo soltanto «il suono delle lettere e delle sillabe» perché non sappiamo « che cosa quella parola sia solita significare in base ad una cosa nota » e non riusciamo a pensare « il suo significato sul modello di nessuna cosa reale » cioè già conosciuta. Ora, conclude Gaunilone, «da questo modo di essere nell'intelletto non si può affatto dimostrare che Dio esista anche nella realtà». Ed esemplifica: «Alcuni dicono che vi è in qualche parte dell'oceano un'isola che chiamano isola perduta e raccontano che è piena di una inestimabile abbondanza di ricchezze e che supera tutte le altre terre abitate per abbondanza di beni. Se uno mi dice questo, capisco facilmente le sue parole; ma se poi, come conseguenza aggiunge: non puoi dubitare che quell'isola supe· riore a tutte le terre, che sei sicuro di avere in mente, esiste in realtà, perché, se non esistesse, qualsiasi altra terra esistente sarebbe superiore ad essa e l'isola da te pensata come superiore non sarebbe piu supe- Baruch_in_libris § 3 ANSELMO D'AOSTA riore, allora non so se reputare piu sciocco me, qualora gli credessi, o lui se credesse di avermi dimostrato l'esistenza di quell'isola». Anselmo scrisse una risposta alla replica di Gaunilone; in essa afferma che il fatto che Gaunilone professi la fede cattolica attesta che egli può derivare dalla fede il concetto di Dio; inoltre lo stesso concetto si può desumere, a suo avviso, dalla considerazione del morido come finito; esso rimanda, in forza degli argomenti s\'olti nel Monologion, ad un essere superiore a tutti gli esseri finiti. Con ciò però Anselmo riconosceva che, per avere il concetto di Dio, bisognava far ricorso o alla fede, o ad altri ar~omenti diversi da quello a priori. Oltre alla questione dell'esistenza di Dio, Anselmo tratta nei suoi scritti anche il problema dei suoi attributi e quello dei rapporti di Dio col mondo; sul primo punto sostiene che a Dio si debbono riferire tutti gli attributi che non comportano imperfezione; sul secondo punto mette in chiaro che Dio ha creato il mondo non già facendo ricorso ad una materia preesistente, ma giovandosi come di modelli delle idee eterne, che fanno però tutt'uno con la sua natura infinita; quanto all'onnipotenza divina Anselmo ritiene che essa non possa giungere a far sf che quel che è stato fotto non sia stato fatto; Dio non è tuttavia costretto da necessità; e nemmeno il mondo è necessario; ma Dio nel suo operare non può volere e disvolere senza cadere nell' imperfezione. 4. Avicenna e il pensiero arabo. Nel mondo arabo il piu grande pensatore del secolo XI è Avicenna; vissuto fra il 980 ed il 1037 nella regione di Bukhara, è autore di un Canone di medicina in cui viene codificata, come in una grande enciclopedia, l'intera scienza medica degli antichi e degli Arabi; notevoli contributi egli reca anche allo studio di varie questioni di fisica, come il movimento, la forza, il vuoto, la gravità, nonché a problemi di geologia e di musica. La sua opera filosofica piu importante si intitola La guarigione ed ha anch'essa la struttura d'una enciclopedia in cui vengono studiate la logica e la metafisica, insieme con la matematica e la fisica. Lo sfondo della filosofia di Avicenna è ancora un'ampia conoscenza dell'opera di Aristotele interpretato in chiave neo-platonica e alla luce di prospettive religiose. Queste ultime si fanno sentire specialmente Baruch_in_libris CAP. XVI IL SECOLO Xl nella rigorosa distinzione che Avicenna pone tra l'essere necessario di Dio e l'essere soltanto possibile delle cose create; «l'essere necessario, egli afferma, è soltanto uno ed esso prende il grado di primo principio e di prima causa; perciò l'ente necessario è anche primo principio per quelli che sono primi principii delie cose; è evidente che l'essere necessario è numericamente unico ed è chiaro che tutto ciò che si trova fuori della sua essenza, co:1siderato in se stesso, è solo un possibile in rapporto alla sua esistenza; e perciò è un causato; perciò appunto nella catena delle cose causate, si giunge all'ente necessario; escluso pertanto l'Uno che secondo il proprio essere è uno ed escluso l'ente che secondo la propria essenza è esistente, ogni cosa è fatta in modo che prende la propria esistenza da un'altra». In tale prospettiva Dio è considerato piu come causa di tutto l'essere che come motore immobile e viene ribadita l'importanza dell'esistenza che conferisce la vera realtà alle essenze e trova in Dio la ~ua fonte pri!llaria. Tuttavia la tradizione neo-platonica esercita un notevole influsso su Avicenna e tende a smorzare quel divario fra Dio e il mondo che era suggerito dall'esigenza religiosa. Cosi Dio diviene il primo termine di un processo necessario di emanazione che comprende l'intera realtà; da Dio, come uno, deriva l'intelligenza che è duplice e dà inizio al molteplice; dall'intelligenza derivano altri esseri destinati ad animare l'universo ordinato secondo il sistema delle sfere di Tolomeo, fino all'intelletto attivo che regge il mondo terrestre ed è fonte separata delle conoscenze umane. In questo atteggiamento rientra anche la dimostrazione con cui Avicenna, partendo da un effetto finito, risale alla necessità della causa prima, qualunque sia il numero delle cause intermedie; se le cause intermedie sono in numero finito, la loro somma non può essere causa di se stessa; se sono in numero infinito, non esiste un punto ultimo e quindi b loro somma infinita non ha in sé il primo principio ed è da considerare effetto rispetto alla causa prima. Inoltre Avicenna rileva che se la causa del mondo sussiste in eterno, essa deve anche operare in eterno e quindi anche l'effetto, ossia il mondo, sarà eterno. Senza dire che dal mondo è esclusa la casualità, in quanto esso è retto dalla provvidenza divina: cc il primo esistente, scrive Avicenna, con la sua essenza conosce l'esistente secondo l'intero ordine del bene sul quale è fondato; perciò sgorga da Dio ciò che egli pensa in un Baruch_in_libris AVICENNA § 4 ordine determinato secondo la forma del bene e in una emanazione che nel modo piu perfetto induce l'ordine nel mondo». Da un lato dunque Avicenna formula la dottrina dell'analogia dell'essere, in quanto tende a porre un divario radicale fra l'essere di Dio in cui coincidono es~enza ed esistenza e gli esseri finiti la cui realtà è soltanto possibile; dall'altro il neo-platonismo spinge Avicenna a vedere una continuità fra Dio e mondo ed a superare in essa il distacco fra Dio e la creatura suggerito dall'esperienza religiosa. L'influsso di Avicenna sul pensiero occidentale diverrà determinante nel secolo xm quando parte dci suoi scritti filosofici e scientifici di verrà nota all'intellettualità ecclesiastica specialmente negli ambienti dell'università di Parigi. Con Avicebron che vive dal 1021 al 1058 a Valencia si afferma, nell'ambiente arabo-spagnolo, una prima espressione importante dcl pensiero ebraico. Nello sviluppo della religiosità ebraica si era affermata, fin dalle origini, una tradizione pii! strettamente aderente alla rivelazione biblica, sia che questa venisse intesa come "legge orale" (come nel caso dei Talmudisti), sia che si tentasse un ritorno piu rigoroso al testo sacro. D'altra parte, però, l'élite intellettuale ebraica aveva ben presto risentito della vicinanza di popolazioni di confessioni religiose diverse; in particolare non era riuscita a sottrarsi all'influsso dell'ellenismo prima e della cultura mussulmana poi; tanto piu impellente quest'ultimo influsso era diventato nel caso delle comunità ebraiche che si trovarono a vivere in territorio direttamente controllato dagli arabi. Ispiratrici del pensiero ebraico divengono allora le stesse opere, specialmente di derivazione neo-platonica, che sollecitano anche lo sviluppo della riflessione religiosa mussulmana. Nel suo scritto LA fonte della vita Avicebron da un lato accoglie l'influsso del pensiero neo-platonico, dall'altro si attiene ad alcuni motivi della tradizione religiosa .:braica. L'influsso del neo-platonismo si avverte specialmente nella concezione della pluralità delle forme che concorrono a formare gli esseri; si tratta di strutture od essenze distinte che, mentre sono per se stesse, individuano i singoli esseri; per es., un uomo è individuato in forza dci caratteri formali che fanno di lui un essere vivente, un animale, un essere razionale; vita, animalità e razionalità sono forme per se stesse che concorrono nella determinazione della individualità degli esseri. Dove poi Avicebron sente l'influsso della tradizione religiosa ebraica è nd suo porre, a radice di 259 Baruch_in_libris CAP. XVI IL SECOLO XI questa struttura essenzialistica dell'universo, la Volontà divina «che fa la materia e la forma e le unisce, penetra dall'alto nel basso come l'anima penetra nel corpo e vi si spande, muove tutto e tutto conduce »; la origine prima della realtà non consiste pertanto nell'ordine necessario delle essenze, ma nel principio volontario e creativo della divinità. All'interno del movimento filosofico arabo si ha invece con al-Ghazzali (m. 1111) una vivace reazione contro la prevalenza della speculazione filosofica sulla tradizione religiosa maomettana. Il titolo significativo dcl suo scritto piu importante, La distruzione dei filosofi, esprime la convinzione di al-Ghazzali che soltanto una radicale critica scettica delle dottrine filosofiche, da quelle di Aristotele a quelle di al-Farabi e di Avicenna, possa ridare vigore al sentimento religioso. Da un lato al-Ghaz~ali critica le dottrine filosofiche che, come quelle dell'eternità della materia, dell'esistenza di un demiurgo, della negazione dell'immortalità, vanno contro altrettanti principii della religione; dall'altro egli mostra come molte delle verità religiose, quali l'unità di Dio, la sua spiritualità, l'immortalità dell'anima, non possono essere in alcun modo dimostrate mediante argomentazioni filosofiche. Uno dei punti piu importanti esaminati da al-Ghazzali riguarda la concezione del legame necessario che in natura unirebbe, secondo alcuni filosofi, le cause e gli effetti; poiché questo naturalismo comporterebbe la negazione della possibilità del miracolo, al-Ghazzali ne svolge una critica minuziosa: « Causa ed effetto, scrive, sono due cose perfettamente distinte, di cui l'una non è l'altra, e il fatto che l'una esista non è garanzia che anche l'altra esista, come il fatto che l'unà cessi di esistere non è garanzia che anche l'altra cessi di esistere; tutte le cose sono state create da Dio senza legame; il legame fra di esse non è dunque necessario in sé ed i filosofi hanno torto quando dicono che è impossibile che l'una di queste cose stia senza l'altra». Alla dottrina secondo la quale certi corpi operano per natura e producono determinati effetti e non è possibile il contrario di ciò che accade per natura, al-Ghazzali contrappone la dottrina secondo la quale gli esseri di natura non hanno la capacità di operare nulla, perché solo Dio è in grado di operare ogni effetto « o direttamente o per mezzo dei suoi angeli»; in realtà causa unica di tutto è soltanto Dio. Tutte queste considerazioni di al-Ghazzali sono rivolte a difendere l'onnipotenza di Dio rispetto alla necessità del naturalismo filosofico anche se la consuetudine 260 Baruch_in_libris § 4 AVICENNA che egli ha con la ricerca scientifica lo porta a ritenere che tutto quanto è oggetto di dimostrazione matematica debba essere ritenuto vero. Ma l'atteggiamento di resistenza contro la filosofia e la conoscenza profana in genere, che non è soltanto di al-Ghazzali, contribuisce, insieme con le altre misure della intransigenza religiosa araba, all'esodo della filosofia dall'Oriente verso la Spagna, dove fiorirà in modo rigoglioso nel secolo successivo. 5. Lo sviluppo delle scienze. Nello sviluppo delle scienze tiene ancora il primato, nel secolo x1, il mondo mussulmano, specialmente nel corso della prima metà del secolo; matematici ed astronomi si trovano numerosi sia nella Spagna, che in Oriente; ma dove si costituisce una nuova grande scuola di astronomi e di matematici è al Cairo, ove sorge anche un grandioso osservatorio; al ,Cairo ebbero grande sviluppo, nello stesso periodo, anche la fisica e la chimica,_ mentre la medicina ebbe il suo piu grande cultore nel califfato d'Oriente con Avicenna. Nella seconda metà del secolo invece la ricerca scientifica si affievolisce ed il numero dei vari specialisti diminuisce. In Occidente si nota, anche nel campo scientifico, maggior fervore che nelle età precedenti. Guido d'Arezzo (99Q-1050) introduce una grande riforma nell'insegnamento della musica, mentre a Salerno viene fondata la prima scuola ad indirizzo scientifico e professionale che si sia costituita in Europa; essa non è né una scuola di studio del trivio e del quadrivio, né ha il compito di preparare il clero; riprende invece quella tradizione di studi di medicina che non era mai del tutto scomparsa nell'Italia meridionale ed in Sicilia; e si costituisce come una scuola superiore, che precorre la fondazione delle università nel secolo xn. Quando nel 1056 Costantino Africano, nativo di Cartagine, venne in Italia e diede vita a Montecassino ad un vero centro organizzato per tradurre, sotto la sua direzione, dall'arabo in latino, le opere piu significative della cultura mussulmana, un grandissimo numero di scritti medici, alcuni di origine greca, ma la maggior parte di origi:ie araba, vennero a conoscenza della scuob di Salerno, dù: ne trasse spinta a nuovi sviluppi scientifici. Lo stimolo che la scuola medica di Salerno costitui per tutta l'Europa cristiana a coltivare non soltanto gli studi di medicina, ma la ricerca scientifica in generale, unitamente alla vasta conoscenza che della scienza mussulmana in tutti i suoi settori procurò, con le sue traduzioni, Costantino Africano, furono i principali fattori che pose ·"> termine al monopolio scientifico degli Arabi e che aprirono all'Occiden·c nuovi orizzonti conoscitivi. Baruch_in_libris CAPITOLO XVII La prima metà del secolo xii ABELARDO E LA SCUOLA DI CHARTRES 1. Il periodo. La rinascita del mondo occidentale, già avviata nel secolo XI, continua nel corso del secolo successivo; comincia a fiorire l'esperienza comunale che è indice di una profonda trasformazione economica e sociale; ormai i mercanti, gli imprenditori e gli artigiani allargano la loro sfera d'azione, prendono maggiore importanza le città. La rinascita dell'Occidente si accompagna anche ad un rinnovamento dello spirito monastico; la riforma cluniacense ha ormai esaurito la sua ~pinta creativa, mentre la rilassatezza dei costumi e la cura delle ricchezze penetrano largamente nei chiostri; è dal monastero di Citeaux e dall'opera di Bernardo di Chiaravalle che prende inizio il piu importante movimento di reazione; lo spirito di austerità al quale esso si ispira, se è utile per l'incr(mento della pratica religiosa, non è molto produttivo sul terreno culturale. Si affermano, in questo tempo, anche movimenti religiosi di (lrigine popolare; i catari, i poveri di Lombardia, gli umiliati e piu tardi i Vald::si assumono posizioni polemiche e aggressive nei confronti della chiesa, la quale reagisce vivacemente contro il loro spirito di autonomia e di innovazione. Le energie economiche della nuova società ed il rinato spirito religioso sono le componenti principali anche del grande movimento che produce l'arte romanica. Alla ripresa dell'Occidente, fa riscontro in Oriente una progr~ssiva decadenza; il mondo bizantino è contrastato dall'espansionismo occiilentale favorito dalle crociate; il mondo arabo; nonostante l'iniziativa della dinastia egiziana, sta per cadere sotto il controllo delle forze turche. Le crociate sono l'espressione tipica della nuova energia dell'Occidente e del suo violento fanatismo religioso. Sul terreno culturale è orn1ai concluso il per::ido dell'egemonia mussulmana; in Occidente, si ha non soltanto un ampliarsi degli studi cli logica, ma un rinnovato interesse per i problemi dell'universo, dell'anima e della conoscenz::t. L'incremento della cultura filosofica trae profitto, in questo periodo, sopratutto da due fatti : _dalla cresciuta importanza delle scuole cattc- Baruch_in_libris ~ I IL PERIODO dra!i che prendono il sopravvento sulle scuole monastiche e dal moltiplicarsi delle traduzioni iatine di molti testi della scienza e della filosofia sia araba che greca. Un centro di tali traduzioni si costituisce a Toledo in Spagna; il piu importante dci traduttori dal greco è Giacomo da Venezia; è appunto nel 1128 che egli traduce dal greco in latino i Topici, i Primi ed i Secondi analitici e gli Elenchi sofistici di Aristotele; questi testi dell'Organon vengono indicati in Occidente come la " logica nova " rispetto alla " logica vetus" comprendente le Categorie e il De interpretatione, gli unici scritti logici di Aristotele conosciuti finora nella traduzione di Boezio. L'interesse della prima metà del secolo xu per gli studi di logica è attestata dal nominalismo di Roscellino, oltre che dalla polemica ,condotta da Abelardo contro Guglielmo di Champeaux. Abelardo è indubbiamente la figura che domina questa età, non soltanto per· l'importanza della sua logica, .na anche per la sua battaglia contro Bernardo a favore di una comprensione filosofica della fede cristiana. Con la scuola di Chartres si ha poi l'organizzarsi di un rinnovato interesse per gli studi naturali; l'orizzonte delle ricerche filosofiche si allarga oltre l'ambito delle questioni piu strettamente religiose; sicché il passaggio dal primato delle scuole monastiche a quello delle scuole cattedrali corrisponde ad un estendersi degli interessi culturali e filosofici; tanto infatti le scuole monastiche erano isolate, tanto ora le scuole cattedrali intrecciano la loro attività con il piu aperto mondo sociale delle città. 2. Abelardo: la logica e la polemica contro Roscellino e Guglielino di Champeaux. Nato neJ 1079 vicino a Nantcs, Abelardo fu dapprima alla scuola di Roscellino e di Guglielmo di Champeaux; iniziò quindi il suo insegnamento a Parigi; è qui che !!gli incontra, intorno a1 n16, Eloisa; il loro amore, dapprima segreto, poi scoperto e atrocemente punito nella stessa persona di Abelardo, diede piu tardi origine ad uno degli epistolari piu originali e romantici di tutti i tempi. Abelardo che in un primo tempo si era dedicato soprattutto agli studi di logica, si applicò poi anche allo studio della teologia; fu su questa strada che incontrò l'ostilità aperta di Bernardo di Chiaravalle; le dottrine di Abelardo furono condannate, anche se il suo metodo non mancò di fare scuola e di suscitare molti prosecutori; egli mori nel n42, l'anno dopo che un concilio sollecitato da Bernardo avP.va preso netta posizione contro alcune delle sue interpretazioni teologiche. L'opera piu rappresentativa della logica di Abelardo, oltre ad alcuni importanti commenti da lui stesi ai te.sti clas- Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO XII CAP. XVII sici della " logica vetus ", è la Dialectica; i trattati teologici di maggior rilievo sono: la Theologirz ed il Sic et non; si deve infine ricordare sia un trattato di morale dal titolo Scito te ipsum, sia il già accennato epistolario, di cui fa parte una lunga esposizione autobiografica, intitolata Historia calamitatum. In logica, la posizione di Abelardo è intermedia fra il nominalismo di Roscellino e il realismo di Guglielmo di Champeaux. Roscellino, nato a C?mpiègne nel rn50 e morto nel 1120, è noto per aver affrontato il problema degli universali con un atteggiamento nuovo; si tratta di stabilire se universali sono soltanto i nomi, come "uomo" e "animale" o se ai nomi universali corrispondono delle realtà altrettanto universali. E poiché gli universali, cioè i generi e le specie, sono oggetto specifico di studio della logica, si tratta di stabilire se la logica sia una scienza de vocibus oppure de rebus. Tutti i pensatori che, come Scoto Eriugena e Anselmo, si erano richiamati alla dottrina delle idee, avevano attribuito realtà agli universali, nei quali a loro avviso si concretavano le essenze delle cose; sicché, per questi pensatori, al termine o concetto di " uomo " corrisponde una reale essenza comune a tutti gli individui um:mi. Con Roscellino, la critica di- tale concezione essenzialistica giunge ad una formulazione radicale; egli sostiene infatti che il termine " uomo " non designa affatto un'essenza comune realmente agli uomini individui; esiste invece la realtà fisica del termine stesso, ossia quel movimento della aria (flatus vocis) che fa risuonare la parola "uomo"; ed esistono poi gli individui umani; ciascuno nella sua singolarità; il termine "uomo" ha appunto il compito di significare questi individui, dietro i quali non esiste nulla di comune, che si possa dire la specie umana o umanità. Le maggiori opposizioni Roscellino sollevò quando volle applicare la sua dottrina nominalistica al campo teologico; sostenne mfatti che i tre nomi di Padre, Figlio e Spirito santo non designano una stessa cosa ~ingoia, ma ognune dei tre nomi designa una cosa singola; accentuò cosi la riduzione della realtà comune alle tre persone, a favore della loro individualità; tanto che Anselmo accu~ò Roscellino di sostenere una sorta di triteismo. Guglielmo di Champeaux (m. 1121) si attiene invece alla dottrina realistica degli universali. Egli sosteneva, scrive Abelardo, «che la medesima realtà è tutta essem.ialmente presente nei singoli individui, fra i quali non ci sarebbe alcuna diversità essenziale, ma solo una varietà detenni- Baruch_in_libris § 2 ABELARDO nata dalla molteplicità degli accidenti »; « ad esempio, nei singoli uomini differenti di numero, è identica la sostanza dell'uomo, che qui per via di certi accidenti si concreta in Socrate e là per via di altri accidenti diventa Platone». Ora Abelardo che attribuisce a tutta la logica il carattere di " scientia sermocinalis ", ossia di studio del discorso, è del tutto còntrario al realismo delle essenze. « Se la stessa realtà essenziale, osserva, sussiste nei singoli individui, pur differenziata da forme o accidenti diversi, è necessario che questa realtà, affetta da alcune forme o accidenti particolari, sia quella medesima realtà che è occupata da altre forme o accidenti particolari; per es., la stessa essenza di animale si troverà tanto negli animali razionali quanto in quelli irrazionali, il che vuol dire che nella medesima realtà, cioè nell'animale, ci saranno attributi contrari, come la razionalità e l'irrazionalità; ed allora i contrari non sarebbero piu contrari perché si troverebbero insieme in una essenza del tutto identica». Abelardo, se respinge il realismo di Guglielmo, non ritiene soddisfacente nemmeno il nominalismo di Roscellino perché esso non si occupa di considerare mediante quali operazioni mentali il termine fisico o " vox " venga messo in grado di significare i singoli individui. « Come certi nomi, egli scrive, son detti dai grammatici comuni e certi altri propri, cosi dai dialettici certe espressioni sono dette universali e certe altre singolari; l'universale è dunque un vocabolo trovato in modo che sia capace di essere predicato singolarmente di molti, come, per es., il nome " uomo " si può unire ai nomi particolari degli uomini, per la natura dei soggetti particolari ai quali viene imposto; singolare è invece il nome che si può predicare di uno solo». Realtà complete sono dunque gli individui e soltanto gli individui; non esistono delle essenze comuni significate dai nomi universali; l'intelletto umano ha però la capacità di considerare singoli aspetti dei vari individui, astraendo dalle restanti loro qualità; l'intelletto si forma cosi delle immagini comuni, confuse, che sono appunto significate dai nomi universali, che perciò appunto si predicano di molti soggetti o individui. Altro è il modo in cui una cosa esiste, ed altro è il modo nel quale essa viene intesa; il conoscere un aspetto di una cosa separatamente da altro non vuol dire separare quell'aspetto nella cosa reale; per es., se in piu individui uomini io rilevo ed astraggo con la mente un aspetto, per es. quello della corporeità, Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO XII CAP. XVII non do luogo con ciò all'esistenza reale di una rnrporeità come entità distinta, ma non faccio che costruire un'immagiue mentale comune cui si riferisce appunto il termine "corporeità "; esso è universale in quanto è nome che si riferisce ad una immagine comune, ossia ricavata da molti individui, dei guaii appunto quel nome si può predicare. Ncin basta dunque dire che gli universali sono solo "voces "; perché un termine, una " vox" sia significativa, bisogna che sia legata ad un'immagine mentale; allora la "vox" diviene "sermo ", ossia elemento del discorso significativo umano; e soltanto il sermo può esser detto universale, non la 11ox che forma soltanto la premessa fisica del sermo. Il torto di Roscellino è dunque per Abelardo quello di non aver tenuto il conto necessario del concetto; o immagine comune che rende la parola universale capace di signifo:.are qualche cosa. Non si può dunque sostenere, per eccesso di polemica contro il realismo delle essenze, che al termine " uomo" non corrisponde nulla e non si collega nulla al di fuori dei singoli uomini distintamente reali ed esistenti; proprio per spiegare come il termine " uumo" si riferi5ca ai singoli uomini esistenti bisogna connettere il termine "uomo" con l'immagine concettuale, ossia con un insieme di caratteri r.omuni rilevati dalla mente umana; questi caratteri poi, se non sono reali nd singoli individui nel senso che in essi risultino .sta~ cati dal resto, sono desunti. dalla realtà degli individui; e perciò l'attribuzione del termine comune ai singoli individui ha la sua ragion d'essere proprio nell'immagine comune che ha a sua volta il proprio fondamento reale negli individui. Questa direzione di pensiero logico è stata desi-· gnata, poi, come concettualismo, appunto in quanto essa sottolinea l'importanza del concetto e il suo doppio valore, per un lato nel rispecchiare la realtà, per l'altro nel consentire la predicazione universale dei termini. La logica risulta pertanto autonoma rispetto alla metafisica, come sosteneva il nominalismo, ma è anche fondata su un nesso dei termini con i concetti e con la realtà secondo l'esigenza del realismo. 3. Abelardo e il conflitto con Bernardo a proposito dei rapporti fra ragione e fede. L'atteggiamento con il quale Abelardo si applicò allo studio dei probkmi teologici è cosi da lui delineato: « Mi 0C1:orsc di applicarmi a spie- Baruch_in_libris ABELARDO E B~RNARDO gare con analogie tr;itte dall'umana ragione il fondamento èella nostra fede; i miri scolari esigevano argomenti umani e filosofici e chiedevano ragioni atte a soddisfrre l'intelligenza piu che l'eloquenza, poiché, dicevano, è inutile la profusione di parole, quando non è seguita dalla comprensione; né si può credere una proposizione, M: prima non la si è capita; ed è ridicolo che uno predichi agli altri ciò che né lui, né chi ascolta possono capire». L'avversario piu deciso di Abelardo su questo punto è Bernardo di Chiaravalle (1091-1153); egli nutre dci sospetti nei confronti dei filosofi-teologi del suo tempo, si mette, come- Pier Damiani, dal punto di vista della vita monastica e teorizza, nei suoi scritti, la via e;: l'anima percorre per vincere la sua inclinazione al male e per elevarsi all'unione estatica con Dio; per Bernardo la verità coincide con Cristo e tutta la fede coincide con l'amore e la dedizione a lui; la cosa principale, nella pratica religiosa, è l'umiltà, ossia 11 cosciente annullamento di se stessi, la profonda coscienza del peccato; da tale coscienza nasce l'aspirazione al divino che trova il suo adempimento nell'unione ineffabile dell' uomo con Dio. Bernardo riempie questo schema classico dell'esperienza religima con il contenuto di una ricca vita interiore, mentre nel governo della chiesa combatte quelle che egli considera deviazioni intellettualistiche con ogni energia, senza disdegnare il ricorso al metodo forte ed autoritario. Quanto ad Abelardo, non v'è dubbio che egli ponga la fede come punto di partenza di ogni ricerca razionale intorno acl essa; si tratta appunto di accostare la fede «con analogie tratte dall'umana ragione»; a questo riguardo, uno dei punti piu audaci da lui svolti è la ricerca di analogie per spiegare la trinità delle persone divine; è qui che egli fa ricorso alla dottrina stoica dell'anima del mondo, come analo.:~ia che può spiegare la terza persona della trinità, lo spirito santo; que:;te analogie non hanno certo la pretesa cli es:mrire il significato dei dogmi; comunque Abelardo utilizza, nella spieg:izione dc!la dottrina cristiana, le dottrine della tradizione filosofica ed è portato anche a vedere un nesso rilevante di continuità fra filosofia greca e cristianesimo. Egli non ha un senso cos! profondo del peccato come quello che si riscontra in Bernardo; anzi tende a ridurre la prospettiva della corruzione della natura umana ed a dare ampio riconoscimento alla lihertà. Fra le dottrine abelardiane condannate al concili.:- dcl 1141 liguravano Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO XII CAP. XVII anche alcune proposizioni di etica, contenute nello scritto Scito te ipsum: In fatto di morale, l'atteggiamento piu originale di Abelardo consiste nella sua opposizione all'ascetismo, che considerava peccato certe inclinazioni radicate nella natura dell'uomo e nella sua critica della morale conformistica che tendeva a fissare in modo rigido il bene ed il male, identificandoli con determinati comportamenti esterni, indipendentemente dall'interiorità che li accompagna. Circa il primo punto, Abelardo introduce un'importante distinzione fra vizio dell'animo e peccato: «Il vizio dell'anima, egli scrive, non si identifica affatto con il peccato; ad es., l'essere iracondo, ossia pronto e facile a laSc:iarsi prendere dall'ira, è un vizio che spinge la mente a compiere in modo inconsulto qualche cosa che non si deve fare; altrettanto si dica per la lussuria a cui molti sono inclini per natura o per complessione fisica; tuttavia per il fatto che si trovano ad essere cosi'. caratterizzati, non per questo peccano; il vizio dell'animo ci rende inclini ad acconsentire a cose illecite; ma propriamente peccato si deve chiamare appunto il fatto dell'acconsentire »; le inclinazioni che si trovano radicate nella natura umana ci spingono anche a "desiderare" cose illecite; ma, secondo Abelardo, queste inclinazioni « non si possono eliminare » ed esse non sono in se stesse peccato; «non si può chiamare peccato la volontà o il desiderio di fare ciò che non è lecito, ma piuttosto il consenso alla volontà ed al desiderio»; cosi'. Abelardo sottrae le inclinazioni umane, già gravate dalla condanna dell'ascetismo religioso, alla sfera del male e le colloca piuttosto nel campo degli strumenti neutrali da cui l'intenzione interiore può trarre sia il male che il bene. Abelardo insiste poi sul fatto che· solo l'intenzione, cioè il consenso, costituisce il vero nucleo del bene e del male; invece l'azione, in quanto tale, non aggiunge nulla alla bontà o alla malizia del nostro atteggiamento; «l'intenzione è buona o cattiva per se stessa; l'azione si dice buona o cattiva non perché implichi qualche elemento di bontà o di malizia in se stessa, ma perché procede da un intenzione buona o cattiva»; la stessa azione, vista nella sua materialità esteriore, può diventare buona se deriva da una buona intenzione, cattiva se deriva da una cattiva intenzione; con ciò Abelardo prende posizione contro il legalismo etico che era strettamente unito all'ascetismo e mira a staccare l'iniziativa morale umana dall'adesione positiva a schemi fissi ed cste268 Baruch_in_libris § 3 ABELARDO E BERNARDO non di comportamento. Allo stesso modo Abelardo prende posizione contro la considerazione puramente mistica e carismatica dei poteri del clero, che vuole fondati anche su solidi valori m'?rali; coloro che si vantano di essere i successori degli apostoli, osserva, tengano presente che tale successione ha vero valore quando è fondata sulla dignità morale corrispondente; gli accenti che si incontrano nelle pa· gioe abelardiane contro la corruzione del clero, contro il formalismo ecclesiastico, contro il legalismo morale ricordano, almeno in parte, gli atteggiamenti dei moti religiosi popolari e richiamano alla mente· che, non senza ragione, alla sua scuola crebbe quell'Arnaldo da Brescia che divenne, circa un decennio dopo la morte di Abelardo, l'eversore del potere temporale dei papi a Roma e l' instauratore del comune popolare. 4. La scuola di Chartres. La scuola cattedrale di Chartres è il centro pio importante di studi letterari e filosofico-scientifici fiorito nell'età di Abelardo; il primo ad insegnarvi con rinomanza fu Bernardo, un bretone che vi tenne lezioni per una decina d'anni, morendo intorno al u26. Giovanni di Salisbury lo chiama «la piu ricca fonte di cultura letteraria dei nostri tempi in Gallia», ed anche «il piu grande platonico del nostro secolo». Nel campo letterario, Bernardo di Chartres fa rivivere una raffinata tradizione retorica, ispirata a Quintiliano. Quanto al suo platonismo, non è che esso si nutra d'una vasta conoscenza dei testi di Platone; la sua fonte è piuttosto il commento di Calcidio al Timeo di Platone; il platonismo di Bernardo consiste essenzialmente nel non attribuire la stessa importanza ai due elementi che compongono l'essere, cioè la materia e l'idea, ma nel considerare propriamente l'essere come coincidente « con ciò che consta di uno solo di questi elementi: l'idea»; la materia, per Bernardo, non solo non è tutto l'essere, come sosteneva Epicuro, ma non è nemmeno coeterna a Dio insieme con l'idea, come credevano gli stoici; la materia viene creata da Dio, mentre l' idea come esemplare di ciò che avviene in natura è eterna come Dio, anche se da lui distinta. Questo platonismo, per quanto sommario, impronta tutto l'insegnamento di Chartres. Con Gilberto Porretano (1076-1154) che succede a Bernardo nella di- Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO Xli CAP. XVII rezione delle scuole di Chartres il platonismo alquanto indeterminato del secondo si approfondisce in una vera e propria teoria delle essenze. Le idee che esistono fuori del mondo materiale sono i modelli delle cose sensibili; ma per dar luogo ai corpi, non sono le idee che si uniscono alla materia, bens1 le forme, l be delle idee sono quasi delle copie; mentre le idee sono eterne, le forme sono nativae. Questa teoria serve soprattutto a Gilberto per spiegare la struttura del mondo nel suo rapporto con Dio; Dio fa bens1 tutte le cose, ma queste si distinguono da Dio e fra loro proprio ~n forza delle forme o essenze; ciò che direttamente fa esistere un corpo è la corporeità, come ciò che direttamente fa esistere un uomo è l'umanità; le realtà individue hanno nel loro stesso interno un principio che le fa esistere, anche se questo principio deriva da Dio; le cose hanno dunque una realtà che non è univoca con la realtà divina e l'essenza o forma è la base stessa della lora autonomia. Teodorico di €hartres (m. u55), fratello piu giovane di Bernardo, succede a Gilberto nella direzione delle scuole di Chartres nel 1142 e la tiene per oltre un de~ennio, fermando principalmente ia sua attenzione sulle materie del quadrivio. Il suo Heptateuchon, un libro di testo sulle sette arti Eberali, abbraccia in verità anche le discipline del trivio; ma il suo Hexaemeron che è un commento alla narrazione del Genesi biblico sulla creazione del mondo si rifà principalmente al Timeo di Plato'le e si propone di studiare l'intera questione " secundum physicam ", cioè in base alle dottrine della fisica di ispirazione neo-platonica. Egli mira a « r.wstrare razionalmente le cause dalle quali il mondo ha l'essere e l'ordine dei tempi nei quali il mondo fu creato ed ordinato». Il cielo e la terra, di cui la Bibbia dice che furono creati da Dio, sono propriamente per Teodorico i quattro elementi primi, cioè acqua aria terra e ~unco; questi stessi elementi risultano di particelle piu elementari, che consentono un passaggio rapido da uno all'altro degli elementi; sono poi i movimenti che spiegano tali passaggi; sicché si può dire che Teodorico tende a spiegare l'insieme della natura con dei criteri meccanici che, pur avendo in Dio la loro origine, presentano anche una base autonoma per la comprensione del mondo; se si aggiunge che Teodorico, sempre sulla falsariga dcl Timeo platonico, ricorre frequentemente ad un'interpretazione matematica della struttura dcli' universo, si converrà che Bernardo di Chiaravalle e quanti con lui si attenevano al testo sa- Baruch_in_libris § 4 LA SCUOLA DI CHARTRES ---------------------------- ero per trarne immediate suggestioni di pietà e di slancio mistico, non potevano non rimanere stupiti e sospettosi di fronte ad una simile invadenza di procedimenti scientifici profani, quali criteri interpretativi della rivelaz~one. Anche Guglielmo di Conches (1080-n54) che fu alla scuola di Bernardo e quindi insegnò a Chartrcs per circa vent'anni, rivolge particolarmente il suo studio alla cosmologia; egli scrive un commento al Timeo ed un trattato De philosophia mundi; Guglielmo prende apertamente posizione contro coloro che coltivano l'eloquenza per se stessa, senza darle alcun contenuto di " sapienza ", cioè di concrete conoscenze naturali; « è come affilar sempre la spada, scrive, e non colpir mai in battaglia ». Sullo sfondo della realtà naturale sta Dio, ma il mondo è fornito di una sua realtà autonoma; esso è composto di elementi contrari, caldi e freddi, umidi ed asciutti che sono stati riuniti da Dio. Nella mente divina le idee fungono da esemplari eterni delle cose. Ma l' aspetto piu rilevante della filosofia di Guglielmo di C.Onches è il tentativo di spiegare la costituzione del mondo con un procedimento razionale-meccanico che fa ricorso alla teoria degli atomi oltre a quella dei quattro elementi primi; il passaggio di Guglielmo da una visione animistica ad una piu meccanica dello sviluppo del mondo è anche attestato dal suo modo di intendere l'anima del mondo, che può si essere considerata come «la forza che dà l'essere alle pietre, la vita alle erbe ed agli alberi, il sentire agli animali ed il ragionare agli uomini», ma va specialmente considerata come «il fato, o la serie o la divina disposizione degli elementi »; in Dio esiste ben si « il mondo archetipo e la precognizione di tutte le cose», ma da Dio deriva un ordine del mondo «come disposizione o ordine temporale delle cose»; quest'ordine è l'anima del mondo, quella che Boezio chiama la <<perpetua ratio» che governa l'universo. La scuola di Chartres combatte anche contro la reazione anti-culturale promossa da Bernardo di Chiaravalle e dalla corrente misticheggiante; né il pericolo contro un ordinato sviluppo della cultura veniva soltanto da questa parte; con la diffusione dello studio della logica, si erano affermate anche delle vere e proprie degenerazioni eristiche, fatte di giochi dialettici e di cavilli; in certe scuole, scrive Giovanni di Salisbury, «si discuteva la questione se il porco condotto al mercato sia Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO XII CAP. XVII tenuto dall'uomo o dalla corda, oppure la questione se chi ha comprato la cappa intera ha comprato anche il cappuccio ». Si ebbe inoltre anche un movimento contro quello che veniva giudicato un programma troppo rigido di studio; esso rivendicava un tipo di scuola piu leggero e ad impronta piu immediatamente professionale. Chartres, di fronte a tutti questi attacchi, sostiene la necessità di una rigorosa formazione culturale e filosofica. 5. Lo sviluppo delle scienze. Per completare il quadro culturale della prima mcd del secolo xn, si può far cenno dell'andamento della ricerca nelle scienze particolari; nel campo delle matematiche, si hanno in questo periodo piu traduzioni che opere originali; il piu grande matematico del tempo, l'ebreo Abramo, vive in Spagna ed è l'esponente di tutto un movimento che si fa tramite per la trasmissione all'Occidente della scienza mussulmana. Nel campo della medicina si hanno sviluppi piu vistosi sia presso i mussulmani che presso i latini; in quest'ultimo campo, occupano il primo posto gli' sviluppi della scuola medica di Salerno, con i primi trattati di terapia, di. patologia e di anatomia; è in questo periodo che vivono i medici Bartolomèo, Nicola, Matteo, tutti della scuola di Salerno. Con Imerio, che vive fra il rn6o ed il 1140, nasce a Bologna un'altra importante scuola che si dedica allo studio del diritto; questo, incluso finora nell'ambito della retorica, acquista' autonomia sopratutto in relazione alle lotte che intercorrono fra papato cd impero; Imerio è autore di glosse al Corpus iuris di Giustiniano, specialmente al Digesto; intorno a lui si raccoglie ben presto un gruppo di studiosi, dal quale si forma appunto la prima scuola giuridica dell'Occidente; lo studio del diritto romano- non giova, in questo periodo, solo al dibattito politico fra la chiesa e l'impero, ma contribuisce efficacemente, accanto allo studio della logica, a rendere rigoroso e scientificamente corretto il pensiero cd il linguaggio. Dallo studio del diritto trae poi origine, con Graziano, la formazione del diritto canonico; questi pubblica nel 1139 il primo codice di leggi ecclesiastiche, chiamato Decretum; ma con i primi commenti a tale codice, che cominciarono a scriversi prima dcl 1150, si accentua sensibilmente l'autonomia del diritto canonico dal diritto civile. Baruch_in_libris CAPITOLO XVIII La seconda metà del secolo xli GIOVANNI DI SALISBURY ED AVERRO:t 1. Il periodo. La seconda metà del secolo xn si apre con l'ascesa al trono imperiale di Federico Barbarossa e si conclude con la conquista di Costantinopoli a compimento della 1v crociata e con il costituirsi dell'impero latino d'Q. riente. Il periodo è dominato da un lato dalla lotta fra l'impero e i comuni italiani, dall'altro dall'affermarsi in Francia ed in Inghilterra del potere monarchico sulle forze feudali. Nel campo religioso il cristallizzarsi dell'organismo ecclesiastico si accompagna a moti di ispirazione popolare e di tendenza spesso anti-cattolica; i catari si rafforzano nel sud della Francia; apostolo della rinascita religiosa è in questo tempo Gioacchino da Fiore, che predica l'avvento dell'età dello Spirito santo; ma sul finire del secolo si profila, con la figura di papa Innocenzo III, una violenta controffensiva che tende a ricondurre i movimenti religiosi popolari entro l'orbita della disciplina ecclesiastica, pena il loro sterminio. Nel campo della cultura, si ha un rilevante incremento delle istituzioni universitarie; la prima organica configurazione dell'università di Parigi, che risulta dall'iniziativa di tre scuole, quella della cattedrale di Notre-Dame, quella di san Vittore e quella dell'abbazia di Santa Genoveffa, risale al 1170; gradualmente gli studi si vennero organizzando in quattro facoltà: delle arti, di teologia, di legge e di medicina; il primo riconoscimento dell'università di Parigi da parte dcl re di Francia risale al 1180, ma l'organizzazione effettiva dell'università poté dirsi completa soltanto qualche decennio piu tardi, intorno al 1230. Quando nel 1167 gli studenti inglesi furono richiamati da Parigi, raccogliendosi in numero notevole ad Oxford diedero il primo avvio alla costituzione di quella università. Altro aspetto importante della storia culturale di questo periodo è l'intensificarsi delle traduzioni dall'arabo e dal greco. Il piu grande traduttore del suo e forse di ogni altro tempo è Gerardo da Cremona che mori a Toledo nel u87; sono tanti i testi Baruch_in_libris J..A SECONDA METÀ DEL SECOLO XII CAP. XVIII da lui tradotti e di tanto varie discipline che si deve pensare che egli si sia servito di tutta una scuola di t:·aduttori, sotto la sua direzione; Gerardo ha reso accessibile al mondo latino la parte piu rilevante della cultura greca ed araba, sia filosofica che scientifica; fra le opere filosofiche piu importanti tradotte da Gerardo ricorderemo gli A natitici secondi di Aristotele, il commento ad Aristotele di Alessandro di Afrodisia, scritti di al-Kindi e di al-Farabi. Anche Enrico Aristippo di Catania, morto intorno al u62, è noto per aver portato in Sicilia molti manoscritti greci e per aver tradotto dal greco in latino il Menone ed il Pedone di Platone ed i quattro iibri della Meteorologia di Aristotele. La filosofia nella seconda metà del secolo xu si afferma in Occidente con la dottrina logica e politica di Giovanni di Salisbury che è espressione tipica dell'ambiente della scuola di Chartres; intanto nelle scuole, specialmente francesi, si viene applicando un metodo razionalmente piu rigoroso per la trattazione dei problemi sia filosofici che teologici; da questa esigenza che aveva avuto una prima espressione già nel Sic et non di Abelardo deriva il compendio teologico di Pier Lombardo, dal titolo Libri quattuor sententiarum, che rimase per piu di tre secoli il testo normale per lo studio della teologia nelle università. Nel mondo arabo fiorisce nello stesso tempo il maggiore e l'ultimo dei pensatori della tradizione mussulmana, Averroé, il cui pensiero doveva esercitare un influsso rilevante anche sullo sviluppo della cultura occidentale. 2. Giovanni di Salisbury. Nato in Inghilterra, nel 1120, Giovanni di Salisbury compie la sua formazione in Francia, dove ascolta le lezioni di Abelardo e di parecchi altri maestri; in particolare egli frequenta e si lega all'ambiente culturale di Chartres; compiuti i suoi studi, intorno al II48 si dedica all'attività amministrativa ecclesiastica, dapprima presso la corte pontificia e poi quale segretario del vescovo di Canterbury; negli ultimi anni della sua vita, dal 1176 al 1180 occupa la sede vescovile di Chartres. I suoi due scritti piu importanti sono dedicati l'uno alle questioni di logica (e si intitola Metalogicon), l'altro ai problemi politici (e si intitola Policraticus). La cultura di Giovanni ha un'impronta spiccatamente letteraria ed umanistica; in essa acquistano grande rilievo la "eloquentia" e lo studio dei classici; però la "eloquentia" si deve accompagnare ad un solido contenuto. Quanto alla logica, l'atteggiamento di Giovanni vuol evitare due posizioni estreme: quella, da un lato, di chi avversa la logica ed il suo studio con vari pretesti; ma Baruch_in_libris GIOVANNI DI SALISBURY anche quella di quanti si dedicano allo studio della logica come se esso esaurisse tutto il sapere; «è evidente, egli scrive, che la logica non è presente in coloro che gridano nei crocicchi ed insegnano nei trivi dedicandosi soltanto alla logica, alla quale riservano non un decennio o un ventennio, ma l'intera loro vita; anche quando la vecchiaia snerva il corpo ed ottunde i sensi, non hanno altro nella bocca e solo la logica prende il posto di tutti gli altn studi; cosi da vecchi ridiventano bambini, cercano sempre e non arrivano mai alla scienza». Giovanni mette in ridicolo il logico " puro " perché ritiene che la logica giovi a ciascuno « secondo la misura del contenuto cui la applica »; essa gioverà molto a chi possiede molte conoscenze, mentre, se rimane isolata, diviene « exsanguis et sterilis ». Riguardo ai problemi filosofici piu generali, Giovanni si dichiara "academico "; non già che egli pensi di seguire lo scetticismo estremo di coloro i quali dichiarano di non sapere nulla; tale posizione gli sembra del tutto astratta; intende invece attenersi al criterio della conoscenza probabile, che, richiamandosi all'esperienza, procede con rautela, senza la pretesa di giungere sempre al sapere necessario; «preferisco con gli academici, scrive Giovanni, dubitare intorno alle singole cose, anziché definire temerariamente con una dannosa simulazione di scienza ciò che è ignoto o nascosto ». Importa soprattutto non confondere il campo della verità necessaria con quello della semplice probabilità; solo Dio conosce intimamente la natura delle cose, la sua forza ed i suoi piani; nei riguardi del mondo, perciò, è meglio esplorare il corso normale delle esperienze con la massima diligenza, lasciando sempre aperta la strada alla correzione ed all'integrazione delle conclusioni precedenti. Un caso clamoroso di eccessiva fiducia nella conoscenza necessaria della natura è quello offerto dai " matematici " i quali « dalla posizione delle stelle, dal sito del firmamento e dal moto dei pianeti congetturano intorno al futuro»; l'astrologo o "matematico" è colui che non conscio dei limiti della conoscenza giunge a conclusioni erronee, çome quella che fa dipendere tutte le azioni umane dalle costellazioni, negando la libertà dell'iniziativa razionale. Alla radice di tale atteggiamento sta la preoccupnione religiosa di impedire alla scienza di giungere a conclusioni contrarie alla fede. Le due uniche basi della certezza sono, per Giovanni. la conoscenza sensibile e la fede. 275 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO XII CAP. XVIII Il pensiero politico svolto nel Policraticus si richiama ai concetti di Cicerone e principalmente alla dottrina che fa dipendere l'unione nella società da un accordo comune circa la legge ed il diritto. Indubbi1mente Giovanni si mostra preoccupato anche dalla questione dei rapporti fra l'autorità politica e quella religiosa; ma egli insiste sulla subordinazione di entrambi i poteri ad una disciplina obbiettiva che li renda legittimi; fonte comune di ogni potere è Dio; anche il potere politico deriva da lui; ma bisogna che l'esercizio di ogni potere corrisponda alle leggi di cui Dio è fondamento e garanzia; «vi sono dei precetti, scrive Giovanni, che hanno stabile necessità, che sono legittimi presso tutti i popoli e che non possono, sotto alcun riguardo, essere impunemente sciolti »; ..anche il principe è tenuto ad obbedire a questi precetti, pena la illegittimità del suo potere; «tra un tiranno ed un principe, insiste l'autore del Policraticus, c'è quest'unica e capitale differenza, che il principe obbedisce alla legge e governa il popolo con i suoi editti rendendosi conto di esistere solo per la sua utilità; i re sono vincolati dalla legge» il che non avviene dei tiranni; né vi sono soltanto tiranni secolari; i tiranni ecclesiastici, anzi, sono in generale piu pericolosi di quelli secolari. L'esistenza di leggi obiettive eterne, mentre consente di distinguere il principe dal tiranno, impone anche di liberarsi di quest'ultimo: « uccidere il tiranno, scrive Giovanni, non solo è lecito, ma è anche equo e giusto; il potere pubblico giustamente infierisce contro colui che si sforza di svuotare la pubblica potestà». Giovanni non conosce la Politica di Aristotele; le sue fonti sono gli scritti di Cicerone e di Seneca ripresi dai Padri della chiesa, nonché le opere dei giuristi romani. 3. Sviluppi delle scuole in Francia. Nel secolo XII si moltiplicano i tentativi di raccogliere questioni nate dallo studio della Bibbia e le soluzioni ad esse fornite sia dai Padri, sia posteriormente; appunto perché il compito principale di queste compilazioni era di raccogliere le vedute dei Padri sulle questioni piu controverse, furono chiamate spesso Sententiae. Questi manuali si distinguono fra loro per la distribuzione della materia e per l'accentuazione particolare di alcune dottrine rispetto ad altre. Baruch_in_libris § 3 SVILUPPI DELLJ! SCUOLJ! IN FRANCIA Già il Sic et non di Abelardo aveva raccolto le sentenze contrastanti dei Padri su alcuni piu rilevanti problemi di dottrina religiosa; l'intento dell'autore della raccolta era stato quello di chiarire che tali problemi non dovevano ritenersi del tutto risolti e che pertanto andavano ulteriormente discussi ed approfonditi. Il materiale raccolto da Abelardo fu utilizzato anche da Pier Lombardo (noo-n6o) per i suoi Libri quattuor sententiarum, opera che divenne il testo scolastico ufficiale per lo studio della teologia; ma lo spirito della raccolta di Pier Lombardo è conciliativo, anziché problematico; forse proprio per questo l'opera ebbe grande fortuna. Nella teologia di questo periodo si fa strada l'esigenza di rivolgersi specialmente ai seguaci dei movimenti ereticali disseminati in Francia ed altrove con dei procedimenti razionali rigorosi, capaci di dare alle verità della fede cristiana una base scientificamente solida. Per questo, per es., Alano di Lilla (n28-1202) nelle sue Regulae de sacra theologia, proprio con il proposito di porre gli eretici e gli infedeli di fronte a delle dimostrazioni rigorose in questioni teologiche, tenta di elaborare la teologia alla maniera di una scienza matematica, partendo da principii necessari ed immutabili come assiomi, ·procedendo poi deduttivamente alle varie massime dalle piu alle meno universali, in maniera che quelle che vengono prima servano a dimostrare quelle che vengono dopo, mentre tutte debbono essere ricondotte, in modo diretto o indiretto, a delle prime proposizioni evidenti. Anche Nicola di Amiens che è contemporaneo di Alano, nel suo De arte catholicae fidei elabora una trattazione teologica di tipo geometrico euclideo. Non si tratta tanto di rinunciare all'essenziale impenetrabilità delle verità della fede; ma al livello delle ragioni umane, si può argomentare in forma pienamente persuasiva seguendo lo schema matematico. Il primo diffondersi di testi importanti della scienza matematica reca cos{ con sé l'adozione di un metodo deduttivo, la cui applicazione viene estesa anche all'ordinamento e alla dimostrazione delle proposizioni teologiche. 4. Averroè. Averroè è, si è detto, il maggiore e l'ultimo dei pensatori della tradizione mussulmana; dopo di lui, infatti, l' intolleranza ed il fana- Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO XII CAP. XVIII tismo impediscono e scoraggiano ogni sviluppo dottrinale. Nato a Cordova nel 1126, coltivò fin da giovane gli studi ?i diritto e di medicina; pur esercitando la funzione di giudice, si applicò piu tardi alla filosofia, all'astronomia ed alle matematiche; nell'ultimo periodo della sua vita, passata presso la corte del califfo del Marocco, subi persecuzioni a causa delle sue dottrine; dopo aver ricoperto la carica di medico di corte ed aver esercitato funzioni pubbliche, fu infatti mandato in esilio e parecchi dei suoi scritti furono bruciati; mori nel Marocco nel 1198, l'anno stesso in cui era stato richiamato dall'esilio. Le sue opere piu importanti comprendono: i commenti agli scritti di Aristotele conosciuti da Averroè non nel testo greco ma nella versione araba, un'enciclopedia medica o Liber universalis de medicina, 1in commento ali' Almagesto di Tolomeo ed uno scritto polemico contro al-Ghazzali dal titolo: Destructio destructionis philosophorum. Averroè è pa~sato ai posteri soprattutto come il commentatore di Aristotele; egli ha scritto tre commenti a tale autore, progressivamente piu ampi ed elaborati, dal primo che ha la forma di un sommario di argomenti fino al piu esteso che presenta gli sviluppi piu originali. Anche i pensatori arabi precedenti avevano fermato la loro attenzione sull'opera dello Stagirita; ma Averroè ha un duplice vantaggio: da un lato egli conosce ormai l'intero corpus aristotelico completamente tradotto in lingua araba e dall'altro egli non attribuisce piu ad Aristotele quegli scritti di ispirazione neo-platonica che i filosofi precedenti avevano scambiato per genuine espressioni del pensiero peripatetico. Averroè ha anzi posto il massimo impegno a determinare l'autentico pensiero di Aristotele ·liberandolo dalle interpretazioni e dalle sovrastrutture che, soprattutto per motivi religiosi, avevano finito per deformarlo in senso mistico e platonico. La· fiducia di Averroè nel genuino Aristotele è tutt'uno con la sua fiducia nella filosofia e nella scienza. Se si tiene presente la risonanza che aveva avuto nel mondo arabo l'attacco di al-Ghazzali contro le pretese della filosofia e la conseguente difesa del mistic~smo religioso, se si considera che tale attacco giungeva fino ad una schietta professione di scetticismo nei confronti della stessa scienza della natura basata sul rapporto causale, si comprenderà quanto fosse arduo il compito di Averroè di riportare la cultura ad una considerazione positiva della filosofia e della scienza. È per assolvere questo compito ~iB Baruch_in_libris § 4 AVERROÈ che egli si accinge, come dichiara il titolo della sua opera contro alGhazzali, a distruggere la distruzione che quest'ultimo aveva cercato di fare della filosofia e dei filosofi. E poiché al-Ghazzali aveva preteso di condannare la filosofia proprio per svincolare da ogni rigida norma razionale la visione religiosa, Averroè intende a sua volt:i mostrare come la fondazione e lo sviluppo rigoroso della scienza siano pienamente coe· renti con la rivelazione del Corano. «Il negare l'esistenza delle cause che ci appaiono nel mondo sensibile, egli scrive con chiaro riferimento polemico al pensiero di al-Ghazzali, è un discorso sofistico; ed il teologo su questo punto o nega con la lingua ciò che ammette nel cuore o segue un'involuzione sofistica»; al-Ghazzali si appellava all'assoluta iniziativa di Dio nell'ordinamento del mondo, per contrastare alla scienza la sua pretesa ad un sapere stabile e necessario: Averroè ribatte che attribuire a Dio un assoluto arbitrio, sottratto ad ogni regola, equivale a considerarlo « come imperante sugli enti del mondo al modo di un re tirannico che possiede sovranità assoluta, di fronte al quale non esiste alcuna opposizione nel regno, né legge che lo regoli, né consuetudine; ed allora le sue azioni saranno necessariamente sconosciute per loro natura e quando ha luogo una sua azione, è cosa per sua natura sconosciuta se questa durerà o no». A que.sto arbitrarismo teologico Averroè contrappone una concezione razionale della divinità come principio di stabilità e di continuità : quello di Dio è come « il comando di un re per il quale hanno stabilità nelle città tutti i comandi di coloro che il re ha preposti agli affari »; Dio è « come un principe che abbia molti ufficiali, i quali abbiano a loro volta altri ufficiali alle loro dipendenze; questi non hanno la loro esistenza come tali, se non in quanto ricevono il loro comando dal principe ed il loro ufficio non ha esistenza se non in quanto essi lo ricevono cd eseguiscono gli ordini». Questa concezione della divinità giustifica l'esistenza della "natura", come una realtà che, pur dipendendo da Dio, riceve da lui una struttura fissa e stabile, tale che la scienza ne può fare l'oggetto della sua indagine : « La scienza in noi, afferma Averroè, è sempre una cosa che segue la natura degli enti; se noi abbiamo scienza degli enti, vuol dire che negli enti vi è uno stato dal quale dipende la nostra scienza; lo stato che si trova negli enti, per cui essi danno luogo al ripetersi dei fatti secondo una consuetudine, è appunto ciò che i filosofi chiamano natura ». « La scienza, Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO XII CAP. XVIII egli insiste, dipende dall'esistenza di tale natura». Nella natura degli esseri si concreta la stessa sapienza di Dio e la legge posta da Dio nella natura « non subisce mutamenti »; in forza dunque del comando di Dio « hanno stabilità i cieli e la terra »; questa appunto, conclude Averroè, «è la dottrina che nell'interpretazione dei filosofi piu si presta ad evitare ogni dubbio». A partire dunque dai corpi celesti, tutti i movimenti sono "determinati", tutte le operazioni sono "determinate", «l'ordine e la disposizione di tutti gli esseri sono determinati»; i fatti ed i movimenti seguono gli uni dagli altri "di necessità"; in quest'ordine appunto la scienza rigorosa trova il suo piu solido fondamento. È proprio nella determinazione dell'ordine necessario e razionale della natura che Averroè si giova largamente della speculazione di Ari' afferma, coincide con la suprema stotele; «la dottrina di Aristotele, egli verità, per cui si dice giustamente che egli è stato creato e ci è stato dato dalla divina provvidenza, affinché noi potessimo conoscere tutto quello che è conoscibile». I punti principali nei quali Averroè modella la sua dottrina su quella di Aristotele sono tre: la concezione sostanzialistica ed individua del reale, l'eternità del mondo, la dottrina dell'intelletto agente e la conseguente negazione dell'immortalità individuale. Circa il primo punto, Averroè si stacca sensibilmente dalla visione di Avicenna per il quale la ·realtà è una trama di essenze, gerarchic~ente ordinate, cui sopraggiunge l'esistenza; egli accoglie invece la concezione aristotelica che identifica la realtà con le sostanze individuali, per cui ciò che esiste non ha la sua giustificazione in un'essenza che resta esterna al suo concreto esistere, ma esiste di pieno diritto proprio nella sua individualità; l'essenza fa dunque tutt'uno con l'individuo e pertanto su una struttura unitaria ed univoca del reale ha il sopravvento una considerazione puramente analogica degli esseri, che si richiama alla concreta originalità di ciascuno piu che agli schemi astratti che li unificano; ai termini universali che noi usiamo corrispondono realmente soltanto gli individui singoli; è l'intelletto che, astraendo dal.le sostanze individuali la natura comune, consente alla scienza di essere per un lato concreta in quanto prende ad oggetto le realtà esistenti e dall'altro universale in quanto è tale· il modo in cui riesce a conoscerli. Averroè respinge pertanto l'esistenza di idee separate dagli individui, anche se riconosce che gli individui non sono semplici, ma risultano di materia e 280 Baruch_in_libris § 4 AVEllllOÈ di forma, di potenza e di atto, di un principio determinante e di uno determinato. Quanto al secondo punto, Averroè riprende la dottrina aristotelica del movimento, secondo la quale ciò che viene mosso è in potenza, mentre ciò che muove è in atto; partendo da ciò che viene mosso, non si può spiegare il movimento solo ammettendo un numero infinito di esseri che per un lato muovono ciò che è inferiore ad essi e per l'altro sono mossi da qualche cosa che è loro superiore; bisogna arrivare di necessità a delle cause prime che muovono senza essere mosse, che sono in atto senza alcuna mescolanza di potenza, appunto secondo il principio aristotelico per il quale ciò che passa dalla potenza all'atto presuppone ciò che è già in atto. Ciò comporta che, per un lato, il mondo ed il suo movimento siano eterni e per l'altro che esistano delle sostanze separate ed immateriali che a partire dal primo motore immobile presiedon~ al movimento dei corpi celesti. Il mondo è eterno perché Dio come atto puro è eterno principio di movimento; le sostanze separate sono molte perché sono molti i movimenti primi dell'universo da cui dipendono tutti gli altri. Da Dio motore immobile il movimento si propaga al cielo delle stelle fisse, quindi alle sfere di tutti i pianeti fino alla sfera della luna, il cui motore dà origine all'Intelletto agente che è causa della conoscenza per tutti gli uomini. Anche nel terzo punto indicato, quello che concerne la conoscenza intellettiva, Averroè si attiene al principio, aristotelico per cui essa va spiegata come un passaggio dalla potenza all'atto; le immagini che derivano dai sensi non sono ancora i concetti e costituiscono semplicemente una "disposizione" a riceverli; tale disposizione è appunto l'intelletto materiale, che da solo non potrebbe mai giungere al possesso degli intellegibili; come il colore, spiega Averroè, per essere visto dagli occhi, ha bisogno della luce, cosI l'intelletto materiale non riceve gli intellegibili, cioè i concetti, se non viene illuminato da un principio attivo, che coincide appunto con lintelletto agente; «come la luce fa che il colore in potenza passi in atto in modo che possa muovere la vista, cosI l'intelletto agente fa che i concetti intellegibili in potenza passino in atto, in maniera che l' intelletto materiale li riceva »; quando poi l' intelletto materiale ha raggiunto la perfezione congiungendosi con l'intelletto agente, si ha quell'unione di essi che Averroè indica col nome di intelletto acquisito. Ma la questione principale è di sapere quale natura abbia ciascuno di 381 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO XII CAP. XVIII questi principi che cooperano alla conoscenza, soprattutto in relazione al soggetto individuale. Si è già visto che, secondo Averroè, l'intelletto agente è una sostanza separata identica per tutti gli uomini; ma anche l'intelletto materiale è, a suo avviso, «uno di numero in tutti gli uomini individui, non generabile e non corruttibile»; la ragione di ciò è la seguente: « se ammettiamo che un tale intelletto materiale sia numerato secondo la numerazione degli uomini individui, si dovrà ammettere che esso è qualche cosa di singolare, cioè corpo o virtu del corpo »; ed allora esso conferirà carattere di particolarità a tutto ciò che si conosce, ossia sarà impossibile da parte sua accogliere degli intellegibili veramente universali; il che è quanto dire che se l'intelletto materiale (cioè in potenza) è individuale, riceverà solo forme individuali e non concetti ; «per questo, conclude Averroè, Aristotele ha ritenuto che questo intelletto non sia individuale». Alla difficoltà per cui, ponendo che l'intelletto materiale sia unico per tutti gli uomini, segue che «se alcuno degli individui avrà conseguito un intellegibile, bisognerà che quello stesso intellegibile sia conseguito anche da tutti gli altri individui >l, Averroè risponde che una certa molteplicità dell'intellegibile si ottiene in quanto esso, in ciascun individuo, si unisce alle immagini che sono particolari; ma a lui pare difficoltà maggiore quella che nascerebbe se lo stesso intellegibile si moltiplicasse secondo la molteplicità degli esseri conoscenti, giacché allora si avrebbe un numero infinito di intellegibili «ed il discepolo non potrebbe imparare dal maestro» divenendo impossibile ogni trasmissione della scienza. La soluzione di Averroè consiste appunto nel ritenere che l'intellezione in guanto tale è unica, mentre diviene molteplice solo per l'immaginazione cui si congmnge. È troppo evidente che almeno su due punti importanti la dottrina di Averroè si veniva a trovare in aperto contrasto con il Corano: mentre questo spiega l'origine del mondo con la creazione da parte di Dio, Averroè si appella all'eternità dell'universo, e mentre il Corano afferma l'immortalità dell'anima individuale, Averroè la sacrifica in pieno all'immortalità della scienza. Quale l'atteggiamento di Averroè di fronte a cosi grave contrasto? Egli chiarisce la questione osservando che mentre il popolo semplice si attiene al significato simbolico ed esteriore del Corano a causa della sua ignoranza, l'uomo di scienza che esige Baruch_in_libris § 4 AVERROà prove rigorose e dimostrazioni, approfondisce il senso nascosto della rivelazione mediante la sua ricerca filosofica; ognuna delle due posizioni è legittima al suo livello, per cui non si può né pretendere che lo scienziato si adegui all'ignoranza del popolo, né richiedere che il popolo si elevi alla visione scientifica. Riconoscendo cosi che il Corano nella sua espressione letterale compendia una sorta di elementare filosofia per il popolo, Averroè accetta che la ricerca filosofica propria dello scienziato resti a lui riservata e che anche i suoi risultati restino chiusi nella sfera dei competenti; quando lo spirito scientifico il quale anima gli uomini superiori viene divulgato al popolo, il metodo dimostrativo dell'uno e l'oratoria appassionata dell'altro si mescolano insieme, generando confusioni ed eresie. Se questa soluzione consentiva ad Averroè di svolgere la sua ricerca filosofica e di costruire la sua visione razionale del mondo in piena autonomia dal fanatismo religioso popolare, egli non poteva però evitare un'altra difficoltà, quella derivante dal fatto che l'unità religiosa dell'Islam richiedeva che scienziati e popolo avessero almeno un minimo di terreno comune nella professione della fede; perciò appunto anche l'uomo di scienza non poteva esimersi dall'accettare determinate verità di fede, senza delle quali non sarebbe stato ritenuto partecipe della comune credenza; una di tali verità era certamente quella dell'immortalità dell'anima; ed allora~ come poteva Averroè per un lato professare la dottrina di derivazione aristotelica circa l'unicità dell'intelletto e per l'altro accogliere la credenza nel!' immortalità, propria della fede comune? Nel caso specifico, ecco come egli risolve il problema: « Per rationem concludo de necessitate quod intellectus est unus numero, firmiter tamen teneo oppositum per fidem ». Gli interpreti piu tardi della sua dottrina hanno parlato, a questo riguardo, di « doppia verità », il che si deve intendere nel senso che Averroè da una parte non ha voluto abbandonare la ricerca filosofica condotta in modo autonomo secondo criteri specifici di necessità e di razionalità e dall'altra parte non ha voluto considerare la verità filosofica come assoluta ed esclusiva nei confronti della fede. Il risultato piu cospicuo di questa sistemazione dottrinale è ormai la rinuncia al compromesso fra filosofia e religione; o, meglio, Averroè rinuncia al compromesso interno fra le due, dando pieno sviluppo alla filosofia indipendentemente dalla sua piena concordia pregiudiziale con Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO XII CAP. XVIII la religione, senza rinunciare tuttavia ad una sorta di compromesso esterno che lasci sussistere fede e ragione, l'una accanto all'altra, an- · che se, ormai, su terreni distinti e diversi. Contemporaneo di Averroè è Mosè Maimonide (n35-1204) che con il suo scritto la Guida dei perplessi ha esercitato un largo influsso sul posteriore pensiero ebraico; formatosi in Spagna, egli svolge la sua attività in Egitto e risiede a lungo in Oriente. Anziché applicarsi a mostrare che l'insegnamento della Bibbia concorda con le conclusioni che si ricavano dalla riflessione razionale, egli tenta di ricavare la stessa dottrina filosofica dal testo rivelato con appropriati metodi di esegesi allegorica; per dottrina filosofica poi egli intende, in· sostanza, quell'aristotelismo platonizzante già fatto proprio dalla precedente riflessione sia mussulmana che ebraica. In proprio Mosè approfondisce specialmente la dottrina della teologia negativa, la difesa del principio creazionistico e la teoria dell'Intelletto agente che è veicolo dell'illuminazione divina, da cui derivano il dono della profezia e la facoltà divinatoria. 5. Lo sviluppo delle scienze. Per quanto concerne le scienze particolari, la seconda metà dcl secolo ha visto un rigoglioso sviluppo delle discussioni intorno all'astronomia di Tolomeo condotte dai dotti arabi di Spagna e del Marocco, un ampio incremento della geografia che compie i suoi maggiori progressi ancora nella Spagna per opera degli studiosi mussulmani, infine un'intensa produzione medica che vanta fra i suoi autori lo stesso Averroè; ma accanto a questi risultati conseguiti da parte dci Mussulmani e degli Ebrei, si collocano ormai risultati sempre piu validi ai quali giunge la cultura occidentale del tempo: &a questi bisogna dare un peso particolare alla pubblicazione e diffusione in lingua latina dell'Almagesto di Tolòmeo cd al brillante sviluppo della scuola medica di Salerno giunta ormai all'apogeo del suo splendore; soltanto le turbinose vicende politiche che portarono nel I 193 alla distruzione della città di Salerno posero termine, in modo repentino, alla vita di quella scuola che aveva portato per la prima volta la medicina europea a gareggiare. con la scienza araba cd ebraica. XII Baruch_in_libris CAPITOl.0 XIX La prima metà del secolo xm ALESSANDRO DI HALES E ROBERTO GROSSATESTA 1. Il periodo. La prima metà del secolo xm si apre con il grandioso tentativo teocratico di Innocenzo III: «lo sono stabilito da Dio, egli scrive, al di sopra dei popoli e dei regni; nulla di ciò che avviene nell'universo deve sfuggire all'attenzione ed alla potestà del sovrano pontefice ». Ma l'immensa ambizione del papa non riesce a togliere di mezzo le forze nazionali che ormai si vengono consolidando non piu dentro i vecchi schemi del feudalesimo, ma nelle nuove strutture sociali ed organizzative dello Stato moderno. L'antitesi piu completa dell'opera e del pensiero di Innocenzo III si ha nell'azione di re Federico II, che è l'esponente piu autorevole della rivendicazione dell'autonomia del potere politico rispetto a qualsiasi ingerenza teocratica. Il fermento religioso si avverte in questo periodo, non soltanto attraverso le iniziative del papato, quali la crociata contro gli Albigesi e la costituzione dell'inquisizione, ma anche nella vivacità dei movimenti contro i quali la chiesa prende posizione e nella creazione di nuovi indirizzi che si mantengono nell'ambito dell'ortodossia e della disciplina ecclesiastica; risale al 1210 la fondazione dell'ordine francescano, che, animato, alle sue origini, dall'idea di un ritorno completo alla primitiva esperienza cristiana della povertà e del distacco dai beni mondani, è tormentato, dopo la morte del fondatore avvenuta nel 1226, da contrasti fra un indirizzo piu spirituale ed uno piu conciliante e remissivo rappresentato dai conventuali. Al 1215 risale la fondazione dell'ordine domenicano che si propone come obbiettivo fondamentale la predicazione del V angelo fra gli infedeli e gli eretici. Soltanto verso la metà del secolo si ha la fondazione dell'ordine degli eremiti di sant' Agostino. La fondazione degli ordini francescano e domenicano ha anche un n°: tevole rilievo culturale; essi si organizzano in provincie, ognuna delle quah ha il suo sludium partiC"ulare ossia una scuola in cui vengono istruiti i :aBS Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO XIII CAP. XIX monaci; nei centri piu importanti vengono poi costituiti degli studia generalia che, mentre provvedono a preparare i maestri per le scuole delle provincie, fanno anche parte degli organismi universitari. Le traduzioni dall'arabo e dal greco hanno anche in questo periodo un notevole peso nella formazione culturale; il centro piu importante di incontro della cultura araba con quella latina si ha a Palermo alla corte di Federico II; il piu noto dei traduttori che vivono alla corte di Palermo è Michele Scoto, che ricopre anche la carica di astrologo di corte e muore intorno al 1235; per opera dei traduttori, l'Occidente latino allarga sensibilmente la sua conoscenza delle opere aristoteliche; a Michele Scoto si deve la traduzione del De caelo et mundo e del De anima; Roberto Grossatesta traduce l'Etica; agli inizi del secolo si diffondono le traduzioni della Fisica, della Metafisica e dei Parva naturalia; piu tardi incominciano a circolare anche le traduzioni della Politica, dell'Etica e della Retorica; cosi pressoché l'intero corpus aristotelico giunge nell'Europa occidentale; e vi giunge accompagnato dai commenti di Averroè, tradotti da Michele Scoto. La prima reazione degli ambienti religiosi alla diffusione dell'opera di Aristotele è negativa; nel 1210 un concilio provinciale proibisce a Parigi l'insegnamento pubblico e privato della fisica e della metafisica di Aristotele; nel 1215 la proibizione viene ribadita con particolare riferimento all'università di Parigi; si vedeva un troppo aperto contrasto della dottrina aristotelica con la fede. Le università guadagnano intanto sempre maggiore importanza; sorgono università nuove, come quella di Napoli fondata da Federico II nel 1224, quella di Padova la cui fondazione risale al 1222 e quella di Cambridge che si affianca nel 1209 all'università di Oxford; le due università che emergono sulle altre sono quelle di Parigi e di Oxford. L'università di Parigi diviene il piu importante organismo di studio del tempo; con l'appoggio del papato, i· due nuovi ordinì religiosi vi conquistano ben presto delle cattedre di insegnamento, dalle quali esercitano un largo influsso sulla cultura religiosa e filosofica di tutta Europa. 2. Alessandro di Hales e l'università di Parigi. I francescani si stabiliscono a Parigi nel 1219 e nd 1232 ottengono una cattedra di teologia all'università; i domenicani si affermano a Parigi nel 1217, nel 1229 ottengono una prima cattedra all'università e ad essa ne aggiungono una seconda nel 1231. Fra i due ordini si determina abbastanza presto una certa rivalità; i francescani dal punto di vista dottrinale si richiamano alla tradizione platonico-agostiniana, 286 Baruch_in_libris ; 2 ALESSANDRO DI HALE& mentre i domenicani si orientano piuttosto verso l'aristotelismo. Alessandro di Hales, di origine inglese, insegna a Parigi intorno al 1220 in qualità di maestro secolare; quando entra nell'ordine francescano diviene il primo maestro dell'ordine che insegni nell'università di Parigi; tale insegnamento dura dal 1232 al 1238. Ad Alessandro viene attribuita una Summa theologica che probabilmente non è soltanto opera sua; ma è un testo notevole per comprendere l'orientamento assunto dal movimento francescano nel primo periodo dell'insegnamento parigino. ·Gli esponenti del . movimento sono a co\1oscenza sia delle opere di Aristotele, come degli scritti di Avicenna; ma il loro tentativo è quello di accogliere alcune dottrine tipiche della tradizione culturale platonica e neo-platonica, inglobandole tuttavia nel contesto basilare della tradizione agostiniana. Essi accolgono, per es., la dottrina delle idee, ma anziché porle in un'intelligenza separata, le considerano come derivanti immediatamente da Dio. La dottrina dell'astrazione e dell'intelletto agente vengono parimenti riprese e modificate; l'intelletto agente non viene inteso come una sostanza separata, ma viene considerato come la « vis animae suprema » cioè come un elemento dell'anima individuale, che risulta di intelletto attivo e di intelletto passivo. Quanto al processo dell'astrazione, esso viene utilizzato per spiegare il cammino che la conoscenza umana compie dalle immagini fino ai concetti universali ed ai primi principii; e qui l'accettazione dello schema gnoseologico aristotelico è pressoché completa, anche se poi si cerca di unire la dottrina dell'astrazione con quella dell'illuminazione divina; per un lato l'azione illuminatrice che Dio esercita sull'intelletto umano corrisponde alla funzione che gli arabi avevano attribuito all'intelletto agente, per l'altro essa assolve il compito di stabilire piu saldamente il legame fra l'anima e la realtà soprannaturale di Dio, secondo la tradizione agostiniana. Altre dottrine affermate dai maestri di teologia a Parigi e ricavate dalla tradizione del neo-platonismo arabo sono le seguenti: la distinzione avicenniana dell'essenza e dell'esistenza che consente di chiarire la distinzione di Dio dal mondo, mentre conferisce particolare rilievo alla presenza divina nell'universo; l'accentuazione del volontarismo divino per cui la libera creazione dell'universo non modifica la realtà divina e la natura e l'operazione degli esseri finiti dipendono sempre di- Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO XIII CAP. XIX rettamente da Dio; si respinge quindi la nozione di "natura" elaborata da Averroè per esaltare la libera iniziativa divina; a ciò si aggiunga una dottrina dell'anima posta fra il mondo della realtà sensibile e Dio, nel quale essa trova rispecchiati tutti gli intellegibili, i principii stessi e le regole della verità. In sostanza tutte queste dottrine tendono a riaffermare l'esigenza religiosa nei confronti delle teorie che, nella tradizione neo-platonizzante degli arabi, risultavano piu apertamente in contrasto con essa; ma tale atteggiamento è giudicato troppo conciliante dalla chiesa. Gregorio IX scrive infatti nel 1228 ai maestri di teologia dell'università di Parigi : « Siamo riempiti di amarezza nel sentir riferire che alcuni fra voi, gonfiati come otri dallo spirito di vanità, spostano, seguendo uno spirito di empia novità, i confini posti dai Padri e sollecitano nel senso ··della filosofia pagana il significato del testo sacro la cui interpretazione è stata d'altronde chiusa dal lavoro dei Padri entro confini precisi, confini che non è solo temerario, ma empio trasgredire »; il papa continua precisando che compito dei veri teologi è quello di c1 riporre la loro fiducia in Dio per distruggere tutto ciò che si oppone alla scienza di Dio e per ridurre in cattività ogni ragione mediante la sottomissione al Cristo »; e lamenta che essi, per contro, si lascino sviare da dottrine « diverse e straniere » finendo cosi per mettere la teologia, che dovrebbe essere regina, al servizio della filosofia, che dovrebbe essere serva. 3. Roberto Grossatesta e l'università. di Oxford. L'università di Oxford è meno direttamente sotto il controllo del papato e segue pertanto piu liberamente gli indirizzi di studio rispondenti al pensiero dei maestri che vi insegnano; a Parigi predomina lo studio della dialettica e della metafisica; ad Oxford si presta maggiore attenzione allo studio del quadrivio, quindi alle discipline Sc:ientifiche. Tale indirizzo si afferma nell'università inglese fin dalla prima metà del secolo xm con il maestro secolare Roberto Grossatesta che è primo cancelliere dell'università di Oxford e primo insegnante nella scuola francescana istituita nella città; creato vescovo di Lincoln nel 1235, egli muore od 1253. La diversità della sua a88 Baruch_in_libris § 3 llOBEllTO GllOSSATESTA formazione rispetto a quella dei maestri parigini risulta immediatamente dai suoi scritti; se per un lato egli è traduttore dell'Etica a Nicomaco e commentatore dei Secondi analitici e della Fisica di Aristotele, se inoltre traduce e commenta anche alcuni scritti di Dionigi pseudo-Areopagita, d'altra parte egli compone scritti che trattano della generazione delle stelle, delle comete, della luce, dell'iride, del colore, del calore del sole, della generazione dei suoni, delle rifrazioni e riflessioni dei raggi ecc. Roberto si interessa di matematica e di fisica, di astronomia e di astrologia, di alchimia e di ottica. Nel suo pensiero occupa un posto importante la dottrina della luce, secondo la quale Dio, per creare il mondo, non ha avuto bisogno se non di creare un punto luminoso, facendone il portatore di tutte le forme e di tutte le materie che formano le cose; la luce infatti ha due proprietà essenziali : è una sostanza corporea, che, per la sua sottigliezza, si accosta alla realtà incorporea; inoltre « la luce, per sua natura, si diffonde in ogni direzione in modo che un punto luminoso produce istantaneamente intorno a sé una sfera di luce d'una grandezza qualunque, a meno che un corpo opaco non si frapponga sulla sua strada»; la luce, dunque, si genera eternamente da se stessa e si diffonde istantaneamente; essa come punto luminoso non ha grandezza, ma il punto luminoso genera subito una sfera di luce e questa ha grandezza; cos{ dalla luce si generano le dimensioni, l'estensione nello spazio e la corporeità. Basta dunque che Dio crei il primo punto luminoso perché questo si moltiplichi all'infinito e dia luogo, espandendosi in ogni direzione, all'universo intero. L'universo è una sfera finita ai cui limiti la luce giunge al massimo della rarefazione e quindi al termine della sua diffusione; man mano invece che ci si avvicina al centro, si incontra luce e quindi materia piu densa e pertanto ancora capace di rarefazione; è appunto questa ulteriore capacità di rarefazione che spiega la continua attività delle cose che si trovano nel settore centrale del mondo. Dal limite esterno dell'universo che costituisce il firmamento, la luce si riflette verso il centro generando successivamente le nove sfere celesti e le quattro sfere degli elementi primi materiali; l'azione delle tredici sfere converge sulla terra che si trova al centro. Per conoscere la filosofia naturale bisogna far ricorso, secondo Grossatesta, « alla considerazione delle lince, degli angoli e delle fi289 Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO XIII CAP. XIX gure »; linee, angoli e figure esprimono la realtà di tutto l'universo preso nel suo insieme come quella delle sue parti. Basti pensare, per es•, che la prop:igazione si:i della luce che delle azioni naturali avviene in linea retta; lo studio della linea retta è quindi anche lo studio della propagazione dei moti naturali; del pari lo studio della sfera coincide con lo studio della moltiplicazione della luce e quindi della stessa costituzione dell'universo. L'analisi geometrica delle proprietà delle figure e delle leggi del movimento è pertanto in grado di « indicare le cause di tutti gli effetti naturali », ossia di fondare la stessa scienza fisica; infatti « tutte le cause degli effetti naturali vengono rese per mezzo di lince, dì angoli, di figure». Quanto la visione cosmologica di Grossatesta è nuova ed originale, tanto è tradizionale invece la sua teologia; essa comprende, per es., la teoria secondo la quale l'anima, pur potendo sviluppare una sua azione sul corpo, non può ricevere da questo alcun in!lusso; l'anima non ha bisogno di alcun organo corporeo per esprimersi; tanto meno ne ha bisogno per esplicare la sua funzione superiore, quella dell'intelligenza; anche tutto il processo conoscitivo mette in luce, secondo Grossatesta, l'autonomia dell'intelletto rispetto alla sensazione; è nella sua interiorità che l'anima si apre all'influsso delle idee divine ed alla illuminazione che deriva direttamente da Dio. Si direbbe insomma che il maestro di Oxford da un lato professi una visione dell'universo fondata sulla ricerca della corrispondenza fra linguaggio matematico e dati reali e dall'altro si appelli all'esperienza religiosa ed interiore, aperta ad un rapporto mistico con Dio. Quello che, comunque, differenzia il suo atteggiamento dalle posizioni iniziali dei maestri francesc:mi di Parigi è la piu chiara preoccupazione di salvaguardare una struttura naturàle del mondo e di renderne la comprensione quanto piu rigorosa e precisa possibile. 4. J... o sviluppo delle scienze. Mentre in Occidente gli sviluppi della filosofia nella prima metà del secolo xm, senz'essere rilevanti, hanno un notevole significato sopratutto nell'indicare le vie che la piu ampia elaborazione della seconda metà del secolo svolgerà, nessun pensatore né fra gli Arabi, né fra gli Ebrei o i Bi· Baruch_in_libris LO SVILUPPO DELLE SCIENZE ~~~~~~~~~~~~~~~~~~ zantini raggiunge il livello e l'importanza di Averroè o di Avicenna; anche per lo sviluppo della scienza, si può dire la stessa cosa; mentre sono numerosi i cultori mussulmani ed ebraici delle varie discipline, è in Occidente che si conseguono ormai i risultati piu originali ed importami. La matematica compie in questo periodo un progresso rilevante con Leonardo Fibonacci e Giordano Nemorarius. Il primo vive fra il 1170 ed il I240; figlio di un ricco commerciante pisano, Leonardo conosce i principali testi ma'.ematici sia arabi che greci; la data di pubblicazione del suo Liber abaci, il 1202, viene indicata solitamente come la data di nascita della matematica europea; il libro contiene una trattazione completa dell'aritmetica, cioè dei numeri e dcl loro uso, con dimostrazioni anche piu rigoro~e di quelle che si potevano leggere nelle corrispondenti trattazioni mussulmane. Nell'altra grande opera di Fibonacci, Practica geometriae, scritta nel I220, viene introdotta una novità rilevante per la cultura matematica occidentale, cioè l'uso dell'algebra per la soluzione dei problemi geometrici. Giordano l"emorarius (vissuto fra la fine dc:! secolo xn e l'inizio dcl xm) è il fondatore della mcc· canica medievale cd ha grande rilievo anche come matematico. In fatto di meccanica, i suoi Elementa super demonstrationem ponderis svolgono in forma originale i temi della corrispondente trattazione aristotelica, chi:ircndo sia la variazione della gravità che si verifica lungo la traiettoria di un mobile, sia la identità che esiste fra la forza necessaria per portare un peso ad una determinata altezza e quella che è richiesta per portare un peso r volte maggiore ad un'altezza r volte. minore; nell'ambito della scuola di meccanica avviata da Giordano vengono poi studiati anche i problemi della leva e dcl piano inclinato. Al Nemorarius si debbono anche due trattati di aritmetica che, a differenza di quelli di Fibonacci, non risentono l'influsso della matematica mussulmana, ma continuano la tradizione di Nicomaco e di Boezio; in particolare egli adotta sempre le lettere in luogo dei numeri per indicarne la generalità. Per quanto riguarda lo sviluppo delie altre scienze, bisogna ricordare: la His(oria Mongolorum di Giovanni Pian dcl Carpine (n82-1252), resoconto storico e geografico dei pili audaci viaggi di esplorazione compiuti in quest'epoca; le molte enciclopedie di scienze naturali, alcune delle quali non fanno che rielaborare materiale già raccolto, mentre altre lo arricchiscono di nuove osservazioni; la diffusione della cultura medica di Salerno in altre città europee, come a Montpellier ed in Inghilterra per opera di Roberto Grossatesta; le cronache delle crociate ed in particolare della iv; la continuazione degli studi di diritto romano a Bologna e la ulteriore elaborazione del diritto canonico da parte della chiesa, ormai nettamente avversa allo studio del diritto romano; infine la formazione delle nuove parlate volgari ed in particolare l'inizio della letteratura italiana alla corte siciliana di Federico n. Baruch_in_libris CAPITOLO XX La seconda metà del secolo xm BONAVENTURA. ALBERTO MAGNO. TOMMASO D'AQUINO. SIGIERI. RUGGERO BACONE. LULLO 1. II periodo. La seconda metà del secolo xm è un periodo di trapasso durante il quale le nuove forze politiche degli Stati indipendenti si vengono consolidando sia attraverso il concentrarsi della potenza delle maggiori monarchie, sia attraverso la formazione di organismi signorili quali momenti di evoluzione della situazione comunale. Il papato con Bonifacio VIII sembra avviato alla realizzazione dell'ideale teocratico, ma il sup fallimento è segnato dalla lotta fra il papa e il re di Francia Filippo IV il Bello, con la quale si apre il secolo xiv. La cristianità occidentale è ancora impegnata in profondi contrasti; la chiesa è alle prese con il radicalismo sociale-religioso che reagisce sia alla miseria di molta parte del popolo, sia al coriformismo ecclesiastico; il clero secolare è in lotta con la crescente potenza dei nuovi ordini religiosi; anche i due maggiori ordini religiosi sono in lotta fra loro. La filosofia di questo periodo è tutta dominata dai contrasti che, all'interno stesso del pensiero cristiano, solleva l'opera di Aristotele. Mentre Bonaventura, esponente dell'indirizzo francescano, rivendica la maggiore conformità all'ispirazione religiosa cristiana della tradizione platonico-agostiniana, Tommaso d'Aquino sostiene la necessità di un incontro del pensiero cristiano con l'aristotelismo che egli si sforza di liberare dalle sovrastrutture del neoplatonismo di derivazione ellenistico-araba; ma l'aristotelismo, interpretato alla luce dei commenti di Averroè, è anche alla radice dell'atteggiamento di Sigieri di Brabante e dei suoi colleghi della Facoltà delle arti di Parigi, i quali sono contrari ad ogni concordismo di fede e ragione, del genere di quello sostenuto da Tommaso d'Aquino e promuovono invece un metodo di ricerca che comporta la piu rigorosa separazione dei due campi, il religioso e il filosofico. Infine l'indirizzo oxoniense degli studi scientifici trova in Ruggero Bacone un esponente illustre, che è anche convinto della ne- Baruch_in_libris § I IL PERIODO cessità di legare strettamente fra loro il monJo della fede e il mondo della scienza e il dominio della natara Ja parte dell'uomo. Questi contrastanti indirizzi di pensiero non raggiungono una situazione di equilibrio, ma sono portati ciascuno al livello piu intenso ed alto di eiaborazione dottrinale; per questo si può dire che la seconda metà del secolo xm costituisce un periodo decisivo per lo sviluppo della filosofia scolastica. Elemento importante dello sviluppo culturale e filosofico è, anche per questo periodo, l'opera dei traduttori; si traducono molti scritti arabi i~ latino, ma aumentano specialmente le traduzioni condotte direttamente sui testi greci; il maggiore traduttore dal greco è il frate domenicano Guglielmo di Moerbeke (1215-1286); per quallto concerne in particolare Aristotele, si può dire che ormai tutti i suoi scritti sono noti, mentre parecchi di essi risultano tradotti direttamente dal greco; per molti di essi, si è anche a conoscenza di commenti, sia greci che arabi. Man mano che si afferma l'indirizzo di pensiero tomista, la chiesa attenua la sua avversione alle dottrine aristoteliche, anche se ciò non avviene senza contrasti; l'opposizione ecclesiastica si rivolge allora contro l'averroismo, cioè contro quel movimento di pensiero che accentuava nell'opera dello Stagirita i motivi piu apertamente contrari alla tradizione religiosa; una prima condanna dell'averroismo viene pronunciata dal vescovo di Parigi Stefano Tempier nel 1270; nel' 1277 lo stesso vescovo pubblica un elenco di 219 proposizioni che vengono formalmente censurate; in tale elenco non si trovano soltanto proposizioni esprimenti dottrine averroistiche, ma anche tesi aristoteliche ed alcune enunciazioni ricavate dagli scritti di Tommaso d'Aquino; la chiesa non considera dunque con tutta tranquillità l'indirizzo concordista di Tommaso d'Aquino, che incontrò anzi resistenze e critiche molto tenaci. La diffusione del pensiero aristotelico porta notevoli innovazioni anche nell'ordinamento degli studi universitari; a Parigi i maestri della Facoltà delle arti, che prima si limitavano all'insegnamento della dialettica, estendono ora il loro studio alla fisica, alla metafisica ed alla morale di Aristotele; ma i maestri della Facoltà di teologia sono preoccupati dell'opposizione che tale studio può fomentare nei confronti delle verità di fede; di qui una particolare insistenza dei maestri di teologia nel dibattere le questioni del rapporto tra fede e ragione e dei limiti dell'indagine razionale; i maestri della Facoltà delle arti sostengono, invece, che le conclusioni alle quali essi pervengono debbono intendersi come puramente filosofiche, nel senso che esse muovono da principi filosofici e sono ricavate con procedimenti filosofici; le verità della fede sono di natura diversa ed i maestri delle arti non hanno difficoltà ad accoglierle, non tuttavia come verità filosofiche; è cosf che prende piede un atteggiamento di netta opposizione ad ogni concordismo di fede e ragione e di rigorosa distinzione dei due campi; non era difficile, partendo da tale atteggiamento, conferire un valore eminente all'indagine scientifica 293 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO XIII CAP. XX e filosofica, considerando con disprezzo ogni altro tipo di discorso, compreso quello dei teologi; infatti una delle proposizioni condannate nel 1277 suonava cosf: «i discorsi dei teologi riposano su favole»; cd un'altra diceva: « I veri saggi di questo mondo sono solo i filosofi». L'inserimento del sistema aristotelico nella cultura filosofica occidentale provoca cosf, oltre a tentativi cli realizzare una sintesi di aristotelismo e cristianesimo, anche un'accentuazione dell'autonomia della ricerca filosofica che, se non vuole eliminare le verità di fede, non vuole nemmeno rinunciare ad un'indagine scientifica indipendente in omaggio alla fede. Il platonismo era stato ormai pienamente amalgamato con· il pensiero cristiano sia per opera dei Padri greci come particolarmente per opera di Agostino; svolgendo la propria indagine all'interno della tematica platonica, il pensiero cristiano dei secoli precedenti non si era mai trovato di fronte ad un'alternativa cruciale nei confronti della fede, come ora toccava proprio ai seguaci dell'aristotelismo; né questa seconda grande operazione di assimilazione del pensiero greco ebbe la stessa fortuna della prima; si può dire anzi, che, nonostante la grande sintesi dottrinale costruita da Tommaso, è stato proprio l'incontro del pensiero cristiano con Aristotele che ha determinato la crisi da cui ha poi tratto inizio il pensiero moderno. 2. Bonaventura. Bonaventura impersona nella seconda metà del secolo xm la tradizione agostiniana e si contrappone non solo ai maestri della Facoltà delle arti che sostengono una rigorosa separazione della filosofia dalla f ede, ma anche dal tentativo tomistico di inserire il pensiero aristotelico nella tradizione cristiana. Nato nel 1221 nei pressi di Viterbo, entra nell'ordine fraµcescano, studia a Parigi sotto la guida di Alessandro di Hales e quindi vi insegna teologia dal 1248 al 1255; creato generale dei francescani, muore nel 1274; il suo pensiero è raccolto in un commento alle Sentenze ed in numerosi opuscoli, dei quali il piu noto reca il titolo di ltinerarium mentis in Deum. Punto di partenza di ogni filosofia è, per Bonaventura, la verità della fede; la dottrina di Aristotele è la prova degli " errori " in cui può cadere la filosofia quando muova dalla ignoranza della fede cristiana. « Dal non buon uso della ricerca filosofica, scrive, procedono gli errori presso i filosofi; un primo errore è quello di porre il mondo come eterno, il che è pervertire tutta !a Scrittura che dice che in principio Dio creò il cielo e la terra; un secondo errore si ha quando si pone che tutte le cose provengono dalla necessità; Baruch_in_libris § 2 BONAVENTURA esso si fonda sopra il mito delle stelle ed annulla il libero arbitrio cd il valore della croce di Cristo; un terzo errore riguarda l'unicità dell'intelletto umano, in quanto si sostiene che l'intelletto è unico per tutti; secondo questo errore non vi è differenza nel merito e nel premio se una stessa è l'anima di Cristo e del traditore Giuda; e tutto ciò è eretico». Tuttavia Bonaventura non si limita alla semplice affermazione dei principii della fede ed elabora, ricavandole dalla tradizione, quelle dottrine di origine filosofica che gli sembrano piu congrue con il dettato religioso; egli accoglie anche qualche motivo dell'indirizzo aristotelico, ma inquadrandolo negli schemi di ispirazione platonico-agostiniana che gli paiono piu conformi alla fede cristiana. Anzitutto un legame molto stretto unisce tutta la realtà a Dio; il reale non può cioè essere considerato per se stesso, come fornito di un significato autonomo; non è pertanto possibile studiare la realtà prescindendo da Dio di cui essa è " segno "; il naturalismo aristotelico è quindi da respingere; «il mondo, creatura di Dio, scrive, è come un libro in cui risplende, si rappresenta e si legge la Trinità che ne è la creatrice, secondo un triplice grado di espressione, cioè per modo di vestigio, di immagine e di similitudine; la ragione di vestigio si trova in tutte le creature e sotto questo aspetto viene riferito a Dio ogni suo effetto; la ragione di immagine si trova nelle sole creature intellettive e sotto questo riguardo viene riferito a Dio ogni intelletto; la ragione di similitudine si trova nelle sole creature deiformi (cioè negli spiriti giusti e santi) e sotto questo rispetto viene riferito a Dio ogni spirito che sia giusto ed a lui accetto». Di fronte a questa visione teocentrica dell'universo, ogni distinzione di campi della realtà ed ogni analisi naturalistica sono prive di fondamento; infatti Bonaventura, nel suo opuscolo dal titolo Reductio omnium artium ad theologiam sostiene appunto che tutte le forme della scienza profana debbono obbedire alle finalità poste dalla religione e dalla teologia; ciò vale sia per le scienze filosofiche come per le arti meccaniche. Il processo della conoscenza umana ha infatti il suo punto fermo in alto, .in Dio, da cui procede l'opera di illuminazione dell'intelletto e non in basso, nella sensazione. « Per la conoscenza certa, afferma, si richiede necessariamente la ragione eterna che serva da regola e da movente; infatti non c'è conoscenza certa se non di un conoscibile immutabile; dunque Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO XIII CAP. XX nella conoscenza è necessario far ricorso alla ragione suprema come a luce che dona infallibilità al soggetto conoscente »; se Aristotele ha ragione di notare che la conoscenza si genera in noi per la via dei sensi, della memoria e dell'esperienza, ciò vale per il discorso della scienza che concerne «le cose-inferiori» e solo con riferimento alla condizione imperfetta in cui l'uomo si trova nella vita.presente; ma 1< il discorso ddla sapienza » che riguarda le « cose superiori » deve poggiare di necessità sulle idee e sulle ragioni eterne. Per la stessa ragione Bonaventura ritiene che l'esistenza di Dio sia una verità per se stessa evidente. Il punto nel quale piu apertamente Bonaventura si accosta ad Aristotele è quello dei principii di materia e forma quali componenti degli esseri finiti; esso gli serve per porre con chiarezza la distinzione fra Diç> e le creatl!-re; ma quanto al fare della materia il principio per cui un individuo si differenzia dagli altri della stessa specie, il maestro francescano non segue piu Aristotele, ma si attiene ad una concezione pili spiccata ed attiva dell'individualità, facendola risalire non agli accidenti, ma all'unione attuale dei principii, ove la forma esercita tutto il suo peso. Nell'insieme, Bonaventura mostra di essere a conoscenza dell'aristotelismo, anche se non crede che si debba assumerlo a criterio di verità; se non condivide il tentativo di Tommaso d'Aquino di inserire profondamente alcuni temi aristotelici nel pensiero cristiano, non assume nemmeno un atteggiamento di pregiudiziale negazione rispetto ad Aristotele; egli ne accetta alcune dottrine a chiarimento della condizione di decadenza in cui l'uomo si trova nella vita presente; ma questa condizione di decadenza va intesa nel i.uo giusto senso alla luce della fede, che apre al di sopra del mondo naturale la prospettiva di un mondo soprannaturale; è proprio questo mondo superiore, teorizzato da Agostino, che permette di intendere nel modo giusto anche ,il mondo della natura, che ne risulta trasfigurato; il naturalismo aristotelico è da respingere proprio perché limita la considerazione umana ad un solo aspetto del reale, che è poi quello meno importante. 3. Alberto Magno. Alberto dei duchi di Bollstadt vive fra il 1206 cd il 1280; appartiene all'ordine domenidmo ed è maestro di teologia a Parigi dal 1245 al Baruch_in_libris s3 .tt.BERTO MAGNO 1248; è in questo periodo che ha tra i suoi scolari Tommaso d'Aquino; nella sua giovinezza si applica principalmente agli studi teologici scrivendo una Summa de creaturis ed un commento alle Sentenze; nell'ultima parte della sua vita, preso da compiti pratici per conto della chiesa e del suo ordine, incomincia a scrivere. una Summa theologica che restò incompiuta; il periodo centrale della sua attività è quello che egli dedica, dal 1245 al 1260, a scrivere il suo commento alle opere aristoteliche ed a comporre i piu importanti dei suoi studi di argomento scientifico. Rispetto alle opere di Aristotele, Alberto vuol fare per i latini ciò che Averroè aveva fatto per gli arabi: e·sporre, chiarire, completare tutte le sue dottrine; e lo fa dedicando a ciascuno degli scritti aristotelici un'opera sua di commento e di integrazione. Fra gli scritti di carattere scientifico si devono ricordare un De vegetalibus et plantis, un De animalibus e un De mineralibus; in queste opere Alberto utilizza la letteratura precedente e la arricchisce con molte osservazioni nuove; se i risultati ai quali egli perviene non rivestono un rilievo scientifico effettivo, soprattutto a causa della mancanza di adatti procedimenti metodici e teorici, è certo che non ·Si poteva fare molto di piu entro i confini segnati dall'aristotelismo che il dotto domenicano assume a inquadramento della sua ricerca scientifica. Alberto prende aperta posizione contro coloro che confondono la filosofia con la teologia; ((le cose teologiche, scrive, non si accordano nei loro principii con le cose filosofiche, poiché la teologia è fondata sulla rivelazione e sull'ispirazione, non sulla ragione; noi non possiamo dunque discutere in filosofia di questioni teologiche»; con eguale vivacità critica coloro che, 11 da ignoranti, vogliono combattere con tutti i mezzi l'uso della filosofia»; si tratta di suoi confratelli domenicani che 1< come animali bruti, vanno bestemmiando ciò di cui sono ignoranti». Proprio del filosofo è «dire quello che dice in base a ragionamento»; ora lo spirito umano non ha conoscenza (( se non dei principii che contiene in se stesso», mentre «della Trinità, dell'incarnazione e della risurrezione da un punto di vista puramente naturale, non St può avere conoscenza alcuna». Lo stesso attcggi:1mento egli estende anche alle scienze particolari: « Quando c'è disaccordo fra loro, scrive per esempio, bisogna prestar piu fede ad Agostino che ai filosofi in ciò che concerne la fede ed i costumi; ma se si trattasse di medicina, io Baruch_in_libris L\ SECONDA METÀ DEL SECOLO XIII CAP. XX presterei piu credito ad Ippocrate o a Galeno che ad Agostino; e se si tratta di fisica è ad Aristotele che bisogna prestare maggiore credito, perché egli conosce meglio la natura». Tuttavia l'aristotelismo cui si richiama Alberto, non soltanto nella fisica ma nell'insieme delle sue dottrine filosofiche, è quello elaborato dagli arabi, principalmente da Avicenna e da Averroè; è quindi un aristotelismo a sfondo neo-platonico, in cui si inserisce una concezione magico-astrologica dell'universo. Circa la questione dell'eternità del mondo, per es., e dell'opposta credenza cristiana nella creazione divina, Alberto dichiara che « nessuna di queste due opinioni può essere dimostrata » e che « esse si possono soltanto sostenere con ragioni probabili »; la validità della dottrina della creazione può essere riconosciuta jn sede teologica; ma, in filosofia, essa può essere sostenuta solo con ragioni probabili, perché la fisica si riferisce al mondq_ che già esiste e non può quindi pronunciarsi sulla creazione che avrebbe preceduto tale esistenza. Soltanto ragioni probabili si possono addurre anche a favore della creazione da parte di Dio sia delle sfere celesti che del loro ordinamento; ma altrettante ragioni si possono addurre anche a sostegno della tesi di Avicenna, secondo la quale le sfere celesti sono emanate da Dio per tramite delle Intelligenze separate. Nell'affrontare la questione tanto dibattuta dell'unità dell'intelletto, Alberto non manca di esporre tutti gli argomenti che si era soliti addurre dagli averroisti contro la teoria dell'appartenenza di un intelletto distinto a ciascun individuo; e conclude che «solo perché supponiamo come provata, per un altro verso, l'immortalità delle anime razionali, le quali restano molteplici dopo la morte, siamo portati ad ammettere che l'anima razionale ed intellettuale si moltiplica secondo il numero degli individui »; il che significa, pare, che nessuna delle due tesi in contrasto si può filosoficamente dimostrare, mentre ragioni di probabilità si possono addurre a favore di entrambe. Nel complesso della sua opera, Alberto pone principalmente l'accento su temi di derivazione neo-platonica e di ispirazione averroista quali l'eternità del mondo, le intelligenze motrici dei cieli, la materia quale principio di individuazione, l'unità degli intelletti in quanto intelletti; egli si sente piu vicino, insomma, agli arabi che alle «formule dei dottori latini»; anche le sue ricerche scientifiche particolari si inquadrano in quella visione magko-astrolo- Baruch_in_libris § 3 ALBERTO MAGNO gica dell'universo che era stata appunto codificata nella rielaborazione che la cultura araba aveva fatto della tradizione neo-platonica. 4. Tommaso d'Aquino: il rapporto fra fede e ragione. Nato nel 1225 ad Aquino, nella zona di Caserta, da famiglia nobile, Tommaso studia dapprima all'università di Napoli e poi, vestito l'abito domenicano, a Parigi ed a Colonia; viene proclamato maestro di teologia a Parigi nel 1259; nel decennio che va dal 1259 al 1268 continua il suo insegnamento in Italia; il periodo piu maturo del suo insegnamento a Parigi coincide con gli anni 1269 - 1272; segue un breve periodo di insegnamento all'università di Napoli, interrotto dalla morte, av_venuta nel 1274. Agli anni che precedono immediatamente il 1259 risale la composizione del commento alle Sentenze e di alcuni trattati minori; durante il decennio trascorso in Italia, Tommaso mette mano, seguendo l'esempio di Alberto, ad un commento generale delle opere di Aristotele; egli si preoccupa non solo di chiarire e discutere le dottrine aristoteliche, ma anche di sceverare con rigore il genuino pensiero aristotelico dalle sovrapposizioni di derivazione neo-platonica; per questo appunto sollecita la collaborazione del confratello Guglielmo di Moerbeke e si giova del diretto riscontro sul testo greco da lui compiuto; i testi aristotelici commentati da Tommaso sono j seguenti: De lnterpretatione, Analitici secondi, Fisica, Metafisica, Etica, De anima, Meteore, De coelo, De generatione, Politica. All'inizio del decennio italiano risale anche la composizione della Summa contra gentiles che ha l'intento di dimostrare la verità della fede cristiana ai mussulmani che non accettano la verità della rivelazione; è appunto in questa Summa che l'indagine filosofica viene particolarmente sviluppata da Tommaso, tanto che essa viene di solito considerata come la Summa filosofica, rispetto all'altra opera di Tommaso, maggiore di mole, che reca il titolo di Summa theologica; questa viene composta nel periodo che va dal 1265 al 1273 e restò incompiuta; durante l'ultima permanenza a Parigi Tommaso compone il De unitate intellectus contra ave"oistas. Tommaso è per la netta distinzione fra il campo della filosofia e quello della fede e della teologia; la ragione, come sta ad attestare Aristotele, può svolgere un insieme organico di conclusioni rigorosamente Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO XIII CAP. XX dimostrate; la fede risale invece all'autorità di Dio e della chiesa e si· concreta in una adesione in cui la volontà spinge l'intelletto a dare il suo assenso alla parola divina; la ragione non ha motivo di rinunciare a svolgere le sue dimostrazioni, né la fede ha ragioni per pretendere una simile rinuncia; i due carppi debbono dunque rimanere distinti ed obbedire ciascuno ai suoi criteri specifici. Tuttavia, al limite, esiste ii problema dell'incontro tra ragione e fede; infatti i dogmi della fede, pur non avendo un fondamento filosofico, sono del tutto certi ed indubitabili, pertanto " veri "; pur essendo dunque diversi i metodi della filosofia e della teologia, questi due campi debbono, alla fine, costituire una sola verità; dal punto di vista di quest'unic~ verità, la ~~de si avvantaggia rispetto alla ragione, in quanto la fede non può errare in ·alcun modo, mentre la ragione, che è normalmente strumento valido per giungere alla verità, può anche cadere in errore; quando dunque una proposizione filosofica ottenuta mediante il ragionamento contraddice un'asserzione di fede, si può _senz'altro concludere che l'errore sta dalla parte della filosofia; cosi la filosofia ha nella fede uno strumento per controllare e regolare, dall'esterno, i suoi risultati; Tommaso tien fermo che si tratta di un controllo e di una direzione dall'esterno, tali quindi che non possono prescindere dall'intrinseco cd autonomo operare della ragione; ma tien fermo anche al fatto che si tratta di un controllo e di una direzione effettivi, senza di che si cadrebbe nel ricon~scimento di una doppia verità. Sicché la teologia muove dalla rivelazione e scende verso la ragione, analizzando il dogma cd aprendolo all'analisi razionale, per quanto possibile; la filosofia ha da un lato il compito di criticare le dottrine filosofiche che contraddicono i dati della fede e dall'altro quello di sviluppare razionalmente gli elementi intellegibili della fede, di salire con la ragione verso la fede. La filosofia ha pertanto un'autonomia formale e metodica, che Tommaso ritiene anche sostanziale; infatti. egli pensa che la ragione possa giungere al suo incontro con la fede senza un intervento intrinseco di quest'ultima; non si tratta, ovviamente, di una identificazione di fede e ragione, ma di un accostamento che lascia sussistere la fede nella sua irriducibilità a valori razionali; tuttavia la ragione conduce molto avanti nel cammino della fede, alla quale può positivamente apriÌ'e la via. Pur tenendo fermi i valori della fede, Tom0 300 Baruch_in_libris TOMMASO o' AQUINO: maso avverte in modo rilevante il peso della indagine razionale; per questo lato egli si degli averroisti; ma si stacca da essi perché Aristotele con la ragione; ritiene anzi che lo gionamento filosofico porti, in alcuni punti, quelle aristoteliche. FEDE E RAGIONE dottrina aristotelica come accosta all'atteggiamento non identifica senz'altro sviluppo normale del raa conclusioni diverse da 5. L'aristotelismo di Tommaso e la dimostrazione dell'esistenza di Dio. «L'oggetto proprio dell'intelletto umano, scnve, è la natura del reale sensibile, non separata cioè dalla realtà sensibile; perciò, quello che costituisce l'oggetto del nostro intelletto non è qualche cosa di esistente fuori delle realtà sensibili, come pretendevano i pbtonici, ma esistente in quelle; e ciò anche se l'intelletto apprende tali quiddità in modo diverso da quello in cui si trovano nelle cose o dati sensibili, cioè per mezzo dell'astrazione; l'oggetto proprio dell'intelletto non è qualsiasi ente o vero, ma solo l'ente ed il vero considerati nelle realtà materiali, e dai quali può assurgere ad una certa conoscenza delle realtà invisibili». Fra Platone ed Aristotele, è il secondo che, a giudizio di Tommaso, ha ragione: «Secondo l'opinione di Platone, egli osserva, non soltanto le sostanze immateriali vengono da noi conosciute, ma sono anche da noi conosciute per prime; infatti Platone ha posto le forme immateriali sussistenti che chiamava idee come oggetti propri del nostro intelletto; e cosi in via primaria e per se stesse esse vengono conosciute da noi e tuttavia la conoscenza si applicherebbe poi alle cose materiali, in quanto all'intelletto si mescolano la fantasia ed il senso. Ma secondo il punto di vista di Aristotele, di cui abbiamo piu esperienza, il nostro intelletto secondo lo stato naturale della vita presente ha riferimento alle nature delle cose materiali, per cui non intende nulla se non volgendosi ai fantasmi; ed allora è chiaro che non possiamo conoscere in via primaria e secondo il modo di conoscenza che noi sperimentiamo le sostanze immateriali che non cadono sotto i sensi e l'immaginazione»; a coloro che mettono avanti l'afferma2ione di Agostino secondo la quale « la mente umana conosce mediante i sensi le cose corporee per mezzo di se stessa le cose incorporee», Tommaso e 301 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO XIII CAP. XX risponde che l'anima, dalla conoscenza che ha di se stessa non può trarre una conoscenza perfetta delle realtà spirituali, anche se può trarne una conoscenza indiretta e parziale. Tanto meno si può sostenere, secondo Tommaso, che Dio sia la prima realtà che viene conosciuta dalla mente: «Se l'intelletto umano, scrive, secondo lo stato della vita presente non può comprendere le sostanze immateriali create, molto meno può intendere l'essenza della sostanza increata; piuttosto noi giungiamo alla conoscenza di Dio indirettamente per mezzo delle creature». La conoscenza che l'anima ha di se stessa non ci consente, come riteneva Agostino, di giungere fino a Dio; infatti l'anima non conosce la propria essenza, ma soltanto i propri atti; non per la via dell'autocoscienza si può dunque giungere a Dio, ma solo «per similitudinem ejus in creaturis resultantem »; Dio è da noi conosciuto «in uno specchio », non direttamente; cioè non conosciamo Dio, ma una sua " similitudo " e questa viene ricavata non già da Dio immediatamente, ma da una cosa diversa nella quale viene colta, proprio come quando non vediamo direttamente una persona, ma una sua immagine cogliendola soltanto nello specchio. Si comprende allora perché Tommaso non accetti la prova dell'esistenza di Dio addotta da Anselmo : « Chi ode pronunciare il nome di Dio, egli osserva, non comprende che con esso venga significato qualche cosa di cui non si possa pensare nulla di maggiore; infatti ci sono di quelli_ che credono che Dio sia corpo; dato anche che ognuno intenda che con questo nome, Dio, venga significato ciò di cui non si può pensare nulla di piu grande, non segue per questo che intenda che ciò che viene significato dal nome esista in realtà; lo può infatti intendere soltanto nell'apprendimento dell'intelletto; né si può arguire che esista in realtà se non si concede che esista nella realtà qualche cosa di cui non si può pensare nulla di piu grande; e ciò non è certo concesso da parte di coloro che sostengono che Dio non esiste ». Vi sono due generi di dimostrazione : quella che si fa per mezzo della causa e si dice "propter quid" e quella che si fa per mezzo dell'effetto e si dice "quia "; la prima muove da ciò che viene prima per sé, la seconda da ciò che viene prima rispetto a noi; nel caso di Dio, è possibile soltanto la seconda dimostrazione, in quanto gli effetti di Dio sono a noi piu noti ddla loro causa, cioè di Dio stesso; che Dio Baruch_in_libris s5 LA DIMOSTRAZIONE DELL' ESISTENZA DI DIO esista, insomma, non è cosa nota per se stessa, ma è cosa che si può dimostrare per mezzo degli effetti di lui che ci sono noti; questi poi non sono proporzionati alla causa e pertanto non ci possono dare di essa che una conoscenza imperfetta. Premesse tutte queste limitazioni, Tommaso propone cinque vie per dimostrare che Dio esiste. La prima si rifà al movimento, cioè al. divenire interpretato con Aristotele come passaggio dalla potenza all'atto; tale passaggio presuppone un essere in atto, giacché se l'atto per cui qualcosa diviene, a sua volta diviene, bisognerà risalire ad un altro atto che spieghi questo secondo passaggio da potenza ad atto; bisogna infine giungere ad un primo movente che, essendo atto, non sia in potenza, e questi è Dio. La seconda via considera il mondo sotto il profilo della dipendenza efficiente d'una cosa da un'altra; l'ordine che si riscontra nel mondo è appunto quello per cui un primo termine è causa efficiente di un termine ultimo; questo sistema chiuso della dipendenza efficiente non cambia se i termini medi, invece di uno, sono molti; quello che importa è che il sistema sia chiuso; se non lo è, è la stessa dipendenza efficiente che sfuma; non si potrà allora farla risalire ad una serie infinita di cause efficienti; e Dio è appunto il primo termine che realizza la chiusura e quindi la consistenza del processo causativo verso l'alto. La terza via è la seguente: ci sono cose che possono esistere e non esistere; le chiamiamo possibili o non-necessarie; queste hanno cominciato ad essere e prima non erano; ma ciò non può esser avvenuto se non in forza di cose che già esistevano; dire che anche queste e tutte le cose sono non-necessarie vorrebbe dire far risalire il tutto al nulla e quindi non spiegare le cose che ora ci sono; bisogna invece porre un essere necessario da cui derivano le cose possibili; Dio è appunto l'essere necessario che non deriva da altro la causa della sua necessità. La quarta via prende a modello la dipendenza causale di ciò che ha piu o meno di una qualità, dalla stessa qualità nel suo grado piu alto; per es., il fuoco che è caldo al massimo grado è causa di tutti i gradi maggiori o minori di calore; e Dio si può intendere anche come causa che possiede nel grado piu alto le perfezioni che negli esseri finiti assumono gradi maggiori o minori. La quinta via, infine, poggia sul rilievo che alcuni corpi naturali che non hanno conoscenza ope·rano secondo un fine; ciò. significa che essi tendono ad un fine solo Baruch_in_libris LA SECONDA MBTÀ DEL SBCOLO XIII CAP. XX perché sono diretti da qualche essere che ha conoscenza cd intelligenza; Dio è appunto quell'essere che ordina ad un fine tutte le cose della natura. In conclusione, tutto quello che intorno a Dio possiamo sapere dai suoi effetti è che egli è: ente che non diviene, primo termine dcl processo chiuso dell'efficienza, essere necessario la cui necessità non dipende da altri, il grado piu alto delle qualità, primo ordinatore intelligente delle cose. t facile vedere che il divario fra il Dio filosofico di Tommaso e il Dio della tradizione religiosa cristiana è rilevante; infatti ente che non diviene era anche il Dio di Aristotele che non crea il mondo, ma è solo fine immobile di un mondo eterno; il Dio che è primo termine di un processo chiuso dell'efficienza non è ancora rtecessariamente creatore del processo, di cui è soltanto causa; la concezione di Dio come ente necessario si accorda anche con il. determinismo di tutto il reale. Ciò porta appunto Tommaso a colmare, almeno in parte, tale divario con un'analisi approfondita dell'aristotelismo che lo riporta piu vicino al mondo religioso cristiano. Il cristianesimo si differenzia dalla filosofia greca soprattutto su due punti: l'affermazione del monoteismo contro il politeismo e l'origine dcl mondo per creazione anziché per emanazione necessaria; secondo Tommaso, entrambi questi punti ~i possono dimostrare razionalmente. All'esistenza di un solo. Dio si giunge in base alla sua semplicità, per cui in lui non v'è una natura che sia comunicabile a piu individui, in secondo luogo in base all'infinità della sua perfezione(« se vi fossero piu dèi, bisognerebbe che differissero l'uno dall'altro e all'uno di essi converrebbe ciò che non conviene all'altro; ma allora la perfezione mancherebbe ad uno di essi »), e infine in base al fatto che l'ordine ehe si riscontra nel mondo è unitario e postula pertanto l'unità della fonte da cui proviene. Circa la creazione del mondo Tommaso procede cos{: anzitutto chiarisce che Dio, essendo atto puro, non è composto di materia e forma; negli esseri che risultano di materia e forma, l'individuazione si ottiene mediante la determinazione dell'essenza da parte della materia, per cui la natura o essenza da un lato e la sostanza individua dall'altro differiscono; ma dove manca la composizione di materia e forma, come nel caso di Dio, la forma si individua per se stessa « cioè la sua stessa forma è una sostanza individua susS:Stente »; quindi Dio è la sua stessa natura; ma Dio non può avere Baruch_in_libris LA DIMOSTRAZIONE DELL' ESISTENZA DI DIO un essere distinto dalla sua natura, perché allora sarebbe causato; perciò la natura di Dio è l'essere stesso ( « sua igitur essentia est suum esse »); Dio è insomma l'essere stesso come forma che si individua come sostanza. Tutte le cose diverse da Dio « non sono il loro stesso essere »; in esse vi è composizione, non coincidenza, di essenze ed essere; quindi esse partecipano l'essere, ma non sono l'essere; allora è nccessarfo clic esse siano causate da Dio; la creazione è appunto il modo con il quale Dio causa gli esseri; la creazione, come origine della totalità dell'essere non può essere che « cx non ente » ; creare è « cx nihilo aliquid facerc »; si può perciò dimostrare razionalmente che « non essendoci nulla ncl1'universale complesso degli esseri che non sia causato da Dio, non è soltanto possibile, ma è necessario che tutte le cose siano create da Dio»; anche la materia prima, che i filosofi antichi avevano considerato estranea alla produzione divina, deve dunque ritenersi creata; le forme delle cose procedono anch'esse da Dio, per cui primo esemplare di tutto è Dio stesso e non qualche realtà da lui distinta cd a lui esterna. Fermo restando che la creazione dcl mondo si può dimostrare, Tommaso aggiunge per un lato che non si può dimostrare che· necessariamente il mondo sia sempre esistito (anche gli argomenti addotti in tale senso da Aristotele sono solo probabili) e per l'altro che solo per fede si può affermare che il mondo non è sempre esistito, mentre nemmeno questo punto si può dimostrare in modo rigoroso. Che il mondo sia eterno non comporta affatto che non sia creato; il mondo, essendo creato, potrebbe essere sempre esistito o avere avuto inizio nel tempo; solo questo secondo punto non si può dimostrare. 6. Il naturalismo di Tommaso; l'etica e la politica. Il naturalismo di Tommaso traspare anche nella concezione dcl mondo e della sua stabilità. Questa poggia, dal punto di vista teorico, sulla dottrina dell'analogia fra Dio e le creature; l'analogia è intermedia fra l'univocità e la equivocità; la univocità fra l'essere di Dio e quello delle creature comporterebbe la sostanziale adeguazione dell'ordine delle cose alla infinita virru divina; ne seguirebbe che le cose non hanno un loro piano autonomo di .consistenza, ma si risolvono in una espressione della stessa realtà divina; l'equivocità fra l'essere di Dio e quello delle 305 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO XIII CAP • .XX creature farebbe di essi due mondi del tutto estranei e renderebbe impossibile salire dal secondo al primo, anche con le cautele e i limiti introdotti da Tommaso; invece il porre fra Dio e le creature un rapporto di analogia significa rendere possibile il passaggio dalle creature a Dio, tenendo però ben ferma la realtà delle creature come avente una sua struttura autonoma e specifica; Dio e le creature hanno relazione all'essere, ma si tratta di relazioni diverse, di diverse proporzioni; non c'è una realtà unica, di cui Dio e le creature siano modi; ci sono per contro due diverse proporzioni rispetto all'essere e la loro diversità non viene cancellata dal fatto che si tratta, in entrambi i casi, di proporzioni rispetto all'essere. L'autonomia della natura è consolidata dal fatto che, secondo Tommaso, l'esistenza, pur essendo distinta dall' essenza, non è estrinseca ad essa; non è che l'esistenza sopraggiunga, come un accidente, alle essenze, già pienamente reali per se stesse; l'esistenza condiziona l'essenza, in quanto non abbiamo altra conoscenza delle essenze che come esistenti; il reale è fatto di essenze concretate e reali, non di essenze pure,· immediatamente legate con il principio primo; l'individualità delle sostanze fa della loro concreta esistenza un fatto specifico e stabile; il mondo pertanto non è, per Tommaso, un evanescente flusso di strutture ideali dissolventesi in Dio, ma è un corposo mondo di sostanze individue, dalla struttura stabile e ben radicata. Le forme stesse non vengono considerate come continuamente trapassanti~ l'una nell'altra in una scala dinamica di sviluppo che, penetrando tutto il mondo, lo sottrae ad ogni rigida determinazione; esse sono, per c:ontro, strumenti fissi di determinazione e principii concreti di effettiva esistenza; ogni essere non è cosi aperto al flusso di una pluralità di forme, ma è legato alla sua forma che gli dà reale unità e reale autonomia. Il principio dell'individualità porta Tommaso a considerare l'anima come forma del corpo, quindi facente con esso un'unica realtà; e appunto per difendere l'individualità dell'operazione del conoscere, egli esclude un intelletto unico per tutti gli uomini, facendo dell'intelletto agente un aspetto dell'attività conoscitiva propria di ciascuna anima individua; non si sottrae però all'esigenza religiosa della immortalità dell'anima, che egli ritiene di poter dimostrare filosoficamente; l'anima, egli afferma, è un principio incorporeo e sussistente in quanto né è corpo, né compie le sue operazioni per mezzo di un organo Baruch_in_libris § 6 IL NATUJ!,ALISMOj L' ETICA E LA POLITICA corporeo; proprio per questo essa può sussistere, anche quando il corpo sia distrutto, pur conservando sempre una attitudine ed un'inclinazione naturale all'unione con il corpo. L'etica di Tommaso si ispira ad un'analoga distinzione fra l'ambito naturale e quello religioso: «la felicità o beatitudine dell'uomo, egli scrive, è duplice: una è quella proporzionata alla natura umana e ad essa l'uomo può pervenire mediante i principii della natura; l'altra è una beatitudine che eccede la natura dell'uomo e ad essa l'uomo può giungere soltanto per virru divina, secondo una certa partecipazione della divinità; e poiché siffatta beatitudine supera la proporzione della natura umana, i principii naturali dell'uomo, dai quali egli muove per agire bene secondo la proporzione che gli è propria, non sono sufficienti a inserire l'uomo nell'ordine della predetta beatitudine; e allora bisogna che siano concessi in piu da Dio all'uomo alcuni principii mediante i quali egli sia ordinato alla felicità soprannaturale, al modo stesso in cui mediante i principii naturali è ordinato ad un fine n~turale; questi principii si dicono virru teologiche, sia perché hanno Dio per oggetto, sia perché vengono infuse in noi da Dio, sia perché sono indicate soltanto dalla rivelazione nella Scrittura». Né il sovrapporsi di un ordine soprannaturale a quello naturale toglie significato a quest'ultimo: « Dio muove tutti gli esseri, scrive Tommaso, secondo il modo di ciascuno di essi, cosi come nella fisica vediamo che muove diversamente il pesante ed il leggero, in base alla loro natura; ora, l'uomo, in base alla propria natura, partecipa del libero arbitrio (cioè del libero giudizio sui mezzi da scegliere per conseguire un fine); pertanto il movimento verso la giustizia che in lui deriva da Dio non ha luogo senza un movimento del libero arbitrio ». Anche la dottrina politica di Tommaso è governata dal criterio che distingue il diritto divino che deriva dalla grazia, dal diritto umano che nasce dalla ragione naturale; il diritto umano regola e disciplina le inclinazioni naturali che hanno, al pari della natura fisica, una loro autonomia rispetto al superiore mondo religioso: « Anzitutto inerisce all'uomo l'inclinazione al bene che ha in comune con tutte le sostanze e tende alla conservazione del suo essere; perciò appartengono alla legge naturale tutti i mezzi che conservano la vita dell'uomo; in secondo luogo c'è nell'uomo l'inclinazione ad oggetti che ha in comune con gli 307 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO XIII CAP. XX altri animali e pertanto appartengono alla legge naturale l' unione dei sessi e l'educazione dei figli; in terzo luogo c'è nell'uomo l'inclinazione a ciò che è proprio della sua natura razionale, cioè alla conoscenza della verità e al vivere in società; perciò l'evitare l'ignoranza, il non offendere gli altri con cui convive e simili appartengono alla legge naturale »; la legge naturale è il criterio per la formazione della legge positiva; questa « tende principalmente ad ordinare il bene comune »; perciò il fare la legge spetta « o a tutta la moltitudine, o a qualcuno che faccia le veci di tutta la moltitudine ». Il rapporto che Tommaso istituisce fra la chiesa ed il potere politico rispecchia il rapporto di dipendenza e di distinzione ad un tempo che investe tutto l'ordine naturale; come la fede istruisce la ragione sui suoi errori, lasciando poi alla ragione di rendersi conto di essi, cosi è il magistero della chiesa che indica quale è il vero bene da conseguire, anche se poi spetta all'ambito propriamente politico di elaborare in sede propria la via che ad essb conduce. Due sono, in conclusione, i caratteri salienti della dottrina tomista: lo sviluppo autonomo della ricerca filosofica pur concluso in un risultato di concordanza nei rapporti tra fede e ragione e un chiaro indirizzo realistico e naturalistico nella visione del mondo. Circa il primo punto Tommaso avverte con gli averroisti l'importanza dell'indagine razionale autonoma, anche se, contro il metodo da essi seguito, ritiene che la -ragione naturale concordi con i dogmi della fede e compie ogni sforzo in tale direzione; quanto alla visione del mondo, Tommaso introduce nel pensiero cristiano un atteggiamento antitetico a quello della tradizione platonico - agostiniana; gli esponenti di quest'ultima non possono che condannare una visione della realtà che, a loro avviso, allontana Dio dall'uomo e dal mondo e prospetta la fede solo come termine integrativo d'una natura in se stessa sussistente e determinata. Gli avversari della dottrina di Tommaso cl' Aquino sono molti già nella seconda me.tà del secolo xm; fra di essi si possono ricordare in particolare: Enrico di Gand maestro secolare a Parigi nel 1277, Matteo d'Acquasparta generale dci francescani nel 1287, Giovanni Peckam che compie gli studi di teologia a Parigi e muore nel 1292, Pier Giovanni Olivi capo dei francescani spirituali morto nel 1298; gli oppositori di Tommaso appartengono sia all'università di Parigi che a quella di Oxford, all'ordine dci francescani come a quello dei domenicani (tra 308 Baruch_in_libris § 6 IL NATUll.ALISMOj L' ETICA ! LA POLITICA questi è da ricordare quel Roberto Kilwardby che ad Oxford, nel 1277, fece condannare alcune tesi tomistiche). Le critiche rivolte al pensiero di Tommaso riguardano principalmente i seguenti punti: contro la tesi aristotelico - tomista che pone il centro del processo conoscitivo nell'astrazione, insistono nel ritenere _che soltanto l'illuminazione divina può conferire all'intelletto la certezza delle sue operazioni conoscitive; contro la critica tomistica all'argomento a priori per dimostrare l'esistenza di Dio, accettano l'argomento di Anselmo; contro la tesi tomistica dell'unicità della forma che garantisce l' unità dei concreti esseri individui, gli oppositori sostengono la pluralità delle forme, sia per staccare l'anima dalle funzioni corporee che sembrano sminuirla, sia per far risalire l'unità degli esseri alla diretta iniziativa divina e non ad una rigida compagine naturale; contro la tesi tomista che l'essenza non può essere reale che unitamente all'esistenza, essi vogliono che l'essenza sia un oggetto possibile dell'azione divina e che quest'ultima sia sciolta dal vincolo fisso che l'individualità esistente può determinare; contro l'etica di Tommaso si chiarisce il ruolo preminente della volontà rispetto all'intelletto. L'opposizione si esprime anche sul terreno delle dottrine politiche, dove alla maggiore autonomia del potere politico rispetto al potere spirituale teorizzata da Tommaso, Egidio Romano (1243-1316), pur seguendo l'Aquinate in altre dottrine, contrappone una rigida ripresa dell'integralismo agostiniano. 7. La Falcoltà delle arti a Parigi e Sigieri di Brabante. Nella Facoltà delle arti a Parigi hanno grande incremento gli studi di logica; a circa la metà del secolo xm risalgono infatti alcuni manuali di questa disciplina; il piu noto di essi è dovuto a Pietro Ispano (divenuto poi papa Giovanni XXI e morto nel 1277). L'indirizzo linguistico e formale che già Abelardo aveva dato agli studi di logica viene ora accentuato, nel senso che sempre piu sistematicamente questa disciplina studia le strutture e le regole formali del discorso; in tale direzione si compiono dei passi in avanti rispetto ai risultati consegnati nell'Organon aristotelico. Per es., si distingue la funzione denotativa della parola (cioè la funzione per cui essa si riferisce a qualche cosa di reale) e la sua funzione designativa (cioè la funzione per cui la parola si rifrriscc a Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO XIII CAP. IX concetti); la prima funzione si chiama supposttto m quanto la parola sta nella proposizione per la tale o tal'altra cosa e la seconda significatio. Particolare rilievo assume altres1 la trattazione delle cosi dette proprietates terminorum, ossia della capacità denotativa dei termini nonché dei modi in cui un termine può riferirsi a ciò che denota; è la discussione di quella parte della logica che oggi si chiama semantica. Nella Facoltà delle arti prende anche grande sviluppo la ricerca filosofica autonoma; ciò non avviene sempre in odio alla teologia o col proposito di contrastare le proposizioni della fede; spesso si vuole solo ribadire che il método della filosofia va svolto e seguito coerentemente, senza interferenze di carattere esterno; ma è proprio con tale metodo che vengono svolte e sostenute delle proposizioni in aperto contrasto con la fede.; i maestri· della Facoltà delle arti seguono, nel formulare tali dottrine, varie fonti filosofiche: Aristotele o Averroè o altri autori arabi; ed ecco le dottrine che ne risultano: l'affermazione di un unico intelletto per tutti gli uomini, il valore necessitante dell'influsso degli astri sul comportamento degli uomini, l'eternità del mondo, l'ignoranza delle cose singole da parte di Dio e la negazione della provvidenza. Fra i maestri delle arti occupa un posto di avanguardia, in questo periodo, Sigieri di Brabante; egli vive dal 1240 al 1284 e viene condannato nel 1277. Nei suoi scritti Sigieri svolge parecchie dottrine che, come quelle suaccennate, sono contrarie alla fede; ma il metodo che intende seguire non è quello di contrapporre verità filosofiche e verità di fede, quanto quello di sviluppare in qualità di esegeta imparziale le dottrine di Aristotele in base allo sviluppo della ragione naturale. « Il nostro compito principale, scrive, non è quello di cercare quale sia la verità intorno all'anima, ma quale sia stata l'opinione del Filosofo intorno ad essa; noi procediamo filosoficamente e quindi cerchiamo piu l'intendimento dei filosofi che non la verità ». « Il punto di vista di Aristotele, ribadisce Sigieri, non deve essere celato da parte di coloro che hanno assunto il compito di esporre i suoi libri, anche se tale punto di vista è contrario alla verità; né alcuno deve tentare di sottoporre a ricerca razionale ciò che supera la ragione; e nessuno d'altra parte deve negare la verità cattolica in base a delle ragioni filosofiche »; queste ultime espressioni fanno ritenere che Sigieri insistesse particolarmente sulla netta distinzione dei due campi e sulla confusione che poteva nascere da un'illeJIO Baruch_in_libris IIGIERI DI BllABANTB gittima interferenza di competenze. Ed ecco quello che scrive un discepolo di Sigieri, Boezio di Dacia, intorno alla questione dell'eternità del mondo : « È stolto chiedere dimostrazioni in cose che per sé non ammettono una ragione; chi fa cosi, cerca ciò che non si può trovare; non voler credere a tali cose senza ragione è da eretici; quindi volendo mettere d'accordo il punto di vista della fede cristiana circa l'eternità del mondo con quello di Aristotele e degli altri filosofi finiremmo per incorrere nella stoltezza di cercare una dimostrazione dove.essa non è possibile e di cadere nell'eresia di non voler credere ciò che si deve ritenere per fede; quello che si ritiene in quanto è conclusione di ragioni non è tanto fede, quanto piuttosto scienza». L'atteggiamento di Sigieri, favorevole ad una rigorosa distinzione fra l'ambito della sdenza e quello della fede (senza che ciò comporti necessariamente alcuna avversione alla séconda) è evidentemente in aperto contrasto sia con la posizione della filosofia religiosa dei francescani sia con quella concordistica di Tommaso. 8. Il platonismo cristiano di Ruggero Bacone. Nato intorno al 1214 in Inghilterra, Ruggero Bacone si forma ad Oxford alla scuola di Roberto Grossatesta; insegna quindi a Parigi nella Facoltà delle arti e intorno alla metà del secolo torna ad Oxford; entrando nell'ordine francescano lascia l'insegnamento mentre il suo lavoro di studioso incontra impedimenti sia nella severità della regola conventuale, sia nel sospetto con cui i superiori considerano la sua cultura profana; soltanto nel 1266, quando papa Clemente IV che gli è amico lo sollecita a sottoporgli il frutto delle sue ricerche ed il suo vagheggiato progetto per la riforma degli studi, Bacone è preso da un vero entusiasmo scientifico e stende, in pochi mesi, i suoi tre scritti piu rilevanti che recano il titolo, rispettivamente, di Opus maius, di Opus minus e di Opus tertium. Il frate francescano ha in animo di comporre una grande enciclopedia delle scienze che dia un piu moderno contenuto alla visione religiosa del suo tempo; di essa dovevano far parte la grammatica e la logica, la matematica e la fisica, la metafisica e la morale; ma il disegno completo non fu mai realizzato e gli scritti di Bacone ne svolgono solo i motivi salienti. Bacone compone anche parecchi brevi trattati di comJll Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO XIII CAP. XX mento ad Aristotele e altri ne dedica allo sviluppo originale di singole questioni di logica, di matematica, di astronomia ed astrologia, di mec· canica, di ottica, di alchimia, di geografia e di medicina. In tutti questi scritti utilizza la sua conoscenza del greco, dell'ebraico e dell'arabo e sfrutta le sue molte letture; ma l'originalità di Bacone consiste principalmente nella battaglia che conduce per un profondo rinnovamento della cultura e per un ampio avanzamento della ricerca scientifica. La reazione della cultura ufficiale non si fa attendere; già nel 1277 alcune delle proposizioni condannate dal vescovo di Parigi riguardano l'astrologia e paiono riferirsi alle ricerche di Bacone; poi segue una condanna da parte dell'ordine francescano i cui esponenti avvertono nell'opera di Bacone « alcune novità sospette »; il frate fu tenuto in prigione, pare, dal 1278 fino al 1292, anno probabile della sua morte. La dottrina teologico - filosofica in cui Bacone inquadra il suo piano di rinnovamento scientifico è quella platonico - agostiniana, che Tommaso combatte proprio per la sua refrattarietà a fondare un naturalismo abbastanza articolato; cosr in Bacone il naturalismo scientifico ha alla sua base un misticismo religioso che gli conferisce una tonalità etica ed escatologica tutta particolare. Egli ignora la dottrina tomistica della distinzione fra ragione e fede e si richiama piuttosto all'antica tesi agostiniana della Bibbia quale centro ispiratore della cultura: « C'è una scienza, scrive, che domina tutte le altre: la teologia; essa rivendica a sé il dominio e tutte le altre stanno al suo cenno ed al suo comando; vi è una sola sapienza perfetta, quella che è contenuta totalmente nella Sacra Scrittura; infatti ogni considerazione umana che non sia intesa alla salvezza è piena di cecità ed alla fine conduce alle tenebre infernali». Però «alla teologia sono assolutamente necessarie tutte le altre scienze » e la stessa « esposizione della verità rivelata da Dio si ottiene per mezzo di tali scienze »; il cristiano deve certo « interessarsi di tutto il resto in vista della fede », ma deve anche « percorrere fino in fondo i sentieri della scienza». A fondamento della conoscenza umana sta l'illuminazione divina: « A causa delle difficoltà cui va incontro la nostra mente, è certo, afferma Bacone, che l'uomo fino a quando non godrà la visione beatifica, non conoscerà mai nulla con certezza perfetta; perciò delle verità che riguardano Dio e molti segreti della natura e dell'arte è necessario che l'uomo JU Baruch_in_libris s8 JlUGGEJlO llACONE riceva l'intelligenza da Dio mediante l'esperienza di una illuminazione interiore ». Bacone identifica l'intelletto agente con Dio, contro tutti 11 quei maestri moderni i quali dicono che l'intelletto agente, che agisce sulle nostre anime e le illumina, è parte dell'anima »; c'è bensl un'esperienza dei sensi con cui 11 possiamo sperimentare attraverso applicazioni di verifica le cose di questo mondo»; ma << quest'esperienza non basta tuttavia all'uomo; occorre allora· che l'intelletto umano sia aiutato con illuminazioni interiori che vengono da Dio e dalla grazia ». 9. II rinnovamento religioso e lo sviluppo della scienza. Strumento principale per l'instaurazione del regno di Dio, al quale ci può portare soltanto l'esperienza religiosa, è, per Bacone, la scienza; infatti « tutto quello che c'è di bello, di conveniente, di utile, di stupendo per l'uomo sotto ogni punto di vista, tutto si può acquistare con la scienza». Le prospettive future di essa vengono cosi divinate: « Si possono costruire mezzi per navigare senza rematori, si possono costruire carri che si muovano senza cavalli con una forza meravigliosa, si possono costruire macchine per volare.; si può anche costruire uno strumento di piccole proporzioni capace di alzare ed abbassare pesi di grandezza quasi infinita, si possono fare congegni per camminare nei mari e nei fiumi, sino a toccarne il fondo, senza pericolo per il corpo ». Ma, per ottenere simili risultati, bisogna seguire, nella ricerca, un metodo preciso: << Bisogna che ciò che precede nell'ambito d'una disciplina si sappia prima di quel che segue e le cose pili facili si studino prima di quelle pili difficili e i principii generali prima dei principii particolari, le cose di minor conto prima di quelle di maggior peso »; bisogna anche che « gli studiosi si applichino a cose scelte ed utili, poiché la vita umana è breve, e che la scienza sia impartita con assoluta certezza in modo da non lasciare dubbi e con tutta chiarezza, in modo da togliere ogni oscurità»; appunto a quest'effetto bisogna far ricorso all'esperienza; « infatti, spiega Bacone, sebbene noi possiamo acquistare cognizioni in tre modi, per autorità, per ragionamento e per esperienza, tuttavia l'autorità non persuade se non è giustificata dalla ragione e non dà l'intelligenza d'una cosa, ma la fede; all'autorità infatti crediamo, ma non è per essa che noi comprendiamo; la ragione a sua volta non può distinjlj Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO XIII CAP. XX guere fra un sofisma ed una dimostrazione se non siamo in condizione di mettere la conclusione alla prova dei fatti ». La dimostrazione ci fa accettare una conclusione, ma soltanto la conferma dell'esperienza ce ne rende certi: « Se un uomo che non ha mai visto il fuoco dimostrasse con buoni argomenti che il fuoco brucia e rovina e distrugge le cose, non avverrà mai che per questo chi l'ascolta resti pienamente soddisfatto ed eviti il fuoco prima di accostare la mano ad esso, in modo da provocare per esperienza quel che gli insegnava il ragionamento ». Vera esperienza è però quella che consente la conoscenza dei fatti unitatamente a quella della loro causa o ragione; anche alla dimostrazione matematica bisogna che si accompagni l'esperienza. Al completo sviluppo della scienza si oppongono però rilevanti ostacoli che Bacone cosi illustra: « Sono quattro principalmente gli ostacoli alla visione perfetta della realtà, ostacoli in cui si imbatte ogni studioso e che a stento permettono a qualcuno di giungere a meritarsi davvero il titolo di sapiente; e sono: l'esempio di un'autorità fragile e non meritevole, la consuetudine, il modo di sentire della gente comune ed il nascondere la propria ignoranza ostentando una apparenza di sapere; a qualsiasi disciplina uno si dedichi, teoretica o commerciale, tira sempre la stessa conclusione in base a tre pessimi argomenti: cioè, questo è stato detto dai maggiori, questo è sempre stato in uso, questo lo dicono tutti, quindi è vero». Le varie scienze non si possono coltivare l'una indipendentemente dalle altre; infatti le scienze sono « tutte connesse fra loro». Vi sono però delle scienze-chiave che condizionano lo sviluppo di tutte le altre: prima di esse è la grammatica, cioè la conoscenza delle lingue straniere: « è impossibile, osserva Bacone, che i modi di dire proprii di una lingua si ritrovino in un'altra e perciò non è possibile tradurre ciò che è bene espresso in una lingua in un'altra lingua »; allora per intendere la Scritturi bisognerà conoscere l'ebraico e per intendere la filosofia bisognerà conoscere il greco, l'ebraico e l'arabo. Viene poi la matematica, in cui « è possibile giungere ad una verità completa senza errore e ad una certezza universale senza ombra di dubbio, poiché ad essa conviene procedere per dimostrazioni a priori, per mezzo di cause proprie e necessarie »; nelle altre scienze, « se non si ricorre ali 'aiuto della matematica, restano tante e tante opinioni che riesce impossibile districarsene »; e ciò perché in natura si ha il generarsi cd il Baruch_in_libris IL RINNOVAMENTO RELIGIOSO corrompersi delle cause e degli effetti; in essa manca quindi. quella necessità che si ha invece nella matematica. Anche la metafisica può giovarsi solo di dimostrazioni che risalgono dagli effetti alle cause e non ammette quindi dimostrazioni a priori; insomma « soltanto nella matematica ci sono dimostrazioni nel vero senso della parola e quindi solo nell'ambito e in virru della matematica l'uomo può giungere alla verità ». Appunto per questo bisogna usare, se possibile, nelle altre scienze, le esperienze delle figure e dei numeri, mediante le quali « tutto può essere verificato». L'ottica che occupa per Bacone un posto eminente fra le scienze fondamentali, è la scienza della vista che « ci mostra tutta la varietà delle cose »; la sua forza sta appunto nel fatto che, in essa, « quasi ad ogni passo occorre servirsi di linee, di angoli e di figure geometriche». Quarta nell'ordine viene la scienza sperimentale, della quale Bacone fa una disciplina a sè: «Essa è l'unica scienza in grado di conoscere perfettamente, mediante la prova dei fatti, quello che può avvenire naturalmente e quello che si può fare artificialmente »; essa «mette alla prova dei fatti le conclusioni delle altre scienze» e sviluppa la conoscenza degli avvenimenti passati, presenti e. futuri. La quinta delle scienze-chiave è quella che Bacone chiama filosofia morale; essa tratta «di quel che è necessario per la vita terrena e per la vita eterna »; infatti « le altre scienze, sebbéne alcune siano ordinate ali' agire, si dice che sono teoriche, per il fatto che si occupano delle opere dell'arte e della natura, non delle azioni, ed indagano la verità delle cose e delle realizzazioni scientifiche, che appartengono all'intelletto speculativo »; invece l:;i filosofia morale si occupa di ciò che è di competenza dell'intelletto pratico, «cioè dell'agire umano in quanto buono o cattivo». Il fine religioso presiede a tutto lo sviluppo della scienza che trova coronamento in una scienza dei fini che disciplina l'intero sapere umano. t alla luce di queste vedute che Bacone critica aspramente i vari indirizzi culturali del suo tempo. Ad Alessandro di Hales rimprovera l'ignoranza delle scienze naturali « nelle quali è riposta tutta la gloria dei moderni »; critica Alberto Magno perché « ignora le lingue, non conosce l'ottica, non sa nulla di interessante nel campo delle scienze»; critica la formazione che si impartisce nei conventi, perché i giovani che vi vengono cresciuti « non conoscono né se stessi, né il mondo » 315 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO Xlii CAP. XX e pretendono di applicarsi allo studio della teologia e della filosofia, senza coltivare tutte le scienze che lo rendono concreto e proficuo. Alla comprensione della realtà naturale la cultura della seconda metà del secolo xm arriva dunque per due vie molto diverse: da un lato vi giunge attraverso un rinnovato aristotelismo che conferisce alla realtà narurale una struttura piu determinata ed autonoma rispetto al mondo religioso ed alla stessa iniziativa divina, dall'altro vi perviene attraverso una visione piu mistica e diretta della relazione di Dio col mondo ed interpretando lo sforzo dell'uomo di penetrare nel segreto della natura come ispirato e guidato da un superiore fine religioso. 10. Raimondo Lullo. La figura di Raimondo Lullo (1235-1315) presenta delle analogie con quella di Ruggero Bacone, sia perché entrambi si muovono sul terreno della tradizione platonico-agostiniana, sia perché entrambi mirano ad un grande rinnovamento religioso dell'umanità ed alla conversione di tutto il mondo mussulmano al cristianesimo. Nato a Maiorca, Lullo si dedica interamente alla conversione degli arabi, la cui lingua e cultura conosce da vicino; il periodo piu importante della sua vita è quello che va dal 1265 in avanti; esso è tutto dedicato all'insegnamento universitario, ad un'intensa attività di propaganda per il suo piano di rinn0vamento religioso; sono numerosissimi gli scritti da lui composti; i piu importanti sono quelli che raccolgono i suoi studi di logica ed illustrano quel metodo generale del sapere ché Lullo indica col nome di " ars magna"; il piu noto di questi reca il titolo: Ars compendiosa inveniendi veritatem. Lullo compone anche molti scritti di carattere religioso, per la conversione degli infedeli; in altri, di carattere apologetico, egli applica il suo metodo logico per dimostrare le verità di fede; a tutto ciò, si debbono aggiungere scritti di pedagogia, di fisica, di matematica ed astronomia, di medicina. Negli ultimi anni della sua vita, Lullo rivolge parecchi attacchi contro gli averroisti parigini, nelle cui dottrine egli ravvisa la negazione di quell'unità della scienza che sta al centro dei suoi interessi. Per conquistare i mussulmani alla verità religiosa bisogna, secondo Lullo, svolgere un'opera apologetica che si ispiri ad un metodo chiaro, 116 Baruch_in_libris § IO RAIMONDO LULLO efficace ed unitario. L'unità del metodo è fornita dalla fede che ispira tutto il mondo della conoscenza e della scienza. Se, però, da un lato senza la luce della fede è impossibile avere la conoscenza adeguata del mondo creato, dall'altro bisogna che la prospettiva della fede trovi il piu pieno sviluppo in una sistematica conoscitiva rigorosa che possa valere per tutti gli uomini e che possa condurli tutti alla stessa salvezza. Il mondo è come il libro nel quale l'uomo trova la manifestazione della realtà che lo trascende; esso è imitazione di un ordine superiore al quale rinvia; tutta l'azione che l'intelletto umano conduce per conoscere il mondo acquista il valore di una adeguazione ad un modello eterno; perciò da un lato la ricerca della verità diviene senz'altro ricerca di bio, dal!' altro la ricerca di Dio si configura come ricerca del!' ordine reale del mondo. L'ars magna di cui Lullo esalta l'importanza è «una scienza generale per tutte le scienze, tale che, nei suoi principii generali, siano contenuti i principii di tutte le scienze particolari, cosi come il particolare è contenuto nell'universale ». Lullo ritiene che ogni proposizione si possa risolvere nei termini di cui risulta; ed i termini, che già non siano semplici, si possono risolvere nei termini semplici di cui sono composti; ora, se si riuscisse a fare un elenco completo di tutti i termini semplici, sarebbe possibile ottenere, combinandoli insie·me in tutte le maniere possibili, tutte le verità possibili. Lullo non è però alla ricerca soltanto degli elementi primi e semplici di una lingua universale; i termini che egli ricerca sono gli elementi primi della realtà e del pensiero ad Ù.n tempo; i termini sono perciò i principii reali e tutti gli esseri sono impliciti in essi o risultano dalla loro combinazione. La struttura ddla realtà, per quanto complessa, si può insomma ridurre ad una combinazione di elementi semplici; una volta che questi siano individuati, è per mezzo del calcolo che si potrà giungere a scoprire tutti i segreti della natura. I termini semplici del reale sono, secondo Lullo, evidenti per se stessi e quindi noti a tutti, senza contrasti e contestazioni; la loro conoscenza diviene allora la chiave universale per intendere la realtà. L'intera enciclopedia delle scienze si può cosi ridurre ad unità e si può svolgere in base al calcolo matematico. Questo calcolo, per l'evidenza dei suoi fondamenti, vale tanto per il cristiano che per gli infedeli; ed anche il contenuto della fede può essere presentato con tale rigore logico da renderne necessaria l'accettazione da parte di chiun- Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO XIII CAP. XX que. Il presupposto ddla costruzione lulliana è che la stessa realtà sia stata creata da Dio secondo l'ordine del· semplice e del composto;. sulla base di tale persuasione platonico-pitagorico-agostiniana Lullo costruisce uno strumento logico che costituisce il primo abbozzo di una logica matematica. Il misticismo religioso con Lullo diviene iniziatore di un procedimento logico-razionale di comprensione della realtà, cosi come con Bacone promuove lo sviluppo e l'incremento del metodo sperimentale. 11. Lo sviluppo delle scienze. Nella seconda metà del secolo xm, gli sviluppi delle scienze risultano, almeno in parte, strettamente legati ai dibattiti filosofici piu generali; ciò va detto in particolare per Ruggero Bacone e per Raimondo Lullo, oltre che per altri minori. È vero che si diffonde, in questo periodo, anche l'astrologia e che ·spesso le conoscenze scientifiche sono ripetizioni di motivi e dottrine tradizionali; ma in Occidente si compiono anche notevoli passi verso una sistemazione piu rigorosa di parecchi settori dell'indagine scientifica. I piu noti astrologi del tempo sono degli italiani: Gherardo da Sabbioncta, Bartolomeo da Parma e Guido Bonatti di ForH; ma, accanto all'astrologia, viene· coltivata anche l'astronomia; a questo proposito, si delinea anzi un contrasto abbastanza vivo fra le teorie astronomiche di Tolomeo e quelle di Aristotele e si tende a sostituire al sistema tolemaico di epicicli e di eccentrici, il sistema aristotelico delle sfere omocentriche, sia pure con delle correzioni; lo strumento principale di questa rivolta contro il sistema tolemaico è la dottrina astronomica dell'arabo-ispano Alpctragio, in cui si muovono critiche a Tolomeo facendo appello al principio applicato da Aristotele, secondo il quale dall'unico movente che è il primo cielo deve derivare un unico movimento anche nelle sfere; in verità, l'opposizione anti· tolemaica di questo periodo è ispirata piu da motivi astratti che da ricerche astronomiche effettive; essa è collegata alla rinascita aristotelica dell'Occidente e ben presto viene arginata da un ritorno quasi generale cd incontrastato al sistema tolemaico. Nel campo della matematica, il primato è degli Arabi, anche se va ricordata la nuova traduzione latina con commento degli lj:lementi di Euclide curata da Giovanni Campano da Novara. Piu ampi sviluppi avvengono nell'ottica, anche in relazione al primo use> delle lenti che probabilmente ebbe un avvio, per quanto imperfetto, nell'Italia settentrionale verso la fine dcl secolo; la trattazione teorica relativa trac i primi spunti dagli scritti arabi in argomento, ai quali si vengono tuttavia aggiungendo osservazioni e teorie nuove; il trattato sulla prospettiva di Witclo, Baruch_in_libris § II LO SViLUPPO DELLB SCIENZB composto fra il 1270 ed il 1278, è l'opera pili importante in materia, senza dire di quanto in proposito ha scritto Ruggero Bacone. L'accresciuto interesse per il controllo attivo della natura da parte dell'uomo reca progressi sensibili anche nella tecnica e nella teorizzazione meccanica; si stu<lia la natura della forza, specialmente di quella che agisce a distanza, nonché il modo di propagarsi dell'azione nello spazio; si hanno i primi abbozzi della teoria dell'impetus, cioè di quella forza che deve spiegare il movimento di un corpo, una volta che esso sia staccato e distante dalla causa che ha dapprima provocato il movimento; intanto Guglielmo di Moerbeke traduce dal greco in latino il trattato di Archimede sui corpi galleggianti, dal quale traggono incitamento, specie fra gli Arabi, gli stuqi di idraulica. Gli sviluppi della tecnica per lavorare il vetro, specialmente progredita a Venezia ed a Murano, influiscono sull'evoluzione della chimica; ed altrettanto va detto per la scoperta della polvere da sparo e per quella delle acque medicamentose; in questo periodo i trattati di alchimia sono almeno altrettanto numerosi dei trattati di astrologi:i; gli uni e gli altri contengono preponderanti elementi tradizionali, ma contengono anche osservazioni e mcr tivi che hanno la loro origine nella piu diffusa pratica tecnica del tempo. La geografia si avvantaggia sia dei piu frequenti viaggi di scoperta che vengono organizz:iti, sia delle mappe o carte di paesi e di continenti che vengono spesso allegate a trattazioni o specificamente scientifiche, o anche generalmente culturali (basti ricordare, ad es., la mappa allegata da Ruggero Bacone al suo Opus maius e invi:ita al papa); la seconda metà del secolo ~III vede il viaggio di Marco Polo in Mongolia, nonché le esplorazioni dei fratelli Vivaldi; ai viaggi che hanno ragioni commerciali e diplomatiche, si aggiungono i viaggi missionari e per scopi religiosi; nei romanzi di Lullo l'esplorazione di territori sconosciuti diviene argomento di appassionanti narrazioni. Ad alcuni capitoli dell'indagine scientifica reca un impulso notevole l'ampliata conoscenza dell'opera aristotelica; ciò vale, ad es., per la zocr logia e per la botanica; vicino al commento sulla zoologia aristotelica di Pietro Ispano ed agli studi di storia naturale di Alberto Magno, si deve ricordare lo Speculum naturale di Vincenzo di Beauvais che è una vera enciclopedia di scienze naturali comprendente estratti ricavati da un numero rilevante di opere latine, greche, arabe ed ebraiche. L'astrologia estende il suo controllo, in questo periodo, anche sulla medicina; si ha infatti un indirizzo di medicina astrologica, che, schiacciata sotto il peso della sua armatura teorica, riesce a compiere solo scarsi progressi pratici; d'altra parte, i medici di questo periodo continuano a rifarsi alle opere degli antichi, scrivendo su di esse commentari e commentari di commentari, senza per tersi rifare efficacemente ad una rinnovata esperienza; di qui il prevalere della letteratura in medicina e l'enorme importanza attribuita alle traduzioni di tutto il materiale disponibile nelle varie lingue; con maggiore vi- Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO XIII CAP. XX vacità lo studio della medicina viene coltivato a Bologna, sia per l'influsso della locale scuola giuridica che spinge anche la medicina a formulare con criteri logici piu rigorosi le sue proposizioni, sia per il probabile inizio che ivi ha la dissezione dei cadaveri con Taddeo Alderotti; per questa via infatti ci si mette in condizione di accrescere con osservazioni dirette le conoscenze attinte dai libri degli antichi. Se si aggiunge che in questo periodo assume notevole importanza anche la trattazione della politica, soprattutto sotto l'influsso della corrispondente opera aristotelica e che la filologia trac incremento specialmente dalla maggiore diffusione cd organizzazione dello studio delle lingue, si potrà avere un'idea abbastanza completa delle direzioni di ricerca della scienza del tempo. Essa è attraversata da un nuovo impulso di conquista che, se ha radici schiettamente religiose, produce già i suoi primi effetti sul terreno della tecnica e dello sviluppo civile e sociale. ]20 Baruch_in_libris CAPITOLQ XXI La prima metà del secolo xtv DA DUNS SCOTO A GUGLIELMO D'OCCAM 1. Il periodo. La prima metà del secolo xiv si inizia con il tentativo di papa Bonifa1io VIII di ridurre all'obbedienza il re di Francia; la battaglia per la teocrazia trova la sua giustificazione nella bolla Unam sanctam in cui si legge~ «La spada spirituale e la spada materiale sono l'una e l'altra nella potestà della chiesa; la spada materiale deve essere impiegata per la chiesa, mentre quella spirituale dev'essere usata dalla chiesa; questa è nella mano del sacerdote, quella nella mano del re e dei guerrieri, ma sotto la direzione del sacerdote; se dunque la potestà terrena fuorvia, essa sarà giudicata 4alla potestà spirituale; perciò chiunque resiste alla potestà spirituale, resiste all'ordine medesimo di Dio». Ma col fallimento della politica di Bonifacio VIII il potere universale della chiesa volge inesorabilmente al declino mentre si va ormai diffondendo, anche all'interno dell'organismo ecclesiastico, l'esigenza di smantellare il potere accentrato del papa anche in campo religioso, a vantaggio di un governo collegiale dei vescovi; pochi anni dopo la morte di Bonifacio VIII ha inizio ad Avignone l'asservimento del papato alla politica francese; la chiesa passa cos( dal sogno teocratico alla soggezione reale. L'altro potere universale del Medioevo, quello imperiale, subisce analogo declino; dopo l'estremo tentativo di Enrico VII di conservare all'impero un effettivo ambito europeo, la corona imperiale si lega sempre piu ad un territorio delimitato e ad una particolare dinastia. Al posto dei due poteri universali del Medioevo sottentrano, con strutture sempre piu valide, gli Stati indipendenti, all'interno dci quali giunge a piena esplicazione la nuova classe sociale dei mercanti; matura cosi l'età pre-capitalistica; la ascesa della borghesia è alle sue prime manifestazioni, ma già abbozza i principali strumenti del suo controllo sulla politica degli Stati nazionali. La cultura è ancora, in gran parte, ecclesiastica; ma essa è attraversata da contrasti profondi, mentre comincia a svolgersi al suo fianco una cultura laica che sfugge sempre piu apertamente al controllo religioso. J21 Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO XIV CAP. XXJ La filosofia della prima metà dcl secolo xiv è tutta dominata da un concetto rigoroso della stessa filosofia come scienza, concetto che deriva in massima parte dall'approfondimento delle dottrine aristoteliche; prevale allora la convinzione che non si possa a proprio piacere estendere il ragionamento filosofico fino alla dimostrazione delle piu importanti verità di fede; queste ultime vengono accolte non già in forza del loro fondamento razionale, ma in quanto basate esclusivamente su un atteggiamento di fede nella rivelazione di Dio; cosf la fede accentua la sua indipendenza dall'aristotelismo, e la h.losofia viene individuando i confini e i limiti della propria validità; con intenti e caratterizzazioni diverse, giungono a tale conclusione i due maggiori pensatori dell'epoca, Duns Scoto e Guglic:lmo d'Occam; è quasi lo spirito dell'averroismo che viene cosf trasferito all'interno della stessa problematica religiosa e nella considerazione dci rapporti fra filosofia e fede, da parte degli stessi teologi. 2. Giovanni Duns Scoto: fede e ragione. Giovanni Duns Scoto vive dal 1265 al 1308; nato in Scozia, entra ancor giovane nell'ordine francescano, compie i suoi studi in parte ad Oxford ed in parte a Parigi; anche il suo insegnamento si svolge dapprima all'università di Oxford e poi,, in due riprese, a Parigi, rispettivamente dal 1301 al 1303 e dal 1305 al 1307; muore in età di appena 42 anni a Colonia, dove da poco era stato istituito uno studio francescano. Poiché il culmine dell'attività speculativa di Duns Scoto coincide con gli anni che vanno dal 1297 al 1308, si può giustamente considerare la sua filosofia come quella che apre, ai suoi inizi, il Trecento. L'opera principale di Duns Scoto reca il titolo di Opus o:coni~nse e contiene la sostanza del suo pensiero, quella che potrebbe dirsi la sua summa theologica; ad essa vanno aggiunti pochi scritti di logica ed alcuni importanti commenti ad opere aristoteliche. Due punti principali determinano la direzione generale del suo pensiero : il primo riguarda le possibilità della filosofia come costruzione della ragione naturale, rispetto alla fede ed alle sue verità; Duns Scoto non nutre la fiducia di Tommaso d'Aquino nella possibilità di un incontro fra fede e filosofia; egli ritiene che la filosofia svolta secondo i suoi propri principii finisca per concretarsi nelle vedute di Aristotele e di Avicenna e quindi in un complesso di dottrine notevQlmente remote rispetto al risultato della fede; Baruch_in_libris § 2 DUNS SCOTQ: FEDE E RAGION.E le questioni filosofiche, d'altra parte, non vanno in alcun .modo c9nfuse con le questioni religiose; se si fa questa confusione, per un lato si ottiene una filosofia falsata nel suo procedimento, e per l'altro, anche cosi, non si arriva in alcun modo ad un risultato religiosamente valido. Si tratta, in sostanza, del punto di vista degli averroisti, sostenuto ora non piu dall'angolo visuale della Facoltà delle arti e quindi della filosofia, ma da quello della teologia. Il secondo punto importante riguarda la concezione della filosofia come scienza rigorosa. Duns Scoto tende a restringere l'ambito della filosofia a ciò che si può conoscere con procedimento rigorosamente dimostrativo, secondo che è definito dalla logica aristotelica. Tommaso aveva distinto due tipi di prova, la dimostrazione a priori e quella a posteriori; pur ritenendo il primo tipo di dimostrazione superiore al secondo per rigore e necessità logica, non aved disdegnato il ricorso alle prove a posteriori; Duns Scoto ritiene invece che solo la dimostrazione a priori sia vera dimostrazione e che di essa soltanto si debba fare uso in filosofia; «nessuna dimostrazione, egli scrive, che parta dall'effetto per risalire alla causa, è senz'altro dimostrativa»; è invece dimostrativa la conoscenza delle conclusioni « che non dipende se non dalla conoscenza dei princi pii e dall'evidenza dell'inferenza sillogistica »; ognuno poi « ha una certezza infallibile dei primi principii ed a ciascuno è naturalmente evidente la forma del sillogismo perfetto; perciò a ciascuno può essere naturalmente nota qualsiasi conclusione che derivi dai principii ». ~ ben vero che, nella presente condizione del!' uomo, l'intelletto non può giungere i< alla conoscenza dei concetti semplici se non ricevendola dai sensi; ma una volta che l'abbia ricevuta, l'intelletto può comporre i concetti semplici con la propria capacità e può trarre da essi una proposizione complessa, alla quale darà assenso per virtu propria, cioè dell'intelletto, e non in virtu dei sensi; per es., se riceviamo dai sensi la percezione di un tutto e di una cosa maggiore di un'altra, l'intelletto potrà comporre la proposizione che dice che il tutto è maggiore della parte; ora l'intelletto assentirà con certezza a questa proposizione in virru propria e dei termini dei quali essa è composta e non già perché vede i termini congiunti in una realtà attestata dai ~nsi n. Tnsomm:i nessun:i cnnosren7:1 di fatto è una conoscenza necessaria; e in filosofia, qualora essa voglia essere una scienza rigorosa, 32 3 Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO XIV CAP. XXI bisogna dar credito non alle verità contingenti che possono essere altrimenti da come appaiono, ma solo alle verità necessarie, che non possono essere diversamente. 3. La fondazione della conoscenza necessaria. Il primo punto che la filosofia deve studiare è quello dei fondamenti della nostra conoscenza, intesa come evidenza dei principii e rigorosa deduzione delle conclusioni. All'intelletto risulta evidente, osserva Duns Scoto, anche la seguente proposizione: « Ciò che accade piu volte nello stesso modo da una causa non libera, è l'effetto naturale di quella causa»; infatti l'intelletto comprende subito che «una causa non libera non può produrre piu volte un effetto, se è ordinata a produrre il suo opposto, sicché se un effetto viene prodotto frequentemente da una causa, questa non è causa casuale, e, se non è libera, è una causa naturale». La nostra conoscenza della realtà procede a volte nel modo seguente: «Si ha prima l'esperienza della conclusione, per es. che la luna è frequentemente in eclisse; supposta questa conclusione, si cerca la causa giungendo dalla conclusione sperimentata ai principii noti nei termini ed allora dal principio noto nei termini la conclusione, che prima era nota solo per esperienza, può essere conosciuta con il primo genere di conoscenza, cioè quella dedotta da principii; per es., è un principio noto per sé che un corpo opaco interposto tra uno trasparente ed uno luminoso impedisce la diffusione della luce pel trasparente». Anche di molti nostri atti abbiamo certezza come di principi per sé noti, perché «del principio della dimostrazione non c'è dimostrazione» e gli atti nostri del sentire o dell'intendere o del vedere sono per sé noti come principii di dimostrazione; è ben. vero che si tratta di proposizioni contingenti, cioè che riguardano fatti, ma anche nei contingenti c'è un ordine « in modo che una qualche proposizione deve essere prima ed immediata, altrimenti o cadremmò in un processo all'infinito nei contingenti, o un contingente conseguirebbe da una causa necessaria, il che è impossibile»; insomma l'ordine stesso dei contingenti e pertanto l'assunzione prima ed immediata di alcuni di essi è evidente della stessa evidenza dei principii primi. Anche la conoscenza sensibile ha dunque un fondamento di evidenza razionale; che alla nostra sensazione d'una Baruch_in_libris § 3 LA FONDAZIONE DELLA CONOSCENZA NECESSARIA cosa bianca corrisponda, fuori di noi, l'esistenza di qualche cosa di bianco è conoscenza rigorosa che si consegue razionalmente cosi: « su ciò o si hanno affermazioni opposte dei diversi sensi, o affermazioni concordi; in questo ultimo caso, c'è la certezza della verità di questa conoscenza sia per la testimonianza dei sensi, sia per la verità della proposizione che dice che ciò che accade piu volte nello stesso modo per virtu di qu1lcosa è effetto naturale di quello, se esso è una causa non libera; quindi poiché dalla presenza di un certo oggetto accade piu volte nello stesso modo che avvenga sempre la stessa mutazione nel senso, ne segue che la mutazione o l'immaginazionme prodotta sia effetto naturale di tale causa e cosi quell'oggetto esterno sarà bianco». Anche su ciò che affermano i sensi l'intelletto può dunque conseguire una conoscenza che è piu certa delle stesse testimonianze dei sensi, in quanto è fornita di evidenza razionale. Anche quando i sensi ci attestano conoscenze diverse, come nel caso della vista che ci presenta il bastone immerso nell'acqua come spezzato e del tatto che afferma il contrario, si può raggiungere la certezza per mezzo dell'intelletto; infatti esso possiede la seguente proposizione certa: « niente di piu duro si spezza al contatto di qualche cosa di pili molle che si ritrae »; questa, osserva Duns Scoto, è « una proposizione nota per se stessa e di essa l'intelletto non può dubitare, perché il suo opposto implica contraddizione; che poi il bastone sia piu duro dell'acqua e che l'acqua si ritragga, ciò è affermato tanto dalla vista che dal tatto »; cosi l'i.ntelletto può giudicare, secondo necessità, quale senso sbagli· e quale no. Cosi si può dunque fondare una conoscenza necessaria anche della realtà contingente dei fatti. 4. La metafisica rigorosa di Duns Scoto. In tutti i concetti essenziali dei vari esseri è incluso il concetto di essere e mentre i concetti degli esseri si possono risolvere in altri concetti, il concetto di essere non si può risolvere in alcun altro concetto; gli altri concetti, cioè, non si possono comprendere senza comprendere il concetto di essere; il concetto di essere è quindi il primo concetto che si possa comprendere distintamente. La scienza che ha per oggetto l'ente in quanto ente è la metafisica; però uno dci capisaldi di tale scienza 32 5 Baruch_in_libris .LA PRIMA METÀ DEL SECOLO XIV CAP. XXI è che il concetto di ente è univoco, non già analogo, come sosteneva Tommaso. La questione tocca, come è noto, la nostra possibilità di conoscere Dio; ora Duns Scoto vuole far dipendere la nostra conoscenza di Dio dall'ulteriore approfondimento che si possa fare del concetto cli essere che sta alla base della metafisica; il fatto che si tratti di un concetto univoco dà maggiore unità alla metafisica stessa, mentre vincola la nostra conoscenza di Dio ad una maggiore astrattezza. Per giungere a Dio, non si muove dunque dalla realtà sensibile, ma da una rigorosa costruzione razionale. Le prove per dimostrare l'esistenza di Dio elaborate da Duns Scoto non muovono dai vari aspetti della realtà sensibile, ma da un'analisi intrinseca e razionale del concetto di essere. Ecco l'argomentazione che ne scaturisce: «Partiamo dalla considerazione del fatto che qualche ente può essere prodotto; questo essere potrà essere prodotto o da sé, o dal niente o da qualche altro; non dal niente, perché ciò che è niente non causa niente; non da sé, perché non c'è alcuna cosa che faccia o generi se stessa; quindi deve essere prodotto da un altro; sia allora A questo altro; se A è primo, nel modo esposto, siamo giunti alla nostra conclusione; se non è il primo, allora è un prodotto posteriore, poiché producibile da un altro o prodotto in virtU di un altro; si ammetta codesto altro e sia B, sul quale si ragioni come si è ragionato su A e cosi: o si procede all'infinito, per cui ognuno di quei producibili rispetto al precedente sarà secondo o ci si ferma ad uno che non ha una causa precedente; ora andare all'infinito nell'ascesa è impossibile, quindi è necessaria la primità, perché chi non ha nulla prima di sé, non è posteriore a nulla dopo di sé ». Cosi: si è provato che il concetto di una causa incausata non implica contraddizione, cioé che è possibile una causa incausata. Ora si possono fare due ipotesi: che tale causa esista o che non esista. Una soltanto di queste due proposizioni sarà vera; supponendo che la causa incausata non esista, bisognerà che sia vera la proposizione che dice che la causa incausata non esiste e che l'esistenza d'una causa incausata implichi contraddizione; invece si è visto che la causa incausata, per definizione, è possibile; sicché argomentando sulla non esistenza della causa incausata, si arriva alla contraddizione; ciò significa che non si può razionalmente concepire la non esistenza della causa incausata; e ciò è come dire che è impossibile che la causa incausata non esista. Baruch_in_libris s4 LA METAFISICA Con lo stesso procedimento necessario Duns Scoto procede a fissare gli altri punti essenziali della sua metafisica rigorosa. Un punto importante è quello che concerne la derivazione del mondo da Dio; se Dio è necessario, il mondo non deriva da lui necessariamente, ma liberamente; ora la libertà di Dio non è legata né dalle idee, che sono posteriori alia sua essenza, né dai possibili che sono da lui generati. L'ordine che si ritrova nell'universo obbedisce al principio di non contraddizione e dipende dalla permanenza delle leggi che Dio ha prodotte all'inizio; ma al di là di ciò, non c'è altro vincolo che si possa imporre alla volontà di Dio; chiedere la ragione per cui Dio ha voluto tale mondo fra i molti possibili è domandare un motivo in materia in cui non ci sono motivi; il vincolo del procedimento necessario si può spingere insomma fino al limite dell'universo, ma non può includere Dio. È proprio col metodo della necessità razionale che si giunge a stabilire che essa ha dei limiti nei quali non rientrano la natura divina e la sua assoluta iniziativa. Cosi, alcuni degli attributi di Dio sono conoscibili anche razionalmente, ma molti altri sono puramente « credibili »; la tesi della provvidenza divina, per es., non si può dimostrare; nemmeno limmortalità dell'anima poggia su dimostrazioni rigorose. Dopo aver esaminato tutte le prove che in filosofia si erano addotte a questo scopo, Duns Scoto conclude che l'immortalità dell'anima è una conclusione probabile, ma non ci sono ragioni dimostrative che facciano di essa una «conclusione necessaria»; alla teologia vengono cosi rinviate molte proposizioni delle quali la filosofia non può stabilire una dimostrazione rigorosa; infatti la teologia non è una scienza in senso stretto, ma ha lo scopo pratico di regolare le nostre azioni sui dettami della rivelazione. 5. Dante Alighieri. Dante Alighieri (1265-1321) dev'essere qui ricordato non tanto perche egli si possa considerare come un pensatore sistematico ed originale, quanto perché ha contribuito a rielaborare, nelle sue opere erudite e poetiche, alcuni dei temi piu rilevanti della cultura filosofica del suo tempo; il primo interesse per gli studi filosofici risale in lui agli anni 1293-'94, ma solo nel primo quindicennio del secolo esso giunge a piena J2'l Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO XIV CAP. XXI maturazione. È il periodo nel quale si viene preparando quel processo di revisione teologica e filosofica che ha la sua maggiore espressione in Duns Scoto, ma Dante non mostra di esserne informato o di condividerne le dottrine; in un primo periodo egli utilizza piuttosto ampiamente gli scritti di Alberto Magno, al quale attinge anche la sua conoscenza degli interpreti arabi di Aristotele; e poiché Alberto si sente tanto vicino agli interpreti arabi di Aristotele quanto si sente lontano dai suoi interpreti latini e dallo stesso Tommaso, anche Dante si orienta verso quell'indirizzo neo-platonizzante, la cui espressione piu avanzata si trova nell'averroismo; basti pensare, ad es., alla dottrina dantesca della produzione mediata degli esseri corruttibili ad opera delle intelligenze che muovono i cieli, a quella che considera la materia come causa di im;>erfezione, alla teoria delle macchie lunari, a quella secondo la quale l'empireo è il luogo che contiene l'universo corporeo ed è contenuto dalla mente divina, nonché infine alla prova dell'immortalità dell'anima ricavata da argomenti di origine platonica e neo-platonica; anche le lodi che Dante fa sia di Averroè che, specialmente, di Sigieri, hanno cos( una spiegazione. Maggiore originalità hanno le. dottrine svolte da Dante intorno al linguaggio nel De vulgari eloquentia ed intorno al rapporto fra la chiesa e l'impero nel De Monarchia; una tendenza averroistica ispira anche il pensiero po.litico di Dante, il quale, come è noto, non insiste affatto sulla subordinazione rigida dell'impero alla chiesa e sottolinea piuttosto l'importanza dell'impero come strumento che esprime nel mondo terreno il destino unitario della stirpe umana che ha in Dio il suo principio e fondamento; la necessità di una coordinazione totale del genere umano e della sua obbedienza ad un unico monarca ha per un lato una giustificazione tipicamente religiosa e per l'altro una realizzazione di fatto autonoma dall'ingerenza ecclesiastica; che l'operp. politica di Dante sia stata interpretata come un'espressione di polemica anti-papale è attestato dal fatto che essa fu cqpdannata alle fiamme da Giovanni XXII nel 1329. Quando tuttavia l'animo di Dante è preso piu intimamente dall'ispirazione religiosa, come nei versi culminanti del Paradiso, egli esclude una filosofia indipendente dalla fede e si richiama piuttosto alle prospettive integralistiche di derivazione francescana e agostiniana. J:Z8 Baruch_in_libris § 6 ECKHART 6. Eckhart. Sei anni dopo la morte di Dante, nel 1327, a Colonia moriva il frate domenicano Giovanni Eckhart; un anno prima gli era stato intentato un processo per alcune sue dottrine ritenute ereticali; egli aveva ricoperto importanti funzioni nell'organizzazione del suo ordine e nel 1311 aveva anche insegnato all'università di Parigi. Con lui e con alcuni suoi scolari giunge a maturazione una dottrina che aveva avuto il suo iniziatore in Alberto Magno; il suo neo-platonismo aveva tratto ispirazione anche dagli scritti di Dionigi pseudo-Areopagita e dal Liber de causis che è un estratto degli scritti di Proclo. Nel 1268 Guglielmo di Moerbeke aveva tradotto in latino anche la Elementatio theologica di Proclo, oltre ai suoi commenti del Timeo e del Parmenide di Platone; proprio nella scuola di Colonia, questi testi neo-platonici furono ampiamente studiati. Nei molti scritti, prediche e discorsi di Giovanni Eckhart vengono appunto teorizzati j temi familiari a Dionigi pseudo-Areopagita ed a Scoto Eriugena; Giovanni insiste infatti sull'assoluta trascendenza di Dio a tutto l'essere; d'altra parte la realtà finita e in particolare l'uomo, se si considerano in rapporto all'infinita perfezione divina, sono piu non-essere che essere; posti i due poli dell'infinita trascendenza divina e della nullità dell'uomo, si può esplicare quel processo di elevazione dell'uomo a Dio che era stato teorizzato da Plotino; qui Giovanni, partendo dalla dottrina agostiniana dell'interiorità, fa dell'anima una sorta di principio divino in noi; c'è nell'anima, egli scrive, «qualche cosa che è increato cd increabile »; in forza di ciò, l'anima non esce mai dalla realtà divina, nella quale perpetuamente dimora; cosr l'uomo giusto, per mezzo dell'anima, fa tutt'uno con Dio ed il suo operare diviene quasi l'operare stesso di Dio. A tutte le pratiche del culto cd agli atteggiamenti esteriori Giovanni guarda con molto distacco, in quanto tutto ciò è secondario rispetto all'unione intima con Dio. La dottrina di Eckhart è un misticismo speculativo, che unisce ad un profondo misticismo religioso un'ampia utilizzazione della dialettica neo-platonica e dei suoi concetti; sicché l'unione con Dio non è solo profondamente sentita, ma è teorizzata minutamente in tutti i suoi aspetti. Da tale speculazione, svolta anche dopo la morte di Giovanni da alcuni dei suoi scolari, la vita religiosa tradizionale ha tratto forte incentivo a sciogliersi dalla Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO XIV CAP. XXI fedelti'f materiale alle opere esteriori e ad accentuare l'apporto libero dell'individuo in campo etico e religioso. 7. Giovanni di Jandun e Marsilio da Padova. Dopo la condanna dell'averroismo e dell'aristotelismo dcl 1277' que. st'indirizzo di pensiero continuò egualmente a svilupparsi, specialmente nell'università di Parigi; ne è un esponente il maestro nella Facoltà delle arti Giovanni di Jandun; insegna nel primo ventennio del secolo cd ha come collega Marsilio da Padova; nel periodo che va dal 1315 in avanti collaborano entrambi ad un'opera politica di grande rilievo, il Defensor pacis, compiuto nel 1324; poiché in esso si sferrava un violento attacco alle mire politiche del papato, sia Giovanni che Marsilio, appena trapelò la notizia delle loro teorie, dovettero fuggire da Parigi e si rifugiarono presso la corte di Ludovico il Bavaro; nel 1327 parecchie dottrine del Defensor pacis furono condannate da papa Giovanni XXII e contro gli autori fu scagliata la scomunica; Giovanni muore nel 1328, l'anno dopo la morte di Eckhart, mentre Marsilio vive alla corte del1' imperatore a Monaco fino al 1342. Giovanni di Jandun è autore soprattutto di commenti ad· opere di Aristotele e di Averroè; particolare interesse hanno i commenti al De anima, alla Fisica, al De coelo et munda. In questi scritti, egli segue da vicino anche le dottrine averroistiche piu in contrasto con la fede, come, per es., l'eternità del mondo e dcl movimento, l'unità dell'intelletto per tutti gli uomini, l'esclusione sia dell'immortalità personale come della resurrezione e della vita futura. Queste conclusioni sono filosoficamente ineccepibili, mentre le verità di fede non sono suscettibili di dimostrazione razionale. Giovanni segue dunque l'atteggiamento già tenuto da Sigieri di Brabante, anche se la sua polemica contro quanti r\tengono di poter dimostrare filosoficamente le verità di fede è piu acuta ed insistente; alcuni suoi accenti hanno perfino fatto pensare che egli fosse intimamente incredulo e ammantasse tale incredulità di un ossequio solo apparente e formale per la religione. Nel Defensor pacis che è principalmente opera di Marsilio, si studia lo stato con la mentalit~ propria della Politica di Aristotele, in aperto contrasto con le tesi dei curialisti che lo volevano sottoposto al potere· Baruch_in_libris § 7 GIOVANNI DI JANDUN E MARSILIO DA PADOVA della chiesa. Nello stato il potere spetta, secondo Marsilio, alla comunità che lo esercita per mezzo dei suoi rappresentanti; ma ciò che piu importa è la distinzione che bisogna porre fra le leggi dettate dalla CO· munità per la vita collettiva e le leggi divine; queste ultime hanno sanzione solo nella vita futura e concernono solo la coscienza dell'individuo; ma non hanno rilievo giuridico positivo, al pari delle leggi di natura; il fine dello stato non è quello di condurre gli uomini alla salvezza religiosa, ma quello di assicurare loro la migliore vita sulla terra. Mentre la salvezza religiosa è questione di un rapporto particolare fra la coscienza dell'individuo e Dio, gli aspetti organizzativi della vita religiosa r:~ntrano nella disciplina positiva della vita collettiva; di qui la necessità di un'amministrazione civile degli affari religiosi che riconduca lo stesso sacerdozio nell'ambito di un organismo tecnico a servizio dell'ordinamento civile dello stato che è, nel suo ambito, del tutto indipendente. Quella netta distinzione della filosofia e della fede che l'averroismo aveva propugnato come principio generale trova cosi in MarsiHo da Padova una concreta applicazione sul terreno politico; la sfera religiosa e la sfera politica debbono rimanere distinte; viene cosi colpita la concezione teocratica che si sforza di far valere la propria funzione religiosa direttamente sul terreno dell'ordinamento politico degli stati. 8. Guglielmo d'Occam: la logica. Contro il papato lotta a lungo, sia in appoggio alla sovranità imperiale, sia a sostegno dell'ideale della povertà professato dai frati minori, Guglielmo d'Occam; nato in Inghilterra verso la fine del Duecento, entra nell'ordine francescano, compie i suoi studi ad Oxford fra il 1312 ed il 1318 e vi inizia l'insegnamento; è probabilmente questo il periodo nel quale Guglielmo compone il maggior numero dei suoi scritti di argomento teologico e filosofico; in seguito ad una denuncia, viene chiamato ad Avignone, presso la curia papale, per rispondere di alcune sue dottrine sospette di eresia; è qui che incontra Michele di Cesena, generale del suo ordine, già in lotta con papa Giovanni XXII; nel 1328 Guglielmo fugge da Avignone, insieme con Michele, dcl quale ha ormai sposato la causa ed entrambi si rifuiiano presso Ludovico il Bavaro; fino alla morte, avvenuta probabilmente nel 1349, Guglielmo JJI Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO XIV CAP. XXI non si stanca di scrivere opuscoli e libelli contro_ il papa. È tuttavia nel campo filosofico generale, ancor piu che in quello del pensiero politico, che Occam lascia una traccia profonda; le sue opere maggiori sono, in proposito, il suo commento alle Sentenze, una Summa totius logicae e delle Summulae su problemi di fisica; il piu importante degli scritti politici è il Dialogus de imperatorum et pontificum potestate. L'indirizzo generale del pensiero di Occam è, come per Duns Scoto, restrittivo delle conclusioni che si possono trarre in campo filosofico rispetto alle verità della fede; si rende quindi necessaria una netta distinzione dei due campi; da essa risulta da un lato un~ considerazione piu autenticamente religiosa delle verità della fede e dall'altro una valutazione piu rigorosa dei limiti della nostra conoscenza naturale. Nella sua logica Occam critica anzitutto la dottrina degli universali reali o essenze ideali, propria della tradizione platonico-agostiniana. « Ogni sostanza, scrive, è numericamente una e singolare, poiché ogni cosa è una cosa sola e non piu cose; ed ogni cosa, se è una cosa sola e non piu cose, è una di numero». Invece le essenze platoniche sono delle nature comuni che, individuate come aspetti intelligibili di piu cose, vengono considerate come reali e quindi come delle cose comuni. Occam mostra che indebitamente si attribuisce portata reale a tali aspetti delle cose. «Nell'individuo, spiega Occam, non c'è nessuna natura universale realmente distinta da ciò che è proprio di un individuo; o essa fa parte dell'individuo stesso ed allora non ne può essere distinta, oppure resta distinta dall'individuo ed allora la natura universale potrebbe esistere senza l'individuo e l'individuo potrebbe esistere senza la natura universale». «Io dico, conclude, che nessuna cosa fuori di noi è universale, né per se stessa, né in -virtu di qualche cosa che le si aggiunga nella realtà o nell'intelletto, né per qualsisasi modo la si consideri o la si intenda; infatti è tanto grande l'impossibilità che una cosa qualsiasi sia in qualche modo universale in natura, quanto è grande la impossibilità che un .uomo, in qualsiasi modo lo si voglia considerare e secondo ogni modo d'essere, sia un'altra cosa». Ma quale fondamento ha allora la proposizione che dice «Socrate è un uomo», se in realtà Socrate è una sostanza individua e basta? Il linguaggio mentale, risponde Occam, è fatto di proposizioni mentali; e le proposizioni son fatte di termini; bisogna soprattutto chiarire la " suppositio " dei termini, cioè la fon. Baruch_in_libris § 8 GUGLIELMO D'OCCAM: LA LOGICA zione per cui essi denotano qualche cosa di reale; per es., nella proposizione « uomo è una parola » il termine "uomo " si riferisce non già agli uomini individui reali (che non sono parole), ma alla stessa realtà materiale della parola "uomo"; invece nella proposizione «l'uomo corre », il termine " uomo " denota i singoli individui uomini; infatti sono essi che corrono e non la parola "uomo" o il concetto "uomo"; infine nella proposizione «l'uomo è una specie», il termine "uomo" non denota né la realtà materiale della parola (la quale, infatti, non è una specie, ma un suono parlato o scritto), né i singoli uomini, di ciascuno dei quali non si può dire che sia una specie; qui il termine denota invece UQ concetto, giacché solo dei concetti si può dire che sono specie o generi. Fuori di noi non ci sono che esseri individui; quando, per denotarli, ci serviamo di un concetto confuso, che appunto perché confuso non ci consente una chiara denotazione di nessun individuo determinato, abbiamo quei termini mentali che si dicono universali. Bisogna però non confondere i concetti confusi con le cose e non attribuire quindi realtà esterna ai concetti confusi, i quali, fuori di noi, non hanno altro equivalente che gli individui particolari; i concetti confusi sono strumenti con cui conosciamo le cose, non già delle. cose. L'errore piu diffuso fra i filosofi, secondo Occam, è proprio quello che li porta ad attribuire realtà ai concetti confusi, come se essi fossero immagini di oggetti esterni, altrettanto confusi; invece le "res" sono sempre chiare, perché individue; ed i concetti universali di genere e specie non hanno altro equivalente che gli individui. Quando dunque diciamo «Socrate è uomo» non indichiamo niente di reale all'infuori di Socrate; non esiste infatti un'essenza umana distinta da lui; né quindi la proposizione può denotarla; l'unica cosa in piu dell'individuo che quella proposizione significa è che noi concepiamo quell'individuo in maniera confusa; ma la nostra maniera confusa di concepire un individuo non è da confondere né con l'individuo, né con un suo elemento. I termini universali, i generi e le specie hanno dunque la caratteristica di potersi predicare di molti individui; cos{ diciamo appunto «Socrate è uomo», «Platone è uomo», «Cesare è uomo»; ma i tre individui in questione restano ognuno quella re.r individua che ciascuno di essi è. I concetti, universali o particolari, sono soltanto " termini ", sono cioè con la realtà in un rapporto che non è di rispecchiamento reale, ma solo di corriJJJ Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO XIV CAP. XXI spondenza funzionale; i concetti sono del tutto esterni alle cose, sono segni il cui raccordo con le cose non comporta alcuna confusione fra la loro realtà e quella delle cose; insomma i concetti non rivelano l'essenza delle cose, ma sono piuttosto quasi simboli sui quali poggia un calcolo indipendente dalla realtà. Le essenze vanno quindi eliminate dal mondo della realtà e ridotte a funzioni mentali. Al pari delle essenze vanno eliminate dalla realtà ·altre entità superflue che hanno origine dall'indebito conferimento di portata reale ad operazioni mentali; la relazione, per es., non è una realtà distinta da quella dei suoi fondamenti; per es., la somiglianza di Socrate con Platone « non importa altro se non che sia bianco Socrate come anche Platone, oppure che l'uno e l'altro sia nero, oppure che possiedano qualità dello stesso genere; chi conosce Socrate e Platone ed il loro essere. bianchi non ha bisogno di conoscere altro per dire che Socrate somiglia a Platone». Con quest'analisi Occam elimina dalla realtà tutto il mondo delle essenze, guidato in ciò in parte dalla dottrina aristotelica dell'individualità ed in parte da quell'esperienza dell'individualità che ha le sue radici nel misticismo francescano. 9. La conoscenza umana e i suoi limiti. L'uomo possiede, secondo Occam, due forme principali di conoscenza: la conoscenza dimostrativa muove da principi evidenti e ne ricava deduttivamente le conseguenze; si tratta di un procedimento in se stesso, necessario, ma astratto, nel senso che non ci informa dei fatti e della realtà. Era proprio la struttura delle essenze che, nella visione platonicoagostiana del reale, consentiva al procedimento deduttivo di avere portata reale; infatti in quel contesto dottrinale la deduzione non era che il rispecchiamento fedele di una corrispondente gerarchia concreta; tolta però di mezzo la struttura delle essenze, il procedimento razionale ha un puro valore analitico, tautologico, di rigore formale; esso lavora sui termini mentali e sui loro rapporti; le operazioni sui termini mentali, se rigorosamente condotte, presentano carattere di necessità proprio perché alla radice tutte le deduzioni poggiano sul principio di non contraddizione. Ma a questo rigore formale e deduttivo non fa riscontro una portata reale proprio per la stessa natura formale e linguistica delle fun- Baruch_in_libris § 9 LA CONOSCENZA UMANA E I SUOI LIMITI zioni logiche. La seconda forma di conoscenza è quella del particolare, dei fatti; non è soltanto la sensazione che coglie il particolare, come voleva Aristotele, ma anche l'intelletto; esso coglie l'unica vera realtà che è quella degli individui singoli per mezzo della conoscenza intuitiva. « La conoscenza intuitiva di una cosa è tale, scrive Occam, che in virtu di essa si può sapere se la cosa esiste o no; per es., se Socrate fosse realmente bianco, quella conoscenza di Socrate e della bianchezza in forza della quale si può conoscere con evidenza che Socrate è bianco, si chiama conoscenza intuitiva». La conoscenza intuitiva si distingue a sua volta dalla conoscenza astrattiva « che è la conoscenza in virtu della quale di una cosa contingente non si può sapere con evidenza se esista o no»; essa è la conoscenza che prescinde dall'esistenza o non esistenza della cosa. La conoscenza intuitiva condiziona la conoscenza astrattiva, nel senso appunto che la conoscenza dello schema astratto d'una cosa non può aversi se prima non la si è conosciuta nella sua reale esistenza. Ma è troppo chiaro che la conoscenza intuitiva del particolare non può fondare una conoscenza scientifica necessaria, ma solo una conoscenza sperimentale e contingente; partendo dalla considerazione di fatti singoli, se non esiste una trama essenziale interna ad essi che ci permetta di collegarli all'intero contesto della scala gerarchica delle essenze, non possiamo conseguire dei fatti stessi alcuna cognizione necessaria; ma Occam elimina dal reale ogni struttura essenziale, ogni nesso e distinzione che non si rifaccia solo agli individui; cos{ la realtà è soltanto una molteplicità di individui, ognuno dei quali può stare senza l'altro, senza un ordine di essenze che la regga e la tenga unita. La con0scenza necessaria deduttiva non ha allora alcun fondamento intrinseco nella realtà e la realtà, per la stessa struttura puntuale, non consente una scienza universale e necessaria di tipo aristotelico. La conoscenza umana non può, per es., dimostrare con rigore l'esistenza di Dio; infatti, osserva Occam, « la proposizione " Dio esiste " non è immediatamente evidente, dal momento che molti dubitano di essa; e nemmeno si può dedurre da antecedenti immediatamente evidenti; e non è nemmeno, come è chiaro a tutti, una proposizione nota in base all'esperienza»; da un lato il ragionamento deduttivo non può dimostrare un'esistenza, né l'uomo può d'altra parte, nella vita presente, avere esperienza di Dio; la proposizione «tutto ciò che è mosso viene 335 Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO XIV CAP, XXI mosso da altro», su cui poggia la prima "via" di Tommaso, non è, per Occam, una proposizione evidente, in quanto, per es., l'anima è qualche cosa che muove se stessa; anche la proposizione che dice che «non si può risalire all'infinito nella serie delle cause» non è immediatamente evidente; in conclusione, si potrà dire al massimo che l'esistenza di Dio è una conclusione probabile, ma non si hil al riguardo dimostrazione rigorosa. Nemmeno l'unicità di Dio è dimostrabile; potrebbero infatti esistere molti mondi ed ognuno potrebbe avere la sua causa prima, cioè il suo Dio. La ragione non può recare che elementi di probabilità a favore degli attributi di Dio, quali risultano dalla fede. L'intuizione che abbiamo dei nostri atti ci assicura della loro esistenza; ma noi non abbiamo alcuna esperienza diretta della nostra anima, come di qualche cos? di sostanzi:!}e e di diverso dal nostro volere, dal nostro sentire, dal nostro intendere. Quanto·all'immortalità dell'anima, essa non si può dimostrare per mezzo della ragione, né ci è attestata dall'esperienza; anzi l'esperienza ci attesta i molti legami dei nostri atti con il corpo. Con la ragione non si può dimostrare nemmeno che un determinato atto sia buono o cattivo; a tutte queste conseguenze negative Occam giunge proprio per l'eliminazione delle essenze che ha posto alla base della sua dottrina; se non c'è una scala di essenze che dal mondo sale fino a Dio, non possiamo dimostrare l'esistenza di Dio; se gli atti dell'anima non sono proprietà di una sua essenza stabile, non si può dimostrare la sua sostanzialità; se le essenze non sono reali, cade anche la distinzione fissa fra gli atti buoni e quelli cattivi, come distinzione autonoma rispetto alla volontà divina. Non occorre poi dire che anche la conoscenza che noi potremo avere dell'universo fisico è limitata e non consegue il. valore d'una scienza ri· gorosa; in particolare noi non possiamo conoscere un ordinamento assoluto di leggi di natura; potremo rilevare l'esistenza di determinate realtà individue e l'esistenza di rapporti di inerenza o di distanza o di relazione; ma tali rapporti sono sempre colti da noi nella loro parti· colarità e nella loro contingenza; possiamo certo cogliere nell'ordine reale del mondo una certa stabilità, che corrisponde al potere con cui Dio mantiene appunto un certo ordine nel reale; ma non possiamo ritenere -:he quest'ordine sia necessario, né possiamo dimostrare che la potenza con cui Dio ordina il reale sia inamovibile cd immutabile. Baruch_in_libris § IO LA SOLUZIONE FIDEISTICA DI OCCAM 10. La soluzione fideistica di Occam. La critica della conoscenza umana e la determinazione dei suoi limiti servono ad Occam per ridare valore all'iniziativa divina, per difendere l'originalità della fede cristiana dal necessitarismo naturalistico di origine greca ed araba. Dio, afferma Occ.am, è iniziativa assoluta e libera; nella creazione del mondo egli non ha bisogno di alcun esemplare che si imponga alla sua azione; in Dio coincidono intelletto e volontà, per cui non ha senso parlare di una sua conoscenza come precedente ali'esercizio della volontà e della creazione. Cosi Dio non è sottoposto ad alcun vincolo etico o di dover essere; i supremi principii morali non sono tali in quanto si impongano alla stessa volontà divina, ma hanno nella volontà di Dio l'unico loro fondamento; cioè il bene è tale perché Dio lo vuole e non già Dio lo vuole perché è bene; se Dio avesse voluto comandare agli uomini di odiarlo, l'odio di Dio sarebbe divenuto un bene ed un dovere per gli uomini. Dio ha diretto rapporto con gli individui reali, che sostenta nel loro essere senza il tramite di alcuna gerarchia di essenze; egli opera direttamente nell'universo e può sia mantenere in esso un ordine relativamente costante, sia operare miracolosamente, cioè sottraendosi all'ordine ce>mune. L'eliminazione dcl mondo delle essenze riconsegna cosi direttamente a Dio l'insieme dell'universo ed il suo sviluppo. Con ciò Occam intende sottolineare il divario che separa la fede cristiana dal mondo filosofico; fra i due non è possibile alcun compromesso e quindi deve ritenersi fallito sia il tentativo di una corrente del pensiero cristiano di arrivare al mondo della fede per tramite delle dottrine platoniche, sia il tentativo tomistico di pervenirvi attraverso il naturalismo aristotelico. Anche il pensiero politico di Occam è rivolto nella stessa direzione; egli prende infatti posizione contro la confusione fra l'o.~ercizio del p<>tere spirituale e quello dcl potere politico; «se il papa, scrive, per c<>mando e disposizione di Cristo, possedesse una potestà cosi piena ed indiscriminata, da poter di diritto disporre delle cose spirituali e di quelle temporali senza eccezione, dovremmo dire che la legge cristiana comporta un'orrenda schiaviro, assai peggiore di quella della legge antica; infatti tutti i cristiani, gli imperatori e i re, come i loro sudditi, sarebbero servi del papa, nel senso piu rigoroso dcl termine »; sfuggono al po- 337 Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO XIV CAP. XXI tere papale, secondo Occam, sia « i diritti legittimi degli imperatori, dei re e di tutti gli altri fedeli ed infedeli, diritti che il papa non può sconvolgere e diminuire senza una ragione e senza colpa », sia « le libertà che Dio e la natura hanno concesso agli uomini»; in particolare Occam. sostiene che l'organizzazione politica e civile è autonoma rispetto alla chiesa e che l'autorità imperiale non dipende dal papa; anche qui si ritrova a base del suo atteggiamento, una considerazione religiosa, quella per cui « i possessi e i oiritti secolari vanno annoverati fra i beni di piu bassa qualità, tali che uno può usarne anche male e può vivere bene anche facendone a meno » ; le cose " mortali " non vanno confuse con le cose "celesti"; come è l'insufficienza della conoscenza umana che ne fa un campo autonomo rispetto alla fede, cosr è la natura materiale della vita politica e civile che ne fa un ambito indipendente rispetto alla vita religiosa; e come l'autonomia della conoscenza naturale conferisce maggiore libertà alla fede, cosr l'autonomia del potere temporale conferisce maggiore libertà e spiritualità alla chiesa. 11. II movimento occamista e Buridano. Le dottrine di Occam presero piede fra il 1330 ed il 1350 sia nelle università inglesi di Oxford e di Cambridge, sia a Parigi; qui esse provocano, intorno al 1340, dei dibattiti accaniti che si concludono con severi richiami papali e con la condanna di alcuni teologi oltranzisti. Fra questi va ricordato Nicola di Autrecourt, condannato a bruciare, nel 1347, davanti ai maestri dell'università, alcuni suoi scritti accusati di eresia. Nicola si ricollega ad Occam nell'analisi critica della conoscenza e dei suoi limiti. Solo la conoscenza immediatamente evidente è del tutto certa, a suo avviso; ora vi sono due generi di evidenza.: quella razionale basata sul principio di non contraddizione, e quella sperimentale per cui si constata ciò che viene offerto dai sensi. Applicando questo criterio all'esame della nostra conoscenza, si ottengono delle conclusioni molto restrittive sia circa la nostra conoscenza del rapporto fra cause ed effetti, sia circa la conoscenza delle sostanze. In base al principio di non contraddizione, non si può, partendo dal fatto che una cosa esiste . (l'effetto), concludere necessariamente che ne esiste un'altra (la causa); il principio di non contraddizione ci assicura solo che una cosa non può Baruch_in_libris § li IL MOVIMENTO OCCAMISTA E BURIDANO essere nello stei:so tempo se stessa ed il suo contrario; ma essendo ogni cosa sciolta da tutte le altre, come aveva appunto affermato Occam, non c'è passaggio necessario dall'una all'altra; l'esperienza può rilevare che A tien dietro a B; noi possiamo, in base all'esperienza passata, prevedere un'analoga successione per il futuro; ma questa previsione, in qu:mto basata sull'esperienza, non ha alcun carattere di necessità. La stessa critica Nicola fa del passaggio che compiamo dalle qualità osserv::ite ad una sostanza che ne sarebbe il sostegno; il passaggio non è razionalmente necessario; né l'esperienza ci attesta qualche cosa piu delle qualità; nulla quindi ci autorizza ad affermare che esiste qualche cosa oltre a quello che percepiamo con i cinque sensi e con l'esperienza interna. Nicola conclude che quasi nessuna delle proposizioni contenute nella fisica e nella metafisica di Aristotele si può ritenere rigorosamente dimostrata; pertanto nessuna di esse ha valore scientifico; qui si scopre che l'obiettivo polemico di Nicola è sempre l'averroismo, cioè la filosofia greco-araba, nella sua pretesa di verità. Giovanni Buridano non appartiene, come Nicola di Autrecourt, al movimento occamista; maestro nella Facoltà delle arti a Parigi, vi insegna per circa un quarantennio fino alla morte avvenuta intorno al 1358. Egli non persegue la demolizione delle essenze teorizzate da Occam ed è persuaso, contro Nicola di Autrecourt, che si possa partire dall'esistenza d'una cosa per dimostrare l'esistenza di un'altra; oltre che alla conoscenza dimostrativa razionale, dà rilievo anche alla conoscenza sperimentale e ritiene che essa possa conseguire risultati p1u estesi di quelli ammessi dai seguaci radicali di Occam. Per la stessa ragione, la sua logica non è anzitutto rivolta a stabilire criticamente la portata reale dei concetti; lo studio che piu lo interessa è invece il raffronto fra il mondo logico mentale e la sua espressione linguistica, per chiarire importanti questioni relative all'esegesi ed all'interpret::izione degli autori e dei testi. Infine egli dà notevole sviluppo alle teorie fisiche, specialmente a quella dell'impetus; mentre Aristotele cercava di spiegare il movimento di un proiettile, una volta staccatasi da esso la mano che lo lancia, ricorrendo al movimento dell'aria in cui il proiettile è immerso, determinato a sua volta dal movimento della mano, Buridano riprende una spiegazione del commentatore greco di Aristotele Filopono e giustifica la continuazione del movimento del corpo lanciato facendo ricorso 319 Baruch_in_libris LA PRIMA METÀ DEL SECOLO XIV CAP. XXI ad una sorta di slancio o impetus impresso al corpo stesso dalla mano; questo impetus è, secondo Buridano, proporzionale alla velocità con cui la mano lancia il mobile ed alla massa del corpo lanciato; il mobile conserva lo slancio finché la resistenza dell'aria ed il peso non lo annullano. 12. Lo sviluppo delle scienze. Nella prima metà del secolo xiv si accentua un fatto già verificatosi nel periodo precedente, ossia lo· sviluppo della scienza, e particolarmente della matematica e di alcuni settori della scienza fisica, in due campi diversi: da un punto di vista pratico, con riferimento al progresso sociale ed alle scoperte tecniche, queste scienze si vengono affermando fuori del mondo degli studi inteso in senso stretto ed a diretto contatto con il mondo degli affari e delle iniziative commerciali; da un punto di vista piu propriamente teorico, esse vengono coltivate negli ambienti universitari che, piu lontani dal mondo della tecnica, si nutrono prevalentemente del passato e dei suoi monumenti scientifici piu significativi. In relazione a ciò è anche l'aumento rilevante" del numero delle persone che si occupano di questioni scientifiche. Nelle matematiche emerge l'opera di Tommaso Bradwardine che è portato ad applicare il metodo matematico perfino nella teologia; egli è autore di una Geometria speculativa e di un Tractatus de proportionibus, oltre che di uno scritto sulla quadratura del circolo in cui riprende la trattazione di un classico pr~blcma della geometria antica. Nell'ambito della fisica e della tecnica, si vengono perfezionando, in relazione alla tecnica delle costruzioni, le osservazioni relative all'equilibrio dci pesi cd al loro movimento; è da queste osservazioni che si viene preparando una vera e propria dottrina de ponderibus, che è, in embrione, la teoria del movimento, quale verrà poi integrata nella meccanica moderna. Anche le prime applicazioni tecniche della scoperta della polvere da sparo risalgono ai primi decenni del secolo xiv. La medicina riceve notevole impulso, specialmente a Bologna ed a Padova, dalla scuola di Taddeo Alderotto e da quella di Pietro d'Abano; gli studi di medicina che sono riusciti ad organizzarsi in forma autonoma nell'ambito delle università, appunto nella facoltà specifica, non segnano comunque progressi decisivi, impediti come sono, per varie ragioni, di fare diretto ricorso all'osservazione e non sollecitati dallo sviluppo di altri importanti settori della ricerca scientifica, dai quali gli studi di medicina dipendono; sostanzialmente si resta ancora all'acquisizione del materiale accumulato dalla medicina antica ed araba, con l'aggiunta di contributi isolati e particolari. Eccezionale è, per contro, il livello cui giunge in questo periodo la storiografia e la cronaca; la cronaca di Giovanni Villani si spinge fino al 1348, anno della morte dcl suo autore, mentre quella di Dino Compagni viene Baruch_in_libris § 12 LO SVILUPPO DELLE SCIENZE stesa fra il 1310 ed il 1312; ad esse si può aggiungere l'opera storica e, generalmente, di cultura già orientata in senso umanistico, di Albertino Mussato, morto nel 1329, e del vicentino Ferreto, morto otto anni dopo; anche la figura di Cola di Rienzo (1313-1354), per la sua mentalità umanistica, è indicativa dell'evoluzione culturale che si viene preparando. Fra i cultori del diritto, Cino da Pistoia (1270-1337) inizia un indirizzo nuovo, con tendenze piu filosofiche rispetto a quelle dei glossatori della scuola bolognese e con un atteggiamento apertamente polemico nei confronti dei canonisti, in difesa dcl potere civile contro quello ecclesiastito. Gli sviluppi della cultura scientifica presso gli Arabi e gli Ebrei non sono trascurabili; ma l'unico nome che emerge nella prima metà del secolo xiv è quello dell'ebreo provenzale Levi ben Gerson, vissuto fra il 1238 e il 1344, autore di un manuale di calcolo e di un importante commento agli Elementi di Euclide; con Levi ben Gerson si afferma la trattazione teorica della matematica e della geometria; egli ferma particolarmente la sua attenzione, infatti, sul procedimento metodico di Euclide, di cui cerca di rendere piu rigorosa la assiomatica. Baruch_in_libris CAPITOLO ltXII La seconda metà del secolo xtv LA SCUOLA DI BURIDANO. WYCLEF 1. Il periodo. La seconda metà del secolo xiv è sotto il segno da un lato dell'avan· zata dei Turchi verso i Balcani e dall'altro dello scisma di Occidente che mette a dura prova l'unità religiosa europea. Verso la fine del secolo l'avanzata turca subisce un arresto momentaneo, dopo il quale riprende l'azione che porterà, cinquant'anni piu tardi, alla fine dell'impero bizantino. Dallo scisma di Occidente nasce il problema di una riforma della chiesa che ne impedisca l'eccessiva mondanizzazione e che la riporti piu vicina alla sua funzione schiettamente religiosa e spirituale. L'universalità politica della chiesa viene ormai avversata sia dall'esterno che dall'interno; .gli sforzi di coloro che vogliono liberare la chiesa e la vita religiosa dalle troppo pesanti ipoteche della temporalità si incontrano con gli sforzi di coloro che rivendicano agli stati cd ai principati la piu completa autonomia politica. La fine del Medioevo, per la storia della filosofia, coincide appunto con la crisi dell'universalismo politico della chiesa che si accompagna al tramonto del carattere ecclesiastico della cultura e all'autonomia della ricerca filosofica dai presupposti della fede. Certamente i nuovi caratteri del pensiero non emergono istantaneamente nella storia, come i caratteri dcl pensiero medievale non scompaiono istantaneamente; il mutamento si realizza attraverso un periodo abbastanza lungo nel quale gli elementi del mondo medioevale e quelli dcl mondo moderno si intrecciano e si combattono. Comunque nella seconda metà del Trecento già cominciano ad affermarsi indirizzi di pensiero che si muovono fuori della tematica filosofica scolastica; si hanno, già in questo periodo, con Petrarca e con C..oluccio Salutati, i segni di una nuova cultura umanistica e laica, che si considera in polemica con la tradizione scolastica; il ricupero dcl mondo classico, al di là dello scolasticismo medievale, è lo strumento della nuova cultura, l'arma polemica dcl distacco fra il vecchio ed il nuovo pensiero. Baruch_in_libris § IL PERIODO I All'università di Parigi e in altre università europee si affermano gli studiosi usciti dalla scuola di Buridano, mentre in Inghilterra Wyclef prosegue la filosofia di Duns Scoto e ingaggia una vasta battaglia contro la chiesa; il vecchio mondo scolastico è tutto diviso fra la corrente dei nominalisti e quella dei realisti. L'intreccio fra le due direzioni culturali appare dunque evidente e proseguirà, con alterne vicende, ancora nel corso di due secoli, durante l'età dell'Umanesimo e del Rinascimento; ma il nuovo pensiero viene acquistando importanza sempre maggiore ed impronta ormai una nuova epoca storica. 2. Petrarca. Nel Petrarca che, pur essendo nato nel 1304, compone alcuni dei suoi scritti piu significativi dopo la metà del secolo (come il De sui ipsius et multorum ignorantia che è del 1367, il De vita solitaria che è del 1346-56 ed il De remediis utriusque fortunae che è del 1354-66) e muore nel 1374, si debbono qui considerare soprattutto due punti: il lìUO umanesimo cd il suo atteggiamento polemico nei confronti dell'aristotelismo e del naturalismo del suo tempo. L'umanesimo del Petrarca è un ritorno alla classicità che scaturisce da un profondo senso di distacco e di avversione culturali rispetto al proprio tempo: « Io attesi unicamente nei molti miei studi, scrive, alla conoscenza dell'antichità, poiché questa età mia sempre mi dispiacque; cosi che se l'amor dc' miei piu cari non avesse creato una contraria voglia in me, sempre io avrei tolto d'esser nato in ogni altra età, che in questa; cd ora, di questa dimenticandomi, vorrei con l'animo continuamente affisarmi nell'arte». L'avversione culturale dcl Petrarca per il proprio tempo nasce soprattutto dal clima naturalistico di derivazione aristotelico-averroistica che egli vede affermarsi ovunque nel campo degli studi e dal dilagare di uno scolasticismo divenuto maniera e privo di originalità; il Petrarca rivive anche la problematica religiosa con un vivo senso dell'interiorità umana e pertanto dell'originalità spirituale. Egli guarda con diffidenza a coloro che cercano di studiare la natura e dimenticano di considerare se stessi e la propria vita. Aristotelici, medici, averroisti, osserva ironicamente il Petrarca, « molte cose sanno delle belve, degli uccelli e dei pesci, e ben conoscono quanti crini il ' leone abbia sul capo, e quante penne nella coda lo sparviero e con quante spire il polipo avvolga il naufrago»; ora, «codeste cose, in gran parte, o 343 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO XIV CAP. Xl.H son false o sconosciute a quelli stessi che le affermano»; però, anche se fosserp vere, « a nulla servirebbero per la vita beata »; a che giova « conoscere la natura delle belve e di:gli uccelli e dei pesci e dei serpenti, ed ignorare e non curare di sapere la natura dell'uomo, cioè perché siamo nati, donde veniamo, dove andiamo » ? La nuova cultura si annuncia dunque come una critica dell'esteriorità meccanica della stessa conoscenza della natura e come esigenza d'una partecipazione piu diretta dell'uomo come soggetto al mondo in cui egli vive ed opera. Un senso drammatico della vita religiosa, una passionalità sottile e tormentata, un'interiorità agitata e divisa portano il Petrarca a porre al centro dell'interesse culturale il problema dell'anima, cioè il soggetto; la filosofia che gli interessa è la filosofia morale che ha le sue fonti tanto nel cristianesimo di Agostino, quanto nel paganesimo di Cicerone e di Seneca; Petrarca fa frequenti richiami anche a Platone, ma la conoscenza che ne ha non è approfondita. È da questo atteggiamento con cui Petrarca affronta i problemi culturali che ha inizio una nuova direzione del pensiero. 3. Lo sviluppo della scuola di Buridano. Gli studi naturalistici, contro i quali prende pos1z1one il Petrarca, hanno il loro centro di propulsione nell'università di Parigi, dalla quale si diffondono in altri centri importanti di tutta Europa. A Parigì, il piu importante continuatore della scuola di Buridano è Nicola Oresme, che vi insegna dal 1356 in avanti e muore vescovo di Lisieux nel 1382. La profonda conoscenza che ha della geometria di Euclide, intorno alla quale scrive delle Quaestiones, lo porta ad usare le figure geometriche nello studio delle. qualità fisiche : « Immaginare delle figure, scrive, aiuta moltissimo anche nella conoscenza delle cose, in quanto la figura consente di studiare le proprietà della qualità cui corrisponde_ piu chiaramente e piu facilmente, sia perché ciò che c'è in esse di simile è disegnato in una figura piana, sia perché questa somiglianza, resa chiara da un esempio visibile, è colta rapidamente e perfettamente dall'immaginazione». Oresme si riferisce all'uso delle coordinate per rappresentare le variazioni d'una qualità, in quanto su una retta orizzontale si può riportare l'estensione d'una qualità mentre una retta. verticale avrà Baruch_in_libris LO SVILUPPO DELLA SCUOLA DI BUllIDANO altezza proporzionale all'intensità della stessa; la figura che se ne ricava ha proprietà corrispondenti a quelle della qualità studiata. Oresme ha anche rilevato che, nella caduta dei gravi, lo spazio percorso da un cor· po che si muova di movimento uniformemente accelerato è proporzionale al tempo impiegato a percorrerlo; cosi afferma che «non si può provare con nessuna esperienza che il cielo si muova di movimento giornaliero e che in questo stesso modo non si muova la terra ». Gli si devono infine delle: parafrasi in volgare francese della politica e dell'etica di Aristotele ed un trattato sulla moneta. Alla scuoia di Buridano appartiene anche Alberto di Sassonia, maestro nella Facoltà delle arti a Parigi dal 1351 al 1362 e primo rettore della nuova università fondata a Vienna nel 1365. È autore di scritti di logica con cui difende l'indirizzo della logica nova degli occamisti o nomina/es o terministae, contro la via antiqua dei tomisti e degli scotisti, di commenti ad opere aristoteliche, di scritti di meccanica, di fisica e di matematica. In particolare Alberto approfondisce il problema dell'impetus e studia la questione della gravità dei corpi, oltrepassando la formulazione aristotelica della teoria dei luoghi naturali e stabilendo che per ogni corpo si possono distinguere due centri, quello del volume o grandezza ed il centro di gravità; i due centri non coincidono nei corpi di diversa densità; anche la terra ha diversa densità in parti diverse; perciò il suo centro di volume non coincide con il suo centro di gravità ed il centro del mondo non coincide senz'altro con il centro di volume della terra; il movimento gravitazionale dei corpi è determinato dalla loro tendenza a far coincidere il loro centro di gravità con il centro del mondo. Alberto è anche noto per aver trattato con procedimento matematico la questione della intensio e remissio delle forme; già Oresme aveva notato che una forma o qualità può avere maggiore o minore intensità (intensio), maggiore o minore mancanza di intensità (remissio); per es., una cosa può essere piu o meno bianca, piu o meno dolce, ecc.; per spiegare la· diversa intensità delle qualità Alberto ricorre alla matematica ed in particolare alla teoria delle proporzioni; qui, come si vede, si fa ricorso allo strumento matematico per l'indagine sulla natura, anche se nell'uso di questo ci si ferma a semplici corrispondenze esterne di carattere intuitivo e se ne fa applicazione anche fuori della natura, nel campo delle qualità astratte. 345 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SECOLO XIV CAP. xxn Nell'università di Oxford vengono particolarmente coltivati, nella seconda metà del Trecento, gli studi di logica; è dall'incontro di logica e di matematica che trae origine la « calculatio » o calcolo; in alcuni casi essa ha contribuito a chiarire con procedimento algebrico gli aspetti quantitativi di alcuni fenomeni, come la trattazione della intensio e remissio delle forme con procedimenti geometrici; ma fu anche applicata come un procedimento astratto, privo di qualsiasi nesso con la realtà naturale. Ciò caratterizza del resto tutta la ricerca naturalistica dell'ultima scolastica, il cui merito maggiore consiste nell'aver modificato aspetti notevoli della fisica aristotelica, senza uscire tuttavia dal contesto generale della visione del mondo da essa codificata. La maggior parte degli studiosi impegnati in queste ricerche si richiama alle vedute filosofiche generali di Occam, anche St: essi hanno svolto l'indagine sulla natura con intenti piu positivi e sistematici, sulla scia dell'aristotelismo promosso dagli studi delle Facoltà delle arti. 4. Giovanni Wyclef. Giovanni Wyclef, nato nel 1320 e morto nel 1384, studia ad Oxford e vi insegna teologia. Egli professa il determinismo teologico, cioè la dottrina secondo la quale la volontà di Dio agisce in modo cosi diretto nelle operazioni degli uomini da realizzare una loro sudditanza asso! uta e totale rispetto all'iniziativa divina. Le prospettive filosofiche piu generali di W yclef riecheggiano il metodo di Duns Scoto ed un certo realismo delle essenze. L'aspetto piu noto del pensiero di Wyclef è quello politico-religioso, che lo mise a capo di un vasto movimento di ribellione alla chiesa; dalle discussioni sollevate dai contrasti fra il papato e la corona ingle~e per motivi di competenze giurisdizionali e fiscali, egli passa ad una battaglia aperta contro la chiesa in cui si inseriscono attiva. mente le opere scritte nel decennio fra il 1374 e il 1384; le principali sono: De dominio divino, De civili dominio, De officio regis, De potestate papae. Wyclef sostiene che la chiesa è la comunità dei predestinati e non ha altro capo all'infuori di Cristo; il papa non può pretendere di esser capo di tale comunità; la vera chiesa, a suo giudizio, non soltanto sfugge all'ordine temporale, il quale la degrada, ma sfugge anche alle strutture organizzative esteriori, che non la possono esprimere; ogni uomo, con- Baruch_in_libris § 4 GIOVANNI WYCLEP tinua Wyclef, è immediatamente suddito di Dio, si che tra Dio e ciascun individuo non ha da porsi alcun intermediario, né alcuna organizzazione definita; inoltre la pienezza dei poteri nell'organizzazione della vita collettiva spetta alla comunità dei giusti, che è la sola sovrana e sola detiene la proprietà collettiva dei beni temporali. Proprio per mettere piu direttamente il fedele a contatto con Dio, W yclef si sforza di promuovere un vasto movimento religioso popolare che coltiva lo studio e la lettura diretta del testo sacro; in questa riforma religiosa si inserisce anche una riforma sociale; infatti al movimento di Wyclef aderiscono larghi strati del popolo che aspirano a migliori condizioni di vita; il movimento dei lollardi, represso con la violenza dalla monarchia e dalla classe dirigente inglese, afferma infatti con chiarezza che « all'origine dei tempi tutti gli uomini erano eguali » e che «la servitu fu introdotta dalle azioni ingiuste dei cattivi, contrariamente alla volontà divina, giacché se Dio avesse avuto l'intenzione di fare gli uni servi e gli altri signori, avrebbe stabilito questa distinzione fin dall'inizio». 5. Coluccio Salutati. Le posizioni umanistiche del Petrarca vengono riprese e sviluppate sul finire del secolo da Coluccio Salutati, vissuto fra il 1331 ed il 1406. Gli scritti piu importanti del cancelliere della signoria di Firenze sono: il De fato fortuna et casu ed il De nobilitate legum et medicinae, Gli studi di retorica compiuti da Salutati lo portano a considerare con par: ticolare attenzione i problemi del linguaggio che egli non riduce comunque a pure questioni formali, in quanto vede nel linguaggio lo strumento mediante il quale l'uomo stringe rapporti con gli altri uomini e costruisce una vita collettiva organica e culturalmente significativa. Anche il Salutati, come Petrarca, si richiama ad Agostino, che egli interpreta alla luce del volontarismo di Duns Scoto; per questo celebra specialmente la vita attiva dell'uomo, mentre mette in chiaro che l'intelletto è soltanto uno strumento della volontà, in quanto intende quello che la volontà realizza in forme concrete; proprio per il suo continuo insistere sulla volontà e sull'agire, il Salutati viene attaccato da alcuni scolastici che, secondo la tradizione domenicana e specialmente tomistica, non intendevano in alcun modo «anteporre la volontà cd i suoi 347 Baruch_in_libris LA SECONDA METÀ DEL SEGOLO XIV CAP. XXII atti all'intelletto ed alle sue operazioni». Ad un notevole chiarimento della direzione generale del suo pensiero il Sa.lutati giunge nel dibattito riguardante il rapporto fra retorica e giurisprudenza da un lato e medicina dall'altro; un medico fiorentino aveva sostenuto, in un piccolo trattato, la preminenza della conoscenza del mondo fisico e della medicina rispetto ad ogni altra forma di cultura; il Salutati risponde indicando i motivi per i quali alla conoscenza della realtà fisica si deve preferire la conoscenza del mondo umano, quella appunto che si concreta nella retorica come chiarimento e studio del linguaggio e nella giurisprudenza come studio del mondo civile costruito direttamente dall'uomo: « Il fine della speculazione è il sapere, scrive, ed il suo oggetto è il vero, mentre il fine delle leggi è la direzione delle azioni umane; l'oggetto loro è dunque il bene e non un bene qualunque, ma quel divinissimo bene che è il bene comune; non si tratta di quel bene per cui noi siamo un bene, ma di quel bene onde ci facciamo buoni; il primo è bene di natura per cui non siamo degni né di lode, né di biasimo, di quella lode e di quel biasimo che spettano all'azione; per il bene che facciamo, invece, noi siamo Iodati, perché Dio ci fa degni di operare e di bene meritare con lui». Alla radice del contrasto fra il sapere scientifico e la cultura che ha per oggetto l'uomo il Salutati vede la situazione per cui la seconda ha dei principii che non risied.ono nelle « cose esterne » ma sono posti in noi e sono « inseriti in modo cosf naturale nelle nostre menti che non possono non esserci noti». Con quest'insistente annuncio di una nuova cultura si può considerare conclusa l'età medievale. 6. Lo sviluppo delle scienze. Almeno due dei pensatori di questo periodo, cioè Nicola Oresme e Alberto di Sassonia, hanno grande rilievo anche sotto il riguardo strettamente scientifico, sia con riferimento alla matematica, sia con riferimento alla fisica. A loro bisogna aggiungere anche il nome di Biagio Pelacani di Parma, formatosi nell'ambiente dell'università di Pavia (fondata nel 1361) e quindi insegnante di logica, filosofia ed astrologia a Bologna nel periodo 1375)-Bo, poi a Padova nel periodo 1384-85; vive fino al 1416 e compone dei commenti ad opere aristoteliche (all'Organon, al De anima, al De caelo e1 de munda e alla Fisica), delle trattazioni in cui riprende Baruch_in_libris § 6 LO SVILUPPO DELLE SCIENZB questioni discusse da Buridano, da Oresme, e infine un noto Tractatus de ponderibus in cui rielabora tutta la materia raccolta nelle opere precedenti sullo stesso argomento; in questo scritto che risulta di tre libri, le prime due parti svolgono una discussione di problemi di statica, mentre la terza è interamente dedicata alla idrostatica; mentre la statica e la meccanica di Pelacani si richiamano agli autori delle scuole parigina ed inglese, la sua idrostatica è ricavata principalmente da Archimede; non si tratta, il piu delle volte, di scoperte da lui compiute e di progressi rilevanti su quanto era già stato definito al suo tempo; tuttavia i suoi scritti trasmettono all'epoca successiva i risultati complessivi piu importanti della meccanica medievale. Vicino ai risultati della meccanica, si possono ricordare quelli della filologia, che è in continuo sviluppo e che, nel secolo successivo, giungerà ad affermazioni di grande rilievo. Nel corso del secolo xrv, lo sviluppo della scienza tocca risultati molto importanti: negli studi di logica terministica si giunge ad elaborare uno strumento tecnico di analisi del linguaggio; le analisi critiche sulla conoscenza sperimentale tolgono di mezzo le strutture essenziali ed aprono la strada ad una visione piu concreta dei fenomen~; nuove teorie non comprese nella fisica aristotelica, vengono elaborate, come la teoria dell'impetus; si aggiunga che la medicina, se non compie passi decisivi .in materia di terapia e di esperienza. fa dei progressi almeno nella patologia; la peste del 1348 è da ricordare, a questo riguardo, per la vasta letteratura cui ha dato luogo e per la specifica ricerca intorno alla trasmissione del male per contagio; la curiosità per i fenomeni della natura, per le piante, gli animali, le pietre cresce col crescere dello spirito di avventura e di successo della nuova società. Se si aggiunge a tutto ciò lo sviluppo della matematica, della meccanica e della geometria. si intende appieno l'importanza di quel secolo xiv che, se segna per un lato la crisi dell'equilibrio medievale, apre, dall'altro, le porte di una nuova epoca. i49 Baruch_in_libris Baruch_in_libris NOTA BIBLIOGRAFICA Per il lettore che voglia allargare le sue conoscenze di storia della filosotia antica e medievale, diamo le seguenti indicazioni bibliografiche essenziali: 1. Per la filosofia antica: a) opere generali di storia della filosofia antica: E. ZELLER, Grundriss der griech.)Philosophie, Leipzig 192012 (trad. ital. Firenze 1924); Ttt. GOMPERZ, Griecbische Denker, 4 voll., Leipzig 1893-1909 (trad. ital. Firenze 1933-1962); L. RoBIN, La pensée grecque, Paris 1923 (trad. ital. Torino 1951); F. ADORNO, La filosofia antica, Milano 1961; G. G1ANNANTONI - A. PLEBE - A. GRILI.I - A. BARIGAZZI - M. DAL PRA - G. CARDONA - P. PEPIN - J. HADOT, La filosofia antica, voli. III e IV della 5toria della filosofia a cura di M. Dal Pra, Milano 1976; b) opere su aspetti particolari della storia della filosofia antica: W. ]AEGER, Paideia, 3 volumi, Berlin - Oxford 1934-1945 (trad. ital. Firenze 1936-1959); R. MoNDOLFO, La comprensione del soggetto umano nell'antichità classica, Firenze 1958; L. RoBIN, La morale antique, Paris 1938; B. FARRINGTON, Science anà Politics in the Ancient World, London 1946 (trad. ital. Milano 1960); R. PETTAZZONI, La religione della Grecia antica, Torino 1954; I. M. BocKENSKI, Ancient Formai Logie, Amsterdam 1951; M. DAL PRA, La storiografia filosofica antica, Milano 1950; e) storie della filosofia antica con scelta di testi: R. MONDOLFO, Il pensiero ant•co, Firenze 1950; E. P. LAMANNA, Antologia filosofica: I, Il pensiero antico, Firenze 1945; N. ABBAGNANO, Antologia filosofica: I, La filosofia antica, Bari 1963; d) opere particolari: R. MoNDOLFO, L'infinito nel pensiero dell'antichità classica, Firenze 1956; E. MAYER, Socrate: la sua opera e il suo posto nella storia, trad. ital. Firenze 1943, 2 volumi; J. STENZEL, Platone educatore, trad. ital. Bari 1936; W. ]AEGER, Aristotele, trad. ital. Firenze 1935; W. D. Ross, Aristotele, tra<.l. ital. Bari 1946; M. PoHLENZ, Die Stoa, 2 volumi, Gottingen 1948-49 (trad. ital. Firenze 1967); N. W. DE WITT, Epicurus and His Philosophy, Minneapolis 1954; M. DAL PRA, Lo scetticismo greco, 2 volumi, Bari 1975 2 ; H. A. WoLFSON, Philo: Foundations of Religious Philosophy in Judaism, Christianity and Islam, 2 volumi, Cambridge Mass. 1947-48; H. A. WoLFSON, The Philosophy of the Church Fathers, Cambridge Mass. 1956; E. BREIUER, La pbilosophie de Plotin, Paris 1928; E. GrLSON, Introduction à l'étude de s. Augustin, Paris 1943 2 ; e) antologia della storiografia filosofica: P. Rossi, Antologia della critica filosofica: I, L'età antica, Bari l96I. · 2. Per la filosofia medievale: a) opere generali di storia della filosofia medievale: E. GILSON, La philosophie 351 Baruch_in_libris NOTA BIBLIOGRAFICA ,111 nwvrn-dge, Paris 1974 2 (trad. ital. Firenze 1973); E. BREHIER, La philosophie du moye11-dge, Paris 1937 ( trad. ital. Torino 1952); C. VASOLI, La filosofia medievale, Milano 1961; F. CORVINO - M. T. FUMAGALLI - T. GREGORY - F. ALESSIO, La filosofia medievale, voli. V e VI della Storia della filosofia. a cura di M. Dal Pra, Milano. 1976; b) opere su aspetti particolari della storia della filosofia medievale: R. W. e A. J. CARLYLE, A History of Mediaeval Politica/ Theory in the West, 6 volumi, Edinburgh 1950 3 (trad. ital. in 3 volumi, Bari 19J_6_ sgg.); A. C. ÙOMBIE, Da S. Agostino a Galileo: Storia della scienza dal V al XVII m:olo, ttad. ital. Milano ~970; ~- GRABMANN, Geschichte der katolischen Theologie, Freiburg 1933 (ttad. 1tal. Milano 1937); e) scorie della filosofia medievale con scelta di testi: N. ABBAGNANO, Antologia filosofica: II, La filosofia medievale, Bari 1963; d) opere particolari: G. VAJDA, Introduction à la pensée iuive du moyendge, Paris 1947; L. GAUTHIER, Introdui:tion à. l'étttde de la philosophie musulmane, Paris 1923; K. BARTH, Fides quaerens intellectum, Miinchen 1931; E. ·GILSOI', Hélolie et Abélqrd, Paris 1938 (trad. ital. Torino 1950); L. GAUTHIER, Avl'rroès, Paris 1948; E. GILSON, Introduction à la philosophie de saint Thomas, Paris 1948; PH. BoEHNER, Mediaeval Logie, Chicago 1952; F. VAN SrEENBERGHEN, Sigèr de Brabant d'après ses reuvres inédites, 2 volumi, Miinchen 1931-42; A. CROMBIE, Grosseteste and the Origins of experimental Science, Oxford 1935; E. GILSON, Duns Scot, Paris 1952; E. MoonY, The Logie of Occam, London 1935; L. BAUDRY, Occam, voi. I, Paris 1950; e) antologia della storiografia filosofica: P. Rossr, Antologia della critica filosofica: II, Medioevo e Rinascimento, Bari 1964. 352 Baruch_in_libris INDICE DEI NOMI Abelardo, 262, 263-269, 274, 277, 309 Abramo cii Spagna, 272 Acrone di Agrigento, 52 Agatarchide di Cnido, 162 Agobardo, 240 Agostino, 207, 208-222, 236, 238, 240, 241, 246, 285, 294, 302, 3% 347 2~, 297, 298, 301, Agostino di Canterbury, 235 Agrippa, 169 Alano di Lilla, 277 Alberto di Sassonia, 345, 34'1 Alberto Magno, 292, 2g6-298, 299, 315, 319, 328, 329 Alcmeone, 14 Alcuino, 231, 236, 237-238, 239, 240 Alderotti Taddeo, 320, 340 Alessandro di Afrodisia, 247, 274 Alessandro di Hales, 285, 286-288, 294> 315 Alighieri Dante, 327-328, 329 Alpctragio, 318 Ambrogio, 201, 205, 210 Ammonio Sacca, 193 Anassagora, 15, 16, 22, 23, 25-27, 28, 46 Anassimandro, 5, 6-7, 13, 16, 17 Anassimcne, 5, 7-8, 15, 18, 25, 83 Andronico, 121 Anselmo d'Aosta, 250, 253-257' 264, 302, 309 Antifontc, 52 Antioco di Ascalona, 165-166, 168 Antistene, 55, 94 Apollonio di Perga, 156 Apollonio di Tiana, 247 Apuleio di Madaura, 184 Arcesilao, 146, 148, 158, 16o Archimede, i55, 156, 157, 170, 247, 319' 349 Archita di Taranto, 56, g6 Ario, 201, 203-204 Aristarco di San.o, 154 Aristarco di Samotracia, 163 Aristeo, 136 Aristippo il Giovane, 134 Aristippo, 55, 93"94 Aristofane, 38 Aristofane di Bisanzio, 162, 163 Aristotele, 3, 6, 9, 10, 12, 21, 22, 30, 33, 38, 39, 46, 47' 49, 51• 56, 92• 93, 98, 99, 100-133, 136, 146, 149, 150, 151, 154· 155, 156, 161, 167, 186, 190, 204, 227, 233, 238, 239, 247, 248, 24g, 257" 259, 263, 274, 276, 278, 28o, 282, 286, 287, 289, 292, 293, 294" 296, 297, 299, 301, 303, 304, 305, 310, 3n, 312, 318, 322, 328, 330, 339, 345 Arnaldo da Brescia, 269 Arriano, 184 Asclepiade, 170 Atanasio, 203 Autolico di Pitane, 137 Averroè, 273, 274, 277-284, 286, 288, 291, 292, 297, 298, 310, 328, 330 Avicebron, 251, 259 JSJ Baruch_in_libris INDICE DEI NOMI Avicenna, 250, 251, 257-26o, 261, 280, 287, 291, 298, 322 Bacone Ruggero, 292, 311-316, 318, 319 Bartolomeo da Parma, 318 Bartolomeo di Salerno, 272 Basilio, 201, 204, 241 Beda, 237, 238 Benedetto di Norcia, 232 Berengario di Tours, 251 Bernardo di Chartres, 269, 2']!J. 271 Bernardo di Chiaravalle, 26:z, 263, 2701 271 Boezio di Dacia, 311 Boezio Severino, 231 1 2Ji-235, 2381 2631 291 Bonatti Guido, 318 Bonaventura, 292, 294-296 Bradwardine Tommaso, 340 Buridano Giovanni, 3381 339"340, 342, 343' 345, 349 Calcidio, 2o6 Callippo di Cizico, 136 Capella Marziano, 245 Carneade, 157, 158-16o, 166 Cassiodoro, 234, 238 Catone, 158, 170 Celso, 191 Cicerone, 148, 158, 164' 165, 166-167, 209> 23,3, 238, 276, 344 Cleante, 138, 146, 154 Clemente Alessandrino, 1881 189-192 Clitomaco, 158 Columella, 178 Cornelio Celso, 177 Costantino Africano, 261 Cratilo, 56 Crisippo, 138, 1~147, 157 Crizia, 36, 55 Demetrio di Falero, 138 Democrito, 29, 45-s1, 83, 86, 134, 141, 145, 167> 183 Demostene, 98, 101 Diocle di Caristo, 'Il. Diofanto, 200 • Diogene di Sinope, 134 Diogene Laerzio, 56, 139, 147 Dionigi pseudo-Areopagita, 2071 208, 225-227' 236, 238, 239, 241, 242, 289, 329 Dioscoride, 178, 247 Donato, 206, 238 Duns Scoto Giovanni, 321, 322-327, 328, 332, 343, 346 Ecateo di Mileto, 14 Eckhart Giovanni, 329-330 Egidio Romano, 309 Empedocle, 15, 16, 22, 23-25, 26, 27, 28, 34, 46, 52• 83, 84, 97, 190 Enesidemo, 164, 168-169 Enrico Aristippo, 274 Enrico di Gand, 3o8 Epicuro, 138, 139-145, 146, 151, "167> 170, 183, 190 Epitteto, 179, 184-186 Eraclito, 15, 16-19, 23, 25, 27, 32, 651 78, 79, 80 Erasto, 100 Eratostene, 155, 162, 170 Ermete Trimegisto, 189 Erodoto, 5, 53 Erofilo di Calcedonia, 154 Erone, 169-170 Eschilo, 29 Eschine, 98 Esiodo, 3-4, II, 69 Euclide, 10, 13, 52, 153-154, 155, 156, 170, 2o6, 223, 318, 341, 344 Euclide di Megara, 55, 56, 95 Eudosso, 96, 114, 137, 162 Eusebio, 2o6 Eutiche, 222 Eutifrone, 42, 43 al-Farabi, 239, 248-249, 26o, 274 al-Fargani, 247 Fenarete, 36 Fibonacci Leonardo, 291 Filolao, 30, 52 Filippo di Opunte, 97 Filistione di Locri, 97. Filodemo, 1&] J!U Baruch_in_libris INDICB DEI NOMI Filone Ebreo, 172-174 Filone di Larissa, 165 Filopono, 227, 238, 339 Firmico Materno, :w6 Fozio, 239 Galeno, 186, 187, 236, 238, 247, 298 Gaunilone, 256, 257 Gerardo da Cremona, 247, 273> 274 Gcrbcrto di Aurillac, 248 Gesu, 172, 174-175, 176, 1791 180, 181, 182, 240 al-Ghazzali, 251, 26o-261, 278, 279 Gherardo da Sabbioncta, 318 Giacomo da Venezia, 263 Giamblico, 201, 202-203, 2o6, 223 Gilberto Porretano, 269-270 Gioacchino da Fiore, 273 Giordano Nemorarius, 291 Giovanni Campano, 318 Giovanni Crisostomo, 205 Giovanni Damasceno, 237 Giovanni Evangelista, 179-180 Giovanni di Jandun, 330 Giovanni di Salisbury, 269, 271, 273, 274-276 Girolamo, 205 Giuliano imperatore, 201, 202, 220 Giustino, 182 Gorgia, 34-36, 40 Gotescalco, 241 Graziano, 272 Gregorio Vll, 250, 252 Gregorio di Nazianzo, 201, 204, 241 Gregorio di Nissa, 201, 204-205, 241, 246 Gregorio Magno, 234, 235 Guglielmo di Champcaux, 263, 264, 265, 267 Guglielmo di Conches, 271 Guglielmo di Moerbeke, 293, 299, 319, 32 9 Guido di Arezzo, 261 Honayn, 247 Ipparco, 162, 186, 223 Ippia di Elide, 52 Ippocrate di Cos, 51, 52-s3, 97, 162, 187, 236, 247, 2l18 Ippocrate di Chio, 28, 51, 95 Ippolito, 190 Ireneo, 181, 190 Imerio, 272 Isidoro di Siviglia, 231, 235-236, 237, 238 Isocrate, 34, 54, 101, 137 Kant, 255 al-Khuwarizmi, 247 al-Kindi, 239, 247, 248, 274 Kilwardby Roberto, 309 Leucippo, 45 Levi ben Gerson, 341 Licone, 38 Licurgo, 138 Lucrezio, 164, 167-168 Lullo Raimondo, 316-318, 319 Macedonio, 204 Mani, 189 Maometto, 235 Marco Aurelio, 179, J84-186 Marsilio da Padova, 330-331 Massimo il Confessore, 236, 241 Matteo d'Acquasparta, 308 Matteo di Salerno, 272 Montano, 190 Mosè, 173 Mosè Maimonide, 284 Nestorio, 222 Nicola di Amiens, 277 Nicola di Autrecourt, 338-339 Nicola di Salerno, 272 Nicomaco di Gerasa, 178, 228 Numenio di Apamca, 184 Occam Guglielmo, 321, 322, 331-338, 346 Olivi Pier Giovanni, 308 Omero, 3, II, 17, 69 Oresme Nicola, 344-345, 348, 349 Origene, 188, 189-192, 200, 204, 205, 241, 246 Orosio Paolo, 228 Panezio, 157, 16o-161, 165 Paolo, 1']2, 175-17fj, 177, 18:z, 225 355 Baruch_in_libris INDICE DEI NOMI Pappo, 200 Parmenide, 12, 15, 16, 19-21, 22, 23, 24, 25, 27, 34, 35, 36, 65, 77, IIO, 134, 135 Peckam Giovanni, 308 Pelacani Biagio da Parma, 348, 349 Pelagio, 217, 218, 222 Pericle, 15, 26, 29, 37 Petrarca, 342, 343-344, 347 Pier Damiani, 252, 254, 267 Pier Lombardo, 274, 277 Pietro d'Abano, 340 Pietro di Pisa, 238 Pietro lspano, 309, 319 Pirrone, 98, 99, 133-136, 145, 146, 16o, 199 Pitagora, 3, 5, 8-u, 14, 16, 29, 184 Platone, 3, 5, 12, 30, 33, 37, 38, 39, 42, 51, 54, 55-93, 94, 95, 173, 174, 179, 182, 183, 184, 190, 191, 193, 195, 204, 207, 208, 223, 227' 233, 234, 240, 247, 248, 265, 269, 270, 274, 3oi, 329, 333, 334, 344 Plinio il Vecchio, 178, 245 Plotino, 188, 193-199, 200, 201, 202, 209, 223, 248, 323 Plutarco, 179, 183-184 Polibio, 163 Polibo, 97, 187 Porfirio, 193, 209, 233, 248 Posidonio, 164, 165, 167, 177 Prassagora di Cos, 137 Prisciano, 238 Proclo, 84, 207, 208, 223-225, 227, 329 Prodico, 36 Protagora, 31-34, 36, 50, 78, 79, So Senofane, 5, u-12, 16, 19 Senofonte, 38, 39, 97 Serapione, 162 Sesto Empirico, 51, 158, 188, 199-200 Sigieri di Brabante, 292, 309-311, 328 Socrate, 29, 30, 36-45, 51, 55, 56, 57, 58, 59, 61, 63, 68, 73, 83, 93, 95, 105, 146, 158, 184, 265, 3JZ, 333, 334, 335 Sofocle, 29 Solone, 55 Speusippo, 133 Strabone, 170-171 Stratone di Lampsaco, 139 Tacito, 178 Talete, 4, 5-6, 25, 190 Teeteto, 95 Temisone, 170 Teodoreto, 228 Teodorico di Chartres, 270 Teodoro di Cirene, 52 Teofrasto, 50, 133, 136, 138, Teopompo, 137 Teone, 95 Teone di Alessandria, 206 Tertulliano, 188, 190 Timone di Fliunte, 134, 136 Tolomeo, 162, 186, 206, 223, 318 Tommaso d'Aquino, 292, 293, 297, 299-309, 3u, 312, 322, 336 Trasimaco di Calcedone, 36 Tucidide, 53 Quintiliano, 178, 269 Varrone, 170 Vincenzo di Beauvais, 319 Vitruvio, 170 Rabano Mauro, 240 Roberto Grossatesta, 285, 286, 288-290, 291, 3II Roscdlino, 263, 264, 265, 266 Witelo, 318 Wyclef Giovanni, 343, 346-347 Salutati Coluccio, 342, 347-348 Scoto Eriugena, 239, 240-247, 264, 329 Scoto Michele, 286 Seneca, 172, 176-177, 184, 276, 344 156, 167 278, 284, 294, 2g6, 323, 326, Zenone di Cizio, 138, 139, 145-146, 147, 148, 153 Zenone di Elea, 15, 16, 22-23, l7, 28, 36, 40, 46, 62, g6, 134, 135 Zosimo, 228 356 Baruch_in_libris INDICE Introduzione .• • • . . • . . . . . • • . • • • • . • 1. La filosofia. - 2. I problemi filosofici. - 3. La storia della filosofia. p. VII PARTE PlllMA LA FILOSOFIA ANTICA CAPITOLO I. Il secolo VI a. C. La scuola di Mileto. Pitagora. Senofane • 3 1. Le origini e il mito. - 2. Il periodo. - 3. La scuola di Mileto. - 4. Pitagora. - 5. Senofane. - 6. Lo sviluppo dclie scienze. II. La prima metà del secolo V. Eraclito. Parmenide e Zenone. Empedocle. Anassa:;ora . . . . . . . . . . . CAPITOLO 15 Il periodo. - 2. Eracl~to. - 3. Parmenide. - 4. Zenone. - 5. Empcdocle. 6. Anassagora. - 7. Lo sviluppo delle scienze. 1. CAPITOLO crito III. La seconda metà del secolo V. I Sofisti e Socrate. Demo. . . . . . . . . . . . . . • . . . . . . . • I. Il periodo. - 2. Svilu :-pi dcl pitagorismo. - 3. La sofistica. - 4. Protagora. 5. Gorgia. - 6. Socrate: la vita e la condanna a morte. - 7. Il metodo della ricerca e la determinazione dell'universale. - 8. Scienza e virtu. - 9. Democrito e i principii dell'atomismo. - IO. Il sistema atomistico. - u. Lo sviluppo delle scienze. IV. La prima meià del secolo IV. Platone e le scuole socratiche minori . . . . . . . . . . . . . . . • . · · . · · • CAPITOLO 54 Il periodo. - 2. Platone: la vita e gli scritti. - 3. L'insegnamento di Socrate e le sue aporie. - 4. Il primo abbozzo della teoria delle idee. - 5. La critica della retorica e dell'eristica. - 6. L'amore, la bellezza e il destino dell'anima. - 7. Educazione, politica e filosofia. - 8. Le difficoltà della dottrina delle idee. - 9. La trasformazione della dialettica. - 10. L'origine dell'universo e la formazione del mondo. - II. Conclusioni politiche. - 12. Le scuole socratiche minori. - 13. Lo sviluppo delle scienze. 1. V. La seconda metà del secolo IV. Aristotele. Pi"one e lo scetticismo 1. Il periodo. - 2. Aristotele: la vita e gli scritti. - 3. La logica. - 4. La fisica. _ 5. La vita, l'anima e la conoscenza. - 6. La metafisica. - 7. L'etica. CAPITOLO 8. La politica. - 9. La poetica. delle scienze. IO. Pirrone e lo scetticismo. - 11. Lo sviluppo 357 Baruch_in_libris INDICB VI. Il secolo lii. Epicuro. Lo stoicismo: Zenone. Cleante. Crisippo . . . . . . . • • . . . . . . . . . . . . . • 138 1. Il periodo. - 2. Epicuro: il Canone. - 3. La natura e i fenomeni celesti. 4. La morale epicurea. - 5. Lo sviluppo della scuola stoica. - 6. La logica stoica. - 7. La fisica e la teologia degli stoici. - 8. L'etica stoica. - 9. Lo sviluppo delle scienze: la scuola di Alessandria. CAPITOLO VII. Il secolo Il. Carneade e Panezio . • • • • • • • 157 periodo. - 2. n probabilismo di Carneade. - 3· Panczio e la media Stoa. - 4. Lo sviluppo delle scienze. CAPITOLO I. n VIII. Il secolo I. Posidonio. Cicerone. Lucrezio. Enesidemo. 164 Il periodo. - 2. Lo stoicismo di Posidonio. - 3. Cicerone e l'Acadcmia. 4. L'epicureismo di Lucrezio. - 5. Il neo scetticismo di Encsidcmo. - 6. Lo sviluppo delle scienze. CAPITOLO 1. IX. Il I secolo dell'~ra cristiana. Filone. La predicazione di Gesu e S. Paolo. Seneca . . • . . . . . . . . . . . . . rp I. n periodo. - 2. Filone e l'incontro di filosofia greca e religione ebraica. 3. La predicazione di Gesu. - 4. S. Paolo. - 5. Seneca e lo stoicismo romano. • 6. Lo sviluppo delle scienze. CAPITOLO X. Il Il secolo. Gnosi religiosa e pensiero cristiano. Plutarco. Epitteto. Marco Aurelio. . . . . . . . • • . . . . . . • 179 I. Il periodo. - 2. Il vangelo di S. Giovanni. - 3. La gnosi. - 4. Gli apologisti. 5. Plutarco e il platonismo di ispirazione religiosa. - 6. Gli ultimi sviluppi dello stoicismo romano: Epittcto e Marco Aurelio. - 7. Lo sviluppo delle scienze. CAPITOLO XI. Il secolo lii. La scuola cristiana di Alessandria. Clemente e Origene. Plotino • . . . . . . . . . . . • . . . • • 188 I. Il periodo. - 2. Sviluppi esoterici e religiosi. - 3. Sviluppi dcl pensiero aistiano e la scuola di Alessandria: Clemente e Origcnc. - 4. Il neo-platonismo di Plotino: l'Uno. - 5. Il processo dell'emanazione. - 6. L'uomo e il suo destino. - 7. Sesto Empirico e la sintesi scettica. - 8. Lo sviluppo delle scienze. CAPITOLO XII. Il secolo IV. Giamblico. Ario e il gruppo di Cappadocia Il periodo. - 2. Il neo-platonismo di Giamblico. - 3. Ario e il concilio di Nicea. - 4. Il gruppo di Cappadocia. - 5. Lo sviluppo delle scienze. 201 XIII. Il secolo V. Agostino. Proclo. Dionigi pseudo-Areopagita Il periodo. - 2. Agostino: dal manicheismo al cristianesimo. - 3. Gli clementi del platonismo cristiano di Agostino. - 4. Il sistema platonico-cristiano di Agostino. • 5. Agostino difensore della verità cristiana. - 6. La città di Dio. - 7. Nuovi contrasti teologici. - 8. Proclo. - 9. Dionigi pscudo-Arcopa· gita. - 10. La fine dcl pensiero antico. - u. Lo sviluppo delle scienze. 207 CAPITOLO I. CAPITOLO J. 358 Baruch_in_libris INDICI PARTE SECONDA LA FILOSOFIA MEDIEVALE XIV. I secoli VI, Vll e Vlll. Boezio. Isidoro di Siviglia. Alcuino CAPITOLO 1. L'inizio dcl Medioevo. - 2. Il secolo VI: Boezio. - 3. Il secolo VII: Isidoro di Siviglia. - 4. Il secolo VIII: la rinascita carolingia e Alcuino. CAPITOLO XV. I secoli IX e X. Scolo Eriugena ed al-Farabi . • • . . 239 Il secolo IX. - 2. Scoto Eriugena e la cultura del suo tempo. - 3. Fede e ragione. - 4. La concezione neo-platonica dell'universo. - 5. Lo sviluppo delle scienze presso gli Arabi. - 6. Il secolo X e al-Farabi. I. CAPITOLO ·arabo XVI. Il secolo Xl. Anselmo d'Aosta. Avicenna e il pensiero . • • . . . • . . . . . . . • . . . . • • . . 250 Il periodo. - 2. Dialettici cd anti-dialettici. - 3· Anselmo d'Aosta. - 4· Avicenna e il pensiero arabo. - 5. Lo sviluppo delle scienze. I. CAPITOLO XVII. La prima metà del secolo Xli. Abelardo e la scuola di • • • . • • • • • • • . • • • . • . . . . • :z62 ehartres 1. Il periodo. - 2. Abelardo: la logica e la polemica contro Rosccllino e Guglielmo di Champeaux. - 3. Abelardo e il conflitto con Bernardo a proposito dei rapporti fra ragione e fede. - 4. La scuola di Chartrcs. - 5. Lo sviluppo delle scienze. · XVIII. La seconda metà del secolo XIJ. Giovanni di Salisbury ed Ave"oè . .· . . . • . . . . . . . . . . • . • 273 CAPITOLO 1. Il periodo. - 2. Giovanni di Salisbury. - 3. Sviluppi delle scuole in Francia. 4. Averroè. - 5. Lo sviluppo delle scienze. XIX. La prima metà del secolo Xlii. Alessandro di Hales e Roberto Grossatesta • • . • . • . • • . • . . . . • • • 2.85 CAPITOLO 1. Il periodo. - 2. Alessandro di Hales e l'università di Parigi. - 3. Roberto Grossatesta e l'università di Oxford. - 4. Lo sviluppo delle scienze. XX. La seconda metà del secolo Xlll. Bonaventura. Alberto Magno. Tommaso d'Aquino. Sigieri. Ruggero Bacone. Lullo . . . 292 CAPITOLO 1. Il periodo. - 2. Bonaventura. • 3. Alberto Magno. - 4. Tommaso d'Aquino: il rapporto tra fede e ragione. • 5. L'aristotelismo di Tommaso e la dimostrazione dell'esistenza di Dio. - 6. Il naturalismo di Tommaso; l'etica e la politica. - 7. La Facoltà delle arti a Parigi e Sigieri di Brabante. - 8. Il platonismo cristiano di Ruggcr~ Bacone·. - 9. Il rinnovamento religioso e lo sviluppo della scienza. - 10. Raimondo Lullo. - n. Lo sviluppo delle scienze. 359 Baruch_in_libris INDICE XXI. La prima metà del secolo XIV. Da Duns Scolo a Guglielmo d"Occam . . . , . . . . . . . . . . . . . . . 321 CAPITOLO 1. Il periodo. - 2. Giovanni Duns Scoto: fede e ragione. - 3. La fondazione della conoscenza necessaria. - 4. La metafisica rigorosa di Duns Scoto. • 5. Dante Alighieri. - 6. Eckhart. • 7. Giovanni di Jandun e Marsilio da Padova. - 8. Guglielmo d'Occam; la logica. - 9. La conoscenza umana e i suoi limiti. - 10. La soluzione fideistica di Occam. - n. Il movimento occa· mista e Buridano. - 12. Lo sviluppo delle scienze. XXII. La seconda metà del secolo XIV. La scuola di Buridano. ·Wyclef . . . • . • • • . . . . . . • . . . . · 342 CAPITOLO 1. Il periodo. - 2. Petrarca. - 3. Lo sviluppo della scuola di Buridano. 4. Giovanni Wyclef. - 5. Coluccio Salutati. • 6. Lo sviluppo delle scienze. Nota bibliografica Indice dei nomi .. . . . . . . . . .... Baruch_in_libris 351 • 353 Baruch_in_libris