Elaborato: M.Comoglio “La professionalità del docente nella scuola del XXI secolo” (Giornata di Studio Cooperative Learning del 12.01.2004 a Torino) Le riflessioni espresse dal docente Mario Comoglio in occasione della Giornata di Studio Cooperative Learning nel 2004 a Torino, sviluppano e cercano di definire “l’insegnante del XXI secolo”. Per fare ciò egli rintraccia e contrappone una sorta di profilo o identikit dell’insegnante e dell’insegnamento che hanno caratterizzato l’ultimo secolo. La concezione dell’insegnante stesso – appartenente al tipo di società del suo tempo – ed il concetto di apprendimento all’insegna di ciò che aveva spiegato o detto l’insegnante (la riproduttività del programma spiegato e gli esami su ciò che era il programma). Ci viene consegnato quindi un modello definito “tayloristico” cioè un lavoro suddiviso in tante parti che poi formano il “tutto”. Programmi che si integravano con gli altri, insegnanti ben preparati nella conoscenza e nei contenuti del proprio campo di insegnamento, capacità di trasmettere conoscenze unitamente alla conoscenza della disciplina. Ognuno faceva la sua parte e tutte le parti facevano il “tutto”. Tutto ciò rifletteva anche la società, il mondo del lavoro, l’industria, cioè se ognuno avesse fatto la propria parte il risultato sarebbe venuto fuori ben fatto il tutto in uno spirito collaborativo. La conoscenza o la cultura era prevalentemente verbale e si apprendeva mediante testo scritto (libri di testo). Inoltre, l’insegnante stesso aveva importanza particolare quale persona di cultura stimata e riconosciuta come tale. Con la diffusione della televisione e di una certa cultura sempre più visiva l’insegnare solo parlando poteva non essere più sufficiente al conseguimento dei risultati da ottenere da parte degli studenti quindi una strategia per rendere più efficace l’insegnamento fu quella di “insegnare ad apprendere” (mediante libri che insegnano a leggere o problem solving). L’influenza della psicologia cognitivista applicata all’ambito dell’insegnamento ha introdotto metodi e “scorciatoie” che permetteva all’insegnante di trovare la strada per arrivare a determinati risultati ma non come arrivare… Con l’aumentare dell’accesso alla scolarizzazione anche di tipo superiore ed universitario il livello di istruzione è cresciuto facendo sì che l’insegnante non fosse il depositario del sapere o l’unico (o uno dei pochi) detentore del titolo universitario superiore perdendo così sia un certo status sociale che lo distingueva. Ma ciò ha portato anche studenti ed insegnanti ad un rapporto più paritario e ad accorciare le distanze che prima erano date da ruoli rigidamente definiti. Il cambiamento globale a cui si è arrivati verso la fine del secolo con la grande quantità di conoscenza e le fonti di apprendimento della stessa ha travolto completamente il modo di concepire lo studio e la conoscenza. Si apprende ovunque tranne che nel luogo preposto cioè la scuola. Quindi l’insegnante si è trovato nella condizione di non sapere cosa e come insegnare e soprattutto come contrastare l’apprendimento superficiale da parte dei giovani. Ripensare la figura dell’insegnante Ripensare la figura dell’insegnante, che deve abdicare dalla propria cultura di riferimento per ricomprenderla in una visione più ampia, nella quale “coabita” con le persone di cui ha responsabilità educativa e orientativa, oltre che formativa. L’insegnante porge il mondo e aiuta lo studente ad elaborare il proprio, personale senso critico, la propria genialità, i talenti di cui dispone. L’insegnante come strumento consapevole per alunni che crescono nella consapevolezza. All’insegnante si chiede di non essere solo un tecnico dell'insegnamento/apprendimento, ma un entusiasta, un appassionato attore in grado di interpretare il proprio ruolo suscitando entusiasmo, e sensibile al punto da sapere entrare in empatia con i suoi allievi tanto da rendere essi stessi attori della propria crescita. L’insegnante deve essere sostenuto nella sua crescita professionale (si pensi alla didattica e ai contributi che ad essa pervengono dalla psicologia, dalla pedagogia, dalle neuroscienze) ma anche nella sua crescita personale attraverso stimoli che lo conducano ad una sempre più profonda conoscenza di sé, via maestra verso quella ricerca di senso che accomuna le persone. È indubbio, infatti, che non si possa essere un buon insegnante se non si è anche una “bella” persona. Allora, “fare l’insegnante” non significa identificare le tecniche che rendono migliore l’esercizio del mestiere di insegnante, ma aiutarlo a costruire la mente razionale ed emotiva che rende possibile il “fare l’insegnante”. La scuola oggi muove i suoi passi all’interno di un paradigma costruttivista, dove i saperi non sono più forniti in maniera confezionata, ma dove le conoscenze vengono co-costruite; il costruttivismo, infatti, intende l’apprendimento come un processo di costruzione delle conoscenze da parte dell’alunno, che svolge un ruolo attivo, insieme all’insegnante, nell’imparare e dove quest’ultimo riveste un ruolo di facilitatore, di guida e di scaffolding (Il termine scaffolding viene utilizzato in psicologia e pedagogia per indicare l'aiuto dato da una persona ad un'altra per svolgere un compito. Il termine deriva dalla parola inglese scaffold, che, letteralmente, indica "impalcatura" o "ponteggio" nel processo di apprendimento. Oggi si va verso una didattica di tipo inclusivo, il cui obiettivo “è far raggiungere a tutti gli alunni il massimo grado possibile di apprendimento e partecipazione sociale, valorizzando le differenze presenti nel gruppo-classe, tutte le differenze (multiculturalità).