Uploaded by marta.carezzano

brand management finale

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LA MARCA
COSTRUZIONE, SVILUPPO, VALUTAZIONE
CAPITOLO 1 – LA MARCA: RILEVANZA E SFIDE STRATEGICHE
La marca rappresenta una risorsa sempre più importante nella gestione delle relazioni di mercato,
per ragioni direttamente riconducibili alla trasformazione del rapporto tra domanda e offerta
innescata dalle nuove tecnologie e dai nuovi ambienti comunicativi digitali. La marca diviene sempre
più un facilitatore di conversazioni sulle nuove istanze legate all'autenticità, alla sostenibilità
ambientale, alla ricerca di benessere fisico e psicologico e alla solidarietà sociale.
Il termine prende significa bruciare, avendo quale riferimento all'operazione di marchiatura
necessaria per contrassegnare e riconoscere i capi di bestiame. Il termine marca deriva dal
germanico e significa limite termine e confine. Uno dei modi in cui è stata definita la marca ha origine
dal termine marchiare (inteso sugli animali) questo poi è rimasto perché il senso di identificare il
proprietario con la marca è rimasto. Il termine Marka è tedesco e identifica un dispositivo
commerciale o comunicativo che ha il compito di designare o indicare i confini per distinguere un
bene da un altro. L’american marketing association ha dichiarato che il brand è “un nome, un
termine, segno, simbolo o disegno, o una combinazione di questi elementi, che ha lo scopo di
identificare i beni o i servizi di un venditore o di un gruppo di venditori, differenziandoli da quelli della
concorrenza”. La concezione della marca deve estendersi ben oltre quella di segno identificativo e
distintivo. Essa costituisce infatti una fondamentale risorsa intangibile basata sulla fiducia, in grado
di contribuire in modo determinante allo sviluppo del capitale relazionale dell'impresa. Con
riferimento alle relazioni di mercato, tale contributo deriva da specifici segni di riconoscimento
(dimensione identificativa), capaci di evocare alla mente dell'individuo un'insieme di associazioni
(dimensione percettiva), di aspettative e convinzioni (dimensione fiduciaria) a cui i consumatori
attribuiscono un valore differenziale, che influenza la relazione fra prezzo e quantità, traducendosi
in vantaggi per l'impresa di prezzo (premium price) e di quota (share premium). Da un lato vi è un
effetto di traslazione, che comporta uno spostamento verso destra della curva di domanda, il che
significa un livello di vendite più elevato a parità di prezzo. Dall'altro, vi è un effetto di irrigidimento,
ossia una maggiore inclinazione della curva che consente l'applicazione di prezzi più elevati a parità
di volumi venduti. La marca aggiunge dunque all'offerta una dimensione identificativa, percettiva e
fiduciaria, differenziandola dalle altre proposte concepite per soddisfare la stessa esigenza. Questa
differenziazione può essere razionale tangibile o simbolica, emotiva e intangibile. Per il consumatore
la marca assume un significato personale e unico, facilitando lo nell'attività quotidiana e arricchendo
nell'esistenza. Quindi il brand è molto di più di un nome o un logo. È la promessa che si materializza
agli occhi del consumatore, come essenza dei benefici (funzionali, psicosociali ed esperienziali), che
i clienti possono aspettarsi di ricevere nello sperimentare i beni o servizi identificati dalla marca
stessa. Valore per il consumatore: la marca aiuta il consumatore a:
1. Interpretare, elaborare e memorizzare in modo corretto le informazioni. La marca identifica il
produttore, solo vedendo il brand io so a che prodotti mi sto riferendo. Attribuisce responsabilità al
prodotto. Es. “dove c’è Barilla c’è casa” la pasta ci fa stare insieme. La marca ci aiuta anche perché
contiene i costi di ricerca/elaborazione delle informazioni.
2. Rafforzare la sicurezza e la fiducia nelle decisioni di acquisto o la soddisfazione. Quindi la marca
garantisce la performance e riduce il rischio percepito.
3. Rafforzare il conseguimento dei benefici simbolici e i valori associati alla specifica marca. Posso
avere elementi non direttamente collegati al prodotto e immaginari attraenti e associazioni intangibili.
Valore per l’impresa: la marca incrementa e rafforza i risultati competitivi reddituali attraverso:
1. Maggiore efficienza ed efficacia nelle attività di marketing. Io ho ad esempio bisogno di essere
per il consumatore la garanzia di prestazioni o significati. Bisogna guardare anche all’efficienza, è
necessario per l’impresa fare investimenti tesi alle associazioni mentali e ai significati unici, per
distinguersi dai concorrenti.
2. Fedeltà alla marca. Bisogna avere la capacità di prevederla e di difenderla. Bisogna essere
soddisfattori per i successivi acquisti e stimolare la ripetizione degli acquisti.
3. Livelli di prezzi premium, con margini elevati.
4. Favorendo estensioni di marca.
5. Trade leverage, facilitare l’ingresso nei canali distributivi.
6. Agendo da barriera nei confronti dei rivali.
Quindi la marca è sia fondamentale per il consumatore perché si tratta di una risorsa fiduciaria, sia
per l’impresa perché si tratta di un asset. Quando penso alla marca devo considerare entrambi questi
lati. La marca è una risorsa fiduciaria per il consumatore perché: possiede un significato personale,
facilità l’attività quotidiana e le decisioni di acquisto, arricchisce l’esistenza, rappresenta la profonda
relazione marca-consumatore, è patto, vincolo, lealtà. La marca è un asset per l’impresa perché:
rappresenta la promessa necessaria per sviluppare azioni rivolte al consumatore, deve essere
inimitabile, unica, serve per amplificare e difendere il vantaggio competitivo.
Modello customer based brand equity à Nella prospettiva di marketing, la marca è una
fondamentale risorsa intangibile, costruita aggregando intorno a specifici segni di
riconoscimento, un definito complesso di valori, di associazioni cognitive ed emotive, al quale i
consumatori attribuiscono un valore aggiunto che eccede le performance tecnico-funzionali del
prodotto-servizio identificato dalla marca stessa e che pertanto si traduce in un valore economicofinaziario differenziale per l’impresa. Il modello chiarisce come il potere di una marca risieda in
quello che i consumatori hanno appreso in merito alla stessa, attraverso esperienze dirette e
indirette, sottolineando in tal modo che il potere di una marca risiede nella mente dei consumatori. Il
valore della marca è l'effetto differenziale che la brand knowledge esercita sulla risposta del
consumatore alle attività di marketing realizzate dalla marca stessa. Questo effetto è positivo se i
consumatori reagiscono in maniera più favorevole al marketing di un servizio quando ne identificano
il brand rispetto a quando non lo conoscono. I consumatori potrebbero essere più propensi ad
accettare un introdotta della marca, meno sensibile a un aumento del prezzo e alla riduzione degli
investimenti pubblicitari, o più incline a cercare quella marca livello distributivo o online. L'effetto è
negativo se l'attività di marketing di un brand determina nei consumatori una reazione meno
favorevole rispetto a quella di un medesimo prodotto anonimo o con un nome fittizio. Ci sono tre
elementi chiave: 1. l'effetto differenziale, proprio perché il valore della marca deriva dall'esistenza di
differenze nelle reazioni dei consumatori. 2. La conoscenza della marca, che si esprime attraverso
diverse componenti, per cui le differenze suddette sono il risultato della conoscenza della marca
articolata nella notorietà e nelle associazioni mentali. 3. la risposta del consumatore alle politiche di
marketing, perché la risposta differenziale dei consumatori si riflette nelle percezioni, nelle
preferenze e nei comportamenti legati a tutte le attività di marketing poste in essere dalla marca. La
brand knowledge è la chiave per creare valore in quanto determina l’effetto differenziale che è
all’origine di importanti risultati per l’impresa.
Le sfide dei brand
C’è una maggiore complessità competitiva, una maggiore complessità relazione e una maggiore
complessità tecnologica. Come può rispondere la marca a queste sfide? Complessità competitiva
à Nella concorrenza settoriale deve lavorare su elementi di distinzione, deve trovare elementi di
differenziazione (POD, devono essere rilevanti, percepiti e difendibili), per evitare la competizione
sul prezzo. I pod possono essere basati su benefici funzionali, simbolici ed esperienziali. Se la
concorrenza è trasversale bisogna pensare come focalizzarsi sui gap di valore, cioè identificare per
primi i gap di valore. La marca sviluppa delle strategie in termini di ampiezza e profondità. Se la
concorrenza è intersettoriale ci sono diverse modalità di soddisfazione dello stesso bisogno, bisogna
identificare i concorrenti e i bisogni dei clienti. Se la concorrenza è a catena l’elemento fondamentale
è la gestione della brand loyalty.
Complessità relazionale à sono sempre più importanti i problemi legati all’etica e all’ambiente, serve
una maggiore responsabilità, il brand risponde con l’idea di brand purpose. Altro elemento sono la
capacità dei clienti di autodeterminarsi a livello di competenze, capacità di scelta. Si parla sempre
di più di customer empowerment. Il consumatore è più informato, più esigente, più selettivo e
consapevole. Bisogna lavorare sulle brand community e sull’engagement. È importante anche il
value for money, cioè prestare attenzione alle prestazioni e alla filiera, bisogna considerare il brand
in un’ottica di valore. I consumatori sono più attenti alle effettive performance dei prodotti. Vogliono
prodotti con un buon rapporto qualità prezzo.
Complessità tecnologica à ci sono nuovi mezzi e nuovi canali, si moltiplicano le opzioni
comunicative e distributive. Bisogna fare strategie di marketing integrate, innovative e relazionali. Si
ragiona su brand platform e brand echosystem, serve integrazione e innovazione. Ci sono molti
stakeholder serve un omnichannel branding. Con i social si può avere una base di utenti ampia,
stabile e dalle caratteristiche ben profilate, la marca deve essere in grado di coinvolgere gli utenti
con iniziative che facciano leva sul loro senso di appartenenza. Infine c’è tutto il tema dei big data,
sono importanti per cogliere nuove tendenze e immaginare soluzioni innovative. Si parla sempre di
più di branded content e entertainment, di user experience.
La pervasività della marca
La marca è divenuta parte integrante della vita quotidiana di pressoché tutti gli individui, perché in
grado di: semplificare le scelte, promettere un particolare beneficio, limitare il rischio e generare
fiducia. Il branding è divenuto strategico per molti settori e categorie di prodotti. I principali ambiti
applicativi della marca: prodotti, servizi e industry; luoghi; persone; contenuti e comunicazione;
ecosistemi e piattaforme.
Prodotti servizi e industry: quelle che erano in passato delle semplici merci sono divenute Marche e
questo è stato determinato dal fatto che i consumatori si sono persuasi che non tutte le offerte
nell'ambito della medesima categoria sono equivalenti e che possono esistere differenze non
trascurabili. Sono andate così affermandosi Marche forti in contesti che per lungo tempo ne sono
stati privi (caffè, birra, acqua). Anche le aziende che operano nei mercati business to business
riconoscono ormai i benefici derivanti dalla creazione di Marche forti. Per molto tempo l'applicazione
del branding in tale contesto è stata ostacolata dalla convinzione che, essendo il processo di
acquisto industriale caratterizzato da razionalità e da valutazioni funzionali e utilitaristiche di
costo/beneficio, non vi fosse spazio per l’ideazione di politiche di marca. Nel contesto B2B la marca
deve orientarsi alla creazione di un'immagine e di una reputazione positive per l'impresa nel suo
complesso, nell'ipotesi che una marca forte possa rappresentare un rilevante vantaggio competitivo,
rassicurando i clienti industriali nel momento in cui, con le proprie scelte mettono in gioco le sorte
aziendali e i percorsi di carriera individuali. Una delle principali sfide che la politica di marca incontra
nei settori dei servizi è connessa ad alcuni elementi ritenuti rilevanti e più frequentemente citati quali
specifici: l'immaterialità e li inseparabilità tra produzione e consumo, cui si aggiungono le
eterogeneità e la deperibilità. L'immaterialità è stata collegata all'impossibilità di mostrare o toccare
il servizio e alla sua impalpabilità. Inseparabilità sottolinea la necessità di un contatto diretto e una
presenza simultanea tra il personale dell'impresa e il cliente, per poter erogare il servizio e
consentirne il relativo impiego. Tali principali caratteristiche hanno evidenziato sia la necessità di le
componenti tangibili dell'offerta di marca sia di presidiare e gestirne continuamente la comunicazione
all'interno del customer journey, dando forte rilevanza all'immagine di marca e anche esaltando gli
elementi visivi di quest'ultima. Nei servizi vari elementi del brand devono creare consapevolezza e
immagine per fornire maggiore concretezza ai vantaggi offerti. Anche le aziende commerciali
facendo leva sulla loro capacità di influenzare le scelte di consumo hanno elaborato strategie di
marca sempre più efficaci. Le strategie delle insegne commerciali sono sempre più impegnate sullo
sviluppo di Marche proprie i prodotti a marca del distributore sono ormai presenti nella stragrande
maggioranza delle categorie e ciò è stato favorito da vari fattori: la positiva evoluzione delle
percezioni dei consumatori nei confronti degli attributi dei prodotti contraddistinti da private label;
l'aumento della pressione promozionale e il miglioramento della gestione delle leve di
merchandising; il processo di riposizionamento delle linee di prodotto a marca propria avviato negli
ultimi anni da numerosi realtà distributive, con un progressivo orientamento alla segmentazione
dell'offerta. questo determina che le imprese commerciali vengono progressivamente a disporre di
un portafoglio articolato di Marche simile a quello delle imprese industriali. La stragrande
maggioranza delle imprese del lusso adottano politiche di marca che, seppur diverse, sono
prevalentemente finalizzata per seguire un sentivo che infatti già che quel savoir faire il linea con gli
archetipi di lifestyle solitamente proposti dal settore. È un luxury brand quel bene o servizio di marca
che: i consumatori percepiscono essere di elevata qualità; offre valore autentico attraverso
un'insieme di benefici funzionali o psicosociali o esperienziali desiderati da parte di chi lo acquista e
lo utilizza; è associata un'immagine di prestigio riconosciuta nel mercato di riferimento costruita su
qualità specifiche come l'artigianalità, la qualità intrinseca e la distribuzione altamente selettiva; si
caratterizza per praticare un prezzo sensibilmente superiore a quello di mercato per la stessa
categoria merceologica; e in grado di instaurare una profonda connessione con il consumatore.
L'idea di gestire una squadra come una marca a pari ormai ampiamente diffusa nel mondo dello
sport per esempio le società calcistiche lungi da lasciare alle sole vittorie conseguite la
determinazione delle proprie fortune finanziarie, sono diventate protagoniste nello sport
management combinando comunicazione, sponsorizzazioni place e content management. Oggi
gruppi sportivi riescono a raggiungere obiettivi di revenue indipendentemente dalla performance
ottenuta dalla squadra sul campo, grazie all'immagine e alla notorietà acquisita. anche un singolo
evento può costituire uno sport brand. Sono brand che hanno il compito di trasferire un'esperienza
di consumo unica, irrepetibile e difficile da controllare. per le imprese pure player, questi operante
esclusivamente on line, la marca si manifesta attraverso un processo virtuale, interattivo e basato
sulla relazione online con la clientela. bisogna considerare delle specificità tipiche del mondo digitale.
Attraverso i digital brand si sfruttano le potenzialità di interazione, tramite l'esplosione di touch point
device nuove tecnologie. Il digital brand deve racchiudere al suo interno sia i due concetti chiave di
partecipazione eco creazione di significato, sia la gestione di relazioni di mercato volta a creare
valore per i clienti e ottenere e accrescere la brand equity. [Industrial Brand, Service Brand, Retail
Brand, Sport Brand, Luxury Brand, Digital Brand]
Marche connesse ai luoghi à in questo ambito il potere della marca consiste nel creare
consapevolezza intorno al luogo e nel renderlo desiderabile. Place brand: questa tipologia di marca
è stata definita come nome, simbolo o logo che identifica e differenzia sia la destinazione sia la
promessa di un'esperienza di viaggio memorabile, nonché ciò che consolida e rafforza il ricordo di
momenti piacevoli dell'esperienza turistica. A fronte di una competizione ormai globale per
conquistare turisti residenti o investitori, i luoghi devono essere distintivi e valorizzare la propria
immagine. Devono divenire vere e proprie marche, perché l’immagine di un luogo è il fattore chiave
per qualsiasi processo decisionale. Nation brand e city brand àci sono 4 ambiti applicativi: paese di
origine, luogo o destinazione, politica diplomatica e identità nazionale.
Marche connesse alle persone à employer branding: strategia di marketing volta ad attrarre e
mantenere i collaboratori migliori, comunicando correttamente i valori identitari dell’azienda e i
benefici offerti in termini professionali. Celebrity brand: si utilizzano per fare il celebrity endorser,
vengono scelte perché rappresentano delle marche con una certa distintività e attrattività. La
celebrity deve concentrarsi sulla sua notorietà e immagine per poi venir chiamata come endorser.
Influencer brand: ha credibilità nel gruppo di riferimento, cerca di convincere gli altri, propone idee e
argomenti sostenuti anche da altri. Personal branding: un processo attraverso il quale individui e
imprenditori si differenziano e si distinguono dalla folla identificando e articolando la loro proposta di
valore come unica, professionale o personale, e poi sfruttandola attraverso modalità diverse tese a
costruire un'immagine coerente per raggiungere un obiettivo specifico.
Marche connesse a contenuti e comunicazione à branded content: il content marketing è un
approccio strategico focalizzato su creazione e distribuzione di contenuti ricchi, rilevanti e coerenti
per attrarre e mantenere un audience ben definita e da ultimo nel guidare azioni redditizie nei
confronti della clientela. il branded content prende forma attraverso lo sviluppo e la produzione di
contenuti originali, appositamente concepiti e distribuiti sul web o piattaforme a partire dai temi e dai
valori della marca. Il branded content è finalizzato ad attrarre e mantenere la relazione della marca
con i clienti mediante l'offerta di contenuti rilevanti per quest'ultimi, coerenti e pertinenti rispetto alla
marca secondo un processo di natura continuativa volto a coinvolgere ed emozionare i consumatori
tramite l'engagement, facendo leva su una proposta di valore in grado di renderli costantemente
partecipi. Branded content entertainment: consiste nell'integrazione della comunicazione di marca
con i contenuti di intrattenimento. I brand sono incorporati nelle trame di un film, di un programma
televisivo o di altro spazio di intrattenimento, generando la collaborazione tra intrattenimento, media
e brand.
Marche come piattaforme ed ecosistemi à La marca come piattaforma, ci sono degli elementi che
la rendono una piattaforma. Innanzitutto è alimentata dai dati; deve essere organizzata da algoritmi;
è governata da relazioni proprietarie con specifici modelli di business; ci sono poi delle transazioni
e delle modalità di interazione che si possono realizzare tra proprietario e non solo. ci sono accordi
con l’utente. La piattaforma diventà un abilitatore di connessioni, al suo interno ci sono diversi attori
e membri che hanno la possibilià di usare, scambiare. Apple è una piattaforma perché si può passare
da iphone a mac a ipad. È una piattaforma per i clienti business. Alle branded platform si agganciano
i branded echosystem. Le componenti della piattaforma raramente sono sviluppate all’interno di una
singola azienda, ma sono frutto di un ecosistema generato da molteplici soggetti, da diverse
tecnologie e differenti servizi, prodotti e marche. È possibile creare un ecosistema fatto in casa, sono
piattaforme interne realizzate da un unico soggetto. È diverso il caso delle piattaforme esterne,
queste sono formate da un numero elevato di imprese/marche che realizzano innovazioni – sotto
forma di prodotti specifici, servizi correlati o tecnologie aggiuntive e complementari – da sommarsi,
via via, a quelle esistenti. Ad esempio l’Apple store, qui Apple è la keynote firm che guida
l’innovazione poi ci sono altre app sviluppate da altri. Un altro esempio è netflix, xfactor
CAPITOLO 3 – IDENTITÀ DI MARCA E SEGNI DI
RICONOSCIMENTO
Il modello della piramide del valore della marca interpreta la costruzione del brand come una serie
ascendente di fasi sequenziali. Le fasi sono finalizzate a:
-
Assicurare che i consumatori identificano la marca e la associno con una specifica categoria
di prodotto o a una definita necessità di consumo, affinché si abbia una consapevolezza
ampia e profonda;
imprimere nei consumatori il significato della marca, tramite il collegamento con una serie di
associazioni mentali, che agiscano attraverso punti di differenza o di parità competitiva sulle
strategie di posizionamento del brand;
suscitare risposte adeguate da parte degli individui in termini di giudizi e sensazioni correlate
alla marca; convertire queste risposte in una relazione fra cliente brand fondata su un'intensa
e attiva fedeltà.
L'applicazione delle quattro fasi del processo richiede la creazione di sei mattoni che insieme
assumono la forma di una piramide. Nel passaggio dalla base all'apice si riduce il numero di soggetti
che hanno sviluppato un certo livello di coinvolgimento nei confronti della marca. Sul versante
sinistro della piramide si riscontrano i blocchi attinenti alla sfera razionale del soggetto, mentre sul
versante destro c'è la sfera emotiva. Questa distinzione evidenzia la dualità della marca, ossia la
sua capacità di parlare alla mente manca il cuore del consumatore, di coinvolgerlo e di creare
commitment. La creazione di una marca di valore implica il raggiungimento dell'apice della piramide
che è possibile solo mettendo ciascun mattone al suo posto. Questo modello doveva essere
funzionale: innanzitutto logico, versatile e applicabile a tutti i possibili tipi di marche e settori, la
piramide doveva essere completa, cioè raccogliere tutti gli elementi che potessero aiutare in termini
di linee guida gestionali. Questa piramide fa da contro altare al concetto di customer bases brand
equity. Il modello può essere usato in due modi: 1. Qualitativamente: come guida e come indirizzo
interpretativo per valutare/pianificare le attività di marketing. 2. Quantitativamente: per misurare gli
effetti di marketing.
Alla base della piramide risiede la prominenza della marca, che fa riferimento alla consapevolezza
che i consumatori ne hanno, ossia alla capacità di richiamare alla mente in situazioni opportune. La
consapevolezza può essere descritta secondo due dimensioni: la profondità e l'ampiezza. Profondità
à Attiene alla rapidità con cui la marca viene richiamata alla memoria del consumatore rispetto a
marche concorrenti. È sinonimo di notorietà spontanea della marca. Ampiezzaàidentifica la varietà
di contesti a cui la marca è associata. Esempio di profondità l’arancia Rosaria, creano il brand in
un’ottica di Sicilia, il nome è siciliano, i colori sono siciliani, anche il trattamento creativo. Profondità
è fare in modo che la marca venga riconosciuta rapidamente, quindi quando penso alla marca devo
pensare subito a Rosaria. Sempre Rosaria fa anche una pubblicità per l’ampiezza, quindi sulla
varietà, vogliono associare la marca anche ad altre categorie fanno vedere il succo e la marmellata.
Questo mattone è essenziale e risponde idealmente alla domanda “chi sei?”. È indicativo solo del
fatto che il consumatore è a conoscenza dell'esistenza della marca, a prescindere dai significati che
le associa. La superficie del mattone è ampia, in quanto la prominenza costituisce un prerequisito
per giungere a instaurare una relazione con la marca. A tale livello può però arrestarsi una quota più
o meno rilevante degli individui: quelli informati dell'esistenza del brand, ma non interessati.
Al secondo livello di coinvolgimento, Il consumatore è chiamato a qualificare la marca a scrivendole
un significato, rispondendo idealmente alla domanda “che cosa sei?”. La marca comincia a prendere
forma nella mente del soggetto, mediante il riferimento alle prestazioni e all'immaginario. Le
prestazioni si riferiscono alla capacità del prodotto identificato dalla marca di soddisfare i bisogni di
natura funzionale dei consumatori e quindi sono collocate sul versante razionale della piramide. Qual
è il giudizio sulla qualità oggettiva del prodotto? in che misura è in grado di soddisfare le esigenze
del cliente in riferimento alla categoria alla quale appartiene? facciamo riferimento a caratteristiche
primarie, affidabilità, durata e funzionalità del prodotto. Stile, design e prezzo. Efficacia del servizio,
efficienza ed empatia. Sul versante emotivo del secondo livello si trova il blocco dell'immaginario,
inteso come insieme di significati in tangibili che il consumatore associa mentalmente alla marca,
incluso il modo in cui essa cerca di soddisfare i suoi bisogni psicosociali. Le associazioni in questione
sono riconducibili al profilo degli utilizzatori della marca; alle tipiche situazioni di acquisto e di
consumo; alla personalità e ai valori della marca; alla storia, all'eredità e all'esperienze della marca
e dei consumatori. Le prestazioni e l'immaginario concorrono a generare la risposta dei consumatori,
cioè la loro reazione alle iniziative della marca.
A terzo livello si assiste al passaggio da una conoscenza del brand che si limita a rilevarne le
caratteristiche a una in cui queste vengono interiorizzate dall'individuo e combinate con le proprie
variabili soggettive, fino a suscitare dei riflessi a livello lo personale. Il consumatore risponde
idealmente alla domanda “che cosa penso di te?”. Ci sono due tipi di risposta: i giudizi e le
sensazioni. Giudizi à sono incentrati su opinioni e valutazioni personali dei singoli clienti e
riguardano sostanzialmente: qualità percepita (valutazione attributi e benefici); credibilità (basata su
esperienza e affidabilità); rilevanza (importanza del brand per l’individuo); superiorità (percezione
della capacità della marca di garantire vantaggi che i rivali non sono in grado di offrire nella stessa
misura). Sensazioni à attengono alle risposte emotive dei clienti come: calore (calma o pace);
divertimento (allegria, spensieratezza, gioia); eccitazione (euforia trasmessa, far sentire: pieni di
energie, affascinanti, desiderabili, protagonisti di un’esperienza speciale, vivi); sicurezza (tranquillità,
incolumità, benessere e fiducia); approvazione sociale (reazioni altrui per aspetto o comportamento);
autostima (indurre una migliore opinione di sé, orgoglio, realizzazione, appagamento).
Il vertice della piramide è rappresentato dalla risonanza della marca, che si riferisce alla relazione
che si instaura fra i consumatori e la marca e alla misura in cui i primi si sentono in sintonia con la
seconda. Il consumatore risponde alla domanda “che cosa può esserci fra me e te?”. La risonanza
si manifesta in termini di intensità del legame psicologico fra i clienti e la marca è nel livello di attività
generato da tale legame.
Una cosa che sempre si richiede è di misurare, cioè quali sono kpi. C’è la possibilità di misurare con
delle metriche, cioè si fanno delle domande per capire come la marca è collocata nei vari building
blocks. La cosa veramente importante è tenere presente che per capire quanto pesano i vari
elementi in un blocco, devo prima chiedere il giudizio complessivo. L’obiettivo è raggiungere la punta
della piramide, partendo da basso. Quindi devo prima capire quanti consumatori mi conoscono, se
la prominenza dipende più da ampiezza o profondità. Attraverso il modello si devono creare le basi
per la risonanza. La prominenza deve essere corretta basata su ampiezza e profondità. I punti di
parità e i punti di differenza devono essere ben fissati e chiari, per rapportarsi correttamente con la
concorrenza, si tratta di posizionamento. I giudizi positivi e i sentimenti devono fare appello alla testa
e il cuore. Poi bisogna lavorare anche sulla dimensione emotiva. È possibile raggiungere la punta
della piramide attraverso le quattro dimensioni della risonanza: superando le barriere fisiche e
mentali connesse all’acquisto e al momento di consumo. C’è anche tutta la dimensione virtuale su
cui lavorare. Bisogna colpire la corda emozionale, far diventare il brand catalizzatore di connessioni
sociali, creare opportunità significative per interazioni continue. La marca deve pensare che non può
perdere le opportunità di relazionarsi con il consumatore. Devo lavorare contemporaneamente sul
percorso razionale e su quello emotivo. Nei settori dove si punta di più sugli aspetti razionali ci sono
comunque opportunità di lavorare su aspetti emotivi. Ad esempio Rolex lavora
contemporaneamente sul percorso emotivo e razionale, e uno può dire è ovvio è un brand di lusso.
Anche Intel però che lavora nel B2B e che solitamente richiede di focalizzarsi sulla componente
razionale, lavora su tutti i building blocks, non si è dimenticato della componente emotiva.
Implicazioni manageriali dei building blocks
I consumatori sono i proprietari à il brand esiste solo se c’è nella loro mente. Si intendono i clienti
del brand. Rispettare il percorso evolutivo à bisogna partire dalla base e poi salire a costruire. Non
è detto che siano importanti tutti gli elementi, ma bisogna comunque partire dal basso e poi salire.
Sfruttamento della dualità del brand à cioè sfruttare sia percorso razionale sia emozionale.
Sfruttamento della ricchezza del brand à la piramide è come un palazzo, ogni casa ha delle stanze
diverse con caratteristiche diverse. Ogni building block è una casa con dentro tante stanze diverse
con caratteristiche specifiche. Prima devo ragionare su una dimensione qualitativa per farmi un’idea
generale e poi approfondire. Raggiungere e tendere alla risonanza à non si intende essere
riconosciuti, questo è ovvio, è molto di più. Questo è l’obiettivo ci sono molti livelli da superare.
Identità di marca
Ci sono molti modi per definirla, spesso il termine viene utilizzato in modo confuso. È stata definita
come la religione di impresa, il credo, principi guida, collante dei valori fondanti, l’essenza, l’elemento
core, il codice, il meta valore, il nucleo o il DNA. Questo fa si che spesso identità di marca viene
utilizzato non correttamente. Ci sono fattori igienici, che sono necessari ma sempre meno sufficienti
per competere (es. buon prodotto, sostenibilità). Il signor Ferrero diceva che tra lui e il mercato
esisteva un arcobaleno. Questo arcobaleno serviva a dire che le prestazioni di base sono
sicuramente importanti e servono per spiegare qual è la base su cui si fonda l’azienda. Le prestazioni
del prodotto rappresentano la base su cui si fonda l’azienda. Ma l’arcobaleno ha tutta una serie di
colori, quindi non esistono solo gli attributi tecnici. Oltre al prodotto c’è un modo di raggiungere il
mercato che non può essere dato solo da attributi tecnici. Devo continuamente tradurre anche sul
piano emotivo gli attributi per renderli desiderabili, interessanti e distintivi. Oggi si è arrivati alla brand
purpose. I consumatori hanno convinzioni che indirizzano a scelte di acquisto per il benessere della
collettività (marche socialmente responsabili), quindi c’è rilevanza dei valori sociali per cui i brand
devono dar prova di essere “cittadini esemplari”. Brand purpose = obiettivo orientato alla produzione
di un valore non più solo economico, ma anche etico e sociale. La marca deve avere un ruolo sociale
e l’azienda deve crederci.
L'identità racchiude la visione della marca e guida alla creazione dei prodotti da offrire al mercato,
la scelta dei segni di riconoscimento nonché la comunicazione e le altre scelte di brand
management. Quindi l’identità è quel quid: stabile e duraturo; legato alle radici quindi alla storia
dell’azienda o del fondatore; necessario per costruire il valore del brand e immagine. Diventano
elementi molto importanti per costruire consapevolezza e immagine di marca. Quindi l’identità di
marca così declinata è una fonte inestimabile per consapevolezza e immagine di marca.
Tra l'identità progettata dal management aziendale e l'immagine della marca che si genera presso
il pubblico non vi è sempre coincidenza. I fattori che determinano questo divario sono molteplici,
alcuni sotto la possibilità di controllo dell'azienda altri molto meno. Fra i primi c'è il modo in cui viene
concepita l'identità di marca, all'interno dell'organizzazione. E se dovrebbe essere frutto di un ben
preciso disegno di fondo, risultato di scelte condivise alle quali possono concorrere tutte le funzioni
aziendali, ognuna portando il proprio contributo e con il medesimo rigore analitico riservato alle
scelte strategiche. L'identità di marca, oltre a sintetizzare la storia dell'azienda, la sua cultura e i suoi
valori, deve anche poter dar conto della personalità del brand, dei suoi attributi e dei benefici che è
in grado di fornire in modo da evidenziarne la performance appunto fra le cause che risultano più
difficilmente controllabili dal management veramente dato che i consumatori tendono a costruirsi, a
livello individuale, una propria immagine della marca solo in parte riconducibile ai messaggi veicolati
dall'azienda. Tale immagine è influenzata anche dalle comunicazioni personali, e dalle esperienze
dirette che i consumatori hanno avuto con la stessa. Nelle situazioni migliori il brand si carica di
significati migliorativi, non previsti dal management, innestando un circolo virtuoso che ne accresce
il valore. Nei casi peggiori, via il rischio di una compromissione dell'identità o di un suo
appannamento. Si generano errori tali da creare un divario fra identità e immagine quando:
o
o
o
o
la marca manca di una propria identità, come avviene nel caso in cui il management si limiti
a perseguire strategie imitative;
l'identità non corrisponde alla sostanza della marca, il che comporta una perdita di credibilità,
perché viene meno la coerenza percepita fra promesse e benefici effettivamente offerti;
l'identità risulta scarsamente definita, in quanto nel tentativo di renderla attraente per tutti si
finisce non di rado per privarla dei più importanti connotati distintivi;
l'identità della marca non è stata adeguatamente comunicata.
L’identità di marca è nella sfera del proprietario del brand, ha il focus sull’emittente. L’identità va
declinata in modo che possa essere trasferita alla sfera del consumatore attraverso delle promesse.
L’immagine di marca è nella sfera del consumatore, c’è il focus sul ricevente, è decodificata dal
ricevente ed è creata attraverso percezioni e associazioni. Si parte dall’identità per guidare la
progettazione di un sistema di significati. Tutto ciò che la marca afferma, pone in evidenza o realizza
contribuisce a trasferire la sua immagine verso l’esterno e, a inviare al mercato possibili associazioni
alla marca. L’identità di marca deve guidare la progettazione di un sistema di significati, portatori di
promesse per i consumatori.
Quindi l’identità di marca è formata da una serie di elementi:
1. valori e personalità, si intendono tratti caratterizzanti la marca;
2. storia, che va raccontata che va trasferita, di solito usa “since”;
3. prodotti storici e prestazioni, ci sono prodotti che hanno sedimentato dei significati collegati
alla marca;
4. mitologia, quando un brand diventa un mito; es. colazione da Tiffany
5. fondatori e competenze; ad esempio il tailleur di Coco Chanel
6. lo stile;
7. i luoghi, cioè collegare il brand a un luogo.
Riuscire a mettere insieme identità di marca e immagine di marca richiede una profonda conoscenza
della domanda e della concorrenza e un’attenta autoanalisi (che considera valori istituzionali, punti
di forza e debolezza, strategie pregresse ecc). Un’identità di marca efficace deve essere in risonanza
con i clienti, differenziare la marca rispetto ai concorrenti e rappresentare ciò che la marca può fare
e farà nel tempo. Se non si riescono a trasferire gli elementi in modo continuativo non ho una marca
efficacie. Ci sono degli elementi tipici su cui il management può avere controllo, tipicamente avere
controllo vuol dire che io posso pensare l’identità e coordinare le diverse iniziative. Posso
sicuramente controllare che iniziative posso fare. Ci deve essere un disegno di fondo condiviso. Il
più delle volte quando si lavora sull’identità è il risultato di scelte strategiche importanti e condivise.
Dall’altro lato devo gestire la capacità di trasferimento, qui si parla di consumatori e costruzioni
individuali di immagine di marca, qui il management riesce a controllare meno. L’identità funziona
solo quando è trasferita all’esterno. L’immagine è una funziona di relazioni e comunicazioni
interpersonali, esperienze dirette ecc. C’è solo una parziale riconducibilità ai messaggi dell’azienda.
L’immagine viene interpretata e l’identità può modificarsi e adattarsi nel corso del tempo.
La brand identity è il frutto di un'intelligente combinazione fra prestazioni del prodotto, contenuti
emotivi, valori sociali e cultura aziendale. Le prestazioni del prodotto rappresentano la base su cui
si fonda l'esistenza della marca. Garantiti i valori di prodotto, il passo successivo è quello di far sì
che essi non rimangano soltanto degli attributi tecnici, traducendoli sul piano emotivo in modo da
conferire loro un surplus in termini di desiderabilità e distintività. Bisogna conferire ai prodotti
un'anima che attribuisca emozione ai benefici tangibili degli oggetti e dei servizi. Negli ultimi anni
domanda e offerta si confrontano sempre di più anche sul fronte dei valori sociali. Fra i consumatori
va sempre di più diffondendosi la convinzione che l'impegno per il benessere della collettività debba
essere dimostrato anche attraverso le scelte di acquisto, premiando le Marche socialmente
responsabili. I brand sono sempre più chiamati a dare prova di essere cittadini esemplari agli occhi
del consumatore, il che implica l'assunzione di un modello gestionale orientato alla produzione di un
valore non solo più economico ma anche etico e sociale. Attraverso l'identità la marca cerca di
esprimere la propria individualità e unicità nei confronti di tutti gli stakeholder rilevanti. L'identità deve
trovare il suo fondamento nella cultura aziendale della marca. Deve essere coerente e in sintonia
con i valori imprenditoriali, i quali rappresentano il fondamentale criterio di selezione delle scelte
operate e da operare nel corso dell'esistenza della marca.
L’identità si fonda su tre elementi: essenza della marca, identità di fondo, identità estesa. L'essenza
della marca racchiude l'anima vera e propria della marca. Si tratta di quanto la marca intende
rappresentare per il mercato, la sua promessa di fondo. In molti casi coincide con la mission o la
vision aziendale. L'identità di fondo è costituita dalla declinazione della sintetica e senza di marca in
una serie di punti cardinali che l'impresa si dà per orientare i propri comportamenti. Tali punti
dovrebbero rispecchiare la strategia e i valori dell'organizzazione e almeno una parte di essi
dovrebbe essere tale da differenziare la marca da quelle concorrenti e avere risonanza presso i
clienti. L'identità centrale dovrebbe poter restare immutata anche se la marca passa ad altri prodotti
e si espande nuovi mercati. L'identità estesa include quell'insieme di associazioni mentali che non
rientrano nel nucleo dell'identità centrale, ma che tuttavia ne specificano meglio il significato. Si tratta
di associazioni che l'impresa propone attraverso i propri segni di riconoscimento e le proprie azioni
di marketing. Nella prospettiva del consumatore, il concetto di identità estesa coincide con
l'immagine della marca: marca come prodotto, marca come organizzazione, marca come persona o
marca come simbolo. Esempio Mc Donald à Prima di tutto c’è il purpose che è feed e foster la
comumunity, poi c’è la mission che è rendere momenti piacevoli per tutti. Purpose + mission
costituiscono la brand essence. Poi ho i valori come inclusione, integrità, comunità locali, famiglie e
persone che danno indicazioni su come muoversi. Ai valori devono seguire azioni concrete e
iniziative nel rispetto di tali valori. Queste iniziative che rispettano i valori vanno a formare la extended
identity.
L’identità ispira il posizionamento di marca, che valorizza gli attributi distintivi del brand agli occhi dei
consumatori. Lo studio di posizionamento ha lo scopo di: identificare i benefici alla base della
promessa formulata dalla marca ai consumatori; rendere facilmente intellegibile a quale target essa
intende indirizzarsi; far comprendere le occasioni di consumo dei propri prodotti, appropriandosi di
un momento o di un luogo per cui il brand si propone. Con il posizionamento la marca cerca di
inserirsi nella mente dei consumatori appartenenti al segmento di domanda al quale si indirizza,
mediante lo sviluppo di associazioni mentali che consentono non solo di farsi notare e riconoscere
ma anche di prendere le distanze dai rivali ponendo in evidenza i propri elementi di differenziazione.
Il posizionamento descrive la capacità della marca di competere efficacemente con un definito
insieme di rivali in uno specifico mercato. Il posizionamento è fondamentale e ha il compito di cercare
di mettere insieme il più possibile l’interno con l’esterno. In questo senso noi abbiamo il compito di
capire innanzitutto cosa vuol dire core brand values (sono importanti per definire le iniziative che ci
servono per sviluppare il posizionamento), dall’altro lato dobbiamo capire come realizzare la
promessa, cioè il brand mantra.
I core brand values sono costituiti dall'insieme di associazioni che caratterizzano gli aspetti più
importanti della marca. La relazione fra questi valori e gli elementi di differenziazione è alla base
delle scelte di posizionamento. Questi valori sono più importanti di altri, sono quelli principali. Questi
devono essere pochi, sennò non sono core. I valori principali della marca possono essere individuati
tramite la creazione di una mappa mentale in grado di raffigurare tutte le principali associazioni
collegate alla marca da parte di uno specifico segmento di domanda. Su questi valori poi si
costruiscono metriche per vedere effettivamente se sono e quanto sono rispettati sul mercato. Per
definire il significato della marca con maggiore precisione è utile specificare la sua caratterizzazione
genetica in una sintetica espressione che descrive la ragione di esistenza del brand. Questa
espressione è il brand mantra, cioè una breve frase di 3-5 parole in grado di racchiudere gli aspetti
più importanti e i valori principali della marca. Il mantra è importante perché deve racchiudere la
promessa principale. Dai core brand values si passa al mantra. Il brand mantra deve racchiudere
cuore e anima, quindi qualcosa di più fisico rispetto a qualcosa di più virtuale. Deve racchiudere al
suo interno la promessa base del brand. Deve avere il DNA di marca, che rappresenta le
caratteristiche permanenti e più importanti sia per i consumatori sia per l’azienda. Deve contenere 3
o 5 parole che catturino il vero spirito della marca. Infine deve prendere la sua forza dal fatto di
mettere insieme degli elementi, cioè dei termini, che dovrebbero risultare non imitabili dalla
concorrenza. La forza la prende da questi elementi insieme. Questi elementi sono di natura
interpretativa. I mantra possono essere articolati in 3 elementi:
1. Funzioni della marca: descrive la natura del prodotto/servizio, o il tipo di benefici offerti sul
piano funzionale, psicosociale, esperienziale. Può far riferimento alla categoria di prodotto o
a nozioni più astratte come benefici o esperienze ottenibili. È un unico termine che deve fare
tutto questo. Se con questo termine mi riferisco alla categoria però i concorrenti mi possono
copiare.
2. Modificatore descrittivo: un elemento, un chiarificatore ulteriore per circoscrivere le funzioni
del brand, per chiarirne meglio la natura e la sua specificità. Insieme alla funzione del brand
definisce il significato della marca. Il brand deve essere più preciso qua, quale specificità
possiede.
3. Modificatore emotivo: fornisce un'ulteriore qualificazione in merito alle modalità con le quali
la marca garantisce i benefici promessi. Risponde alla domanda: qual è la natura dell'attività
della marca e in che modo essa offre determinati benefici?
Esempi di brand mantra: Mc Donald à l’ha cambiato ultimamente quando voleva essere più un
ristorante che un fast food. Il mantra è Fun, Folks, Food. La funzione del brand è food, folks è il
modificatore esplicativo perché da sempre sono stati inclusivi e attenti alle persone, e fun è il
modificatore emotivo perché puoi organizzare le feste, c’è il pagliaccio. Nike à il brand mantra è
venuto fuori dopo che avevano fatto un disastro. A un certo punto Nike decise di operare più come
un brand fashion, su indicazione della coordination europea. Provarono a sviluppare questa idea di
fashion, fu un disastro. Quindi Nike deve ridefinire in modo chiaro il suo mantra. Il mantra è authentic,
athletic, performance. La funzione è la performace, ma non tutte le performance, solo quelle atletiche
(modificatore descrittivo). In modo autentico (modificatore emotivo). Disney à l’azienda stava
andando alla grande e molti risultati venivano dalle royalties delle licenze dei characters. Non è che
il mantra viene da un fallimento è il contrario, hanno scelto di pensare a cosa sono veramente. Il
mantra è fun, family entertainment. Il loro compito è intrattenere (funzione), per loro è importante la
famiglia (modificatore descrittivo) e si devono divertire (modificatore emotivo).
Un brand mantra efficace dovrebbe:
definire la categoria, i confini della marca, evidenziare l’unicità. Se faccio estensione di marca
va rivisto il mantra;
o essere facilmente memorizzabile, quindi breve e vivace (ideale 3 parole, talvolta necessario
un maggiore numero di parole per spiegare i modificatori);
o essere rilevante per il maggior numero possibile di dipendenti, li deve ispirare, li deve
guidare.
Valori principali e mantra sono articolazioni del cuore e dell’anima del brand. Si evince che l’essenza
di marca deve: : fornire un contributo determinante alla creazione di valore; essere protetta da
tentativi di appropriazione da parte della concorrenza; differenziarsi nel tempo; risultare abbastanza
coinvolgente in modo da motivare e ispirare l’intera organizzazione.
o
La cosa importantissima tutte le volte che penso alla promessa è che la promessa non è uno slogan.
Quindi ogni volta che decido di lavorare sull’identità io devo continuamente farmi carico di trasferire
degli elementi importanti e concreti in termini di immagine di marca al mercato. Bisogna fornire al
consumatore elementi concreti, che confermino nella sua mente una cera immagine della marca. Lo
faccio in tre modi: 1. Con imperativi strategici: orientamenti di medio-lungo periodo a cui l’impresa
dichiara di ispirarsi per realizzare la promessa su cui si basa l’identità di marca. Rappresentano
anche dei “test di fattibilità” attraverso cui si specificano gli investimenti necessari e le valutazioni
per la realizzazione della promessa (vero impegno dell’organizzazione: esistono le risorse per gli
investimenti? Si possiede la capacità di adottare le iniziative necessarie?). 2. Con spunti di prova:
azioni concrete che evidenziano: fattivamente gli imperativi strategici; comportamenti di prova della
promessa di marca; possono essere molti e di natura "operativa" (risorse, capacità, programmi,
iniziative). 3. Con modelli di ruolo: aneddoti, persone o eventi che rappresentano la brand identity,
per contribuire a rendere espliciti il significato e la valenza emotiva della marca. Devono incarnare i
valori della marca; rilevanza delle persone (esibizione di testimonial o individui a cui la marca è
legata); impiego di eventi (quasi "property" del brand, simbolo del brand). Per quanto riguarda gli
spunti di prova non posso fare un elenco delle cose che fa, devo raccontare eventi e storie. Tutto
quello che dico deve essere supportato da impegni concreti e fatti. I modelli di ruolo possono essere
il fondatore o delle iniziative che ho sviluppato nel corso del tempo perché ricche di significato.
I segni di riconoscimento
L’espressione dell’identità di marca viene attuata attraverso la progettazione e l’utilizzo di uno
specifico sistema di segni. I segni di riconoscimento insieme creano un sistema di segni. Da un lato
fanno capire l’identità di marca, quindi creare identificazione. Dall’altro i segni devono anche
comunicare distinzione. I segni devono avere significato sia a livello di espressione (significante),
sia di contenuto (significato). Ogni volta che lavoro con i segni di riconoscimento da una parte devo
tenere in conto il loro significato, dall’altro l’aspetto linguistico/fonetico. I segni di riconoscimento
definiscono in primo luogo l’identità visiva. L'identità visiva può essere definita come una differenza
e una permanenza al tempo stesso. Differenza perché vale ad assicurare il riconoscimento distintivo
della marca. Permanenza in quanto, agevolando la memorizzazione del prodotto e sostenendo
l'attaccamento come pure la sensibilità alla marca, i segni che la costituiscono sono destinati a
perdurare nel tempo. L'identità visiva rappresenta il primo elemento di comunicazione che collega
la marca con il mondo esterno e interno all'azienda. Gli elementi costitutivi di tale identità sono
pertanto destinati a essere declinati su tutti i supporti grafici e digitali atti a veicolare e amplificare la
presenza della marca in ogni circostanza di potenziale visibilità. La succo scelta dei segni di
riconoscimento la marca dovrebbe rispondere ad alcuni criteri di base:
o
o
o
o
o
o
Memorizzabilità: essi devono poter essere ricordati e riconosciuti con facilità. Se il cliente
non se lo ricorda, il mio brand per lui non esiste. Il brand cerca di essere diverso dagli altri
così cerca di farsi ricordare.
Capacità di significazione: i segni devono evocare nel target di riferimento significati coerenti
con le associazioni cognitive e affettive che la marca intende sviluppare. Ad esempio
coccolino che dà l’idea di morbidezza. Si lavora sulle associazioni per il consumatore.
Piacevolezza: per suscitare l’interesse del consumatore, i segni di riconoscimento devono
essere ricchi di immagini visuali e verbali, divertenti e interessanti. I segni che piacciono di
più risiedono nella mente del consumatore. Se una cosa disturba il consumatore non la vuole
ricordare.
Trasferibilità: la marca è sempre più chiamata a estendersi verso nuovi mercati tanto
geografici quanto merceologici. Bisogna evitare di adottare segni che pregiudichino la
commercializzazione in altri contesti.
Adattabilità: i segni di riconoscimento devono potere evolvere con l’azienda nel tempo.
Tutelabilità: bisogna cercare di proteggerli, in quanto il ritorno sugli investimenti sostenuti per
il loro sviluppo è subordinato alla capacità di difenderli da imitazione.
Tutte le volte che si fa brand building, quindi quando devo costruire la marca devo tenere presente:
memorabilità (facile da riconoscere e ricordare), significatività (descrittivo e persuasivo) e
piacevolezza. Gli altri criteri fanno riferimento alla preservazione della marca: trasferibilità,
adattabilità e tutelabilità.
Possono costituire marchio registrato tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente
(parole, nomi di persone, disegni, lettere, cifre, suoni, forma, colori) purchè atti a distinguere i prodotti
di un’impresa da quelli di altre. Il titolare di un marchio registrato ha il diritto di vietare a terzi, salvo
il proprio consenso, di usare: 1. Un segno identico al marchio per beni e servizi identici a quelli per
cui il marchio è stato registrato. 2. Un segno identico o simile, per beni o servizi identici o affini se
c’è il rischio di creare confusione nel consumatore. 3. Un segno identico o simile per beni o servizi
anche non affini, se il marchio è rinomato: perché consente di trarre indebitamente vantaggio dal
carattere distintivo o dalla rinomanza o reca pregiudizio. Per essere giuridicamente tutelati ci devono
essere dei requisiti di validità (altrimenti il marchio è nullo): capacità distintiva, novità e liceità.
Capacità distintiva à ne sono privi i segni di uso comune nel linguaggio, i segni che sono
denominazioni generiche o danno indicazioni descrittive. Novità à il marchio deve essere diverso
dagli altri segni distintivi già registrati. Liceità à sono illeciti i marchi contrari alla legge, all’ordine
pubblico e al buon costume. Sono illeciti anche i segni decettivi, cioè idonei a ingannare il pubblico
su delle caratteristiche del prodotto.
Il brand name
La definizione del brand name, ossia del marchio denominativo, rappresenta un passo essenziale
per la costruzione del valore della marca. Se adeguatamente definito, il nome della marca cattura il
tema centrale o le associazioni chiave di un prodotto in modo coinciso ed economico. È un efficace
strumento di comunicazione, un elemento allusivo e fondativo dell'immagine del prodotto, dei suoi
attributi e della sua personalità. Negli ultimi anni c’è stata una crescita esponenziale dei marchi
depositati. Adesso il brand name deve tenere conto della globalizzazione, devono essere efficaci
anche in culture diverse, va pensato anche in questa ottica. I nomi stimolano, permangono, ricordano
e fidelizzano, favorendo la memorizzazione, la penetrazione e la diffusione di un prodotto sul
mercato. Il brand name dovrebbe essere:
o
o
o
o
Semplice da pronunciare, scrivere e ricordare
Distintivo, significativo e suggestivo
Diverso, insolito e difficile da dimenticare
In grado di comunicare in maniera rapida e immediata al consumatore informazioni rilevanti
riguardo agli attributi di prodotto e/o ai bisogni soddisfatti
Le imprese hanno diverse opzioni a disposizione: la marca corporate viene utilizzata per tutti i
prodotti; i nomi dei prodotti non sono collegati alla marca corporate; il brand ha qualche forma di
collegamento con la marca corporate; private label. Il brand name può essere scelto in modo da
trasmettere esplicitamente informazioni in merito al prodotto (nomi espressivi) oppure può
allontanarsi da qualsiasi riferimento al prodotto (nomi di fantasia).
Nomi espressivi à l’idea è quella che il nome possa indicare la categoria in cui esso si inserisce, i
suoi attributi, benefici e valori. Il brand name suggerisce il posizionamento del prodotto. I nomi
espressivi possono presentare un problema di capacità distintiva, qualora la componente descrittiva
risulti accentuata. Bisogna quindi aggiungere altri elementi a quello descrittivo per creare
differenziazione (suffissi, prefissi, combinazioni particolari). Ai vantaggi in termini di marketing
connessi all’adozione di un marchio espressivo fa da contraltare un’attenuazione della tutela
giuridica. Si tratta di un marchio debole perché si possono proteggere solo gli elementi aggiuntivi a
quello descrittivo. Il nucleo (l’elemento descrittivo) rimane a disposizione di tutti. Ai marchi deboli si
contrappongono i marchi forti, sono privi di attinenza con i prodotti che contraddistingono. Possono
avere un significato non collegato o essere di fantasia. Per questi marchi la tutela si estende a tutti
gli elementi che li compongono. Un marchio originariamente debole può diventare forte se diventa
molto distintivo nella percezione del consumatore.
Nomi di fantasia à il nome è frutto di pura fantasia, non è descrittivo e non evoca attributi, benefici
o valori del prodotto. È interessante osservare come, con il trascorrere del tempo e il cumularsi degli
sforzi della comunicazione e del marketing, certi brand name perdano il loro significato lessicale, nel
senso che il consumatore non si pone più il problema del significato letterale o non avverte più la
somiglianza fonetica fra il marchio e la parola del vocabolario, ma percepisce un insieme di significati
nuovi. È la cosiddetta autonomia della marca. Spesso si ricorre a delle sigle per ovviare all’eccessiva
lunghezza della denominazione completa. È anche possibile ideare sigle che abbiano un significato,
o che presentino omonimia con termini del vocabolario. Fra i marchi di fantasia si possono ricordare
le Marche patronimiche, ossia corrispondenti al cognome di una persona, generalmente il fondatore,
il capostipite di una dinastia imprenditoriale e pertanto di una famiglia. Oppure di più persone che
rappresentano i pionieri di un'avventura commerciale o industriale. Il nome patronimico conferisce
alla marca e ai prodotti un'identità distintiva, la quale fa leva su una cultura produttiva che si
tramanda di generazione in generazione, ma anche su personalità e carisma individuali. Oltre ai
patronimici, fra i nomi propri che possono essere attribuiti a una marca vi sono anche i nomi
mitologici e storici. Non vanno poi dimenticati i nomi di carattere geografico, che alludono a un
duplice territorio simbolico e reale della marca. Vogliono evocare un patrimonio di valori, significati
e di atmosfere connessi a una città, a un luogo, a una regione (si può fare se il luogo non riguarda
la qualità del prodotto).
Il brand name ha una sua sonorità. Il suono delle parole, in quanto portatore di significato, è in grado
di esercitare un impatto sulle percezioni del consumatore. Il marketing cerca spesso di attribuire ai
prodotti nomi con una sonorità piacevole. Si ricorre alla onomatopea, allitterazione, alla consonanza
o alla rima. Anche le singole lettere alfabetiche sono in grado di veicolare i significati. Per esempio
la R insieme alle varie consonanti occlusive, alla C o alla K oppure alla F, riproduci la sonorità della
masticazione e dello sgranocchiare che caratterizza molti prodotti croccanti. R e F hanno la capacità
di evocare vibrazioni e brividi. L'attenzione alla sonorità dei nomi ha assunto crescente rilevanza a
causa della globalizzazione dei mercati e del crescente orientamento al Global branding, ossia
all'adozione di un nome di marca che possa rimanere immutato nei vari contesti nazionali. L'impatto
della sonorità delle parole sui processi percettivi e valutativi degli individui è noto da tempo. Uno
studio di Newmann rilevo al simbolismo fonetico si associavano non solo la dimensione, ma anche
i differenti gradi di luminosità degli oggetti ai quali tali nomi venivano associati. Il simbolismo sonoro
non è limitato a una lingua specifica ma abbraccia una molteplicità di culture differenti. Lettere ad
alta frequenza acustica per cose piccole, lettere ad bassa frequenza acustica per cose grandi in
diverse ligue. Nell'ambito del simbolismo sonoro, ai fini del brand naming è stato approfondito quello
cosiddetto sinestetico, vale a dire quello attinente l'impiego di vocali e consonanti per descrivere in
modo coerente le proprietà degli oggetti. Vocali anteriori (i ed e) sono associati a qualcosa di piccolo,
leggero, sottile, luminoso, amichevole, e femminile rispetto a nomi contraddistinti da vocali posteriori
(o e u). Essendo i suoni portatori di un significato proprio, è possibile influenzare le percezioni dei
consumatori con riguardo a un particolare bene o servizio massimizzando la coerenza fra il
simbolismo sonoro del nome di marca e gli attributi del prodotto che si intendono evidenziare. Studi
sulla sound repetition hanno rilevato come in presenza di suoni energici e ripetitivi gli individui
evidenziano maggiori livelli di stimolazione e di piacere. I suoni non sono soltanto in grado di
veicolare significati, ma anche di evocare specifici stati d'animo. Da qui l'idea che l'ascolto di un
nome di marca contenente una ripetizione fonetica dei suoni è in grado di suscitare una positiva
risposta affettiva in chi lo ascolta tale da influenzare le percezioni.
I loghi e i simboli
Gli elementi visivi, quali appunto i loghi, giocano spesso un ruolo critico nella costruzione dell'identità
del brand, posto che quasi 2/3 degli stimoli che arrivano al cervello passano attraverso il sistema
visivo. Quando uno stimolo visivo è in grado di richiamare univocamente una certa marca, significa
che ha saputo imprimersi con forza nella mente degli individui generando un'associazione di primaria
importanza. I loghi sono la prima forma di comunicazione della marca e ne consentono una rapida
identificazione. La riconoscibilità è più rilevante per quei prodotti che ambiscono a essere oggetto di
acquisto d'impulso, come pure per tutte le marche presenti negli spazi della grande distribuzione. Il
logo personalizza e conferisce un supplemento di identità alle marche e ai loro prodotti, creando
così associazioni e sensazioni in grado di incidere sulla qualità percepita e sulla fedeltà della
clientela. Il logo è la traduzione del nome della marca in una forma leggibile e pronunciabile, resa
unica e ben riconoscibile in funzione della sua rappresentazione grafica. La leggibilità è il principale
requisito di un buon lettering, ma non deve essere trascurata la sua capacità di esprimere il carattere
della marca e alcune delle sue peculiarità. Un carattere maiuscolo, a bastone ed essenziale tende
a esprimere modernità, mentre un carattere corsivo, minuscolo, calligrafico rinvia a un'idea di
classicità, di recupero del passato di vintage. Un carattere sottile e leggero è femminile, mentre il
grassetto appare più mascolino. Non si può pensare che un logo o un logotipo non si evolva. Ci sono
delle scelte fatte dai brand in questo senso, ad esempio Calvin Klein mantiene il logo classico sui
suoi prodotti principali, cioè underwear. In altri mercati ha scritto Calvin Klein tutto maiuscolo. Anche
il direttore creativo di Burberry ha deciso che il pattern famoso rappresenta il classico, e applica
invece il monogramma ai prodotti innovativi. L’evoluzione segue il percorso del brand, di quello che
vuole comunicare. (elementi importanti oltre all’evoluzione astrattezza vs. concretezza, versatilità,
articolazione del brand name e simbolo utilizzato). I loghi vengono quindi sottoposti a costanti e
impercettibili restyling. Il logo può essere incluso in una forma oppure insistere su uno sfondo. In
alcuni casi il logo è rappresentato unicamente dal lettering, mentre in altri casi è accompagnato da
ulteriori elementi i quali possono essere costituiti da:
o
o
o
Monogrammi, risultanti dalla combinazione o dalla sovrapposizione di due o più lettere
alfabetiche presenti nel brand name.
Acronimi, costituiti dalle prime lettere del nome dell'azienda o del prodotto.
Pittogrammi, i quali rappresentano la parte puramente simbolica della marca, cioè l'emblema
non leggibile e pronunciabile che riconduce all'azienda o al prodotto. I pittogrammi possono
essere ideogrammi se rappresentano segni astratti, oppure iconografici se invece
riproducono segni assomiglianti al concetto che intendono esprimere. A meno che l'azienda
non goda di elevata notorietà presso il pubblico, era raro trovare marchi composti unicamente
dal pittogramma non accompagnato anche dal logotipo.
Nella maggioranza dei casi la marca possiede un luogo composto dall'articolazione alfabetica del
nome più un simbolo stilizzato. Tuttavia, sempre più spesso, alcuni simboli si stanno conquistando
una propria autonomia tanto da designare la marca tout court. I loghi possono essere espressivi o
di fantasia e connotarsi altresì come marchi forti o deboli. Marchi deboli sono quelli in cui prevale la
componente descrittiva (es. ulivo per olio). I loghi astratti possono essere particolarmente distintivi
e quindi ben riconoscibili. I loghi astratti, privi di forti associazioni product related, possono essere
utilizzati per diverse categorie di prodotti. vanno sostenuti con adeguate iniziative di marketing. La
realizzazione del logo implica anche la selezione dei colori con i quali raffigurare gli elementi
costitutivi. I colori sono identificativi di attributi, qualità e proprietà. Il colore è una sensazione che
viene recepita dal nostro cervello e che provoca determinati sentimenti ed emozioni. Determinati
colori trasmettono specifiche sensazioni perché il cervello umano le associa alle esperienze a questi
collegate. Rosso à eccitazione, forza, vitalità, coraggio. Molto usato nel food. Giallo à colore solare,
richiama la socialità, l’appartenenza a un gruppo, è usato per attirare l’attenzione. Blu à è un colore
armonioso e da sicurezza, la maggior parte delle grandi barche/società di consulenza sono blu per
comunicare sicurezza. Il blu è anche armonioso viene usato da Bulgari. Arancione à il colore
dell’amicizia, della fratellanza, e del risparmio. Verde à freschezza, natura, rilassante. Bisogna
saperlo scegliere il colore. C’è un esperimento: prendono confezioni di diverso colore per il detersivo,
hanno preso una confezione gialla, una rossa, una azzurra e una senza colori dominanti. Gli
intervistati hanno detto che quello con la scatola neutra dava idea di essere di pessima qualità, non
in grado di lavare. La scatola gialla è stata ritenuta insoddisfacente. Quella rossa e azzurra venivano
ritenute entrambe di un prodotto di qualità. Quella rossa però era ritenuta più forte, il detersivo era
ritenuto indicato per macchie tenaci ma non per capi delicati. Moltissimi brand usano i colori proprio
per lavorare sulle dimensioni che i colori comunicano. Il significato dipende da paese a paese. Si
possono adottare soluzioni monocromatiche, pensiamo al bianco e nero. Poi si possono scegliere
più colori insieme o pochi colori insieme. L’obiettivo in queste scelte è sempre offrire al pubblico
elementi identificativi dell’organizzazione, che facilitano l’immediata identificazione. I colori vanno
combinati in modo unico, è meglio limitarsi a pochi colori sennò troppi non forniscono una specifica
identità. Il numero ideale si dice essere di tre colori, altrimenti si rischia di essere poco distintivi.
Esiste un codice pantone per ciascun colore. Ciascun codice pantone esprime un colore in una
specifica tonalità e garantisce stabilità nella resa cromatica. Ci sono molte sfumature di tonalità. Il
logo facilita l'identificazione dei prodotti ai quali è applicato. non è detto che il consumatore vedendo
il logo riesca a ricondurlo al brand a cui si riferisce. Un altro vantaggio dei loghi e la loro versatilità,
nel senso che si prestano più facilmente che non il brand name a essere aggiornati nel tempo e
trasferiti da una cultura all'altra. I loghi tendono ad invecchiare per cui non è raro che debbano essere
sottoposti a un intervento di restyling. Nella maggior parte dei casi l'evoluzione si realizza mediante
ritocchi progressivi, senza stravolgere i lineamenti essenziali che definiscono l'identità del luogo
stesso e che ne agevolano il riconoscimento. Si tratta dunque di piccole varianti atte realizzare un
upgrading capace di conservare il patrimonio valoriale ed emozionale della marca e di mantenere
inalterate le associazioni simboliche che quel segno ha sempre suscitato nel pubblico. Il logo è
spesso l'immagine che il consumatore tende a collegare più facilmente a una marca e perciò non
può ridursi a un simbolo esteticamente gradevole. Esso deve saper condensare l'identità, la
personalità è l'essenza della marca. Quello che conta è l'efficacia, la funzionalità alla marca e la
riconoscibilità. Da qui una serie di requisiti in termini di: originalità, vis attrattiva, visibilità, leggibilità,
correttezza morale, riproducibilità grafica, adattabilità all'animazione e al web, tutelabilità in sede
legale. Il logo non è un’operazione meramente grafica e con considerazioni solo di tipo estetico o
stilemi tipografici. Il logo deve possedere coerenza comunicativa con semantica del nome e col
sistema globale di segni della marca, deve integrarsi. Come il brand name, il logo è un indicatore di
senso all’interno dell’identità della marca.
La confezione
La confezione rappresenta uno degli elementi fondativi dell’identità di marca poiché contribuisce in
modo significativo allo sviluppo dell’immagine, riassumendone i valori portanti in un unico supporto
caratterizzato da un numero particolarmente elevato di codici. La confezione può diventare uno
strumento di riconoscimento per il brand. Le informazioni da essa comunicate possono aiutare la
creazione o il rafforzamento di preziose associazioni mentali alla marca. La forma può essere un
marchio registrato, ma non tutte le forme sono registrabili, sono registrabili solo quelle non funzionali,
quindi quelle non consuete, aribitrarie o di fantasia. La confezione è un’opportunità per comunicare
l’essenza della marca. È un punto di contatto tra il consumatore esterno e il prodotto interno. Ci sono
tre tipologie di confezione:
1. Packaging primario: involucro a diretto contatto con il prodotto
2. Package secondario: avvolge la confezione primaria fornendo ulteriore protezione
3. Package terziario: è l’imballaggio, costituito dai materiali impiegati per le funzioni logistiche.
La confezione ha due dimensioni complementari: materialità e immaterialità. La materialità è alla
base del valore funzionale, ha funzioni di protezione, conservazione e trasporto del prodotto. Prima
di tutto il packaging ha la funzione di proteggere il prodotto, poi di conservarlo (conservare le
caratteristiche di integrità, funzionalità, fragranza, freschezza, igiene). Consente l’esposizione del
prodotto, alcune forme facilitano la movimentazione delle merci. L’immaterialità della confezione è
alla base del valore simbolico. Essa consente l’emersione del contenuto, mostrandolo e
descrivendolo e rappresentandolo attraverso la narrazione. Ha una funzione di comunicazione
multisensoriale e bidirezionale nei confronti del consumatore: per l’impresa il packaging è un canale
comunicativo; per il consumatore è uno strumento di costruzione di nuovi significati. La confezione
consente di categorizzare il prodotto, cioè evidenziare la categoria merceologica a cui appartiene.
Peremtte anche di differenziare la marca da quelle rivali, posizionandola in modo distintivo nella
mente dei consumatori. La funzione più rilevante della confezione è quella comunicativa, perché
innanzitutto attira l’attenzione dallo scaffale al momento dell’acquisto orientando la scelta. Il
packaging deve rappresentare il posizionamento perseguito dalla marca, il livello qualitativo
ricercato e l’identità della proposta. La capacità comunicativa della confezione si esprime a due
livelli: verbale à sono le informazioni scritte sulla confezione che illustrano il prodotto e danno
istruzioni e suggerimenti sull’utilizzo. Simbolico à sono le capacità metacomunicative riconducibili
a un più ampio universo culturale ed emotivo del consumatore (es. i significati evocati dai packaging
dei profumi). Per i prodotti a basso coinvolgimento una confezione attraente può fornire un vantaggio
competitivo iniziale. In un contesto affollato come il pdv, il packeging è il primo veicolo di
comunicazione per l’azienda, consente alla marca di declinare alcune sue chiavi di sviluppo
strategico: tensione all’innovazione, ricerca qualità dei prodotti, rispetto per l’ambiente. Il packaging
è molto importante nella fase di maturità perché un nuovo packaging può creare nuove occasioni di
consumo. La confezione viene mostrata molto nelle pubblicità, soprattutto se il prodotto è nuovo per
favorire il riconoscimento del brand. L’efficacia della comunicazione dipende dalle componenti
estetiche e funzionali. Estetica àforma, dimensione, materiali, colori, testo e grafica. Funzionale à
informazioni fornite. L’etichetta, parte della confezione con le informazioni, comprende: 1. Copy:
parte testuale, costituita da contenuti obbligatori e info discrezionali per informare il consumatore sul
prodotto/attributi/benefici/utilizzi. 2. Layout: composizione degli elementi testuali e illustrativi e il
modo in cui sono distribuiti nello spazio della confezione. Bisogna prestare attenzione perché la
confezione deve essere leggibile e attrattiva. 3. Scelte in termini di grafica: caratteri dei testi,
dimensioni, colori, immagini… La confezione deve presentare due livelli di coerenza: interna à fra
gli aspetti e le caratteristiche che la compongono esterna à tra il pack nel suo complesso e le altre
leve del marketing mix. La confezione è una leva semplice da modificare, spesso è il risultato di
innovazioni. Ovviamente non bisogna cambiarla completamente rischiando di disorientare il
consumatore. Si può modificare la confezione per riposizionare il prodotto, per differenziarsi dai
concorrenti, per vendere meglio il prodotto in certi canali distributivi, per la sostenibilità.
I personaggi
Con il termine personaggi si intende definire un particolare simbolo della marca, che può assumere
forma diversa: alcuni sono figure immaginarie, mentre altre sono figure del tutto umane. Le figure
umane possono essere famose o non famose. I personaggi vengono introdotti attraverso la
pubblicità e possono svolgere un ruolo di rilievo nella campagna di lancio della marca e in quelle
successive o nel design della confezione. L'impiego dei personaggi prospetta alcuni vantaggi ai fini
della costruzione della marca. Se dotati di un'immagine ricca vivace, tendono a catturare l'attenzione
del pubblico e quindi concorrono positivamente alla creazione di notorietà. Il loro impiego aiuta a
comunicare attributi o benefici del prodotto che la marca intende evidenziare. Il personaggio è in
grado di rafforzare gli elementi della personalità della marca che l'azienda intende valorizzare e di
rendere il brand più interessante e piacevole. Per i consumatori può risultare più semplice instaurare
una relazione con la marca quando questa assume carattere umano. I personaggi sono versatili su
più categorie merceologiche. Le associazioni mentali connesse ai personaggi più popolari
dischiudono spesso opportunità di licensing. Lo svantaggio più rilevante è il rischio che l'attenzione
nei confronti del personaggio risulti assolutamente predominante, finendo così per ridurre la
consapevolezza della marca. I personaggi devono essere sostituiti o comunque aggiornati nel corso
del tempo, se si desidera che la loro immagine e personalità rimangano rilevanti per i segmenti di
domanda che la marca intende raggiungere. Quanto più realistico è il personaggio tanto maggiore
risulta la necessità del suo sistematico aggiornamento. I personaggi devono incarnare i valori della
marca. Deve sviluppare un immaginario. Può essere immaginario o umano e serve per la
costruzione del valore della marca. (Es. capitan Findus).
Gli avatar
Gli avatar sono entità digitali dall’aspetto antropomorfo, controllate da un essere umano o da un
software, e dotate di capacità di interazione. Con gli avatar umanizzo la marca, vengono sempre più
utilizzati perché si cerca di collegare tecnologie e umani. Le condizioni necessarie sono l’aspetto
antropomorfo e l’interattività. L'aspetto antropomorfo è comunemente considerato condizione
necessaria affinché un avatar possa essere percepito come credibile e competente, influenzando le
aspettative e la volontà di interazione delle persone. L'interattività indica la capacità di impegnarsi in
interazioni bidirezionali, di natura verbale o non verbale, al fine di soddisfare le esigenze e edoniche
e funzionali dei clienti. Gli avatar variano moltissimo sia per quanto concerne l'aspetto visivo sia per
quanto riguarda i comportamenti nelle interazioni con le persone. Facciamo riferimento a quanto più
la sua forma è umana e quanto più si comporta da umano. Possiamo individuare 4 tipologie di avatar:
1. Semplicistico: possiedo un aspetto molto poco antropomorfo, veicola comunicazioni basate su
script e svolge attività in base a specifici compiti. L'aspetto irrealistico non alimenta aspettative nei
confronti dei consumatori riguardo a comportamenti interattivi. Risulta efficace per le transazioni a
basso rischio, con un ovvio vantaggio di efficienza e possibilità di offrire ai clienti un servizio
ondemand. 2. Superficiale: è dotato di un aspetto antropomorfo realistico, ma sfrutta poco
intelligenza e interattività. La forma alimenta aspettative sul piano relazionale che nei fatti vengono
però disattese da quanto l'avatar è realmente in grado di fare. In grado di migliorare la produttività
delle transazioni a basso rischio, ma non va bene per quelle ad alto coinvolgimento. 3. Non realistico
e intelligente: presenta intelligenza emotiva o cognitiva, ma è carente nell'aspetto antropomorfo.
Questo riduce le aspettative riguardo al livello di intelligenza dell'avatar, anche se è elevata e trova
espressione in forme di comunicazione autonoma con linguaggi naturali e con contenuti informazioni
che richiedono interazione e sensibilità su argomenti personali. 4. Umano e digitale: abbina un
aspetto antropomorfo realistico a un livello avanzato di intelligenza cognitiva ed emotiva, reso
possibile dall'impiego dell'intelligenza artificiale e che consente elevati livelli esperienziali al cliente.
Consente transazioni complesse che richiedono un servizio altamente personalizzato e focalizzato.
Quando si lavora sugli avatar non è detto che solo perché è umano sia credibile e competente o
percepito come tale; non è detto che solo perché interagisca riesca a esprimere e influenzare le
aspettative di interazione; non è detto che essendo interattivo sia in grado di impegnarsi in interazioni
bidirezioni di natura verbale o non verbale; non è detto che riesca a soddisfare le esigenze edoniche
e funzionali dei clienti. Attenzione quindi quando si utilizzano gli avatar perché essendo dei
personaggi bisogna considerare quali finalità dargli.
Slogan
È costituito da una speciale combinazione di parole in grado di riassumere l'essenza della marca e
atta a trasformarsi in messaggio pubblicitario a tutti gli effetti. Lo slogan è quindi un testo, più o meno
breve, che dispiega la sua vis nel tempo, accompagnando o meno le campagne pubblicitarie della
marca. Lo slogan è caratterizzato da brevità dei testi unita alla potenza espressiva, si connota per
essere un testo denso e di impatto, ma al contempo facile da leggere e da pronunciare. La sua
memorizzazione deve essere agevole. Sintetizza l'obiettivo di un programma di marketing, aiuta i
consumatori a catturare l'essenza della marca e a comprendere che cosa la caratterizza rispetto alle
alternative concorrenti. Lo slogan può contribuire alla costruzione del valore del brand secondo varie
modalità. Alcuni aiutano a creare consapevolezza della marca scandone il nome, altri incrementano
la notorietà in modo ancora più esplicito, stabilendo un legame forte tra la marca e la categoria di
prodotto. Può anche evidenziare il posizionamento desiderato dall'azienda. Motivazioni:
- Gestione integrata con le politiche di marketing, quindi per integrare la comunicazione.
- Utilizzati come gancio per aiutare i consumatori ad afferrare il significato della marca. Se dico
“la coop sei tu”, fa capire due cose che è una realtà cooperativa e io consumatore sono un
socio per loro.
- Fatti per creare consapevolezza: scandendo all’interno il brand name, stabilendo legame con
la categoria di prodotto.
- Può servire per rafforzare l’elemento differenziante: tipo dove c’è Barilla c’è casa
- Serve per lodare il brand con superlativi o esagerazioni
- Serve per giocare con il nome della marca per lavorare in termini di brand image: canon con
lo slogan vuole dire che tutti la possono utilizzare anche se non sono professionisti.
- Anche lo slogan va aggiornato e modificato nel tempo.
A volte il successo dello slogan sovrasta la marca oppure comunica un significato che la marca non
intende più sottolineare.
Jingle
Sono motivi musicali che accompagnano la marca, di solito nell’ambito di comunicazioni pubblicitarie
trasmesse da mezzi di comunicazione di massa. Da sempre la musica è considerata un mezzo
efficace per suggestionare, per comunicare, per influenzare le percezioni e le emozioni umane. Da
qui il suo impiego anche nelle attività di marketing aziendale, al fine di creare determinate atmosfere,
di influire sulla percezione della marca, di incidere sulle preferenze e sul comportamento dei
consumatori.
Hashtag
Con la diffusione sempre più pervasiva dei social media, è andato affermandosi il cosiddetto content
marketing, il quale consiste essenzialmente nella creazione di contenuti interessanti, avvincenti e
utili per un definito segmento di domanda, con l'intento di far nascere conversazioni riguardanti tali
contenuti gli hashtag usati nella distribuzione dei contenuti sui social hanno sostituito i tradizionali
slogan. Gli hashtag collegano vari tipi di contenuto, Mantenendo viva la conversazione e
connettendo fra loro individui che condividono il medesimo interesse. Gli hashtag possono
accrescere la consapevolezza di marca e stimolarne la preferenza, mediante il coinvolgimento degli
individui in conversazioni relative al brand. Ci sono diversi vantaggi: aiutano i consumatori a capire
il messaggio che una marca vuole comunicare; invitano i consumatori ad aggregarsi e partecipare
a conversazioni relative alla marca, aumentandone anche il passaparola digitale; forniscono un
modo semplice ai consumatori per interagire con il brand, con i suoi contenuti e per inserirsi
all'interno di conversazioni riguardanti la marca che rispecchino maggiormente le proprie preferenze
e le proprie attitudini. servono anche per accrescere l'identificazione e generare notorietà. Se si
sgancia l’hashtag dal solo nome di marca se ne accresce il vantaggio e la capacità comunicativa,
soprattutto se esso aiuta a trasferire i valori del brand e incoraggia i consumatori a condividerli.
Nell’ambiente di Instagram gli hashtag giusti servono per ottenere più like e aumentare follower. Si
sono fatte una serie di ricerche e si è scoperto che hai consumatori infastidiva avere l’hashtag come
un simbolo. Cioè non gli interessava avere il brand name nell’hashtag. Gli hashtag si possono usare
per accrescere la consapevolezza. Gli hashtag servono per far ricercare e individuare i messaggi di
marca, far ricercare e individuare messaggi su uno specifico argomento. Servono per coinvolgere in
conversazioni relative al brand o a un argomento, per far partecipare alla discussione. Sono utili per
diffondere spontaneamente grazie all’effetto virale il messaggio di una marca e incoraggiare alla
condivisione. Ovviamente bisogna scegliere quello giusto. L’hashtag può servire anche per stimolare
le preferenze di marca e costruire una comunità attraverso l’hashtag stesso.
Identità dinamica (es. doodle di Google)
Nel contesto odierno la progettazione grafica e tipografica dell'identità visiva ha visto accrescere il
ricorso a computer, software e algoritmi con utilizzi che sfruttano le possibilità offerte dall'uso di
codici sorgenti liberi da diritti. Questa condotto verso segni di riconoscimento caratterizzati da
variabilità, flessibilità e dinamismo. Si parla di identità dinamiche in grado di consentire alle Marche
di adattarsi ad ambienti in continua evoluzione. Il grado di dinamismo dell'identità visiva della marca
varia a seconda delle scelte concernenti i seguenti aspetti:
-
quali elementi dell'identità visiva si intende modificare. Di solito si scelgono quelli dotati di
maggior prominenza.
I meccanismi di variazione, riferiti al modo in cui i diversi segni possono cambiare
visivamente in termini di combinazione, contenuto, posizionamento, ripetizione, rotazione,
ridimensionamento e trasformazione della forma.
gli algoritmi applicabili ai segni di riconoscimento affinché questi risultino: a) flessibili,
adattandosi al mezzo di comunicazione sul quale appaiano e al contenuto veicolato b) fluidi,
perché in grado di cambiare in modo continuo all'interno di un ampio spettro di possibili
variazioni c) personalizzati d) partecipativi, affinché le persone possano essere coinvolte nel
design e) reattivi, in modo che l'identità visiva reagisca automaticamente a un determinato
input esterno.
NFT à sono i non fungible token cioè gettoni immateriali, crittografici o certificati digitali, unici, che
dimostrano la proprietà (non negoziabile) si una risorsa digitale. Sono strettamente collegati con il
web3. Con il Web3 nasce l’idea che sia possibile creare una nuova economia in grado di rimediare
ai limiti di quella reale, giungendo alla criptoeconomia con l’impiego delle criptomonete. La
criptoeconomia ha degli elementi tipici che vengono ritradotti in un determinato modo. Nella
criptoeconomia ci sono le cripto valute. Gli NFT possono essere tutto: opere d’arte, brani musicali,
identità digitali, prodotti, biglietti per giochi e spettacoli, giochi, gif ecc. le cose con gli NFT costano
meno. L’opera di Beeple viene venduta dalla più famosa casa d’asta. Quando si lavora sugli NFT
uno solo è il vero e unico proprietario dell’originale della risorsa digitale NFT, sebbene questa possa
essere replicata molte volte da chiunque. I creatori di NFT non cedono la proprietà dei propri
contenuti, ma mantengono il diritto di proprietà integrato nel contenuto stesso. Ci sono delle sorte di
royalties che si pagano con la blockchain perché la blockchain è certificata. Nella blockchian si
vedono tutti i passaggi di proprietà e funzionano le criptovalute. Si vede: autenticità, sequenza di
proprietà dal creatore in poi e il valore di scambio di ogni operazione. La «tokenizzazione» del
contenuto consente all’artista di ricevere direttamente il compenso, in forma di royalties,
ogniqualvolta un nuovo proprietario (tracciato) venderà il NFT contenente l’indirizzo digitale del
creatore quale uno dei dati immodificabili del token.
Il problema delle criptovalute è che sono percepite negativamente perché sono state usate per
speculazioni e inquinano l’ambiente. Alcune inquinano meno di altre come ad esempio Etherum.
Quindi se un’azienda si dice sostenibile e poi si attacca a cripto che inquinano non hanno senso.
CAPITOLO 4 – NOTORIETÀ, IMMAGINE E RISONANZA
Secondo il modello della memoria associativa la mente delle persone è organizzata come un
reticolato, cioè come una rete di nodi e di legami connettivi: i nodi rappresentano le informazioni
(verbali, visive, astratte, contestuali) sedimentate e i legami costituiscono i nessi logici tra queste
informazioni. L’individuo utilizza tali legami per trattenere il maggior numero di informazioni. Se una
marca attira l’attenzione del consumatore può essere che si verifichi la progressiva costruzione di
significati intorno ad essa. Tutte le volte che io penso al memory network devo pensare che esistono
86 miliardi di neuroni e 100 trilioni di connessioni supportate da 85 miliardi di cellule non neuronali.
Se uno pensa algida può venire in mente il gelato, il cornetto, l’estate, gli amici. Queste parole sono
associazioni mentali alla marca, cioè nodi che si collegano nucleo centrale rappresentato dal
brand.più il reticolato è fitto, più l’immagine di marca risulta densa, quindi è più facile che la marca
venga richiamata alla mente con facilità. La mental map di McDonald dice che ci sono associazioni
primarie e secondarie, alcune più collegate, altre meno. Alcune associazioni si portano con sé altre
associazioni. C’è un modo per misurare le associazioni. Si può vedere la frequenza di menzione per
ogni caratteristica, il numero di interconnessioni, la frequenza di quante volte sono stati menzionati
per primo, numero di connessioni subordinate, numero di connessioni sopraordinate. La ZMET è
molto utilizzata per sviluppare le mental map. La conoscenza della marca costituisce la presenza
nella mente del consumatore di un nodo e di molteplici associazioni mentali ad esso collegate. La
conoscenza si può caratterizzare con due componenti: notorietà (brand awareness) e immagine
(brand image).
Notorietà
È la forza del nodo rappresentato dalla marca nella memoria del consumatore. Questa forza del
nodo dà la possibilità al consumatore di identificare la marca in condizioni diverse. La notorietà ha
due dimensioni: riconoscimento + ricordo che si riferiscono alla probabilità e velocità con cui il
consumatore identifica la marca quando è esposto ai segni di riconoscimento della marca o alla
categoria di prodotto. La brand recognition è la capacità dei consumatori di riconoscere e confermare
una precedente esposizione alla marca. La brand recall è la capacità dei consumatori di recuperare
il brand dalla memoria all’interno di una specifica categoria di prodotto. La notorietà si sviluppa lungo
un continuum che parte dalla non consapevolezza fino ad arrivare alla dominanza (convinzione che
sia l’unica marca presente in una categoria di prodotto). Ovviamente le persone che non la
conoscono sono tante, tra i top of mind ci sono pochi consumatori. Lo sforzo cognitivo cresce. Il
riconoscimento è il livello minimo di notorietà della marca, si misura mostrando elementi legati un
brand e si chiede di dire a quale brand appartengono. Il livello successivo di notorietà è il ricordo, si
chiede ai soggetti di menzionare le marche presenti in una categoria di prodotto o che associano a
una situazione d’uso. Il ricordo richiede maggiore sforzo perché il consumatore non è aiutato, viene
anche detto notorietà spontanea. Per acquisire informazioni sul ricordo spontaneo bisogna fornire
una contestualizzazione: categoria merceologica, funzione d’uso della marca, luogo di origine, luogo
di acquisto e di consumo, occasioni di acquisto e di consumo. Attenzione che la gente può mentire
bisogna avere delle accortezze e predisporre domande di controllo. La prima marca citata in
un’indagine sulla notorietà spontanea occupa una posizione privilegiata nella mente degli individui,
si chiama top of mind. È stato dimostrato che esiste una relazione positiva tra top of mind e market
share, cioè più persone hanno il brand top of mind, più market share avrà il brand. Esiste anche la
brand dominance, è il punto di arrivo quando quella è l’unica marca che viene ricordata all’interno di
una categoria. Molto spesso la brand dominance dà un vantaggio competitivo enorme, perché
nessun’altra marca verrà ricordata al momento dell’acquisto. Ci sono diverse situazioni di acquisto,
quando le decisioni vengono prese nel punto vendita è più importante il brand recognition, quando
le decisioni avvengono prima o a distanza dal punto vendita è più importante il brand recall. I
vantaggi della notorietà:
-
È il presupposto da cui prende avvio il processo di apprendimento del consumatore: ci deve
essere il nodo nella memoria sennò i consumatori non riescono a collegare le informazioni a
cui sono esposti.
La notorietà conferisce alla marca familiarità: i consumatori preferiscono le cose che risultano
familiari. Quando c’è scarso coinvolgimento, capacità o motivazione i consumatori si fidano
della marca più nota.
La notorietà aumenta la probabilità che la marca entri a far parte del set evocato, cioè entra
nell’insieme di marca che il consumatore ritiene in grado di soddisfare il suo bisogno. Se la
marca non è nel set evocato non verrà considerata per la scelta.
La notorietà si alimenta accrescendo la familiarità della marca attraverso l’esposizione ripetuta (per
favorire riconoscimento) e promuovendo associazioni mentali forti con la categoria di appartenenza
o con le situazioni di acquisto e consumo (per facilitare richiamo). Ovviamente le associazioni oltre
che forti devono essere positive. Ci sono altre dimensioni che assumono rilevanza sui nodi e
sull’awareness: la profondità e l’ampiezza. La profondità è la probabilità e facilità di rappresentazione
dei brand elements, cioè se il consumatore si rappresenta la marca nella mente e a che livello è
sedimentata. L’ampiezza riguarda il range di situazioni di acquisto e di consumo in cui la marca
viene richiamata in memoria. È bene se la marca viene in mente in più occasioni di consumo. Il
brand deve far sapere al consumatore che si può utilizzare in molte occasioni e come. Anche le
confezioni devono essere adeguate a far vedere che si possono usare in occasioni diverse. È uno
sforzo da fare nel tempo.
Bisogna comunicare intensamente; esporre ai segni del brand il consumatore; divenire memorabile;
coinvolgere attraverso uno slogan o un termine facile da pronunciare a associare. Bisogna
comunicare in modo estensivo, pensare al target agli strumenti giusti e anche ai segni di
riconoscimento diversi. L’utilizzo delle celebrity aumenta la brand awareness. Per aumentare il recall
bisogna ripetere.
I limiti
-
L’awareness non comporta l’acquisto
L’awareness può anche essere incrementata attraverso elementi negativi, ma non risulta
utile.
Anche l’unicità nella generazione della consapevolezza deve essere sostenuta dalla brand
value proposition.
Per gli acquisti di impulso il top of mind ha una grande rilevanza.
La consapevolezza deve essere continuamente alimentata, non è autosufficiente.
L’immagine
La brand image viene intesa quale il complesso delle percezioni relative a una marca presenti nella
memoria degli individui, che si riflettono in associazioni mentali di varia natura. Le associazioni sono
altri nodi informativi, connessi al nodo rappresentato dalla marca, presenti nella memoria dei
consumatori e che contengono il significato del brand per questi ultimi. Le associazioni possono
assumere forme diverse e riflettere attributi del bene o aspetti indipendenti da esso. L'immagine di
marca non c'è nel momento in cui l'individuo colloca nel proprio sistema mentale di riferimento
elementi di significato che hanno attirato la sua attenzione riguardo a quel brand. L'origine di tali
elementi è in primo luogo da individuare nelle comunicazioni realizzate dall'impresa. Oltre alla
comunicazione, l'immagine è influenzata dall'esperienza diretta maturata dal consumatore, dalle
opinioni diffuse tramite le interazioni interpersonali, dalle percezioni sulla marca stessa basate sui
segni di riconoscimento o sulla sua identificazione con un'impresa, un'area geografica, un canale
distributivo, un influencer un evento e così via. Le associazioni mentali che definiscono l'immagine
di marca devono essere forti desiderabili e uniche. La forza fa riferimento alla rapidità con cui
l'individuo è in grado di richiamare alla mente il nome della marca è un insieme di associazioni
mentali a esso riferite. La forza è funzione del volume e della qualità dell'attività di elaborazione delle
informazioni ricevute dal consumatore: quanto più profondamente egli pensa a tali informazioni, e le
mette in relazione con le conoscenze già acquisite in ordine alla marca, tanto più forti risultano le
associazioni che ne derivano. Le informazioni che determinano le associazioni più forti sono quelle
rilevanti per il consumatore, presentate in modo coerente nel tempo, derivanti dalla sua esperienza
diretta e dalle comunicazioni interpersonali ricevute. Fonti informative controllate dall'azienda
tendono a creare associazioni più labili e facilmente modificabili. Bisogna puntare sullo sviluppo di
comunicazioni creative. Il prevalere di certe informazioni su altre dipende anche dal contesto in cui
la marca è oggetto di considerazione e della presenza di elementi in grado di suscitarne il ricordo.
La desiderabilità di un'associazione dipende dalla valenza positiva che gli individui le assegnano.
Bisogna convincere i consumatori che la marca è portatrice di tutto ciò che può soddisfare bisogni
e desideri al fine di ottenere un'opinione complessiva favorevole. La medesima associazione può
assumere valenza positiva o negativa a seconda degli individui, bisogna gestire quelle negative. La
desiderabilità di un'associazione dipende dalla rilevanza e dalla credibilità che la connotano. Per
essere rilevante i consumatori che appartengono al target al quale la marca si rivolge devono
ritenere tale associazione importante. La credibilità presuppone la capacità della marca di
mantenere fede alla promessa evocata implicitamente nell'associazione. Questa capacità dipende
dalla possibilità del prodotto di svolgere la sua funzione, dalle prospettive di comunicare la sua
performance, dalla sostenibilità della performance nel tempo. Con unicità si intende che le
associazioni non devono essere condivise con altre marche soprattutto con quelle che sono in
concorrenza diretta. Le associazioni possono identificare punti di parità e punti di differenza. I primi
sono gli aspetti che accomunano una marca a quella con cui compete l'unicità si concretizza nelle
associazioni che rappresentano punti di differenza.
L’individuazione delle associazioni richiede l’impiego di tecniche di ricerca qualitative e quantitative.
Qualitative per identificare le brand associations, quantitative per misurarle e confrontarle con quelle
relative ai concorrenti. Ricerca qualitativa su campioni ristretti:
-
Test proiettivi per indagare le vere opinioni e sensazioni dei consumatori (test visuali, test di
comparazione, test di completamento, Zmet, test di libera associazione).
Tecniche di ricerca online: netnografia, social media monitoring e sentiment analysis.
Ricerca quantitativa su campioni grandi per generalizzare i risultati:
-
Scale di valutazione Likert, multidimensional scaling, tecniche attribute based.
Quando lavoro con pod e pop devo avere il frame of reference
1. Chi sono i consumatori target?
2. Chi sono i principali concorrenti
Poi mi chiedo
1. Come il brand è simile ai concorrenti?
2. Come il brand è diverso dai concorrenti?
Quando nella mente del consumatore un’associazione risulta forte, favorevole e unica essa si
traduce in un elemento di differenza in grado di conferire alla marca un vantaggio competitivo
significativo e motivazioni ai consumatori per acquistarla. PoD: attributi, benefici, sensazioni,
sentimenti che i consumatori associano a un brand e credono di non poter trovare in altro brand.
Possono essere sostanziali e intrinseci, questi contribuiscono in modo sostanziale al vantaggio
competitivo. Quelli di carattere percettivo ed estrinseci, non fanno mutare il giudizio del consumatore,
ma suscitano sensazioni positive e alimentano la forza dell’immagine di marca. Ai punti di differenza
si contrappongono i punti di parità, cioè associazioni mentali condivise con le marche concorrenti.
Possono essere di categoria o competitivi. Di categoria à elementi che gli individui percepiscono
come necessari a legittimare e rendere credibile l’offerta nella categoria. Sono essenziali per tutti i
brand nella categoria ed evolvono nel tempo. Per l’ingresso in nuove categorie averli è fondamentali,
non basta avere i punti di differenza. Competitivi à associazioni concepite per annullare gli elementi
di differenziazione dei concorrenti. Permettono di spostare l’asse dal confronto diretto su altri
elementi di vantaggio competitivo. Quindi i punti di differenza possono trasformarsi in punti di parità,
soprattutto se riguardano aspetti funzionali. Per i punti di parità le marche concorrenti devono avere
punteggi superiori a una certa soglia, per i punti di differenza la marca deve dimostrare una netta
superiorità. Attenzione che alcuni attributi/benefici possono essere correlati negativamente, in
questo caso bisogna far leva su altre qualità, ridefinire il rapporto tra di loro, separare gli attributi.
Quando si lavora sulle brand associations bisogna definire il quadro competitivo di riferimento. Il
quadro competitivo va anche comunicato. Ci sono delle situazioni in cui POP e POD sono correlati
negativamente. Es, il burro è buono ma fa ingrassare. Ci sono attributi correlati negativamente tra
di loro, vanno gestiti. Bisogna trasferirli in modo separati. Si fa leva su un’altra entità (es. sono una
marca molto tradizionale prendo un influencer moderno). Si ridefinisce il rapporto tra gli attributi.
Bisogna anche lavorare nel corso del tempo e rispondere alla concorrenza.
L’immagine di marca va progettata, costruita e gestita nel tempo, in modo da riflettere l’identità di
marca. L’identità è ciò che la marca trasmette al mercato e quindi ricade nelle possibilità di controllo
dell’azienda, l’immagine è ciò che il mercato percepisce della marca. Ci sono quattro ambiti rispetto
a cui è possibile sviluppare associazioni mentali alla marca. Nella costruzione dell’immagine non
devono essere coinvolti tutti, solo quelli più rilevanti. La logica che sta alla base è che ponendo in
relazione la marca con un'altra entità, il consumatore, che dispone di una certa conoscenza di
quest'ultima, potrebbe collegare mentalmente la marca alle associazioni, opinioni e sensazioni
evocate da tali entità. affinché questo si verifichi ci sono alcune condizioni:
1. consapevolezza e conoscenza dell'entità: se il consumatore non ha familiarità con l'entità,
non può esservi alcun trasferimento di associazioni alla marca.
2. rilevanza della conoscenza dell'entità: anche se l'entità evoca associazioni, giudizi o
sentimenti positivi, bisogna stabilire fino a che punto questa conoscenza risulta significativa
per la marca.
3. trasferibilità della conoscenza dell'entità: assumendo l'esistenza di alcune associazioni
significative, occorre valutare in quale misura questa conoscenza possa essere
effettivamente trasferita alla marca.
È un approccio indiretto per costruire la brand equity, si usa: 1. Quando devo creare nuove
associazioni di marca: ad esempio per il lancio di un nuovo prodotto; se il consumatore non ha la
giusta motivazione o competenza per effettuare gli acquisti; per supplire all’assenza di associazioni.
2. Modificare le associazioni esistenti: per rafforzare la marca o rinnovare la marca. L’entità,
solitamente, possiede associazioni di cui solo un set più piccolo può essere di interesse per la brand
image. È necessario gestire il trasferimento in modo che solo le associazioni pertinenti e positive
vengano collegate al brand. Es. Maybelline New York sceglie solo alcuni dei significati associati a
NY come fashion, cosmopolitan non anche il fatto che è un posto difficile in cui vivere che non c’è
natura.
Il primo ambito nel quale possono essere sviluppate associazioni è il prodotto. Si può far leva su:
1. La gamma di prodotti: vengono in evidenza i significati associati all’ampiezza e alla profondità
dell’assortimento. Ci sono marche che si qualificano per essere altamente specializzate su
un unico prodotto (es. Illy fa solo caffè). Oppure la gamma può essere più ampia ma
comunque focalizzata su una categoria di prodotto. Si decide di lavorare sui grappoli di
bisogni e costruire un sistema di offerta (es. Apple ha tutto un sistema di prodotti legati tra
loro). Ci sono anche marche che hanno un’offerta altamente diversificata, cioè che riguarda
più categorie merceologiche. Ad esempio Unilever, hanno un portafoglio prodotti molto
ampio
2. Attributi e benefici: questa modalità si usa quando le marche hanno un nome efficace per
sottolineare la presenza di un ingrediente particolare o l’assenza. Le associazioni possono
essere costruite anche rispetto ai benefici, senza ricondurli all’attributo da cui derivano (es.
dentifricio BlanX).
3. Rapporto qualità – prezzo: in questo caso si fa leva sulla capacità del prodotto di evidenziare
al consumatore l’equilibrio tra i benefici offerti e il sacrificio richiesto. Utilizzare questa leva
non vuol dire per forza offrire prodotti di qualità inferiore a un prezzo conveniente.
4. Utenti e utilizzi del prodotto: l’utilizzatore tipo è una modalità di sviluppo delle associazioni
mentali alla marca, si punta sul lifestyle di una certa categoria. Rispetto alle modalità di
utilizzo del prodotto bisogna fare attenzione che non limitino troppo il potenziale di estensione
della marca o un’evoluzione di posizionamento.
5. Origine geografica: è possibile creare associazioni per la marca riferendosi al paese di
origine perché i paesi hanno già delle associazioni mentali. Ci si può riferire anche ad aree
geografiche più circoscritte. C’è il tema delle denominazioni di origine protetta (dop) e delle
indicazioni geografiche protette (igp). In italia ci sono molti marchi collettivi, che possono
essere utilizzati da tutti i produttori del luogo che seguono precise regole. Ci sono due
prospettive per lo svilupp di associazioni di marca a partire dai luoghi:
a. Effetto alone: l'immagine del luogo è usata dal consumatore come sostituto
dell'informazione riguardo al prodotto oggetto di valutazione. L'individuo, che non ha
alcuna conoscenza diretta del prodotto, matura un giudizio sui suoi attributi in base
all'immagine che egli possiede del paese a cui associa l'origine del prodotto.
L'immagine influenza anche l'atteggiamento verso la marca. Immagine paese à
convinzioni su attributi à atteggiamento verso la marca.
b. Effetto sintesi: il consumatore ha familiarità con una data categoria di prodotto
proveniente da uno specifico paese, di cui può avere anche sperimentato marche
diverse. Quando deve valutare una nuova marca l'individuo assume che il livello
qualitativo sia analogo a quello delle Marche che ha sperimentato in precedenza. I
giudizi positivi maturati dal consumatore trovano così la propria sintesi nell'immagine
del paese dal quale provengono i prodotti acquistati. Esperienze precedenti à
convinzioni su attributi à immagine paese à atteggiamento verso la marca.
La percezione della country image include componenti cognitive, affettive e normative.
Concorrono anche gli stereotipi.
Il secondo ambito al quale è possibile riferire lo sviluppo di associazioni mentali alla marca riguarda
l’azienda (cultura aziendale, valori e principi guida, azioni). Si può far leva su:
1. Caratteristiche istituzionali: da un punto di vista formale ci si riferisce all’assetto che vincola
l’azienda a operare secondo determinati pricnipi. Ad esempio essere una cooperativa è
diverso rispetto a essere una società per azioni. Le caratteristiche di natura sostanziale
comportano anche un concreto impegno riguardo al modo di operare. Ad esempio l’adozione
di un codice etico, la carte dei valori…
2. Dimensione locale o sovranazionale: la configurazione geografica delle attività della catena
del valore può ingenerare associazioni mentali che non è facile definire in modo univoco. Ad
alcuni piace la dimensione sovranazionale perché si riferisce al possesso di vantaggi
concorrenziali, all’intraprendenza, all’innovazione alla capillarità del servizio offerto. Per altri
invece può avere aspetti negativi come standardizzazione, perdita di autenticità,
conseguenze negative sull’occupazione. Molte multinazionali cercano di adattarsi alla
dimensione locale tipo McDonalds.
3. Brand purpose: i consumatori sono sempre più attenti nelle scelte e scelgono di premiare le
aziende che non solo hanno buoni prodotti ma anche un impegno a livello sociale e
ambientale. Alle marche si chiede di mettere in campo azioni che favoriscano lo sviluppo
della società nelle sue molteplici articolazioni: accrescere la salute e il benessere della
popolazione; ridurre l’impatto ambientale; migliorare i mezzi di sussistenza per la
popolazione.
Il terzo ambito nel quale possono sviluppare associazioni sono le persone in qualche modo legate
al brand:
1. Il fondatore: le associazioni si sviluppano in riferimento a colui che ha fondato l’azienda o il
prodotto. Il riferimento al fondatore rafforza la percezione di autenticità dei prodotti, la
consonanza tra i valori della persona e le caratteristiche della marca. Comunica anche
artigianalità, famiglia e fiducia.
2. Persona comune: è un individuo comune in grado di rafforzare i tratti di personalità della
marca e di agevolare la percezione del profilo tipico dell’utilizzatore del brand.
3. Celebrity: si associano personaggi famosi che fanno le veci del brand, con tempi più rapidi,
perché il personaggio famoso ha già delle associazioni nella mente del consumatore. Ci sono
diverse tipologie di testimonial:
a. Civetta: funzione di richiamo dell’attenzione, non parla del prodotto. È deperibile
perché fa la stessa cosa anche per altri brand non in competizione o ci sono più
testimonial per lo stesso brand.
b. Giullare: richiama l’attenzione in modo gioviale e burlone, è meno generico e
convenzionale. Si stabilisce un rapporto fisico diretto di consumo con il prodotto e si
creano performance surreali.
c. Imbonitore: instaura con il prodotto un rapporto di magnificazione tecnica, gli dà
spazio e lo descrive. È come se fosse un venditore.
d. Comparsa: dichiara la sua preferenza personale per il prodotto pubblicizzato, mette
in gioco la sua affidabilità, competenza ed esperienza. Ha un approccio da
consumatore o da esperto.
e. Emblema: si immedesima con il prodotto ed instaura una relazione duratura.
Rappresenta i valori cardine del brand e lo personifica.
I fattori che determinano l’efficacia sono: autorevolezza, affidabilità, simpatia, somiglianza con il
target e attrattività. Ci deve essere congruenza tra testimoniale e marca. Attenzione all’effetto
vampiro se non c’è congruenza, in cui le persone si ricordano la celebrità e non la marca. Criteri per
la selezione del testimonial: fit di categoria à si ricerca un personaggio congruente con la categoria
in cui opera la marca (chef x food). Fit di performance à è individuato sulla base dei risultati ottenuti,
deve essere di successo nel proprio ambito di riferimento (all blacks x iveco). Fit di immagine à si
sceglie un testimonial che ha caratteristiche desiderabili da abbinare alla marca o all’utilizzatore tipo.
(es. essere sensuale, attraente, simpatico, serio, sofisticato…). Ci sono dei rischi: si perde un po’ di
controllo sulla marca, perché il personaggio può esporla a ripercussioni negative. I rischi sono più
alti se non c’è già un’immagine di marca consolidata. Le informazioni negative sul personaggio
possono ricadere sulla marca, soprattutto se marca e personaggio sono molto connessi. Il
personaggio famoso può monopolizzare l’attenzione. Il personaggio famoso può pubblicizzare più
prodotti.
Il quarto ambito al quale può essere riferito lo sviluppo delle associazioni alla marca è quello della
marca come simbolo. Il riferimento è alle attività mediante le quali la marca perpetra nel tempo
elementi ricorrenti e iconografici atti a valorizzare la sua continuità, la sua serietà e la solidità. Si può
far leva su:
1. Stimoli visivi: L'identità visiva risulta di particolare rilevanza quando i prodotti presentano un
limitato grado di differenziazione il processo di scelta è altamente influenzato dalla facilità di
individuare il prodotto nel contesto di acquisto e quindi dalla identità visiva. L'identità visiva è
molto importante anche per l'attivazione della risposta emotiva alla base dell'acquisto di
impulso. Gli stimoli visivi possono esercitare un forte impatto percettivo sul consumatore,
attirando l'attenzione e rimanendo impressi in memoria. Il ruolo degli stimoli visivi riguarda
anche il potere di rassicurazione virgola in conseguenza delle capacità di evocare la
permanenza della marca nel tempo (es. richiamo anno di origine). il potere evocativo dei
loghi riguarda anche altri elementi come stemmi, colori simboli. Gli stimoli visivi vengono
modificati in maniera minima per rimanere sempre attuali.
Eredità della marca: Il brand Heritage è costituito dai valori fondamentali che la marca ha ereditato
dalla sua storia e che costituiscono la base per il suo sviluppo futuro. Si intende valorizzare le abilità
e le competenze che il brand ha maturato nel corso del tempo. I consumatori ricercano: storia
autentica (l’associano a qualità affidabilità e durata); valori connessi alla storia; tradizione;
artigianalità; cura nella produzione. Si può far leva su prodotti iconici, sul contesto storico, su eventi
che hanno reso celebre la marca, sui personaggi famosi che hanno creato un legame iconico con la
marca. Molte marche hanno costruito un museo come veicolo di comunicazione e come veicolo
identitario. Ad esempio il Museo Salvatore Ferragamo ha diverse sale e tutte fanno immaginare
quello che è Ferragamo. Il museo è all’interno delle guide della città di Firenze. Molte aziende di
moda lavorano sui musei e sugli archivi. Ad esempio Fendi ha recuperato un palazzo all’EUR di
Roma tutto in marmo, Fendi ha organizzato una mostra su quello che era stato Fendi nel cinema.
La personalità della marca
Il concetto di brand personality rimanda all'attribuzione alla marca di tratti tipici della personalità
umana secondo un processo chiamato animismo. L'animismo è la tendenza degli individui ad
attribuire caratteristiche umane a entità che umane non sono, in modo tale da facilitare le relazioni
con esse. I consumatori pensano alle marche come se possedessero delle caratteristiche umane. I
consumatori associano alle marche caratteristiche della personalità umana o perché le percepiscono
quali estensioni di se stessi (self extension), o perché esprimono la propria personalità mediante
l'uso dei brand (self expression), oppure perché le politiche di marketing attivate dalle aziende
inducono in essi la convinzione che le marche possiedano certe caratteristiche umane. La brand
personality è l’insieme delle caratteristiche umane attribuibili alla marca, caratteristiche che i
consumatori tendono ad associare al brand in modo stabile nel tempo. Più queste caratteristiche
sono umane più i consumatori si riconoscono. I tratti della personalità umana sono associati a una
marca mediante due processi di trasferimento: uno diretto, riconducibili alle persone che la
rappresentano o che sono a essa legate; l'altro indiretto, tramite associazioni product related, come
il nome della marca, il logo, la confezione, i colori, le attività di comunicazione e così via. Una
personalità di marca favorevole migliorare risposte cognitive, affettive e comportamentali dei
consumatori, con conseguenti effetti positivi sulla brand equity. Una marca con una personalità
attraente funge da attractive relationship partner, stimolando fiducia e fedeltà e beneficiando di un
incremento della probabilità di scelta da parte del consumatore. Inizialmente le ricerche hanno
tentato di far aderire alla marca i fattori individuati dalla teoria dei big five (estroversione, amicalità,
coscienziosità, nevroticismo, apertura all'esperienza) con risultati non soddisfacenti. Aaker propone
un nuovo studio, il brand personality framework. Brand personality è un framework che descrive e
misura la personalità di un brand in cinque fattori, ciascuno diviso in una serie di sfaccettature;
il modello descrive il profilo di una marca utilizzando l'analogia con un essere umano; si rifà alle 5
dimensioni della Personalità: Big Five. La marca viene presentata con questi 5 fattori che sono tratti
della personalità delle persone. I fattori sono: 1. Sincerità: riguarda le dimensioni della concretezza,
dell’onestà, dell’integrità e dell’allegria. 2. Entusiasmo: riguarda le dimensioni di coraggio, spirito,
modernità e immaginazione. 3. Competenza: riguarda le dimensioni di affidabilità, intelligenza e
successo. 4. Sofisticatezza: riguarda la classe e il fascino 5. Ruvidezza: riguarda le dimensioni di
apertura e durezza. Io misuro sulle dimensioni chiedendo ai consumatori e poi queste dimensioni
sono collocate nei vari fattori.
La risonanza
Si riferisce alla natura della relazione che si può instaurare tra marca e consumatore quando i
consumatori si sentono in sintonia con la marca. La risonanza è definita in termini di intensità
(profondità del legame psicologico del cliente con la marca e senso di comunità) e di attività
connesse alla relazione. Quando si lavora sull’intensità si ragiona sulla profondità del legame
psicologico cliente – marca e sul senso di comunità con gli altri clienti. Quando si lavora sulle attività
connesse alla relazione si guarda il tasso di ripetizione dell’acquisto, si guarda la ricerca di
informazioni sul brand e sugli eventi e su altri brand simili. Inizialmente si pensava che un cliente
attento e soddisfatto ricompensa la marca con i propri comportamenti, quindi risonanza sinonimo di
reciprocità e sequenzialità. Studi socio psicologici successivi sostengono che le relazioni
interpersonali si basano su 3 dimensioni: cognitiva, comportamentale e affettiva. Da queste tre
dimensioni si sviluppano stabilità, soddisfazione accondiscendenza nelle risposte percettive.
Emerge quindi un indicatore della qualità complessiva della relazione marca – consumatore. Per il
brand management la risonanza è una disposizione favorevole del consumatore, il quale reagisce
consapevolmente alle azioni poste in essere dalla marca. La resonance è complessa e quindi si può
scomporre. Si può scomporre in: fedeltà, senso di attaccamento, senso di comunità e impegno attivo
Fedeltà
Rappresenta una fattispecie particolare del più generale fenomeno attinente alla ripetitività dei
comportamenti di consumo, in cui l'utilizzo della medesima marca scaturisce da un preciso atto di
volontà dell'acquirente, riconducibili all'esistenza di una struttura di preferenze gerarchicamente
ordinata. È un costrutto multidimensionale al quale concorrono la fedeltà comportamentale
(ripetizione degli acquisti) e quella cognitiva (stabili convinzioni sulla superiorità della marca). Ci
possono essere diverse accezioni di fedeltà:
o
o
o
o
Fedeltà latente: si verifica quando all'elevata fedeltà cognitiva non corrisponde un altrettanto
elevata fedeltà comportamentale, questo a causa della fedeltà a un gruppo di marche, a
comportamenti di acquisto volti alla ricerca di varietà o a fattori situazionali che influenzano
il comportamento del soggetto al di là dell'atteggiamento positivo verso la marca (es. non
può permettersela).
Fedeltà spuria: presenta una forma di fedeltà non sostenuta da chiari nessi causali. Il
riacquisto della marca discende da fattori situazionali.
Vera fedeltà: si verifica quando il riacquisto continuativo della marca nel tempo si
accompagna un attaccamento emotivo, che si traduce in un elevato commitment del cliente
e nel suo desiderio di disporre di tale marca.
Nessuna fedeltà: quando mancano sia fedeltà cognitiva sia comportamentale.
La base per costruire la fedeltà sono la soddisfazione e la fiducia da parte della clientela. I vantaggi
e il valore della fedeltà:
o
o
o
o
Vantaggi reddituali: il mantenimento della relazione con i clienti fa sì che i costi sostenuti per
la loro acquisizione vengano ammortizzati su un orizzonte temporale più ampio il che
comporta una loro riduzione. La familiarità con la marca incoraggia indirizzare presso la
stessa una quota più alta degli acquisti di una determinata categoria di prodotto (upselling)
e/o ad acquistare versioni di più elevata qualità o complessità e a un più alto margine per
l'impresa (trading up). I clienti fedeli tendono a indirizzarsi verso un mix di acquisti di maggior
valore, aggiungendo al prodotto base altri prodotti (cross selling).
Maggior potere contrattuale: nell'ottica delle Marche industriali la fedeltà da parte dei
consumatori è la principale determinante dell'attrattività per le imprese della distribuzione.
Questo si sostanzia nel più agevole accesso all'assortimento dei distributori, nel
contenimento dei margini accordati a questi ultimi e nella stabilizzazione delle relazioni con
essi.
Comunicazioni interpersonali positive: dove i clienti siano soddisfatti abbiamo instaurato
positive relazioni con una data marca, essi tendono ad attivare un passaparola positivo in
ordine alla stessa, cioè raccomandano il brand. Può rivelarsi più efficace di altre forme di
comunicazione e possiede l'ulteriore beneficio di ridurre i costi di attrazione di nuovi clienti.
Possibilità di applicare un premium price: l'interesse del cliente a mantenere nel tempo una
relazione di fiducia con il fornitore è tale da rendere possibile l'applicazione di un differenziale
di prezzo positivo. Poter contare su una congrua base di clienti fedeli, facilitando la previsione
delle vendite, facilita tutti i processi di pianificazione della marca.
o
Attivazione di processi co-evolutivi tra domanda e offerta, fondati sullo scambio
sull'integrazione di conoscenze sviluppate in contesti specifici. L'interazione favorisce
l'apprendimento sia del consumatore sia della marca, la quale può acquisire idee e
suggerimenti critici da utilizzare nello sviluppo di nuovi prodotti o nel miglioramento di quelli
esistenti.
Anche il consumatore può trarre vantaggi dalla fedeltà. L'ipotesi di base è che il cliente percepisca
nell'offerta del brand un valore superiore rispetto a quello ottenibile dalle marche concorrenti. Il
cliente è più incline a mantenere una relazione quando percepisce di ricevere di più del sacrificio
che ritiene di sopportare. Il cliente può ottenere anche benefici legati alla fiducia àsi riferiscono alla
sensazione del cliente che in una relazione consolidata vi siano minori rischi di malfunzionamento,
maggior fiducia che la performance sarà corretta e minore ansia al momento dell'acquisto. Benefici
sociali àsi fa riferimento a un insieme di fattori quali il mutuo riconoscimento fra dipendenti del
fornitore e clienti, il rapporto con altri clienti, il conoscersi per nome, l'essere amico e il beneficiare
di certi aspetti sociali della relazione. I benefici di supporto sociale che derivano da queste relazioni
sono importanti per la qualità di vita del consumatore. Benefici legati a un trattamento speciale ài
trattamenti in questione includono prezzi migliori, sconti esclusivi per occasioni speciali, servizi extra,
priorità è un servizio più rapido. la fedeltà ha un valore misurabile in riferimento al singolo cliente
con il customer lifetime value, che tiene conto sia della dimensione dell'acquisto periodicamente
effettuato sia della stabilità e della durata della serie di acquisti riservati alla marca. Il riferimento a
tutti i clienti della marca si usa il customer equity.
Misurazione della dimensione comportamentale: indici quote di acquisto totali del consumatore nella
categoria; indici di sequenza di acquisto della marca nella categoria versus competitor (fedeltà
condivisa, fedeltà instabile...); indici di probabilità d'acquisto con statistica inferenziale sul passato.
Tramite interviste ai consumatori....
Misurazione della dimensione cognitiva: fondati su dichiarazioni di preferenza e/o intenzioni di
acquisto dei consumatori quali indicatori dell’atteggiamento verso marca: modello Fishbein; valore
percepito con approcci di composizione e scomposizione; livello di soddisfazione: indice sintetico
«gap di valore come distanza cognitiva» fra posizionamento di marca e profilo ideale; indicatori di
propensione a veicolare comunicazioni interpersonali positive con ad es. Net Promoter Score:
promotori, passivi e detrattori.
Il senso di attaccamento
La fedeltà del consumatore è necessaria, ma non sufficiente ai fini della risonanza della marca. Per
creare risonanza occorre generare un forte attaccamento personale: i consumatori non dovrebbero
avere semplicemente un atteggiamento positivo verso la marca, ma considerarla come qualcosa di
speciale. L'attaccamento si sostanzia dunque nello sviluppo nei confronti della marca di un
sentimento emotivo intenso.
Il concetto di brand attachment si riferisce alla forza del legame che connette il consumatore alla
marca. Due sono i fattori che determinano il suo sviluppo:
1. brand self connection: indica una connessione emotiva e cognitiva tra consumatore e marca,
tale per cui il primo sviluppa un senso di unità con il brand e lo incorpora nella definizione
dell'identità personale alla quale aspira. La brand self connection esprime la sovrapponibilità
che il consumatore riconosce fra la marca e il proprio sé. Il concetto di sè viene inteso quale
insieme delle valutazioni e delle sensazioni sviluppate dall'individuo relativamente a se
stesso, esso possiede una propria coerenza ed è relativamente stabile nel tempo. Il concetto
di sé può esercitare un'influenza significativa sul rapporto con le marche, nella misura in cui
la loro considerazione e valutazione da parte del consumatore avviene in base al proprio self
concept. La self expansion Theory sostiene che le persone possiedono una motivazione
intrinseca a incorporare altre entità nella loro concezione di sé. Quanto più una marca è
inclusa nel sei del consumatore tanto più stretto è il legame che li collega. L'attaccamento si
sviluppa nel tempo, man mano che le relazioni evolvono e il consumatore matura una
sensazione positiva di unità con il brand e tende a impegnarsi in comportamenti che
assicurino la continuazione della relazione. Il consumatore che ha sviluppato una forte brand
self connection si dimostra più resistente a rivedere le proprie convinzioni sulla marca,
arrivando talora ad attivare processi di attribuzione di responsabilità in caso di sopraggiunti
riscontri negativi a carico del brand, salva guardando nell'immagine. Ad esempio i tatuaggi
sono un modo per esprimere sé stessi, ci sono persone che si tatuano i loghi dei brand. La
brand self connection si può misurare chiedendo “in che misura la marca x è parte di te e di
ciò che sei?” “in che misura ti senti personalmente legato alla marca x?”
2. brand prominence: rimanda alla misura in cui il consumatore riconduce sentimenti ricordi
positivi alla sua storia di attaccamento alla marca. Risalta il ruolo giocato dalle emozioni nella
costituzione di questo legame. Esaltazione del ruolo delle emozioni nel legame e
dell’intensità emotiva progressiva della relazione marca-consumatore: affection, passion e
connection. Si può misurare chiedendo: “in che misura i tuoi pensieri e le tue emozioni
rispetto alla marca x ti vengono in mente spontaneamente?”
Brand love
I clienti che nutrono un forte attaccamento per un brand potrebbero perfino affermare di amarlo e
descriverlo come uno dei loro beni più cari, come un amico o come un piccolo piacere che attendono
con ansia. Il brand love è il grado di appassionato attaccamento emotivo che un consumatore
soddisfatto prova verso una marca. Questo costrutto include aspetti diversi: passione, attaccamento,
valutazioni positive, emozioni positive e dichiarazioni di amore verso la marca. Nella relazione tra
consumatore e oggetto entrano in gioco tre componenti: gradimento, desiderio e decisione/impegno.
Dalla combinazione di queste tre si possono individuare 8 combinazioni di rapporto tra consumatore
e marca (nessun sentimento, gradimento, infatuazione, funzionalismo, desiderio inibito, utilitarismo,
arresa del desiderio, loyalty). Differenze tra brand love e soddisfazione:
1. La soddisfazione è un prerequisito per la formazione e la sedimentazione di un rapporto di
amore verso il brand, ma non tutti i consumatori soddisfatti sviluppano anche una relazione
d'amore nei confronti della marca.
2. La soddisfazione è un concetto riferito puntualmente ogni episodio di contatto ed esperienza
con la marca, mentre il brand love è il risultato del perdurare di una relazione contraddistinta
da diverse occasioni di contatto.
3. La soddisfazione è un concetto che normalmente trae origine da un processo cognitivo
fondato sulla conferma o disconferma delle aspettative, il brand love non si basa su un
confronto razionale fra aspettative e performance.
Il brand love include una dimensione di integrazione della marca con l'identità del consumatore e
una dimensione di commitment, ossia di propensione all'azione in favore del brand tanto da essere
dichiarata. Il brand love, oltre ad esercitare effetti positivi sulla propensione all'attivazione di
comunicazioni interpersonali e all'attuazione di comportamenti fedeli in favore della marca e più
accentuato nel caso di prodotti edonistici e nel caso di brand self expressive, cioè quelle Marche
che il consumatore percepisce in grado di enhances one’s social self or reflects one’s inner self. Il
brand love esercita ulteriori effetti positivi sulla marca: la resistenza nei confronti di informazioni
negative, la disponibilità a dimenticare i suoi eventuali fallimenti, la propensione a pagare un
Premium price e a provare nuovi prodotti lanciati dalla marca. Il brand love si prefigge di esplorare
le diverse sfumature di piacere, passione, legame, felicità e meraviglia del rapporto di affetto
dichiarato dall'individuo verso la marca. Il brand attachment si focalizza sull'intensità del legame che
il consumatore avverte tra il suo se e la marca, nonché sulla forza con cui il legame con quest'ultima
si impone nella sua attenzione orientando nei pensieri.
Brand hate
Per determinati brand si manifestano opinioni critiche, fino a sviluppare veri e propri sentimenti
fortemente negativi. Spesso è conseguenza di un livello qualitativo del prodotto ritenuto scadente o
di un'insoddisfazione sperimentata in una o più occasioni di interazione con la marca. A volte la
negatività nei confronti della marca è dovuta al fatto che essa, secondo l'individuo, è espressione di
uno stile di vita del tutto lontano rispetto ai propri valori, o al fatto che questa sia abbinata a un gruppo
sociale sgradito, o al dissenso rispetto alle strategie dell'azienda a cui essa fa capo. In questi casi
oltre all'interruzione degli acquisti e al passaparola negativo si possono aggiungere delle attività di
contrasto attivo della marca. La letteratura che ha indagato gli atteggiamenti negativi nei confronti
delle marche può essere articolata in tre filoni:
1. Il deterioramento o l'interruzione del rapporto intercorrente fra il consumatore e la marca: la
marca è vista quale entità con cui l'individuo può instaurare relazioni in grado di fornire un
contributo alla costruzione di senso e nella propria vita quotidiana. La relazione del
consumatore con la marca può deteriorarsi a causa di fenomeni di entropia o di stress.
Entropia à col trascorrere del tempo il rapporto fra il consumatore e la marca può entrare in
crisi a causa della progressiva perdita di interesse reciproco questo può essere dovuto
all'evoluzione del consumatore e alla fine dell'attività della marca nei confronti del cliente.
Stress à la relazione può deteriorarsi a causa di fattori ambientali; per effetto di cambiamenti
nello status economico e sociale del consumatori tale da indurlo ad acquistare altri prodotti;
in seguito alla scelta dell'impresa di riposizionare la marca; per il venir meno della fiducia
verso la marca.
2. Il ruolo degli atteggiamenti negativi e delle espressioni negative in chiave di comunicazione
sociale: questo filone richiama in causa il ruolo assunto dalle opinioni e dai giudizi negativi
nell'ambito della cultura di riferimento. Spesso il soggetto riesce a comunicare meglio la
propria posizione sociale, o quella a cui aspira, indicando ciò che disprezza invece che ciò
che apprezza. Questo filone sottolinea il ruolo dei prodotti e delle marche, specie in certe
categorie merceologiche, quali strumenti per esprimere la personalità e il ruolo sociale del
consumatore con particolare riferimento ai giudizi negativi.
3. L’atteggiamento critico espresso da alcuni individui nei confronti delle aziende e/o delle loro
politiche di marketing: si concentra sulla resistenza del consumatore nei confronti delle
aziende e delle loro strategie. Le ragioni alla base possono essere una critica nei confronti
del rapporto fra imprese e consumi, il dissenso rispetto a certe condotte aziendali. In alcune
situazioni i consumatori si riuniscono in hate Group per esprimere i loro sentimenti negativi
nei confronti di determinate marche, per condividere esperienze critiche con altre
consumatori e per pianificare e realizzare azioni contro il destinatario del loro odio, al fine di
ottenere il cambiamento della condotta ritenuta pregiudizievole
Questo fenomeno coinvolge soprattutto marche molto apprezzate da tanti consumatori. Le marche
devono prestare attenzione e cercare di gestire questi sentimenti negativi. Brand hate = an intensive
negative emotional affect toward the brand. Può originare da:
-
Odio verso il paese di origine della marca.
Insoddisfazione nei confronti del prodotto contraddistinto dal brand o di un suo touchpoint.
Stereotipi negativi sugli utilizzatori della marca.
Percezioni negative sulla social performance dell’azienda.
L’odio di marca proviene da due gruppi di emozioni: attive à disprezzo e disgusto, rabbia. Passive
à paura, delusione, vergogna e disumanizzazione. Le conseguenze del brand hate sui
comportamenti dei consumatori: azioni con ruolo molto attivo (lamentele, prostese, wom negativo)
oppure azioni per evitare o limitare forme di sostegno alla marca (smettere di comprare).
Il senso di comunità e le comunità di marca
È il terzo elemento che compone la risonanza. Il senso di comunità è la sensazione positiva
(orgoglio, fierezza, appagamento) per essere riconosciuti come vicini alla marca e nel reputarsi simili
ad altri con cui incontrarsi e radunarsi. Tra i gruppi creati intorno a una marca ne esistono di molto
formali e strutturati e altri decisamente più informali e liberi. Essi possono essere generati
spontaneamente dai consumatori oppure sollecitati dalle imprese con l'intento di alimentare
conversazioni e legami sociali fra i sostenitori di una marca. Le comunità di marca sono gruppi
spontanei che riuniscono persone accomunate dall'interesse per uno specifico brand. Alla base della
progettazione delle comunità di marca si colloca il potenziale relazionale della marca, ossia la sua
possibilità di giocare un ruolo relazionale all'interno del tessuto sociale degli individui, ma anche la
possibilità di capitalizzare e amplificare il suo sistema valoriale attraverso lo scambio e l'accumulo
di contenuti ludici, informativi e sociali tra i partecipanti. Le comunità di marca rappresentano pratiche
di condivisione, relazione e socializzazione. I loro membri mettono in comune conoscenze,
esperienze e passioni, contribuendo a co-definire un senso comune introno alla marca. Perciò le
community possono contribuire alla costruzione del valore della marca. Ci possono essere comunità
sia online che offline, pratiche che sono rituali condivisi, c’è una forte reciprocità morale tra le
persone che vi partecipano, c’è il concetto di we-ness cioè che stiamo bene insieme e infine c’è una
lealtà socialmente embedded che tiene legato il gruppo. Le comunità di marca sono caratterizzate
da ricorrenze, rituali e luoghi di aggregazione. Ricorrenze à (es. raduni, eventi celebrativi legati alla
storia della marca): momenti salienti della vita delle community per cui cresce interazione e intensità
della relazione tra membri. Rituali à (es. di benvenuto dei nuovi membri): pratiche ripetute che
divengono abitudini della comunità e il cui reiterarsi nel tempo rafforzano il senso di appartenenza
dei membri. Luoghi à spazi in cui la condivisione può concretizzarsi, possono essere offerti
dall’impresa o scelti dai membri. Sempre più spesso (ma non solo) di natura virtuale e capaci di
connettere un numero molto elevato di persone, veicolare stimoli, interagire frequentemente senza
necessità della presenza fisica. Opportunità per la marca derivanti dalle comunità di marca: gruppi
di individui che si riconoscono nei valori della marca e che possono essere validi collaboratori. La
loro passione si traduce in competenze che nutrono la community, facendola diventare una fucina
di idee, significati, esperienze e sensazioni relative alla marca. Possono diventare brand curator che
salvaguanrdano la storia e i valori della marca. I rischi si riferiscono al fatto che le brand community
vogliono sempre essere al corrente e partecipare attivamente alla vita della marca, rivendicando il
potere di influenzare la gestione. Si riduce il potere di controllo dell’azienda sulla marca. Le brand
community percepiscono di essere le veri garanti dell'autenticità di una marca e si attendono di
essere riconosciute come tali. Si può aggiungere a casi di dirottamento della marca, consistenti in
azioni comunitarie volte a dirigere l'evoluzione della marca, del suo senso e significato in direzioni
diverse da quelle deliberate dal management. La presenza di queste comunità di consumatori
appassionati, esperti e coesi accentua la tendenza a ribilanciamento del potere della relazione fra
impresa e consumatore, fino a quasi a configurare una sorta di contropotere. Ad esempio nel caso
di star wars il 4 maggio è l’anniversario di star wars è una data importante per tutti i fan, i fan volevano
cocreare, hanno deciso di dare degli spazi per lasciarli esprimere e creare. La Ferrari ha suddiviso
le varie community in base al tipo di consumatore: c’è la community per i fan che non possono
permettersela (scuderia Ferrari), poi c’è il club per chi la Ferrari la possiede (Ferrari club).
L’impegno attivo
Quando le marche beneficiano della disponibilità dei consumatori in termini di tempo, denaro ed
energie “ulteriori e oltre” all’atto di acquisto e/o consumo. Il consumatore non è più solo soggetto
destinatario delle azioni della marca ma protagonista insieme alla marca nel definire significato e
immagine con: fondazione o adesione di community, brand ambassadorship, wom ecc.
Dall’impegno attivo deriva il concetto di brand engagement. Il focus è sulla relazione marca
consumatore. Si considerano le componenti cognitive, affettive e comportamentali connesse ad un
ruolo attivo del consumatore, non solo per la realizzazione di significati ma anche per lo sviluppo
della reputazione. Motivazioni che spingono il consumatore all’impegno attivo nei confronti del brand:
-
Appagamento che reputa di trarre dalla partecipazione in sé
Curiosità in nuovi stimoli e nell’approfondire certi temi
Autoefficacia, che deriva dalla gratificazione del proprio contributo
Acquisizione di conoscenza del contesto della marca
-
Accesso alle informazioni di cui dispongono gli altri consumatori
Visibilità che deriva dal riconoscimento del proprio contributo
Altruismo
Desiderio di condivisione con persone ritenute affini
Corrispettivo monetario
Insoddisfazione personale che stimola a impegnarsi per cambiare le cose.
CAPITOLO 5 – PORTAFOGLIO, GERARCHIA E ARCHITETTURA
DI MARCA
Dopo che la marca è riuscita ad affermarsi sul mercato bisogna concentrarsi sulla sua gestione e
sul suo ulteriore sviluppo. Con “strategia di marca” si intende scegliere quali elementi della marca
evidenziare nell’intera gamma di prodotti offerti dall’azienda. Consente di passare dalla fase di
creazione e affermazione della marca alla sua difesa e sviluppo sul mercato. All’inizio la relazione
tra marca e prodotto è di tipo biunivoco (1 prodotto = 1 marca), poi aumentano il numero di prodotti
e le categorie merceologiche in cui l’impresa opera, quindi bisogna individuare i principi guida relativi
agli elementi della marca da applicare ai singoli prodotti. Qual è la giusta combinazione tra nomi,
brand element e politiche di marketing per la gestione dell’equity di marca? Con la brand strategy si
tratta di determinate con quali valori permeare la gamma, le linee che la compongono e i singoli
prodotti, quale senso attribuire all’offerta considerando la percezione del consumatore e il suo essere
parte di un business aziendale. L’obiettivo della strategia di marca è quello di ricercare il miglior
modo per aiutare la domanda a capire i prodotti proposti dall’impresa e a organizzarli mentalmente.
È necessario:
o
o
o
Organizzare e strutturare il brand mix à è l’insieme di marche che l’azienda utilizza per la
propria offerta. Bisogna specificare i ruoli delle marche e che relazioni ci sono tra esse con
una gerarchia e architettura di marca.
Gestire l’interazione tra le strategie di innovazione di prodotto e le strategie di marca à
sviluppare nuovi brand per prodotti nuovi o utilizzare marche già esistenti
Gestire lo sviluppo della marca nel tempo e nello spazio per assecondare l’evoluzione
aziendale.
La matrice marche – prodotti
La matrice marche-prodotti propone in un’unica raffigurazione le marche di cui l’impresa si avvale e
i prodotti da essa offerti:
o
o
o
Righe à prodotti commercializzati con la medesima marca, è il portafoglio di marca. La
dimensione orizzontale riguarda l’attivazione del valore dei brand presenti nel portafoglio, ci
si riferisce a strategie di estensione della marca.
Colonne à marche utilizzate per ogni linea di prodotti, sono i portafogli di marche. La
dimensione verticale evidenzia le scelte relative alle marche con le quali operare in ciascuna
linea di prodotti, si sviluppa introducendo nuove marche.
Diagonale à attuazione di strategie di crescita fondate sulla creazione di nuove marche per
ampliare il portafoglio di business.
Il brand mix di un’azienda non comprende solo le marche di proprietà ma tutte quelle che può
applicare ai prodotti (anche marche in licenza).
Se una strategia di marca lavora sulla dimensione orizzontale, lavora sull’ampiezza, quindi si applica
la medesima marca a più prodotti. Una strategia che lavora sulla dimensione verticale si concentra
sulla profondità, quindi i vari prodotti offerti dall’impresa nella medesima linea sono contraddistinti
da marche diverse. Tutte le marche devono essere percepite come una squadra, dove ciascuna
marca ha un ruolo specifico. Il brand mix si valuta in base alla capacità di massimizzare l’equity
complessiva, quindi nessuna marca deve danneggiare le altre.
L’ampiezza della strategia fa riferimento al numero e alla natura dei diversi prodotti associati alla
marca (quanti prodotti con la stessa marca). Le decisioni a riguardo sono: 1. Le linee di prodotti in
cui articolare la gamma aziendale: è l’ampiezza del product mix. Qui bisogna valutare:
-
Attrattività della categoria merceologica con riferimento alla dinamica della domanda primaria
(domanda potenziale, stagionalità…)
Livello di rivalità tra marche già presenti (chi sono i competitors e come si comportano)
Potere contrattuale esercitabile dall’impresa nei confronti dei fornitori e acquirenti
Barriere all’entrata
Dinamica dei fattori ambientali
Risorse e competenze dell’impresa.
Le marche scelte per le nuove linee possono presentare diverse strategie: un’unica marca per tutte
o per alcune linee, una marca specifica per ogni linea, un brand per ogni prodotto all’interno di una
linea.
2. Le varianti nell’ambito di ciascuna linea: è la profondità del product mix. Bisogna tenere conto del
fatturato e della redditività sviluppabile da ciascun articolo della linea, della capacità di generare
valore per il cliente e della concorrenza. Una linea è troppo breve se è possibili aumentare i prodotti
aggiungendo prodotti, è troppo lunga se i profitti possono essere incrementati eliminando alcuni
prodotti. Motivazioni per lavorare sulla ampiezza della strategia di marca:
I rischi
-
Saturare capacità produttiva altrimenti in eccesso
Rispondere alle sollecitazioni di forza di vendita e intermediari (per linee più complete)
Per soddisfare meglio i clienti (customer satisfaction e variety seeker)
Aggravio costi (progettazione, stoccaggio, adeguamento impianti, gestione degli ordini,
trasporto, marketing): se introduco un nuovo prodotto aumentano sempre i costi.
- Insoddisfazione dei consumatori verso il nuovo prodotto e danneggiamento atteggiamenti
verso gli altri della stessa marca.
- Concorrenza all’interno dell’azienda tra il prodotto principale e la/le line extension, bisogna
sempre pensare di differenziare il prodotto il più possibile.
- Diluizione della brand equity indebolendo la coerenza delle associazioni al brand nella mente
dei consumatori: più inserisco prodotti più c’è il rischio che si diluisca il valore di marca. Si
possono lanciare nuove marche per evitare questo rischio.
La profondità fa riferimento al numero e alla natura delle marche commercializzate dall’azienda nella
medesima linea di prodotti. È una strategia di multiple branding, c’è una pluralità di marche nella
stessa linea,, quindi un portafoglio di marche. Le motivazioni alla base di questa strategia:
Aumentare profondità:
-
Ci sono diversi segmenti di domanda e consumatori variety seeker (Es. quello che vuole la
birra irlandese, quello che vuole la birra locale, quello che vuole una birra leggera). Lavoro
con brand diversi sullo stesso prodotto per i diversi segmenti e le loro esigenze
- Accrescere la presenza nell’assortimento della distribuzione e maggiore potere rispetto al
trade: se il l’azienda ha tutto l’assortimento con vari brand delle birre ha molto potere
contrattuale
- Scoraggiare ingresso di marche concorrenti
- Contrastare il rischio di diluizione del valore di marca
Ridurre profondità:
-
Evitare duplicazioni attività
- Economie di scala a livello produttivo, distributivo e comunicativo
- Applicare prezzi più vantaggiosi per i consumatori
Unilever nel corso della sua esistenza ha messo in atto strategie di riduzione della profondità
passando da 1200 a 400 marche, per concentrarsi in modo più specifico. Si è focalizzata su alcune
marche. Nestlè invece ha deciso di aumentare sempre di più la profondità, acquisendo nuovi brand
da inserire in portafoglio. Le decisioni chiave per la profondità della brand strategy sono riconducibili
a:
o
o
o
Raggiungimento di segmenti di domanda e/o aree geografiche: si sviluppa la profondità per
raggiungere più segmenti di domanda e aumentare la copertura del mercato.
Valutare la concorrenza interbrand: alcuni pensano che le marche all’interno del portafoglio
devono essere complementari e avere posizionamenti unici, altri pensano che se c’è più
concorrenza tra i brand in portafoglio si scoraggia l’ingresso di concorrenti.
Definire le strategie di posizionamento: riguarda il posizionamento sulla qualità o sul prezzo,
una marca da sola non riesce a farli entrambi quindi si creano più marche per coprire più
fasce di mercato.
In linea di massima l’obiettivo quando si lavora sulla profondità è massimizzare la copertura del
mercato e minimizzare la sovrapposizione tra le marche in portafoglio (evitare cannibalizzazione).
I ruoli nel brand mix
Ogni marca deve avere un ruolo preciso. Tale ruolo si definisce analizzando il posizionamento
interno della marca, cioè il posizionamento della marca rispetto alle altre marche dell’azienda. Si
guarda al contributo che ciascuna marca può dare all’economia complessiva dell’impresa (punto di
vista economico finanzirio e di immagine, copertura segmenti di domanda). Ci sono 4 ruoli:
o
o
o
o
Marche strategiche à determinano oggi e nel futuro la stabilità aziendale, perché generano
o genereranno volumi di vendita e margini elevati. Richiedono consistenti investimenti per il
loro rafforzamento e consolidamento. Possono essere marche correnti, cioè brand dominanti
che tendono a mantenere e rafforzare la propria posizione, oppure marche future, che
genereranno margini e fatturati in futuro e che ora sono marginali. Le marche future
necessitano di una visione complessiva di portafoglio altrimenti si rischia di non destinare
investimenti sufficienti al loro sviluppo. Bisogna dare un ordine di priorità ai brand in funzione
delle prospettive future.
Marche pallottole d’argento à sono marche che hanno un’influenza positiva sull’immagine
di un’altra marca in portafoglio e dell’azienda in generale. Non generano quote importanti di
fatturato. Sono abbinate a prodotti particolari rispetto al posizionamento generale
dell’impresa, per comunicare che l’impresa ha diverse competenze. Es. maggiolino per
Volkswagen.
Marche fiancheggiatrici à è una marca introdotta sul mercato da un’azienda che già ha altre
marche affermate nella stessa linea di prodotto. Il loro obiettivo è competere nella categoria
merceologica senza danneggiare la quota di mercato delle marche già esistenti, perché è
indirizzata un segmento diverso. Hanno la funzione di rafforzare gli elementi di parità con la
concorrenza, così le altre marche in portafoglio possono mantenere il posizionamento
desiderato. Solitamente servono per conquistare fasce di mercato più basse o per segnalare
nuovi benefici.
Marche cash cow à generano flussi di cassa positivi e stabili, anche se le vendite sono in
discesa. Non richiedono molti investimenti, richiedono però un mantenimento dei clienti e
della brand equity. Sono le marche che mi permettono di sostenere le altre.
Gerarchia delle marche
Oltre a utilizzare una pluralità di marche, molte imprese adottano anche una strategia pluri livello,
ossia fissano una gerarchia, la quale permette di stabilire i vari gradi di identificazione dei prodotti
offerti e di prominenza dei brand aziendali, così da rendere visibili gli elementi comuni e distintivi di
tali prodotti, rivelando nell'ordine implicito e chiarendone anche le logiche di convivenza. La
gerarchia di marca è uno strumento di sintesi della strategia di branding. Evidenziando le relazioni
fra i prodotti dell'azienda, la gerarchia consente di fotografare la strategia di gestione della marca.
La gerarchia si fonda sull’assunto che un prodotto possa essere contraddistinto in modo diverso a
seconda del numero di segni di riconoscimento impiegati e del modo in cui essi vengono combinati.
Se correttamente concepita e implementata, la gerarchia di marca fa dei brand aziendali delle risorse
che consentono all'impresa di sfruttare gli investimenti precedentemente effettuati nella costruzione
delle stesse marche. La gerarchia è costituita da più livelli che possono essere utilizzati
individualmente o congiuntamente.
Il livello più alto è dato dal corporate brand, cioè da quella marca che segnala tutti i prodotti abbinati
al medesimo gruppo aziendale (o alla medesima impresa/divisione, si dice company brand). Per
motivi legali è spesso indicata sulla confezione del prodotto. La scelta di dare evidenza solo alla
marca corporate è frequente nelle aziende monoprodotto o con prodotti correlati. Si tratta di una
scelta diffusa fra le imprese attive nei settori B2B, si abbinano poi i descriptor. Nel largo consumo
dipende. Es. Nestlè per le marche mediante le quali opera nel settore degli alimenti per l'infanzia
impiega il corporate brand o la combinazione di quest'ultimo con quello di una famiglia di prodotti.
Al di sotto del livello corporate possono trovarsi uno o più family brand, utilizzati in più di una
categoria di prodotti pur non corrispondendo necessariamente al nome dell'azienda. Ad esempio,
l'Oréal identifica con la marca Garnier numerosi prodotti per la pulizia e la cura del corpo, del viso e
dei capelli. Nelle realtà più articolate può figurare anche una marca di linea, la quale fa riferimento
a un'unica categoria di prodotti o, nel caso si tratti di categorie merceologiche diverse, ha prodotti
comunque caratterizzati da un certo grado di complementarità nella percezione degli acquirenti.
Questo tipo di marca può apparire sui prodotti da sola oppure in combinazione con la marca
corporate o quella family, le quali vengono ad assolvere una funzione di garanzia. Un brand di linea
può sfruttare al massimo le possibilità di estensione, assicurando un ridotto fabbisogno di risorse.
Come nei casi di corporate o family brand, un rischio connesso alla gestione di una marca di linea è
quello di sopravvalutare le possibilità di allungamento, facendole perdere il connotato originario e
trasformandola progressivamente in una marca più ampia. La marca individuale viene applicata a
uno specifico prodotto. Quando un'impresa dispone di una marca di prodotto affermata, può tentare
di estendere le associazioni positive all'intera realtà aziendale. Il modificatore indica un modello
specifico o una particolare versione del prodotto. Es. il gusto. L’aggiunta del modificatore serve a
segnalare differenze fra i prodotti in termini di attributi, benefici, qualità. Infine, il descrittore, pur non
essendo a stretto rigore un elemento della marca, aggiunge informazioni specifiche sul prodotto,
aiutando i consumatori a capire in cosa consiste al prodotto, quali funzioni svolge e quali sono i
competitor. Le alternative a disposizione rispetto alla gerarchia delle marche:
-
Omissione della marca corporate: ad esempio Garnier e Kerastase sono li L’Oréal ma non è
scritto da nessuna parte.
- Utilizzo con il medesimo peso della marca corporate e di quella per la linea o prodotto.
Esempio Danone e Vitasnella.
- Dominanza della marca corporate rispetto al brand di livello inferiore: mi interessa che si
veda subito la corporate
- Dominanza della marca di livello inferiore rispetto alla corporate ad esempio Smart di
Mercedes
- Ruolo duplice del corporate brand che identifica sia l’azienda sia una gamma di prodotti. Ad
esempio Fiat che ha come brand Fiat e altri.
Il branding multiplo deve creare un effetto sinergico, cioè arricchire il prodotto di associazioni
positive. La marca che ha il maggior peso nella combinazione è quella che veicola il posizionamento
del prodotto, le altre rafforzano.
La marca corporate è direttamente collegata alla reputazione aziendale, cioè l’insieme delle
associazioni mentali che riguardano l’impresa nella mente dei vari stake holder. È necessario
veicolare una corporate reputation attrattiva con adeguate iniziative di comunicazione supportate da
fatti concreti. Le marche corporate hanno una gamma di associazioni mentali più ampia rispetto alle
altre anche di tipo astratto. Una marca corporate può offrire vantaggi in termini di marketing a patto
che il suo valore venga costantemente e coerentemente alimentato. Il family brand (anche detto
umbralla brand) viene usato al posto della marca corporate se il significato di quest’ultima non è
coerente con il nuovo prodotto. Si utilizzano più family brand così sa evocare opportune associazioni
mentali con riferimento a un gruppo di prodotti correlati. Hanno il vantaggio di ridurre i costi connessi
all’introduzione di nuovi prodotti e di aumentare la probabilità di accettazione. Attenzione a non
diluire le associazioni mentale legate al family brand con prodotti troppo diversi. L’insuccesso di un
prodotto potrebbe riflettersi anche sugli altri con lo stesso family brand. La marca singola è applicata
a uno specifico prodotto e ha il vantaggio di poter personalizzare la marca e il programma di
marketing in base al target. Si riduce il rischio che l’insuccesso di un prodotto ricada sugli altri. Gli
svantaggi sono una maggiore complessità di gestione e maggiori investimenti. I modificatori
identificano le varianti di un prodotto in modo da soddisfare le esigenze a livello micro e facilitare la
copertura del mercato. Possono diventare marche forti se riescono a sviluppare un’associazione
unica con la marca madre.
Decisioni riguardo alla gerarchia di marca
1. Individuare il numero di livelli in cui articolare la gerarchia e la visibilità da attribuire a ciascun
livello. Il criterio da utilizzare nella scelta del numero di livelli è la semplicità, bisogna essere
il più semplice possibile. Quindi numero di livelli e che visibilità dare. La decisione sulla
numerosità dei livelli deve ispirarsi al principio di semplicità, la quantità di informazioni da
dare al consumatore non deve eccedere il livello ottimale. Il livello ottimale dipende dalla
categoria di prodotto e dalle associazioni su cui l’impresa vuole fare leva. Prodotti semplici
à product brand o family brand + modificatore o descrittore. Prodotti complessi à più livelli
gerarchici. In ogni caso non più di tre sennò si confonde il consumatore.
2. Definire il grado di brand knowledge per ciascun livello, definire il grado di consapevolezza
e le associazioni da sviluppare per ogni livello. Devo decidere come agire in termini di brand
knowledge considerando che devo lavorare sulla rilevanza del livello e anche sulla
differenziazione, perché ci possono essere marche dello stesso livello in portafoglio. Si lavora
su due principi: rilevanza e differenziazione. Rilevanza à le associazioni sviluppate a un
livello gerarchico devono essere rilevanti anche per quelli inferiori, ci si concentra su
associazioni astratti che sono più facilmente estendibili. Differenziazione à le marche
collocate al medesimo livello gerarchico devono essere facilmente distinguibili per il
consumatore e per la distribuzione.
3. Definire la combinazione dei brand element appartenenti a ciascun livello (prominenza).
Qualora il brand di un nuovo prodotto risultasse dalla combinazione di elementi appartenenti
a più livelli della gerarchia, si tratterebbe di decidere quando ha rilevanza attribuire a
ciascuno di essi. È utile il riferimento al principio della prominenza, ossia alla visibilità relativa
del singolo elemento del brand, la quale dipende da una serie di fattori come: l'ordine di
apparizione, la dimensione, l'aspetto e le associazioni semantiche. La visibilità è maggiore
se il nome compare per primo, è scritto in grandi caratteri e pare più distintivo. La visibilità
relativa degli elementi presenti nel nome della marca determina quali siano i primari e quali
secondari nella percezione del consumatore. Gli elementi primari dovrebbero comunicare il
posizionamento e i principali punti di differenza del prodotto. I secondari dovrebbero
informare in merito ai punti di parità, a ulteriori punti di differenza e contribuire ad aumentare
la consapevolezza della marca. La prominenza della marca corporate su quella individuale
fa sì che prevalgano le associazioni che caratterizzano la marca di livello superiore e che
sono condivise anche con altri prodotti dell'azienda. La prominenza della marca individuale
su quella corporate dovrebbe invece facilitare la percezione dei tratti distintivi e dell'immagine
voluta per il nuovo prodotto.
4. Definire il collegamento di un brand element su più prodotti (comunanza). Si tratta di riflettere
sulle modalità mediante le quali è possibile collegare un certo elemento a molteplici prodotti
appunto ci si riferisce al principio di comunanza, in base al quale quanto più numerosi sono
gli elementi condivisi dai prodotti tanto più questi appariranno legati fra loro. La modalità più
semplice per collegare i prodotti consiste nell'associare a ognuno di essi l'elemento della
marca così com'è, si può anche adattare la marca prendendo solo prefisso o suffisso per
evidenziare il legame. Si possono usare anche simboli comuni come il logo. Può risultare
opportuno ordinare le varie Marche all'interno di una linea di prodotti utilizzando un criterio
che ne evidenzi la relazione reciproca e possa facilitare il consumatore nella scelta appunto
l'ordine logico può essere comunicato attraverso l'uso del colore o mediante la numerazione.
In generale l’obiettivo è massimizzare la brand equity dell’intero portafoglio: ogni scelta dovrà avere
un riscontro in termini di brand awareness e brand image.
Architettura di marca
Con architettura di marca ci si riferisce alla struttura organizzativa del brand mix, tramite la quale si
specifica quale ruolo è svolto da ciascun brand, quali rapporti vi sono tra le diverse marche e come
queste si distribuiscono a seconda dei contesti di prodotto o mercato. È lo strumento mediante il
quale la squadra composta dai brand si comporta come un’unica entità per creare sinergie,
chiarezza ed efficacia ottimale. L’architettura diventa particolarmente rilevante al crescere della
complessità dei contesti in cui operano i brand. La complessità è dovuta a: eterogeneità della
domanda e iper segmentazione; aumento numero nuovi prodotti; concorrenti diversi; intersezione
tra canali distributivi; diffusione di estensioni di molte marche; ricorso a sottomarche e marche
garantite. Obiettivi dell’architettura di marca:
1. Aiuta l'impresa a disporre di marche forti, ossia dotate di elementi che le differenziano dalle
altre, in grado di stimolare l'interesse della domanda e di ottenere risonanza presso i clienti.
Possono essere utili nuove sottomarche, marche capaci di aggiungere connotazioni diverse
o di caratterizzare meglio quelle esistenti.
2. Aiuta a distribuire in modo corretto le risorse disponibili.
3. Consente di creare sinergie. L'impiego della stessa marca in diversi contesti dovrebbe
accrescere la visibilità, aggiungervi nuove connotazioni o rinvigorire quelle esistenti e portare
anche a risparmi sul fronte dei costi. Dovrebbe anche consentire di evitare il formarsi di
sinergie negative.
4. Rendere nitida la gamma dei prodotti offerti non solo ai clienti, ma anche ai dipendenti, ai
distributori e i vari partner con cui l'impresa interagisce. Si possono così evitare
sovrapposizioni indesiderate e si agevola l'individuazione della specifica struttura
organizzativa aziendale alla quale compete la gestione delle varie marche e lo sviluppo di
strategie mirate per ognuna di esse.
5. Sfruttare pienamente il vantaggio del valore della marca aumentando nell'impatto sul
mercato al quale è prevalentemente destinato e estendendolo ad altri contesti merceologici
o geografici.
6. Deve essere definita per gestire il presente, ma anche per progettare il futuro, in modo da
facilitare l'ingresso in nuovi contesti geografici o settoriali che prospettino opportunità
interessanti.
Uno strumento in grado di fornire una visione sintetica dell'architettura di marca è rappresentato dal
brand relationship spectrum, il quale descrive la struttura organizzativa assunta dal portafoglio e di
marche, specificando nei ruoli e natura dei rapporti fra di esse. All'estremo sinistro si colloca la
Branded House, ossia l'impiego di un'unica marca per contraddistinguere l'intera offerta aziendale.
All'estremo destro si colloca la House of Brands, cioè l'impiego di una molteplicità di Marche. Fra tali
estremi sono poi comprese due soluzioni intermedie denominate Sub Brand e Endorsed brand. Nella
vita concreta delle singole imprese la gamma aziendale contempla prodotti con marca coincidente
con quella corporate, prodotti con marche del tutto distinte e prodotti identificati da sottomarche o
da marche garantite. Le scelte di architettura possono essere modificate nel corso del tempo.
Branded house
Prevede l’applicazione di un’unica marca (corporate brand) a tutti i prodotti offerti dall’impresa. È
un’opzione adottata con frequenza nel caso di realtà aziendali con una gamma non particolarmente
ampia e focalizzata su una o poche categorie merceologiche, indipendentemente che siano imprese
di piccola o media dimensioni o grande dimensione. Questa opzione tuttavia adottata anche da
imprese altamente diversificate (es. Virgin). Ci possono essere due soluzioni la branded House con
identità coincidenti e quella con identità diverse. Identità coincidenti à oltre alla coincidenza del
nome di marca e dell'identità visiva fra tutti i prodotti dell'impresa, vi è anche un'uniformità nel
posizionamento dell'intera offerta aziendale. Identità diverse àle differenti proposte aziendali, pur
identificate dalla stessa marca, sono posizionate in modo diverso appunto l'uso di più identità
comporta il rischio di anarchia e può rivelarsi una ricetta inefficiente e inefficace, le identità
coincidenti portano con sé il rischio di risultare inefficaci in alcuni contesti presidiati. I vantaggi sono:
1. Miglior chiarezza nella composizione del portafoglio di offerta: la chiarezza discende dalla
considerazione che l'impiego della stessa marca permette al consumatore di minimizzare lo
sforzo cognitivo per identificare tutti i beni offerti dalla medesima impresa, attivando processi
di trasferimento dell'immagine e della fiducia sviluppate e permettendo la condivisione di
associazioni mentali al brand in capo a tutta l'offerta aziendale.
2. Maggiori sinergie: le sinergie traggono origine dal fatto che tutte le attività connesse al
potenziamento della marca richiedono di sostenere costi rilevanti, i quali risultano più
agevolmente sopportabili se possono essere suddivisi fra tutti i prodotti e fra tutti i mercati in
cui la marca opera. Si fanno ad esempio campagne di comunicazione incentrate sul brand
senza riferimenti ai prodotti. Le sinergie risultano più rilevanti quando lo stanziamento
complessivo destinato alla comunicazione della marca è di ammontare consistente e quando
gli strumenti e i mezzi di comunicazioni ai quali esso è destinato sono efficaci in più contesti.
3. Accresciute potenzialità di leverage: discendono dalla considerazione che ogni innovazione
che l'impresa si prefigge di attuare può far leva sul capitale di conoscenza e di fiducia
accumulato nel corso del tempo da parte della marca per effetto delle precedenti condotte.
Tutto questo riduce gli investimenti necessari per entrare in nuovi comparti merceologici, i
nuovi segmenti e nuovi paesi.
4. Gestire un'unica marca comporta una semplificazione dell'assetto organizzativo dedicato al
brand management facilitando l'intero processo di brand management.
Gli svantaggi sono riconducibili:
1. Alla possibile diluizione del valore della marca, nel caso in cui i prodotti da essi identificati
risultino eccessivamente eterogenei.
2. Alla giunta di associazioni mentali indesiderate al brand principale.
3. All'aumento dei rischi reputazionali, in quanto i problemi riscontrati in un'area di business
possono facilmente propagarsi all'intero portafoglio di attività.
House of brands
Consiste nell'abbinare al portafoglio prodotti aziendale una molteplicità di Marche non riconducibili
al corporate o al company brand. Con questa opzione l'impresa di via nel contenitore di un'estrema
varietà di Marche. Questa opzione è frequentemente utilizzata dalle grandi imprese diversificate nel
largo consumo. la pluralità di Marche non è dovuta solo al fatto di competere in categoria di prodotto
diverse, perché anche all'interno della medesima categoria si riscontrano casi di aziende che
operano con più brand appunto spesso è conseguenza di operazioni di acquisizione. Quando
un'azienda acquista una marca si pone il problema se questa debba essere mantenuta tale e quale.
La decisione deve considerare la forza del brand acquisito, il posizionamento e la forza della marca
acquirente. La conservazione del brand name ha luogo quando: la marca è stata acquisita per forti
associazioni che la caratterizzano e che si perderebbero cambiando il brand name; vi è un legame
di natura emotiva che sarebbe difficile trasferire a una marca nuova; la marca acquirente non è
consonante con il contesto e la posizione della marca acquistata; le risorse necessarie per cambiare
la marca acquistata non sono sufficienti. Ci sono due possibili opzioni di House of Brands: i brand
non collegati tra loro oppure il brand ombra. Brand non collegati tra loro à si persegue la completa
dissociazione tra le Marche presenti nel portafoglio aziendale (es. LVMH). Brand ombra à la marca
che funge da garante non è legata in modo visibile alla marca garantita, ma vi sono comunque alcuni
elementi attinenti a leve del marketing mix che consentono di inserire l'esistenza di un legame fra le
marche che compongono il portafoglio aziendale. Alcuni esempi sono: realizzazione di supporti di
comunicazione condivisi fra le varie marche; azioni di sales promotion congiunte [iniziative
temporanee per cross selling o per testare la disponibilità del consumatore a trasferire valore da una
marca all’altra del portafoglio]; campagne pubblicitarie ripetute nel tempo in cui le marche compaiono
insieme; punti vendita monomarca vicini e con caratteristiche simili. Il lancio e l'affermazione di una
nuova marca sono processi difficili e onerosi. La presenza di una molteplicità di brand rende
complicate l'architettura di marca agli occhi della clientela e all'interno dell'organizzazione. I vantaggi
sono:
1. Creare una House of Brands consente di posizionare in modo ottimale le varie Marche sulla
base dei benefici funzionali, psicosociali ed esperienziali da esse offerti. Si evitano i
compromessi necessari al posizionamento di ciascun brand per permettere a questo di
funzionare anche in altri contesti, si fanno specifiche iniziative di marketing e di
comunicazione. Si evita il trasferimento di associazioni mentali che potrebbero influire
negativamente sull'immagine delle altre marche.
2. Consente un miglior presidio dei mercati di nicchia. L'utilizzo di una marca specifica può
crescere la visibilità di un nuovo prodotto, intercettando rapidamente le preferenze del
segmento di domanda e rafforzando il legame con lo stesso.
3. Possibilità di evitare i conflitti nei e tra i canali di distribuzione, nel caso l'azienda intenda
commercializzare la propria offerta in più forme distributive. Operare con Marche diverse
contribuisce a differenziare in misura significativa l'immagine di ciascuna linea rispetto alle
altre, permettendo una più precisa categorizzazione di ognuna rispetto al target di riferimento
e svincolandola dal confronto in termini di prezzo tra canali distributivi diversi.
4. Amplificare le differenze percettive fra i prodotti offerti dalla stessa impresa, migliorando la
percezione di profondità della gamma, un effetto desiderato sia dalle imprese produttrici sia
dai distributori.
5. Capacità di personalizzazione del brand name dei prodotti che compongono l'assortimento
aziendale. Si può scegliere un brand name che valorizzi l'aspetto distintivo del prodotto
virgola, che è molto importante nelle fasi di lancio.
Sottomarche
Il sub branding consiste nel combinare una marca esistente di livello superiore e una nuova di livello
inferiore. Lamarca subordinata interviene a modificare quella superiore, nel senso che vi aggiungi
un significato, mediante un prefisso, un suffisso o un termine di accompagnamento. Le sottomarche
poggiano sulla premessa di una forte simbiosi fra la marca principale e il nuovo prodotto inserito in
portafoglio. Questa soluzione offre un duplice vantaggio: far leva su associazioni già presenti nella
mente del consumatore (quelle relative al master brand), posizionando però il prodotto in maniera
distintiva (con il sub brand). Il peso della marca principale è superiore a quello del sub brand, che
serve a declinare il primo in base a elementi innovativi specifici. Le informazioni aggiuntive portate
dalla sottomarca aiutano a comprendere le differenze tra i prodotti recanti lo stesso master brand. Il
sub brand può modificare l'immagine della marca principale aggiungendovi una connotazione che
sottolinea un attributo o un beneficio, rendendola più energica e più ricca di personalità o stabilendo
un contatto fra di essa e una particolare categoria di consumatori. Sottomarca a ruolo guida centrale
à si verifica quando il nome attribuito al nuovo prodotto deriva dalla marca principale, a cui viene
applicato un prefisso o un suffisso al fine di ottenere un nome nuovo ma allo stesso tempo in grado
di evocare quello preesistente. Il master brand costituisce l'elemento fondante del nuovo nome ed è
anche rappresentato con maggior visibilità. Il sub brand a ruolo guida centrale influisce limitatamente
sul processo di acquisto e sull’esperienza d'uso del cliente, non bisogna destinarci troppe risorse.
Sub brand a ruolo guida condiviso àmarca e sottomarca esercitano un ruolo più equilibrato sul
processo di scelta del cliente e la distinzione fra marca principale ed elementi aggiuntivi viene ad
attenuarsi, favorendo una qual certa autonomia del sub brand rispetto alla marca principale. I sub
brand riprendono alcuni vantaggi della house of brands: evidenziazione di determinati attributi o
benefici dell'offerta; destinazione a specifici segmenti di domanda; identificazione univoca del
prodotto; incremento della profondità percepita dell'assortimento; personalizzazione della
denominazione del prodotto. Sub brand descrittivi à l’aggiunta rispetto alla marca principale alla
funzione di rimarcare informazioni sul prodotto in termini di destinazioni d'uso, benefici funzionali,
attributi product related. È utile quando l'impresa vuole lanciare un nuovo prodotto caratterizzato da
un livello qualitativo più elevato rispetto a quello consueto o per occasioni di consumo particolari.
Sub brand energizzanti à hanno la funzione di rafforzare l'attrattività della marca, connotando il
prodotto con un nome accattivante. È utile quando il brand si trova in fase di maturità, per cui
necessita di sorprendere il consumatore attraverso un'innovazione nella propria offerta.
Marche garantite
Il prodotto è identificato da un nome specifico, al quale però viene affiancata un'altra marca che lo
sostiene. Il nuovo prodotto è autonomo, ma l'azienda intende mettere in evidenza che dietro di esso
vi è una marca che lo garantisce. Questa soluzione persegue l'obiettivo di conferire al prodotto una
propria denominazione, mantenendo la marca corporate che funge da garante per il nuovo prodotto,
ma il legame è meno forte rispetto a quello che si realizza con le sottomarche. Ci sono tre diverse
modalità di garanzia: Garanzia forte à la marca garante è resa palese da una soluzione grafica è
ben visibile (quando mettono “by brand endorser”). questa soluzione permette di godere di alcuni
vantaggi della branded House, come il trasferimento di associazioni positive dalla marca principale
alla nuova linea. Garanzia derivata àil parent brand non appare esplicitamente in abbinamento alla
nuova marca, ma fra i due si creano assonanze in termini di identità visiva. Non vi è alcun
collegamento dichiarato ma è sufficiente uno sguardo alla confezione del prodotto per dedurre
l'appartenenza a uno stesso portafoglio aziendale. Garanzia minimale à il parent brand appare sulla
confezione del prodotto, ma senza particolare evidenza. questa garanzia è più efficace se il garante
è già molto noto, e presentati in modo coerente, dispone di una metafora visuale dotata di un esplicito
valore simbolico, compare su un grappolo di prodotti che godono di buona reputazione e quindi può
conferire credibilità per il fatto stesso di coprire un'estesa gamma di prodotti.
I criteri di scelta tra le diverse opzioni fanno riferimento a:
1. Sinergia di portafoglio: utilizzare punti di contatto per visibilità vicendevole tra le marche.
Cerco di trarre vantaggio tra le associazioni al brand andando a creare delle economie di
costo. Posiziono una marca in un posto o in un altro per avere questi vantaggi.
2. Sfruttare gli asset di marca: cogliere le opportunità di crescita di ogni brand in portafoglio,
ponderando con estrema attenzione l’adozione di nuove marche. Non con presenza di troppe
marche. Se sono troppe marche è difficile.
3. Composizione rassicurante e innovativa: diversi stakeholder con stimoli diversi, energizzanti,
rilevanti e differenzianti. La composizione del portafoglio deve rassicurare i consumatori e i
distributori, utilizzando marche note e introducendo elementi innovativi per stimolare
l’attenzione, essere rilevanti e differenziati.
4. Sviluppo e consolidamento di marche forte: risorse e investimenti per diversi motivi (presidio
di nicchia, visibilità, effetti su altri brand in portafoglio). Ogni marca dovrebbe ottenere una
quota di investimenti dedicati al suo sviluppo nel tempo, la quota può essere correlata a
diversi motivi (non per forza in base al contributo al fatturato aziendale).
5. Chiarezza del portafoglio: non generare confusione nel consumatore. Deve capire bene che
brand corrisponde al prodotto e all’azienda.
CAPITOLO 6 – BRAND EXTENSION E ALLEANZE TRA MARCHE
Quando bisogna elaborare una strategia di marca ci sono 3 strumenti fondamentali: matrice brand
linee di prodotto (o vado in ampiezza o vado in profondità); gerarchia delle marche in portafoglio;
brand relationship spectrum. Questri tre strumenti mi permettono di organizzare e sfruttare l’insieme
di brand di impresa per contraddistinguerne offerta e definirne ruoli e relazioni. Il problema
fondamentale della brand extension è decidere quale marca attribuire al nuovo prodotto. Nella fase
di start up si idea una marca che contraddistingue un solo prodotto e lo sviluppo ha luogo con
l’introduzione di prodotti correlati o no con quello originale. In passato si introduceva il nuovo prodotto
con una nuova marca (strategia one product one brand). Quando la marca è stata riconosciuta come
una risorsa di valore si è deciso di attivarne il potenziale lanciando nuovi prodotti con i nomi delle
marche già esistenti (brand extension). La brand extension è un modo per utilizzare il valore di marca
affermato da un lato e dall’altro lato attivare il potenziale. Quindi si lanciano nuovi prodotti con e
attraverso brand già affermati e già impiegati. Così sfrutto i vantaggi del brand e allo stesso modo il
nuovo prodotto alimenta il valore della marca. Quindi con brand extension si intende gestire
interazione tra strategia di marca e innovazione. La denominazione da attribuire al nuovo prodotto
può anche derivare da dall’alleanza con altre marche.
Le innovazioni di prodotto possono inserirsi sia nell’ambito delle linee in cui l’impresa è già attiva,
sia possono comportare la modifica della gamma aziendale con la proposta di nuove linee. Nel primo
caso (linea di prodotto attuale) si può decidere di far leva su una marca già presente attuando la
strategia di estensione della linea, aggiungendo nuove varianti, per rispondere in maniera più
efficace alla domanda. Sempre nel caso di linea di prodotto attuale si può anche decidere di inserire
una nuova marca che sarà: un sub brand o un flanker brand o un entry level / prestige brand. Sub
brand à consente di far leva su associazioni già presenti nel customer mindset posizionando però
il nuovo prodotto in modo distintivo. Il parent brand viene declinato con nuovi elementi innovativi.
Flanker brand à consente di difendere il posizionamento delle marche in portafoglio. Devo
mantenere la posizione della mia marca in quella linea di prodotti, inserisco nuove marche per
difendere questa posizione. La nuova marca mi serve per raggiungere POP rispetto alla
concorrenza. Marche entry level à serve per fare differenziazione in base a qualità e prezzo. Ci si
aspetta una qualità e un prezzo inferiori. Si crea una seconda linea (verso il basso) per segmenti di
livello inferiore e/o canali distributivi diversi. L’obiettivo può anche essere attirare e spostare i clienti
verso marche o prodotti nella linea superiori. Es. Emporio Armani. Marche prestige à prezzo e
qualità più elevate. Innalzare la famiglia prodotti. Contribuire all’immagine aziendale non
necessariamente generando elevato fatturato. Sono marche che fanno reputation e si tengono in
portafoglio per questo motivo. Es. Armani privé. Cercare di fare strategie di approfondimento verticali
(sia verso l’alto che verso il basso) con i brand attuali è difficile, rischioso e poco efficace, è meglio
introdurre nuove marche. L’ingresso in nuovi ambiti competitivi, quindi l’introduzione di una nuova
linea, può avvenire con marche già utilizzate o con l’introduzione di nuovi brand. Nel caso si inserisca
una nuova linea con una marca già esistente si tratta di category extension. Se invece si inserisce
una linea nuova con un brand nuovo si sta facendo innovazione di brand e di business. Questa
soluzione viene adottata se non si è ancora sviluppato il potenziale di una marca in portafoglio, ma
manca la consonanza percettiva con la marca e il nuovo prodotto oppure se si vuole entrare in un
nuovo business distante da quello presidiato.
Le strategie di estensione si riferiscono alla possibilità di far leva su una marca esistente per lanciare
un nuovo prodotto, il quale può inserirsi nelle linee di consolidata attività dell'impresa oppure in nuove
linee. Si tratta di strategie che ampliano il raggio di azione della marca facendo leva sul patrimonio
di notorietà e di immagine da essa sviluppato nel corso del tempo. Tali strategie realizzano una
sintesi tra valore odierno e valore potenziale della marca. La strategia si può concretizzare mediante
due diverse modalità: line extension e category extension. Nel caso della line extension, l'impresa
utilizza la marca esistente per introdurre virgola in una delle linee di prodotti da esse già offerte al
mercato, un nuovo articolo virgola in qualche modo diverso da quelli realizzati sino a quel momento.
Sono estensioni di linea: nuovi gusti, nuove dimensioni delle confezioni, nuovi ingredienti ecc. La
line extension consente di soddisfare, senza sopportare severi aggravi di costo, le differenti esigenze
dei consumatori attraverso un'ampia varietà di beni, ampliando così la propria copertura del mercato.
La extension presenta due potenziali minacce: sei il nuovo prodotto non riesce a soddisfare i
consumatori, Ciao potrebbe riflettersi negativamente sugli atteggiamenti nei confronti degli altri
prodotti contraddistinti dalla stessa marca. Esiste la possibilità di concorrenza intra brand tra il
prodotto principale e l'estensione. La chiave è quella di differenziare i prodotti per evitare la
concorrenza all’interno della linea. Nel caso della categoria extension la marca esistente viene
utilizzata per lanciare un prodotto appartenente a una linea diversa da quelli in cui essa è stata sin
qui utilizzata. Ci sono brand che estendono tantissimo, sono quelli che lavorano su valori astratti. La
categoria extension è un'estensione verso ambiti in qualche modo contigui a quello di origine della
marca, mentre lo stretching è un'estensione che ha luogo verso settori del tutto distanti dalla sua
originaria vocazione produttiva. Solo in presenza di associazioni mentali alla marca che trascendono
gli attributi concreti dei prodotti offerti e i loro benefici funzionali è possibile estendere il brand in
business distanti da quelli in cui esso è stato tradizionalmente impiegato (devono esserci dei
significati astratti, infatti funziona bene nella moda). Attenzione a non diluire il valore della marca
quando si fa stretching. Varie modalità di attivazione delle strategie di line e di brand extension:
o
o
o
o
o
o
Line extension fisiologica à offrire il medesimo prodotto in versione, forme e formati nuovi a
seconda dell’occasione d’uso e del target. Es. detersivi in polvere, liquidi, pod.
Line e brand extension basate su un elemento distintivo, che può essere il profumo, il gusto,
un ingrediente, un beneficio particolare. Es. borotalco che fa tutti i prodotti con quel profumo.
Brand extension offrendo un nuovo prodotto complementare o accessorio a quelli già offerti
dal brand. Ad esempio io ti vendo spazzolini da denti, poi ti vendo anche il collutorio e il filo
interdentale.
Brand extension offrendo nuovi prodotti che traggono vantaggio da competenze ed
esperienze maturate dal brand. Parte dal presupposto che il consumatore ha fiducia nel
brand che reputa affidabile per ciò che ha fatto sino ad allora. Bic ha sempre lavorato sulla
plastica usa e getta (ha cominciato con le penne), adesso sono leader nelle tavole da surf e
simili.
Brand extension offrendo un nuovo prodotto che trae origine da immagine e prestigio della
marca originaria (reputazione e connotati simbolici). Ad esempio brand alta moda che fanno
occhiali e hotel. Si punta su avere un comune modo di essere e di stare al mondo.
Brand extension offendo nuovi prodotti già rilevanti per i clienti. Ad esempio la guida Michelin
per i camionisti che già avevano i pneumatici Michelin. La guida Michelin pesa poco in termini
di fatturato, serve per la reputazione.
Vantaggi e rischi della brand extension
o
o
o
o
Superamento di barriere all’innovazione: facilitare il raggiungimento di un livello di notorietà
del nuovo prodotto così che possa entrare nel set evocato dei consumatori; conseguire
l’effetto alone, cioè la generalizzazione delle valenze positive attribuite alla marca; applicare
politiche di prezzo più remunerative grazie alla differenziazione; sfruttare il trade leverage
della marca anche per il nuovo prodotto per avere un più agevole accesso alla distribuzione.
Economie di velocità: sono i vantaggi connessi al tempestivo sfruttamento di opportunità
innovative e alla rapida conquista di posizioni competitive di rilievo.
Rafforzamento della notorietà e dell’immagine della marca: le strategie di estensione
determinano un allargamento dello spettro di situazioni di acquisto e consumo correlate alla
marca, quindi un aumento dell’ampiezza della brand awareness. Consentono anche il
rafforzamento in profondità della brand awareness. Si rafforza anche l’atteggiamento verso
la marca. Si arricchiscono i significati evocati e si consolida la forza e la positività delle
associazioni utilizzate come basi di estensione.
Presidio di frontiere tecnologiche: viene facilitato l’ingresso in business strategici,
contribuendo al controllo delle frontiere innovative e allo sfruttamento delle opportunità
derivanti dalle finestre strategiche.
o
o
Incremento della flessibilità di manovra e creazione di barriere competitive dinamiche. Si
riduce anche il rischio percepito dai consumatori per il nuovo prodotto perché hanno già
fiducia nella marca, quindi è minore il rischio di insuccesso dell’innovazione.
Definizione creativa dell’orizzonte competitivo: è più facile cogliere le opportunità di sviluppo.
Le componenti cognitive possono attivare collegamenti non espliciti fra diversi ambiti di
attività, favorendo dimensioni competitive non tradizionali.
I rischi della brand extension
o
o
o
o
o
Propagazione di situazione di crisi in diversi ambiti di attività: le brand extension attivano
collegamenti di clienti, canali distributivi e prodotti complementari tra differenti prodotti,
amplificando il rischio che la crisi di uno di essi possa ripercuotersi sugli altri. Se lancio
un’estensione che non va automaticamente si può ripercuotere anche sugli altri prodotti,
canali, clienti. Devo cercare di capire all’origine se c’è questo rischio ed estendere in
un’attività che non sia rischiosa.
Inadeguatezza della brand image nel nuovo business: l'immagine della marca potrebbe
risultare inadeguata per il nuovo prodotto, nel senso che le sue valenze distintive svolgono
un ruolo negativo nella formazione delle percezioni di qualità sviluppate dagli acquirenti
riguardo allo stesso. Il brand originale può essere inadeguato nel nuovo business, tipo
Colgate che prova a fare lasagne.
Distruzione del valore di marca nel business originario: svilimento della marca di origine e
deterioramento relazioni con i clienti. Lanciare un prodotto che è incoerente con il
posizionamento del brand fino a quel momento e lo peggiora. Ad esempio utilizzare una
marca ad alto valore simbolico per un nuovo prodotto in una classe di prodotti banalizzata. Il
problema si pone anche se l’estensione è di successo in quanto le nuove associazioni riferite
al nuovo prodotto possono essere in contrasto con le associazioni che hanno sempre
caratterizzato la marca.
Controestensione: rischio che deve fronteggiare una marca che ha esteso con successo in
una nuova categoria. Può accadere che una marca già presente in quella categoria decida
di estendere nella categoria di appartenenza della marca che ha esteso per prima. i
concorrenti nelle nuove categorie in cui vado, entrano nella categoria del mio brand originale.
Questo può avere effetti sul portafoglio prodotto. Il rischio è massimo quando la brand
extension viene realizzata in co-branding quando c’è elevata consonanza percettiva con il
partner. Il rischio diminuisce anche se c’è consonanza percettiva tra i partner se l’estensione
non è di successo.
Fenomeni di cannibalizzazione: all’aumento delle vendite del nuovo prodotto corrisponde
una contrazione delle vendite sviluppate dal prodotto tradizionale. Riguarda principalmente
le line extension se il prodotto nuovo si rivolge allo stesso segmento di domanda e ha un
migliore rapporto qualità prezzo.
Possibili scenari di cannibalizzazione
Cannibalizzazione totale à il nuovo prodotto sottrae il 100% delle sue vendite al prodotto attuale. È
una situazione tollerabile se il margine del nuovo prodotto è molto superiore a rispetto a quello del
prodotto tradizionale. Cannibalizzazione parziale e aumento della domanda à il nuovo prodotto
sottrae vendite al prodotto attuale, ma espande la domanda primaria, aumentando la quota di
mercato della marca. La convenienza dipende dal fatto che il margine sul nuovo prodotto è maggiore
rispetto a quello del vecchio. Cannibalizzazione parziale, aumento della domanda e diminuzione
della quota del concorrente à il nuovo prodotto sottrae un po’ di vendite al mio prodotto attuale, un
po’ al prodotto concorrente ed espande la domanda primaria. Assenza di cannibalizzazione à è la
situazione ideale, il nuovo prodotto sottrare vendite al prodotto concorrente ed espande la domanda
primaria, senza intaccare le vendite del prodotto attuale. La quota di mercato complessiva aumenta
e l’estensione apporta un margine positivo in ogni caso. Bisogna stare molto attenti nel valutare i
rapporti di sostituzione per similarità di benefici soddisfatti con prodotti diversi perché è da questo
che nasce la cannibalizzazione. Per evitare di avere cannibalizzazione bisogna pensare ogni volta
ad un posizionamento distintivo nei confronti dei concorrenti e anche rispetto alle marche in
portafoglio. A volte la cannibalizzazione può anche essere voluta e pianificata:
-
Quando esiste la concreta necessità di aggiornare o migliorare il posizionamento e
l’immagine del prodotto o marca (si seguono tendenze del mercato)
- È necessario completare una linea
- Si deve prevenire l’ingresso dei concorrenti o neutralizzare i lanci dei concorrenti.
Il brand manager deve: 1. Valutare il potenziale di cannibalizzazione, cioè studiare il grado si
sostituzione tra prodotti e varianti nella domanda. Solo il consumatore me lo può dire à devo fare
ricerche e test di mercato nelle fasi di sviluppo di nuovi prodotti: concept testing; pre test market. Ci
sono modelli di previsione che inglobano la stima degli effetti di cannibalizzazione; Fare ricerche di
mercato (per capire l’elasticità incrociata al prezzo). 2. Stimare gli effetti economico-finanziari della
cannibalizzazione, cioè contabilizzare ricavi, costi e investimenti differenziali per il lancio del nuovo
prodotto. 3. Prevedere l’incremento delle vendite necessarie per neutralizzare l’impatto della
cannibalizzazione, cioè l’incremento di vendite necessario per mantenere invariati i margini
reddituali.
𝐼𝑛𝑐𝑟𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑣𝑒𝑛𝑑𝑖𝑡𝑒 = 𝑣𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒 𝑐𝑎𝑛𝑛𝑖𝑏. × (
𝑚𝑎𝑟𝑔𝑖𝑛𝑒 𝑢𝑛𝑖𝑡𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑣𝑒𝑐𝑐ℎ𝑖𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑜
)
𝑚𝑎𝑟𝑔𝑖𝑛𝑒 𝑢𝑛𝑖𝑡𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑛𝑢𝑜𝑣𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑜
Come valuta il consumatore l’estensione della marca? La valutazione del consumatore è basata
solo su marca e categoria verso cui si estende. Gli elementi di positività devono vertere su:
1. Brand knowledge: ci deve essere conoscenza della marca e associazioni positive.
2. Associazioni evocate: almeno una parte delle associazioni evocate devono servirmi per il
nuovo prodotto. Il nuovo prodotto e la marca devono essere percepiti come affini, ci deve
essere coerenza tra i due.
3. Associazioni positive: devo prendere le associazioni positive tra il parent brand e il nuovo
prodotto. Non vi deve essere il trasferimento di associazioni negative dalla marca verso il
nuovo prodotto.
4. Associazioni positive dal prodotto al parent brand. Il nuovo prodotto non deve trasmettere
associazioni negative alla marca.
Quanto più questi elementi sono positivi più positivo sarà l’atteggiamento del consumatore verso
l’estensione. Quando si intende realizzare un’estensione il primo passo fondamentale è identificare
e valutare le associazioni evocate dal brand, è lo stadio del brand knowledge. L’immagine di marca
deve essere sufficientemente astratta, altrimenti il potenziale di estensione è limitato. Le associazioni
di marca devono essere forti, desiderabili ed uniche.
Il secondo stadio è il perceptual fit, devo verificare che ci sia consonanza percettiva tra la marca e
il nuovo prodotto e la categoria in cui si inserisce. La consonanza percettiva si riferisce alla similarità
percepita tra il prodotto (o la categoria) originale e quella in cui vuole entrare (product i category fit),
oppure può essere riferita alle associazioni mentali che caratterizzano l’immagine di marca e quelle
relative al nuovo prodotto (brand fit). Il giudizio dei consumatori rispetto alla consonanza percettiva
(product fit o category fit) si basa su tre aspetti: 1. Complementarità, cioè il grado con cui il
consumatore ritiene che i prodotti possano essere utilizzati insieme nel soddisfacimento di
un’esigenza. 2. Sostituibilità, cioè la misura il cui il consumatore reputa che prodotti diversi possano
avere lo stesso contesto di utilizzo / soddisfare lo stesso bisogno. 3. Trasferimento di competenze,
è la percezione del consumatore riguardo all’abilità dell’impresa di realizzare i prodotti nella nuova
categoria. Deriva dalle competenze possedute che possono essere trasferite sul nuovo prodotto
(know how transfer) e/o dalla facilità nella realizzazione del nuovo prodotto (easy of make). Rispetto
al tipo di consonanza brand fit ci sono due tipologie di associazioni connesse alla marca: il brand
concept e le associazioni specifiche al brand. Brand concept à si riferisce alle associazioni generali
connesse alla marca, ai significati astratti attribuiti in modo unico a un dato brand. Esso posiziona il
prodotto nella mente del consumatore e contribuisce a differenziare le marche operanti nella
medesima categoria produttiva. L’estensione va meglio se avviene in categorie simili rispetto al
brand concept. Associazioni specifiche al brand à attributi o benefici che differenziano una marca
da quelle concorrenti. Tali associazioni possono rendere ininfluenti gli effetti del brand affect e della
similarità di prodotto ai fini della valutazione dell’estensione della marca da parte del consumatore.
La terza fase è quella del benefit transfer, devo verificare la trasferibilità dei benefici offerti dalla
marca nel business originario al nuovo prodotto. La trasferibilità dipende dalla presenza di una
effettiva fedeltà alla marca e dall’attivazione di qualche forma di complementarità fra la marca e il
nuovo prodotto selezionato per l’estensione. La rilevanza della complementarità conferma la
tendenza dei consumatori a ragruppare i beni in categorie goal oriented, in funzione cioè del loro
contributo alla soddisfazione di un dato bisogno. Assume dunque rilevanza di individuazione delle
modalità con cui consumatori procedono alla combinazione di differenti Marche e prodotti per
soddisfare esigenze funzionali e psicosociali. Bisogna analizzare: stringhe di consumo, rituali di
consumo e dialettiche di consumo.
L’ultima fase è il competitive leverage, devo capire se effettivamente l’ingresso all’interno del nuovo
abito competitivo permette alla marca di acquisire vantaggi competitivi difendibili. Devo fare
un’analisi dei vantaggi competitivi acquisibili dalla marca con il nuovo prodotto. La valutazione di
un'estensione di marca può avvenire secondo due diverse modalità: 1. Attraverso un processo
analitico fondato sull'identificazione dei benefici offerti dalla marca e sul giudizio in merito alla
capacità della marca stessa di soddisfarli in modo più adeguato rispetto ai concorrenti. 2. Mediante
un processo sintetico basato sul trasferimento al nuovo prodotto dell'atteggiamento sviluppato nel
business originario verso la marca stessa. Nel primo caso è necessario determinare l'importanza
relativa dei benefici ricercati dagli acquirenti del nuovo prodotto e le attese in merito alla capacità
della marca di soddisfare tali benefici. Occorre poi procedere alla quantificazione dell'intensità delle
convinzioni marca benefici rispetto a quelle maturate rispetto ai rivali. È quindi possibile determinare
la potenziale attrattività della marca e la solidità della posizione concorrenziale conseguibile. Nel
Caso di approccio category based il leverage competitivo può essere dedotto indagando, per
esempio mediante le tecniche attribute based, lo spazio di percezione di preferenze dei consumatori.
In quest'ultimo trova rappresentazione la marca ideale, la cui distanza rispetto alla posizione
occupata dalla marca esistente è un indicatore della solidità dell'atteggiamento dei consumatori
verso la stessa. Quanto minore è questa distanza tanto maggiore risulta il leverage competitivo
potenzialmente acquisibile attraverso la strategia di estensione.
Ci sono delle basi di estensione che vengono impiegate per estendere. La base di estensione è
l’idea sui cui estendere. Le basi di estensione fanno riferimento a 3 ambiti:
1. Correlate al parent brand: i suoi attributi, benefici, valori posseduti e percepiti dai
consumatori. Al diminuire della similarità fra il prodotto tradizionale quello nuovo, le strategie
dovrebbero fondarsi su valore benefici psicosociali ed esperienziali.
2. Correlate al sistema cognitivo del consumatore: atteggiamento nei confronti del brand, brand
loyalty cognitiva (deve esserci anche la soddisfazione) e capacità tecnologico produttiva (se
il consumatore riconosce queste capacità nella mia marca)
3. Correlate al comportamento di acquisto e di consumo: complementarità funzionale,
complementarietà simbolica e complementarietà di canale.
Nei primi due casi sto lavorando sul perceptual fit che si compone di fit tra prodotto e categoria e di
brand fit. Nel product fit bisogna valutare complementarietà e sostituibilità nel consumo à
valutazione positiva sul nuovo prodotto se elevata qualità percepita ab origine. C’è anche il
trasferimento di competenza, se io sono specialista in un settore e estendo in una categoria molto
vicina appaio competente anche lì. Nel brand fit devo lavorare sul brand concept e su associazioni
differenzianti. Il benefit transfer avviene sulle basi correlate al comportamento di acquisto e di
consumo. Devo vedere come si raggruppano e si combinano beni e servizi eterogenei per una
categoria goal oriented.
Alleanze tra marche
Le alleanze tra marche sono potenti strategie finalizzate al raggiungimento di una visione forte e
unica, altrimenti non perseguibile quando le entità indipendenti lavorano da sole. I partner si
accordano nell’utilizzare, in modo congiunto o disgiunto, le rispettive marche, per il perseguimento
di obiettivi comuni o autonomi, ma tra loro compatibili. Si è passati da relazioni di tipo verticale tra
industria e intermediari della distribuzione (franchising e concessione di vendita) a condivisioni della
marca tra imprese in ambiti merceologici diversi e sempre più diffuse in numerose industry. Le
alleanze strategiche servono per raggiungere diversi obiettivi a breve e/o lungo termine che non
sarebbero altrimenti facilmente o economicamente raggiungibili dal brand che agisce in modo
indipendente. I principali obiettivi:
-
Allargare il raggio di azione (lo scope) delle marche in nuovi ambiti o segmenti. L’accordo
Gucci e Adidas ha l’obiettivo di raggiungere un segmento nuovo
- Incrementare la reputazione
- Entrare in nuovi mercati geografici
- Lanciare nuovi prodotti
- Ridurre i costi con economie di scale o condivisione
- Rinnovare l’immagine
Comunicazione collaborativa
Prevede che le imprese associno le proprie marche nell’ambito di iniziative pubblicitarie e/o
promozionali congiunte. Tipiche caratteristiche sono: la breve durata e il fatto che combinino marche
di settori differenti (e complementari). Ci sono due varianti:
1. Joint advertising à due o più marche sono affiancate a livello pubblicitario in vista
dell’ottenimento di benefici sinergici. Si riferisce a un target diverso da quello originale. Per
la singola marca l’obiettivo è quello di rafforzare gli atteggiamenti favorevoli dei consumatori,
attraverso l’abbinamento della stessa con una marca contraddistinta da un elevato livello di
notorietà, apprezzata dal pubblico e con ben definite associazioni. C’è il vantaggio della
condivisione dei costi e una maggiore esposizione mediatica. Nella joint advertising c’è la
pubblicità congiunta in senso stretto e la comunicazione potenziata. Nel primo caso per le
campagne pubblicitarie c’è collaborazione tra le marche per l’individuazione degli obiettivi,
del messaggio e dei mezzi. Es. back to school per Invicta e Nutella. La seconda si riferisce
a una marca che impiega il nome dell’altra a supporto della sua promessa, senza che questa
collabori attivamente allo sviluppo della campagna (es. Dash e Whirpool)
2. Joint promotion à due più Marche note collaborano a livello promozionale per generare
vendite aggiuntive attraverso la combinazione delle capacità di richiamo di entrambe. Le
marche note appartengono a settori diversi ma si indirizzano allo stesso target di clienti. Nella
prospettiva della singola marca, la selezione di un partner è fondamentale e ha normalmente
luogo in funzione delle associazioni mentali che essa desidera rafforzare o inserire nella
propria immagine. Esempi: il catagolo fidaty, o gli happy meal e i vari gadget.
Ci possono essere anche product placement e sponsorizzazione.
Co – branding
Indica un’alleanza tra marche (master brand) che si presentano contestualmente al consumatore,
dando luogo a un nuovo prodotto o a un prodotto da questi percepito come nuovo. Le due marche
generano un nuovo brand per la specifica iniziativa. L’alleanza ha come obiettivo aumentare il valore
percepito del nuovo prodotto da parte del consumatore. I due brand devono fare la co-definizione
dei benefici funzionali o simbolico offerti dal prodotto e devono co-firmare il prodotto. Il valore di
ciascuna delle marche coinvolte viene trasferito al nuovo prodotto ottenendo un effetto sinergico. Gli
obiettivi del co-branding:
1. Dar vita a una nuova offerta rilevante e differenziata, presentando sul mercato un prodotto
al quale ciascuna delle due marche è in grado di conferire valore aggiunto. I due master
brand devono avere associazioni mentali forti, uniche, favorevoli e complementari invece che
sovrapposte.
2. Realizzare una brand extension, per inserire la propria marca in categorie diverse da quelle
già presidiate. Ci si appoggia all’altro brand per entrare nella categoria.
Nel co-branding si verifica l’effetto elastico: è una maggiore liberà di estensione per i due brand
coinvolti determinata dal fatto che si sono messi insieme. Il consumatore ha un atteggiamento
positivo verso l’alleanza in sè perché proviene da due marchi noti. Questo effetto funziona anche se
i brand coinvolti non sono paritetici, uno molto noto e uno no. Il co-branding può costituire un primo
passo in una direzione coerente con le opportunità offerte dallo sviluppo diversificato, nel senso che
a seguito del successo dell’alleanza potrebbe essere più facile estendere la marca in settori diversi
da quello di origine. Un ulteriore obiettivo che può indurre allo sviluppo di un accordo di cobranding
è quello di ridurre i costi relativi allo sviluppo del nuovo prodotto, rispetto all’agire in autonomia. Cobranding funzionale à collaborazione esplicita tra due marche nella definizione degli attributi
tangibili del nuovo prodotto. Co-branding simbolico/affettivo à associazione tra marche con attributi
e benefici simbolici e valori. Il cobranding può essere esclusivo o non esclusivo.
Ingredient branding
È una strategia di co-branding ma le marche hanno due ruoli distinti. Le marche coinvolte
nell'alleanza sono solitamente due: quella ospitante (master brand) e la marca ospitata (ingredient
brand). La loro collaborazione consente l'utilizzo, all'interno di un dato prodotto offerto dalla marca
ospitante, di un materiale o di un componente contraddistinto da una marca affermata, al fine di
accrescerne la notorietà, l'immagine e la desiderabilità. Tale seconda marca funge da
differenziatore, in quanto qualifica uno o alcuni aspetti specifici in grado di conferire valore aggiunto
al prodotto finale. Nell’ingredient branding esiste un master brand, solitamente abbinato a un
prodotto o un servizio preesistente, che si avvale del contributo addizionale di una marca la cui
funzione nell'alleanza è circoscritta a un aspetto specifico. All'interno dell’ingredient branding è
possibile individuare due situazioni: 1. Slot filler ingredient branding: uno degli attributi già presenti
in forma anonima nel prodotto viene sostituito con uno contraddistinto da una marca nota, e
crescendo la competitività del prodotto esistente. Il prodotto c’è già cambio un componente per
rendere l’offerta finale più competitiva. 2. New attribute ingredient branfing: l'attributo viene introdotto
per la prima volta nel prodotto direttamente con la marca, creando così una nuova offerta per il brand
ospitante. Ad esempio faccio una nuova linea e chiedo a un brand di darmi un ingrediente. Può
anche accadere che il prodotto con il nuovo ingrediente si affianchi a quello one brand già esistente.
È la strategia di Patagonia, io ho delle linee di prodotto nella categoria, ne aggiungo una che ha
l’ingredient brand. Le marche coinvolte nell'alleanza possono anche fare capo alla stessa azienda.
Vantaggi per la marca ospitante:
-
Miglioramento del posizionamento grazie alla differenziazione percepita con ingrediente
Aumentare il proprio valore, qualità e performance rassicuranti
Debellare la fase di maturità del prodotto fortemente competitiva
Possibilità di applicare un premium price
Maggior penetrazione nel canale distributivo
Ottenere immagine a fronte di margini in discesa, perché una parte del guadagno va data
alla marca ingrediente.
Accrescere attrattività per clienti ricercatori dell’ingredient se è esclusivo
Se non esclusivo l’ingrediente comunica comunque una caratteristica funzionale del prodotto
e permette l’allineamento agli standard di categoria.
- Vantaggi economici nel contribuire agli investimenti.
Vantaggi per la marca dell’ingrediente:
-
Agire su awareness, ottenere più visibilità
Rafforza le associazioni
Se il prodotto della marca ospitante ha successo l’ingredient brand può diventare leader nella
categoria (es. tutti i gran premi di F1 del 2019 sono stati vinte da vetture con freni Brembo à
Brembo leader)
- Affermarsi come standard industriale, i clienti non acquisteranno prodotti senza
quell’ingrediente
- Maggiori margini e fatturato anche in canali non presidiati direttamente
- Rapporti fiduciari di lungo periodo
- L’ingredient diventa un brand anche verso il consumer e sviluppa push anche per host
potenziali
Condizioni per il successo dell’alleanza nell’ingredient branding
1. Gli ingredienti devono essere percepibili dal consumatore come segnale di qualità, gusto
superiore, performance che si collegano all’evidente presenza dell’ingredient, qualità nello
stile. La presenza dell'ingrediente deve essere reputata rilevante dal consumatore ai fini della
performance del prodotto. Il valore dell'ingrediente deve risultare facilmente percepibile.
2. L’ingrediente deve essere innovativo e superiore agli altri e quindi non equivalente ad altri
concorrenti, l’ingredient deve essere leader o dominante nella sua categoria. il consumatore
deve ritenere che non tutti gli ingredienti appartenenti alla medesima categoria siano
equivalenti e che la marca di quello incluso nel prodotto possieda un valore superiore rispetto
alle altre. Tale marca dovrebbe pertanto presentare un livello di innovazione o
differenziazione più elevato rispetto alla concorrenza.
3. Comunicare per sottolineare l’importanza e i vantaggi degli ingredienti e utilizzare elementi
che segnalino la presenza dell’ingrediente (push e pull), perché altrimenti è difficoltoso
ottenere effetti positivi sul consumatore. Il consumatore deve capire perché c’è il premium
price.
Limited edition e collaborazioni
Limited edition à offerta limitata, proposta da una o più marche, di cui non si prevede replica, per
accrescere prestigio e esclusività agendo sulla scarsità, cioè attribuire valore maggiore a ciò che è
meno disponibili. Ci sono due tipi di limited edition: 1. Edizioni quantitativamente limitate: un numero
limitato di prodotti sono disponibili per l’acquisto. 2. Edizioni temporalmente limitate: un periodo di
tempo limitato, così da rendere più desiderabili i prodotti altrimenti si perde l’occasione. Spesso sono
pochi pezzi e per un periodo di tempo limitato. I consumatori pensano di dover cogliere l’attimo, che
è un prodotto per pochi e deve riuscire a entrare in questo club di pochi eletti. In questo contesto si
lavora sui drop: programma di branding che enfatizza l’aspetto periodico e non in unica soluzione.
È la vendita di prodotti in quantità limitata a cadenza periodica e a sorpresa, centellinando la
possibilità di acquisto. Lavora sull’hype e sull’attesa. I drop oltre a generare un continuo hype,
stimolano i clienti essere sempre aggiornati, arrivando così a creare una sorta di rituale. Per le limited
edition time scarcity c’è il raffles: programma di branding che propongono lotterie con durata limitata
per far acquistare d’impulso. Il limite di quantità è riconducibile alla volontà, da parte della marca, di
garantire solo a pochi consumatori il privilegio di acquistare un prodotto esclusivo, stimolando così
la percezione di essere parte di una di pochi intimi accomunati da medesimi ideali, gusti ed esigenze.
Per misurare il successo delle limited edition bisogna vedere il reselling e quanto viene rincarato il
prezzo dei prodotti.
Le limited edition sono molto diverse dalle capsule collection. Le capsule collection sono un gruppo
di articoli numericamente limitato, facilmente combinabile, realizzato con partnership tra marchi di
lusso o celebrità e catene mass market.
Le collaborazioni à permettono di ideare prodotti unici che, da un lato, riflettono il patrimonio
genetico delle Marche coinvolte nell'alleanza e, dall'altro, dimostrano la loro volontà di interpretare
le tendenze del momento attraverso processi creativi innovativi. Le collaborazioni vanno considerate
come un incrocio tra co-branding e limited Edition. La limited edition è lo strumento per lavorare
sull’esclusività e immediatezza. I prodotti devono comunque rispettare il DNA delle marche ma in
modo innovativo. Con le collaborazioni notorietà, immagine, esperienza competenze e capacità di
ciascun brand si fondono in un tutt’uno per realizzare una particolare offerta. Le collaborazioni
funzionano molto bene sulla generazione zeta, il 67% dell’appartenenti alla generazione zeta
dichiara di acquistare collaborazioni. È una generazione particolarmente sensibile alle collaborazioni
e al lusso. Nella moda si fanno spesso collaborazioni tra brand di lusso e sportwear / streetwear. Il
successo delle Marche del lusso è di norma connesso alla loro dimensione onirica, la quale rinvia
appunto ai sogni e all'accesso a un universo di privilegio, in grado di influenzare decisioni e scelte
di acquirenti sensibili a esclusività, rarità e unicità. Lo streetwear, essendo dominato dai tratti
caratterizzanti mutuati dalla strada e dalla cultura pop (influenze e sottoculture degli anni 80), si è
diffuso tra i giovani divenendo una forma di dichiarazione generazionale per differenziare e affermare
il loro vero sé, le loro idee e convinzioni. La collaborazione si fa con la X à è la risposta alla richiesta
delle nuove generazioni di reinvenzione e modernizzazione del passato, evidenziando un modo
diverso nel farlo. Quali sono i vantaggi delle collaborazioni?
1. Innovazione e svecchiamento immagine di marca
2. Conquista di nuovi segmenti di domanda
Vantaggi per il partner operante nel segmento young (Supreme) à accrescere equity di marca;
entrare tra il luxury brand; raggiungere un segmento con elevate disponibilità economiche;
soddisfare la ricerca di qualità; affermare la marca per valore simbolico.
Vantaggi per il partner operante nel lusso (Louis Vuitton) à modernizzazione immagine; revisione
in chiave innovativa dei valori; raggiungere un nuovo target; cogliere l’opportunità di svecchiare la
clientela.
Rischi delle collaborazioni
-
Perdita dei clienti più fedeli e affezionati alla identità stilistica della marca. I clienti storici
potrebbero non gradire la nuova immagine più giovane / innovativa.
Superamento esclusività distributiva perché si sviluppano i mercati secondari
o Perdita di controllo su prezzo e distribuzione
o Perdita di controllo sull’esperienza del consumatore
Vendita di prodotti contraffatti à Danno per la reputazione
Licensing
Forma di brand alliance che indica il contratto tra impresa titolare del marchio (licenziante) che
concede a un terzo (licenziatario) l’uso per la produzione e la vendita di determinati prodotti,
nell’ambito di una ben definita area geografica e attraverso determinati canali distributivi, per un
periodo idi tempo stabilito, a fronte di un compenso che il licenziatario si impegna a corrispondere
al licenziante (royalty). Si tratta di una pratica diffusa nel settore della moda e del lusso. Una serie
di estensioni proposte da tali brand è realizzata non in via diretta, ma tramite accordi di licenza con
imprese specializzate nella produzione del particolare prodotto. Il licensing è molto rilevante in
termini di ricavi e royalties. Ad esempio ralph lauren ha dato vita a un giro d’affari di 5 miliardi di
dollari concedendo i propri marchi in licenza. Attenzione però a non diluire il valore della marca, cioè
fare le pitture ralph lauren. Anche in ambito sportivo il licensing relativo ad accessori di abbigliamento
e altri prodotti (merchandising) è cresciuto fino a diventare un business multimilliardario. Un altro
ambito di rilievo per il licensing è quello che utilizza personaggi di fantasia o elemetnti di opere
cinematografiche/letterarie (dette property) per abbigliamento, giocattoli, cosmesi ecc. Ci sono due
modalità con cui si possono impiegare queste property: licensing diretto à le property sono
concesse in uso dal licenziante in modo che il licenziatario le utilizzi al fine di attribuire al proprio
prodotto la loro forma o la loro immagine. L’aspetto e le funzionalità del prodotto sono fortemente
correlati alla property, si crea un’associazione diretta. Licensing promozionale àprodotti di vario
genere utilizzano il titolo e il personaggi di film o programmi di successo a scopo promozionale,
lanciando operazioni e concorsi che consentono all'acquirente dei primi di ricevere i premi legati al
prodotto audiovisivo.
Motivazioni del licensing per il licenziante:
-
Riuscire a sviluppare la marca dopo che si è già affermata, si guardano le potenzialità del
brand
- Aumentare la diffusione del brand, renderlo riconoscibile in diversi mercati
- Rafforzare l’immagine
- Sfruttare il know how, le conoscenze ed esperienze di qualcun altro cioè del licenziatario
- Ridurre investimenti e costi fissi, perché si evitano investimenti crescenti per potenziare la
marca internamente
- Generare ulteriori ricavi e profitti, si incassano le royalties
- Realizzare estensione alternativa e rafforzare l’equity di marca (ampiezza e profondità,
awareness e associazioni)
Per il licenziatario
-
Superamento barriere all’ingresso del settore, se non ho un brand non posso entrare in certi
settori perché non ho un’equity
- Catalizzazione di investimenti su marca già conosciuta e affermata
Rischi e cautele nella gestione delle alleanze
Mettere a disposizione di un'altra impresa la propria marca e alcune fondamentali competenze
comporta una parziale perdita di controllo su asset sviluppati in anni di attività. Il rischio è accettabile
in funzione di un pregresso rapporto di fiducia con il partner oppure di un reciproco affidamento in
cui entrambe le imprese decidono di condividere i propri asset intangibili. C'è anche il rischio di diluire
il valore della propria marca, per entrambi i partner coinvolti nell'alleanza. Il rischio si concretizza
nella situazione in cui la compresenza di un altro brand potrebbe ridurre la visibilità del proprio in
ogni occasione di contatto con il consumatore. Il rischio si accentua ulteriormente nel caso in cui
l'alleanza venga posta in essere per realizzare un ampliamento del proprio portafoglio prodotti,
andando oltre i confini della categoria produttiva occupata fino a quel momento. C'è anche il rischio
di effetti di spillover negativi, vale a dire di una ripercussione negativa data dall’affiancamento con
un brand nei confronti dei quale il consumatore non abbia sviluppato un atteggiamento parimenti
positivo. Bisogna anche fare un monitoraggio nel tempo degli esiti dell’alleanza. Bisogna verificare
l’eventuale variazione delle priorità di ciascun partner e delle valenze rispetto all’avvio (disinteresse
o eccessivo coinvolgimento), del partner e della relazione (azioni dell’iniziativa collaborativa sia di
altre attività del partner non del programma condiviso per potenziali ripercussioni sulle associazioni).
Ci possono essere comportamenti lesivi della mia immagine anche se non sono opportunistici.
Bisogna quindi guardare i comportamenti nel tempo della controparte. Bisogna essere in grado di
amplificare l’alleanza, specie se di breve periodo, valorizzando l’esistenza di una partnership fra le
due marche presso il pubblico (comunicazioni che creino risonanza sull’iniziativa). Ci deve essere
impegno attivo nella ricerca del partner: a) il consumatore apprezza alleanze in cui le due marche
sono state percepite come marche indipendenti prima delle alleanze b) è necessaria una certa
originalità nell’offerta, la partnership deve essere pensata e ragionata con specifici criteri di
valutazione. Infine una condizione essenziale è che il partner sia riconoscibile e desiderabile agli
occhi dei consumatori appartenenti al target di riferimento, non bisogna considerare solo le variabili
interne (es. avere già delle relazioni, vicinanza geografica), bisogna mettersi nei panni del
consumatore e capire quali sono brand secondo loro più di valore. Il criterio guida per le alleanze tra
marche è che siano in linea con le tendenze, le priorità e le preferenze di marca riscontrate presso
il pubblico, in altri termini devono essere “guidate dal mercato”.
CAPITOLO 7 – LA GESTIONE DELLA MARCA NEL TEMPO
Il trascorrere del tempo impone alla marca di affrontare la sfida connessa ai continui cambiamenti
nel rapporto fra domanda e offerta. L'evoluzione del comportamento dei consumatori, delle
tecnologie, delle azioni dei concorrenti, delle normative e di altri fattori può incidere in misura
significativa sulle sorti di una marca. A questo si può aggiungere la riconsiderazione della strategia
da parte dell'impresa stessa, la quale può decidere di rivedere il perimetro del proprio business e/o
di cambiare la direzione strategica. Un'efficace gestione della marca richiede un approccio volto a
salvaguardarne, e auspicabilmente ad aumentare, il valore tramite strategie di rafforzamento o di
rivitalizzazione. È possibile delineare il ciclo di vita della marca:
1. Lancio: la nuova marca dedica ai suoi sforzi a confermare la propria identità, ad accrescere
la notorietà e a migliorare l'immagine. Definisce un chiaro posizionamento di mercato.
2. Conferma: le vendite delle Marche senza potenzialità sfumano e gli intermediari escludono i
prodotti dai loro assortimenti. I brand con potenziale sono invece in grado di superare questa
fase difficile stabilendo il proprio territorio di marca.
3. Consolidamento: le Marche riconosciute devono confermare la loro ambizione, affermare la
loro specificità, migliorare la distribuzione. L'obiettivo è aumentare la propria quota di mercato
e redditività.
4. Diffusione: la marca in espansione si riorganizza e conquista nuove generazioni di
consumatori. Alcune Marche non riescono a trovare una spinta generatrice per reinventarsi
e tramontano altre incontrano difficoltà.
5. Posizione orbitale: la marca ha raggiunto un'orbita elevata. Dovrà continuare a produrre uno
stile e un linguaggio che i consumatori faranno propri. Non è detto che ci riesca e potrebbe
incorrere nel declino.
Il modello mette in evidenza come le varie fasi del ciclo di vita siano determinate principalmente da
fattori sotto il controllo dell'impresa (strategia di marketing e investimenti effettuati). Numerose
marche hanno saputo mantenere posizioni di rilievo talora anche per più di un secolo. Si tratta di
marchi che sono state in grado di mantenere la sintonia con un consumatore in continua evoluzione,
sapendo leggerne i mutamenti, spesso ancora in nuce, mettendosi perennemente in discussione e
adattando al cambiamento la proposta di valore. Come può una marca mutare costantemente senza
perdere la propria fisionomia? la marca deve investire continuamente sul fronte dell'innovazione di
prodotto e su quello del marketing. La marca è chiamata a un continuo processo di armonizzazione
con il contesto in cui opera: deve selezionare il proprio segmento di domanda, individuandone
sensibilità, gusti e valori; monitorarne l'evoluzione; aggiornare i suoi significati. Il tutto senza
stravolgere radicalmente i propri valori di fondo, pena la perdita di credibilità e di autorevolezza.
L'invecchiamento della marca è un fenomeno naturale, che può essere contrastato, rallentato o
invertito. Tutto questo grazie a una gestione lungimirante e creativa, che faccia propria una
prospettiva di lungo termine, mediante la definizione di strategie volte a rafforzare e rivitalizzare nel
tempo le fonti del valore della marca, alla luce dell'evoluzione del contesto di mercato e degli obiettivi
aziendali. Ci sono diversi atteggiamenti e comportamenti manageriali: vi sono Marche in grado di
guidare le tendenze (trend drivers). La loro principale caratteristica è rappresentata dalla accentuata
capacità di ascolto del mercato e dalla ricettività e rispetto all'evoluzione delle esigenze esplicite e
implicite della domanda. Sono solitamente marche leader che hanno una posizione privilegiata di
osservazione del contesto, una notorietà e un'immagine tali da conferire ampia visibilità alle loro
azioni, superando anche eventuali ostacoli all'accesso alla distribuzione. Hanno anche l'abilità di
scegliere la tempificazione opportuna per l'avvio dell'azione di rafforzamento o rivitalizzazione.
All'estremo opposto vi sono Marche prive di intraprendenza, rigide nelle loro posizioni e non in grado
di intravedere nelle tendenze opportunità di rivitalizzazione o di rafforzamento (trend avoidances).
Possono essere brand con limitate risorse destinate al monitoraggio del mercato. Possono essere
inconsapevoli del ciclo di vita della marca o che il proprio brand sia immune a questa dinamica.
Pensano di avere il tempo per reagire e rispondere. fra i due si collocano le Marche che, pur non
guidando il cambiamento, sono in grado di allinearsi alle azioni intraprese dalle realtà più proattive
(trend responders). Sono brand che non dispongono di risorse sufficienti per condurre un'incisiva
attività di ricerca e sviluppo, ma hanno comunque un'elevata attenzione al mercato e possiedono
alta flessibilità interna. L'atteggiamento in questione è adottato anche da imprese di rilievo, ma
rispetto a marche che nel loro portafoglio svolgono un ruolo residuale. Gli interventi tramite i quali
concretizzare le strategie di rafforzamento e rivitalizzazione possono essere delicati nella prospettiva
dei consumatori, specie di quelli fedeli. Alcune marche procedono individuando la nuova proposta
dedicata al trend emergente attraverso una sottomarca oppure una marca debolmente garantita.
Il rafforzamento
Il valore della marca si rafforza attraverso azioni di marketing in grado di comunicarne il significato,
questo avviene lavorando sulla brand awarness e sulla brand image. Nel primo caso si tratta di
spiegare quali sono i prodotti che il brand rappresenta, quali bisogni soddisfa, quali benefici offre.
Nel secondo caso si tratta invece di spiegare in che modo la marca renda superiori i prodotti che
contraddistingue rispetto a quelli dei concorrenti, oltre che promuovere associazioni forti, favorevoli
e uniche. Nel rafforzamento della marca è fondamentale la coerenza delle attività di marketing che
la sostengono, in termini sia qualitativi che quantitativi in modo da non scalfire la forza e la positività
delle associazioni mentali. Rafforzamento del brand, come farlo?
1. Preservare la coerenza del brand: preservare quello che la marca ha fatto in maniera
coerente
2. Proteggere le fonti del valore di marca: cioè che ha reso la marca forte nel corso del tempo
deve essere protetto
3. Non eccedere nel leverage della brand equity: altrimenti si diluisce il valore della marca.
Bisogna cercare un equilibrio.
4. Rafforzare il significato della marca: si lavora sulle associazioni di marca. Si riferiscono a
come si esprime la marca sul mercato. Associazioni product related à innovazioni nel
design, nella produzione e nel merchandising. Cose che il consumatore può concretamente
vedere nella marca. Associazioni non product related à focus sull’immaginario legato
all’utilizzatore e alle situazioni d’uso del brand.
In assenza di rilevanti cambiamenti del contesto esterno l'esigenza di deviare da un posizionamento
che sta permettendo di conseguire gli obiettivi perseguiti è minima. In un'eventualità simile i punti di
differenza e di parità che rappresentano le fonti del valore della marca dovrebbero essere tutelati
con il massimo impegno. Per esempio i prodotti del brand Dove sono da molto tempo proposti
facendo riferimento alla presenza di un quarto di crema idratante che pulisce la pelle senza seccarla.
Questo ha rafforzato il posizionamento del prodotto basato sulla performance, avvalorato anche
dalla scelta di ricorrere a pubblicità trial oriented. Il rafforzamento dell'immagine della marca dipende
dalla natura delle associazioni mentali interessate. Queste possono essere distinte in product e non
product related. Per le Marche le cui associazioni principali risiedono in attributi e benefici relativi
alla performance del prodotto, le innovazioni nel design del prodotto, nella produzione e nel
merchandising sono particolarmente rilevanti ai fini della brand equity. Per esempio la linea Barbie
è oggetto di continui interventi dovendo sempre essere al passo con mode, abitudini ed evoluzione
culturale della società. L'innovazione è dunque fondamentale per le Marche basate sulla
performance, il cui valore risiede essenzialmente nelle associazioni relative al prodotto. Solo così
possono evitare di cadere nella trappola dell'inerzia. In alcuni casi il miglioramento dei prodotti può
comportare l'introduzione di line extension con ingredienti o caratteristiche superiori. Se invece le
associazioni principali che caratterizzano la marca sono riconducibili essenzialmente ad attributi non
correlati al prodotto e attinente benefici psicosociali o esperienziali, il rafforzamento dell'immagine
richiede di lavorare su altre dimensioni concernenti l'immaginario del brand come ad esempio il
consumatore tipo e le situazioni di utilizzo della marca. Trattandosi di associazioni in tangibili S
dovrebbero essere più facilmente modificabili: mediante campagne di comunicazione volte a
veicolare una diversa immagine dei clienti della marca o nuove situazioni di utilizzo. Per esempio
birra Moretti ha ritenuto di mantenere l'immagine dell'uomo baffuto per rispettare la tradizione, ma
ha avviato una serie di iniziative legate al calcio per ringiovanire il brand e legarlo al mondo dello
sport. Riguardo i riposizionamenti se realizzati con troppa frequenza possono danneggiare la marca
specie quando la sua immagine è molto forte e le associazioni ben radicate e pertanto difficilmente
modificabile. Nella gestione del valore della marca è importante riconoscere il trade off fra le attività
di marketing volte rafforzarlo ad accrescerlo e quelle mirate a sfruttarlo per ricavarne benefici
economici nel breve periodo. L'incapacità di rafforzare il brand è inevitabilmente destinata a sfociare
in una minore consapevolezza e in un'immagine indebolita. Priva di tali fonti di valore, la marca
potrebbe non essere in grado di offrire i vantaggi di un tempo andando incontro a una diluizione del
suo valore.
Esempi: Preservare la coerenza attraverso azioni di marketing che comunichino un significato
coerente in termini di consapevolezza e immagine (Marlboro e Barilla). Marlboro à non si poteva
più comunicare, il cow boy inventato negli anni 70 è rimasto nell’immaginario, se noi pensiamo alla
sigaretta Marlboro pensiamo che sia la sigaretta del vero macho. Barilla à lavorare sulle
associazioni di marca preservando l’idea che il package è fondamentale. C’è sempre la scatola di
pasta. Preservare la continuità attraverso azioni di marketing che comunichino un significato
coerente in termini di consapevolezza e immagine à mantenere un elemento comunicativo
costante, riproporre elementi storici del successo in chiave moderna, ad esempio Carmencita per
Lavazza. Proviene da carosello, viene ripresa quando si è voluto rafforzare l’idea del caffè.
Carmencita era il modo per parlare in modo giovane alle donne. Proteggere le fonti del valore
della marca attraverso azioni di marketing che comunichino un significato coerente in termini di
consapevolezza e immagine (Es. volkswagen “das Auto”). Fare sennò delle attività che rafforzano i
valori del brand e fare provare concretamente quello che si afferma nella comunicazione (Dove che
dice di essere idratante e per anni ha fatto le pubblicità con persone comuni che avevano provato il
prodotto). Si può anche lavorare con il design del packaging o con line extension.
Rivitalizzazione del brand
1. Ricostruire le strutture cognitive della marca
2. Verificare esistenza di valori chiari e rilevanti, a lungo ignorati o comunicati in modo non
efficace.
3. Creare nuove fonti del valore o riattivare quelle tradizionali attraverso: incremento della brand
awareness; aumento della forza, positività e unicità delle associazioni che definiscono la
brand image.
Quando si parla di rivitalizzazione bisogna evitare che numerosi fattori incidano sul brand e lo
facciano declinare o scomparire. Devo capire come restituire nuova vita alla marca con strategie di
marketing. Nelle strategie di rivitalizzazione devo o rinvigorire le tradizionali fonti del valore o crearne
di nuove. Nel primo caso devo essere sicuro che posso continuare a investire in quelle associazioni
nel tempo. Nel primo caso devo aumentare la profondità e l’ampiezza della brand awareness. In
genere il problema di un brand in declino non riguarda tanto l'approfondita quando piuttosto
l'ampiezza della brand awarness: i consumatori non hanno difficoltà a riconoscere e a richiamare
alla memoria alla marca ma tendono a pensare alla stessa in termini limitativi. Risulta necessario
adottare strategie volte ad aumentare l'uso della marca, incrementando la quantità consumata o la
frequenza di consumo. La prima opzione è possibile laddove si rilevi un diffuso utilizzo del prodotto
in quantitativi inferiori alle dosi ottimali o raccomandate. Occorre convincere i consumatori in merito
ai benefici connessi a dosi più consistenti, come pure ridurre le conseguenze negative di un uso più
intenso del prodotto (es. prodotti senza zucchero fatti apposta). Anche la fissazione del prezzo
nell'ottica di bundling può rivelarsi funzionale rispetto all'obiettivo: l'azienda offre la possibilità di
acquistare più prodotti a un prezzo inferiore alla somma dei prezzi individuali. Non vanno infine
sottovalutati gli interventi atti a rendere il prodotto più comodo e facile da usare, eliminando eventuali
ostacoli a livello di packaging o design. L'incremento della frequenza di consumo richiede spesso di
intervenire sulla categoria di prodotto, in modo da accrescerne la desiderabilità per il
soddisfacimento di una molteplicità di esigenze. Ci sono diverse strategie:
-
Operare sulla differenziazione del nucleo di prodotto: modificare le caratteristiche intrinseche
del prodotto, affinché esso possa offrire una soluzione a ulteriori esigenze rispetto a quelle
soddisfatte fino ad ora. Esempio i vari tipi di dado
Agire sugli elementi accessori del prodotto: può essere sufficiente operare su elementi
accessori come la confezione. Es. spezie sotto forma di spray
Aggregare sottocategorie in modo da coprire nuove esigenze.
Cogliere le nuove tendenze come quella della resposabilità sociale.
Proporre nuove applicazioni del medesimo prodotto ad esempio la glassa ponti che l’hanno
fatta vedere nelle pubblicità in diversi abbinamenti.
Incrementare anche le occasioni di consumo à es. philadelphia che ti dice “saltalo! Aggiungilo!
Mischialo! Ecc.
Per quanto riguarda le associazioni bisogna rafforzare le associazioni opacizzate, neutralizzare
quelle negative e creare nuove associazioni. Devo trattenere i clienti vulnerabili, riconquistare i clienti
persi, individuare i segmenti trascurati e attrarre nuovi clienti. In alcuni casi rivitalizzare il brand
significa rinvigorire associazioni divenute opacizzate. Questo può significare ribadire ai consumatori
l'esistenza di particolari attributi o benefici che hanno cominciato a dare per scontati. L'immagine del
brand può essere migliorata anche creando nuove associazioni per renderla coerente con
l'evoluzione del proprio target. Rinvigorimento delle associazioni esistenti e creazioni di nuove
possono ovviamente combinarsi, come avviene per la rivitalizzazione di molte Marche mature e
consolidate che necessitano di una personalità più contemporanea e consona all'evoluzione
intervenuta nel profilo dell'utente. L'ultimazione sulle associazioni riguarda la neutralizzazione di
quelle negative eventualmente createsi nel corso del tempo. Talora infatti la marca acquisisce
associazioni negative in seguito all'evoluzione dei gusti o della sensibilità dei consumatori. Es.
Ferrero con olio di palma. L'attuazione delle strategie in merito alle associazioni si sintetizzate
comporta una riflessione anche sul target di riferimento della marca. Di norma quest'ultimo non
coincide con l'intera domanda: sia perché ad alcuni segmenti potrebbero essere indirizzate altre
Marche appartenenti al brand mix dell'azienda, sia perché uno più di essi potrebbero essere stati
trascurati in modo più o meno deliberato. Spesso la rivitalizzazione comporta una riconsiderazione
di questi segmenti non serviti, già che potrebbero rappresentare un territorio di crescita per la marca.
Rivolgersi a nuovi segmenti di clienti e una prima possibilità. Talvolta per rivitalizzare la marca e
risollevare le vendite è sufficiente riuscire a trattenere i clienti esistenti ho riconquistare quelli persi.
Esempio associazioni opacizzate e nuove associazioni à Cinzano viene acquisito da Campari, è un
brand storico che non veniva considerato. Si cerca di rafforzare le associazioni opacizzate: consorzio
d’asti, cercare di mantenere i clienti vulnerabili che potevano andare dal concorrente Martini allora
dicono più feste meno party. Vogliono anche neutralizzare le associazioni negative cioè che è un
prodotto vecchio, hanno fatto una bottiglia più cool. Riconquistano i clienti persi lavorando su altre
categorie collegate. Si creano anche nuove associazioni in un momento successivo collegano il
brand ai motori e al rosé per attrarre le donne.
Il rebranding
Pratica di costruire un nuovo nome, termine, simbolo, disegno o una combinazione di essi per un
marchio affermato, con l’intenzione di sviluppare una nuova posizione differenziata per stakeholder
e concorrenti. Si modifica qualcosa nei segni di riconoscimento. Il riposizionamento è diverso fa
parte della rivitalizzazione, infatti modifica le associazioni mentali alla marca. Quando si fa?
1. Cambiamenti struttura proprietaria
2. Operazioni di finanza straordinaria (M&A)
3. Modifiche nella strategia aziendale e/o di marketing
4. Mutamenti nelle condizioni competitive
5. Obsolescenza del logo, ha dei canoni stilistici considerati vecchi.
L’obiettivo è cambiare l’immagine e la percezione che gli stakeholder e i concorrenti hanno della
marca. Le dimensioni su cui si articola il rebranding sono: cambiamenti nell’identità visiva della
marca à se modifico tutti gli elementi è un rebranding totale, se modifico alcuni elementi è un
rebranding parziale. L’altra dimensione sono i cambiamenti nelle strategie della marca à ci può
essere un rebranding reattivo (risposta agli eventi) o proattivo (migliorare immagine, crescere, nuovi
segmenti). In generale posso avere un rebranding evolutivo dove cambio solitamente logo, colori e
slogan. Nel rebranding rivoluzionario cambio tutti gli elementi soprattutto il nome. Il rebranding può
riguardare tutti i livelli della gerarchia di marca. Il rebranding va inteso come una decisione strategica,
di non semplice attuazione, in quanto oltre a richiedere significativi investimenti di marketing,
costringe il management a ripensare a notorietà, immagine, posizionamento della marca e quindi
agli effetti di lungo termine generabili, mettendo anche in conto il rischio di una perdita del valore
costruito nel tempo dalla marca. Il cambiamento del brand name potrebbe vanificare la notorietà e
l'immagine raggiunte come nel caso di GAP (cambia logo i clienti di lamentano devono tornare su
quello precedente).
Principi fondamentali nel rebranding:
1. Andare avanti rimanendo sè stessi: progettare la nuova identità che sia coerente con la core
identity
2. Conservare alcuni elementi del vecchio brand, non posso cambiare tutto perché io devo
costruire un ponte tra il vecchio e il nuovo.
3. Sviluppare la brand orientation, con attività di comunicazione, training e marketing interno
per aumentare le probabilità di successo di una decisione di rebranding.
4. Coordinare il marketing mix
Brand migration
Pratica di gestire la transizione dei clienti da una marca a un’altra. Il presuposto su cui si basa è che
ci sia una brand equity all’origine, cioè un patrimonio da preservare e far confluire nella marca di
destinazione. Perché si fa?
1. Supportare un rebranding che voglia rivitalizzare la marca
2. Razionalizzazione del brand mix: a seguito di M&A per eliminare sovrapposizioni di brand e
concentrarsi sulle marche con migliori prospettive. Nei mercati maturi per sfruttare sinergie
ed economie di scala per migliorare l’efficienza.
3. Sviluppare marche già presenti sul mercato: aumentare i segmenti di queste marche che
vanno già bene. Passaggio da marche locali a marche globali, power brand e pillar brands.
Il problema 1 nella brand migration è in ottica consumer based à customer dilemma: da marca
conosciuta con specifiche associazioni ed apprezzata verso una marca diversa. Si possono spostare
gli acquisti verso la nuova marca? È una marca nota o meno nota? Quali connotazioni possiede?
Soddisferà come la marca originale? Il problema 2 è in ottica brand equity à management dilemma:
come non perdere i consumatori lungo la strada perché essi non sono direttamente coinvolti nel
prendere la decisione di emigrare; svolgono un ruolo passivo nella decisione, ma sono attivi nella
sua realizzazione.
La strategia di brand migration si può concretizzare secondo due modalità: 1. Transizione graduale
da una marca all’altra, con passaggi intermedi. 2. Passaggio immediato. In entrambi i casi ci sono
queste fasi:
1. Analisi di percezione della marca di origine e individuare le associazioni mentali che la
contraddistinguono.
2. Definire il grado di consonanza tra la marca di origine e quella di destinazione
3. Valutare l’eventuale sviluppo di una strategia di cobranding
4. Gestire la confluenza nel nuovo brand.
Quando la marca di origine è dotata di un’elevata notorietà e di un’immagine forte si opta per una
migrazione graduale. Ad esempio la migrazione da Omnitel a Vodafone. Hanno prima messo
Vodafone sotto a omnitel, poi viceversa e infine solo Vodafone. La migration rapida viene adottata
quando la marca di origine non è molto forte, il che attenua il rischio di ingenerare confusione nel
target (Es. philip Morris che diventa marlboro silver in 3 mesi, comunicazione solo tramite il
packaging con il comouflage e una linguetta informativa). Spesso come in questo caso la migrazione
si fa per spingere clienti verso marche con margini più elevati.
Declino
Quando le fonti del valore sono prosciugate e non si è in grado di sviluppare una rivitalizzazione del
brand si può: uscire dal mercato o sfruttare la marca fino in fondo (milking). Tipologie di milking verso
base cliente ampia e fedele à milking di mantenimento con investimenti in marketing che si
riducono; milking accelerato con immediato azzeramento degli investimenti; migration (si fanno
migrare i clienti verso una marca più forte). Perché fare milking?
-
Brand ha un tasso di fedeltà sufficiente, anche se indirizzato ad un segmento ristretto
Tasso di riduzione domanda primaria e secondaria non elevato e comunque non se ne
prevede drastica riduzione
Livello di prezzo stabile e il brand ottiene marginalità positiva
Marca con valore per l’azienda (economia di scala, supporto ad altri brand in portafolgio…)
La strategia di milking deve risultare il più possibile mimetizzata. Se non si mimetizza si rischia che
i clienti si sentano abbandonati e passino ad altre marche. Si vuole anche evitare che la distribuzione
lo tolga. Anche il morale dei dipendenti potrebbe risentirne negativamente. Devo essere certo che
effettivamente il mercato è in declino, devo considerare tutto sennò succede come per la frutta
secca, che nessuno si aspettava una ripresa.
Quando le prospettive per la marca non sono positive e impossibilità di perseguire strategia di
milking, seguire la soluzione più radicale: cessare la produzione della marca e non sostenerla più
(orphan brand). si opta per il disinvestimento quando:
1. Brand con tasso di riduzione domanda primaria elevato e in accelerazione senza alcun gap
di potenziale colmabile
2. Limitata fedeltà alla marca per sostanziale assenza di differenziazione percepita
3. Pressione sui prezzi da parte di concorrenti «agguerriti»
4. Marca con posizione debole e vantaggi competitivi detenuti dai competitor
5. Barriere all’uscita «non insormontabili»
Per decidere quali marche tenere e quali no ci si riferisce a tre variabili della redditività: domanda
(prospettive di mercato), tensione competitiva, forza della marca e capacità dell’azienda. Il
disinvestimento può realizzarsi anche tramite la cessione della marca ad altre aziende, che possono
perseguire obiettivi di fatturato meno sfidanti oppure ritenere di poterla rilanciare. L’acquirente può
voler: acquisre quota di mercato, rafforzare o acquisire ulteriore know how, estendere la presenza
in nuove categorie, realizzare sinergie.
CAPITOLO 8 – CONTROLLO E VALUTAZIONE DELLA MARCA
La gestione della marca implica la costruzione di un articolato sistema di misurazione in grado di
cogliere gli effetti delle molteplici scelte manageriali sul valore della stessa. Nel campo del brand
management, il problema della misurazione assume dunque rilevanza centrale. Lo sviluppo della
marca è possibile soltanto se le scelte manageriali rafforzano le sue componenti cognitive. È
impossibile cogliere la reale portata delle scelte di brand management in assenza di una verifica
costante del loro impatto sul potenziale evolutivo della marca, da qui dipende la sua capacità di
alimentare il vantaggio competitivo e creare valore economico. Lo scopo ultimo dell'elaborazione di
un sistema di misurazione della brand equity e la possibilità di raggiungere una conoscenza
completa delle fonti e dei risultati del valore della marca e della loro relazione reciproca. Per
realizzare un sistema di misurazione del valore della marca occorre definire gli studi di monitoraggio
(audit e tracking) è l'insieme delle procedure in grado di fornire indicazioni tempestive e utili per
assistere brand manager nelle decisioni tattiche e strategiche. L'audit consente di comprendere il
percorso seguito dalla marca e di definire la direzione strategica e i contenuti di un programma di
marketing volto a massimizzarne il valore nel lungo periodo. Lo svolgimento di questi sforzi di ricerca
e la concretizzazione del potenziale da essi generato richiede la predisposizione di apposite strutture
e procedure organizzative. Non di rado i brand manager ricoprono il proprio incarico per un periodo
di tempo limitato e tendono di conseguenza ad adottare una prospettiva di breve termine, affidandosi
a tattiche che non sono sempre coerenti con lo sviluppo e il consolidamento del valore della marca
nel tempo. Per contrastare l'azione di questo e di altri fattori interni all'organizzazione aziendale, è
andato affermandosi l'internal branding che prevede di un sistema di gestione del valore della marca
appunto questo sistema è composto da una serie di processi strumenti e documenti di natura
organizzativa concepiti per migliorare la comprensione e l'utilizzo del concetto di brand equity
all'interno dell'azienda. Oltre a definire le responsabilità organizzative per la gestione del valore della
marca, tale sistema richiede la predisposizione di un brand equity charter e l'integrazione degli studi
e delle indagini disponibili in un brand equity report. Il brand equity charter è finalizzato a formalizzare
la visione aziendale in merito al valore della marca, fornendo opportune linee guida ai marketing
manager presenti all'interno dell'organizzazione e ai principali partner esterni. Il documento
dovrebbe perseguire i seguenti obiettivi:
- definire l'interpretazione aziendale del concetto di valore della marca e spiegarne la rilevanza
per l'impresa
- descrivere le marche aziendali e i prodotti da esse contraddistinti, le relative storie in termini
di motivazioni sottese al loro lancio nel mercato, strategie tattiche di marketing impiegate
- specificare il valore della marca effettivo e desiderato per tutti i livelli rilevanti della gerarchia
- indicare come viene misurato il valore della marca attraverso gli studi di tracking
- suggerire alcune linee guida volta gestire il valore della marca nel tempo. Esse dovrebbero
consentire al brandy per eseguire chiarezza rilevanza distintività e coerenza dei programmi
di marketing.
Il documento deve essere sistematicamente aggiornato. Il brand equity report consiste in un
documento distribuito e periodicamente al management, nel quale vengono presentati i risultati del
monitoraggio della marca e altre misure rilevanti in ordine alla sua performance, offrendo così un
quadro completo altrimenti difficile da ottenere. Dovrebbe fornire informazioni descrittive in merito a
che cosa sta succedendo alla marca e informazioni diagnostiche sul perché questo stia avvenendo.
Una sezione dovrebbe sintetizzare le percezioni dei consumatori relativamente alle associazioni agli
attributi e ai benefici chiave, alle preferenze e ai comportamenti di acquisto e di consumo messi in
luce dallo studio di tracking. Un'altra sezione dovrebbe contenere informazioni di mercato relative a:
dinamica della domanda primaria e secondaria; componenti della quota di mercato per ambiti o
soggetti rilevanti; logistica e movimentazione dei prodotti attraverso i canali distributivi; ripartizione
dei costi; programmazione dei prezzi e degli sconti; valutazioni reddituali.
La concezione e la realizzazione di un sistema di misurazione del valore della marca richiedono
l'adozione di una prospettiva allargata. Il modello della catena del valore del brand è un modello
concettuale che consente un approccio strutturato alla valutazione delle fonti del valore della marca,
del modo in cui le attività di marketing sviluppate supportano la creazione di tale valore e dei risultati
ottenuti sotto molteplici profili. La catena del valore supporto agli individui che occupano i diversi
ruoli nell'organizzazione. L'ipotesi posta affondamento del modello e che il valore di una marca
risieda in definitiva nei clienti. Il modello contempla quattro stadi, il primo dei quali identifica l'avvio
del processo di creazione con l'investimento in un programma di marketing rivolto ai clienti acquisiti
o potenziali. Il secondo stadio riguarda le disposizioni mentali dei consumatori, nel senso che le
attività contemplate dal programma di marketing influenzano quanto essi conoscono e sentono in
merito alla marca. Nel terzo stadio il consolidamento di disposizioni mentali positive presso un vasto
gruppo di individui si traduce in determinati risultati in termini di performance della marca sul
mercato. Nel quarto stadio sulla base di questa performance e di altri fattori, è possibile stimare il
valore monetario della marca, informazioni importanti per molte scelte aziendali. Il modello della
brand value chain prevede anche alcuni fattori di collegamento fra gli stadi, i quali determinano la
misura in cui il valore creato in un certo stadio si incrementa o meno nel passaggio a quello
successivo. I moltiplicatori sono: la qualità del programma, le condizioni di mercato, il sentiment degli
investitori.
La creazione del valore della marca ha inizio con l'investimento è nel programma di marketing. Tale
programma e non garantisce l'effettiva generazione di valore in misura adeguata. A tal fine pesano
gli aspetti qualitativi del programma. Quanttro aspetti sono importanti:
- chiarezza
- rilevanza
- distintività
- coerenza
L'attuazione di un programma di marketing di qualità può esercitare importanti effetti sul sistema
cognitivo dei consumatori, incidendo sulla loro disposizione mentale nei confronti del brand. Esistono
molteplici tecniche qualitative e quantitative per misurare tale disposizione mentale con specifico
riferimento a: notorietà della marca; le associazioni mentali alla marca; gli atteggiamenti verso la
marca; la fedeltà, il senso di attaccamento e l'amore per la marca; l'impegno attivo nei confronti della
marca. La notorietà sostiene le associazioni mentali alla marca che a propria volta influenzano gli
atteggiamenti, i quali determinano la fedeltà, l'attaccamento, l'amore e l'impegno attivo nei confronti
della marca. Nel secondo stadio il valore si crea quando i consumatori possiedono un elevato grado
di consapevolezza della marca, hanno sviluppato associazioni forti favorevoli e uniche verso la
stessa, hanno maturato atteggiamenti positivi, manifestano fedeltà attaccamento e amore per la
marca, dimostrano impegnativo nei confronti della stessa. Nelle analisi delle disposizioni mentali
rispetto al brand è importante non limitare l'attenzione ai clienti acquisiti e men che meno a quelli più
importanti. I brand manager devono estendere la loro attenzione anche a coloro che socialmente
sono in grado di influenzare la conoscenza o le scelte di marca di altri soggetti. Per ottenere una
performance positiva sul mercato sono necessari alcuni fattori di mercato, esterni dunque al sistema
cognitivo dei consumatori che nel loro insieme definiscono il cosiddetto moltiplicatore dei clienti. Tali
fattori sono rappresentati da: l'attività di marketing dei concorrenti; il sostegno da parte degli operatori
della distribuzione o dei marketplace; la dimensione e il profilo della clientela. La favorevole
disposizione mentale maturata dai consumatori nei confronti della marca si traduce in una
performance di mercato positiva a patto che: le attività di marketing dei brand concorrenti non
rappresentino una minaccia significativa; gli operatori della distribuzione forniscano un sostegno
adeguato alla marca; la marca sia in grado di attirare a sé un numero elevato di clienti redditizi. Il
terzo stadio del modello è rappresentato dalla performance di mercato. La disposizione mentale dei
consumatori nei confronti del brand influenza la loro risposta al contesto di mercato in vari modi. Può
riflettersi sulla disponibilità a pagare un Premium price per i prodotti contraddistinti dalla marca. Un
altro fattore collegato al prezzo è rappresentato dalla elasticità della domanda. Una terza modalità
in grado di influire sulla performance è rappresentata dalla quota di mercato raggiunta e raggiungibile
dalla marca con riferimento allo specifico ambito competitivo in cui si colloca e che misura il successo
del programma di marketing nel favorire le vendite del brand. Un quarto fattore è costituito dalla
capacità della marca di realizzare con successo strategie di estinzione tanto a livello di linea quanto
di categoria. La valutazione della performance di mercato e non può prescindere dai costi a essa
ascrivibili. A questo riguardo il prevalere di una disposizione mentale positiva dei consumatori nei
confronti della marca può consentire di ridurre gli investimenti e le spese di marketing. Nel terzo
stadio il valore della marca si crea aumentando i volumi di vendita attraverso l'unione dei fattori
indicati. La misura in cui il valore generato della performance di mercato si riflette in termini finanziari
dipende da alcuni fattori di contesto esterni alla marca stessa. Come ad esempio: le dinamiche dei
mercati finanziari; le prospettive di crescita del settore; le prospettive di sviluppo del brand; il profilo
di rischiosità della marca; l'incidenza della marca all'interno del brand mix aziendale sul fronte dei
ricavi, dei costi e dei margini.
I membri dell'organizzazione in funzione del ruolo da essi di ricoperto devono concentrarsi su stadi
diversi: i brand manager sulla disposizione mentale dei clienti e l'influsso esercitato su di essa dal
programma di marketing; i responsabili marketing a livello di prodotto e di categoria sulla
performance di mercato sull'impatto dell'atteggiamento dei clienti sul loro comportamento d'acquisto;
i responsabili finanziari e l'amministratore delegato l'influenza della performance di mercato sulle
decisioni degli investitori e sul valore monetario della marca. Implicazioni del modello: La creazione
di una marca di valore a inizio con l'investimento nel programma di marketing quindi deve essere
adeguatamente finanziato, ben concepito e ben attuato. Gli sforzi per la creazione di valore non si
limitano all'investimento iniziale. Creare prety significa anche far sì che il valore creato in una fase
si trasmetta quella successiva auspicabilmente incrementandosi o almeno non riducendosi. La
catena del valore della marca fornisce una mappa dettagliata per il monitoraggio della brand equity.
Ci sono tre fonti principali di informazione, ciascuna associata a uno dei tre stadi e moltiplicatori. Il
primo stadio si basa sul piano elaborato dai responsabili del marketing e del brand. La disposizione
mentale dei consumatori può essere valutata con ricerche qualitative e quantitative. La performance
di mercato e il moltiplicatore dei clienti possono essere identificati tramite uno scanning del mercato
e della contabilità interna. Il valore monetario della marca e il moltiplicatore del mercato possono
essere stimati attraverso studi, perizie e indagini fra gli investitori.
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