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Maga Circe

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Maga Circe
Circe (AFI: /ˈʧirʧe/[2]; in greco Κίρκη, Kìrkē) è una figura della mitologia greca e compare
per la prima volta nell'Odissea (X, 210 e sgg.). È figlia del dio Elios e di Perseide, di
conseguenza è sorella di Perse, Eete e Pasifae, moglie del famoso re di Creta Minosse.
Circe compare, come dea, per la prima volta
nell'Odissea, quale abitante nell'isola favolosa
di Eea. Figlia di Elio e della ninfa Perseide, i
suoi fratelli sono Eete (re della Colchide e padre
di Medea)
e Pasifae (moglie
di Minosse e
madre di Fedra). Secondo un'altra tradizione è
figlia del Giorno e della Notte. Stando invece a
quanto
riporta Euripide nella Medea,
quest'ultima viene descritta come figlia dei
sovrani della Colchide, ossia Eete e Ecate.
Essendo Eete figlio del Sole (e così si
spiegherebbe l'etimologia del nome Eete, da
ἕως [eos], aurora, sole), dunque Circe sarebbe
sorella del re e zia di Medea (mortale).
Omero colloca l'isola ad Oriente; la tradizione
successiva identificherà questa con il
promontorio Circeo nel Lazio.
La sua dimora è in un palazzo circondato da un
bosco,
abitato
da
festose
bestie
[4]
selvatiche (Virgilio in Æneis, VII, 19-20, ci dice
che queste bestie altro non sono che uomini
così ridotti dai sortilegi della dea-maga.
Maga Circe
Odisseo che insegue Circe
Saga
Ciclo Troiano
Nome orig.
Κίρκη (Kìrkē)
Lingua orig.
Greco antico
L'incontro con Ulisse
Omero
Ulisse, dopo aver visitato il paese dei Lestrigoni, Autore
giunge all'isola di Eea. L'isola, coperta da fitta
Maga[1]
vegetazione, sembra disabitata e Ulisse invia in Professione
ricognizione parte del suo equipaggio, sotto la
guida di Euriloco. In una vallata gli uomini
scoprono che all'esterno di un palazzo, dal quale risuona una voce melodiosa, vi sono
animali selvatici. Tutti gli uomini, con l'eccezione di Euriloco, entrano nel palazzo e vengono
bene accolti dalla padrona, che altro non è che Circe. Gli uomini vengono invitati a
partecipare a un banchetto ma, non appena assaggiate le vivande, vengono trasformati in
maiali, leoni, cani, a seconda del proprio carattere e della propria natura. Subito dopo, Circe
li spinge verso le stalle e li rinchiude.
Euriloco torna velocemente alla nave e racconta a Ulisse quanto accaduto. Il sovrano
di Itaca decide di andare da Circe per tentare di salvare i compagni. Dirigendosi verso il
palazzo, incontra il dio Ermes, messaggero degli dèi, con le sembianze di un ragazzo cui
spunta la prima barba, che gli svela il segreto per rimanere immune ai suoi incantesimi. Se
mischierà in ciò che Circe gli offre da bere un'erba magica chiamata moly, non subirà alcuna
trasformazione.
Ulisse raggiunge Circe, la quale gli offre da bere (come aveva fatto con i suoi compagni),
ma Ulisse, avendo avuto la precauzione di mescolare il moly con la bevanda, non si
trasforma in porco. Egli minaccia di ucciderla, al che riconosce la propria sconfitta e ridà
forma umana ai compagni di Ulisse e anche a tutti gli altri tramutati in porci.
Dopo un anno, Ulisse è costretto a cedere ai desideri dei suoi compagni, che vogliono
tornare a casa; chiede, dunque, a Circe la strada migliore per il ritorno, e la maga gli
consiglia di visitare prima gli inferi e di consultare l'ombra dell'indovino Tiresia. Al ritorno
dagli inferi, Circe darà ad Ulisse numerosi suggerimenti su come superare al meglio le
successive difficoltà lungo la strada per Itaca.
Circe: dea o maga?
La figura di Circe appare per la prima volta nell'Odissea dove viene chiaramente e
ripetutamente indicata come dea. Questa dea, figlia di Helios, il dio Sole e di un'altra
dea, Perseide, ha il potere di preparare dei potenti "pharmaka" con i quali trasforma a sua
volontà gli uomini in animali. Tale trasformazione non fa perdere agli sventurati il
proprio noos (consapevolezza).
Il termine e la nozione greca di mágos era del tutto sconosciuto all'autore dell'Odissea in
quanto introdotto secoli dopo da Erodoto per indicare i sacerdoti persiani.
Con il termine moderno di "mago" si indica comunemente un personaggio che esercita la
magia, gli incantesimi, che prepara potenti "pozioni" magiche, un essere dotato di poteri
soprannaturali. Tale termine entra in lingua italiana già prima del XIV secolo proveniente dal
latino magus, a sua volta dal greco antico mágos, a sua volta dall'alto persiano maguš. Se
l'etimologia è chiara e diretta, i significati nell'antichità erano molto diversi da quelli moderni.
È quindi Erodoto che introduce il termine nella lingua greca adattandolo dall'alto persiano e
lo fa per descrivere il sacrificio dei Persiani atto a rendere favorevole l'attraversamento
dell'esercito di Serse del fiume Strimone. I mágoi immolano dei cavalli bianchi, ma Erodoto,
descrivendo la bellezza, quindi l'esito positivo del sacrificio da parte dei sacerdoti persiani,
utilizza un verbo che non appartiene alla tradizione cultuale greca, pharmakeuein (cfr. VII,
113). Tale termine nella lingua greca indica piuttosto delle preparazioni rituali che possono
avere, come nel caso di medicinali o di veleni, degli effetti opposti. Erodoto ritiene che il rito
persiano sia piuttosto una sorta di preparazione "potente", certamente con delle
connotazioni negative, come parte della loro cultura religiosa è agli occhi del greco Erodoto.
Allo stesso modo lo storico greco indica le intonazioni sacrificali dei Persiani che
richiamando la propria teogonia suonano all'orecchio di Erodoto non come una preghiera
rituale quale si riscontra nella pratica cultuale del greco, ma come una "epode", un
incantesimo.
Saranno proprio questi termini, pharmaka ed epodai collegati da Erodoto ai magoi a
generare nella cultura greca quel malinteso che inventa la nozione di "magia" in Grecia.
Per questa ragione «nell'Odissea Circe non è una maga (e in termini greci, non potrà esserlo
prima del V secolo a.C.)» ma solo «una dea terribile, che trasforma arbitrariamente gli
uomini in animali».
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