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Crutchfield - G.B. Velluti e lo sviluppo della melodia romantica

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ANNO LIII
2013
BOLLETTINO
DEL CENTRO ROSSINIANO
DI STUDI
A CURA
DELLA FONDAZIONE ROSSINI
PESARO
SOMMARIO
In ricordo di Giorgio De Sabbata
pag. 5
Will Crutchfield
G. B. Velluti e lo sviluppo della melodia
romantica
pag. 9
Alice Tavilla
«Trovare nuove forme» al tempo
di Rossini. Per un’analisi della prima
produzione di Giovanni Pacini
pag. 85
Reto Müller
Bibliografia rossiniana 1991-1995
pag. 109
Maurizio Modugno
Discografia rossiniana
Parte seconda. Le opere da Tancredi
a Elisabetta, regina d’Inghilterra
pag. 181
Will Crutchfield
G. B. Velluti e lo sviluppo
della melodia romantica
INTRODUZIONE
La Storia non è stata gentile con Giovanni Battista Velluti, peraltro
già abituato in vita a sopportare atti di scortesia. Viene ricordato principalmente sia per il fatto che fu l’ultimo castrato sulla scena operistica, sia
per due aneddoti poco lusinghieri, entrambi affibbiatigli nel corso della
carriera da critici a lui ostili e da allora tramandatisi innumerevoli volte
fino ai nostri giorni. Nel primo si narra che l’inclinazione di Velluti per
l’improvvisazione virtuosistica abbia impedito a Rossini di riconoscere la
propria musica, tanto da destare nel giovane maestro la volontà di definire per iscritto tutte le fioriture nelle opere a venire. Nell’altro frangente
Velluti è dipinto come bizzoso, avido, scortese e ridicolo per aver negato
alle coriste del King’s Theatre di Londra la dovuta ricompensa per le loro
fatiche.
Si dà il caso che entrambi gli incidenti siano legati ad allestimenti di
Aureliano in Palmira, e la preparazione dell’edizione critica di questo titolo fornisce motivi per una loro diversa valutazione; in tutti e due i casi
ci sono nuove testimonianze da esaminare. Molto più significativo è però
poter ricostruire il ruolo avuto da Velluti – riconosciuto da alcuni suoi
contemporanei ma trascurato completamente dagli storici – nello sviluppo dei tratti caratteristici dell’ornamentazione melodica del XIX secolo,
e tramite questi, della stessa melodia romantica. Un’ampia documentazione testimonia quel ruolo e sancisce anzi la riabilitazione di un fondamentale artefice di una delle più importanti innovazioni nella musica
ottocentesca.
La carriera del cantante è tutto sommato ben documentata, tanto
che non sarà necessario dilungarsi troppo per tracciare una cronologia
a supporto della trattazione 1. Velluti nacque il 27 gennaio 1780 a Mon1
La sintesi più affidabile è quella riportata in PAOLO DA COL, Catalogo dei fondi musicali Antonio
Miari e Giovanni Battista Velluti della Biblioteca Civica di Belluno, Venezia, Fondazione Levi,
2008, pp. XIX-XXIV. Una grande quantità di dettagliate informazioni è contenuta in ERMANNO ILLUMINATI, Giovan Battista Velluti, cantante lirico, Corridonia, Comune di Corridonia, 1980, per quanto
9
CRUTCHFIELD
tolmo (l’attuale Corridonia) e morì poco prima del suo ottantunesimo
compleanno nella sua villa di Sambruson, nei pressi di Dolo 2. Sono
scarse le testimonianze circa i suoi anni di formazione; tuttavia si pensa che Velluti per un breve periodo sia stato allievo di padre Mattei a
Bologna e, in seguito, di un tale abate Calpi a Ravenna. Debuttò a Forlì
nel 1799 o 1800, e nel corso dei successivi due decenni tutti i principali teatri italiani lo annoverano nelle stagioni operistiche come primo
uomo. Stipulò importanti contratti per i teatri di Roma (1803-1805,
1807), Milano (1808-1810; 1813-1814), Firenze (1823-1824, con altre
apparizioni fra il debutto del 1800 e un’ultima recita nel 1833), Venezia (in particolar modo dal 1821 al 1824) e Napoli, città in cui dal
1803 al 1808 si esibì al San Carlo in diciotto opere, sia di repertorio
che inedite. Negli anni Dieci, fino ai primi Venti dell’Ottocento, ampliò
il proprio raggio d’azione fino a Vienna, Monaco di Baviera e San Pietroburgo. Nel corso del primo quarto di secolo il cantante marchigiano
lavorò a fianco di tutti i più acclamati compositori d’opera italiana e,
verso il 1815 fino al termine della propria parabola artistica, si cimentò
esclusivamente in lavori scritti espressamente per lui. A giudicare dalla fitta corrispondenza fra Giacomo Meyerbeer e il librettista Gaetano
Rossi, il cantante rivestì all’interno del processo compositivo un ruolo
di prim’ordine 3.
Velluti visse gli ultimi anni della sua carriera a Londra (dal 1825 al
1829); in seguito si esibì raramente in Italia, prima di ritirarsi (1833) e
dedicarsi alla sua azienda agricola. Il soggiorno britannico non fu certo
l’esperienza più significativa del suo percorso artistico (non aggiunse nuovi ruoli al proprio repertorio; fu spesso angustiato da problemi di salute e
da una voce che sembrava precocemente invecchiata), ma risulta di gran
lunga il periodo meglio documentato della sua carriera, per due ragioni
che restano di fondamentale importanza. La critica giornalistica – come
all’epoca in nessun altro paese – produsse recensioni lunghe e musicalmente dettagliate, mentre il fiorente mercato dell’editoria musicale inglese
sollecitò il cantante a scrivere e pubblicare le improvvisazioni per le quali
era stato a lungo osannato.
10
la veridicità dei fatti sia compromessa da aneddoti non sempre attendibili e da refusi di varia natura. In particolare la cronologia delle esibizioni del cantante include un numero di opere che –
qualora fossero state eseguite durante gli anni in cui Velluti fu sotto contratto nei teatri interessati
– non videro la presenza del castrato. L’articolo di CORNELIO PAROLARI, Giambattista Velluti, in «Rivista musicale italiana», 39 (1932), è costituito quasi interamente da aneddoti per lo più umoristici
e mai documentati, sebbene conservi comunque un certo valore: vari cenni nel testo suggeriscono
che Parolari rimase in contatto con i discendenti della famiglia del cantante, trasferendo nella sua
narrazione i loro racconti.
2
I nomi indicati nella registrazione battesimale di Velluti sono “Johannes, Baptista, Alexander, Secundus” (cfr. ILLUMINATI cit., p. 1), e tutte le forme familiari italiane di “Johannes Baptista” sono state
stampate varie volte nel corso della carriera del castrato. Negli esempi che ho avuto modo di vedere si
firmava semplicemente “Velluti” o, in alternativa, “G. B. Velluti”.
3
Meyerbeer: Briefwechsel und Tagebücher, herausgegeben von HEINZ BECKER, I, Berlin, de Gruyter,
1960.
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
I. RICEZIONE TIPOLOGICA E INDIVIDUALE
Velluti apparve agli occhi di alcuni suoi contemporanei come un nostalgico depositario dell’opera seria settecentesca, e da allora è stato sempre considerato tale. Sulla scena interpretò esclusivamente lo stereotipato
ruolo del musico: l’eroe militare, l’amante virtuoso o il coniuge fedele della prima donna, il valoroso protagonista senza macchia temprato attraverso prove e sventure. Questa caratteristica – unita al fatto che la crociata contro la pratica della castrazione era ancora argomento di recente
memoria – scatenò vibranti reazioni che, soprattutto in alcuni critici non
italiani, annullarono quasi completamente qualsiasi tendenza a prendere
in esame le particolari qualità dell’artista. Si aveva a disposizione un’ampia letteratura contro il fenomeno dei castrati e contro il genere operistico al cui interno prosperò tale pratica, ed essa potrebbe essere stata
utilizzata nel primo ventennio del XIX secolo per colpire l’anacronistico
esponente di quel ruolo.
Note sono le principali argomentazioni: da un lato il divo castrato
avrebbe imposto un irritante droit du seigneur sulla concezione dell’opera, tenendo sotto scacco sia il poeta che il compositore, grazie alle sue
narcisistiche pretese di egemonia sullo spettacolo; dall’altro, la sua tecnica
vocale ipersviluppata – frutto di uno studio più rigoroso rispetto a quello
seguito dai cantanti normali – avrebbe trovato massima espressione in un
autoreferenziale virtuosismo ornamentativo, tale da offuscare le idee del
compositore. Tali motivazioni, corroborate da obiezioni etiche alla pratica dell’evirazione, fecero sì che la presenza del castrato nell’opera fosse
percepita come un affronto alla natura. Così si espresse il «New Monthly
Magazine» nel 1826, recensendo Velluti impegnato nel Crociato in Egitto
di Meyerbeer:
To hear the gallant Knight of the Cross, or the valiant Tancredi, proclaim their
heroic deeds in treble pipes, or even express manly sentiments of love and attachment in the acute sounds of the additional keys, is preposterous and ridiculous,
whether such sounds proceed from eunuchs, or from females in male disguise. Let
us have Nature; let us have all that Nature will afford for our enjoyment – mental
or physical. What is beyond, is evil 4.
[È assurdo e ridicolo ascoltare il prode Cavaliere della Croce o il valoroso
Tancredi che declamano le loro gesta eroiche nei registri acuti, così come sentir
esprimere manifestazioni virili d’amore e affetto attraverso i suoni argentini delle
chiavi aggiuntive, sia che tali suoni provengano da eunuchi oppure da donne en
travesti. Assecondiamo la Natura; godiamo di tutto ciò che la Natura offrirà per il
nostro piacere, mentale o fisico che esso sia. Ciò che ne esula è il Male.]
4
Music. King’s Theatre (recensione anonima), in «New Monthly Magazine», [1° Feb.] 1826, p. 57.
“The additional keys” era l’espressione convenzionale britannica utilizzata per definire le note acute
grazie alle quali i produttori di pianoforti a quel tempo stavano ampliando l’estensione dello strumento. Queste note si collocano in un registro ben al di là dell’estensione della voce umana; il chiamarle
in causa dà un tocco di colore alla descrizione.
11
CRUTCHFIELD
Il giornalista stava combattendo ancora una volta una battaglia già vinta,
ma atteggiamenti come il suo influenzarono in modo decisivo il dibattito
su Velluti negli anni a venire. In verità, non c’è stato alcun importante
dibattito su Velluti; egli è stato piuttosto adoperato – in senso per lo più
caricaturale – come una sorta di modello di riferimento nel contesto di
argomentazioni altrui 5. Sui due aneddoti già citati torneremo in seguito,
mentre un terzo, tratto dalle memorie di Maria Malibran pubblicate nel
1838 dalla contessa Merlin 6, ce ne fornisce un esempio. L’episodio narra come la Malibran – all’epoca ancora una sedicenne o diciassettenne
mademoiselle García – avesse cantato in una delle sue prime apparizioni
londinesi un duetto dal Romeo e Giulietta di Zingarelli, scatenando gli
entusiasmi del pubblico per la sua bravura nel riprodurre fedelmente
dopo un solo ascolto le pirotecniche variazioni di Velluti, surclassando
infine con la propria improvvisazione la cadenza finale eseguita dal castrato.
La contessa impreziosisce il racconto con dettagli folcloristici: Velluti
avrebbe evitato di cantare le variazioni durante le prove «dans la crainte
que Maria ne s’avisât de les imiter» [temendo che Maria le volesse imitare], e, dopo averle svelate al pubblico durante il suo assolo, nel momento
in cui la Malibran si apprestava a cominciare il proprio, il castrato avrebbe
rivolto alla ragazza «un regard de triomphe et de pitié» [uno sguardo di
trionfo e di compassione]. Mentre il pubblico applaudiva la giovane cantante
[...] elle sentit...Quoi?...Une pince de fer qui lui torturait le bras au-dessus
du coude...Immédiatement le mot briccona, prononcé par son compagnon à voix
basse et avec l’accent de la colère vint l’avertir d’où partait le coup et lui apprendre de bonne heure qu’il n’y a pas de gloire sans amertume.
[sentì… Che cosa ?... Una pinza di ferro che le torturava l’avambraccio….
Immediatamente la parola briccona, pronunciata a voce bassa e con tono astioso
dal collega, venne ad avvisarla da dove fosse partito il colpo e a insegnarle sin da
subito che non c’è gloria senza amarezza.]
12
Il siparietto risulta senz’altro curioso, ma da quel che possiamo verificare poco rispecchia il rapporto che Velluti intrattenne con la Malibran. Nel 1825 infatti concesse al soprano una delle sue prime importanti
chance quando le fece interpretare al suo fianco il ruolo di Felicia nel
Crociato: si narra che la Malibran sia stata «surrendered wholly to his
5
JAMES Q. DAVIES, Velluti in Speculum, in «Cambridge Opera Journal», 2005, rappresenta senza
dubbio un essenziale contributo, fornendo un affascinante quanto arguto resoconto dell’accoglienza che venne riservata a Velluti dall’ambiente teatrale londinese. Tuttavia in questo saggio il focus
rimane concentrato sul cantante italiano come rappresentante di una tipologia vocale – il castrato
al crepuscolo della propria epoca – e la sua attività viene osservata esclusivamente attraverso quel
prisma.
6
MARÍA DE LAS MERCEDES SANTA CRUZ Y MONTALVO MERLIN, Madame Malibran, I, Bruxelles, Société
typographique belge, 1838, p. 42.
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
tuition» 7 [completamente affidata alla sua tutela] per l’occasione, ricevendo da lui «a complete course of instructions» 8 [una serie completa di
istruzioni]. I due eseguirono regolarmente duetti in concerto, sia nel 1825
che nel 1829 quando Mlle. García tornò a Londra nelle vesti della celebre Mme. Malibran. In almeno due occasioni Velluti si esibì nella scena
della lezione del Barbiere di Siviglia, cantando «Mille sospiri e lagrime»
da Aureliano in Palmira con la giovane diva 9. Il castrato sembra infatti
sia rimasto in ottimi rapporti con tutto il clan García per molto tempo:
Manuel jr lo cercò anni dopo il suo ritiro dalle scene per trascrivere la
sua interpretazione della Romanza dal Tebaldo ed Isolina di Morlacchi 10,
e – secondo una tradizione che sembra tramandata nella famiglia Velluti –
conservò un ritratto del cantante sul leggio del pianoforte nel suo studio 11.
La contessa Merlin non assistette allo spettacolo andato in scena a
Londra; in ogni caso il racconto di quella serata non potrebbe che esserle
stato riferito dalla Malibran stessa (chi altri potrebbe aver captato ciò che
era stato pronunciato “à voix basse” durante l’applauso?). Ci si potrebbe
chiedere se la versione riportata dalla contessa non abbia subito qualche
stravolgimento: non sembra corrispondere alla realtà dei fatti l’ipotesi che
Velluti vedesse in Maria una rivale da sbaragliare – e se le dava della “briccona”, Bellini a suo turno la chiamava “diavoletta” in segno di affettuosa
ammirazione 12.
Niente di tutto questo si accorderebbe però con la letteratura che si è
via via stratificata intorno alla figura dell’ultimo castrato. Negli anni Venti
del Novecento, periodo in cui Radiciotti scrisse la sua monumentale biografia di Rossini, sembrò del tutto naturale associare il nome di Velluti alla
decadenza del canto. Lo studioso asserì che al tempo del giovane Rossini
le opere erano
7
[RICHARD MACKENZIE BACON,] Il Crociato in Egitto, Opera seria, in due atti; composta da G. Meyerbeer, in «Quarterly Musical Magazine and Review (QMMR)», VII (1825), London, Baldwin, Cradock,
and Joy, 1825. p. 309.
8
JOHN EBERS, Seven Years of the King’s Theatre, London, Ainsworth, 1828, p. 266.
9
King’s Theatre (recensione anonima), in «The Morning Post», [London], 11 luglio 1825: «in the
scene where the Count [played by García Sr.] is disguised as a music master, he introduced Velluti as
a pupil, and Rossini’s charming duet ‘Mille sospiri’, was admirably sung by him and Rosina. It was
loudly encored; and, in the second performance, Velluti exceeded anything which we had previously
heard from him. He descended the chromatic scale in one of his ornaments with a perfect distinctness
and precision rarely to be equalled. Mademoiselle García also executed her part in the most finished
manner.» [nella scena in cui il Conte (interpretato da García sr.) si traveste da maestro di musica, egli
presentò Velluti come un allievo e l’affascinante duetto rossiniano «Mille sospiri» venne ottimamente
interpretato da quest’ultimo assieme a Rosina. Fu bissato con entusiasmo e nel corso della seconda
esecuzione, Velluti superò tutto ciò che avevamo già ascoltato da lui. In una delle sue fioriture eseguì
una scala cromatica discendente con un nitore e una precisione che raramente capita di ascoltare.
Anche Mademoiselle García interpretò in modo molto raffinato la sua parte]. Il manifesto pubblicitario per la successiva recita («The Morning Post», 19 luglio) precisò che Velluti sarebbe nuovamente
apparso nella scena della lezione.
10
MANUEL GARCÍA JR., Traité complet de l’art du chant, deuxième partie, Paris, chez l’auteur 1847,
pp.100-103.
11
PAROLARI cit. p. 298
12
Bellini a Florimo, lettera del 5 gennaio 1835, in Vincenzo Bellini: Epistolario, a cura di LUISA CAMBI, Verona, Mondadori, 1943, p. 497.
13
CRUTCHFIELD
[...] deturpate dai più ricercati e grotteschi abbellimenti, e l’arte del canto finì
per divenire un vero acrobatismo vocale col Velluti e con la Catalani 13.
Trent’anni più tardi Andrea della Corte citava Velluti come l’equivalente antonomastico per definire
[...] i castrati, ai quali la più decadente mentalità e sensibilità del Settecento
aveva affidato il compito, tanto faticoso quanto stupido, di trasmutar la voce
umana da mezzo eminentemente espressivo a strumento soprattutto meraviglioso. Rossini ebbe da fare una sola volta con un sopranista, il famosissimo Giambattista Velluti, e ne rimase scandalizzato 14.
Dello stesso tono sono le lodi che, alla fine del XIX secolo, George T.
Ferris elargì, a spese di Velluti, alle originali interpretazioni di cui Giuditta Pasta diede saggio a Londra nel 1828, quando si esibì nel ruolo che il
castrato aveva presentato allo stesso pubblico nel 1825 (nel già ricordato
Crociato):
Velluti had disfigured his performance by introducing a perfect cascade of
roulades and fiorituri [sic], but Pasta’s delivery of the music, while inspired by
her great tragic sensibility, was marked by such breadth and fidelity that many
thought they heard the music for the first time 15.
[Velluti aveva snaturato la sua interpretazione con profusione di roulades e
fioriture, ma la musicalità della Pasta, oltre ad essere ispirata dalla sua spiccata
sensibilità tragica, si è caratterizzata per così ampio respiro e fedeltà alla partitura
da suscitare nel pubblico l’impressione di ascoltare questa musica per la prima
volta.]
Risulta interessante il confronto fra questo punto di vista e i resoconti
di sei spettatori presenti alla première del Crociato:
14
What a style of singing! how simple, how pure, how impassioned! We at once
recognized the model upon which Pasta formed her style. Here is no interlarding
of meretricious ornaments to cloak imperfections, no feverish feats of bravura,
no connecting one sound with another by whooping hectic slides, no mouthfuls
of indistinct divisions, quick passages, and misplaced graces. Every thing Signor
Velluti utters is chaste, tranquil, and distinctly articulated 16.
[Che stile di canto! Com’è semplice, cristallino, appassionato! Abbiamo immediatamente riconosciuto il modello sul quale la Pasta ha fondato il proprio.
Non vi è ridondanza di stucchevoli melismi per camuffare sbavature, né esaspe13
GIUSEPPE RADICIOTTI, Gioacchino Rossini. Vita documentata, opere, ed influenza su l’arte, III, Tivoli, Arti grafiche Majella di Aldo Chicca, 1927-1929, p. 55. Angelica Catalani (1780–1849) ebbe
altri pregi oltre all’“acrobatismo”, tuttavia molti critici ritennero che fosse la sua cifra stilistica e le sue
variazioni stampate tendono a rafforzare questa tesi.
14
ANDREA DELLA CORTE, L’interpretazione musicale e gli interpreti, Torino, UTET, 1952, p. 517
15
GEORGE T. FERRIS, Great Singers Faustina Bordoni to Henrietta Sontag, First Series, New York,
Appleton, 1893, p. 190.
16
Music. King’s Theatre (recensione anonima), in «The New Monthly Magazine», 1° agosto 1825, p. 345.
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
rate esibizioni di bravura; nel passare da un suono all’altro non fa ricorso a pacchiani glissandi, così come rifugge dalle articolazioni vocali indistinte, dai rapidi
passaggi e dagli abbellimenti inopportuni. Ogni aspetto nel canto di Velluti risulta
puro, disteso e di nitida definizione.]
[...] his school, or manner, is one of the best that has ever been heard in this
country. It is not generally florid; but when he uses ornament, it is luxuriant and
highly expressive 17.
[la sua scuola, o la sua maniera, è una delle migliori che sia mai stata ascoltata in questo paese. Non si tratta, in genere, di una maniera molto fiorita, ma
quando Velluti ricorre agli ornamenti questi sono lussureggianti ed estremamente
espressivi.]
His manner is florid without extravagance, his embellishments (many of
which were new to me) tasteful and neatly executed. His general style is the grazioso, with infinite delicacy and a great deal of expression [...] 18.
[Il suo stile è ricco di fioriture, tuttavia senza eccessi; i suoi abbellimenti (molti dei quali per me nuovi) di buon gusto ed eseguiti con precisione. Il suo stile è
per lo più grazioso, di infinita delicatezza ed espressività]
His style of singing is of the best school; expression is its characteristic; roulades, and such vulgar finery, such “Brummagem ware”, he appears to despise, and
though he decorates much, yet his ornaments are new, and in fine taste 19.
[La sua vocalità è di gran scuola; l’espressività è la sua cifra. Velluti sembra
rifuggire da roulades e volgari leziosità – come Brummagem ware – e sebbene egli
sia spesso incline agli abbellimenti, questi tuttavia risultano originali e di un gusto
raffinato.]
To make up for other disadvantages, however, Signor Velluti is a musician of
the first order: his style is pure and elegant, his ornaments beautiful and appropriate, and his manner full of tender expression 20.
[Velluti, nonostante tutto, per supplire ad altre lacune è un musicista di
prim’ordine: il suo stile è puro ed elegante, splendida e mai fine a se stessa l’ornamentazione, così come il suo stile pieno di tenera espressivita.]
Fraught by nature with excessive sensibility, his features speak every subtle
shade of emotion by which the performer is supposed to be, and in Velluti’s performances really is, actuated. With these expressive powers, there reigns, throughout all he does, a chaste and simple style, both in singing and acting, undestroyed by needless ornaments and misplaced efforts at display 21.
«The Morning Post», 1° luglio 1825 (privo di numero di pagina).
RICHARD EDGCUMBE, EARL OF MOUNT-EDGCUMBE, in «Musical Reminiscences», 4th edn., London,
Andrews, 1834, p. 164.
19
The Drama. King’s Theatre (recensione anonima), in «The Harmonicon», n. 32 (agosto 1825),
p. 164. “Brummagem”, una corruzione dialettale di “Birmingham”, indicava nello slang britannico
dell’epoca i prodotti di massa scadenti e a basso prezzo.
20
Drama. The King’s Theatre (recensione anonima), in «The Literary Gazette and Journal of the
Belles Lettres», n. 441 (2 luglio 1825), p. 430.
21
EBERS cit. pp. 266-67.
17
18
15
CRUTCHFIELD
[Dotato naturalmente di spiccata sensibilità, le sue fattezze trasmettono ogni
minima sfumatura emotiva che dovrebbe animare un attore – e nelle esibizioni di
Velluti la cosa realmente accade. Assieme a queste capacità espressive, in tutto ciò
che fa regna uno stile puro e semplice, sia nel canto che nella recitazione, scevro
da superflui virtuosismi e inopportune forzature.]
Tutti questi corrispondenti ebbero la possibilità di ascoltare sia la Catalani che la Pasta, ma a nessuno di essi sembra essere venuto in mente di
assimilare la vocalità del castrato alla prima delle due (come faceva Radiciotti), mentre, al contrario, molti riscontrano affinità fra Velluti e la cantante lombarda 22. Alcuni di loro sono gli stessi che avevano criticato – e
in alcuni casi continuarono a farlo – l’ingaggio di un evirato; e quasi tutti
evidenziano punti deboli nella vocalità di Velluti. Nonostante ciò, coloro
i quali lo descrivono sul piano delle qualità artistiche – non semplicemente come rappresentante di una tipologia – sostengono un orientamento
critico che non si potrebbe mai immaginare scorrendo la storiografia ufficiale: Velluti fu considerato in primis un cantante di straordinario talento
espressivo e drammatico, un artista di teatro a tutto tondo 23 – in breve,
simbolo di una tenace opposizione al vacuo esibizionismo e alla facile
esaltazione.
Risulta emblematico che molti osservatori di lingua tedesca, poco
propensi ad accettare acriticamente suggestioni estetiche provenienti dal
Belpaese, confermarono il giudizio su Velluti formulato dai colleghi d’Oltremanica. L’«Allgemeine Musikalische Zeitung» – sulle cui colonne per
la prima volta apparve la notizia del «jungen, talentvollen, vielversprechenden Künstler» 24 [giovane, talentuoso e promettente artista] a Napoli
nel 1805 – seguì costantemente la sua parabola artistica nei teatri italiani.
In rare occasioni siamo in grado di risalire ai nomi dei critici musicali
dell’AMZ, i quali ebbero pareri alquanto discordanti tra loro; eppure questo resoconto da Vicenza – dove Velluti cantò all’inizio del 1819 la Celanira di Pavesi e il Carlo Magno di Nicolini – riporta reazioni ampiamente
condivise. Il corrispondente riferisce che erano trascorsi sei anni dall’ultima volta in cui gli era capitato di ascoltare Velluti e che le sue grandi
aspettative non erano andate deluse, ma anzi superate dall’esibizione del
castrato:
16
22
L’unico confronto a me noto fra Velluti e la Catalani è contenuto in una pagina di diario di Meyerbeer del 3 gennaio 1818, nella quale il compositore commenta le variazioni dei due cantanti su «Nel
cor più non mi sento». Quelle di Velluti, secondo Meyerbeer, «sind bei weitem origineller & kunstvoller, würden aber in einem Konzert wenig Effekt machen» [sono più originali e più raffinate, però
farebbero poco effetto in concerto] (cfr. Meyerbeer: Briefwechsel cit., I, p. 348).
23
Nel 1832, commentando una fallimentare ripresa del Tebaldo ed Isolina, il «Censore universale dei
teatri» ricordò ai suoi lettori che «[q]uest’opera è stata scritta, [...] pel gran VELLUTI, più assai che per
sé interessato pel più scrupoloso andamento del complesso in ogni più minuta sua parte [...]» (Notizie
italiane. Provincie Lombarde. Bergamo (recensione anonima), in «Censore universale dei teatri», 7
marzo 1832, p. 79).
24
Nachrichten. Neapel (recensione anonima), in «Allgemeine Musikalische Zeitung (AMZ)», settembre 1805, colonna 800.
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
Er ist offenbar weit vorgeschritten, ist originell geworden, und hat jetzt in
Italien keinen Nebenbuhler mehr [...] die Blumen, die er hie und da in seinen Gestangstücken aufspriessen lässt, scheinen aus einem Paradiese getrieben, und sind
oft so kunstvoll, und doch so einfach, dass Jedermann dadurch ganz hingerissen
wird. [...] Sein herrlicher Gesang, seine deutliche Aussprache, und sein Spiel voll
Kraft, Gefühl und Leben, musste der Oper natürlich erhöhten Reitz verschaffen.
[...] Welcher Fond von Kunstmaterial steht ihm zu Gebothe, und dabey wie einfach schön, natürlich, und eindringend in die feinsten Theile des menschlichen
Herzens weiss er zu singen 25!
[è chiaramente molto progredito, è diventato originale, ed ora non ha più
nessun rivale in Italia (…). Le fioriture che qua e là inserisce nei suoi brani
sembrano provenire da un mondo paradisiaco e spesso sono così raffinate e
semplici allo stesso tempo, che tutti ne rimangono affascinati (…). Il suo canto
superbo, la sua pronuncia chiara e la sua recitazione piena di forza, sentimento e vitalità accrescono ulteriormente il fascino dell’opera (…). Che straordinaria stoffa d’artista è a sua disposizione e al tempo stesso con quanta semplicità, bellezza, naturalezza sa cantare, fino a toccare le più profonde corde
dell’animo umano.]
Nel 1819 una serie di recensioni 26 a firma di Friedrich Rochlitz – redattore della rivista fino al 1818 e solitamente refrattario all’ornamentazione e al virtuosismo – a proposito di una compagnia italiana in tournée
a Monaco di Baviera, cerca di spiegare l’equilibrio di questi elementi con
l’espressività e l’efficacia drammatica, sostenendo
[...] dass er nämlich, nicht durch die Roulade und künstlichen Verzierungen
des Gesanges, worin er eben auch Meister genug ist, und oft etwas mehr als man
wünschet, geleistet hat, sondern durch ein reines, einfaches, ohne alle Verzierungen vorgetragenes Adagio und Rezitativ uns tief ergriffen, die zartesten Saiten
unsere Seele angesprochen und uns zu Thränen des Entzückens gerührt hat; und
dass wir ihn in seiner Kunst vollendet achten, weil er den höhern, edlern Zweck
derselben, uns zu rühren und zu hohen rein menschlichen Empfindungen zu erheben, vollkommen erreicht hat.
[(…) che è riuscito a commuoverci immensamente, toccando i punti più
sensibili della nostra anima e incantandoci fino alle lacrime, non attraverso le
roulades e gli abbellimenti artificiali del canto – nei quali Velluti è maestro, e
a volte fin troppo – ma con un adagio e un recitativo eseguiti in modo chiaro e
semplice, senza ornamenti. Riteniamo che abbia raggiunto la perfezione artistica
perchè ha pienamente ottenuto lo scopo di commuoverci e farci provare i più alti
sentimenti umani.]
L’autore descrive minuziosamente la scena della detenzione di Vitekindo, il generale germanico tenuto prigioniero da Carlo Magno, e pubblica
25
Corrispondenz, Nachrichten (recensione anonima), in «Allgemeine Musikalische Zeitung (AMZ)»,
gennaio 1819, colonna 22.
26
[FRIEDERICH] ROCHLITZ, Nachrichten. München, in «Allgemeine Musikalische Zeitung (AMZ)»,
maggio 1819, colonna 314, passim.
17
CRUTCHFIELD
un passo di quarantotto battute del quale dice che, ad eccezione di qualche
corona ovviamente destinata ad elaborazione,
[...] wurden Rezitativ und Cavatine in höchster Einfachheit, ohne alle
Verzierungen, in langer angehaltenen, oder, wo es der Wortausdruck ins Recitativ foderte, in schnell forteilenden Tönen vorgetragen – alles nur Darstellung, wirklicher Ausdruck der höchsten Empfindung, des innigsten Schmerzes; die tiefste Stelle herrschte im ganzen Hause, nur unterbrochen von
einzelnen hörbarem Atemzügen der bis zu Thränen gesteigerten Rührung,
die endlich mit der letzten Cadenznote in einen unwillkürlichen Ausbruch
des höchsten Beyfalles übergieng. Hätten doch alle die, welche, die höhere
Würde und Macht der Tonkunst verkennend, die Oper einen Mischmasch
von Kunst – Künsteley nämlich – und Unsinn nennen, dieser Scene beygewohnt, gewiss, sie würden ihren Irrthum erkannt haben. Denn die noch so
wundersam modifizirte Stimme an sich ist es ja nicht, sondern der mit dem
Dichterwort verschmolzene Ton der Empfindungen und seine Wahrheit ist
es, welche unser innerstes ergreift, und uns mit unwiderstehlicher Gewalt
zur Teilnahme hinreichst.
[...] sia il recitativo che la cavatina sono stati eseguiti con estrema semplicità, senza alcun ornamento, in note tenute a lungo o, a seconda di quanto richiedeva il recitativo, con sempre maggior rapidità: tutto era rappresentazione
scenica, autentica espressione del più alto sentimento, del dolore più intenso.
Regnava il più profondo silenzio in tutta la sala, interrotto solo da sospiri di
una commozione che saliva fino alle lacrime e che sfociò dopo l’ultima nota
della cadenza in un’ovazione di applausi. Se tutti coloro che misconoscono
l’alta dignità e la potenza dell’arte musicale o che chiamano l’Opera un ginepraio di artificio e assurdità avessero assistito a questa scena, certamente
si sarebbero resi conto del loro errore. Non è tanto la voce in se stessa, pur
mirabilmente modulata, ma il suono dei sentimenti fuso con la parola poetica
e la sua verità a colpirci nel profondo e a spingerci con forza irrefrenabile al
coinvolgimento.]
18
Il giornalista quasi sicuramente dà voce alla propria predilezione
per la sobrietà del linguaggio melodico, attribuendola all’interpretazione che lo aveva commosso; la copia dello spartito conservata nella collezione di Velluti presenta lo stesso tipo di ornamentazione adottato
negli esempi che verranno presi tra poco in esame 27. Ciò che conta è
che il canto di Velluti spinse Rochlitz ad accostarlo ai suoi ideali. Colpisce che l’impresario londinese John Ebers abbia narrato in modo simile
un episodio avvenuto in occasione della messa in scena di Tebaldo ed
Isolina:
If ever the attention of an audience was enchained, enthralled, bound, as it
were, by a spell, it was when Velluti sang the Notte tremenda. The stillness of the
scene was communicated to the house; and not a word was spoken, not a breath
heard: – was this wonderful? when not to the eye and ear only, but to the heart
27
Fondo Velluti cat. n. 837, una copia che fornisce solo la versione con gli abbellimenti della linea
vocale; cfr. esempio 5a per un estratto.
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
and soul, every thing conveyed but one impression; that of pathos, so deep, so
touching, so true, that it wanted but one added shade to become too deep for
enjoyment 28.
[Se mai l’attenzione del pubblico è stata catturata, ammaliata, soggiogata, per
così dire, da un incantesimo, ciò si è verificato quando Velluti cantò «Notte tremenda». La sospensione della scena fu comunicata all’intero teatro: e non una parola fu pronunciata, non un respiro percepito. Che meraviglia quando l’arte non
arriva solamente all’occhio e all’orecchio, ma giunge diretta al cuore e all’anima.
Che emozione quando le singole suggestioni, nel loro insieme, riescono a trasmettere una sola, sublime impressione di pathos, così intensa, toccante, autentica, che
sarebbe stata sufficiente una minima sfumatura in più da farla diventare troppo
intensa per essere apprezzata.]
Velluti dunque fu prima di tutto un cantante che suscitava forti emozioni nel pubblico, e non un narcisista esponente della Stimme an sich. A
Londra tra i suoi più fedeli ammiratori vi era Mary Wollstonecraft Shelley,
autrice di Frankenstein, la quale – scrivendo a un giornale che, a suo dire,
avrebbe sottovalutato il cantante – asserì che
[...] his chief merit is in his expression, in his perfect gusto, in his mode of
linking note to note in a manner that chains the ear and touches the heart 29.
[il suo pregio principale risiede nell’espressività, nel suo impeccabile gusto,
nel fraseggio fluido che cattura all’ascolto e tocca il cuore.]
“Gusto”, un termine, che fu spesso espressione sintetica di “gusto
negli abbellimenti”, come nella lettera in cui Mozart scrive al padre per
chiedergli l’aria «mit ausgesetztem Gusto» [con abbellimenti scritti] da
lui variata e che gli piaceva insegnare ai cantanti 30. Qualsiasi puntuale
trattazione su un interprete contemporaneo a Velluti non può prescindere da questo argomento, che al tempo appariva come una componente essenziale dell’espressione solistica. La critica si divise sulla frequenza con cui Velluti ricorse alla fioritura: alcuni lo accomunarono
alla gran parte dei più affermati cantanti italiani nell’accusa di farne
eccessivo impiego; altri annoverarono Velluti tra chi considerava gli
abbellimenti in posizione ancillare rispetto all’espressività. Tuttavia su
due aspetti si trovarono concordi sia detrattori che sostenitori: che il
suo repertorio di ornamentazioni fosse originale, e tale da esercitare
una forte influenza.
Fra le critiche al Crociato già citate, due di esse definiscono “new” l’ornamentazione del cantante e molti altri pareri – fra cui quelli dell’anonimo
EBERS cit., p. 294
[MARY WOLLSTONCRAFT SHELLEY], lettera firmata “Anglo-Italicus”, in «The Examiner», 29 maggio
1826.
30
W.A. Mozart a Leopold Mozart 14 febbraio 1778, in Mozarts Briefe, nach den Originalen herausgegeben von LUDWIG NOHL, Salzburg, Verlag der Mayrischen Buchhandlung, 1865, p. 130.
28
29
19
CRUTCHFIELD
critico del «London Magazine», che recensisce concerti tenutisi prima del
debutto dell’opera – si allineano a quel giudizio:
Not the least curious portion of his performance, is the nature and execution
of his ornaments. They are original, singular, and pleasing, and charm at once by
their novelty and science 31. [...]
[Non ultimo curioso aspetto della sua performance è la natura e l’esecuzione
delle sue ornamentazioni, che risultano originali, singolari, e gradevoli; piacciono
tanto per sapienza quanto per novità.]
È altrettanto documentabile che le ornamentazioni di Velluti abbiano
influenzato altri cantanti che le adottarono, le imitarono, le assorbirono
nell’ambito di un vocabolario comune. Quando Nicola Vaccai ascoltò per la
prima volta la Malibran (a Parigi, nel 1830), si espresse in termini alquanto
laconici per descrivere a un amico le sue variazioni: «[…] passaggi molto
capricciosi, composti in più parte alla maniera di Velluti» 32. Nello stesso
periodo, un critico del giornale milanese «L’eco» avvalorò ulteriormente
la diffusa ipotesi secondo cui Giuditta Pasta avrebbe avuto un importante
modello nel suo collega più anziano:
Velluti ha un modo di canto tutto suo, e chi lo disse un riverbero, o un’ombra
di Marchesi e di Crescentini, volle far mostra più di arguzia che di verità. Con più
giustizia si può dire, che non pochi de’ più rinomati cantanti, non indegnarono di
attingere alla fonte di quest’ultimo rappresentante della scuola antica, e noi fummo testimoni degli strepitosissimi applausi, co’ quali nei teatri di Milano, vennero
accolte certe modulazioni e fioriture di canto che si chiamavano Vellutate della
Pasta 33.
A Richard Mackenzie Bacon, scrivendo nel 1825, fu chiaro che
no singer in existence can be said to have contributed to fix the present style
in Italy so much as Velluti. Of this we have had the strongest assurances from
artists of the highest repute 34 [...]
20
31
Luglio 1825, p. 474. Secondo lo studio condotto da Theodore Fenner sulla critica del teatro d’opera a Londra, Richard Mackenzie Bacon (vedi nota 34) fu il corrispondente del «London Magazine»
per l’opera italiana dal mese di gennaio del 1820 fino a maggio del 1824. Tutte le notizie su Velluti
contenute nella rivista inglese portano una data successiva di almeno un anno rispetto al periodo in
questione; tuttavia i punti di vista espressi sono così affini a quelli di Bacon che possiamo ipotizzare
un suo temporaneo ritorno al giornale, o, in alternativa, che il nuovo collaboratore del «London Magazine» fosse persona a lui vicina. Cfr. THEODORE FENNER, Opera in London: Views of the Press, 17851830, Carbondale, Southern Illinois University Press, 1994.
32
Lettera inviata a Girolamo Vezzoli, 24 marzo 1830. Cfr. Il carteggio personale di Nicola Vaccai che
si conserva presso la Biblioteca Comunale Filelfica di Tolentino, a cura di JEREMY COMMONS, II, Torino,
Giancarlo Zedde, 2008, pp. 779-780.
33
«Gazzetta Teatrale dell’eco» (recensione anonima) in «L’eco», 3, 7 (15 gennaio 1830), p. 28.
34
[RICHARD MACKENZIE BACON], in «Quarterly Musical Magazine and Review (QMMR)», 1825, p.
269. Bacon (1775-1844), proprietario e principale collaboratore del «Quarterly Musical Magazine
and Review», è il più documentato critico dell’attività di Velluti a Londra e si pensa possa aver assistito
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
[nessun cantante tuttora vivente potrebbe fregiarsi quanto Velluti di aver contribuito a codificare l’attuale stile del canto italiano. Della veridicità di questa
attestazione abbiamo ricevuto le più autorevoli conferme da artisti di altissima
reputazione]
Oltre a stimolare l’emulazione che è sempre legata alla celebrità, sembra che Velluti avesse anche una spontanea inclinazione verso l’insegnamento. Numerosi interventi attestano il suo incarico nel ruolo di maestro
concertatore nelle stesse opere in cui figurava come interprete e spesso
procurò ingaggi per i cantanti che erano stati – più o meno ufficialmente
– suoi allievi, fra i quali, già nel 1811, il celebre contralto Benedetta Rosmunda Pisaroni 35. Questa attività didattica è più minuziosamente documentata nel periodo in cui Velluti trasferì la propria residenza in Inghilterra, ma già otto anni prima Stendhal scrisse en passant che «nous devons
deux ou trois grandes chanteuses a Veluti» 36, [noi dobbiamo a Velluti due
o tre grandi cantanti] e lo stesso romanziere francese nella sua Vie de Rossini cita nientemeno che Isabella Colbran nella cerchia dei suoi discepoli.
Quello della futura prima moglie di Rossini con Velluti fu probabilmente
un apprendistato informale, visti gli studi documentati con altri maestri;
ciò nonostante è facile ipotizzare un ruolo decisivo di Velluti nella formazione del soprano, essendo egli stato il primo uomo delle prime cinque opere interpretate dalla Colbran 37. Negli anni Trenta dell’Ottocento
il tenore Adolphe Nourrit comunicò a sua moglie l’impressione che «c’est
bien le maître de toutes les grandes chanteuses de l’époque» 38. [Velluti è
davvero il maestro di tutte le grandi primedonne dell’epoca.]
Infine, che l’ascendente esercitato dallo stile di Velluti non si sia limitato ai suoi colleghi cantanti, lo conferma una lettera indirizzata a Giovanni
Battista Rossi-Scotti, biografo di Francesco Morlacchi, dal compositore
Giovanni Pacini:
Se le composizioni teatrali del Morlacchi non vengono di presente riprodotte
sulle scene, di ciò è causa la deficenza di buoni e veri cantanti. E di fatto dove son
più i Velluti che tanto entusiasmo produceva nel Tebaldo e Isolina, inventore di
quelle fioriture che noi tutti poi ne facemmo cosa nostra? 39
a quasi tutte le esibizioni del cantante in quella città. Per un breve periodo successivo agli articoli qui
citati, Velluti e Bacon si frequentarono quando la figlia del giornalista, Jane – in preparazione al suo
felice debutto sulle scene del 1826 – divenne allieva di Velluti.
35
PAOLO-EMILIO FERRARI, Spettacoli drammatico-musicali e coreografici in Parma dall’anno 1628
all’anno 1883, Bologna, Forni, 1884, p. 101. Per una recensione del 1813, che attribusce ai precetti di
Velluti il merito della padronanza acquisita dalla Pisaroni nelle proprie ornamentazioni, cfr. GIORGIO APPOLONIA, I primi interpreti delle opere di Giuseppe Nicolini, in Giuseppe Nicolini 1762-1842, a cura di PATRIZIA FLORO, GUGLIELMO PIANIGIANI, PATRIZIA RADICCHI, ANNA SORRENTO, Pisa, Edizioni ETS, 2012, p. 155
36
STENDHAL [HENRI BEYLE], Rome, Florence, Naples en 1817, in Ouvres complètes de Stendhal, Paris,
Calman-Lévy, 1925, p. 257
37
SERGIO RAGNI, Isabella Colbran Rossini, I, Varese, Zecchini, 2012, con particolare riferimento alle
pp. 78-114.
38
Lettera a Mme. Nourrit, 30 gennaio 1838, in LOUIS MARIE QUICHERAT, Adolphe Nourrit, sa vie, son
talent, sa caractère, sa correspondance, III, Paris, Hachette, 1867, p. 112.
39
Lettera del 21 giugno 1860, in GIOVANNI BATTISTA ROSSI-SCOTTI, Della vita e delle opere del cav.
Francesco Morlacchi di Perugia, Perugia, Bartelli, 1869, pp. 63-64.
21
CRUTCHFIELD
Cosa erano queste fioriture? In cosa consisteva la loro originalità? Chi e
come se ne appropriò, tanto da considerarle cosa loro? Grazie all’inclinazione del cantante alla scrittura e all’interesse dimostrato da editori viennesi,
italiani e soprattutto inglesi nel documentare lo stile che mandava in visibilio
gli spettatori di tutta Europa, possiamo azzardare una risposta a questi interrogativi. Velluti è il cantante la cui pratica musicale è stata oggetto di maggior documentazione in tutta la storia del teatro lirico prima dell’avvento
del grammofono. Troviamo integralmente pubblicati quarantotto esempi di
suoi abbellimenti di brani completi, oltre a variazioni frammentarie e ad almeno sedici pezzi che sopravvivono in forma manoscritta 40. Testimonianza
impressionante, questa, della stima dei contemporanei per il cantante – allo
stesso modo in cui la forza dei giudizi negativi da parte degli storici testimonia la poca attenzione dedicata finora a un argomento così significativo.
II. IL MELODISTA INNOVATORE
Ciò che ai nostri giorni più affascina in Velluti è il fatto che, sebbene
abbia avuto un ruolo piuttosto antiquato nell’ambito dello spettacolo operistico, lo svolse tuttavia dal punto di vista musicale in modo non arretrato ma
decisamente – e talora radicalmente – progressista. La sua pratica ornamentale anticipò alcuni degli aspetti che più distinguono la scrittura melodica
del pieno Romanticismo da quella perlopiù vigente nei primi decenni della
carriera di Velluti. Il nuovo linguaggio prese forma grazie a tre tendenze che
si riscontrano molto di più negli abbellimenti di Velluti che non in quelli dei
suoi contemporanei e predecessori o nelle composizioni da essi interpretate:
– un crescente ricorso a cromatismi, alcuni fino ad allora non convenzionali, e con originali modalità di preparazione e risoluzione;
– un frequente impiego della dissonanza attraverso appoggiature semplici
e composte, applicate anche a gruppi di note in successione e a piccole
suddivisioni di una singola pulsazione;
– un ampliamento del numero di note considerate reali (facenti parte
dell’accordo base) e dunque disponibili per l’ornamentazione. Ciò si
ottiene trattando quasi sempre la sottodominante come un accordo di
quattro note (II65) e considerando come nota reale in prospettiva melodica non solo la settima, ma anche la nona di dominante (V).
22
Come può un cantante, vissuto quando dominava l’improvvisazione,
essere considerato “progressista” dato che quella pratica stava per essere
così fortemente limitata – e infine censurata – nel teatro d’opera? È vero
che, nel momento in cui Velluti si ritirò dalle scene, i compositori italia40
Devo i più calorosi ringraziamenti a Paolo Da Col – con il quale sto curando un catalogo e un’antologia di arie con fioriture di Velluti – per avermi messo a disposizione le copie di molti di questi brani, con particolare riferimento ai manoscritti conservati nella collezione bellunese sopra menzionata.
Questi quarantotto esempi pubblicati comprendono alcuni casi di trattamento multiplo della stessa
composizione, ma escludono diverse altre pubblicazioni i cui ornamenti non sono esplicitamente attribuiti a Velluti, ma che quasi certamente provengono da lui.
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
ni cominciavano a scrivere i loro cantabili con una ricchezza di dettagli
e di sfumature che erano stati, nei primi anni di carriera del castrato, a
completo appannaggio dell’estro del solista. Il nocciolo della questione è
che, in questo processo, lo stile forgiato da Velluti non cadde nell’oblio,
ma, al contrario, venne assimilato: e quest’assimilazione – la variazione
ed elaborazione della componente melodica – fu uno dei punti più alti
del linguaggio musicale romantico. Una breve indagine non permette di
tracciare tutta la storia di questa evoluzione; tuttavia un primo abbozzo
del contributo che diede Velluti, può essere tratteggiato attraverso esempi
relativi alle tre osservazioni formulate in precedenza.
Cromatismi
Il cromatismo per Velluti non fu un tocco ornamentale riservato a circostanze particolari, ma una caratteristica dello stile melodico che si sarebbe potuta introdurre in un qualsiasi momento opportuno all’interno
di una melodia, persino all’inizio di un’aria, come avviene in questi tre
esempi 41:
Es. 1 Ornamentazione cromatica negli incipit dell’aria. A) Fane: Fedra: Amor soave. B)
Mayr: Lodoviska: Parto, ti lascio. C) Nicolini: Balduino: Nere, funeste immagini.
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Per ragioni di spazio e fruibilità, gli esempi musicali sono qui presentati senza l’apparato che dovrebbe accompagnare una loro edizione critica; ho direttamente emendato quelli che ritenevo fossero
refusi ed errori di scrittura, aggiungendo alterazioni mancanti e – tranne in alcuni casi troppo ambigui
per giustificare un intervento sotto traccia – modernizzando la coordinazione di travature con le sillabe del testo. Dove vengono chiamati in causa aspetti del linguaggio armonico, è stata inserita una
riduzione dell’accompagnamento (dove possibile su un singolo pentagramma). In ogni esempio – se
non diversamente specificato – nella riga superiore sono rappresentate le variazioni di Velluti, mentre
in quella inferiore viene indicata la notazione originale del compositore (come si trova nelle moderne
edizioni scientifiche o, mancando esse, come nella fonte originale che riporta gli ornamenti).
23
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Fane nelle 61 battute della linea vocale di «Amor soave» (il primo brano
sopra menzionato) non scrive una sola nota cromatica, mentre nell’interpretazione di Velluti ne figurano addirittura trenta. Si tratta di un’abitudine consolidata, visto che nei tredici esempi presentati in questa sezione
compaiono solamente due note cromatiche negli originali dei compositori,
mentre nelle versioni “fiorite” si sviluppano in così rapida successione, o
con tale enfasi, da conferire loro un risalto che supera quel che riterremmo
normale nella prassi del primo quarto del secolo:
Es. 2 Ornamentazione cromatica. A) Fane: Fedra: Deh! non soffrir che oppressa. B) Fane:
L’amor timido (cantata).
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Tre stilemi – fra quelli applicati da Velluti – emergono per originalità. Il
primo: l’uso frequente di frammenti di scale cromatiche in tempo rapido,
che si sviluppano su intervalli ampi fino a una sesta:
Es. 3 Frammenti di scale cromatiche. A) Mercadante: Andronico: Soave immagine [Willis].
B) Mayr: Ginevra di Scozia: Ah! che per me non v’è.
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In secondo luogo: particolari note cromatiche che la pratica di epoche
precedenti sembra non avesse accolto, come, ad esempio, il moto discendente di semitono fra sopratonica e tonica o, nel modo maggiore, la sopradominante bemollizzata rispetto all’accordo di dominante.
25
CRUTCHFIELD
Es. 4 note cromatiche non convenzionali. A) Fane: Fedra: Deh! non soffrir che oppressa.
B) Fane: Placido zeffiretto (arietta). C) Fane: L’amor timido (cantata).
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Quest’ultimo uso – specialmente in assenza di qualsiasi colorito che
sottintenda armonie minori, ancor più se la sopradominante bemollizzata
è giustapposta a quella priva di alterazione – divenne una caratteristica
costante nell’ornamentazione belcantistica. A partire dal 1835 sono più le
cadenze con sopradominante bemollizzata di quelle prive, mentre è difficile trovare un esempio che sia con certezza precedente a quelli forniti da
Velluti.
Il terzo elemento innovativo consta di un frequente approccio per salto
alle note cromatiche, senza la preparazione melodica che in passato era
obbligatoria e che era ancora almeno d’uso corrente all’epoca di Velluti:
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
Es. 5 Salti verso figurazioni cromatiche prive di preparazione melodica. A) Nicolini: Carlo
Magno: Ah! quando cesserà. B) Fane: L’amor timido (cantata).
4
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4
I salti non preparati possono formare intervalli – terze, quarte e seste
diminuite – che all’epoca potevano apparire esotici ad altri interpreti. Ancora oggi risulta ardua per qualcuno la cadenza “alla Velluti” che Verdi
scrisse per «Ah, forse è lui» (La traviata), dove – come nell’esempio 5 e in
molti altri qui esposti – i cromatismi non risolvono immediatamente, ma
proseguono con altre note di passaggio. Meyerbeer annotò questa caratteristica nello stesso diario del 1818 in cui mise a confronto le variazioni
di Velluti con quelle della Catalani. A suo parere, il principale problema
in quelle di Velluti era proprio l’intonazione dei «vermindeter Intervallen,
welche gar zu häufig vorkommen» [intervalli diminuiti, che si presentano
con eccessiva frequenza]. La diffidenza di Meyerbeer ci permette di constatare ciò che nel linguaggio del cantante veniva percepito come moderno 42. E dovette sembrare particolarmente moderno, possiamo pensare, il
fatto che Velluti estendesse, per esempio, l’effetto tradizionale delle interruzioni del “sospirando”, inserendole tra una nota cromatica (raggiunta
senza preparazione con un salto di quarta diminuita) e la sua risoluzione:
42
Cfr. Meyerbeer: Briefwechsel cit., I, ibidem.
27
CRUTCHFIELD
Es. 6 Ornamentazione cromatica interrotta dai sospiri. Fane: Fedra: Deh! non soffrir che
oppressa.
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( )
Dissonanza
Benché nella scrittura omofonica qualsiasi nota non appartenente
all’impianto tonale prevalente sia considerata «dissonante», questo termine è usato qui esclusivamente per descrivere le note dissonanti collocate
in posizione ritmicamente più forte rispetto alla consonanza sulla quale
risolve (la definizione classica di appoggiatura). Velluti innesta altre appoggiature oltre a quelle già presenti nella melodia originale servendosi di
diverse strategie: applica la stessa appoggiatura ripetutamente sulla stessa
nota (Es. 7a); aggiunge appoggiature parallele alle note reali vicine (aggiungendo queste ultime se non ci sono) (Es. 7b); introduce nuove appoggiature con le stesse modalità di iterazione, a volte martellante, nel caso in
cui la linea melodica originale non ne preveda (Es. 7c).
Es. 7 Appoggiature caratterizzate da ripetizione. A) Morlacchi: Tebaldo ed Isolina: Si,
ravvisa quel guerriero. B) Manfroce: Alzira: Ah! che non serve il pianto. C) Perucchini: Lo
sguardo (arietta)
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28
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G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
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Risulta evidente inoltre la tendenza a risolvere le appoggiature più
lunghe (aggiunte o preesistenti) su una rapida successione di note basata
anch’essa su appoggiature interne, con il risultato che la consonanza è
ristretta in posizione marginale e in un lasso di tempo sempre più breve:
Es. 8 Appoggiature risolte attraverso fioriture al cui interno sono presenti ulteriori appoggiature. A) Manfroce: Alzira: Ah! che non serve il pianto. B) Fane: Fedra: Colpita da
fulmine.
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29
CRUTCHFIELD
Altro elemento caratteristico d’epoca romantica è avvicinarsi per
moto scalare (diatonico o cromatico) verso una nota che è successivamente omessa, in modo tale che prima di tutto viene udita la sua appoggiatura:
Es. 9 Appoggiature precedute da salto intervallare. A) Cianchettini: Grazie agli inganni
tuoi (arietta). B) Manfroce: Alzira: Ah! che non serve il pianto.
ad lib.
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Infine, un espediente molto usato da Velluti consiste nel fiorire una
nota con due appoggiature che condividono la stessa risoluzione oppure
nel dotare un intervallo di due note reali con l’appoggiatura superiore a
quella più alta e l’appoggiatura inferiore a quella più grave:
Es. 10 Note e intervalli circondati da appoggiature “esterne”. A) Mercadante: Andronico:
Soave immagine (stampata da Piggott). B) Mayr: Lodoviska: Parto, ti lascio. C) Pavesi:
Celanira: La tua diletta immagine. D) Fane: Fedra: Amor soave.
30
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G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
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Nell’es. 10d la figurazione ritmica del passaggio è così sfuggente che
non sempre si riesce a stabilire se le note estranee all’accordo siano appoggiature, note sfuggite oppure note di passaggio. Il secondo quarto della
battuta presenta otto note distribuite su una terzina (un’ambiguità familiare a tutti gli interpreti di Rossini, il quale alterna in modo simile negli ab-
31
CRUTCHFIELD
bellimenti suddivisioni binarie e ternarie su accompagnamenti di terzine)
e l’ultima di queste otto note si emancipa dalla scala per divenire una nota
sfuggita che in realtà è correlata al raggruppamento successivo, un disegno
di undici note distribuite sulla successiva terzina nell’accompagnamento.
La minima spinta propulsiva provocata da un rubato o dall’accentuazione
interna data dal solista potrebbe suggerire “tempi forti” in più punti della
battuta, ed infondere nell’ascoltatore una piacevole incertezza: come troverà la sua “strada di casa”? Un’aleatorietà simile nel distribuire note reali
ed estranee all’accordo è un’altra caratteristica frequentemente adottata
nello stile melodico romantico:
Es. 10 e Possibili interpretazioni ritmiche di fioriture raggruppate in modo ambiguo.
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3
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3
Come è già stato sottolineato, questi accorgimenti non furono novità di
per se stessi, bensì un potenziamento di procedimenti musicali preesistenti; tuttavia il potenziamento spesso si trova nel punto in cui una melodia
non solo è maggiormente dissonante, ma prevede già sistematicamente su
ogni o quasi ogni nota un’appoggiatura o una più complessa figurazione
musicale che si sviluppa a partire dall’appoggiatura. Questo mutamento di
prospettiva provocò effetti di vasta portata sulla scrittura musicale.
Volendo aggiungere passaggi veloci, Velluti spesso ricorse non ai gruppetti e ai frammenti di scale che erano state in passato il perno di tale ornamentazione, bensì a una serie di rapide appoggiature e risoluzioni intorno
alla fioritura. Il procedimento è illustrato nella maniera più semplice nel
duetto del secondo atto di Tancredi. La figurazione originale di Rossini
traccia il contorno dell’accordo (la minore) con una scaletta ascendente
e un arpeggio discendente (più una nota sfuggita); ogni gruppo di due
note comincia con una nota reale. Velluti conserva la forma essenziale, ma
inserisce piccoli salti, con la conseguenza che due gruppi cominciano con
appoggiature:
Es. 11a Dissonanza interno a gruppi ornamentali. a) Rossini: Tancredi: Ah, come mai
quest’anima.
32
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3
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
Un passo da «Amor soave» permette di far luce sul potenziale di
queste soluzioni ornamentali in termini di colore e varietà. La regolarità
ritmica delle successive sestine in questo caso occulta un ampio spettro
di intervalli:
Es. 11b Dissonanza interno a gruppi ornamentali. Fane: Fedra: Amor soave.
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Ognuna di queste sestine si divide in tre coppie:
1) nota reale e nota sfuggita/appoggiatura superiore/appoggiatura inferiore
2) nota reale e nota sfuggita/appoggiatura superiore/appoggiatura superiore
3) appoggiatura superiore/appoggiatura inferiore/nota reale e nota sfuggita
Per rendersi conto intuitivamente della novità di questo procedimento, basta immaginare una variazione più convenzionale. Non c’è nulla di
musicalmente errato in questa ipotetica alternativa; tutt’al più possiamo
avvertire chiaramente la sua appartenenza ad un linguaggio meno complesso e d’epoca precedente:
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Armonia estesa
Il fatto che nell’esempio 11b si possa considerare appoggiatura il fa
diesis sulla parola splendè testimonia un’altra sostanziale innovazione
nel linguaggio musicale: il mi – la nona di dominante – viene trattato
come se fosse una nota reale vera e propria, e assegna al fa diesis –
effettiva nota reale – la funzione di un’appoggiatura che necessita di
risoluzione. Ci troviamo al cospetto di un tratto distintivo della melodia
romantica, di cui Velluti sembra essere stato un precursore. Ciò si può
riscontrare ancora più chiaramente nella cadenza alla prima strofa della
stessa aria, dove l’arpeggio discendente non si articola sulla canonica
settima di dominante dell’esempio 12a, quanto piuttosto attraverso la
nona dell’esempio 12b:
33
CRUTCHFIELD
Es. 12 Figurazione discendente sull’armonia dominante. Fane: Fedra: Amor soave
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Questo modulo discendente sull’armonia di dominante era molto familiare a Velluti, così come a Donizetti, Bellini e Verdi in contesti simili, mentre
Rossini lo utilizzò raramente e ai suoi predecessori appare quasi sconosciuto. L’uso melodico della nona di dominante non era ignoto; la novità era la
mancata risoluzione sulla fondamentale e la possibilità di fiorire la nona così
come ogni altra nota reale. I prossimi esempi mostrano come queste novità
trovino effettiva realizzazione: nel primo, il si in corrispondenza del punto
più alto della figurazione ornamentale non risolve sul la, ma al contrario
procede in arpeggio verso il registro grave; nel secondo, l’abbellimento nella
prima metà della battuta definisce il do diesis, nona di dominante, come sua
nota reale, dotata di proprie appoggiature superiore e inferiore.
Es. 13 Trattamento della nona di dominante come nota reale. A) Pavesi: Celanira: Dolce
de’ Bardi il canto. B) Morlacchi: Tebaldo ed Isolina: Si, ravvisa quel guerriero.
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G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
L’attribuzione alla nona di dominante dello status di nota reale è la prima di due innovazioni che riguardano il sesto grado della scala. L’altra prende le mosse da un nuovo trattamento del caratteristico salto discendente dal
quarto al sesto grado (nell’esempio di Morlacchi appena riportato, la discesa avviene dal la al do diesis). Questo salto era all’epoca di frequente uso
sull’armonia di sottodominante, contesto nel quale si configura come un salto da una nota reale a un’altra. Velluti però lo inserisce abitualmente anche
sull’armonia di dominante, sulla quale la nota d’arrivo prende il carattere di
appoggiatura. Vale a dire: le ultime due note della scala, la sopradominante
e la sensibile, possono presentarsi in qualsiasi ordine come appoggiatura e
relativa risoluzione. La sensibile risolve per moto discendente sulla sopradominante nel punto più alto della frase, oppure nel registro più grave la
sopradominante risolve sulla sensibile per moto ascendente.
L’importanza di questo uso per il linguaggio melodico romantico può essere sintetizzata in una celebre frase musicale di Chopin: nel Notturno op. 9
n. 2 le suggestioni belcantistiche scaturiscono principalmente dalla presenza
della sensibile come “l’acuto” della cadenza e la sopradominante come “il grave”. Il linguaggio melodico del Settecento non permetteva né l’uno né l’altro.
Qualora volessimo inserire sia la cadenza di Chopin nell’aria di Morlacchi
che la variazione di Velluti nel Notturno, entrambi i tentativi risulterebbero
perfettamente coerenti rispetto all’ambiente musicale in cui si collocano.
Es. 14 Trattamento della sensibile e della sopradominante sull’armonia dominante. Chopin: Notturno op. 9 n. 2.
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Un altro inedito utilizzo dell’appoggiatura è possibile nel modo minore facendo ancora ricorso alla nona di dominante. L’appoggiatura superiore
della nona minore è la decima minore, ovvero l’ottava diminuita sopra la terza dell’accordo. Ciò innesca un forte attrito fra l’ornamentazione e l’armonia
prevalente (negli esempi riportati di seguito a do e sol naturali si oppongono
rispettivamente do diesis e sol diesis):
Es. 15 Ottava diminuita su un impianto armonico in tonalità minore. a) Perucchini: Il
pianto (arietta); b) Fane: Fedra: Dell’odiata stirpe.
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35
CRUTCHFIELD
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L’ampliamento del concetto di sottodominante nello stile di Velluti
è meno radicale, dal momento che l’accordo di quattro suoni era stato
da tempo teorizzato nei manuali d’armonia – si tratta del classico double
emploi descritto da Rameau, nel quale indifferentemente sia la sopratonica che la sottodominante possono essere considerate la fondamentale
dell’accordo – ma ad essere percepito come originale risulta il suo impiego
in chiave melodica. La sottodominante nella musica italiana dell’epoca
era rappresentata senza priorità gerarchiche dal semplice IV grado (che
contiene il quarto, sesto e primo grado della scala) o dalla triade di sopratonica in primo rivolto (al cui interno il secondo grado sostuisce il primo).
Appare come settima talvolta in primo rivolto (II65) e occasionalmente in
stato fondamentale, con la sopratonica nel basso, specie in progressione
(II o II7, ancora una volta secondo la teoria di Rameau).
Ex. 16 Possibili articolazioni dell’armonia di sottodominante (illustrata in sol maggiore).
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II 7
Nelle ornamentazioni di Velluti, la linea vocale può servirsi indifferentemente di queste quattro versioni, senza preoccuparsi di quale sia quella
fornita dall’accompagnamento. A tal riguardo un’icastica dimostrazione
viene offerta dalla scena del Tebaldo ed Isolina descritta in precedenza da
Ebers e Pacini:
Es. 17 Trattamento della sopratonica come nota cordale sull’armonia di sottodominante.
Morlacchi: Tebaldo ed Isolina: Caro suono lusinghier. A) Originale di Morlacchi. B) dalla
trascrizione di Holst. C) dalla trascrizione di Alary.
36
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G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
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In questo caso l’armonia orchestrale è un’accademica triade di sottodominante (IV), e il sol nel punto più acuto della linea vocale di Morlacchi è distintamente percepito come un’appoggiatura del fa della triade; il
sol successivo, a fine battuta, potrebbe avere la funzione di una semplice
nota di passaggio. Ma in quasi tutti i sei arrangiamenti e trascrizioni che
testimoniano le intepretazioni del brano da parte di Velluti, il sol è trattato
senza dubbio come una nota facente parte dell’armonia. Si fa qui seguire
l’esempio 17b da una riduzione che mostra come le appoggiature risolvano in successione sulle quattro note dell’accordo; l’esempio 17c elimina
qualsiasi ambiguità già a priori: il sol di partenza non risolve su un fa, ma
viene ornato dalla propria nota d’approccio inferiore, il fa diesis – uso che
conferma lo status del sol come nota reale.
Nel frattempo la compresenza di tonica e sopratonica nelle prime posizioni melodiche quando l’accordo di settima sul secondo grado è in primo
rivolto (II65) – combinato col fatto che entrambe le note possono essere
percepite come note di passaggio – apre la porta a un’ulteriore possibilità:
tonica e sopratonica interagiscono con la mediante, a tutti gli effetti una
nota dissonante in qualsiasi disposizione dell’armonia di sottodominante.
Non a caso una delle soluzioni vocali più spumeggianti di Velluti consistette nel porre particolare enfasi sul terzo grado della scala posto sul punto
più alto di una frase sull’armonia di sottodominante – e ancora una volta
il risultato ricorda la scrittura di Chopin:
Es. 18 Mediante enfatizzata sull’armonia di sottodominante. A) Fane: Fedra: Deh! non
soffrir che oppressa. B) Chopin: Notturno op. 15 n. 2.
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Infine, possiamo chiudere il cerchio del double emploi di Rameau, osservando gli stessi principi applicati nel momento in cui la sottodominante è rappresentata dalla triade sul secondo grado in stato fondamentale,
come è il caso di un’arietta di Vaccai variata da Velluti. Quando l’armonia
cambia in un accordo di re minore, Velluti continua però ad adoperare i do
– ora in effetti una settima sopra il basso – come note reali, considerandoli
parte di un accordo di settima di seconda specie.
Ex. 19 Fioritura su una triade di sopratonica in posizione fondamentale. Vaccai: Api erranti
(canzoncina).
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Occorre segnalare un’ultima caratteristica: l’originale impiego della
sensibile di cui si è detto sopra fu spinto da Velluti ben al di là di ciò
che si può spiegare attraverso il tradizionale modello delle appoggiature
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
con le rispettive risoluzioni. Il castrato, infatti, decise abitualmente di
risolvere la sensibile facendola scendere (e non salire) sull’armonia di
tonica – anche, sorprendentemente, quando l’accordo di tonica si trova
in stato fondamentale. Nella scrittura settecentesca, una tale risoluzione
era ammessa solo a condizione che la sensibile procedesse come nota di
passaggio preceduta dal suo approccio superiore, ovvero dalla tonica;
nello stile che Velluti ha contribuito a formare, quest’ultima regola viene
rifiutata.
Es. 20 Sensibile che risolve scendendo sull’armonia di tonica. A e B) Fane: Fedra: Deh! non
soffrir che oppressa. C) Perucchini: Il pianto (arietta). D) Morlacchi: Tebaldo ed Isolina:
Caro suono lusinghier (trascrizione di Sola).
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Non è da escludere l’ipotesi che qualcuno prima di Velluti abbia introdotto queste novità; difatti si trovano qua e là esempi della comparsa
fugace di una sensibile che risolve per moto discendente sull’accordo di
sesta o di quarta e sesta, come nell’esempio 20c. Tuttavia non sono a conoscenza di altri artisti che in passato l’abbiano adoperato con la marcata
enfasi evidenziata dagli altri esempi, procedimento che però diverrà d’uso
corrente da parte di Bellini, Donizetti, Verdi e Chopin (Es. 21; per Bellini
vedi l’es. 33 più avanti).
Es. 21 Sensibile che risolve scendendo sull’armonia della tonica. A) Verdi: La forza del destino: Urna fatale. B) Donizetti: Lucrezia Borgia: Tranquillo ei posa. C) Chopin: Notturno
op. 32 n. 2.
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una linea melodica su tutte le tre armonie (tonica, dominante, sottodominante), prassi alla quale Velluti diede conseguente rilievo nelle sue frasi
solistiche, permeate così da un deciso slancio romantico. L’esempio 22
compendia tutte le tre risoluzioni nell’arco di poche battute:
Es. 22 Sensibile che risolve scendendo su tutte le armonie. Fane: Gentil usignuolo (canzonetta).
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CRUTCHFIELD
Che ciò fosse percepito come una marcata novità possiamo dedurlo
anche attraverso la testimonianza di un osservatore poco incline a lasciarsi
sedurre. Nel recensire per l’«Harmonicon» un arrangiamento di «Ah che
forse, Celebrated Air as sung by Signor Velluti» 43, l’anonimo critico elenca fra le sue rimostranze «the sharp seventh of the key falling» [il settimo
grado non bemollizzato discendente], che a suo dire risulta «highly displeasing to a well-educated ear» [sommamente sgradevole a un orecchio raffinato]. Le orecchie della successiva generazione sarebbero state educate
in modo alquanto diverso, e Velluti contribuì non poco a quello sviluppo.
Prassi caratteristiche
Gli argomenti finora trattati riassumono le innovazioni “progressiste”
di Velluti; tuttavia non finisce qui la portata del suo contributo. Bisogna
prendere in esame anche il trattamento che il cantante riservò alle ornamentazioni già storicamente codificate, incluse quelle tra le cui possibili
forme la variante preferita da Velluti venne in seguito generalmente adottata. Gli ascoltatori dell’epoca riuscivano a percepire nei più piccoli dettagli decorativi la cifra personale di un artista; un esempio ci è fornito da
un Air varié pubblicato nel 1827 da Charles de Bériot (futuro marito della
Malibran) e recensito nello stesso anno da Bacon, il quale afferma che «we
have more than once heard M. de Bériot distinguished as the Velluti of
instrumentalists» [abbiamo sentito dire in più occasioni che M. de Bériot
sia il Velluti degli strumentisti] e indica un passaggio che oggigiorno ci
sorprende più che altro per non essere affatto sorprendente:
Es. 23 Frammento di scala che si alterna con la dominante. De Bériot: Sixième air varié.
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Si tratta di una breve quanto stereotipata figurazione (un frammento
di scala che per moto discendente raggiunge la tonica, interrotto però dal
ritorno alla dominante). Eppure, Bacon si prende la briga di stampare le
due battute separatamente e di affermare:
42
They who have heard Velluti will discover the resemblance instantly, and little
touches of this kind all through the piece evince who is, in a slight degree, M. de
43
Review: Piano-forte Music [recensione anonima], in «The Harmonicon», VII (1829), p 44. Non
viene indicato il compositore né sulla pubblicazione, né sulla recensione; tuttavia l’aria richiamava
un pastiche che accostava un cantabile di Pacini con una cabaletta di Bonfichi. Capitava di frequente
di ascoltarla nei concerti e veniva interpolata dalla Pasta in Zelmira. Non sembra essere la battuta
giusta quella nella quale il recensione avrebbe rintracciato la discutibile settima discendente, anche se
nell’adattamento ne ricorrono altrove diversi esempi.
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
Beriot’s model, and he cannot have pitched upon a finer for the minute shades of
feeling, in which he (M. de B.) is so eminently successful 44.
[Chi ha ascoltato Velluti si renderà immediatamente conto della somiglianza,
e i leggeri tratti di questo tipo che attraversano il brano ci permettono di intuire
il modello al quale M. de Bériot fa lieve allusione. Non avrebbe potuto sceglierne
uno migliore per esprimere le sfumature più sottili del sentimento nelle quali M.
de Bériot si distingue tanto.]
Questo genere di commenti – come nel caso del giudizio espresso
da Meyerbeer sugli intervalli diminuiti, così come quello sulla «sharp
seventh of the key falling» del critico dell’«Harmonicon» – vale più di
quanto sembri. Il disegno in questione, che probabilmente non avrebbe
destato la nostra curiosità senza la segnalazione di Bacon, non si trova
negli spartiti più noti di Mozart o Cimarosa, mentre compare qua e là
in Verdi, ed è di frequentissimo uso come frase finale negli abbellimenti delle sorelle García (Maria Malibran e Pauline Viardot). Velluti ne
fece costante ricorso, anche in retrogradazione, ovvero con il frammento di scala per moto ascendente e la dominante ribattuta nel registro
inferiore.
Es. 24 Frammento di scala che si alterna con la dominante. A) Mercadante: Andronico:
Soave immagine (arrangiamento di Bochsa). B) Fane: L’amor timido (cantata).
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[RICHARD MACKENZIE BACON,] New Flute and Violin Music, in «Quarterly Musical Magazine and
Review (QMMR)», (1827), p. 261. La nostra citazione del frammento musicale segue l’edizione
Litolff del sesto Air varié di de Bériot; la versione di Bacon ne omette alcune indicazioni espressive,
oltre a collocare erroneamente le linee di battuta.
43
CRUTCHFIELD
Non è certo necessario supporre che Velluti avesse l’esclusiva su queste
soluzioni melodiche; ma è pur vero che se tale pratica fosse stata ampiamente diffusa, il critico non avrebbe potuto credere di scorgere l’influenza
di Velluti su Bériot. Come si potrà a breve appurare, anche altri recensori
ebbero modo di riconoscere la stessa influenza su un compositore molto
più noto. Per il momento rileveremo nell’ampio ventaglio di «little touches
of this kind» solamente alcuni fra quelli più comunemente adottati.
Ne vediamo uno nell’es. 24b, dove, in corrispondenza della figurazione discendente sulla parola “vuoi”, la terzina comincia col ripetere la
nota precedente (in assenza di una nuova sillaba). Si tratta di un elemento musicale appartenente alla tradizione. Nella sua Nouvelle méthode
de chant et de la vocalisation del 1810 Alexis de Garaudé afferma, a
proposito di quelle da lui definite doppie appoggiature, «on les écrit de
diverses manières; mais c’est toujours une petite note, répétition du son
précédent, sur laquelle on appuie la voix.» 45 [si scrivono in diversi modi;
ma è sempre una notina, ripetizione del suono precedente, sulla quale si
appoggia la voce].
Es. 25 Doppia appoggiatura secondo de Garaudé 1810.
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Peter Lichtenthal, nel suo Dizionario del 1826, fornisce una descrizione simile di quelle che «si potrebbero chiamare Appoggiature doppie, ed
anche Appoggiature aspirate» 46:
Es. 26 Doppia appoggiatura secondo Lichtenthal.
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profonda influenza nel consolidamento della prassi della nota ripetuta all’interno del vocabolario comune; questa coloratura è una costante
nella prima raccolta di arie annotate di Domenico Corri, composta al
culmine della prima popolarità londinese di Pacchierotti 47. Tuttavia si
tratta di consolidamento, non di “scoperta”: la figurazione è presente
ALEXIS DE GARAUDÉ, Nouvelle Méthode de Chant et de Vocalisation, Paris, chez l’Auteur, 1810, p. 50.
PETER [PIETRO] LICHTENTHAL, Dizionario e bibliografia della musica, I, Milano, Fontana, 1826, p. 20.
47
DOMENICO CORRI, A Select Collection of the Most Admired Songs, Duetts, &c., Edinburgh, Corri,
c. 1780. Quattro antologie di Domenico Corri, collocabili cronologicamente fra il 1780 e il 1810,
sono consultabili con maggior chiarezza nell’edizione facsimile Garland del 1993 ad opera di Richard Maunder, in cui le partiture annotate vengono raffrontate con le fonti probabilmente adoperate da Corri.
45
46
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
(nella forma di Garaudé) in una «Aria di Hasse riffiorita da Bernacchi»
conservata presso la British Library e trascritta probabilmente intorno
agli anni Trenta del Settecento 48.
In ogni caso Velluti aveva, di questo disegno, una variante preferita
(o meglio uno sviluppo) nella quale la prima nota è preceduta dal grado
superiore e la nota ripetuta dà il via a una terzina discendente. Dopo la
terzina, secondo il contesto, la linea può ribattere la nota d’arrivo della
terzina, come nell’es. 24b, o tornare al grado superiore, oppure proseguire
in moto discendente come nell’es. 27 49:
Es. 27 Frase finale con ribattuta interna. Rossini: Ciro in Babilonia: T’abbraccio, ti stringo.
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questa cellula come totalmente assorbita nello stile ottocentesco per l’accentuazione piana del verso italiano: «Casta diva che inargenti» (Norma),
«Ah! non credea mirarti» (La sonnambula), «Vivi, ingrato, a lei d’accanto» (Roberto Devereux), «Al vegliardo la figlia ridate» (Rigoletto), ed «E
di morire insieme» (Don Carlo) sono solo alcuni fra i numerosi esempi
che potremmo fornire a tal riguardo (Verdi prediligeva ripetere il modello
due volte, con un’acciaccatura la prima volta e una terzina la seconda,
come in ambedue i casi appena citati). In secondo luogo, l’ampliamento
del concetto di appoggiatura gioca un ruolo chiave nella diversificazione
di una specifica sezione della frase melodica, ossia quella che segue il suo
ultimo accento metrico.
Nella scrittura musicale del Settecento e del primissimo Ottocento,
GB-Lbl R.M.23.d.5. Antonio Bernacchi era un castrato bolognese che calcò le scene a partire dal
1700 circa fino agli anni Trenta del XVIII secolo. Alla stregua di Velluti, nell’ultima fase della sua carriera – a partire dal 1729 – fu attivo a Londra, tornando in Inghilterra – in un periodo di cui ignoriamo
la precisa datazione – per insegnare l’arte del canto. L’aria è tratta dal Siroe (Bologna, 1733) e venne
eseguita a Londra la prima volta nel 1736. Sebbene Bernacchi avesse collaborato con Hasse in altre
opere, non abbiamo testimonianze del suo coinvolgimento nel Siroe, in cui il ruolo di protagonista
principale – al quale l’aria appartiene – venne interpretato sia a Bologna che a Londra da Farinelli.
Nessun documento, oltre la frase qui citata, chiarisce la provenienza del manoscritto.
49
Questo esempio è tratto da un curioso e diffuso adattamento di un’aria del Ciro in Babilonia, nel
quale il testo di una sezione della Gran Scena di Ciro («T’abbraccio, ti stringo») è stato trasposto sulla
musica di un’altra sezione (originariamente «E lieto, e contento»). Gli ornamenti per il passo di Velluti
– sia quelli pubblicati, che quelli manoscritti – sono entrambi basati sulla versione adattata.
48
45
CRUTCHFIELD
la frase termina generalmente o con una sola nota sull’accento tonico,
o con un movimento semplice da una nota reale a un’altra, oppure con
un’appoggiatura (o due note uguali in attesa che il cantante esegua un’appoggiatura). Queste sono le opzioni adoperate dai quattro compositori
citati nell’es. 28, sulle parole “catene,” “cessate,” “accento” e “cielo.” Velluti mutuò da alcuni suoi colleghi più anziani, sviluppandola sotto l’egida della propria sensibilità artistica, la pratica di impreziosire con stilemi
fortemente caratterizzati queste terminazioni piane. Potremmo imbatterci
in una fioritura che svetta all’ottava superiore (Es. 28a), oppure in un
breve pezzo di bravura sia per rapido moto ascendente che discendente
(Es. 28c) o in una fitta trama espressiva di appoggiature e note sfuggite
(Esempi 28b, 28d):
Es. 28 Elaborazioni di cadenze femminili. A) Mayr: Lodoviska: Parto, ti lascio. B) Nicolini:
Balduino: Nere, funeste immagini. C) Morlacchi: Tebaldo ed Isolina: Si, ravvisa quel guerriro. D) Mercadante: Andronico: Soave immagine (linea superiore: stampata da Piggott;
seconda linea: stampata da Willis; terza linea: stampata da Mechetti).
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Ancora una volta pagine celebri ci rammentano come, nel futuro,
questa parte finale della frase sarebbe diventata un punto nevralgico
del linguaggio melodico: «Se ogni speme è a noi rapita» (I Capuleti
e i Montecchi), «Mi guidò furtivo e in pianto» (I Puritani), «Ai verdi
platani / al quieto rio» (Anna Bolena), «Tutto parlarmi intorno» (Nabucco).
Un ulteriore “marchio di fabbrica” di Velluti è rappresentato da un
gruppo di cellule discendenti che, sebbene si articolino in profili scalari,
non sono un mero movimento per gradi congiunti. Talvolta il cantante decide di spostarsi su un registro più acuto dell’armonia solo per esibirsi in
una di queste discese. La figurazione che probabilmente con più frequenza
venne eseguita si sviluppa attraverso coppie di note di cui la prima nota
ripete quella immediatamente precedente (Esempi 29a e 29b; cfr. anche la
terza battuta dell’es. 28b sopra). Si trovano anche versioni nelle quali la
nota ribattuta si presenta come acciaccatura (29c) e versioni sviluppate in
terzine (29d) e quartine (29e).
47
CRUTCHFIELD
Es. 29 Cellule ornamentali attraverso scale discendenti. A) Mercadante: Andronico: Soave
immagine (stampata da Mechetti). B) Morlacchi: Tebaldo ed Isolina: Caro suono lusinghier (trascrizione di García). C: Fane: Fedra: Amor soave. D e E) Nicolini: Balduino:
Nere, funeste immagini.
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G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
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Anche questi disegni giunsero, come lascito, ai compositori – in particolare le semplici coppie dell’esempio 29a (forniscono esempi a noi familiari: «Vien diletto» nei Puritani e «Sempre libera» nella Traviata), ma
anche le forme più elaborate (cfr. es. 29d con «Ah! colà dimentico» in
Anna Bolena).
Un’altra abituale prassi, forse sorprendente in un cantante del periodo aureo della fioritura, ma di grande importanza in prospettiva, fu
l’introduzione di abbellimenti non sui melismi bensì nelle ripetizioni di
porzioni di testo in stile declamato. Nel bagaglio decorativo di Velluti,
fra i numerosi esempi di questo gusto ornamentale si segnala il caso
emblematico tratto dal Tebaldo ed Isolina, ripreso fedelmente da Donizetti nel verso «non lasciarti, non lasciarti lusingar», nel primo atto
di Anna Bolena:
Es. 30 Ornamentazione declamatoria. Morlacchi: Tebaldo ed Isolina: Sì, ravvisa quel
guerriero.
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Due ultimi esempi testimoniano l’adesione di Velluti ad alcune “maniere” settecentesche. Il primo viene fornito da una decorazione scritta sotto
forma di notina, che attraverso un intervallo ascendente di terza o ancora
più ampio sale verso la nota principale. Si tratta di un altro mezzo di radicata tradizione di cui ignoriamo le origini, visto che verosimilmente venne
adottato a lungo prima che fosse avvertita l’esigenza di fissarlo in notazione. La peculiarità che emerge dall’impiego che ne fece Velluti risulta coerente rispetto a ciò che è stato documentato finora: Domenico Corri e gli
altri precursori collocarono questa notina sempre sulla nota reale, mentre
Velluti spesso la colloca su qualsiasi nota sia stata appena cantata, anche
se quest’ultima dovesse risultare dissonante rispetto alla nuova tonalità
49
CRUTCHFIELD
d’impianto, creando a tutti gli effetti una sospensione (vedi con particolare
riferimento gli esempi 10b, 27, 28b, 28d, 29b).
L’altra soluzione, una nota ribattua reiterata, si profila come evoluzione di una prassi virtuosistica risalente all’epoca barocca, che viene declinata attraverso un ampio ventaglio di varianti:
Es. 31 Ribattute. A, B, C) Morlacchi: Tebaldo ed Isolina: Caro suono lusinghier (trascrizioine di García). D) Rossini: Aureliano in Palmira: Mille sospiri e lagrime (linea superiore,
stampata da Boosey; seconda linea, partitura manoscritta di Belluno).
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G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
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Il modello di ribattuto più frequente nella fase aurea del belcanto si
sviluppò in forma sincopata (come nei momenti culminanti di «Casta
diva», nel concertato di Lucia di Lammermoor e in «Sempre libera»); nasce spontanea la tentazione di chiedersi se nel secondo rigo dell’esempio
qui sopra riportato (quello tratto da Aureliano in Palmira, frettolosamente
scritto su una partitura del brano) l’esecuzione delle crome non potesse
prevedere una loro legatura alle successive semiminime.
Il contesto
Quello finora esposto è un sintetico excursus storico sulle evoluzioni della melodia belcantistica attraverso la prassi di Velluti. Quali contributi giunsero invece da parte di altri musicisti? Ovviamente,
non possiamo stabilire con certezza gli artifici di qualsiasi innovazione musicale, tantomeno quando tali cambiamenti sbocciano nell’alveo
dell’improvvisazione; non possiamo porre in relazione i pochi ornamenti scritti su pentagramma con i molti tramandati oralmente. Nonostante tutto, il corredo epistemologico in nostro possesso ci permette
di inserire Velluti in un preciso contesto. Con sufficiente credibilità si
può affermare che le innovazioni finora descritte risultano o assenti
o poco sviluppate nell’ornamentazione dei contemporanei e predecessori di Velluti, tra i quali Luigi Marchesi, Giuseppe Viganoni, Girolamo Crescentini, Elizabeth Billington, Andrea Nozzari, García senior e
Angelica Catalani (tutti nati fra il 1754 e il 1780). Una variazione di
Nozzari, probabilmente da datare verso il 1811, funge da caso paradigmatico: si tratta di una melodia puramente diatonica di Cimarosa,
variata in maniera elegante e con equilibrato virtuosismo 50. Sebbene
non manchino in Nozzari cromatismi o dissonanze, tuttavia la linea50
Questa è una delle tre arie con ornamentazioni che Antonin (Antoine) Reicha trascrisse per il
suo Traité de la mélodie (Paris, 1814). Reicha racconta come l’habile chanteur gli abbia cantato più
volte le arie, in modo da facilitarne un’accurata trascrizione, ma non specifica l’identità dell’autore.
Le variazioni corrispondono però a quelle qui riprodotte, che vengono attribuite a Nozzari da Henri
Gilles, allievo di Reicha, nel suo Complete Vocal Instructor (Baltimore, c. 1814). Nozzari lasciò Parigi
51
CRUTCHFIELD
rità del suo linguaggio emerge con ogni evidenza nel confronto con le
ardite soluzioni di Velluti; gli insoliti profili melodici finora osservati
sembrano estranei allo stile del tenore.
Figurazione 1 Aria di Cimarosa con fioriture di Andrea Nozzari.
52
In due ambiti si riscontrano maggiori affinità con il linguaggio di Velluti: nella musica per strumenti a tastiera – con particolare riferimento ai
notturni e ai movimenti lenti scritti a partire dalla metà degli anni Dieci
dell’Ottocento da John Field – e nei metodi di canto nei quali, soprattutto
tra i solfeggi, vengono presentate per esigenze didattiche soluzioni ornamentali paradigmatiche, come ad esempio l’appoggiatura inferiore. Fra gli
autori di questi compendi spicca il già menzionato Alexis de Garaudé, che
pubblicò due versioni principali della sua Méthode – una nel 1810, l’altra
nel 1825 – spiegando nella seconda i motivi della necessità di una revisione del testo precedente 51:
Il est difficile de nier que le style du chant n’ait éprouvé, depuis 15 ou 20 ans,
une de ces espèces de révolutions musicales qu’il a déja subi plusieurs fois, depuis
nel 1811 per trasferirsi a Napoli; è dunque probabile che le variazioni fossero state trascritte qualche
anno prima della pubblicazione dei due volumi.
51
ALEXIS DE GARAUDÉ, Méthode complète de chant, Paris, chez l’auteur, 1825, avantesto. Questo
commento non è presente nella pubblicazione indicata come “seconde édition”, un’elaborazione di
quella che a tutti gli effetti risultava già la seconda edizione del volume.
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
un siècle, et qui en ont changé ou modifié la nature, à beaucoup d’égards. Rossini
et les Compositeurs de son École, les chanteurs célèbres pour qui leurs Opéras
ont été écrits, furent les moteurs de cette révolution, dont les innovations ont
acquis une nouvelle force par le suffrage éclatant et unanime du public de toutes
les Capitales de l’Europe.
[È difficile negare che lo stile vocale non abbia subito, da quindici o vent’anni,
una di quelle rivoluzioni musicali dalle quali è stato interessato parecchie volte da
un secolo a questa a parte e che, sotto molti punti di vista, ne hanno cambiato la
natura. Rossini e i compositori della sua scuola, i cantanti famosi per i quali quelle
opere vennero scritte, furono i motori di questa rivoluzione, le cui innovazioni
hanno acquisito una nuova forza dall’approvazione dirompente e unanime da
parte del pubblico di tutte le capitali europee.]
Il compositore francese, sebbene guardi con favore al nuovo stile vocale, continua a sostenere opinioni ampiamente condivise sulla necessità di
conservare antiche virtù e spiega che
[...] les longs séjours que j’ai fait en Italie, les conseils des grands Maîtres
et des célèbres chanteurs que j’y ai recherchés avec empressement, m’ont déterminé à essayer de composer, sous l’influence du beau climat de ce pays, un
nouvel ouvrage sur l’art du Chant, beaucoup plus complet dans ses divers rapports que ceux publiés jusqu’à présent. C’est à Naples, à Florence, à Venise et
à Milan, c’est sur ces terres classiques de la Mélodie que j’ai écrit les Vocalises
de cette Méthode, dont le but est d’essayer de donner un exemple du style usité
en Italie, à la fin de 1825, et d’exercer les jeunes Artistes à la parfaite exécution
des tournures de chant nouvelles, et des difficultés introduites dans les Opéras
modernes.
[i lunghi soggiorni che ho fatto in Italia, i consigli dei grandi maestri e
dei celebri cantanti che ricercavo avidamente, mi hanno convinto a cercare di
comporre – sotto l’influenza del bel clima di questo paese – una nuova opera sull’arte del canto, molto più completa nelle sue diverse parti rispetto alle
precedenti pubblicazioni. Napoli, Firenze, Venezia, Milano: è in queste terre
classiche della melodia che ho scritto i vocalizzi di questo metodo, il cui scopo
è di tentare di fornire un esempio di stile in voga in Italia alla fine del 1825 e
di esercitare i giovani artisti alla perfetta esecuzione sia delle colorature della
nuova maniera di canto, sia delle difficoltà tecniche introdotte nelle opere moderne.]
Garaudé conclude il suo intervento con l’auspicio che gli studenti possano aspirare – come lui stesso ha cercato di fare –
[...] à réunir les avantages de la Méthode large et expressive des Gabrielli, des
Mara, des Morichelli, des Pacchierotti, des Marchesi, des Crescentini, à l’élégance
et au brillant de la manière de chanter des Velluti, des Fodor, des Pasta, des David, des Rubini, et des Lablache.
[a coniugare i benefici del metodo ampio ed espressivo di Gabrielli, Mara,
Morichelli, Pacchierotti, Marchesi e Crescentini con l’eleganza e la brillantezza
dello stile vocale di Velluti, Fodor, Pasta, David, Rubini e Lablache.]
53
CRUTCHFIELD
Come si evince dalle variazioni conservate da Luigi Marchesi, l’idealizzazione nostalgica svolse un ruolo non trascurabile nella costruzione del
luogo comune che definiva sempre il vecchio stile come “ampio ed espressivo”. Comunque ciò che colpisce maggiormente nelle parole di Garaudé
è aver collocato Velluti a capo del secondo gruppo – composto da colleghi
più giovani di almeno dieci anni – e non nel primo, in cui figuravano tre
castrati. Poche delle usanze innovative di Velluti si trovano nella prima
edizione della Méthode, e quelle poche in forma limitata. In quella del
1825 invece ci sono quasi tutte, e si ritrovano largamente nelle variazioni
dei cantanti elencati da Garaudé nel secondo gruppo (ai quali potremmo
aggiungere i nomi di Marco Bordogni e Laure Cinti-Damoreau).
Si può dunque affermare con sicurezza che Velluti fu magna pars
in una serie di evoluzioni che trasformarono radicalmente la natura
stessa della melodia italiana. Se volessimo prendere per oro colato le
più forti asserzioni di Bacon, Pacini e altri, avremmo qualche cosa di
più: un carismatico e dotato melodista che favorì fortemente il nuovo
corso del mondo musicale italiano, lasciandovi la propria personale impronta. Un compositore, a tutti gli effetti – benché attivo solo nel circoscritto ambito dell’invenzione melodica – il quale introdusse mezzi
espressivi che in breve tempo permearono tutta la musica vocale e non
solo. Sebbene non sia possibile definire in modo decisivo la responsabilità personale di Velluti rispetto a queste innovazioni, non ci sono
dubbi sull’impatto delle innovazioni stesse: divennero l’essenza della
melodia belcantistica.
Presentiamo uno degli esempi più semplici, tratto dal Pirata di Bellini.
Il motivo iniziale di «Col sorriso d’innocenza» – ornamentazione a parte
– è nient’altro che una scala diatonica discendente dalla dominante alla
tonica, all’interno della quale Bellini, nel comporre le sue variazioni, si
concentra sui soli gradi di mediante, sopratonica e tonica. “Ornamentazione a parte” – ma l’ornamentazione è tutto. Ecco lo scheletro, al quale
seguiranno – corredate da una breve analisi – le quattro variazioni (quelle
suonate dal flauto solista sono qui trascritte un’ottava più bassa).
Es. 32 Scheletro melodico con le quattro variazioni ornamentali. Bellini: Il pirata: Col
sorriso d’innocenza.
54
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Per Bellini, così come tanto spesso per Velluti, il primo procedimento
da attuare consiste nell’aggiungere quelle che un critico pedante avrebbe
immediatamente bollato come “troppe appoggiature” – ciascuna nota riceve la propria:
& b y. y y. y y. y y. y y. y y
y
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
Così è stabilito come base, come norma, il ciclo perpetuo di dissonanza-risoluzione. Nella seconda variazione, lo stesso disegno riappare affiancato da un secondo che colma la frase d’intensità attraverso la ripetizione
interna: un’appoggiatura cromatica inferiore è introdotta, subito ripetuta,
poi seguita da una ripetizione compressa della frase d’approccio:
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y
& b y . y y . y #y y y y y . y y . ny #y y y y y . y y . ny
6
L’inizio della terza variazione si aggrappa quasi ossessivamente al si
bemolle, come se fosse pericoloso abbandonarlo, come se quest’ultimo
e non la nota reale (il la) fosse diventato il centro di gravità. La tensione
accumulata viene risolta nella seconda metà della frase per mezzo di intervalli più ampi e note sfuggite. Come Velluti nell’es. 11, Bellini propone tre
volte la stessa figurazione ritmica con intervalli sempre diversi.
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6
6
6
6
L’ultima variazione sfrutta ancora altre possibilità dentro lo stesso ritmo, e si apre all’uso ancora piu libero delle note sfuggite: sul terzo tempo
la filigrana ornamentale lievita fino alla sensibile (mi) come apice della
frase:
y
& b y. y y. y y y y y. y y y. y y y
6
3
6
yyy
y
Il mi risolve sul re, ma il re, a sua volta, non trova sviluppo: ci troviamo
nuovamente al cospetto di una «sharp seventh of the key falling» e di una
sopradominante considerata alla stregua di una nota reale a sé stante. In
tutte e quattro le variazioni le note “principali” – le altezze strutturali dello
scheletro – occupano la parte più piccola dello spazio ritmico. Solo in un
unico frangente, ovvero nella terzina della quarta variazione, un quarto
comincia su una nota consonante, e in questo caso – tanto siamo abituati
all’appoggiatura si bemolle – il do consonante viene percepito non come la
nota reale che è, bensì come un’intensificazione del dissonante si bemolle
verso la propria risoluzione. L’estrema frequenza con cui Velluti applica la
dissonanza è ormai diventato il cardine della sintassi melodica.
L’intero cantabile, infatti, si può leggere come un compendio della personale interpretazione del linguaggio vellutiano da parte di Bellini, che,
secondo l’espressione di Pacini, ne ha fatto “cosa sua”. È possibile riconoscere a colpo d’occhio lo squisito ricamo della sezione centrale nel suo
rapporto con gli esempi sopra analizzati: le lunghe appoggiature che risolvono in veloci figurazioni che a malapena sfiorano le note principali, a loro
55
CRUTCHFIELD
volta basate su ulteriori appoggiature; la cadenza femminile che si libra
fino all’ottava superiore; la discesa per coppie con ribattute che arrivano a
un’appoggiatura cromatica non preparata.
Es. 33 Bellini: Il pirata: Col sorriso d’innocenza (due estratti).
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In prossimità della climax sentiamo ancora la mediante sospesa sull’armonia di sottodominante e, ancora una volta, una «sharp seventh of the
key falling», in questo caso sull’accordo di quarta e sesta:
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col canto
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yy
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È in gran parte merito di questa aria se Maria Callas nel 1958 poté
dimostrare come il linguaggio di Bellini riuscisse a esprimersi con sensibilità moderna, pur senza il sostegno della popolarità e della tradizione
che vantavano Norma, La sonnambula e I Puritani. Ciò che Bellini aveva
dimostrato centotrent’anni prima con la sua opera rivoluzionaria, era che
l’approccio melodico espresso da Velluti poteva alimentare non il vacuo
acrobatismo, così facilmente vituperato dai non esperti, ma rappresentare
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
le fondamenta che nelle mani di un genio potevano servire a costruire
un linguaggio melodico fortemente personale e di straordinaria potenza
espressiva.
III. RAPPORTI CON ROSSINI
Sia Velluti che Rossini raggiunsero l’apice della loro carriera italiana
nello stesso periodo. Il castrato nacque dodici anni prima del Pesarese e
debuttò come cantante quando Rossini era ancora fanciullo, ma quest’ultimo fece progressi così rapidi che le due traiettorie trovarono ben presto un moto parallelo. Entrambi condivisero, all’incirca tra il 1812 e il
1824, la fase di massima celebrità in Italia; entrambi poi seguirono strade
all’estero: Rossini a Parigi, Velluti a Londra; la fine degli anni Venti vide il
loro concomitante ritiro dalle scene. Alla luce di tanto parallelismo risulta
ancora più strano che abbiano avuto una sola collaborazione significativa:
quella immortalata nell’aneddoto di Stendhal, con Aureliano in Palmira
andato in scena alla Scala nella stagione 1813-1814.
L’episodio riportato dallo scrittore francese è stato così di frequente
raccontato che sarà sufficiente ripercorrerlo in modo sintetico. Rossini,
che collabora per la prima volta con Velluti, da lui mai visto sulla scena,
ammira la sua interpretazione dell’aria principale nella prima prova; si
trova d’accordo con gli abbellimenti che il castrato comincia ad aggiungere nella seconda; ma durante la terza sembra al compositore che la sua
musica sia quasi svanita sotto le nuove fioriture; e nella recita non è più
in grado di comprendere cosa stia effettivamente cantando il solista. Ciononostante il musico è accolto trionfalmente da un pubblico che recepisce
freddamente il resto dell’opera, la quale cade subito e del tutto in oblio.
L’amour propre del compositore è profondamente ferito, e – in un lungo
monologo interiore brillantemente inventato da Stendhal – Rossini decide
di scrivere d’ora in avanti nelle proprie partiture ogni minimo ornamento,
fino all’ultima appoggiatura, in modo da evitare pretesti per improvvisazioni da parte dei cantanti.
Oltre al tono esagerato (presumibilmente voluto), Stendhal aggiunse
diverse inesattezze. Rossini non entrava in contatto con il suo interprete
per la prima volta: Velluti condivise la stagione 1809 al Comunale di Bologna con la Colbran e il tenore Nicola Tacchinardi (al quale Rossini, in una
lettera scritta qualche anno più tardi, ricordò la circostanza) 52. Se, com’è
probabile, il diciassettenne Rossini assistette a più di una recita, poteva
forse essere in grado di riconoscere non solo la vocalità di Velluti, ma
anche la sua «somma perizia nel frequente variare di modulazione, ed in
quei gruppi di note o fioriture con le quali riveste sempre di nuove bellezze
52
Rossini a Tacchinardi, lettera del 20 gennaio 1818, in Gioachino Rossini. Lettere e Documenti, a
cura di BRUNO CAGLI e SERGIO RAGNI, I, Pesaro, Fondazione Rossini, 1992, p. 238.
57
CRUTCHFIELD
gli stessi pezzi» 53. Come ha correttamente osservato Rodolfo Celletti già
a partire dal 1968 54, non si avverte alcun cambiamento di stile nella scrittura vocale di Rossini dopo l’Aureliano, così come va smentito che nelle
sue opere successive non abbia lasciato più spazio all’improvvisazione dei
cantanti 55. Non è neppure vero, come vedremo in seguito, che l’Aureliano
sia stato dimenticato dopo l’esordio scaligero. Ma Stendhal, pur spesso
inesatto, non è mai completamente falso. Ebbe una conoscenza profonda
del teatro d’opera, e se ha romanzato i fatti per sostenere le proprie argomentazioni, ciò non inficia le argomentazioni stesse. Quella che concerne
l’atteggiamento di Rossini riguardo alle libertà dei cantanti è stato da decenni e continuerà ad essere oggetto di discussione. Più rilevante per le
nostre finalità è l’incontro con Velluti, e a questo punto si può affermare
che, per quanto ci possa essere di inventato in Stendhal, la collaborazione
alla Scala non andò affatto bene.
Indizi di scarsa simpatia vengono da ambedue le parti. Durante il
suo periodo di dominio incontrastato a Napoli, Rossini non si mostrò
ostile alla tradizione del musico eroe, e alla luce dei suoi ben noti encomi nei confronti dei castrati, non sembra probabile che fosse disposto a
rifiutare in linea di principio la loro presenza 56. Ma l’unico castrato di
chiara fama al momento era Velluti, e Velluti – malgrado i suoi travolgenti successi napoletani nel decennio precedente – non tornò al San
Carlo durante il periodo rossinano, né pare che venisse più richiesto.
Per quel che concerne il cantante, la sua celebrità gli concedeva il diritto
di definire il repertorio ovunque si esibisse. Anche Andronico di Mercadante – accolto tiepidamente al suo debutto veneziano e presto dimenticato – venne replicato in altre quattro città per ordine del castrato; Traiano in Dacia di Nicolini, che riscosse maggior successo, addirittura in
tredici. Ma Velluti respinse Aureliano; benché l’opera stessa abbia avuto un apprezzabile riscontro da parte del pubblico (sono documentabili
con certezza tra settanta e ottanta produzioni fra la “prima” scaligera
e il ritiro dalle scene del cantante 57), Velluti non tornò ad interpretarla
58
53
«Giornale del Dipartimento dell’Arno», n. 142 (26 novembre 1812) p. 4, citato in PAOLO MECHELLI,
Alcuni aspetti della produzione operistica di Giuseppe Nicolini in Toscana, in FLORIO et al. cit.
54
RODOLFO CELLETTI, Origine e sviluppi della coloratura rossiniana, in «Nuova rivista musicale italiana», II (1968), pp. 872-919
55
La sua ultima opera scritta per un teatro italiano, Semiramide, presenta ancora alcune cadenze
finali indicate solamente attraverso la corona, così come ripetizioni invariate della cabaletta e simili
opportunità per l’elaborazione solistica. La nostra comprensione della radicale semplificazione della
scrittura vocale nelle successive partiture francesi di Rossini è una questione ancora aperta; la preziosissima ricerca condotta da Damien Colas su documenti musicali e sulla rassegna stampa di questi
lavori ha rivelato che gran parte dello stile ornamentale italiano del compositore fu reinserito nel corso
delle prove e risultò evidente ai critici nelle esecuzioni. È possibile che Rossini fosse più attento a come
un’opera francese dovesse apparire sulla pagina scritta piuttosto che al risultato delle esecuzioni. Cfr.
DAMIEN COLAS, Rossini: L’opéra de lumière, Paris, Gallimard, 1992 e Melody and Ornamentation, in
«The Cambridge Companion to Rossini», Cambridge, Cambridge University Press, 2004.
56
Cfr. EDMOND MICHOTTE, Una serata da Rossini, in «Bollettino del Centro rossiniano di studi», XLIV
(2004), p.125.
57
TOM KAUFMAN, A performance history of Aureliano in Palmira, in «The Opera Quarterly», 15-1
(inverno 1999), pp. 33-37, con i miei più sentiti ringraziamenti ai miei colleghi della Fondazione
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
che dopo ben dodici anni, quando a Londra fu sottoposto a pressioni
per soddisfare la smania del pubblico per le opere rossiniane 58. Ancor
più eloquente in questa prospettiva è il fatto che durante il decennio e
mezzo in cui rimase attivo sulle scene, Velluti non interpretò alcun ruolo
in altre opere rossinane, sicuramente un caso unico tra i cantanti celebri
dell’epoca 59.
I due artisti non furono però nemmeno nemici giurati. Rossini e Velluti collaborarono in apparenza senza particolari attriti all’allestimento della cantata Il vero omaggio, eseguita in occasione del Congresso
di Verona nel dicembre del 1822. Per l’occasione gli interpreti furono
selezionati all’interno della compagnia scritturata al Teatro Filarmonico, dove Velluti stava esibendosi in Tebaldo ed Isolina; Rossini adattò
un’aria estratta dalla precedente cantata La riconoscenza alla tessitura
un po’ più bassa preferita da Velluti, inserendo nella partitura alcuni
tratti tipici dello stile del cantante. Da parte sua, Velluti mantenne nel
proprio repertorio da concerto due duetti dall’Aureliano, uno dei quali, nel 1815, fu da lui interpolato nell’Adolfo di Nicolini 60; oltretutto è
risaputo che Velluti interpretò in concerto almeno altre cinque pagine
rossiniane, di cui tre figurano nell’elenco di arie stampate con le sue
variazioni. Come unica testimonianza diretta di un giudizio reciproco,
si segnala la conversazione sui castrati intrattenuta da Rossini con Edmond Michotte nel 1858: il compositore ricorda di aver scritto un ruolo
per «un des derniers et non des moindres.» 61 [uno degli ultimi, e non
dei meno importanti]. Sebbene ciò suggerisca perlomeno una circospetta stima reciproca, tuttavia non è da liquidare come casuale l’esclusione
dal repertorio di un cantante di rango delle opere del compositore più
acclamato dell’epoca.
La grande popolarità riscossa dal racconto di Stendhal rende complicato stabilire con esattezza come si siano svolti realmente i fatti. Chi
ha citato il presunto litigio dopo il 1824 (e molti lo fecero) potrebbe
Rossini, i quali hanno ampliato in modo sostanziale la cronologia di Kaufman per l’imminente pubblicazione dell’edizione critica dell’opera.
58
Cfr. per esempio The Opera-Signor Velluti (contributo anonimo fornito da “un corrispondente”) in
«The Examiner», [London], 26 febbraio 1826, p. 125. Il giornalista chiede come mai il King’s Theatre
sotto la direzione di Velluti non avesse allestito «some of the operas of Rossini which have never been
represented in England [...]? Simply because Velluti has had a tiff with Rossini, and has taken a vow
never to sing again in any opera of his composition – Fee, fa fum!» [alcune tra le opere di Rossini non
ancora rappresentate in Inghilterra. Semplicemente perché Velluti aveva battibeccato con Rossini,
facendo voto di non esibirsi più nelle sue opere: Fee, fa fum!]
59
Numerosi interventi di sapore aneddotico indicano che Velluti avesse in seguito interpretato altri
ruoli rossiniani, ma non siamo in possesso di materiale documentario a supporto di tale notizia. L’unico riferimento a noi noto che ci offre una versione particolareggiata dei fatti – l’articolo pubblicato
in «The Examiner» appena citato, che asserisce la partecipazione del cantante nella Donna del lago a
Verona e in Semiramide a Venezia – può essere definitivamente accantonato. Velluti, comunque, tornò
ad interpretare un’ultima volta l’Aureliano a Brescia nel febbraio del 1830 (cfr. «Notizie italiane»,
(recensione anonima), in «Il censore universale dei teatri», 10 febbraio 1830, pp. 47-48).
60
Teatri (recensione anonima), in «Giornale di Venezia», 28 giugno 1815, p. 4.
61
MICHOTTE cit.
59
CRUTCHFIELD
aver riportato l’opinione corrente sulla vicenda. Un interessante resoconto precedente a Stendhal arriva dal consigliere privato Alexander
von Miltitz, di cui è ben noto il giudizio negativo sulla Messa di Gloria
che Rossini presentò a Napoli nel 1820 62. Un commento di Miltitz suggerisce che egli fosse personalmente a conoscenza dell’atteggiamento di
Velluti nei confronti dell’operista: nel corso della Messa, secondo Miltitz, si ascoltava
[...] die ganze Reihe der Favoritgänge diese Komponisten durch 32 [sic] von
ihm geschriebene Opern entfaltet, theils erfunden, theils deutschen Meistern gestohlen, theils dem berühmten Velluti abgelernt, der sie, wie bekannt, öffentlich
als sein reklamirt.
[...la serie completa dei passi favoriti che si dispiegano nelle 32 [sic] opere
firmate dal compositore, alcuni di sua creazione, altri rubati a maestri tedeschi,
altri ancora appresi dal famoso Velluti, che, come noto, li rivendica apertamente
come propri.]
L’insinuazione che Rossini potesse aver imitato Velluti spinse Radiciotti ad inserire due punti esclamativi di indignazione nella sua traduzione del passo 63. All’epoca, però, l’opinione di Miltitz era condivisa da
altri, che ritenevano anzi che Stendhal la pensasse come loro. Così Bacon:
[...] that the first composers of the time have adopted his example in their
works we learn from that passage in the Biography of Rossini, which accounts for
the rise and formation of his “second manner” 64.
[che i principali compositori dei nostri giorni abbiano adottato il suo stile (di
Velluti) lo sappiamo da quel passo della Vie de Rossini in cui vengono descritti la
nascita e la formazione della “seconda maniera” del compositore.]
Ancor più esplicito in tal senso fu G. L. Engelbach (come Miltitz militare e melomane), il cui interesse per il teatro d’opera era rivolto non solo
all’epoca di Velluti e Rossini, ma alla fase precedente. In calce a una dissertazione sull’influenza che lo stile di Pietro Generali esercitò sulle opere
di Rossini, Engelbach asserì:
60
From Velluti, also, he has borrowed largely, as regards style and manner; and
he has made good use of these loans; principally, of course, in vocal compositions,
but not in these alone: many of Velluti’s modes of embellishment and diction have
62
A quanto pare pubblicato per la prima volta nello «Stuttgarter Morgenblatt für gebildete Stände»
il 20 settembre 1820, è stato inserito in appendice alla traduzione di Amadeus Wendt dello scritto di
Stendhal e da allora è stato riprodotto su larga scala.
63
GIUSEPPE RADICIOTTI cit., p. 402. Un solo punto esclamativo sarebbe bastato per l’accusa di aver
derubato i maestri tedeschi.
64
[RICHARD MACKENZIE BACON,] Signor Velluti, in «Quarterly Musical Magazine and Review
(QMMR)», VII (1825), p. 269.
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
been engrafted upon the instrumental scores of Rossini. [...] In fact, the styles
of both are strikingly similar; and if the report is as true as it is credible, Rossini
formed his style of embellishment upon that of Velluti 65. [...]
[Egli ha preso in prestito a piene mani da Velluti quanto a stile e maniera,
e ha fatto buon uso di questi prestiti; principalmente, è ovvio, nelle composizioni vocali, ma non solo in queste. Molte modalità di abbellimento e di fraseggio di Velluti si ritrovano nelle partiture strumentali di Rossini. Di fatto gli
stili di entrambi sono straordinariamente simili; e se ciò che si racconta è vero,
oltre che credibile, Rossini formò il suo stile di ornamentazione su quello di
Velluti.]
È ovvio che un artista così universale e affermato come Rossini non
può aver «formato il suo stile» su quello di un solo modello; eppure queste
testimonianze risultano di indubbio interesse. Non ci è concessa la possibilità di ascoltare tutti i cantanti da cui il giovane compositore trasse il suo
modello di ornamentazione. Ma se i testimoni dell’epoca che li ascoltarono
dal vivo avessero ragione nel postulare una ascendenza da Velluti, quali
prove potremmo rintracciare nella musica di Rossini?
Di certo non quelle trovate nel Pirata di Bellini. Se Rossini fa un uso
a volte impressionante di un’appoggiatura cromatica (come non ricordare l’attacco della grande preghiera del Mosè, «Dal tuo stellato soglio»?),
questo rimane tuttavia un effetto isolato, non un modo espressivo abituale. E in effetti Rossini sembra non aver mai condiviso il gusto per il
cromatismo e la dissonanza che animò Velluti: anche nella musica degli
ultimi anni parigini, piena di arditi tentativi armonici, Rossini rimase
ancorato ai solidi pilastri forniti dalle note reali sui tempi forti – a differenza di quel che fecero Verdi e Bellini – e fedele all’ammirazione per
Haydn e Cimarosa.
Ciononostante, in altre situazioni Rossini optò per soluzioni “straordinariamente simili” (Engelbach) a quelle di Velluti. Il pressoché sincronico
articolarsi dei loro percorsi artistici rende inutile qualsiasi tentativo di attribuire paternità all’uno o all’altro. Che si voglia credere o meno al punto
di vista di Miltitz, in ogni caso ci troviamo di fronte a prassi compositive di
indubbia affinità. Citiamo solo quattro esempi tra i molti che si potrebbero
fare:
– Rossini talvolta arricchisce un intervallo con le sue appoggiature “limitrofe,” come nella ripetizione dell’accorato appello di Ninetta a Pippo
nella Gazza ladra:
65
G. L. ENGELBACH, The Characteristics of Rossini’s Compositions, in «The New Monthly Magazine»,
XXVII (1° gennaio 1830), p. 56. Engelbach, dallo stile della sua scrittura, sembra risultare con probabilità lo scrittore identificato da Theodore Fenner come “Critic Z”, un collaboratore di «The New
Monthly Magazine» dal 1824 al 1830, di grande competenza musicale, che altrove fa riferimento a
«25 years of experience with opera» [un’esperienza di venticinque anni nel teatro d’opera]. Cfr. FENNER
cit., pp. 40-41 e 683.
61
CRUTCHFIELD
Es. 34 Intervalli circondati da appoggiature. Rossini: La gazza ladra: Ebben, per mia memoria.
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– Le coppie discendenti con acciaccature e note ribattute non necessitano di illustrazione a chiunque ricordi – tra i molti esempi – la frase «Sì,
Lindoro mio sarà» di Rosina nel Barbiere di Siviglia.
– Un’altra impronta di stile vellutiano (non ancora menzionata) è la
ripetizione di un movimento intervallare di terza ascendente e discendente
da parte di due voci, le quali, tra loro, cantano per terze:
Es. 35 Terze parallele a due nell’ornamentazione di Velluti. A) Rossini: Aureliano in
Palmira: Mille sospiri e lagrime (stampata da Boosey). B) Rossini: Tancredi: Ah, come mai
quest’anima. C) Nicolini: Se possono tanto (notturno).
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G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
Se questa prassi non si cristallizzò nel vocabolario comune a un’intera
generazione di musicisti, Rossini è stato però chiaramente pronto ad accoglierla:
Es. 36 Terze parallele nel duetto. Rossini: Semiramide: Giorno d’orrore.
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– Altra originale soluzione melodica esplorata da Velluti è l’uso di una
cellula arpeggiata che di solito scende verso il registro grave per poi risalire:
Es. 37 Arpeggio nell’ornamentazione di Velluti. A) Mercadante: Andronico: Soave immagine (arrangiamento di Bochsa) 66. B) Rossini: Tancredi: Ah, come mai quest’anima. C) Fane:
Fedra: Amor soave. D) Pacini: La sposa fedele: I fieri palpiti 67.
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66
Anche se la tonalità originale dell’aria è la bemolle maggiore – come illustrato negli altri esempi –
l’arrangiamento di Bochsa è in sol, tonalità nella quale Velluti ha trasportato l’aria per le sue tardive
esibizioni a Londra.
67
Non risulta chiaro in questo arrangiamento quale parte della linea vocale appartenga a Pacini e
quale a Velluti; finora non sono state individuate copie della partitura originale che permettano di
stabilire un confronto.
63
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Colpisce il fatto che Rossini abbia adoperato una versione estesa di questo disegno quasi esclusivamente durante le stagioni immediatamente successive alla sua collaborazione con Velluti, e quasi sempre in sol maggiore:
Es. 38 Arpeggio ornamentale nelle opere di Rossini, 1815-1817. A) Elisabetta, regina
d’Inghilterra: Finale secondo. B) Il barbiere di Siviglia: Dunque io son. C) La Cenerentola:
Finale primo. D) La Cenerentola: Sestetto.
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La cosa più utile per valutare sia la possibile influenza che l’aneddoto
stendhaliano, sarebbe ovviamente disporre di una trascrizione degli ornamenti eseguiti in quella occasione. Di Aureliano possediamo una versione
completa e alcuni frammenti del duetto del secondo atto, ma non è il duetto il problema: fu apprezzato all’epoca e Velluti lo mantenne nel proprio
repertorio fino alla fine della sua carriera. La questione stava nella grande
aria di Arsace. Proprio di questa pagina si è occupato nel 1983 Rodolfo
Celletti 68, il quale ha individuato sulla linea melodica scritta da Rossini
i possibili passaggi in cui potrebbero essere stati inseriti abbellimenti e
cadenze, affermando tuttavia che «come si disimpegnasse il Velluti non ci
è dato sapere». «Quanto lo vorremmo, però!» – verrebbe da chiosare – e
non è escluso che ora ce ne sia concessa la possibilità.
68
RODOLFO CELLETTI, Storia del belcanto, Fiesole, Discanto, 1983, p. 146.
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
Fra le fonti di Aureliano in Palmira si segnalano due manoscritti di
grandissimo interesse della Gran scena di Arsace, corredati da fioriture.
Uno è vergato su pentagrammi vuoti posti sopra la linea originale in
una partitura completa conservata a Parma 69; l’altro è un pezzo staccato che contiene una versione abbreviata della scena, e riporta la parte
vocale solamente nella forma fiorita, la cui paternità, sul frontespizio,
è attribuita al contralto Carolina Bassi, che fu Arsace in almeno tredici
produzioni di Aureliano durante il primo decennio di vita dell’opera 70.
Per quanto divergano fra loro in dettagli, le due versioni hanno molto
in comune – compresi i tratti più marcatamente personali – tanto da
non poter essere considerate altro che due stesure della stessa interpretazione. E mentre gli interrogativi continuano ad avere la meglio sulle
risposte, possiamo affermare con certezza che questa interpretazione ha
qualcosa a che fare con Velluti.
La partitura di Parma proviene all’archivio di Maria Luigia di Borbone, duchessa di Parma, e, analogamente alla maggior parte della sua
collezione, è stata copiata in Toscana, in questo caso nella copisteria
fiorentina Manzuoli e Meucci 71. Oltre alle variazioni nella Gran Scena,
le uniche annotazioni sono alcuni tagli in altri pezzi. Le fioriture sono
state scritte da una mano non identificata, e sembrano essere state copiate nella partitura, non composte al suo interno. Due pezzi sono stati
estratti dal manoscritto, presumibilmente per un utilizzo in concerti.
Maria Luigia era stretta amica di John Fane, Lord Burghersh, ed è attestato che assistette a diversi concerti privati nella residenza Burghersh
a Firenze, tra cui ad alcuni nei quali cantava Velluti 72. I due pezzi in
questione sono precisamente quelli che Velluti eseguì altrove in concerti pubblici, e uno dei soprani con cui li cantò (Emilia Bonini, sua allieva e Zenobia della produzione londinese di Aureliano) prese anch’essa
parte ai concerti di Fane. È quindi possibile ipotizzare un tempo, un
luogo e un motivo plausibile per cui il manoscritto parmigiano potrebbe essere venuto in contatto con Velluti.
Si tratta di una mera suggestione: quel che abbiamo esposto può ragionevolmente aver portato a una presenza nella partitura conservata a
Parma di variazioni ricollegabili a Velluti, ma non abbiamo alcuna testimonianza diretta al riguardo. Molto più forte è il collegamento del castrato con l’altra copia, quella che attribuisce le variazioni a Carolina Bassi.
Questa copia era in possesso di Velluti, e non solo: il cantante la inserì
nella partitura che approntò per l’allestimento di Aureliano a Londra nel
1826, preferendola a un altro manoscritto che recava la scrittura originale
di Rossini.
I-Pac Borb.3093/I-II.
I-BEc 69427.
71
Ringrazio Daniele Carnini per la delucidazione della provenienza del manoscritto parmigiano.
72
AUBREY S. GARLINGTON, Society, Culture and Opera in Florence, 1814: Dilettantes in an “Earthly
Paradise”, Burlington, Ashgate 2005, passim.
69
70
65
CRUTCHFIELD
Il pezzo staccato riporta la scena nella forma abbreviata che la Bassi
(secondo i libretti a stampa) aveva sempre adottato nelle sue numerose
recite dell’opera. Velluti, per Londra, accolse i tagli effettuati nel cantabile e nella cabaletta, ma reinserì – usando pagine tratte dalla copia
senza fioriture – il dialogo con i pastori, che la Bassi non aveva mai
interpretato. Ai frammenti così ricomposti – ovvero le due metà della
copia della Bassi e il segmento inserito tra loro – sono stati poi assegnati
tre numeri consecutivi, inseriti da un’altra mano sulla prima pagina della copia della Bassi, conformandoli alla sequenza di fascicoli che compongono il secondo atto della partitura Londra/Belluno. Non c’è alcun
dubbio, quindi, che fosse intenzione di Velluti che il direttore musicale
utilizzasse per la Gran Scena il manoscritto ornato della Bassi e non la
versione originale.
Per quale motivo il cantante creatore del ruolo – celebre per le sue
colorature, abituato ad annotarle sul pentagramma – avrebbe scelto di
integrare questa versione nella sua partitura? La spiegazione più intuitiva
e convincente è che le variazioni fossero state create non dalla Bassi ma
da Velluti, poi da lei adottate o forse (vista la lunga esperienza didattica
di Velluti nella formazione dei colleghi professionisti) a lei insegnate dal
castrato. Si conoscono peraltro altri casi di attribuzioni di variazioni prese
“in prestito”: un esempio parallelo viene fornito da un pezzo già citato,
«Soave immagine» da Andronico di Mercadante. Negli anni Venti la casa
editrice L. Willis & Co. pubblicò l’aria con «The Graces & embellishments
by Signor Crivelli» [gli ornamenti e abbellimenti del signor Crivelli]; tuttavia confrontando questa versione con le altre tre certamente attribuite
a Velluti, emerge come Crivelli abbia fornito ai suoi editori un’ulteriore
stesura dell’interpretazione del cantante marchigiano.
66
Nel caso dell’aria di Mercadante, è facile capire cosa sia accaduto.
«Soave immagine» è stata celebrata (da Mary Shelley tra gli altri) 73 come
un capolavoro dello stile ornamentale di Velluti, e Domenico Crivelli (il
cantante che trasmise a Willis gli ornamenti per questo e altri brani) era
figlio, allievo, e compagno di viaggio di Gaetano Crivelli, un tenore che
cantava spesso con Velluti in produzioni tra le quali figura la prima e tutte
le successive rappresentazioni conosciute dell’Andronico 74. Non abbiamo
testimonianze del genere riguardo a possibili contatti fra Carolina Bassi e
il castrato, e non abbiamo esempi a se stanti della sua ornamentazione da
mettere a confronto con quelli trovati nei manoscritti. Nondimeno, esaminando le due versioni della Gran Scena rispetto ai molteplici esempi dello
stile di Velluti, spicca nettamente la cifra personale del cantante. Tutte le
caratteristiche musicali che abbiamo analizzato in precedenza si trovano
Cfr. nota 99.
Nel 1825 Domenico Crivelli fu, insieme a Velluti, uno dei due insegnanti di canto dell’appena
fondato London’s Royal College of Music. Il padre Gaetano, nel frattempo, tornò a Londra su sollecitazione di Velluti nel 1826 per cantare nel Tebaldo ed Isolina; cfr. EBERS cit., p. 293.
73
74
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
in gran parte in questo adattamento della Gran Scena. Se non fossero le
variazioni di Velluti, non potrebbe trattarsi che di un’abilissima imitazione
del suo stile, compresi alcuni fra i suoi aspetti più peculiari.
I tratti distintivi della “maniera” vellutiana sono presenti nel corso di
tutto il recitativo, ma diventano quasi inconfondibili nell’incipit del cantabile 75:
Es. 39 Rossini: Aureliano in Palmira: Perché mai le luci aprimmo (ornamenti tratti dai
manoscritti di Parma e Belluno).
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75
Le due versioni manoscritte saranno interamente pubblicate nel commento critico dell’edizione
dell’Aureliano, in via di pubblicazione presso la Fondazione Rossini. Qui di seguito verranno presentati alcuni passi in una miscellanea delle versioni di Belluno e Parma, indicate sopra la linea vocale
con le iniziali B o P.
67
CRUTCHFIELD
Nelle prime otto battute Rossini mette una nota consonante su tutti i battere, tranne che in uno; i manoscritti con le colorature, viceversa, presentano note dissonanti su tutti i battere meno che su uno
(l’eccezione compare sempre in un punto diverso; l’assemblaggio qui
presentato riporta appoggiature su ciascuno degli otto battere). Vi è
anche la presenza di tre note cromatiche in posizione preminente, mentre Rossini non ne adopera neanche una. Non mancano le terminazioni
piane con ribattuta interna (“toglie”, “fortuna”) e quando ricompare il
tema principale – lasciato invariato da Rossini – i finali sono ancor più
elaborati, e assomigliano molto da vicino ai modelli che abbiamo analizzato nelle fioriture di Velluti (con particolare riferimento agli esempi
2b, 10a, 10b, 28d):
Es. 40 Rossini: Aureliano in Palmira: Perché mai le luci aprimmo. Finali in ripresa melodica, con fioriture indicate nei manoscritti di Parma e Belluno.
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L’intero repertorio ornamentale di Velluti è citato nel corso di tutta la
scena, incluse le coppie di note discendenti (Es. 41a; confronta gli esempi
28a, 29a, 29b), le sestine ascendenti che si articolano dopo la pulsazione
(Es. 41b; confronta gli esempi 20a, 20c, 24a) ed anche le solite ribattute
(Es. 41c; confronta gli esempi 31a-d).
Es. 41 Tipici tratti stilistici dell’ornamentazione di Velluti presenti nei manoscritti dell’Aureliano conservati a Parma e Belluno.
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G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
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Sia ribadito a voce spiegata: si tratta di ipotesi, non di fatti incontrovertibili. Non abbiamo prove dirette che queste variazioni fossero di marca vellutiana, ma solo che il cantante decise di integrarle nella partitura
curata per la messa in scena londinese. Sia aggiunto sottovoce, però, che
chiunque ne sia stato l’artefice, sembra che Rossini le abbia ascoltate – e
che gli piacessero.
È risaputo che l’operista nel comporre «Io sono docile» nel Barbiere
recuperò l’incipit della cabaletta di Arsace, servendosi di ornamentazioni
melodiche aggiuntive. Ciò che invece non si conosce è che questo supplementare corredo di ornamenti corrisponde quasi esattamente a quello
trovato nei manoscritti di Parma e Belluno. Di seguito vengono raffrontate
le frasi iniziali, battuta per battuta, della versione di Aureliano (a sinistra),
un assemblaggio dei manoscritti di Parma/Belluno (al centro) e la versione
del Barbiere (a destra):
Es. 42 Incipit della cabaletta in A) Aureliano in Palmira, Gran scena Arsace; B) la stessa,
come viene fiorita nei manoscritti di Parma e Belluno; C) Il barbiere di Siviglia, Cavatina
Rosina.
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Qualora cercassimo poi di formulare ipotesi per spiegare l’improvvisa
predilezione di Rossini per l’uso della formula arpeggiale in sol maggiore,
sarebbe sufficiente mettere a confronto le variazioni di Parma e Belluno
con l’esempio 38 appena esposto:
Es. 43 Rossini: Aureliano in Palmira: Gran scena Arsace. Ornamentazioni arpeggiali nei
manoscritti di Belluno e Parma.
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Ai rossiniani assuefatti all’aneddoto di Stendhal, l’idea che il compositore possa aver trasferito di sana pianta nelle sue pagine più popolari le
variazioni tanto vituperate che Velluti eseguì nell’Aureliano, risulta come
se a sussurrare «eppur si muove» fosse stato il Papa, piuttosto che Galileo.
70
La cronologia è assai delicata: Aureliano debuttò alla fine di dicembre
1813, e la cabaletta venne reintrodotta per la prima volta nell’Elisabetta
(Napoli, ottobre 1815), incorporando la maggior parte degli stessi ornamenti sopra citati, e poi pochi mesi dopo nuovamente nel Barbiere (Roma,
febbraio 1816). Carolina Bassi ha interpretato il ruolo di Arsace al più
tardi nel giugno 1816 (a Faenza), periodo in cui sia Il barbiere che l’Elisabetta non erano mai stati ascoltati fuori dalle loro rispettive città d’origine.
Non si può escludere però la possibilità che sia circolata una copia della
partitura. Se le variazioni fossero davvero di pugno della Bassi, sarebbe
forse lei a imitare Rossini e non quest’ultimo Velluti. Tuttavia se a risultare
corretta dovesse essere l’altra ipotesi, verrebbero clamorosamente avvalorate le ragioni per cui Velluti potrebbe – come afferma Miltitz – rivendicare gli ornamenti come propri.
Il problema non troverà mai una soluzione definitiva. Non ci sono
testimonianze inequivocabili per arrivare alla certezza (come per esempio
lettere dei soggetti coinvolti nelle quali si faccia riferimento ai brani cita-
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
ti) e può darsi che non siano mai esistite. Ma nel frattempo, in modo del
tutto inaspettato, i manoscritti appena analizzati – assieme ad altri trovati
accanti a essi – offrono una risposta plausibile ad altri interrogativi che
riguardano non la prassi musicale, bensì le oscure vicende biografiche del
cantante.
IV. TRIONFO E DISGRAZIA A LONDRA
Velluti fu l’ultimo evirato ad esibirsi alla Scala, purtuttavia quando
nel 1809 debuttò sul palcoscenico milanese, l’ancor più celebrato Luigi
Marchesi aveva calcato le stesse scene meno di quattro anni prima, e
Girolamo Crescentini, pupillo di Napoleone, lo aveva preceduto di un
anno. Fra la seconda e la terza stagione scaligera di Velluti, ancora un
altro castrato, Angelo Testori (o Testore), prese parte a quella del 18121813. Quando nel 1825 raggiunse Londra, Velluti trovò un ambiente
del tutto diverso, dal momento che l’ultimo castrato a salire su un palcoscenico della capitale inglese era stato, nel 1801 o 1802, un certo Signor Roselli poco ricordato negli annali. Un’intera generazione di appassionati di teatro non aveva la benché minima nozione di cosa fosse
l’arte dei castrati, sebbene, al contrario, provasse una repulsione morale
nei loro confronti che portò all’eclissarsi di quella tradizione. Per molti
accogliere un simile cantante rappresentava un affronto alla decenza, e
alcuni dovevano essere sinceramente sconcertati all’idea che l’apprezzamento per un famoso castrato potesse «afford, perhaps, temptations [...]
for a revival of a barbarous practice nearly extinct.» 76 [potesse, magari,
stimolare tentazioni verso la riesumazione di una pratica disumana, quasi completamente estinta].
Si può tener presente tutto questo e, al tempo stesso, rimanere stupiti
di fronte agli attacchi sferrati contro Velluti. Nel giorno del suo debutto
nel Crociato, così si espressero gli editori del «Times»:
his shameless patrons have dared to insult, not only the British nation, but
even humanity itself, by thrusting this non-creature upon the stage. [...]We speak
in no anger against HIM, if we must so debase the pronoun for want of some other
form of expression. [...] But women; can women, too, attend the scene? Can British matrons take their daughters to hear the portentous yells of this disfranchised
of nature, and will they explain the cause to the youthful and uninformed mind? 77
[i suoi spudorati protettori, spingendo questa “non-creatura” a calcare le scene, hanno osato insultare non solo la nazione britannica, ma anche l’umanità stessa. Parliamo senza rancore contro LUI, se dobbiamo proprio svilire quel pronome
per mancanza di qualche altro genere più consono a identificarlo. Ma le donne,
anche le donne possono assistere a questo spettacolo? Le matrone inglesi possono
76
Music. King’s Theatre (recensione anonima), in «The New Monthly Magazine», 1° febbraio
1826, p. 57.
77
«The Times», 30 giugno 1825 (privo di numero di pagina).
71
CRUTCHFIELD
portare le proprie figlie a sentire le urla portentose di questo reietto della natura?
Spiegheranno alle loro menti giovani e ingenue la causa di questo fenomeno?]
Alcuni giorni più tardi, fra la prima e la seconda recita, gli editorialisti
aggiunsero:
He should retire from public view – the sight of him is an indecency. If he
could first stab those who have reduced him to his present state, we hope he
should be forgiven; even though, as is most probable, his unnatural parents were
the criminals. His next vengeance should be let loose against those who have forced him before the public 78.
[Egli dovrebbe nascondersi alla vista del pubblico – il solo vederlo è una indecenza. Se volesse pugnalare chi lo ha ridotto in questo stato pietoso, non potrebbe
che essere perdonato; anche se – com’è probabile che si tratti – il crimine sia stato
perpetrato dai suoi mostruosi genitori. Subito dopo dovrebbe vendicarsi di chi lo
ha spinto davanti al pubblico.]
Quanto appena descritto rappresenta il lato pubblico di una campagna denigratoria che nella sfera privata si servì di «anonymous threatening letters, and [...] every species of low attack» 79 [lettere minatorie anonime e ogni sorta di colpo basso], a quanto pare ulteriormente
esasperata da pressioni esercitate sia sugli impresari, affinché venisse
cancellata la produzione, sia sui cantanti per incentivare il boicottaggio.
Madame Vestris (Elisabetta Bartolozzi), amato soprano destinato a far
parte della compagnia di canto, «offered any sum to the managers that
would engage another lady to sing with him» 80 [era disposta a offrire
agli impresari qualsiasi somma pur di far ingaggiare un’altra donna da
far cantare al suo fianco], lasciando in tal modo campo aperto alla futura Malibran.
Inoltre, era messa a dura prova la consueta supervisione di Velluti sulle
“proprie” opere. Secondo Ebers
72
Velluti, on his arrival here, being accustomed to the careful and gradual getting up of the operas in his own country, could not be reconciled to the more rapid
preparations of the King’s Theatre, and strained every nerve in getting up Il crociato in Egitto within the period limited for the completion of the arrangements,
without being at last satisfied with the time and labour devoted to them 81.
[Velluti, al suo arrivo, essendo abituato al meticoloso e graduale allestimento
delle opere nel proprio paese, non ha potuto adattarsi ai preparativi rapidi del
King’s Theatre. Si sforzò al massimo nel mettere in scena Il crociato in Egitto nel
ristretto lasso di tempo disponibile, senza essere alla fine contento né del tempo
avuto né del lavoro dedicato al progetto.]
78
79
80
81
«The Times» 2 luglio 1825 (privo di numero di pagina).
[RICHARD MACKENZIE BACON], Signor Velluti cit. p. 272.
The Music of the Month (recensione anonima), in «The London Magazine», luglio 1825, p. 475.
EBERS cit., p. XXVII.
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
Abbiamo già sottolineato come il ruolo abitualmente assunto da
Velluti prevedesse anche la direzione musicale del cast. Le recensioni
del «London Magazine» ci restituiscono qualche immagine dell’allestimento:
On the Wednesday, the day preceding his appearance, there were two rehearsals of Il Crociato; the last was called for half-past seven o’clock, but it did not
commence till nearly ten, and lasted til half-past two. No one but Velluti knew
any thing about the manner in which the opera should be produced, and he had
to direct every particular, from the instruction of the singers and choruses, down
even to the arraying of the soldiers and slaves on the stage 82.
[Il mercoledì, giorno precedente il debutto, erano previste due prove de Il
Crociato, delle quali l’ultima era fissata per le 19.30, ma ebbe inizio poco prima
delle 22.00, terminando alle 2.30. Nessuno, tranne Velluti, era a conoscenza del
modo in cui l’opera avrebbe dovuto essere eseguita; così fu costretto a curare ogni
minimo dettaglio, dall’istruzione dei cantanti e dei cori fino alla disposizione dei
soldati e degli schiavi sul palco]
Secondo la cronaca di Bacon 83 venne fissata un’ulteriore prova la mattina stessa della recita, al termine della quale Velluti venne messo al corrente della polemica sollevata sulle colonne del «Times», che qualcuno fu
tanto spietato da tradurre in italiano per l’occasione.
Ben pochi debutti avranno destato tante preoccupazioni. Secondo
Mount Edgcumbe:
At the moment when he was expected to appear, the most profound silence
reigned in one of the most crowded audiences I ever saw, broken on his advancing by loud applauses of encouragement. The first note he uttered gave a shock
of surprize, almost of disgust, to inexperienced ears, but his performance was
listened to with attention and great applause throughout, with but few audible
expressions of disapprobation speedily suppressed 84.
[Nel momento in cui si attendeva l’entrata in scena di Velluti, in uno degli
spettacoli più affollati che io abbia mai visto, regnò un religioso silenzio, interrotto al suo ingresso da calorosi applausi di incoraggiamento. La prima nota emessa
dal castrato suscitò un sussulto di stupore, quasi di disgusto in quelle orecchie
inesperte, ma la sua esibizione venne ascoltata con estremo interesse e intervallata
da fragorosi applausi, e le poche contestazioni udibili vennero prontamente messe
a tacere]
Tutte le recensioni concordano sul fatto che i contestatori placarono
gradualmente la propria veemenza nel corso dello spettacolo; alla fine anche il critico del «Morning Chronicle», al quale non piacque l’esibizione
82
83
84
The Opera (recensione anonima), in «The London Magazine», agosto 1825, p. 517.
[RICHARD MACKENZIE BACON,] Signor Velluti cit., p. 272.
MOUNT-EDGCUMBE cit., pp. 162-163.
73
CRUTCHFIELD
di Velluti, ammise che il duetto del castrato con Caradori «was sung with
so much grace and spirit that all attempts at opposition were silenced by
a rapturous encore.» 85 [è stato eseguito con tanta delicatezza e vivacità
che tutti i tentativi di dissenso furono annichiliti da un estatico bis]. Nelle parole dell’impresario le cui finanze erano in bilico, «the favourable
reception of Velluti on his first night completely put an end to any effective
opposition» [la calorosa accoglienza riservata a Velluti al suo debutto pone
fine a qualsiasi opposizione]; i teatri erano gremiti e nessun’altra opera,
escluso Il crociato, venne eseguita fino al termine della stagione, sei settimane più tardi.
Velluti aveva vinto la battaglia, ma non gli fu concesso di godere
a lungo della vittoria. Era acclamato; fu ingaggiato nuovamente per la
stagione 1826 (con uno stipendio superiore a quello di qualsiasi altro
cantante tranne la Pasta), non solo nelle vesti di primo uomo ma anche
con l’incarico di “Musical Director”; fu molto richiesto per i numerosi e
redditizi concerti privati della nobiltà; ebbe l’opportunità di assecondare appieno la propria vocazione all’insegnamento (alla Royal Academy
of Music impartì gratuitamente le sue lezioni; presso la scuola privata
che fondò per i rampolli dell’alta società, ebbe un generoso compenso). Ottenne altresì la soddisfazione di vedere ampiamente riconosciuti i
progressi che il suo lavoro di direttore apportò all’esecuzione corale, orchestrale e scenica del teatro, specie in occasione del riproposto Crociato nel 1826. Tuttavia niente di tutto ciò potè difenderlo da un marcato
declino della propria voce.
74
I critici che lo avevano all’inizio contrastato furono spietati («screeching like a peacock, howling like a midnight cat, or imitating the slender
tones of a penny trumpet» 86 [strillando come un pavone, ululando come
un gatto a mezzanotte, o imitando i toni melliflui di una trombetta], ma
anche i suoi ammiratori ammisero che in alcuni punti la pasta del suono
risultava talvolta debole, talvolta aspra. Bacon si trovò sorpreso che la divisione tra i registri fosse così marcata in un cantante di rango; Mary Shelley concesse che «the defects of his voice are so glaring as to be evident to
the coarsest ears» [le incertezze della sua voce sono così macroscopiche
da essere evidenti anche a un orecchio poco raffinato], aggiungendo che
quelle lacune «are therefore the less to be insisted on by the judicious
and delicate» 87 [sono perciò gli aspetti sui quali devono soprassedere le
persone assennate e sensibili]. In occasione delle sue ultime esibizioni al
King’s Theatre nel 1828, un’opinione quasi unanime venne così riassunta
da Richard Alsager sul «Times»: «it has become his misfortune no longer
to be able to sing in tune» 88 [è diventata la sua disgrazia non essere più in
grado di cantare senza stonare].
85
86
87
88
«The Morning Chronicle», 1° luglio1825 (privo di numero di pagina).
Theatrical Examiner. King’s Theatre (recensione anonima), in «The Examiner», 6 gennaio 1826.
SHELLEY cit.
[RICHARD ALSAGER], King’s Theatre (recensione anonima), in «The Times», 23 luglio 1828.
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
Nel corso di tre stagioni Velluti subì frequenti indisposizioni che gli
impedirono di esibirsi; mantenne vivo l’interesse in un pubblico specializzato e a lui devotissimo, mentre tra i non specialisti la sua popolarità
lasciò il passo a nuove stelle come la Sontag o la Malibran ritornata sulle
scene, e poco a poco i suoi detrattori recuperarono credito presso l’opinione pubblica. Alla fin fine, gli spettatori londinesi lo videro in tre sole
opere, l’ultima delle quali, Aureliano in Palmira, andò in scena solo tre
volte, a dispetto di un teatro sempre esaurito: la prima venne rinviata per
ben due volte, così come la seconda – ripetutamente annunciata e cancellata a causa dei malanni del protagonista – ebbe luogo un mese più tardi,
quando la stagione stava ormai volgendo al termine. Fu proprio in relazione a quest’opera che il castrato incappò nella controversia che, secondo le
memorie di Hogarth – «gave the final blow to his popularity» 89 [assestò il
colpo di grazia alla sua popolarità].
Velluti venne citato in giudizio presso la Corte della Contea di Middlesex da undici coriste del King’s Theatre, le quali fecero richiesta al castrato
di una sterlina a testa (al di là dei salari pagati dal teatro), sulla base del
fatto che egli aveva promesso questo bonus per il coro in occasione della
sua serata di beneficiata, pagandolo poi ai soli maschi.
Il processo si tenne il 17 luglio; Velluti non comparve di persona. Stando ai resoconti dei giornali – da prendere con le molle, viste le numerose
incongruenze riscontrate – Velluti fu difeso da un pagliaccesco avvocato
che lese gli interessi del proprio cliente con l’assurda dichiarazione che
Velluti non aveva previsto la partecipazione di un coro femminile nel suo
allestimento dell’opera perché «the Signor had a decided objection to
the ladies, and never allowed them to appear in any place where he was
concerned» 90 [il Signore mostra una decisa avversione nei confronti delle
donne e non ha mai permesso loro di esibirsi in contesti in cui fosse previsto il suo coinvolgimento], affermazione che Bacon denunciò nel successivo numero della sua rivista come «a falsehood so palpable as to defeat
itself» 91 [una menzogna così palese da smentire se stessa]. La sua difesa si
basava sul fatto che la lettera con cui Velluti offriva la somma in questione
come mancia «under certain conditions» 92 [a determinate condizioni] era
indirizzata solo “ai Signori Coristi”.
GEORGE HOGARTH, Memoirs of the Musical Drama, II, London, Bentley 1838, p. 403.
The Female Chorus Singers of the Opera v. Signor Velluti (articolo anonimo), in «The Times», 18
luglio 1826.
91
RICHARD MACKENZIE BACON], A Sketch of the State of Music in London, August 1826, in «Quarterly
Musical Magazine and Review (QMMR)», VIII (1826) p. 138.
92
Così Bacon in «Quarterly Musical Magazine and Review (QMMR)»; secondo varie relazioni sarebbe stato corrisposto il compenso «if they performed their parts well» [qualora avessero eseguito bene
le loro parti] («The Morning Chronicle», 18 luglio 1826), «on condition of their exerting themselves in
the discharge of their duties» [a condizione che si sforzassero ad adempiere il loro compito] (Ebers),
«on condition that they were perfect in their parts» [a condizione che fossero risultati perfetti nell’esecuzione delle parti assegnate] («The Times», 18 luglio 1826), «if they took pains to study their parts to
his satisfaction» [se si fossero presi la briga di studiare le loro parti in modo a lui soddisfacente] («The
New Monthly Magazine», 1° settembre 1826, p. 368).
89
90
75
CRUTCHFIELD
Era troppo per il giudice che presiedeva. «The learned judge, without
entering into a philological investigation of the reasonable meaning of the
Italian expression, [...] came at once to the point, by asking, whether the
ladies had done the work?» 93 [Il saggio giudice, senza addentrarsi in una
ricerca filologica del plausibile significato dell’espressione italiana, [...]
venne subito al punto, chiedendo se le signore avessero o meno svolto il
lavoro.] Benché in un primo momento avesse suggerito di rinviare il caso
fino a quando non fosse comparso come testimone il maestro del coro che
aveva comunicato l’offerta, il giudice si pronunciò a favore delle ricorrenti, senza ascoltare altra testimonianza diretta oltre la loro.
L’udienza sembra essersi svolta in un clima di frivolezza, e venne narrata con questo spirito sulle riviste di ogni angolo dell’arcipelago britannico, mentre gli storici detrattori di Velluti alzarono i toni del dibattito:
«When we say Mankind» – un anonimo corrispondente lo riportò sul
«Morning Chronicle» – «the women are implied, and whatever Signor Velluti may think of it, we should soon cease to talk of mankind, if the term
were exclusive.» 94 [Quando definiamo il genere umano le donne rientrano
implicitamente in tale categoria, e qualunque cosa possa pensare il Signor
Velluti al riguardo, se il termine mankind dovesse assumere un significativo esclusivo, noi dovremmo in poco tempo smettere di parlare del “genere
umano”]. L’«Harmonicon» si inalberò contro il «meanness of spirit [...],
arrogance [...], peevishness [...], vanity [...], sordid views [...] and heartless ingratitude» [basezza, arroganza, irascibilità, vanità, gretta mentalità,
crudele ingratitudine] del castrato, e raffrontò i suoi compensi con quelli
innegabilmente pietosi ottenuti dalle coriste.
Velluti tentò goffamente di raccontare la propria versione dei fatti in
una lettera pubblicata su almeno due quotidiani e non sortì altro effetto
che quello di compromettere ancor più la sua posizione, dichiarando che
avrebbe forse elargito alle coriste lo stesso compenso promesso agli uomini se solo queste non lo avessero preteso come un diritto, bensì chiesto
come un favore da parte sua («asked this sum of me as a favor» instead of
«demanding it as a right.» 95). Dopo la sentenza Velluti sembrò aver chiuso
i conti con la giustizia e lasciato cadere in oblio l’episodio. Tuttavia alcuni
giornalisti simpatizzanti insinuarono che giustizia non fosse stata fatta, e
ora possiamo dire che potrebbero aver avuto ragione.
76
«The ladies had done the work» [Le signore avevano svolto il lavoro],
ma di che lavoro si trattava? La lettera di Velluti inviata ai giornali implicava
che si trattasse di un’attività differente rispetto a quella degli uomini, in
quanto il musico considerava che questi ultimi «would have considerable
93
Music. King’s Theatre (recensione anonima), in «The New Monthly Magazine», 1° settembre
1826, p. 368.
94
Signor Velluti and the Ladies (lettera anonima), in «The Morning Chronicle», 25 luglio 1826.
95
Lettera pubblicata in «The Times» e in «The Morning Post», 21 luglio 1826.
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
trouble in learning so much music in so short a period.» 96 [avrebbero
avuto difficoltà nell’apprendere tanta musica in così breve tempo]. Pare
un’evidente anomalia: come può succedere che la metà del coro avesse
sufficiente tempo a disposizione, mentre l’altra metà, scritturata per la
stessa opera, dovesse studiare in fretta? La lettera non scende nei particolari, ma i particolari si trovano nei materiali di Belluno. Velluti, alla fine,
non ha mai eseguito a Londra la tanto discussa Gran Scena di Arsace. La
sostuì con quella di Andronico, nella quale figura l’aria «Soave immagine»
già menzionata. Nel libretto stampato per il King’s Theatre appare la scena
di Mercadante, con il suo recitativo ritoccato per adattare il dialogo fra
Andronico e i monaci, che gli offrono rifugio, a quello fra Arsace e i pastori. La decisione è stata chiaramente presa in una fase tardiva. La partitura
orchestrale non fornisce alcuna indicazione di una possibile sostituzione,
ma rilegate nella partitura di Belluno si trovano parti strumentali per la
scena di Andronico, ovviamente preparate per l’occasione (i frammenti di
recitativo forniti come guida per l’orchestra riportano il testo adattato nel
quale il personaggio interpretato dal solista viene chiamato Arsace e non
Andronico), e redatte come inserti da aggiungere alle parti orchestrali che
dovevano essere già state realizzate. C’è anche un considerevole impiego
del coro: tuttavia esclusivamente di quello maschile.
Occorre chiedersi perché Velluti avesse deciso di rinunziare alla scena
originale, chiaramente prevista nelle sue intenzioni. Forse, riflettendo sulla popolarità che Il barbiere di Siviglia aveva raggiunto nel giro di pochi
anni, il cantante ritenne inopportuno proporre una scena che avrebbe riecheggiato sia l’apertura di una sinfonia da allora associata ad argomento
comico, sia la versione originale della brillante cabaletta di Rosina 97. Oppure, è possibile che nel 1826 Velluti abbia trovato la musica troppo acuta
e difficile per i suoi mezzi dell’epoca. Diverse fonti confermano come Velluti nell’ultima fase della propria carriera abbia trasportato in una tonalità
più bassa (mezzo tono o un tono rispetto all’originale) molti pezzi del suo
repertorio d’elezione, compresa la stessa scena di Andronico nella forma
riportata nelle parti bellunesi. Ma la scena dell’Aureliano, anche ipotizzandone un abbassamento, sarebbe rimasta in una tessitura notevolmente più
acuta e di gran lunga più impegnativa dal punto di visto tecnico, rispetto
a quella di Mercadante 98. Se fosse stata questa la motivazione che spinse
Velluti a sostituire la scena, si spiegherebbe in qualche modo la mancanza
di particolari nelle sue lettere ai giornali. L’inserimento di una scena di un
altro autore, difatti, non fu menzionato né sul libretto a stampa, né sui manifesti pubblicitari. E nonostante un critico abbia riconosciuto e segnalato
la musica di Mercadante, altri – ancora una volta la Shelley compresa –
non furono in grado di identificarla e la considerarono come pagina rossiIbidem.
Anche l’ouverture stessa venne eliminata dall’Aureliano londinese, sostituita da quella de Les deux
journées di Cherubini; cfr. The Drama. King’s Theatre (recensione anonima), in «The Harmonicon»,
n. 18 (luglio 1826) p. 154.
98
Il trasporto di più di un tono avrebbe probabilmente creato problemi nel registro vocale grave,
oltre a richiedere una radicale rifacimento della strumentazione.
96
97
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nana 99. In ogni caso, qualunque sia la ragione, quella sostituzione offre la
spiegazione più logica agli eventi che condussero a tante vicende umilianti
per Velluti: fu ai coristi maschili che chiese un lavoro imprevisto, e fu a
loro che ebbe motivo di promettere un compenso addizionale.
Dopo Aureliano in Palmira Velluti nel 1827 prese un anno sabbatico
dal teatro d’opera, declinando una proposta per il ruolo di Arsace nella
Semiramide di Rossini 100 e tornando a calcare il palcoscenico del King’s
Theatre solamente per una sommaria ripresa del Crociato nel 1828. Altrimenti si limitò ai concerti – nei quali, grazie ad una giudiziosa scelta di
repertorio, restava ancora campione d’incassi – e all’insegnamento. Nel
1829 si ha notizia del suo ultimo soggiorno a Londra; solo allora Mendelssohn lo ascoltò per la prima volta e ne ricevette un’impressione tutt’altro
che positiva 101. Tornato in Italia, Velluti si esibì sporadicamente in ambito
operistico; dopo un ritorno poco fortunato sul palcoscenico dei suoi trionfi veneziani (nel Conte di Lenosse di Nicolini, ritirato dalle scene dopo
tre sole recite alla fine del 1830), pare che si sia imposto un definitivo
silenzio, interrotto nel 1833 a Firenze da due ultime rappresentazioni del
Crociato.
Fortunatamente per Velluti, sembra che – libero dal peso di finali,
strette e tutti orchestrali – sia stato in grado di dilettare gli ascoltatori per
molti anni a venire attraverso i cantabili espressivi che da tempo erano la
sua specialità. Stendhal ascoltò il suo vecchio “preferito” – accompagnato
da «le divin Peruchini» – ancora una volta a Venezia, a poche settimane dal
fiasco alla Fenice, e di questa esperienza scrisse a un amico:
Jamais Velutti n’a mieux chanté. Il a l’air d’un jeune homme de trente-six
à trente-huit ans, qui a souffert, et il en a cinquante-deux; jamais il n’a été
mieux 102.
[Velluti non ha mai cantato meglio. Ha l’aspetto di un giovanotto fra i trentasei e i trentotto anni che ha sofferto, mentre lui ne ha cinquantadue; non è mai
stato così in forma.]
Mancavano di fatto allora pochi giorni al cinquantesimo compleanno di Velluti, ma sette anni più tardi il tenore Adolphe Nourrit venne
«rapito» dal suo canto nel salotto di Perucchini 103 e addirittura nel 1847
78
99
Lettera della Shelley del 23 giugno 1826 a Charles Cowden Clarke, direttore di «The Examiner»,
in The Letters of Mary Wollstoncraft Shelley, edited by BETTY T. BENNETT, I, Baltimore, Johns Hopkins
University Press, 1980, pp. 522-524. La lettera fu approntata come una seconda difesa pubblica del
cantante, sebbene all’epoca sia rimasta inedita. Per l’individuazione dell’aria sostitutiva di «that very
dull plagiarist, Mercadante» [quel noiosissimo imitatore], cfr. «The Harmonicon», la rivista già segnalata a proposito dell’ouverture dell’Aureliano.
100
[RICHARD AYRTON], Extracts from the Diary of a Dilettante, in «The Harmonicon», 1828, p. 79.
101
Mendelssohn a Devrient, 18 maggio 1829, in EDUARD DEVRIENT, Meine Erinnerungen an Felix
Mendelssohn-Bartholdy und seine Briefe an mich, Leipzig, J.J. Weber, 1869, p. 80.
102
Lettera del 25 gennaio 1831, in STENDHAL [HENRI BEYLE], Oeuvres posthumes: Correspondance
inédite, Paris, Michel Lévy Frères, 1855, p. 112.
103
In QUICHERAT cit.
G. B. VELLUTI E LO SVILUPPO DELLA MELODIA ROMANTICA
un certo Sternfeld, amico di Meyerbeer, scrisse al compositore dalla Serenissima:
Velluti hat sich sehr wenig gealtert, giebt annoch aus blosser Freundschaft
Lekzionen und singt annoch beim Fortepiano mit jenem himlischen Gefühle und
dem Feuer früherer Jugendkraft [...] 104.
[Velluti non sembra affatto invecchiato, impartisce lezioni gratuite per pura
amicizia e canta ancora al fortepiano con la stessa espressione sublime e lo stesso
ardore della prima giovinezza]
Meyerbeer stesso rimase affettuosamente in contatto con il suo vecchio
amico e interprete fino a pochi anni prima della morte di Velluti e non si
stancò mai di celebrare la sua arte, nonostante storici e critici stessero
già consolidando la caricatura che la tradizione avrebbe tramandato fino
ai nostri giorni. Tuttavia se «l’espressione sublime e l’ardore della prima
giovinezza» si spensero quando Velluti tacque definitivamente, forse le
tracce che queste virtù lasciarono nel suo patrimonio documentario possono aiutarci – a distanza di un secolo e mezzo – a negare l’ultima parola
ai caricaturisti.
79
104
Sternfeld a Meyerbeer, 3 luglio 1847; in Meyerbeer: Briefwechsel und Tagebücher, herausgegeben
von SABINE HENZE-DÖHRING, V, Berlin, de Gruyter, 1999, p. 266.
APPENDICE
FONTI MUSICALI
Se non altrimenti indicato, le edizioni a stampa non recano datazione;
quelle inglesi sono quasi certamente apparse durante il soggiorno di Velluti a Londra (1825-1829).
– CIANCHETTINI, PIO, Grazie agli inganni tuoi [sopra il rigo degli abbellimenti: «As sung by Sig.r Velluti»], London, S. Chappell 1
– FANE, JOHN [LORD BURGHERSH, POI 11.MO EARL OF WESTMORLAND], Fedra,
Opera seria [...] Ridotta pel Cembalo, Berlin, C. H. Westphal 2
– ID., [Fedra:] Amor soave, Cavatina [...] co’ modi di Canto eseguiti dal
Celebre Cantante / Velluti, Firenze, Gaspero Cipriani
– ID., [Fedra] Scena e cavatina [Compagni, amici, addio...Deh, non soffrir che oppressa] [...]dedicata all’egregio Sig. Velluti, co’ modi di canto
eseguiti da questo Celebre Cantante [...], Firenze, Giuseppe Lorenzi
– ID., Gentil Usignolo, Canzonetta [...] with the Vocal Embellishments of
Sig.r Vellutti, London, Grua, Ricordi & Co.
– ID., L’Amor timido, cantata by Metastasio, composed by Lord Burghersh, and presented by him to Signor Velluti, with whose vocal embellishments it is now published, London, Grua, Ricordi & Co.
– ID., Placido Zeffiretto, Arietta [...] with the Vocal Embellishments of
Signor Velluti, London, Grua, Ricordi & Co.
– MANFROCE, NICOLA ANTONIO, Alzira: Ah che non serve il piangere (pezzo staccato in partitura, ms.) I-BEc, FV.ms.14 3
– MAYR, JOHANN SIMON, [Ginevra:] Ah’ che per me non v’è, Cavatina [...]
to which are added Ornaments & Graces, by Signor Velluti, London,
Grua, Ricordi & Co.
80
1
Titolo dedotto da una copia priva di frontespizio e da una recensione nell’«Harmonicon», marzo
1829, p. 62.
2
Spartito dell’opera completa, con abbellimenti stampati sopra il rigo del canto in diversi pezzi,
senza attribuzione, ma identici, nel caso della scena e cavatina «Compagni, amici, addio», con quelli
attribuiti a Velluti nel pezzo staccato pubblicato da Lorenzi; da qui l’ipotesi che Velluti sia l’autore
anche degli altri esempi qui riportati. Quelli per «Amor soave» invece divergono dal pezzo staccato,
dal momento che l’aria appare in altra tonalità (Si bemolle maggiore nello spartito, Sol maggiore nel
pezzo staccato); purtuttavia le due versioni hanno molto in comune e lo stile è sempre coerente con
gli altri esempi della pratica di Velluti.
3
Secondo il frontespizio l’aria è stata «copiata di propria mano dal Celebre Sig.r Velluti per la Sig.a
Enrichetta Redi», ma pare evidente che l’attribuzione dovrebbe riferirsi alle sole variazioni.
APPENDICE
– ID., [La vergine del sole (ossia Lodoiska):] Lovinski hai cor, Recit.vo e
Parto ti lascio addio, Duetto [...] and Embellishments by Signor Velluti,
London, J.B. Cramer Addison & Beale
– MERCADANTE, SAVERIO, [Andronico:] Cavatina (Soave immagine) [...]
con abbellimenti del Sig.r G. Battista Velluti, Wien, Mechetti («Aurora
d’Italia e di Germania», n. 112)
– ID., [Andronico:] Soave immagine d’amor, cavatina, in the Opera of
Andronico [...], Dublin, S.J. Pigott 4
– ID., [Andronico:] [...]Soave im[m]agine d’amor, now first Published
with the Embellishments of Signor Velluti [...], London, T. Boosey
& Co.
– ID., [Andronico:] Soave immagine d’amor [...] The Graces & Embellishments by Signor Crivelli. London, L. Willis & Co. 5
– ID., [Andronico: Soave immagine d’amor] in: BOCHSA, ROBERT NICOLAS
CHARLES, “Gems a la Velluti.” [...] Arranged as Duetts, for the Harp &
Piano Forte, London, S. Chappell
– MORLACCHI, Francesco, [Tebaldo ed Isolina: Morir, ciel, qual concento...
Caro suono lusinghier], in Manuel GARCÍA, Traité complet de l’art du
chant , Paris, chez l’auteur, 1847
– ID., [Tebaldo ed Isolina:] Notte tremenda, recit.vo., Caro suono lusinghier, romanza, as sung by the celebrated Signor Velluti [...], London,
Birchall & Co.
– ID., [Tebaldo ed Isolina:] Notte tremenda [Caro suono lusinghier] [...]
Arranged for the Harp [...] by F. Dizi, London, F. T. Latour 6
– ID., [Tebaldo ed Isolina:] Caro suono lusinghier [...] sung by Signor
Velluti [...] Arranged for the Harp [...] by G. [Gustavus] Holst, London,
Published for the Author
– ID., [Tebaldo ed Isolina:] Caro suono lusinghier, in ALARY (ALARI), GIULIO, Oeuvres choisies des maîtres italiens; édition de concert avec points
d’orgue, traits, variantes & nuances des plus célèbres chanteurs de la
grande école, Paris, Heugel (c. 1860)
– ID., [Tebaldo ed Isolina:] Notte tremenda [Caro suono lusinghier], in
SOLÁ, C.M. (CARLO MICHELE ALESSIO): Fourth Set of Italian Cavatinas
for Voice, Flute & Piano Forte [....], No. 2 “Notte tremenda,” London,
R. Cocks & Co.
– ID., [Tebaldo ed Isolina:] Notte tremenda, recitvo., caro suono lusinghier, romanz[a], as sung by the celebrated Signor Velluti, at Verona &
Florence [...], London, Birchall
– ID., [Tebaldo ed Isolina:] Si ravvisa quel Guerriero […] cò modi di Canto eseguiti dal Sig.r Professore Velluti, Firenze, Giuseppe Lorenzi
– NICOLINI, GIUSEPPE, [Balduino:] Nere Funeste immagini, Cavatina, […]
Abbellimenti senza attribuzione, ma simili in molti particolari alle altre versioni qui elencate.
Vedi p. 66 sgg. per l’attribuzione degli abbellimenti a Crivelli.
6
François-Joseph Dizi (1780-1840), arpista belga residente in Inghilterra, accompagnò Velluti in
esecuzioni concertanti del brano, tra cui una documentata nel «Morning Post», 13 giugno 1827 (recensione anonima).
4
5
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with Embellishments of Sig.r Velluti, London, Grua, Ricordi & C.o
(«Lira d’Italia» anno 2, fasc. 6)
ID., Carlo Magno: Scena ed aria Vitekendo [Ecco, o Numi, compiuto...
Ah quando cesserai], (pezzo staccato canto e pianoforte, ms.) I-BEc,
FV.ms63
ID., Dite al mio bene. Arietta [...] to which are added ornaments & graces by Signor Velluti, London, J.B. Cramer, Addison & Beale
ID., Or che la luna, Arietta, With an Accompaniment for the Piano Forte, [...] to which are added ornaments and graces by Signor Velluti,
London, J.B. Cramer, Addison & Beale
ID., “Or che l’indissolubile”, Arietta, With an Accompaniment for the
Piano e Forte, […] To which are added ornaments & Graces by Signor
Velluti, London, J.B. Cramer, Addison & Beale
ID., Se possono tanto, notturno for Two Voices, [...] to which are added
Embellishments by Signor Velluti, London, J.B. Cramer, Addison & Beale, [1827]
PACINI, GIOVANNI, [La sposa fedele:] I fieri palpiti di questo core. Cavatina [...] to which are added ornaments and graces by Signor Velluti [La
sposa fedele], London
PAVESI, STEFANO [Celanira:] Cavatina, Dolce de’ bardi il canto, with Ornaments & Graces by Sig.r Velluti, London, Grua, Ricordi & Co.
Id., [Celanira:] La tua diletta imm[a]gine, Cavatina [...] coi modi del
Sig.r Velluti, London, Grua, Ricordi & Co., («Lira d’Italia», anno 2,
fasc. 6)
PERUCCHINI, G. B., Lo sguardo e Il pianto. in Le ore ad Euterpe, Almanacco Musicale del 1827. Milano e Firenze, G. Ricordi.
ROSSINI, GIOACHINO, – [Aureliano in Palmira:] [Dolci silvestri orrori...]
Perché mai le luci aprimmo. Scena, e Rondò [...] eseguito dalla Sig.ra
Carolina Bassi nel teatro di Trieste la primavera dell’anno 1817. Con
le sue variazioni. Pezzo staccato in partitura, ms.; fa parte di I-BEc
FV.ms.71 (69427)
ID. Aureliano in Palmira: Dolci silvestri orrori...Perché mai le luci
aprimmo. Fa parte della partitura ms. dell’opera I-Pac Borb.3093/I-II
ID. Aureliano in Palmira: Mille sospiri e lagrime. Fa parte della partitura
ms. I-BEc FV.ms.71 (69427)
ID., [Aureliano in Palmira:] Duetto, (Mille sospiri e Lagrime,) [...] con
abbellimenti del Sig.r G. Battista Velluti, Wien, Pietro Mechetti q.m
Carlo («Aurora d’Italia e Germania, eine Sammlung der beliebtesten
Gesänge mit Begleitung des Pianoforte», n. 113)
ID., [Ciro in Babilonia] T’abbraccio ti stringo, Cavatina [...], to which
are added Ornaments & Graces by Signor Velluti, London, J.B. Cramer,
Addison and Beale
ID., [Tancredi:] Ah come mai, Duetto [...] with Embellishments by Signor Velluti, London, London, J.B. Cramer, Addison and Beale
VACCAI, NICOLA, ”Api erranti”, Canzoncina, […] To wich are added
Ornaments & Graces by Signor Velluti, London, J.B. Cramer, Addison
& Beale
APPENDICE
– VELLUTI, GIOVANNI BATTISTA [O WEIGL, JOSEPH?] Come potrei mai vivere,
Cavatina Composta dal Sig.r Gio Bat.a Velluti, ed eseguita dal Medesimo in Vienna Nell’Opera La Ginevra di Scozia, London, Grua, Ricordi
& Co. 7
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7
L’aria è stata stampata con attribuzione a Velluti, ma diverse altre fonti – fra cui il frontespizio
della copia manoscritta in possesso di Velluti (I:BEc FV.ms24) – l’ascrivono a Weigl, concertatore
dell’allestimento viennese della Ginevra di Mayr.
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